L'udienza

di Alyss Liebert
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sentimenti x Capacità x Pericolo ***
Capitolo 2: *** Discussione x Angoscia x Segreti ***
Capitolo 3: *** Dubbi x Malvagità x Intrusione ***
Capitolo 4: *** Allenamento x Trappola x Illusione ***
Capitolo 5: *** Associazione NSSK x Inganni x Tradimenti ***



Capitolo 1
*** Sentimenti x Capacità x Pericolo ***


L’udienza
Capitolo 1: “Sentimenti x Capacità x Pericolo”.
 
 
  
  
Tutto cominciò in Giappone, a Tokyo. Erano le quattro del mattino del cinque Novembre. Quella città normalmente affollata e caotica era deserta dalla sera precedente. Il buio e il freddo stavano ancora prevalendo in tutti i quartieri. Pioveva a dirotto e le gocce d’acqua copiose che continuavano a depositarsi sulle strade non davano il segno di voler cessare. Come se non bastasse, da qualche minuto aveva cominciato a farsi sentire il rumore dei tuoni e dei lampi, i quali parevano volersi scagliare minacciosi contro gli alberi della piazza e i tetti degli edifici più alti. L’unica cosa che mancava era il vento, ma quella non era di certo una buona scusa per uscire fuori di casa.
Era accaduto per la prima volta negli ultimi anni un coprifuoco serale scelto dagli stessi cittadini. Il motivo di quell’avvenimento fu una pericolosissima asta che durò dai primi minuti della mezzanotte fino alle tre del mattino seguente. Ad essa parteciparono tutte le famiglie mafiose più pericolose del Giappone; per quel motivo le persone, essendo state al corrente di ciò, si erano messe al sicuro nelle loro abitazioni.
Vennero venduti molti fra gli oggetti più rari e preziosi del mondo, compresi alcuni reperti trovati da famosi Hunter Archeologi e soprattutto parti del corpo.
 
 
 
 
 
Le uniche persone ancora a piede libero si stavano riparando dalla pioggia sotto il portico di un ristorante situato in un vicolo cieco. Indossavano entrambe degli impermeabili blu e avevano le teste coperte con i cappucci. La figura che reggeva una sorta di scrigno era di statura molto bassa e, a giudicare dai suoi lunghi capelli, pareva essere una ragazza. L’altra era molto più alta della precedente e teneva in mano un cellulare.
Cominciò a digitare velocemente un numero e si mise l’oggetto vicino all’orecchio, aspettando di ottenere una risposta.
Dopo due squilli esatti gli giunse la voce di una persona di mezza età che pareva essere molto agitata.
«Sono Light Nostrade. Chi parla?».
«Capo?», si limitò a dire l’interlocutore per rassicurarlo.
«… Finalmente, Kurapika! Ti rendi conto che è dalle undici che non mi hai più dato delle informazioni sulla tua posizione e l’asta?».
«Non ho deciso io l’ora in cui si sarebbe dovuta svolgere. Inoltre avevano proibito l’uso dei cellulari, quindi mi è risultato impossibile contattarla». La freddezza e la tranquillità, con le quali il giovane disse quest’ultima frase, fecero sorprendere e allo stesso tempo rilassare l’uomo.
«Va bene, ti credo. Dov’è Senritsu? Doveva seguirti!».
«E’ qui vicino a me e sta reggendo lo scrigno con l’oggetto che lei e sua figlia desideravate tanto».
«Siete riusciti ad ottenerlo?!», sbottò incredulo. Si meravigliò poi nel sentire una lieve risata provenire dalla sua fidata guardia del corpo.
«Aveva dubbi, capo?», fu la semplice risposta che diede facendo un sorriso alquanto sinistro.
«Come avete fatto? Voglio i minimi particolari!».
«Non ce n’è bisogno. Mi limito a dirle che il suo nome e cognome si è ben diffuso tra le famiglie mafiose, tanto è vero che ci hanno visti con cattivo occhio non appena abbiamo varcato la porta d’ingresso. Grazie all’acuto udito di Senritsu abbiamo potuto scoprire che stavano complottando contro di noi».
«Non mi stupisco. Sanno che sono una persona molto temibile».
«Però noi due siamo riusciti a ricattarli. Dato che minacciarli sarebbe stata una scelta sconveniente per la sua incolumità, abbiamo avuto un dialogo faccia a faccia con colui che aveva architettato il piano».
«Dunque?».
«Siamo riusciti a convincerlo a non truccare la parte dell’asta interessata in cambio di due dei nostri uomini da assumere come guardie della loro villa, 50.000 jeni e almeno uno degli oggetti che è riuscito a recuperare fino ad ora».
«Come dici?! E’ un affare sleale!», esclamò allibito.
«Non direi proprio. Prima di tutto non accettava altre condizioni, poi non ci ha praticamente fatto sborsare un soldo per comprare l’oggetto. Quel signore infatti ha avvertito tutti i mafiosi che partecipavano per il nostro stesso scopo di partire con delle basse offerte e di non alzare il prezzo di oltre una cifra prestabilita. Alla fine abbiamo avuto l’oggetto per la bellezza di soli 10.000 jeni e in più lo scrigno che lo custodisce ne vale ben 200.000. Lei sarà costretto a dare via 60.000 jeni, dei nostri uomini e un oggetto prezioso, però lo scrigno vale molto più di ciò che perderà. Mi è sembrato un affare molto equo, il quale è andato a gonfie vele».
Light rimase senza parole. In tutta la sua vita non aveva mai trovato un ragazzo che sapesse soddisfarlo meglio di Kurapika; non perdeva mai le speranze e riusciva a cavarsela anche con poco, pur di risollevare le sorti della sua nuova famiglia.
«… Eccellente, ragazzo mio. Eccellente! Non finisco mai di stupirmi di te. Ti prometto che avrai una bella ricompensa insieme a Senritsu appena tornerete!», concluse gioiosamente.
«Ancora si stupisce? Si ricordi che nessuno può ostacolare i Nostrade in questa guerra», rispose il biondo con determinazione.
«Esatto. Allora, dimmi dove vi trovate».
«Vicino alla piazza, sotto il portico del ristorante Nagato».
«Perfetto. Basho passerà a prendervi tra qualche minuto. Rimanete dove siete!».
«Ricevuto. A dopo».
 
 
Appena riattaccò, Senritsu gli rivelò: «Ho sentito tutto!».
«L’avevo immaginato».
«Light tiene molto a te. Non so se tu debba ritenerti fortunato».
«Fortunato? Bah, staremo a vedere…».
«Ci sono due sedie là in fondo. Perché non aspettiamo Basho seduti?», chiese indicandole.
«Sarebbe il caso. Comincio a sentire la stanchezza di una notte passata in bianco».
 
 
 
 
Ormai Kurapika era diventato un pezzo grosso all’interno della Mafia; Light gli permetteva di recuperare oggetti di suo gradimento alle aste e firmare contratti con altre famiglie. Al ragazzo veniva data la maggior parte degli incarichi perché la fiducia che aveva in lui il suo capo era quasi diventata cieca. Faceva vita notturna, era raro che gli dessero operazioni da fare durante il giorno. Si era inoltre specializzato nei pedinamenti: grazie alla sua incredibile forza di volontà e lo Zetsu riusciva a scoprire essenziali informazioni per poter allontanare i nemici della famiglia e fare soldi, sfruttandone altre.
Siccome la notte in città circolava sempre altra gente di malaffare e qualche ragazzo ubriaco che poteva infastidirlo nelle sue missioni, fu obbligato ad indossare una divisa formata da maglietta e pantaloni neri aderenti per avere più agilità nei movimenti e per potersi nascondere meglio. Non dovevano mai mancare delle armi di riserva oltre al Nen; se infatti gli fosse capitato un uomo capace di annullare o assorbire i poteri, per lui sarebbe stata la fine.
Quella era stata l’unica sera in cui era andato all’asta con i suoi classici vestiti per non dare troppo nell’occhio.
 
 
A furia di svolgere quei pericolosi compiti, aveva finito per prendere molto seriamente le cose. Era molto cambiato caratterialmente: era più razionale e calcolatore. Aveva però smesso di dare la caccia alla Brigata, anche perché in quel periodo si trovava da tutt’altra parte. Cercava di considerare quel lavoro come uno strumento che potesse aiutarlo a scaricare il suo dolore e a non rimuginare troppo sul passato. Però aveva ancora dei punti deboli, i quali mai nessuno gli avrebbe potuto togliere.
Per quanto riguardava la famiglia Nostrade, essa si era trasferita in un’imponente villa appena fuori Tokyo e il nome di Light aveva già iniziato a farsi conoscere con timore tra le altre prestigiose famiglie.
 
 
 
 
*****
 
 
 

Dopo circa un quarto d’ora Basho e gli altri arrivarono con l’auto dentro il cortile dell’abitazione. Appena varcarono l’ingresso, Neon, la figlia del capo, corse ad accoglierli.
«Grazie, Basho», gli disse sorridendogli.
«Dovere», fu la risposta.
«Come state? E’ tutto a posto?».
«A parte la stanchezza…», mormorò Kurapika cercando di essere il più gentile possibile.
«Venite: mio padre vuole parlarvi!».
 
 
 
 
Arrivati nello studio del capo, quest’ultimo fece loro cenno di sedersi. Dopo chiese: «Mi fate vedere l’oggetto?».
«Ce l’ho io», rispose Senritsu posando lo scrigno sulla scrivania. Light trovò al suo interno una mano ormai andata in putrefazione. Le sole cose che resistevano erano le unghie. Esse erano lunghe, affilate ed era rimasto intatto uno smalto brillante color oro e rosso sangue.
L’uomo esaminò ogni centimetro di esse con una grossa lente d’ingrandimento, poi sollevò lo sguardo verso i due e fece loro un sorriso compiaciuto.
«Sì, sono autentiche», cominciò a dire, «Queste sono le magnifiche unghie della principessa Naoko, vissuta intorno al XVIII secolo. Lei era esperta di stregoneria e si diceva che usasse le sue mani per compiere delle benedizioni o maledizioni. Ancora oggi, non si sa come, le sue unghie sono rimaste senza il minimo difetto. E’ un ottimo regalo per mia figlia!».
Dopo ciò, richiamò Neon e, quando entrò, i suoi occhi brillarono dalla gioia.
«D-Dimmi che non sono una stupida copia…», riuscì a dire in preda all’emozione.
«No, cara. Ho controllato con attenzione e queste sono proprio le unghie che volevi!», le rispose il padre. La giovane urlò dalla felicità e si precipitò a prendere lo scrigno.
«Kurapika e Senritsu, vi ringrazio davvero tanto!».
«Prego. Spero le tratterai con cura», disse Senritsu ricambiando il sorriso.
«Sarà fatto. Vado subito ad aggiungerle alla mia collezione!», concluse prima di scomparire dalla stanza.
 
 
«E’ una delle poche volte in cui la vedo così contenta! Di solito ha sempre qualcosa da ridire…», rifletté Light.
«Se Neon è felice, significa che anche lei deve esserlo, capo. E’ andato tutto secondo i piani», fece notare Kurapika.
«Già, hai ragione. Non posso biasimare il suo insolito comportamento».
 
 
Dopo pochi secondi di silenzio si alzò dalla sua sedia e annunciò: «Sono appena le cinque del mattino e sta per smettere di piovere. Per questo motivo concedo a voi due un’intera mattinata libera, senza precisi incarichi da fare. Potete andare dove volete, basta che non vi allontaniate da Tokyo: potreste essere esposti a pericoli. Però verso mezzogiorno vi rivoglio nella villa! E’ tutto chiaro o devo ripeterlo?».
«No, capo», rispose Senritsu.
«Grazie mille», aggiunse il Kuruta. Light si avvicinò a lui e gli disse: «Quando tornerete, vi darò la ricompensa che vi spetta».
I due fecero cenno di sì con la testa e subito dopo corsero nelle loro stanze a prepararsi.
 
 
Dopo essersi fatto una doccia veloce, Kurapika si mise dei semplici jeans con una felpa viola e andò ad aspettare l’arrivo della sua compagna nell’enorme e illuminata sala della villa.
Essa era completamente arredata con mobili antichi, i quali dovevano valere una fortuna. Sul grosso tavolo posto al centro c’erano vasi di porcellana e centrini ricamati a mano. In una grossa cassaforte erano conservate cornici d’oro, posate di cristallo e tutta l’argenteria. In ogni angolo erano stati messi dei candelabri d’argento, in modo che la sera si potessero accendere delle candele per illuminare con la loro luce l’intera sala. Sembrava di stare in un castello.
 
 
Quando giunse Senritsu con indosso una tunica di un bel color blu oltremare, i due poterono lasciare la villa.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Durante il loro tragitto a piedi verso la città, la ragazza chiese: «Allora? Dove andiamo?».
«Mi dispiace, ma non riesco a ragionare. Ho un sonno terribile…», fu la risposta dell’amico.
«Beh, se proprio non vuoi proporre, allora direi di andare in una caffetteria a mangiare qualcosa, dato che ieri sera non abbiamo neanche cenato!».
«Senti, a me non interessa mettere del cibo sotto i denti. Ho bisogno di bere!», confessò nervoso.
«… E va bene, andiamo», concluse Senritsu sospirando amaramente.
 
 
 
 
Arrivati a Tokyo, entrarono in una caffetteria molto famosa per i turisti. Essa era sempre affollata e non c’era mai posto a sedere. Era anche vero però che lì si facevano i dolci più buoni del Giappone.
I due riuscirono fortunatamente a trovare due posti liberi al bancone. Senritsu gustò una deliziosa ciambella all’arancia e un tè caldo, mentre Kurapika…
 
 
«Un’altra, grazie», disse porgendo al cameriere un bicchiere di vetro.
«Non esagerare con la birra! Prenditi un succo o qualcos’altro!», gli consigliò la mora con un filo di preoccupazione.
«Cosa vuoi che mi faccia una bevanda del genere? Vedi che non sono ancora completamente sveglio?», rispose faticando a tenere gli occhi ben aperti.
«Non ti farà di certo meglio bere quella roba!».
«Scusa, ragazzo?», si intromise anche il cameriere, «Non vorrei fare il guastafeste, ma la tua amica ha ragione. Hai già preso una tazza di caffè, un bicchiere d’amaro e un altro di birra. Non va bene per uno della tua età consumare così facilmente tutte queste cose!», gli fece notare usando un tono gentile.
La risposta che ottenne, però, non lo fu altrettanto. Il Kuruta fulminò con lo sguardo quella persona e, senza staccargli gli occhi di dosso, si limitò a dirgli: «Per sua informazione ho compiuto diciotto anni e perciò sono maggiorenne. Inoltre non può dirmi quello che non devo fare; anzi, le dico che di solito sono abituato ad ingerire e reggere bevande molto più pesanti, quindi si rallegri».
«Kurapika…», l’avvertì Senritsu, vedendo il viso del signore tingersi d’imbarazzo per via dell’alto tono di voce che stava usando il biondo.
«Lei adesso sta facendo il cameriere… e come tutti gli altri il suo compito è servire la gente senza batter ciglio. Tuttavia, più cose ordinano i clienti, più soldi guadagnate; quindi mi porti il terzo bicchiere e facciamola finita», finì per concludere senza scomporsi.
L’uomo, rimasto offeso e in soggezione, mormorò: «Va bene, come vuoi…» e andò a preparargli quello che aveva chiesto.
 
 
Senritsu osservò Kurapika allibita: dopo la figura che aveva fatto fare a quella povera persona, non mostrava il minimo segno di pentimento. Continuava ad aspettare imperterrito la sua bevanda, mentre fissava il vuoto con occhi che non lasciavano trasparire la minima emozione. Inoltre aveva un viso molto pallido, il quale faceva contrasto con le guance tinte di rosso per via di tutte quelle sostanze ingerite.
«Giuro che non ti riconosco più», cominciò a dire la ragazza quando vide che, arrivato il bicchiere, il Kuruta cominciò a berlo avidamente e senza interruzioni.
«Un tempo adoravi anche tu il tè. Lo prendevamo insieme in salone alle cinque in punto, come gli inglesi. Ti piaceva tanto mangiare cibo salutare, leggere… e il tuo pregio migliore era la tua incredibile sensibilità, nascosta dietro quella maschera da duro che solevi mettere».
Appena l’interessato riappoggiò il bicchiere vuoto sul bancone con sguardo più intorpidito che mai, lei aggiunse: «Adesso quella maschera non c’è più. Ti sei trasformato in una persona menefreghista che dice le cose in faccia alle persone senza prima riflettere. Ti stai deperendo perché mangi poco e niente; sfoghi le tue frustrazioni in quelle bevande, convinto che possano ridarti le forze. Stai facendo esattamente come me e il mio defunto migliore amico, prima di ridurci in questo stato!».
Detto ciò, indicò il suo braccio sperando che l’amico potesse degnarla di uno sguardo; invece non osò girare la testa e rimase assorto nei suoi pensieri.
Allora Senritsu, presa da un sentimento di compassione, si avvicinò al ragazzo e, toccando con una mano il suo mento, gli girò la testa, obbligandolo ad incrociare il suo sguardo.
«So che mi stai ascoltando! Io non voglio che tu faccia la nostra stessa fine. Lascia queste abitudini: ti sentirai meglio!», gli disse cercando di regalargli un sorriso tranquillo.
 
 
 
All’improvviso sentì una mano di Kurapika allontanargli bruscamente la sua.
«Taci», fu l’unica risposta tagliente che seppe darle. La giovane perse un battito.
«Come la fai facile! Non ci vuole molto a consigliarmi dei buoni propositi, quando in realtà non hai mai provato ciò che sto provando io».
«I-In che senso…?», chiese lei sconcertata.
«Tu non sai cosa significa quando qualcuno ripone in te tutte le speranze e non puoi tirarti indietro. Non sai come ci si sente ad essere privato di tutti i possibili divertimenti che un ragazzo della mia età dovrebbe vivere; ti senti già un adulto con mille responsabilità sulle spalle. Tu non sai cosa vuol dire fare vita notturna, avere a che fare con persone poco affidabili e avere ancora impressa nella testa quella maledetta solitudine e voglia di vendetta, le quali stanno straziando il mio cuore!».
La ragazza ascoltava inorridita quelle parole. Lo sguardo di Kurapika rimaneva freddo come il ghiaccio, ma il suo cuore batteva con ritmo malinconico e d’odio. La cosa le diede un senso terribile d’angoscia.
«Non sai ancora niente di me, perciò è meglio che non sprechi fiato per farmi la predica», concluse poi tornando a guardare dall’altra parte.
 
 
 
 
La giovane tornò a sedersi senza poter ribattere ciò che aveva detto, mentre la tristezza cominciava ad impadronirsi del suo cuore.
Come negarlo: Kurapika era molto più maturo rispetto alla sua età e sembrava aver vissuto chissà quali avvenimenti. A causa di quel durissimo lavoro che svolgeva tutte le notti, era costretto a stare in piedi pur sentendo che il suo corpo lo stava per abbandonare. Così cominciò a fare uso di alcolici, certe volte molto forti, per farlo stare meglio o, secondo lui, dargli la grinta giusta per affrontare gli incarichi.
Senritsu fu la prima a scoprirlo perché lo trovò una sera in un bar completamente ubriaco e chiese l’aiuto di Basho per riportarlo a casa. Da quel momento non si tolse più il vizio: cominciò a bere più del dovuto e a mangiare poco, cosa che lo stava facendo dimagrire sempre di più, di giorno in giorno.
L’unica cosa da cui era riuscito a salvarsi era il fumo; nonostante tutti i suoi compagni tranne Senritsu fumassero, lui aveva ancora un po’ di buon senso per rifiutare quest’altro supplizio. Purtroppo, quando non beveva qualcosa ogni giorno, il biondo diventava improvvisamente isterico e senza la capacità di ragionare; per questo motivo Senritsu non poteva fare niente per lui, tranne soffrire in silenzio.
 
 
 
 
A rompere tutt’ad un tratto quella tensione fu il cellulare di Kurapika che stava squillando. La mora guardò il suo orologio e disse: «Non sono neanche le sette! E’ impossibile che sia il capo».
«Lo scopriremo subito», rispose l’altro premendo il tasto verde, «Pronto?».
 
«Ehilà, Kurapika!», urlò la voce di un bambino.
«… Gon!», esclamò il Kuruta sorridendo lievemente. L’amica notò che il suo battito cardiaco
cambiò ritmo: divenne più tranquillo e meno freddo.
«Ti ho disturbato? Stavi lavorando?».
«No, ho la mattina libera. Inoltre è domenica!», fece notare.
«Giusto, sennò anche noi saremmo impegnati!».
«Beh, cosa succede?».
«Sono con Killua e Leorio al parco. Ti va di unirti a noi?», chiese speranzoso.
«Volentieri! C’è anche Sen con me».
«Senritsu, dici? Ok, porta anche lei! Più siamo, meglio è!».
«Va bene. Dateci qualche minuto e siamo da voi».
 
 
Appena chiuse la chiamata, si alzò dalla sedia e fece per dirigersi alla cassa. Senritsu però lo fermò.
«Ehi, chi era?».
Il Kuruta la osservò per un secondo, poi si mise a ridere dicendo: «Dai, Sen, mi prendi in giro? Ho nominato Gon e inoltre con le tue capacità non puoi non averlo capito!».
«… Certo, era per metterti alla prova», rispose mentendo. Infatti gli aveva fatto quella domanda solo per capire se fosse ancora arrabbiato.
«Ora vado io a pagare tutto, poi ti racconto», concluse allontanandosi.
La giovane però aveva anche capito quali erano le intenzioni dei suoi amici. Tornò ad osservare il Kuruta mentre pagava e ripensò a tutte le sue reazioni. Aveva appena avuto una discussione con lei, ma dopo la chiamata di Gon aveva percepito dei sentimenti più sereni provenire dal cuore del biondo. Ebbe la sensazione che l’amico non si sarebbe mai potuto riprendere, se non fosse stato per l’intervento del moro.
La sua presenza lo faceva sentire a disagio? Lo aveva forse giudicato troppo e troppo male? La ragazza riconosceva di aver avuto in quel momento uno scoppio d’ira, però si stava trascinando quei sentimenti da molto tempo.
Aveva fatto sapere della sua presenza a Gon, ma lei sentiva che, se lo avesse seguito, sarebbe stata solamente di poca importanza; loro erano i suoi amici, erano un gruppo… e lei non c’entrava niente.
Quei pensieri le causarono un’improvvisa morsa allo stomaco.
 
 
 
 
Il Kuruta tornò.
«Scusa se ti ho fatto aspettare: c’era fila».
«Non ti preoccupare».
«Tornando al discorso di prima, Gon ci ha chiesto di…».
Non riuscì a finire la frase perché Senritsu mise una mano davanti a lui.
«So già tutto: ho sentito anche questo».
«… Allora possiamo andare?».
Ci volle un po’ prima che lei rispondesse.
«No, Kurapika. E’ meglio vada tu da solo».
«E perché?», chiese l’altro sorpreso.
«Beh, preferisco girare la città, piuttosto che restare al parco», gli spiegò cercando di essere convincente.
«Chi ti ha detto che dobbiamo rimanere lì? Possiamo anche passeggiare, se vuoi».
«Dico sul serio: non fa niente. Vai senza di me».
La giovane fece per girarsi, quando il Kuruta le afferrò un braccio per farla voltare.
«Cosa succede?», si limitò a chiederle.
Giunti a quel punto, Senritsu sentì che non poteva e voleva più mentirgli. Così si girò e gli disse: «Sai… credo che ti diverta di più con i tuoi migliori amici, anziché provare ad essere diverso anche con le altre persone».
Dal viso del biondo si poteva notare un filo di stupore.
«E’ la verità! Non penso abbia passato una buona mattinata. Ho notato che stare con loro ti aiuta a sfogarti meglio», continuò, «Ora è meglio che tu vada. Non vorrai farli aspettare!».
 
 
Kurapika divenne improvvisamente cupo: ricordare la loro discussione l’aveva aiutato a capire il motivo del comportamento della ragazza. In fondo lei non aveva tutti i torti…
«Sì, forse hai ragione», concluse poi rimettendosi il portafoglio in tasca.
Superò Senritsu fino a raggiungere l’uscita della caffetteria.
«A più tardi», fu l’unico saluto freddo che seppe darle prima di andarsene.
La mora però era abituata alle sue nuove maniere; ormai non riuscivano più a capirsi, era tutto inutile.
Dopo aver aspettato qualche secondo, uscì dal luogo e prese la strada opposta a quella del biondo.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Intanto al parco Gon, Killua e Leorio stavano aspettando il loro amico seduti sotto un albero. Leorio stava leggendo un giornale, Gon e Killua stavano mangiando dei gelati al cioccolato.
«Ehi, Gon, hai preso una coppa anche per Kurapika?», chiese Killua.
«… Q-Quale coppa?», domandò l’amico confuso.
«… Quella in cui conservi i tuoi ultimi neuroni. Potevi prendere un gelato anche per lui, no?».
«Cavoli, non ci ho pensato!», sbottò il moro.
«Poi dicono che quello egoista sono io…», mormorò il suo coetaneo.
«Leorio, sei tu che mi hai accompagnato in gelateria. Dovevi ricordarmelo!», lo rimproverò.
«Vi ricordo che Kurapika detesta i dolci», rispose continuando a fissare la prima pagina del quotidiano.
«E allora? Non è giusto essere a mani vuote!», ribatté Gon.
«Vi ricordo che non lo vediamo da appena tre giorni», continuò a dire il più grande, «Non sta tornando da una guerra».
«Beh, con il lavoro che fa…», precisò Killua.
«Facciamo che gli darò metà del mio gelato; ho preso anche il cono! Spero non mi schiferà».
«Sai, Gon, che quella è la causa di molte malattie?», gli spiegò Leorio.
«Traducendo ciò che ha detto il nostro medico, non credo che a Kurapika farebbe piacere terminare metà cono mangiucchiato con residui di cioccolato e saliva sopra», continuò Killua.
«Uffa, siete cattivi!».
 
 
 
 
Quando Leorio alzò per un attimo lo sguardo dal suo giornale, riuscì a scorgere il viso del Kuruta in lontananza.
«Eccolo!».
«Davvero? EHI, SIAMO QUI! CI VEDI?», cominciò ad urlare Gon agitando le braccia.
«Salva noi, che siamo su quest’isola deserta da qualche anno! Detesto le noci di cocco, voglio una pizza!», proseguì Killua scherzando.
«Smettila di prendermi in giro!».
 
 
 
 
Quando il biondo li raggiunse, questi ultimi videro che stava sorridendo.
«Che c’è?», gli chiese Gon.
«Senza i tuoi segnali di fumo non sarei mai riuscito a trovarvi», rispose ironicamente.
«Hehe, è una dote naturale!», concluse l’altro stando al gioco.
«E a noi non saluti?», sbottò Leorio, piombandogli addosso insieme a Killua e facendolo cadere in mezzo all’erba.
«Ma cosa…?».
«Ciao!», lo salutò Killua.
«Resta seduto e non fare l’antipatico!», continuò Leorio.
«Va bene, va bene… e ciao anche a voi, eh?».
 
 
Ecco un altro dei punti deboli di Kurapika: i suoi migliori amici. Sono loro che riuscivano sempre a trasformare una sua giornata particolarmente faticosa in una anche divertente. Capivano ogni suo problema solo guardandolo in faccia. Lui non riusciva proprio a rimanere serio con loro; era come se lo costringessero inconsciamente a tornare come prima, anche solo per un’oretta.
Non avrebbe saputo come fare se non li avesse avuti sempre accanto.
 
 
«Scusaci se non ti abbiamo portato niente da mangiare!», disse Gon finendo il suo gelato.
«Non avrei accettato comunque nulla: sono già stato in una caffetteria con Sen».
«Giusto, manca lei! Perché non è venuta?», gli domandò Killua.
«Si è ricordata che deve fare una commissione urgente», mentì.
«Quindi anche tu hai mangiato un gelato prima di raggiungerci?», chiese il piccolo moro speranzoso.
Il biondo lo osservò per un attimo, poi, abbozzando un sorriso malinconico, rispose: «No, Gon. Ho preso ben altro».
«… Altro?».
Kurapika continuò a rimanere in silenzio, fino a quando si accorse che Leorio lo stava letteralmente scrutando dalla testa ai piedi.
«Cosa c’è?», gli chiese infastidito.
«Non hai una bella cera. Sei molto pallido».
Il giovane gettò la testa all’indietro sospirando.
“Ci risiamo…”, pensò esasperato.
«E stai anche tremando!», concluse il più grande con tono serio.
Quest’ultima affermazione stupì il biondo, tanto da tornare ad osservare l’amico e quasi urlargli: «Che diavolo stai blaterando?!».
«Guardati le mani».
Era tutto vero. Leorio non si stava sbagliando: il ragazzo aveva queste ultime tremanti assieme alle braccia, ma lui finora non se n’era accorto. La cosa lo lasciò incredulo.
«Sii sincero. Hai bevuto ancora una volta?».
Gon e Killua osservarono l’interessato in attesa di una risposta.
 
 
«… E anche se fosse? Mi vuoi forse arrestare?», chiese il biondo gettando uno sguardo gelido al moro. Quest’ultimo aveva assunto un’espressione preoccupata nei confronti dell’amico.
«Sei un testone!», cominciò a dirgli, «Non vedi gli effetti che ti stanno causando quegli alcolici?».
«Che lagna, Leorio! Tu sei la terza persona che mi rimprovera stamattina. E’ proprio necessario fare il medico rompiscatole anche il fine settimana?», sbottò il giovane con un’espressione parecchio seccata.
«Se è per il tuo bene, sono pronto a farlo».
«Ma cosa vuoi insegnarmi? Hai smesso di ingerire quelle bevande solo un anno fa. Pensi davvero che possa imparare qualcosa da te?», lo fece riflettere con una punta d’irritazione.
«Ho molta più esperienza di te in queste cose. Inoltre ricorda che io sono riuscito ad uscire da questo vizio, mentre tu sei ancora all’inizio dell’incubo!», gli rinfacciò il moro.
 
