Old Paradise Street - dove tutto ebbe inizio (pov Sophie)

di Old Paradise Street
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Trasferimenti ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Old Paradise Street - dove tutto ebbe inizio

Pov Sophie


Prologo



Perché, mi chiedo io, perché. Perché con tutte le cose che possono succedere proprio quella peggiore doveva accadere? Ormai è passata una settimana da quel maledetto giorno, quel giorno in cui è morta tutta la mia famiglia. E solo io sono sopravvissuta.

 Questo è il pensiero che mi tormenta da più di due giorni, da quando mi sono svegliata dal coma in cui sono finita dopo l’incidente. Perché solo io?
Mi alzo, ho bisogno di prendere una boccata d’aria. Accidenti, che mal di testa, non ce la faccio, mi risiedo sul letto. Uno, due, tre, ok, ce la posso fare, la testa gira un po’, ma sono in grado di camminare. Raggiungo la porta della stanza, piano piano, ma la raggiungo. Per fortuna sono in camera da sola. La donna che occupava l’altro letto l’hanno dimessa l’altro giorno, anche lei scampata ad un incidente. Era simpatica, ci ho parlato solo per due giorni, da quando mi sono svegliata a quando l’hanno dimessa, ma sembrava proprio una bella persona. In genere io confido molto nella prima impressione che mi dà la gente. E di solito non mi sbaglio mai, appena vedo gli atteggiamenti di una persona lo sento a pelle se può piacermi o meno e di conseguenza decido se farla entrare nella mia vita per conoscerla meglio oppure tenermi alla larga e se possibile evitare ogni rapporto.

Esco dalla camera e nel corridoio incontro un’infermiera, una delle tante che mi hanno fatto visita in questi giorni, credo si chiami Emma.
- Buongiorno signorina Adams –
- Buongiorno – Oddio si è fermata, vorrà di sicuro mettersi a chiacchierare, ma possibile che con tutte le persone che ci sono nel corridoio proprio con me vuole parlare? Proprio oggi che voglio rimanere sola?
- Come si sente oggi? Si è ripresa? – Sarà sempre gentile, carina e adorabile ma quando inizia a fare tutti quei sorrisini e tutte quelle domande, vuol dire solo una cosa: ha voglia di parlare. Spero solo che non cominci con l’interrogatorio e non la tiri per le lunghe. Nel dubbio meglio troncare subito la conversazione.
- Va molto meglio, grazie – Evito di dirle che ogni tanto mi gira la testa altrimenti comincia con i suoi monologhi su quanto è o non è normale, frequente o insolito avere qualche capogiro in queste situazioni. E intanto prego che accetti questa semplice risposta e se ne vada senza commentare. Ho davvero bisogno di respirare aria fresca.
- Benissimo sono contenta che lei stia bene. Ha bisogno di qualcosa? Come mai è uscita dalla sua camera? – Come non detto. Le mie preghiere sono state vane.
- Oh no, niente non si preoccupi. Avevo solo bisogno di prendere una boccata d’aria fresca, stia tranquilla. Arrivederci. – Sfoggio il mio miglior sorriso e me ne vado. Ho bisogno di uscire da queste mura. Anche solo per dieci minuti.

Finalmente riesco a raggiungere il balcone del terzo piano e appena esco sento subito l’aria fresca del mattino che mi scompiglia i capelli e gli occhi cominciano a pizzicare. Non solo per il vento. Faccio girare lo sguardo su tutto il panorama che ho davanti. Da dove sono io si vede un bel pezzo di Londra. Riesco a vedere il Tamigi che scorre silenzioso sotto i ponti della città e la attraversa da una parte all’altra, riesco a vedere il London Eye, il Big Ben e in lontananza anche Buckingham Palace. Riesco a vedere la mia città, la mia vita, quella a cui molto probabilmente sarò sottratta perché ora io non ho più una famiglia e visto che sono minorenne non potrò nemmeno vivere da sola nella mia vecchia casa. Forse non vivrò più nemmeno a Londra, a meno che non mi mandino in un orfanotrofio. Anche perché che io sappia non ho parenti che vivono qui. Papà è figlio unico, era figlio unico, e i suoi genitori sono morti prima che io nascessi e mamma, beh, lei è, era, mezza italiana quindi credo che gli unici parenti che avesse oltre ai miei nonni, che sono in una casa di riposo, siano in Italia.
Mamma, la mia mamma, mi manca. Non sono mai stata una settimana senza vederla, eccetto durante i viaggi organizzati con la scuola in cui comunque ci sentivamo tutti i giorni al telefono. Mentre ora, ora è una settimana che non la vedo e non la sento. E purtroppo non potrò farlo mai più. Era una bella donna, sia dentro che fuori. Occhi verdi, capelli color rame, lunghi e ricci, sempre raccolti per metà con un fermaglio. Alta e snella. Era bellissima. Aveva un carattere forte, deciso, non si lasciava mettere i piedi in testa da nessuno, ma era dolce, mi capiva al volo e aveva un’intesa speciale con papà, bastava un’occhiata perché si capissero. In quasi sedici anni della mia vita non li avevo mai sentiti litigare, forse perché quando discutevano lo facevano in privato e tenevano sempre me e Jay al di fuori delle loro questioni personali. Lo amava davvero tanto, ne sono sicura, così come sono sicura che lassù loro sono ancora insieme, uniti come sempre. E papà, il mio adorabile papà, era un mito. Da piccola era il mio eroe, volevo che l’uomo che un giorno avrei sposato fosse come lui. Quale bambina non lo voleva. Crescendo ovviamente avevo cambiato idea, ma quello che mi piaceva di più era che potevo parlare con lui di ragazzi quasi come se fosse una cosa normale. Certo ero sempre la sua “bambina” anche a quindici anni, ma mi lasciava abbastanza libera. Era gelosissimo della mamma, quando passeggiavano insieme si tenevano mano nella mano, come due adolescenti, e lui la stringeva forte a sé, come per marcare il territorio e i profondi sguardi che rivolgeva a qualsiasi altro uomo che la guardasse più del dovuto era come se volessero dire “Ehi tu, sì, dico a te, lei è mia, non te lo scordare. Toccala e poi vedi come ti tocco io”. Ripensandoci mi viene da ridere. Era un comportamento infantile certo, ma infinitamente tenero. Rose e Charlie, Charlie e Rose, i miei genitori. Non avevo mai visto una coppia più perfetta di loro.
E poi ovviamente c’è James, il mio Jay, il mio fratellone, la persona con cui litigavo più spesso, ma una delle persone che amavo di più al mondo. Era mio fratello maggiore, aveva tre anni più di me, era appena diventato maggiorenne, stava facendo la patente, era la cosa che desiderava di più: essere finalmente libero di poter andare da solo in qualsiasi posto senza dover esser accompagnato. Era un ragazzo pieno di vita, sempre allegro e spiritoso, amava rischiare, faceva di tutto per far arrabbiare mamma e papà e poi non so come riusciva sempre a scamparla facendo il ruffiano. Con mamma funzionava sempre, con papà un po’ meno. Lo odiavo per questo, a volte ero gelosa del fatto che le punizioni che toccavano a lui, quelle poche volte che gli toccavano, erano banali, del tipo “lava la macchina” oppure “vai a fare la spesa”, tutte così, mentre a me vietavano di uscire, mi toglievano il computer, la televisione e tutte le cose che mi permettevano di non annoiarmi. Però gli volevo un bene dell’anima, da piccoli litigavamo più spesso di quanto i nostri genitori si concedevano una serata tutta per loro, il che succedeva almeno una volta a settimana, mentre negli ultimi anni avevamo legato tantissimo. Lui mi vedeva come la classica sorellina minore da proteggere. Era geloso dei miei amici maschi perché li vedeva tutti come potenziali fidanzati. Mi costa ammetterlo, ma era anche simpatico, non faceva per nulla fatica a fare nuove amicizie e piaceva a tutti i miei amici. Le mie amiche lo definivano anche carino e beh, oggettivamente parlando, non potevo dar loro torto, era davvero un bel ragazzo e se non fosse stato mio fratello e non mi stesse così tanto sulle scatole in certi momenti, sarebbe potuto piacere anche a me. Ma ovviamente essendo “così bello” non poteva essere single. Infatti aveva una ragazza, Jade, così bella che poteva tranquillamente fare la modella, ma non era la classica “bionda senza cervello”, anzi, oltre al fatto che non è bionda ma ha i capelli castani, è simpaticissima e intelligente. È la sorella che non ho mai avuto. Ha solo un paio d’anni più di me e questo ha contribuito perché andassimo subito d’accordo la prima volta che ci siamo incontrate. Stava con Jay da quasi due anni e ancora non ho capito come facesse a sopportarlo. Dev’essere proprio vero: gli opposti si attraggono. Non sono mai riuscita a vedere mio fratello con un’altra ragazza, forse anche perché quella con Jade è stata la prima storia seria che ha avuto, e purtroppo anche l’ultima. Ora che Jay non c’è più Jade dovrà rifarsi una vita, spero solo che rimarremo unite. Tengo davvero molto a lei ed è l’unica ormai con cui posso condividere il ricordo della mia famiglia. Non è ancora venuta a trovarmi nemmeno una volta, suppongo sia ancora in Francia. Spero che venga prima che mi dimettano. Ho bisogno di parlare con qualcuno che mi capisce veramente e dopo non so se potrò farlo. Ho bisogno della mia quasi sorella/cognata qui con me, il più presto possibile.

