Angel

di angej
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***






Feci scivolare la maglietta lungo le braccia. Indossai velocemente le scarpe e mi portai alla spalla la tracolla della borsa che aperta, poco fa sostava davanti all'uscio . Presi le chiavi di casa sopra la credenza. Chiusi la porta portandola verso di me e sigillai la serratura. Mi avviai verso il vialetto prendendo la strada giusta, svoltando, dopo pochi metri, a destra. Le scarpe strisciavano sull'asfalto, senza lasciare tracce. Sfilai dalla borsa, ancora aperta, il mio mp3, mettendomi le cuffiette nelle orecchie. Feci scorrere la playlist con il dito, schiacciando poi play su una delle tante canzoni dei Sum 41. Scelsi 'Speak Of The Devil”. Ondeggiai a ritmo di musica, mentre anche la larga maglietta dei Ramones aveva iniziato a muoversi sotto la tracolla della borsa. Adoravo quella canzone, aveva un suo sound e tutto il merito nel testo. Questo mondo malato non lasciava spazio a buone speranze, ma solo a anime tormentate e a volte, distrutte. Beh, è la morte che pone fine alla schiavitù, diceva la canzone.
I miei giorni non erano pieni di sostanza o avventure di una notte, eppure, oggi mi sentivo stanca. O forse era l'ennesima scusa di chi non ha voglia di vivere ogni momento. 
Arrivai davanti al Josh's, il negozio di musica. La campanella tintinnò sulla mia testa quando entrai nel negozio, mentre l'odore metallico degli strumenti e della polvere sui CD mi travolse. Amavo quel posto, nonostante fosse solo un anno di conoscenza con la confortante presenza della musica intorno a me. Era come una rifugio. Ognuno ha un posto speciale dove potersi rilassare. Quello era il luogo dove potevo staccarmi da tutto, sebbene fosse un negozio. L'ambiente era confortante, come una canzone che descrive a pieno le tue emozioni del momento. 
“Buongiorno Semionova, aspira ancora al successo?” sorrise Josh salutandomi mentre sistemava alcuni libri di musica sugli scaffali. 
“Si va avanti.” risposi indifferente al sarcasmo. “Hai gi&aimo centesimo. Questo lavoro era, in parte, di aiuto.
“Buon lavoro.” disse Josh, “io tornerò tra un ora. Devo fare delle commissioni.” constatò prima di uscire dal negozio infilandosi il cappello grigio di lana con dei buffi pon pon.
Josh per essere il mio capo, era un ragazzo gentile e simpatico. Lo conoscevo e lavoravo per lui da un anno e non avevo mai avuto problemi. Nonostante la evidente differenza di età, ci eravamo da subito adattati l'uno dell'altro. Io avevo i miei pensieri e obbiettivi, lui i suoi. 
Presi con grave; prezzato i CD?” chiesi mentre entravo nella stanza sul retro per lasciare la borsa e cambiarmi la maglietta. 
“Ho già iniziato ma tu devi finire, mia cara.” urlò dall'altra stanza.
Sfilai la maglietta dei Ramones dall'alto e indossai la t-shirt da lavoro verde con in alto a destra la scritta in oro Josh's. Tornai in negozio imbronciata per il duro lavoro che mi aspettava. Era mattina perciò i clienti sarebbero arrivati più sul tardi, ciò voleva dire riordinare, prezzare e sistemare articoli. Amavo il mio lavoro e amavo avere a che fare con la musica, ma stancava. Almeno ero invogliata dalla mio costante pensiero di voler frequentare una buona Accademia di danza. Tutti i miei risparmi li avrei spesi solo per quell'obbiettivo che mi ero fissata di voler raggiungere. Fino all'ultfatica uno scatolone e mi avviai verso gli scaffali dei CD per prezzarli e aggiungere i nuovi. Aprii lo scatolone e iniziai a prezzarli mentre, leggendo il nome dell'artista li disponevo in ordine alfabetico. Presi dalla pila un CD di Lights, una cantante canadese. Lo collocai nella lettera L. Lights. Luci. Una volta mi hanno detto che dentro di noi vi è una luce. Se fosse così, l'oscurità sarebbe capace di travolgerla?
Dietro ogni luce c'è un'oscurità. Siamo davvero disposti a scoprire di cosa siamo fatti fino in fondo? Oltre la pelle, oltre le ossa, oltre un cuore infranto, oltre l'anima. Se dentro di noi, ci fosse qualcosa di tremendamente spaventoso e contorto, saremmo disposti a scoprire cosa è? Ad accettare qualcosa che, magari, nessuno ha mai saputo controllare? 
Tutti abbiamo una parte oscura. A volte, viene mostrata con: rabbia, dolore, suicidio. 
Scorsi nello scatolone un CD di Michael Jackson: Bad.
A volte invece, la nascondiamo respingendola: tanto da accumulare così tanto buio da non vedere più niente. 
Tutti abbiamo una parte oscura. Anche gli angeli. 
Sentii la campanella suonare, facendomi tornare tra i vivi e lasciare i miei pensieri in un angolo remoto della mia mente. Mi voltai scorgendo un cliente che incuriosito, si guardava attorno. Lo raggiunsi fingendo il miglior sorriso fedele e confortante che potessi sfoggiare. 
“Posso esserle di aiuto?” chiesi sistemandomi la maglietta. 
“Avrei bisogno di una chitarra classica, grazie.” rispose raggiante il ragazzo. 
“Certo, mi segua.” lo avvisai avviandomi verso le chitarre, “quanto è alto?” domandai.
“1.71.” constatò sicuro mentre io prendevo una chitarra marrone chiaro. 
“Che ne dice di una Harley Benton, ha un buon suono e una costruzione confortevole..” appurai ripetendo a memoria discorsi già fatti. 
“Va bene, può andare.” si convinse subito. Mi sorpresi della velocità di quella vendita. Avrei sicuramente chiesto a Josh un aumento.
La afferrai e la portai verso la cassa porgendola al cliente. Un ragazzo biondo con stupendi occhi azzurri e un forte accento irlandese. 
“Sono 70.00 £ per la Harley Benton.” constatai, “è molto bella.” aggiunsi sincera.
“Si, molto.” disse prendendo il portafoglio, “tu suoni?” chiese porgendomi i contanti con uno splendido sorriso.
“No, io ascolto.” sorrisi guardandolo.
“E cosa ascolti?” domandò dolcemente appoggiandosi al balcone.
“La mia playlist è molto varia, spazia dal pop al rock.” affermai guardandomi le mani.
Sentii la campanella tintinnare nuovamente e mi voltai di scatto. Ecco che entrava un angelo. Tolse il berretto bagnato, lasciando che i capelli ondeggiassero mentre, sicuro, si avvicinava a noi. I suoi occhi erano di un colore indefinito: misto tra il verde e l'azzurro; incorniciati da lunghe ciglia nere. Si morse il labbro corrugando le sopracciglia in un cipiglio. Ci raggiunse in un attimo, nonostante mi sembrò un eternità, a rallentatore. 
“Buongiorno.” proferì guardandomi per poi spostare gli occhi sul biondo cliente irlandese. Lo guardava con sfida, il peggior modo per salutare un compratore. 
“Credo sia l'ora di andare. Posso avere la custodia?” chiese il biondo serio, mentre io annuivo. Cercai velocemente la custodia di quella Harley, che però sembrava essere sparita. Andai verso le chitarre e finalmente la trovai, vicino una Stagg 6300. Mi affrettai a tornare alla cassa, notando i due ragazzi che si guardavano in cagnesco. Scossi la testa intromettendomi per porgere la custodia al biondo. 
“È stato un piacere.” sorrisi preoccupata.
“Arrivederci.” disse l'irlandese sorridendo, per poco, mentre si avviava verso l'uscita. Lanciò un ultimo sguardo serio verso di noi, per poi lasciare il negozio.
“C-che ci fai qui?” sbottai balbettando.
“Passavo di qui.” sibilò mentre guardava i CD uno ad uno.
“Non puoi farmi scappare i clienti, Harry.” quasi sussurrai incrociando le braccia al petto. 
“È stato lui ad andarsene.” proferì senza staccare gli occhi dai CD. 
“Se ti regalo un CD, te ne vai?” chiesi incerta. Mi sembrava l'unica scappatoia data la sua attrazione verso quei CD.
In realtà, avrei voluto rimanesse. Volevo che mi guardasse. Mi stringesse. Lo avrei voluto al mio fianco tutto il giorno. Ma non andavano così le cose.
“Okay.” sorrise mostrando la sua dentatura perfetta. I suoi denti erano bianchi come tanti piccoli gessetti. Accennai un leggero sorriso.
Mi avvicinai a lui. Presi dallo scatolone un album dei Ramones: Pleasant Dreams. Lo diedi a Harry e lui sorrise riconoscendo che mancava tra le sue pile di CD.
Mi abbracciò e rimasi sorpresa, quasi impassibile. Non mi mossi. Rimasi ferma lasciando che lui mi stringesse. Non volevo dare a vedere quanto fossi felice di quell'inaspettato gesto. Il suo profumo mi inebriò le narici. Sapeva di buono. Profumo da uomo o qualcosa del genere. Non lo riconobbi. 
“Grazie Lia.” sussurrò al mio orecchio prima di staccarsi da me provocandomi brividi lungo la schiena. Cercai di fingere un espressione indifferente mentre il mio cuore mi martellava nel petto. 
“Ci vediamo stasera.” enunciò avviandosi verso la porta per uscire dal negozio indossando nuovamente il suo cappellino nero di lana, lasciando che schiacciasse debolmente i ricci ribelli. 
Non ebbi il tempo di obbiettare, lui scomparì nel buio di quella mattina di inverno.

