Dizionario di parole fraintese

di Damson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Priorità ***
Capitolo 3: *** Passabile ***
Capitolo 4: *** Sguardi ***
Capitolo 5: *** Stronzate ***
Capitolo 6: *** Scherzo ***
Capitolo 7: *** Raccomandazione ***
Capitolo 8: *** Fitzwilliam ***
Capitolo 9: *** Elisabetta ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

DISCLAIMER
Questa è un'opera di fantasia.
Purtroppo.
Nomi, personaggi, luoghi ed eventi sono in parte frutto delle fantasie delle autrici, in parte attinti a piene mani dall'opera di Jane Austen Orgoglio e pregiudizio.
Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale. Non sempre.
Tutti i cognomi utilizzati sono veri: a chiunque possedesse uno dei cognomi presenti (Benetti, Colli, Lucà...sì, e anche tu, Darcy) assicuriamo che non ti conosciamo e non abbiamo niente di personale contro di te.
Una scusa speciale va, invece, a Milan Kundera, il cui capolavoro L'insostenibile leggerezza dell'essere è stato motivo di ispirazione  e di barbaro saccheggio.
 
 
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Prologo
 
“Perché proprio in questo modo sono costruite le vite umane. Sono costruite come una composizione musicale. L’uomo, spinto dal senso della bellezza, trasforma un avvenimento causale (la musica di Beethoven, una morte alla stazione) in un motivo che va poi a iscriversi nella composizione della sua vita. Ad esso ritorna, lo ripete, lo varia, lo sviluppa, lo traspone, come fa il compositore con i temi della sua sonata.”
(Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere.)
 
 
Elisabetta Benetti fece fare l'ultimo giro alla chiave e poi spinse la porta verso l'interno per assicurarsi che fosse ben chiusa.
In quel momento la voce di Carlotta invase l’androne delle scale.
“Se hai chiuso muoviti! Ho lasciato la macchina sul marciapiede!”
“Scendo! E spero che Maria sia già arrivata! Scendere di corsa le scale con le valigie e questo caldo…” Elisabetta non aveva messo neanche un piede fuori dal portone che venne interrotta dalle rimostranze di Maria: “Certo che sono qui! Quando si dice di partire alle nove, alle nove bisogna essere pronti… se avevi bisogno di tempo aggiuntivo, ce lo avresti dovuto comunicare ed avremmo posticipato la partenza! Gli orari vanno sempre rispettati!”
“Certo eminenza. Buona giornata anche a lei, sono felice che si sia svegliata di buon umore stamani”
“Non fai ridere Lisa! Come puoi non capire che se una persona ti sta parlando seriamente non puoi fare battutine?”
“Senti Maria, sono le nove di mattina e dobbiamo stare insieme in auto per almeno tre ore. Siamo partite decisamente col piede sbagliato.”
“Concordo. Escludendo la considerazione che siano le nove di mattina… sono già le nove e venti.”
Carlotta strappò la valigia dalle mani di Elisabetta “Preso tutto?”
“Credo di sì; ma anche se non fosse, pazienza. Tanto devo tornare qui tra due settimane.”
“E per quale motivo?”
Elisabetta non poteva non essere anticipata dal tono petulante di Maria “Per gli esami Carlotta, per gli esami… volte sbrigarvi a mettere nel baule quella valigia?”
“Ma come funziona? Devi tornare per forza o lo fai per dare una mano?”
“Funziona? Decide il professore. È così per tutto no? Ci sono delle regole, ma tanto loro fanno come vogliono…. Posso guidare io?”
“No. E comunque Lisa, pensa positivo: quando sarai un professore potrai fare come meglio credi.”
“Quando io sarò professore l’unica cosa che meglio crederò di fare sarà comprarmi una dentiera nuova!”
Carlotta si prese una pausa per ridacchiare e Maria, che era fin troppo tempo che non parlava, ne approfittò: “Elisabetta dovresti smetterla con queste lamentele vane, sono fini a loro stesse. Non avresti dovuto fare, fin dal principio, la scelta del dottorato: sapevi che sarebbe finita così. Persino il babbo, che notoriamente e per motivi poco comprensibili ha sempre fiducia nel tuo giudizio, in questo caso ha fatto di tutto per convincerti a cambiare idea ed a lavorare con lui in libreria!”
“Ecco, perfetto! ora le mie lamentele sono vane… prego Maria, dopo questa puoi pure sederti dietro da sola.”
Maria, con aria altamente stizzita, aprì la portiera dell’auto.
“Sei solo una ragazzetta, non ti si può dire niente di serio!”
“Oh certo scusami… era molto meglio lavorare in una libreria ipotecata che possiamo perdere da un momento all’altro.”
“Anche se la proprietà passasse al cugino Colli, tu potresti continuare a lavorarci.”
“Si, che bello! Fin da piccola l’ ho sempre sognato! Tutti gli altri bambini volevano fare l’astronauta, ma io no! Io volevo essere una dipendente del cugino Colli.”
Carlotta sghignazzò ed accese il motore. Elisabetta e Maria erano sempre uno spasso, ma soprattutto una consolazione: ogni tanto, nei lunghi periodi trascorsi a Pisa, si ritrovava a pensare che le mancava suo fratello; ma poi vedeva i vari nervosismi di Lisa, che la sorella ce l’aveva sempre in mezzo ai piedi, e cambiava idea.
Maria era sbarcata nel mondo universitario da un paio d’anni: neanche tutta la testardaggine di cui la natura l’aveva dotata era riuscita a farle mantenere il posto al conservatorio. Per sua sfortuna non le erano stati dati né orecchio né buon gusto e la tecnica sola non riusciva a sopperire.
Questo non aveva contribuito a migliorare la sua modestia, lasciandola piena di una pedanteria poco sopportabile. Elisabetta era una delle poche persone che tollerava Maria abbastanza a lungo da riuscire a sostenere con lei una conversazione completa, molto probabilmente perché non la prendeva mai sul serio.
“Ah! Lisa” disse Carlotta “dimenticavo di dirti che stasera andiamo a ballare, sono già d’accordo con Giovanna.”
“Cosa?! Io non vengo, ve lo scordate. Sono stanca morta. Il mio programma per la serata è andare a letto alle nove e dormire fino a mezzogiorno di domani!”
Anche Maria aveva qualcosa da dire in proposito: “ Per fortuna Lisa stai prendendo la decisione giusta. Andare a ballare? Che figura ci faresti! Ormai hai i tuoi anni, senza contare che sarebbe imbarazzante trovare in un posto del genere qualche alunno della facoltà…”
“Grazie Maria, le tue parole sagge sono sempre illuminanti. Carlotta, stasera vengo a ballare.”
E così, tra palesi segni d’affetto fraterno, iniziava il viaggio per lasciare Pisa.
E non può che peggiorare” pensò Elisabetta.
Come darle torto? La prima tappa del loro viaggio prevedeva infatti una fermata all’aeroporto. Il cugino Colli – sì, esatto, quello di cui stavano parlando prima - tornava proprio quel giorno dal Trentino e sia la signora Benetti che la madre di Carlotta le avevano pregate (in realtà le avevano obbligate) a dargli un passaggio.
Il cugino Colli era odioso: l’intera progenie del signor Benetti sarebbe stata certamente concorde nell’affermarlo. E, dato che le sorelle Benetti non concordavano mai tutte e cinque su qualcosa (erano troppo diverse tra loro per età, indole ed istruzione perché così non fosse) capirete che forse  tale giudizio potrebbe anche essere una sacrosanta verità.
Elisabetta si girò verso il sedile posteriore:  “Maria, ma la mamma ha chiamato pure te stamattina?”  chiese scuotendola per un ginocchio.
“Sfortunatamente.”
“Già, mi ha svegliata…. alle sette meno un quarto.”
Carlotta si intromise subito, incuriosita.
“E’ successo qualcosa di particolarmente importante tra i gossip di Castiglione che dovremmo per forza sapere prima di arrivare a casa?”
“Secondo l’elenco delle priorità di mia madre senza dubbio. Il motivo per cui mi ha svegliata col gallo stamani è per dirmi che hanno affittato quella famosa villa in campagna, hai presente? Quella col viale di pini…”
“Sai che novità, viene affittata tutte le estati.”
“…e che gli inquilini dovrebbero arrivare già da oggi.”
“Accidenti, buon per loro che vengono già in vacanza.”
 
 
In breve tempo giunsero all’aeroporto e si diressero verso la zona degli arrivi, dove si misero in paziente attesa. Tra i vari gruppi di persone che uscivano dall’area di ritiro bagagli, uno particolarmente attirò l’attenzione di Carlotta.
“Carino quello, scommetto una mano che lui e quella ragazza lì accanto sono inglesi.” Carlotta indicò con la testa a Elisabetta un punto poco lontano da loro “Il rosso intendo.”
“I rossi di capelli mica per forza devono essere inglesi.” rise l'altra osservandoli “potrebbero essere Scozzesi, Irlandesi, Alto-Francesi... Sì, carino. Ma secondo me è meglio l’altro.”
“Quale?”
“Quello dietro, non lo vedi? Che trascina quella valigia che a occhio e croce costa come tre delle tue automobili.”
Carlotta ridacchiò e si girò di spalle: i due stranieri si stavano avvicinando e non era carino fissarli. Elisabetta non dovette essere dello stesso parere, visto che continuò imperterrita ad osservarli.
“Se ho capito chi intendi non è certo un ragazzino, gli darei più di trent’anni” le disse Carlotta.
“È bello. Che importa quanti anni ha? Però perde un sacco di punti per l’espressione, pare gli sia morto il gatto”.
“Magari è così.”
“Macché, se tu ti girassi vedresti che il suo amico è tutto felice e sorridente. Secondo me l’altro o è un musone o soffre il mal d’aereo.”
Questo era un dialogo destinato a non durare a lungo: Maria intervenne con un edificante discorso sulla sconvenienza di commentare le persone sconosciute, a maggior ragione se sono uomini: è una cosa molto poco fine per una ragazza. Elisabetta non si lasciò sfuggire l’occasione e passò a commentare le donne, soffermandosi con dovizia di particolari sulla ragazza che stava insieme ai due stranieri: super firmata, dagli occhiali da sole alle Jimmy Choo, con tanto di foulard alla I love shopping .
“E dulcis in fundo” concluse Elisabetta “ecco arrivare il nostro caro cugino Colli. E’ sceso per ultimo dall’ aereo e non potrà essere perdonato per questo: non ha il solare fascino british del rosso e neanche la seducente aria triste del suo amichetto, ma in compenso ha un bellissimo paio di calzoni tirolesi… dubito di poter sopportare tutto questo, credo che mi ucciderò.”
Elisabetta fece finta di ascoltare l'ennesima rimostranza di Maria, suscitata dal suo ultimo felice commento sul cugino, mentre osservava quest'ultimo venire verso di loro.
Quando fu a pochi passi lo sguardo di Colli si illuminò, come se avesse visto una persona amata di cui aveva sentito la mancanza. Elisabetta ebbe per un attimo il terrore che quello sguardo fosse per lei; ma questa orrida ipotesi non fece in tempo ad attraversarle il cervello che notò che il cugino in realtà non stava fissando nessuna di loro tre, ma il suo sguardo si era perso ben oltre le sue spalle.
Senza dire nulla lasciò lì la valigia e le superò saltellando.
“Ma cos'ha?” chiese Maria, estremamente interdetta da quel comportamento.
“Cosa non ha vorrai dire..” la corresse Elisabetta “..il cervello.”
“Ma... forse ha visto qualcuno.” ipotizzò Carlotta allungando il collo oltre la folla per vedere dove fosse sparito.
Elisabetta alzò le spalle.
“Non credi che dovremmo cercarlo?” Insistette Carlotta.
“No tranquilla, la sua insegnante di sostegno ha detto che non è pericoloso.” commentò Elisabetta guadagnandosi un'occhiataccia da Maria che partì in quinta con una paternale sul parlar male delle persone facendo paragoni con soggetti più sfortunati. Purtroppo per lei dovette essere interrotta da una causa di forza maggiore: l'espressione di Carlotta che, davanti ai loro occhi, virò in modo repentino da un sano colorito roseo ad un pallore cadaverico.
“Cristo Santo.. non ci voglio credere..” Mormorò quest'ultima a mezza voce.
Elisabetta e Maria si girarono verso Colli e lo videro saltellare tutto giulivo e baldanzoso proprio verso i tre ragazzi che anche loro avevano notato.
Siccome le avevano superate ed ormai, dando loro le spalle, se ne andavano (ignari di essere braccati) per la loro strada, Guglielmo era stato costretto ad allungare il passo ed a chiamare a gran voce la persona che, a quanto pareva, conosceva.
“Mr. Darcy!” disse, in uno strano tentativo di alzare il più possibile il tono della voce, evitando però che diventasse un grido.
Tentativo che fallì miseramente dato che nessuno dei tre dette il minimo segno di aver sentito. Il povero Guglielmo quindi si fermò, si aggiustò il colletto della camicia con fare dignitoso, si schiarì la voce per darsi un tono e, raggiunto l'uomo che aveva chiamato (per l'esattezza quello a cui era morto il gatto) attirò la sua attenzione toccandogli delicatamente la camicia all'altezza del gomito.
Elisabetta, Carlotta e Maria erano troppo distanti per poter sentire cosa Colli gli stesse dicendo con quel suo assurdo fare ossequioso, ma ne erano comunque estremamente felici: a giudicare dallo sguardo di malcelata intolleranza con cui il tizio scrutava Guglielmo e dal mutismo ostinato in cui gli si era sigillata la bocca malgrado l'altro non facesse che parlare, ma, soprattutto, a giudicare dalle risatine che si stava facendo la tizia di I love shopping mentre mormorava qualcosa all'orecchio del rosso, non ci avrebbero fatto una bella figura ad essere presentate come amiche (o parenti) di Colli.
Elisabetta capì che Guglielmo aveva deciso di congedarsi perché notò con orrore che si stava esibendo in una serie di ridicoli inchini, come se fosse al cospetto dell'Imperatore della Cina. Anche il tizio del gatto morto dovette pensarla allo stesso modo dato che, nascosto sotto l'espressione granitica di gelida alterigia, chiunque lo stesse osservando avrebbe potuto notare un leggero imbarazzo. E le occhiate che si lanciò intorno, come ad assicurarsi che nessuno stesse guardando verso di loro, non fecero altro che sottolinearlo.
Espletati che furono gli inchini, Guglielmo si recò finalmente dalle ragazze, salutò con formalità tutte quante e, dopo che ebbe elargito un paio di baci ciascuna, furono pronti a rimettersi in viaggio.
Non ci fu bisogno che nessuna di loro formulasse alcuna domanda per sapere perché diamine Guglielmo conoscesse quel tipo: non fecero in tempo a salire in auto che già lui aveva iniziato a parlare a macchinetta, sciorinando quella che, secondo i suoi standard, era una storia avvincente.
“... non avete idea della gioia che si può provare in un momento simile!” quasi gridò mentre tentava invano, causa tremore mani, di allacciarsi la cintura “...è incredibile che Lady De Bourgh abbia consigliato casa nostra! Capite? Capite?!! A quale onor..”
“Casa nostra?!” esclamò raggelata Elisabetta, che non era così sicura di voler sapere il resto della storia.
“Ma certo! Intendo Castiglione.”
“Ma consigliato per cosa? Consigliato a chi?.. ma soprattutto.. chi accidenti è Lady Bourgh?” non fece in tempo a finire la frase che sia Maria che Carlotta le lanciarono uno sguardo allucinato: cosa che le fece venire in mente chi era Lady De Bourgh e perché non era stata una buona idea dimenticarsene proprio parlando col cugino.
“Lady De Bourgh! C'è il De! Ed è la mia rispettosissima datrice di lavoro. La persona più magnanima, intelligente e nobile (sia di casato che di cuore) che possa esistere! Trovo incredibile.. scusa, non incredibile, increscioso, increscioso!, che tu non ricordi chi sia!”
“Sì, sì.. scusa Guglielm..” cercò di rimediare Elisabetta, ma era troppo tardi.
“Per stavolta chiudo un occhio, ma ricorda che ogni bene che è arrivato a te ed alla tua famiglia è stato possibile solo perché, tramite lei, è potuto arrivare a me ogni bene! Dovresti sempre ricordare il suo nome e ringr..”
“Insomma, anche quei ragazzi conoscono Lady De Bourgh?” Lo interruppe Carlotta, chiedendo con finta noncuranza proprio la cosa che Colli aveva a cuore di dire, distogliendolo così dalla mattanza contro Elisabetta (che si stava già pesantemente innervosendo e Carlotta non reputava la sua vecchia Golf un posto adatto per l'inizio della terza Guerra Mondiale).
“Conoscerla?!?!! Conoscerla! L'uomo che ho avuto l'immenso piacere e l'enorme fortuna di salutare è nient'altro che il suo diletto nipote! Nonché l'erede del suo impero economico.”
“Ecco perché è così triste, povera stella.” pensò Elisabetta, astenendosi stavolta dal commentare alcunché ad alta voce: l'impero c'era, ora bastava trovare qualche lontano parente cinese ed era fatta.
Oltretutto non c'era alcuno dubbio che tutto l'amore servile che Guglielmo mostrava verso la Lady ed il suo pupillo non fossero affatto ricambiati. Ma di questo proprio non riuscì a rimproverare l'algido signore: se avesse avuto anche lei la capacità di distorcere il suo viso in un'espressione del genere, che mischiava disprezzo per gli altri e compiacenza per se stessi, ci avrebbe guardato Colli tutto il giorno.
“Ascoltate, ora vi spiego.” principiò Colli tutto scodinzolante “Il signor Darcy, questo è il nome del nipote di Lady De Bourgh,  ha accettato di venire in vacanza con i suoi amici a patto che andassero in un posto tranquillo, quindi non Rimini o la Versilia come era stato proposto, e, siccome ha sentito sua zia elogiare Castiglione (e non posso far a meno di compiacermi pensando che sia stato grazie alle mie assicurazioni su quanto sia bellissima e tranquilla), ha preteso che andassero là.”
Che storia avvincente” pensò Elisabetta, tremando al pensiero che tutto il tragitto fino a casa sarebbe stato così: tutti muti ad ascoltare i soliloqui di Colli. Si chiese anche dove il cugino avesse potuto reperire quelle informazioni dato che a lei era proprio parso che sua altezza il Delfino non avesse spiccicato parola.
In ogni caso i timori di Elisabetta si rivelarono infondati perché il viaggio fu piacevole: pochi chilometri dopo la partenza Maria annunciò solennemente che doveva ascoltare un qualche concerto per pianoforte, accese il lettore e si mise le cuffie; passarono pochi minuti e Guglielmo, molto stanco per il viaggio, si addormentò.
Elisabetta e Carlotta trovarono ottima compagnia l’una nell’altra, tanto che quando la superstrada fu alle loro spalle e la macchina si trovò a percorrere l’ Aurelia non si accorsero di sorpassare una vecchia Passat che avanzava adagio, stracolma di bagagli.
 
 
Nella Passat si trovavano proprio i tre turisti di cui Guglielmo Colli stava parlando con profondo orgoglio.
Dal finestrino abbassato sul lato passeggero pendeva languidamente un braccio femminile, scuotendo la cenere da una sigaretta.
“Caroline potresti evitare di fumare? Ti assicuro che non è piacevole stare qui seduto dietro di te.”
“Smetti di lamentarti Charles, non ne hai diritto. È colpa tua se siamo costretti a viaggiare in questo rudere!”
“Cosa c’entra questo col fatto che mi arriva tutto il tuo fumo addosso?”
“E’ vergognoso che mi faccia vedere in giro su questa macchina, per fortuna stiamo andando in un posto sconosciuto da Dio…”
“Sconosciuto da Dio? Ti informo che stiamo andando alla miglior…”
“Non interrompere Charles. Sarei stata d’accordo a fare il viaggio su un’auto a noleggio a patto che fosse un’auto decente, mi viene il ribrezzo solo a pensare che chissà chi altro può essere stato qui dentro. Ma per mia sfortuna ho un fratello idiota, che non è neanche capace di fare una prenotazione su internet ed adesso ci tocca stare qui! Senti come puzza! E non c’è neanche l’aria condizionata, una sigaretta è tutto ciò che mi rimane per affogare il mio dolore”.
Caroline girò la testa verso il guidatore, si sollevò leggermente per posargli una mano sul braccio e gli disse: “Non ho ragione Fitzwilliam?”
Lui non rispose e neanche la guardò. Si limitò ad allungare il braccio verso il Garmin con la scusa di cambiare la visuale dello schermo. Caroline fu costretta, suo malgrado, a togliere la mano.
“Lascia perdere sorellina!”  commentò Charles tra le risate “Credo che il caro Darcy in questo momento sia un po’ irritato.”
“Certo che lo è poverino, e io ne conosco per certo il motivo: questa macchina Charles! È colpa tua e della noncuranza che hai nel fare le cose!”
Era vero: Fitzwilliam Darcy riteneva un’onta vera e propria farsi vedere in giro su una carretta del paleolitico come quella che stava guidando; ma in verità ciò che maggiormente lo disturbava era il tono civettuolo con cui Caroline gli parlava, i modi acidi con cui trattava il fratello, la sua dannatissima sigaretta e la sua urtante mania di chiamarlo Fitzwilliam con quel tono confidenziale (più le ripeteva che voleva essere chiamato Darcy, più lei faceva finta di non sentire).
Si domandava per quale incosciente motivo avesse accettato di accompagnare in vacanza il suo amico Bingley, sapendo che era impossibile che la sorella di lui lo lasciasse in pace per tutta l’estate.
 
 

 
Grazie di aver letto fino in fondo questo capitolo. Come premio vi svelerò il mio sordido segreto: non è tutta farina del mio sacco. Questa storia è scritta a quattro mani e a due cervelli. Jessy87g ( http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=10911 ) ha l'onore e l'onere di aver condiviso con me questa esperienza.
Ho usato il passato perché la storia è già stata scritta, terminata e revisionata (il che rende ancora più imperdonabile le sue mancanze). Svolgendosi a cavallo tra la scorsa estate (2012) e l'estate ventura (2013) verranno spesso citati nei capitoli futuri eventi a tutti voi noti.
 
Damson.

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Capitolo 2
*** Priorità ***


Capitolo 2.
Priorità.
 
“Fu giudicato definitivamente. Era l’uomo più orgoglioso e antipatico del mondo e ognuno sperò che non avesse a ripresentarsi mai più.”
(Orgoglio e pregiudizio, Jane Austen)
 
 
Era quasi ora di pranzo e il caldo iniziava a farsi insopportabile; tuttavia nessuno del personale, schierato di fronte all’ingresso della villa come un plotone d’esecuzione, osava anche solo emettere un suono o essere così poco professionale da accusare un qualsivoglia malore. I nuovi inquilini di Villa Campobasso dovevano arrivare da un momento all’altro: sarebbe stato imperdonabile aver atteso tanto per poi farsi trovare fuori posto.
Il capo del personale, un uomo distinto e impettito sulla cinquantina, controllò per l’ennesima volta prima l’orologio, poi la strada, ed infine i suoi dipendenti con aria compiaciuta: gli inglesi avrebbero apprezzato quell’accoglienza così old style; si sarebbero sentiti come nobili che tornano, dopo la stagione in città, al loro prezioso palazzo di campagna: una scena degna di quella serie tv così popolare.. come si chiamava? Down-qualcosa Abbey, forse.
Un poco educato vento di scirocco, non contento di rendere l’aria così pesante da rischiare di soffocare chiunque avesse tentato di respirare un po’ più profondamente, continuava a soffiare la terra sollevata dai campi circostanti sui vestiti scuri e inamidati del personale, all’ interno del quale stava iniziando a serpeggiare un certo malcontento.
Solo una improvvisa nuvola di polvere, che si alzava sempre più vicina attraverso il lungo viale di pini, salvò il loro comandante dal un sicuro ammutinamento. Ma il sollievo generale per la fine della tortura si tramutò in rumorose proteste di disappunto quando apparve all’orizzonte una Passat grigia.
“Ma porco cane!” Esclamò uno dei ragazzi, con un gesto stizzito “Com’è possibile che sbaglino sempre strada ‘sti turisti idioti!? Non leggono i cartelli?!”
“Alcuni sono veramente degli imbecilli” Rincarò un collega.
“Ma poi come può venì a mente di girà qui! Un lo vedono che è una strada privata?!”
“Secondo me usano la scusa di essersi persi per vedè la villa..”
“Il maiale sogna la ghianda! Nemmeno i marocchini c’hanno più macchine come quelle!”
“Bimbi, ora basta!” Li riprese, spazientito, il capo.
“Giancarlo, vai te a mandalli via allora!” Lo incitò una ragazza castana “Alla fine il capo sei te”.
L’uomo socchiuse gli occhi e imprecò mentalmente prima di avvicinarsi con passi rapidi alla macchina che, nel frattempo, si era fermata. Aveva già aperto la bocca per chiedere ai passeggeri cosa volessero, ma riuscì solo ad articolare un suono pietosissimo, a metà tra la sorpresa e la disperazione: dall’abitacolo era appena uscito un uomo alto, dallo sguardo duro e l’abbigliamento impeccabile, che lo squadrava con un’espressione che pareva tutto tranne che tollerante.
Le parole che il povero Giancarlo poté articolare parvero tutto tranne che inglesi.
 
