Memorie dello scantinato

di superheroine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** l'Hashtag ***
Capitolo 2: *** #ApocalypseSwiftie ***
Capitolo 3: *** L'arrivo ***
Capitolo 4: *** Taylor Swift ***



Capitolo 1
*** l'Hashtag ***


PARTE 1. HASHTAG
Capitolo 1. Io e le distanze
Se c’è una cosa che odio, quella è la pallavolo. Che senso ha? È completamente inutile, ha un altissimo rischio d’infortuni e piuttosto che giocarci preferirei arrampicarmi fin su una delle alte finestre della palestra per poi lanciarmi giù. Beh. Ricamandoci un po’ su, ecco.
Kate, Alexia e Ivy dicono che la colpa è del fatto che non so giocare, ma qualunque sia il motivo non avevo la minima voglia di fare uno stupido esercizio di passaggi, quel particolare martedì. Avrei dovuto solo lanciare la palla dall’altra parte del campo in direzione di Alexia, ma il primo tiro finì addosso al muro dietro di me e la seconda in testa a Peggy, accanto a me. Uh, un miglioramento. Io e le distanze non andiamo per niente d’accordo, come pure non vado d’accordo con le proporzioni e la prospettiva eccetera eccetera, fondamentali in quel momento. Sì, forse è vero che non so giocare.
Poi ci toccarono le battute dall’alto, ma ne avevo abbastanza di quella tortura così attuai il mio malefico piano e mi nascosi nell’angolo tra il muro e la porta. Era davvero un posto perfetto, la stessa Kate ci impiegò perlomeno mezzora prima di accorgersi che la mia maglietta gialla non era più in circolazione e trovarmi. Io comunque ricomparvi sulla faccia della terra molto tempo dopo, non appena mi accorsi che tutti i miei compagni di classe si affollavano attorno al professore che formava le squadre per una partita. E ancora una volta la cara dea bendata fu dalla mia parte, perché il mio gruppo non giocò e assistetti alla misera disfatta di Kate e Ivy principalmente per colpa di quest’ultima. La ragazza, una volta tornati negli spogliatoi, come suo solito ironizzò pesantemente sulla cosa.
Uscimmo da scuola chiacchierando allegramente e sparlando sulla prof di matematica, a nostro parere una vera incompetente; salutai Alexia e Ivy e mi diressi alla stazione, come sempre affollatissima, con Kate.
-Hai già iniziato il lavoro di geografia?- mi domandò lei.
-No, devo ancora finire di leggere il libro… tu?
-Anche io, è noiosissimo!
Continuammo la conversazione su questo tono per tutto il viaggio, lamentandoci delle trame complicate dei racconti e dei riassunti che ci erano stati assegnati e delle immagini da cercare. Noia noia noia. Kate ed io condividevamo quasi sempre le opinioni, tranne quando si trattava di scegliere il ragazzo più apprezzabile nei libri fantasy che tanto ci appassionavano.
-Ciao! A domani!
-Ciao Kate!
A casa, subito dopo mangiato mi trasferii nell’universo parallelo di Twitter. Adoravo quel posto, era pieno di gente che condivideva le mie stesse passioni e la pensava come me ed io ero libera di esprimermi e fare stalking a un po’ di gente. Quel particolare martedì, poi, c’era un’insolita frenesia: la causa era il primo hashtag nelle tendenze, #MeetTaylorSwift. Siccome cliccandoci sopra ottenevo solo gridolini gioiosi in 140 caratteri di ragazze che in tutte le lingue annunciavano di aver appena aderito a un certo concorso, chiesi a una mia follower di cosa si trattasse.
@oh_taylor_swift è un concorso per incontrare Tay!
@backtodecember oddiooo davvero?!
@oh_taylor_swift sì, guarda sul suo sito ufficiale!
Mi inviò il link e andai subito a controllare. Beh, non sembrava difficile. Avrei solo dovuto scrivere perché desideravo incontrare Taylor Swift, la cantante migliore in assoluto. Attira l’attenzione e il gioco è fatto, voli a Seattle per la prossima tappa del tour.
Chissà cos’avrei potuto dire… avevo bisogno di una trovata originale. Ovviamente in quel particolare martedì, come in tutti gli altri giorni della settimana, conoscere il mio idolo era al posto numero uno delle mie priorità e ragioni di vita, ma valeva la stessa cosa anche per tutte le altre partecipanti.
Vorrei incontrare Taylor Swift perché… perché… sono una sua fan, ho un suo fanclub e ho creato un profilo Facebook solo per spiare quello che dicono di lei.
Uscii da Twitter pensierosa, non ero ancora riuscita a trovare il motivo perfetto…
Così rimasi a meditare anche il giorno dopo, incurante del fatto che le mie amiche si stavano subendo terrificanti interrogazioni di greco: dai, pensai, prendi spunto da questa classe. Dicono cose talmente surreali che prima o poi tireranno fuori qualcosa di riciclabile, no? Evidentemente no. Le cazzate entravano da un orecchio, passavano per il mio filtro speciale ricetta informazioni interessanti e/o utili per farmi incontrare Taylor Swift (in breve F.S.R.I.I.U.F.I.T.S.), venivano eliminate e uscivano dall’altro.
-Ehi? Shannon?- Ivy mi diede un pugno sul braccio.
-L’altro braccio!- strillai.
-Aha ok. Hai trovato la frase?
-No, sto ancora pensando… To’, vuoi matematica?
Lei afferrò il quaderno con un sorrisetto e se ne andò.
 