 
«Kurapika…», si intromise Gon, «Io non ho mai avuto questo problema, però, da quanto ho sentito, quelle cose fanno molto male alla salute. Ti consiglio di farne a meno!».
«Beata ingenuità…», cominciò a dire il Kuruta, «Si vede che sei ancora troppo piccolo per capire. Smettere da un giorno all’altro è come riuscire a sollevare un peso di cento chili in poco tempo. Non hai idea di quanto ne abbia bisogno, soprattutto in questo periodo».
 
 
Sia Gon che Leorio rimasero colpiti dal suo atteggiamento: era totalmente cambiato nel modo di ragionare e nel modo di rispondere alle persone.
Loro non riuscirono a dire niente, mentre Killua, per sviare un po’ il doloroso argomento, si limitò a chiedergli: «Quindi in questi giorni stai lavorando parecchio?».
Kurapika capì le sue intenzioni e fu ben felice di seguire l’amico.
«Le cose che faccio sono rimaste sempre le stesse che voi sapete. Il problema è che, siccome il mio capo sta iniziando a farsi conoscere, esse sono diventate più difficili da svolgere».
«Ti capita di lavorare anche qualche notte?», chiese Leorio.
«Tutte le notti», precisò.
«Non vorrei essere nei tuoi panni…», confessò Gon.
«Adesso capite perché sono così? E’ vero che ho scelto io di fare questo lavoro, è vero che il capo ha fiducia in me… ma deve capire che non sono fatto d’acciaio».
I tre osservarono il ragazzo dispiaciuti.
«Mi dispiace se mi comporto così, ma sto male anch’io. Vorrei stare di più con voi, però questo lavoro me lo impedisce», concluse abbassando lo sguardo fino a vedere le sue mani, le quali avevano iniziato a tremare di meno.
Sentì successivamente una mano di Leorio toccargli la sua spalla. Risollevò lo sguardo e vide gli altri sorridere.
«Il Kurapika che conosciamo non si arrende facilmente. Anzi, ti ho sempre considerato un tipo cocciuto!», disse Killua.
«E’ vero che ci stiamo vedendo di meno, ma la nostra amicizia è e rimarrà sempre salda!», affermò Leorio.
«Ricordati che, se hai bisogno d’aiuto o di rilassarti, ci siamo noi!», concluse Gon.
«… Vi ringrazio», rispose il Kuruta sentendo una gioia profonda invadergli il cuore.
 
 
«Gon, guarda che non potremo essere sempre disponibili: c’è la scuola in mezzo!», gli ricordò Killua.
«Accidenti, è vero!».
«Ed io ho il mio lavoro…», aggiunse Leorio sbuffando.
«A proposito… Gon, Killua, raccontatemi tutto sulla scuola. Come vi sembra?», si interessò il biondo.
«E’ come tutte le comuni scuole: è noiosa, fa schifo, le maestre sono tutte zitelle, ci riempiono di compiti…», descrisse negativamente lo Zaoldyeck.
«Killua…», lo fermò Kurapika ridendo.
«Non esagerare. E’ bello studiare: si imparano un sacco di cose!», ribatté Gon.
«Ha parlato il “secchione” che prende il massimo dei voti in educazione fisica ed è negato in matematica…».
«Non la capisco. Invece la maestra di ginnastica è davvero atletica!».
«E’ logico: ti sei preso una cotta per lei!».
«Bugiardo!».
 
 
A fermare il litigio fu Leorio, il quale disse: «Avete offeso Kurapika. Lui adora la matematica».
«Non fa niente», rispose il giovane. Poi propose a Gon: «Se hai difficoltà in quella materia, posso darti una mano».
«Lo faresti davvero?», sbottò il moro con gli occhi lucidi, «Beccati questo, Killua! Ora ho un insegnante privato ed è anche Kurapika!».
«Approfittatore! Già lui ha i suoi problemi; ti ci vuoi mettere anche tu?», lo sgridò.
«Beh, per aiutare degli amici… posso tentare di farmi concedere un po’ di tempo libero durante la settimana», li rassicurò.
«Grazie infinite!».
 
 
 
 
Ormai tutti e quattro si erano stabiliti a Tokyo.
La motivazione di Gon e Killua era istruirsi a sufficienza prima di intraprendere qualsiasi altro viaggio difficile come Hunter. I due si erano iscritti in un istituto privato, dedicato a tutti i bambini che fino ai tredici anni non avevano avuto l’occasione di studiare.
La scuola era molto costosa; per questo motivo i due erano stati assunti come badanti di ben cinque bambini di una famiglia molto ricca. Lavoravano tre pomeriggi a settimana e li pagavano con i soldi necessari che servivano alla scuola.
Invece Leorio si era diplomato in medicina e lavorava come un principiante aiutante di un pediatra. Lo pagavano bene, però avrebbe voluto fare di più anche per le persone più grandi. Per questo aveva deciso che, quando avrebbe avuto più tempo, sarebbe andato all’università per studiare seriamente e salire di livello.
I tre vivevano in un appartamento che avevano affittato; Gon e Killua alloggiavano al quarto piano e Leorio al quinto.
Riuscivano a vedersi poco con Kurapika perché tutti e quattro avevano degli impegni parecchio pesanti.
 
 
 
 
«Ragazzi, vi va di camminare un po’? Detesto stare fermo», propose Killua annoiato.
«Ci sto. Magari incontreremo Sen!», fece notare Gon, «Leorio, Kurapika, cosa ne dite?».
I due fecero cenno di sì con il capo; così i quattro corsero via dal parco.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
 
 
Intanto, seduta sugli scalini della grande fontana della piazza, c’era Senritsu. Teneva la testa appoggiata su una piccola ringhiera ed era completamente assorta nei suoi pensieri.
Lei stessa si considerava noiosa perché non riusciva a pensare ad altro se non a Kurapika. Non poteva fare a meno di riflettere sul perché si stesse comportando così con lui… e non capiva il motivo per cui il giovane fosse così freddo con lei.
 
 
Chiuse gli occhi e lasciò che i ricordi le tornassero alla mente come un’unica folata di vento.
Ricordò la prima volta in cui lo aveva incontrato dopo quel tragico avvenimento della sonata oscura. Stavano viaggiando su un treno in prima classe verso York Shin. Entrambi avevano la stessa meta, ma ancora non lo sapevano.
Ella stessa aveva detto:- *Stesso viaggio, stesso destino*- e aveva ragione.
Ricordò che le avevano casualmente dato il posto vicino a Kurapika. Per via della sua bassa statura non riusciva a posare la sua valigia sopra il sedile e fu in quel momento che lui l’aiutò.
Quando si risedette, lei poté scrutarlo meglio: doveva essere un ragazzo sui sedici o diciassette anni. Non poteva essere di origini giapponesi, infatti era biondo e con gli occhi color azzurro cielo. Era vestito in modo strano, ma a catturare la giovane fu quello sguardo determinato e il ritmico battito del suo cuore. Era una melodia lenta ma terribilmente fredda.
 
 
-*Scusa, posso chiederti dove stai andando?*-, gli aveva domandato timidamente.
-*Perché lo vuoi sapere?*-.
-*Sai, penso sempre al detto che, chi viaggia in compagnia di qualcuno, di solito quelle persone sono destinate a rincontrarsi. Tu ci credi?*-.
-*No*-, era stata la sua quasi acida risposta.
La giovane stava per rinunciare al tentativo di fare la sua conoscenza, quando entrò il controllore e chiese il biglietto del compagno. La ragazza si meravigliò nel vedere che l’interessato aveva un’autentica licenza di Hunter. Le preoccupò molto l’espressione che fece il signore e i suoi sospetti erano fondati: quell’uomo aveva successivamente chiamato una squadra di ladri professionisti per rubargli la licenza.
Lei riusciva a sentire tutte le loro conversazioni e aveva paura. Fu costretta ad interrompere il Kuruta mentre leggeva e a raccontargli tutto.
Come se lo avesse informato di una futile cosa, il biondo non si scompose; anzi, le assicurò che non avrebbe creato disturbi e che avrebbe risolto in un attimo la faccenda.
 
 
Accadde tutto in qualche secondo: dalla sua mano gli comparve una lunga catena e con una veloce mossa del braccio ferì tutti gli assalitori, privandoli delle armi. Gli intrusi furono costretti a fuggire e lui tornò a sedersi come se niente fosse successo.
La giovane rimase allibita: doveva proprio essere un genio nel combattimento. Inoltre l’aveva protetta.
Lei non riusciva a credere che fosse una persona senza cuore e ne ebbe la prova quando, dopo aver scoperto che dovevano lavorare insieme, lui le raccontò una sera il suo triste passato. Capì che le loro storie erano molto simili: nutrivano entrambi dei sentimenti di vendetta e avevano bisogno di un conforto reciproco.
 
 
Da quel momento erano diventati inseparabili. Quando lui stava per perdere il controllo, era triste o stava male, lei cercava sempre di farlo sentire a suo agio, magari suonandogli qualche melodia. Quando lei era giù di morale, bastava un suo sorriso per rallegrarla.
 
A furia di passare tutto quel tempo insieme e avendo l’occasione di conoscerlo più a fondo, la ragazza riconobbe di aver sviluppato un sentimento un po’ più forte verso di lui. Non era sicura che fosse molto più di una semplice amicizia, ma l’affetto e la voglia di proteggerlo erano vivi nel suo cuore, soprattutto ora che era in quello stato.
Il punto era che, per via dei problemi che stavano venendo alla luce in quel periodo, i due non riuscivano ad avere un dialogo: lei era troppo piena di rimorsi e preoccupazioni, lui era diventato più solitario ed incapace di ascoltare i consigli degli altri.
 
 
Perché quel ragazzo le stava così tanto a cuore? Le ricordava semplicemente il suo vecchio amico? Voleva solo insegnargli come prendere la vita… o c’era qualcos’altro?
Le parole taglienti che le aveva rivolto prima le tornarono di nuovo alla mente e questa volta fu difficile reggerle.
 
 
-*Taci. Tu non hai mai provato ciò che sto provando io*-.
 
-*Sei privato di tutti i possibili divertimenti*-.
 
-*Ti senti un adulto con mille responsabilità sulle spalle*-.
 
-*Non sai cosa vuol dire avere impressa quella maledetta solitudine e voglia di vendetta che stanno straziando il mio cuore!*-
 
-*Evita di sprecare fiato per farmi la predica*-.
 
-*Non sai ancora niente di me!*-.
 
 
-*Taci…*-.
 
 
-*TACI!*-.
 
 
 
 
Bruciore. Tutt’ad un tratto sentì un terribile bruciore agli occhi. Si alzò in piedi e chinò la testa all’indietro per ricacciare dentro le lacrime che sarebbero state prima o poi prossime a scendere. Cercò di svuotare la mente da quei pensieri che lei stessa considerava esagerati.
“Basta rimuginare. Sono sicura che non gli sarà importato niente di ciò che è successo”.
Decise di prendere la strada verso la villa con l’idea di chiedere il permesso al capo per riposarsi fino all’ora di pranzo.
 
 
La giovane lasciò la piazza proprio nel momento in cui giunsero Kurapika e i suoi amici.
 
 
 
 
*****



Mezzogiorno passò e vennero le tre del pomeriggio. La pioggia aveva ricominciato a farsi sentire, ma era molto meno fitta rispetto a quella precedente. Non era comunque consigliabile uscire di casa per via della bassa temperatura.
 
 
Tutti i membri della famiglia Nostrade erano dentro la villa: c’era chi metteva in ordine e compilava delle carte, chi studiava una mappa con tutte le principali vie di qualche quartiere di Tokyo, chi si allenava con le armi e faceva simulazioni.
In particolare Light stava parlando per telefono con il capo Mafia interessato al fantomatico patto che Kurapika e Senritsu avevano fatto con lui all’asta.
«Va bene… Sì, sono d’accordo… A stasera».
Appena riattaccò, chiamò sua figlia Neon.
 
 
L’interessata si precipitò nello studio.
«Cosa c’è? Sai che questa è l’ora in cui mi limano le unghie?», si lamentò.
«Sarò breve, figliola. Questa sera non potrai andare al concerto del tuo gruppo preferito».
«… E perché? Perché non posso?!», chiese con espressione avvilita.
«Devo incontrare Nakamura, uno degli organizzatori dell’asta di ieri. Devo concludere quelle trattative in sospeso di cui ti ho parlato», spiegò.
«Cosa c’entra questo con la mia uscita?».
«Kurapika e Basho verranno con me per sicurezza, mentre le altre guardie del corpo rimarranno nella villa a lavorare. Quindi nessuno potrà accompagnarti, tantomeno le tue cameriere».
«Posso andarci da sola, no?», ribatté la giovane.
«Niente affatto. Fuori fa molto freddo e inoltre alcune persone sanno che sei mia figlia: correresti dei rischi».
Vedendo il viso triste della ragazza, il padre continuò a dirle: «Ti prego, non lamentarti. Se guadagnerò questi soldi, potrai comprarti tutto ciò che vorrai! E’ un’opportunità che non posso lasciarmi sfuggire!». Poi, sollevandole il viso appoggiando una mano sul suo mento, le promise: «Appena il tuo gruppo farà un altro concerto, ti ci porterò io stesso. Su, fammi contento!».
«… E va bene», rispose abbozzando un sorriso.
 
 
Anche Neon era cresciuta; aveva capito che piangere e sbraitare per un permesso negato era inutile e sciocco. Inoltre l’idea di avere più soldi non le dispiaceva affatto.
 
 
«Puoi andare ora», le concesse Light.
«No, aspetta. Adesso mi hai incuriosita!», esclamò la ragazza.
«Riguardo a cosa?».
Dopo aver preso una sedia ed essersi seduta comodamente, lei gli domandò: «Per te… cos’ha di speciale Kurapika?».
Vedendo il volto sorpreso del padre, si spiegò meglio: «Voglio dire… non riesci a fare un discorso senza nominarlo! Lo vuoi sempre affianco, dovunque vada! Eppure… mi sembra un tipo molto solitario. Mi parli di lui?».
 
 
Light osservò per un attimo l’espressione curiosa della figlia, poi finì di mettere a posto alcuni oggetti messi in disordine sulla scrivania e cominciò a dirle: «Sai, lui non è come gli altri. Si sa distinguere nell’intelligenza e razionalità nel fare trattative, nell’agilità nei combattimenti…».
 
«Aggiungerei anche nella bellezza. E’ un vero figo!», sbottò la giovane con sguardo sognante, utilizzando parole che pronunciavano comunemente i ragazzi.
«Neon, sto parlando seriamente!», la rimproverò Light.
«Beh, pure io!», rispose seria in viso.
Allora l’uomo tirò un grosso sospiro, poi riprese: «Dalla prima volta che l’ho visto, ho capito subito di che pasta era fatto. Quando Daltzorne è morto, gli altri non avevano avuto problemi ad eleggere lui. Fu in quel momento che tu mi avevi chiamato, avvertendomi di quella drastica decisione, e subito dopo sentii la sua voce. Mi dettò senza esitare tutti i piani che aveva in mente di mettere in atto. Mi disse che la cosa più essenziale era proteggerti».
«Questa non la sapevo! Che tenero!».
«Parlando di te… quando quel ragazzo di nome Kuroro ti imbrogliò e ti rubò i poteri, lui fu il primo a preoccuparsi di dove potessi essere. Con le sue capacità individuò il luogo preciso dove lui ti aveva attaccata. Siamo riusciti ad arrivare in tempo e a salvarti grazie a lui».
«… Ero stata imprudente quella volta. Meno male che sono sopravvissuta», ammise abbassando il capo.
«Esegue gli ordini senza batter ciglio, non fallisce mai in una missione, mantiene il suo sangue freddo di fronte alla peggiore avversità… Non so spiegarti, è una persona incredibile. E’ come se fosse spinto da un particolare motivo per fare tutti questi sacrifici», concluse compiaciuto.
«Caspita, deve sapere proprio il fatto suo!», affermò la ragazza, «Non vorrei intromettermi, ma… se è così bravo… non credi che dovresti premiarlo?».
«L’ho pagato profumatamente appena è tornato!», rispose il padre sorpreso.
«Non sto parlando dei soldi; anzi, sono sempre e solo quelli la sua ricompensa. Io stavo pensando… a qualche onore importante all’interno della famiglia», specificò la giovane.
 
 
Light rimase qualche secondo a riflettere, poi rivelò: «In realtà… quest’idea mi è già passata per la testa. Fargli fare tutti quei lavori solo come guardia del corpo mi sembra eccessivo».
«Allora cosa aspetti a farlo salire di livello?! Sono sicura che sarebbe onorato di sentire questa notizia!».
«Non è tutto così facile, Neon. Se lo facessi diventare un membro più importante, sarebbe costretto a venire a conoscenza di molti affari segreti che finora non gli ho raccontato. Ho bisogno di rifletterci su», ribatté con un filo di timore.
«Mamma mia, che ansioso! Ingigantisci sempre le cose… Mi sono stufata di ascoltarti; è meglio che vada a farmi le unghie», concluse uscendo imbronciata dalla stanza.
L’uomo però non la fermò. Forse nemmeno si accorse che se n’era andata via.
Continuò a meditare sulle sue parole e su ciò che anche lui aveva pensato qualche tempo fa.
 
 
Venne distratto per qualche secondo dalle voci di Kurapika e Basho, i quali stavano dialogando nella camera di fronte. Fu allora che sospirò e pensò.
“Certo che potrei cambiargli il ruolo; a fare questo non ci metterei niente. Il problema è… che sarebbe costretto ad interrompere definitivamente i contatti con le altre persone al di fuori della villa. Diventerebbe un mafioso a tutti gli effetti e non potrei permettergli di vedersi con coloro che non fanno parte dell’organizzazione. Non so davvero… come la prenderebbe…”.
 
 
 
 
*****
 
 
«Attenta con lo smalto, porca la miseria!...... Questo colore fa schifo. Ne voglio uno molto più brillante!...... No, non mi piace…… HO DETTO DI SMETTERLA!».
 
 
Furono gli insopportabili lamenti di Neon a svegliare la povera Senritsu dal suo riposo pomeridiano.
La figlia del capo doveva essere abbastanza arrabbiata per la faccenda del concerto: stava letteralmente sfogando la sua ira verso le ragazze che le stavano aggiustando le unghie e non era facile sopportarla.
La mora osservò l’orologio della sua camera e vide che erano quasi le sette. Era quasi arrivata l’ora che Light, Kurapika e Basho andassero da quell’uomo.
Aveva fatto appena in tempo a sentire ciò che il capo aveva detto a Neon a proposito di un certo Nakamura, poi era caduta in un sonno profondo.
Le poche nottate che passava fuori la spossavano completamente e non invidiava Kurapika per questo motivo.
Non aveva comunque la sera libera: Light le aveva chiesto di elaborare una mappa dov’erano indicati i principali luoghi di ritrovo dell’importante famiglia mafiosa Murasaki, con la quale avrebbero potuto fare grandi affari.
Perciò si alzò dal suo letto, sistemandosi il vestito e i capelli. Osservò il suo viso ancora assonnato allo specchio e sospirò.
 
 
 
 
Quando volse lo sguardo verso la porta aperta, le parve di vedere il Kuruta passare velocemente per quel corridoio. Allora la ragazza osservò fuori dalla stanza e giunse alla conclusione che non aveva visto male. Il giovane si stava dirigendo verso le scale che portavano al piano terra con il portafoglio in mano. Non aveva ancora indossato i suoi vestiti da lavoro e questo fece venire un brutto presentimento a Senritsu.
Era stato il capo ad avergli dato il permesso di uscire… o lui stesso?
Un pensiero le consigliava di rimanere a riposarsi ancora un po’, un altro le diceva di seguirlo e alla fine l’ultimo prevalse.
Percorse anche lei la lunga rampa di scale fino a raggiungere il ragazzo vicino alla porta d’entrata della villa.
Lui non si era accorto della sua presenza e la sua mano stava per raggiungere la maniglia della porta. Senritsu però non poteva lasciarlo andare via così: doveva sapere.
 
 
«Kurapika!», lo chiamò. Il biondo si girò di scatto e la osservò sorpreso.
«Mi hai fatto prendere un accidente! Che ci fai qui?», le chiese.
«Dove stai andando? Lo sai che tra un po’ devi partire con Light e Basho?», domandò non curandosi del dubbio dell’amico.
Il biondo cambiò improvvisamente la sua espressione in una più seria e girò la testa fino a darle le spalle.
«Tranquilla. Il capo mi ha dato il permesso».
«Per andare dove?», insistette la giovane. Lei temeva… temeva di quello che avrebbe potuto fare.
«A prendere una boccata d’aria…».
«Stai mentendo!», esclamò con tono freddo, osservandogli di nuovo il portafoglio, «Non ti porteresti in giro dei soldi per niente. Non nasconderlo: la verità è…», cominciò a dire mentre la rabbia stava prendendo di nuovo il sopravvento. Perché le stava mentendo? Perché?
 
 
Osservando poi il ragazzo che teneva ormai i pugni serrati, probabilmente perché stanco di aspettare, le sfuggirono delle parole che non avrebbe dovuto dire.
«La verità è che stai andando a fare la stessa fine di quasi tutte le sere: ubriacarti come un ossesso con i tuoi simili!».
Subito dopo si tappò la bocca con le mani, rimanendo disgustata da ciò che aveva appena detto.
Era stata veramente lei a parlare? Si era rivolta davvero in quel modo a lui?
 
 
Un silenzio tombale calò e l’atmosfera divenne tesa. Senritsu sapeva che quelle erano le vere intenzioni del biondo, ma nessuno le dava il diritto di giudicarlo così, essendo soprattutto al corrente di ciò che anche lui stava provando.
Cosa diavolo le stava succedendo?!
 
 
La mora tornò ad osservare il Kuruta, ma lo vide girato e immobile come una statua. Lo sentiva forte e chiaro: questa volta l’aveva ferito.
«Kurapika, io… non volevo dire questo», mormorò abbassando lo sguardo.
 
 
«Senti…», cominciò d’un tratto a dire il biondo. La mora aspettò che finisse la frase con il cuore in gola.
«… Ti costa tanta fatica… farti gli affari tuoi?».
Quella domanda che rivolse con tono sprezzante le fece perdere ogni minima speranza di riappacificarsi con il ragazzo. In altre parole le aveva detto di non volerla in mezzo e di non desiderare il suo aiuto.
«Visto che non hai problemi ad usare la lingua, vai pure a riferire questa cosa al capo. Però… devi lasciarmi in pace».
Riusciva a percepirlo benissimo: i sentimenti del giovane erano all’improvviso cambiati in peggio. Lei sentiva che, se avesse parlato ancora, lui sarebbe scoppiato dalla rabbia. Senritsu stava davvero iniziando ad avere paura.
«Kurapika, mi…», provò a dirgli.
«Non intrometterti ulteriormente… Tu non sei mia madre!», concluse arrabbiato il Kuruta. Aprì la porta e la sbatté quando fu fuori dall’abitazione.
 
 
La ragazza rimase sola… sola ad osservare il pavimento, del quale i colori accesi parevano in netto contrasto con il suo stato d’animo.
Ma perché non era rimasta zitta? Cosa pretendeva di fare? Voleva forse cercare di insegnare qualcosa a Kurapika, come se lei non avesse mai avuto quel genere di problemi in vita sua? Voleva sostituirsi a sua madre? Con quale diritto!
Il Kuruta era nel torto… ma un vero amico non gli avrebbe mai detto quelle cose offensive.
Si rese conto di aver peggiorato la situazione… solo perché lui non le stava dicendo la verità. Si sentiva proprio un’egoista.
Quel ragazzo riusciva a mandarla fuori di testa in qualsiasi momento; non sapeva se considerarla una cosa positiva o negativa.
 
 
I suoi occhi divennero in poco tempo tanto lucidi da impedirle di osservare ciò che le stava intorno; osservarlo… prima di lasciarselo alle spalle, prima di correre via dal quel luogo che le aveva fatto nascere un nuovo brutto ricordo.
Maledisse il suo pessimo carattere, il suo lavoro e quell’inferno di giornata.





*****
 
 
 
 
 
Il bar più vicino alla villa era sempre pieno di ragazzi poco affidabili che andavano lì la sera per bere e magari corteggiare la prima ragazza che passava. Non era il genere di posto che poteva essere frequentato da tutti.
Kurapika preferiva non avere niente a che fare con loro; entrava in quel luogo solo per soddisfare il suo palato, nonostante fosse accaduto che molte giovani ci avessero provato con lui.
Quella sera però non era proprio in vena di scherzare: era infuriato e voleva solo che nessuno si intromettesse nella sua vita. Nient’altro.
 
 
«Cosa ti porto da bere, ragazzo?», disse il barista appena lui si sedette ad un tavolo.
«Un alcolico abbastanza leggero a sua scelta. Faccia presto», ordinò.
 
 
Quando l’uomo si allontanò, il biondo appoggiò le braccia sul tavolo e affondò la testa fra di esse.
Per qualche motivo gli era tornato in mente il volto di sua madre: una donna allegra, solare, testarda, premurosa e con tanta energia nonostante l’età. Inoltre era bionda come il suo caro figlio.
Era strano che i suoi pensieri stessero viaggiando in un passato così lontano; eppure gli pareva di essersela completamente tolta dalla testa. Forse, per quanto si sforzi, non potrà mai riuscire a cancellare un dolore così grande.
Ma lui cinque anni fa era ancora piccolo. Ricordava che faceva lo schizzinoso appena sua madre provava a baciarlo, non voleva il suo aiuto e diceva sempre che era appiccicosa.
Eppure… in quel momento non sapeva neanche lui quanto avrebbe dato per poterla di nuovo abbracciare, chiederle scusa e farla sentire orgogliosa di un bambino ormai diventato adulto che non si dava pace pur di ottenere la giustizia tanto bramata.
 
 
Senritsu, giusto…
Pretendeva di aver capito tutto di lui…
Non assomigliava a sua madre né fisicamente, né caratterialmente…
Il solo pensare all’arroganza della ragazza, con la quale gli aveva detto quelle parole, lo faceva imbestialire.
Con una terribile confusione in testa, chiuse gli occhi e attese la sua bevanda.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Erano le sette e dieci minuti. Light e Basho stavano aspettando il loro compagno nel salone vestiti di tutto punto. Assieme a loro c’erano due guardie che dovevano essere reclutate nella villa dell’altro boss; inoltre Basho stava reggendo una grossa scatola dove c’erano i soldi necessari e un oggetto che risaliva ad un’asta avvenuta un paio d’anni fa.
Il capo osservava spazientito l’orologio e del Kuruta non c’era l’ombra.
«Questo è il suo primo ritardo!», esclamò Basho.
«Ma dove accidenti è andato?! Non è in casa!», si lamentò l’altro.
«Forse Senritsu sa qualcosa: quei due stanno sempre insieme», ipotizzò la guardia del corpo.
«Allora valla a chiamare: ci saprà dire qualcosa».
 
 
Dopo qualche minuto la giovane scese di nuovo per incontrare i loro volti. Voleva riposarsi ancora un po’ nella sua stanza, ma purtroppo doveva prima confrontarsi con un capo isterico.
«Senritsu, sai dov’è andato Kurapika? Saremmo dovuti partire da cinque minuti!».
La ragazza strinse i pugni: doveva nascondergli ciò che l’amico stava facendo… o rivelare tutto per il suo bene? Almeno avrebbe smesso di andare in quei posti e sarebbe stato tenuto più sotto controllo.
 
 
Però era anche vero che confessare quella cosa significava tradire la sua fiducia; allora sì che la loro amicizia sarebbe finita per sempre. Il punto era che si stava facendo sentire molto la sua preoccupazione, poiché pensava al fatto che probabilmente lui avesse già bevuto troppo.
Era meglio dire le cose come stavano… o cercare in qualsiasi maniera di salvaguardarlo?
L’egoismo alla fine non prevalse e cercò di inventarsi qualcosa per giustificare la sua assenza.
 
 
«Ehi, Sen! Non vogliamo fare la muffa», l’avvertì Basho.
«… Mi ha detto che… è andato a prendere l’auto in cortile. Non vuole che prendiate freddo», disse cercando di sorridere.
«Beh, ci sta mettendo troppo tempo. Sei sicura?», le chiese Light.
«Ma certo! Il fatto è che le sta dando una ripulita interna, poi sarebbe passato a prendervi», rispose cominciando a sentire la tensione crescere.
«Allora il ritardo è giustificato!», affermò Basho sollevato.
«E in più ci porterà lui stesso alla villa di Nakamura! Che bel gesto da parte sua!», aggiunse il capo.
 
 
Senritsu perse il sorriso. Si ricordò che, se l’amico fosse stato costretto a guidare, sarebbe stato pericoloso per lo stato in cui si trovava. Si era appena data la zappa sui piedi e non poteva più tornare indietro.
«Sen, tutto ok?», le chiese Basho, «Sei sbiancata!».
«No… cioè… sì», balbettò terrorizzata. C’era solo una cosa che poteva fare in quel momento, ma doveva contare soprattutto su Kurapika.
«Scusate, mi sono dimenticata di fare una cosa. Aspettatemi qui!», disse e corse subito in camera sua, chiudendo la porta e prendendo il suo cellulare.
Digitò velocemente il numero del ragazzo e aspettò la sua risposta.
 
 
 
 
Il telefono del biondo cominciò a squillare contemporaneamente. Appena finì di bere il suo secondo bicchiere di vodka, rispose alla chiamata: «Pronto?».
«… Sono Sen», disse la giovane.
«Cosa vuoi?».
«Ti piace tanto prendertela con comodo? Muoviti a tornare perché ti stanno aspettando!».
«Che aspettino! Qualche minuto di ritardo non nuoce a nessuno».
«Beh, io ti avverto che ho giustificato la tua assenza con il fatto che eri andato a prendere la macchina, che l’avresti pulita dentro e che avresti guidato tu. Spero non abbia bevuto troppo…», spiegò.
«… Per fortuna no! Che diamine, non avevi una scusa migliore?».
«Mi dispiace se la mia idea non è di tuo gradimento. Ti prego di accontentarti e di tornare subito alla villa!».
«… Sì, scusa», ammise d’un tratto il biondo cercando di calmarsi. La rabbia che aveva per il litigio in quel momento non serviva proprio a niente e non gli conveniva pensarci ancora.
Aspettò qualche secondo, poi le disse: «Sen…».
«… Sì?».
«Grazie per avermi coperto», concluse prima di mettere giù la chiamata.
 