Il pessimo umore di Caroline, messo alla prova dalla strada dissestata, poté essere placato solo alla vista della meravigliosa villa presa in affitto dal fratello. Certo, sarebbe stato meglio se quell’incompetente architetto l’avesse progettata in riva al mare invece che nella campagna dimenticata da Dio; ma, in fondo, Castiglione era a pochissimi chilometri e con essa i fastidiosi turisti.
A onor del vero il momento più imbarazzante e, senza ombra di dubbio, umiliante, per la bella inglese risultò essere l’arrivo alla villa e la discesa da quell’ammasso di ferraglia arrugginita, che pretendeva di essere chiamata automobile, accompagnata dagli sguardi sconvolti di quei pezzenti della servitù (si diceva sempre servitù?), talmente inebetiti da dover essere richiamati affinché salutassero i nuovi padroni e si affrettassero a portare le valigie nelle rispettive camere.
Caroline sostenne per giorni di aver sentito qualcuno di loro ridere; ma il fatto non poté essere comprovato e venne lasciato cadere, nonostante le ripetute richieste della donna di trovare e punire il colpevole di un tale infamante delitto.
Così, una volta preso possesso della stanza più bella della casa e dopo essersi accertata con premura che il suo caro Darcy trovasse luogo e arredamento passabili se non addirittura soddisfacenti, la stressata signorina Bingley poté finalmente accingersi a disfare la prima delle sue quattro valige.
Ma il piacere, si sa, non è destinato a durare a lungo.
Non aveva, infatti, fatto in tempo a sistemare il primo paio di sandali nella scarpiera che una voce la colse di sorpresa, facendole rischiare un infarto.
“Presto Caroline, mettiti il costume che andiamo in spiaggia!”
“Cosa stai blaterando Charles?” Rispose la donna senza degnarlo di uno sguardo,  continuando a tirare fuori dalla valigia una quantità imbarazzante di scarpe.
“Proprio quello che ti ho detto! Finirai dopo il tuo importante lavoro: non vedo l’ora di fare il bagno in questo mare meraviglioso!”
“Non lascerò che i miei preziosissimi vestiti si riducano come stracci appena usciti da una lavanderia a gettoni solo per soddisfare i tuoi capricci adolescenziali.”
“Ma dai!”
“No, Charles. Il momento in cui si disfano i bagagli è sacro e improcrastinabile.”
Caroline si maledisse mentalmente per aver usato una parola del genere in assenza di Darcy e si ripromise di inserirla alla prima occasione in un discorso con lui presente.
“Come sei antipatica!”
“Come sei infantile.”
“Va bene” Sospirò il giovane sconfortato voltando le spalle alla sorella e deciso ad abbandonarla con i suoi adorati vestiti “Vorrà dire che andrò solo con Darcy”.
“Prego?” Ribatté ironica Caroline, lasciando per un momento da parte il suo gradevole impiego per voltarsi verso il fratello “Credo proprio che ci andrai da solo, invece! Sono sicura che Darcy la pensa esattamente come me sulla priorità del dovere sul piacere. Se di piacere si può parlare riguardo a una spiaggia stracolma di bambini urlanti.”
“Veramente sarà già qua fuori che ci aspetta. Giusto il tempo di darsi una sciacquata, cambiarsi il vestito e prendere il suo ipad per lavorare.”
Forse per la prima volta nella sua vita Caroline decise che, nella sua scala di priorità, l’abito da sera di Versace sarebbe venuto al secondo posto.
 
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“Lisa, un caffè al tavolo due. Veloce!”
“Quanto veloce?”
“Veloce veloce!”
Elisabetta sorrise mentalmente mentre poggiava la tazzina sul vassoio, pensando a quanto la sorella fosse gentile e paziente a casa, quanto agitata e stacanovista a lavoro.. forse di quei caffè se ne beveva una quindicina prima di iniziare il proprio turno.
Tuttavia Giovanna, a dispetto dello stato di perenne ansietà di fronte a qualsiasi incarico anche di minima responsabilità, era uno di quei rarissimi casi dove la bellezza interiore ed esteriore risultavano perfettamente armonizzati da pari grazia e dolcezza. I suoi occhioni azzurri, illuminati ancora di più da una matassa di lungi capelli biondi, erano rinomati a Castiglione sin dai lontani tempi del liceo; di questo, però, pareva che la ragazza non si fosse mai accorta, un po’ per modestia, un po’ perché aveva continuamente la testa tra le nuvole.
Se di lì fosse passato un trovatore se ne sarebbe irrimediabilmente innamorato.
Purtroppo, essendo oramai passati i secoli così cari alle arti, la maggiore delle sorelle Benetti non aveva potuto, con la sua laurea in sociologia, trovare un impiego migliore che lavorare al bar di uno dei più grandi stabilimenti balneari di tutta la costa castiglionese. A dire la verità quel lavoro nel le dispiaceva affatto ed il suo animo ben disposto nei confronti anche del peggior essere umano l’aiutava non poco in questa impresa.
L’unico problema a tormentarla era che la sua conoscenza dell’inglese era scolastica ed arrugginita. Per fortuna ai clienti stranieri ci pensava Elisabetta, quando trovava il tempo per venirle a dare una mano.
 
Proprio quest’ultima aveva appena consegnato il caffè veloce veloce e stava tornando a prendere le altre ordinazioni, quando scorse tra i clienti nientemeno che il suo amichetto preferito.
“Andrea!” Urlò per attirare l’attenzione del ragazzo, rischiando nella foga di far cadere le tazzine sporche dal vassoio.
“Lisa!” La riconobbe lui dopo qualche secondo, avvicinandosi per salutarla “E’ da un mese che non ti fai vedere brutta stronza! Che ci fai qui?”
“Come vedi lavoro.”
“Mi prendi in giro?! Sei sempre a rompere le scatole col tuo master all’Università!”
“Il dottorato Andre! Dottorato! Si vede che mi ascolti quando parlo.”
“Fa lo stesso, non fare la saccente! La domanda resta invariata!”
“Sto dando una mano a Giovanna qui al bar, almeno racimolo qualcosina. Tanto, se devo aspettare che mi paghi l’università posso anche morire di fame. Tu invece? Non ti eri barricato in casa in queste settimane perché avevi un esame?”
Il ragazzo assunse un’espressione molto vaga, facendole intendere che avrebbe preferito rispondere ad una eventuale domanda di riserva.
Lisa sorrise di cuore: Andrea non era cambiato una virgola da quando frequentavano il liceo assieme. Il soprannome “Piccolo lord”, che gli aveva dato i primi giorni di scuola, calzava ancora perfettamente a quel giovane elegante, un po’ snob, ma irrimediabilmente adorabile.
“Allora” riprese Elisabetta con fare complice “ti posso chiedere dove stai andando tutto azzimato?”
“Missione segreta per il Rotary.” Rispose lui facendo l’occhiolino.
“Chi devi uccidere?”
“Nessuno, anzi! Devo incontrare degli inglesi proprio qui al bar, dare loro il benvenuto a nome del nostro club e, successivamente, presentali ai soci.”
“Sarebbe perfetto se non fosse per un insignificante particolare..”
“E quale, di grazia?”
“Tu non sai l’inglese!”
“Più o meno..”
“Ti voglio ricordare di quella volta che alla professoressa traducesti monk come ‘scimmia’. Credevo le partisse un embolo.”
Elisabetta a quel ricordo scoppiò in una fragorosa risata, rischiando per la seconda volta la vita della tazzine imprudentemente arroccate sul bordo del vassoio.
Andrea, in risposta a questa vergognosa insinuazione, si mascherò di un’espressione sconvolta e ribatté, cercando di imitare la voce di lei “Ti voglio ricordare, invece, che so perfettamente il francese (lingua molto più utile e bella del vostro stramaledetto inglese) e si dà il caso che due di questi tre inglesi sappiano perfettamente tale lingua!”
“Allora, monsieur, vi lascio al vostro importante appuntamento. La sguattera va a finire di pulire i tavoli.”
“Buon lavoro Cenerentola, io vado a fare il diplomatico. A presto! Chiamami che andiamo a fare colazione assieme una di queste mattine!”
“E’ meglio.. Se aspetto che ci pensi te, faccio prima a diventare professore ordinario!”
“Ahahah.. Come sei piagnucolosa!” E, dopo un saluto veloce, si allontanò rapidamente in direzione della terrazza: evidentemente era impaziente di incontrare altri piccoli lord della sua specie.
Nemmeno a farlo apposta, Elisabetta aveva appena pronunciato mentalmente quella parola che scorse in un tavolino isolato proprio un tizio che aveva tutta l’aria di essere un lord. E lo stupore crebbe non poco quando si accorse che quell’uomo seduto era nientemeno che l'erede dell'impero cinese, nonché delfino della fantomatica Lady De bourgh e unico, vero, indiscusso amore (dopo la vecchia, si intende) del cugino Colli.
Spinta per la prima volta dalla curiosità oltre che dallo stipendio, si avvicino all’oggetto delle sue attenzioni con un sorriso gentile stampato in faccia.
Hello sir, do you want something to drink?
La sua curiosità venne spazzata via da una notevole incazzatura, quando l’uomo non ebbe nemmeno la buona educazione di staccare gli occhi dal suo ipad, limitandosi a fare un cenno di diniego con la testa accompagnato, si presume con enorme sforzo, da un laconico No.
But if you want to sit here you have to take something.” Rispose Lisa spazientita: certo che la gente più è ricca più è tirchia!
L’uomo non si scompose, continuando a fissare imperterrito la schermata: o quell’affare era ipnotico o doveva esserci scritto qualcosa di interessantissimo.
My friend is going to take my drink.
Ah… ok.” Si limitò a biascicare Elisabetta, affrettandosi ad andarsene di lì prima che la voglia irrefrenabile di sfracassare il prezioso ipad in testa a quello snob maleducato prendesse il sopravvento.
 
Nell’esatto momento in cui ogni romantico sogno sul perfetto gentlemen inglese veniva distrutto nella mente della povera Elisabetta, Giovanna stava per avere un approccio diametralmente diverso col mondo anglosassone.
La lavastoviglie si stava di nuovo testardamente rifiutando di funzionare e la povera ragazza, più che tentare di capire dove fosse il problema, cercava con parole ora gentili ora perentorie di convincerla a ripartire.
Ma, come è risaputo, gli elettrodomestici sono dotati di una propria satanica personalità e funzionano solamente a loro piacere e discrezione.
“Can I help you, miss?”
Giovanna rischiò di procurarsi un trauma cranico sfiorando con la testa il piano della lavastoviglie per la fretta di alzarsi e servire il cliente.
Una volta di fronte al bancone si pentì amaramente di non sapere l’inglese come Lisa.
“Ehm.. no need, thank you. I call the boss now”
Non riuscì ad articolare nessun’altra parola, così si limitò a sorridere al ragazzo dai capelli rossi che la osservava con aria gentile e simpatica.
Da parte sua, Bingley ritenne di trovarsi di fronte ad una delle più graziose ragazze che avesse mai visto.
Stettero per una quantità esagerata di secondi ad osservarsi con reciproca ammirazione ed un certo imbarazzo, tanto che Elisabetta, la quale aveva osservato da lontano la scena, si chiese se avessero guardato negli occhi Medusa mentre lei era distratta.
“So..” Provò a riprendere in mano la situazione Giovanna “What do you want, sir?”
“I’m Charles. And it’s a pleasure to meet you..miss?”
“Giovanna..”
“Jane”
“What?”
“In English, Giovanna is Jane.”
La ragazza, sempre più imbarazzata, gli sorrise di nuovo.
“But Giovanna it’s cooler!”
“Ehm…Thank you… Charles.”
Pronunciò così male il nome che il giovane si sentì in cavalleresco dovere di farle una breve lezione di dizione. Passarono così cinque buoni minuti a ripetere la solita parola; pochi ma sufficienti a Lisa, che aveva approfittato dello show per sedersi (visto che era da quella mattina che non aveva ancora avuto occasione di riposarsi) per mettere mano al cellulare, pronta a chiamare il 118 ed a farli internare in una clinica psichiatrica.
Giovanna, in un inglese un po’ zoppicante, cercò stoicamente di sostenere una conversazione col nuovo arrivato, che la tempestava di domande di ogni tipo: dal perché non si può bere un cappuccino dopo le dieci e mezza del mattino, all’intera biografia scolastica e lavorativa di miss Benetti. La ragazza si limitava a rispondere con gentilezza, invogliando il giovane (come se ce ne fosse bisogno) alla conversazione, ma senza fargli domande. Non lo riteneva troppo educato.
Mentre aveva luogo questo delizioso cameo, una fila di clienti sufficientemente scocciati si era accumulata dietro il signorino inglese: così Elisabetta decise che era l’ora di entrare in azione, ma con tatto: altrimenti Giovanna avrebbe avuto un infarto. Scivolò di soppiatto dietro il bancone e si materializzò (parola utilizzata testualmente da Giovanna nel raccontare l’episodio) di fronte ad una delle due casse aperte, alla destra della sorella.
“Lisa” l’apostrofò a metà tra l’imbarazzato e il felice Giovanna “ti presento il signor Bingley.”
“Nice to meet you” Lo salutò la giovane, dandogli la mano con una stretta decisa, per poi rivolgersi di nuovo alla sorella con un sorriso “Se vuoi fare due chiacchiere vai pure, alla cassa ci sto io”
“O Dio mio!” Esclamò sconvolta Giovanna, accorgendosi finalmente della fila che l’intemperanza di Bingley aveva creato “Non l’avevo visto! Oddio… sono una stupida! ..Meno male ci sei te! Mamma mia!..”
“Giò, smetti di avvilirti” rise Lisa, dandole una pacca sulla spalla “e vai a fare due chiacchiere con l’inglesino.”
“Ma ti dispiace? C’è troppa gente, non ce la fai da sola.”
“Ovvia! Come se non l’avessi mai vista veramente una fila come si deve!”
“Sicura?”
“Vai prima che di cacci fuori con le cattive!” Le intimò, per poi rivolgere un cenno d’intesa al rossetto inglese, il quale aveva vagamente intuito il senso della conversazione.
Mentre osservava i due giovani che si sedevano a un tavolino poco lontano, un sorriso mefistofelico apparve sul volto di Elisabetta al pensiero che quell’antipatico snob dell’amico di Charles Bingley avrebbe aspettato in eterno il suo ordine.
 
Non erano passati che pochi minuti ed una decina di cappuccini quando la secondogenita Benetti scorse anche Andrea parlare fitto fitto con la compagna dei due inglesi: l’ammirazione dipinta negli occhi dell’amico era inenarrabile e la donna, da parte sua, pareva apprezzare non poco di essere oggetto di tali attenzioni. Evidentemente o era una situazione che non si presentava molto di frequente o lei era una bella gattamorta… o tutte e due le cose assieme.
Elisabetta si sentì catapultata in un’opera di Mozart dove gli unici fuori luogo erano lei e il feticista dell’Ipad al tavolo in fondo.
 

 



Un ringraziamento particolare a chi ha recensito, inserito la storia nelle preferite/ricordate/seguite od anche a chi ha solo letto. 


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Capitolo 3
*** Passabile ***




Capitolo 3
Passabile.
 
 
 “‘Verissimo’ rispose Elizabeth ‘e gli perdonerei anche la sua vanità se non avesse mortificato la mia.’
(Orgoglio e pregiudizio, Jane Austen)
 


Il signor Benetti era particolarmente di buonumore quella sera. Nel pomeriggio il grossista aveva portato le ultime consegne per la libreria; il che significava che per la mattina seguente era in previsione un lavoro piacevole: aprire gli scatoloni e sistemare i nuovi libri.
Si pregustava quelle ore felici e sperava di passarle in buona compagnia: era infatti tornata, dopo tre settimane di assenza da casa, la sua adorata Elisabetta e lui era certo che l’indomani gli avrebbe volentieri dato una mano alla libreria.
Gioioso come poche volte nelle ultime settimane prese il gelato dal freezer e chiamò a gran voce la figlia, ma ad entrare in cucina fu Giovanna, tirata elegantemente a lucido.
“Giò ma esci? Non è un po’ tardi?”
“Sì babbo, non ricordi? Stamattina ti ho chiesto l’auto. Potresti darmi le chiavi?”
“Vai in camera, credo di averle lasciate sul comodino.”
Giovanna uscì di corsa dalla cucina e dette il cambio ad una Elisabetta trafelata, con i capelli bagnati, la cerniera del vestito sempre abbassata e con le scarpe in mano. “Mi hai chiamato babbo?”
“Ma tesoro… esci anche tu?”
“Lo stavamo dicendo a cena, ma stai a tavola con noi o mandi un replicante? Ne abbiamo parlato al termine del monologo di mamma sui nuovi affittuari di Villa Campobasso… ma suppongo sia questo il motivo per cui l’informazione si è persa nei recessi della tua mente.”
“Quindi esci sul serio? Ma sei arrivata solo stamani. Guarda, ho comprato il nostro gelato preferito. E in televisione danno Funeral Party,  sai c’è anche quell’attore che ti piace tanto!”
Elisabetta si scusò col padre, in fondo non vedeva neanche Giovanna da tre settimane e stasera aveva promesso a lei il suo tempo: la loro serata l’avrebbero rimandata al giorno dopo.
Inutile dire che il povero Benetti era alquanto deluso: si era pregustato una sera in santa pace, in compagnia della sua bimba ed invece era sfumato tutto nel tempo di prendere il gelato dal freezer.
Peccato” pensò “mi avrebbe fatto piacere, soprattutto dopo la bellissima cena a cui ho appena avuto il piacere di partecipare.
La cena infatti era stata più becera ed animata della media mantenuta solitamente in quella casa, e, incredibile ma vero, era tutta colpa sua: si era lasciato sfuggire di aver visto il nuovo affittuario di Villa Campobasso. Era a fare due passi con un suo amico, il notaio Lucà, quando un’ auto, vecchia e brutta anche rispetto alla sua panda, si era fermata davanti al portone ed un ragazzo straniero e particolarmente cordiale era sceso a chiedere informazioni.
Fu così che il povero Benetti passò la maggior parte della cena tartassato dalle insistenti domande che la moglie e le figlie minori, Lidia e Caterina, sparavano a mitraglia. Più le tre insistevano, meno lui le ascoltava: descriverlo? Cosa ci sarà mai da descrivere? Ha due occhi e un naso. Di che colore ha i capelli? E gli occhi? Non ci aveva fatto caso. Ma sì che avevano parlato, si erano presentati. Un ragazzo gioviale ed educato. Ha la barba? Si suppone che superati i venticinque anni tutti gli uomini ce l’abbiano. Come è acconciata? E da quando si acconciano le barbe?
Ma le donne di casa Benetti erano abituate ad avere a che fare con le laconiche affermazioni del pover’uomo ed avevano affinato un fiuto da vere detective. Riuscirono a capire che il nuovo affittuario era un giovane inglese molto gradevole e che il signor Lucà era entusiasta di lui.
Giovanna ed Elisabetta si erano scambiate un’occhiata, sarebbe stata davvero una bella coincidenza se si fosse trattato del rossino del bar: gli stranieri in quella zona iniziavano ad arrivare a frotte ed era assurdo che si trattasse sempre e solo di lui ed i suoi amici, sarebbe sembrato lo scherzo di qualche forza nascosta.
 
Le due sorelle, prima di partire per la discoteca, passarono a prendere Carlotta.
Arrivate a destinazione, non appena scese dall’auto, le ragazze si sentirono chiamare a gran voce da Andrea che si trovava dall’altra parte del parcheggio e faceva ampi gesti con le mani per attirare la loro attenzione. Dopo che ebbe abbracciato e baciato tutte e tre disse:
“E' incredibile! Non posso fare nulla che mi ritrovo voi in mezzo ai piedi!”
“Ma cosa ci fai te da queste parti? Sbaglio o avevi giurato sul Papa che non avresti mai e poi mai rimesso piede in questo posto?” chiese Elisabetta.
“Io?! Figuriamoci se faccio una cosa del genere!”
“Giurare di non tornare più qui?”
“No.. giurare sul Papa.”
“Quanto la fai lunga, solo perché l'ultima volta hai bevuto un Bacardi e ti abbiamo dovuto riportare ubriac..”
“Senti stronzetta sono due minuti che ti vedo e già non ne posso più.” rispose Andrea tutto stizzito “Mettiamo bene in chiaro questa storia una volta per tutte: io non mi sono mai ubriacato con un Bacardi, smettete di mettere in giro questa voce perché è falsa!” e stava per arrabbiarsi sul serio perché Elisabetta e Carlotta si erano messe a ridere come matte.
“Siamo qui da mezzo minuto e la discussione è già degenerata” commentò Carlotta tra una risata e l’altra.
Ci pensò Giovanna a placare le acque chiedendo amabilmente ad Andrea chi stesse aspettando da solo nel parcheggio.
“Sono sempre in missione per il Rotary Club”
“Ancora?!” chiese Elisabetta.
“Sì  ancora, mia scettica fanciulla. Ho prenotato un tavolo nel privè per i soci stranieri”
“Benissimo, suppongo significhi che noi possiamo avviarci. Ci vediamo dentro chaperon”.
Così Andrea, rimasto solo nel parcheggio, si appoggiò al cofano della sua Audi; ma non passò molto tempo che un’auto sterzò dalla strada principale e due fari lo abbagliarono. Si raddrizzò e si lisciò i pantaloni, ma purtroppo l’auto si rivelò essere una stupida vecchia Passat.
Ecco!” pensò “adesso anche in questo posto ci vengono i pezzenti! E pensare che prima era un luogo di un certo livello e se non eri ben vestito non ti facevano entrare
Finito di formulare questo pensiero vide uscire dall’auto la bellissima inglese conosciuta quel pomeriggio, con indosso un incredibile abito di Versace che senza dubbio valeva tre volte il prezzo della Passat.
“Bonsoir! Bonsoir!” salutò Andrea, subito su di giri “Comment êtes-vous? C'est un plaisir de vous revoir.»
Darcy e Caroline gli risposero subito: il primo come se gli costasse fatica e la seconda con molta più gentilezza. Charles Bingley si limitò invece a fissarlo sorridendo a caso come un ebete, dato che non aveva capito una parola.
Andrea era talmente preso dall’inglesina che riuscì a mala pena a considerare gli altri due e solo l’educazione dovuta ad anni ed anni di abitudine nell’alta società gli permise di non risultare un completo cafone. In realtà né Darcy né Bingley diedero adito di accorgersi della particolare preferenza per Caroline che aveva la loro guida: il primo voleva solo essere lasciato in pace, il secondo era talmente entusiasta di tutto che non riusciva a stare concentrato su qualcosa abbastanza da notarla veramente. Ed ovviamente a Caroline non pareva il vero di avere tutte quelle attenzioni.
 