notes:
Questa è la mia prima storia e spero che vi piaccia :) Fatemi sapere cosa ne pensate, potete contattarmi qui su efp o sotto ci sono tutti i miei account su twitter, facebook e ask. Accetto anche le critiche e i consigli. Nei prossimi capitoli la storia si farà più intrigante e movimentata, spero vivamente di non deludere nessuno dato che ho già in mente più o meno il proseguimento verso la fine della storia e spero piacerà. Comunque, questo è il primo capitolo e non si capisce ancora molto dei personaggi, già dal secondo si avrà una prospettiva migliore. 
E' tutto. 


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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Mi strinsi nella mia giacca, alzando il colletto per coprirmi dal freddo. Le mie scarpe strisciavano sulla strada mentre acceleravo il passo. Ero sola. Il buio mi avvolgeva, tra le vie caratterizzate dalle file di casette indipendenti, grige per l'oscurità. Il freddo mi stava ghiacciando mentre il fiato gelido che buttavo fuori mi affermava quanto la temperatura fosse bassa. Maledì me stessa per quella situazione, avrei dovuto obbiettare o quantomeno inventarmi una scusa, ma non avevo carattere. 
Arrivai davanti al vialetto, svoltai a destra per avviarmi verso il piccolo giardinetto. Mi fermai davanti alla porta, incerta. Terribilmente incerta. Suonai il campanello, premendo sul piccolo tastino vicino all'uscio. Feci per voltarmi. Volevo andarmene, non per cattiveria. Ero solo imbarazzata a presentarmi senza un preavviso da parte mia. Eppure non era la prima volta.
La porta si aprì lentamente, lasciando che la calda luce dentro casa mi illuminasse il viso. Un sorriso mi confortò.
“Lia, ti stavamo aspettando. Entra pure.”
Harry li aveva avvisati che sarei venuta. Questo mi rendeva prevedibile o manipolabile. O Forse volevo solo vederlo. Sapere che era lì, con me. Eppure quando ero con lui, non riuscivo a rimanere completamente calma. Di solito, era dolce, la sua presenza era rassicurante. Io però non lo conoscevo fino in fondo, non sapevo cosa pensasse. Non volevo scoprirlo, avrebbe potuto fare male.
“Buonasera Signora Styles.” salutai entrando in casa mentre il profumo di torta fatta in casa mi avvolse. Amavo quella dimora, era rassicurante. 
Vidi Gemma scendere velocemente giù per le scale, davanti a me. Un altro confortante sorriso. Gemma era la ragazza più esuberante e sorprendente che conoscessi. Sempre pronta ad assisterti e a ridere con te. Gemma era la mia migliore amica, nonché la sorella del ragazzo più irresistibile al mondo.
“Ciao!” mi salutò Gemma raggiante. 
Feci un cenno con la mano. 
“La cena è pronta.” ci informò la Signora Styles mentre si avviava in cucina. Avrei incontrato Harry. Non ero pronta. Dovevo scappare, eppure restare era un desiderio molto più grande.
Io e Gemma raggiungemmo tutti in cucina. La famiglia Styles sedeva al tavolo felice e contenta. Io ero l'evidente intrusa. 
Harry mi salutò con un raggiante sorriso- che era ovvio essere di famiglia- invitandomi a sedermi. 
Era strano. Harry mi provocava reazioni assurde, mai provate prima. Brividi, un cuore agitato e nervosismo. Io, però, non ero pronta ad amare. Non sapevo cosa volesse dire. Amare. Amore. Qual'era il significato di tale parola? Tanto usata, quanto vissuta. Vista e rivista in libri e film. Ma chi era davvero in grado di spiegare cosa fosse? Io non lo sapevo. Non lo volevo sapere. 
Non amavo Harry, come avrebbe potuto fare un'adolescente in fase ormonale, era per me solo un bel ragazzo. Diverso.
Mi sedetti partecipe a quella cena, nonostante il mio silenzio. 
La serata fu scorrevole, dato il continuo blaterare di Gemma sulle sue faccende durante la settimana, eppure non aspettavo altro che il dolce per poter andarmene, sebbene non avessi un buon appetito. Il gusto amaro che avevo in bocca per l'irrefrenabile voglia di scappare e nascondermi, non aiutava. Come potevo dire alla mia migliore amica che Harry, suo fratello, era per me come una droga. Subito ti piaceva, poi finivi per non farne a meno e infine, ne morivi. Quello che provavo era qualcosa di sbagliato. Io non lo amavo, solo ne avevo bisogno. Come la musica, puoi viverne senza ma non ne puoi fare a meno. Harry era come musica. Sorrisi a quello splendido paragone. 
“Prendo il dolce: ho fatto la torta di mele. Per te Lia.” constatò Anne, la madre di Harry e Gemma, alzandosi da tavola. 
“Mi dispiace Signora Styles ma devo andare a casa adesso. Mi sono appena ricordata che non ho dato da mangiare ad Apollo, il mio gatto.” 
era ovvio che non fosse vero, davo da mangiare al mio gatto ogni volta prima di uscire. Era qualcosa di automatico. Ma era l'unica scappatoia. 
Una serie di sguardi perplessi furono immediatamente su di me. 
“Non ti credo.” sorrise Harry sicuro di sé mentre con la forchetta infilzava un altro pezzo di torta. Stava complicando il tutto, come era solito fare.
“Harry.” lo riprese Anne, “certo Lia, lascia che ti dia un pezzo di torta. Lo incarto subito!” si affrettò a dire prima di scomparire in cucina. 
Stavo liquidando la più bella famiglia unita mai incontrata, solo per dare da mangiare a un gatto obeso. Anne mi diede quel pezzo di torta che però, non avrei mangiato comunque e mi avviai verso la porta per uscire. Salutai quella dolce famiglia stile Mulino Bianco. Erano così dannatamente perfetti. Quasi finti. Aprii la porta e uscii ma prima che potessi allontanarmi da quella casa, una mano calda afferrò il mio braccio. Mi voltai di scatto, per poi incrociare due scintillanti iridi verdi incorniciate da lunghe ciglia scure. Ci guardammo mentre il cuore cominciava a martellarmi nel petto. I nostri sguardi si incontrarono per un istante, cosa che mi parve un'eternità, prima che Harry mi spinse contro lo stipite della porta. Si mosse verso di me approssimando la nostra distanza. Le sue labbra si avvicinarono al mio orecchio, provocandomi strani brividi lungo la schiena. 
“Non potrai sempre scappare“ sussurrò con voce roca mentre un cipiglio si formò sulla sua fronte. Rimasi sena parole. Non mi aveva mai trattata così, con tale aggressività. Si era sempre presentato come un fratello, ore le sue intenzioni sembravano diverse. Ero sorpresa di questo suo lato nascosto e oppresso da sempre, ero anche intimorita di come, con me, aveva lasciato che uscisse fuori. Fino a poco fa, sfoggiava uno dei suoi stupendi sorrisi confortanti. Prima sembrava così calmo, tranquillo, rassicurante. Rimasi a guardarlo. Non più con occhi persi nella sua bellezza, ma con occhi fragili di chi ha paura. La dolcezza che lascia spazio alla rabbia. La bontà che lascia spazio alla cattiveria. La luce che lascia spazio al buio. L'angelo che lascia spazio al demone. Ero in trappola.