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Capitolo 2
*** #ApocalypseSwiftie ***


Capitolo 2. ApocalypseSwiftie
In quel momento scovai la frase perfetta. Oh sì. Era fantastica, un colpo di genio degno di me. La rielaborai per tutta la mattina e quel pomeriggio la scrissi.
Ovviamente non mi facevo troppe illusioni, con tutte le migliaia di persone che dovevano aver partecipato era difficile che proprio io spiccassi per originalità… ma ciononostante passai le settimane seguenti fra le nuvole a sognare la fatidica lettera… quella fatidica lettera che mi avrebbe detto che io ero una delle due fan numero uno della mia cantante preferita e lei lo sapeva… che mi avrebbe detto che lei mi voleva incontrare, e ogni volta che fosse passata in tour dalle mie parti saremmo andate a bere un caffè assieme e mi avrebbe offerto una parte nel suo nuovo film… anche solo da comparsa… lei non ha mai assistito a una proposta di matrimonio in un ristorante? Io potrei fare la ragazza. E il mio fidanzato, non so, un tipo a caso… Josh Hutcherson?
Così passarono tre settimane. Ormai il giorno del giudizio era alle porte e iniziò a circolare su Twitter l’hashtag #ApocalypseSwiftie in cui tutte scrivevano cose tipo niente lettera per ora, ma la speranza è l’ultima a morire.
Quel giorno, quando tornai da scuola, vidi che i miei avevano lasciato una lettera per me; inizialmente pensai a una semplice cartolina, ma quando mi accorsi chi era il mittente quasi svenni. E poi, una volta aperta, andai in iperventilazione, mi cadde la mascella e per una buona ventina di secondi non riuscii più a tirarla su e infine cominciai a correre per tutta la casa urlando Ommioddiooooooddioddio siiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! …iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii… devo riprendere fiato… iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!
Poi comunque svenni.
Mi rialzai pochi secondi dopo, sempre con un grido in gola, e il mio primo pensiero fu: Twitter.
#ApocalypseSwiftie #MeetTaylorSwift HO VINTO SIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII
Improvvisamente acquisii qualcosa come 617 nuovi follower, che raddoppiarono entro il giorno successivo. Ed erano comunque pochi in confronto alle risposte che ricevetti, ai retweet, alle dichiarazioni di guerra, ai commenti delle ragazze isteriche, soprattutto del mio stesso paese, che non sapevano se insultarmi o fingere di essere felici per me perché ora c’era solo un posto vuoto ed era altamente improbabile che fosse un’altra inglese ad occuparlo. Alla fine scoprii tramite Facebook che la seconda vincitrice era una tale Colette, di Bordeaux, Francia.
Si scatenò l’inferno. In un lampo di generosità, infatti, la Swift aveva deciso che ognuna delle vincitrici avrebbe potuto portare tre persone a sua scelta, quindi tutte le swiftie erano ben decise ad accaparrarsi il posto facendo leva sulla mia gentilezza. Niente, dissi. Ho già scelto chi portare.
 