Quando il Club aveva affidato ad Andrea il compito di fare da solo da accompagnatore ai turisti inglesi ne era stato sì contento (erano pur sempre sudditi di sua maestà), ma parecchio scocciato: lui voleva compiti di rilievo! Mica poteva perdere tempo a fare il maggiordomo!
Eppure se qualcuno in questo momento gli avesse chiesto per quali motivi se l’era presa con quelli del Rotary non avrebbe saputo cosa rispondere. Quanto era loro grato!
Ma tutto il suo entusiasmo durò giusto il tempo di entrare, farsi largo a gomitate tra la folla ed entrare nel privè.
Malgrado la pulciosità del resto della discoteca il privè era un luogo molto carino, Caroline ne parve estremamente soddisfatta e dispensò sorrisi finché suo fratello non la fece irritare: non si fermava un secondo, aveva provato due divanetti diversi, si alzava e sedeva in continuazione e l’unica cosa che poté tranquillizzarlo un attimo fu il lungo dialogo che ebbe con il cameriere per ordinare da bere.
Caroline si era seduta accanto a Darcy e per Andrea era finita la pacchia.
Gli aveva dato l’idea di apprezzare le sue attenzioni ed invece ora, nel giro di pochi secondi, pareva essersi completamente dimenticata di lui. Sorrideva a quel tipo algido chiamandolo in continuazione: Fitzwilliam di qua, Fitzwilliam di là, contornandolo con una profusione di risatine civettuole.
Chissà cosa gli starà dicendo poi” pensò Andrea, mai così rammaricato di non aver mai voluto imparare l’inglese: capiva solo quel dannatissimo nome altisonante, troppo snob persino per il suo orecchio sofisticato. “e la cosa peggiore” gli urlò una voce nel cervello “è che il tipo non solo si permette di non considerarla, anzi sembra addirittura infastidito! Roba da matti!
Quando portarono le bevute Darcy prese la bottiglia di Tanqueray, se ne versò una buona dose nel bicchiere, la bevve e si mise ad armeggiare col cellulare.
Andrea non voleva crederci. Ma che modi erano quelli? Comportarsi così con una ragazza…. E non una ragazza qualunque! Ma un gran pezzo di figliola come quella!
Prese stizzito la bottiglia.
“Puis-je??” le chiese.
“Mercì, très gentil.” e servì lui Caroline: almeno era riuscito a catturarnel’attenzione.
Quante gliene avrebbe volentieri date a quel tipo! Era fortunato, senza dubbio: se non fosse stato alto quei venti centimetri in più di lui, Andrea certamente non lo avrebbe picchiato, ma gliene avrebbe dette tre o quattro. Al momento, stimandolo con l’occhio dell’esteta, non aveva dubbi che le spalle dell’inglese fossero il doppio delle sue e giudicò saggio non iniziare in nessun modo un qualsiasi tipo di alterco.
In tutto questo Charles non faceva altro che parlare a mitraglietta: Andrea non poteva sapere di cosa, ma capiva benissimo che la sua loquacità invadente infastidiva Caroline, che, a quanto pareva, non voleva essere distratta dai vari tentativi di abbordaggio. Darcy rispondeva ogni tanto a Bingley (e per lui alzava gli occhi dallo schermo, incredibile…. Che fosse gay?), ma non usava mai più di tre parole e una delle tre era sempre un no. 
Il rossino parlava anche con Andrea, che non capiva un accidente.
Ad un certo punto Caroline tradusse per lui: Charles voleva uscire in pista, Darcy non aveva nessuna intenzione di mischiarsi a quella marmaglia di ragazzetti gretti e sudaticci e Caroline non poteva far altro che dargli ragione.
Era tutto chiaro: non stava traducendo per gentilezza, voleva che lui portasse fuori Charles in modo da avere libero il territorio per la caccia.
Andrea maledisse il Club, le donne, tutti quelli con le spalle più larghe delle sue, gli inglesi, l’Inghilterra e la Regina… poi si pentì, Sua Maestà non l’avrebbe mai rinnegata! Giudicò una punizione adeguata per quel suo pensiero irrispettoso l’uscire in pista con Charles.
 
Erano state veramente molto poche le occasioni nella vita di Fitzwilliam Darcy in cui si era ritrovato a detestarsi con tutta la sua anima: una di quelle occasioni era proprio questa.
Quali erano state le congiunzioni astrali per cui si era ritrovato solo con Caroline Bingley nel privè di una pidocchiosissima discoteca di provincia?
“Andiamo in Toscana!” aveva detto Charles il mese prima.
Toscana un corno! Dov’erano le fiorenti città d’arte, i pittoreschi paesini medievali, gli sterminati vigneti?
“Perché sono qui?” pensò sconfortato, osservando con preoccupazione la mano di Caroline che si era poggiata sul suo ginocchio.
“Puoi versare un goccio di gin anche a me per favore?” cinguettò lei “allungalo anche con un po’ di soda grazie, non riesco a reggere molto bene l’alcol con questo caldo.”
“Certamente” e ne approfittò per riempire di nuovo anche il proprio bicchiere.
“Cosa te ne pare di questo posto? Non lo giudichi il più squallido che hai mai visto?” insistette lei, degnandosi fortunatamente di togliergli la mano di dosso.
“Non saprei dire, non frequento mai questo genere di locali.”
“Non vedo l’ora di andarmene! Fa un caldo insopportabile…. Su questo siamo d’accordo vedo” e indicò le braccia di Darcy, che si era arrotolato la camicia fin sopra il gomito.
Lui non rispose, si limitò a bere.
Ok, senza dubbio il pressing di Caroline era davvero alto quella sera ed a lui iniziava a girare la testa.
Si chiese perché lei non capisse che era inutile provarci con quella insistenza, dato che lui non aveva mai tenuto un comportamento che potesse dare adito a qualche speranza di una possibile relazione tra loro. E non poteva neanche trattarla peggio di come stava già facendo, era pur sempre la sorella di Charles!
Speriamo prima o poi capisca da sola” si disse sconfortato.
Trangugiò un altro bicchiere, fece mente locale e si accorse che era il terzo. Ecco perché gli girava la testa! Era decisamente il caso di smettere: diventare all’improvviso un avvinazzato, dopo un’intera vita passata da sobrio, solo perché una donna gli si stava strusciando addosso era fuori da ogni grazia di Dio.
Ma la sorella di Charles proprio non la reggeva.
Ebbe un improvviso flash di Caroline che si approfittava di lui ubriaco: una scena atroce.
Si ritrovò a osservare il privé, purtroppo (escludendo lui e Caroline) vuoto, circondato da pareti scure ravvivate con murales colorati di dubbio gusto e collegato alla discoteca vera e propria da quella che aveva tanto l’aspetto di una porta antipatico, attraverso la quale penetrava leggermente attutito il suono di un qualche stupidissimo tormentone.
Da quanto tempo era solo con lei?  Guardò l’orologio: l’una e venti. L’una e venti!! Erano passati solo dieci minuti! Invece lui si sentiva addosso un’intera vita di privazioni e stenti.
Doveva trovare una scappatoia immediatamente. Forse era il caso di uscire a cercare Charles e quell’altro che era con lui, quello di cui non aveva ascoltato il nome: avrebbe preferito presentarsi all’ora di punta sulla spiaggia più affollata di tutta Castiglione in costume adamitico piuttosto che ritrovarsi circondato di ragazzetti ubriachi ed eccitati, ma per sfuggire a Caroline avrebbe superato anche un’ordalia.
Stava per prendere il coraggio di alzarsi in piedi quando il cellulare gli vibrò nella tasca.
Grazie” pensò “Dio, grazie, grazie! Chiunque tu sia, aprirò per te un fondo fiduciario.
Si alzò e si mise in un angolo, dando le spalle a Caroline.
Era la dipendente di una società americana della quale, tra l’altro, aveva aspettato una telefonata per tutto il giorno: la cretina che chiamava, una lobotomizzata molto probabilmente, si era scordata che tra l’America e l’Europa, oltre che l’oceano, ci sono dei fusi orari.
Fitzwilliam Darcy non si era mai sentito così grato per la stupidità di qualcuno.
 
Nel mentre, come molti di voi avranno già argutamente supposto, Andrea e Bingley avevano trovato le ragazze. Dopo un idilliaco momento di sorpresa tra Giovanna e Charles (in cui si guardarono vicendevolmente con la stessa espressione che senza alcun dubbio ebbero i pastorelli di Fatima al momento dell’apparizione della Madonna) tutti poterono salutarsi, ci furono baci e abbracci vari e si poté presentare Charles anche a Carlotta.
Siccome nella calca non riuscivano a parlare, Bingley invitò tutti quanti a spostarsi nel privé, al cui interno trovarono una addoloratissima Caroline davanti a mezza bottiglia di Tanqueray (la quale stavolta si dedicò con molta partecipazione alle attenzioni di Andrea).
Incredibile ma vero, al momento di essere presentata alle tre ragazze fu molto cordiale e cortese.
“Darcy!” gridò Charles “Darcy, let me introduce these new friends…” ma lui continuò a premersi il cellulare su un’ orecchio ed una mano sull’altro, degnandoli solo di una breve occhiata e di un cenno della testa.
Carlotta ed Elisabetta si sedettero accanto, sullo stesso divanetto (a quanto pareva due coppie si erano già formate e sarebbe stato un peccato osare dividerle).
Elisabetta guardò la sorella e sorrise, erano proprio carini insieme lei e quell’ inglesino.
Sentì che Carlotta reclamava la sua attenzione premendole il gomito tra le costole.
“Ehi Lisa” le sussurrò “piccolo il mondo eh?” 
“Sì, incredibilmente piccolo. Ci sono proprio tutti, dalla ragazza chic al sovrano di Guglielmo Vermilinguo.”
“Ssh, parla piano! È nell’angolo dietro di noi!”
“E dai Carlotta, ora non fare l’ansiosa. È troppo preso dalla telefonata per prestare attenzione a qualunque cosa diciamo. Ed oltretutto la vedo abbastanza assurda che sappia l'italiano.”
Elisabetta girò leggermente la testa indietro, per poterlo vedere: lui camminava in circolo e, quando non le dava le spalle, vedeva bene la sua espressione estremamente irritata e concentrata mentre cercava di capire quello che gli stavano dicendo al telefono.
“Che tipo assurdo!” commentò “Ma che senso ha cercare di telefonare a qualcuno da qui a quest’ora?”
“Vabbè Lisa, non puoi saperlo. Magari è importante, il notaio avrà trovato dei vizi nel testamento del gatto.”
Elisabetta ridacchiò e si girò a guardarlo di nuovo: aveva smesso di parlare ma non aveva posato il cellulare (se si poteva chiamare cellulare quel coso, sembrava il radiocomando di una navetta spaziale).
“Che fa?” chiese Carlotta.
“Mah, starà riscrivendo tutta la Recherche: mai visto qualcuno scrivere un messaggio così lungo”
“La Recherche? Santo cielo Lisa come sei diventata radical, quando uno parla di Proust in francese vuol dire che ha toccato proprio il fondo.”
“E’ colpa di Maria, anzi no, è colpa di questo tizio: è talmente snob che tira fuori il mio lato più affettato.”
“Snob?”
“Ma sì! Dai, guardalo: se ne sta lì con la puzza sotto il naso, nelle sue costosissime scarpe di pelle ed è riuscito a non rivolgere mai la parola a nessuno.”
Fu in quel momento che Charles si alzò dal divanetto, non dopo essersi scusato con Giovanna almeno una quindicina di volte, per dirigersi verso l’amico.
“Come on, Darcy!” gli disse “I hate to see you standing there all by yourself!”
“Cosa gli sta dicendo?” chiese immediatamente Carlotta a Lisa.
"Lo sta criticando sembra! Perché se ne sta lì da solo. Ahahah, bene bene, la cosa si fa interessante!”
“E lui cosa ha risposto?”
“Che non ha niente da dire a degli sconosciuti.”
“Sì, è proprio uno snob. Nemmeno Andrea, il nostro Piccolo Lord, sarebbe mai arrivato a tanto.”
“Sssh, fammi sentire…”
“Don’t be so fastidious!” esclamò Bingley “Come on! I have never met so many pleasant girls in my life!”
“You are talking with the only pretty girl in the room” gli rispose Darcy dando un’occhiata a Giovanna e rendendosi conto mentre la guardava che, prima di quel momento, non aveva mai soffermato realmente lo sguardo su di lei, così come non lo aveva soffermato su nessun altra delle persone che erano entrate.
“Oh! She is the most beautiful creature I have ever seen! But there is one of her sisters, sitting down just behind you, who is very pretty. Let me introduce you to her!”
Darcy si girò nella direzione che l’amico gli aveva indicato ed i suoi occhi incrociarono quelli di Elisabetta, che lo stava a sua volta guardando. Sentendosi colta in fallo da quello sguardo gelido si girò velocemente, ma non smise di prestare attenzione al dialogo.
Darcy, supponendo che lei non sapesse l’inglese, continuò tranquillamente a parlare “She is tolerable; but not pretty enough to tempt me. You had better return to your partner and enjoy her smiles. You are wasting your time with me”.
Mentre Bingley se ne ritornava a sedere accanto a Giovanna, Elisabetta ebbe un momento di smarrimento, mentre nel suo cuore si agitavano sentimenti molto poco civili nei confronti dello snob inglese. Ma per sua fortuna la natura l’aveva dotata di un carattere molto positivo e si riprese immediatamente per raccontare a Carlotta cosa aveva sentito, alterando il tutto in una buffa versione comica.


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Capitolo 4
*** Sguardi ***


Capitolo 4.
Sguardi
 
“Né tu né io
siamo pronti
a incontrarci.”
(García Lorca, Incontro)
 

Darcy si passò per l’ennesima volta le dita sulle tempie, massaggiandole lentamente. Era tutto il giorno che quel maledetto mal di testa non si decideva ad andarsene: non vedeva l’ora di finire la cena e di gettarsi a letto. La parlantina di Bingley e le continue, costernatissime, domande di Caroline stavano diventando una tortura cinese.
“..e poi a un certo punto hanno messo quella canzone di cui non ricordo il titolo.. ma è divertentissima! Così io e Giovanna ci siamo buttati a ballare in mezzo alla folla. E’ stata una delle serate più divertenti della mia vita, lo giuro!”
“Ma per favore Charles!” Esclamò spazientita la sorella, spostando lo sguardo dal povero Darcy verso il fratello “Era un posto squallido pieno di bifolchi! Andrea si è scusato tutta la sera e mi ha promesso di organizzare una serata col Rotary in Versilia per fare ammenda di averci portato in un porcile.”
“Porcile? Ma cosa dici?” Ribatté sconvolto Bingley, il quale credeva fermamente di non essere mai stato prima in un posto tanto divertente e con migliore compagnia.
“Forse tu eri troppo distratto per notare quello che ti circondava! Sono sicura che Fitzwilliam la pensa esattamente come me.”
Il diretto interessato dovette fare uno sforzo sovrumano per costringersi a rispondere: mai come in quel momento aveva desiderato di starsene alla larga dai litigi fraterni… e che Caroline smettesse di chiamarlo Fitzwilliam!
“Direi che questo mal di testa è la giusta punizione per essermi fatto convincere a venire in quel posto.” Detto questo fece cenno al suo cameriere affinché gli togliesse davanti il piatto che aveva appena toccato e gli riempisse nuovamente il bicchiere: se quel posto aveva qualcosa di buono, di sicuro era il vino.
“Suvvia Darcy!” Lo rimbeccò Charles, continuando, da parte sua, a mangiare con gran gusto (il come non si strozzasse con una spina rimase sempre un mistero per l’amico) “Non ti sai godere niente! Nemmeno le belle ragazze che sono state così gentili da passare la serata con noi..”
“Belle?!” Lo interruppe sconvolta Carline “Forse la tua amica, quella Giovanna, può essere considerata una ragazza carina. Le altre lasciamo perdere! Oltretutto, so che è inutile dirlo perché non sapresti distinguere un abito di Armani da un paio di pantaloni di fustagno, ma quelle belle ragazze erano vestite in una maniera vergognosa! Credo proprio di non sbagliare ad affermare che quegli abiti potrebbero tranquillamente averli acquistati in un pulcioso mercatino!”
“..e anche se fosse, non le rendeva meno carine.” Le risposte Bingley, stavolta un po’ infastidito “Ma, evidentemente, sono l’unico a pensarlo!” concluse lanciando un’occhiataccia a Darcy, il quale si sentì in dovere di difendersi.
“Sinceramente non ci ho fatto molto caso, avevo altre cose per la testa e le discoteche hanno l’invidiabile pregio di essere quasi completamente buie; tuttavia, a parte la tua amica, non mi pare di aver visto grandi bellezze. Spero non vorrai farmene una colpa per questo; anzi, accettalo come un complimento.”
“Secondo me anche la sorella di Giovanna è molto graziosa.. mi pare si chiami Elisabetta.”
“Te l’ho già detto, non mi è sembrata niente di che. Ed ora vi chiedo scusa, ma credo sia l’ora di andare a letto, prima che il mal di testa mi uccida qui in sala da pranzo: sarebbe una cosa tremendamente disdicevole.”
Detto questo non lasciò tempo né a Charles di ribattere né a Caroline di augurargli calorosamente la buonanotte che era già a metà della scalinata, diretto verso la zona notte.
Non aveva la minima voglia di continuare ancora e ancora a parlare (discutere) della serata precedente: cosa ci sarà mai stato da dire?!
In verità una cosa da dire c’era; ma era un pensiero fugace che si sarebbe guardato bene da condividere con alcuno dei due Bingley: aveva notato nel corso della serata il volto della sorella di Giovanna (quella che Charles aveva tentato di affibbiargli) farsi divertito e sorridente quando si rivolgeva ai suoi compagni (sì, anche quando rispondeva cortesemente alle domande di Caroline!); ma diventare duro e freddo nei rari attimi in cui incontrava i suoi occhi. Ma forse quest’ultima era solo una sua impressione: era così buio in quel posto infernale e, in fin dei conti, non c’era motivo per cui lei lo dovesse odiare, senza averci scambiato nemmeno una parola.
 
 
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“Lisa! Dove stai andando!?”
“Al bar mamma!”
“Vai a dare una mano a Giò?”
“No, stavolta le farò solo da supporto morale. Voglio correggere il mio articolo in santa pace!”
“Sei sempre a girellare o a fare questa benedetta tesi! Perché non pensi a pulire un po’ casa o a trovarti un fidanzato!? Anche se non lavoro non vuol dire che sono la vostra schiava!”
Se c’era una cosa che Elisabetta detestava della madre, oltre al fatto di essere sufficientemente frivola e soggetta a completi sbalzi d’umore (e no, non era colpa della menopausa: la signora Benetti era sempre stata così fin dalla più verde età), era il viziaccio di urlarle come una scimmia isterica dal piano superiore.
“Falle fare a Lidia le pulizie, visto che è riuscita a farsi bocciare anche quest’anno!” Le rispose, mettendosi velocemente lo zaino del computer sulle spalle.
“Guarda che ti ho sentito!” Rimbombò per le pareti la voce stizzita della diretta interessata “Se quella zoccola della professoressa di matematica non ce l’avesse con me.. e anche quel cretino di italiano!  E’ dal primo giorno che sono arrivata in quella scuola…”
Lisa si chiuse il più velocemente possibile la porta alle spalle e si diresse verso la vecchia Panda bianca del padre. Non aveva fatto in tempo a chinarsi per prendere le chiavi nascoste al solito posto sotto il tappetino (vista l’appetibilità dell’auto avrebbero potuto anche lasciarle inserite nel quadro in piena notte nella periferia di Roma, sicuri di trovarcela il giorno dopo) che una vocetta scandì il suo nome con una cantilena ben conosciuta.
“Cate!” Esclamò la sorella, abbracciandola “Finalmente ti trovo da sola! Tutto a posto?”
“Si dai.. papà non se l’è presa molto per la faccenda dei debiti… Lidia mi ha rubato la scena di nuovo. Però questa volta sono felicissima!”
Scoppiarono a ridere entrambe, ma senza fare troppo rumore per non farsi sentire dalla signora Benetti. Caterina, la minore delle sorelle, era la pupilla di Elisabetta; la quale cercava, pur con risultati non sempre soddisfacenti, di ridurre l’ascendente che la due volte bocciata sorella (di solo un anno più grande) aveva su di lei. Ma l’adolescenza è un’età difficile, e la piccola Caterina, spesso e volentieri non riusciva a sottrarsi all’influsso negativo di quella ventata di energia e stupidità che rispondeva al nome di Lidia. I tre debiti promessi e giunti di fresco ne erano una riprova lampante.
“Già, com’è stato quando è arrivata la lettera della bocciatura? Non sono mai stata così contenta di morire di caldo a Pisa!”
“Un delirio! Papà si è arrabbiato tantissimo.. e la mamma ha peggiorato la situazione prendendo le difese di Lidia.. sai, crede anche lei nel complotto dei professori.”
“Poveraccio...”
“Già, ma è stata una discussione breve. Poi lui si è chiuso il libreria e non è più uscito fino a dopocena; così i miei debiti sono passati in sordina..”
Lisa non poté far a meno di sorridere “Guardiamo di recuperarli a fine estate, eh?”
“Lo sai che Lidia ha detto che vuole smettere?” Disse la sorella, guardandosi bene dal rispondere in qualsivoglia modo all’esortazione.
“Me l’ha detto papà al telefono. Lascia stare, vedrai che ci ripensa quando scopre quant’è faticoso il lavoro e quanti anni si può far mantenere ancora se riesce a passare.”
“Beh.. Alla fine non è meglio? Tanto lavoro non c’è comunque.. almeno uno se lo cerca prima”
Lisa non la pensava esattamente allo stesso modo, ma non aveva tempo di discutere: constatato il ritardo che aveva sulla tabella di marcia, lanciò un grido disperato e si lanciò in macchina.
“Ne parliamo poi, ora devo scappare!!” Urlò, mentre partiva a razzo in direzione del bar.
 
Era stata presuntuosa anche solo a sperare di trovare un tavolino libero vicino ad una presa della corrente dove potesse lavorare in santa pace al computer: orde di tedeschi con ettolitri di cappuccini disseminati sui tavoli si godevano tranquillamente il fresco, al riparo dall’assassino sole dell’una. Lisa si sentì rivoltare lo stomaco al solo odore del latte mischiato a un caldo quasi tropicale.
Avrebbe voluto salutare la sorella, ma stranamente Giovanna se ne stava cinguettando col tizio coi capelli rossi, approfittando di quell’attimo di relativa calma tra un’orda e l’altra di clienti; così la nostra povera eroina dovette circumnavigare in solitudine il perimetro del bar alla ricerca di un tavolo.
Non aveva fatto ancora in tempo a balenarle nella mente un ovvio quanto mai terribile collegamento logico che l’oggetto dei suoi timori se ne stava lì davanti a lei, seduto comodamente al tavolo col suo amato Ipad e il telecomando dell’ Enterprise (che, evidentemente, doveva funzionare anche come cellulare) attaccato all’unica presa presente nel raggio di diversi metri. In quel momento Lisa avrebbe preferito sbarbare il cavo dell’alimentatore per metterci il suo caricabatterie piuttosto che chiedere un favore a quell’antipatico.. antipatico e feticista tecnologico.
Stava quasi per sacrificare l’intero bar per salvarsi, che l’inglese alzò gli occhi e la salutò con un epico “Hallo”.
Lisa rimase probabilmente per più di cinque secondi inebetita a fissarlo, stupita come se lui avesse recitato dei versetti del corano e lei dovesse continuare.
Lo straniero, evidentemente con uno sforzo sovrumano, le rivolse di nuovo per primo parola. Ma questa volta la sorpresa della giovane, per quanto possibile, fu ancora maggiore.
“Può sedersi qui se vuole.” Le disse indicando la sedia di fronte a lui. Tuttavia, nonostante il grande passo avanti che aveva fatto rispetto alla serata precedente Elisabetta rispose malvolentieri alla sua offerta: le pareva che gli inviti dell’uomo le fossero fatti solo perché l’educazione lo imponeva e rivolti con fredda cortesia. Il suo sguardo rimaneva altero e i modi eccessivamente affettati.
“Ma lei sa l’italiano, signor.. Darcy, vero?” Rispose educatamente Elisabetta, sedendosi nel posto indicato e tirando fuori il computer dalla borsa.
“Un po’.” Si limitò a rispondere l’uomo con un marcato accento inglese, facendole un cenno con la testa per rassicurarla che il nome era giusto. In effetti con quel caldo sprecare due parole in più avrebbe potuto essere fatale.
“Posso chiederle come mai? Non credo si studi molto nelle scuole inglesi.”
“No. In effetti, togliendo la letteratura, è una lingua  abbastanza inutile”
Lisa a queste parole si trattenne da fracassargli nella testa l’Ipad… ed era già la seconda volta in due giorni che aveva questo impulso; sarebbe stato meglio, da quel momento in poi, girargli alla larga il più possibile.
“La letteratura non è mica poco.” Si sforzò di sorridergli, osservando di tanto in tanto con estremo astio la barra di caricamento di Windows che non riusciva a fare il suo lavoro: va bene che aveva cinque anni quel computer, ma quella lentezza puzzava di congiura. Magari si era lasciato sedurre dall’Ipad e non si decideva a partire per farla chiacchierare ancora con la persona più antipatica e indisponente che il globo terracqueo avesse mai partorito.
“E’ molto, ma non tutto. Comunque mia zia abita in Trentino e, sin dall’infanzia, mi reco lì ogni anno.”
“Parla davvero bene, complimenti.” Si limitò a rispondere Lisa, con quanta più gentilezza possibile.
“Grazie. Le auguro buon lavoro.”
Detto questo lo straniero si fissò di nuovo con il suo apparecchio mefistofelico e tacque, come se gli avessero improvvisamente applicato un quintale di silicone sulla bocca.
Elisabetta ringraziò mentalmente l’improvviso mutismo del suo compagno e, dopo essere finalmente riuscita ad aprire la cartella della tesi ed il relativo documento word, si mise a rileggere il sudatissimo lavoro. Non prima di aver fatto un salto su Facebook, naturalmente.
Come di consueto non poteva mancare tra i messaggi di posta uno della fedele Carlotta, latore  della cretinata quotidiana. Tuttavia, Lisa non poteva prevedere né sospettare era che l’oggetto dell’ironia dell’amica, stavolta, fosse proprio il suo simpatico compagno.
Quando apparve sulla schermata del computer la scritta nera in campo celeste “A primo impatto mi eri un po’ antipatico, però conoscendoti ho capito che mi ero sbagliata. Mi stai proprio sul cazzo” l’effetto fu tanto travolgente quanto improvviso: la nostra eroina non poté trattenersi dallo scoppiare a ridere in faccia al povero Darcy, il quale alzò gli occhi stupito.
“Deduco che il suo lavoro sia molto più divertente del mio”
Se l’intento del piccolo Lord voleva essere quello di fare una battuta, Elisabetta (la quale aveva ormai bollato l’inglese come un vecchio scorbutico) non la prese proprio così.
“Mi scusi se l’ho disturbata.” Rispose piccata “Ha per caso finito di caricare il cellulare? Perché avrei bisogno della presa per il pc”
L’uomo aprì un attimo la bocca per correggere le parole e dirle che forse aveva mal interpretato la sua frase; ma, dopo averci riflettuto qualche secondo, decise di tacere. Fece un segno di assenso e si affrettò a liberare il prezioso oggetto della contesa.
 