Ora sto piangendo come una fontana, ricordare le persone a cui voglio più bene al mondo fa male, molto male. Soprattutto con la consapevolezza che non potrò vederli mai più. Perché è così e devo accettarlo. Mamma, papà e James se ne sono andati e non torneranno più. Sono rimasta da sola. A neanche sedici anni sono rimasta da sola ad affrontare il mondo, troppo grande per me.

Guardo il mio riflesso per la prima volta da giorni sul vetro a specchi della porta che conduce all’interno dell’ospedale.
A stento mi riconosco: la ragazza che vedo non sono io, non posso essere io. La ragazza che vedevo negli specchi di casa mia era più bella, più pulita, aveva sempre il sorriso sulle labbra e gli occhi azzurri erano più limpidi, ogni suo stato d’animo si rifletteva nei suoi occhi, i lunghi capelli biondi erano curati, luminosi e il corpo era più pieno. La ragazza che vedo riflessa su quella porta ha la bocca serrata, gli occhi spenti arrossati dal pianto, il viso rigato dalle lacrime, i capelli arruffati raccolti in una coda di cavallo tutta spettinata, con una fascia bianca sulla fronte da cui si intravede un cerotto. Il corpo è esile, fin troppo.
Sembra fragile, e forse lo è davvero.
Non posso credere di essere io, mi tocco la fronte e sento la fascia, fino ad oggi non mi ero nemmeno accorta di averla. Quel leggero tocco fa un male allucinante. Ecco spiegati i forti mal di testa degli ultimi giorni, avrò una ferita causata dall’incidente.

Le campane del Big Ben cominciano a suonare, conto i rintocchi, dodici, forse è meglio rientrare, arriverà qualcuno a breve per consegnarmi il pranzo, ma non riesco a muovermi. Ho freddo, sto tremando e sono congelata. È stata una pessima idea uscire senza nemmeno una sciarpa addosso. In fondo è pieno inverno e il pallido sole inglese non scalda molto e ad ogni modo l’aria è fredda, dovrei seriamente rientrare se non voglio prendere una broncopolmonite. Il problema è che non ce la faccio. Oltre ad avere i piedi congelati, non riesco a muovermi, a tornare dentro all’ospedale. Il mio sguardo è ancora fisso sul mio riflesso. Forse l’unica cosa bella di quell’immagine è lo sfondo. Ho le braccia strette al petto, come per proteggermi, da cosa ancora non lo so, ma di sicuro da qualcosa dovrò farlo.
La porta si apre e al posto della ragazza fragile ne compare una in carne ed ossa, è Emma.
- Signorina Adams! Cosa ci fa ancora qui fuori?! Fa freddissimo e lei è congelata, sta tremando e ha le labbra viola! Venga dentro forza o sia ammalerà sul serio – Mi circonda le spalle con le braccia e mi strofina le mani sulla schiena per riscaldarmi e mi conduce dentro. La seguo senza obiettare – Doveva coprirsi prima di uscire! Siamo al 30 di Dicembre, non è mica estate! – Mi accompagna fino in camera e poi mi mette una coperta sulle spalle. Sento subito il cambiamento di temperatura. Nelle mani e nei piedi ricomincia a circolare il sangue e sento il calore che piano piano invade il mio corpo.
- Q-quanto tempo sono rimasta fuori? –
- Circa un’ora. Ci siamo incontrate nel corridoio intorno alle 11.00 e ora è mezzogiorno. Sono venuta a portarle il pranzo e non l’ho trovata. Sono subito venuta a cercarla sul balcone. Meno male che doveva solo prendere una boccata d’aria! Forza signorina Adams... –
- Sophie, mi chiami Sophie. E la prego mi dia del tu. Non sopporto che mi si dia del lei. Mi fa sentire vecchia. – Riesco a sorriderle.
- Bene, Sophie, finisci di mangiare tranquillamente intanto vado a prenderti un tè caldo così ti riprendi e ti scaldi più in fretta – Prima di uscire però si volta e mi guarda sorridendo – Comunque anche io odio che mi si dia del lei, quindi per te io sono Emma – Annuisco prima che lei si chiuda la porta alle spalle e continuo il mio pranzo.

