In the Past by Mistake

di Clarrie Chase
(/viewuser.php?uid=35631)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Mistake ***
Capitolo 2: *** Weird Things ***
Capitolo 3: *** The Past ***
Capitolo 4: *** Strong Feelings ***



Capitolo 1
*** The Mistake ***


The Mistake

***

« Ehi, Candace! », gridò un ragazzo dai capelli arancioni, correndo lungo il cortile dell’Oldmill High School, raggiungendo la ragazza con la giacca verde borchiata che lo aspettava al cancello. Lei gli sorrise, osservandolo mentre si piegava sulle ginocchia per riprendere fiato dopo la corsa.
«Sei un po’ fuori allenamento, Evan? », scherzò lei, mentre il ragazzo si rimetteva in piedi a fatica.
«Semmai il contrario », replicò lui, scrutandola con i suoi grandi occhi blu, « Ieri notte ho fatto le ore piccole sul Manuale del Domatore. ».
I due amici iniziarono ad avviarsi verso casa; Candace si morse il labbro, preoccupata: «Ancora con questa storia? Credevo che tuo padre avesse accettato il fatto che tu non voglia diventare un Domatore come lui. ».
«Ed è così, infatti », replicò il ragazzo, calciando un sassolino che si trovava sul marciapiede. Candace roteò gli occhi: «Non capisco qual è il tuo problema. », affermò, corrugando le labbra.
Evan incrociò le braccia al petto, immusonito. « Non avrei voluto deluderlo. Da un paio di settimane, ha iniziato a portare Liz all’Antica Armeria… Liz, capisci? », domandò, come se fosse un oltraggio. « E allora? E’ tua sorella! » replicò la ragazza, squadrandolo di traverso.
«Ma ha solo 13 anni! » protestò a gran voce Evan, spalancando le braccia per avvalorare la sua esclamazione. Candace sbuffò: « E allora? A 13 anni è già un geniaccio dell’informatica. »
Questa volta fu Evan, a roteare gli occhi: « Non ha visto ancora niente del mondo, e mio padre vuole confinarla tra quelle mura ammuffite ancora prima che possa farsi un’idea di quello che si perde qua fuori, con la gente normale. »
« Quindi – iniziò Candace, piano – per te, la tua non è una famiglia normale? », gli domandò, impettita. Evan sapeva bene che Candace viveva con la zia, a causa della prematura scomparsa dei suoi genitori svariati anni prima dovuta ad un incidente stradale, e sapeva altrettanto bene quanto lei adorasse Liz e i loro genitori.
« Non intendevo questo. », borbottò il ragazzo, ammansendosi.
« Il tuo problema è che pensi troppo, Evan. Prima, non volevi che tuo padre facesse di te un Domatore. Ora, ti alleni di nascosto per diventarlo e ti lamenti del fatto che tua sorella riceve più attenzioni da te. Se il problema è ricevere l’approvazione di tuo padre, potevi pensarci prima. » commentò amaramente la ragazza, affannandosi.
Evan avrebbe preferito scomparire, che sentirsi fare ancora quel discorso. Ma Candace continuò, addolcendosi: « Chi ti ama, ti accetta così come sei, Evan. E i tuoi genitori ti amano. »
Il ragazzo non aggiunse altro, così continuarono a camminare in silenzio; Evan accompagnò Candace a casa, che si trovava a pochi isolati dalla sua, e tornò indietro.
Non c’era nessuno ad attenderlo, ma non si sorprese: da quando suo padre aveva iniziato ad addestrare Liz, passavano tanto tempo all’Antica Armeria. Suo padre era diventato piuttosto paranoico, ultimamente; era convinto che fosse necessario rinserrare i ranghi dei Domatori, e che presto ci sarebbe stata una nuova guerra. Per questo aveva insistito con lui riguardo l’addestramento, e per lo stesso motivo, quando Evan aveva rifiutato, suo padre aveva immediatamente ripiegato sulla piccola Liz, la sua piccola fotocopia vivente.
Se chiudeva gli occhi riusciva quasi ad immaginarla, lei, con i suoi corti capelli blu e la sua corporatura gracilina, a imparare le posizioni giuste per ottenere il massimo profitto dal Gesto Dom. Sentiva anche la voce orgogliosa di suo padre, e le risate divertite di sua madre.
Evan posò lo zaino nell’ingresso ed andò in sala, stravaccandosi sul divano: era raro che ci fosse quella quiete, in casa sua. Il suo cellulare iniziò a squillare in quel momento: il ragazzo gettò una rapida occhiata al display e rispose. Era sua madre.
« Ev, caro, sei a casa?»
« Sì, mamma. »
« Bene! Ascolta, siamo all’Antica Armeria, ma tuo padre ha dimenticato il borsone con le sue attrezzature in camera nostra. Puoi portarcele, per favore? Ci sono anche Henry e Clare Thaur. »
«… Arrivo, ma non penso di fermarmi. »
Evan riattaccò e si alzò dal divano di malavoglia; salì in camera di suo padre e si caricò il borsone sulle spalle. Passò da davanti la camera di sua sorella per tornare all’ingresso, quando la sua attenzione venne attirata da un paio di Telepattini azzurri posati scompostamente sulla scrivania.
Sorrise tra sé e sé: usandoli avrebbe risparmiato un bel po’ di tempo. E Henry e Clare – che lui detestava profondamente – non avrebbero avuto il tempo di incastrarlo in una qualche stupida sfida da Domatori. Facendosi scudo di questi pensieri, Evan indossò i Telepattini e si concentrò, immaginando l’ingresso dell’Antica Armeria, quindi, usò il Dom per attivarli: un dolore lancinante gli percorse le gambe fino a raggiungere la sua spina dorsale. Tentò di gridare, ma si era già teletrasportato. Come se il dolore immenso che ancora provava non fosse abbastanza, atterrò nella neve: Evan sobbalzò, gelando nella sua divisa scolastica primaverile. Come diamine era possibile che ci fosse la neve a Maggio??
 
