Non cambierò certo per te, Burbero tricheco insolente!

di Virginia Of Asgard
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 1. Apparente tregua. ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** Di male in peggio! ***
Capitolo 5: *** 5. Il vero John Lennon? ***
Capitolo 6: *** Il vero Lennon, parte seconda. ***
Capitolo 7: *** 7. Ah! Gli Etero! ***
Capitolo 8: *** E ora? ***
Capitolo 9: *** fatti non foste, a viver come bruti ***
Capitolo 10: *** 10.Non cambierò certo per te, burbero tricheco insolente! ***
Capitolo 11: *** Troppi punti di vista! ***
Capitolo 12: *** Apri Giselle! Apri John! ***
Capitolo 13: *** Stand by me, please! ***
Capitolo 14: *** Bella e Impossibile. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Quella mattina mi alzai di mal’umore. Non avevo alcuna voglia di sapere che settembre era il mese in cui ricominciava la scuola. Non volevo riprovare nuovamente la sensazione di essere l’estranea, ma, diamine! Ci avevo fatto l’abitudine, ora mai! Da quando ero nata, per motivi di lavoro, i miei si spostavano da una città all’altra, da uno stato all’altro; da un continente all’altro. Tanto che non mi sarei stupita se – nonappena fosse stata scovata una nuova forma di vita – avessero deciso di trasferisrsi sul pianeta Saturno!
Quest’anno sarei rimasta a Liverpool, da mia nonna. Lei viveva nella casa affianco a quella della mia “famiglia”, quindi se avessi avuto bisogno di qualunque cosa, ci sarebbe stata lei.
Mi alzai di malumore, e corsi – sotto la pioggia incessante – a controllare la cartella della posta. Nemmeno una lettera dal Taghikistan, luogo attuale in cui si trovavano i miei genitori.
Scrollai le spalle, e bagnata fradicia tornai in casa. Decisi che come primo giorno di scuola, all’istituto d’arte, mi sarei vestita diversamente del mio solito – odioso – stereotipo: Gonna e camicetta. Facevano molto “Brava ragazza”, cosa che ero in tutto e per tutto. Ma con incoerenza!
Presi una maglia bianca, dei jeans piuttosto stretti e fuorimoda, una giacca di pelle e delle scarpe con giusto due centimetri di tacco. Giusto appunto, per farmi raggiungere il metro e settanta.
Nonostante fossero basse, mi sentivo un dannato gigante – Non che mi dispiacesse!
Presi la ventiquattrore in quoio ed uscii. Decisi di prendere l’autobus, anche se per sole due fermate. Era il primo anno della mia vita in cui mi dedicavo al mio hobby più grande: L’arte. Ho sempre amato l’arte in goni sua singola forma. L’arte è perfezione, L’arte è tutto ciò che non riusciamo ad esprimere con le parole ed i sentimenti, l’arte racchiude il lati più oscuri dell’essere umano.
Come io nascondevo alla perfezione il mio lato più oscuro. Non capii mai, se ci ero nata, così. O se fosse stato a causa del troppo tempo passato in un colleggio femminile. Forse non si nasce, omosessuali. Forse lo si diventa, eppure io lo ero. E non avevo il coraggio di confidarlo a nessuno al mondo, se non i miei dipinti. Lo specchio della mia anima non erano gli occhi, ma la carta-cotone, la graffite, gli acquerelli Winston&Newton scavati dall’acqua, le tempere completamente asciutte, i pastello a cera, l’arte greca.
Arrivai a scuola e sospirai.
“Ben Fatto, Giselle, dovrai nascondere le tue due facce per un altro anno!” pensai sarcastica. La scuola era tuttavia enorme. Mi sentii dannatamente in panico, copa dell’Agorafobia e della sociofobia o meno, volevo dissolvermi in tanti pezzi e scomparire. Per sempre.
Odiavo la sensazione di essere “quella nuova”.
Mi incamminai verso l’aula F5, l’aula di Discipline Grafico Pittoriche, o più comunemente chiamata Disegno dal vero. I grandi banchi bianchi – spaziosi e mobili, appositamente per disegnare – occupavano a ferro di cavallo tutta la grande aula, al centro di essa vi erano cinque statue di gesso bianco, lievemente rovinate da gli anni, poggiate appositamente per essere riportate in scala reale sul foglio Effe quattro.
«Ciao! Sei la tizia nuova, vero?» una voce cordiale alle mie spalle apparve all’improvviso. Mi sentii sudare, ed il cuore cominciò a battere talmente forte che non riuscii a capire se fosse in moto, oppure fermo. Mi voltai lentamente, ed un’incantevole – a dir poco – ragazza da gli occhi scuri ed i capelli biondi, si presentò al mio fianco.
«Chyntia Powell, molto piacere!» disse stringendomi la mano. Sperai che non fosse sudata, maledizione!
Era davvero bella! Il cuore batteva ancora più agitatamente di prima. Posai il mio sguardo sulle sue grazie, ma senza farmi notare troppo – Ero abituata a nascondere i miei sguardi, da sempre.
«Giselle, pi… piacere mio!» balbettai confusa. Imbambolata, più che confusa. Maledizione, se i miei genitori non mi avessero rinchiusa in quel convento di ragazze, non sarei mai cresciuta in questo modo. Avrei imparato avedere le donne, solo come amiche, e gli uomini come compagni. Invece il mio cervello aveva letteralmente invertito i ruoli.
«Hey Cyn, ti cercavo!» esclamò un ragazzo alle sue spalle. Era molto alto, snello – ma non troppo – e con un inconfondibile stile da Teddy Boy.
Il due si scambiarono un tenero bacio. Fissai il pavimento imbarazzata. Ed io che speravo…-
«E quella chi è?» domandò scorbuticamente il ragazzo. Feci una smorfia contrariata.
«Mi chiamo Giselle!» esclamai fulminandolo. «John, Giselle; Giselle, John!» ci presentò Chyntia. Porsi la mano, educatamente, ma questo non la strinse. Anzi, stette femo dov’era.
«Io ti ho già vista, da qualche parte. Forse al club di football a prendere a calci qualche Checca, eh?» domandò sornione. Deglutii a fatica. “ a prendere a calci qualche checca” risuonarono le sue parole, nella mia psiche. “CheccaIo ero una checca. Mi sentivo ancora più a disagio.
«Perché dovrei picchiare qualcuno?» domandai infastidita, mentre il mio cuore aumentava di un battito.
« Quella giacca di pelle, è da maschio. E i pantaloni? Sei un Teddy Boy, percaso?» domandò il ragazzo stuzzicandomi.
« Scusami??» intonai una domanda, al culmine del fastidio.
« Sei forse un uomo?» domandò scoppiando a ridere. Ecco come interpretavano qui, il tentativo di rinnovo dello stile di una ragazza.
«Brutto pezzo di merda! Sono una donna, coglione!» Mi alzai in piedi, puntandogli il dito addosso.
«Hey, hey voi due, a cuccia!» Esclamò Chyntia, al quanto sconvolta. Si sarebbe sapttata un atteggiamento più da cascamorto, con una ragazza nuova. Forse aveva iuntuito la mia omosessualità.
Il ragazzo scoppiò a ridere aspramente « sei proprio un maschiaccio, eh?»
Tentai di tenere i nervi a freddo.
« Fatti i cazzi tuoi, femminuccia!» ringhiai. In quel momento il silenzio calò, e tutta la classe stette a fissare la ragazza nuova ed l’idiota di turno. Pronti a fare rissa davanti a tutti.
«Posso tirarti un calcio nelle palle in zero punto due secondi, senza che tu te ne accorga, e sarai dolorante al pavimento, ad implorare che la mammina venga a refrigerarti le palle con il ghiaccio, se non vuoi rischiare di fare la fine di un cane che viene castrato!» continuai. OK. Ammetto che lo stavo lievemente provocando. Volontariamente. Aveva offeso la mia fottuta virilità femminile. (?)
« Mia madre è morta, figlia di puttana!» a quella dichiarazione si sentirono delle voci di sottofondo, imitare versi come “Ooh” oppure  “Poverino!”, ma non mi diedi per vinta.
« Mia madre mi ha abbandonata in un fottutissimo orfanotrofio, perché non voleva il peso di una figlia sulle spalle, quindi sì. Sono una figlia di puttana!» ringhiai nuovamente. Il ragazzo sgranò gli occhi. Ora gli stessi versi uditi in precedenza, vennero fatti per la mia esclamazione.
« Hai proprio una bella facciatosta, e la tua femminilità? Dov’è andata a finire? Se ne è andata con tua madre, quando ti ha abbandonata?» domandò. Allora non ci vidi più, e gli tirai un pugno dritto in faccia, facendolo cadere a terra violentemente.
« E ringrazia Gesù , che non ti ho tirato un calcio sulle palle, stronzo!» esclamai, andandomene.
“Non male, come primo giorno di scuola!” pensai sarcasticamente, mentre attendevo che la preside Hoffmann mi ricevesse nel suo ufficio. Il giorno stesso in cui avevo cominciato a frequentare quella scuola.
 
«Signorina Smith, ha un carattere parecchio colorito, eh?» domandò la donna, elegante, seduta su di una scrivania di mogano antico.
«Ha cominciato lui!» dissi indicando il ragazzo al mio fianco, che – dolorante – teneva una borsa di ghiaccio sul suo povero naso.
« Preside Hoffmann, guardi come mi ha conciato!» rispose mugugnando.
« Lennon, lo sappiamo tutti che non sei un santo, scommetto che c’è un motivo se la signorina, qui presente, ti ha colpito così brutalmente, giusto?» domandò la donna, rivolgendosi a me. Deglutii a fatica. Volevo urlare con tutte le forze, ma mi trattenni.
« Mi ha dato del Maschiaccio, in pubblico ed ha offeso me e mia madre.» dissi, nel pieno controllo della mia irrascibilità
«Anche lei ha offeso mia madre!» Sbottò indicando la preside, adirato. Questa posò una mano sul dito del pazzo, e lo fece calmare.
« Non ho intenzione di metterci il dito, Fra voi. Risolverete da amici, le vostre divergenze. Vi condanno ad una settimana di lavori forzati » scoppiò a ridere, mentre i nostri occhi si riempivano di preoccupazione;
« Resterete d’ora in poi, al di là dell’orario scolastico, ed svolgerete il lavoro che di solito svolgono gli addetti alle pulizie. Quindi vedete di non sporcare troppo, perché pulirete voi! Ah, e poi… Fatemici pensare…» disse sogghignando maleficamente, « Organizzerete un evento a scopo pacifico, in cui dovrete rendere pubbliche le vostre idee riguardanti la pace. Voglio che sia un super-congresso, organizzato da adulti, e non da dementi!» esclamò, battendo una mano sulla cattedra scura, prepotentemente. Il volto le si era imbrunito. Nessuno dei due osò fiatare.
« E ora via, via dal mio ufficio! Ho faccende più importanti da sbrigare!» Gridò, concludendo con un sorriso pacifico. Io e John ci guardammo negli occhi, per la prima volta con un sentimento di complicità che univa i nostri terrori in un'unica preoccupazione.
« Ma… signorina Hoffmann, io ho le prove con il gruppo, questo mese!» Trovò il coraggio di lamentarsi;
 «John Lennon, mio caro. Credi davvero che mi interessi qualcosa del tuo gruppo? Potrei interessarmi del Baseball, potrei iniziare a seguire programmi Thriller alla radio, potrei interessarmi alla vita privata di William Shakespeare, iniziare a bere ilo caffè, leggermi una soap opera, andare a fare un viaggio in Turkmenistan, ma non credo che mi interesserei mai del tuo maledetto gruppo, ed ora, se permetti; Sloggiare da qui!» esclamò facendoci letteralmente scappare da quella stanza degli orrori.
« Stronzetta!» lo sentii ringhiare.
« Coglione!» risposi io. « è solo colpa tua, vaffanculo, cazzo!» Sbottò. Sorrisi furamente e feci spalluccie.
« Non ti conosco nemmeno, e ti odio già!» continuò, ed io proseguii dritta per la mia strada, silenziosamente. « Sei fastidiosa, petulante, arrogante e brutta!» Lo sapevo anche io, di essere “Fastidiosa, petulante, arrogante e anche brutta!” Non avevo certo bisogno che un certo John Lennon venisse a rinfacciarmi tutti i miei lati peggiori! Restò il fatto che continuai ad ignorarlo.
« Sei stupida, o cosa?» domandò irritato.
Ignorarlo fu la scelta più giusta, anche perché sbottò poco dopo con-
« MI VUOI SPIEGARE PERCHE’ DIAVOLO NON REAGISCI??» Fu solo allora che scoppiai a ridere, causando un blocco istantaneo del suo sistema nervoso, che venne urtato dalle mie silenti provocazioni.
“Così si fa, Giselle!” mi incitai, dentro di me.









Il mio Fuckin' Angolo!
Salve a te, lettore. Un altra cazzata è uscita dalla testa di Amelye_
Che dici, ho esagerato troppo questa volta?
E' solo che cerco l'originalità e la ricercateza :/ non posso farci nulla D':

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Capitolo 2
*** 1. Apparente tregua. ***


1. Apparente tregua.

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Me ne stavo seduta su di un banco, sola. Stavo progettando degli schizzi su di un foglio A quattro. La penna scorreva libera sulla carta, dando vita ad un volto, rigato dal chiaroscuro, quando la porta sbatté violentemente. Sussultai, voltandomi: Era John.
«Pulirai tu questa merda! Io non ci penso nemmeno!» esclamò indicando i banchi disegnati e sfregiati dai tagli di forbici ed incisioni di taglierini.
«Non se ne parla nemmeno! Puliremo assieme!» sbottai, tenendo stretto il mio quaderno.
«Sei una cazzo di ragazza! Dovrei provarci con te, invece ti odio sempre di più, cazzo!» sborrò lui, tirando un calcio al muro.
Irrascibile, il ragazzo – pensai tra me e me.
« è reciproco, bestione!» risposi io, con non chalance, ricominciando a disegnare. Lo vidi venire verso di me, con rabbia.
«OK, francesina del cazzo, qual è il tuo problema?» domandò puntando il dito verso di me. A quanto pare, questa cosa del puntare il dito addosso a gli altri, gli piaceva molto.
«Tu! Sei tu!» dissi, indicandolo allo stesso tempo. I nostri occhi si scontrarono frontalmente, in quel momento poggiammo le braccia, e cambiammo visuale.
«Non ti ho fatto nulla di male, cretina!» disse voltandosi, ed accendendosi una sigaretta.
Fissava la bottiglia dell’Alchool etilico rosa, e lo straccetto umido.
«Sì, invece! Mi hai detto che sono un ragazzo!» risposi io, scendendo dal banco, ed impugnando una scopa ed una paletta.
«Sei un ragazzo!» Esclamò lui, voltandosi. Sentii la rabbia ribollire in me, ma non ci feci caso. Che si fotta, pensai. Mi stava unicamente provocando. « E tu sei un gorilla stronzo ed arrogante!» affermai, iniziando a passare la scopa, sotto i banchi.
«Per colpa tua resterò inchiodato qui, fino alle sei e mezza! Ed alle cinque avevo le prove con i Quarrymen! È solo colpa tua!» ribattè prendendo lo straccio umido, ed iniziando a passare la stoffa sopra le scritte ed i graffiti dei banchi.
«Non me ne frega assolutamente nulla del tuo cavolo di gruppo! Se la vogliamo mettere alla pari, io alle cinque avevo appuntamento con la vasca da bagno ed il sapone, e l’acqua calda e….oh.. l’acqua calda…» sognai ad occhi aperti.
«Esatto, ne hai bisogno! Chgissà da quant’è che non ti lavi, per mantenere viva la tua fragranza mascolina!»
Rispose, seccato, ma allo stesso tempo divertito nel provocarmi. Stetti zitta per un attimo,  a fissarlo.
Aveva capelli castani tenuti su da una maschera fatta di Gel e brillantina varia, occhi piccoli e castani, un lungo naso e labbra sottili. Che cosa ci trovasse, quello schianto di Chyntia in lui, porprio non me lo spiegavo.
«Che hai da guardare, maschiaccio?» domandò con un mezzo sorrisetto, deficiente, stampato sul volto. Feci spalluccie e risposi-
«Nulla, è che mi chiedevo…» iniziai lentamente, con tono basso e lievemente provocatorio. Apposta per illuderlo, infatti vidi una scintilla nei suoi occhi.
«Che cazzo ci trova di bello in te, Chyntia!» sbottai deludendolo, decisamente. Lo vidi alzare gli occhi al cielo.
«Sei un’affanno!» sbottò, lanciando lo straccio brutalmente, da qualche parte nella stanza. Si sentì il lieve tonfo della stoffa impregnata dall’alchool etilico.
« Anche tu, lo sai?» domandai sarcastica, tirando fuori il mio blocchetto, e ricominciando il chiaroscuro per il volto confuso, che stava apparendo sul mio foglio.
Lo sentii sbuffare pesantemente. Si sedette su di un banco a caso, e si accese un’altra sigaretta.
«Puoi anche offrirne una, sai?» domandai, senza distogliere lo sguardo dal mio foglio. Un incantevole ragazza da gli occhi scuri stava lentamente prendendo forma.
«E tu potresti anche startene zitta, sai?» rispose seccato, ma non vi feci caso. Era tutto il giorno che ci litigavo, ora erso stanca, diamine!
Mi alzai, ed andai a prendere la mia ventiquattrore in quoio, mentre sussurravo tra me e me un “fottiti”, rivolto a John Lennon.
Sentivo i suoi occhi su di me, mi stava studiando. Tentava di capire che diavolo stessi facendo.
Colsi la valigia, e la poggiai sul banco, tirai fuori un panino vegetariano ed una bottiglietta di acqua naturale.
«che fai?» domandò fissando il mio panino, famelico.
«Mangio, mi sembra ovvio!» esclamai. Scartai il panino, ed iniziai a mangiare. Mi stava – fastidiosamente – fissando. Anzi, fissava il panino: aveva fame. Era stato coì idiota, da non portarsi nemmeno il pranzo al sacco!
Portai gli occhi al cielo, sbuffando pesantemente, dopo di che mi alzai e gli porsi la metà del mio panino. Mi squadrò da testa a piedi, malamente e maleducatamente.
«Perché?» domandò mentre prendeva l’altra parte del Mio panino.
«Perché io non sono una stronza, egoista!» risposi, ma questa volta lo vidi ridere alla mia battuta. Allora si alzò, e posò sul banco una sigaretta, senza dire nulla. Senza accennare ad un sentimeno, sorrise. Sorrise unicamente.
Eravamo in tregua.