 
Il cuore della ragazza cominciò a battere velocemente. Sentì una gioia crescere interiormente sempre di più. Sembrava che il Kuruta non ce l’avesse più così tanto con lei.
Era vero che avrebbe continuato ad andare in quei locali, ma lei era fiduciosa che un giorno avrebbe smesso con quelle abitudini. Lo sentiva.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Kurapika, all’insaputa di Senritsu, aveva già pensato all’abbigliamento. Quando raggiunse l’auto nel cortile, dopo aver corso parecchio velocemente, cominciò a sbottonarsi la camicia che indossava. Sotto i suoi indumenti aveva già indosso la sua divisa nera formata da pantaloni e giacca; la cravatta era rossa.
Si sedette al posto di guida e trovò al lato una bottiglia d’acqua. Si inumidì il viso per svegliarsi del tutto; si bagnò i capelli e se li tirò indietro, siccome non aveva avuto il tempo di curarseli prima. Subito dopo prese dell’acqua di colonia contenuta a destra del cruscotto e ne spruzzò un po’ in tutta la macchina per dare un’idea di pulizia.
Fu allora che mise facilmente in moto quest’ultima, poiché Light si dimenticava sempre di chiuderla e di portarsi la chiave, e si diresse verso l’ingresso della villa.
 
 
Dopo circa due minuti Light e gli altri sentirono il rumore di un clacson, così si precipitarono subito fuori dall’abitazione. Di fronte a loro era parcheggiata l’auto guidata da Kurapika.
«Finalmente, dannazione!», sbraitò il capo.
«Perdoni il ritardo. Come può vedere, però, ho messo l’auto in perfette condizioni», gli fece notare.
«Lecchino!», disse Basho facendogli l’occhiolino.
 
 
«Ehm, Kurapika?», lo chiamò d’un tratto Light.
«Dica».
«Quei vestiti sono tuoi o sbaglio? », chiese indicando questi ultimi piegati e messi sul sedile posteriore.
L’espressione sorpresa del biondo fece ridere Senritsu. Nonostante la situazione fosse diventata abbastanza grave, non riusciva a non vedere questa come una scena anche comica.
Aveva immaginato che Kurapika si fosse cambiato in auto, ma lui come avrebbe potuto spiegarlo al capo?
Il Kuruta invece stava pensando ad una scusa intelligente per sviare la situazione, ma la faccia stranita che Basho gli stava rivolgendo non lo aiutava di certo.
 
 
«Kurapika?».
Era proprio in un bel guaio. Per la fretta si era dimenticato di nascondere i suoi vestiti in un posto più sicuro.
 
 
«Mmh… a quanto pare Kurapika non è stato solo qui dentro!», esclamò Basho dando all’interessato una pacca sulla spalla.
Il biondo lo fulminò con lo sguardo: cosa diamine aveva capito?!
«Potresti darci una spiegazione?», chiese il capo incuriosito.
«… Va bene, vi dico la verità. Sono passato dalla sarta prima che chiudesse», s’inventò cercando di mantenere il suo atteggiamento freddo.
«Oppure è la sarta ad essere passata da te?», chiese Basho divertito.
«Come mai?», domandò Light.
«Dovevo ritirare quei vestiti. Mi ha dovuto accorciare le maniche perché erano troppo lunghe. I pantaloni erano corti ma, siccome avevano già l’orlo, non ha avuto problemi ad allungarmeli», spiegò.
«Mi sa che non ti ha allungato solo i pantaloni…», s’intromise di nuovo l’amico.
Fu in quel momento che Kurapika lo trascinò a sé, prendendolo per il colletto della giacca.
«Tappati il culo, Basho», sussurrò rivolgendogli un’occhiata gelida.
«Tranquillo, non te la rubo».
Il Kuruta stava per perdere seriamente la pazienza, quando Senritsu si avvicinò a loro.
«Basho, dopo ti spiegherò tutto», lo avvertì per fargli smettere di dire battute.
«Di cosa state parlando?! Non sto capendo più niente!», sbottò il capo esasperato, «Kurapika mi ha già detto tutto, quindi non è necessario che voi due vi intromettiate».
«Ci scusi», dissero Basho e Senritsu in coro.
«Adesso, Senritsu, torna dentro e fai i lavori che ti ho detto. Tu, Kurapika, portaci da Nakamura; non vorrei perdere altro tempo», concluse asciugandosi la fronte sudata con un fazzoletto.
«Ricevuto».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Nella zona dove si trovava la villa dell’altro boss mafioso era iniziato il maltempo con pioggia fitta e maestrale.
Dalla finestra dell’ultimo piano si intravedeva una luce fioca.
All’interno di quella stanza c’era un piccolo tavolo ad ellisse dov’era seduto Nakamura con altri capi Mafia della città. Pareva che stessero discutendo su faccende molto importanti, infatti…
 
 
«Quel pezzente di Light sta rovinando tutti i nostri piani!», affermò Satoshi, una persona molto irascibile ed orgogliosa.
«Sotto quella faccia da santo si nasconde un figlio di buona donna!», continuò Kagamine, uomo testardo e combattivo.
«Andateci piano con gli insulti: non serviranno a niente», ribatté Shijo dal carattere riflessivo e razionale.
«Fate silenzio, per favore!», cercò di calmarli Nakamura battendo due volte la mano sul tavolo, «Light potrebbe arrivare da un momento all’altro e non voglio che ci senta».
«Parleremo più piano», promise Kagamine.
Allora l’altro riprese il discorso, appoggiando il mento sulle sue mani incrociate.
«La situazione è molto seria. Non è passato neanche un anno… e Light sta guadagnando popolarità di giorno in giorno. Riesce sempre ad ottenere qualcosa in un modo o in un altro».
«Ti ha anche ricattato, no?», chiese Shijo.
«Sì, ma ho accettato perché era un buon affare anche per me».
«I mafiosi dovrebbero aiutarsi a vicenda, però lui vuole fare tutto da solo!», si lamentò Satoshi.
«Ma è riuscito comunque ad incamerare molti beni».
«Lo aiuta molto anche quel ragazzo biondo che ha reclutato. Credo si chiami Kurapika», aggiunse Kagamine.
«Quanto odio quel bastardo! E’ riuscito a far scoprire uno dei miei uomini durante uno scambio di stupefacenti notturno! Lo voglio morto!», rivelò Satoshi.
«Devo ammettere che è bravo a lasciare il segno, nonostante non sia un veterano. Inoltre è troppo intelligente e calcolatore per i miei gusti: ci darà del filo da torcere», commentò Shijo.
 
 
«Cari miei… la soluzione mi sembra solo una, la quale potremo discutere meglio alla prossima riunione», cominciò a dire Nakamura per chiudere in fretta il discorso.
«E quale sarebbe?», chiese Kagamine incuriosito.
«Svegliati, idiota! La cosa da fare è tentare di allontanare quei maledetti da Tokyo, mi sembra ovvio», ipotizzò Shijo.
 
 
«No… non solo da Tokyo…», lo corresse Nakamura con un sorriso malefico stampato in faccia, «… da tutto il Giappone».
 
 
 
 
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RETTangolo dell’autrice:
 
Perché ho postato questa storia? Perché ho appena mostrato all’Italia il frutto di mille seghe mentali derivate dalla visione di “Man in Black”, “Una mamma per amica” e una buona dose di “C’è posta per te”?
Per chi non mi dovesse conoscere, sono da sempre stata un’appassionata di storie comiche. Stavolta mi sono cimentata in una fan fiction triste dedicata al fantastico Kurapika!
All’inizio la facevo leggere solo al mio migliore amico; un bel giorno però, entrando nel fandom di HxH, sono stata colpita da una palla di fieno vagante…
Insomma, non c’è lo sprint di un tempo! ò.ò Ho postato la mia schifezza per dimostrare che tengo molto alla vitalità del fandom.
Prima di entrare nel panico per le vostre opinioni, volevo precisare alcune cose relative solo al capitolo (il resto lo scoprirete strada facendo).
Senritsu in questa storia è una ragazza di 20 anni. Ha ancora lo stesso aspetto che si vede nell’anime, ma Togashi non ci ha mai detto la sua età. Spero sia veramente giovane!
Per la questione delle coppie, posso dirvi che… non è tutto come sembra. Ci saranno delle sorprese (belle o brutte, non posso dirvelo)!
Su Kurapika vi dico che ho deciso di renderlo più riservato e con vari problemi per rendere più verosimile la cosa. Il segreto è mettersi nei panni dei personaggi. Potrei sembrare antipatica, ma avrei fatto la stessa cosa se fossi stata al suo posto.
Gon e gli altri avranno un ruolo importante proprio quando si ingigantiranno le cose. Hehe…
Nakamura… inutile dirlo… è un bastardo! Lui è lo strumento dove io posso dare sfogo alla mia vena maledettamente pazza e le cose che farà ai Nostrade e a Kurapika saranno innumerevoli.
Infine, tanto per rompervi ancora un po’, voglio raccontarvi una cosa che mi ha fatto piegare in 12 dalle risate! xD
Nella parte dove Kura sfoggia tutto il suo charme nel lucidare l’auto del capo, avevo saltato su Word una riga e avevo scritto: “Prese una bottiglia d’acqua e si bagnò dietro”.
Ci sono voluti molti minuti prima di essermi ripresa… Haha, come sono scema! xP
Comunque, so di non essere il massimo nello scrivere. La mia intenzione è farvi commuovere, ma temo che dovrete farvi aiutare da una cipolla!
Fatemi sapere se ho fatto “orrori” di ortografia; inoltre vi ringrazio di cuore per aver letto la mia idiozia e aver sprecato parte della vostra giornata.
Mi raccomando, siate sinceri con i commenti.
Tutti:- Fai schifo! Suicidati!-
Non COSI’ sinceri T_T…
 
 
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Nel prossimo capitolo:
 
«E così sei tu il biondino che quel bastardo ha reclutato!».
 
«Killua, mi spieghi cosa sta succedendo?».
«Mi pare che non sia io a dover dare delle spiegazioni».
 
«Non si vede da questo se si è un mafioso di alto livello».
 
«Non sei niente male in quanto a voler cadere in piedi!».
 
«Potrebbero farti qualche torto, sai?».
«Con Kurapika è diverso!».
 
«Lei è l’unico membro della famiglia che gli è rimasto e desidera non perderla mai».
 
«Tu e le tue marionette avete appena firmato la vostra condanna…».
 
 
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A presto,
Scarlet Phantomhive.

 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Discussione x Angoscia x Segreti ***


L’udienza
Capitolo 2: “Discussione x Angoscia x Segreti”.
 
 
 
 
Light, Kurapika e Basho giunsero con l’auto di fronte al cancello della villa di Nakamura. Dopo aver parcheggiato, Kurapika prese tre ombrelli dal cofano e ne diede due al suo amico e al capo.
Passarono diversi minuti sotto la pioggia, poi videro finalmente il cancello aprirsi e venne ad accoglierli un uomo con indosso una divisa blu; reggeva tra le mani coperte da un paio di guanti bianchi una lista di nomi.
Appena fu loro vicino e li ebbe scrutati attentamente, chinò la testa e li salutò.
«Buona sera, cari ospiti».
Aveva una voce molto grave e parlava in una maniera terribilmente lenta.
«Lei chi è?», chiese Light.
«Sono uno dei maggiordomi della villa. Per la precisione il mio incarico è quello di andare incontro a tutti coloro che mettono piede qui dentro. Invece uno dei miei colleghi è l’addetto all’eliminazione di tutti i possibili ladri che potrebbero fare irruzione in questo luogo; non offriamo mica loro i pasticcini!», fu la sua lunga risposta.
La sua ironia mise ancora più a disagio i tre ospiti. Il sospetto che quella persona ne sapesse una più del diavolo era parte dei loro pensieri.
 
 
«Dunque, possiamo entrare o dobbiamo fare qualche rito propiziatorio?», domandò Kurapika irritato, sentendo che, pur avendo l’ombrello, l’acqua stava iniziando a bagnargli anche le spalle. Basho trattenne a stento una risata.
«Ma certo, ci mancherebbe altro!», esclamò l’uomo indicando la porta d’ingresso, «Potete iniziare ad incamminarvi; io devo chiudere il cancello».
 
 
Appena i tre lo ebbero superato, un terribile sguardo di quest’ultimo si posò sul Kuruta.
«E così sei tu il biondino che quel bastardo ha reclutato, eh? Adesso capisco perché il signor Nakamura ti detesta: sei tale e quale al tuo capo», mormorò con un tono talmente lugubre che pareva dovesse sputare veleno da un momento all’altro.
 
 
 
 
Quando i tre oltrepassarono la porta e lasciarono i loro ombrelli bagnati, si sorpresero nel vedere la sala quasi completamente al buio. Le grosse poltrone poste al centro riuscivano ad essere illuminate solo dai riflessi della luna sulle finestre.
 
«Il capo sta arrivando. Aspettatelo seduti», disse il maggiordomo prima di andarsene. Gli interessati rabbrividirono per il fatto che fosse piombato all’improvviso dietro di loro.
Si misero successivamente comodi su una poltrona ciascuno. In particolare Kurapika stava cominciando a provare parecchia stanchezza; quell’atmosfera così apparentemente tranquilla non stava facendo altro che conciliargli il sonno.
“Maledizione, cosa mi succede?”, pensò faticando a tenere gli occhi ben aperti.
«Quanto dovremmo aspettare, secondo voi?»chiese Basho annoiato.
«Spero il meno possibile», rispose Light guardandosi intorno.
 
 
 
 
Appena il Kuruta fu in procinto di addormentarsi, si accesero di colpo gli enormi lampadari del salone, emanando una luce terribilmente abbagliante.
Kurapika per un attimo non ci vide più e la testa cominciò a girargli. Temette sul serio di rimanere cieco.
«Diamine, che spavento!», esclamò Light tentando di far abituare gli occhi.
«Avete presente un interrogatorio? Ecco, mi sento improvvisamente un carcerato!», commentò Basho. Poi si rivolse all’amico: «Kurapika, è tutto a posto?».
«Più o meno…», rispose cominciando a recuperare la vista.
 
 
D’un tratto comparve una figura vestita nel loro stesso modo, mora e molto alta.
«Nakamura, era ora!», disse Light sorpreso.
«Perdonate il ritardo. Sapete, dovevo ricompensare la mia cameriera Miku per aver lucidato così bene i miei sette lampadari. Brillano abbastanza, vero?», chiese alla fine sorridendo.
«D-Direi…», ammise Basho.
“Le persone passate per questa strada devono averli scambiati per un faro marittimo a luce fissa”, rifletté Kurapika osservando la luce che sprigionavano fuori dalla finestra.
 
 
Dopo essersi seduto anche lui su una poltrona, venne subito al dunque.
«Light, hai portato ciò che ti ho chiesto?».
«Basho ha con sé i soldi e l’oggetto di una vecchia asta», rispose lasciando che la sua guardia del corpo glieli consegnasse.
«E i due uomini?».
«Arriveranno dopo perché ho dato loro prima un incarico da svolgere. Mi dispiace farti perdere tempo», spiegò.
In realtà lui stesso aveva ordinato ai due di giungere alla villa con l’altra auto dopo circa un’ora. Erano riusciti ad arrivare ad un accordo, ma Light non si era dimenticato del fatto che l’altro boss avesse tentato di truccare l’asta della sera passata.
Ciò che stava facendo era un tentativo di rendergli pan per focaccia. Se Nakamura avesse avuto del lavoro da fare, sarebbe stato costretto ad aspettare e a trattenere i suoi ospiti.
 
 
 
 
Purtroppo quest’ultimo non aspettava altro: quella era l’occasione perfetta per tentare di ammansire il suo nemico, sapere qualcosa in più sul ragazzo biondo e riuscire a tirare fuori dalla bocca di Light un accenno riguardo ai suoi progetti futuri attraverso un apparente innocuo discorso.
Lui era sempre stato un uomo ingenuo. Farlo parlare con qualche scusa era un’ottima tattica per migliorare il piano che stava discutendo prima assieme agli altri boss.
 
 
Intanto Kurapika si era accorto delle occhiate gelide che quello sconosciuto gli stava rivolgendo. Non sapeva cosa stesse passando per la testa di quell’uomo e non si fidava di lui; il suo sesto senso gli diceva di stare all’erta.
 
 
Dopo aver appoggiato la schiena sulla sua poltrona, Nakamura prese una campanella che era appoggiata su un comodino e la suonò.
«Visto che siete costretti a restare qui per un po’ di tempo, è il caso che il mio servitore ci porti qualcosa da bere», disse sorridendo tranquillamente.
«Ripeto che mi dispiace molto esserti d’intralcio nei tuoi lavori», fu la risposta del signor Nostrade, il quale cercava di mettere in evidenza quel problema.
«Non avrei avuto comunque niente da fare, caro Light. Rilassati!», concluse con un atteggiamento altezzoso che fece irritare parecchio lui e le sue guardie del corpo.
«Mettetevi comodi: siete tesi come le corde di un violino», commentò l’uomo, «Cominciamo a conoscerci meglio. Sono sicuro che abbiamo tante cose da dirci!».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Alla villa dei Nostrade regnava la concentrazione. Tutti i membri che erano rimasti al suo interno stavano svolgendo dei compiti che il capo aveva loro assegnato.
La giovane Senritsu stava facendo alcune ricerche al computer. La fitta pioggia che era cominciata da mezz’ora non faceva altro che metterla a disagio.
Voleva tanto stare vicino a Kurapika; chissà a che ora sarebbero tornati quella sera.
 
 
All’improvviso il suo cellulare squillò. La ragazza corse subito a vedere chi era; purtroppo non la stava chiamando il Kuruta, ma la incuriosì comunque il fatto che fosse Gon.
 
 
«Pronto?».
«Ciao, Sen! Ti disturbo?», chiese il moro con la sua solita voce squillante.
«No, tranquillo. Mi fa piacere sentirti», rispose serenamente.
«Sei a casa?».
«Sì».
«Sei rilassata?».
«… Ehm, sì… più o meno».
«Stai bene?».
«… Gon, che cosa c’è? Perché mi hai chiamato?», chiese stranita per via di quelle domande.
«Beh… questa mattina non ci hai raggiunti al parco. Ci chiedevamo se fossi arrabbiata con noi», rivelò il giovane.
Lo stupore che provò Senritsu in quel momento fu tale da lasciarla a bocca aperta.
Si erano davvero preoccupati così tanto per lei?
«Ma… certo che no! Come potrei avercela con voi? Ho fatto altre cose», spiegò.
«So che è maleducazione chiedertelo… ma cosa dovevi fare?».
La domanda così invadente di Gon la spiazzò.
C’era un motivo per il quale fosse così curioso? Oppure… gli interessava solo che tipo di risposta avrebbe dato?
Comunque fossero le cose, doveva inventarsi subito una scusa plausibile.
 
 
«Ecco… stavo poco bene, così sono rimasta in caffetteria al caldo; poi sono tornata a casa per svolgere alcuni lavori».
«Hai detto una bugia!», affermò il giovane.
«C-Cosa?!», sbottò allibita.
«Allora è vero che c’è qualcosa che non va…», mormorò Gon tristemente prima di allontanarsi dal telefono.
«Ehi, Gon! Ci sei?... Pronto?», provò a chiamarlo preoccupata.
Come faceva a sapere che stava mentendo?
 
 
Dopo qualche secondo fu Killua a risponderle.
«Ehi, Sen…».
La giovane ebbe il sospetto che il suo coetaneo avesse sentito fino a quel momento l’intera telefonata.
«Killua, mi spieghi cosa sta succedendo?».
«Mi pare che non sia io a dover dare delle spiegazioni», la corresse.
«… Ma perché Gon ha reagito così?».
La risposta di Killua venne dopo diversi secondi.
«Quando Kurapika ci ha raggiunti, ha detto che tu dovevi sbrigare una commissione urgente. Credo sia tutto il contrario di ciò che hai annunciato poco fa».
 
 
Era tutto chiaro. Gon e gli altri l’avevano telefonata per accertarsi che Kurapika non avesse mentito riguardo alla sua posizione.
In effetti c’era da aspettarsi una cosa del genere; era logico che prima o poi i tre si sarebbero insospettiti per la sua assenza.
A lei non era venuta minimamente l’idea di chiamarli e scusarsi. Aveva così tante cose per la testa da non essersi curata di quel particolare e non sarebbe stato facile spiegare l’intera situazione.
Il Kuruta non aveva informato loro del litigio…
 
 
A farle tornare la lucidità fu un rumore improvviso che sentì nel cellulare.
«K-Killua?».
«Tranquilla, ho solo messo il vivavoce. Siamo a casa con il telefono fisso», spiegò allontanandosi dall’oggetto. Subito dopo chiese: «Sei arrabbiata con noi per qualche motivo?».
La giovane stava per ribattere, ma Leorio si intromise domandando: «O meglio… è successo qualcosa con Kurapika?».
«E’ vero! Quando gli abbiamo chiesto di te, ha fatto una faccia abbastanza seccata. Abbiamo avuto la prova del suo comportamento sentendo la tua versione dei fatti», concluse Killua.
«… Ma voi non c’entrate niente! Perché vi intromettete in questa faccenda?», sbottò la ragazza ormai stufa di essere tempestata di domande. Non aveva proprio voglia di ritornare su quell’argomento.
«Sen…», la chiamò Leorio, «Se è successo qualcosa, importa a tutti noi! E poi non mentire: sappiamo bene in che situazione si trova Kurapika».
«Non siamo anche tuoi amici? Se dici di non intrometterci, potrei iniziare a pensare il contrario!», le rinfacciò Killua semplicemente per farla riflettere.
A quel punto la giovane si arrese. Era inutile negarlo: cercare di trovare da sola una soluzione ai problemi del Kuruta era impossibile. Forse le avrebbe fatto bene sfogarsi un po’…
 
 
«Si vede che siete i suoi migliori amici: la vostra forza di volontà non mente. Chi meglio di voi può capirlo?», cominciò a dire sentendo l’angoscia invaderla.
Killua e Leorio preferirono rimanere in silenzio e aspettare fino a quando le sarebbe tornata la voglia di parlare.
«Proprio… perché siete così uniti… dovreste sapere come stanno le cose. Kurapika sta peggiorando, sta diventando un’altra persona… e voi che lo conoscete da più tempo dovreste esservene accorti. Il lavoro che fa lo sta distruggendo: è sempre pallido e molto magro. Mangia poco, ma assume così tanti alcolici da farmi paura. Quando stamattina eravamo nella caffetteria, ha aggredito a parole un povero cameriere, insultandolo solo perché gli stava consigliando di prendere qualcos’altro…».
Fece una breve pausa, mentre dall’altra parte i due si stavano osservando stupiti.
«… A quel punto non ce l’ho fatta più. Ho cominciato a rimproverarlo per essersi comportato da sciocco; infatti non voglio che lui si riduca come me, facendo lo stesso sbaglio che abbiamo commesso io e il mio amico…».
«E lui?», chiese Killua incuriosito.
«… Mi ha detto di tacere dimostrandomi che io non ho mai provato il fatto di essere sommersa da responsabilità, solitudine, rabbia… Dice che nessuno lo può aiutare…».
Tirò un lungo sospiro prima di proseguire.
«Però… non capisce che vorrei aiutarlo, che gli fa male reagire così. Un’ora fa è uscito all’insaputa del nostro capo per andare in un bar vicino alla villa a fare quello che voleva».
«Eri l’unica a saperlo?», le domandò Leorio.
«Sì, ma perché l’ho scoperto io! L’ho bloccato un attimo prima che potesse uscire. Vedendolo fare lo strafottente come al solito , mi sono arrabbiata e l’ho sgridato pesantemente. So che sarebbe stato meglio non farlo, ma non so più cosa fare per farlo ragionare».
 
 
Dopo qualche secondo di silenzio, Killua provò a dirle qualcosa per farla stare meglio, ma Senritsu riparlò.
«Scusate se mi sono dilungata. E’ solo che… credevo di riuscire a risolvere questa faccenda senza l’aiuto di nessuno. Ricordando tutte queste cose, però, mi sono resa conto che la più egoista sono io. Ecco perché litighiamo: non faccio altro che peggiorare le cose e lui stesso ama cacciarsi nei guai. Temo… che gli succederà qualcosa se non starà attento».
Sentì improvvisamente i suoi occhi inumidirsi e la sua voce farsi sempre più roca.
«Perdonatemi… sono una stupida…».
 
 
Sentendola reagire così, gli interlocutori abbassarono lo sguardo. Credevano che dovessero tenere a freno il ragazzo solo quando aveva del tempo libero, ma si sbagliavano. La situazione era ancora più grave.
 
 
«Non sei sola, Sen…», cominciò a dire Leorio, «Non sai quante volte abbiamo provato a parlarne con quell’idiota, ma il suo lavoro lo sta trasformando. Non abbiamo più l’occasione di vederci spesso; abitiamo nella stessa città, ma sembriamo non so quanto distanti…».
Alla ragazza facevano piacere quelle parole; non era l’unica a pensarla in quel modo.
«Lui dov’è adesso?», chiese all’improvviso lo Zaoldyeck.
«… Di sicuro non è con me. Ieri sera abbiamo fatto delle trattative ad un’asta. Ora è andato insieme a Basho e al capo dal boss che si occupava di tutto per completare gli affari», spiegò la giovane.
«Ascolta, Sen…», la chiamò il moro, «Sappi che non hai colpa di niente. Ricordati che Kurapika è diventato così per ciò che gli è successo quand’era un bambino; la depressione è una brutta bestia che è difficile reprimere».
«Lo so. Per questo ho paura…», rispose pensando all’accanimento che il biondo aveva avuto contro di lei per avergli ricordato sua madre.
«Lui… era diverso quando abbiamo fatto l’esame per diventare Hunter. Dov’è finita la sua mania della perfezione, i suoi discorsi da enciclopedia e il suo desiderio di risolvere i problemi sempre insieme? Voglio capire cos’ha nel cervello, ma non posso avvicinarmi a lui quando sta svolgendo dei compiti così pericolosi! Bah, sarà che sono un migliore amico troppo perfetto per lui…», continuò a dire Leorio con amarezza, mentre lasciava che la sua mente viaggiasse nei ricordi, «Perciò… visto che hai l’occasione di stargli vicino, continua a dargli tutti i consigli che puoi. E’ un ragazzo intelligente e che sembra tutto d’un pezzo, ma in realtà è molto sensibile».
«Ti ricordi che mi avevi già chiesto questo quando eravamo all’aeroporto di York Shin? Non l’ho mai dimenticato!», rispose lei accennando un sorriso e sentendosi sollevata.
«Grazie, Sen. Conto su di te».
«Ehi?», s’intromise Killua, «… Noi siamo sempre qui!».
«Grazie, sei troppo gentile!», esclamò la ragazza, «E… per favore, spiega tutto a Gon».
«A quello zuccone? Guarda che ha sempre delle reazioni esagerate, però posso dirti che tu gli stai molto a cuore», la rassicurò.
«Oh, meno male!».
«Dai, ci sentiamo domani?», domandò il medico.
«Se si potrà… Sono contenta che abbiate pensato a me e a Kurapika».
«Forza e coraggio, eh?».
«Sì… Buona notte».
 
 
 
 
Appena chiuse la chiamata, la ragazza tornò ad osservare il computer dove stava prima lavorando. Era talmente stanca che le bruciavano gli occhi appena questi osservavano lo schermo.
Decise di fare una pausa e andò a sdraiarsi sul suo letto. Non le importava di terminare il compito a mezzanotte; doveva interrompere tutto anche solo per una decina di minuti.
Mise la testa sul cuscino e le costò veramente tanta fatica non addormentarsi.
“Kurapika… torna presto…”, pensò preoccupata mentre continuava ad osservare le stelle dalla finestra più vicina.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Il buio era ormai diventato il padrone della città e le strade di essa erano deserte ed illuminate solo dalla luce degli enormi lampioni. C’erano ancora pochi ragazzi che passeggiavano nei marciapiedi delle vie principali, ma c’era freddo e si tenevano coperti con ingombranti giubbotti in piuma d’oca.
 
 
L’interno della villa di Nakamura era stato riscaldato a sufficienza da ben cinque termosifoni e tre pompe di calore, i quali erano stati tenuti accesi nel salone fino a qualche minuto fa. Era davvero difficile restare lì dentro con quegli abiti eleganti e poco comodi.
Gli interessati non avevano ancora iniziato a discutere di cose importanti; nonostante fosse tardi, Nakamura aveva fatto portare da un suo servitore un vassoio di porcellana sul quale erano stati messi dei piatti contenenti diversi tipi di biscotti, delle zollette di zucchero e quattro tazze piene di tè verde.
Appena l’uomo disse loro di servirsi, Basho non se lo fece ripetere due volte. Lui non era il tipo che si ingozzava di tutti i cibi che gli offrivano e tantomeno gli piaceva il tè; purtroppo quella sera non avevano cenato abbondantemente e, proprio perché non era la prima volta che ciò capitava, il giovane stava cominciando a sentire il bisogno di mettersi in forze.
Mentre lui era impegnato a divorare i biscotti, Light beveva a piccoli sorsi il suo tè; non riusciva a goderselo fino in fondo per via dell’ansia terribile che non riusciva a combattere.
 
 
L’unico che non aveva ancora toccato niente era Kurapika; non poteva fare a meno di osservare chi gli stava intorno e di analizzare la situazione.
A parte Basho si era creata un’atmosfera di parecchia tensione fra il suo capo e quello strano individuo.
Quel signore non gli piaceva per niente: da quando avevano messo piede dentro la sua villa, li aveva scrutati dalla testa ai piedi. Fino a quel momento non aveva fatto altro che vantare il suo orgoglio per quanto riguardava la sua lussuosa casa, le sue ricchezze, le sue mille divise, la sua erudizione su infiniti argomenti… Inoltre pareva provare gusto a stuzzicare Light per non sapersi organizzare e non essere calmo; perdeva tempo a consigliargli dei medicinali a base di erbe ed esercizi di rilassamento.
C’era qualcosa che al Kuruta non piaceva nel suo modo di fare così altezzoso e non gli garbava soprattutto il modo in cui lo stava osservando: aveva i suoi occhi neri come l’inchiostro piantati nei suoi di colore azzurro e il suo sguardo emanava un misto fra rabbia e curiosità.
Non sopportava quando qualcuno lo studiava da lontano senza spiegare il motivo del suo comportamento. Era stato proprio lui a volerli ingannare l’altro giorno.
Perché mai dovrebbe raccontare la sua vita personale, dare consigli ed essere così apparentemente tranquillo?
 