Quando torna ha un bicchierino della macchinetta con dentro del tè in una mano e qualche biscotto pre-confezionato nell’altra.
-Grazie, sei molto gentile – Comincio a sorseggiare il tè e il senso di calore aumenta.
- Sophie? C’è qualcosa che non va? Prima quando ti ho visto al di là del vetro sembravi molto triste, avevi lo sguardo assente, eri immobile, come paralizzata. Se vuoi con me puoi parlarne, capisco come ci si sente quando si perdono le persone a cui si vuol bene. –
- Grazie mille, Emma. Non posso certo dirti che va tutto bene, che è tutto a posto, perchè sarebbe una bugia colossale, lo sappiamo tutti. Solo non mi va di parlarne, scusa. È ancora troppo presto. –
- Certo, ti capisco. Comunque se hai bisogno sai dove trovarmi.-
- Grazie davvero, Emma, per tutto.-
- Figurati. – Non sarei mai riuscita a ringraziarla abbastanza per tutto quello che aveva fatto in questi giorni, mi aveva aiutato davvero tanto a superare la morte della mia famiglia. – Comunque farai meglio a prepararti, oggi ti dimettiamo. –
- Ah, bene. – No che non andava bene. Non andava bene per niente. Chi mi sarebbe venuto a prendere? Dove sarei andata? E Jade? Avevo bisogno di parlarle. Almeno un’ultima volta. Almeno finché ero qui avevo un posto dove stare, mentre ora non so nemmeno dove andrò a finire.
- Ehi, Sophie, non sei contenta? Finalmente uscirai di qui. Non sarai più costretta a mangiare il cibo orribile che cucinano giù in mensa e sarai libera di andare dove vuoi. – Riusciva ad alleggerire anche i momenti più tesi.
- Già, scusa se lo dico ma il cibo era davvero immangiabile. Comunque dove sono i vestiti che avevo la sera dell’ incidente? Perchè ho solo quelli vero? –
- Ehm, si hai solo quelli con cui sei arrivata qui – Ecco, te li avevo messi nell’armadietto –
- Grazie. Vado a cambiarmi allora. – E intanto mi avvio verso il bagno. Dopo essermi vestita mi sciacquo un po’ il viso ed elimino del tutto le tracce del pianto. Il mio aspetto è migliorato un po’ rispetto a come mi ero vista riflessa sul vetro. Almeno ora sono quantomeno presentabile.
- Emma, ma la fascia la posso togliere, vero? –
- Oh, sì ora te la tolgo – Mi si avvicina e inizia ad allentare la fascia finché non la slega del tutto. A dire il vero fa un po’ male ma è sopportabile. – Dobbiamo anche cambiare il cerotto, vieni – Mi porta in bagno e tira fuori un cerotto molto grande dall’antina. Mi toglie l'altro e disinfetta la ferita. È la prima volta che la vedo. Brucia tantissimo. È un lungo taglio obliquo sulla fronte, che parte dal centro e finisce sulla tempia destra.
- Perché non mi sono mai accorta che mi cambiavate i cerotti e le bende? –
La domanda sorge spontanea, non posso aver tenuto lo stesso cerotto e la stessa fascia per una settimana, devono pur avermelo cambiato qualche volta.
- Perché li cambiavamo mentre dormivi, ti facevamo una leggera anestesia per non farti sentire dolore. Fidati, è stato meglio così. Prima la ferita era molto più profonda, ora si è rimarginata, avresti sentito molto male se fossi stata cosciente. Comunque ora la fascia non c’è più bisogno di tenerla. Basta solo il cerotto. -
Mentre usciamo dal bagno la porta della stanza si apre ed entra un'infermiera.
- Signorina Adams, ha visite. – Detto questo se ne va e dietro di lei compare una ragazza alta dai capelli castani.
- Jade! – Le corro incontro e le salto al collo. Non vedevo l’ora di riabbracciarla.
– Finalmente sei venuta! Mi sei mancata tantissimo! Avevo bisogno di vederti, di parlarti. – Affondo il viso nei suoi capelli e la stringo forte.
- Anch’io Sop, anch’io -
Restiamo così, abbracciate, finché la voce di Emma non ci interrompe.
- Ehm bene, io vi lascio sole, avrete tante cose da dirvi. Solo, Sophie, ricordati che fra un'ora ti vengono a prendere. Devi farti trovare giù in sala d’attesa. Ovviamente stai tranquilla vengo io ad avvisarti quando è il momento di andare.
- Dove andrai Sophie? Chi ti viene a prendere? –
- Non lo so nemmeno io – Mi era completamente passato di mente di chiederlo a Emma. Ero troppo presa dal pensare a dove sarei andata per chiedermi chi mi sarebbe venuto a prendere. – Emma, tu lo sai?
- Sì, viene un assistente sociale, penso. Credo che ti debbano comunicare dove andrai, prima di accompagnarti. Non penso che ti mandino direttamente anche perché dovrai passare da casa tua per prendere le tue cose, suppongo. –
- Oh, ok grazie. –
- Bene, a dopo Sophie. Arrivederci. – Detto questo esce dalla stanza e io rimango da sola con Jade.
Ci sediamo sul letto e soltanto guardandoci ci capiamo, gli occhi cominciano a pizzicare mentre cerchiamo di cacciare indietro le lacrime e ci stringiamo in un altro forte abbraccio in cui diciamo più di quello che potremmo esprimere a parole.

Alla fine dopo qualche minuto è Jade che rompe il silenzio.
- Sophie, lo sai vero che per te io ci sarò sempre? Chiedimi qualunque cosa e farò l’impossibile per accontentarti. Se potessi ti ospiterei anche a casa mia fino a quando non divento maggiorenne e poi mi trasferirei e ti adotterei, ma purtroppo la scelta non dipende da me, i miei genitori hanno già tre figli a cui pensare e doverne sfamare un quarto per loro è impensabile. -
- Tranquilla, Jade. Lo so che posso sempre contare su di te se ho bisogno. Non serve che tu me lo dica. Ti chiedo solo di rimanermi accanto, sei l’unica che può capire davvero come mi sento e da sola non ce la faccio a superare tutto questo –
- Certo, tesoro. Non ce nemmeno bisogno di chiederlo. Sai che farei questo ed altro per te -
- Mi mancano davvero tanto, Jade. Ogni giorno che passa è come se il vuoto che ho dentro si allargasse sempre di più. – Ormai non ha più senso trattenere le lacrime. Mi sono tenuta tutto dentro per troppo tempo. Ora è giusto che mi sfoghi un po’.
- Lo so, Sop. Mi sento nello stesso modo. È come se qualcosa qui dentro, dentro al petto, è come se stesse crescendo sempre di più. E cresce nutrendosi di me. Mancano tanto anche a me, e non solo Jay, ovvio, anche Rose e Charlie. Erano come due secondi genitori per me. Dobbiamo farci forza a vicenda e aiutarci a superare questo brutto momento. Col tempo tutto sarà più facile. Non dico che si sistemerà ogni cosa, ma sarà più facile. -
- Certo, dobbiamo avere fiducia nel tempo. Il tempo guarisce tutto, sì.- Il tempo guarisce ogni ferita, dicono. Speriamo sia vero. – Ma ora cambiamo argomento, ti prego. Parlami del tuo viaggio in Francia. Com’è stato? –
- È andato alla grande, fino a Natale, dopo non lo so. Negli ultimi giorni ero come un robot. Mi muovevo, facevo tutto, ma era come se la testa fosse da un’altra parte. Col corpo ero in Francia, ma con la mente ero qui a Londra. Se sono rimasta lì fino a ieri, è perché non potevo partire, l’aeroporto era chiuso per il maltempo. Ma credimi, fosse per me sarei venuta qui subito dopo l’incidente. –
- Non ti preoccupare, piuttosto parlami della prima parte del viaggio, cos’hai visto? –
- Sono stata due giorni interi a Parigi. Ho visto tantissime cose, tutti i luoghi più belli, entrambe le sere sono stata sulla Torre Eiffel, è stupenda. Ho comprato moltissime cose. La vista dalla cima della Torre è mozzafiato. Da lì si vede quasi tutta Parigi. Molte coppie si baciavano, non so se è una tradizione o meno, so solo che è una cosa assolutamente romantica... Avrei tanto voluto che James fosse stato lì con me. – Continua a raccontare, io ascolto rapita. È sempre stato il mio sogno visitare Parigi, la città dell’amore. Mi dice tutto quello che ha visto, ogni cosa che ha fatto. Alla fine mi consegna un pacchetto, dicendo che appena l’ha visto a pensato subito a me. Lo scarto: è una confezione della Lancôme, che contiene ogni genere di prodotto di cosmetici: da creme e trucchi per il viso a smalti per le unghie a lozioni per il corpo. Direi che come regalo è azzeccato: lei sa quanto mi piaccia sperimentare nuovi trucchi e nuovi abbinamenti di colori e di stili.
- Ti piace? – Mi chiede Jade appena vede l’espressione sul mio volto.
- Sì, tantissimo! Grazie mille! Lo sai quanto adoro queste cose. –
-Lo so, te l’ho preso apposta. Comunque avevo comprato anche questi per i tuoi genitori e per James. Però voglio che li tenga tu. – Mi porge tre pacchetti. Sul primo c’è scritto “Alla seconda mamma e cuoca migliore del mondo. Per essere alla moda anche davanti ai fornelli”. Lo apro e contiene un grembiule da cucina con l’immagine di alcuni piatti tipici francesi e c’è anche ricamato il nome “Rose”. Abbinati ci sono anche due guanti, sempre da cucina. – So quanto piaceva cucinare a tua mamma. –
- Già, le sarebbero piaciuti davvero molto. – Apro il secondo pacchetto su cui c’è scritto “Al signor Adams che ama intrattenere gli ospiti descrivendo i suoi viaggi migliori. Un piccolo pensiero per immortalare i momenti speciali.” E ne tiro fuori un album fotografico con le foto della Francia e l’ultimo modello di macchina fotografica della Canon. Papà amava fotografare tutto. Il terzo pacchetto ha solo una breve frase “A cento di questi giorni, amore”. Lo scarto e tiro fuori una cornice che contiene una foto di Jade e mio fratello sul London Eye e una collana di quelle che hanno il cuore diviso a metà per regalarne una alla persona amata. Alzo lo sguardo su Jade e mi accorgo che sta piangendo. D’istinto la abbraccio.
- Forse questo è meglio che lo tenga tu...-
In quel momento entra Emma per avvisarci che gli assistenti sociali sono arrivati dovrei scendere.