***
 
Zick sbuffò annoiato, trascrivendo sul suo quaderno a quadretti l’ultima riga del logaritmo che un suo sventurato compagno di classe stava svolgendo alla lavagna.
Matematica Avanzata era senza dubbio la materia più noiosa che avesse mai frequentato; Elena era stata molto più furba di lui, scegliendo di seguire Scrittura Creativa.
Il ragazzo dai capelli blu prese a mordicchiare distrattamente il tappo della penna che impugnava, mentre il suo sguardo correva oltre le finestre, al paesaggio innevato: ricordava bene l’ultima volta che aveva nevicato a Oldmill. Erano cambiate così tante cose da allora…
Tanto per cominciare, aveva ancora i suoi poteri, all’epoca.
 E le cose con Elena erano decisamente più chiare.
Anche in quel momento, solamente pensando a lei, Zick sentì il suo battito accelerare e il bisogno di concentrare la sua attenzione altrove. Senza accorgersene, invece di numeri e lettere – sconclusionate – prese a scarabocchiare il nome di Elena lungo i quadretti.
Resosi conto dell’errore, non poté fare a meno di arrossire furiosamente e strappare il foglio in fretta e furia, attirando l’attenzione dell’insegnante su di sé.
« Stai seguendo, Barrymore? », gli domandò il professore con tono inquisitorio, scrutandolo da dietro due spesse lenti rotonde. « S-sì, prof. » balbettò maldestramente il ragazzo, in imbarazzo.
La ricreazione fortunatamente suonò proprio in quell’istante, e l’insegnante non volle indagare oltre. Zick raccolse le sue poche cose nello zaino ed uscì in fretta dall’aula, diretto al corridoio dell’aula di Scrittura Creativa, dove avrebbe trovato Elena.
Si fermò con la spalle contro una fila di armadietti grigi, cercando con lo sguardo l’amica: eccola!
Elena era piegata per terra a raccogliere i suoi quaderni in compagnia di un ragazzo che Zick non conosceva: lui aveva i capelli castani e anche da inginocchiato era possibile intravedere il suo fisico atletico. Stavano dicendo qualcosa – impossibile sentirli, a quella distanza – e il ragazzetto sconosciuto sembrava imbarazzato, al contrario di Elena che pareva perfettamente a suo agio. Quel giorno, Elena portava i suoi lunghi capelli rosso-arancio sciolti, ed alcune ciocche ribelli le incorniciavano il volto roseo, su cui spiccavano i suoi brillanti e grandi occhi castani.
Raccolsero le cose della ragazza da terra e il tipo agguantò lo zaino con agilità, sottraendolo alla presa di Elena. Lei rise e tese le braccia verso di lui, per strappargli lo zainetto dalle mani.
Zick sentì qualcosa contrarsi nella sua pancia mentre osservava quella scena, ma non fece niente per intervenire o rendere nota la sua presenza: era curioso di vedere Elena alle prese con altri ragazzi all’infuori di lui. I due si salutarono e presero direzioni diverse, e finalmente Elena scorse Zick: sul suo volto comparve un grande sorriso e lo raggiunse subito dopo.
« Ehi! Allora, come sta andando Matematica Avanzata? », gli domandò, mentre componeva la combinazione del suo armadietto di fianco a lui.
Zick si mise le mani in tasca fingendo indifferenza: « Beh, è Matematica Avanzata. Sta andando. » rispose vago, sbuffando appena. Elena mise prese alcuni libri dallo zaino e li lasciò nell’armadietto, quindi lo richiuse ed insieme si incamminarono verso la mensa.
« Chi… chi era quel ragazzo? », le domandò Zick, continuando a fare il disinvolto.
Elena rise appena: « Si chiama Jess, frequenta Scrittura Creativa con me. ».
« Ah… cosa voleva? », volle indagare Zick, soffiandosi via la frangetta blu dagli occhi.
Elena sospirò con aria afflitta: « Sono un paio di settimane che fa il super carino con me; non lo sopporto quasi più. ». Zick sentì come se si fosse liberato di un peso dal petto e sorrise, sollevato.
« Da quando gli ho detto che non c’è niente tra di noi mi fa una corte spietata. », continuò Elena, immusonita. Zick la guardò sorpreso: « Che cosa?? »
« Non sono stata io a mettere in giro quest’idea! », replicò Elena, mentre insieme varcavano la soglia della mensa e si mettevano in fila verso il bancone.
« C-certo. », rispose Zick, anche se in realtà la sua esclamazione era riferita al fatto che Jess le facesse una corte spietata. All’improvviso, Elena sobbalzò dalla sorpresa e si appiattì contro il petto di Zick, come se cercasse di nascondersi. Il ragazzo si irrigidì all’improvviso, non osando respirare: « Non voltarti! », sibilò Elena, piagnucolando: « E’ arrivato Jess. »
Zick obbedì, continuando a guardare il pavimento senza fare una mossa. Cercò di ridere, nervoso: «Cosa ti fa credere che stia cercando te? ». Elena si aggrappò con una mano al colletto della maglietta di Zick, per attirare la sua attenzione: i loro volti erano così vicini che i loro nasi quasi si sfioravano. Elena lanciò una rapida occhiata alle spalle del ragazzo e vide Jess, in piedi sulla soglia della mensa, con in mano un quaderno che inequivocabilmente le apparteneva.
« Ha in mano i miei appunti. Sono sicura che è qui per restituirmeli. », sbottò, improvvisamente di malumore. « Zick, non mi lascerai da sola con lui, vero? », lo implorò con gli occhi, mentre Jess – che nel frattempo l’aveva vista – si avvicinava a grandi falcate.
Zick annuì, mordicchiandosi le labbra, e Jess si piazzò davanti a loro in quell’istante.
« Ellie, ho dimenticato di darti questi, prima! », esclamò il ragazzo, sorridente, porgendo ad Elena il suo quaderno.
Zick inarcò le sopracciglia contrariato dalla confidenza che  Elena si separò di malavoglia da Zick, ostentando un sorrisetto simpatico mentre riprendeva i suoi appunti. « Come sei gentile, Jess- ma potevi anche tenerli fino a domani, tanto non mi servono per il momento. », rispose la ragazza, inarcando le sopracciglia chiare.
« Scusate… ho interrotto qualcosa? », domandò a quel punto il ragazzo, notando che Elena era ancora pigramente posata contro il petto di Zick. Al contempo parve notarlo anche lei e fece per allontanarsi, ma Zick le mise un braccio intorno alle spalle e la spinse contro di sé: « Veramente sì. », rispose il ragazzo, con un sorriso sornione.
Dal viso di Elena traspariva visibilmente la sua espressione sorpresa, mentre con gli occhi correva dal volto confuso di Jess all’aspetto sicuro di Zick, senza dire una parola.
Il sorriso educato di Jess gli morì sulle labbra, e il ragazzo fece un incerto passo indietro: « Ah… Allora, Elena, ci vediamo a lezione. », mormorò, mentre senza aspettare una risposta si allontanava veloce come era arrivato. Elena si rilassò, sospirando di sollievo: « Grazie mille, Zick! », esclamò, abbracciando forte il ragazzo dai capelli blu. Zick rimase piacevolmente sorpreso da quell’abbraccio e lo ricambiò maldestramente, stringendo le braccia intorno alla stretta vita di Elena.
Sembrava così fragile, tra le sue braccia. E quand’è che si era creato così tanto divario di altezza fra di loro? Adesso, per guardarla, doveva guardare in basso. Era così piccola e carina.
Si separarono dopo alcuni momenti, e finalmente arrivò il loro momento di riempire il vassoio e andarono a sedersi al loro solito tavolo in mensa, vicino alla finestra.
Il resto della giornata scolastica trascorse tranquillamente, ma Zick non poteva fare a meno di pensare alla brutta sensazione che aveva provato vedendo Elena in compagnia di quel Jess. Non riusciva a togliersi dalla mente nemmeno quello che aveva provato abbracciandola, e il coraggio che aveva avuto nel trattenerla contro di se per tenere Jess lontano da lei. In compagnia di Elena si era sempre sentito coraggioso, ma quello che aveva provato in quell’istante non era coraggio…
Poteva essere solo gelosia.
 
***
 
Elena scese gli scalini dell’Oldmill High School insieme ad un gruppetto di primini – quelli che uscivano dalle aule per ultime: si era attardata nel bagno delle ragazze per assicurarsi che Jess non si trovasse fuori dall’aula pronto a prenderle nuovamente lo zaino – e rovesciare ancora tutto il suo contenuto per terra. Jess era veramente gentile, ma anche decisamente insistente.
Quasi scivolò mentre scendeva l’ultimo gradino: dannato ghiaccio.
Lasciò che i primini la superassero, osservando temporaneamente rapita la neve candida che ricopriva ogni cosa; riprese a camminare risvegliandosi dai suoi pensieri, e vide il profilo tremante di Zick aspettarla vicino al cancello.
Affrettò il passo correndogli incontro, sorridente e con la mano alzata in segno di saluto. Lui, nel vederla arrivare, le sorrise dolcemente, dimenticando immediatamente gli interminabili minuti di attesa al freddo.
« Zick! Non eri obbligato ad aspettarmi. », disse lei, guardandolo: aveva le guance e il naso rosse per il freddo. Lui tuttavia continuò a sorriderle, come se non sentisse il peso dei 4 gradi sotto zero che vivevano in quei giorni. « Lo sai che ti aspetto sempre! », esclamò lui, invitandola ad incamminarsi al suo fianco.
Percorsero il lungo tragitto verso casa loro raccontandosi le loro rispettive giornate scolastiche: da quando avevano iniziato a frequentare il liceo, non passavano più tanto tempo insieme a scuola.
Poco dopo arrivarono a destinazione, ed Elena trovò sulla porta di casa un biglietto in cui i suoi genitori l’avvertivano del fatto che a causa di una riunione importante inerente alla catena di supermercati per cui lavorava suo padre avrebbero trascorso un paio di giorni fuori città, e che i gemelli erano stati portati con loro per evitare di sovraccaricarla di responsabilità.
« Se vuoi, puoi mangiare a casa mia. », le propose Zick, vagamente preoccupato per l’amica.
Elena parve pensarci qualche secondo, ma annuì sorridendo, così i due si recarono a casa Barrymore. Una volta entrati, lasciarono gli zaini nell’ingresso ed entrarono in cucina, dove Greta stava armeggiando per i fornelli con fare esperto.
Fuori dalla cucina, Elena sentiva il canto stonato dei tre Bolli ospitati da quell’oasi di detenzione e dovette reprimere un sorriso nel vedere Zick che discorreva tranquillamente con sua madre riguardo il pranzo, sordo a quella melodia disarmonica. Erano trascorsi ormai 5 anni da quando aveva perso i suoi poteri, eppure Elena faceva ancora fatica ad abituarsi, e si sentiva terribilmente in colpa ogni volta che i suoi occhi – o le sue orecchie – captavano un qualsiasi segno del mondo che Zick le aveva fatto conoscere vite fa.
A mascherare il suo disagio, vennero in aiuto i passi pesanti di Zob per le scale: « Greta! », chiamò il Domatore a gran voce, « Dov’è la chiave dell’auto?? ».
Zob atterrò nell’ingresso con un balzo, attirando l’attenzione di tutti nella casa: mostri, fantasmi, e anche dei tre in cucina. « Che succede, papà?  », gli domandò Zick, vedendolo preoccupato.
« Oh, Zick, sei già a casa! Ben tornato, figliolo. E ciao anche a te, Elena! », salutò lui, di buon umore. Greta, però, incrociò le braccia al petto: « Le chiavi dell’auto? Dove vorresti andare? E’ quasi ora di pranzo! » esclamò infatti la donna, indispettita.
Zob si fece serio: « C’è stata un intrusione nell’Antica Armeria! Timothy ha convocato tutti i Domatori per interrogare il colpevole! »
Zick abbassò lo sguardo, sul volto aveva un’espressione vagamente triste. Elena non poté fare a meno di notarlo, e pareva essere stata l’unica a farlo: « All’ora di pranzo? » ripeté Greta, incredula.
« Sì, cara, all’ora di pranzo. », confermò Zob, un po’ preoccupato per la reazione della moglie.
Come guidata da una mente a sé, Elena allungò la mano fin quasi a sfiorare quella di Zick, abbandonata lungo i suoi fianchi: aveva un’espressione così assorta…
« Posso venire anch’io, papà? ».
I presenti ammutolirono, guardando Zick sorpresi. Persino Elena non se lo aspettava, e ritirò velocemente la mano, mordendosi la lingua. Greta e Zob si lanciarono un rapido scambio di sguardi e poi il Domatore annuì, la voce appena un po’ tirata: « Ma certo, perché no? Potete venire entrambi. ».
 