Amelye_
Buona Domenia a tutti! Ecco il cortissimo primo capitolo, infatti chiedo scusa per la scarsa lunghezza.
Se pensate che vi sia piaciuto, magari, potreste recensire D:
Non che io voglia obbligarvi, ovvio :'D
Hasta Luego,



Peace&Love,
Amelye_

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Capitolo 3
*** 3 ***


Capitolo Tre - contatto indeiderato.

Non sono mai andata d’accordo con il sesso maschile. Una volta, quando ero piccola, mi si era avvicinato un bambino, per chiedermi se volevamo essere amici. Gli ho risposto di andarsene al diavolo, lui e tutti i maschi della sua classe.
Sono finita in presidenza, quel giorno.
«Hey, torna sulla terra!» sentii qualcuno, dal tono seccato. John Lennon. Sbuffai.
«Mi hai interrotto uno dei più bei ricordi d’infanzia che avevo! Sei proprio stronzo!» Lennon sgranò gli occhi, imperterrito. « Tu sei una stronza! Non mi rompere le palle, e tornatene nel tuo mondo allora! Volevo solo un po’ di sgradevole compagnia, ma ne ho già troppa!» tuonò sarcastico.
«non sai far altro che istigare, vero?» domandai. In quel preciso istante una porta sbattè pesantemente. Non capimmo da dove provenisse, la scuola era immensa – ecco perché mi terrorizzava – ; ci scambiammo un’occhiata d’intesa. A quell’ora non poteva esserci nessuno, se non noi due, nuovi bidelli a tempo pieno.
«Vado a dare un’occhiata!» sussurrò Lennon, imbracciando un pesante gesso che ritraeva il Laooconte. Presi il suo braccio e lo fermai.
«Non agire d’impulso, idiota!» sussurrai, mentre prendevo una mazza da baseball, che di solito veniva utilizzata nelle composizioni di oggetti da copiare dal vero.
«In due siamo più forti!» continuai sussurrando. Mi giardò trovo. Che aveva da guardare?
« stai invertendo gli ordini della natura, io devo proteggerti, tu devi piagnucolare impaurita. Non aggiungerti a me, per uccidere il ladro!» eccolo con un’altra delle sue accuse maschiliste. Ed io che speravo che ci fosse rimasto un briciolo di eterosessualità in me, ed io che speravo ancora di poter essere anche lievemente attratta dal genere maschile!
«Io ero l’uomo, ricordi?» lanciai una frecciatina, ogni tanto ci voleva. Lo vidi mordersi il labbro, non so se per il nervoso o per la rabbia.
«Stammi dietro!» sussurrò aprendo la porta dell’aula. Si giardò attorno, con fare sospetto.
Fu allora che sentimmo degli altri rumori, provenienti da chissà dove.
«C’è qualcuno!» confermò i sospetti che avevamo già da un pezzo. «Lo so, non ho bisogno che lo dica tu!» sussurrai a mia volta, innervosita dalla stupidità di quell’essere.
«Chi va là!» urlò. Si beccò una mazzata sullo stinco da parte mia.
«Ti avevo detto di non agire d’impulso, deficiente!» sbottai io, fu allora che l’intruso si rivelò. Da un’alua sconosciuta spuntò fuori un signore anziano, con una divisa.
«Oh!» sbottò, portandosi una mano sulla fronte,« perdonatemi figlioli, vi ho spaventato! Non volevo, ero venuto a prendermi il termos del tea di mia madre, sapete lo porto sempre quando sono in segreteria!»
Io e John ci scambiammo un’occhiata completamente rilassata: era solamente l’addetto alla segreteria. Ringraziammo, e tornammo nella nostra stanza.
Lennon mi fulminò con lo sguardo, per tutto il “tragitto”, senza proferire parola. Che diavolo aveva ora?
«Dobbiamo organizzare quel congresso…» disse infastidito. Ora avevo capito cosa ci fosse che non andava in lui.
Erano solamente le quatro e mezza, rimpiansi quel maledetto pugno. Ah! Se solo avessi tenuto il mio maledetto orgoglio per me! A quest’ora sarei… completamente sola in casa.  
«Io non ce la faccio! Forse…» disse guardando l’orologio, « sono ancora in tempo!» esclamò. Che cosa aveva intenzione di fare, ora?
«ha hai in mente, John?» chiesi per avere risposta alla mia domanda. Lo vidi imborsare libri, quaderni e tele varie.
«Me ne vado!» esclamò incalzando lo zaino. Non poteva andarsene così! Spalancai gli occhi verdi, in una espressione al quanto sorpresa. Non mi disturbava tanto il fatto che lui si levasse dai piedi, nazi! Mi disturbava il fatte che secondo la sua mentalità maschilista io avrei dovuto svolgere tutto il lavoro, mentre lui se ne stava a suonare con il suo cazzo di gruppo!
«Che cosa? Ed io che faccio?» domandai spiazzata. Lui mi fissò per qualche minuto, poi se ne uscì con-
«Beh, puoi venire alle prove, a patto che ti cucia la bocca, e che prepari la merenda ai ragazzi! Così ti renderai utile alla società!» rispose con tutta la Non-chalance di questo maledetto universo.
«Sei…» strinsi i denti nella bocca, fino a sentirli scricchiolare fastidiosamente. Non avevo mai sentito un commento tanto maschilista in tutta la mia vita!
«Potrei tirarti un pugno in faccia, dinuovo! Maschilista del cazzo!» Sbottai offesa. A quanto pare non aveva neppure capito la mia reazione, dalla faccia che aveva fatto. Dio mio, quanto lo avrei ammazzato di botte, ma mi trattenni.
«Tu te ne starai qui fino alle sei, poi andremo entrambi via. Dopo aver chiuso la scuola attentamente. La preside conta su di noi, se entrano dei ladri finirai tu in merda, e anche io, per cui incolle le tue maledette chiappe a quella sedia, e mi aiuti a progettare quel cazzo di congresso!»
Sorrise malizioso, e senza dare minimo peso alle mie parole, aprì la porta dell’aula e si incamminò verso l’uscita. Feci in fretta e furia anche il mio zaino, per corrergli dietro.
«Fermo!» gridai, lo vidi girarsi verso di me, seccato. « sei ancora qui??» domandò esasperato; «certo che sei proprio una palla al piede!» esclamò, susseguito da un lungo sospiro.
«Non andare, cazzo, John! La presi…» non feci in tempo a finire la frase, che mi tappò la bocca con l’indice della mano destra. L’odore di graffite arrivò alle mie narici. Ci sambiammo per un attimo uno sgurado, ma lo distolsi immediatamente.
« se non dici  una sola parola, ti porto con me!» disse, prendendo la mia mano. Sentii il sangue raggiungere le tempie ed iniziare a pulsare violentemente per l’agitazione. Era la prima volta che avevo un contatto così… ravvicinato con un uomo. Così intimo al punto da scambiarci una stretta di mano.
Guardai il pavimento.
«vieni?» domandò senza distogliere lo sguardo. Mio Dio, ero agitata? Per quale motivo?
Forse per quel nuovo contatto fisico, forse perché John Winston Lennon non era una donna.
Annuii in risposta alla sua domanda, tacendo completamente. Non osai parlare. Ero tremendamente imbarazzata.
***
Al difuori della scuola c’era una bicicletta azzurra, chiaramente dipinta a mano. John la slegò, liberandola dal lucchetto.
«Non avevo pensato al fatto che saremmo stati in due…» disse assorto, nel notare che la sua bicicletta non aveva un porta pacchi.
«Nessun problema!» esclamai io, che avevo già addocchiato un’altra bici abbandonata, senza alcun lucchetto.
Salii sulla sella, lievemente rovinata e mangiucchiata da chissà quale essere.
«Che fai?! Non è tua, quella!» esclamò, lievemente sorpreso nel vedere una ragazza, che stava chiaramente rubando una bicicletta-
«E allora? La prendo solo in prestito!» dissi tranquillamente. Gli occhi minuti del ragazzo eraqno ancora spalancati.
«Non fai altro che sorprendermi!» disse scotendo la testa, lievemente confuso. Detto questo, partì, seguito da me e la mia nuova bicicletta grigia.
Quando arrivammo, mi apparse una casetta bianca ed accogliente. John suonò il campanello insistentemente, fino a quando non si aprì, mostrando un agitato ragazzo dalla fisionomia particolare. Aveva lunghe ciglia, che contornavano degli occhi cadenti; Soppracciglia arcuare, naso alla francese e carnose labbra a cuore.
«Scusami, John, ero in bagno!» esclamò il ragazzo, lievemente agitato.
«Non ti preoccupare, Paul! Gli altri, sono arrivati?» domanò l’altro, rendendomi apparentemente invisibile.
Mi schiarrii la voce pesantemente, per ricordare la mia presenza. John si voltò spazientito.
«Puoi non rompere le palle per un minuto solo?» domandò esasperato. L’amico di John assunse un’espressione al quanto stupita.
«Senti, rompicoglioni maschilista del cazzo, mi puoi anche presentare, sai?» sbottai io, ironica.
«Mio Dio, sei un affanno! Un continuo affanno! Non mi ricordo manco come ti chiami!» esclamò infastidito.
«Aspetta Johnny, ci penso io!» disse l’altro, avvicinandosi a me con charm.
Mi porse la mano, sorridente. «Io sono Paul, Paul McCartney!» disse stringendomi la mano. Lievemente stranita mi presentai anche io; «Giselle Smith!» dissi, ricambiando il sorriso.
L’amico si voltò verso John, senza mollare la mia mano.
«Vedi Johnny? Si fa così con le donne!» esclamò divertito. «Macca non mettertici anche tu a scassare le palle, Lei basta e avanza!» disse facendosi strada all’interno della casa dell’amico.
«Complimenti!» mi disse Paul, nel momento in cui restammo soli; « come, scusa?» domandai confusa
«Complimenti, gli sai tenere testa!» esclamò con uno sguardo pieno di ammirazione nei miei confronti.

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Capitolo 4
*** Di male in peggio! ***


NDA: Come dice il titolo, tra John e Giselle,
va sempre peggio! Che cosa succederà se acqua e fuoco si scontrano?
O lo Ying e lo Yang, il bianco ed il nero, il negativo ed il positivo?
Nulla di buono, questo è certo!

Love,
Psycheo Virgin!


 

4.Di Male, in peggio!

«Hey John, e lei chi è?» domandò uno dei quattro ragazzi, aveva degli occhiali da sole RayBan dalla montatura laccata e nera. Un gran ciuffo alla Elvis ed una maglia altrettanto nera ed abbastanza attillata da mostrare la perfetta forma fisica. Mi rivolse un sorrisetto sornione, che ignorai, non essendo attratta dai ragazzi.
«Lei? È la più grande rompigolioni che Dio abbia mai creato; se vuoi conoscerla è tutta tua!» esclamò provocandomi chiaramente.
«Senti Lennon!...» a quella mia esclamazione calò il silenzio, e tutti piombarono a fissarmi. Il sorriso compiaciuto di Paul dipinse il suo volto di inquietudine, non aspettava altro che io “attaccassi”.
«…Mettiamo subito in chiaro le cose, patti chiari, amicizia lunga! Il rompipalle, qui, sei tu!  Che ti sei permesso di darmi del fottuto maschiaccio! Io sono una tua pari, che ti piaccia o meno; a differenza del fatto che io sia una donna, o meno! E a differenza del fatto che io porti i calzoni, come voi!» sbottai. Non ne potevo davvero più del suo maledettissimo maschilismo da adolescente in piena crisi ormonale! Solo perché aveva avuto la benedetta fortuna di nascere Uomo, non implicava che potesse comportarsi come il figlio di Dio!
«Maschilista!» ringhiai poco dopo. Paul a stenti tratteneva la risata, mentre gli altri due ragazzi, non capivo se fossero sorpresi o spaventati.
« Oh! Andiamo, ragazzi vi sembro un maschilista?» domandò Lennon ai suoi amici. Questi si guardarono per un attimo tra di loro, dopo di ché annuirono contemporaneamente facendo piccoli commenti come “Sì!”  oppure “Direi!” o addirittura“Basta vedere quante volte tradisci Chyntia!”.
«hai sentito?» sorrisi soddisfatta, era crollato. Ma crollato in tutti i sensi, infatti si era buttato sul divano a peso morto.
«Questa ragazza mi sfinisce!» sbuffò pesantemente; Paul era intento a ridere assieme al suo amico dal volto scheletrico e la voce nasale.
«Hey, io sono Stu!» si fece avanti uno dei tre. « Dovrò trattarti da mia pari, se non voglio fare la fine del povero Lennon!» scherzò con ironia.
«Sta’ zitto, Sutcliffe!» protestò L’altro. Il ragazzo, ora a me noto come Stu, mi strinse la mano. «Complimenti! Hai steso Lennon in un attimo!» continuò Stu, allora sentimmo tutti Lennon bofonchiare qualcosa come “Vaffanculo!”; Il che mi procurò una gran risata.
« E tu, chi sei?» domandai, facendomi avanti con l’ultimo ragazzo di cui non conoscevo il nome.
«Lui è George!» rispose Stu, il ragazzo alzò gli occhi al cielo; « So come mi chiamo, Stuart, Grazie!» sbottò il ragazzo. Aveva un gran casco di capelli, sembravano così tanti che avrei potuto nuotarci!
«Molto piacere, io sono Giselle Smith!» gli strinsi la mano calorosamente. Erano tutti maledettamente simpatici! Tutti, tranne Lennon.
«Quando la smettete di fare le feste a quel tizio che si fa passare per una ragazza, ditemelo che accordo la chitarra!» sbottò Lennon, spaparanzato sul divano.
« Ti va di sentire quanto spacchiamo?» mi venne vicino Paul, e mi chiese. Annuii timidamente.
 Paul era davvero un ragazzo particolare. Sembrava quasi… una donna! Insomma, lo si capiva, che era un uomo; Ma aveva lunghe ciglia, due grandi occhi verdi e delle labbra molto femminili. Per un attimo sperai fosse Gay, ma venni subito smentita dai commenti inappropriati sul seno di Brigitte Bardot – un gran pezzo di donna!
Sentii Lennon gridare qualcosa come “Hallelujah!”, dopo di che si misero tutti ai loro posti, ed iniziarono a strimpellare cover di Elvis Presley. Mi sedetti su uno dei divanetti, e restai ad ascoltarli, rapita. Era incredibile come riuscissero ad armonizzare le loro voci, senza combinare obobri vocali.
Le loro voci armonizzate mi ricordavano quando ero piccola io, ed ascoltavo alla radio “Mr. Sadman” delle
Chordettes, quei giorni in cui ero completamente sola a casa, e sognavo di viaggiare attorno al mondo, libera da ogni preoccupazione. Lontano da genitori che non mi volevano, lontano da regole, imposizioni e schemi da seguire. Volevo viaggiare per il mondo, senza un soldo in tasca, ed arrangiarmi vivendo dei frutti della natura. Risi tra me e me, al solo pensiero.
« Allora? Siamo o non siamo, fottuti geni?» si pavoneggiò John, allargando le braccia fissandomi. Non capii perché diavolo si comportava così. Era strano, diamine!
« Fottuti geni, no. Siete… brav…ini! Bravini, sì! Accettabili, direi!» commentai sadica, giusto per non dare soddisfazione al povero – ed illuso – Lennon.
« Oh! Sei proprio una rogna, cazzo! Mi fai letteralmente passare la voglia di vivere!» sbottò il ragazzo, spalancando gli occhi.
« Si sono fatte le sette.» fulminai Lennon. « Me ne vado via, così potrai continuare a farti passar la voglia di vivere, anche senza di me. Addio!» esclamai, cogliendo ciò che avevo sparso in giro. Strinsi calorosamente la mano a gli altri re componenti del gruppo e feci per andarmene, ma fui fermata dalla voce squillante di Paul.
« Aspetta, Giselle! Che ne dici, di venire al cavern ‘sta sera? Suoniamo per le undici, circa, ma arriviamo sempre presto per rimorchiare un po’, che dici?» domandò chiaramente sfidando la pazienza di John, che si alzò in pedi, e frettolosamente tentò di rimediare all’errore di Paul.
« Se ci portiamo dietro questa, crederanno tutti che frequentiamo lesbiche! Quindi non verrà ‘sta sera, vero Gigì?» domandò prenendomi il volto tra le mani, imitando una voce dall’accento francese, maledettamente fastidiosa. Mi aveva chiamata Lesbica. Dvanti a tutti.
Non stetti ad esitare un’attimo, e lo colpii nel basso ventre, all’altezza delle palle. Si pegò a terra, sconvolto, mentre tutti guardavano me, sconvolti.
« Lesbica sarà tua sorella, pezzo di merda!» Gridai letteralmnete, facendo sussultare tutti.
Mi voltai – più incazzata che mai – verso Paul ed ringhiai.
« Stà sicuro che non mancherò! E dimostrerò a quello stronzo maschilista che io non sono Lesbica!» mentii, dovevo tenermi allo scuro. Ma non avrei mai perdonato, quello scherzo, a Lennon. Mai e poi mai! Aveva colpito nella ferita, riaprendola letteralmente. Mi sarei vendicata, ed il calcio nelle palle non era nulla.
«Puttana!» Gridò Lennon, schiacciando le mani contro il basso ventre, dolorante.
« Mai quanto te, Puttanella!» risposi, sbattendomi la porta alle spalle, dovo aver gridato un “A Stasera, Lennon”, piuttosto stridulo.
Uscii che mi batteva forte il cuore. Non era da me, essere così… Manesca! Ma se lo meritava, diamine! E poi odiavo il sopprannome Gigì. Lo odiavo con tutto il mio cuore, motivazione in più per averlo colpito!
 