 
Kurapika non stava bene neanche quella sera; non sapeva spiegarselo, ma aveva un terribile malessere fisico e la testa continuava a girargli fino ad annebbiargli la vista. Un senso di nausea lo opprimeva e vedere il tè o del cibo in generale peggiorava la sua situazione. Non voleva assaggiare niente e avrebbe dato qualsiasi cosa per prendere una bevanda che avrebbe potuto tirarlo su.
Le insopportabili occhiate di quell’uomo e il caldo soffocante che albergava in quel salone non lo aiutavano di certo.
 
 
 
 
Quel silenzio allo stesso tempo fastidioso e assordante venne interrotto da Nakamura che tossì delicatamente per richiamare l’attenzione di tutti. Poi girò improvvisamente la testa verso il Kuruta.
«Ehi, ragazzo…».
Il biondo, essendo stato chiamato, cercò di riprendere la sua lucidità e tornò ad osservare quell’uomo con volto serio.
«Come mai non mangi e non bevi niente? Questo tè verde è di ottima qualità!», cominciò a chiedergli l’altro.
Quell’atteggiamento infastidì Kurapika e preferì ignorare la sua domanda.
Basho, però, s’intromise.
«Che strano! Tu adori molto il tè!».
«Ah, davvero?», domandò Nakamura con un’espressione avvilita talmente poco credibile da far venire voglia al Kuruta di spaccargli i denti.
Light osservò il giovane con sguardo curioso, perciò Kurapika si vide costretto a rivolgergli la parola solo per vedere dove volesse arrivare.
«Non ho fame», fu la sua secca risposta. Tra le cose più orribili che il ragazzo avrebbe potuto fare, dopo aver bevuto tutti quegli alcolici, c’era sicuramente l’idea di mettere sotto i denti qualcos’altro.
 
 
La reazione di quell’uomo fu un’energica risata. Nessuno dei presenti se l’aspettava da parte sua, tantomeno il biondo.
Dopo aver ripreso fiato, il signore parlò.
«Sai chi mi ricordi, ragazzo? Il mio vecchio pastore tedesco Sam. Era un cane che non amava farsi accarezzare e, se non gli piaceva qualcosa, abbaiava arrogantemente. Ma quando sentiva il profumo del suo adorato cibo preferito, le cosce di pollo, diventava un altro animale. Aspettava però sempre elegantemente che io gli mettessi il piatto davanti agli occhi e faceva il prezioso annusando attentamente la carne. Ah, che bastardo… però gli volevo bene».
 
 
La costernazione si dipinse sul volto del giovane. Venne a lui e a Basho il presentimento che non avesse la testa completamente a posto.
«Scusi… mi sta paragonando al suo cane?», chiese il biondo ancora sorpreso.
«No, non fraintendere! Sam è il primo esempio che mi è venuto in mente, tutto qui», rispose l’altro agitando le mani. Poi continuò: «Quante volte mangi al giorno? Sei pallido e magro come un chiodo!».
«Nakamura…», lo chiamò Light per farlo smettere.
«Non lo sto dicendo per offendere il ragazzo, ma sto dando i miei soliti consigli. Sembra così inquieto e quasi malato!».
Si rivolse a Kurapika.
«Se questa è la tua costituzione, scusami. Altrimenti ti dico che non basta indossare una divisa nera per nascondere il tuo pallore».
 
 
L’irritazione del giovane raggiunse il culmine. Riacquistò le energie ed osservò l’uomo con odio.
«Le dispiacerebbe tanto se si facesse i cazz…».
Prima che potesse fare quella domanda, la quale non avrebbe fatto altro che metterlo in cattiva luce, a Basho vennero dei fortissimi colpi di tosse che fecero sospendere la discussione.
Light concentrò la sua attenzione su di lui, osservandolo preoccupato.
«E’ tutto a posto, Basho? Stai bene?».
«Sì, certo… Scusate, mi devono essere andate di traverso le briciole di un biscotto. Dannazione!», rispose colpendosi forte il petto con una mano. Subito dopo osservò il Kuruta e gli fece un veloce occhiolino.
Allora il biondo capì che l’aveva fatto apposta per evitare che la sua frase potesse scatenare delle situazioni indesiderate.
Fece un grosso respiro e cercò di controllare i suoi impulsi di riempire Nakamura di pugni: arrabbiarsi così voleva dire “fare il suo gioco” e perciò non poteva permettersi di abbassarsi a quel livello, bensì di rispondere nel modo più provocatorio possibile nel caso fosse ricapitato ciò.
Doveva stare molto attento ai suoi occhi: se si fosse irritato troppo, sarebbero diventati scarlatti e quella era una cosa che non poteva permettersi di accadere. Maledisse sé stesso per non essersi messo le lenti a contatto quella sera.
 
 
«Perdonami, cosa mi stavi dicendo prima?», chiese l’uomo con il suo solito sorriso da ingenuo.
Kurapika non era sicuro che lui avesse inteso cosa volesse dirgli, ma mentì comunque per il suo capo dicendo: «Stavo per chiederle se le dispiacerebbe… farmi una lista delle cose negative che mi ha riscontrato. Dopo quello che ha detto, dovrei proprio iniziare a preoccuparmi!».
 
 
Il sorriso di quel boss si spense. Si rese conto che anche lui lo stava prendendo in giro.
“Interessante… il biondino vuole fare botta e risposta, eh?”, pensò, “Va bene, giochiamo! Sono sicuro che mi renderà tutto più facile!”.
Così Nakamura cominciò a stuzzicarlo.
«Come desideri. Prima di tutto ti posso assicurare che quel tè non è avvelenato; se tu volessi, potrei assaggiarlo dalla tua stessa tazza per toglierti ogni dubbio». Poi aggiunse: «Volendo fare lo psicologo… ti dico che secondo me appari molto teso perché non ti rilassi mai; sei sempre all’erta come Light. Guarda che non ti fa di certo bene fare l’ansioso! Devi imparare ad abbassare la guardia e a stare sereno».
Il giovane cercò di farsi scivolare via quelle assurde parole; Light ascoltava interessato la discussione mentre beveva il suo tè.
Sistematosi meglio sulla poltrona, Nakamura continuò: «Caro mio, non si vede da questo comportamento se si è un mafioso di alto livello».
 
 
Stava esagerando. Il ragazzo non poteva fare a meno di sentirsi ricoperto di insulti indiretti; lo stava trattando come se fosse più piccolo della sua età e questo non gli piacque.
Doveva forse ascoltare gli insegnamenti di un tipo sconosciuto ed impenetrabile? Non ci pensava proprio!
La risposta del Kuruta fu immediata.
«La prudenza non è mai troppa. Sa, non mi fido molto dei finti teneri cerbiatti in smoking che alloggiano nella sede distaccata di Buckingham Palace».
 
 
Basho dovette trattenersi dal fare una sonora risata. Quella frase detta così freddamente ed ironicamente allo stesso tempo era perfetta per ribattere. Dopotutto Kurapika stava solo attuando la stessa tattica di Nakamura.
«Questa è buona…», bisbigliò sorridendo, ma Light lo fulminò con lo sguardo per farlo tacere.
Anche al capo stava piacendo la grinta del biondo, però, vedendo Nakamura osservare il giovane come se volesse lanciargli una maledizione, si vide costretto ad intervenire.
«Scusalo per il suo carattere, ma è fatto così: mantiene il suo sangue freddo», spiegò soddisfatto.
«Sì… l’ho notato», rispose l’altro a denti stretti, «E’ un tipo molto diretto, non ha peli sulla lingua… E’ interessante vedere com’è la sua visione del mondo. Paragona le persone ad animali, come ho fatto anch’io… Beh, devo ammettere che in questo siamo simili».
Kurapika ascoltava in silenzio i suoi discorsi filosofici parecchio ridicoli e contraddittori.
«Non sei niente male in quanto a voler cadere in piedi, ragazzo. Da quel che ho potuto capire, devi valere molto e magari… sei anche molto carismatico», rifletté, «Come ti chiami?».
 
 
In realtà l’uomo sapeva benissimo il suo nome, ma lo voleva sentire parlare: lo incuriosiva.
 
Il Kuruta rimase del tutto indifferente. Non ne poteva più di conversare con quel capo Mafia così caparbio e ostinato a rovinargli la serata.
«Anche se glielo dicessi, le cambierebbe qualcosa?».
«Mi pare di no, però io ho già avuto modo di conoscere il tuo compagno Basho tempo fa. Vorrei evitare di chiamarti ad esempio “bel biondino” o usare altri soprannomi». Poi concluse dicendo: «Lavori per Light, ma non dimenticarti che in questa stanza è presente solo gente mafiosa e tu sei sulla nostra stessa barca».
Dopo aver visto la fronte del Kuruta aggrottarsi per le cose inaudite che gli stava dicendo, non poté che lasciarsi scappare un’altra risata.
 
 
 
 
«… Non ricordo di aver firmato qualche contratto con una persona che voleva ingannare all’asta alcuni boss per utilizzare le unghie di quella principessa come grattaschiena».
Non poteva trattenersi più. Kurapika gliel’aveva detto.
Come poteva quell’uomo dire certe cose, parlare di accordi quando era stato il primo a voler mandare in fumo i loro piani? Con che coraggio?
 
Nakamura sentì una rabbia improvvisa ribollirgli nelle vene. Non pensava che quel ragazzo fosse così diretto. Lo odiava di più, sempre di più.
 
 
Light dovette calmare le acque rimproverando il giovane.
«Ora basta, Kurapika! Vedi di controllarti!», gli ordinò. La sua espressione, però, non era adirata.
Il ragazzo capì che non era contro di lui e tutto fu più chiaro quando il capo spiegò a Nakamura: «Scusalo, è colpa mia. L’ho abituato io ad essermi molto fedele. Devo ammettere che con gli altri non ha problemi a mettersi in competizione per la nostra famiglia».
 
L’uomo cercò di far scomparire dal suo volto quell’espressione da sottomesso e continuò a parlare come se niente gli fosse stato detto. Era cosciente della veridicità delle parole del biondo, però non poteva permettere che loro gli infangassero la reputazione.
«Non fa niente, Light. Anzi, ti faccio i complimenti: hai creato proprio un mostro… in senso buono, eh?», rispose facendo al Kuruta un sorriso sornione.
«Inoltre gli ho insegnato a non fidarsi mai delle false persone che cercano di mettere nei problemi gli altri e poi si mostrano tutt’ad un tratto socievoli», continuò Light facendo risollevare il morale a Kurapika.
«Ci mancherebbe altro!», esclamò l’altro boss. Poi, assumendo un’espressione più tranquilla, disse: «Guardate che è inutile continuare a girarci intorno: so di essere io l’ingiusto. Vorrei però che mi capiste! Voi siete una famiglia mafiosa più benestante della mia; anche se sembra il contrario, io preferisco rendere ben visibile il mio status sociale facendo diventare la mia villa più lussuosa di una reggia. Invece voi celate i vostri segreti… E’ normale che in questi casi preferisca il bene di altre persone meno avvantaggiate piuttosto che il vostro».
 
 
Nella sua autodifesa non c’era una scusante. Il motivo era semplice: prima quell’uomo diceva che dovevano tutti collaborare, poi preferiva occuparsi di altre persone che avrebbero potuto anche truffarlo allo stesso modo. Inoltre non faceva altro che esporsi ai pericoli; gli agenti e la polizia non dovevano sapere come guadagnasse così tanti soldi, ma lui preferiva migliorare la sua estetica e basta.
La malattia dell’invidia era sempre più evidente.
 
 
Light ignorò la sua spiegazione e disse al Kuruta: «Puoi presentarti».
Il giovane vinse l’ostentazione.
«… Mi chiamo Kurapika».
Gli occhi di Nakamura mandarono un veloce guizzo di sorpresa. Fu certo che il ragazzo non stava mentendo e che non era parecchio interessato ad usare particolari pseudonimi.
«Oh, che nome strano! Giuro che non l’ho mai sentito!», affermò per mantenere comunque il suo atteggiamento diffidente, «Dimmi una cosa: non sei di queste parti, vero?».
 
A Kurapika venne subito uno strano presentimento. Non riusciva a trovare una spiegazione per la quale quel boss lo stesse riempiendo di domande.
Perché voleva sapere da dove veniva? Dove accidenti voleva arrivare?
L’ansia cominciò a crescere al suo interno. Cosa poteva rispondergli? Doveva automaticamente rivelare a lui e al suo capo di essere un Kuruta? La situazione stava peggiorando.
 
 
«… No, vengo da altri posti. E allora?», cominciò a chiedere stranito.
«Come sei riservato! Che esagerazione! E da dove mai verresti?».
Cocciuto… Era l’aggettivo più giusto per descrivere quell’uomo.
«Di sicuro da un posto dove circola meno aria viziata», rispose l’interessato lasciandolo ancora con l’amaro in bocca.
 
A quel punto l’uomo si rivolse direttamente al suo capo, facendo preoccupare il giovane ancora di più.
«Ehi, Light! E’ testardo il tuo Kurapika!», esclamò con espressione quasi divertita.
Adesso sarebbe lui quello ostinato? La falsità di quel tipo stava facendo saltare ancora di più i nervi al biondo.
«E’ proprio così che voglio le mie guardie: testarde», concluse Light senza stare a pensarci troppo.
Ma Nakamura aveva ancora la convinzione di poter ingannare quella mente apparentemente salda e tarata sulle sue idee. Era certo che ci fosse ancora qualcosa che Light non sapeva riguardo alla sua fedele guardia… qualcosa di importante.
 
 
«Dato che non riesco ad avere un dialogo amichevole con la tua giovane recluta, possiamo conversare noi due… da boss a boss!», propose dunque, «Raccontami qualcosa su questo ragazzo!».
 
 
 
 
Il cuore di Kurapika perse un battito. Adesso era nei guai.
Cosa avrebbe potuto rispondere il suo capo? Tra boss mafiosi una regola rigida era il fatto di non nascondere nessun argomento che potesse interessare la Mafia in generale. Pur essendo in competizione, Light non poteva fare scena muta o sviare la conversazione: sarebbe stato un atto molto sospetto.
D’altra parte non poteva nemmeno rivelargli l’abilità che possedeva sua figlia Neon e dirgli che grazie alle sue predizioni avevano guadagnato un sacco di tesori.
 
E se avessero cominciato a parlare della Brigata? Se Light si fosse insospettito? Se avesse cominciato a provare curiosità riguardo alle vere identità delle sue guardie?
Il mondo sarebbe caduto nuovamente addosso al Kuruta e quel bastardo voleva per forza sapere una risposta. Tutto era nelle mani di Light.
 
 
Il signor Nostrade, dopo averci riflettuto, osservò l’uomo e con coraggio rispose: «Sarò sincero. Io ho scelto questi ragazzi osservando le loro abilità; hanno forza, intelligenza e determinazione. Non mi sono voluto interessare ai loro affari personali e al loro passato; penso di non averne nemmeno il diritto e non sono obbligato a chiedere la vita di ognuno».
Nakamura cercò di metterlo in difficoltà dicendo: «Fai male, molto male. Questo dimostra che non conosci chi ti sta attorno abbastanza a fondo. Sembra che la libertà regni sovrana e che la concezione di capo Mafia sia quasi inesistente». Dopo aver indicato con i suoi indici Kurapika e Basho, rivelò: «Potrebbero farti qualche torto, sai?».
 
 
Basho si irritò profondamente per l’accusa. Doveva mettere in mezzo proprio colui che non aveva ancora detto una parola?
“E’ meglio se abbassi subito quelle dita, imbecille maleducato!”, pensò osservando poi il suo compagno, il quale lasciava trasparire dal viso un’espressione di disagio.
 
 
«Io ho piena fiducia nelle mie guardie, specialmente nelle persone che tu stai indicando e in una ragazza che ora non è presente», ribatté riferendosi a Senritsu.
Anche lui stava cominciando a temere quelle domande. Light si fidava molto dei tre, ma era anche vero che non aveva mai avuto un dialogo con loro riguardo a quegli argomenti. Quando era a York Shin, venne attirato dall’asta degli occhi scarlatti talmente tanto da aver reclutato un sacco di persone senza conoscerne la provenienza.
Doveva stare calmo; fino a quel momento gli sono stati sempre fedeli e quindi cercò di considerare le parole di Nakamura come cose futili, pensando oltretutto agli errori che commetteva quella stessa persona.
Non erano affari che gli riguardavano e non aveva il diritto di fare appunti sul suo operato.
 
 
Nakamura non aspettava altro che quella risposta. E così c’era una ragazza per completare il podio! Tutto si stava facendo tremendamente interessante.
 
«Fai come ti pare», continuò, «Io con i miei uomini sono tutt’altro che concessivo: li sottopongo a duri allenamenti fisici e psicologici per resistere alle intemperie o alla forza dei loro nemici. Li rendo dei carri armati indipendenti, carismatici… e obbedienti». Rivolgendo a Light uno sguardo di superiorità, chiese: «Non fai niente di tutto ciò?».
 
“Ancora con queste domande! Già il capo lo ha informato di Senritsu… Quando la finirà?!”, pensò il Kuruta temendo che il signor Nostrade potesse rivelare accidentalmente qualcos’altro.
 
«Non tratto i miei come delle cavie e so quali sono i loro limiti. Mi obbediscono, quindi concedo loro di stare abbastanza liberi», rinfacciò l’interessato, mentendo però sul fatto che conoscesse le loro debolezze e lacune.
L’altro boss non perse l’occasione di pavoneggiarsi ancora.
«Cosa? Si prendono tutta questa libertà?! Dammi retta: se non li abitui adesso a sudare, ben presto ti accorgerai che avranno esaurito la loro prestanza fisica! Infatti i miei lavorano sodo di giorno e riposano la notte quattro ore, se tutto va bene».
“Crede di sapere tutto, ma scommetto che i primi ad ammalarsi e ad abbandonarlo saranno i suoi cosiddetti carri armati!”, rifletté Basho osservandolo con disprezzo.
 
Light cominciò ad arrabbiarsi.
«Con Kurapika è diverso!».
 
Il biondo si gelò. Era appena successa una fra le tante cose che temeva: il suo capo aveva rivelato a quell’impiccione il suo lavoro di pedinamento e perlustrazione notturna.
Era grazie a quella se scoprivano indizi e segreti importanti sulle altre famiglie; Light non poteva lasciarsi andare e rivelare tutto solo per mostrare la sua validità.
Quel boss lo stava interrogando come un prigioniero con l’intenzione di riuscire a strappargli alcune informazioni utili per mandare a monte un’altra asta o cose simili.
Il ragazzo l’aveva capito, lui no.
Doveva interromperli? Se l’avesse fatto, Nakamura avrebbe smesso con le domande o sarebbe solo servito per buttare benzina sul fuoco?
 
 
Il loro avversario si incuriosì e tornò ad osservare il ragazzo dalla testa ai piedi.
«Ehi, Light! Vorresti dirmi che fai lavorare Kurapika più degli altri e con il mio metodo? E poi… cosa mai farebbe di tanto eroico questo giovanotto così apparentemente fragile?».
 
Che faccenda complicata: li stava mettendo nel sacco con delle semplici ma dolorose provocazioni.
 
«Perché dovrei dirtelo? Ti sto solo facendo notare che non è tutto come pensi», fu la risposta.
 
Stavano perdendo tempo.
 
«Cosa mi dovrebbe importare dei tuoi uomini? Voglio solo sapere se Kurapika sa lavorare nel campo degli affari più costantemente di quanto usi la lingua», spiegò facendo un ghigno alla fine.
 
Il biondo aveva i nervi a fior di pelle, ma non tento di sfigurargli quella faccia odiosa.
Aveva capito un’altra sua tecnica: l’uomo aveva preso di mira il ragazzo per usarlo come diversivo. Soleva offenderlo in modo che qualcuno fra loro si adirasse e magari vantasse la sua posizione nella famiglia, contraddicendo le sue idee.
La cosa che ancora non capiva era il fatto che Nakamura stesse perdendo tempo solo con lui senza rivolgersi anche a Basho.
 
Purtroppo Light non faceva altro che irritarsi.
«Non ti permetto di rivolgerti così a lui. Ti assicuro che è una delle guardie più importanti!».
«Dai, stavo scherzando! Non hai proprio il senso dell’umorismo!», esclamò l’interlocutore, «E’ solo che continua a sorprendermi il suo carattere: quando prima reagiva alle mie battute, ora è il più silenzioso di tutti! Inoltre, anche se non me lo volete dire, vedo che è giovanissimo».
“E sicuramente più maturo di te”, pensò il giovane.
Un lieve sorriso increspò le labbra dell’uomo.
«Caro Light, mi sembra strano che un ragazzo di quest’età sia interessato a collezionare… parti del corpo. Ci deve essere una valida motivazione, non credi?».
 
 
La sua affermazione fece irrigidire il capo. In effetti Kurapika era il più giovane fra i suoi uomini e aveva sempre avuto uno spirito combattivo contro certe bestie. Era come se non avesse ancora imparato a godersi la sua vita.
 
Nakamura aveva ragione… però…
 
 
Un pensiero gli attraversò la mente. Riflettendoci bene, anche sua figlia Neon aveva la passione per queste cose ed era più piccola di qualche mese rispetto al ragazzo.
Sentì di nuovo il vigore invaderlo e spiegò: «Qualunque sia il suo motivo, sono orgoglioso di ripeterti che lui non mi ha mai tradito e perciò gli sarò sempre debitore».
Il Kuruta, sentite quelle parole, si riempì di gioia. Era la prima volta che il suo capo lo difendeva così fermamente.
“Grazie”, pensò.
 
«Sai cosa ti dico, Nakamura? Che dovresti imparare a fidarti di più dei tuoi uomini, altrimenti comincia a dimenticarti l’idea di instaurare con loro un rapporto più sereno», concluse poi.
 
 
Se quel boss avesse replicato, si sarebbe capovolta la situazione e il filo del discorso si sarebbe spezzato.
Perciò riprese a dire: «Fammi riflettere, Light… Tu ti fai in quattro per aiutare coloro che lavorano per te e dici che sei loro debitore. Così mi fai credere che non siano esseri umani e che tu dipenda da loro».
«Non è così».
«Beh, buon per te! Devono essere davvero bravi per averti fatto guadagnare soldi e diventare quasi milionario!», affermò, «Non sarai anche tu un po’ troppo egoista?».
 
Giunse un tasto dolente per Light. Lui non voleva il denaro tutto per sé, non voleva far stremare le sue guardie per ottenere tutti quei benefici.
C’era un’altra ragione, la quale gli sarebbe costata cara rivelare; vedendo però l’espressione meravigliata dell’uomo, non poté fare a meno di togliergli ogni dubbio.
 
«… Ho bisogno di soldi… per fare felice la mia famiglia!».
 
Kurapika spalancò gli occhi.
“Non starà iniziando a parlare di Neon!”, pensò allarmato.
 
«Famiglia?!», sbottò Nakamura, «Non mi avevi detto che tua moglie era morta?».
Lo stupore del boss stavolta era reale. Mai si sarebbe potuto immaginare che nascondesse qualcosa anche sui propri cari, tant’era vero che credé di essere preso in giro.
«Mi sa che quel tè ti sta dando alla testa, Light. Sei solo: i meriti dovrebbero andare solo a te! Oppure sei arrivato a considerare le tue guardie come figli illegittimi?», chiese poi facendo un sorriso divertito.
 
Basho rimase paralizzato: se Light avesse parlato di Neon, sarebbero caduti nel baratro e lei stessa sarebbe stata di nuovo in pericolo.
 
«Ti sbagli… Il motivo è…».
“Che si fermi, maledizione…”, pregò il Kuruta cercando di farsi venire qualche idea.
 
 
 
 
Come se ci fosse stato un intervento divino, tutti sentirono all’improvviso un clacson suonare di fronte al cancello della villa per quattro volte: due lentamente e due velocemente, come se si stesse componendo una password.
Light e gli altri si rallegrarono capendo che erano finalmente arrivati i due uomini che dovevano diventare proprietà di Nakamura.
Però la questione non era ancora finita; lo capivano dallo sguardo irritato di quell’uomo, il quale era stato appena interrotto sul più bello.
«Kou, vai ad accogliere gli altri ospiti», ordinò a quello strano maggiordomo.
 
 
Con passo lento si diresse fuori dall’abitazione, ma dopo neanche due minuti era già rientrato con i due uomini.
Questi ultimi camminarono a testa alta verso Light.
«Salve, Akito e Nagumo», si rivolse a loro, «Questo è Nakamura, il vostro nuovo capo. Badate bene a portargli rispetto; tutto ciò che mi riferirà di brutto riguardo a voi peserà sulla vostra coscienza e condotta».
Per tutta risposta i due si portarono le mani al petto e chinarono il capo come segno di un ultimo saluto, un addio.
Subito dopo girarono la testa verso l’altro boss ed esclamarono: «Ogni suo desiderio è un ordine!».
 
L’uomo sorrise loro compiaciuto.
«Siete i benvenuti, miei cari. Mi aspetto molto da voi», cominciò a dire, «Al terzo piano di questa villa sono state preparate le vostre camere. I vostri colleghi vi stanno aspettando».
 
Non se lo fecero ripetere due volte: lasciarono il salone in pochi secondi.
 
 
Era accaduto tutto così velocemente! Kurapika sperava potessero rimanere ancora un po’, invece quel disgraziato li aveva liquidati solo per procedere con il discorso.
Non si era mai vista una cosa più egoista di quella!
 
«Ma che obbedienti, Light! Almeno ora so che non tutte le tue reclute sono dei tipi ribelli», ammise Nakamura.
«Te l’ho detto».
«Ascolta… li hai scelti a caso per darli a me?», domandò curioso.
 
Light si immaginò dove volesse arrivare: desiderava sapere qualcosa riguardo ai suoi guadagni anche attraverso quei due, ma lui aveva preparato tutto scegliendo proprio coloro che facevano la guardia alla villa nella parte posteriore. Non avevano niente a che fare con i suoi affari.
Light era ingenuo, ma non stupido.
«Mi dispiace, ma loro sono completamente estranei alle mie questioni di denaro», rispose deciso, godendosi poi il viso deluso di quel signore.
«Sei troppo misterioso… ma devo ammettere che a volte riesci a sorprendermi!», affermò grattandosi la testa. Il Kuruta capì che era nervoso perché gli stavano tremando le mani.
«Beh, almeno sono due tipi abbastanza robusti! Ti ringrazio…».
 
 
Ci furono diversi secondi di silenzio. Stava per riprendere l’argomento, lo sentivano. Non sarebbe servito a niente evitare di parlarne; si doveva affrontare la situazione e cercare di uscire dalla villa senza rimorsi.
 
 
«Allora… questa famiglia?».
“Testa di cazzo!”, pensò Basho iniziando a sudare.
 
Dato che Light non si azzardava a dire una parola, Nakamura raccontò: «Se ti può rendere più tranquillo, ti dico che mi occupo di fare affari con mio fratello di Osaka per lo scambio di sostanze dopanti! Non c’è niente da nascondere: siamo quasi colleghi!»
“Sta mentendo”, fu il primo pensiero del biondo, “Sarebbe sciocco rivelare una cosa del genere. Se fosse tutto falso e il capo tentasse di incastrarlo, ci andrebbe di mezzo lui perché non si sarebbe trovata nessuna prova contro quel farabutto”.
 
Purtroppo il viso di Light cominciò a rasserenarsi e Kurapika avrebbe fatto qualsiasi cosa per trasferire i suoi pensieri nella sua testa e svegliarlo da quella sorta di ipnosi.
 
 
Fu troppo tardi perché iniziò a parlare.
«Mia moglie è morta… ma mi resta la mia adorata figlia!».
 
“Merda!”.
 
«Hai una figlia? Non me ne hai mai parlato!», commentò l’altro deluso.
«Non ero obbligato a farlo».
«Quindi condividi le cose con tua figlia?!», chiese incredulo.
«Devo farla felice e darle quello che le piace! Dopo la morte di sua madre si sente sempre sola e senza pace… Voglio che le ritorni il sorriso sulle labbra», spiegò con aria commossa.
«Un grande boss mafioso… che si preoccupa dei capricci della figlia?! Giuro che questo da te non me lo sarei mai aspettato!».
 
Nakamura era veramente sorpreso. Doveva esserci una ragione molto grossa per la quale Light avesse tanto a cuore la ragazza… e lui voleva scoprirlo.
 
«So anche essere severo con lei!», continuò Light, «Però… si merita di ricevere molte cose…».
 
Il verbo “meritare” catturò l’attenzione dell’altro. Dietro quella semplice parola si nascondeva il motivo del successo parziale di Light. Riusciva a percepirlo.
Il signor Nostrade si stava mettendo nel sacco da solo.
 
«Non dirmi che stai già educandola agli imbrogli ed esponendola ai pericoli!».
Sentendosi dire questo, Light esplose.
«No… NO, per carità! Proprio lei? Non se ne parla! Ti sbagli… TI SBAGLI! Non posso permetterlo! Io… non posso e non voglio che corra pericoli! Non deve succedere…».
 
 
Kurapika e Basho lo guardarono atterriti. Non doveva reagire così.
Capivano che il ricordo dei poteri rubati a Neon fosse difficile da digerire, ma il sospetto che la ragazza fosse molto più che una semplice adolescente si stava facendo sempre più nitido nella mente di Nakamura.
 
Come se non bastasse, Light rivelò: «Anche per questo… voglio che venga protetta».
 