Passarono così un intero pomeriggio in silenzio, durante il quale Lisa ebbe la spiacevole sensazione che lo straniero spesso alzasse lo sguardo e si fermasse a fissarla con insistenza, per poi abbassare di nuovo gli occhi non appena veniva colto in fallo. Che voleva da lei? Ce l’aveva ancora per essergli scoppiata a ridere in faccia? Ogni sguardo di quel borioso le pareva un’accusa, come se non potesse far a meno di contemplare l’oggetto del suo disprezzo.
Passi il fatto di non essere era abbastanza bella per tentarlo (come se poi il signorino fosse un modello di Armani), ma adesso stava esagerando!
Dopo due intere ore di terribile tortura psicologica, Elisabetta decise di alzarsi e di andare a finire la l’articolo a casa. Le grida isteriche della madre erano nulla rispetto a quella situazione fastidiosa e imbarazzante.
Spense il computer e lo tirò letteralmente in borsa, cercando di fare il prima possibile per evitare eventuali convenevoli. Tentativo che si arenò vergognosamente sul principio.
“Se ne va?” Chiese Darcy, tornandola a guardare con quell’espressione strana.
“Già, si è fatto tardi.” Biascicò lei a testa bassa e fece per alzarsi, ma un pensiero la bloccò sulla sedia “Certo che potresti darmi del tu.. mi fai sembrare vecchia.”
Si sforzò di sorridere. Anche se pareva più un sorriso di sfida che di gentilezza.
“Come preferisci, volevo solo essere educato.” Rispose l’uomo, guardandola con un’espressione incredibilmente raddolcita “A casa di mia zia è praticamente obbligatorio.”
“Come siete formali!”
“Mia zia è un tipo.. particolare.”
“Dev’essere una caratteristica di famiglia.”
La frase le uscì di bocca istintivamente, prima che potesse mordersi la lingua: sapeva di aver esagerato, ma evidentemente era più forte di lei dire sempre quello che le passava per quella testolina iperattiva. Se il diretto interessato le avesse sfracellato il telecomando dell’Enterprise nei denti avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo.
Tuttavia Darcy, non solo non tentò di ucciderla, ma non parve nemmeno offeso. Sgranò solo gli occhi per un impercettibile secondo, preso in contropiede dalla confidenza della ragazza e le sorrise conciliante.
“Le sembro.. ti sembro così strano?”
“No.. sei solo così… come posso dire?.. Inglese, ecco..”
“E questa sarebbe un’offesa?”
“Assolutamente no, se si eccettua il colore bianchiccio della vostra pelle.” qui Darcy la fulminò con lo sguardo “Intendevo dire che te sei il più inglese degli inglesi.. Non mi stupirebbe che ordinassi il pudding ogni domenica.”
“Chi ti dice che non lo faccia?”
“Castiglione è un paese così piccolo che certe scandalose notizie trapelerebbero immediatamente.”
“Allora è una immensa fortuna per me che odi il pudding” Le sorrise l’uomo, chinando leggermente la testa, come se fosse costretto ad una vergognosa ammissione. “Ma io ti sto trattenendo un po’ più del dovuto. Ti farò fare tardi.”
Lisa si riscosse, pareva quasi che se ne stesse andando perché voleva allontanarsi dal piccolo lordino snob! Fece finta di dare un’occhiata preoccupata all’orologio.
“Ho un appuntamento con degli amici per vedere la partita, se non mi sbrigo arriverò a primo tempo già ampiamente iniziato.”
Darcy, da gentlemen qual era, evitò di farle notare che la partita sarebbe iniziata tra più di tre ore e optò per una cortese saluto.
“Allora ti lascio andare e non preoccuparti: gli irlandesi non sanno giocare a calcio”
Dopo queste ultime parole la nostra eroina decise che era giunto il momento della fuga strategica prima che iniziasse a non trovarlo poi così antipatico.
 

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Capitolo 5
*** Stronzate ***




Capitolo 5
Stronzate.
 
DON GIOVANNI-…Ogni bel frutto non è che un verme che si nasconde. Ecco il grande segreto che non bisogna conoscere! Provate un po’ a vivere sapendolo.
IL DIAVOLO-Provate!
DON GIOVANNI-Ci siamo riusciti subito. Il fogliame in cui da allora la donna si nasconde ci concesse il vizio donandoci le vesti; e presto scoprimmo il modo di dimenticare, anche se per un istante, che non c’è cosa che non nasconda un verme!”
(L’ultima notte di don Giovanni , Edmond Rostand)
 
 
Era soltanto la terza settimana di giugno e già il caldo si faceva insopportabile.
Malgrado questo, con lo sdegno di Caroline e lo sconcerto di tutti gli altri, Charles non riusciva mai ad esaurire le sue energie: era iscritto a due tornei di calcetto (a sette e a cinque), a uno di beach volley e ad un corso di windsurf.
Elisabetta si domandava cosa sarebbe successo se Giovanna non avesse dovuto passare a lavoro la maggior parte di quelle giornate: lui si sarebbe accontentato di passare un po’ di tempo in spiaggia o l’avrebbe coinvolta in tutte quelle attività?
Quel sabato Giovanna aveva avuto il giorno libero, così erano andate al mare con Carlotta.  L’idea era quella di riposarsi: non fare assolutamente niente, stare tutto il giorno sdraiate al sole a poltrire come le lucertole.
Purtroppo verso mezzogiorno Charles si era unito al gruppo con lo specifico scopo di rovinare tutti i loro piani: era un tipo fin troppo frizzante ed energico per riuscire a stare tranquillo a sonnecchiare al sole e, tempo pochi minuti, aveva già trascinato Giovanna in acqua, aveva costretto Elisabetta a giocare a racchettoni e si era calmato solo quando si erano messi tutti insieme sotto l’ombrellone a giocare a Uno.
Anche Darcy d’altra parte era pieno di energie, solo che le spendeva nel lavoro: in tutti quei giorni non si era mai schiodato dal tavolino sulla terrazza del bar. Ogni mattina era lì, puntualissimo (come se avesse dovuto rendere conto dell’orario a qualcuno), con il suo fedele iPad e l’immancabile telecomando dell’Enterprise. Spesso con  qualche costosa camicia a mezze maniche, più raramente (per sentirsi più casual) con qualche elegante polo di Ralph Lauren. Elisabetta sperava di cuore che, una volta che si fosse degnato di portare in spiaggia la sua augusta persona, il sole lo avrebbe ricompensato con un’ustione di quarto grado.
Anche Caroline si faceva vedere poco: Darcy lavorava e lei non poteva infastidirlo in continuazione, quindi preferiva di gran lunga passare i pomeriggi con quelli del Rotary Club piuttosto che con le nuove amichette del fratello.
Elisabetta non poteva che sentirsi tranquillizzata da questa assenza: dal poco che fino a quel momento aveva potuto vedere, l’altezzosa sorella di Charles non doveva essere una cima di simpatia. E le sue prime impressioni sulle persone erano solitamente corrette.
 
Quel pomeriggio Elisabetta si era attardata a lavorare al bar, quindi aveva preso un panino per cenare e lo stava mangiando correndo verso casa.
In realtà non era tardi, anche se il sole era già tramontato era pur sempre un’ora abbastanza decente per poter trovare in casa Benetti qualcosa di pronto per la cena (e questo perché sua madre cucinava ogni giorno per un’ intero reggimento), ma quella sera aveva fretta di uscire. Iniziava infatti il programma di film del cineforum organizzato tutte le estati dal comune che, per lei e suo padre, era un appuntamento immancabile.
Quell’estate era in programma Woody Allen:non vedeva l’ora, anche se in realtà aveva già visto quasi tutti i suoi film.
Quindi di corsa a casa, non c’era neanche molto tempo per cambiarsi e sperava che suo padre fosse già pronto.
Trovò il signor Benetti in canottiera e pantaloncini, stravaccato sulla poltrona del suo studio, con un libro in mano e con il ventilatore al massimo della potenza.
“Ehm…babbo?”
“Oh, Lisa! Ben arrivata a casa.”
“Perché non sei pronto?”
“Ma sono pronto… pronto a passare una serata in compagnia del mio libro.”
“Ma dobbiamo uscire! Stasera inizia il cineforum…”
“Ecco, come vedi oggi ho avuto una giornata faticosa e ora ho bisogno di rilassarmi un po’. Sarebbe uno sforzo incredibilmente eccessivo per le mie attuali forze dovermi cambiare in tutta fretta per arrivare in orario, sai bene che odio entrare in sala con il film già iniziato.”
“Te ne sei dimenticato vero?”
“Touchè…”
Elisabetta lo guardò con una espressione tra l’interrogativo e il risentito di cui il signor Benetti conosceva da tempo il significato: bene, cos’hai intenzione di fare per rimediare?
“No Lisa, non mi sento in colpa. Ho visto Io e Annie minimo un trilione di volte. Per stasera cedo il mio abbonamento a Giovanna che, sapendo che dovrai andare sola, non potrà fare a meno di accompagnarti.”
Andò proprio così: dato che l’imperativo morale della vita di Giovanna era il bene del prossimo, non poté certo dispensarsi dall’accompagnare la sorella al cinema. Oltretutto, come le fece notare Elisabetta, l’abbonamento era già pagato e sarebbe stato uno spreco di soldi saltare anche un solo spettacolo. Per quanto buona Giovanna non poté trattenersi dal prenderla in giro per la spilorceria virale che l’aveva colpita da quando si guadagnava uno stipendio.
Il cinema era all’aperto, in un giardino vicino al castello. Non era troppo lontano da casa loro e si avviarono a piedi passando per il lungomare, in quel momento invaso dai turisti che ammazzavano il tempo facendo due passi.
Non avevano fatto molta strada che sentirono una voce nota chiamare Giovanna ad un tono eccessivamente alto e videro Bingley correre verso di loro tutto giulivo.
Mentre le accompagnava verso il centro storico raccontò che Caroline l’aveva trascinato con la forza ad una cena del Rotary ed era riuscito ad evadere solo in un momento in cui era particolarmente disinteressata alla sua presenza: per carità, lui non aveva nulla contro il Club, anzi i ragazzi che vi aveva conosciuto erano tutti ottime persone, solo che stare tutta la sera bello impomatato a fare attenzione all’etichetta non era proprio una cosa che faceva per lui.
Stava pensando di tornare a casa da Darcy, che non era uscito per lavorare: il solo pensiero che uno stacanovista del genere fosse suo amico lo faceva sentire affaticato.
Ad Elisabetta venne il serio dubbio che Mr. Simpatia avesse approfittato dell’occasione per stare un po’ da solo con l’iPad: va bene stare anche in mezzo agli altri ma ogni coppia dovrebbe ritagliarsi dei momenti di privacy. 
Questo le fece venire in mente che, magari, sarebbe stato lecito dileguarsi il prima possibile, in modo da lasciare soli i due piccioncini.
Approfittando di un momento di distrazione di Bingley, che si era fermato a salutare una delle ottocentomila persone con cui aveva già fatto amicizia, Elisabetta afferrò la sorella per un polso: “Giò senti, vado da sola al cinema.”
“E mi lasci sola con lui?”
“Beh, l’intenzione era proprio quella…”
“No, no, resta! Oppure potremmo andare al cinema tutti e tre.”
“Ma, scusami Giò, credevo ti piacesse…”
“Si, mi piace! È solo che… ecco…non voglio restare sola con lui, mi pare un po’ prematuro.”
“Prematuro?! Cos’hai nella testa? Deve chiedere il permesso a babbo per portarti fuori?! Fatevi due passi insieme o andate a sedervi in qualche locale, giusto il tempo di un film, poi mi venite a riprendere all’uscita. Non vorrai portarlo al cinema, poveretto! Le uniche due parole che conosce in italiano sono ciao e cappuccino!”
“Ma mi dispiace che tu debba andare da sola.”
“Giò, giuro che ti riempo di botte!”
Elisabetta gettò un’occhiata a Bingley e vide che si stava girando verso di loro, pronto a percorrere i pochissimi passi che li separavano.
“Forza Giò, non dirmi che hai paura di lui, mica ti stupra. Piuttosto avrei paura di restare sola con quel sociopatico del suo amichetto!”
Giovanna non poté ribattere perché Bingley le raggiunse; anzi, dovette sottostare ai dettami di Elisabetta: salirono verso il castello e, arrivati all’entrata del cinema, si salutarono.
 
Darcy doveva veramente lavorare, non era stata una scusa per restarsene a casa da solo: per sua fortuna (o per sfortuna?) aveva ereditato un mestiere che poteva svolgere in qualsiasi punto del globo, purché avesse un collegamento internet.
Era uno dei motivi per cui aveva accettato di passare tre mesi in Italia in vacanza con Bingley.
Il motivo principale era perché ci teneva a visitare la Toscana, anche se per ora aveva visto solo un bar con una terrazza sul mare (molto bello, per carità!, ma era un bar con una terrazza).
Erano atterrati a Pisa e non avevano neanche visitato Piazza dei Miracoli! Indecente.
Aveva incolpato i Bingley per quella superficialità e disorganizzazione ed aveva assolto se stesso. Nella realtà, ignorata nel mondo della sua mente, sarebbe bastato aprire la bocca ed esprimere il suo parere a riguardo: Charles trovava un’ottima idea qualsiasi sua opinione e Caroline non vedeva l’ora che lui esprimesse un qualsiasi tipo di desiderio o preferenza per poterli soddisfare.
Ma per Darcy alle volte l’atto di parlare era talmente impervio da lasciarlo completamente spossato.
Quella notte il tempo aveva deciso di molestarlo con un’afa talmente appiccicosa che i vestiti gli si attaccavano alla pelle anche se stava immobile, così decise di uscire: magari sul mare avrebbe trovato un’aria più fresca. Anzi, per ogni evenienza tanto valeva mettersi un paio di pantaloni lunghi, magari quelli gessati.
Andrea aveva dato un passaggio a Charles e Caroline, così lui poteva disporre in modo autonomo della Passat: era l’occasione giusta per gettarla in un fosso, ma, purtroppo, se la fece scappare preferendo fare due passi nel centro storico.
Non molto tempo dopo, venendo giù dal Castello, notò l’entrata di un giardino. Era molto bella: c’erano un cancello in ferro battuto e dell’edera che si intonavano bene con le mura di pietra.
Affissa all’entrata c’era la locandina di un film “Io e Annie” ad indicare che lo spettacolo unico sarebbe iniziato di lì a pochi minuti.
La curiosità di vedere come fosse all’interno un cinema con un’entrata del genere e la sensazione piacevole che gli dava l’aria che rinfrescava con l’avanzare delle ore notturne, stavano condizionando positivamente il suo umore, così decise di entrare.
Notò tre caratteristiche che gli fecero apprezzare molto quel luogo: il cinema era all’aperto, era piccolo e c’erano pochissime persone.
Giusto il tempo di fare il biglietto e vide, davanti al chiosco delle bibite, Elisabetta che chiacchierava con il venditore, un ragazzetto che doveva avere ad occhio la stessa età di lei.
Sì, ma lei quanti anni aveva? Si rese conto non solo di non averglielo mai chiesto, ma di non averci tenuto mai una vera e propria conversazione. Dovette ammettere che quella volta che era venuta al suo tavolo al bar non le aveva detto gran che.
Rimase fermo ad ascoltarla, catturato dalla divertita disinvoltura che aveva nel gesticolare mentre parlava. Gli servirono un paio di secondi per accorgersi di essere rimasto imbambolato ed un altro paio per far finta con se stesso che ciò non fosse successo.
Secondi che furono abbastanza perché il ragazzo del chiosco lo notasse.
Anche lui a sua volta rimase interdetto. C’era un uomo che li stava osservando: era troppo lontano per volere acquistare qualcosa, ma abbastanza vicino da far risultare inquietante il fatto che se ne stesse immobile ad ascoltarli parlare.
Vedendosi colto in fallo Darcy non poté far altro che avvicinarsi.
Quando Elisabetta si girò e lo vide, lui sollevò una mano in segno di saluto.
Lei parve sorpresa, ma quasi subito i suoi occhi assunsero una luce furba, poco rassicurante.
“Ciao Darcy” disse “sembri una comparsa del padrino, sei venuto a farci qualche offerta?”
“Oddio ma lo conosci!” esclamò il ragazzo dietro al bancone “maremma amico, m’ hai fatto prende un colpo!”
“Ah si? In effetti stavi guardando dietro di me in modo strano” disse con un sorrisetto Elisabetta, senza però togliere gli occhi di dosso a Darcy.  Missione: metterlo a tutti i costi in imbarazzo “Cos’ ha combinato?”
“Stava lì e ci guardava.”
“Santo cielo, un crimine imperdonabile. Forza Darcy, dimmi come hai intenzione di comportarti per fare ammenda.”
“Via amico, un te la prende” disse il ragazzo sporgendosi dal banco per dargli una sonora botta su una spalla: aveva notato che Darcy iniziava ad essere un po’ a disagio e gli dispiaceva “Lo sai com’è Lisa no?”
“No, in realtà non lo so.”
“Di certo nessuno oserà mai criticarti per non essere sincero” gli rispose lei.
“Pe Lisa un vale di certo” si intromise il ragazzo “spesso e volentieri dice cose che un pensa. Ma per me vole solo fa venì le mosche al naso!”
“Visto Darcy? Adesso sai qualcosa in più su di me, puoi annotarla sull’iPad.”
“Ragazzi, mi fa piacere davvero che invece di vedè il film state qui a fammi compagnia, ma sta iniziando!”
Darcy fu veramente sollevato da quell’informazione, iniziava sul serio a non saper gestire quella situazione e non era neanche sicuro di capire bene tutto quello che diceva quel ragazzo (non avrebbe mai fatto l’abitudine al maremmano: perché doveva venirgli una mosca sul naso?). 
Pensò che come prima conversazione non era andata un gran che bene, ma poi, mentre si avviavano a prendere posto, guardò di nuovo gli occhi di Elisabetta ed ebbe come l’impressione di essere stato graziato: aveva certamente per la testa qualche pensiero spiritoso su di lui, ma per fortuna aveva avuto il buon cuore di non dirlo davanti a un tizio che, per lui, era uno sconosciuto.
Oltretutto durante il film si rese conto con sgomento che guardare verso lo schermo era un problema: c’era come una forza oscura (che lui chiamò curiosità) che voleva costringerlo a tutti i costi a girare il collo verso la ragazza che gli sedeva accanto.
Si impegnò con tutta la sua volontà a tenere sempre gli occhi fissi davanti a sé.
Elisabetta invece aveva deciso che non si sarebbe in alcun modo fatta intimidire da quella situazione, si concentrò sul film ed in breve la storia di Alvy le fece dimenticare le circostanze che quella sera le avevano fornito un compagno per il cinema.
Poco prima della fine mandò un sms a Giovanna: “Dimmi dove siete, vi raggiungo io.”
Il messaggio della sorella non tardò ad arrivare: per fortuna si trovavano in un pub del centro storico, molto vicino al cinema. Scrisse subito la risposta: “Tra dieci minuti sono da te. Dì a Bingley che mi porto dietro il suo amichetto che stasera ha bighellato invece di lavorare”.
Contro ogni previsione di Elisabetta, Darcy fu gentile ed accettò di raggiungere gli altri, ma, esattamente come previsto, non aprì mai bocca: si limitò ad annuire ed a camminare accanto a lei.
Sempre come previsto, Elisabetta si stufò dopo pochi passi.
“Eh sì” commentò a voce alta, come parlando con se stessa “Tu sei un uomo che sa mettere a proprio agio le ragazze.”
“Scusa?”
“Forza Darcy, un po’ di impegno. Non puoi startene muto per tutta la strada no?”
“Ecco io.. non ho il dono di conversare con facilità con persone che non conosco bene.”
“Stronzate.”
Lui le lanciò un’occhiata ostile, ma lei gli sorrise.
“Oh non fraintendermi: penso che l’introversione sia una bella qualità, ma se ti comporti così verrai solo scambiato per un maleducato. Siamo appena usciti da un cinema, potresti parlare del film: ti è piaciuto? Non ti è piaciuto? L’avevi già visto? Potresti dirmi come ci sei capitato, visto che il mio informatore mi ha riferito che eri chiuso in casa a lavorare...”
“Il film l’avevo già visto.”
“Wow! Un notevole passo avanti nella nostra conoscenza reciproca: qualche altra informazione e riuscirai a conversare con facilità.  Ti hanno mai mandato da un logopedista da piccolo?"
“Per fortuna non sei una psicologa, non metteresti i pazienti molto a loro agio.” “Che ne sai che io non sia una psicologa?”
“Passi il tuo tempo a scrivere al computer o a servire al bar, non sembrano le attività tipiche di uno psicologo…”
“Senti Sherlock, credo invece che dovremmo provare. Una seduta a un modico prezzo, come Lucy e Charlie Brown.”
“Quindi conosci sul serio la psicologia?”
“Oh, in realtà no. Però mi piace: mi piace osservare le persone, capirne i caratteri e le motivazioni che le spingono ad agire in certi modi invece che in altri…”
“Ma che lavoro fai allora?”
“Faccio un dottorato in filologia,”
“E sfoghi questa tua passione per gli psicolabili con Woody Allen?”
“Certo, perché no?”
“Una logica stringente. E questo film perché ti piace?”
“Oh, è meraviglioso! Fa capire quanto sono illogici i rapporti tra uomo e donna: non esiste possibilità di fornire una spiegazione razionale per le nostre scelte sentimentali e soprattutto non esiste un appagamento duraturo in un rapporto di coppia.”
Darcy la guardò (ed a Lisa sembrò che avesse un’aria un po’ contrariata) e disse:
“E’ vero che la storia tra Alvy ed Annie naufraga, ma il finale fa capire che tra loro oramai si è creato un legame che non potrà mai più essere sciolto.”
“D’accordo, ma annienta completamente la favola dell’amore eterno.”
“Che cosa triste” commentò Darcy, più a se stesso che ad Elisabetta.
“Ma scusa, non ti piace il film?”
“Si, certo che mi piace. Ma perché è bello e basta, non devo per forza condividerne il messaggio.”
“Darcy sono commossa. Sei riuscito a condividere i tuoi pensieri con un’estranea.. peccato che anche questa fosse una stronzata. Ne stai dicendo parecchie stasera.”
“Non era una stronzata” rispose lui stizzito.
Elisabetta rise  “No, non lo era.. Volevo solo contraddirti, ma se dici cose con cui concordo questo è l’unico modo.”
“Non ha senso…”
“Sì che ha senso!”
“No invece!”
Erano arrivati al pub e Darcy fu chiamato a gran voce da Bingley. Lui e Giovanna erano seduti ad uno dei tavolini esterni e loro li raggiunsero.
Non c’è altro di rilevante da aggiungere su quella serata se non che Darcy notò che Giovanna si comportava sempre in maniera un po’ distaccata nei confronti di Bingley; ma, constatando che si conoscevano da pochissimo tempo, lo giudicò un comportamento molto coscienzioso e lo approvò. Inoltre constatò che il carattere frizzante di Elisabetta non gli dispiaceva, anzi decise che gli sarebbe piaciuto conoscerla meglio.
 