Sentivo il freddo congelarmi nuovamente le mani, mentre percorrevo la solita strada buia e deserta, con passo più veloce. Sola ma con una meta, bastava a non essere inghiottita nell'oscurità della notte. La confusione riempiva la mia testa. Dubbi, incertezze, domande. Non sapevo che pensare. La testa mi girava vorticosamente. Accelerai il passo, iniziando a correre nell'oscurità della notte e della mia mente offuscata.

Mi feci strada tra i vestiti lasciati a terra nella mia stanza, alla rinfusa. Di solito, cercavo di essere ordinata per non lasciare che il disordine di quella stanza non aggravasse ulteriormente, la confusione che c'era nella mia testa. Saltellai mentre mi tolsi gli anfibi, avviandomi verso il letto. Mi ci lasciai cadere con riluttanza su di esso, facendomi molleggiare. Fissai il soffitto bianco sopra di me. Perché tanti problemi? Forse ero io il problema, o il bellissimo ragazzo lasciato a una torta alle mele, piuttosto che a una conversazione con me, o ancora, al bellissimo ragazzo con la doppia personalità, lasciato sulla porta di casa sua. Era un persona con due personalità? Mi stavo arrampicando su specchi tremendamente scivolosi, ero caduta in un abisso di pensieri mentecatti e senza fine.
Mi alzai dal letto con fatica, avviandomi verso il bagno. Dovevo fare veloce, mia madre sarebbe arrivata a momenti. Le domande erano l'ultima cosa di cui avevo bisogno adesso. Presi lo spazzolino dentro al bicchiere sul lavandino e mi lavai i denti, evitando l'immagine riflessa nello specchio. Mi sciacquai con l'acqua e mi asciugai con l'asciugamano alla mia destra. Sentii un motore rombare venire da fuori, sfrecciò veloce così da affievolirsi mentre si allontanava. Tornai nella mia stanza mentre lentamente sfilavo i miei vestiti. Saltellai infilando il pigiama. Ne avevo bisogno, dato il gelido che riempiva parte della casa. Mi infilai sotto il letto. 
Lui sapeva. Non era stato chiaro, il ché mi portava a vagare tra le miei azioni. Ebbi dei conati di vomito per l'agitazione. Non avrei vomitato. Non stasera, ero troppo scossa. Harry aveva una parte nascosta dentro di sé. Lo avrei evitato, o mi avrebbe inghiottito nell'oscurità di quel male.

-notes:
questo capitolo mette in subbuglio tutta la storia. il rapporto tra Lia e Harry si complica molto. spero vi sia piaciuta la svolta che sta prendendo la storia e spetto qualche recendione (: nel capitolo quattro ci sarà tensione ma non voglio anticiparvi ancora niente lol vorrei sapere cosa ne pensate. (:


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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Lasciai che il body scivolasse morbido su per il mio corpo. Infilai il braccio nella manica destra, per poi fare lo stesso con l'altro. Ficcai la maglia e i pantaloni nel borsone frettolosamente, mentre con rapidità indossai le punte, allacciando i nastri intorno alla gamba con un fiocco. Mi avviai verso la sala dove, Miss. Rose sistemava alcuni CD. Posai il borsone e l'asciugamano in un angolo, mettendomi alla sbarra per scaldarmi. Rose era la mia insegnante di danza, colei che fin da bambina mi aveva seguita in ogni mio passo. Nonostante il suo nome suonasse molto dolce, quasi ricordando il romanticismo di Titanic, lei non lo era affatto. Se eri sotto le sue grinfie, non te la faceva passare liscia. Quando ti richiamava per un errore, il suono della sua voce era tagliente come lame. 
“Vieni nel centro, ti sei scaldata abbastanza.” constatò seria facendo partire dal pianoforte la musica. “Sai cosa fare.” aggiunse secca. 
Appena sentii la musica rimbombare nella sala, iniziai a ballare ricordando la mia variazione. Sentivo il gesso premere sulle mie dita dei piedi, mentre i miei polpacci si contraevano per lo sforzo nel rimanere in equilibrio su una gamba, in arabesque.
“Eeeee... su... eeeeeee... chaîné....vai vai vai vai...” mi urlava Rose mentre io mi muovevo seguendo i suoi ordini, “... seconda, quinta, quarta e su... seconda, quinta, quarta e su!”
la musica cessò immediatamente. Il silenzio regnò nella sala, se non per il mio leggero fiatone. 
“Cosa stai combinando?!” urlò forte così da non sembrare neanche una domanda. 
“Io..” cercai di giustificarmi.
“Tu niente.” disse facendo ripartire la musica, “ricomincia.” aggiunse calma e seria. 
“Ma Rose...” 
“Miss. Rose.” mi corresse per poi indicarmi, incoraggiandomi a ballare. 
La musica ripartì. Ballai meglio che potei, per paura di dover ricominciare nuovamente. Mi facevano male le gambe, mentre nella mia testa vi era ancora un spropositato casino. Pensai ad Harry. Doveva essere un errore. Forse era solo stanco. Magari non pensava realmente a ciò che aveva detto, per lui non aveva senso, probabilmente. “Non potrai sempre scappare.” ripensai alle sue parole. Invece mi ero imposta un ordine: non avvicinarmi a lui. Sarei dovuta sempre scappare. 
Mi inginocchiai sul pavimento, mossi le braccia verso l'altro immaginando di voler prendere qualcosa nell'aria che però non c'era. Lasciai, poi, che il mio corpo cadesse lento sulle mie ginocchia mentre la musica si affievoliva fino a cessare. 
“Va bene.” disse soltanto Miss. Rose mentre mi alzavo. Mi portai l'asciugamano alla tasta, asciugandomi la fronte imperlata di sudore. 
“Sai, l'altro giorno è venuto in negozio un ragazzo irlandese.” raccontai; Rose era irlandese prima di trasferirsi in Inghilterra. La sua era un storia interessante ma altrettanto triste in qualche modo. Rose dati i suoi trent'anni di vita e venticinque di danza aveva provato a sfondare come prima ballerina, ballando in maestosi e importanti teatri in Inghilterra, portandola a trasferirsi. Il suo successo durò poco e dovette studiare per diventare maestra di danza. E ora, eccola a insegnare a una adolescente spenta.
“Biondo, occhi azzurri e ingannevole faccino dolce?” chiese senza guardarmi.
“Più o meno.” dissi, “non ho potuto constatare se fosse dolce o no dato che Harry lo ha fatto scappare.” 
“Faccia d'angelo?” 
“Si. Harry è il ragazzo dall'ingannevole faccino dolce.” mi maledì per la mia boccaccia. Non avrei dovuto dirlo. Era stato strano ieri sera, lui era diverso ma non conoscevo Harry tanto in fondo da poter affermare che quello fosse realmente il suo carattere. Serio, aggressivo. In realtà, frequentavo Gemma da molto tempo, anni di amicizia, perciò avere Harry intorno era quasi normale. Il problema era che non avevo confidenza con lui. Era un piccola apparizione nella mia vita. Non sapevo cosa aveva dentro. Sapevo solo che in questi anni, non mi aveva mai trattata così. 
“Che vuoi dire?” chiese Rose curiosa, degnandomi finalmente del suo sguardo. 
“L'ho visto fumare.” mi inventai su due piedi mentre avevo rincominciato a sudare. Non era vero. O almeno, secondo le mie fonti. Rose non parve sorpresa. Anzi, fu lei a cambiare discorso. 
“A me basta che non fumi tu, se non vuoi mandare a puttane il lavoro di una vita” disse secca, “ci vediamo domani alla stessa ora.” aggiunse mentre io mi allontanavo uscendo dalla sala a testa bassa.