***
 

Aloors <3
Se siete arrivati fin qui vi ringrazio ^^
L'idea per questa fanfiction l'avevo in mente da parecchio tempo, anche se originariamente non era nata per Monster Allergy, questo è più un adattamento, per così dire xD Come vi sembra? Fatemi vedere che ci siete, se no mi scoraggio e non riesco più a scrivere xD 
A presto!

L. L. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Weird Things ***


Ma allora c'è qualcuno che ci tiene, a questa storia ;D Mi avete piacevolmente sorpreso, grazie a tutti per le recensioni :) Ma non mollatemi adesso, vi prego! Buona lettura :)
L. L.

 

Weird Things




Evan seguì Timothy lungo alcuni corridoi dell’Armeria, finché non giunsero nuovamente nella Cripta dove lo avevano rinchiuso appena arrivato; iniziò ad agitarsi, temendo che avesse intenzione di rinchiuderlo nuovamente. Si strinse dentro alla giacca che gli aveva dato Elena, lasciandosi tranquillizzare dal profumo di lavanda di cui era intrisa.
Evan tornò a sedersi per terra, l’attenzione rivolta al gatto senza peli davanti a lui.
« Raccontami di nuovo come sei arrivato qui. », gli ordinò il Tutore, con calma.
Evan fece un respiro profondo e raccontò per l’ennesima volta quell’assurda storia; quando ebbe finito, Timothy pareva più preoccupato del solito.
« Ho fatto mandare i tuoi Telepattini da Uzca, nella città sospesa. Se hanno qualcosa che non va, lui lo scoprirà sicuramente. », gli comunicò, guardandolo con apprensione.
Evan annuì stancamente, tuttavia grato di non essere più trattato come un prigioniero.
«Prima… », iniziò il Tutore, improvvisamente a disagio, « Quando hai visto Zob Barrymore, tu hai detto… ».  « Nonno. Lui è mio nonno. », ripeté Evan, a denti stretti.
Timothy sospirò con preoccupazione. « Com’è potuto accadere?? », chiese, rivolto a nessuno in particolare. Ma nemmeno Evan conosceva la risposta a quella domanda, che era più o meno quella che si era posto da quando era arrivato all’Antica Armeria, trovandola piena di quegli sconosciuti.
« Come farò a tornare a casa mia? », domandò Evan a Timothy, a bassa voce.
Timothy gli rivolse uno sguardo che era simile, molto simile, agli sguardi che gli riservava nel Futuro, dal luogo in cui si trovava solo poche ora prima.
« Non lo so proprio, ragazzo. », rispose con dispiacere.
« E cosa farò nel frattempo? Non ho un posto dove andare. ». Evan si rendeva perfettamente conto che se suo padre fosse stato lì gli avrebbe lanciato un’occhiataccia, intimandogli di non lamentarsi e di reagire alla situazione con coraggio e senza perdersi d’animo.
Ma lui non era suo padre, ed aveva paura.
« Questo non è un grosso problema, potrai restare qui, nell’Antica Armeria. », gli propose Timothy, meditativo. Evan spalancò gli occhi sorpreso: « Qui?? Con meno trenta gradi?? » sbottò, di malumore. Riusciva quasi a sentire suo padre intonargli freddamente un  « Mantieni la calma, non rivolgerti a Timothy in questo modo. », e la voce calda di sua madre aggiungere  « Non temere, si sistemerà tutto. »
Timothy non poté fare a meno di convenire col ragazzo. Solo allora si accorse di come era vestito, e di quanto freddo dovesse avvertire. « D’accordo. Hai ragione. Potrai trovare asilo presso una Rifugiatrice. », gli annunciò pacatamente, sorridendo appena. « Sono sicuro che Zick sarà più che… ».
  « No, lui no! Non voglio stare con lui. » sbottò Evan, interrompendolo arrabbiato. Dopotutto, era successo tutto per causa di suo padre, che non prestava mai attenzione alle sue cose.
Timothy non poté fare a meno di notare l’aperta ostilità che Evan pareva provare nei confronti di Zick, ma non disse niente. « Allora, Elena sarà altrettanto felice di rendersi utile. ».
Evan annuì sovrappensiero. «Ehi, Evan. Ascoltami bene. », gli intimò Timothy, avvicinandosi a lui: « Nessuno deve scoprire chi sei e da dove vieni, chiaro? ».  « Ma tutti quelli nell’Armeria sanno già il mio nome. » obiettò il giovane Domatore, vagamente preoccupato.
« A loro ci penso io. » gli promise il Tutore, con aria solenne. « E adesso andiamo, dobbiamo parlare con Elena. ».
 
***
 
Zick osservava Elena discorrere amabilmente con Lay e Teddy come fossero amici di vecchia data, anche se lei non li vedeva quasi da più tempo di lui. Non che fosse stato Zick a chiederglielo, ma da quando lui aveva perso i suoi poteri Elena aveva iniziato progressivamente ad allontanarsi da quel mondo che avevano imparato a conoscere insieme.
Così, forse in nome di una qualche strana forma di solidarietà. Ma a Zick non dispiaceva, avere Elena sempre con sé. Lei lo appoggiava sempre. C’era sempre per lui. Anche in quel momento, mentre chiacchierava con Lay riguardo chissà quale diavoleria uscita dal borsone di Evan, Zick poteva benissimo intravedere le occhiate fugaci che Elena gli lanciava di tanto in tanto, come per accertarsi che lui fosse sempre lì, che non se ne andasse.
 « Non si consuma, se la fissi in quel modo? », lo prese in giro Teddy, avvicinandosi a lui ridendo. Zick gli mostrò la lingua: « Pensa a come guardi Lay,  piuttosto. » replicò, prima di scoppiare a ridere. Era proprio vero: Teddy ruotava attorno a Lay come un satellite intorno alla terra. Fu la volta del biondino di arrossire, ma si riprese in fretta e tornò all’attacco: « Almeno Lay non si è dimostrata così interessata al nuovo arrivato. », disse Teddy con fare disinvolto, prendendo a guardarsi le unghie della mano sinistra. Zick guardò Elena allarmato -  ma lei non se ne accorse -, e poi tornò a prestare la sua attenzione a Teddy: « Ma che dici! », esclamò, non del tutto convinto.
Il ragazzo dai capelli biondi rise sguaiatamente: « Beh, sai, deve essere il fascino del Domatore ad attirare le ragazze! ».
Teddy parve rendersi conto della cosa che aveva detto solo quando ormai era già troppo tardi per rimangiarsela, così si morse la lingua senza aggiungere altro, osservando la reazione di Zick.
 Lui gli sorrise freddamente, senza replicare, perché senza saperlo Teddy aveva espresso a voce una delle poche cose che davvero lo spaventavano. Perdere Elena.
Non che fosse una novità, comunque. Era stata quella la sua più grande paura, fin da quando aveva dieci anni. E ora che ne aveva quindici di anni, era ancora quella la cosa che più lo terrorizzava.
In quel momento fecero nuovamente il loro ingresso nella Piazza delle Cento Porte Timothy ed Evan: Elena e Lay si zittirono e raggiunsero Zick e Teddy, del tutto ignare dello scambio avvenuto tra i due pochi attimi prima.
Timothy li raggiunse con Evan al seguito, rivolgendosi ad Elena: « Evan resterà qui per un po’ di tempo. Elena, tu sei una Rifugiatrice e vorrei affidarti il compito di badare ad Evan durante la sua permanenza qui. ». Evan appariva contrariato tanto quanto Zick: «Badare a me? Non sono mica un bambino! », replicò infatti il ragazzo, offeso. Elena era troppo sorpresa per notare la curiosa scelta di parole di Timothy: Lay dovette pizzicarle il braccio per ricordarle di rispondere.
« C-certo, Timothy. » balbettò dunque Elena, ancora un po’ frastornata. Badare ad Evan? E cosa avrebbe detto ai suoi?
Timothy sorrise soddisfatto e con un cenno della testa si allontanò dal gruppetto di giovani Domatori –e-non, raggiungendo gli adulti.
Evan poteva vedere il disagio sul volto di Elena, allo stesso modo in cui lo aveva notato Zick.
« G-grazie. », borbottò il ragazzo dai capelli arancioni, impacciato.
Elena rispose con un mezzo sorriso: «Non c’è problema. »
Zick inarcò le sopracciglia: il problema c’era, e non era nemmeno uno solo.
 