 

Ecco a voi come mi sono immaginata Giselle all'appuntamento al Cavern! :D ho subito pensato
"Dev'essere una donna molto bella, e lasciare tutti a bocca aperta, compreso ( e oprattutto) John, e chi non poteva essere, se non la mia attrice
Preferita d'eccellenza? Ditemi pure che sono anticha, ma non potevo non scegliere lei, Elizabeth Taylor! Una donna a mio parere, meravigliosa, che avrebbe fatto una simile
e gloriosa carriera anche senza bisogno di quelle gemme
viola, da sempre menzionate.
Lunga Vita ad
Elizabeth Taylor :)

Una domanda: Voi ce la vedete nel ruolo di "Giselle il Maschiaccio che prende a pugni i ragazzi"?
Con amore, e anche Pace;

Psycho Virgin≈

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Capitolo 5
*** 5. Il vero John Lennon? ***


Capitolo 5. Il vero John Lennon?



Fissai fuori dalla finestra, la grande luna piena che già aveva comnciato ad occupare il cielo.
Non ero tanto incazzata per Lennon; voglio dire, lui ci aveva messo una gran percentuale, nella mia incazzatura, ma il principale motivo era che io, mai nella mia dannata vita, ero uscita la sera con dei Ragazzi, completamente sola.
Non sapevo da che parte girarmi! Che ne sapeva, una come me, di come acconciarsi i capelli, truccarsi e robe simili??
Ricordo che stetti più di un’ora a pensare come diavolo usare quegli aresi che mia madre, aveva abbandonato da tempo.
Ma ebbi anche io – una povera disgraziata – un’aiuto dal cielo. Mia madre leggeva spesso riviste di moda, così ne presi una, ed iniziai ad osservare Marilyn Monroe. Era davvero bella, che diamine!
Tentai di sistemare i miei capelli a dovere, ed infine corsi in camera di mia madre, sperando che ci fosse qualcosa di decente, e soprattutto che fosse Verde Ottanio, il mio colore preferito.
Mi trovai difronte alla stanza di mia madre, esitai un attimo, prima di aprire le porte.
D’altronde era la sua stanza, una cosa maledettamente intima e privata. Avrei odiato, se lei fosse entrata nella mia, frigando tra le mie cose; Ma, sfortunatamente io non possedevo abiti da sera.
Che cosa me ne sarei mai fatta, visto che le serate le passavo immersa in libri di magia ed esoterismo, occultismo e Tradizione della Luna? Nulla! Assolutamente nulla.
Alla fine trovai in ogni caso quello che cercavo: Un morbido vestito, elegante e soprattutto verde ottanio. Sapevo che mia madre aveva del buon gusto! Certo non ero paragonabile a Marilyn Monroe, ma con dei tacchi non troppo alti, sarei diventata molto più decente.
Guardai l’orologio: era ora. Sospirai più volte, e mi preparai un discorso mentale da fare a Lennon.

*

Entrai nel locale, seguendo le informazioni che avevo raccolto chiedendo a destra e a manca. Una gran folla girovagava all’interno di quella Cava. Tentai di cercare Lennon e compagnia portante con lo sguardo, quando lo vidi avvinghiato ad una giovane dai capelli mori. Strinsi i denti, non capii per quale odioso motivo, ma cominciai ad odiarlo ancora di più.
Mi avvicinai a passo svelto, e poggiai una mano sulla spalla della troietta, violentemente. Si girò e mi fissò sconvolta.
« Avevi detto di amarmi, stronzo! » esclamai gridando, contro Lennon, che ovviamente non poteva far altro che non guardarmi stranito.
« E’ la tua ragazza, John?» domandò l’altra, piuttosto incazzata. I ragazzi se la stavano godendo in silenzio.
« No, Mary! Ti giuro che io, questa non l’ho mai vista in vita mia!» tentò di scusarsi, ma ora mai era troppo tardi. “Mary” sel’era già svignata, lasciando Lennon da solo e con un “Vaffanculo” stampato nella memoria.
Allora il ragazzo si alzò in piedi, piuttosto su di giri, e mi si avvicinò – probabilmente gonfio di birra.
« Chi cazzo sei, puttanella, per far sparire così la mia ragazza? Non ti ho mai vista, cazzo! Che vuoi dalla mia fottuta vita?» gridò. In quel momento Paul si alzò dalla sua posizione piuttosto smolla, lasciando un varco sul divano di pelle.
« Alla fine sei venuta, Giselle!» esclamò abbracciandomi. Ricambiai l’abbraccio, lievemente stranita da tutte quelle confidenze.
« Giselle?» sbottò Lennon, scansando violentemente Paul, dalle mie braccia; « Porca Troia! Sei tu, brutta stronza!» Scandì a gran voce, ridendo dell’ultima frase. Non capii per quale strambo motivo.
« Scusami John, ma sei fidanzato!» esclamai puntandogli un dito contro.
Lo vidi fare un cenno di diniego con la testa, piuttosto agitato. « No, no, no, no, no! Non puoi essere così sexy, perdiana!» esclamò, barcollante. Mi spinse contro il divano, dove sedevano Paul, George, Stu ed un altro tipo che, come appurai più avanti, era un certo Pete Best.
« Che fai! Attento al vestito!» esclamai sistemandomi la gonna sgualcita. Allora Lennon si sedette accanto a me, ed iniziò a fumarmi accanto.
Lo fulminai con lo sguardo,lo stava facendo per provocarmi. Presi la sigaretta dalle sue labbra, ed iniziai a fumarla io, sorridendo soddisfatta dalla smorfia di stupore, apparsa sul suo viso.
« Non mi fotti soltanto la ragazza, ora mi fotti anche le sigarette, eh?» domandò altalenando il tono vocale. Lo fulminai nuovamente; « Sei fatto, o ubriaco?» domandai inarcando un soppracciglio.
«è ubriaco, Giselle, tranquilla!» si introdusse Paul, scoppiando a ridere. « Si beh, immaginavo. L’erba non fa certi effetti!» commentai disgustata, ma in quel momento accadde qualcosa di insolito ed inaspettato. John si alzò in piedi, cambiando nuovamente posizione per la quarantatreesima volta di fila.
Mi stava fissando, sorridendo con malizia. Mi prese con prepotenza una mano, e mi fece alzare.
« Ora tu, verrai a ballare, madmoiselle!» esclamò tenendo stretta la mia mano. Barcollava lievemente, doveva essere davvero gonfio di alcolici. « Dovrò complimentarmi con il signor Jack Daniel, ha fatto davvero un’ottimo lavoro con un bisonte come te, Lennon. E comunque scordatelo, non ballerò con uno scimm…» non feci in tempo a terminare la mia frase-insulto-ad-effetto, che mi mise a tacere, premendo il suo dito indice – che puzzava di birra, tra l’altro – contro le mie labbrsa, seguito da uno “ssssshhhhh” aspirato e lungo. Per un attimo pensai a Lennon, come un serpente.
« Sei ubriaco fradicio, John. Da sobrio non mi avresti mai invitata a balare, quindi, mollami e lasciami in pace! Mi stai seriamente urtando il sistema nervoso, che diamine!» Lo vidi sbuffare, pesantemente. « Quanto cazzo parli! Andiamo, buttati in pista, e non fare storie! Ragzzaccio!» mi insultò ridendo. Forse non voleva farlo sembrare un’insulto, ma qualcosa di amichevole. Stavo per ribattere, ma mi precedette; « Oh! No, no! Non intendevo offenderti! Sai, perché ‘sta sera sei proprio una gran donna! Niente Maschiaccio, per questa sera, niente di niente!» altalenò il tono vocale, nuovamente. Era ubriaco, e non era cosciente delle sue azioni, però una cosa era cetra: gli ubriachi non mentono.
Sorrisi, e per quella sera decisi di chiudere un’occhio. D’altronde lo conoscevo a malapena da una settimana. Non potevo certo giudicarlo così in fretta, magari era anche una brava persona, in fondo, in fondo. Magari era anche un ragazzo premuroso e simpatico, e magari quella del “Maschilista Acchiappadonne” era solo una copertura. Come un’arancia.
In ogni caso ballammo in mezzo a tutti, quella sera. John a malapena si teneva in piedi, eppure voleva ballare in ogni caso. Gli sorrisi, era il mio “grazie” per non avermi rovinato la serata.
Ma… un monemto! Appunto, bastò un momento che mi tornarono in mente tutti gli insulti e le divergenze avute quel pomeriggio. Dovevo fargliela pagare, e me ne ero dimenticata. Doveva soffrire, ed invece ero li che ballavo con lui. Avrebbe dovuto filarsela via a gambe, ed invece era li, che scherzava come una persona normale.
La verità era che, forse, per vedere il vero John Lennon bisognava incontrarlo sotto l’effetto di droghe o alcolici.




Note dell'autrice in canna:

ecco il vestito indossato da Giselle, interpretata dalla meravigliosa Elizabeth Taylor <3
Allora? Che ne pensate? Naturalmente non è finita qui! Ci sarà una "seconda parte del quinto capitolo", quindi, vi aspetto numerosi.
Colgo l'occasione per ringraziare tutte coloro che hanno recensito il capitolo precedente ( 4 recensioni in un solo capitolo è un fottuto record!!!) ed i capitoli ancora prima.
Grazie davvero di cuore, grazie a tutte :) Siete l'unico motivo che mi fa tornar la voglia di scrivere :D

- a trip called life -
Psycho Virgin.

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Capitolo 6
*** Il vero Lennon, parte seconda. ***


Capitolo 6.
Il vero Lennon,
parte seconda.
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« La sai una cosa, Gigì?» partì ad un certo punto Lennon, m’irrigidii al suono di quel fastidioso nomignolo, pronunciato con uno scarso francese, e feci una smorfia contrariata. Lui lazò il suo sopparciglio e continuò: « Ho bisogno… d’aria. E acqua. Acqua.» ripetè, sospirando pesantemente. Capii allora che l’effetto della sbronza se ne stava andando, e prima di ritrovarmi il vestito – di mia madre, tra l’altro – sporco dei residui della cena digerita da poco di Lennon, decisi di correrre – letteralmente – fuori, per farlo rinvenire. T’oh guarda, gli ero tornata utile, per salvargli il culo!
La notte era già calata, a Liverpool. Senza avveritre nessuno del suo arrivo; E John Lennon a mala pena si teneva in piedi per il troppo bere.
Lo feci sedere su di un muretto – facilmente raggiungibile dall’altezza del suo posteriore – cercando di evitare che cadesse dentro al fiume protetto dal muricciolo.
«Oh, grazie a Dio!» lo sentii prendere aria il più possibile, e respirare a gran polmoni la frescura di quell’insolita serata. Decisi di mandare per un momento a quel paese il mio vestito (non esattamente mio), e di sedermi accanto a Lennon, stringendolo per un braccio. Poteva starmi antipatico quanto avessi voluto, ma certo non volevo sentirmi colpevole della sua improvvisa morte da annegamento.
« Se mai grazie a Giselle Smith, altro ché!» corressi la sua precedente affermazione. Lo vidi sorridere come un ebete, sapete, quei sorrisetti stiarati e lunghi che disolito faceva lui, quando era compiaciuto, o progettava la conquista di qualche stato.
«Perché ci odiamo?» domandò tutt’untratto, girandosi verso di me, col suo sorrisetto stirato da conquista del mondo. Inarcai un soppracciglio, navigando attraverso il passato della settimana da poco trascorsa assieme al dopo scuola – e non solo.
« Beh, potrebbe esserci una lista decisamente infinita, ma alla fine direi che è per il tuo Maschilismo, sai?» affermai, fissando il parco che dava all’altra parte del fiumiciattolo.
« Mi piace fare il maschilista, per infastidirti!» sorrise, accendendosi una sigaretta. L’effetto della sbronza stava forse passando? O era ancora sotto l’effetto della macchina delle verità nascoste, denominata con l’acronimo di Alchool?
Fatto stava che risi alla sua affermazione. «E a me piace tirarti cazzotti, ed insultarti clamorosamente. Siamo pari!» continuai io, divertita dalla stramba piega che stava assumendo questa conversazione. Rise amaramente alla mia affermazione, dopo di ché si voltò verso di me, stanamente serio.
« Sei l’unica ragazza che riesce a tenermi testa. Non dovremmo odiarci, cazzo!» esclamò tirando fuori – che Dio mi aiuti, non so da dove! – una bottiglia di birra fresca. Fece per aprirla, ma mi affrettai ad evitare di ripensare alla scena della sua digestione sul mio vestito.
« Direi che di questa ne hai bevuta già troppa! In ogni caso è solo colpa tua! Sei stato tu a cominciare, cazzo!» Esclamai, stappando la birra non curante, ed iniziando a tracannare decisamente pococ educatamente.
« Lo so.» disse. Tossii, sputando tutta la birra per terra, da brava camionista provetta; Mi voltai sconvolta – e con l’ampio rischio di soffocare davanti a Lennon – e a bocca decisamente aperta, decisamente sconvolta.
« Come scusa?? Che hai detto??» sbottai sconvolta – nuovamente – e Lennon scoppiò in una fragorosa risata.
« Ho detto che hai ragione, e quindi scusa.» disse in ultimo, balzando giù dal muricciolo, nel pieno delle sue qualità riacquisite, detto ciò partì non curante, per fare ritorno al “Cavern Club”, e cominciare a suonare per tutta la notte.
Rimasi seduta sul muretto, a fissare la grande luna a bocca aperta. Non per il fatto che la luna fosse una cosa meravigliosa, tanto per ciò che era appena accaduto.
Mi aveva chiesto scusa.

 

- A trip called Life -

 

 Eccomi qui, con il sesto capitolo. Scusate per il ritardo nell'aggiornamento, ho saltato di un giorno dalle mie solite abitudini di aggiornare entro cinque giorni. Ma sono solo dettagli irrilevanti XD, in ogni caso, so che è maledettamente corto, questo capitolo, ma non posso farci nulla xD
Le cose tra Giselle e John sembrano andare meglio...Mmmh, che mai accadrà?


Psycho Virgin.

 
 

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Capitolo 7
*** 7. Ah! Gli Etero! ***



- A trip Called Life -
 Salve popolo! Colgo l'occasione per scusarmi degli errori di battitura, molto presenti nelle mie storie D: purtroppo non ho più Word originale, ma una copia, che non comprende la correzione automatica D: quindi PERDONOOO.
Altro punto importante, Giselle, ma che le sta succedento? Sarà mica....gelosa?


Psycho Virgin.
 

7.Ah! Gli Etero!