La campanella suonò rumorosamente per qualche minuto. Non era la stessa campanellina che tintinnava nel Josh's, però era una degna salvezza sentirla. Mi alzai dal mio banco, prendendo i libri che mi servivano per poi infilarli nella mia borsa. L'aula si stava lentamente svuotando, mi portai velocemente la tracolla alla spalla e mi avviai verso la porta per uscire. Fiumi di adolescenti si muovevano verso la l'uscita principale. Aspettai che il corridoio fosse abbastanza sicuro, in modo da non essere travolta dalla folla. Dopo qualche secondo, mi avvicinai al mio armadietto. Ruotai la rotellina, inserendo il codice per poi aprirlo. Infilai dentro alcuni libri che non mi servivano, per poi richiudere l'armadietto con una spinta. 
Uscita da quell'inferno, o comunemente detto liceo, raggiunsi Gemma che con una mano verso l'alto mi incoraggiava a raggiungerla. Mi avvicinai a lei, che mi salutò con un solito raggiante sorriso. 
“Oggi viene Harry a prendermi, ti diamo un passaggio fino a casa.” disse facendomi rabbrividire. Harry sarebbe venuto qui. Nonostante un gabbia di matti, la scuola era l'unico posto che avevo per poter scappare da Harry. Non poteva venire qui. Avrebbe complicato tutto.
“Penso che andrò a piedi.” risposi piano all'offerta. Sentii un clacson suonare e mi voltai vedendo la macchina di Harry fermarsi qualche metro distante da noi. Maledizione. 
Gemma mi prese per un braccio, si avvicinò alla macchina impassibile a ciò che avevo appena detto. 
“Salta su.” disse con gioia, “tranquilla non morde.” rise entrando in macchina. 
Ormai c'ero dentro fino al collo e non potevo andarmene. Non avevo scuse. Il peggio era che la mia migliore amica era all'oscuro di tutto.
Aprii la portiera ed entrai in macchina.

Gemma rideva e scherzava davanti con Harry, mentre io friggevo dall'agitazione, sul sedile dietro di lei. Harry era nuovamente diverso, come se avesse lasciato in un angolo la sua seconda personalità. Lo vedevo sorridere, il suo sorriso confortante, mentre attento guardava la strada. Mi ritrovai a fissarlo, cercando di capire quel suo comportamento enigmatico. I suoi occhi erano brillanti per la luce del sole che li colpiva debolmente dal finestrino, non scuri per la notte. Le sue labbra erano rosee e non color sangue. Harry diede un veloce sguardo verso di me, accorgendosi che lo stavo guardando intensamente. Mi voltai verso il finestrino, cercando di sembrare indifferente. Guardai quelle casette, tutte uguali. 
La macchina si fermo, segno che eravamo arrivati a casa mia. Scesi dalla macchina prendendo la borsa. Notai che anche Harry era sceso, mentre Gemma era in macchina cercando un buona stazione radio. La salutai con la mano e lei contraccambiò distratta. Harry si avvicinò con me fino alla porta di casa. Aprii frettolosamente la serratura con le mie chiavi, entrando in casa. Mi fermai sulla soglia, guardando Harry in attesa di spiegazioni. 
“Sta sera alle nove, davanti al Village .” disse mentre i suoi occhi tornavano scuri, “non deludermi.” aggiunse sussurrandolo al mio orecchio. Trattenni il fiato sentendo il suo respiro caldo sul collo. 
Rimasi ferma sulla soglia, Harry tornò indietro. Sentii rombare il motore mentre la macchina nera sfrecciava via. Chiusi la porta appoggiandomici con la schiena. Lo stavo attirando verso di me. Non servivano calamite invisibili, solo sguardi, attrazione. Stavo cadendo tra le braccia di un angelo con il cuore di un demone. Non ero abbastanza forte per poter sopportare tutto ciò. Avevo vissuto nella calma, ero sempre stata invisibile alle persone. Ma lui mi aveva notata, tra la folla. Ora dovevo pagare la mia distrazione per non essermi nascosta meglio. Potevo ancora scappare, ma Harry non me lo avrebbe permesso. Non più. 
Merda.


notes:
questo capitolo mi piace molto perché ho aggiunto la danza, che poi è anche la mia passione (: spero lo abbiate apprezzato, vorrei sapere cosa ne pensate.


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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


Versai il tè verde caldo nella tazza a fiori. Riposi il pentolino nel lavandino ancora fumante. Presi il telefono sopra il tavolo, avvicinandomi al divano. Digitai il numero, sedendomi. Aspettai qualche secondo e dopo qualche bep, ripose.
“Pronto?” chiese la voce ovattata dall'altra parte del telefono.
“Ciao mamma.” riposi ricordandole che questo era il mio numero.
“Oh, tesoro tra poco stacco e vengo a casa.” disse sbuffando stanca, “hai già mangiato?” chiese dolcemente. 
“Si.” osservai alludendo alla mia tazza di tè, “penso che andrò a letto.”
“Così presto?” chiese ovvia. Osservai l'orologio in alto appeso al muro. Le lancette segnavano le otto e mezza. 
“Sono stanca.” dissi flebile, la mia solita e infallibile scusa.
“Okay, ci vediamo dopo.” proferì sentendo il suo picchiettare sulla tastiera. Chiusi la chiamata. 
Io e mia madre non avevamo uno di quei rapporti speciali, dove l'amore, le carezze, le confidenze erano sempre presenti nel rapporto di sangue che univa. Noi non eravamo così. Forse lo eravamo state, quando ero più piccola e avevo bisogno della presenza di un adulto, ma non lo ricordo. Lei aveva spesso provato a stringere un legame profondo e indistruttibile, ma data la sua rara presenza in casa, a causa del suo lavoro, mi ero ostinata a non lasciare che qualcosa o qualcuno ci unisse. Inoltre, dopo il divorzio dei miei genitori, la mia vita era cambiata. Io ero cambiata. Avevo smesso di uscire, di mangiare, portando mia madre all'esasperazione. Mio padre lo vedevo raramente , una volta rimasi sconvolta nel scorgerlo al banco di un bar, ubriaco marcio con in mano una birra, davanti a lui una miriade di bicchieri vuoti se non per il ghiaccio. Da quel momento, speravo spesso di non incontrarlo. Mi faceva paura la facilità con qui si stava distruggendo. Non era così che mia madre aveva progettato la sua vita. Io la stavo rovinando ulteriormente. Ero stanca di tutto questo.
Ora avrei dato una svolta a questo schifo. Sarei andata incontro alle mie paure, alla mia sofferenza, avrei affrontato tutto. Se fossi morta, lo avrei fatto dignitosamente. Ora non importava. Volevo vivere. Vivere ogni pericolo, ogni incertezza, solo vivere.