Prendo le scale, per guadagnare tempo. Cammino il più lentamente possibile, ma quando arrivo nell’atrio dell’ospedale per poco le mie gambe non cedono. Non è difficile riconoscere quelli dell’assistenza sociale, sono due uomini in giacca e cravatta, immobili, con un'espressione talmente seria che sembrano quasi dei manichini. Mi avvicino molto lentamente cercando di mostrare una sicurezza che non possiedo affatto.
Appena si accorgono della mia presenza si voltano verso di me, dopo essermi detti qualcosa fra loro.
- Lei è la signorina Sophie Adams? – Mi chiede uno dei due guardando scettico Emma e Jade.
- Sì, sono io. –
- Bene, noi siamo degli assistenti sociali e dato che sei minorenne, il nostro compito è affidarti a qualcuno che abbia le competenze adatte. –
- D’accordo. E chi sarebbe questa persona? – Ma non possono farla breve e dirmi dove andrò a vivere?
- Non c’è fretta, ragazzina. – Oh, forse per loro non c’è fretta – Prima di tutto dovremmo parlarne in privato. Chi sono queste ragazze? –
- Può tranquillamente parlare davanti a loro. Lei è la fidanzata di mio fratello, non abbiamo segreti, e lei è l’infermiera che mi ha aiutato in questi giorni. –
- La ragazza passi, ma l’infermiera non può restare. –
- Sì, certo. Allora io vado. E... buona fortuna, Sophie. Addio. –
- Grazie, Emma. Grazie di tutto. – La abbraccio e poi la guardo allontanarsi finchè gli assistenti non riportano la mia attenzione su di loro.
- Come dicevo, abbiamo trovato qualcuno che potrebbe adottarti. È l’unica tua parente che siamo riusciti a rintracciare. Si chiama Barbara Costantini,  è una zia di tua madre, sorella di tuo nonno... – Costantini, sorella del nonno, il nonno è italiano.... no, non può... – e abita in Italia. – Ecco, appunto.
-I-in Italia? - io e Jade eravamo entrambe sbalordite.
- Certo. Questa tua zia abita in Italia, a Venezia. Quindi dovrai trasferirti lì. Che tu lo voglia o no. 


*Spazio dell'autrice*
Ciao a tutti!! Come vi è sembrato questo primo capitolo? Vi è piaciuto? Spero tanto di sì. Mentre lo scrivevo ho quasi pianto e penso che sia davvero commovente...
Ovviamente la storia non è incentrata solo su Sophie e quindi dal prossimo capitolo scopriremo la vita che vivrà in Italia, e come la vivrà. Il genere è romantico ma non è il tema principale. Tutto si svolge attorno al rapporto fra Sophie e Martina (la vedrete nel prossimo capitolo, e con questo ho già svelato troppo :D)
Questa storia è stata scritta anche dal punto di vista di Martina, l'altra protagonista, dalla mia amica, o meglio socia, e la potete trovare sempre su questo account, quindi...leggetelaaaaaaaaaaa!!! XD 
Mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate e quindi vi chiedo di lasciare qualche recensione appena avete un po' di tempo. Per un'autrice è importante sapere cosa pensano i lettori e poi fa sempre piacere vedere che qualcuno è interessato ai suoi scritti :)
E con questo vi lascio. Ciauuuz!
Silvia

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Capitolo 2
*** Trasferimenti ***