 
Quella frase fu come una doccia fredda per il Kuruta e il suo compagno. Il capo aveva confermato i sospetti di quell’uomo, il quale non avrebbe sicuramente più smesso di volerne sapere di più.
Si sentivano violati, come se li stesse lentamente spogliando di tutti i possibili segreti. Quel tipo non si sarebbe dato pace e avrebbe continuato a torturare il loro povero capo fino a quando non sarebbe riuscito a strizzarlo completamente come un panno.
 
Il Kuruta doveva pensare ad un’idea anche banale… e subito.
 
«Ho capito bene?», chiese Nakamura facendo un sorriso a trentadue denti, «Quindi la tua giovane bionda recluta deve farle da cavaliere?!».
 
 
 
 
Un rumore assordante invase tutta la sala. Fu talmente fastidioso che Basho si dovette tappare le orecchie.
Siccome proveniva dalla poltrona del biondo, tutti si girarono verso di lui. Kurapika aveva appena rovesciato i due vassoi dov’erano posate le tazze di porcellana, i cucchiai d’argento, tutti i biscotti, le zuccheriere… ed erano caduti anche due vasi di cristallo che erano messi vicino a quegli oggetti.
I pezzi di quei materiali si erano pericolosamente sparsi a terra; il ragazzo aveva combinato un disastro, ma era l’unica idea che gli era venuta in quel momento.
Tutti lo osservarono spaventati tranne Basho, il quale aveva capito il trucco.
 
«K-Kurapika!», lo chiamò Light preoccupato e allo stesso tempo arrabbiato per ciò che aveva fatto.
«Mi dispiace», rispose cercando di fare un’espressione mortificata.
«Ti sei tagliato?», domandò allarmato il signor Nostrade.
«No. Ora pulisco tutto», disse chinandosi a terra.
«Fermo!», lo avvertì Nakamura, «Rimani seduto e comodo: puliranno i miei camerieri. Ho il triplo degli oggetti che hai rotto».
 
 
 
 
Quel boss aveva preso una decisione: fermare la discussione temporaneamente. Aveva già scoperto abbastanza, ma non era finita lì.
Sentiva che quello non era il momento migliore per fare approfondimenti a causa del biondo che metteva i bastoni fra le ruote.
Avrebbe continuato ad indagare, ma utilizzando altri metodi. Voleva sottomettere quella famiglia in tutti i modi per avere campo libero, anche con la forza. Però non doveva avere fretta; quel ragazzo non gli incuteva paura, bensì una voglia matta di confrontarsi con lui e fargli patire le pene dell’inferno.
I Nostrade avevano vinto una battaglia, non la guerra. Presto se ne sarebbero accorti, presto avrebbero cominciato a lottare!
Questo promisero Nakamura e i suoi alleati.
 
 
 
 
Light osservò il suo orologio e vide che era mezzanotte.
«E’ tardi: dovremmo cominciare ad andare».
«Lo credo anch’io», concordò Basho.
 
 
Il signor Nostrade si era calmato e poteva capire meglio quali gravi cose erano uscite dalla sua bocca. Se non fosse stato per l’incidente di Kurapika, avrebbe messo in pericolo ogni persona a lui cara.
 
Il Kuruta, vedendolo amareggiato, si rivolse a Nakamura dicendo: «Se posso intromettermi, vorrei fare alcune precisazioni prima di andarmene».
Tutti lo ascoltarono in silenzio.
«Sappia che il mio capo vuole proteggere sua figlia, farla sentire a casa e non farle mancare niente… semplicemente perché è suo padre. E’ l’unico membro della famiglia che gli è rimasto, desidera non perderla mai e quindi può anche permettersi di viziarla. A differenza di certi umanoidi senza cuore che non hanno parenti e pensano solo ai soldi, lui sa provare dei buoni sentimenti. E’ per questo che gli rimarrò fedele!».
 
 
Light dovette girarsi per non farsi vedere: quel discorso l’aveva commosso.
Nonostante il suo comportamento infantile, la sua guardia prediletta era sempre lì a difenderlo anche nel torto.
 
L’altro boss ignorò i suoi insulti e pensò: “Certo, continua pure a tirare fuori gli artigli. Ben presto la smetterai di cantare vittoria; abbandonerai in lacrime il Giappone insieme al tuo capo e agli altri membri della tua maledetta famiglia. Sarete odiati da tutti!”.
 
 
 
 
Appena furono vicino all’uscita, Nakamura propose: «Siete sicuri di non voler fare un’alleanza con me?».
Light rimase sbalordito.
«Cos’è quella faccia? Mica ve ne pentirete! A me piace mantenere il contatto con gli altri; se vi uniste a me, potreste trarne benefici come una migliore riuscita dei piani e un maggior rispetto da parte delle altre famiglie», spiegò, «Volete proprio fare i solitari?».
Il signor Nostrade gli voltò le spalle rispondendogli: «Mi pare di non trovarmi poi così male lavorando da solo. Ringrazio la tua proposta, ma noi non ci alleiamo con nessuno».
L’altro immaginò quella reazione.
“Come vuoi, caro mio. Tu e le tue marionette avete appena firmato la vostra condanna”, pensò osservandoli come se volesse dare loro un’ultima occhiata prima di ucciderli.
 
Kurapika fu l’ultimo ad uscire e richiuse la porta che lo separava da quell’uomo facendo apposta un violento rumore.
 
 
Mentre i tre si stavano incamminando verso le due auto, dal piano superiore della villa gli altri boss mafiosi li osservavano attraverso un’enorme finestra.
«Sono i tre moschettieri?», chiese Satoshi.
«Così pare. Sono il biondino impiccione, il colosso ingordo e il loro capo ingenuo», commentò Shijo, «Li vedo già con le valigie in mano, pronti a levare le tende!».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Il viaggio di ritorno in macchina fu particolarmente silenzioso.
Light preferì guidare da solo una delle auto: voleva stare in disparte. La cosa peggiore che le sue guardie avrebbero potuto chiedergli era qualcosa riguardo a quella dannata sera.
C’erano così tante cose sulle quali avrebbe già dovuto iniziare a riflettere e a preoccuparsi, ma mancava la voglia di usare la testa.
Avrebbero iniziato a discuterne il giorno dopo; guidare in quel momento era la cosa più importante e, con il sonno che aveva, poteva essere pericoloso distrarsi.
La notte era lunga: aveva ancora cinque ore per pensare.
 
 
Kurapika e Basho erano sull’altra auto. Dopo aver visto che il biondo non si sentiva sufficientemente bene per guidare con sicurezza, l’amico prese il posto a sinistra.
Il Kuruta si addormentò sul suo sedile dopo neanche due minuti dalla partenza e quindi Basho non ebbe l’occasione di parlare con lui.
Tutto sommato non gli dispiacque: tirare ancora fuori quegli argomenti sarebbe servito solo a complicare le loro idee con mille supposizioni.
Che piega avrebbe preso la situazione?
L’unica cosa che poteva fare era rilassarsi durante quei pochi minuti che avrebbero impiegato per tornare a casa; si incantò a guardare le luci dell’auto del capo, la quale era prima della loro.
Il sentimento che più albergava nei loro cuori era l’essere rimasti impressionati e in un certo senso spiazzati dalla facilità con la quale Nakamura era riuscito ad ingannarli.
La loro ingenuità li portò ancora una volta a credere che l’esperienza con quello stano individuo fosse stata solo passeggera. Magari era solo una persona strana con vari complessi che presto o tardi li avrebbe lasciati in pace.
Ma la questione era molto più grave e nessuno, tantomeno Kurapika, avrebbe potuto immaginare cosa in realtà quella famiglia aveva in serbo per far provare il dolore della loro esistenza.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Quando misero piede all’interno della loro abitazione, si salutarono e si diressero verso le proprie camere a sistemarsi per dormire.
Tutte le altre guardie che lavoravano nella villa avevano finito i loro doveri ed erano andati a riposare già da tre ore; regnava un silenzio tombale.
 
Kurapika giunse finalmente nella sua stanza camminando a passo lento e cercando di sforzare la sua vista, la quale gli faceva ormai vedere tutto doppio.
Era esausto. La sua stanchezza derivava dall’accumulo delle fatiche a cui era sottoposto tutti i giorni e da tutto ciò che da molto tempo soleva bere.
Per poco non riusciva nemmeno a ricordare il viso di quell’odioso capo Mafia e, per quanta rabbia provasse in quel momento, non aveva la forza di continuare a ragionare sull’accaduto.
Riusciva a sentire i suoi insulti, il faticoso scontro di opinioni che era cominciato per una provocazione, tutti quei segreti che Light aveva buttato al vento, la figlia, i misteriosi poteri, l’alleanza…
 
 
Smise di pensare: non ce la faceva più. Il ragazzo perse l’equilibrio con la stessa rapidità di un oggetto a cui veniva staccata la spina.
Fece appena in tempo ad avvicinarsi a qualcosa che avesse potuto attutirgli la caduta, chiuse gli occhi e l’ultima cosa che sentì fu la morbida superficie di un materasso.
 
 
 
 
Il sonoro sbadiglio di Basho svegliò la povera Senritsu dal suo sonno, siccome la camera del giovane era vicino alla sua.
La ragazza, dopo aver tirato un sospiro di rassegnazione per le maniere poco garbate del suo amico, osservò l’orologio: era quasi l’una.
Pur sapendo che a quell’ora conveniva rimanere a letto, si riempì di gioia nel capire che i tre erano tornati sani e salvi; Kurapika era di nuovo vicino a lei.
Ricordandosi della conversazione avuta con i suoi amici, andò a vedere se il biondo era ancora sveglio. Non metteva di certo in dubbio che stesse dormendo, ma voleva avere la certezza che si sentisse bene.
Camminò con cautela nel corridoio buio, stando attenta a non inciampare nell’enorme tappeto, ed arrivò di fronte alla sua camera.
Bussò lievemente alla porta, ma nessuno le rispose.
La curiosità la vinse ed entrò.
 
Con suo stupore vide il ragazzo disteso a pancia in giù sopra il suo letto. Era caduto in un sonno profondo e aveva il respiro pesante.
Provò pena per lui vedendo che si era addormentato con indosso la sua elegante divisa e che non aveva avuto la forza di sistemarsi bene.
Non poteva lasciarlo così a prendere freddo. Prese dunque una coperta di lana dal suo armadio e la adagiò delicatamente sopra il giovane, facendo attenzione a non disturbare il suo riposo.
Il Kuruta fece un respiro più forte dei precedenti, ma fortunatamente non si mosse dalla sua posizione.
Senritsu non aveva più motivo di stare lì, però qualcosa la trattenne.
Si sedette su una sedia vicina ad osservare incantata il ragazzo.
Non sapeva spiegarsi che sensazione sentisse, ma l’espressione così innocente del biondo mentre dormiva le faceva provare tenerezza; sembrava mettersi in netto contrasto con il carattere antipatico che aveva tutti i giorni.
La mora sapeva che anche quella sera era stata faticosa per lui e per questo non riusciva a scacciare dal suo cuore quell’immenso timore che presto o tardi sarebbe successo qualcosa di grave; forse lui stesso sarebbe arrivato a commettere in futuro degli atti non consueti per la sua persona. Anche lei avrebbe probabilmente dovuto sopportare alcune cose.
 
 
All’improvviso un rumore catturò la sua attenzione: proveniva dal cellulare di Kurapika. Gli era arrivato un messaggio e l’avviso era di cinque ore fa; lui non se n’era accorto. Per il troppo sonno aveva addirittura lasciato acceso il telefono.
Senritsu non era la tipa che si interessava agli affari degli altri, ma decise comunque di leggere il messaggio con la convinzione che ci fossero scritte delle cose importanti.
 
Fece un piccolo sorriso scoprendo che invece il numero di telefono del mittente era di Leorio.
Aprì il messaggio e lesse:
-Buona notte, saputello! Sii sempre forte, te lo raccomandiamo… Da Leorio, Gon e Killua-.
 
 
Poche parole, un grande significato.
Era proprio vero che con brevi frasi d’incoraggiamento si poteva fare felice una persona che si sentiva sola.
“Ha degli amici che gli vogliono bene”, pensò tornando ad osservare il biondo.
Un senso di malinconia la oppresse. Tutto ciò le faceva ricordare i tempi in cui tutti i suoi compagni erano vivi e lei non era stata ancora vittima della Sonata Oscura. Si sostenevano a vicenda ed erano rimasti uniti fino al giorno della separazione.
 
Senritsu non poteva permettere che Kurapika patisse un dolore anche superiore al suo; perciò promise che, se il ragazzo a cui tanto teneva avesse avuto bisogno di qualsiasi cosa, lei gliel’avrebbe data.
Nessun amico era escluso e doveva assolutamente prendersi cura di lui; non importava che il ragazzo fosse volente o nolente.
L’egoismo e il troppo carisma portavano mai da nessuna parte e proprio la giovane, la quale sarebbe dovuta restare per sempre al fianco di Kurapika nella famiglia mafiosa, non poteva diventarne succube.
Anche se le loro strade si erano quasi ormai divise, tra i cinque non sarebbe mai successo niente che avrebbe rovinato il loro rapporto.
Con fatica sarebbero tornati sereni e con la stessa voglia di avventura che condividevano insieme da piccoli.
Insieme… come un tempo.
 
 
 
 
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Lazzaretto dell’autrice:
 
33 pagine di Word, ragazzi! 33 piene!
Questo è un Guinness World Record!
Kura:- Non crederti troppo, malata!-
Eh, sì: è proprio vero! T^T Non so come abbia fatto a scrivere questo capitolo! Tra inviti al mare ed improvvise serate uggiose mi sono bruciata, ho avuto la febbre e ancora adesso ce l’ho (più bassa).
Sentirsi male in estate è la cosa peggiore! Ti sembra di soffocare dal caldo…
Mentre scrivevo, avevo il ventilatore puntato in faccia (anche se troppa aria fa male). E il mio tenero cuginetto cosa fa? Mi strappa uno dei miei fogli! Ho dovuto riattaccare tutto come un puzzle! Non l’ho picchiato solo perché ha 3 anni…
Ho cercato di ricontrollare il capitolo più e più volte, ma non so se ci sono ancora errori di battitura o di grammatica. Se è così mi dispiace, però non ho potuto fare tanto X.X…
Sappiate che non vedevo l’ora di togliermi questo capitolo perché lo odio! Non c’è azione e tutto si concentra su un dialogo.
I prossimi non saranno così; anzi, vi dico che i veri casini non sono neanche iniziati.
Il discorso di quel disgraziato (Nakamura) è servito solo per far annusare a Kurapika e company l’odore del pericolo. Se quel boss è esperto nell’imbrogliare le persone con semplici parole, allora immaginatevi cosa può venire fuori se passa ai fatti!
Comunque spero che apprezziate il contenuto di questo capitolone! xD Il mio è stato un tentativo di dimostrare che una battaglia può avvenire anche con una discussione, senza il necessario bisogno di scazzottate (le quali però verranno in seguito)!
Voglio precisare altre cose…
Il titolo “L’udienza” è stato dato per una cosa che (ahimè) accadrà alla fine…
Poi spero di avervi trasmesso i maggiori sentimenti possibili!
Kura:- Non è una precisazione…-
Senti, torna nella storia e non rompere! Non ti conviene aprire bocca, visto che combinerai anche tu delle cose spiacevoli <.<…
Ho fatto un’enorme fatica ad evitare le ripetizioni! Ci sono state poche scene e mi sono dovuta adeguare! Speriamo bene xD…
Se volete che Leorio si “confronti” con Kura, dovrete aspettare il meglio/peggio! Ah, Kurapika ha una pazienza di ferro e Senritsu è una santa! U.U
Poi sono presenti alcuni verbi all’apparenza strani tipo “credé”. In realtà è giusta anche questa forma! Quando ho messo “credette”, Word me lo ha sottolineato…
 
Grazie mille a tutti coloro che hanno commentato/messo la storia tra le preferite e/o seguite.
Sto parlando di:
Faith Yoite
Hiroto49
Chichi Zaoldyeck
Raine93
 
E ovviamente grazie ai miei lettori anonimi (che io conosco xD) e a quelli che hanno letto anche solo una frase della mia fan fiction!
Voglio tanto bene a tutti! *-*
Killua:- Bleah…-

 
 
 
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Nel prossimo capitolo:
 
«Non c’è cosa più brutta di essere giudicato e preso in giro da una persona che forse ha studiato meno di te».
«Non ti sentiresti così giù di corda se fosse accaduto solo questo».
 
«Mi faccio schifo da solo…».
 
«Basho… sto male…».
«Kurapika!».
 
«Ucciderai chiunque oserà intralciare i nostri piani. Ti ordino di
non avere pietà!».
 
«Doveva scegliere proprio te per farle compagnia?».
«Cosa c’è? Ti dà fastidio?».
 
«Vorresti dire che questo diversivo…».
«Esatto. Sarà… la vittima sacrificale».
 
 
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Un bacione e recensite!^^
Scarlet Phantomhive.
 

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Capitolo 3
*** Dubbi x Malvagità x Intrusione ***


L’udienza.
Capitolo 3: “Dubbi x Malvagità x Intrusione”.
 
 
 
 
Le prime luci dell’alba cominciarono a diffondersi in tutta la città. Il forte acquazzone della sera passata aveva lasciato inaspettatamente poche tracce come delle semplici pozzanghere e nessun allagamento.
Era lunedì e i ragazzi si stavano avviando come degli zombie verso le loro scuole con i propri zaini pesanti.
 
 
Basho era sveglio già da un paio d’ore e, mentre era impegnato a consumare la sua terza sigaretta, ammirava il paesaggio fuori dalla finestra della sua camera. Osservava con disprezzo i volti annoiati e stanchi degli studenti; avrebbe pagato oro per essere al loro posto e questi ultimi, i quali non sapevano cosa significasse lavorare e sudare, se ne sarebbero amaramente pentiti.
 
Il moro era di cattivo umore. Non aveva dormito tutta la notte perché la sua unica ossessione era la discussione che lui, Kurapika e Light avevano avuto con quello strano capo Mafia.
Si sentiva un idiota per non aver difeso a sufficienza il suo capo. Aveva lasciato che il suo amico parlasse per tutti e la sola cosa che aveva potuto fare era agitarsi e ribollire dentro per come quell’uomo li stuzzicava, per come li prendeva in giro.
Nakamura era una persona molto furba e attenta, non c’erano dubbi. Stava per far perdere la capacità di ragionare al biondo ed era una cosa parecchio rara.
Ce l’aveva con lui, lui e nient’altro che lui; lo offendeva, lo trattava quasi come se fosse un bambino. Non riusciva a capire perché gli interessasse sapere la sua provenienza, il motivo per cui aveva scelto quel lavoro…
“Bastardo impiccione!”, pensò aggrottando la fronte.
Light era riuscito a difendere le sue guardie per poco tempo, poi le domande dell’altro boss lo avevano completamente catturato.
Lo stava trascinando a raccontare tutte le faccende del Kuruta, spingendolo sempre di più a provare curiosità per i suoi segreti.
Aveva parlato di Neon, accennando all’importanza della ragazza per i suoi guadagni.
L’ultima pugnalata la ebbero quando Nakamura aveva chiesto loro di fare un’alleanza. Sembrava davvero che li stesse credendo degli incapaci, ma Basho era comunque preoccupato per il fatto che avessero rifiutato la proposta.
 
Se fosse una sorta di ultimatum? O forse lui si stava facendo troppi problemi?
 
Non sapeva niente del suo capo, il quale era ancora chiuso nel suo ufficio.
Qualsiasi cosa stesse facendo, il moro sperava che si sarebbe fatto vivo il più tardi possibile; affrontare una discussione, senza avere per giunta nulla con cui difendersi, non era la cosa migliore.
 
 
 
 
All’improvviso qualcuno bussò alla sua porta. Basho non aveva nessuna voglia di parlare con qualcuno, ma per educazione disse a quella persona di entrare.
 
«Permesso?», chiese una voce femminile.
Il moro si allarmò: era Senritsu. Che cosa voleva?
No, non voleva discutere in quel momento con lei. Non era sufficientemente calmo per spiegarle la situazione ed era comunque proibito pronunciare parola sull’accaduto.
 
«… Ciao, Sen», la salutò.
«Disturbo?», domandò accennando un sorriso.
«No, no…».
Appena lei si sedette sul letto del ragazzo, un terribile odore di fumo l’avvolse.
«Santo cielo… non si può stare qui dentro…», ammise fra i colpi di tosse.
«E allora vattene», fu la secca risposta di Basho. Subito dopo si accorse di quant’era stato sgarbato e strinse i denti.
Avendo visto il viso offeso della ragazza, lui spense la sigaretta dicendo: «Sto scherzando. Mi fa piacere la tua compagnia».
 
 
Non riusciva a sostenere il suo sguardo. Sapeva che la giovane teneva molto a Kurapika e non ce l’avrebbe fatta a dirle che forse il biondo era quello più in pericolo.
 
 
«Come mai questa visita?», le chiese stranito.
«Mi sentivo sola; gli altri stanno ancora dormendo», rispose con la massima sincerità.
«Ascolta, sai per caso qualcosa riguardo al capo?», si interessò l’amico.
«No, è sempre chiuso nella sua stanza e non so neanche il perché…».
«Sarà stanco, non preoccuparti».
 
I due rimasero per un po’ in silenzio, poi Senritsu disse: «Non pensavo che le trattative di ieri sera fossero state così stancanti».
Basho spalancò gli occhi.
«Vorrei vedere te se tornassi a mezzanotte dopo aver discusso per ore con un fuso di cervello!».
«Non ti sto dando del debole… e non parlare male delle persone assenti!», lo rimproverò.
«Scusami… però avere a che fare con quel tipo mi fa poco piacere».
«… Basho, cos’è successo?».
 
Il ragazzo cominciò a raccontare cose futili sul carattere dell’uomo.
«Hai presente quando, invece di dire cose serie, una persona si limita ad osannare la sua erudizione e le sue ricchezze? E’ una cosa brutta essere giudicato da uno che forse ha studiato meno di te, giusto? Ecco, è successo esattamente questo».
«E allora?», sbottò la giovane, «Credevo che vi avesse fatto cose peggiori! Non dategli ascolto, vuole intimorirvi. Sai che la prima regola è: chi fa da sé, fa per tre. Ce l’ha insegnata il nostro capo!», spiegò cercando di tranquillizzarlo.
«E’ proprio questo che mi fa paura…», mormorò Basho.
 
 
Non doveva dirlo, ma allo stesso tempo non gli faceva piacere che la sua amica abbassasse troppo la guardia.
«Quel tipo ne sa una più del diavolo…», continuò a dire.
 
Senritsu cominciò ad allarmarsi.
«E’ forse successo qualcos’altro?», chiese con timore.
Lo sguardo della ragazza non era più tranquillo. Il moro maledisse sé stesso per aver osservato quel viso tanto tormentato.
Riconosceva di essere un disastro con lei.
Le parole di Light riecheggiavano nella sua testa. Il capo era stato abbastanza chiaro: la situazione doveva essere compresa a fondo solo da chi aveva vissuto l’esperienza in prima persona.
 
«Evita di badare alle mie parole, Sen…», cominciò a dire.
«Non ti sentiresti così giù di corda se fosse accaduto solo questo. Ti conosco», ribatté.
«Sciocchezze…».
«Ti ha ferito per qualche altro motivo?».
«Non è accaduto niente!».
«Ma siete tutti così strani… E Kurapika? Come sta?».
«Come tutti i giorni, diamine!».
 
Stavano per litigare, lo sentivano. Più Basho nascondeva le cose, più Senritsu si insospettiva.
 
«Senti, anch’io faccio parte della famiglia. Ho il diritto di essere informata sui problemi e tu non mi stai dicendo tutto… Lo capisco dal tuo battito», rivelò la mora, «Non serve a niente mentire se sai che qualcuno ti può aiutare!».
 
 
In quel momento Basho non ci vide più dalla rabbia. Volendosi sfogare, rovesciò a terra con rabbia i libri che teneva sul comodino insieme ad un bicchiere d’acqua.
Il rumore che causò fece spaventare la ragazza.
 
«SMETTILA CON QUESTE DOMANDE!», urlò il giovane, «Sei sempre la solita! Mi fai imbestialire per colpa della tua curiosità!».
Senritsu non trovò neanche il coraggio di ribattere da quant’era allibita.
«Ti sembra poco?!», continuò l’altro, «Non ti basta capire che abbiamo avuto a che fare con figlio di puttana che ci ha spogliati della nostra dignità, che ci ha rinfacciato di fare poche cose quando gli unici suoi lavori sono lucidare le sue scarpe e fare lavori di bocca ai suoi leccapiedi? Vuoi sapere se anche Kurapika è su tutte le furie? Sì, tantissimo… e ha tutte le ragioni del mondo!».
Dopo aver preso di nuovo fiato, concluse dicendo: «C’è da rodersi solo per questo, te l’assicuro!».
 
 
 
 
Nella stanza regnò il silenzio.
Basho si accese con nervosismo un’altra sigaretta. Sapeva di averla combinata grossa, ma almeno la ragazza si sarebbe rifiutata di fare ancora domande.
Purtroppo sentiva di averla offesa ed incuriosita sempre di più, però non si poteva tornare indietro.
 
«Scusa, dimentica tutto…», fu l’unica cosa che riuscì a dire.
La risposta fredda di Senritsu gli arrivò subito dopo.
«E’ meglio che vada. Vedo che hai bisogno di rilassarti».
Detto ciò, uscì dalla stanza senza aspettare una risposta di Basho.
 
Quest’ultimo stava morendo dalla rabbia verso sé stesso. Non era riuscito a domare i suoi impulsi e aveva finito per far spaventare la sua amica.
Se lei avesse parlato con Kurapika, lui sarebbe stato più bravo a celare la paura.
Era colpa sua se lei era rimasta turbata. Magari quell’uomo sarebbe poi scomparso senza problemi, quindi era come se l’avesse fatta stare male inutilmente.
“Mi faccio schifo da solo. Non so neanche mantenere un segreto…”, pensò dando un pugno sul muro con forza.
 
 
 
 
 
Mentre stava camminando lentamente nel corridoio, la ragazza continuava a riflettere sul carattere lunatico a dir poco terrificante del moro.
Cosa mai poteva essere successo? E perché nessuno voleva spiegarle niente? Erano un gruppo e, come le avevano insegnato Leorio e gli altri, le questioni si sarebbero dovute discutere insieme.
Le venne per un attimo l’idea di chiamare gli amici di Kurapika, ma poi la scartò. Quelli erano affari della Mafia ed informare delle persone estranee ad essa non era conveniente, pur sapendo che non avrebbero riferito niente alla polizia.
Tutto partiva da una questione di principio: voleva loro un mondo di bene, ma discutere segretamente di questi fatti significava tradire la sua famiglia e mettere tutti in pericolo.
 
 
Senza neanche accorgersene, era giunta di fronte alla porta della camera del Kuruta.
Il pensiero che anche lui avesse lo stesso comportamento di Basho la allarmava più di ogni altra cosa.
Decise di parlargli per sapere come stava. Bussò più volte, ma non udì nessuna voce dall’interno.
“Non si è ancora svegliato?”, pensò incuriosita.
«Kurapika, ci sei?», provò poi a chiedere.
La mora mise piede dentro la stanza. Con suo stupore vide che essa era completamente illuminata, messa in ordine e il letto era già stato rifatto; pareva che il giovane si fosse svegliato anche prima di lei.
Dove mai poteva essere? Di sicuro non era nella villa, altrimenti l’avrebbe visto.
 
Appena osservò il comodino messo affianco al letto del ragazzo, vide un biglietto sopra di esso.
Lo prese e lesse:
-Sono uscito. Tornerò fra qualche ora-.
Senritsu si immaginò cosa stava facendo: mentre Basho era impegnato a finire entro quella giornata l’intero pacchetto di sigarette, Kurapika era andato a sfogare il suo malessere in qualche bevanda. Ne fu ancora più certa quando notò che aveva lasciato lì il suo cellulare e si era portato il portafoglio.
Aveva furbescamente approfittato della situazione per evadere dall’abitazione e la ragazza non osava neanche pensare a quanto fosse probabilmente ubriaco in quel momento.
Di sicuro quello era un modo più garbato per evitare di pensare ai problemi, anziché avere delle totali crisi d’ira come era successo a Basho. Sperava però che non sarebbe dovuta arrivare a soccorrere di nuovo il biondo con l’amico.
Se il capo avesse scoperto che tutti i membri della famiglia stavano facendo quel che volevano, sarebbero peggiorate le cose.
 
 
Leorio era impegnato a visitare come al solito tanti bambini malati di febbre, tosse e mal di gola; erano disturbi tipici del periodo. Lui e il pediatra che aiutava li tranquillizzavano e magari li facevano divertire nel caso avessero paura del camice bianco.
Gon e Killua stavano ascoltando una normale e noiosa lezione di storia nella loro classe.
Tutti avevano però dei pensieri nella loro testa che andavano contro ciò di cui si stavano occupando.
Nessuno stava bene; non sapevano fino a quando avrebbero continuato a sopportare i loro problemi e quell’attesa stava diventando a dir poco straziante.
Presto le cose sarebbero cambiate, diventando probabilmente peggiori.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Verso mezzogiorno dall’ufficio di Light uscì una guardia del corpo che si diresse verso la camera di Basho, il quale aveva deciso di riposarsi dopo quella sfuriata.
L’uomo si chiamava Shiro e aveva quarant’anni.
Quando la famiglia era a York Shin, la Brigata dell’Illusione aveva massacrato molti dei suoi membri ed ucciso molte guardie del corpo amici di Kurapika, Basho e Senritsu. Light aveva reclutato dei nuovi uomini per sostituire quelli morti in battaglia.
Quelle persone, però, non erano sufficientemente calorose e socievoli; i tre si sentivano quindi poco considerati da quelle specie di robot.
 
 
Shiro entrò senza bussare nella camera di Basho, svegliandolo di colpo.
«C-Capo?», domandò spaventato.
Vedendo poi chi era, sul suo volto si dipinse un’espressione annoiata.
«Che vuoi, Shiro?».
L’altro annunciò distaccatamente: «Il capo ti desidera in ufficio assieme al ragazzo biondo di nome Kurapika: vi vuole fare urgentemente un discorso. Dovete presentarvi solo voi due».
Il moro si allarmò. Ciò voleva dire che Light era sveglio e stava bene, ma cosa avrebbe fatto loro sapere?
 