Scesi dal bus con un piccolo salto nel buio, leggermente illuminato dai lampioni lungo la strada. Svoltai a destra, entrando in un parcheggio. Mi avvicinai al Village, dove davanti sostava la macchina nera di Harry.
Presi un respiro profondo prima di raggiungerlo. Era appoggiato alla portiera della macchina. Indossava un paio di pantaloni neri che gli fasciavano perfettamente le gambe e un lungo giubbotto nero si appoggiava perfettamente sulle sue spalle, cadendo dritto fino alle cosce. Lo raggiunsi senza avvicinarmi troppo. Nonostante avessi deciso di affrontarlo, la sua presenza mi agitava ancora, quando eravamo soli.
“Sei venuta.” disse con un ghigno. Afferrò i bordi del mio giubbotto aperto attirandomi lui. I nostri corpi premettero l'uno contro l'altro, portai le mani sul suo petto cercando di allontanarmi. Eravamo vicini, troppo vicini. Sentivo il suo respiro caldo soffiare sulla mia pelle, mentre il gelo della notte mi fece tremare. O forse, non era il freddo. 
Avvicinò la sua bocca al mio orecchio. “Ti ho aspettata molto.” sussurrò. Mi mancò il fiato, quando si avvicinò pericolosamente al mio viso. Deglutii a fatica, un groppo mi si era formato in gola. Stava succedendo tutto troppo velocemente. Mi allontanai incerta. Davanti a me non c'era Harry, c'era il suo demone. C'era quella sua parte nascosta, che non aveva mai mostrato a nessuno. Fin da quando era piccolo, sorrideva spensierato e giocava innocente. I suoi occhi erano dipinti di blu e verde, perché quelli erano i colori chiari delle limpide giornate d'estate. Le sue labbra urlavano gioia, mentre sul viso candido compariva un sorriso colmo di dolcezza. Il suo cuore era pieno d'amore, quando salutava con quella manina morbida e piccola le persone che incontrava sul suo cammino. 
Adesso, tutto era scombussolato. I suoi occhi erano scuri come le tenebre, pieni di quel male che si stava formando dentro, fino a marcire. Le sue labbra ora erano rosse, come il sangue che macchia la sua anima, mentre sul suo viso malizioso compariva un ghigno colmo di lussuria. Il suo cuore era pieno di odio, utile solo per pompare sangue nel suo muscoloso corpo, inutile per amare.
Quel ragazzo a pochi centimetri di distanza da me non poteva essere lui. Lui era diverso. 
Sussultai quando sentii la sua mano farsi strada dentro al mio giubbotto, appoggiandosi sul mio fianco. Mi avvicinò con rapidità al suo viso, adesso, la sua presenza mi intimoriva. Le nostre labbra si sfiorarono, nessun bacio, nessuna parola, nessun respiro. Solo le nostre labbra. 
Il momento si spezzò. Restammo a guardarci, Harry aprì la portiera della macchina, senza staccare i suoi occhi dai miei, mi invitò ad entrare.


notes:
in questo capitolo penso si senta la ribellione di Lia, stanca di essere invisibile davanti a sua madre che non si dimostra molto presente per ora. Lascia che tutto avvenga, prova a capire il comportamento di Harry, vuole capire cosa lo ha portato a diventare improvissamente così solo con lei. spero vi sia piaciuto, aspetto qualche recensione, anche critiche, insomma sbagliando si impara no? nel prossimo capitolo ci sarà una svolta.


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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


Non sapevo dove stavamo andando, non mi aveva detto niente sulla nostra destinazione. Il silenzio regnava nell'auto, smorzato dal ronzio della radio che trasmetteva musica. Distolsi lo sguardo dall'asfalto grigio, nel buio, lasciai che i miei occhi vagassero su Harry, mentre attento nella guida fissava la strada. Anni di vita presentavano lo svolgimento di un fallimento. Un angelo immerso nel buio. Un angelo alla ricerca della sua luce. Un angelo afflitto senza ali. Un angelo perso. 
Scossi la testa, guardando in basso. Cosa lo aveva portato a questo?
Appoggiai la testa al sedile, sospirando ancora mentalmente confusa. Non sarei dovuta salire, avrei dovuto prendere un autobus e avviarmi verso casa, nella notte. Sarei dovuta scappare, ma non me lo avrebbe permesso. Avevo scelto la via più semplice da prendere. O almeno, così speravo. 
Avevo sempre pensato che gli angeli esistessero. Magari, non in modo materiale, ma che fossero intorno a noi, pronti a proteggerci. Harry veniva descritto da tutti come un ragazzo modello, colui che protegge. Come un angelo. Mi piaceva sapere che la sua posizione da ragazzo dolce e protettivo fosse descritta con riferimenti agli angeli. 
Ora però non sapevo cosa pensare. Harry era un'altra persona, o forse fingeva di esserla. Non avrei smesso di credere negli angeli, a causa di questo suo strano comportamento da cattivo ragazzo. Ero sicura che dentro di lui ci fosse ancora qualcosa di recuperabile. Salvo. Non avevo paura di lui, niente mi avrebbe fermata dalla mia ribellione verso chi non mi capiva, non mi ascoltava. Il fatto che stessi andando incontro al pericolo, non mi obbligava a non chiedere aiuto. Harry mi aveva notata. Qualcosa mi spingeva a fidarmi di lui. Ma se qualcosa fosse andato storto, chi mi avrebbe salvata?

La macchina si fermò, facendomi tornare sulla terra abbandonando i miei pensieri. Harry si voltò verso di me guardandomi per qualche momento, accennò un sorriso. Mi guardai intorno, non sapevo dove fossimo, non ero mai stata qui. Lo vidi aprire la portiera uscendo dalla macchina così feci lo stesso. Appoggiai un piede a terra, la mia scarpa affondò su qualcosa di più morbido, diverso dall'asfalto duro. Era erba. Raggiunsi Harry che puntava lo sguardo fisso di fronte a sé. Un meraviglioso panorama si aprì davanti ai miei occhi. Milioni di piccole luci brillavano nell'oscurità della notte chiarendo il fatto che la città fosse ancora sveglia. La luna splendeva illuminando i nostri volti. Le stelle luccicavano come piccoli diamanti creando un legame tra il cielo e la terra. Mi sentivo così piccola e indifesa davanti a tanta grandezza. Mi sembrava di avere tutta la città sotto i miei occhi. Non dominavo, solo osservavo. 
Un leggero fruscio causato dal vento che spostava gli alberi facendoli quasi ondeggiare danzando, mi portò alla realtà. Mi guardai intorno, in cerca di qualche spiegazione sul perché fossimo qui. Harry sembrava stregato, quasi ignaro della mia presenza, si lasciava trasportare dalla bellezza del panorama. Tirai su la zip della giacca facendo scorrere la cerniera fino al colletto, rompendo il silenzio. Harry sospirò rumorosamente infilandosi una mano in tasca, sfilò un pacchetto. Nonostante il buio, mi fu chiaro capire cosa fosse. Aprii la scatoletta quadrata sfilando una sigaretta portandola, poi, alla bocca. La teneva ferma con le labbra serrate, la accese con il piccolo accendino che gli illuminò il viso. Soffiò una nuvola di fumo nell'aria che si dissolse dopo poco. Quindi era vero, fumava. Chissà come avrebbero reagito tutti, vedendo “faccia d'angelo”, fumare e comportarsi come qualcuno che ha accumulato odio, per poi scaricarlo su una ragazza qualunque. Sorrisi per quella stramba comicità che ci aveva portati a questo. Senza parole, senza affermazioni, solo sguardi e intese, eccoci in un bellissimo angolo sperduto della città. Ancora però non riuscivo a capacitarmi di tale situazione. Aveva stravolto il nostro, per quanto lontano, rapporto. Fatto solo di saluti, e rare conversazioni. Forse averei dovuto adattarmi, capirlo, conoscerlo o mi sarei persa nel buio, in cerca di una strada che però non sarebbe più arrivata, qualunque decisione mi sembrava sbagliata. Il terrore di cadere in quel vuoto mi fece rabbrividire. La paura di scoprire chi realmente lui fosse mi spaventava, le gambe iniziarono a tremarmi. Come potevo capirlo, se non capivo nemmeno me stessa? 
Ero come in una gabbia, rinchiusa in un'angoscia senza fine, condannata a un amore impossibile, arresa dalla consapevolezza che la serratura era troppo arrugginita per poter far entrare una chiave ormai persa.
“Penso di doverti dare delle spiegazioni.” parlò improvvisamente guardandomi dritta negli occhi. Rimasi sorpresa da ciò che aveva appena detto. Lui stesso aveva notato quanto fosse complicato e contorto ciò che stava accadendo tra noi. Noi. Non avevo mai pensato di dirlo. Ero sorpresa dalla semplicità con cui continuava a parlarmi, come se nulla fosse successo. Come se tutto si fosse dissolto, quanto le nuvole di fumo che soffiava nel buio. Mi appoggiai al cofano dell'auto, allarmata dal fatto che da un momento all'altro mi sarei lasciata cadere sull'erba, in preda ad un attacco di panico. Mi sentivo fragile, le gambe mi facevano male e sentivo i talloni bruciare. Ma non era la mia debolezza di quella pressione che avevo addosso a preoccuparmi, bensì le sue parole.
“Tu mi attrai.” disse con calma, mostrando un leggero sorriso. Si tolse la sigaretta dalla bocca con velocità, buttandola a terra per poi schiacciarla duramente con la scarpa. Quel piccolo luccichio si spense con la notte. Harry si avvicinò a me, facendomi immediatamente scattare in piedi. Appoggiarsi al cofano non era stata un buona idea. Ora era davanti a me, allungò una mano sulla macchina scura reggendosi debolmente. I suoi occhi erano fissi sui miei, mentre con l'altra mano mi sfiorava una guancia, arrossata dal freddo dell'inverno.
“C'è come qualcosa che mi attira verso di te.” la sua mano si spostò sul mio fianco con cui mi avvicinò a lui, approssimando lentamente la distanza che ci divideva. Lo guardai attenta, mentre sentivo il suo corpo aderire perfettamente al mio. Si protese in avanti, le sue labbra premettero sul mio collo lasciando una scia di leggeri baci. Sentii un brivido percorrere tutto il mio corpo, cautamente proseguiva arrivando al mio orecchio. 
“Harry, io...” provai a dire debolmente con voce spezzata. 
“Shhh..” sussurrò zittendomi. Deglutii a fatica, allontanandomi in modo lento, finché non sentii la macchina impedire di muovermi ancora. Maledì me stessa per essere stata così ingenua da credere che fossimo lì solo per il maestoso panorama dietro di noi. Ma ora lo sfondo sembrava non importare a nessuno dei due, chi troppo preso da un semplice obbiettivo e chi in trappola. Mi sentivo schiacciata tra la macchina e il suo corpo. Rimasi senza fiato quando sentii le sue mani afferrare i miei fianchi, mi alzò da terra e mi appoggiò al cofano in modo rude. Sentii il suo corpo scivolare tra le mie cosce, si avvicinò nuovamente al mio collo, premendo altri baci. Si spostava lentamente proseguendo fino alla mia guancia, sussultai quando lo sentii vicino alle mie labbra. Il battito del mio cuore accelerò senza controllo. 
Non ci baciammo. 
Posai velocemente le mani sul suo petto, allontanandolo da me. Vidi le sue sopracciglia corrugarsi in una espressione stranita. Il momento si sgretolò in tanti piccoli pezzi, frangibile, lasciando spazio a un vuoto nei suoi occhi scuri. Serrò le labbra, senza smettere di guardarmi. 
“Non sei ancora pronta,” scosse la testa. “forse un giorno capirai.”
Ero senza parole, avevo respinto l'unico ragazzo che mi faceva sentire diversa. L'unico ragazzo che mi aveva notata, l'unico ragazzo che riusciva a essere se stesso solo stando con me. Forse non ero pronta ad amarlo perché non sapevo cosa fosse l'amore. Avevo paura di scoprire cosa mi avrebbe portato, se avessi accettato qualcosa che non comprendevo. Avrei vissuto qualcosa di nuovo e forse tenevo troppo alla mia ordinaria vita, per abbandonarmi completamente a qualcosa di mai provato. 
Non avrei rifiutato l'unica persona che era ancora in grado di farmi sentire viva, quando ormai dentro mi sentivo marcire. Non avrei rifiutato l'amore, solo perché non lo conoscevo. 
Alzai lo sguardo, pronta a dimostrargli che ero pronta. Ero pronta a rischiare, ero pronta a soffrire, ero pronta a sorridere. Ero pronta a conservare ricordi che mi sarei portata dietro per tutta la vita. Ero pronta a essere dolce, a condividere, ad apprezzare. Ero pronta a rimanere sveglia la notte per vederlo addormentarsi al mio fianco. Ero pronta ad emozionarmi ad ogni singolo bacio come se fosse il primo. Ero pronta a guardarlo come non avevo mai guardato nessuno. 
Ero pronta ad amare. Ero pronta a vivere. 
Rimasi a guardare nel buio, accettando che lui se ne fosse andato lasciando davanti a me un vuoto.