Trasferimenti

 
- Dovrò trasferirmi in Italia – Mormoro ancora sotto shock. Dovrò lasciare tutti i miei amici, le persone a cui tengo, la mia casa, la mia città, la mia vita. Tutto, insomma. E ricominciare da capo. Una vita nuova, in un Paese straniero, con una famiglia di cui non so assolutamente niente. – Siete sicuri che io non abbia nessun altro parente? Magari in Inghilterra? –
- No, ci spiace. L’unica persona che abbiamo trovato è questa sorella di tuo nonno –
- Oh, d’accordo. – Che mi piaccia o no, andrò a vivere a Venezia.
– Domattina alle 10.00 dovrai prendere l’aereo che ti porterà a destinazione. - Riprende a parlare uno degli assistenti. - Ovviamente verremo a prenderti noi e rimarremo con te fino a quando non ti sarai stabilita definitivamente in Italia. Dopodichè, per ogni problema o qualunque cosa dovrai contattare il mio collega, il signor Bardi – indica l’altro uomo, quello che aveva parlato pochissimo, che dato il cognome presumo sia italiano, che annuisce – che abita non molto distante da Venezia e per qualsiasi problema potrà aiutarti. A tua zia rimarranno i nostri biglietti da visita quindi non sarà difficile rintracciarci. Detto questo, hai il pomeriggio libero, ma ti ricordo che domattina alle 8.00 dovrai farti trovare pronta –
- Va bene, ma questa sera dove dovrei cenare e soprattutto dove dovrei dormire? –
- Ehm... – Cos’era quell’incertezza? Non posso avermi lasciata al mio destino e non aver pensato che avrò bisogno di mangiare e dormire e magari anche di un posto dove stare fino a domani, non è possibile.
- Sop, non ti preoccupare, per questa sera potrai stare da me. Ceni a casa mia e dormi lì. Ti lascio anche la mia camera così sarai più comoda –
- Grazie, Jade. Sei un tesoro, ma a dire il vero preferisco passare l’ultima notte a casa mia – Jade era una ragazza fantastica e un’amica unica. Mi avrebbe sicuramente fatto comodo stare un po’ con lei, non l’avrei rivista per molto tempo. Ma appunto perchè non sapevo se sarei tornata qui abbastanza presto, volevo rimanere un po’ nella mia vecchia casa, sì, perché quella ormai era la mia vecchia casa.
- Non puoi rimanere da sola tutta la notte, sei minorenne. Dovresti accettare l’offerta della tua amica – Ma questi sempre in mezzo erano? Prima mi dicono che andrò a vivere lontano chilometri e chilometri da tutto quello a cui tengo come se mi dovessero informare che andiamo tutti insieme a fare una bella scampagnata nei boschi, poi non si preoccupano nemmeno di fargli passare per l’anticamera del cervello che avrò bisogno di un posto dove mangiare e dormire, e infine mi dicono pure cosa dovrei fare quando loro non se ne sono minimamente preoccupati? Ma che razza di assistenti sociali erano?
- Allora visto che vuoi stare a casa tua, posso venire a farti compagnia io, se per te va bene. Chiedo a mio fratello Charley di rimanere con noi, lui è maggiorenne. – Jade si rivolge prima a me e poi ai due uomini.
- Devi decidere tu. Dove andrai per questa notte non ci riguarda. L’importante è che sia presente un adulto. – Risponde uno dei due con tono impaziente. Di sicuro non vedono l’ora di sistemare la povera ragazzina orfana e andare per i fatti loro.
- D’accordo se per Charley non ci sono problemi per me va benissimo. Scusa, ma voglio proprio stare a casa mia. Ne ho davvero bisogno. –
- Certo non ti preoccupare – Ho già detto quanto amavo Jade? Non so davvero cosa avrei fatto senza di lei.
- Bene, allora verremo a prenderti a casa tua domattina. – Fanno per andarsene ma si fermano. - Dimenticavo, credo che vorresti riavere gli oggetti che i tuoi genitori avevano con loro la sera dell’incidente. – Sentire le parole “sera” e “incidente” associate fa male, molto male, è un colpo in pieno petto. Non ho ancora accettato del tutto la morte della mia famiglia. D’altronde sono passati pochi giorni, come avrei potuto in così poco tempo?
- Oh, sì certo – Rispondo sovrappensiero.
- Bene, vado a prendere la borsetta di tua madre in auto, è l’unico oggetto ritrovato – Annuisco, ma non sto ascoltando molto in realtà. Nell’udire quella frase, però, mi risveglio. Cosa vuol dire che è l’unico oggetto che hanno recuperato? A quanto ricordo io c’era altro in macchina. Oltre ovviamente ai portafogli di mio padre e di James e alla mia pochette che però era insieme ai miei vestiti nell’armadio della camera d’ospedale.
Quando l’assistente torna ha in mano la pochette lilla di mia mamma, quella che aveva abbinato all’abito che indossava quella sera. Era la sua preferita ed ora è ridotta in condizioni pessime: ha molte macchie nere sparse qua e là, sembrano quasi macchie di bruciato.
- Ecco, questo è tutto ciò che rimane dell’incidente. – Mi porge la borsetta ed io la prendo con le mani che tremano. La rigiro fra le dita e la stringo osservandola. Quelle sono macchie di bruciato.
- Cosa vuol dire che è l’unico oggetto ritrovato? E perchè sembra che sia stata in mezzo al fuoco? –
- Vedi, secondo un testimone, quella sera, il conducente dell’altra auto, che non ha subito lesioni gravi, ha fatto appena in tempo a chiamare un’ambulanza e a trascinare i vostri corpi fuori dalla macchina che i due veicoli sono esplosi. Il primo a morire è stato Mr. Adams, era il più vicino all’esplosione e la quantità eccessiva di fumo nei polmoni ha contribuito all’emorragia che si che è creata dopo lo scontro. È morto mentre lo trasportavano qui. –
- E... mia madre e James? Quando è successo? – Non posso fare a meno di chiederlo. Appena ho saputo che ero sopravvissuta solo io non ho avuto il coraggio di domandarlo a nessuno. Non volevo stare ancora più male sapendo i dettagli, ma ora ne ho bisogno. Non posso andarmene senza sapere cos’è accaduto quella maledetta sera.
- Mrs. Adams, a causa del forte impatto ha sbattuto il viso contro il cruscotto e poi le sono crollati addosso i frantumi del vetro causando profonde ferite. È morta il giorno dopo in ospedale. –
- E James? –
- Tuo fratello è stato il più forte. È quello che ha resistito di più. Nell’incidente è stato sbattuto con forza contro il sedile anteriore, fratturandosi una costola. Le sembrerà una cosa non troppo grave, ma a causa dei successivi spostamenti dall’auto alla strada e poi sulla barella dell’ambulanza questa costola si è spostata e ha forato un polmone e... –
- E poi è morto. – Concludo io.
- Esatto, la sera dopo l’incidente se n’è andato anche lui. – Guardo Jade, è in lacrime. Non riesce a tenere gli occhi aperti, a guardare qualcuno, e si copre la bocca con una mano nel vano tentativo di placare i singhiozzi. Sono ridotta così anch’io, solo che il mio dolore è interno. Sono riuscita a trattenermi, a ricacciare indietro quasi tutte le lacrime che tentavano di uscire, ma poi, vedendo Jade in quello stato, non resisto più e mentre l’abbraccio scoppio anche io. Per la terza volta in poche ore mi sfogo piangendo.
Dopo un po’ mi stacco da Jade, tentando di ricompormi.
- Dentro ci sono anche i portafogli di tuo padre e tuo fratello. –
- D’accordo. –
- Bene. Credo sia tutto. Se dovesse venirci in mente altro che ti riguarda ne parleremo domattina. Detto questo, a domani. Mi raccomando, sii puntuale. Alle 8.00 ti verremo a prendere a casa. -
I due uomini mi voltano le spalle, mentre Jade si allontana per telefonare a Charley. In quel momento vedo entrare Alex e Cleo che appena mi notano mi vengono incontro velocemente per poi soffocarmi in un abbraccio affettuoso. Quanto mi sono mancati i loro abbracci. Non ci siamo ancora visti una volta da quando sono iniziate le vacanze natalizie. Sono i miei migliori amici praticamente da sempre e ci sono sempre stati, in ogni momento, bello o brutto che sia stato.
- Sophie, tesoro! Come stai? Scusa, scusa, scusa! Volevo venire appena ho saputo che ti eri svegliata ma non ce l’ho davvero fatta! Scusa, mi dispiace tantissimo! –
- Ehi, ehi, Cleo, tranquilla! L’importante è che tu sia venuta, non importa quando. Sono contenta che siate qui. Devo dirvi tantissime cose, tra cui una molto importante.
- Sop, cos’è successo ancora? – Questa volta è Alex a parlare. Con me è sempre così dolce. È il migliore amico che una ragazza possa avere.
- Ecco, ragazzi, non so come dirvelo, solo che... non possiamo più vederci come prima. – L’ho detto tutto d’un fiato. Senza dettagli certo, ma l’ho detto. Spero capiscano.
- Cosa vuoi dire Sop? Anche se cambierai casa verrai sempre a scuola con noi, no? E comunque, anche se cambiassi città e scuola, ci possiamo vedere lo stesso. Non tutti i giorni certo, ma abbastanza spesso. -
- No Cleo, mi dispiace. – La interrompo subito, prima che salti a conclusioni affrettate. – Da domani... da domani vivrò a Venezia, in Italia. – Finalmente l’ho detto.
- Che cosa? – Mi domandano entrambi restando a bocca aperta per lo stupore.
- Cosa vuol dire che andrai a vivere in Italia? – Mi chiede Alex sbalordito.
- Vuol dire che andrò a vivere in Italia. Avete notato i due uomini in giacca e cravatta che sono usciti quando voi siete entrati? Ecco, quelli erano assistenti sociali che dovevano trovarmi una famiglia a cui essere affidata visto che sono minorenne. E l’unica mia parente che hanno rintracciato abita in Italia.
- Davvero? – La voce di Cleo è pericolosamente incrinata. – Te ne andrai in Italia? –
- Non ho altra scelta. – Così dicendo, con la voce rotta anch’io, l’abbraccio mentre scoppiamo a piangere, di nuovo, una sulla spalla dell’altra e sentiamo Alex che ci stringe fra le sue braccia, quasi come se ci volesse tenere unite e proteggerci. Restiamo così abbracciati per almeno cinque minuti. Io, Cleo e Alex. Resto così, fra le braccia dei miei migliori amici di sempre, le persone a cui tengo di più.
Quando ci stacchiamo e ci guardiamo negli occhi, noto che anche Alex, il ragazzo forte, quello che affronta tutto a testa alta, il ragazzo che non piange mai, ha gli occhi lucidi. Non l’ho mai visto piangere, se non dalle risate, e non voglio di certo che lo faccia a causa mia. Guardo Cleo e nell’istante in cui i nostri sguardi si incrociano sorridiamo entrambe. Sta pensando la stessa cosa che sto pensando io, ne sono certa: è la prima volta in dieci anni d’amicizia che lo vediamo sul punto di piangere.
- Che avete da ridere, ragazze? – Ci chiede infatti lui.
- Niente, niente. – Ci affrettiamo a ribattere noi due. Nel frattempo Jade ha chiuso la telefonata con Charley e ci sta raggiungendo.
- Per Charley va bene se questa notte dormiamo da te, almeno ti facciamo compagnia. –
- D’accordo. Ma ora basta parlare di cose tristi. Godiamoci questo ultimo pomeriggio tutti insieme, vi va?
- Ma certo, tesoro! – Cleo farebbe di tutto per vedermi sorridere, lo so.
- Prima però, voglio andare al cimitero. Devo vederli. – Devo assolutamente vederli, non posso partire senza farlo.
- Sai dove li hanno sepolti? – Mi chiede Jade che probabilmente non lo sa.
- Ehm... a dire il vero no. –
- Non vi preoccupate, vi portiamo io e Cleo, ci siamo già stati una volta. –
- Davvero? – Mi rivolgo ad Alex, perplessa.
- Si dopo il funerale siamo andati anche al cimitero. – Mentre io al funerale non sono nemmeno andata.
- Quindi hanno già fatto il funerale. Quando? –
- Tre giorni fa. Il pomeriggio in cui ti sei svegliata dal coma. –
- Oh, grazie per essere andati, davvero. –
- Figurati. Ora andiamo? –
 