***
 
Alcune ore dopo, Evan, Zick ed Elena erano tornati ad Oldmill, e si trovavano a casa di lei.
« Dove potremmo sistemare un letto in più in modo che i miei non lo vedono? », stava chiedendo Elena ad alta voce, un po’ preoccupata. Evan osservava Zick ed Elena in silenzio, sentendosi un po’ a disagio essendo il motivo di tale preoccupazione.
« Evan, sei capace di renderti invisibile, giusto? », domando sarcasticamente Zick, sbuffando. Trovava Evan antipatico allo stesso modo in cui aveva trovato antipatico tempo addietro Charlie Shuster, prima di rendersi conto che era un tipo in gamba e che anche lui voleva un gran bene ad Elena. Era perfettamente consapevole del fatto che probabilmente anche Evan era un tipo apposto, ma vedendolo seduto sul letto di Elena, nella sua camera, non poteva fare a meno di trovarlo antipatico. E dire che suo padre gli aveva insegnato ad imparare dai suoi sbagli!
« Non ne sono mai stato capace, in realtà. Ma ho alcuni gadget che potrebbero esserci d’aiuto, nel borsone di mio padre. », rispose Evan, pensieroso, torcendosi le mani. Elena gli sorrise: « Perfetto! ».  « Nel borsone che hai lasciato all’Armeria? », domandò Zick, socchiudendo gli occhi.
Elena gli lanciò un’occhiataccia: per quale motivo aveva l’impressione che Zick stesse tentando di sabotare Evan? Qualsiasi cosa dicesse, lui puntualmente lo rimbeccava.
Evan si dette una pacca sulla fronte: « Giusto. ».
« Perché non ti sistemi nell’armadio, Evan? », scherzò Zick, prima di chiudere la bocca fulminato da una delle occhiate di fuoco di Elena. Evan guardò prima il ragazzo dai capelli blu e poi l’armadio, quindi batté le mani, soddisfatto. « Ma certo! Hai avuto un’ottima idea. », esclamò Evan sorridente, attraversando la stanza a grandi falcate e spalancando le ante dell’armadio rosa di Elena. Lei parve vagamente imbarazzata ma non disse nulla, guardando Evan incuriosita: lui spostò i vestiti appesi tutti da un lato e posò entrambe le mani sulla superficie in legno all’interno dell’armadio, quindi dalle sua mani scaturì una luce blu brillante.
Zick non poté nascondere uno sguardo ammirato, avendo capito l’idea che la sua frase aveva suscitato in Evan: modificare lo spazio dimensionale all’interno dell’armadio di Elena usando lo Spazio Dom. Era una delle tecniche usate da Hector Sinistro. Zick aguzzò lo sguardo: dove aveva imparato Evan a fare una cosa del genere?
Evan terminò il suo lavoro in pochi secondi, e si fece indietro per permettere anche ad Elena e Zick di vedere: « Porca bomba! », mormorò Elena, ammirata.
Oltre i suoi vestiti all’interno dell’armadio era comparsa una stanza addirittura più grande della sua. Evan si dondolò sul posto attendendo un giudizio da parte di Zick, ma il ragazzo non disse nulla: sembrava diviso tra l’ammirazione e la noia. Elena, invece, gli dette una pacca sulla spalla e gli fece un gran sorriso. « Complimenti! » si congratulò lei, felice.
« Dove… dove hai imparato a farlo? ». Gli domandò Zick, squadrandolo incuriosito.
Evan fece spallucce, in difficoltà: era stato proprio lui, ad insegnarglielo, nel futuro. «  Dal Manuale del Domatore. ». Beh, non era del tutto una bugia: suo padre aveva aggiunto numerose pagine al Manuale col passare degli anni, aggiornandolo e inserendoci parecchi trucchetti.
Il Dom era un potere, a sua detta, eccezionale.
La risposta non parve soddisfare la curiosità di Zick, che aveva anche lui una copia del Manuale del Domatore ed aveva la certezza che su quel libro non ci fosse scritto nulla del genere, ma il ragazzo non disse niente per non attirarsi ulteriormente l’ira di Elena.
« Allora, possiamo iniziare a portare il materasso qua dentro. », esclamò Elena, tentando di alleggerire l’atmosfera che nel frattempo si era fatta un po’ pesante.
 
***
 
Finirono di sistemare la camera di Evan nell’armadio di Elena circa un’ora dopo: ci avevano portato dentro un materasso, un comodino, alcune torce e qualche libro.
Nonostante non avesse nulla da fare lì, Zick non voleva andarsene e lasciare che i due passassero insieme più tempo di quanto sarebbero stati costretti a trascorrere nei prossimi giorni.
Mai come quel giorno aveva sentito il bisogno di stare un po’ da solo con Elena.
In quelle ore, Evan si era rivelato essere un ragazzetto apposto ed Elena non aveva manifestato alcun tipo di interesse particolare per lui, se non quelle solite accortezze nei confronti degli ospiti – che tuttavia non aveva più per Zick da parecchio tempo. Anche se lui era ben felice, di ricevere un trattamento per così dire speciale, dall’amica d’infanzia.
Erano in cucina a fare uno spuntino con pancarré e nutella quando dalla tasca di Evan si udì un suono strano: il ragazzo dai capelli arancioni estrasse allora un aggeggio poco più spesso di una fetta di pancarré. Fece scorrere il dito sulla sua superficie, quindi lo rimise in tasca, sotto gli sguardi incuriositi di Elena e Zick. « Cosa c’è? », domandò lui, sentendosi osservato.
Elena rise: « Che cos’era quella cosa che hai messo in tasca? » gli domandò, incuriosita.
Evan lo estrasse nuovamente, mettendolo sul tavolo: « Questo? E’ un Iphone 5. ».
Subito dopo aver detto queste parole, Evan si morse la lingua, maledicendosi mentalmente per la sua mancanza di furbizia. Zick fece scorrere il dito sul display come aveva visto fare a Evan, ma non successe niente così la ritrasse, deluso, pensando che doveva essere uno di quegli aggeggi Dom che provenivano dal suo strano borsone. Nemmeno Elena aveva mai sentito parlare dell’Iphone, e diede voce al pensiero di Zick: «  Funziona con l’energia Dom? ».
Evan trattenne a stento una risata: « Sì, diciamo di sì. ».
Fortunatamente a interrompere quel momento imbarazzante venne in aiuto il cellulare di Zick, che iniziò a squilare: era Greta.
« Mamma, dimmi. ».
« Zick! Che fate tutti soli a casa di Elena? Ho parlato con sua madre stamattina, mi hanno detto che staranno via un paio di giorni. Perché non vi spostate tutti da noi? Possiamo cenare tutti assieme. ». Zick allontanò per un momento il telefono dall’orecchio: «  Vi va di mangiare da me, stasera? », domandò ai due, che avevano ancora le dita sporche di nutella. Annuirono in silenzio, trattenendo le risate, così Zick salutò sua madre e ripose il telefono in tasca.
Non nominarono più l’Iphone.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** The Past ***


Ciao! Ebbene, rieccomi col secondo capitolo. Anche se non conto di aggiornare più, visto che la storia sembra non piacere a nessuno, visto che non lasciate recensioni. Perciò godetevi l'ultimo capitolo - anche se nel computer la storia è quasi terminata. 

L.L.

The Past


Si svegliò di soprassalto, quando all’improvviso il Domanometro iniziò ad emettere il fastidioso e squillante suono di allarm: il Domatore si stropicciò gli occhi e brontolando raggiunse l’aggeggio infernale. La valvoletta che segnava i picchi di Energia Dom nella città di BigBurg era di nuovo sulla zona rossa, ad indicare che in un determinato luogo della città era stata localizzata una nuova e potente forma di Energia Dom. L’uomo sospirò forte, e uno sbuffo di vapore caldo si liberò dalla sua bocca per disperdersi dell’aria: Dio, quanto detestava l’inverno. E quella brutta macchina. E vivere in quella dannata caverna, come un esiliato.
Sicuramente, stava captando l’ennesimo falso positivo della settimana.
Stava per spegnere la macchina quando questa iniziò a stampare alcuni fogli: non l’aveva mai fatto prima. Il Domatore strappò via i fogli dalla bocca di ferro della macchina e li lesse: erano una serie di coordinate e vari altri numeri. Lui non sapeva leggere quei fogli, perciò avrebbe dovuto mandarli avanti perché lui li interpretasse e li rimandasse indietro.
Dov’era finita, la scatola varco dimensionale? La cercò a tentoni trovandola sotto il suo letto; dette un ultimo sguardo ai fogli, prima di metterli nella scatola e richiuderla. Pochi minuti dopo l’interno della scatola si illuminò di azzurro, e il Domanometro ricominciò il suo schiamazzo fastidioso.
L’uomo pallido imprecò, tappandosi le orecchie frastornato. Riaprì la scatola e al posto dei fogli vi era un unico messaggio scritto a mano, della sua stessa calligrafia: le lettere ‘m’ e ‘n’ erano scritte all’inverso. Era sconfortante appena un po’, pensare che non avrebbe mai imparato a scrivere come si deve. Il messaggio era questo: “Fase uno. Che il Progetto Dom abbia inizio!”. Un sinistro sorriso si dipinse sul suo volto gelido, rivelando tanti piccoli denti appuntiti.
 