notes:
scusate il ritardoooooo, sono riuscita a pubblicare solo ora ma penso che il capitolo sia venuto bene (: spero vi sia piaciuto molto e aspetto delle recensioni per sapere cosa ne pensate della storia (: è tutto, grazie per aver letto. xx


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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


Saltai giù dal cofano, sorreggendomi con i palmi premuti sul materiale duro dell'auto. Camminai lenta percorrendo il perimetro del veicolo. Mi portai una mano tra i capelli che, a causa del leggero vento, si scompigliavano lasciando cadere qualche ciocca ribelle sul mio viso. Aprii la portiera della vettura, salendo e sedendomi sui neri sedili. Harry era silenziosamente distratto, intento a guardare dritto davanti a lui, i suoi occhi ora erano illuminati dal chiaro bagliore della luna. Probabilmente, stava pensando a quanto successo poco fa o magari, a lui neanche importava. Lo scrutai ripensando ai nostri gesti. Sentii il rimorso farsi spazio nella mia testa, o forse era solo uno stupido pensiero insensato e confuso. Volevo solo andare a casa e schiarirmi le idee.
Il motore rombò, segno che Harry aveva appena acceso la macchina pronto per partire. Ma fu solo per poco, dato che il rumore cessò all'istante. 
Seguii il suo sguardo preoccupato e dubbioso mentre provava a riaccendere la macchina senza nessun risultato. Trasalii al solo pensiero che saremmo rimasti bloccati in quel posto buio e sperduto che nemmeno conoscevo. Sentivo l'agitazione divorarmi il cuore che speranzoso mi tamburellava nel petto, avevo bisogno di una mente pulita ma anche quella era stata sporcata dall'ansia. 
“La macchina non parte.”, affermò ogni certezza con un lungo sospiro. “Il motore è freddo, dovremmo aspettare molto.” mi avvertì.
Appoggiai la testa al sedile, chiudendo gli occhi e uno sbuffo mosse le mie labbra.
Immaginai che nulla fosse accaduto, fin dall'inizio. Io, ora, ero nel mio letto a sognare qualcosa di migliore, allontanandomi dal pericolo, scappando dal mondo. Non ero scesa da quel bus, non ero uscita di casa e non mi ero preparata un tè verde per rimanere sveglia. 
Aprii gli occhi, due meravigliose iridi verdi color smeraldo erano fisse sul mio viso. Guardandolo, mi dimenticavo di tutto. Ogni preoccupazione, ogni problema, ogni paura, perché quello che mi aveva sempre dato era conforto e appoggio. 
Ora stavo annegando nei suoi occhi in balia di una tormenta, nella sua mente in subbuglio e nel suo cuore in tempesta. 
“Ti va un po' di musica?” chiese sporgendosi verso di me, prendendo qualche CD da un piccolo sportello davanti le mie ginocchia. Si era appoggiato sulla mia coscia, sostenendosi senza pesare troppo. Mi irrigidii, sentendomi schiacciata sul sedile per evitare contatti che avrebbero potuto causare qualche imprevedibile colpo di scena. Guardò pensieroso i cinque CD che teneva in mano, rifletté quale scegliere continuando a girarli, facendo scorrere il suo sguardo sulle varie canzoni sul retro. Ne aprì uno, inserendo il disco nella piccola fessura sotto la radio e immediatamente il suono si propagò in tutta la vettura. Aveva optato per un album dei Ramones, riconobbi il titolo della canzone che aveva scelto, scorrendo le canzoni per arrivare alla numero quattro: Don't go. 
Harry fece ondeggiare la testa seguendo il ritmo della musica, i suoi ricci si muovevano creando una perfetta immagine di quanto fosse un ragazzo stupendo. Lui, la sua piccola presenza nella mia vita, aveva significato molto per me. Una persona con cui crescere e condividere ricordi. Gemma essendo la mia migliore amica, mi era sempre stata vicino in ogni momento e così anche lui, in parte. 
“Don't go, don't go baby don't go don't go, don't go, baby don't go don't go, don't go don't leave me this way..” canticchiò seguendo Joey Ramone senza stonare una nota. La sua voce era profonda, sentirla era meraviglioso, ti lasciava trasportare dal momento. Una voce angelica. Chiusi gli occhi, abbandonandomi al piacere di ascoltarla per la prima volta. Non riuscivo a pensare a nient'altro tranne che la sua voce. L'avrei ascoltata per ore e ore, non me ne sarei stancata anche se avessi dovuto sentirla tutta la notte chiusa in una macchina in mezzo al nulla.
Ricordai quando da piccolo giocava con una piccola chitarra in plastica cercando goffamente di imitare Mick Jagger. Quel piccolo bambino con biondicci capelli lisci che però non ricordavano per niente i suoi attuali ricci capelli marroni era spensierato e innocente. Quella bocca che sfoggiava senza vergogna un dolce sorriso che però mancava di qualche dente era davvero fantastica. Mi ritrovai a sorridere a quell'immagine così buffa quanto nostalgica.
Riaprii gli occhi, notando che Harry mi stava guardando e ancora, le sue splendide iridi verdi incontrarono le mie, marroni. Tornai seria distogliendo lo sguardo per paura di perdermi in quell'espressione così profonda ed enigmatica.
“Mi piace quando sorridi.” parlò spegnendo la musica. A volte si sorride perché si sente che le lacrime non bastano per tutta la vita, pensai, scrutandolo.
Non avevo molti motivi per cui sorridere, lui sarebbe rimasto una di quelli? Volevo poter sorridere al presente e non ricordare il passato accennando un triste sorriso languido. 
“Rimarremo qui tutta la notte?” cambiai discordo, cercando inutilmente di ignorare le sue parole che però rimanevano impresse nella mia mente. 
“Il motore è freddo e prima che la macchina possa partire ci vorrà tempo.” Constatò sospirando lievemente. 
Mi appoggiai stanca al sedile sentendo le palpebre cadere per il sonno. Lo osservai mentre, invano, cercava di far partire la macchina che però, continuava a spegnersi facendo innervosire Harry che, con rabbia, colpì con la mano il volante davanti a lui. 
A volte, mi spaventava ciò che era. O forse, era solo ciò che mi faceva credere che fosse a turbarmi. Eppure, come una stupida falena attirata dalla luce nella notte, io mi sentivo attratta da lui. 
Eravamo due calamite, impossibili da dividere come impossibili da unire se una di esse si fosse voltata. 
Rimasi a guardarlo mentre un lieve sorriso formò una piccola pieghetta sul mio viso appena vicino al labbro, prima che di chiudere gli occhi lasciando che lui divenisse solo un sogno nella mia mente.
 