Usciamo dall’ospedale e ci dirigiamo alla fermata dell’autobus più vicina per raggiungere il cimitero.
Quando arriviamo Alex e Cleo ci conducono fino alle lapidi dei miei genitori e di mio fratello. Davanti sono posati tantissimi mazzi di fiori coperti in parte dalla neve.
I miei amici si sono fermati poco distanti, per lasciare a me e a Jade i nostri spazi. Lei rimane in piedi di fronte alla lapide su cui è scritto il nome di Jay, le mani nelle tasche del giubbino, impassibile. Con la coda dell’occhio vedo che ha gli occhi lucidi, la bocca serrata e si sta sforzando di non piangere. Io mi inginocchio davanti alla tomba dei miei genitori, sistemo due dei tre mazzi di fiori che ho comprato dal fioraio di fronte al cimitero e poi rimango lì davanti, a ricordare i loro volti felici. Fra poco più di un mese avrebbero festeggiato vent’anni di matrimonio.
Dopo qualche minuto mi alzo e poso il terzo mazzo sulla tomba di James per poi avvicinarmi a Jade e passarle un braccio intorno alla vita mentre lei fa lo stesso con me. Restiamo così, abbracciate e in silenzio, a fissare il vuoto, a non trattenere più le lacrime, a pregare per loro. A rassegnarci al fotto di averli persi per sempre.
Non ce la faccio più, non sopporto più il fatto che quei visi sorridenti che mi immagino di continuo rimarranno lì, impressi nella mia mente, non verranno via con me e non li vedrò più, se non in una semplice fotografia conservata in un posto speciale, un’immagine che non potrà mai sostituire la dolcezza delle parole e del volto di mamma, l’affetto che scorgevo negli sguardi di papà o le provocazioni nei sorrisi sghembi di Jay.
– Ti prego andiamo via. –
- Va bene – mi risponde Jade con una voce priva di qualsiasi emozione. Un’ultima preghiera per loro e poi ritorniamo dai miei amici.
 
******
 
- Ehi, Sop, questi dove te li metto? – Mi chiede Cleo con alcuni dei miei CD fra le mani.
- Mettili in questo sacchetto, grazie – dico porgendole una busta di plastica.
Siamo tornati tutti a casa mia, dove ci ha raggiunto Charley, dopo aver passato tutto il pomeriggio in giro per la città e ora Cleo e Jade mi stanno aiutando a fare le valigie.
- Ragazze vi serve una m… - in quel momento entra Alex – Ma quanta roba ti porti, Sop? – Mi guarda con gli occhi spalancati.
- Alex, non è mica una vacanza. Parto e non so quando torno, mi devo portare più cose possibili.
- Piuttosto, Charley dov’è? –
- È di là, in cucina e sta preparando la cena. -
- La cena? Ma che ore sono? E poi, sa cucinare? Non conosce nemmeno la cucina, non sa dove trovare le cose… -
- Rilassati, gli ho spiegato tutto io e ha detto che sa cucinare bene. Comunque sono quasi le otto, non so voi ma io sto morendo di fame! – Con tutto quello che mi passava per la mente avevo peso anche la cognizione del tempo.
- Sì, tranquilla Sop, Charley cucina benissimo! Forse anche più di me. – mi rassicura Jade.
- Ah, va bene. Andiamo almeno ad apparecchiare la tavola allora. –
La cena è buonissima, Charley ha cucinato degli spaghetti al ragù semplicemente favolosi. “Beh, vai in Italia, d’ora in poi li mangerai più spesso no? Consideralo un piccolo regalo per la tua partenza” Mi ha risposto quando gli ho chiesto come mai avesse cucinato un piatto italiano. Lo ammetto, è un cuoco eccezionale. Sicuramente molto più bravo di me. Non che ci voglia molto a superare le mie doti culinarie dato che io so fare a malapena un piatto di pasta.
Dopo cena e dopo aver finito di sistemare valigie e borsoni, che sono più di quelli che mi aspettavo di portare, decidiamo di guardare un film tutti insieme. Ci impieghiamo minimo mezz’ora per decidere quale guardare e alla fine optiamo per “Bianca come il latte rossa come il sangue” un film italiano uscito qualche mese fa. Insomma, proprio una serata tutta Italiana.
- Forza piccola Sop, ora a nanna che domani ti devi alzare presto. - Mi dice Alex quando il film finisce. “Piccola Sop”? Da quando mi chiama così?
- Va bene p… - Mi blocco, non posso dire “papà” come faccio sempre quando mi tratta come una bambina. Non più. Ora è tutto diverso, se l’avessi detto sarebbe sceso un silenzio abbastanza imbarazzante. Ora la parola “papà” non posso più dirla a nessuno, perché nessuno può prendere il posto di mio padre, neanche se si scherza. Così lascio perdere e vado in bagno a cambiarmi. Gli altri, incuranti di quello che mi è appena successo mi imitano e dopo una ventina di minuti siamo tutti pronti per andare a dormire; Jade nella stanza degli ospiti, Alex e Charley nella stanza di mio fratello in cui c’è un letto in più e io e Cleo nella mia camera, dove la mia migliore amica ha il posto riservato sul divano-letto per tutte le notti in cui sta da me.
Come ogni volta io e Cleo chiacchieriamo un po’ prima d dormire, non possiamo farne a meno.
- Ti ricordi come ci siamo conosciute? – Mi chiede lei ad un tratto.
Mi giro sul fianco in modo da non darle le spalle. Come ci siamo conosciute, non potrei mai dimenticare quel giorno. Mi scappa un sorriso al ricordo. – Ma certo che mi ricordo, come potrei dimenticare il giorno in cui ho conosciuto una delle persone più importanti della mia vita? – Ridacchia anche lei e nel buio le nostre voci si disperdono mentre ci completiamo le frasi a vicenda, nell’intento di ricostruire quel giorno di tredici anni fa, quando al parco giochi, nonostante non avessimo avuto nemmeno tre anni, abbiamo litigato per chi sarebbe dovuta salire per prima sull’altalena. Poi ci siamo rincontrate i giorni seguenti, ogni giorno davanti alla stessa altalena, ogni giorno con l’obiettivo di scoprire un pezzo dell’altra, fra giochi e chiacchere sotto gli sguardi vigili delle nostre mamme, stupite dal fatto che un giorno litigavamo e il giorno dopo eravamo più amiche di prima. Quell’altalena è il nostro punto di ritrovo da anni ormai, dove poi, all’età di undici anni, abbiamo scritto la frase “Sophie e Cleo amiche per sempre” sul legno delle sbarre. Perché la nostra amicizia è così, è fatta di molti litigi e discussioni, ma durerà per sempre. Non sarà certo la lontananza a farla finire. Dopo mezz’ora decidiamo di andare a dormire veramente, siamo esauste e domani sarà il grande giorno.
- Buonanotte Sophie –
- Buonanotte Cleo –

 
*****
 
“Ultima chiamata per i passeggeri del volo C3752 Londra-Venezia delle ore 10.00. Si prega di recarsi al gate 10 per l’imbarco.”
 