***
 
Evan si ritrovò ancora una volta a tentare di allentare i nodi che gli tenevano costrette le mani dietro la schiena, e a rabbrividire contemporaneamente. Si trovava scalzo, con pantaloncini corti e maglietta a maniche corte, chiuso in una delle cripte dell’Antica Armeria. Quegli sconosciuti che occupavano l’Armeria gli avevano requisito immediatamente i Telepattini e il borsone di suo padre. Timothy non gli aveva creduto, quando Evan aveva tentato di parlargli. Addirittura non lo riconosceva! E dire che lo aveva visto innumerevoli volte da bambino.
E di suo padre e sua madre nemmeno l’ombra. Figuriamoci di sua sorella, di Henry e di Clare Thaur. Non che l’assenza di questi ultimi lo turbasse più di tanto. Ma era tutto strano.
Ancora poteva sentire il dolore che gli avevano provocato i Telepattini, ma non erano nulla in confronto alla paura – al terrore – che provava in quel momento.
Lo avevano legato e chiuso in una cella, senza ascoltare quello che aveva da dire, come se fosse un pazzo delirante. E non c’era nessuno – nessuno -  che conosceva – o che lo riconosceva. E il freddo. Il freddo! Si gelava.
Evan non avrebbe potuto immaginare un risvolto degli eventi peggiore, quando si era alzato dal letto quella mattina.
 Udì dei passi in avvicinamento, perciò smise di ribellarsi ai nodi che lo legavano e attese di vedere chi veniva a trovarlo: era un uomo alto, biondo e con la barba incolta. Aveva sentito qualcuno, prima, chiamarlo Terrence.
Terrence aprì la porta della cripta e fece ad Evan un cenno con la testa: « Su, alzati. E’ arrivato il momento di interrogarti. ». Evan si alzò barcollando e dopo alcuni passi cadde nuovamente: aveva i piedi intorpiditi dal freddo, e non riusciva a camminare. Terrence sbuffò spazientito e lo raggiunse, tirandolo su per il colletto della divisa scolastica e spintonandolo davanti a sé fino alla Piazza delle Cento Porte. Lo lasciò cadere su di uno sgabello come se fosse una camicia stropicciata, ma Evan non si lasciò sfuggire alcun lamento: c’erano troppe persone ad osservarlo.
Uomini e donne e ragazzi e ragazze e tanti, tanti mostri. Evan non aveva mai visto l’Armeria così affollata. Dal cerchio che la gente formava intorno a lui uscì Timothy, che lo scrutava con sospetto.
« Come ti chiami, ragazzo? », domandò il Tutore Stellato, imperioso.
Evan deglutì: « Mi chiamo Evan. ». rispose, battendo i denti. Una ragazza dai capelli blu all’incirca della sua età, che somigliava tanto a sua sorella, sussurrò qualcosa al ragazzo biondo al suo fianco. Lui la zittì, ignorandola. Timothy prese a girargli attorno, pensieroso: « Qual è il tuo nome completo? », ripeté pazientemente il gatto. Evan si morse il labbro inferiore, guardando in basso.
« Barrymore. Evan Barrymore. ».
Al sentir quel nome, immediatamente la Piazza delle Cento Porte si animò del vociare concitato di tutti coloro che assistevano all’interrogatorio.
Timothy corrucciò la fronte indispettito, e Terrence sbottò: « Bugiardo! », esprimendo a gran voce il pensiero che attraversava la mente di tutti i presenti.
Evan strinse i denti, ormai decisamente arrabbiato: « Non sono un bugiardo! »
« Silenzio! » ringhiò Timothy, esasperato: immediatamente calò il silenzio.
Il petto di Evan si alzava e si abbassava dalla rabbia: era sicuro che quello che stava subendo violasse almeno tre comandamenti.
« Perché sei venuto all’Antica Armeria? », gli chiese Timothy, fissandolo.
Il ragazzo non riusciva a ricambiare lo sguardo di quell’estraneo, e fissava i suoi occhi altrove: « E’ stato mio padre a dirmi di venire. Aveva dimenticato a casa il suo stupido borsone. »
Timothy parve gradire la risposta, perché fece a Terrence un cenno col capo: lui allora venne avanti, tra le mani il borsone di suo padre. Lo posò a terra e tirò la cerniera. Evan lo guardò accigliato ma non disse niente.
« Che cos’è questo oggetto? », domandò Terrence, estraendo dal borsone un prisma blu.
Evan roteò gli occhi: « E’ una Memoria per Dombox Universale, idiota. »
Terrence strinse il prisma tra le mani e lo gettò per terra con rabbia: sobbalzarono tutti, incluso Evan. « Ma sei fuori? », esclamò il ragazzo dai capelli arancioni, spaventato.
Dal prisma scaturì una voce metallica, come quella dei Dombox, e una luce proiettata proprio dall’oggettino: « Confermare la Traccia Vocale per accedere alla Memoria per Dombox Universale », disse la voce metallica atona, mentre le medesime parole scritte venivano proiettate sopra il prisma. I presenti ammutolirono dalla sorpresa, arretrando come dei cavernicoli di fronte al fuoco: solo Terrence parve farsi coraggio e fece un passo avanti. « Terrence Thaur. », proclamò con voce un po’ titubante. Evan roteò nuovamente gli occhi e sibilò a bassa voce « Idiota. », mentre la voce metallica della Memoria rispondeva: « Traccia Vocale non riconosciuta. Confermare la Traccia Vocale per accedere alla Memoria per Dombox Universale »
Evan chiuse gli occhi, facendo ricorso a tutte le sue energie per usare la Voce Dom: « Evan Barrymore. ».
« Traccia Vocale riconosciuta. Effettuare l’accesso alla Memoria per Dombox Universale? », domandò servile la voce metallica che scaturiva dal prisma, mentre l’immagine di Evan veniva proiettata sopra il prisma. « Chiudi il sistema, Memoria. », ordinò Evan, con voce stanca. « Chiusura in corso. ». La luce proiettata dal Prisma vacillò e si spense poco dopo.
Timothy guardò accigliato e un  po’ scettico il Prisma, ma iniziava a nutrire dei seri dubbi circa l’origine dell’identità dell’intruso.
Terrence agguantò un altro aggeggio dal borsone: era una piccola pistola del medesimo colore del prisma, ma invece di un grilletto aveva vari bottoni di diverso colore sull’impugnatura.
« Cos’è questa diavoleria? ». Evan assottigliò lo sguardo: « Secondo te?? E’ un Dombox! » esclamò, contrito. Timothy guardò sorpreso quel piccolo aggeggio: « Se quello è un Dombox, dove vanno i mostri che vengono inscatolati? », domandò, incuriosito. « Ovviamente vanno nella Memoria. », affermò il ragazzo legato con aria saccente. « Non ci credo. », annunciò Terrence, impugnando la pistola e puntandola verso un grassoccio Bombo che se ne stava in disparte con altri mostri. L’uomo biondo premette il pulsante verde e Bombo venne immobilizzato: nella Piazza, tutti si allertarono. Contemporaneamente, la Memoria si attivò da sola: « Specie: Bombo. Livello di pericolo: Inesistente. Inscatolare? ».
I mostri intorno a Bombo sembrarono cadere dalle nuvole: che stava succedendo?
 
« Arresta il sistema. » affermò Evan, facendo uso della Voce Dom. Il prisma si spense e la pistola smise istantaneamente di immobilizzare Bombo, che, assieme agli altri mostri, andò a nascondersi spaventato. Gli altri Domatori presenti nella stanza sussurravano tra di loro parole che Evan non poteva sentire, fissandolo come se fosse lui il mostro nella stanza.
Ancora, Terrence estrasse dal borsone un sacchetto di  zollette di zucchero di forma triangolare, lasciando ricadere con attenzione il Dombox all’interno. « Che cosa sono questi?  », domandò il Domatore, guardingo.
Evan sbuffò, incredulo: « Sono zollette di zucchero! », esclamò stancamente: quant’era testardo quel Terrence. In qualche modo, gli ricordava Clare.
Ripensare ai suoi quasi-amici gli fece tornare consapevolezza della situazione assurda in cui si trovava, e i suoi occhi blu si adombravano di tristezza e preoccupazione.
La folla che presenziava all’interrogatorio aveva ricominciato a mormorare concitatamente, e Timothy stava per richiamare nuovamente la loro attenzione quando all’improvviso vide Zob entrare nella Piazza delle Cento Porte con al seguito Zick ed Elena.
Evan seguì il suo sguardo e, nel guardare Zob, non riuscì a reprimere un’esclamazione di pura sorpresa: « Nonno! ». Timothy si voltò di scatto verso Evan, sconvolto, ma il ragazzo non lo guardava, non aveva occhi che per Zob.
« Terrence. Porta immediatamente i Telepattini del ragazzo da Uzca, nella città sospesa. », ordinò, tentando di mantenere la calma. Terrence si immusonì come un bambino: « Fammi almeno salutare Zob! », protestò, sbuffando. Timothy scosse la testa. « Vai, adesso. »
 