Pensai e ripensai tutta la serata, a ciò che era successo. Era davvero impossibile, essere amici? Davvero non volevo accettare il fatto che lui mi avesse chiesto scusa?
La verità era che mi sentivo dannatamente stupida, per come l’avevo trattato. Era un essere umano anche lui, diamine! Un essere umano pompato al massimo, pieno di se, e con un odioso atteggiamento da spaccone, che si era denudato dei suoi pensieri davanti a me, chiedendomi umilmente scusa. Ed io? Che cosa avevo fatto, per ringraziarlo? Nulla.
Certo, non avrei potuto, visto il fatto che sen’era andato via di colpo. In ogni caso la mattina seguente decisi di non pensare a nulla di ciò che era successo. Avrei tentato di fare la “gentile” con lui, come grazie sottointeso.
Come sempre la scuola era immensa, ma questa volta non mi persi. Mi diressi verso l’aula di Letteratura.
« Giselle!» sentii alle mie spalle, si trattava di Cinthya, la fidanzatadi John.
Mi voltai, con aria interrogativa, attendendo che andasse avanti. « Hai fatto i compiti?» domandò sorridente, con l’aria di chi era solare trecentosessantacinque giorni l’anno.
Abbassai lo sguardo, mi metteva in soggezzione, quella ragazza. « Hem… no. Lo sai che non li faccio mai, i compiti…» ammisi, mentre fissavo il pavimento di scuola, camminando fianco a fianco con la bellissima fidanzata del mio – forse – nuovo amico.
« ti bocceranno, se vai avanti così!» commentò Cyn, portando i suoi grandi occhi al soffitto della scuola, con sguardo perso.
« Non m’importa, per disegnare ingiro per il mondo, non serve un maledetto pezzo di carta! Sto frequentando la scuola, unicamente perché imparare le tecniche, e studiare il passato artistico del mondo, tutto qua!» dissi io, presa da un attimo di “sfogo” personale, lievemente sognante e protestante.
« Come siamo poetiche, Signorina Virginia Woolf!» sentii una voce, a me conosciuta, alle mie spalle. Una voce maledettamente sarcastica. Mi voltai, e feci una risatina sadica ed infastidita, nei confronti di John, che si era già diretto a “slinguazzare” con Cyn.
Guardai da un’altra parte, mentre compivano quel gesto, disgustata ed infastidita dal fatto che lui, essendo un ragazzo, potesse possedere quante labbra femminili volesse, mentre io no.
« Hey Gigì, sei percaso scandalizzata? Guarda che si fa così, tra esseri umani!» esclamò John, prendendomi in giro, e strappando una risatina anche a Cyn. Mi limitai a fare spalluccie, disturbata da come si stava comportando. Ed io che credevo che ci fosse stata una sottospecie di tregua!
In ogni caso ci dirigemmo tutti e tre in aula, dove la proffessoressa di Letteratura iniziò a parlare dei grandi pessimisti, come Leopardi.
Naturalmente la mia mente vagava attraverso universi completamente lontani,  alla ricerca di qualcosa da fare durante le ore restanti.
John e Cynthia si erano seduti vicino. Continuavano ad amoreggiare e sogghignare durante tutta la lezione, rendendo la mia esistenza un fottuto inferno.
Mi voltai in direzione della coppietta, intenta a zittirli una volta per tutte, ma venni interrotta dal suono della campanella, così mi arresi.
Devo ammettere che c’era qualcosa, dentro di me, che mi turbava assai. Forse il fatto che giovedì, il giorno del congresso sulla pace,  si avvicinasse ed né io né John avevamo progettato nulla; O forse il fatto che Cynthia e John erano davvero insopportabili.
« Ah! Gli Etero!» sussurrai tra me  e me, senza essere udita da nessuno.
« Esseri umani del cazzo!» questa volta mi feci sentire un po’ di più, in modo che il commentino potesse reaggiungerli, ma parvero come sordi, entrambi i due innamorati.
*
« Hai intenzione di fissare il vuoto ancora per molto, miss?» una voce alle mie spalle, mi fece sobbaltare. John, a quanto pare aveva la mania di far prendere un infarto alle persone, spuntando all’improvviso. Quel Lunedì, sedevo sullo stesso banco in cui mi ero seduta, la prima volta con John, al dopo scuola.
« E tu hai la mania di farmi sussulare, Mister?» domandai, lievemente infastidita.
John sorrise, e si sedette accanto a me, con fare pacifico. Non capivo, in ogni caso, per quale strambo motivo cel’avessi con lui. Voglio dire, mi dava fastidio la sua presenza. Le immagini di lui e Cyn che slinguazzavano disgustosamente, contin uavano a tornarmi in mente.
« Dobbiamo progettare quella cosa per la pace, ti ricordi, signorina “la scuola non serve agli artisti”?» disse, tutto divertito per la sua frecciatina innocente, che aveva trovato geniale.
Annuii, silenziosamente.
Passarono degli attimi di silenzio più assoluto. Non mi sentivo in imbarazzo, ma lui si. L’avevo capito dal fatto che giocasse distrattamente con la cerniera della sua giacca nera.
« Allora…» si schiarì la voce, portando il suo sguardo sul mio, che distolsi in un attimo, per evitare sguardi indesiderati.
« Allora è ufficiale?» domandò, sperando che avessi intuito la sua domanda per intero, ma non lo feci, e chiesi chiarimenti.
« Cosa?»domandai, allora vidi John in difficoltà. Aveva ricominciato a giocare con la cerniera, e si mordichiava il labbro inferiore, serio. Mentre fissava il vuoto.
« Siamo amici, adesso?» domandò, senza fermarsi da ciò che stava facendo un attimo fa.
Quella domanda mi fece sorridere, mi stavo lievemente affezionando a John, dovevo ammetterlo.
Gli tirai un pugno sulla spalla, amichevole.
« Certo che sì!»

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Capitolo 8
*** E ora? ***


capitolo 8, E ora?



Era mattina,mi alzai dal letto, e con mia grandissima sorpresa, trovai della posta nella cassetta delle lettere, dai miei genitori.
Corsi all’interno della casa, per non prendermi un malanno, ma soprattutto per vedere per quale motivo si fossero fatti vivi i miei.

Giselle complimenti, sei riuscita a resistere anche questo primo mese senza di noi. La cosa non ci sorprende, in ogni caso ecco a te un piccolo riguardo, sono circa Cinquecento Sterline, comprati qualcosa da vestire, esci con gli amici, Trovati un fidanzato. Confidiamo in te, non costringerci a chiuderti nuovamente in un colleggio educativo. Niente incendi, sia chiaro, e nemmeno ragazze!
Ti vogliamo bene; Il taghikistan è un luogo pieno di architetture magnifiche, ma ci manca il verde di Liverpool. A presto,
Mamma e Papà.


Tirai fuori lentamente le sterline che mi avevano spedito. Le gettai sul tavolo e mi sedetti a peso morto sulla sedia; Presi il volto tra le mani, ed iniziai a piangere.
Mi chiesi che senso avesse mai avuto addottare una figlia, per abbandonarla letteralmente a se stessa. Potevano lasciarmi a marcire in quel maledetto orfanotrofio, invece di allevarmi come una criminale!
Stracciai la lettera, presi un accendino tascabile e diedi fuoco a quel pezzo di carta. Le fiamme si contorcevano, risucchiano fino all’ultimo, minucolo briciolo di cellulosa. Il fuoco risplendeva trionfante nei miei occhi, sorrisi maliziosamente. Solo il fuoco mi sapeva realmente capire, era come me. Incazzato, ardeva bruciando chiunque disturbasse la sua processione di distruzione. Rimasi a fissarlo sino a quando non sparì del tutto, spegnendosi lentamente, senza lasciar danni troppo evidenti se non la cenere sul pavimento.
Non curante passai sopra al cumolo di cenere, pestandolo per bene, fatto ciò mi diressi in camera per prepararmi ad una nuova settimana di scuola.
Ma ci fu qualcosa che fermò il mio intento. Un’altra busta, che non aprivo da circa una settimana, per via del mittente: Caroline McKenzie.
Fissai la busta, quello era il mio passato, era chiaro. Non volevo rileggere le righe di un passato che avevo tentato di dimenticare, solo dimenticare.
Ma in quel momento, in quel momento di scarsa lucidità strappai la busta, e ne estrassi il contenuto.
Cara Giselle,
Saranno circa tre o quattro anni che non ci vediamo. Sai, sto raccogliendo quelle poche briciole di palle che mi sono rimaste – come dicevi sempre tu, per farmi coraggio, ricordi? – e ti sto scrivendo. Dopo circa tre anni, o quattro, ti penso ancora. Mi  crederesti? Sono una stupida, lo so che lo stai pensando. Lo sono, perché mi era stato ordinato di dimenticarti, e invece navighi ancora nella mia mente, da qualche tempo. Non chiederti come diavolo ho avuto il tuo indirizzo, è stato un vero inferno ritrovarti! Quindi se decidessi di ignorarmi – come credo tu stia facendo – non faresti altro che gettare mesi, e mesi, di bugie e rischi che ho corso, semplicemente per avere uno stupido indirizzo; Che poi, non so nemmeno se sia giusto o meno.
Resta il fatto che io sono ancora rinchiusa a Anfield, non ho ancora Dicotto anni, non posso muovermi, capisci?
Tu invece sei libera! Ti hanno graziata, distruggendo tutto ciò che avevamo costruito assieme in quegli anni passati assieme, ad immaginare la vita.Ricordi, il nostro primo bacio? Io come fosse ieri.
Ti hanno sempre detto che era sbagliato, vero? È per questo che mi hai cancellata dalle tue memorie?
 Ora tu la stai vivendo, ma io no. Non senza te. Ti imploro, Giselle, vienimi a trovare! Da Liverpool non saranno neanche tre ore di viaggio in macchina, quattro in treno. Mi sono informata. È pieno di motel, e alberghi poco costosi qui, e ad ottobre ci sarà il tuo Diciottesimo compleanno, potrai muoverti da dove sei. Ti imploro, ho bisogno di te, anche se per un solo giorno. Torna, ti prego. Voglio vederti, voglio almeno dirti addio, visto che l’ultima volta non ci sono nemmeno riuscita. Voglio dirti che ti amo, ma in prima persona, non attravesto stupide lettere che non leggerai nemmeno.
Ti prego Giselle, non ti dimenticare di me, sono solo un frammento della tua vita, è vero; Ma tu sei tutto. Tutto, ricordatelo.
 
Sinceramente,
Carol.”
Che cosa avevo fatto? Ora mai era troppo tardi, le lacrime sgorgavano da gli occhi senza che io lo volessi. E tutte le immagini di noi, tornarono vivide nella mia mentre. Ricordai i nostri tentativi di fuggire dal Collegio, ricordai gli sguardi, le sensazioni, il nostro primo bacio. Brividi scorrevano lungo tutta la mia schiena. Quella giornata qualcuno aveva deciso che io avrei dovuto soffrire come un cane abbandonato al suo destino, in una piovosa strada bagnata.
«Oh! Maledizione!» Sbottai in lacrime. Perché non c’era mai nessuno per me, quando mi sentivo così? Perché non aveevo amici pronti a consolarmi, quando ero giù? Ero sola! Dinuovo.
Mi accucciai a piangere per terra, sola, senza nessuno; Fottendomene della scuola.
Perché doveva succedere proprio a me?
Piansi, senza far altro. Piansi accucciata al pavimento, fino a quando non suonò ripetutamente il campanello di casa.
Mi alzai, nascondendo la lettera di Carol, ed asciugandomi le lacrime il più in fretta possibile.
Corsi ad aprire, ma prima mi assicurai un ultima volta di non essere completamente impresentabile.
« John…» sussurrai, sorpresa di trovarlo davanti ai miei occhi, con cartella ed armamentario scolastico compreso. « Ho marinato la scuola»  mi sorrise, come se non avesse fatto nulla di grave; « Visto che l’ho fatto da solo, e tu oggi non c’eri, mi son’ detto “perché non andare a rompergli un po’ le palle, col mio maschilismo?” ed eccomi qui!» continuò tutto sorridente. Probabilmente non aveva capito il mio stato. Tirai su col naso, cercando di farlo sembrare solo raffreddore, e lo feci accomodare. Non avevo proprio nulla da perdere!
La verità era che John, dal canto suo aveva sentito che c’era qualcosa che non andava – come mi disse più avanti – aveva sentito che stavo male, ed era venuto ad assicurarsi che io stessi bene. Ma questo è solo uno dei tanti fatti, che mi avrebbero confermato più avanti, che avevo trovato la mia “Altra Parte”.
Non preoccupatevi, se non capite nulla per ora, tutto si farà chiaro col proseguire della mia vita.
« Va tutto bene?» mi chiese, dopo essersi lanciato a peso morto sul mio divano, e dopo essersi acceso una sigaretta, con la sua solita non curanza. 
« Tutto normale, apparte la tua presenza!» feci del sarcasmo, giusto per evitare che s’insospettisse. Ma senza che volessi, me lo trovai alle spalle, poggiato al muro della cucina, a braccia incrociate, e con un espressione in volto del tipo “ Non mi inganni, ragazzaccio!”.
« Beh? Vuoi qualcosa? Ho un armadietto pieno di alcolici, se ti interessa!» dissi con voce lievemente spezzata. Ancora non riuscivo a controllarmi, così finsi di tossire, dando dinuovo la colpa al presunto rafferddore.
« Non sono gli alcolici che mi interessano!» disse. Era ancora li, fermo. Che diavolo!
Voleva davvero farmi innervosire! Io dovevo rispondere ad una lettera del mio primo amore, Caroline McKenzie, e lui s’era intromesso nella mia solitudine senza permesso.
Mi voltai ad iniziai ad armeggiare con i fornelli, nel vano tentativo di distrarmi dalla sua presenza e dai miei pensieri, ma fu allora che John mi scoprì.
Mi voltai, che stava leggendo la lettera di Carol.
« Ridammela!» gridai, rpima che fosse troppo tardi, strappandoglela dalle mani,  e strappano lievemente anchil foglio. Presi l’accendino,e la bruciaidavanti ai sui occhi, ma era troppo tardi. Aveva letto più della metà, ed aveva intuito tutto. Mi fissava, senza dir nulla.
« Che cazzo hai da fissare!» sbottai, ormai in lacrime. « Vattene!» gridai, piangendo, ma lui non si mosse.
Caddi sulla sedia di prima, e mi accucciai sul tavolo, piangendo. « Avevi ragione…» dissi tra un  singhiozzo e l’altro.
« No, non avevo ragione, Giselle! Alzati e fatti forza, non sono qui per insultarti, sono qui per ascoltarti!» disse, avvicinandosi, e sedendosi nella sedia accanto alla mia. Sentii la sua mano sulla mia schiena, che irregolare, si muoveva al ritmo dei miei singhiozzi sconnessi.
« Perché a me?» domandai flebilmente, sussurrando quasi. « Elle, sei un fottuto maschaccio! Reagisci, cazzo!» sbottò lui, allora. Ma non avrebbe funzionato, istigarmi. Rimasi accucciata.
« Alzati, cazzo! Oppure andrò a dire a tutti che sei innamorata persa del sottoscritto!» esclamò.
L’ultima esclamazione mi fece sorridere, poiché palesemente irrealizzabile. Mi asciugai le lacrime, e mi feci forza, alzandomi dalla mia posizione.
« Perché sei qui?» gli domandai, seria e ferma. Volevo saperlo, visto che fino a pochi giorni prima ci odiavamo a vicenda.
« Perché io ci tengo, alle persone che odio!» se n’era uscito con un’altra delle sue trovate filosofiche. Sorrisi, almeno riusciva a farmi tornare il buon umore!
«Perché non vai a trovare la tua “amica”, ti accompagno io, ho già fatto i dicotto anni, posso accompagnarti senza problemi, almeno senza che tu debba aspettare ottobre!» Disse, sorridendomi. Perché fino a l’altro ieri, avevo conosciuto solo lo stronzo, ipocrita, infame, insolente, odioso John, ed oggi si dimostrava, invece, afabile, disponibile e gentile?
« Che fine ha fatto lo stronzo che era in te?» domandai, sarcastica; John si mise a ridere.
« Ti ricordi quando ti ho chiesto scusa? Non scherzavo, voglio essere tuo amico. Ho cambiato idea! Ho pensato che saresi davvero perfetta come MiglioreAmicaDelCuorePersempreInsieme, insomma, tu mi capisci! Ok, sei fastidiosa, arrogante, Maschiaccio, ma mi sai tenere testa. Quindi ho deciso di diventare gentile!» Divertita dalla sua dichiarzione, gli tirai un pugno cheve sul spalla, dopo di che scoppiai a ridere.
«MiglioreAmicaDelCuorePersempreInsieme??» scoppiai a ridere, nuovamente. « Hey! Sono cose che dite voi ragazze! Tentavo di entrare nella parte!» esclamò in sua difesa, divertito. Gli sorrisi, finalmente avevo scoperto qualcosa di “Buono”. Finalmente non serviva più che m’inventassi offese originali! Almeno adesso eravamo amici!
« D’accordo, Migliore Amica! Si parte per Anfield!» esclamai io. la coa che mi aveva più sorpreso, era che John non aveva deto nulla, sul fatto apparente che io fosi Omosessuale. Anzi! Si era addiritura offero di portarmi da Carol! Certo che  a volte la vita era proprio inverosimile!
«Ah, Gigì?» mi richiamò all’attenzione. « Sì?» domandai, attendendo risposta.
«Davvero ami una ragazza?» domandò, completamente serio, e con lo sguardo fisso nei miei occhi.
Il mondo mi crollò addosso. E ora?



 

- a trip called Life -
HAHAHAHAHA a morte tutti voi! no dai, sono folle, ma non fino a questo punto. Vi amo, è dire poco! Vi amo tutte, tutte voi che sprecate attimi della vostra esistenza per recensirmi :3 un grande HEART a tutte voi <3 !
In ogni caso, capitolo-sconvolgimento. Che ne pensate? E ora?
In ogni caso, deve ancora arrivare la parte migliore, in cui John.... bla bla bla *NIENTE SPOILER, AIM SORRI!*
Ancora una volta, in ogni caso (LOL) e se iniziassi a scrivere un po', anche dal punto di vista di John?


Psycho Virgin.


 

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Capitolo 9
*** fatti non foste, a viver come bruti ***


9. Fatti non foste, a viver come bruti!

«Davvero ami una ragazza?» domandò, completamente serio, e con lo sguardo fisso nei miei occhi.