Fra pochi minuti sarò su un aereo, pronta a lasciarmi alle spalle Londra e tutta la mia vita, per ricominciare. Ricominciare da capo in un'altra città.
- Non immagini nemmeno quanto mi mancherai. – Sono le prime parole che Alex mi rivolge da quando siamo arrivati in aeroporto e temo che saranno anche le ultime. Mi stampa un bacio sulla guancia e poi mi stringe a sé, come non ha mai fatto, come se non volesse più lasciarmi andare. Ancora una volta ha gli occhi lucidi.
- Ciao, Sophie. – Ennesimo abbraccio della giornata con Jade.
- Promettimi, ti prego Sop, promettimi che col fatto che vai a vivere in Italia non smetteremo di essere amiche, che ci sentiremo tutti i giorni, che qualche volta tornerai, che resteremo comunque unite. Come ci siamo promesse quasi cinque anni fa. –
- Cleo, cosa ci siamo detto ieri sera? Di cosa abbiamo parlato? –
- Di noi e della nostra amicizia. –
- Da quanto siamo amiche? –
- Da quando avevamo tre anni. –
- Giusto. Quasi tredici anni fa. Come ci siamo conosciute? –
- Litigando per un’altalena. – Ormai entrambe abbiamo le lacrime agli occhi.
- Esatto. – Le sorrido. – E pensi che tredici anni di un’amicizia che è iniziata litigando ed è continuata fra pazzie varie possa finire tanto facilmente? –
- No, hai ragione, scusa. È che ho una paura terribile di perderti. Sei la mia migliore amica. Anzi la prima amica che ho avuto nella mia vita. Non riuscirei ad immaginarmi senza di te, o peggio, con un’altra ragazza a fare le stesse cose che faccio insieme a te. –
- Lo so, Cleo, ti capisco. È la stessa sensazione che provo io. Però ti ricordi quella frase, quella sulla nostra altalena? Cos’è che diceva? “Sophie e Cleo amiche per sempre”, e così sarà. Per sempre. –
- Per sempre. – Scoppiamo a piangere e ci abbracciamo. – Devi andare o perderai l’aereo. –
- Lo so. – Però rimaniamo comunque abbracciate. Alla fine sono obbligata a staccarmi.
- Quindi è giunto il momento. –
- A quanto pare. –
- Come farò senza di te? Chi mi tirerà fuori ogni volta dai guai in cui mi caccio? Chi mi fermerà appena in tempo prima che faccia una figura di merda? –
- Sulle figure di merda sono d’accordo, senza di me ne farai molte di più. – Ora ci mettiamo entrambe a ridere e poi a piangere stringendoci di nuovo in un abbraccio. La stringo forte a me, voglio ricordarla così, voglio ricordare i suoi abbracci, voglio che il suo profumo mi si impregni nei vestiti così in viaggio mi sembrerà di averla accanto. Quando ci stacchiamo diventiamo entrambe serie.
- Questo è un “ciao” non un “addio”. Ricordalo sempre. –
- Tornerai? –
- Tornerò. –
- Allora ciao. –
- Ciao Cleo. –
Faccio vagare lo sguardo su ognuno dei presenti, compresi tutti i miei compagni di classe che sono venuti a salutarmi e che sicuramente avranno saputo tutto da Alex o Cleo.
Subito arriva uno dei due assistenti ad avvisarmi che l’imbarco sta per chiudere. Ho già salutato tutti, ma incrociando lo sguardo con ognuno di loro è come se lo facessi di nuovo.
Mi avvio verso la pista e a metà della scaletta per salire sull’aereo mi volto e mi ritrovo a cercare i volti dei miei amici fra la folla accalcata alle vetrate. Scorgo Cleo, che mi fissa con le guance rigate dalle lacrime e che appena capisce che la sto guardando mi sorride rassicurante. Vedo anche tutti gli altri. Alex, Jade, Charley, i miei nonni materni che sono stati accompagnati fin qui solo per salutarmi, Elisa, Savannah, Mark, Joe, Rick e tutti gli altri miei compagni, compreso Jake, il mio ex ragazzo, che ho lasciato alla fine dell’estate perché mi aveva tradita. Lui è l’unico che non sorride, che non ha né un’espressione rassicurante, né una dispiaciuta o felice. È impassibile, è lì che mi punta le sue iridi color ghiaccio addosso che mi squadrano con un’espressione dura e indecifrabile. Stampata su quel volto che raramente lascia trapelare qualche emozione.
È il momento. Finisco di salire quei benedetti scalini senza più voltarmi indietro e sono dentro. Pronta, o quasi, ad una nuova vita.
 
*****
 
Fuori dall’aeroporto troviamo una Mercedes blu ad attenderci. Prima di salire in auto mi fermo a respirare a pieni polmoni l’aria di Venezia. È così diversa da quella di Londra: è più leggera, meno inquinata e ha il tipico sapore salmastro delle città vicine al mare.
Salgo in auto e l’uomo che di cognome fa Bardi parte, percorrendo strade e stradine in direzione della casa di questa zia a me sconosciuta.
Durante il tragitto noto che spesso i due assistenti si lanciano occhiate strane come se ci fosse qualcosa che non vada e di cui io sono all’oscuro.
 
Il viaggio in macchina dura circa un’ora, dall’aeroporto fino alla zona di Venezia S. Lucia, dove lasciamo la macchina per raggiungere il terminal dei traghetti e prendere il battello che ci avrebbe portato a destinazione. Meno di mezz’ora dopo il battello attracca al terminal e ci incamminiamo verso una stradina subito di fronte. Il cartello col nome della via dice “Calle Vallaresso”.
Quando ero piccola mio nonno, il papà di mamma, ogni tanto mi insegnava qualche parola o espressione in Italiano e l’anno scorso ho deciso di frequentare un corso per imparare meglio la lingua quindi un po’ lo parlo e lo capisco.
È una via strettissima, ma piena di negozi, molti anche di marche famose.
I due uomini si fermano davanti ad un portone e suonano il campanello. Risponde una donna e dopo che gli assistenti le dicono i loro nomi si sente un verso come di disappunto ma il portone si apre.
Anche se l’esterno non ha un bell’aspetto l’interno dell’appartamento è esteticamente molto elegante. È grande e spazioso e dall’ingresso, alle cui pareti sono appese tante fotografie, parte un lungo corridoio su cui si affacciano parecchie stanze. La signora ci fa accomodare in salotto, su dei divanetti in pelle e da brava padrona di casa ci offre da bere. Mi osservo intorno; c’è un piccolo caminetto in fondo alla stanza con alcuni oggetti appoggiati sul ripiano sopra, varie foto e cornici sulle mensole dei mobili e due finestre piuttosto grandi che illuminano moltissimo l’ambiente e da una di esse si accede ad un piccolo balconcino alle cui ringhiere di metallo lavorato sono appese un paio di fioriere contenti molti tipi di fiori bellissimi.
- Nonostante quello che ci ha detto al telefono, signora Costantini, abbiamo pensato che fosse meglio se lei conoscesse di persona la ragazza – Comincia il signor Bardi con tono sicuro. Lei annuisce impassibile.
- Sapete però come la penso su questa faccenda. –
- Signora, - la interrompe subito lui – è pur sempre una nipote di suo fratello, il quale è impossibilitato a prenderla in custodia. –
- Posso intervenire? – Chiedo quasi con timore. – Buongiorno signora, io sono Sophie Adams, ma questo lei lo sa già. Mi sembra di capire che qui non sono la benvenuta. In fondo la capisco anche: si trova ad essere quasi costretta a dover adottare una ragazza che, pur essendo una sua parente, non ha mai visto in vita sua e non deve essere certo facile, né per lei, né per me. Però la prego di pensarci su. Io ho dovuto lasciare tutta la mia vita a Londra per venire qui contro la mia volontà, perciò la prego anche di mettersi nei miei panni e provi anche a capirmi. – Faccio il mio discorso cercando di parlare il più possibile in italiano e cercando di non fare troppi errori, ma non credo di esserci riuscita molto.
- Sophie, ci lasceresti da soli con la tua prozia, per favore? Potresti cominciare a fare un giro per il quartiere, c’è un parco proprio vicino al terminal dei traghetti da cui siamo arrivati. Così nel frattempo noi chiariamo questa questione. – Un modo carino per dire “Fuori dalle scatole che dobbiamo parlare”. Nonostante questo seguo il loro consiglio e due minuti dopo mi ritrovo fuori di casa a cercare di ripercorrere la strada che avevo fatto poco prima con gli assistenti.
Raggiungo il parco senza troppe difficoltà; è bello e grande. Appena trovo una panchina libera mi siedo e tiro fuori un libro dalla borsa, tanto per ingannare il tempo leggendo. Controllo anche il cellulare ma non trovo niente di nuovo. Mi stringo nel cappotto e tiro su la sciarpa affinché mi copra quasi tutto il naso e poi comincio a leggere.
Poco dopo noto con la coda dell’occhio arrivare un gruppo di ragazzi che si ferma poco distante. I maschi cominciano a giocare a pallone, mentre vedo due ragazze allontanarsi per raggiungere un posto dove sedersi e chiacchierare tranquille. Una delle due mi colpisce particolarmente: ha lunghi capelli castani e devo ammettere che è molto bella, ma soprattutto indossa abiti dall’aria abbastanza costosa e da lontano il telefono che tiene fra le mani sembra un Iphone. Osservandola bene noto anche che ha spesso lo sguardo rivolto verso il gruppo di ragazzi che giocano a calcio. Uno di loro devo ammettere che non è niente male. È un bel ragazzo, abbastanza alto, capelli scuri e occhi verdi. Corre dietro alla palla con un’espressione felice stampata in volto. Distolgo lo sguardo e mi immergo ancora di più nella lettura.
Non passa molto tempo quando mi accorgo che il ragazzo carino e un suo amico mi stanno fissando. Appena alzo lo sguardo loro si voltano dalla parte opposta e continuano a parlare come se nulla fosse, ma nel momento in cui io chino di nuovo la testa sento i loro occhi che tornano a squadrarmi. Devo ammettere che anche l’amico non è male: fisico asciutto, anche lui alto, moro e occhi castani.
In quel momento la ragazza si alza e si avvicina a quest’ultimo mormorandogli qualcosa. Lui non le da retta, troppo impegnato a seguire l’amico con lo sguardo che, mi accorgo solo ora, sta venendo verso di me. Mi rituffo nel mio libro, ma senza successo perché un istante dopo me lo ritrovo seduto accanto.
- Ciao! Sei nuova? Non ti ho mai visto da queste parti. – Comincia leggermente in imbarazzo.
- Io… sì, mi sono appena trasferita. – Perché ormai mi sono trasferita, no?
- Non sei italiana, vero? – mi sorride - Si sente che hai l’accento straniero. Di dove sei? –
- Londra. –
- Wow! È una città magnifica! Vorrei davvero andarci. Oh, scusa non mi sono presentato. Io sono Simone. –
- Piacere, Sophie. –
- Per essere inglese però lo parli abbastanza bene l’Italiano. – Altro sorriso.
- Grazie. – Mormoro sottovoce. Mi sento le guance completamente in fiamme. – Ho imparato da mio nonno. –
- Vieni ti faccio conoscere i miei amici. –
Non ho nemmeno il tempo di ribattere che mi ha già preso la mano e mi sta letteralmente trascinando verso il gruppo di ragazzi.
Mi presenta e tutti mi salutano gentilmente, o meglio quasi tutti. La ragazza dai vestiti costosi mi fissa, ha uno sguardo strano, che può sembrare quasi d’odio. Cosa possibile se solo mi conoscesse almeno un po’. L’amico di Simone, invece non ha ancora smesso di guardarmi.
- Io devo andare. – È stata sempre lei a parlare, con un tono di voce alquanto seccato.
- Ti accompagno io, Marti. – Questa, invece, è la voce di Simone.
Salutano tutti e si voltano per tornare a casa. Faccio lo stesso anche io. Sono stata in giro abbastanza e comincia a farsi buio. Devo tornare dalla signora Costantini e sapere cosa ne sarà di me.
Durante il tragitto ripenso a tutto quello che è successo questo pomeriggio, dall’arrivo a Venezia all’incontro con Simone e quella ragazza, Martina.
Quando arrivo a casa della signora gli assistenti mi comunicano che quest’ultima non può (o non vuole?) assolutamente prendermi in affidamento, ma che hanno trovato una casa-famiglia dove posso stare finché non divento maggiorenne o qualcuno non decide di adottarmi.
 