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Nei paesi anglofoni sono ormai decenni che si è insinuato nel sentire comune un profondo amore per un particolare motoveicolo italiano: la Vespa.
Da buon inglese anche Bingley era succube di questa attrazione e ci fu ben poco da fare per Darcy quando, mentre la mattina dopo facevano due passi insieme in centro, videro una vecchia 50 special verde militareparcheggiata al bordo di un marciapiede con affisso sopra un cartello di vendita.
Darcy non aveva fatto ancora in tempo a spiegare a Bingley che, prima di prendere una qualsiasi decisione, era doveroso valutare bene tutti i pro e i contro che l’altro aveva già composto il numero di telefono scritto a caratteri cubitali sul cartello.
Quando però Bingley sentì, dall’altro capo, una voce sconosciuta che diceva “Pronto” realizzò di non essere in grado di sostenere una conversazione in italiano e, tutto sorridente, passò il suo cellulare a Darcy.
Il proprietario della Vespa si rivelò essere un vecchio contadino maremmano con la capacità (congenita in questa parte d’Italia) di inserire almeno una bestemmia ogni quattro parole, ogni tre se gli girava bene.
Tale talento lasciò Darcy talmente stupefatto, che non ebbe neanche la capacità di indignarsi.
Dopo una estenuante conversazione, durante la quale ognuno degli interlocutori dovette ripetere minimo due volte le frasi che pronunciava, Darcy riuscì ad accordarsi con il contadino per la vendita.
La Vespa era una 50 special del ‘79 della seconda serie, aveva 4 marce e cerchi da dieci pollici: rispetto alla prima serie era quindi più stabile ed aveva una miglior tenuta di strada, ma la cosa migliore in assoluto, come fece notare il contadino, era il telaio rinforzato.
I telai rinforzati, come dovette spiegare a Darcy che non stava capendo, erano i migliori per nascondere i motori truccati ed era esattamente il loro caso: quel vespino infatti superava senza alcun problema i 120 kilometri orari.
Ebbe un bel da fare Darcy per cercare di convincere l’amico a lasciar perdere, non ce ne fu assolutamente modo, oramai Bingley aveva preso la sua decisione: la Vaspa voleva, la Vespa avrebbe comprato.
Diversamente da quanto si può intendere da queste circostanze, Bingley teneva il giudizio di Darcy in grande considerazione: lo reputava dotato di molta più saggezza di quanta madre natura ne avesse a lui concessa e la stima che Darcy aveva di lui incideva profondamente sul suo comportamento. Ma Bingley, d’altra parte, conosceva talmente bene Darcy da sapere che la sua indole estremamente proba lo portava a mettere sul banco degli imputati anche cose da cui spesso  era personalmente attratto. E Bingley era certo che la Vespa fosse uno di quei casi. Sapeva che nella mente dell’amico le due alternative si erano unite in una dicotomia inscindibile: comprare da un tizio poco affidabile una fuorilegge Vespa truccata/ comprare una Vespa; e l’unico modo per salvare la sua mente era trarlo fuori con la forza: quindi avrebbe comprato la Vespa.
Doveva segnarsi quella data: aveva preso, forse per la prima volta, una decisione al posto di Darcy.
L’unico appunto negativo da fare sulla Vespa era la vernice del telaio un po’ rovinata, così Bingley passò i tre giorni successivi l’acquisto a dipingere ed un pomeriggio, tornando a casa dal bar, Darcy la ritrovò rosso fuoco, con due bandiere inglesi che svettavano sui fianchi.
La cosa che più sconvolse Fitzwilliam Darcy fu lo scoprire, soltanto dopo il restauro, che il suo caro amico Charles non era capace di guidare una Vespa con le marce.
 

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Capitolo 6
*** Scherzo ***


Capitolo 6.
Scherzo
 
 
"MARK DARCY: Stasera sei stata leggermente ridicola.
BRIDGET JONES: E tu sei stato leggermente stronzo." 
(Bridget Jones: The Edge of Reason)
 


Secondo l’ineluttabile legge per cui Bingley dovesse fare ogni sciocchezza che gli veniva alla mente (basti pensare al fantastico affare della Vespa) ne risultava che non fosse affatto difficile convincerlo a prendere decisioni avventate.
Se poi questo qualcuno era Giovanna non c’era alcuna speranza di riportarlo alla ragione.
Naturalmente la maggiore delle sorelle Benetti aveva comunicato ad esclusivo scopo informativo che il giorno successivo lei e Carlotta sarebbero andate a Pisa a trovare Elisabetta (impegnata da due giorni ad aiutare il professore con le sessioni d’esame); ma Charles lo prese come un invito. Così iniziò letteralmente a perseguitare Darcy per convincerlo che una bella gita a Pisa nel mese più caldo dell’anno era una trovata geniale, finché quest’ultimo non si arrese pur di farlo stare zitto.
Così si trovarono per la seconda volta a bordo della Passat, in compagnia della dolce Caroline (che non poteva certo lasciare la sua preda), ammassati come sardine, con una temperatura così alta che pareva impossibile non sciogliesse la carrozzeria di quel catorcio di macchina.
Un volta arrivati a destinazione, Carlotta si rallegrò con Giovanna di dover rimanere a Pisa per una cena con i compagni della scuola notarile, evitando così un viaggio di ritorno al quale non sarebbe sicuramente sopravvissuta.
 
 
“..E questa a sinistra è la facoltà di Lingue, dove io studio, lavoro, faccio gli esami.. e dov’ero fino a ieri sera alle sette, quando la simpaticissima custode mi ha chiuso dentro il dipartimento!” Spiegò Lisa, indicando con un gesto plateale un bell’edificio cinquecentesco di colore scuro.
“It’s wonderful!” Esclamò Bingley, per la millesima volta da quando erano scesi di macchina. Carlotta, che camminava accanto a Elisabetta, rise di nascosto dell’ammirazione che Charles mostrava anche per la più sudicia pietra di quella città.
“Secondo te troverà wonderful anche piazza delle Vettovaglie?” Sussurrò nell’orecchio all’amica.
“Non lo so, ma stasera lo scopriremo!”
“Cosa?!?!”
Sul volto di Lisa apparve un sorriso mefistofelico “Non vorrai non toglierti la soddisfazione di portare il nostro amico Fitzwilliam nella piazza più sporca e piena di loschi individui di tutta la Toscana!”
Carlotta si voltò un attimo per osservare il diretto interessato; il quale, in quel momento, aveva un problema molto più grande da risolvere. No, non era il caldo tropicale; bensì una Caroline resa più soffocante dall’assenza di Andrea (il quale doveva sostenere proprio in quel giorno il suo solito esame annuale e mai perdonò il professore per la scelta di una data così infelice).
“Ci ammazzerà!” Protestò Carlotta, un po’ preoccupata.
“Prima deve sopravvivere lui..”
“Però la sua inglesissima attinia potrebbe uccidersi incastrando i tacchi in quel selciato dissestato.. che idea allettante!”
“Te lo immagini se un ubriaco le vomita sul vestito di Versace?”
“Potrei ubriacarmi io solo per avere questa soddisfazione!”
Darcy osservava un po’ indispettito le due ragazze che camminavano diversi metri avanti a lui con fare complice; il fatto che l’avessero lasciato solo con la sua nemesi e il sospetto che uno degli oggetti della loro divertente conversazione fosse proprio lui le rendeva oltremodo odiose ai suoi occhi. Chiaramente non poteva sperare nell’aiuto di Charles, il quale piroettava nel suo meraviglioso universo completamente ignaro dell’angoscia dell’amico e di tutti i problemi del mondo: non si capiva con chiarezza se trovasse effettivamente bella la città o la presenza di Giovanna rendesse meraviglioso il palazzo della Normale come il chioschetto delle granite all’angolo.
Mentre il povero lordino inglese si andava perdendo in monologhi interiori, il fato decise di andargli in soccorso sotto forma di una canzone di Lady Gaga: mai la suoneria del cellulare di Caroline gli era parsa così bella e melodiosa.
Non lasciò nemmeno il tempo alla donna di rispondere che, con un guizzo felino, si era giù unito alla coppia di amiche.
“Presumo che dobbiamo ringraziare la tua educazione per averti portato qua da noi.” Gli sorrise Lisa, facendogli l’occhiolino. Carlotta notò un certo imbarazzo nell’uomo di fronte a quella confidenza, ma non pareva affatto infastidito.
“Prego?” Domandò Darcy: a volte, nonostante la sua ottima conoscenza dell’italiano, faceva fatica a stare dietro alle arzigogolate frasi della ragazza. Sostenere una conversazione con lei era come salire sulle montagne russe per poi scendere mezzo intontito: se riuscire a rispondere alle sue provocazioni era difficile, l’ulteriore complicazione della lingua faceva di lei un mix letale.
Va tuttavia aggiunto che, con una notevole dose di cattiveria, Lisa usava appositamente con Darcy un linguaggio zeppo di subordinate e parlava molto più veloce del solito, solo per il gusto di metterlo in difficoltà. Farlo sembrare e, soprattutto, sentire un idiota era un piacere per lei incommensurabile, al quale si applicava con passione e diligenza.
“Non origlieresti mai una conversazione telefonica altrui.”
“Infatti.”
“Però adesso stai origliando la nostra personalissima conversazione non telefonica.”
Carlotta abbassò leggermente la testa, per evitare di scoppiare a ridere in faccia alla povera vittima di Elisabetta.
“Perdonatemi, vi lascio continuare allora.” Rispose Darcy, un po’ seccato.
“Stavo scherzando Fitzwilliam” Rise Lisa, preoccupandosi però di scandire ben bene le sillabe del nome.
“Preferirei essere chiamato per cognome.”
“Lo avevo intuito dalla faccia schifata che fai ogni volta che Caroline ti chiama per nome..”
Darcy avrebbe voluto chiederle perché allora l’aveva chiamato Fitzwilliam anche lei; ma, intuendo la risposta, preferì tacere.
“Come mai ti fai chiamare per cognome? Perché non ti piace il tuo nome o perché adori in maniera viscerale le formalità?” Incalzò Elisabetta, sinceramente stupita che l’uomo non fosse ancora andato all’anagrafe a scegliere un nome che si conciliasse meglio con qualsiasi velleità di vita sociale.
“Non è che non mi piace; ma sin da piccolo sono abituato a farmi chiamare Darcy. Tutto qui.” Rispose lui laconico e non ci fu verso di cavargli di bocca altri particolari sulla questione; tanto che Carlotta, che era sempre molto diplomatica, si arrischiò ad entrare nelle conversazione.
“Che ne pensa di Pisa, signor Darcy? …A parte il caldo, intendo.”
L’uomo sembrò leggermente sollevato.
“E’ piccola ma abbastanza carina.”
Quell’ abbastanza carina rimbombò nelle orecchie di Elisabetta, facendole tornare a mente il passabile con cui lei era stata classificata: il fatto che trovasse Pisa leggermente più bella di lei poteva essere consolante.. o forse no?
“Visto che vieni da un paese pieno di pecore e sassi speravo in un effetto migliore.” Sentì l’irrefrenabile bisogno di commentare.
“L’Inghilterra sarebbe un paese di pecore e sassi?!” La guardò sconvolto di Darcy, stavolta punto sul vivo.
“..e qualche castello, lo concedo; anche se i più belli sono quelli scozzesi.”
“Quando avrete una città come Londra forse potremo riparlarne; e non un museo a cielo aperto come Roma.” Rispose a metà tra l’ironico e lo stizzito. Questa era bella: farsi offendere da un’italiana! Mancava solo il discorso cliché sul bidet e se ne sarebbe tornato a Castiglione.
“Forse perché voi non siete stati in grado di costruire niente fino al medioevo, a parte due pietre storte?!”
Carlotta, da parte sua, decise di tenersi a debita distanza dal battibecco e lasciare che Lisa si azzuffasse con Fizt-e-qualcosa. Non condivideva l’antipatia (e l’ eccessiva simpatia, iniziava a pensare) dell’amica per Darcy; ma, non riuscendo ad essere espansiva come lei, le risultava difficile liberarsi di quello strano timore che l’uomo riusciva a incuterle.
Per sua fortuna la disputa fu improvvisamente interrotta, prima di diventare un vero e proprio duello, dalle grida beduine di Bingley che era appena entrato in piazza dei Miracoli.
 
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“Chi vuole un po’ di alcol!?” Propose trionfate Lisa, dopo aver conquistato con l’ennesima gomitata un rispettabile angolo di Piazza Garibaldi (l’unica ad offrire un vero e proprio megaschermo per la visione di Italia-Inghilterra). Com’era possibile che tanta gente potesse entrare in quello striminzito lembo di terra?! Compressione dei solidi?
“Ma abbiamo appena trovato posto!” Protestò Carlotta, massaggiandosi il piede dolorante per un pestone ricevuto poco prima da un pisano sufficientemente alticcio “Non vorrai farci smuovere.”
“Non ti angustiare mia cara. Io e il volontario Darcy andiamo a prendere da bere per tutti. Voi tenete il posto! Birra per tutti?”
“Io niente Lisa, grazie.” Sorrise dolcemente Giovanna.
“Sei una guastafeste, come sempre! Pur tuttavia suppongo che a Charles vada particolarmente a genio la mia idea, visto che gli si sono illuminati gli occhi al solo sentire il suono della parola birra.” Sghignazzò Lisa, facendo un gesto al ragazzo per attirare la sua già pronta attenzione “Do you want a beer, Charles?”
“It’s a stupid question! Sure! I’m english!!” Gridò questi impaziente “Darcy, big beer for me please.”
“What?”
Il povero Darcy, recluso al margine del gruppetto, stava pensando a quanto fosse stata incredibilmente geniale l’idea di Caroline di tornarsene in albergo (inorridita al solo pensiero di dover stare a contatto con ubriaconi sudati e rumorosi), quando udì vagamente chiamare il suo nome e, in meno di un secondo, si ritrovò trascinato da Lisa per l’ennesima volta nella calca.
Se avesse fatto più attenzione allo sguardo sconvolto con il quale Carlotta lo seguiva avrebbe intuito il pericolo.
Il tempo di svoltare due angoli puzzolenti e lo scenario che gli si parò davanti gli fece per un attimo desiderare di essere da solo in camera d’albergo con la sua stalker: in una piazza male illuminata e sporca decine di persone, alcune con delle facce davvero poco raccomandabili, se ne stavano in piedi o ammassate su dei gradini intenti a tracannare roba dagli strani colori.
Stava per prendere Elisabetta di peso e trascinarla via, quando notò con orrore l’espressione distesa e completamente a proprio agio della ragazza.
“Vieni, andiamo nel primo bar. Lì le birre costano meno.”
“Perdonami, dove dovremmo entrare?”
“Qui, nel primo bar a sinistra. Non vedi? Direi di prendere quattro o cinque bottiglie.”
Alla vista di quel buco stracolmo di gente, Darcy non poté fare a meno di assumere un’espressione nauseata.
“Io non entro là!”
“Perché?”
“Guarda tu stessa.”
“Non è proprio lo Chat Noire, ma ce ne faremo una ragione.”
“Non mi dire che passi il tuo tempo in questo posto disgustoso!”
Elisabetta si gongolò a sufficienza ammirando il volto di Darcy deformato dal ribrezzo: il contrasto tra la sua figura elegante e impettita e l’ambiente circostante poteva risultare quasi artistica.
“A volte.”
“Ti avrei creduta un po’ più…” Iniziò a dire, ma si interruppe.
“Un po’ più cosa?”
Civile? Sensata? Pulita?
“Niente...” Mormorò, non riuscendo a mascherare il disprezzo “Io me ne vado di qui.”
“Devo prendere le birre prima.”
“Allora le prenderai da sola.” E, senza aggiungere altro, Darcy si allontanò, cercando di farsi spazio tra la folla ed al contempo senza farsi sfiorare da nessuno.
Elisabetta lo seguì con lo sguardo, stranita, finché non scomparve dietro l’angolo. Ed in quel momento sentì una strana sensazione agitarle lo stomaco: è vero, era colpa sua. L’aveva portato lì solo per fagli dispetto; che altra reazione si doveva aspettare? Si era immaginata solo di vederlo inorridire, impacciato finalmente in una situazione in cui, invece, lei si sapeva perfettamente muovere e poi sarebbe tornata trionfante da Carlotta a ridere di lui…
Ed invece la figura della stupida l’aveva fatta lei.
Ma, in fin dei conti, era solo uno scherzo innocente e lui, come sempre, aveva dimostrato di non essere altro un cafone. Un cafone acido, per giunta.
Quest’ultimo pensiero le cancellò dalla mente qualsiasi traccia di senso di colpa e sintetizzò l’increscioso episodio appena trascorso in semplice e quanto mai semplicistico concetto: Darcy è uno stronzo. Così, conscia e fiera di tale verità universale, se ne entrò tranquilla nel locale, dove uscì diversi minuti dopo col malloppo infilato in una borsina, e sorpassò, senza degnarlo di uno sguardo, l’oggetto del suo odio; il quale, non avendo avuto il coraggio di lasciarla lì da sola, era tornato indietro e si era messo in disparte ad aspettare che uscisse dal bar. Viva possibilmente.
Così Darcy lasciò sfilare Elisabetta davanti a sé e la seguì in silenzio.
L’allegria dei compagni, l’incredibile vitalità di Bingley (il quale nel frattempo aveva rimediato, chissà dove, una bandiera inglese e la sventolava felice a suo rischio e pericolo), il delirio per la vittoria e una giusta quantità di alcol fecero dimenticare in pochi minuti a Lisa l’arrabbiatura di poco tempo prima; mentre l’espressione seria che Darcy tenne anche nelle ore successive fu imputata alla poca sportività davanti a una sconfitta così netta.
 
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“Darcy, vuoi che guidi io?” Domandò Elisabetta dal sedile posteriore, sporgendosi in avanti senza accorgersi di aver piantato le ginocchia nella schiena del guidatore (il quale, da vero gentlemen, evitò di farglielo notare). Si era prefissata di dimenticare il piccolo alterco che avevano avuto la sera prima e stava mantenendo i suoi propositi; anche se, in certi momento, l’impresa non risultava assolutamente facile.
“Perché dovresti guidare tu?”
Contro ogni previsione, Darcy si era dimostrato quel giorno incredibilmente collaborativo con l’ilarità di Elisabetta, sostenendo una lotta sovrumana con la natura un po’ burbera del suo carattere.
“Non so se stai andando a sessanta perché temi un colpo di sonno o se lo vuoi far venire a noi!”
“Il limite è settanta su questa strada, come ben vedi; che, guarda caso, è proprio la mia attuale velocità” Rispose composto, indicando un cartello che stavano lentamente superando.
“Non penserai mica di fare cinquanta chilometri a questa lentezza spero!”
“La tua speranza è mal riposta.”
“Ti giuro che se non aumenti mi getto di sotto per protesta!”
“Allora mi vedo costretto ad azionare la sicura per i bambini.”
“Mi butterò da finestrino!”
“Credo proprio che quello dalla tua parte sia rotto.”
Lisa, presa dal panico a quest’informazione, afferrò la manovella e tentò, inutilmente, di abbassare il vetro: non solo era completamente bloccata, ma all’ultimo, disperato, tentativo rischiò di staccarsi.
“Stiamo scherzando!?!” Boccheggiò, sconvolta “Ma da chi l’avete noleggiata questa macchina?!? Dal marocchino che ricicla le bici rubate?”
Darcy si mise a ridere: il modo di parlare di Lisa lo divertiva tantissimo, anche quando cercava di metterlo in difficoltà.
“What are you talking about?”
Uno dei motivi (se non il maggiore) per cui Lisa voleva scendere il prima possibile da quella macchina decise che era ora di intromettersi nel dialogo dal quale era stata così crudelmente esclusa.
Secondo una legge non scritta per cui i maschi debbano imperativamente sedersi sui seggiolini anteriori della macchina, Bingley si era aggiudicato l’ambito posto accanto a Darcy (contendendoselo ferocemente con la sorella) e, naturalmente, Giovanna non poteva non sedersi subito dietro di lui in modo da intrattenere una conversazione privata destinata a durare gran parte del viaggio. Visto che Lisa si era premurata (inutilmente) di aggiudicarsi il posto all’altro finestrino, Caroline troneggiava tra le due sorelle, cercando, con una scadenza che andava dai cinque ai dieci minuti, di attaccare bottone con Darcy.
“I’m saying that this car has some problems” Le rispose, cortese, Lisa.
Probabilmente Caroline non apprezzò il gesto perché continuò a parlare rivolgendosi al pover’uomo, lamentandosi della macchina, del tempo, della strada e di qualsiasi cosa le venisse a mente, in modo da stroncare anche ogni minimo tentativo di Elisabetta di instaurare una conversazione duratura con il suo oggetto del desiderio.
La nostra eroina si dichiarò vinta e preferì ritirarsi nel suo angolino in silenzio ad osservare il paesaggio, pensando a quanto le mancasse Carlotta in quel momento.
Avrebbe, tuttavia, giurato di aver sentito Darcy premere con maggiore forza l’acceleratore.
Quando si trovarono a pochi chilometri da Villa Campobasso, Bingley uscì dal suo ritiro spirituale con Giovanna per rendere partecipi i compagni di viaggio della sua nuova, straordinaria, idea.
“Darcy! Let’s go home, I want to show my Vespa!”
“I think there isn’t a good idea, it’s a bit late and sun is setting.”
“Please! Plese!!”
“You can show it tomorrow..”
“Two minutes! Don’t be so straight!!”
“Darcy is right, Charles!” Intervenne immancabilmente Caroline “It’s too late and we are tired!”
Elisabetta sorrise inconsciamente: pareva un dialogo tra babbo e figlio, condito dai commenti della figlia bacchettona. Il povero Bingley smaniava e ripeteva continuamente please con una faccia da immortalare, per poi voltarsi e chiedere alle amiche di dargli manforte. Quando anche quest’ultime dissero di non essere affatto stanche e di voler vedere, se non fosse di troppo disturbo, la Vespa, le rimostranze degli altri due inglesi non valsero più niente.
 
Darcy ebbe il sospetto di aver commesso un errore fatale ad assecondare i capricci di Bingley quando vide quest’ultimo mettere in moto (con grande difficoltà) la Vespa e invitare Giovanna a fare un giro di prova. Furono inutili i consigli di prudenza e le ore perse a far capire a Charles come funzionassero le marce: il povero motorino partì con i due giovani a bordo tra atroci grida di dolore.
I camerieri si affacciarono di nascosto alle finestre per godersi l’ennesima prova dell’incompetenza di uno straniero con qualsiasi mezzo di locomozione che non fosse una bicicletta.
“Badalo, vuole fare il grosso con la bimba!” Ridacchiò uno di loro, senza dosare bene il tono della voce.
“Parla piano, scemo!” Lo rimproverò il capo, accennando con la testa a Darcy (il quale, per sua fortuna, al momento era troppo preoccupato per far caso a qualsiasi cosa) “L’altro parla perfettamente italiano.”
“Ed è anche incazzoso secondo me!” Si aggiunse una ragazza, sporgendosi un poco di più dalla finestra “..oltre che parecchio discreto.”
“T’è sempre garbata la gente brutta Lucia!”
“Ma sarai brutto te, Riccardo!”
“Vorrei proprio sapere chi sono quelle ragazze con loro.. Non mi paiono delle riccone puzzolenti. Oltretutto quella del rosso sembra una bella figliola…”
“A me basterebbe sapere se si fermano a cena o meno!” Sbuffò il capo, guardando con sufficienza la Vespa che percorreva a tutto gas il viale dei cipressi. “Poi si lamentano che si cena alle dieci e non al loro orario da inglesi!”
“Mangeranno quando è pronto!”
“Oh Ricca! Ma questa qui sotto un è di Castiglione?!” Li interruppe Lucia, indicando Elisabetta.
“Toh, ma è Lisa!!” Esclamò il ragazzo, incredulo “O cosa ci fa qui?! Ma bada che..”
Non fece in tempo a finire la frase che un fortissimo stridere di ruote catalizzò l’attenzione di tutti i presenti: la Vespa, destabilizzata dalla ghiaia e dall’inesperienza del conducente, era scivolata da un lato per diversi metri, portando con sé i due passeggeri.
Se avesse fatto attenzione Lisa avrebbe potuto sentire, per la prima volta, un’imprecazione uscire dalla bocca di Darcy; peccato che fossero entrambi troppo occupati a correre verso il luogo dell’incidente.
Una volta accertatisi con una rapida occhiata che nessuno dei due si fosse fatto nulla di serio, Darcy prese delicatamente in braccio Giovanna ed Elisabetta porse la spalla ad uno zoppicante Charles, mentre parte del personale accorreva ad aiutarli muniti di cassetta del pronto soccorso.
Le grida isteriche di Caroline (non era riuscita a muoversi di un centimetro tanto la paura l’aveva paralizzata! Le tremavano ancora le mani: prima o poi Charles le avrebbe fatto venire un infarto) accompagnarono la medicazione; alle quali seguì, a breve distanza, una filippica su quanto caldamente gli avesse sconsigliato di comprare quella sottospecie di scooter da un vecchio ubriacone che Dio solo sa cosa ci avesse fatto.
Lisa, seduta accanto alla povera Giovanna, staccò per un attimo lo sguardo dalla medicazione per rivolgere un sorriso di ringraziamento a Darcy, il quale rispose con un rapido cenno, per volgere di nuovo gli occhi inferociti sull’amico. Nemmeno il dolore della medicazione avrebbe potuto punirlo abbastanza per la sua stupidità.
 
 

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Capitolo 7
*** Raccomandazione ***



Capitolo 7
Raccomandazione.