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Capitolo 3
*** L'arrivo ***


PARTE 2. SEATTLE
Capitolo 1. L’arrivo
Da lì iniziò a formarsi nella mia mente il piano malefico numero 2.
Lo portai avanti durante tutto il mese seguente, tra controlli, accertamenti e attestati.
Una sera, pensavo. Una sera e sarà tutto finito. Ma io non voglio che finisca. Io voglio che continui. Che lei si ricordi di me, che Taylor Swift sappia chi è Shannon Henley. Che sappia che sono io. E che io possa sempre averla accanto, come mi è sempre stata accanto indirettamente attraverso la sua musica.
Iniziai a preparare lo scantinato. Una poltroncina, un tavolino. Coperte, un ventilatore. Pian piano l’idea logorò la mia mente e mi ritrovai a perfezionarla alle tre di notte prima di rendermi conto che non dovevo lasciarmi trascinare. No, dovevo essere calma. Rifletterci. Pensarci su. Era davvero questo che volevo? Oh sì. Non per sempre. Per un tempo utile. Mi avrebbe odiato? Oh sì. Ma non importava.
In quei momenti rasentai la follia.
Quando mi ritrovai all’aeroporto di Washington con Alexia, Kate e Ivy, una biondina francese e le sue amiche in attesa di un aereo per Seattle ero consapevole di essere completamente pazza.
Vennero a prelevarci degli energumeni in camicia grigia che ci fecero un sacco di controlli anche dopo il check-in, e controllarono almeno tre milioni di volte la nostra identità. Ammetto che rimasi impressionata. Impiegammo circa tre ore e mezzo per lo stato di Washington, sull’altra sponda rispetto all’omonima città, e fummo subito scortate in un hotel carino con l’ordine di non muoverci per nessuna ragione e aspettare l’arrivo dell’auto in camera. Cioè, sì, non è che l’auto arrivasse in camera. Anche se non sarebbe stato scomodo.
Ripassai i dettagli del mio piano con le mie amiche per almeno un’ora, dopodiché nelle successive due e un quarto ci preparammo per il concerto. Ci volle non poca fermezza per impedire a Ivy di indossare una maglietta degli AC/DC, ma alla fine ci considerammo pronte e l’accurata ispezione di Alexia lo confermò.
Il nostro arrivo al concerto fu strepitoso. Non mi era mai capitato di vivere un’esperienza del genere quindi non ero a conoscenza del fatto che ci fosse tutta quella… atmosfera. Oh, nell’aria si respirava pura e autentica gioia. Persino le persone che attendevano da giorni in fila ignorando se sarebbero riusciti o no ad ottenere un biglietto erano euforiche, perché come ben sapete è l’attesa stessa il piacere. Campari, red passion. E che noi avevamo pure il trattamento speciale, perché non fummo costrette a passare per la biglietteria e ci sistemammo direttamente ai nostri posti, non proprio in piedi attaccati al palco ma comunque molto vicini. Beh, per quello che ci importava avremmo anche potuto essere tanto in fondo da vedere solo chiazze gialle e rosse al posto della nostra star: avevamo comunque un’occasione alla fine del concerto.
 

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Capitolo 4
*** Taylor Swift ***