*****
 
L’edificio che occupa la casa famiglia si trova dall’altra parte della città. È una grande villa con un parco visibile dall’esterno. Noto molti ragazzi e ragazze che passeggiano, lasciando le impronte nella neve fresca. A vedere loro non sembra un brutto posto.
Entro accompagnata dai due uomini che mi conducono subito nell’ufficio della direttrice. È una donna sulla quarantina, elegante e molto raffinata. Indossa un tailleur beige che mette in risalto la sua figura alta e slanciata e ha dei lunghi capelli castani che contrastano col verde dei suoi occhi. Ha tratti molto simili alla ragazza del parco.
- Buongiorno signora Versace. Sono il signor Bardi e questo è il mio collega, Mr. Jones. L’abbiamo contattata poco fa per discutere del caso di questa ragazza, Miss Sophie Adams. –
- Oh, sì, buongiorno! Accomodatevi pure! – Risponde la donna in modo cordiale. – Dunque, piacere Sophie, io sono Francesca Versace, la direttrice di questa casa-famiglia. –
- Piacere di conoscerla – Ribatto secca e lei mi sorride.
- Il signor Bardi e Mr. Jones mi hanno spiegato la tua situazione e sono davvero dispiaciuta per te. Mi piacerebbe moltissimo aiutarti provando a farti ricominciare da qui, ospitandoti in questa struttura. Sono sicura che ti troverai molto bene. –
- Quindi è deciso? Rimarrò qui? Non tornerò a Londra? – La donna mi guarda senza dire una parola.
- Sophie, - comincia Mr. Jones – anche se tua zia non può ospitarti, devi comunque poter fare affidamento su qualcuno, possibilmente un parente, e lei è l’unica che può svolgere questo compito. Quindi finché non compi diciotto anni devi rimanere qui, a meno che non ti adottino prima.
Se questo significa rimanere qui solo due anni e mezzo posso anche accettarlo. Alla fine non sembra male come posto e Francesca sembra una donna disponibile, ma appena compirò diciotto anni me ne vado e torno a Londra dai miei amici e riprendo la mia vita.


*Angolo autrice*
Scusate scusate scusateee!! Per questo capitolo vi ho fatto aspettare non so quanti mesi. Non so nemmeno se meriti qualcuno che lo legga :(
Vi giuro che avrei voluto pubblicarlo più di un mese fa, anzi è un bel po’ che è finito, ma mi mancava proprio il tempo di scriverlo al computer.
No so se qualcuno abbia pensato che fossi sparita dalla circolazione, comunque nel caso vi dico che non è così. Non sono sparita e non lo farò, almeno spero. La storia continuerà, anche se dovessi metterci anni per finirla. L’ho iniziata e la finirò, ve lo prometto.
Non vi posso però garantire aggiornamenti regolari, mi dispiace ma ho un’altra long sul mio profilo che è nelle stesse condizioni di questa e fra una e l’altra gli aggiornamenti saranno a distanza di molto tempo, mi dispiace molto.
Passiamo al capitolo. Vi posso dire che questo è un po’ il capitolo svolta: Sophie si trasferisce in Italia e conosce quelli che saranno i personaggi principali di questa fanfiction, che non vi dico chi sono :P
Qui abbiamo conosciuto i suoi amici e la storia della loro amicizia, soprattutto quella con Cleo.
Abbiamo capito un po’ cos’è successo la sera in cui tutto è iniziato e aggiungo che potrei scrivere un piccolo Missing moment sulla sera dell’incidente, ma questa è solo un’idea, devo trovare più che altro il tempo di farlo…
Non so che altro dire sul capitolo quindi aspetto vostri pareri, sapete che mi fa sempre piacere ricevere anche solo un piccolo commento!
Se volete sapere qualcosa in più o per qualsiasi cosa potete aggiungermi su facebook, mi chiamo Sylvia Efp o potete anche contattarmi sul mio profilo di EFP _sylvia_
Per chi seguisse anche il pov di Martina non dirvi niente riguardo al prossimo capitolo, mi spiace.

Baci e al prossimo capitolo (che potrebbe essere fra mille anni :D)
Silvia


Edit 7/09/15: Dato che ormai questa storia sembra abbandonata (la collaborazione da cui era nata non è andata a buon fine), sia da me che dall'autrice che scriveva il pov di Martina, ho deciso di cancellare OPS - pov Sophie da questo account per ripubblicare SOLO il primo capitolo come OS sul mio account EFP (il cui link è nelle note qui sopra). Se mi tornerà la voglia di continuare questa storia la pubblicherò, ovviamente sul mio account, come seguito della OS ripartendo da questo capitolo.  

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