***
 
Zick camminava di fianco ad Elena dietro suo padre, mentre insieme varcavano la soglia della Piazza delle Cento Porte: lontano, tutti i suoi vecchi amici erano disposti a cerchio attorno ad un ragazzo che da quella distanza non riusciva a vedere bene.
Ma vedere tutti quelli che conosceva, dopo quasi 5 anni di distanza, gli fece un bell’effetto.
Come lui, Teddy era diventato decisamente più alto di prima; Lay era, se possibile, ancora più magra di come la ricordava, e Bobby aveva un fisico decisamente più allenato. Gli adulti, sembravano tutti più vecchi e più stanchi. I gemelli sembravano stare affrontando i brufoli e l’irrequietezza tipici della pre-adolescenza.
Inspirò l’aria consumata dell’Antica Armeria e richiamò a sé tutte le sue forze per rimanere calmo: i passi lenti e costanti di Elena, accanto a lui, servivano da deterrente a quella brutta sensazione alla bocca dello stomaco che minacciava di mangiarlo vivo.
La nostalgia per un mondo a cui non apparteneva più da molto tempo.
Vide Terrence separarsi dal gruppo e prendere una delle scalinate che portavano verso l’alto, al covo dei Flyvan, con in mano un paio di Telepattini molto graziosi. Allora cercò di vedere oltre la folla, al ragazzo che stava subendo quell’interrogatorio.
Zick si accorse che anche Elena lo stava osservando: aveva i capelli arancioni corti, grandi occhi blu, corporatura gracilina che veniva evidenziata dal fatto che tremasse come una foglia. E indossava una divisa scolastica che portava lo stemma della loro scuola superiore.
I due lo notarono insieme e si lanciarono uno sguardo confusi: la Oldmill High School non aveva divise scolastiche da più di 150 anni. Erano talmente fuori moda e spersonalizzanti…
Il temibile intruso non era altro che un ragazzino, apparentemente un loro compagno di scuola.
Raggiunsero il gruppetto, ed Elena si fece da parte per fare in modo che tutti salutassero Zick in modo appropriato: sfruttando la disattenzione di Timothy, la ragazza si avvicinò al temibile intruso. Lui la guardò col volto inclinato, come se avesse il torci collo: sembrava estremamente agitato, quasi come se avesse appena visto un fantasma. E tremava dal freddo, come una foglia.
Immediatamente, e senza che nessuno gliel’avesse chiesto, Elena si sfilò la pesante giacca di lana grigia che indossava e la posò sulle spalle del ragazzo, che per la prima volta quel giorno rabbrividì di piacere invece che di freddo. Le rivolse uno sguardo azzurrino di pura gratitudine, ed Elena si ritrovò inspiegabilmente ad arrossire: quello sguardo era lo stesso che Zick le riservava in alcune rare occasioni. « Grazie. », mormorò lui, timidamente.
Elena gli sorrise incoraggiante: il ragazzo non le sembrava cattivo. Si chinò al suo fianco, porgendogli la mano. « Mi chiamo Elena. ». Vide il ragazzo reagire al suono del suo nome, ma non si fece domande. Lui, le rispose tristemente. « Sono Evan. Ti stringerei la mano volentieri, ma le ho entrambe occupate. Posso batterti il cinque col piede, se vuoi. »
Elena rise, quindi guardò Timothy: « Non potete slegarlo, prima di interrogarlo? Credo che questo violi almeno tre comandamenti! », esclamò sorridente. Timothy le lanciò un’occhiata penetrante, ma annuì: « Slegalo pure, l’interrogatorio è finito. »
« E’ già finito?? », esclamò sconfortato Zob, a nessuno in particolare.
Zick aveva assistito con la coda dell’occhio a tutta la conversazione di Elena ed Evan, senza intervenire ma sentendo per l’ennesima volta quel giorno, una piccola fitta di gelosia stringergli lo stomaco. Come se già essere lì, in quel momento, non fosse abbastanza per lui. Senza Elena al suo fianco si sentiva perso.
Quando Elena prese a massaggiare le mani di Evan tra le sue per riscaldargliele, Zick decise che era il momento di intervenire: si avvicinò alla coppietta e si inginocchiò accanto ad Elena, senza alcun motivo particolare. « Allora, chi va in giro vestito così a Dicembre? », domandò, sarcastico.
Evan si irrigidì e ritirò le mani da quelle di Elena repentinamente, portandole all’altezza del volto per soffiarci sopra alito caldo. « Mi chiamo Evan, e ti posso giurare che stamattina era una calda mattinata di Maggio. ». Zick sorrise senza accorgersene, incuriosito: quel tipo non sembrava una minaccia – né per lui, né per l’Armeria. « Sono Zick. », si presentò l’ex Domatore, ridendo.
« Ehi Zick, vieni a vedere la roba che si è portato dietro Evan! AL-LU-CI-NAN-TE!! », gridò Teddy Thaur poco lontano da lì, col borsone del padre di Evan aperto davanti alle gambe.
« Ehi, quella roba non è tua! », esclamò Evan contrariato, facendo per alzarsi ma rischiando di cadere subito dopo. Cadde esattamente tra Zick ed Elena, che lo sostennero aiutandolo a rimettersi seduto. Elena lanciò a Zick uno sguardo preoccupato, che lui non fu troppo felice di recepire.
Elena si stava dando tanta pena per quello sconosciuto. Anche troppa, secondo Zick.
« Eddai, Evan, non fare il tirchiaccio! », sbuffò Teddy, frugando nel borsone. Ne estrasse un cubo di Rubik dai colori fosforescenti: Evan impallidì, mentre Zick ed Elena guardavano scettici l’oggettino tra le mani di Teddy. Prima che Evan potesse dire qualcosa, il Domatore biondo iniziò a spostare le caselle del cubo, che divenne incandescente e gli cadde di mano: una nuova luce veniva proiettata dal cubo: «Avvio Simulazione in corso. », disse annoiata la voce metallica proveniente dal cubo. Adesso Zick ed Elena guardavano ammirati il cubo, ed Evan avrebbe tanto voluto sprofondare sotto terra. Lay e Bobby nel frattempo si erano avvicinati a Teddy, interessati: quando sopra il cubo parve materializzarsi un Magnacat, tutti i Domatori presenti nella stanza – compresi Elena e Zick – si allarmarono, scostandosi in modo da creare un cerchio intorno a lui. Solamente Evan era rimasto al suo posto, massaggiandosi le tempie con aria stanca.
Partirono una serie di raggi Dom contemporaneamente, che attraversarono Magnacat come se non ci fosse: « Attendere l’avvio della Simulazione per iniziare l’allenamento. » comunicò atona la voce metallica proveniente dal cubo. L’attenzione di tutti ritornò nuovamente su Evan: « Ma che razza di roba hai nel borsone, ragazzino? », gli chiese un Domatore alto e tarchiato, con una bandana rossa sul capo. Evan aveva un gran mal di testa. « La roba che mio padre mi ha chiesto di portargli. » rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Una delle donne Mamery si avvicinò al ragazzo dai capelli arancioni, sul volto un’espressione preoccupata: « Se tuo padre ti ha detto di venire qui, dov’è adesso? ».   
« E’ esattamente la stessa cosa che mi chiedo io. », borbottò Evan, guardando di sfuggita prima Zick e poi Zob, che non si accorsero di nulla.
Elena si sentiva così dispiaciuta per quel ragazzo! Sembrava che gliene fossero capitate di tutti i colori, quel giorno. Evan si alzò lentamente dallo sgabello e recuperò il cubo, sollevandolo da terra assieme all’immagine di Magnacat che pareva levitare, e digitando una combinazione speciale per spegnerlo. «Simulazione conclusa. », replicò obbediente la voce del cubo, mentre Evan lo rimetteva nel borsone e chiudeva la cerniera con uno scatto deciso, sfidando i presenti a vietarglielo. « Che cos’era, quell’affare?  » bofonchiò Teddy, ancora un po’ spaventato.
Evan non lo degnò di uno sguardo, facendo l’offeso: « Mio padre ha salvato i dati dei mostri che ha affrontato negli anni nel Software di Simulazione per allenare mia sorella. Quello era l’ultima simulazione che avevano attivato. ». Timothy riemerse in mezzo a loro, lo sguardo severo rivolto al nuovo arrivato: « Io e te dobbiamo parlare a quattr’occhi, ragazzo. », affermò lui, facendogli cenno di seguirlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Strong Feelings ***


Alloora <3 Grazie a tutti per le recensioni, prima di tutto! Poi, volevo avvisarvi che il prossimo capitolo tarderà ad arrivare perché la trama è cambiata in fase di svolgimento, perciò sto revisionando tutto quello che ho scritto e ci metterò un po', non sia mai che mi scappi qualcosa e ci siano incongruenze nei vari capitoli xD E poi, sono arrivata a descrivere il clue dell'azione e devo ammettere di trovarmi un po' in difficoltà D: Questi personaggi, prendono vita e fanno quello che vogliono infischiandosene delle mie idee D: è quasi spaventoso xD
Posso definire anche questo capitolo "di transizione". Non succede nulla di troppo importante per il momento, ma Evan è un gran chiacchierone e si fa sfuggire un sacco di cose...
E tra Elena e Zick si avverte qualcosa, una certa "tensione" ;D Beh, non lasciatemi proprio adesso, perché mi dovrò impegnare un sacco per sistemare tutte le cose che ho già scritto e non vorrei sprecare fatica xD Se mi lasciate un commentino anche a questo capitolo, mi farete un piacere <3 A presto!
L.  L.