 
Il debole bagliore del sole che indisturbato filtrava dalla finestra, non coperta dalle tendine, lasciava passare una luce accecante per occhi appena aperti e una mente offuscata dai sogni. Mi strofinai il viso ma riuscivo solo a vedere socchiudendo le palpebre a due fessure. Alzai stanca la coperta, rabbrividendo nonostante fuori sembrava fosse una fresca giornata soleggiata. Rimasi confusa a guardare i miei vestiti, avevo ancora la stessa maglia e lo stesso pantalone della sera prima ma mi trovavo nel mio letto, in casa mia. Ero terribilmente disorientata nonostante sapessi benissimo dove fossi, certa nel riconoscere i mobili e gli oggetti della mia camera. Scesi riluttante dal letto, notando i miei scarponcini neri proprio vicino al mio letto, sistemati con cura uno vicino all'altro. Non potevo averli messi io, mi sarei ricordata di essermi tolta le scarpe, come che le avrei lasciate disordinatamente davanti alla porta. Non ricordavo nemmeno di essere entrata da quella porta ieri sera. 
Mi trascinai fiacca verso bagno mentre annoiata mi sfilavo i pantaloni attenta a non precipitare sul pavimento. Feci una smorfia guardandomi allo specchio, accorgendomi del poco mascara che avevo scelto di mettere che però, ora era sbavato sui miei occhi facendomi sembrare un panda tristemente perplesso. Aprii il rubinetto lavandomi la faccia e cercando in qualche modo di pulire il nero che sporcava il mio viso e che veloce veniva trasportato con l'acqua nello scarico.
Possibile che non ricordassi nient'altro da quando mi ero debolmente addormentata nella macchina di Harry? Non ricordavo di essere stata riaccompagnata a casa, né di essere stata trasportata a peso fino alla mia camera, né di qualcuno che mi avesse tolto le scarpe e mi facesse sdraiare nel mio letto. Non ricordavo. Ero piombata in un sonno profondo. Forse avrei dovuto bere tre tazze di tè verde.
Scesi le scale molto cautamente aiutandomi con il corrimano per non rotolare giù. Mi stupì di trovare mia madre in cucina, intenta a prepararsi un caffè che non avevo mai visto fare, se non in presenza di ospiti che però mancavano da molto tempo. Non entrava una persona dalla nostra porta da quando mio padre aveva deciso di andarsene di casa. Scossi la testa infastidita dal ricordo. Mi avvicinai al piccolo tavolo che riempiva miseramente parte della cucina. Feci avvicinare una sedia verso di me, per poi sedermici riluttante. 
“Buongiorno, Lia.” mi salutò mia madre senza guardarmi, ancora presa con la caffettiera. Il suo non sembrava un salutò, era distaccata, sembrava più un accenno. Qualcosa non andava e il fatto che mia madre si fosse preparata un caffè, cosa che faceva quando aveva bisogno di mantenere la calma, lo confermava. 
“Buongiorno.” risposi con un velo di preoccupazione nella voce. 
Sapevo cosa voleva fare: mettermi con le spalle al muro. Sapeva benissimo che ieri sera non ero a casa, nonostante le avessi detto che sarei andata a dormire presto, mi avrebbe fatto dire la verità nonostante lei già la sapesse. Era qualcosa che si ripeteva da una vita, era una situazione automatica.
“Sei vestita. Eri troppo stanca ieri sera per metterti un pigiama?” chiese indicando la mia maglietta. Sapevo me lo avrebbe chiesto, era legittimo. Cercai una buona risposta che non fosse troppo esplicita e nemmeno vaga. 
“Sono uscita a prendere una cosa e quando sono tornata, non ho avuto voglia di cambiarmi.” tentai sapendo di camminare su un campo minato.
“Cosa dovevi prendere di così importante alle 4.00 di mattina, Lia?” chiese portandosi la tazza del caffè alla bocca, bevendo un sorso. 
“Gemma aveva bisogno di sostegno morale e la situazione è degenerata...” mi alzai dalla sedia sentendomi a disagio con i suoi occhi scuri e accusatori su di me. Mi avvicinai al mobiletto sopra il lavandino, aprii lo sportello, prendendo una bustina di tè verde. Preparai una teiera riempendola con l'acqua, per poi posarla sui fornelli per scaldarla. Rimasi in piedi ad aspettare che l'acqua fosse pronta per poter riempire la tazza. Alzai la teiera facendo scorrere il contenuto dentro al recipiente aggiungendo la bustina che galleggiò per qualche secondo prima di affondare verso il fondo. Mi sedetti nuovamente guardando mia madre preoccupata di ciò che avrebbe potuto chiedermi ancora.
“Chi era il ragazzo con te?” domandò.
Tossii rischiando di soffocare mentre bevevo il tè che sentii scendere caldo lungo la mia gola. Per quanto la bevanda fosse bollente, rabbrividii nel sentire la sua domanda che sprezzante mi fece spalancare gli occhi. 
“R-ragazzo?” balbettai non riuscendo a controllare la mia voce.
“Riesco a riconoscere un passo leggero da una camminata alle basi di un paio di stivaletti da uomo.” constatò sicura, aspettando conferme. 
“Mi ha accompagnata a casa dato che era tardi.” combattei la sua convinzione. 
“È carino?” sorrise lasciandosi trasportare da una lontana giovinezza. 
“Mamma.” la ripresi lasciandomi sfuggire un sorriso ricordando quanto successo la sera prima. “Vado a preparami.” mi affrettai a dire, salendo velocemente le scale. 
“Non finisce qui questo discorso.” urlò mia madre dalla cucina prima che fossi in cima all'ultimo gradino. 
Entrai in camera mia avvicinandomi subito al mio armadio aprendolo rapidamente. Presi un maglietta rossa con un leggero scollo a V e un paio di jeans scuri, abbinai il tutto con le mie converse nere. Preparai svelta la mia borsa prendendo i libri necessari per la scuola, la mattina avrei avuto inglese, storia e chimica. L'ultima cosa che avrei voluto affrontare era la mattinata a fissare professori e lavagne scarabocchiate. Avrei voluto lanciarmi sul letto ed abbandonarmi ai sogni. 
“Buongiorno, Harry! Entra pure.”