La faccenda era così grave? E inoltre… dove diamine era Kurapika?
Senritsu era ripassata da lui dopo aver trovato il suo biglietto; il cellulare, però, era stato lasciato nella sua stanza ed ora non sapeva come contattarlo.
 
 
«Senti, vuole vederci proprio adesso?», chiese sperando di poter ottenere del tempo per riflettere.
«Se proprio non ci riuscite entro due minuti, non importa. Sappi però che il limite massimo di tempo per andare è mezz’ora o quarantacinque minuti e ventisei secondi. Comunque è meglio che giungiate lì entro un quarto d’ora e dieci secondi», fu la sua complicata spiegazione.
Basho rimase imbambolato e con la bocca aperta, mentre faceva i calcoli mentalmente.
«… Mi hai preso per Pitagora?! Sintetizza quello che hai detto!», ordinò arrabbiato.
«Come vuoi. Il succo del discorso è il seguente: raggiungerlo il più presto possibile».
Detto questo, lasciò la camera.
 
 
Basho stava per essere sopraffatto dalla disperazione, ma sentì all’improvviso la porta d’ingresso chiudersi.
Il moro si precipitò giù per le scale. Se fosse entrato il suo amico, tutto si sarebbe risolto.
 
Quando volse lo sguardo verso la stanza che precedeva il salone, vide la figura del biondo che lo stava raggiungendo lentamente.
Basho lo osservò stupito. Il ragazzo si reggeva a malapena in piedi; era vestito con un paio di jeans e una leggerissima maglietta blu. Non riusciva a vedere la sua faccia perché aveva i capelli spettinati che gli coprivano gli occhi.
Era uno straccio.
 
L’amico gli corse incontro e mise le mani sulle sue spalle per evitare che barcollasse o cadesse.
«Ehi, Kurapika…», lo chiamò spaventato.
Quando il Kuruta alzò il viso, l’altro vide che aveva le guance completamente rosse e due spaventose occhiaie solcavano il contorno dei suoi occhi, i quali non lasciavano trasparire un barlume di lucidità.
Era stata davvero una fortuna se era riuscito a tornare a casa da solo, dato che stava osservando il moro come se non l’avesse mai conosciuto.
«… Cavoli, collega, stavolta ci sei andato pesante! Ti sono bastati davvero i soldi?», osservò l’amico, cercando di essere ironico.
Kurapika riconobbe la sua voce e si staccò subito dalla presa, pur facendo fatica a stare in piedi.
«Inizi già a rompere…?», chiese quasi mormorando.
«Quando bevi, diventi sopportabile quanto un’ulcera!», esclamò quindi l’altro sbuffando.
«Parla per te. Puzzi di fumo peggio di uno spazzacamino», fu la replica.
Allora l’amico fece una risata quasi liberatoria e disse: «Santo cielo, siamo messi proprio bene! Potremmo fare i comici!».
Era evidente che anche Basho stava soffrendo, ma non voleva farsi vedere come un debole.
 
Dopo aver ripreso fiato, quest’ultimo rivelò al biondo: «Sei irriconoscibile! Guarda che le ragazze ti staranno alla larga, eh?».
«Sai quanto me ne importa…».
Detto questo, perse di nuovo l’equilibrio e il moro dovette continuare a sostenerlo.
«Kurapika!».
«Basho… sto male…».
«Ti gira la testa?».
«Ho nausea…», rivelò con un filo di voce e socchiudendo gli occhi.
L’amico si allarmò. Per quanto avesse voluto stare tranquillamente vicino al suo compagno, non era proprio il momento per rilassarsi.
Lui fece sedere comunque il giovane su una sedia.
«Siamo nei guai. Come possiamo presentarci dal capo se tu sei in queste condizioni?», domandò.
Kurapika riaprì completamente gli occhi appena sentì la frase.
«Che c’entra il nostro capo?».
«Ci vuole vedere e parlare forse riguardo alla faccenda di Nakamura. Ecco perché sono sceso da te», spiegò.
«Perfetto…», rispose il Kuruta irritato. Non bastava sentirsi uno schifo; per completare quella serie di sventure, c’era anche un capo frustrato.
 
«Vuoi che ti prepari qualcosa di caldo?», chiese il moro.
«No, per carità…».
«Vuoi qualche farmaco?».
«No».
«Allora apro le finestre, così entra un po’ d’aria!».
«Nemmeno».
 
A quel punto il biondo si alzò faticosamente dalla sedia e si diresse verso le scale.
«E’ meglio che vada a sciacquarmi il viso e a sistemarmi un po’. Vedrò di fare in fretta».
«Fai attenzione! Oppure… posso aiutarti!», propose Basho.
«Mi hai preso per un deficiente? Sono lucido, so camminare e so lavarmi. Posso farcela!», esclamò seccato.
«Ho capito. Se hai voglia di vomitare, fallo adesso! Non farti vedere da nessuno!», gli raccomandò il moro.
 
Quando il ragazzo sparì al piano superiore, l’altro non poté fare a meno di riflettere.
“Dopotutto ci è andata bene. Di solito Kurapika perde il lume della ragione e si mette a dire cose assurde!”, pensò mentre stava versando dell’acqua in un bicchiere.
 
 
 
 
*****
  
 
 
 
Dopo circa un quarto d’ora i due erano pronti. Il Kuruta si era sistemato i capelli e si era cambiato la maglietta. Cercava di mantenere lo sguardo vispo.
«Coraggio, andiamo», disse poi.
 
 
Arrivati di fronte alla porta dell’ufficio di Light, Basho bussò tre volte.
«Avanti».
 
I tre furono dentro la stanza a videro finalmente il loro capo. Non stava così male come credevano, ma aveva uno sguardo così serio e pensieroso da far immaginare ai due che avesse riflettuto per tutto quel tempo.
Aveva comunque un’espressione molto abbattuta; pareva che non avesse chiuso occhio per tutta la notte.
Era normale che si sentisse anche in colpa; dopo ciò che aveva rivelato l’altra sera, doveva certamente sentire la responsabilità sulle sue spalle.
 
«Salve, capo», dissero in coro.
«Salve, ragazzi…», rispose.
Fece loro cenno di sedersi con la mano, poi chiese: «Come state?».
«Stiamo bene, grazie», lo tranquillizzò il Kuruta.
«Lucidi come sempre!», esclamò il moro, il quale venne fulminato dallo sguardo del biondo. Poi continuò dicendo: «Ci siamo insospettiti molto! Perché ci ha chiamati? E’ successo qualcosa di grave?».
«No. Se vi state riferendo a ieri, sappiate che non ho ricevuto nuove informazioni».
Sentito ciò, i due si rasserenarono. Per fortuna quello strano boss non aveva riprovato a farsi sentire.
«Allora come mai la presenza di altre guardie del corpo non sarebbe stata accettata?», chiese Kurapika.
 
Dopo averci ancora riflettuto, Light parlò.
«Sarò breve con il mio discorso e voglio che cerchiate di mettervi nei miei panni».
«Sì, capo».
«… In realtà sono molto preoccupato per voi. Ho paura che siate ancora troppo deboli», ammise.
Lo stupore si dipinse sui loro volti. Chi avrebbe mai detto che il signor Nostrade si fosse interessato così tanto ai suoi subordinati?
«Mi riferisco anche a Senritsu», continuò l’uomo, «Non l’ho chiamata perché non sa niente di ciò che è successo con Nakamura. Spero che abbiate mantenuto la bocca chiusa!».
«Stia tranquillo», rispose il biondo. Basho preferì non dire che aveva comunque destato sospetti nella mente della ragazza; il capo l’avrebbe sicuramente ripreso.
 
Light continuò.
«Voglio mettervi al corrente del fatto che la persona con cui abbiamo a che fare è un tipo molto furbo. Finora non ve ne ho mai parlato, ma ho avuto varie volte l’occasione di incontrarlo mentre stava discutendo riguardo a certi affari. Lui è uno che sa giocare con le parole per portare gli altri alla rovina e può arrivare a ricorrere a metodi meno pacifici per ottenere ciò che vuole».
«Ce n’eravamo accorti. Quelle domande erano assai sospette», giudicò Basho.
«Adesso mi rivolgerò ad ognuno di voi per sistemare alcune cose e gradirei che non mi interrompeste», li avvertì poi.
 
Il capo aveva detto così tante cose in poco tempo, quasi come se non avesse visto l’ora di togliersele dalla testa. Non aveva riferito loro nient’altro riguardo a Nakamura, ma credevano che lui stesse nascondendo qualcosa che magari comprendeva delle faccende troppo interne alla Mafia, troppo pericolose per essere rivelate.
 
«Basho…», fu il primo nome che pronunciò.
«Dica».
«Ho sempre pensato che tu sia un ragazzo in gamba, coraggioso e che sa mettersi in competizione. A volte ti distrai, ma non posso lamentarmi di niente».
Il moro sentì una certa felicità per essere considerato in quel modo.
«Però non abbassare la guardia. Anche se quel boss non ti ha rivolto particolarmente la parola, può avere in serbo per te delle brutte sorprese. Quello che ti chiedo riguarda il fatto di continuare a lottare senza timore».
«… Lo prometto. Conti su di me», concluse fieramente.
 
«Ora rientri tu, Kurapika…», disse poi spostando lo sguardo verso di lui.
Il biondo si irrigidì all’improvviso: aveva paura di ciò che poteva chiedergli dopo le scoperte che aveva fatto Nakamura.
«Rispondi a questa domanda: sei disposto… ad offrirmi il tuo aiuto più di prima?», gli domandò stranamente.
«… Se servirà per il futuro benessere della famiglia, ne sarei onorato», rispose cercando di mostrarsi convinto della sua scelta.
Non riusciva a far rilassare i suoi muscoli contratti e a volte si dimenticava di sbattere le palpebre degli occhi.
Light assunse un’espressione concentrata, come se volesse fare ordine nella sua testa.
«Ho da darti dei consigli», cominciò a dire, «A Nakamura piace mettere in soggezione le persone. La prossima volta evita di scaldarti ed ignoralo», fu la sua prima frase.
Light doveva essersi accorto dell’irritazione del ragazzo contro quell’uomo.
«In secondo luogo lui può stuzzicarti quanto gli pare riguardo alla tua famiglia, alla tua posizione, al tuo livello; meno ribatterai, più si stancherà di offenderti. Quando ti chiede qualcosa, rispondigli con gentilezza; meno rimorsi abbiamo, più affari riusciamo a trattare», concluse poi.
«Sì, capo», rispose il giovane con il morale ormai a terra.
Per fortuna quella sera si era trattenuto dal dire delle parole poco consone, altrimenti si sarebbe preso un buon numero di punizioni. Non era facile, però, fare finta di nulla: quando una persona ha il talento di seminare discordia, non c’è cosa più difficile da raggiungere della tolleranza.
 
Vedendo il viso del Kuruta dispiaciuto, il capo riprese a parlare.
«Anch’io devo scusarmi. Non sono stato capace di dare il buon esempio; ho perso la pazienza, ho messo in difficoltà voi, mia figlia…».
«Abbiamo sbagliato tutti. Siamo pari, no?», osservò Basho.
Fu allora che il signor Nostrade puntò gli occhi sulle due guardie ed esclamò: «Se pensate che sia tutto finito, vi sbagliate di grosso. Quel tipo si rifarà vivo; ne sono sicuro al 90%».
Si alzò in piedi e annunciò: «Non mi farò sottomettere dalle parole di quello stronzo. Voi mi siete stati sempre fedeli e questo può bastare. Mai come ora mi sono sentito più bisognoso di preservare mia figlia dai pericoli; proteggetela e tenetela d’occhio ancora di più».
 
Kurapika si sentiva a dir poco atterrito per la troppa speranza che stava riponendo su di lui.
 
«Basho, da oggi in poi voglio che ti impegni di più a sistemare i soldi, gli oggetti delle aste e con la tua forza hai il permesso di eliminare fisicamente i nostri nemici».
«… Ho capito», concluse sbigottito.
 
«Kurapika, tu dovrai essere quasi sempre al fianco mio e di mia figlia».
«Cosa significa?», domandò incredulo.
«A parte il lavoro di spionaggio notturno, vorrei metterti alla prova per diventare il mio secondo cervello. Ti lascerò formulare idee e tattiche per la buona riuscita delle missioni; terrai dei discorsi e ti manderò a fare dei colloqui per recuperare quello che desidero. Con la tua intelligenza potrai essermi utile e con la tua fermezza potresti diventare un ottimo educatore per mia figlia. Ucciderai chiunque oserà intralciare i nostri piani. Ti ordino di non avere pietà!».
 
 
 
 
Nella testa del Kuruta era presente un castello immaginario, il quale conservava in ogni piano tutti i desideri che il ragazzo aveva fin da quand’era piccolo.
A lui piaceva sognare; sarebbe voluto diventare un Hunter di grande prestigio sempre al servizio della gente. Non passava un giorno senza fantasticare sul suo futuro.
 
Voleva più libertà, ma quel piano era destinato a cedere; voleva continuare a sorridere con i suoi amici, voleva non fare la vittima, voleva non far soffrire le persone per causa sua ma…
 
Ogni singolo piano si stava frantumando. Ormai era diventato un robot senza speranze, il quale si infiltrava in ambienti criminali e doveva badare a persone capricciose.
 
Kurapika era un ragazzo ancora giovane, ma vissuto. Non gli sorprendeva più niente.
Gli era stato privato tutto dalla tenera età; viveva per vendetta e per subire le maledizioni di quei capi Mafia che desideravano la sua morte.
Sentiva che stava diventando una persona sempre più cattiva ed influenzabile. Si era ormai affezionato al suo capo, ma si vide ufficialmente costretto ad abbandonare i suoi buoni propositi per seguire la via del male che l’avrebbe fatto diventare un ricercato.
 
 
Qualcosa nella sua mente si fermò: era il suo buon senso.
Ora basta, aveva fatto anche troppo. Avrebbe lasciato che la malattia della depressione sarebbe avanzata fino ad inglobarlo completamente e a renderlo cieco.
Riusciva a vedere i suoi amici ormai lontani; erano destinati a dirsi addio, lo sentiva.
 
 
«Ehi, Kurapika?», lo chiamò Basho.
Il giovane tornò fra loro senza fare a meno di scrutarli con astio.
«… Farò come dice lei, capo», si rassegnò.
«Combatterai per la vittoria dei Nostrade?», gli chiese Light.
«Fino alla morte», concluse facendosi prendere dall’apatia nei confronti della realtà.
“Perché devo continuare a proteggere me stesso?... Se questa è la vita… allora avrei preferito morire cinque anni fa”, rifletté con amarezza.
 
Aveva fatto il Blacklist Hunter per vendetta, ma in quel momento la Brigata era in un altro luogo a seminare il panico e lui stesso si era incatenato in quella famiglia. Non poteva spostarsi senza il loro consenso e si rese conto di quant’era stato sciocco.
 
Intanto Light cercava di non pentirsi di quella scelta. Kurapika era essenziale come aiutante.
Gli dispiaceva allontanarlo sempre di più dai suoi amici, ma avvicinare le sue guardie a lui era l’unico modo per scampare dai pericoli.
 
«Un’ultima cosa…», ricominciò a dire, «Non parlate di questo con Senritsu e le altre guardie. Sarò io ad informarli nel giusto momento».
«Ricevuto», risposero in coro.
«Poi vi dirò cosa dovrete fare questo pomeriggio».
 
Detto questo, lasciò uscire i ragazzi dall’ufficio. Non osarono proferire parola e si diressero verso le loro camere senza nemmeno essersi prima salutati.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Alla villa di Nakamura stava avvenendo una sorta di festeggiamento.
Tutti i suoi colleghi erano con lui nel grande salone e reggevano dei bicchieri pieni di spumante fra le mani.
«Brindiamo per la nostra alleanza!», annunciò Nakamura prima che tutti i suoi ospiti potessero bere.
«Non ti sembra di correre un po’ troppo?», domandò Shijo.
«E piantala di preoccuparti! I Nostrade sono già fuori dalla scena!», lo rimproverò Satoshi.
«Fidatevi, ho interrogato a sufficienza Light e mi ha offerto delle informazioni su un piatto d’argento. Voglio scoprire tutti i loro punti deboli per colpirli con sicurezza di successo».
«Non è conveniente fare tutto in una volta», lo avvertì Kagamine.
«Per questo mi serve il vostro aiuto. E’ così bello collaborare!».
«Ti consiglio di scegliere un bersaglio per volta», propose Shijo.
«Già. Chi è il primo che dobbiamo fare a pezzi?», chiese Satoshi.
«Non si tratta di ammazzarli, ma di intimorirli… almeno per ora. Quello che voglio smascherare è il biondino e i motivi sono vari; so che nasconde molte cose…».
Scrutò i colleghi in faccia e disse: «Ma adesso non è questo il problema. La cosa indispensabile da fare è metterli all’erta, nel panico. Devono sapere che sono perseguitati da qualcuno».
«Loro non conoscono me, Satoshi e Shijo. Se gli farai qualche torto, penseranno subito che c’è il tuo zampino», commentò Kagamine.
«Non accadrà se fingo che mi siano capitate le stesse sventure. Voi sarete i miei testimoni», spiegò.
«Ma se vogliamo renderci anonimi, come potremmo chiamarci?».
Il boss prese un’agenda dal secondo cassetto di un comodino, scrisse qualcosa sulla prima pagina e mostrò il contenuto agli altri.
Dei sorrisi compiaciuti si dipinsero sui volti di ognuno.
«Niente male. Sei proprio una fabbrica di idee!», esclamò Satoshi divertito.
«Diciamo che questo tende a sottolineare la nostra collaborazione», osservò Kagamine.
«Un momento…», interruppe il discorso Shijo, «Hai detto di aver bisogno del nostro aiuto, no? Vorresti fare anche la vittima e noi dovremmo assecondarti?».
«E allora? Pensa alla ricompensa che avremo in seguito!», fece notare Satoshi.
«Non sto parlando di questo, idiota! Quando i Nostrade verranno a conoscenza che i danni saranno causati da più persone, chi ci dà la sicurezza che non sospetteranno della presenza di alcuni aiutanti di Nakamura?».
«E’ qui che ti sbagli!», rispose l’interessato, «Ho parecchie alleanze, ma loro sanno anche che mi piace approfittare della gente. Se sapessero che il responsabile fosse solo un individuo, i sospetti su di me finirebbero per ingigantirsi».
«Rimane comunque una cosa rischiosa…».
«Non potremmo allontanarli se non mettessimo in atto questo piano», ribatté Kagamine.
«Ma adesso… qual è il primo passo da fare?», chiese spazientito Satoshi.
 
Dopo una breve pausa di silenzio, Nakamura parlò.
«Non è una cosa così atroce. Nessuno ci rimetterà la pelle perché ciò che ci interessa ora è spaventarli. L’unica pecca è che mi ho bisogno di un diversivo».
«Beh, siamo qui per questo!», affermò Satoshi.
«No, non sarà il vostro compito. Voi dovrete fare il lavoro sporco ed io penserò prima di tutto a ricattare l’imbecille di turno», spiegò lanciando occhiate d’intesa.
«Aspetta… vorresti dire che questo diversivo…», provò a dire Kagamine.
«Esatto. Lui sarà… la vittima sacrificale», concluse cercando di trattenere l’adrenalina, «Venite più vicini: vi illustrerò tutto ciò che ho in mente».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Erano le due e un quarto del pomeriggio. Il silenzio e la quiete della città vennero improvvisamente interrotti dalle urla di due ragazzini che stavano correndo sul marciapiede di una via secondaria.
Erano sudati ed affannati anche per via del caldo insopportabile che era solito incombere verso l’ora di pranzo.
Uno di loro osservava spesso il suo orologio.
«Killua, muoviti! Sei più lento di un bradipo!».
«Stai zitto, Gon! Per colpa tua arriveremo in ritardo!».
«Adesso la signora Yamada ci ammazza!».
«Quella grassona non tollera i ritardi!».
«Killua, non si parla così!».
«E’ la verità! Apre bocca solo per rompere le scatole! I suoi figli sono tali e quali a lei!».
«Non parlare! Sprechi fiato!».
«E TU COSA STAI FACENDO, STUPIDO?».
«SCEMO!».
«RITARDATARIO!».
«MAI QUANTO TE!».
 
 
I due giunsero di fronte al portone di un edificio formato da sette piani. Killua suonò uno dei campanelli e dopo qualche secondo una voce disse loro di entrare.
Arrivati al terzo piano, una signora venne ad accoglierli nel suo appartamento.
Aveva i capelli rossi e raccolti in una crocchia. Il suo viso parecchio in carne era cosparso di cipria. Indossava una grossa e pesante collana di ametista e il suo ingombrante vestito aveva addirittura lo strascico; lei stessa rischiava di inciamparci.
Appena videro in che condizioni era la donna, trattennero una sonora risata.
«Buon pomeriggio, piccini!», li salutò gioiosamente.
«Salve, signora Yamada!», risposero in coro.
«Siete in ritardo, pasticcini!».
«Ci dispiace. La prossima volta non sarà così», promise Gon.
«Ma non ce l’ho con voi, zuccherini! Nessuno è perfetto!», affermò accarezzando le loro teste.
I due provarono un senso di disgusto; non erano ancora riusciti ad abituarsi alle sue dimostrazioni eccessive di affetto.
«Io e mio marito siamo ancora in tempo per lo spettacolo teatrale e i nostri pargoletti sono più vispi del solito!».
«Evviva…», mormorò Killua seccato.
«Dovrete stare tre ore a badare ai miei figlioli. Quando tornerò, vi darò i soldi come sempre», spiegò continuando a spettinarli a furia di passare le mani fra i loro capelli.
 
D’un tratto arrivò anche il signor Yamada con un’espressione stravolta.
«Cara, potresti spiegare tu a Jiro che non è sicuro giocare con l’aspirapolvere?».
Gon e Killua sbiancarono. Quel pestifero aveva già iniziato a combinare guai.
«Tranquillo, caro. Ci penseranno i nostri due bocciolini a farlo ragionare!», lo rassicurò.
 
 
Un grido terribile invase la casa.
«Ehi!», esclamò una voce femminile a Jiro.
«Ho aspirato le tue mutandine con i conigli, babbea!».
«Fuori dalla mia camera, stronzo!».
 
Dei brividi terribili percorsero i corpi dei poveri Gon e Killua. Si era appena arrabbiata una delle gemelle.
«Ci vediamo, cucciolotti!», li salutò la donna prima di scappare con suo marito verso il teatro. Non vedevano l’ora di andarsene e lasciare in balìa della loro tutela quei pestiferi figli.
 
«E’ arrivata l’ora di tirare fuori gli artigli!», cominciò a dire Killua schioccando le ossa delle mani.
«Non perdere subito la pazienza. Sono solo un po’ viziati…», tentò di calmarlo il moro.
«Hai dimenticato che Masami ha spezzato la tua canna da pesca per fare degli stuzzicadenti con le schegge di legno?».
«Suvvia, ne ho molte altre…».
 
Dopo il loro breve dialogo, Killua tossì per schiarire la voce.
«Ichiro, Jiro, Masami, Masumi e Goro, muovetevi e venite qui!», urlò.
 
Passati diversi minuti, apparvero dal corridoio quattro bambini in pigiama che osservavano i due con delle espressioni seccate.
«Non siamo sordi, cretino…», mormorò Jiro.
«Mi dispiace averti interrotto mentre facevi le pulizie», rispose lo Zaoldyeck ironicamente.
«Siete venuti ancora? Cosa hanno visto di speciale i nostri genitori in due nanetti che non sono tanto più grandi di noi?», li stuzzicò Masumi.
«Chi si rivede: “porcospino” e “faccia di mozzarella”!», esclamò Masami.
«Mozzarella…», ripeté Goro sorridendo.
A Killua stavano per scoppiare i nervi dalla rabbia, così Gon cambiò argomento.
«Dov’è Ichiro?», chiese.
«Secondo te? Si sta facendo le solite seghe mentali!», rispose Masami.
«Ci sarà di mezzo qualche Yuri o Hentai…», immaginò ridacchiando.
«Me l’aspettavo», concluse Killua.
Superò i quattro fino a raggiungere la camera del fratello maggiore, la quale era completamente al buio. L’unica fonte di illuminazione era il computer acceso che rendeva nitida la sagoma della testa di Ichiro. Indossava delle enormi cuffie, ma non stava ascoltando delle canzoni.
 
Killua accese di colpo la luce della stanza e questo disturbò il ragazzo.
«Dai, cavolo…», si lamentò.
«Come mai non hai seguito i tuoi fratelli quando ti ho chiamato?».
«Non sento bene», rispose in modo antipatico.
Appena il bianco notò cosa stava guardando, fece un ghigno.
«Conosco questo Yuri».
«Ah, sì?», sbottò Ichiro.
«Tanto Midori muore», gli rivelò.
«… Brutto bastardo! Crepa!», si arrabbiò l’altro sbattendo le mani contro la tastiera.
«Visto che ora hai perso l’interesse, potresti seguirmi in sala?».
«Non prendo ordini da uno stupido della mia età! Seguirò un altro anime per tutto il pomeriggio e tu non puoi farmi proprio niente!», gli rinfacciò mostrandogli il dito medio.
«Allora resta qui dentro, non disturbare e annega nelle tue perversioni», concluse Killua abbandonando irritato la camera.
 
 
Intanto Gon stava facendo un discorso ai quattro.
«Cercate di non combinare guai e fate bene i vostri doveri!».
«Senti, fai qualcosa di utile e portaci in un negozio: ci mancano delle magliette», lo avvertì una delle gemelle.
«Mi pare che possiate riuscire a sopravvivere un giorno», ribatté il moro.
«Il fatto è che vogliono comprarsi i vestiti firmati dei loro cantanti preferiti. Mi fate pena!», rivelò Jiro.
«Non capisci niente, deficiente!».
«Basta, smettetela! Voi resterete a casa ed io baderò a Goro. Vi prego, siate buoni!», li supplicò.
«Altrimenti vi farò vedere quanto sono abili le mie unghie a graffiare la carne», aggiunse Killua, spuntando all’improvviso.
«Che schifo…», commentò Jiro.
 
 
 
 
Quella era la famiglia che aveva assunto i due ragazzi per lavorare quando i padroni di casa avevano degli impegni.
Siccome erano benestanti, tutti e cinque i loro figli non si lasciavano sfuggire nessuna concessione; erano abituati a ricevere tutto e l’idea di imparare ad essere servizievoli non era nei loro pensieri.
Il più grande si chiamava Ichiro e aveva la stessa età di Gon e Killua. Era un tipo molto solitario e dipendente da qualsiasi forma di tecnologia.
Amava sentirsi superiore agli altri e non voleva che gli venissero toccate le cose come un classico fratello maggiore.
Il secondo era Jiro, il quale aveva appena compiuto dieci anni.
Aveva sempre avuto dei complessi di inferiorità, specialmente perché sapeva che non avrebbe potuto ricevere tutte le attenzioni desiderate; infatti non perdeva mai l’occasione di fare dei dispetti abbastanza pesanti ai suoi fratelli per via della sua gelosia.
Non amava stare fermo ed era il più disobbediente.
Le due gemelle Masami e Masumi avevano otto anni; sembravano molto più furbe e spigliate rispetto alla loro età.
Volevano essere sempre alla moda e adoravano spendere soldi per i capi d’abbigliamento più costosi che c’erano in circolazione.
Non conoscevano la definizione di rispetto e si prendevano gioco di chi non seguiva le loro passioni.
Il più piccolo e forse il meno problematico era Goro. Non aveva ancora iniziato la scuola elementare e non sapeva elaborare una frase di senso compiuto.
Gon e Killua speravano che non avrebbe mai preso le cattive abitudini dei fratelli ma, dato che gli piaceva lanciare le posate alle gemelle come Jiro, dovevano abbandonare le loro aspettative.
 
 
Mentre i due stavano tentando di preparare uno spuntino abbastanza nutriente per loro, Masumi urlò da una stanza: «Ehi, porcospino? Ichiro sta mostrando a Goro delle foto piccanti!».
«Che cosa?!», sbottò Killua, «Vado io. Quel depravato mi sentirà!».
 
Gon non poté fare altro che ascoltare gli insulti e gli schiamazzi del suo amico e di quei maleducati, i quali lo stavano contemporaneamente prendendo in giro con battute poco simpatiche sul rapporto che aveva con i pesci che pescava.
«Che fatica…», disse sospirando, «Chissà come se la stanno cavando gli altri…».
 
 
 
 
*****
  
 
 
 
«Kurapika?...... Ehi, Kurapika? Sei pronto?...... KURAPIKA! ESIGO UNA TUA RISPOSTA!...... SEI SORDO?!».
 
La calma alla villa dei Nostrade venne interrotta da Neon, la quale stava bussando violentemente e con impazienza alla porta della camera del Kuruta.
Non smetteva di urlare e piagnucolare. I pugni che dava erano sempre più forti.
 
«Degnami di una risposta, almeno!».
 
Light le aveva concesso di passare un intero pomeriggio al centro commerciale per fare in modo che si divertisse. Purtroppo aveva chiesto a Kurapika di accompagnarla e lei non vedeva l’ora di trascorrere quelle ore con il ragazzo che le interessava.
 
Il biondo si era chiuso a chiave dentro la sua camera e stava impiegando tutto il suo autocontrollo per non impazzire di fronte ai lamenti della ragazza.
L’idea di uscire con lei non lo attirava per niente. Voleva solo riposarsi prima di iniziare il suo lavoro notturno, ma pareva che la giornata fosse destinata ad andare peggio di quanto si era aspettato.
 
«Se non mi dici qualcosa, butto giù la porta a calci!», lo minacciò ancora.
 
Kurapika stava facendo il più in fretta possibile per infilarsi i pantaloni e la camicia. Non aveva paura di lei, però temeva che il suo capo lo potesse riprendere per il suo ritardo.
 
«Mi sono stufata! Vado a dire a mio padre che non vuoi accompagnarmi!».
 