Capitolo 2. Taylor Swift Pian piano lo stadio si riempì di gente, per la maggior parte ragazze, e se prima credevo di respirare euforia non avevo proprio idea di che cosa fosse l’euforia stessa. Ora non c’era solo eccitazione, no, c’era tensione, quel tipo di tensione che ti fa svenire ed esultare allo stesso tempo; non vorrei, ma mi tocca usare la parola “spannung”. Quello era lo spannung della serata. Frenesia, ansia, agitazione. Pensai che quello fosse il momento più bello della mia vita, ma ancora una volta mi sbagliavo. O, forse, per citare Homer Simpson, era il momento più bello della mia vita finora. Dopo quelle che mi parvero interminabili ore finalmente lei apparve sul palco. La perfezione fatta persona era lì, davanti a me. Altro che plastica. Era realtà. Presi automaticamente nota dei suoi perfetti capelli biondi, del tuo perfetto, elegante profilo, del suo immancabile rossetto rosso. Perfetto. Decisi che per nulla al mondo mi sarei dimenticata di quel ricordo e arrivai persino a desiderare che in quel preciso istante la mia vita finisse, avrebbero potuto scaricarmi un fucile sulla pancia, sarei potuta morire tra atroci sofferenze sempre restando nella più completa estasi. Ne ero del tutto sicura. C’era solo una pecca. Il mio piano. Ero davvero certa di volerlo portare avanti? Mi risposi automaticamente di sì e quello mi bastò per farmi vivere la più bella serata della mia esistenza… cantando in coro con migliaia di persone che rispondevano a una sola voce, quella che usciva dalle casse e apparteneva a lei, Taylor Swift. Mi vengono i brividi solo a nominarla, però brividi di felicità. La felicità può provocare i brividi? Sì, penso. Anche quando finì il concerto sentii che il puro eccitamento che aveva accompagnato tutta la gente in quelle ore non accennava a svanire. Probabilmente sarebbe durato per giorni, in cui la memoria sarebbe stata ancora fresca. Beh, io non mi sarei limitata a questo. Perché adesso veniva il bello. Era arrivato il momento di incontrare Taylor Swift. Sì, forse è giunto il momento di esporvi il mio piano malefico numero 2 (ricordo a tutti che il numero uno riguardava il nascondersi dietro orribili porte di plastica arancione). Allora. Vi ho già spiegato il motivo no? Bene. Ovviamente avevo coinvolto Alexia, Kate e Ivy, perché altrimenti sarebbe stato tutto impossibile. Kate avrebbe dovuto distrarre Colette e le sue amiche sfoggiando il suo perfetto francese, e una cosa sarebbe stata a posto. Però poi c’era la parte difficile. Ivy e Alexia dovevano cogliere di sorpresa le guardie e tramortirle, meglio senza farsi vedere; ovviamente il mio idolo avrebbe provato a difendersi, ma se fosse stato necessario avremmo steso anche lei, dopodiché attraverso un’uscita laterale l’avremmo caricata su una macchina che ci aspettava al varco. Tutta la riuscita del piano però sarebbe stata possibile solo grazie ai genitori di Alexia, che credevano di metterci a disposizione un aereo privato per evitarci tutti i vari scali agli aeroporti. Ce ne saremmo andate e avremmo portato Taylor nello scantinato in cui io ora scrivo le mie memorie. Ma torniamo alla storia. Mi condussero da lei, nel suo camerino. Mi dissero che dovevo aspettare perché c’era sempre una fila interminabile di fan che voleva farsi una foto con lei. Ancora una volta, non m’importava, anche a costo di attendere tutta la notte. Poi lei comparve, ancora un po’ scarmigliata a causa dell’attacco delle swiftie. Sentii di stare per svenire, ma fortunatamente riuscii a rimanere in piedi. -Oh, salve! Mi aveva salutato. Taylor Swift mi aveva salutato. Gli occhi mi pizzicavano. Presto sarei scoppiata a piangere. Non ricordo con esattezza cosa mi frullò in testa in quei momenti, penso fosse completamente vuota. A cosa puoi pensare quando hai di fronte una divinità? Il mio piano malefico numero 2 vacillava. Volevo davvero rapire la perfezione? Stavolta non mi risposi di sì, perché mi tornarono in mente tutti quei miti in cui gli uomini, accecati dalla tracotanza, cercavano di superare gli dei. Taylor era una dea, su questo non c’era dubbio. Posai lo sguardo sulle mie amiche, entusiaste e probabilmente dimentiche dei miei atti di pazzia che mi avevano accompagnato ossessivamente in quei mesi. Dopotutto, forse non avrei sequestrato Taylor Swift. Non l’avrei avuta tutta per me. Per questo ora sono sola, nello scantinato. Ovviamente a convincermi fu in parte il fatto che non avevo ancora rinunciato all’idea di un film con Josh Hutcherson.

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