notes:
Perdonate il mio terribile e inscusabile ritardo ma questo capitolo è stato scritto e riscritto e spero vivamente che vi sia piaciuto. Ho ascoltato molti brani di Miley Cyrus mentre lo scrivevo, non so perché, forse per fare un piccolo tuffo nel passato infatti ho ascoltato "When I look at You", "The climb" e "Butterfly fly away". Il prossimo capitolo lo pubblico domani, se riesco. Dato che poi domani parto per Londra (yay) e poi torno per il mare ma tornerò tra 20 giorni e non credo di riuscire a pubblicare prima ma ci proverò. Per il resto, grazie per aver letto e aspetto qualche recensione er sapere se vi è piaciuto. Grazie. xx


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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


Sentii mia madre parlare e mi scorsi di qualche centimetro fuori dalla stanza per riuscire a vedere meglio. Harry era raggiante sull'uscio di casa mia. Entrai velocemente in camera, sgranando gli occhi, in preda al panico. Per un momento, optai in un'uscita furtiva dalla finestra calandomi giù, aiutata dall'albero dei vicini che si allungava, in una intrecciato abbraccio tra rami e foglie secche, davanti al mio infisso. Lasciai perdere ripensando alle mie scarse abilità nell'arrampicata, sarei sicuramente volata giù rompendomi un braccio o una gamba, era meglio non rischiare. O forse si.
Afferrai la borsa e feci scivolare la tracolla sulla mia spalla, facendo passare la cinghia sopra la mia testa, controllai due volte che le scarpe fossero allacciate bene prima di avvicinarmi intimorita alla finestra. Alzai la gamba destra appoggiando il piede sul davanzale, portai una mano alla mia destra posandola sull'allumino freddo, aiutandomi a sorreggermi per non cadere. Mi sporsi quel poco per osservare quanto fossi distante da terra, rabbrividii immaginandomi distesa per terra sul vialetto con sopra il capo un enorme macchia di sangue che sporcava la terra scura. Mi ritrassi impaurita facendo rientrare la testa nella stanza. 
“Che diavolo stai facendo?” 
Mi voltai bruscamente tanto da scivolare goffamente all'indietro. Volai per terra sul pavimento duro della mia stanza atterrando brutalmente sulla schiena, una smorfia di dolore si formò sul mio viso. Mi si mozzò il fiato. Mugugnai infastidita dal colpo. Mia madre mi guardava dall'alto incuriosita e altrettanto severa. Mi tese una mano facendomi alzare riluttante da terra, sentii una fitta atroce al fondo schiena ma lasciai perdere solo massaggiandomi lievemente la parte urtata. 
“Non farò domande. Ti dico solo che Harry ti sta aspettando e che io vado al lavoro. Ci vediamo stasera: fatti trovare in casa.” constatò mentre veloce prendeva il suo cappotto e la sua borsa per poi uscire di casa, salutando Harry ancora sulla porta. 
Mi guardai rapidamente allo specchio sistemandomi i vestiti, i capelli per la caduta si erano spettinati, ma lasciai che la mia chioma ramata e mossa ricadesse morbida sulle mie spalle senza aggiungere nessun fermaglio o altro. Afferrai la giacca sopra al letto insieme alla pesante borsa colma di libri, scesi le scale fermandomi un secondo a osservare Harry che paziente era ancora dall'ingresso. Abbozzò un sorriso quando, piano, mi avvicinai a lui. 
“Cosa ci fai qui?” chiesi duramente.
“Sono venuto a prenderti per dare un passaggio a te e a Gemma.” 
“Oh, Okay ma potevi avvisare.” dissi bruscamente distogliendo lo sguardo dai suoi profondi occhi verdi, uscii chiudendo la porta a chiave.
“Non volevo disturbare il tuo sonno tranquillo.” sogghignò. 
Io e Harry raggiungemmo la sua macchina dove all'interno notai Gemma ad aspettarci intenta nell'adoperare il suo cellulare. Harry aprì la portiera facendomi entrare e sedere sui comodi sedili neri mentre lui raggiunse il posto del guidatore. Accese la macchina che partì subito, non chiesi di ieri sera, sul come fosse miracolosamente riuscito a far partire la macchina fredda, sul come fosse riuscito magicamente a entrare in casa mia senza farsi vedere da mia madre e sul perché non mi avesse svegliato per avvisarmi su ciò che stava succedendo, non aprii bocca, non con Gemma nei paraggi. La mia migliore amica mi salutò sfoggiando un dolce sorriso nello specchietto retrovisore per poter incontrare il mio sguardo, ricambiai il sorriso per poi concentrarmi sul mondo fuori dal mio finestrino. Il viaggio fu così veloce che quasi non mi accorsi della scuola a pochi metri da noi, troppo occupata ad annegare nell'abisso dei miei pensieri, la macchina si fermò lasciandoci scendere per poter raggiungere quel disperato manicomio colmo di pazzi bruciati dallo studio. 
Gemma salutò suo fratello e io mi limitai ad un cenno con la mano prima che il veicolo si allontanasse dal marciapiede davanti alla scuola, avvicinandosi alla strada. 
Gemma attaccò a parlare di un certo Liam, fui troppo presa a riflettere sulla scorsa sera e a provare a dimenticarmi del dolore atroce che percorreva tutta la mia schiena fino al sedere, per poterle rispondere correttamente e restare attenta alle sue parole. 
“Ieri sera Harry è rientrato tardi: ho sentito i suoi passi. Sarà andato a divertirsi al Red Lions.” raccontò tranquillamente facendomi immediatamente concentrare su di lei. 
“S-sicuramente.” balbettai. 
Era ovvio che Harry non aveva detto niente a Gemma del nostro incontro e ne fui felice, non avrei dovuto dare spiegazioni o peggio, inventarmi una falsità. In realtà, stavo già mentendo da troppo tempo. Avevo una mezza cotta per suo fratello da quasi dieci anni, più o meno avevo otto anni e ora che ne ho diciassette dovrei in qualche modo preoccuparmi di tutto questo tempo a fantasticare su di lui. 
“In fondo, in quel bar ci vanno tutti. Potremmo andarci dopo la scuola, se ti va. Magari potrei invitare anche Liam, perché non porti qualcuno anche tu?” chiese raggiante guardandosi le scintillanti unghie rosso fuoco. 
“Perché non ho nessuno da portare, Gemma.” risposi, inserendo il codice nell'armadietto prima di aprirlo. Presi alcuni libri, tra cui geografia e scienze, infilando dentro la borsa per poi richiuderlo con un leggero colpo.
“Oh, andiamo. Potresti invitare Joe, è così carino!” mi seguì mentre mi avviavo verso la classe. 
“Quanto insopportabile.” roteai gli occhi al cielo.
“E muscoloso.” aggiunse, sbattendo le ciglia e congiungendo le mani a un pugno portandoselo sotto il mento come una sentimentale scrittrice di mielosi romanzi. Scossi la testa, ridendo della sua idilliaca passione per i muscoli. 
“Mi dispiace dover interrompere il tuo romanticismo ma devo proprio andare. Ho il corso di geografia.” tagliai corto raggiungendo la classe tenendo stretti i libri al petto. 
“Stasera ti voglio vedere con un ragazzo, se no vuoi che chiami Harry per accompagnarti e sono sicura non ti piacerebbe!” si affrettò a dire prima che aprissi la porta dell'aula.

notes:
Scusate, scusate, scusate, scusate tantissimo per non essere riuscita a pubblicare il 7 come promesso ma mi sono alzata prestissimo per partire e non avuto davvero tempo per pubblicare il capitolo. Vi ho proprio lasciato sulle spine come il finale di questo capitolo, ma spero abbiate gradito la semplicità del momento. Domani vado da mio cugino e nonso se riuscirò ad aggiornare, sorry. Appena potrò pubblicherò il prossimo capitolo che sarà molto più movimentato ;) Anyway, spero vi sia piaciuto e aspetto qualce recensione per sapere cosa ne pensate :) Grazie. xx


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