 Strong Feelings



Ad Evan faceva uno strano effetto, vedere suo nonno Zob in carne ed ossa gironzolare per casa facendo vari lavoretti. Gli voleva così bene! Ed era così strano, vederlo vivo…
Elena, fino a quel momento lo aveva trattato più che bene, anzi! Era stata la prima ad essere gentile con lui. Zick faceva del suo meglio, si vedeva, ma in qualche modo Evan non voleva attirare troppo la sua attenzione. Eppure lo incuriosiva: si comportava in modo strano nei confronti dei mostri che girovagavano per casa. Li ignorava.
Sua nonna Greta era la solita donnina gentile che ricordava, anche se averla davanti così giovane gli faceva un bell’effetto: tra l’altro, non ricordava di averla mai vista così felice.
In quel momento, si stava complimentando con lui per la trovata della stanza nell’armadio: « E’ stata davvero una bella idea! Sei un Domatore pieno di risorse, sono sicura che tuo padre sarà fiero di te. ». Che amarezza, che nominasse proprio quel padre che non approvava il fatto che suo figlio volesse distaccarsi dal mondo dei mostri, non accettando né di combatterli, né di conoscerli.
« E’ stata una mia idea.  », replicò Zick a bassa voce, ma solamente Evan ed Elena lo sentirono.
I quattro erano nella serra di Greta, ad aiutarla ad annaffiare le piante prima che sparisse il sole.
Zob fece capolino dalla porta portando tra le braccia un grosso sacco di terra: nel vedere Evan rimase sorpreso, ma tentò di non darlo a vedere. Anche Evan, notarono Zick e Elena, aveva avuto una reazione strana nel vederselo passare davanti.
Il resto della serata trascorse piacevolmente, finché non giunse l’ora di cena e tutti, mostri, Domatori e Rifugiatori, si riunirono al tavolo.
Ancora, Evan notò che Zick sembrava ignorare completamente i mostri che, seduti dal lato opposto al loro del tavolo, trangugiavano i loro pasti facendo un sacco di chiasso. Cercò Elena con lo sguardo, come a chiedere una muta domanda, ma lei scosse impercettibilmente la testa, come a dire “ne parliamo dopo”. Il ragazzo dai capelli arancioni non aggiunse altro, e continuò a mangiare.
« Allora, Evan… Chi è tuo padre? », domandò Zob, a capotavola, guardandolo sorridente.
Ad Evan andò di traverso l’acqua che stava bevendo, e Zick gli diede alcuni colpetti – forse un po’ troppo forti – sulla schiena, per aiutarlo a ricomporsi. Elena sospirò di sollievo, nel vedere che finalmente Zick si stava abituando alla presenza di Evan.
Anche se, al contempo, Elena sentiva che qualcosa riguardo a quel ragazzo lo disturbava, e sentiva il desiderio di parlarne da sola con lui.
« Lui è… un’entomologo forense. ». Questa volta fu a Greta che andò di traverso il cibo. Zob diede dei leggeri colpetti alla schiena della moglie e sorrise amabilmente, segno che non aveva alcuna intenzione di continuare il discorso. Evan sorrise di nascosto: era stato proprio suo nonno ad insegnargli che nessuno vuole mai sentire parlare di un entomologo forense.
Zick ascoltava interessato. « Che cos’è un entomologo forense?  », chiese Elena, incuriosita.
« L 'entomologia forense è una branca dell'entomologia che studia i cicli vitali di quegli insetti che, sviluppandosi sui resti umani in decomposizione, sono utilizzabili ai fini della determinazione della datazione e delle cause della morte. » spiegò Evan, ripetendo ad alta voce la definizione che fin da bambino aveva imparato a sbobinare per impressionare i suoi amici.
Elena storse il naso ma Zick sorrise, « Forte! », esclamò, colpito.
Evan guardò Zick sorpreso, ma non disse niente. Che la sua permanenza lì stesse influenzando il suo futuro?
Non potendo esternare i suoi dubbi a nessuno dei presenti a quel tavolo, il ragazzo tenne i suoi pensieri per sé, continuando a mangiare.
« E tua madre cosa fa, invece? » chiese Greta, tentando di deviare la conversazione verso argomenti più leggeri.
Evan sorrise: « Mia madre organizza dei corsi di Autodifesa per le donne. », dichiarò orgoglioso. Zob guardò il ragazzo incuriosito. « Perdona la domanda, Evan, ma chi dei tuoi genitori è un Domatore? ». Evan si irrigidì un po’, assieme a Zick, che guardava suo padre con un cipiglio nervoso in volto.
« Mio padre. », rispose, senza voler aggiungere altro. Ma Zob insistette ancora: « Ah, sì? E lo conosco? ».
« Non credo. », affermò Evan, arricciando il naso con nervosismo. Zick si sorprese ad osservare quell’espressione che tanto spesso si ripeteva sul volto di Elena. Lei però non se ne accorse, impegnata a giocherellare con i piselli verdi che aveva nel piatto.Evan a quel punto sbadigliò, e Greta lo guardò quasi con affetto: Zick sbuffò, annoiato.
« Elena, pensavo che tu ed Evan potreste fermarvi qui, intanto che i tuoi genitori sono fuori casa. » proferì sorridente la madre di Zick, tenendosi il mento tra indice e pollice.
Elena e Zick si guardarono un istante, poi entrambi guardarono Evan.
« Per te va bene, Evan? ». Gli chiese timidamente Elena, guardandolo.
Se gli stava bene? Poteva forse rifiutarsi? « Certo.  », rispose educatamente, rispondendo al sorriso.
Elena e Zick si sorrisero a vicenda, e la cena proseguì piacevolmente, discorrendo di altri argomenti.
 