Il giovane scoppiò.
«DAMMI SOLO CINQUE MINUTI, DANNAZIONE!».
Non riusciva a contare il numero di schiaffi che avrebbe voluto darle se fosse stato suo padre.
 
«Se passerà più tempo, verrò a prenderti con la forza anche se sarai nudo!», concluse prima di abbandonare adirata il pianerottolo.
 
Quegli avvisi non lo intimorivano; preferiva un’avversaria come lei piuttosto che altri capi Mafia.
 
 
 
 
 
Quando uscì dalla sua stanza, incontrò Basho nel corridoio.
«Cos’era tutto quel baccano?», gli domandò dopo aver sbadigliato.
«Neon…», fu l’unica parola che l’altro pronunciò.
«Dovete già uscire?».
«A quanto pare…».
«Dille che vuoi prima farti una dormita! Sei pallidissimo!», gli fece notare.
«Lascia perdere».
 
Stavano per salutarsi, ma ad un tratto squillò il cellulare del Kuruta.
«Chi ti cerca?», chiese l’amico.
Appena Kurapika osservò il numero della persona, strinse i pugni arrabbiato e mise giù la telefonata. Subito dopo cominciò ad incamminarsi verso le scale.
 
Basho non comprese quella reazione.
«Beh, chi era?».
«Uno che non ha niente di meglio da fare».
«E sarebbe?».
 
 
«… Leorio», riuscì a dire dopo qualche secondo.
«Come mai non hai risposto?».
«Sono impegnato».
«E perché ce l’hai con lui?», continuò a domandare sempre più confuso.
«Perché esiste».
«… Scusa, ma non ti capisco», si rassegnò il moro.
«Ci vediamo stasera, Basho».
 
 
Mentre stava scendendo le scale, la mente di Kurapika fu attraversata da tanti pensieri.
In effetti non c’era una valida ragione per la quale lui fosse arrabbiato con Leorio. Ciò che aveva detto era la verità: non tollerava la sua esistenza.
Era a causa dei suoi amici se non aveva ancora imparato ad essere spietato contro i nemici. Provare affetto era un veleno per una persona dal carattere fragile come lui.
Sarebbe potuto diventare un criminale che uccideva tutti i suoi avversari senza impedimenti; non avere qualcuno da proteggere forse lo aiutava. Invece tutto era cambiato quando aveva conosciuto i tre. Era rimasto affascinato di fronte alla loro unione, simpatia, allegria; si era inevitabilmente affezionato a quegli sconosciuti.
A York Shin aveva avuto l’occasione di sconfiggere l’uccisore dei suoi familiari; avrebbe potuto farlo a pezzi, distruggerlo… ma quel maledetto sentimento di pietà si era impadronito del suo cuore.
Aveva preferito salvare due vite, piuttosto che fare giustizia per un’intera tribù.
Che atto vergognoso. La debolezza era sempre stata parte della sua indole.
Il suo capo non voleva che lui si mettesse troppo in contatto con loro e forse era stata la scelta più saggia. Siccome aveva dentro di sé una parte malvagia, sperava di riuscire a sprigionarla fino in fondo per evitare di soffrire ulteriormente.
 
 
“Ti prego, Leorio. Lasciami annegare nel mio peccato”, pensò sentendo di nuovo il suo cellulare squillare.
 
Si fermò un attimo per guardare il telefono. Quando qualcuno lo chiamava, il biondo poteva anche vedere l’immagine della persona interessata.
Osservò il viso sorridente di Leorio e fu come se si fosse svegliato da un’ipnosi.
Ricordò il giorno in cui gli aveva scattato quella foto. Era scoppiato dalle risate per il fatto che il moro fosse poco fotogenico e quest’ultimo si era messo ad insultarlo a sua volta per come si vestiva. Litigavano davvero per stupidaggini.
Pochi giorni fa il Kuruta aveva detto di essere niente senza i suoi amici; era tutto il contrario di ciò che aveva appena pensato.
 
No… quello era solo il suo lato bisognoso di affetto che doveva essere cancellato.
Leorio e gli altri dovevano cominciare a dimenticarsi del ragazzo. I loro mondi erano troppo diversi.
 
 
 
 
Appena giunse al piano terra, Neon si fiondò vicino a lui.
«Sei pronto?», gli chiese allegramente.
«… Sì».
 
Kurapika si accorse che c’era anche Senritsu nel salone. Si salutarono senza poi dirsi niente; era il momento peggiore per affrontare una seria discussione.
La mora sembrava parecchio turbata.
 
«Che aspetti? Andiamo!», sbottò la figlia del capo avvinghiandosi al suo braccio.
La sola cosa che spinse il giovane a non liberarsi dalla presa fu la paura di risultare troppo antipatico. Tutto ciò che Neon vedeva, doveva essere al corrente del signor Nostrade.
 
 
 
«Lascialo», ordinò improvvisamente Senritsu. Sentito ciò, Kurapika non poté fare a meno di osservarla stupito.
La giovane non si era potuta trattenere. Un enorme sentimento di gelosia l’aveva colta nell’attimo in cui Neon aveva toccato così il Kuruta.
Non riusciva a sopportare che uscissero insieme. Il biondo la doveva seguire per ordine del capo, ma lei non poteva restare indifferente di fronte al terribile disagio che stava provando.
 
«Scusa, perché mai?», chiese Neon con fare superiore.
La mora stessa si sorprese di fronte a ciò che era uscito dalla sua bocca.
«… In questo modo non accelerate il passo», si inventò facendo un lieve sorriso.
«Mi sa che hai ragione…», concluse lasciando la presa.
Tutt’ad un tratto sbiancò.
«Ho dimenticato di mettermi la matita per la fretta! Kurapika, aspettami fuori!», disse prima di correre verso la sua camera.
 
Lui e Senritsu rimasero da soli.
«Beh, allora… a stasera e divertiti», disse la giovane per sviare l’argomento.
«Perché sei così?», gli chiese il Kuruta senza guardarla.
«… Così come?».
«Non lo so nemmeno io. Spiegamelo tu!», esclamò cominciando ad adirarsi.
«Ma… si vedeva che eri seccato per come ti stava tenendo! Dovresti ringraziarmi!», ribatté la ragazza.
«Vuoi capire… che molto probabilmente andrà a riferire al capo del tuo ordine?», spiegò.
«Non penso possa arrivare a tanto. E poi… doveva scegliere proprio te per farle compagnia?».
«Cosa c’è? Ti dà fastidio?», chiese con tono arrogante.
«… Come sei esagerato! Mi sa che stai pensando troppo; cerca di calmarti», rispose arrabbiata.
 
Detestava così tanto il fatto che l’avesse aiutato?
Forse era stata un po’ egoista con loro, ma lui non era al suo agio.
Non amava Neon; voleva esserne sicura…
 
«Forse hai ragione», disse il biondo, «Devo smetterla di pensare».
Girò la testa verso la ragazza e le rinfacciò: «Invece a me pare che tu non rifletta molto prima di parlare».
 
Di fronte alla costernazione di Senritsu, Kurapika abbandonò la sala senza scusarsi.
Era finito il tempo della commiserazione. Non si sarebbe più confrontato con i deboli.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Vennero le cinque del pomeriggio. Il cielo si era fatto cupo e sembrava volesse piovere da un momento all’altro.
Un’atmosfera molto triste albergava fra la folla di persone che occupava la piazza. Ognuno pensava ai suoi problemi e a volte si riuscivano a sentire le urla di due ragazzi che stavano litigando per questioni di amore o di lavoro.
 
Un signore con un cappotto grigio si stava incamminando verso un vecchio edificio situato nella traversa di una via.
Si guardava sempre intorno per controllare se qualcuno lo stesse seguendo.
 
Arrivato di fronte ad una porta, bussò un paio di volte.
Una persona parecchio alta lo accolse dicendogli: «Buon pomeriggio. Potrei avere la password?».
«Agz1792».
«Può passare», concluse indicandogli la strada.
L’uomo percorse uno stretto e buio corridoio fino a mettere piede in un locale di aspetto per niente accogliente. Era mal strutturato, pieno di crepe, muffa e ruggine sulle piastrelle delle pareti.
C’erano solo persone ubriache ed impegnate a giocare d’azzardo o a dare fastidio ai nuovi arrivati.
Il suo sguardo si posò su un gruppo di ragazzi che stavano maltrattando un uomo di colore, il quale non cercava di difendersi con la speranza che si sarebbero stufati presto di lui.
 
Nessuno li metteva a tacere; quelle cose erano normali in quel luogo.
 
«Com’è? Vuoi degnarci di uno sguardo, sporco nero di merda?».
 
Un calcio in bocca.
 
«Capisci che non sei accettato qui dentro?».
 
Un pugno sullo stomaco.
 
«Levati dal nostro tavolo, imbecille!».
 
Sangue.
 
Fischi, risate e altri scherni…
 
Un sospiro sereno uscì dalla bocca dell’uomo che aveva abbandonato il cappotto per terra.
Quello era il suo mondo e non poteva desiderare cosa migliore.
Solo quelle persone potevano farlo sentire a suo agio. Non aveva bisogno di nascondere niente grazie alla loro ingenuità ed ignoranza.
 
 
Appena il proprietario del locale lo riconobbe, gli fece un enorme sorriso.
«Oh, Nakamura!».
«Salve, Kyo!», lo salutò stringendogli la mano.
«Come va?», gli domandò l’amico.
«Sono in periodo di affari. Devo guadagnare qualcosa in un modo o in un altro», rivelò strofinandosi le mani.
«Sei sempre il solito…».
 
Nakamura tirò fuori dalla tasca della giacca un mazzo di soldi. Li mostrò all’altro chiedendogli: «Dov’è quell’uomo?».
«E’ seduto là in fondo», rispose indicandolo, «Quando gli ho detto che avrebbe potuto lavorare con la Mafia, si sono illuminati i suoi occhi. Desidera conoscerti».
«Eccellente, caro mio», si complimentò prima di dargli la ricompensa, «Adesso devo interrogarlo».
«Stai tranquillo. Non è un tipo che ragiona; ha solo voglia di compiere atti criminali. Sai, crede di poter diventare qualcuno», lo informò facendogli l’occhiolino.
«Questo renderà tutto ancora più facile!».
 
Fu allora che cominciò ad avvicinarsi all’interessato, il quale stava bevendo un boccale di birra.
Era una persona di mezza età; aveva la carnagione abbastanza scura, ma si era tinto i capelli di bianco. Non guardava in faccia nessuno e aveva un’espressione notevolmente risoluta.
Nakamura si sedette di fronte a lui.
«Saresti…?», chiese l’uomo stranito.
«Colui che deve farti una proposta di lavoro».
Appena disse quella frase, si rianimò completamente.
«Signor Nakamura! E’ un piacere incontrarla!».
«Ti prego, niente formalità. Diamoci del tu».
«Va bene, grazie. Mi chiamo Takahiro Fujiyama».
«Piacere di conoscerti. Dunque… saresti disposto a collaborare veramente?».
«Che altro potrei fare in questa misera vita?», rispose con malinconia.
«Hai dei precedenti penali?».
«No, nessuno mi ha mai beccato. E’ anche vero che non ho mai impugnato una pistola fra le mani; la mia unica arma era una tastiera», rispose con atteggiamento fiero.
«Eri un hacker, giusto?».
«Lo sono ancora. Lavoravo spesso di notte nelle discoteche per racimolare un po’ di soldi. Me la sono dovuta sempre cavare da solo, visto che quei bastardi dei miei genitori non si sono mai interessati al mio benessere», raccontò con rabbia.
«E adesso vorresti fare delle esperienze più movimentate, dico bene?».
«Esatto. Dimmi quello che devo fare! Ho sempre ammirato le vostre associazioni!».
Nakamura fece una breve risata.
«Mi dispiace infrangere i tuoi sogni, ma noi mafiosi siamo in guerra».
«Sul serio?», chiese incredulo.
«Non vedere il nostro mondo come qualcosa di perfetto. Siamo isolati dal resto della società e otteniamo ciò che vogliamo con l’inganno. Ci mettiamo d’accordo solo in caso di emergenza».
Takahiro rifletté per qualche secondo, poi disse: «Quindi… se devo attaccare un’altra famiglia mafiosa, rischio davvero di mettermi nei guai».
«Te ne sei pentito?».
«No, assolutamente! Sarà una cosa fantastica e divertente!», rispose gioiosamente, «E cosa mi darai in cambio?».
 
Dopo averlo scrutato bene, Nakamura si avvicinò di più all’uomo.
«Riceverai così tanto denaro che potrebbe bastarti per sei mesi», affermò.
«Ehi, mi piace!».
«Però… c’è un problema», continuò l’altro.
«Cioè?».
«Beh, prima devi accettare tutte le condizioni del nostro accordo».
«Non importa quale piano tu abbia in mente! Voglio semplicemente mettere alla prova me stesso!».
«Ciò che voglio dirti adesso non riguarda una questione di azione. Si tratta di un sacrificio…».
Il bianco rimase sorpreso nel sentire quella parola.
«Ascoltami bene…», lo avvertì Nakamura, «… tu sai già troppe cose su di me anche per merito del mio collega. Hai accettato questo incarico, ti ho confessato molte cose e non vorrei pentirmene».
I suoi occhi neri andarono a piantarsi su quelli di Takahiro.
«Sappi che potresti anche venire scoperto dai membri dell’altra famiglia; ti farebbero subire in seguito dei trattamenti poco piacevoli per strapparti una confessione».
Il suo volto si fece spaventosamente serio.
«Non importa se ti minacceranno di morte o se decideranno di risparmiarti per aver detto la verità. Se oserai lasciarti sfuggire dalla bocca il mio nome o qualsiasi altra cosa riguardante la mia persona… io sarò costretto ad ammazzarti e non ti darò neanche la metà dei soldi».
 
Vedendo l’interessato impallidire, aggiunse: «Se stai già pensando di ritirarti, ti sconsiglio di farlo; nessuno mi vieta di ucciderti adesso. Sarebbe scorretto se tu rifiutassi la mia offerta dopo tutto quello che ci siamo confidati».
Assumendo un’espressione più tranquilla, concluse dicendo: «Perciò conviene che tu svolga bene il tuo compito, altrimenti sprecherai la tua vita in questi ultimi giorni. A te la decisione».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«Maledizione, rispondi!».
 
Il signor Nostrade era impegnato a conversare nella sua stanza tramite dei messaggi con un suo collega di Hiroshima.
In passato alcuni capi Mafia specializzati in informatica avevano creato un sito Internet protetto e riservato solo ai mafiosi.
Purtroppo Light non riusciva a trovare un accordo con quell’uomo; dato che quest’ultimo aveva scoperto che Nakamura era interessato a quella famiglia, non voleva più aiutarlo in nessuna faccenda.
 
«Si crede un boss, ma in realtà ha paura della sua stessa ombra!», si lamentò chiudendo di colpo la schermata del sito.
 
 
All’improvviso qualcuno bussò alla porta del suo ufficio.
«Avanti…».
Una sua nuova guardia del corpo si precipitò dentro la stanza.
«Capo, un signore si è sentito male proprio di fronte al cancello della villa. Cosa dobbiamo fare?».
Light rimase stupito.
«E chi è?».
«Non lo sappiamo. E’ una persona molto anziana e non riesce a camminare!».
«… Va bene, portatelo dentro. Badate bene a non lasciare nella sala degli oggetti che potrebbero insospettirlo».
«Agli ordini», concluse abbandonando poi il piano superiore.
“Ci mancava solo un vecchio asmatico…”, pensò irritato prima di seguire la guardia.
Purtroppo non c’erano molte abitazioni nella zona dove vivevano.
 
 
Il signore venne fatto sdraiare su un divano. Ansimava ed era parecchio accaldato.
Sembrava essere molto grande di età.
 
«G-Grazie mille…», mormorò.
«Potete andare. Resto io con lui», ordinò il signor Nostrade alle guardie.
Prese una sedia e si sedette vicino a lui.
«Come sta adesso?».
«Abbastanza meglio».
«Ha avuto un mancamento?».
«Credo di sì. Stavo passeggiando tranquillamente, poi ho cominciato a vedere tutto offuscato», spiegò.
«Vuole chiamare qualcuno?».
«No, vivo da solo… Sono vedovo».
«Capisco…».
«Mi dispiace disturbarvi».
«Non è colpa sua. Può capitare a tutti».
 
 
 
 
Intanto Senritsu aveva sentito dalla sua camera il capo che stava parlando con una persona della quale non aveva riconosciuto la voce.
Ormai era completamente sveglia e decise di andare a controllare cosa stava succedendo.
Era di malumore. Non avere Kurapika vicino era la cosa migliore per non scatenare la sua angoscia.
Basho stava ancora dormendo; questo la faceva sentire ancora più isolata.
 
 
 
Cercò di affacciarsi dalla rampa di scale senza essere vista e notò che lo sconosciuto era un uomo di età avanzata.
Aguzzò le orecchie per ascoltare la conversazione.
 
 
«Com’è bella la sua casa!», esclamò il signore meravigliato.
«Oh, la ringrazio…».
«Deve essere molto ricco!».
«Sì… sono tesori di famiglia. Ce li tramandiamo», mentì.
«Davvero?».
 
Senritsu udì improvvisamente un battito negativo e carico di odio, il quale riecheggiò nella sua testa fino a darle l’impressione che sarebbe scoppiata.
La giovane osservò quella strana persona: l’atmosfera sinistra proveniva da lui.
 
«Invece noi eravamo una piccola famiglia povera».
«Eravate?».
«Sì, ti ho detto che non ho più nessuno…».
«Mi dispiace…».
«Ti dispiace?».
 
Lo sguardo di quel signore divenne penetrante.
Senritsu tremò.
 
«Come mai non elargite soldi per i più bisognosi, anziché fare gli egoisti?».
 
Cosa stava succedendo? Sembrava che quella persona conoscesse già Light. Era come se gli stesse rinfacciando un dovere mai compiuto.
 
Il signor Nostrade cercò di sviare l’argomento.
«Forse ha la febbre. E’ meglio che le porti qualcosa di fresco da bere».
 
 
Quando si incamminò verso la cucina, la mora continuò ad osservare l’interessato per evitare che facesse qualcosa di sospetto.
 
Tutt’ad un tratto lo sentì ridere. Prima faceva attenzione a non farsi sentire, poi la sua risata divenne abbastanza sonora.
La giovane non ebbe il coraggio di muovere un muscolo.
 
«Eh, sì… Nakamura ha proprio ragione».
 
“Nakamura?”, pensò la ragazza, “… Chi è?”.
 
«Alla fine la tua brama di possedere vince sempre. Non sei cambiato di una virgola», continuò a dire quell’individuo.
 
Con estrema velocità rimosse dalla faccia una maschera molto aderente, mostrando a Senritsu il suo vero volto.
Era molto più giovane e dei capelli castani di media lunghezza arrivavano a toccargli le spalle.
«Maledetto travestimento! Che caldo…», si lamentò.
Gettò poi un rapido sguardo al salone e sorrise.
«Allora è così la tua villa! Chissà dove nascondi i tuoi beni…».
 
La ragazza rimase atterrita nel vedere che aveva portato con sé anche un pugnale.
 
«Il sottoscritto Shijo non fallisce mai!».
 
“No… no…”.
La giovane si sentì mancare l’aria. Tornò senza farsi sentire al piano superiore e si fermò nel corridoio per riprendere fiato.
Mise una mano sul petto: il suo cuore stava battendo all’impazzata.
La sua mente era ormai focalizzata su un unico pensiero.
“… Un impostore”.
 
 
 
 
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Spiaggia dell’autrice:
 
*si spalma la crema solare* Salve, ragazzi! Vi sto scrivendo dalle Hawaii… scherzo.
Perdonate il mio leggero ritardo, ma le vacanze sono per tutti! xD
Avrei potuto aggiornare prima, però questo mese sono successe tante novità e sono anche rimasta traumatizzata per diversi fatti…
Una normale mattina di fine Luglio… andai al mare e… verso mezzogiorno… incontrai una mia vecchia professoressa in bikini @.@...
Aaaaah… Stavo scrivendo sotto l’ombrellone e ho smesso per essermi cavata gli occhi = cieca e felice.
A proposito di cecità, mi sono gustata il film di HxH: Phantom Rouge (o “Ruggero”, come dice mia nonna xD).
Ci sono più fan service che in Host Club o in Hetalia!
Kurapika cieco è così vulnerabile… Se fossi stata Hisoka quando è andato a visitarlo in ospedale, gli avrei fatto cose peggiori Il biondino da piccolino era identico a Gon: vivace e sorridente. Ma perché Pairo lo ha trattato così male? Non se lo merita! T^T… Ah, Kurapika è TUTTO sua madre!
Ci sono state troppe KiruGon… ma Retsu è troppo dolce! **
Basta, sto spoilerando troppo…
Poi nella mia mente si era riaccesa la lampadina che Kura potesse essere una donna.
Il signor Togashi ha disegnato le carte da gioco versione summer e… ha fatto Kura con i pantaloncini corti, una camicetta blu, sexy e aderente… e un cappello di paglia! -.-‘’
Una strana sporgenza si vedeva in corrispondenza del suo petto… ed io sono morta!
Ora sto meglio perché mi sono auto convinta che fosse il vento sulla camicia… E’ un maschio, non insistete! ò.ò
Tornando al capitolo, spero che vi sia piaciuto!^^
Non doveva andare così. In teoria Kurapika avrebbe dovuto fare una cosa molto brutta, ma l’ho rimandata di due capitoli.
Senritsu è sempre più confusa; ha scoperto l’identità di Shijo, ma non è tutto così facile xD…
Light butta benzina sul fuoco e Nakamura sa come prendere le persone!
Vi do un suggerimento: attenti al Nen! Aspettatevi il peggio.
Se volete donare qualche jeni per allontanare Kurapika, Gon e Killua da Neon e da quei cinque, chiamate il numero “ventordici diciassei quintidue”. Servizio in abbonamento.
Cosa farà Leorio? Eeeeh… immaginate.
 
Un grazie di cuore a tutti quelli che hanno commentato/messo la storia fra le preferite/ricordate/seguite/l’hanno leggiucchiata velocemente/hanno letto qualche riga… EEEH, MACARENA!
Sto parlando di:
Faith Yoite
Hiroto49, al quale dedico questo capitolo per tutti gli incoraggiamenti che mi fa. Sono orgogliosa di avere un recensore come te. Ci siamo appena conosciuti, ma ti stimo! Grazie davvero.
Chichi Zaoldyeck
Raine93
Crazyforever
 
Poi ci sono i lettori anonimi!^^
Recensite che mi fa piacere sentire le vostre opinioni; posso migliorare!
 

 
 
 
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Nel prossimo capitolo:
 
«Da questo momento… non ricorderai più niente».
 
«Occhi scarlatti, eh? Interessante!».
 
«Voglio avere quell’oggetto. Devo andare a quell’asta!».
 
«Ormai tu sei il mio braccio destro; non dimenticarlo».
 
«Quello specchio… Cos’è successo alla mia faccia?!».
 
«Non ti permettere mai più di insultarla!».
«Kurapika, lascia stare! Andiamo via!».
 
«Devo sapere cosa sta succedendo!».
«Leorio, non ti intromettere».
 
«Capo… la nostra villa è…».
 
 
 
 
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Un saluto a tutti,
Scarlet Phantomhive.
 

 
 

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Capitolo 4
*** Allenamento x Trappola x Illusione ***


L’udienza
Capitolo 4: “Allenamento x Trappola x Illusione”.
 
 
 
 
“… Un impostore”.
Era l’unica cosa che Senritsu riusciva a pensare in quel momento.
Tremava, era agitata. Non riusciva a riflettere.
Una spia si era infiltrata nella villa ed era anche armata. Non sapeva perché avesse fatto questo e nemmeno cosa volesse quella persona.
Come avrebbe potuto avvertire Light? Era bloccata al piano superiore ed era meglio non farsi vedere, dato che quell’individuo pensava di essere rimasto da solo con il capo.
Era di sicuro in pericolo senza dei poteri utili per difendersi, però doveva fare qualcosa.
 
Pensò a Kurapika. Maledizione, non era lì con lei!
La sfortuna era riuscita a separarli proprio quando la giovane aveva più bisogno del suo aiuto.
La sua ragionevolezza la portò ad afferrare saldamente il suo cellulare, come se fosse l’ultima occasione per salvarsi.
Si sedette in un angolo del corridoio e digitò il numero di telefono del Kuruta. Lui poteva tentare qualche azione improvvisa per incastrare l’uomo; era sconveniente chiamare la polizia nella situazione in cui si trovava.
 
“Rispondi, ti prego…”, pensò speranzosa.
 
 
-*Il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile*-.
 
Quelle parole furono come una doccia fredda.
Cosa significava? E adesso come poteva cavarsela?
La giovane osservò stizzita il suo cellulare, provando la voglia di sfogarsi su quest’ultimo.
“Dove sono andati quei due?”.
Il suo cuore venne colmato di preoccupazioni.
“E se… gli è successo qualcosa?”.
 
No… doveva essere ottimista. Lui e anche Neon erano al sicuro.
 
Basho era l’unico presente. Doveva svegliarlo, metterlo al corrente di quel problema e cercare di ideare con lui un piano efficace per smascherare l’intruso senza che scappasse.
 
 
Appena cercò di alzarsi, inciampò sul suo vestito; cadde a terra assieme al suo cellulare.
 
Shijo alzò di scatto la testa verso la rampa di scale.
Senritsu rimase immobile sul pavimento; non provò neanche a riprendere il telefono.
Il battito di quella persona cambiò. Aveva sentito la sua presenza, lo sapeva… e voleva morire.
 
“Oh… ci sono altre persone qui dentro”, pensò l’uomo abbandonando la maschera sul divano, “L’avevo calcolato”.
 
 
 
 
Vuoto. Silenzio. Senso di solitudine.
La ragazza percepì questi sentimenti. L’aura di quel signore era improvvisamente sparita, come se non fosse più presente all’interno dell’abitazione. Non riusciva ad ascoltare nemmeno il suo battito cardiaco.
Dov’era finito?
 
La giovane si alzò lentamente con sguardo stupito.
Doveva sentirsi più tranquilla o più sospettosa?
Riconosceva solo che l’aria era diventata parecchio strana, pesante, pungente. Faceva fatica a respirare.
 
Si avvicinò cautamente al primo scalino e cominciò a sporgere la testa verso il luogo dove il signore era seduto.
Spalancò gli occhi: nessuno era nel salone e Light non era ancora tornato.
Senza rifletterci ancora, cominciò a correre impaurita verso la camera di Basho.
Sì, stava correndo… ma per qualche strano motivo sentiva le sue gambe muoversi sempre più lentamente.
Era affaticata e sudata.
 
Un oggetto catturò la sua attenzione. Qualcosa di fronte a lei non quadrava.
L’enorme orologio appeso sopra la porta che conduceva alla stanza delle simulazioni emanava qualcosa di strano.
Il misterioso ticchettio la ipnotizzò. Sembrava che la lancetta dei secondi si fosse allentata.
 
Ad un tratto si fermò completamente.
Lo spavento che lei provò in quell’istante la fece voltare dall’altra parte.
Prima che avesse potuto rendersene conto, una mano le aveva già afferrato la testa.
La mora provò ad urlare, ma non ci riuscì; non ebbe neanche la forza di sbattere le palpebre. Fece appena in tempo a riconoscere il volto del nemico e poi la sua mente si bloccò.
Non sentì, né distinse più nulla.
 
Shijo ghignò. Poteva finalmente vedere in faccia un altro membro della famiglia che tanto odiava.
«Povera illusa… Credevi davvero che fossi così sciocco?», disse gustandosi l’espressione impaurita che la ragazza aveva fatto prima di essere immobilizzata.
«Ora che ho visto il tuo viso, sarà più facile sconfiggerti. Ma non è ancora arrivato il momento», concluse chiudendole gli occhi con le mani.
 
Un sonno profondo la sopraffece e lui fu costretto a sorreggerla.
La portò nella sua stanza e la adagiò sul suo letto. Passò velocemente le mani sopra la testa della giovane e una sorta di energia si sprigionò per qualche secondo.
Alla fine le diede un’ultima occhiata e sorrise.
«Dormi quanto vuoi, cara. Da questo momento… non ricorderai più niente».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Mezzanotte giunse e in città si riusciva solo a sentire il rumore del vento che faceva volare via le foglie e ripuliva la piazza.
 
La porta della villa di Nakamura si richiuse bruscamente a causa della forte folata d’aria fresca. Shijo tirò un lungo sospiro di sollievo e si distese sul divano dopo aver spento tutte le luci.
 
Nakamura lo raggiunse.
«Hai intenzione di restare qui stanotte?», gli chiese.
«Solo se hai una camera disponibile. La mia casa è troppo lontana», rispose con espressione assonnata.
«Com’è andata?», si interessò l’altro sedendosi sulla poltrona affianco.
«Stavo rischiando di essere scoperto».
«Ah, sì?».
«E sai da chi? Da una ragazza impicciona che ha l’aspetto un po’ strano».
«… Sarà colei che ha citato Light quando ci siamo incontrati», ipotizzò il collega.
«Comunque sono riuscito a scoprire dove quell’idiota nasconde i suoi tesori».
«A quale guardia del corpo ti sei rivolto?».
«Al grande Kenji! È un hunter veterano e sa come cavarsela con il Nen».
«È un vero peccato che non abbiamo fatto l’esame per diventare hunter», osservò il boss.
«Cosa vuoi? Noi non siamo leali! Preferisco prendere in prestito i poteri; è la mia specialità», rivelò.
 
Shijo era una di quelle persone che aveva nutrito delle capacità Nen fin da quando era piccolo. Con il tempo aveva scoperto di appartenere alla categoria della Specializzazione e il suo potere consisteva nell’assorbire temporaneamente qualsiasi tipo di Hatsu dagli hunter.
L’uomo diventava capace di usufruire di quelle potenzialità senza neanche allenarsi.
Questo gli veniva facile perché era da sempre stato appassionato di mentalità umana.
 