 
“Chi è così solido da non poter essere sedotto?”
(W. Shakespeare)

 
Bingley era riuscito a dimostrarsi il più imbranato dei piloti di tutto il Regno Unito (vi assicuro che questo è un eufemismo) e questo salvò, in un certo senso, la reputazione di Darcy : se non fosse stato per il maldestro incidente, avrebbe vinto lui l’ambito titolo.
Infatti, finiti i vari medicamenti, Fitzwilliam Darcy, da vero gentleman inglese qual era, si offrì di riaccompagnare subito a casa le ragazze.
Ma la Passat non partì.
Provò una, due, tre volte ad accenderla, ma inutilmente.
Chiamò degli uomini del personale per provare a spingerla mentre metteva in moto, ma invano.
Stette per un buon quarto d’ora a discutere davanti al cofano aperto con uno dei domestici (che sosteneva di avere il padre meccanico) senza alcun risultato.
Visto l’impegno che il poveretto ci stava mettendo, persino Elisabetta si astenne dal commentare la situazione: aveva l’impressione che Darcy fosse particolarmente incazzato e che l’unico motivo che gli impediva di uscire completamente dai gangheri fosse una congenita educazione. Così quando lui le passò il telecomando dell’Enterprise fece un enorme sforzo e represse la voglia di chiamare Spok per dirgli di attivare il teletrasporto. Si limitò ad una più economica telefonata a casa.
 
 
Il signor Benetti era appena tornato a casa da lavoro, anzi, per l’esattezza aveva solo aperto la porta ed aveva sempre i piedi sullo zerbino, che sua moglie lo accolse con un fiume di parole:
“Caro! Bentornato! Devo raccontarti una cosa: ho fatto una scoperta incredibile! Oggi sono stata tutto il giorno in agitazione! Quelle screanzate delle tue figlie sono a Pisa con gli inglesi e non mi hanno fatto mai nemmeno una chiamata! Che figlie snaturate e ingrate. Ho provato a chiamarle io almeno una quindicina di volte ma mi avranno risposto la metà!”
Maria, attirata dal gran vociare della madre, fece la sua comparsa nell’ingresso.
“Mamma, sto cercando di studiare, se permetti, e i tuoi strilli non mi aiutano di certo. Ed in ogni caso ti ricordo che Elisabetta è su per gli esami, non può certo perdere tempo a raccontarti al telefono tutto quello che fanno Giovanna e l’inglese!”
“Cosa c’entra? Mica è lei quella che viene interrogata! È una maleducata, come sempre del resto! Non mi risponde e se lo fa mi attacca in faccia dopo poco!”
Il signor Benetti aveva già sentito abbastanza: povera Elisabetta, era la prima volta che sosteneva un esame dal lato del docente ed oltre all’ansia della responsabilità che questo comportava era stata tutto il giorno a sorbirsi la madre che le telefonava di continuo, perché voleva sapere cosa stavano facendo Giovanna e quel Bingley.
La signora Benetti non si fece distrarre dall’intervento di Maria (che era tornata in camera sua alquanto risentita) e, rivolgendosi di nuovo al marito, che finalmente era riuscito ad entrare almeno nel disimpegno, continuò imperterrita: “Lisa è una gran maleducata ed una testona! Ti assomiglia proprio tanto bada! Crede sempre di aver ragione e non le si può dire nulla. Qualsiasi consiglio io provi a darle è come darlo a un muro di cemento. Eppure dovrebbe ascoltare chi è più saggio di lei! Quante volte le avrò ripetuto che la deve piantare di comportarsi da maschiaccio e tagliarsi quella lingua biforcuta che si ritrova? In questo modo non troverà mai un uomo!!! Da quanto tempo glielo dico?”
“Saranno almeno dieci anni, cara.”
“Appunto! E non avevo ragione? Visto come si è ridotta poverina? A venticinque anni è ancora single!”
“Ridotta?”
“Si esatto! Ridotta male. E se continua così non ha nessuna speranza di accalappiarsi un uomo!”
“Accalappiarsi?”
“Ma Giò invece? Oh era destino che la sua bellezza producesse i frutti tanto attesi! Quell'inglesino è così carino, così gentile! Ed inoltre finalmente ci siamo! Era questa la cosa che volevo dirti fin da quando sei entrato, ho scoperto che è ricchissimo! Me l’ha detto la signora Lucà che conosce una persona che è sorella di quello che lavora all’agenzia immobiliare che si occupa di dare in affitto Villa Campobasso! In ogni caso era prevedibile che fosse ricco, un poveraccio come noi mica può permettersi di stare tre mesi in vacanza in una villa con tutto quel personale. Pensa un po’, Giovanna mi ha risposto ben tre volte ed è stata prodiga di notizie: sono riuscita a capire per certo che è stato lui a volerla accompagnare su a tutti i costi.”
“Avrà voluto vedere Pisa...”
“Macché macché, cosa ci sarai mai a Pisa da vedere! Voleva stare con la nostra bellissima Giò. Te lo dico io: oramai è bello che accalappiato! Ricco in quel modo Giò fa proprio bene a non lasciarselo sfuggire!”
“A me più della sua rendita interesserebbe sapere se è una brava persona.”
“Ma che ragionamenti fai! Certo che lo è, si vede dal viso. Te lo assicuro!”
“Ah beh, allora se ne sei così certa domattina vado ad ordinare le bomboniere.”
“Mi fai impazzire quando fai così! Strazi i miei poveri nervi! Come puoi non capire quanto è importante che trovino il fidanzato?”
“Ti sbagli cara: capisco che è importante. Trovare qualcuno che ci voglia bene e che ci sopporti malgrado tutti i nostri difetti è davvero molto importante: ma non vedo come la ricchezza possa influire su questo. Anzi ti dirò, se è la ricchezza ad influire nella scelta la ritengo una cosa molto superficiale. E sono sicuro, più che sicuro, che anche Giò la pensa come me.”
“Ma cosa dici! Si sente che non ci capisci proprio niente. Così come non ci capirà mai niente Elisabetta...”
“Dici che non ci capisce niente perché non ha mai voluto seguire i tuoi consigli nelle questioni di cuore.”
“E’ una prova schiacciante! Non ha ascoltato nemmeno uno dei miei consigli ed infatti è single!”
“E’ single perché non esiste nessuno che se la meriti.”
“Che ridicolaggini vai dicendo? Sempre a tenerla su un piedistallo! È ovvio che è cresciuta credendo di essere chissà chi! Superiore a chiunque! Le avevo trovato quel bel ragazzino, quello che era in classe con lei al liceo te lo ricordi? Il fratello minore di Carlotta Lucà. E lei non l’ ha voluto! Ti rendi conto? È il figlio del notaio più importante di tutta la nostra zona. Elisabetta aveva avuto la fortuna che lui si fosse invaghito di lei, non si sa bene il perché, ed invece di approfittarne l’ha rifiutato! E pensare che io ho fatto tanto, di tutto, per farli stare insieme: lo invitavo a cena, lo invitavo a pranzo, lo invitavo a studiare qui, gli ho pure mandato dei dolci a casa dicendo che li aveva fatti Elisabetta e una volta sono pure riuscita a spedirgli di nascosto un sms con il cellulare di quella testa dura. Era praticamente fatta e lei invece non l’ha voluto! È ridicolo, ma chi si crede di essere quella ragazza, dico io!? Si è montata la testa!”
“Lisa non si è montata la testa, anzi è un miracolo che per quella storia non abbia spaccato la tua.”
“Si che se l’è montata, ed è colpa tua! Sempre a parlare di Lisa: Lisa di qua, Lisa di là. Hai anche altre quattro figlie sai? Ma tu vuoi bene solo a lei!”
Il signor Benetti, a quel punto, alzò la voce per la prima volta “Smetti di dire questa cosa in continuazione! Soprattutto smetti di dirla alle ragazze. Non è vera! Lidia per colpa di questa illazione stupidaggine non ha più considerazione di me. Infatti guarda come si è ridotta lei, con te che le lasci fare il cavolo che le pare! È bocciata e ora è sempre in giro fino a notte fonda con non si sa bene chi! Ma hai visto di che razza di amici si è circondata? Tutta la notte a ciondolare in piazzetta bevendo litri di non si sa bene cosa! Ti giuro che se stasera entro mezzanotte non è in casa non la farò uscire mai più!”
Detto questo il signor Benetti prese le chiavi che aveva lasciato sul mobile dell’ingresso e uscì sbattendo la porta.
La signora Benetti tacque (forse per la prima volta dopo mesi) e non lo seguì: dopo trent’anni di matrimonio ormai sapeva che raramente il marito perdeva la sua calma serafica e, quando succedeva, la cosa migliore da fare era aspettare che sbollisse da sé.
La preoccupazione le passò immediatamente quando sentì squillare il telefono.
 
Il signor Benetti camminò per qualche tempo col cervello in fiamme alla ricerca di un luogo dove non ci fosse anima viva. Per sua fortuna si avvicinava l’ora di cena e le strade della zona residenziale si stavano svuotando. 
Non pensate che l’accusa della signora Benetti contro il marito fosse fondata: lui voleva bene a tutte e cinque le sue figlie. L’ammirazione che provava per Elisabetta non c’entrava nulla con l’amore paterno. Riteneva fosse una persona da stimare e l’avrebbe stimata anche se non fosse stata sua figlia. O meglio, questo era quello che credeva lui: la qualità di figlia non poteva che offuscare la sua capacità di giudizio a favore di Elisabetta.
Il pover' uomo era vissuto per tutti quegli anni in una casa con cinque donne: la sua pazienza sconfinava nell’ascesi, eppure la moglie trovava sempre il modo di superarne l’altissimo limite (tutti avrete potuto notare che aveva a che fare con la donna più misogina del creato, che con due parole era riuscita ad annullare anni di lotte per l’emancipazione femminile).
Il signor Benetti non era di indole litigiosa, era anzi una di quelle persone che detesta litigare, con chiunque. Adorava la pace ed il silenzio: molto probabilmente, in una vita precedente, era stato un monaco tibetano.
Malgrado possedesse questa personalità mite, finché le figlie erano piccole si era sobbarcato per il loro bene lunghe litigate con la moglie, ma adesso erano cresciute e potevano dire la loro anche senza l’assistenza dell’avvocato difensore.
Elisabetta non aveva problemi: aveva dimostrato più volte di non avere stima dell’opinione della madre, così come, di contro, la signora Benetti si era prodigata per far capire che non aveva stima delle opinioni di Elisabetta.
Giovanna era troppo gentile per rinnegare il ruolo della guida materna, per contraddirla e litigarci, ma era anche abbastanza saggia da distinguere i consigli validi dagli ignorabili.
Maria e la sua ferrea moralità erano decisamente fuori dalla portata della signora Benetti.
Lidia era fuori della portata di qualsiasi adulto cercasse di parlarle, si chiudeva sempre di più e aveva iniziato a comandare la madre a bacchetta: il problema era che la suddetta madre soddisfaceva ogni capriccio con solerzia, come se ogni concessione fosse a Lidia giustamente dovuta. C’era seriamente da preoccuparsi.
Ed un’altra di cui preoccuparsi era la piccola Caterina, aveva un carattere troppo influenzabile e passava decisamente troppo tempo con Lidia.
 
“Pronto?”
“Mamma, sono io”.
“Lisa! Tesoro della mamma, finalmente mi hai chiamato! Alla buon ora! Allora forza, devi raccontarmi tutto per filo e per segno. Ve la siete svignata apposta per saltare la cena con vostro cugino Guglielmo di ieri sera, lo so! Ma tanto l'ho invitato di nuovo per il prossimo fine settimana! Adesso che finalmente è tornato dal Trentino sarà il caso che tu ti faccia un po’ vedere, no? Adesso, per farti perdonare, devi raccontarmi tutti i particolari. Cosa avete fatto in questi due giorni su a Pisa con gli inglesi? Come va la relazione tra Giò e quel bel ragazzino con i capelli rossi? E quell’altro com’è? Intendo l’altro inglese amico suo…”
“Mamma…”
“…sai io non sono ancora riuscita a vederlo! Tanto lo so già che non sarà carino ed affascinante quanto Bingley, altrimenti si sarebbe fatto avanti anche lui con Giò, perché Giò è così bella, è impossibile che un uomo non la noti. Ma è ricco anche il suo amico o è solo un parassita che ha approfittato della vacanza gratis? Oh non potrei mai perdonagli di approfittarsi della gentilezza di Bingley! Allora? È o no ricco anche lui? Ma come si sono conosciuti? Hanno studiato insieme…”
“Mamma…”
“…magari ad Oxford? oppure ad Eton! Sai mi sono informata. Quando Gloria Lucà mi ha detto che Charles Bingley aveva detto a suo marito di aver frequentato Eton io sono andata a cercare cos’era. E lo sai cos’ho scoperto? Lo sai cos’è Eton?”
“Certo che lo so, ma mamma posso…”
“E’ la più famosa e prestigiosa scuola superiore privata di tutto il Regno Unito!”
“Mamma! Ma Cristo Santo, posso parlare? Ho telefonato io, quindi avrò qualcosa da dirti, o no?”
“Ah si, scusa tesoro hai ragione. Però non puoi darmi la colpa sai? Mi hai ignorata per due giorni! Ignorata! Perché devi essere così disdegnosa nei miei confronti? Mi devi tenere aggiornata, non far finta che io non esista!”
“Mamma ero agli esami! Mi hai capito? E! S! A! M! I! Esami. Ora, per piacere, passami babbo.”
“Cosa? No, non ti passo proprio nessuno. Smetti di volere sempre il tu babbo, tanto a lui non importa nulla della storia d’amore di Giò!”
“Ma io non voglio parlarti di nessuna storia d’amore! Vi chiamo perché dovete venirci a prendere: siamo a Villa Campobasso e Giò e Charles sono caduti dalla Vespa, solo un po’ di graffi, niente di cui preoccuparsi. Però la loro auto non parte e a quest’ora non possiamo certo chiamare il meccanico.”
“Ho capito bene?”
“Si mamma non preoccuparti, non si sono fatti nulla di grave, ci siamo presi solo un bello spaven…”
“Ma cosa hai capito! Mi sembra di parlare col tu babbo. C’è da spiegarvi sempre le cose minimo due volte! Intendevo: ho ben capito che, se qualcuno non vi viene a prendere, siete bloccate a Villa Campobasso...”
“Beh, si..”
“Perfetto, allora mettiti l’animo in pace perché fino a domenica non possiamo venirvi a prendere.”
Detto questo la signora Benetti riagganciò, lasciando una raggelata Elisabetta con il cellulare poggiato all’orecchio.
“Tuuuuu, tuuuu, tuuuu…” disse il telefono.
“Cazzo” rispose Elisabetta.
 