***
 
Elena era un po’ nervosa: non dormiva a casa di Zick da quando entrambi avevano 13 anni. Era un’abitudine che avevano rapidamente perso durante il passaggio dalle medie alla scuola superiore.
Era andata a casa sua per racimolare dalla sua stanza alcune cose per la notte: ciabatte, spazzolino, dentifricio, spazzola, pigiama… pigiama molto pesante, perché quella notte si preannunciava molto più fredda del solito. Si armò nuovamente del suo giubbotto più pesante ed uscì, chiudendosi la porta di casa alle spalle per tornare a casa Barrymore, dove Zick e Evan – assieme ad un sistema di riscaldamento con i fiocchi – la aspettavano.
Fu Zick ad aprirle la porta: lei entrò ed Evan la aiutò a togliersi il giubbotto. Solo allora Elena si rese conto che Evan indossava il vecchio pigiama di Zick, quello con gli alieni; trattenne una risata senza dire niente, ma il ragazzo dai capelli blu la guardò furbamente, facendole l’occhiolino.
« Mia madre ha sistemato tre brandine in salotto. », le comunicò Zick, un po’ imbarazzato.
« Ah, bene. », rispose Elena, percependo il disagio dell’amico. Evan non disse niente, seguendoli in salotto. « Allora, è un problema se uso il bagno per primo? », domandò Evan, tornando a torcersi le mani in vita. Zick scosse la testa e il ragazzo sparì rapidamente su per le scale.
Zick non ricordava di avergli spiegato dove fosse il bagno, quando gli aveva dato il suo pigiama.
Ad ogni modo, non appena i passi del ragazzo sparirono al piano di sopra, Zick si lasciò cadere pesantemente su una brandina. Elena si sedette sulla brandina accanto alla sua, guardandolo.
« Non devi dirmi niente? » gli domandò la ragazza, in attesa. Zick la guardò con i suoi grandi occhi blu in silenzio, ed Elena non disse niente. « Sto bene. », mormorò Zick, coprendosi gli occhi con il braccio. « Ti comporti in modo strano. ». Affermò Elena, a bassa voce.
« Non ho niente! », ripeté lui, piano.
« D’accordo. », gli concesse la Rifugiatrice dagli occhi castani, prima di aggiungere: « Inizia a far freddino, qui. ». Zick si alzò dalla brandina. « Vado a controllare il termostato. », annunciò il ragazzo, alzandosi.  Elena gli prese la mano: « No, rimani con me. », protestò, imbronciandosi. Zick arrossì appena, ma tentò di non darlo a vedere: « Non avrai mica paura! », esclamò, incredulo.
Elena roteò gli occhi. « Paura io? E di cosa? », rispose, tirandogli un pizzicotto sul braccio.
Zick gemette di dolore e prese a massaggiarsi la pelle offesa: « Ho capito, mi arrendo! ».
« Bene, bravo. », si congratulò Elena, guardandosi le unghie delle mani con aria soddisfatta. Zick le fece la linguaccia e prese a farle il solletico sul collo. Nella sala esplosero le risate di Elena che nel tentativo di allontanare le mani abili del ragazzo cercava di abbassare il mento per rendergli difficile toccarle il collo. Zick allora le immobilizzò le mani e prese a farle il solletico sulla pancia: Elena aveva le lacrime agli occhi dalle lacrime. « E smettila, dai! », esclamò esausta, con il respiro affannato. Zick si allontanò da lei ridendo, tornando a sedersi sulla sua brandina e tenendo gli occhi fissi su di lei: aveva i capelli disordinati, le guance rosse e il petto che si alzava e si abbassa rapido per l’affanno dovuto alle troppe risate.
 Adesso anche Zick iniziava a sentir freddo: « E’ meglio che vada a controllare il termostato. », disse, alzandosi ancora dalla brandina.
Elena lo seguì in punta di piedi, tentando di non farsi sentire: il ragazzo ignaro proseguì fino alla cucina dove, senza accendere la luce, cercò a tentoni il termostato sul muro. Cogliendo l’occasione, Elena si lanciò contro la sua schiena, circondandogli la vita con le braccia e gridando « Buuu! ».
Zick sobbalzò nel sentire Elena attaccarsi alla sua schiena con forza con entrambe le braccia, ma non si spaventò.
 Rimase fermo un momento, poi posò le sue mani su quelle di lei, strette sulla sua pancia. Elena si ritrovò ad arrossire furiosamente e ad essere mentalmente grata per il fatto che la luce fosse spenta, così che Zick non potesse vedere il suo imbarazzo. Ma che le prendeva? Si sentiva così… bene. Zick si voltò lentamente e ricambiò l’abbraccio, posando un bacio leggero tra i capelli di Elena: lei si irrigidì, sorpresa. « Zick… », mormorò piano, alzando il viso verso il suo. Anche se era buio, intravedeva bene la linea ritta del suo naso, i suoi grandi occhi blu che la fissavano seriosi e un po’ tormentati. Senza che se ne rendesse conto, si sollevò in punta di piedi per avvicinarsi di più: oh, da quando era diventato così alto? « Elena… ».
Evan accese la luce della cucina in quel momento, sorprendendoli abbracciati e vicinissimi: i ragazzi si separarono come se si fossero scottati. Il ragazzo dai capelli arancioni pareva non essersi accorto di quello che aveva interrotto, e si sfregava le braccia con forza: « Come mai fa così freddo? », domandò, battendo i denti.
Zick parve ricordarsi solo in quel momento il motivo per cui si trovava in cucina, così si voltò verso il muro e regolò la temperatura del termostato: « Così dovrebbe andar bene. », disse, a testa bassa, allontanandosi da Elena senza dire una parola.
Lei, dal canto suo, non sembrava ancora aver realizzato del tutto quello che erano stati in procinto di fare. Che cosa diamine le prendeva?
« Ehm… va tutto bene?  », le chiese Evan, quando Zick lo oltrepassò ritornando in sala.
Elena si riscosse: « S-sì, certo. », balbettò, regalandogli un sorriso poco convinto.
Evan aggrottò la fronte ma non aggiunse altro, e quel giorno si domandò ancora una volta se le sue azioni in quel presente potessero in qualche modo influenzare il suo futuro.
Fu il turno di Elena di usare il bagno, e poi di Zick. La ragazza ci mise così tanto, che quando finalmente arrivò il turno di Zick lui era veramente stanco morto: chiudeva gli occhi e sotto le palpebre tornavano ad ossessionarlo le formule dei logaritmi di Matematica Avanzata.
Aveva decisamente bisogno di dormire.
 
***
 
Erano sdraiati tutti e tre sulle brandine in salotto: Zick, a giudicare dai suoi respiri costanti e profondi, stava dormendo. Elena era sveglia ad ascoltare il rumore delle gocce di pioggia che si infrangevano sui vetri delle finestre del salotto, incapace di dormire. Evan era sveglio ma non parlava, mentre cercava di metabolizzare tutto quello che gli era accaduto in quella stramba giornata. « Evan, sei sveglio? », sussurrò Elena, a bassa voce.
Il ragazzo dai capelli arancioni aprì gli occhi ma non si mosse per non far rumore. « Sì. »
« Fa tanto freddo. », sbuffò Elena, portandosi la coperta sopra gli occhi.
Evan sorrise, al buio. « Hai ragione. Credo che la caldaia sia di nuovo rotta. ».
« Di nuovo? », Elena spalancò gli occhi sorpresa, ma anche lei non si mosse, per evitare che la brandina scricchiolasse sotto il suo peso: « Zick non mi aveva detto che era rotta, prima. Avremmo potuto dormire da me, stanotte. ».
Evan si morse le labbra per non rivelare altre informazioni per sbaglio; eppure gli veniva così facile, parlare con Elena. Era così gentile.
« Dicevo tanto per dire, non so se è rotta. », borbottò il ragazzo, dandosi mentalmente dello stupido. Elena non si accorse di nulla, e quando un lampo illuminò la stanza fu costretta a trattenere un grido di paura nel vedere Bombo passare per il corridoio davanti al salotto, diretto in cucina. Anche Evan se ne accorse.
« Porca bomba. », sbottò la ragazza, di malumore. Si alzò dalla brandina e seguì il mostro in cucina. Evan drizzò le orecchie per sentire quello che succedeva di là, ma al lampo seguì un forte tuono che quasi fece tremare la casa. Elena tornò pochi istanti dopo a stendersi nella brandina: batteva i denti dal freddo più di prima. « Se n’è andato? », domandò Evan, in un sussurro.
Elena annuì, poi, rendendosi conto che il ragazzo non poteva vederla, al buio, rispose. « Sì. Bombo cercava uno spuntino di mezzanotte per ingannare il tempo durante il temporale. ».
Evan ascoltava con interesse: non aveva mai avuto il tempo di vivere a stretto contatto con i mostri, a casa sua. « Evan, dove abiti? », gli chiese Elena, voltandosi verso di lui mentre la sua brandina scricchiolava. Il ragazzo dai capelli arancioni si morse la lingua, pensando velocemente a cosa dire.
« In un quartiere molto simile a questo, ma più vecchio. ». Non era una bugia, lui non sapeva mentire. « Ah. »
Elena non sapeva cos’altro aggiungere. Non conosceva Evan abbastanza da intraprendere una conversazione degna di questo nome, ma non riusciva nemmeno a dormire. E poi, faceva così tanto freddo! Rimasero in silenzio per un po’, finchè Evan non si decise a domandare una cosa che gli era frullata nella testa per tutto il pomeriggio. « Ehi, Elena. », sibilò, tentando di attirare l’attenzione della ragazza. « Sì? », gli rispose lei, incuriosita. « Per quale motivo Zick ignora i mostri di quest’oasi? ». Elena sospirò profondamente, triste. « Lui non li ignora, Evan. Non li vede davvero. ».
Evan spalancò la bocca dalla sorpresa: « Come sarebbe a dire?  ».
« E’ successo tanto tempo fa. Per colpa mia. ». Elena non aggiunse altro, ed Evan sentendo il suo tono triste non ebbe cuore di chiedere ancora, nonostante dentro morisse dalla curiosità. Questa, era una cosa che non aveva mai saputo, né immaginato. E da un lato lo incuriosiva pure. C’erano delle cose che ignorava, nel passato di suo padre. Perché suo padre, nel futuro da cui lui proveniva, era un Domatore.
Qualche tempo dopo, la stanchezza lo chiamò e finalmente Evan riuscì ad addormentarsi.
Anche Elena era quasi addormentata, quando all’improvviso la sua attenzione fu attirata da alcune parole pronunciate a bassa voce: « Non è mai stata colpa tua. », dichiarò Zick in un sussurro, con gli occhi aperti sul buio che avvolgeva la stanza.
Elena aprì gli occhi assonnati, semi consapevole di ciò a cui si riferiva Zick. « Fa tanto freddo, Zick. », mormorò, richiudendo gli occhi. « Mi spiace, Ellie. Credo che la caldaia si sia rotta. », rispose lui, preoccupato per l’amica. « Zick… ».
 «  … Sì? »
« Posso stendermi accanto a te? »
Zick trattenne il respiro: « …vieni. », disse, portandosi all’estremità della brandina ed aprendo la coperta per lei. Elena si con gli occhi socchiusi e si stese accanto a lui, in quella brandina minuscola che prese a scricchiolare così forte che Zick temeva che avrebbe svegliato tutti gli abitanti della casa. La ragazza si sistemò contro il suo petto, col viso a pochi millimetri dal suo mento. Zick riposizionò la coperta in modo da lasciarle il volto scoperto e tentò di farsi piccolo piccolo, perché Elena stesse un po’ più comoda.
Lei, comunque, sembrava del tutto inconsapevole dello sforzo del ragazzo, perché dormiva beatamente con un sorriso dipinto sul volto, finalmente al caldo. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1953298