Il mondo mi crollò addosso. E ora?
John’s P.o.v.
Giselle era… era follemente in imbarazzo, il suo volto leggiadro si era arrossato, mettendo in risalto i grandi occhi viola[1] .
Volevo abbracciarla, dirle che era una stronza adorabile, volevo dirle che io la capivo, ma invece restai lì, fermo, a vederla piangere, ed ansimare imbarazzata.
«è… complicato John…» rispose alla mia domanda, sedendosi su di una sedia. Oh cristo! Avrei pagato oro, per sapere che cazzo passasse per la mente di quella donna incredibile, che mi aveva letteralmente rubato i pensieri, sin dal primo momento in cui ci avevo litigato.
Ma la realtà era che di Giselle, non c’era nulla che non mi attraesse.  Mi meravigliai di me stesso, per non aver ancora tentato di approcciare con lei diversamente dalle semplici pacche amichevoli, o insulti…un po’ meno amichevoli.
«Spiegami…come riesci, non ti preoccupare!» la invitai ad esprimersi. Chiaramente una tempesta di emozioni si scatenò nella sua mente.
« Ero così piccola, - Singhiozzò – rinchiusa in un istituto correttivo per ragazze, e… io…io ho fatto cose orribili, nel mio passato. Ed in più ero nei miei primi anni di adolescenza, gli ormoni che scoppiettavano e… e l’unica persona al mio fianco era Carol, così le mie prime esperienze …ecco…» tentò di spiegare, rossa in volto, ma si coprì quest’ultimo per l’imbarazzo.
« John!» sbottò tutt’un tratto; « ma farti i cazzi tuoi??» gridò, letteralmente imbarazzata, alzandosi di scatto dalla sedia, e dirigendosi verso il secondo piano di casa sua.
« Predo le mie cose, i soldi dei miei, e partiamo; adesso!» gridò poi. Dovetti ammettere che rimasi sconvolto. Non ero pronto a partire, ed in più mi infastidiva chiedere la macchina a Paul, visto che io non ne possedevo una mia. Figurarsi, con zia Mimi in casa,non avrei mai ottenuto nulla. Solamente una chitarra di seconda mano. Ma – zia Mimi a parte – la cosa che mi fece rimanere diù sconvolto fu come potesse essere lunatica, Giselle.
Restò il fatto che le immagini di Gigì che si scopava una ragazza, lampeggiavano vivide nella mia mente. Non sapevo se ero più deluso dal fatto che Gigì, la Mia Gigì, fosse Lesbica, o dal fatto che si fosse scopata una tizia. Rabbrividii, e non ne capii il motivo.
«Sei pronto?» spuntò all’improvviso con un valigione in quoio, dall’idea d’esser più pesante di un bue muschiato.
«No, che non sono pronto! Ma ti pare il modo? He cazzo Gigì!»sbottai io, caduto dal mondo parallelo, nella quale mi rifugiavo ogni tanto, per sfuggire alla realtà. I guardò in cagnesco.
«Come sarebbe a dire, NO? John, hai detto tu di volermi aiutare, perché ade…»   non aspettai che finisse di parlare, che le tappai la bocca con la mano destra, vedendola torcersi sotto la mia presa, bloccata tra di essa, ed il muro.
« Stà zitta per un solo, fottuto, secondo Gigì!» le ordinai, ed in quel momento finì di torcersi e lamentarsi.
« Adesso fai un respiro profondo, e ti calmi.» le ordinai con tono autoritario, senza mollare la presa. Vidi i suoi occhi, rattristarsi, e rimasi impietrito. Un cane bastonato, faceva meno tenerezza di quello sguardo, così pieno di tristezza e ricolmo di un passato talmente burrascoso, da potersi rendere inimmaginabile, alla mia mente.
Sospirai. « Stai meglio?» le domandai, ma fece una smorfia piuttosto contrariata dal fatto che le stessi ancora tappando la bocca, così mi diede un piccolo morso, e ritirai la mano dolorante.
«Hey Hannibal! Placa le tue voglie, che cazzo!» rise alla mia “battuta”, e mi fissò senza dir nulla.
«Mi…mi dispiace per prima, è solo che non sono abituata ad avere degli Psicologi, figuariamoci un Lennon-Psicologo, pronto ad aiutarmi! Andiamo John, sei fuori luogo!» disse ridendo, era tornata come prima, e mi sentivo meglio, dannatamente meglio. Ma c’era qualcosa, dentro di me, che non riusciva più ad accettare quella ragazza, per com’era realmente.
Non ero mai stato Omofobico, o roba simile, ma in ogni caso, ora sapevo che se prima avevo uno, di possibilità con lei, ora neanche uno zero bastava.
***
*La serata stessa*
Giselle’P.o.v.
Mi trovavo nuovamente al Cavern Club, assieme a John, Paul, George, Stu, Cyn e tutti quegli altri tizi di cui a mala pena ricordavo il nome. Non c’era che dire, quella era stata una delle più dure giornate da affrontare. Alla fine io, ed il mio amico da poco acquisito, John, eravamo arrivati alla conclusione di partire tutti quanti la Domenice, per restare nei dintorni di Anfield circa una settimana.
John sedeva in mezzo ai suoi amici, Cyn era sulle sue gambe, ed io ero in disparte, come la più stupida delle asociali. Odiavo quel posto, dovevo ammettere che ci venivo unicamente per vedere i ragazzi suonare. I ragazzi. Cero che era strano! Me ed “i ragazzi”.
In quel momento, parve che John – più brillo che mai – si fosse accorto della mia solitudine e, mollata Cynthia, si diresse verso di me.
Mi fece cenno di uscire per fumare, così lo seguii, incerta. Ero ancora lievemente…scossa per quella mattinata d’agonie.
«Che succede, stai male?» mi domandò lievemente brillo, in giardino c’era un gran verde, ed una puzza di erba e di fumo, inimmaginabile. In quel momento avrei davvero fumato volentieri, dell’erba.
Il giardino pullulava di persone, ma non erano poi così troppe, da infastidirmi.
«Sto bene, sto bene, perché?» domandai, abbassando la voce: ora non c’era più bisogno di urlare per via della musica.
«Aspetta, vieni!» mi disse, prendendomi per un braccio è, come se avesse capito quanto mi innervosissero le persone, mi portò nell’unico angolo del giardino, coperto e lontano da tutti.
«Mi sembravi un po’ giù…» disse fissando per terra, ed accendendosi una sigaretta.
Guartai verso il basso anche io; «sto..sto benissimo.» bisbigliai.
«No, non stai bene!» rispose, e detto ciò si avvicinò per abbracciarmi, e sconvolta accettai il suo abbraccio; Ma subito dopo si staccò. Mi fissava con lo sguardo perso di chi ha bevuto troppo e non ha le idee chiare. Si stava avvicinando frettolosamente, ed iniziai a sospettare, fino a quando non mi baciò, nel più imbarazzante dei modi.
Ero lesbica! Che cazzo! Lo aveva scoperto oggi stesso!
Lo scansai; «John sei ubriaco, ma che cazzo fai?» sbottai allontanandolo. «Giselle sei così… sei così arrapante! Capiscimi!» esclamò, come se il suo vecchio io spaccone, si forre riappropriato di lui.
«Che cosa dici? John io sono lesbica!» esclamai, ed in quel momento in cui lo feci, Cynthia – che era rimasta a vedere sin dall’inizio, nascosta – si voltò e se ne andò gridando a John di non farsi sentire mai più.
«John! Sei un fottuto idiota!» esclamai, sconvolta per l’accaduto. Non avevo MAI baciato un uomo, mai in vita mia!! Solo ragazze, e non mentivo! Non avevo mai assaporato l’altra sponda, perché mi sentivo in soggezione ed a disagio – da quello dedussi la mia omosessualità! – ero davvero sconvolta.
« come hai potuto baciarmi, John!?» esclamai in lacrime. Erano successe troppe cose quell’oggi. Tutte su di un colpo. Ed ora, ci mancava solo la dichiarazione del mio nuovo migliore amico ubriaco!
«Giselle! Giselle, aspetta cazzo!» esclamò, tentando di fermarmi. Mi prese per un braccio, ma non volli sentirne. Tirai uno strattone a John, liberandomi della sua presa.
«Sei una stronza! Ho fatto male, a fidarmi di te!» mi gridò, aiutandomi unicamente ad aumentare il flusso delle mie lacrime, rendendomi la vita unicamente peggiore.

 


[1] N.d.a. ho cambiato il colore dei suoi occhi per via del fatto che Giselle sia interpretata da Liz Taylor.



 
- a trip called life -
Ecco iil capitolo, in ritardo di tre giorni. Lo so, mi sento una merdina anche io.In ogni caso, l'esperimento "John's pov, è andato in fallimento totale. Infatti ho perso l'ispirazione, e ci ho messo un secolo a scrivere questo capitolo ( come vedete sono resistita a lungo con il "John's p.o.v.!") ed alla fine ne è uscita una merda. Non mi piace per niente, e chiedo umilmente scusa. Il prossimo sarà migliopre, promesso :(
Psycho Virgin.

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Capitolo 10
*** 10.Non cambierò certo per te, burbero tricheco insolente! ***


10. Non cambierò certo per te, burbero tricheco insolente!


Ecco. Era successo. Eravamo tornati come prima: ci odiavamo. Non avevamo resistito nemmeno una settimana, come amici seri. Neppure una fottuta settimana.
Avevo un dannato bisogno di sfogarmi, dovevo uccidere o picchiare qualuno, o  ancora meglio parlare, con qualcuno. Volevo uno psicologo, dannazione! Ne avevo avuti tanti – da quando avevo tentato di dare fuoco alla mia vercchia casa – di psicologi, nella mia vita; E li avevo odiati uno ad uno. Proprio ora, che ero – nuovamente – sola, imprecavo tutti i santi, per avere anche una pentola di fagioli, disposta ad ascoltarmi.
Presi la giacca, sbattei la porta alle mie spalle, e con passo anche troppo frettoloso, mi diressi verso casa McCartney.
C’ero stata una sola volta, quando Mimi – la zietta adorabile di John – aveva dato su tutte le furie, per il fatto che stessero armeggiando un po’ troppo, con gli strumenti di Satana (ergo Musica.), quindi i ragazzi avevano optato per passare da Paul, e finire lì, le prove.
Paul non era un migliore amico, certo. E ad essere sincera, George era più simpatico ed apprensivo – ma non sapevo dove diamine abitasse!, percui dovetti accontenatrmi di una spalla un po’ più incentrata sulla propria fascinosa bellezza, su cui piangere.
Bussai e suonai più volte, a stento trattenevo le lacrime. Il Martedì era una giornata orribile, ogni settimana. Ma quella settimana, era orribile… particolarmente. Tutta colpa di Lennon.
Eppure c’era qualcosa, nel modo in cui mi aveva baciata, che mi aveva lasciata perplessa.
“Perché sei lesbica, deficiente!” mi dissi tra me e me. Era già passato un giorno, dalla sera precedente. Quel martedì era stato indetto uno sciopero, il ciò implicava che non avrei visto John. Per fortuna.
«Paul, dannazione, apri!!!» gridai infervorita. Erano solo le nove di mattina, ma, cazzo! Ammeno chè quel Paul McCartney non fosse un maledetto bradipo, non avrei dovuto attendere troppo.
«Giselle…» Mi trovai un Paul piuttosto assonnato difronte. Aveva i segni sul volto di chi non dorme la notte. Probabilmente era andato a qualche festino, oppure avrei visto spuntare una qualche ragazza da un momento all’altro. Fatto stava che, ero ora mai in lacrime, sull’uscio di casa sua.
«Hey! Ma che ti è successo?? Entra, su!» mi incitò, nel vedermi piangere. Mi sentivo fottutamente a disagio, non avevo un gran rapporto con Paul, era solo il solito amicone del tuo migliore amico, che incontravi ogni tanto, e con la quale andavi dannatamente d’amore e d’accordo.
Ma la realtà era che, tolto ora mai John, non avevo più amici. Prima frequentavo la sua compagnia, senza problemi. Ora di problemi ne avrei avuti anche troppi.
Paul mi fece accomodare, e mi diede in fazzoletto per asciugarmi le lacrime. «Giselle…» mi richiamò con voce afabile e gentile, prendendomi il mento tra le mani. « Chi ti ha ridotta così?» mi domandò silenziosamente, quasi sottovoce. Quasi come ci conoscessimo da una vita.
«Un pezzo di merda! Un fottuto pezzo di merda!» sbottai io, stringendo i pugni e i denti. Sentivo la rabbia ribollire dentro al mio animo più profondo.
«Dai, su! Calmati un po’, e raccontami come mai sei così triste ed incazzata col mondo!» mi disse poco dopo avermi portato una tazza di caffè bollente. « Uno stronzo mi ha baciata, mi ha baciata rovinando l’amicizia che si era creata, ora sono sola Paul e non so che cazzo fare, per colpa di un dannato,maledetto imbecille!»  in quell’istante una porta sbatté dal piano superiore, e dei passi piuttosto affrettai rimbombarono per  la casa.
« Ciao Giselle!» entii una voce alle mie spalle. Ebbi per un istante il terrore di voltarmi, ma lo feci comunque. Con mia grande soresa vidi John, appoggiato ad uno stipite di legno color bronzo, della porta del cucinetto.
Deglutii. « Che cosa ci fai tu qui?» mi domandò poi, con tono fose troppo taglente. « Che cazzo vuoi John, vuoi baciarmi ancora? O ti ricordi meglio che a me piacciono le donne?» gli domandai, alzandomi in piedi, come simbolo di accusa. Paul sgranò gli occhi all’ultima mia frase.
« Si Paul, sono lesbica. E questo deficiente mi è venuto in bocca! Ha avuto le palle per baciarmi, dopo che gli avevo Chiaramente detto che ero lesbica!» eclamai indicando John, mentre mi rivolgevo con il resto del corpo a Paul. Quest’ultimo aveva creato una perfetta O con le labbra spalancate per lo stupore, ma non ci feci troppo caso: Paul non era il mio problema principale, in quel momento.
« Ma sentila, la stronzetta! Sei solo una buona  a nulla, depressa e confusa! Non sei lesbica, sei solo stupida!» ribatté John, alla mia accusa. « ORA BASTA,IO TI AMMAZZO!!» esclamacorrendo verso di lui con i pugni serrati, corsi talmente tanto velocemente che John non parve nemmeno avere il tempo per scappare, che lo colpii in pieno, sulla guancia.
« Se non sbaglio, non è la prima volta che ti fai picchiare da una donna, giusto?» domandai sorridendo soddisfatta, mentre John portava dolente, la mano alla parte del volto lesionata.
« Sei solo una stupida! Mi piacevi, mi piacevi fottutamente tanto, sai?  Sembravi essere perfetta, ma ti sei rivelata per quello che sei realmente: Una troia inutile che si finge lesbica, per sfuggire ai ragazzi!! La verità è che hai solo paura, stronza! Hai paura di amare, e di soffrire! Hai paura di sperimentare nuove sponde, le altre facce della medaglia! Ecco che cosa sei! Una vigliacca!» gridò con tutto il fiato che aveva in corpo. Iniziai a tremare per la tensione, dimenticandomi di Paul, per un po’.
« Bastardo! Che cazzo dici!? La realtà vera, è che tu non hai mai accettato il fatto di non piacermi! Sono stata solo una scommessa per te! Una fotuta scommessa  per cui combattere, e quando ti ho confidato la mia omosessualità non ci hai più visto e mi hai baciata!» griadi io a mia volta. John si alzò in piedi da terra –à ci era finito per colpa del mio pugno – srtingendo i denti, divaricando le narici e respirando malamente, enza un ritmo preciso. In uno splendido e perfetto ritratto della pura Rabbia che un essere umano potesse sprigionare.
« Sei tu che non hai mai avuto le palle per accettare il fatto che ti piacciano i ragazzi!» gridò tuionando per tutta la stanza. «IO NON  CAMBIERO’ CERTO PER TE, BURBERO TRICHECO INSOLENTE!» gridai lanciandogli un cuscino preso dal divano. Lo so, piuttosto patetico lanciare cusini, ma fu la prima cosa a capitarmi sotto braccio.
« Sei già cambiata per me, per questo tricheco insolente!! E sai per quale motivo sei cambiata? Perché ora non sei più tanto sicura, che ti piacciano le donne. Ho visto come mi hai guardato, dopo il bacio, ho visto come ti sia piaciuto, ed ho visto il terrore, dilatarsi nelle tue pupille. Non eri più sicura che ti avesse fatto schifo, e così hai reagito come una puttanella stronza e patetica!» esclamò lui. Questa volta rimasi a bocca aperta io.
Aveva ragione. C’era stato qualcosa, in quel bacio, che mi aveva quasi convinta follemente ad andare avanti, avevo quasi desiderato di fare l’amore con lui, da quanto bello era stato. E questo mi aveva sconvolta. Per una volta John aveva ragione. Aveva avuto ragione,ed ora non sapevo più che cosa avrei fatto.
Chi sono io?



____________________________________________________________________________________________________________

Salve popolo!! E' tanto che non aggiorno, lo so. Uccidetemi pure, impiccatemi, fate di me il vostro strumento di torture!
CHIEDO UMILMENTE PERDONOOOO

ho avuto seri problemi mentali di connessione, e poi ho avuto problemi con un caso di psiche malata maledetto bloco dello scrittore,
per cui eccomi quei, con questa merdina.