 
Quella sera tre persone pensarono di aver avuto una delle esperienze più imbarazzanti della loro vita: Darcy non era riuscito a far partire la macchina dei Flintstones, Elisabetta aveva dovuto chiedere ospitalità per lei e sua sorella ed a Caroline si era staccata l’etichetta dalla sua gonna di Burberry (che fregatura! E pensare che a lei la Burberry neanche piaceva, l’aveva comprata perché una volta aveva sentito Darcy dire a Charles che quei vestiti erano particolarmente di suo gusto).
Darcy da parte sua non solo non si era accorto della disdetta capitata a Caroline, non aveva neanche notato che indossava una gonna della Burberry: era troppo impegnato a preoccuparsi per Charles e Giovanna ed ad arrabbiarsi con la Passat.
Caroline approfittò della prima scusa per dileguarsi (doveva infatti andare a cambiarsi la gonna, non poteva rischiare che qualcuno la notasse) e disse che, visto che c’erano degli ospiti, sarebbe andata a parlare con la servitù… con il personale! Il personale! per dire di aggiungere due posti a cena e preparare due letti in più. Già che c’era ordinò un cambio di menù; gli infortunati dovevano essere trattati con riguardo e per correttezza gli altri ospiti avrebbero mangiato le loro stesse pietanze: un po’ di verdure, al massimo due cucchiai di minestra, niente di troppo per non appesantire lo stomaco.
Per Elisabetta e Darcy non fu una cena, fu un pasto saltato.
Per Charles e Giovanna fu una cena meravigliosa, non avrebbero creduto di poter passare un’altra serata insieme: nella sfortuna della caduta avevano trovato il lato positivo.
Per Caroline fu una cena nel più completo rispetto della tabella della sua dieta personalizzata.
Insomma, la bella inglese aveva ottenuto da quel desinare un bel risultato inaspettato e le pareva che le fosse dovuto: aveva sperato (invano) di potersi liberare di Elisabetta, così Darcy avrebbe finalmente guardato anche qualcun altro oltre che tenere sempre gli occhi calamitati su quella che lei aveva ormai bollato come insignificante ragazzetta di campagna.
Le sarebbe toccato sorbirsi quella ridicola situazione per chissà quanto tempo ancora, quindi il poter seguire in santa pace la sua dieta le pareva proprio il minimo sindacale.
Il problema, ma questo Caroline non poteva saperlo, era che il rispetto della dieta non era l’unico risultato inaspettato raggiunto dalla cena: quella notte Elisabetta non riuscì proprio a dormire a causa della fame, si rigirò un paio d’ore tra le lenzuola ed infine decise di farsi forza e, con il favore delle tenebre, scese dal letto intenzionata a sgraffignare qualcosa da mangiare.
Neanche Darcy poteva sopportare oltre la fame e così, quando Elisabetta entrò in cucina, lo trovò davanti al frigo aperto.
L’istinto l’avrebbe spinta a fuggire a gambe levate, ma lui si era girato e l’aveva vista.
Ne fu sorpreso, ma subito si riprese. “Fame?” le chiese.
“Non ce la faccio più!”
Elisabetta andò verso di lui e gli si fermò accanto, per poter guardare anche lei nel frigo. Inutile dire che si stava vergognando molto di più adesso rispetto a quando era andata con la coda tra le gambe a chiedere se potevano restare lì per la notte.
Si era messa addosso per dormire dei vecchi vestiti che teneva a Pisa per stare in casa: dei pantaloncini che usava anche per correre ed una maglietta dei Red Hot Chili Peppers, che non le era mai sembrata tanto stupida e logora come nel momento in cui Darcy vi aveva poggiato per un attimo sopra gli occhi.
Fu spiazzata dalla sensazione di calma che lui le dette: si era abituata a vederlo sempre elegante ed impeccabile, persino al bar sulla spiaggia: invece adesso se ne stava lì, in jeans e con una semplicissima maglietta bianca, un po’ spettinato, e sembrava completamente rilassato ed a suo agio. Fino a quel momento era sempre stata lei a rompere il silenzio tra loro ed a stuzzicarlo: ma la sua voglia di parlargli nasceva da un sadico senso di sfida verso il muso introverso che lui si ritrovava e in quel momento era troppo rintronata per provare altro che un’acuta vergogna.
Inizialmente, siccome non vedeva nessun motivo razionalmente valido per cui dovesse sentirsi imbarazzata, si irritò con se stessa. Però il suo cervello ci mise molto poco a rigirare la frittata e decise che era lui ad irritarla: la squadrava fissa, che diamine aveva da guardare? Sperava forse di intimorirla?
Darcy ovviamente non aveva proprio intenzione di intimorire nessuno, anzi stava pensando che Elisabetta era molto carina con quell’aria spaesata e quella maglietta troppo grande per lei.
Ma non avendo l’esuberanza del latin lover né il coraggio per qualche piccolo complimento, si limitò a commentare:
“Scusa per quella cena ridicola.”
“Non preoccuparti.”
“No, dico sul serio. Non credevo fosse di moda affamare gli ospiti, ma a quanto pare mi sono perso qualcosa per strada.”
“Puoi rimediare adesso. Cosa mangiamo?”
“Affettati? Formaggio?”
“Perfetto. E il pane c’è?”
“Ci sarà di certo, diamo un’occhiata in giro.”
Il tempo di aprire qualche sportello e saltò fuori tutto: pane, piatti, posate, acqua e bicchieri.
Apparecchiarono e iniziarono a mangiare.
Darcy provava una strana sensazione di pace: fin da bambino aveva sempre preferito stare in compagnia di pochi amici piuttosto che nei grandi gruppi e le situazioni confidenziali lo facevano sentire molto più ben disposto verso gli altri rispetto allo stare in qualche calca caotica. E in quel momento in particolare aveva  l’impressione che tutta la rigidità che gli si era accumulata addosso in quei giorni venisse trascinata via: una sensazione decisamente piacevole.
Passarono i primi minuti a mangiare senza dirsi neanche una parola, finché Elisabetta non ce la fece più: non perché odiasse stare in silenzio (anzi, spesso lo considerava un dono: era cresciuta con un padre che si rinchiudeva per ore nel suo studio a leggere; lei da bambina aveva il permesso di restare e poteva fare ciò che voleva: giocare, leggere, disegnare… a patto di restare muta come un pesce) ma perché continuava  a sentire che lo sguardo di Darcy si soffermava con frequenza ed insistenza su di lei e questo ovviamente la metteva a disagio.
Così decise che era molto meglio parlare.
“Darcy?”
“Sì?”
“Te che lavoro fai?”
“La mia famiglia possiede una casa editrice.”
Elisabetta dovette ammettere con se stessa di essere positivamente sorpresa, si era aspettata da Darcy qualcosa di meno elettrizzante: tipo un’agenzia di pompe funebri.
Lui continuò: “Si chiama Rosings&Pemberly, la conosci?”
Elisabetta annuì, sempre troppo stupita per parlare.
Lei e Carlotta, ai tempi del liceo, avevano inventato un metro di giudizio per classificare le persone (soprattutto i maschi) che lei chiamava scherzosamente figometro: semplicemente si attribuivano o toglievano punti alle persone a seconda di determinati comportamenti, parole o status. In quel momento Darcy si era beccato parecchie tacche aggiuntive. Questo la seccava enormemente: le persone passabili non dovevano avere molti punti per i parametri di Darcy.
“Sai penso che tu sia la prima persona che ho trovato qui in Italia che ci conosce.”
“Forse perché sono l’unica a cui hai rivolto la parola.” bofonchiò lei tra i denti.
“Cosa?”
“Niente.”
“Guarda che ti ho sentita bene: ti ricordo che ho passato un sacco di tempo in Italia da mia zia, fin da bambino. Ho conosciuto molta altra gente e sono ferrato con l’italiano.”
“Sei anche un gran permaloso.” commentò lei, poi però lo guardò e sorrise.
Darcy rise e si sentì strano per questo: se quella frase l’avesse pronunciata qualsiasi altra persona si sarebbe offeso, ma il tono e la faccia corrucciata di Elisabetta lo divertivano.
“Perché ci conosci? È strano, pubblichiamo solo in inglese. Ed inoltre la maggior parte dei nostri testi sono edizioni critiche.. è difficile trovare acquirenti nel grande pubblico e quindi stampiamo sopratutto per le univers.. ” si interruppe perché vide che lei stava annuendo.
“Infatti mi sono capitati spesso tra le mani durante il periodo universitario. Io ho studiato inglese e tedesco. Mi sono stati utili, molto, più che altro perché avete in catalogo tanti testi, come dire... desueti. Testi che di solito gli altri editori non hanno o se ce li hanno non li stampano più, soprattutto qui in Italia”.
“Giusto. Non sono mai riuscito a capire se ciò ci eleva culturalmente o ci rende solo stupidi.”
“Cosa intendi?”
“Stampare il titoli per la grande massa porta guadagni più facili.”
Elisabetta scosse la testa mentre riempiva d'acqua il suo bicchiere: “Non ho certo le conoscenze per giudicare se sia una scelta di pubblico stupida o meno. Posso solo dirti che, a mio parere personale, sono tra le edizioni migliori che si possono trovare in giro.” poi gli sorrise con aria furba “però se vuoi parlar male della concorrenza fai pure, ti ascolto con piacere.”
Lui rise: “Forse è meglio non entrare in questo argomento, criticare la concorrenza è sempre semplice, ma anche estremamente inelegante.”
“Sei proprio inglese.”
“Perché?”
“…. è anche estremamente inelegante” gli fece il verso lei, mimando una sorsata da una tazza di the immaginaria.
Darcy rise e poi disse “Ma è la verità.”
“Allora se vuoi mi metto io a sparare a zero sulle altre case editrici. Non mi ci vuole nulla, anzi sarà un piacere.”
“Anche questo non è molto elegante, anzi le cattiverie in bocca alle signorine le rendono veramente poco eleganti.”
“Uffa Darcy, come sei bacchettone.”
“Bacche..cosa?”
“Pedante.”
“Attenta a cosa mi dici, lo sai che sono permaloso.”  commentò lui e poi si mise a ridere.
Anche Elisabetta rise e sentì una sensazione di panico crescerle nel petto: perché lui era così rilassato in quel momento? Cos’era tutto quel ridere? Aveva già dimesso il lutto per il gatto?
Erano da soli, stavano mangiando, le sembrava una situazione intima e non voleva che lui le restasse troppo simpatico.
Non voleva che iniziasse a piacerle.
Era infatti ormai convinta che quel commento sentito la prima sera che si erano conosciuti fosse un giudizio inappellabile e non aveva voglia di sentirsi attratta da un uomo che non l’ avrebbe mai considerata.
Oltretutto Darcy le sembrava molto più grande di lei e pensò che, di certo, doveva avere già un giro suo là in Inghilterra. Era senza dubbio una preda ambita (Caroline ne era la prova): bello, ricco, con tutta l’aria dell’uomo perbene.
C’era di sicuro l’inghippo.
“Quanti anni hai Darcy?”
“Trentadue. Tu invece?”
“Venticinque.”
“Caspita. Pensavo fossi più grande.”
“Accidenti! Dare ad una donna più della sua età non è il miglior modo per farle un complimento, non te l’hanno mai spiegato caro il mio piccolo asociale?”
“No, no! Non intendevo in quel senso! Non intendevo dire che dimostri più anni di quanti tu ne abbia. Anzi intendevo il contrario! Ora che mi hai detto l’età vedo che ha senso: ero io che ti credevo più grande, per via del dottorato e tutto il resto insomma e il sapere che eri più piccola mi ha sorpreso in positivo perché in effetti dimostri quegli anni ma fai cose da più grandi quindi pensavo tu fossi più grande e dimostrassi meno... oddio sto facendo un discorso senza senso vero? Ma hai capito cosa cerco di dire? Mi sento un po’ un idiota.”
“Si, giusto un po’. Ma nel tuo modo caotico sei riuscito a farti capire.”
Darcy, che durante l’apologia del suo maldestro commento si era sporto sul tavolo verso Elisabetta, vedendo il sorriso di lei si tranquillizzò e si riappoggiò allo schienale della sedia.
“Insomma, non possiamo parlare male della concorrenza” disse Lisa “però potremmo parlare della tua casa editrice?”
“Si certo, che vuoi sapere?”
“Che mansioni hai? Sempre a lavoro con quel dannato iPad e col telecomando dell’Enterprise...”
“Quello che simpaticamente chiami telecomando dell’Enterprise è il mio cellulare, questo è il telefono aziendale” rispose lui tirando  fuori da una tasca dei pantaloni un oggetto dall’aria costosa.
“Ah mi pare giusto, questo è un walkie talkie della NASA” disse Lisa prendendoglielo di mano e, portandoselo all’orecchio, cominciò a fargli il verso “Huston, qui è Fitzwilliam Darcy. Non voglio dire che mansioni lavorative svolgo nell’azienda di famiglia ad una ragazza, così la sto distraendo con il mio costosissimo giocattolone. Mandate i rinforzi al più presto.”
“Ma no!” Darcy si riprese il telefono “Sono proprietario per parte delle quote e sono anche  amministratore.”
“E il nome RP da cosa viene?”
“Un tempo, prima che nascessi, erano due case editrici distinte: la Rosings di mia zia e la Pemberly di mio padre.. dato che si rivolgevano entrambe al solito pubblico e stavano entrambe attraversando una serie di problemi finanziari decisero di unirle. Il nome Pemberly viene da una tenuta di campagna, nel Derbyshire, che appartiene alla mia famiglia da molte generazioni.. non saprei dire quante. Mio padre ha sempre avuto un amore particolare per quella casa, credo sia per questo che dette proprio quel nome alla sua casa editrice.”
“Quindi è stato tuo padre a fondarla?”
“Sì, è una società molto giovane in un certo senso, non ha neanche quarant'anni.”
“E la Rosings?”
“Al contrario, risale al nonno del marito di mia zia. A quanto mi hanno raccontato era non solo un grande cervello imprenditoriale ma anche un fervido appassionato. Ci metteva mente e cuore insomma. Pensa che acquistò un castello qui in Italia perché all'interno vi si trovava una delle biblioteche più belle e meglio fornite del Trentino.”
“Un attimo... una zia che ha un castello in Trentino.. non è che stai parlando di Lady De Bourgh?”
“Sì.. ma come fai a saperlo?”
Elisabetta avrebbe preferito strapparsi da sola la lingua a morsi piuttosto che confessarlo, ma, viste le circostanze, si vide costretta a parlare: “Sai chi è Guglielmo Colli? L' amministratore..”
Lui la fissò, restando serissimo: qualsiasi cosa gli stesse passando per la mente non traspariva certo sul suo viso.
Quando le rispose con un semplice Elisabetta ringraziò mentalmente l'uomo per l'educazione che aveva avuto nel non commentare alcunché (tutti solitamente si mettevano a ridere ed a commentare con frasi alquanto imbarazzanti per un parente, di cui la più gentile era stata: chi? quel leccaculo senza cervello?) e si sentì più libera (anche se non meno imbarazzata) di rivelare la terribile verità: “E' mio cugino.”
Negli occhi di Darcy passò un lampo di sorpresa talmente grande che fu impossibile per Lisa non notarlo, ma fu questione di un attimo, e subito dopo disse: “Il mondo è davvero piccolo.”
“Non avevo idea che la datrice di lavoro di Colli fosse anche proprietaria della Rosings&Pemberly.”
“Tuo cugino non te lo ha mai detto?”
“No.. ehm.. noi non parliamo molto ecco..” mentre cercava di formulare una qualsiasi altra frase che portasse il discorso lontano da Colli le venne in mente un particolare fondamentale, che fino a quel momento aveva ignorato e fece un ovvio collegamento:
“Lady? Mio Dio Darcy, non sarai un nobile!”
Lui rise, divertito dalla faccia sconvolta della ragazza, e poi rispose: “No, io personalmente non lo sono: la famiglia di mio padre non ha titoli. Mia zia è nobile di nascita ed ha sposato un uomo nobile, motivo per cui tiene molto al titolo. Ma perché hai fatto quella faccia sconvolta? Hai qualcosa contro la nobiltà inglese?”
“Oh no, sono cresciuta con Andrea…. è impossibile che odi la nobiltà inglese.”
Ovviamente Elisabetta era sconvolta perché quel suo dannato figometro non faceva altro che salire, ma era anche sollevata: se Darcy fosse stato un nobile chi avrebbe fermato più sua madre, la cacciatrice folle di generi?
“Elisabetta posso chiedertela io una cosa?”
“Cosa?”
“Perché filologia?”
Elisabetta alzò le spalle “Capita a volte nella vita no? Fai dei programmi e poi ti ritrovi a fare tutt’altro e non sai nemmeno come ci sei arrivato. Quando mi sono ritrovata a doverla studiare ho scoperto che mi piaceva. C’erano tante altre cose che mi interessavano: la psicologia, la filosofia  anche la matematica, ma per la filologia..”
Elisabetta si interruppe perché Darcy la stava fissando (e questa non era certamente la novità della serata), ma stavolta si applicava alla contemplazione con particolare insistenza. Aveva persino smesso di mangiare per dedicarcisi meglio.
Si stava stufando di quel modo di fare, le pareva che la osservasse per il solo scopo di trovare qualcosa da criticare, forse nelle sue parole, o magari nel suo aspetto.
In realtà Darcy si imbambolava a guardarla proprio perché non trovava proprio nulla da criticare né nelle sue parole né nel suo aspetto, ma in effetti non si può biasimare il fraintendimento di Elisabetta: non è il comportamento più adatto per riuscire graditi.
Lisa era stufa, non aveva fatto in tempo a pensare che fosse una persona piacevole che già lui faceva qualcosa che la infastidiva.
Vedendo che si era fermata, Darcy ricominciò a parlare:
“E chi è il tuo scrittore preferito?”
Elisabetta sorrise e scosse la testa “Cos’è un interrogatorio? Ma sei il poliziotto buono o quello cattivo?”
“No, niente del genere. Sono solo curioso.”
“Ce ne sono molti...”
“Scegline uno.”
“Shultz.”
“Shultz? Quello di Snoopy? Quello lì?”
“Certo.”
“Perché devi sempre prendermi in giro? Rispondimi seria.”
“Ma sono seria! Adoro Shultz! Chi altri sa mischiare così ironia, poesia e lacrime?”
“Potrei obiettare che ce ne sono altri.”
“Obiezione respinta.”
“Perché? E poi non mi hai neanche fatto fare i nomi degli altri...”
“E' respinta e basta.”
“E nel caso ti sbagliassi?”
“Io non sbaglio!”
“Certo, come no...”
“In realtà in questo momento ho un particolare amore per Hofmannsthal.”
“Sul serio? Alla RP abbiamo recentemente stampato un’edizione critica che..”
“Si, lo so. È per questo che te lo volevo dire, mi sta tornando molto utile per un lavoro che sto facendo per il dottorato. È ottima.”
“Ne sono felice. Sul serio. Ho curato io quell’edizione, ci tenevo tanto che uscisse. Sai abbiamo avuto un po’ di problemi e ci sono state parecchie discussioni perché molti, compresa la zia, pensavano fosse uno spreco di denaro. Sono felice che la apprezzi.”
“L’ hai curata tu? Ma sul serio?”
“Certo! Non hai visto che c’è pure il mio nome sulla terza di copertina?”
“No, in realtà, anche se lo avessi letto, non lo avrei mai ricollegato a te. In ogni caso credevo che un amministratore pensasse a cose più…come dire…inerenti all’economia e al mercato. In tutta sincerità non avrei mai creduto che anche tu fossi un filologo.”
“In effetti non lo sono...”
“Un linguista?”
“Neanche”
“Un esperto di letteratura tedesca?”
“Ehm..no. In realtà sono laureato in economia.”
“Ah...”
“Ah? Ah cosa?”
Ah niente, che volevi che ti dicessi?”
“Spero ora tu non stia per uscirtene fuori con una paternale sul fatto che posso permettermi il pregio/diritto/lusso di fare una cosa del genere, anche senza nessuna base accademica alle spalle, solo perché sono il padrone per un motivo ereditario.”
“Guarda Mr. Permaloso che io non ho detto proprio nulla!”
“Sono certo che è così. Sennò non te ne saresti uscita con quel ah detto con quella faccia così indispettita.”
“Mi conosci già così bene da interpretare i miei pensieri in base alla mia faccia?”
“Beh, questa reazione mi fa capire che ho indovinato.”
“Altro che Mr. Permaloso, Mr. Presuntuoso!”
“Se io sono permaloso e presuntuoso, allora lo sei pure tu.”
“Io presuntuosa?”
“Sì, cosa ti porta a credere che io non avessi diritto a curare la pubblicazione di quel libro? Anzi guarda, in realtà è invidia bella e buona.”
“Questa poi! Non è invidia, mi arrabbio per quello che è un palese sopruso!”
“Un sopruso?!!?”
“Esistono tantissime persone che hanno studiato una vita e conoscono bene determinati argomenti che non avranno mai un’opportunità del genere.”
“Invidia, questa è invidia. Non mascherarti da suffragetta delle cause perse perché dovresti sapere come funziona il mondo. Poi se proprio vogliamo parlare di raccomandati è risaputo che in Italia accedono solo loro al dottorato...”
“Ok basta, suppongo che questa conversazione possa avere termine qui!” concluse Elisabetta alzandosi in piedi: “Buonanotte.”
“Buonanotte.”
 
 
 

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Capitolo 8
*** Fitzwilliam ***




Capitolo 8
Fitzwilliam.
 
 
“In me eros,
che mai alcuna età mi rasserena,
come il vento del nord rosso di fulmini
rapido muove: così, torbido
spietato arso di demenza,
custodisce tenace nella mente
tutte le voglie che avevo da ragazzo.”

(Ibico. Traduzione di Salvatore Quasimodo)
 
 
 
Com’era naturale, Elisabetta tornò inferocita in camera e non riuscì a prendere sonno.
Non erano ancora le sette del mattino che, lavata e vestita, scendeva in punta di piedi le scale, stando ben attenta a evitare la sala della colazione: aveva voglia di stare un po’ per conto proprio e trovarsi in mezzo a inglesi mattinieri e odoranti di bacon non rientrava al momento tra i suoi desideri.
Nonostante il suo carattere positivo, che non le permetteva di rimanere arrabbiata per troppo tempo, la discussione della notte con quel presuntuoso le faceva ribollire ancora il sangue. Sentì la vergogna salirle di nuovo dentro, come se volesse essere vomitata; si sforzò di ricacciarla giù con la stessa disperazione con cui aveva ingoiato la sera prima i broccoli al vapore di Caroline. Non capiva perché continuasse testardamente a permettere a Darcy di risultarle simpatico: serviva solo a mostrare il fianco per l’offesa che, puntualmente, sarebbe arrivata.
In fin dei conti non c’era motivo di avercela con lui; era con se stessa che se la doveva prendere e con la sua ostinazione a volerlo credere diverso (per quale motivo, poi, Dio solo lo sapeva).
Giunse finalmente indenne al portone; ma non fece in tempo a capire come diavolo si aprisse quell’oggetto satanico, che un vocione le fece rischiare l’infarto.
“Dove stai andando?”
Lisa si voltò di scatto con la stessa espressione di un leprotto davanti agli abbaglianti di un’auto. Ma quando riconobbe il suo 'aggressore' non riuscì a trattenere lo stupore.
“Riccardo..cos..che.. Sei un cretino!”
Il ragazzo, da parte sua, era accasciato al suolo e talmente scosso dalle risate, che Lisa sperò morisse soffocato.
“Oioia.. dovevi vedè la tu' faccia!” Sghignazzò, cercando di ricomporsi “Nemmeno un ladro colto sul fatto avrebbe avuto quell’espressione terrorizzata!”
“Sei il solito cazzone!” Stavolta anche Elisabetta rideva; ma per confermare il concetto optò per assestargli un discreto destro sulla spalla seguito da relative lamentele.
“Che cavolo ci fai qui!?”
“Potrei chiederti la stessa cosa! Sei qui che fai la signora..”
“Macché signora!” Protestò lei, un po’ imbarazzata dell’equivocità della situazione “Mia sorella è molto amica con quel Bingley..”
“Seee… ora si dice amica?” Ridacchiò Riccardo, mentre Elisabetta lo fulminava con lo sguardo.
“Vuoi un altro cazzotto?! Comunque dovevano riportarci a casa dopo l’incidente di ieri, ma quel catorcio di macchina che hanno non è partita e i miei non sono a casa, quindi non possono venirci al riprendere.”
“Non mi stupisce che quel troiaio non sia partito! E’ già tanto che non esploda..”
“Ma chi gliel’ha rifilata?”
“Pare che quel tale Bingley abbia fatto casino col noleggio.” a questo punto il ragazzo fece un attimo per pausa per controllare di essere soli e abbassò la voce “Lucia ha sentito quella fia della sorella leticare per questo.. E’ veramente bellina.. Peccato che sembri proprio una topa di legno.”
Elisabetta non poté far a meno di ridere pensando quanto quella descrizione si adattasse perfettamente a Caroline.
“In effetti..”
“Poi sbava come una lumaca dietro a quell’altro con la puzza sotto il naso e un nome impronunciabile.”
“Fitzwilliam” Scandì Lisa con tono pomposo, dando il via ad un’altra sghignazzata “E’ insopportabile, vero?”
“Mah..ti devo dire la verità. E’ abbastanza educato e non l’ho mai sentito leticare nessuno del personale.. Certo che non ha un ghigno simpatico!”
“Puoi dirlo forte!” Assentì, decisa, la ragazza “Ma dimmi di te piuttosto! Da quando hai finito il liceo non ti ho più visto..”
“Eh, so andato all’università per un anno a Siena” Rispose Riccardo, grattandosi la testa con fare imbarazzato “Però, siccome cazzeggiavo e basta, ho deciso di lasciar perdere e di andare a lavoro. Peccato che con un diploma al liceo classico un è che..”
Non riuscì a finire la frase perché notò gli occhi di Elisabetta spostarsi su un punto dietro di lui e il suo viso assumere improvvisamente un’espressione terrorizzata.
 
Complice l’agitazione provocata dalla discussione notturna e la sua innata sveglia biologica anglosassone, Darcy si svegliò alle sei e mezza di mattina fresco come se avesse dormito dieci ore.
Complice un articolo che aveva letto sui benefici dell’aria mattutina sulla pelle e la perfetta conoscenza dei bioritmi di Darcy, Caroline si svegliò pressappoco alla stessa ora.
Fortunatamente per quest’ultimo, il fatto di non doversi né piastrare i capelli né fare il bagno nella cipria gli faceva godere una buona mezzora per fare in santa pace la colazione: se c’era qualcosa che provava la sua pazienza più del chiacchiericcio sconclusionato era il chiacchiericcio sconclusionato di prima mattina.
Purtroppo, visto che l’ora del risveglio di Bingley si aggirava tra le dieci e le undici del mattino, con punte massime che sfioravano le undici e mezza (una bestemmia!), il povero Darcy doveva fronteggiare in completa solitudine la querula Caroline per due se non addirittura tre ore. Neanche la scusa del lavoro poteva arginare quella piaga; tanto ché non poche volte l’uomo aveva dovuto battere in ritirata e barricarsi in camera o andare fino al bar sulla spiaggia col suo fido iPad.
Quella mattina, come sempre, si stava godendo la quiete prima della tempesta sorseggiando placidamente il suo caffè lungo (che Lisa aveva definito graziosamente sciacquone) mentre leggeva interessato l’articolo di fondo del Times: nonostante l’imbarazzante quantità di apparecchiature tecnologiche presenti in quella casa, non aveva intenzione di rinunciare al tradizionale giornale in carta e tutte le mattine se lo faceva spedire di buonora da Castiglione.
Stavolta, però, non fu Caroline a interrompere quel momento di pace dei sensi, ma un urlo beduino proveniente dall’ingresso.
“Dove stai andando?”
Si alzò di scatto e andò velocemente verso l’atrio; ma, quando sentì l’inconfondibile voce di Elisabetta, istintivamente si nascose dietro lo stipite della porta, per osservare cosa stesse succedendo senza essere visto. Con chi stava parlando? Pareva uno del personale.. Perché non stava lavorando quello scansafatiche? Sembravano parecchio in confidenza..
Se tutta la sua concentrazione non fosse stata occupata nel cercare di capire (inutilmente visto il tono di voce da film muto) che diavolo si stessero dicendo quei due, si sarebbe accorto di quanto si comportasse da idiota. 
Stette nella solita identica posizione per quella che gli parve un’eternità, indeciso sul da farsi, cercando di controllare quello strano fastidio che gli consigliava goliardamente di andare a passi veloci verso quel ragazzetto e mollargli un destro in piena faccia. Dopo averlo fatto voltare, naturalmente: è da vigliacchi colpire qualcuno di spalle.
Probabilmente, dopo gli eventi della notte, sarebbe passato del tempo prima che Lisa lo tornasse a guardare con gli stessi occhi che splendevano divertiti davanti a quel suo amico.
Anzi.. quella scintilla di complicità lui non era riuscito a conquistarsela e, forse, aveva perso per sempre l’occasione.
Sentir pronunciare ironicamente il proprio nome distolse Darcy dai suoi pensieri con la violenza di uno schiaffo in pieno viso; tese trepidante l’orecchio, ma, non riuscendo a capire una parola, sentì la rabbia montargli fino a stritolargli la gola.
Avrebbe scoperto il nome di quel fannullone e l’avrebbe fatto licenziare!
Senza neanche rendersene conto si trovò davanti ai due amichetti e doveva avere una faccia veramente terribile vista l’espressione preoccupa sul volto di Elisabetta.
“Non mi pare di pagarti per stare a chiacchiera.” Scandì gelido le parole.
Il volto di Riccardo si illuminò di una cromatura che andava dal verde al viola: se avesse perso il lavoro per una cosa del genere suo padre l’avrebbe scuoiato.. e a ragione!
Aprì la bocca, ma il cervello non riusciva a lavorare così velocemente da trovare una giustificazione; per sua fortuna Lisa fu molto più pronta di lui.
“E’ colpa mia Darcy, l’ho trattenuto io con le mie chiacchiere e l’ho distratto dal lavoro!”
Da parte dell’inglese uscì solo un suono inarticolato, che nella sua mente era stato concepito come un “non me ne importa un bel nulla!”
“Scusa davvero Ricca”
“What’s up, Riccardo?!” La vocetta allegra di Bingley, inaspettata a quell’ora mattutina, li colse tutti alla sprovvista.
“Nulla!” Lo anticipò di nuovo Elisabetta, cercando di articolare qualche parola in inglese di prima mattina “E’ un mio ex compagno di scuola e l’ho strappato al suo lavoro pochi minuti. Però sembra che questo abbia disturbato oltremodo la colazione del lordino.”
“Ma dai Fitz! Come sei scorbutico.” Lo prese in giro Bingley, non accorgendosi del pericolo mortale che stava correndo.
Dato che (purtroppo) anche in Italia l’omicidio è un reato, Darcy se ne andò schiumante di rabbia senza proferir parola.
“Avrà dormito male.” Commentò tutto tranquillo l’amico con un bel sorrisone sulla faccia.
Gli altri due annuirono meccanicamente, ma non ne erano del tutto convinti “Riccardo, stasera quando finisci il turno rimani se ti fa piacere, visto che sei amico di Lisa!”
“Sì dai!” Gli fece eco quest’ultima “C’è anche Andrea! Ti ricordi di Andrea, vero?!”
“Noooooo.. quel finocchione!” Rise il ragazzo “Allora rimango di sicuro! E’ una vita che non lo vedo!” E, dopo aver ringraziato innumerevoli volte un entusiasta Bingley, si affrettò a tornare a lavoro.
Una volta rimasti soli, Elisabetta si volse verso il padrone di casa con un sorriso smagliante: non era mai stata tanto contenta di vederlo!
“Come mai così mattiniero, Charles?”
Il suo interlocutore arrossì leggermente; il che, essendo rosso di capelli, lo fece assomigliare incredibilmente a un braciere olimpico.
“Beh..” Biascicò, tanto che Lisa fece una fatica tremenda per capirlo “..nel caso Jane si svegliasse.. Mi sembrava maleducato farmi trovare a letto..”
La ragazza sorrise meccanicamente: era veramente cotto. E lo mostrava in un modo così palese da disorientare Giovanna, la quale invece era anche troppo modesta e posata.
“Hai fatto benissimo” Lo rassicurò, per non imbarazzarlo oltre “Sei veramente un gentlemen.”
“Grazie.. Tu invece? Che fai così presto in piedi?”
“Sono venuta a mettere qualcosa sullo stomaco prima di fare un po’ di jogging”
“Ma abbiamo una piccola palestra se vuoi..”
“No grazie, preferisco l’aria aperta. Mangio un boccone e scappo.”
Mentre si avviavano nella sala da pranzo Lisa di stupì (e un po’, a dirla tutta, si preoccupò) della sua prontezza nell’inventare bugie convincenti.. ma era sempre meglio che mettersi a spiegare a Bingley il motivo per cui aveva avuto una notte agitata e non era praticamente riuscita a dormire.
 