Abbiate pazienza, gente :'D


Psycho Virgin

 

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Capitolo 11
*** Troppi punti di vista! ***


11. Troppi punti di vista!
(il titolo è voluto, credetemi HAHAHA)



John’s P.o.v.:
 
Se ne era andata senza rispondere, era uscita dalla casa di Paul, sbattendosi la porta alle spalle, dopo aver chiesto scusa per il disturbo al Macca.
Il Macca; Paul.
Povero Paulie, gli avevo rovinato il martedì, lasciandolo in disparte a mangiarsi le unghie per l’imbarazzo della situazione che era venuta a crearsi tra me e Giselle.
Sentivo, in ogni caso  la rabbia risalire lungo la mia colonna vertebrale. Avrei potuto spaccare ogni cosa, anche del metallo, se l’avessi avuto sotto braccio.
Le mie mani tremavano, e sentivo tutti i muscoli talmente tesi, che qualcuno, a volte partiva per conto suo, procurandomi un fastidioso Tick nevrotico.
La rabbia che provavo era paragonabile ad una delle più grandi delusioni della mia vita. Ero stato respinto dalla ragazza dei miei sogni, così… come se nulla fosse! Per sole ed inutili, futili, maledette scuse!
Sospirai pesantemente e con rabbia, buttandomi sul divano, accanto a Paul.
«Johnny?» mi chiamò Paul con una flebile voce, intimorito dal fatto che potessi sputare fuoco da un momento all’altro. Mi voltai senza rispondere, avrei aspettato che continuasse lui.
« Come… come farai con Cyn?» 
«Cynthia, maledizione!!» esclamai tutt’un tratto, sbattendomi una mano sulla fronte, prepotentemente. Tutte a me, dovevano capitare??
Scivolai lentamente verso il pavimento, come un ameba o un qualche essere strano ed invertebrato. Sembrava che tutto il karma negativo del pianeta terra, cel’avesse con John Lennon in persona.
« Forse faresti bene a scusarti con lei, e dimenticarti di Giselle…. sai, è lesbica!» commentò Paul con un maledetto tono, piuttosto sarcastico e pungente. Però, tutto sommato, aveva ragione. La cosa più ragionevole da fare, sembrava proprio mettersela via con Giselle, e chiedere perdono a Cynthia, per come l’avevo trattata.
Apparte il fatto che Giselle era stato il tradimento più lieve ed insulso che avessi mai fatto a Cyn! D’altronde mentre stavo con Cynthia ero andato a letto con diverse ragazze, insomma Giselle era solamente un piccolo bacio senza nemmeno la lingua, dato da pseudo ubriaco, tra l’altro!!
Sbuffai, non riuscivo a venire a capo della situazione.
«Vado a fare un giro, Paul» dissi alzandomi dal divano, ed uscendo dalla porta.
(N.d.A.:poco scontati, signor Lennon, eh? | N.d.J.: Hey, taci, scrittrice in erba che non sei altro! Sei tu che dai vita ai miei pensieri, razza di deficiente! |N.d.A.: OK,OK, Lennon, fammi uno squillo quando ti sarà passato il ciclo mestruale! TSK!)       
 
 
Giselle’s P.o.v.:
 
Bussai più volte alla porta della casa di mia nonna (accanto alla mia), ormai non avevo più nessuno che mi potesse aiutare, e di certo non sarei rimasta da sola nell’enormità della mia casa odiosa e sola, che mi ricordava quei tanto bravi dei miei genitori adottivi, che mi avevano praticamente abbandonata a me stessa.
A proposito, non vi ho mai raccontato, di mia nonna!
Mia nonna, Samuelle (anche lei francese, come mia madre) era quella tipica signora comletamente, totalmente fuori dal comune con tutto! Lei era una maga, nel vero senso della parola!
Leggeva i tarocchi, prediceva il fututo, conosceva migliaia di rimedi ad ogni malattia, sapeva togliere e mandare il malocchio, e comunicare con fantasmi e spiriti dei morti.
Sapeva fare tutto! Fu grazie a lei che scoprii al cento per cento la mia omosessualità, ma ora non ne ero più sicura. Non era possibile che mia nonna si fosse sbagliata! Da quando aveva iniziato a studiare la Tradizione della Luna e quella del Sole[1] , non aveva mai sbagliato una predizione. Eppure c’era in ogni caso, la possibilità che questo avvenisse; O ero troppo tesa, ed i tarocchi avevano sballato il risultato degli arcani, oppure lo ero davvero [omosessuale], ma non del tutto. In pratica ora nulla mi era più così tanto certo.
«Giselle, che ci fai qui?» domandò mia nonna, nell’aprirmi la porta. Quella giornata già troppe persone mi avevano chieso “che cosa ci facessi li”; Per cui le dissi unicamente che ero venuta per farmi leggere i tarocchi. Mia nonna era una tipa sulla sessantina d’anni, dei grandi occhiali color prugna dalla forma ad ala di farfalla, proprio come quelli di Crudelia Damon; I capelli erano più o meno come qeuelli di Elizabeth Taylor verso la metà degli anni novanta[2], di un rosso acceso, e qualche punta viola. Non le si poteva negare certo il titolo di Artista Strampalata e sessantenne!
«Oh santo cielo, Giselle! Oh santo celo, piccina! Sono così contenta per te!»  esclamò tutt’un tratto, abbracciandomi, dopo avermi preparato il tea.
«Cosa? Nonna, ma… che ti prende?» le domandai io, piuttosto confusa da quelle strambe reazioni. «Oh, tesoro! Non hai bisogno di quei tarocchi, la tua altra parte sta per raggiungerti! Oh! Hai trovato la tua altra parte, alla tua così tenera età, poi!» esclamò pienamente commossa da qualcosa della quale non ero a conoscenza.
« Altra parte? Che significa, nonna??» le domandai io, piuttosto impaziente di scoprire che cosa avesse in testa quella vecchia pazza.
«L’altra parte è la prima cosa che si apprende quando si vuole seguire il cammino della Tradizione della Luna; Solo intendendo l’altra parte si comprende come come la conoscenza possa essere trasmessa attraverso il tempo
Iniziò con fare sacente e poetico, la Nonna. Mai, in vita mia, la’vevo vista così seriosa ed impegnata nello spiegarmi l’importanza di una cosa come l’Altra Parte.
« Noi siamo eterni, perché siamo manifestazioni di Dio[3], sai in alcune Reincarnazioni noi ci separiamo, proprio come i cristalli o le stelle , le cellule e le piante, anche le nostre anime si dividono. » mi disse, sedendosi sul divano, e sorseggiando un po’ di Green Tea che aveva appena preparato per me; «Noi facciamo parte di quella che gli Alchimisti chiamano Anima Mundi, cioè anima del mondo; e mentre la nostra anima si divide, contemporaneamente si Ritrova.
E  questo incrocio si chiama amore.  Allorché si scinde, l’anima origina sempre una parte maschile ed una femminile. A volte possono accadere errori di percorso, durante la definizione dei sessi delle parti. » disse sottolineando particolarmente quell’ultima frase, come per farmi comprendere che in un certo seno era stata riferita a quella parte della mia vita ion cui avevo fermamente creduto di essere Gay, in pratica fino a pochi minuti fa; «In pratica,» continuò il suo discorso a dir poco illuminante, per la mia psiche influenzabile; «… è quanto si afferma in alcune trascrizioni del Libro della Genesi: L’anima di Adamo si divise, ed Eva nacque dall’interno di lui.[4] Ma credo di essermi dilungata anche troppo, mia cara; Ho previsto molte gioie per questa giornata, ed ora fa solo quello che ti scriverò in questa lista, poi scappa a casa, e segui ciò che ti ho scritto!! »         
Disse prendendo distrattamente un foglio ed una penna con una piuma di gabbiano molto lunga, che intinse nel calamaio a China, ed iniziò ad armeggiare velocemente sul foglio.
«Ecco a te, cara. Ora corri a casa, veloce! Non  perderi in nulla di superfluo e  segui ciò che ti ho scritto, fallo!!» esclamò buttandomi letteralmente fuori della porta di casa.
Tentai di capire per quale motivo proprio ora, mia nonna mi avesse parlato dell’altra parte, o Anima Mundi, a dir si voglia;
Intendeva per caso che la mia parte d’anima che si era divisa alla mia precedente morte, per tornare nella mia successiva vita, si sarebbe presentata di lì a poco??
In ogni caso decisi che ci avrei ragionato su, ma più tardi.
Ora – con tutta la fretta che mi aveva messo mia nonna – dovevo sbrigarmi ad arrivare a casa, a neanche un isolato da li.
Una volta arrivata chiusi la casa alle mie spalle ed iniziai a leggere la lista delle cose assure che mia nonna aveva scritto.
Aprii il foglio, e nel leggere rimasi del tutto sconvolta. Che cosa le era passato, per la testa, adesso?
1-     Fatti la doccia, cara!
2-    Depilati bene dappertutto, fallo! In ogni singola parte del tuo corpo peloso!
3-    Lavati i denti, per Diana!
4-    Scegli il miglior intimo che possiedi, voglio che tu ti senta Sexy, capito?
5-    Profumati, coco chanel ti sarà d’iuto, se ti interessa!
6-    Truccati per bene!
7-    E vestiti normalmente, come ti eri vestita poco prima di fare tutto quello che ti ho chiesto di fare nella lista
8-    Buona fortuna, cara!

Ecco la lista che mia nonna aveva scritto frettolosamente. Rimasi a bocca aperta; sembrava che dovessi prepararmi ad andare a servire un cliente, come prostituta o Escort!
In ogni caso la mia fiducia, verso Nonna Sam, ammontava al cento per cento. Confidavo in lei, pienamente, così decisi di darle ascolto fino in fondo.
 
John’s P.o.v.:
 
 
 Ero lì che giravo, e rigiravo nel piccolo giardino che c’era accanto alla casa di Paul – non mi ero spinto troppo oltre –, giusto il tempo di fumarmi una sigaretta, un tempo che mi era stato abbastanza utile per riflettere su molte cose. La realtà era che stavo crescendo, non ero più il ragazzino Johnny Boy, che si divertiva a scoparsi tutte le ragazze di Liverpool, e si ubriacava e fumava marijuana dalla mattina alla sera! Stavo diventando un uomo. Un uomo che si trovava ad affrontare il suo primo vero amore non corrisposto.
Di amori ne avevo avuti tanti, compresa Cynthia.
Ma, il fatto è che gli amori – bene o male – prima o poi finiscono del tutto, lasciando uno spazio vuoto , pronto ad essere colmato dalla prossima anima che sarai disposto ad amare.
Un’altra realtà cruda era che nella vita esisteva un solo, vero, amore. Tutti gli alrti erano unicamente domande in cerca di risposta, dubbi che ci portavano, e che ci hanno sepre portati a chiederci se sia davvero quell’ipotetica lei, o quell’ipotetio lui, la nostra anima gemella. E le proviamo, tutte, a costo di ferirci ed auto lesionarci, sino a quando non arriva lei:la certezza.
Quella certezza che ti conferma che tutte le prove che avevi fatto precedentemente erano solo futili cazzate, e che è lei, quella giusta, la certezza intendo.
Per me Giselle era la certezza.
O era Cynthia?
Mi sopresi per un attimo, di quanto la mia mente potesse essere filosofica, ero degno delle menti geniali di Nice, o Platone, che diamine! Scossi la testa, non dovevo perdermi in futili pensieri che non riguardassero come risolvere la situazione!
L’unica soluzione, in quel momento, mi parve unicamente, andare a trovare Giselle, e chiederle scusa.
Non ero più incazzato per il pugno, o per gli insulti. L’avevo trattata malamente, e non avevo (più) intenzione di prendermela nuovamente con lei.La rabbia era passata, ora volevo solo scusarmi, e riavere quell’unico pezzo di Giselle che mi spettava di diritto: Se non potevo avere il suo cuore, la sua mente, avrei avuto almeno la sua amicizia e la sua presenza, nella mia vita.
 
Giselle’s P.o.v.:
 
  Avevo fatto tutto ciò che mi aveva chiesto mia nonna, senza essere mai abbandonata da quell’incertezza e quello strambo presentimento, che stesse per accadere qualcosa di––
Come preceduta da qualche forza divina superiroe, il campanello di casa suonò tre volte, precedendo i miei pensieri. Fuori aveva cominciato a piovere a dirotto, ed il cielo si era oscurato sino a diventare di un bruno grigiastro. Addirittura si poteva udire quaalche tuono, e vedere qualche lampo.
Mi diressi ad aprire la porta, e per la trecentesima volta in quella giornata, rimasi biasita.
Era John.

 


2 Se avete mai letto il libro “Brida” di Paulo Coelho, esistono due tipi di magia: la tradizione del sole, che agisce attraverso le forze invisibili (quelle che muovono i tarocchi, quelle che non possono essere spiegate con la scienza); e quella della luna, una magia molto simile all’alchimia, in pratica si compiono magie ordinando – per esempio – a degli atomi di dividersi creando delle bombe.Funziona più o meno così, so di per certo, però che queste Tradizioni esistano davvero. Paulo Coelho stesso ha studiato la Tradizione della Luna.
In ogni caso ci saranno sempre i piccoli riferimienti ai suoi scritti, nelle mie storie. Lui è il mio scrittore preferito *-*
3So che la storia è ambientata negli anni fine Cinquanta, inizio sessanta, ma Giselle narra al passato. Non possiamo certo sapere da che presente ci sta raccontando la storia! Quindi tecnicamente, volendo, lei può anche aver avuto il tempo di vedere i capelli di Liz Taylor, negli anni novanta! :D
 
[3]Adesso, io non so chi di voi creda in Dio, e chi di voi sia ateo, o di diversa religione. Spero comunque di non offendere nessuno di voi, ho riportato all’incirca le parole del libro di Coelho, tutto qui. E poi ogniuno di noi può interpretare la parola “Dio” in modo diverso, anche semplicemente intendendo un’entità superiore sconosciuta che ha dato vita al tutto e al nulla :)
[4]Tratto alla meno peggio, con qualche mia piccola aggiunzione, dal libro di Paulo Coelho, in cui spiegava testualmente che cosa fosse l’Altra parte, di cui vi avevo accennato l’esistenza, qualche capitolo fa, ricordate?



N.D.A.

HEEEYYY POPOLOOO!! ho aggiornato in tempo da record, per farmi perdonare :D quindi fatemi sapere che ne pensate, eh!!
In ogni caso avevo una piccola curiosità da chiedervi, anzi è più che altro un favore:
Chi di voi ha seguito la storia fino ad adesso, potrebbe scrivere un "Hey, sono arrivata anche io, fino a questo punto" tra le recensioni?
Giusto per farmi un idea di quanti squilibrati ci siano, disposti a leggere le mie boiate 

:D
ma io vi Lovvo lo stesso HAHAHA

Peace&Love
Psycho Virin :D

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Capitolo 12
*** Apri Giselle! Apri John! ***


Apri Giselle!
Apri John!

Note Dell'Autrice in erba:
non so davvero che dire.
Avete atteso anche troppo.
Tutta colpa del mio blocco dello scrittore.
Vi giuro che davvero,
non avevo idea di come andare avanti,
ogni volta che aprivo word,
mi morivano le parole sulla tastirea.
Ci ho messo un sacco a scrivere questo capitolo,
e non mi piace nemmeno,
quindi farà schifo anche a voi.
Perdonatemi, colpa mia.

__________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

«Che cazzo ci sei venuto a fare, qui??» domandai sbattendo la porta per chiudergliela in faccia, ma venni fermata dal suo piede, che si era intromesso tra la porta e lo stipite, impedendone la chiusura completa.
«Mimì mi ha sbattuto di casa, e sono qui per chiederti aiuto…» si inventò al momento. Mi fece andare su tutte le furie! Dopo quello che era successo, si permetteva anche di venire a bussare alla mia porta, chiedendomi aiuto??
«Vaffanculo John, seriamente!» dissi sbattendogli la porta in faccia definitivamente. Poggiai la schiena alla porta, fissando un punto dannatamente indeterminato di casa. La realtà era che non riuscivo più a vedere nulla, se non John fuori dalla porta di casa mia, bagnato fradicio, e senza una temporanea dimora.
Al diavolo!
Stavo provando…compassione??
Compassione per quel pezzo di merda? Forse mi rodeva il fatto che mi avesse sputato la realtà dei fatti riguardanti la mia futile vita in quel barbarico modo, davanti a Paul, tra l’altro. Mi aveva presa in giro, ma aveva detto la verità.
« Sei già cambiata per me!! E sai per quale motivo sei cambiata? Perché ora non sei più tanto sicura, che ti piacciano le donne. Ho visto come mi hai guardato, dopo il bacio, ho visto come ti sia piaciuto, ed ho visto il terrore, dilatarsi nelle tue pupille. Non eri più sicura che ti avesse fatto schifo, e così hai reagito come una puttanella stronza e patetica!»
Le sue parole rimbombarono nella mia mente, e come lame taglienti sfondarono le mie membra riducendomi ad un pezzo di carta straccia.
Il campanello suonò nuovamente, tre, quattro, dieci volte. Era ancora fuori che mi aspettava.
«Giselle! So che mi stai ascoltando!» gridò tutt’untratto. Chiusi gli occhi e feci scivolare la schiena fino a sedermi a terra, tenendomi la testa per paura che potesse scoppiare da un momento all’altro per il troppo stress accumulato.
«Giselle resterò qui fuori a costo di beccarmi la peste, finché non aprirai per parlare con me!» gridò nuovamente. Le lacrime iniziarono a scendere copiose da gli occhi, iniziai a respirare malamente e non ne capii il motivo.
Lui non era mai stato nulla di importante per me.
Ed invece stavo per avere uno dei miei attacchi di panico,per colpa sua. Per colpa mia, a dire il vero.
« Giselle, io ho pensato a come mi sono comportato, ed ho anche tratto la conclusione che, se non portò mai averti, perché le tue convinzioni te lo impediscono, almeno avrò quella tua parte di cuore che mi appartiene: la tua amicizia. Io sono disposto ad accettarti, per quello che sei, anche se sei Lesbica, ma tu Sei disposta a perdonarmi?» gridò in fine, suonando il campanello nuovamente. «Apri Giselle, ti prego! Apri, ho rotto con la mia ragazza per stare con te! Aprimi cazzo! Mi merito una chance! Apri!» e fu allora che crollai completamente ai miei istinti e alle mie debolezze. Respirai profondamente ed aprii la porta, dopo essermi accertata che non ci fossero segni della mia crisi di panico avuta un secondo prima.
«Gigì…mi hai aperto» mi guardò sconvolto, gli occhi spalancati e rossi, i capelli fradici attaccati al volto, e dei vestiti a dir poco trasparenti per  via della troppa pioggia. Deglutii, non volevo ancora avere nulla a che fare con lui, ma non potevo lasciare un essere umano in quelle condizioni, ad aspettare una stronza, fuori dalla porta della sua casa!
Non ebbi tuttavia il coraggio di guardarlo in faccia. «Non ti ho perdonato, e non ho nemmeno intenzione di perdonarti. Siamo solo in tregua John, non illuderti. Tu hai bisogno di una casa dove dormire, ed io ti accontento, in cambio fa finta che io non esista.»  un ondata di vento gelato riempì il vuoto del silenzio provocato da quella fredda affermazione.
John non sapeva che cosa dire.
«Quella è la stanza degli ospiti, e questo è il bagno. Fatti una doccia, fa come fossi a casa tua, alle sette e mezza si mangia, per il resto sono cazzi tuoi se vuoi uscire di sera a sballarti e a provarci con mezza Liverpool, basta che torni entro l’una e non svegli chi sta dormendo.» conclusi le direttive chiudendomi nella mia camera.
 
John’s p.o.v.:
 
 Restai biasito da come si stesse comportando. Era davvero una stronza a tutti gli effetti, ma non avrei MAI rinunciato a lei. Ne andava del mio fottuto orgoglio, ne andava del mio fottuto cuore di adolescente stressato.
Per la prima volta in vita mia mi sentivo deluso. Dovevo ammettere che nel mio filmino mentale del mio piano per appacificarmi, alla fine finivamo a letto assieme.
Dannazione! Il John ragazzino e (ammettiamolo) puttaniere (ma non troppo, con….Incoerenza!) si stava nuovamente impossessando del John maturo, e pronto a mettersi del tutto in gioco, per conquistare qualcosa che non sarà mai suo.
Perché Giselle era così, sapete; Era uno spirito libero lei. Un’artista che non aveva mai ammesso di esserlo, una grande donna che racchiudeva troppe insidie all’interno di se, una donna con talmente tanta insicurezza da autoconvincersi di cose inverosimili. Giselle era fatta di acciaio e polvere di stelle. Sarebbe bastato distruggere lo scudo di acciaio, per accedere alla polvere di stelle. Tuttavia la mia camera – quella degli ospiti – era accanto alla sua. Mi tolsi la maglietta fradica, ed anche i pantaloni, restando unicamente in boxer, non ancora del tutto fradici. In quel momento un’idea geniale bussò alle porte del mio cervello. Avrei fatto impazzire Giselle, rompendole le palle allo sfinimento, finchè non avesse deciso di rivolgermi nuovamente la parola e poi-
«DANNAZIONE JOHN!» gridai sperando di non essere sentito. Me la presi nuovamente con me stesso. Possibile che non riuscissi a calibrare le mie due personalità nel modo giusto?
Restò il fatto che rompere le palle – cosa che mi veniva benissimo – a Giselle, mi sembrò il modo più cauto per reinstaurare un rapporto di amicizia con lei. Volevo riaverla, ed avrei fatto l’impossibile.
 
Giselle’s p.o.v.:
 
Dopo aver sbattuto per bene la porta di camera mia, alle mie spalle, rimasi a riflettere per un secondo.
John aveva Paul, George e Stu. Perché non era andato a casa di uno di loro? Perché era venuto a chiedere aiuto proprio a me? E per quale losco motivo, Mimi era stata spinta a cacciarlo di casa?
Per un attimo pensai a John furente che sbatteva porte ed infissi, con Mimi al seguito disperata ed incazzata, per colpa alla fine di tutto, mia.
Scossi la testa. Se John aveva deciso di reagire in quel modo, non sarebbe stata certo colpa mia!
Eppure c’era ancora qualcosa, quella fastidiosa vocina, diciamo, che voleva a tutti i costi dare una Chance a John, ma c’era un’altra vocina dentro di me, una vocina che voleva vendicarsi ed aspettare che si scusasse in modo sincero al cento per cento con me.
In quel preciso – dannato – istante John bussò alla porta di camera mia, due volte precise. Sospirai.
«Ti avevo detto di dimenticarmi della mia esistenza!» gridai senza dare alcun permesso, alle sue gambe di procedere l’operazione “entrare furtivamente nella camera di Giselle Smith, mezzo nudo”. Eppure avevano proceduto senza intoppi.
«Hem Gigì, dov’era il bagno?» mi domandò, con un mezzo sorrisetto, come a voler dire “tel’ho fatta! Sono entrato!” .
Era in uno stato quasi ignudo, difronte ad una ragazza Lesbica e dichiarata. Non dovevo avere problemi, allora, nel vedere un corpo maschile davanti a me. Un corpo coperto solo al basso ventre.
Il torace di John si muovema su e giù, deglutii.
La sua pelle pareva pallida e liscia, deglutii a fatica.
Stavo andando troppo in basso con lo sguado, deglutii finendo col soffocarmi.
«Infondo a destra John, infondo a destra maledizione a te!!» sbottai tra un colpo di tosse e l’altro. «A destra dove?» domandò mantenendo la sua sgradevole permanenza nella MIA stanza personale. « A destra John! A Destra! Quale Destra vuoi che sia?!» sbottai nuovamente, più irritata che mai. Mi stava istigando, stavamo tornando ai principi con la quale era iniziato tutto. « Si ma…alla mia o alla tua destra?» domandò sorridendo maliziosamente sotto i baffi – che non aveva – chiusi gli occhi per un attimo.
Non è vero.
Pensai.
Non me lo ha chiesto davvero.
Ringhiai nella mia mente.
«alla mia fottuta Destra John!! Cazzo, possibile che tu sia…» iniziai a rallentare con le offese, si stava avvicinando sempre di più, fino ad arrivare difronte a me. Mi alzai in piedi per pareggiare la differenza di altezza che si creava tra una persona seduta, ed una  in piedi.
«Non riesco a vedere nessun bagno» sussurrò sorridendo con malizia perversa; Si avvicinò al mio orecchio e sussurrò ancor più flebilmente  «Che ne dici di accompagnarmi, Gigì?» .
Deglutii.
Il silenzio mi perforò l’anima, il cuore batteva troppo velocemente, ed una strana sensazione di eccitamento stava salendo a vampate lungo il mio corpo.
Che stava succedendo?
La sua voce roca e bassa mi stava facendo eccitare, o era di più il pensiero di dover essere sola con lui in un bagno (alla mia fottutissima destra), aspettando che facesse i suoi maledetti comodi?
«Neanche per sogno, tricheco del cazzo!» sbottai senza smuovermi dalla mia posizione.
«Molto bene, vado in bagno allora!» esclamò uscendo, e dirigendisi verso la toilette con estrema precisione, come se avesse sempre sputo dove si trovasse.
Sentti la rabbia ed il nervosismo ribollire dentro di me, corsi verso il bagno a passi lunghi e ben distesi, sbattei i piedi il più possibile, per farmi sentire da John, chiuso a chiave nel mio bagno.
«Sei proprio uno stronzo!» gridai maneggiando la maniglia del bagno piuttosto incazzata, nel vano tentativo di aprire.
«Anche io ti voglio bene, Gigì!» lo sentii rispondere dall’interno del bagno. «Apri, bestia che non sei altro, Apri!!» gridai strattonando ancor più prepotentemente la maniglia del bagno.
«E perché mai dovrei aprirti?Muori dalla voglia di vedermi nudo, vero?» domandò mentre apriva il getto d’acqua della doccia. «No imbecille! Voglio entrare per prenderti a calci nel sedere!Aprimi!» sbottai tirando un pugno alla porta. «Apri John! Io ti uccido!!» Gridai con tutte le mie forze. Non capivo nemmeno io perché mi stessi incazzando in quella maniera.
Allora la porta si aprì. Non capii perché avesse aperto la porta, ma il suo sguardo era serio e maturo.
Non ci feci caso ed entrai di fretta chiudendo il getto d’acqua violentemente. Fu allora che sentii la pora chiudersi alle mie spalle, ed il rumore di una serratura che veniva bloccata. «Che diavolo credi di fare!!??» Gridai rossa dalla rabbia e dall’imbarazzo. John sorrise gentilmente, e si mise la chiave all’interno dell’unico indumento che possedeva ancora: i boxer.
Imballidii nel vedere ciò che stava succedendo. «O ti siedi e mi ascolti, parliamo e chiariamo questa cazzo di situazione, o mi darai il più bello spettacolo del mondo, prendendo quelle chiavi dalle mie mutande!» esclamò sedendosi su di uno sgabello.

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Capitolo 13
*** Stand by me, please! ***


 
Mi chiamo Giselle Smith, ed ho diciassette anni. Lesbica per scelta, confusa per destino. Sono per metà francese, l’altra metà britannica; Mi piace vestirmi da ragazzo, ogni tanto, ed amo l’arte in tutte le sue forme.
Un bel giorno, cambiando scuola, ho incontrato lui, il mio peggior incubo: John Winson Lennon;
Un ragazzo davvero strano, cinico, ironico, stronzo ma dal cuore grande. L’ho odiato, per un po’. L’ho “amato” per un po’, ed ora sono tornata ai principi.
Lo odio. Lo odio. Lo Odio. Lo odio con tutta me stessa. Lo odio da morire.
E ora… ora sono qui, nella MIA casa, chiusa a chiave nel MIO bagno, in presenza di un John Lennon coperto solo da dei Boxer.
Questa è la mia storia, e sono nei guai. Guai seri, perché lui non mi vuole far uscire, ed ha nascosto le chiavi del bagno all’interno dei suoi…ecco… boxer.
Mi ha detto che devo prenderle da sola se voglio uscire, altrimenti starmene li ad ascoltare ciò che ha da dire.
Il mio orgolio pervade sul mio buon senso però.

Sono fatta così.

___________________________________________________________________________________________________________

Mi avvicinai a John, fissandolo  intensamente negli occhi.
«Dammi le chiavi!» gli ordinai freddamente, e con tono deciso. Si mise a ridacchiare sadicamente. «Nemmeno per sogno, Gigì! Dovrai sederti, ed ascoltarmi! Altrimenti Johnny Jr. è pronto ad accogliere le tue delicate manine!» esclamò sornione. Maledizione a me! La situazione si stava facendo davvero assurda! Dovevo riavere quelle chiavi, dovevo uscire.
«John! Cazzo John! Cazzo sei un fottuto bastardo! Ridammi le chiavi, non sono pronta per prenderle da sola, che schifo!» gridai fissando per un attimo i bianchi ed alti calzoni del tipetto dal caratterino difficile. «Sei la prima ragazza che si lamenta di Johhny Jr.! Coraggio Gigì, non ti costa nulla accettare ciò che ho da dirti, siediti e dammi pace un secondo!»
Srtinsi i pugni, serrai la mascella. Non lo avrei MAI e poi MAI fatto. Non gli avrei dato ascolto, ne andava del mio fottuto orgolio!!
Presi a correrre – per quanto potessi farlo in un bagno di pochi metri quadri – verso la porta, e diedi una spallata a quest’ultima in vero stile Rugbista, ma non ottenni altro se non un gran ematoma viola in qualche parte remota della spalla.
Trai un gran sospiro, mi stavo arrendendo. Mi trascinai stremata verso la vasca da bagno e mi sedetti su di essa. Non ebbi il coraggio di guardare John in faccia: non volevo veder galleggiare la vittoria nei suoi piccoli occhi marroni. Non volevo!
«Hai vinto. Parlami»
Non osai guardarlo. Sentii dei passi verso di me, si era inginocchiato per potermi guardare negli occhi; Con due dita che poggiò sul mento mi alzò il volto, e mi costrinse a guardarlo.
«Io voglio solo dirti, Giselle Smith, che io credo… io credo di amarti. Non ho mai provato nulla di così assurdo, nemmeno per Cyn. Mi piaci, non so se sia amore o altro, ma stà pur certa che qualcosa c’è.» mi disse serio. Mi disse guardandomi dritto in faccia, e si sa bene che non si mente mai, quando due occhi si scontrano in un dialogo. Non stava mentendo, il suo linguaggio del cormo mi stava comunicando che tutto quello che stava accadendo era in verità reale.
Mi paralizzai spalancando la bocca per lo stupore. Non fece null’altro. Si alzò, si girò, levò le chievi da….lì, ed aprì la porta.
Uscì e si chiuse nella sua stanza. Tutto questo mentre io, come una cogliona, me ne stavo paralizzata all’interno del bagno.
Mi aveva detto che mi amava!
 La pancia mominciò a scombussolarsi, strane sensazioni pervasero il mio corpo, non respiravo più correttamente, ma affannatamente. Mi portai una mano al cuore, e sentii come battesse supersonicamente. Ero terrorizzata, il terrore si era impossessato di me. Che cosa avrei fatto ora? E se io non avessi provato lo stesso? Insomma non ero più neanche certa del mio vero orientamento sessuale! E se non fossi stata prontam per un argomento del genere? Che cosa gli avrei detto l’indomani, e dopodomani, e dopodomani ancora? Come lo avrei guardato da quel momento in poi?
Diamine! Lo aveva fatto a posta! Sapeva quanto mi sarei sentita a disagio, sapeva che rischiava di rovinare la nostra amicizia – anche se avevamo litigato

Mi alzai, mi tremavano le gampe; deglutii. Mi aveva detto che mi amava.
John Lennon era innamorato di me, e ci nconoscevamo neanche da sei mesi! Non era possibile, pensai.
Mi stava prendendo in giro, si stava semplicemente prendendo gioco di me.
Ed io non gliel’avrei fatta passare liscia. Mi diressi verso la sua stanza, ovvero la stanza degli ospiti, che con mia grande sorpresa trovai apreta.
Come se non bastasse avevo gli occhi ricolmi di lacrime, senza alcun apparente motivo. Mi sentivo tradita, oppressa, presa in giro. Tremavo, e non sapevo se ero pronta per entrare in quella stanza, per litigare nuovamente.
“andiamo Giselle, fagliela vedere! Non può vincere così! Non può lasciarti con quest’incognita! Apri quella porta!” mi auto incitai, così colsi l’attimo sfuggente, prima che potesse svanire facendomi tornare nella mia camera a paranoicizzarmi su come mi sarei dovuta comportare con lui da quel momento in avanti; così aprii quella porta ed entrai drasticamente nel momento in cui si stava infilando dei pantaloni neri. Mi fissò per un istante, aveva capito come fossi infuriata, ma non ne capiva il motivo.
«lo so che lo hai fatto a posta! Sei un bastardo doppiogiochista!» gridai con voce rotta dall’emozione e dal – ammettiamolo – pianto nervoso. Volevo che rispondesse, ma non lo fece. Se ne stava li, zitto a fissarmi serio.
«Si può sapere perché diavolo non rispondi??» sbraitai ansimando lievemente, stavo avendo un attacco di panico? Proprio li, davanti a lui? Non era possibile, c’era qualcos’altro sotto. Non era quell’ansia da panico. Era un’ansia differente. «Perché Gigì?» domandò fissandomi, dopo svariati minuti di silenzio; «Perché devi rovinare tutto così? Perché cerchi solo pretesti per litigare? Anche quando sono serio, Giselle, perché??» mi domandò senza muoversi di un millimetro. Non potevo crederci. Ora mi odiava!
«Non sono io quella che va a caccia di pretesti, sei tu che provochi!! Perché mi hai mentito su di una cosa importante tanto quanto l’amore? RISPONDI!!» Gridai indicandolo, ormai in lacrime. Non riuscivo a controllare le emozioni, ed neppure il mio respiro irregolare. «Possibile che tu non capisca? Non ti ho mentito, diamine! Vieni qui a litigare, solo perché non sai che altro fare, non sapevi come comportarti con me, così hai deciso di venire ad urlarmi contro, o sbaglio?» mi domandò sedendosi sul letto. Deglutii: aveva capito tutto. Ciò che diceva era reale, era la realtà che avevo nascosto a me stessa. Perché mi era così difficile ammettere di aver sbagliato?
«Ti sbagli di grosso, lo sapevi che mi avresti creato una situazione di panico, ecco perché hai finto di dichiararti! Non provi nulla per me! E poi sono LESBICA!» esclamai moderando la mia voce tremolante, quanto cazzo mi faceva innervosire quel tipo!!
«Giselle.» mi chiamò, mi ammutolii per un istante, col fiato proteso, per scopire che aveva da dire. Ma con mia gran sorpresa si alzò, e si avvicinò a me. Il cuore iniziò a battere più fortemente, disstolsi gli occhi dalla sua figura,ed incorciai le braccia al petto, come segno di difesa contro di lui.
Si avvicinò ancora di più; indietreggiai ancora di più, sino a cadere nuovamente nel suo tranello: andai a sbattere con le spalle contro il muro, bloccata tra di esso e John. Per l’ennesima volta, dannazione a me!
Mi passò lentamente il dorso della mano sulla guancvia, guardandomi con occhi tristi
«Perché vuoi negare a te stessa la possibilità che qualcuno sia disposto ad amarti?» mi domandò tutt’untratto, spezzando il silenzio. Restai di stucco (N.d.A. è un barbatrucco! LOL ) per ciò che aveva detto. Non ci avevo mai pensato seriamente; Al fatto che fossi io la causa di ogni problema, io e la mia mancante autostima.
Diamine! Quel rafgazzo aveva la magnetica capacità di scannerizzarmi l’anima! Riusciva a cogliere ed intuire ogni mia essenza, ogni mio pensiero.
Pensai per un attimo all’altra parte. Se era vero, ciò che diceva la Nonna, allora…allora era lui, john, l’altra parte di Giselle Smith?
Abrii la bocca, volevo ribattere, ma le parole mi morirono sulle labbra. Aveva ragione, non sapevo più che dire.
Sopirai arrendevolmente e tristemente. Non stava mentendo. Non certamente, almeno.
Ed io, io ero la persona meno adatta di questo pianeta, ad affrontare questo genere di dichiarazioni.
Alzai per un attimo lo sguardo, e notai un gran sorriso comprensivo sulle sue labbra. «vedo che ci sei arrivata da sola, non c’è bisogno che io continui. Non servo più, ora.»sse allontanandosi e prendendo le sue coe. Si vestì velocemente, e ficcò tutte le sue cose nello zaino, mentre io lo fissavo in silenzo, lo guardavo andarsene via di li. Via da quella stanza, via dalla mia casa, via dalla mia vita.
«dove…dove stai andando?» gli domandai con un filo di voce. «me ne torno da Mimi» mentì. Non sapevo che stesse mentendo, in realtà. Ma lo potei capire col tempo.
«Resta ancora un po’…» sussurrai guardando il pavimento, tristemente. Non ero certa mi avesse sentita, non lo stavo guardando. Non potevo decifrare i suoi movimenti, fissando il nulla.
«come hai detto?» mi domandò perplesso. Alzai lo sguardo e lo fissai dritto negli occhi.
«Resta. Ti prego.»