Non era passata nemmeno mezzora che Lisa scendeva nuovamente le scale rotta di collo (ebbene sì, voleva evitare qualsiasi spiacevole britannico incontro!) con una magliettaccia e pantaloncini così fuorimoda che avrebbero potuto uccidere Caroline con un solo sguardo.
Non era proprio nei suoi progetti quella mattina di fare jogging; tuttavia non poteva esimersi dopo la bugia raccontata a Charles.. e, in fondo, non era neanche un’idea così malvagia: non c’era niente di meglio che una corsa per rilassarsi e scacciare ogni pensiero cretino dalla mente.
Due balzi felini ed aveva già raggiunto e superato vittoriosamente il portone, pronta a lanciarsi nella notevole tenuta di Villa Campobasso prima che il sole di fine Giugno la facesse bruciare per autocombustione.
Ma la sua prova atletica rischiò di morire sul nascere schiacciata dalle ruote di un’Audi.
“Oh Lisa, ma sei matta a sbucare così? Manca poco ti tiravo sotto!” Sgallinò Andrea, un po’ preoccupato.
“Ma sei scemo? Perché devi parcheggiare a tre centimetri dal portone?! Vuoi entrare direttamente in casa con la macchina?! Meno male ci sono gli scalini!” Sbraitò Elisabetta, quasi sdraiata sul cofano.
Fu come se l’amico non avesse sentito una di quelle parole, tanto era intento a scrutarla con malcelato disgusto.
“Dio mio, perché sei vestita da barbona?”
“Vado a corre.. Mica mi posso mettere un vestito della Guess.”
“Ma c’è gusto anche nel vestirsi per fare sport..”
Lisa storse la bocca: non c’era verso di ragionare con Andrea se la discussione riguardava i suoi principi fondamentali di ordine e buongusto.. e di monarchie inglesi.
“Invece di criticare la gente che va a correre, tu cosa ci fai alle otto del mattino qui!?”
“Caroline mi ha detto di venire presto perché vuole che l’accompagni a fare una passeggiata a cavallo. Ed eccomi qua!” La nostra eroina vide un pericoloso luccichio balenargli negli occhi trasognati.
 “Allora ti auguro buona fortuna, perché la mattinata è iniziata male in casa.”
“Cosa?! Qualcuno ha fatto arrabbiare Caroline?” Il tono non era stato così apprensivo quando aveva rischiato di schiacciare con l’auto l’amica.
“No, quell’altro si è svegliato incazzato nero.”
Sul volto di Andrea si dipinse un’espressione insofferente.
“Chi, Fitzwilliam?”
“Già, Fizzy-Fizzy.. non lo sopporto, in certi momenti dà così tanta prova della sua spocchiosa arroganza che mi farebbe voglia di dargli un cazzotto in pieno viso!”
“Non me ne parlare! Anche a me non sta veramente per nulla simpatico” Chiaramente non si sarebbe mai permesso di usare parole più dure.. in fondo è pur sempre un gentlemen inglese quello di cui stavano parlando!
“Verissimo! E lui non fa nulla per rendersi tale!”
“Se penso a come tratta la povera Caroline, Dio mio! A volte rasente la cafonaggine!”
Su questo argomento Lisa preferì glissare con un cenno vago: su quel fronte non poteva non sentirsi solidale con Darcy. Tuttavia, visto che Andrea sembrava non volesse mollare l’argomento optò per una ritirata strategica prima che le scappasse dalla bocca qualche affermazione che le avrebbe attirato l’ira funesta dell’amico.
Passò così in santa solitudine il tempo che la separava dall’ora di pranzo (un’ora che si avvicinava di più alla colazione; ma ormai villa Campobasso era colonia inglese), durante il quale si trovò di nuovo faccia a faccia con un Darcy che le pareva pressappoco dello stesso colore del Convitato di Pietra.. ed aveva anche la solita simpatia, visto i tre monosillabi articolati durante tutto il pasto. E pensare che Andrea lo sollevava anche dall’ingrato compito di fingere di dare ascolto alle ciarlerie di Caroline!
Elisabetta avrebbe voluto approfittare della presenza dell’amico per farsi riportare a casa; ma, con suo grande disappunto, scoprì con una telefonata che sua madre era fermamente intenzionata a venirle a prendere il giorno dopo e, pur di non discutere con lei, lasciò perdere. Così, rassegnata da quell’ingrato destino che la faceva sentire molto simile a un parassita, si lasciò trascinare dagli ospiti in piscina.
Si rifiutò categoricamente di farsi prestare il costume da Caroline (naturalmente le aveva offerto il più vecchio in suo possesso), tanto più che l’inglese aveva una buona taglia meno della sua e non aspettava altro che mostrare trionfante agli occhi di Darcy questa fondamentale differenza.
Ma lui non le avrebbe notate nemmeno se fossero state in topless, tanto era intento nel suo lavoro.
Forse aveva bisogno di un po’ di solitudine col suo amato iPad per calmarsi.
Bingley e Giovanna, invece, erano da contarsi nella compagnia ancora meno di Darcy, tanto stavano appartati a bisbigliarsi.. anzi, a dirla tutta, era Charles che si lanciava in monologhi sconclusionati pieni di affetto e complimenti, ai quali la compagna rispondeva imbarazzata a volte con un sorriso, a volte con una mezza parola.
Nel frattempo Riccardo e altri ragazzi portavano, su ordine espresso della padrona, aperitivi e vettovaglie varie. Andrea era talmente occupato nella contemplazione della sua dea e nel cercare di far sembrare il più professionale possibile il suo francese, che non riconobbe l’ex compagno di scuola; il quale, capendo la situazione, rivolse una strizzata d’occhio, subito ricambiata, a Lisa.
Tuttavia, mentre la ragazza riabbassava gli occhi, incontrò lo sguardo duro di Darcy; il quale, per la prima volta, non interruppe il confronto. Stettero per pochi secondi a scrutarsi, finché l‘inglese non piegò le labbra in una specie di sorriso malinconico e tornò a dedicarsi al suo lavoro.
Elisabetta si sentì incredibilmente a disagio. Stava per sdraiarsi e chiudere gli occhi, quando all’improvviso inghiottì il silenzio la musica di un valzer che doveva aver già sentito ma del quale non si ricordava il nome.
“Hallo, Georgiana?” La voce profonda di Darcy catalizzò l’attenzione di tutti (addirittura anche dei piccioncini); tanto ché l’uomo se ne accorse e abbassò ancora di più il volume della voce. “How are you?”
Naturalmente era troppo tardi per sfuggire all’entusiasmo di Caroline, la quale si alzò tutta giuliva e si andò a sedere accanto al suo non molto oscuro oggetto del desiderio.
“O my God! Georgiana! Darling, darling Georgiana! I love your little sister!” Cicalò eccitata “How is she? Say hi to her from me!”
Lisa si trovò a pensare che probabilmente solo un inglesissimo self control impediva a Darcy, che pure aveva uno sguardo inconfondibilmente esasperato, di tirarle una testata e lasciarla morente lì sull’erba.
“Caroline greets you.” Sospirò l’uomo, mentre una parte del suo cervello lavorava alla ricerca di una via di fuga, ma senza successo “How are you?” ripetè alla sorella che ancora non aveva avuto modo di rispondere.
Naturalmente la sua zecca non si accontentò di questo magro trofeo, ma continuò il suo interrogatorio indiretto. Come si trovava al conservatorio? Quando aveva gli esami? Doveva assolutamente farle sentire qualcosa!
Naturalmente l’uomo non le dava la minima soddisfazione e si limitò a farle educatamente cenno con la testa, per poi gettarsi nella conversazione con quella che pareva essere la sorella.
Il povero Andrea, non capendo una parola di inglese, non riusciva a comprendere cosa attirasse tanto l’attenzione della sua adorata. Guardò speranzoso Lisa, ma la trovò intenta a scrutare particolarmente interessata quello sbruffone inglese.
In effetti Elisabetta, passati i primi momenti a ridacchiare di Caroline, sentì che la sua attenzione si stava inesorabilmente catalizzando su Darcy. Per la prima volta da quando lo conosceva aveva un’espressione completamente diversa: il viso rilassato, una luce nuova che gli balenava negli occhi e, soprattutto, un sorriso così dolce disegnato sulle labbra (così diverso da quello che le aveva rivolto solo qualche minuto prima!) che toglieva ogni durezza ai lineamenti e lo facevano sembrare una persona completamente nuova.
Si infastidì di trovarlo incredibilmente bello.
Stette così a fissare, ipnotizzata, quella miracolosa trasformazione e non si accorse nemmeno che la telefonata era finita finché quattro occhi fissi su di lei non la fecero riscuotere: quelli di Caroline erano gelidi e minacciosi, mentre quelli di Darcy la scrutavano interrogativi e colmi di una strana speranza.
“Bella la suoneria” Commentò Lisa. Erano le prime parole che le erano venute a mente.. ed a pensarci bene erano anche molto stupide!
“Il mio brano preferito” Rispose automaticamente Darcy: anche lui doveva trovare quantomeno strana quella conversazione.
“Non mi viene proprio in mente l’autore..”
“..Shostakovich”
 
 

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Capitolo 9
*** Elisabetta ***


Capitolo 9
Elisabetta.
 
Occhi neri, occhi fiammanti
appassionati e splendidi occhi,
vi amo così tanto, vi temo così tanto
di sicuro vi ho visti in un'ora sfortunata"
(Oči čёrnye, ballata popolare russa)
 

Riguardo la mattina successiva vi devo rendere partecipi di un avvenimento inatteso.
Oddio, se proprio bisogna essere sinceri fino in fondo, non si potrebbe neanche considerarlo un avvenimento vero e proprio. Infatti non era successo nulla di concreto: stiamo parlando di qualcosa che riguarda la mente di Darcy.
Ma in ogni caso è una cosa che è successa ed ha anche una certa importanza.
Iniziamo dal principio: per prima cosa Darcy si svegliò con un gran mal di testa (gli pulsavano le tempie e sentiva un continuo tump tump nelle orecchie) e la raggelante sensazione di aver sognato Ozzy Osbourne.
Mentre si alzava ed arrancava per la stanza cercò di fare mente locale: doveva ricordarsi dove aveva messo le aspirine e dove i Black Sabbath avevano tenuto il loro ultimo concerto.
A quel punto si convinse che la sera prima aveva battuto la testa da qualche parte, era svenuto ed adesso nel suo cervello erano saltati i collegamenti nervosi: era l’unica spiegazione possibile per quelle idee così confuse.
Oltretutto non riusciva a spiegarsi per quale motivo i Black Sabbath avessero scelto un nome così brutto per il loro gruppo (poi si ricordò che erano inglesi e li perdonò), ma sopratutto proprio non si spiegava come mai nel suo cervello ci fossero informazioni di quel tipo.
Passando davanti alla finestra realizzò che il tump tump non era nella sua testa, ma veniva da fuori.
Si affacciò e vide che Elisabetta e il solito tipo di ieri stavano giocando a basket.
Primo: cosa ci faceva un canestro proprio sotto la sua finestra? Vabbè, lui era al terzo piano… ma questo non cambiava i fatti: c’era un fastidiosissimo canestro sotto la sua finestra.
Lo avrebbe fatto sradicare.
Secondo: ma quel tipo non lavorava mai? Non gli pareva di averlo invitato ai giardinetti, anzi gli pareva proprio di dargli dei soldi! Si segnò mentalmente due o tre cose da dire al capo-maggiordomo che certamente non gli avrebbero fatto piacere.
Terzo: perché Elisabetta e quel ragazzetto dovevano giocare di prima mattina alle… si guardò intorno in cerca di un orologio, dieci! Erano le dieci!
Era tardissimo e lui non si svegliava mai così tardi: gli sembrava che le mattine passate dormendo fossero mattine sprecate. Suo cugino lo prendeva in giro da una vita per questo (come per tante altre cose) dicendo che era così ingessato da non riuscire a godersi nulla, neanche una bella dormita.
Aprì la finestra e, per l’ennesima volta dall’inizio di quelle vacanze, si ritrovò incantato ad osservare Elisabetta che, piena di energie come al solito, correva per il campo con la palla.
Darcy si rendeva conto di essere diventato uno stalker senza ritegno, ma, supponendo che nessuno se ne fosse accorto, non gliene importava gran ché (se avesse saputo che sia Caroline che Elisabetta ne erano pienamente consapevoli non sarebbe stato così tranquillo a riguardo).
Il ragazzetto continuava imperterrito a canticchiare la stessa musichetta:
“Has he lost his mind?
Can he see or is he blind?
Can he walk at all,
Or if he moves will he fall?”
I Black Sabbath! Ecco perché non faceva altro che pensare a cose assurde: era colpa della sera precedente. Era venuto fuori che quel Riccardo aveva un gioco chiamato Rock Band (opportunamente dotato di chitarra batteria e microfono) ed Elisabetta e Charles avevano ritenuto cosa buona e giusta invitarlo a fare un baccano infernale per gran parte della notte.
Ed ecco spiegato il mal di testa: canzoni rock e metal suonate con una batteria giocattolo, una patetica atrocità.
Il tutto condito con la soave voce di Caroline che era stata tutta la sera sul divano attaccata a lui a cianciare: “E’ vergognoso che un membro del personale passi il suo tempo così con noi. Non lo dico perché voglio farne una questione classista, però noi lo paghiamo per lavorare: quando il suo turno è finito può tornarsene a casa sua. Purtroppo Charles ha sempre avuto la brutta abitudine di dare troppa considerazione a chicchessia. Se non fosse così adesso non saremmo costretti a stare qui seduti ad ascoltare lui e quei due campagnoli fare questo frastuono demoniaco!”
Una delle cose che Darcy non riusciva a spiegarsi era perché Caroline gli parlava sempre dando per scontato che lui fosse intollerante verso il prossimo: si domandava se avesse detto o fatto qualcosa che glielo lasciasse supporre non rendendosi conto che spesso, quando qualcuno gli parlava, lui lo squadrava come il proprietario di una piantagione di cotone dell’America ottocentesca avrebbe squadrato l’ultimo schiavo nero dell’Alabama.
In realtà ad irritare Darcy quella sera non era stata la musica e neanche la batteria giocattolo: gli piaceva sentire Elisabetta cantare e si divertiva a vedere Charles fare lo scemo con la batteria e lo stesso gli pareva valesse per Giovanna, che, come lui, aveva scelto un ruolo di spettatrice.
Ad irritarlo era Caroline, più attinia e invadente del solito.
“Poi quel Riccardo è così insulso ed anche penoso: ci prova in continuazione con la Benetti, ma non lo vede che tanto lei non se lo fila? Non ha un po’ d’orgoglio? Ma poi, premettendo che de gustibus non est disputandum, non capisco cosa ci trovi in lei: non ha grazia, non ha educazione, riesce sempre a dire la cosa sbagliata al momento sbagliato. Stamattina! Santo cielo! Mi è venuto in mente di quando è andata a correre… fuori! Ti rendi conto?! È andata a correre fuori quando abbiamo una palestra privata con tre tapis roulants! Ma si può? Che perdita di tempo. E non paga di ciò è pure ritornata con le scarpe piene di fango. Di fango capisci?! E poi era tutta contenta…giusto un campagnolo potrebbe essere contento dopo aver corso nel fango per chilometri! Ridicolo.. Vabbè ripensandoci, magari all’altro campagnolo piace per questo, tra simili si capiscono... No no, non concordo neanche con me stessa così!.. Non riesco proprio a convincermi. Nel suo viso non c’è nulla di particolare, è così dozzinale! La cosa più banale di tutte sono certamente quegli occhi scuri. Se io avessi avuto la sfortuna di avere un colore così anonimo al posto del mio verde naturale mi sarei messa delle lenti a contatto…”
Darcy aveva già notato da tempo gli occhi di Elisabetta ed i commenti di Caroline non fecero altro che riportarci di nuovo la sua attenzione: “come sono belli” aveva pensato con spontaneità.
La bocca cantava e gli occhi ridevano: era stupenda.
 
Adesso, affacciato alla finestra, non poté far altro che ammettere con se stesso di non essere mai stato attratto da una donna quanto lo era da lei.
Aveva l’impressione che una tale stupida infatuazione non gli avrebbe portato nulla di buono e, stizzito, chiuse la finestra ed andò a farsi una doccia.
 
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La signora Benetti non sapeva guidare.
Anzi, devo spiegarmi meglio: la signora Benetti aveva la patente, ma questo non significa necessariamente che sapesse guidare.
Per questo Elisabetta, mentre aspettava seduta in fondo alla grande gradinata d’entrata, dava per scontato di veder comparire suo padre con la fedele Panda da battaglia.
Ma la sua aspettativa venne presto disattesa quando vide l’auto avanzare a scatti lungo il rettilineo alberato. Esisteva un solo motivo che giustificasse quell’orrido incedere a singhiozzo ed il suo timore si concretizzò in meno di un minuto, quando l’auto fu abbastanza vicina da consentire di vedere le tre persone al suo interno: sua madre, Lidia e Caterina.
Ora tutto aveva senso, ecco perché sua madre aveva tassativamente vietato che fosse Andrea a riportarle a casa: i tre geni del male volevano approfittarne per scuriosare alla villa. Che gioia!
L’unico interrogativo in sospeso era se suo padre fosse stato malamente estromesso o se si fosse auto-estromesso (Elisabetta, certa di sapere la risposta, ci avrebbe scommesso una mano).
Presa dal panico osservò la situazione, per fortuna abbastanza buona: Bingley e Giovanna erano accanto a lei, tutti allegri e sorridenti, e non c’era traccia né di Darcy né di Caroline.
Bingley aveva già avuto il piacere di conoscere sua madre: la signora Benetti, in una felice giornata di sole, aveva pensato fosse una geniale idea mettersi al mare proprio accanto a loro, con cappellone di paglia ed occhiali da sole a mosca, pensando di non essere notata. In tale situazione Giovanna, già di suo timida e schiva, rivolgeva a mala pena la parola ad uno sconfortato Charles che non se ne capacitò finché Elisabetta non lo mise a parte della fonte del problema.
La conoscenza non era stata delle migliori, ma Lisa aveva fiducia che la sua indole bonaria e allegra lo avrebbe reso comprensivo nel caso madre e sorelle avessero detto o fatto qualcosa di imbarazzante.
Inoltre Bingley non sapeva l’italiano e per questo Elisabetta gli volle molto bene.
La Panda inchiodò ai piedi della scalinata, sollevando un sacco di polvere.
“Fine braking, Mrs Benetti! Nice to meet you, I’m Charles! You are welcome!” la salutò tutto giulivo andando incontro alla donna che scendeva dall’auto. Non fece in tempo a finire la frase che si ritrovò circondato (molto probabilmente le tre avevano organizzato il piano d’attacco mentre erano in auto). Nessuna di loro ovviamente sapeva l’inglese, ma tutte erano convinte del contrario e Bingley venne bombardato con domande, affermazioni e sorrisi di cui non capiva il senso.
Elisabetta, esasperata, cercò di porre fine al tutto: afferrò la madre per un braccio e la allontanò da Bingley: “Mamma piantala! Lo vedi che non capisce cosa gli dite? È inutile che gli urliate tutte e tre nel muso frasi senza senso.”
“Lisa lasciami! Ma dico io! Come ti permetti di parlarmi con quell’aria superiore? So io cosa è bene e cosa non è bene fare!”
Elisabetta stava per risponderle a tono quando un urlo isterico di Lidia la distrasse:
“Madonna Santa! Ma chi è quello?!”
Alzò gli occhi e constatò con orrore che sulla porta erano comparsi Darcy e Caroline, ma per fortuna sembrava che Darcy non avesse sentito.
“Lisa non sarà per caso quel tipo l’amico di Bingley?” La raggelò sua madre. “E' proprio un bell'uomo!”
Bingley, sentendo il suo nome, si girò a guardare la signora Benetti, con aria interrogativa, senza perdere il sorriso, ma la donna continuò a guardare Darcy ed a parlare con la figlia:
“Allora!? Forza Lisa rispondimi, è lui o no?”
“E’ lui” sussurrò Elisabetta colma d’ira “e ti scongiuro, vi scongiuro a tutte e tre: comportatevi bene! Sa l’italiano quindi smettete di urlare daje allo gnoccone perché non siamo alla première di un film di Pattinson e dubito che avrebbe piacere a sentirsi circondato di tali attenzioni ormonali!”
“Lisa ma che affermazioni sono? Smetti di comportarti in questo modo con me perché mi urti i nervi!”
Elisabetta alzò di nuovo gli occhi verso i due inglesi e vide che stavano scendendo la gradinata con la palese intenzione di raggiungere la comitiva sottostante.
“Hai capito Elisabetta!” gongolò Lidia, mentre le faceva da sottofondo lo sghignazzare di Caterina “Ho sempre pensato che tu avessi il prosciutto sugli occhi, invece hai puntato un gran bel pezzo di mercanzia! Hai già dato un’occhiata a cosa c’è sotto la camicia? Dimmi com’è perché anch’io avrei una gran voglia di vedere…”
“Lidia abbassa la voce! Anzi chetati proprio. Non l’ ho puntato, è solo una persona con cui esigo che vi comportiate bene, perché lui non avrà certamente la voglia di sopportarvi!”
Fu Giovanna a prendere amorevolmente in mano la situazione: oramai Darcy e Caroline erano abbastanza vicini e lei anticipò tutti iniziando a fare le presentazioni.
Darcy si limitò ad un cenno della testa unico per tutte e tre, mentre Caroline fu cortese e si sforzò persino di comprendere quell’idioma che usciva dalla loro bocca  e che si supponeva fosse inglese.
Inutile sottolineare che Lidia e la signora Benetti fecero tutto ciò che era in loro potere per attirare l’attenzione di Darcy, ma lui si vide bene dal dare loro la benché minima considerazione: si mise da una parte con le mani in tasca e guardava Elisabetta che aveva una faccia tesa incredibile e sembrava non vedesse l’ora di andarsene.
Fu come cavarsi un dente, in breve finì e tutte le Benetti si ritrovarono in auto sulla strada di casa.
“Mamma, ma perché stai guidando tu?” protestò subito Caterina “fai guidare Lisa.”
“So esattamente come si guida, sono più di trent’anni che ho la patente!”
“E allora perché sei in terza e vai a novanta? Lo sento anche io che ho quindici anni che quest’auto vuole morire.”
“Io sento cinquanta euro di pieno uscire di gran lena dal tubo di scappamento” bofonchiò Elisabetta.
“Basta Caterina, questa conversazione l’abbiamo già tenuta all’andata! Ora tutta la strada del ritorno puoi anche parlare d’altro, tanto su questo hai torto!”
“Io ho una cosa di cui parlare!” gridò Lidia mettendosi in ginocchio sul sedile davanti in modo da poter vedere le tre sorelle sedute dietro.
“Oh no, Lidia” si preoccupò subito Giovanna “è pericoloso. Siediti per bene e metti la cintura di sicurezza!”
“Giò, lascia stare tua sorella!!” la rimbeccò sua madre.
Elisabetta alzò gli occhi al cielo mentre Lidia faceva la linguaccia ad una allibita Giovanna, che tutto si aspettava tranne essere litigata dalla madre.
Lidia riprese: “Dicevo: finalmente il famoso amico di Bingley! L’ho inutilmente cercato su facebook per giorni interi. Sapete, è vero che è un grande figo, ma è super antipatico. Non ha mai parlato con noi, se oltre all’italiano avesse imparato anche un po’ di educazione sarebbe stato meglio!”
“Hai proprio ragione Lidia cara” commentò la signora Benetti “ma almeno è ricco. Più di Bingley! Me lo ha detto ieri dalla parrucchiera una signora che ha la nipote impiegata qui alla villa.”
A quel punto Lidia dette un contributo fondamentale alla conversazione: “E’ bello come Thor, ricco come Iron Man e antipatico come Loki.”
“Chi sono, tesoro della mamma? Amici tuoi?”
“No mamma! Sono i personaggi di un film, il mio preferito!”
“Sul serio?” esclamò Elisabetta “mi stupisci, credevo fosse Twilight.” Ed era sinceramente stupita.
“No Thor è più bello di Pattinson! Non hai visto che pettorali? Pattinson ha un fisico schifoso, e poi è un ragazzetto.. a me piace il maschio vero.”
“Gesù..” sussurrò sconsolata Giovanna.
“Un ottimo metro di giudizio per i film” disse Elisabetta “in tal caso il tuo preferito non dovrebbe essere 300?”
“Trecento cosa?”
“Lasciamo perdere.”
A questo punto intervenne la piccola Caterina: “Ma come 300 cosa? Trecento spartani! Non dirmi che non ti ricordi, è quel film con tutti quei…” a corto di parole Caterina fece un gesto da culturista.
“Aaah! Giusto!”
“Bambine mie, di che film parlate? Voglio vederlo anche io!”
“Ce l’ho scaricato mamma! Stasera lo guardiamo tutte insieme.”
Elisabetta si girò verso Giovanna in cerca di uno sguardo amico, ma la sorella osservava le farfalle fuori dal finestrino con espressione sognante. Voleva scendere da quell’auto!
 
 
Nel momento in cui la Panda sparì lungo il viale Caroline si girò con un ghigno sadico verso Darcy:
“Pensi quello che penso io?”
Lui sollevò interrogativamente un sopracciglio.
Charles intervenne alquanto sostenuto “Adesso Caroline non iniziare a dire cattiverie!”
“Sarebbe come se tu mi portassi al circo e, quando entrano i clown, mi ordinassi di non ridere.”
“Che stronza che sei!”
“E’ la verità, sono tutte delle ridicole oche. L’unica che si salva è la tua Giovanna. In ogni caso ti faccio i complimenti per la suocera che ti sei scelto.”
Charles neanche finì di ascoltarla, le girò le spalle e corse in casa salendo i gradini e due a due.
Lei si rivolse di nuovo a Darcy: “Ti ripeto, so che la pensi come me. Spero che una cosa del genere non accada nuovamente: sarebbe insopportabile passare altri due giorni come quelli appena trascorsi. Tutto quel frastuono. Per non parlare dell’insulsaggine e la boria di quella Elisabetta.”
“Spiacente di deluderti: i miei pensieri vanno in tutt’altra direzione e sono molto più piacevoli.”
smise di parlare e la guardò negli occhi (rendendosi conto di non averlo mai fatto prima e che, incredibile, erano verdi davvero).
Caroline, fraintendendo clamorosamente, arrossì.
“E a cosa pensavi?”
“A quanto due occhi profondi ed espressivi possano aumentare la bellezza di un viso già grazioso.”
Caroline gonfiò la coda come i pavoni e chiese, convinta di sapere già la risposta:
“E chi è la fortunata a cui ti riferisci?”
“Elisabetta Benetti.”
Il castello di carte della ragazza crollò con la stessa velocità con cui l’aveva costruito:
“Allora dovrò fare anche a te i complimenti per la suocera.”
Darcy la ringraziò e seguì Charles in casa, sperando, in questo modo, di aver chiuso per sempre con le avances di Caroline.
 

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