___________________________________________________________________________________________________________

Angolo autrice!!

SALVE DANNAZIONE! da quanto non aggiorno? secoli! lo so. Ancora una volta non sono stata in grado di rispettare i tempi.
Maledetta me, cazzo! 
Per l'ennesima volta vi chiedo perdono, e
chiedo anche scusa per gli errori di battitura. Come sapete ne faccio un migliaoio, per via del fatto che non ho word, ma uso i documenti di testo ( e sono troppo pigra per rileggere attentamente e correggere) 
Per cui lascio a vui il giodizio.
Questo capitolo non mi piace, fa cagare e vi chiedo scusa. Nel prossimo prometto ci sarà una dannata svolta a questo piattume di storia insulsa che

GRAZIE ALLE VOSTRE RECENSIONI E AI VOSTRI PEREFERITI, E' ARRIVATA AL QUARTO POTO FRA LE PIU' POPOLARIIIIIIII

Quindi GRAZIE A TUTTE, di cuore, davvero. Grazie mille. Io vi amo.
Non mi era mai successo nulla del genere! nessuno aveva mai recensito le mie storie sino a farle arrivare fra le più popolari! Figuariamoci al quarto posto!

Quindi g
razie, grazie, grazie!!

con affetto,
me&errori-di-battitura forrevvah 

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Capitolo 14
*** Bella e Impossibile. ***


Un mese esatto che non aggiorno [e quattro giorni]. OK, lo ammetto, ho avuto i miei gran problemi (madri che sequestrano i computer||Blocchi dello scrittore||mancanza di idee valide||perdita momentanea della fantasia||sindrome da foglio bianco||idee pazzesche, ma non per questa storia, e così via :’D) da distribuire, senza parlare della più grande delusione della mia vita: essere a due passi da Paul, e non poterlo vedere per via del biglietto che non mi hanno voluto comprare; e poi vogliamo parlare delle tre materie che mi sono beccata a Settembre?? Storia dell’arte, matematica e Scienze, dannazione!! poi ho i recuperi la mattina ed un mucchio di cazzate che mi hanno impedito di aggiornare per ben un mese intero. In ogni caso con questa pappardellata (?) di cazzi miei che non fregano a nessuno, volevo solo farvi sapere che per questa storia ho intenzione di andare avanti parecchio, sia coi capitoli sia con gli anni (anni intesi nello svolgersi dei fatti della storia, nel senso che non riguarderà unicamente il periodo adolescienziale dei personaggi, ma parecchi altri in cui succederà di tutto e di più, garantito!!), per cui non spaventatevi se sparisco per un bel po’, poi ritorno XD, ed in fine volevo anche svelarvi a chi mi sono ispirata per il personaggio di Giselle Smith, però…lo saprete nel prossimo capitolo! :3
 
Oh, un’avvertenza! Sto (probabilmente) per dare la più grande svolta della storia, a questa storia XD
 
 
 
 
 

Bella e impossibile.



La guardai negli occhi, c’era qualcosa che, dentro di me, mi stava spingendo ad abbandonarla li, ed andarmene via dalla sua vita, per sempre. Orgoglio, e paura in un mix letale e nocivo, pulsavano sulle mie meningi, convincendomi a fare la cosa sbagliata, nel momento più importante della mia vita.
Volevo esserci per lei, e tutti questi pensieri a dir poco maturi continuavano a pervadermi, come soavi tentatrici. In vita mia non avevo mai detto “ti amo”. Non almeno, seriamente – o con un intento apparentemente serio.
Dovevo rendermi maledettamente conto che Lei stava davvero diventando qualcosa di troppo importante ed impegnativo, per me.
Avrei voluto tanto andarmene, prima che potesse diventare troppo tardi, Avrei voluto scomparire prima di rendermi conto dei miei sentimenti, Avrei voluto scappare lontano in un isola deserta, avrei voluto, oh, avrei voluto davvero troppe, troppe cose, tutte insieme.
Ridacchiai tra me e me, pensando anche che mi sarebbe piaciuto passare la serata con lei, fra le mie braccia, ad ascoltare la radio, magari le avrei anche dedicato una canzone di Elvis, in pieno stile “John versione romantica”, avremmo preparato la cena assieme, ed avremmo guardato la pioggia cadere incessantemente, facendoci rinvenire quella strana voglia di starsene solamente a casa, al caldo, protetti dalla bufera che si stava scatenando all’esterno, a parlare del più e del meno, tra risa, baci e crezze.
«Beh, che hai da ridere? Non ti sono sembrata seria?» sentii tutt’un tratto la sua voce, spezzare i miei silenziosi pensieri.
Avevo riso per davvero!
«S…scusa , è che mi sembri così strana…talmente strana da pensare che forse non sei poi così tanto…» mi bloccai per un secondo, giusto il tempo di farla ritrovare con un cuscino piazzato in faccia «Lesbica!» esclamai poi, scoppiando a ridere. Ed in men che non si dica, mi beccai con un cuscino sulle palle. Fortuna che Dio ha dato all’uomo la capacità di ficcare delle piume d’oca, in un cuscino!
«Hey io ho mirato alla faccia!» eslamai contrariato; «Ed io al tuo cervello!» Esclamò lei, ridendo, per la prima volta dopo due lunghi giorni di strazianti litigate. Finalmente rivedevo la luce della felicità riflessa nelle sue iridi violacee. Finalmente era tornata Giselle, la mia migliore amica, quella bella ma impossibile.
Le lanciai un cuscino violentemente addosso, nell’esatto momento in cui si distrasse per riflettere su qualcosa; Lo faceva sempre, dovo aver riso di gusto. Lo avevo notato spesso, per cui sapevo più o meno, come prevedere le sue moss…-
Una cuscinata in faccia.
Allora se ne era resa conto!
«Sei scorretto!» gridò mentre ce ne davamo di santa ragione a suon’ di cuscinate. «Tu sei scorrett... – una cuscinata sulla bocca – ..a! Hey!» sbottai fiondandomi sul letto, per raggiungere il suo lato, non le lasciai un secondo, che partii a picchiare violentemente con cuscino ogni cosa che si muoveva, senza rendermi conto se stessi colpendo lei, o meglio l’aria.
La vidi scansarsi velocemente, per lanciarsi a peso morto sopra di me, causandomi una perdita istantanea del controllo del mio ciclo respiratorio. I miei poveri polmoni !
La scansai di lato, fingendo un barbarico urlo di battaglia, mi alzai sulle ginocchia, pronto a sacrificare la mia vitta a suon’ di cuscinate, quando mi fermai per un attimo.
La stavo bloccando fra le mie gambe, con la sola forza dei miei muscoli.
 Era distesa, e rideva;  in quel momento avrei preferito suicidarmi, piuttosto che pensare a lei – per l’ennesima volta – in quel modo.
Era così fottutamente bella, nelle sue imperfezioni e nelle sue perfezioni. Aveva quegli occhi viola, dalle lunghe ciglia nere, quei capelli corvini lunghi, per nulla alla moda, e quelle labbra carnose; era una dea.
Una dea impossibile, per un terrestre come me. Una Dea a cui piacevano le donne.
Non c’era che dire: il titolo di ‘Bella e Impossibile’ le si addiceva alla perfezione.
 
Preso da troppa circolazione sanguigna ed un misto di adrenalina pura, decisi di fare una pazzia. Le bloccai i posi, lei smise di ridere; Mi feci serio.
Deglutii, volevo baciarla così tanto!
 
***
 
Giselle’s P.o.v.
 
Chiusi gli occhi, lentamente, sorpresa da quella situazione imbarazzante. Ero pronta.
Pronta ad esplorare nuove…sponde; Pronta a provare ad essere amata. D'altronde non ero mai stata veramente con un ragazzo. Come potevo pretendere di essere Lesbica, se non avevo mai tentato di, ecco, approcciare?
Chiusi gli occhi, pronta ad accogliere quel bacio, che, stranamente attendevo con impazienza.
Finalmente eccolo. Sentii le sue labbra morbide posarsi delicatamente sulle mie; Era curvato su di me, come in un film; io ero stesa sul letto, e lui era sopra di me.
Questa cosa mi spaventava un po’.
Si scostò piano, dopo avermi lasciato quel semplice bacio a stampo; Allora riaprii gli occhi, lentamente, come inebriata dalla sua magnifica presenza.
Si avvicinò al mio orecchio destro, la sua voce era bassa e silente. Mi sussurrò una frase parecchio enigmatica all’orecchio.
«Sei Bella, ma impossibile, Giselle Smith!» disse piano, a bassa voce. Rabbrividii.
 L’istinto mi comandò da quel momeno in poi.
 
Lo presi per le spalle, e lo avvicinai a me, cosicché potessi baciarlo meglio, e lo feci. Lo baciai, non mi importava nulla ormai, di quello che pensavo, delle mie convinzioni.
Era come mettere a nudo se stessi. Era come avere difronte una tela bianca, pronta per essere dipinta con nuovi colori ed orizzonti che non avevo mai testato.
Sentii le nostre lingue fondersi in un turbine di passione, il mio cuore batteva fortissimamente, fui presa da un momento al picco della felicità.
Ero così felice di averlo li, al mio fianco, di poterlo baciare liberamente, senza problemi. Stava ragionando il mio istino primordiale, non IO.
Una lacrima di commossione e contentezza rigò lievemente il mio visto, mentre provavo una delle più grandi soddisfazioni della mia vita: provare ad amare.
Sentii le sue grandi mani carezzare il mio volto, mentre stava succedendo ciò che sarebbe dovuto succedere molto tempo addietro.
Lentamente scese sino ad arrivare al mio seno. Lo vidi stranamente indeciso se farlo o meno, sapeva che avrei potuto cacciarlo via da un momento all’alro, così si fermò all’altezza delle spalle, ma io non volevo!
Volevo che succedesse! Volevo davvero che…succedesse quella cosa, quella cosa che accade fra un uomo ed una… donna, e non solo fra due donne! Così prei le sue mani, e le posai sul mio seno. Era stupito da quel mio gesto imprevisto; non asserì parola.
Aveva capito, era così fottutamente intelligente, che riusciva a leggermi nel pensiero con abilità tale da far paura ad un chiaroveggente.
Gli avevo dato apertamente il permesso, il permesso di fare ciò che desiderava realmente.
Sentii le sue mani, mentre lentamente trascinavano la cerniera della mia felpa casalinga verso il basso, liberandomi di un peso, che lanciò nella stanza, a caso.
Oh. Mio. Dio.
Stava succedendo!
Feci la stessa cosa con la sua giacca di pelle. Sorrise maliziosamente, era tornato all’opera!
Spostò lievemente la sua traiettoria di baci; Sentii tutti i suoi muscoli rilassarsi… tranne uno.
Iniziò lentamente a lasciarmi dei lievi baci cul collo, quando,  mi fece sistemare per essere più agevolato. Mi sfilò la canotta grigia lentamente, esitando un pochino prima di arrivare a quel punto.
Aveva paura; era terrorizzato da un mio rifiuto, ma io ero intenta a buttarmi dal precipizio. Eppure lui, non aveva ancora perso quella sua maledetta sicurezza da rinoceronte!
Lanciò la maglia a caso, ed io restai in reggiseno di fronte ai suoi occhi.
 
***

 John's P.ov.

Allora non era perfetta solamente all’esterno! Spesso avevo gettato occhiate furtive alle sue tette, e tutte le volte mi convincevo sempre di più del fatto che fossero stupendamente perfette!
Non potevo ancora crederci, che si stesse concedendo… a Me.
Mi sentivo così onorato da quel privilegio. Io sarei stato la sua prima volta!
Le carezzai il ventre delicatamente, mentre ero perso nel suo profumo meravigliosamente inebriante; Posai dei baci sulle sue clavicole, mentre stringevo a me i suoi fianchi. In quel momento lei mi levò la camicia bianca che indossavo sotto alla giacca, la sbottònò lentamente, impegata nel tentare di auto-motivarsi a compiere quel passo da gigante. Mi avvicinai a lei, e le baciai delicatamente il lobo.
«Non sei obbligata a farlo» Asserii sussurrando a bassa voce. La sentii sorridere, anche se non potevo vederla in faccia, una serie di musoli facciali si mossero sotto il mio tocco, così capii che stava sorridendo.
«Non ho mai detto di non volerlo fare!» Asserì lei, sfilandomi del tutto la camicia. Sorrisi a mia volta, sddisfatto, e la feci appoggiare alle lenzuola nuvamente. Scesi con le mani più in basso, mentre eravamo nuovamente intenti a baciarci appassionatamente. Le sfilai i pantaloni in tuta da casa, che teneva occasionalmente per starsene – appunto – a casa, Mentre lei si contorceva sotto al mio tocco.
Feci per fare lo stesso con i miei pantaloni, che lei mi bloccò violentemente. Per un attimo pensai volesse farla finita e scappare, ed invece asserì «Voglio farlo io.» disse, Sorrisi soddisfacentemente e la lasciai fare, aiutandola a levarmeli via una volta per tutte.
Cambiammo posizione, e lei venne al disopra di me; Le carezzavo la schiena, mentra lasciava umidi baci lungo la linea del mio petto, provocandomi incessanti scosse elettriche e brividi mozzafiato.
Era incredibilmente… Giselle!
La sua schiena era così liscia e perfetta! Mi soffermai per un attimo sul gancio del suo reggiseno, che sganciai successivamente, stanco di tutto questo ‘dover aspettare ed accertarsi se lei era d’accordo o meno’.
Era ora di passare all’azione.
Lo lanciai lontano, e ritornai alla posizione precedente. Posai le mie mani sui suoi seni nudi, la sentii gemere, ma la misi a tacere con un bacio appassionato, mentre facevo scendere lentamente le mie mani lungo il suo piatto ventre, per raggiungere gli slip. In quel momento sentii la presa delle sue mani, stringersi sulle mie braccia. Le baciai il collo, e le sussurrai nuovamente: «Se vuoi la finisco qui,» ma scosse la testa, continuando a farsi baciare. Così lo feci, le levai quell’indumento una volta per tutte; era così eccitante tutta quell’attesa, tutti quei pensieri che si accumulavano.
La baciai un’ultima volta, prima di compiere il passo decisivo, per poi finire stremati, addormentati l’uno nelle braccia dell’altro.
Sapevo che le avrei fatto un torto enorme, dopo quel giorno, e sapevo anche che mi avrebbe odiato per il resto della mia inutile vita.
 
***
 
Giselle's P.o.v.:

La mattina mi svegliai presto, saranno state le cinque del mattino. Sospirai, tentando di non svegliare John, mi girai verso di lui, per osservare che gran cazzata avevo fatto, ed invece notai che il suo spazio, era vuoto. Completamente vuoto.
‘Sarà in cucina’, mi dissi, alzandomi assonnatamente. Sbadigliai come il peggiore degli scaricatori portuali, per poi dirigermi con passo lento quanto un bradipo, verso il piano inferiore della casa.
«John…» Lo chiamai, avvolta da una coperta a caso; «Hey Johnny?» Alzai lievemente il tono di voce, per farmi sentire ovunque lui fosse.
Nulla, nemmeno una risposta.
Se ne era andato? Mi aveva lasciata sola? Di nuovo?
«John, cazzo, non è divertente! Dove sei??» sbottai, iniziando a sentirmi lievemente in panico. Feci un respiro profondo, ma non riucii a finirlo del tutto. Il che significava solo una cosa: Attacchi di Panico.
Andai in cucina, e trovai una lettera gialla, con scritto ‘GISELLE’, in grande, e in grossetto.
«hmio Di, se ne è andato veramente! Mi ha lasciato una lettera di Addio!» gridai in lacrime. Il respiro si fece più affannato, tentai di raggiugere il tavolo in fretta, se avessi letto che era solo andato a…che ne so, fare la spesa, sarei tornata “normale” in un attimo, e invece no. Non c’era traccia della parola ‘spesa’, in quel foglio.
Iniziava solamente con un:
“Cara Giselle,
So che mi odierai per il rsto della tua vita, e so che io non potrò più fare nulla in merito.
Mi dispiace.”
Non volli leggere altro. Non volevo sapere dove cazzo se ne era scappato. Non lo volevo sapere per la mia dannata incolumità.
Anche se ora mai mi trovavo a terra, in lacrime, e senza respiro, a tentare di fare un po’ di chiarezza, in questa situazione di merda.

 
 
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OK. Me ne rendo conto, è lunghissimo ed orribile. Mi dispiace tanto di avervi fatto attendere un mese e quattro giorni, giuro che la prossima pubblicazione sarà entro il 7 lugnio, giuro!!ù
E se non lo farò, potrete lapidarmi liberamente :3

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