«Kenji è un manipolatore, vero?», gli domandò Nakamura.
«Sì e mi è servito tanto per intrufolarmi nella villa di Light. Mi è bastato rallentare o velocizzare il tempo a mio piacimento per fare una tranquilla perlustrazione della casa. Ora la conosco come le mie tasche», spiegò soddisfatto.
«E la ragazza?».
«Sono stato costretto a fermare il tempo e a farle dimenticare tutto. Ho usato lo Zetsu e l’In per celare la mia aura».
Nakamura alzò un sopracciglio.
«Perdona la mia ignoranza, ma so pochissimo riguardo a questi argomenti. Come hai fatto?».
«Devi sapere che un hunter può decidere di allargare il suo campo di Nen grazie all’En. Il luogo dove volevo che andasse indietro il tempo era la mente della ragazza; con lo Sho ho potuto estendere la mia aura su quest’ultima. Lei ricorderà solamente di essersi addormentata prima del mio arrivo».
«Eccellente!».
«Per quanto riguarda Light, ho tolto il disturbo dopo aver concluso il mio lavoro e avergli detto che mi sentivo meglio. Non ho usato le armi, per fortuna», concluse sorridendo compiaciuto.
«Bravo, sono orgoglioso di te».
Per fare in modo che il piano di Nakamura andasse a gonfie vele, era indispensabile sapere cosa Shijo avesse scoperto.
Gli era debitore, doveva riconoscerlo.
 
Il moro si mise seduto sul divano e osservò il boss in faccia.
«Come sono andati i tuoi affari?», chiese curioso.
«Con Takahiro? Un gioco da ragazzi!», esclamò l’uomo, «È stato facile riuscire ad arrivare ad un accordo. L’unica cosa che vuole è lasciare il segno nel mondo della criminalità. Era un po’ riluttante ad accettare le mie proposte ma, non avendo avuto altra scelta, ha detto che avrebbe fatto del suo meglio. Domani verrà qui e si metterà all’opera», raccontò senza abbandonare il suo sorriso malefico.
«Quindi è dei nostri?».
«Lo spero per lui», rispose stringendo i pugni.
«E Satoshi? Kagamine?».
«Kagamine mi ha telefonato due ore fa. Con una sua guardia del corpo che sa usare il Nen… è riuscito a rintracciare il biondino mentre stava aiutando una ragazza a fare delle spese».
«Un’altra femminuccia?», domandò ironicamente.
«Sì. Non so perché, ma il ragazzo la chiamava “signorina”», rivelò.
«Forse è la figlia di Light», ipotizzò l’altro.
«Sono d’accordo… Ora mettiamo in atto la seconda parte del nostro piano», annunciò.
«Cosa accadrà?».
«Per riuscire nella nostra impresa, dobbiamo distrarli e far loro capire quanto sono influenzabili. Takahiro penserà a tutto».
«E Satoshi?».
«Oh, lui ha la parte migliore! È quello che si occuperà di organizzare la trappola; desiderava tanto compiere delle azione pazze e geniali allo stesso tempo».
«Li terrà occupati per molto tempo, giusto?».
«Ma certo… e il biondo comincerà ad avere un po’ di problemi», rivelò.
«In che senso?».
«Io l’ho detto: voglio scoprire cosa nasconde perché SO… che sta celando affari personali!», ripeté alzandosi dalla poltrona.
«Pensi che possa servirci per distruggere la famiglia?».
«Affermativo! E sai cosa ti dico? Non va bene indagare solo sui suoi interessi», cominciò a dire.
Mise le mani sul suo mento per riflettere e alla fine aggiunse: «La prima cosa da fare è controllare se nasconde qualcosa… relativo alla sua parentela».
«… Perché?».
«Riflettici! È l’unico membro di quella famiglia a non aver superato i vent’anni, non si sa niente sulla sua città natale e si comporta sempre in modo strano. A volte indossa dei vestiti parecchio insoliti che non ho mai visto in circolazione; non vuole che nessuno gli si avvicini e cerca in tutti i modi di non perdere la calma», elencò con sguardo determinato.
Di fronte all’espressione sorpresa del collega, lui continuò.
«Deve essere animato da un valido motivo per rischiare la vita tutti i giorni, sottoponendosi oltretutto ai voleri di quel bastardo di Light. Sembra… particolarmente felice di andare a recuperare quegli oggetti; è come se stesse cercando assiduamente una cosa importante».
«…Caspita, Nakamura! Sei un acuto osservatore!», sbottò il moro battendo le mani.
 
«Adesso devo scoprire se ha paura di sé stesso», affermò.
«Che genere di problemi avrà il ragazzo?».
Il boss fece una sonora risata.
«Niente di impegnativo, caro mio. Sarà una questione di… autocontrollo», rispose, «Mentre Kagamine lo stava spiando… gli ha fatto una sorta di maleficio».
«Attraverso il Nen della sua guardia?», chiese stupito.
«Sì. Diciamo che gli è bastato… toccarlo», disse strizzandogli un occhio.
 
La mente di Shijo si illuminò.
«Qui c’è lo zampino di Natsume, vero?».
«Esatto. Sai ciò di cui è capace, no? Sappi che da domani mattina Kurapika comincerà ad avere… dei leggeri disturbi», rivelò.
«Un altro scopo è renderlo indifeso, vero?».
«Non necessariamente. Ci penseranno gli uomini di Satoshi a tenerlo impegnato».
Voltò le spalle al suo collega e concluse dicendo: «La priorità è trovare il suo punto debole… attraverso un’illusione».
 
 
 
 
*****
   
 
 
 
Un sottile fascio di luce andò a posarsi sugli occhi ancora chiusi di Senritsu.
La ragazza era nel dormiveglia e faticava a svegliarsi completamente.
L’unica cosa che riusciva a sentire in quel momento era la voce poco nitida di qualcuno che la stava chiamando.
«Sen… Ehi, Sen?».
La giovane osservò improvvisamente la persona che era affianco a lei. Era spaventata e non sapeva neanche il perché.
«Ti sei svegliata, finalmente!», proruppe una voce maschile.
Lei si rilassò subito dopo aver riconosciuto il volto di Basho.
«Hai approfittato del sonno per saltare i tuoi impegni, eh?», continuò a dire.
La mora si mise seduta sul suo letto ed emise un leggero sbadiglio.
«Per quanto tempo ho dormito?».
«Ehm… quindici ore», rispose.
«Cosa?!», sbottò.
«È la verità. Sono le otto del mattino e hai fatto la Bella Addormentata dalle sei di ieri pomeriggio!», la informò ironicamente.
 
Senritsu si fermò a riflettere. Aveva un vuoto dentro la sua testa; non riusciva nemmeno a ricordare il momento in cui si era distesa sul letto.
Nella sua memoria c’erano Kurapika, Neon… e basta.
 
«Pensavamo che ti sentissi male», continuò l’amico.
«No, stai tranquillo. Avevo solo bisogno di riposare», spiegò sorridendogli.
«Beh, non è giusto! Noi abbiamo continuato a lavorare!», ribatté facendo l’offeso.
«Mi dispiace tanto…».
«Dai, sto scherzando!», concluse ridacchiando. Poi aggiunse: «Sai cosa mi ha raccontato il capo?».
«… No», rispose curiosa.
«Ha dovuto prestare attenzione ad un vecchio che era quasi svenuto di fronte alla nostra villa!», palesò.
«Davvero?».
«Sì, è successo proprio ieri. Come se non avessimo già altre faccende importanti…», si lamentò, «Mi sa che questa diventerà una casa di riposo».
«Basho, smettila!», ordinò cercando di non immaginarsi quella buffa situazione, «Anche tu un giorno avrai più di settant’anni!».
«Speriamo di arrivarci», precisò il giovane.
 
Per cambiare argomento, la ragazza gli chiese: «Sono tornati Kurapika e Neon?».
«Sì. Inoltre Kurapika ha fatto per tutta la notte il lavoro di perlustrazione», specificò il moro.
«Immagino che adesso sarà in qualche caffetteria…».
«No, si sta allenando nella stanza delle simulazioni! Pare che il capo voglia organizzare qualcosa di grosso per stasera, quindi questo terrà impegnato il nostro amico», la rassicurò facendole un simpatico sorriso.
 
Senritsu provò felicità nel sentire che il biondo non era andato da nessuna parte.
Si alzò velocemente dal letto dicendo: «Andiamo da lui e vediamo come se la sta cavando».
Non si era dimenticata del litigio che avevano avuto, però qualcosa le diceva che doveva andarlo a vedere.
«Ce la fai a restare in piedi?», chiese Basho parandosi di fronte alla giovane.
«Ho semplicemente dormito più del solito! Stai calmo», lo tranquillizzò.
 
 
I due si diressero verso la fine del corridoio, dove c’era una porta che conduceva alla stanza interessata.
Essa si trovava nei sotterranei della villa; poteva essere raggiunta sia tramite il piano terra, sia da quello superiore per ragioni di comodità.
Percorsero lentamente dieci rampe di scale, poiché quella zona era poco illuminata.
Alla fine giunsero di fronte ad una lastra di vetro realizzata con il Nen. Era antiproiettile e solo un Hatsu parecchio forte poteva riuscire a frantumarla.
Basho infilò una mano dentro un particolare oggetto che effettuava il riconoscimento mediante dei raggi laser.
L’accesso venne acconsentito e la lastra sparì per pochi secondi; i due fecero in tempo ad entrare nella stanza e poi il vetro riapparve dietro di loro.
 
Nessuno doveva sapere che all’interno della villa ci fosse un posto del genere; il Nen era presente in enorme quantità.
C’era un computer collegato ad innumerevoli cavi colorati che andavano ad unirsi ad una sorta di muro trasparente di En, il quale circondava il luogo dove avvenivano le simulazioni.
Quel campo di Nen mandava delle deboli scariche elettriche rosse se qualcosa andava storto; era l’unico modo, perché chi controllava il computer e chi era dentro la barriera non potevano mettersi in comunicazione.
 
«Eccolo lì!», disse Basho a Senritsu.
Una guardia del corpo stava maneggiando il computer e all’interno del campo di En c’era un Kurapika estremamente impegnato a combattere.
Aveva indosso la sua divisa nera e le uniche sue armi erano le spade gemelle.
Si stava difendendo bendato contro dei fantocci creati con il Nen.
Il suo aiutante gli aveva coperto gli occhi prima che avesse potuto cominciare; lo scopo della prova era affinare gli altri suoi sensi nel caso in futuro si dovesse ritrovare privo della vista.
I fantocci erano tremendamente silenziosi e Kurapika doveva concentrare parecchio il senso dell’udito per non essere attaccato di sorpresa.
Alternava momenti di quiete a scene di frequenti attacchi e difese. Era davvero molto agile e manteneva sempre un’espressione seria e attenta.
Non era facile riuscire ad infilzare quelle creature a causa della loro sorprendente velocità. Erano riuscite diverse volte a coglierlo di sorpresa, a infliggergli dei colpi abbastanza violenti e a fargli perdere le spade.
Era sudato, ma non si arrendeva. Sapeva difendersi bene anche a mani nude; sferrava calci, improvvisi destri e montanti.
Non perdeva tempo ad usare anche qualche mossa di arti marziali combinata con il Nen. Si serviva dell’Anbo, il passo oscuro, per celare la sua presenza e aggirare il fantoccio interessato; poi usava il Ko Kou Ken, il morso della tigre, per attaccarlo di sorpresa.
Muoveva il corpo secondo la sua volontà grazie al Fulmine-Pietra Focaia; riusciva persino a trattenere il respiro per diversi minuti.
Era diventato quasi un maestro.
 
Senritsu era rimasta letteralmente incantata dalla prontezza e dal modo di fare disinvolto del giovane.
Non sapeva perché, ma trovava il Kuruta particolarmente attraente in quel momento.
Il modo elegante con cui reagiva, con cui saltava, con cui usava le spade…
 
 
«… Sen?», la chiamò Basho.
La ragazza si accorse di essersi imbambolata.
«Scusa, ero distratta».
Lui la osservò perplesso e allo stesso tempo divertito.
«Stavi ammirando Kurapika?».
«Ma cosa dici?!», sbottò imbarazzata.
«Guarda che è normale! Anch’io penso che sia migliorato dall’ultima volta».
 
 
La simulazione terminò e il Kuruta uscì dal campo di Nen mentre si stava asciugando la fronte sudata con un fazzoletto.
Quando si accorse della presenza dei due amici, si avvicinò a loro.
«Buon giorno», li salutò abbozzando un sorriso.
«Caspita, ti sei proprio sfogato! Chi hai immaginato che fossero i fantocci?», chiese Basho.
«Nessuno. È stato un semplice allenamento», rispose foderando le spade.
Subito dopo osservò Senritsu.
«Come stai?».
«Bene. Ero solo molto stanca…», rispose timidamente.
«Meno male», concluse facendola arrossire.
«Scusatemi ancora: non vi ho aiutati a lavorare».
«Tranquilla».
«Hai usato un tipo di Nen avanzato per combattere?», domandò Basho.
«Sì, anche… Non voglio rischiare di usare le mie catene; potrei, ma mi costa tanto», rivelò il biondo.
 
Il ragazzo aveva finalmente deciso come usare la catena dell’indice.
Di fronte al nuovo lavoro non poteva utilizzare la sua arma più potente solo contro la Brigata.
Era incredibile sentirglielo dire, ma il Ragno non era il problema principale.
Kurapika decise di rompere il suo giuramento attuando un’altra condizione.
La lama di Nen era sempre conficcata nel suo cuore; infatti, se non voleva essere ucciso dal suo stesso potere, doveva usare la Locked Chain.
Essa aveva all’estremità una spada diversa dalle altre: possedeva una lama più grossa, meno appuntita e il manico era circondato da aghi.
Dato che la precedente condizione era troppo delicata per essere rimossa, lui impose una regola: ogni volta che si sarebbe trovato di fronte ad un nemico molto più potente e praticante di Hatsu, avrebbe potuto usare al 100% ogni catena con la successiva diminuzione della sua durata vitale.
Un giorno in cui la usava corrispondeva ad un giorno di vita perso. La Locked Chain andava ad aggrovigliarsi attorno alla lama che aveva nel cuore, bloccando la condizione della quinta catena tutte le volte che usava il Nen contro un nemico qualsiasi.
Un’altra pecca era che Kurapika non sapeva ancora quanto sarebbe vissuto.
Se il giorno della sua morte fosse stato quello seguente e lui avesse usato in quel momento l’Hatsu, sarebbe deceduto all’istante.
Era un rischio che doveva correre, ma ormai non gli interessava più niente.
 
Senritsu non era mai stata d’accordo con la sua scelta e perciò a volte lo chiamava “folle”; la sua perseveranza l’avrebbe portato alla rovina.
 
 
Il ragazzo cominciò ad incamminarsi verso l’uscita della stanza.
«Vado a farmi una doccia», disse ai due.
«Io credo che andrò a dare una mano al capo», annunciò Basho.
«Vengo con te! Voglio rendermi utile!», esclamò Senritsu.
«… No, lascia stare».
Il moro temeva che Light stesse organizzando qualcosa per la faccenda di Nakamura e a lei non doveva ancora dire niente.
«Perché?», chiese la giovane irritata, «Cos’altro non devo sapere?».
«No, no… Non riguarda il discorso di prima. Il fatto è che… ti vedo pallida», rispose anche se non era la verità.
«Non sarei dovuta rimanere così tanto a letto».
«Questo ti ha resa ancora più abbattuta. Quindi, per evitare che tu possa confondere il blu con il verde, è meglio che vada a rinfrescarti!», le propose cercando di farla ridere.
«… Va bene, ma dopo verrò da te», gli promise.
«Come sei tosta! Ehi, Kurapika, cosa dobbiamo fare con lei?».
 
Appena si girarono, videro che il Kuruta non era più nella stanza. Se n’era andato assieme all’altra guardia senza aspettarli.
«Beh, ci ha lasciati?», domandò Basho sorpreso.
«… Forse era stufo di sentire le nostre discussioni!», ipotizzò la mora.
«Quando mai? Lui non è il tipo che si strugge per questi problemi!», la corresse, «Si sta comportando in modo strano, sai?».
«L’ho notato…».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Una volta che ebbe chiuso a chiave la porta del bagno, il Kuruta si mise di fronte allo specchio; rimosse frettolosamente la sua maglietta troppo aderente e fastidiosa, poi si guardò.
Aveva una ferita abbastanza profonda sull’avambraccio; sentiva delle terribili vampate di calore in tutto il corpo.
Continuava a perdere sangue, ma non ricordava di essere stato attaccato dai fantocci con armi bianche da taglio.
Bruciava come se fosse già stato disinfettata. Non doveva addirittura tentare di sfiorare il suo braccio.
 
Cercò di non pensarci e si convinse che dopo una doccia si sarebbe sentito meglio. Il sangue si sarebbe coagulato con o senza l’aiuto dell’alcol.
Dopotutto aveva ricevuto dai suoi vecchi avversari dei colpi peggiori…
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Basho bussò alla porta dell’ufficio del capo. Voleva sapere perché non si era ancora fatto vivo.
Le uniche informazioni che Light aveva accennato erano: organizzare un eccellente piano per quella sera e arrivare ad un accordo con un suo collega di Tokyo attraverso quel sito Internet.
 
«Chi è?», chiese il signor Nostrade.
«Sono Basho. Posso entrare?».
«Certo, vieni pure», rispose fin troppo serenamente.
 
Il capo era euforico. Fece sedere l’interessato su una sedia e cominciò subito a dirgli: «Avremo tante cose da fare stasera!».
Il ragazzo non riusciva a comprendere il motivo della sua felicità.
«Dovremo lavorare molto?», chiese annoiato.
«Sì, ma potremo ottenere tanti preziosi oggetti!».
Il moro sospirò: Light non riusciva mai a pensare ad altro.
«Perché Kurapika non è con te?».
«Ha trascorso l’intera mattinata ad allenarsi e adesso deve essere sotto la doccia», spiegò.
«È un vero peccato. Ho fatto tanti affari stamattina con il mio collega!».
«Non si sa niente di Nakamura?».
«No, figurati. Starà cuocendo nel suo stesso brodo!», esclamò con ottimismo, «Non ti fissare troppo su quell’incapace. Se continueremo a collezionare cose rare, dimostreremo a Nakamura la nostra indole impavida».
 
Il giovane non riusciva a tranquillizzarsi per le sue parole; anzi, riteneva più opportuno non fare gli esibizionisti come quell’uomo.
 
«Allora… cosa faremo?», domandò dubbioso.
«Parteciperemo ad un’asta e saremo raccomandati dal mio collega», annunciò.
«Per avere cosa?».
Light diede un’ultima occhiata alla discussione avvenuta tramite la chat e poi spiegò: «Si tratta delle corde vocali della cantante Aika Yukimura. Lei era una donna con delle incredibili doti canore e metteva l’anima per scrivere i testi delle sue canzoni. Purtroppo morì nel 1945 sul palcoscenico per un colpo di pistola causato da un pazzo geloso della sua voce. In seguito, però, si scoprì che lei era una hunter; aveva infuso il suo Nen nelle corde vocali prima di morire, in modo che la sua voce venisse sempre ricordata. Si dice che, quando queste vengono liberate dalla teca di vetro dove sono contenute, una persona riesca ancora a sentire quella melodia soave che lei riusciva a creare mentre cantava».
Stava narrando la storia con estrema ammirazione.
«Esse hanno un inestimabile valore… ed io le voglio per mia figlia», concluse sicuro.
 
Basho aveva forse ascoltato metà del suo racconto. Quelle cose gli importavano davvero poco, però doveva mantenere la bocca chiusa ed evitare di protestare.
 
«Quindi il suo collega ha organizzato l’asta?», tagliò corto.
«Esatto e, visto che mi conosce, potrà mettere da parte la lealtà e cercare di farci vincere in cambio di una soddisfacente ricompensa. Quell’oggetto sarà mio!».
«Però gli altri potrebbero accorgersi dell’inganno. In questo modo verremmo detestati ancora di più», ribatté il giovane.
«Basho… tu non hai ancora capito come funzionano le cose. Nella Mafia non esiste la giustizia; ci si fa strada con gli imbrogli e, se è possibile, con qualche alleanza. Ma al primo posto c’è il nostro benessere; è meglio diffidare dalle altre persone».
«Però noi siamo già ricchi e benestanti! Non sarebbe meglio se puntassimo tutti i soldi possibili?».
«Hai ragione, ma in questo periodo non siamo nelle condizioni di elargire un’eccessiva somma di jeni. Riconosco che siamo tenuti abbastanza sotto controllo», rispose.
“Oh, allora ha un po’ di sale nella zucca!”, pensò il ragazzo. Aveva fatto quella domanda solo per metterlo alla prova.
«Io, tu, Kurapika e Senritsu siamo gli invitati. L’asta si terrà a mezzanotte precisa in un edificio dove io non sono mai stato, però Sato mi ha descritto precisamente come raggiungere il luogo. Guiderò io l’auto», concluse.
Basho rimase sbigottito. Davvero voleva far partecipare la ragazza?
«Scusi, ma… ci deve essere anche Senritsu? E se incontrassimo  Nakamura?».
«Sarebbe ora che anche lei venisse a sapere la questione. Tuttavia è impossibile che possa combinare danni in mezzo a tutta quella gente», replicò convinto.
 
Perché… perché il moro continuava a non sentirsi rilassato?
Aveva un brutto presentimento. Era la prima volta che gli succedeva questo.
Nessuno era mai stato più ottimista di lui… però non poteva nascondere il timore che qualcosa stesse per andare storto.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Nakamura stava aspettando con ansia l’esito del piano di Takahiro.
Per ragioni di privacy l’uomo non doveva essere osservato mentre faceva le sue indagini.
Al boss costava tanta fatica obbedire ai voleri di un individuo appena reclutato, il quale sarebbe poi stato abbandonato a sé stesso quando non avrebbe più avuto bisogno della sua presenza; i trucchi degli hacker non dovevano essere copiati da nessuno, dato che era l’unica cosa che sapevano fare.
 
Dopo un po’ Takahiro uscì dalla stanza dove stava lavorando e raggiunse l’uomo nel corridoio.
«Finalmente! Ci hai messo troppo tempo», lo rimproverò Nakamura.
«Mi dispiace, però è andato tutto alla perfezione», gli comunicò.
«Racconta».
«Sono riuscito ad identificare il volto di un collega di Light proveniente da Tokyo. Attraverso il tuo account del sito mi è venuto facile scovare un suo status dove aveva accennato all’organizzazione di qualche evento non ancora dichiarato. In questo modo ho approfittato della sua persona per ingannare il Nostrade», disse cercando di ricordare tutti i passaggi.
«E sei riuscito a farlo cadere nella trappola?».
«Sì. Ho scoperto la password e l’e-mail che utilizza nel suo account e ho avuto un’interessante conversazione con quell’ingenuo di Light. Crede veramente che stasera ci sarà un’asta; nel luogo che gli ho indicato, invece, dovrebbe trovare qualche brutta sorpresa», concluse.
«Ottimo lavoro… Ma cosa succederà se quel suo collega dovesse leggere i messaggi che tu gli hai mandato attraverso il suo profilo?», chiese scettico.
A Takahiro sfuggì una lieve risata e, provando una sensazione di superiorità, rispose: «Ho cancellato il suo account e ho mandato un virus al suo computer. Non riuscirà neanche ad accenderlo».
«Però… potrebbe telefonare a Light», lo avvertì per accertarsi che ogni cosa stesse proseguendo per il verso giusto.
«Non si immaginerà mai che lui è in pericolo per causa sua. Cosa ne sa? E comunque io so il suo indirizzo. Non impiegherei molto tempo per ucciderlo se dovesse scoprire tutto».
 
Nakamura non trovò più altre domande per contrastarlo.
Era rimasto sbalordito; pensava che quell’uomo fosse soltanto un intemperante che voleva scaricare il suo odio ammazzando delle persone, ma in fondo gli rimaneva ancora un barlume di razionalità.
Quel tipo non era assolutamente da sottovalutare.
 
«Perfetto, mi complimento con te. Adesso tocca a Satoshi e ai suoi uomini», disse il boss entusiasta.
«Mi dici cosa accadrà ai Nostrade?».
«Perché proprio adesso?», insistette, «Questa sera vedremo tutto dal vivo, non preoccuparti».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Venne l’una del pomeriggio. Tutti i membri della famiglia Nostrade erano seduti nell’enorme tavolo della sala da pranzo per cominciare a mangiare.
Nonostante la voracità con la quale Light stava assaporando la sua bistecca, la fame e l’allegria non sembravano tanto contagiose.
Gli altri non si scambiavano una parola e alcuni avevano lo sguardo perso nel vuoto. C’era chi si lasciava sottomettere dall’ansia e chi non aveva neanche il coraggio di meditare.
Basho aveva il morale a terra per la discussione avuta con il capo.
Come faceva quell’idiota a non comprendere la gravità della situazione?
 
Si accorse che Senritsu lo stava osservando; non poteva restare immune al dolce sorriso della ragazza.
Era sempre stata molto apprensiva, ma nessuno sapeva confortare gli amici meglio di lei.
 
Osservò successivamente Kurapika, il quale era seduto affianco a lui.
Rimaneva sempre imperturbabile e posato anche in queste situazioni; pareva addirittura che si stesse gustando la sua porzione.
Il moro non sapeva se provare invidia o semplicemente disprezzo.
 
Riflettendoci, era inevitabile che il biondo si stesse distraendo dai problemi dopo aver bevuto più di mezzo litro di vino.
 
Subito dopo notò una strana fasciatura all’altezza del polso; se ne rese conto solo in quel momento perché il biondo era solito indossare camicie a maniche lunghe.
«Cosa ti sei fatto, Kurapika?», chiese indicando l’avambraccio del giovane.
Quella domanda catturò l’attenzione di Senritsu.
«Mi sono tagliato», mentì il Kuruta.
«Sul serio? Accidenti!», esclamò considerando le probabili dimensioni della ferita, «Come hai fatto a causarti un danno del genere?».
«Succede, Basho. Evidentemente hai più fortuna di me», rispose senza osservarlo.
«Ma adesso stai meglio?», s’intromise Senritsu.
«Per ora sì».
 
Il loro discorso venne interrotto da un sonoro sbadiglio di Neon.
«Che stanchezza…», si lamentò, «Papà, quando potrò avere quelle corde vocali?».
«Domani mattina le vedrai, tesoro», rispose Light mentre le stava versando una bibita nel bicchiere.
«Ma… se devono diventare di mia proprietà, perché non posso partecipare all’asta?».
«Te l’ho già spiegato. Potresti correre dei rischi peggiori di quelli che ti sono capitati un anno fa».
«Ormai sono grande e so difendermi. Voglio avere quell’oggetto! Devo andare a quell’asta!», affermò la ragazza infastidita.
«Per ora pensa a rilassarti. Sei ancora troppo piccola per capire».
A quel punto Neon non riuscì a trattenersi.
«E allora perché Kurapika può seguirti? Siamo coetanei, ma a lui permetti tutto!».
 
Le sue proteste svegliarono di colpo il ragazzo da quel leggero stato di ebbrezza.
I suoi nervi si accesero e fissò la giovane indispettito.
 
Light cercò di difenderlo a modo suo.
«Non è lo stesso, cara. Lui ha una mente ingegnosa, sa usare bene il Nen, è forte, è audace, è agile…», elencò.
«Vorresti forse dire che io sono stupida?», sbottò offesa.
«No… però lui è più scaltro».
 
Kurapika si morse il labbro inferiore con rabbia.
Cosa diamine stava dicendo? Ma che razza di padre era?
Non poteva paragonarlo a sua figlia; stava solamente alimentando la gelosia della ragazza.
Neon si comportava così ed era viziata perché molto probabilmente non aveva ricevuto amore dal capo, oppure a quest’ultimo non avevano insegnato come volere bene.
Lui sapeva cosa significava non avere l’affetto e gli incoraggiamenti dei genitori; i loro parenti potevano essere ingrati o anche deceduti, ma i sentimenti che provavano i due erano gli stessi e in un certo senso Neon gli faceva pena.
 
Appoggiò delicatamente la forchetta sul piatto e disse: «Signorina Neon, tuo padre si è spiegato male».
Lei osservò il biondo incuriosita.
«Nella famiglia vali più di me e il signor Nostrade tiene molto alla tua incolumità», continuò, «Io sono una guardia del corpo, quindi posso permettermi di rischiare la vita. Tu sei la figlia del capo e la tua salute vale prima di ogni altra cosa. Lo vuoi capire?».
 
Lei rimase toccata dalle sue parole. Il suo discorso era davvero più maturo di quello del padre.
 
«Approfitta del fatto che hai la tua famiglia vicina… e ritieniti fortunata per quello che hai».
La ragazza annuì con imbarazzo; si sentiva allo stesso tempo messa in soggezione.
 
Senritsu osservò il viso di Kurapika: stava di nuovo contemplando il suo piatto, ma aveva un’espressione avvilita.
Capì che parlare di questioni familiari gli causava dolore; avrebbe fatto qualsiasi cosa per vederlo sorridere.
 
Light non perse l’occasione di dare aria ai denti.
«È esattamente quello che volevo dire! Non penso ci sia bisogno delle tue specificazioni», rivelò provocando il risentimento del giovane.
«Però non finisci mai di sorprendermi! Dopotutto… ti ho scelto per questo», proseguì.
L’interessato si decise di degnarlo di uno sguardo.
«Ormai tu sei il mio braccio destro; non dimenticarlo», gli ricordò con fare preminente.
«Non si preoccupi. A cos’altro vuole che pensi?».
 
Il Kuruta mise fine alla discussione con quel semplice quesito. Si aspettava che il capo avrebbe taciuto; anche lui era la causa della sua rovina.
 
Aveva ormai perso il conto del numero di chiamate che gli aveva fatto Leorio a partire dalle sei del mattino.
Comprendeva l’inquietudine dell’amico, ma quest’ultimo doveva intendere che Kurapika era diventato talmente pericoloso da aver accumulato innumerevoli persone che avrebbero potuto intercettare ogni sua singola conversazione.
 
 
Tutt’ad un tratto, mentre stava riflettendo, gli venne un capogiro; dovette sorreggere la testa con le mani.
Sentiva caldo, molto caldo; sembrava che le sue vene stessero per scoppiare.
Una fitta improvvisa alla guancia lo sorprese. Il braccio cominciò a dolergli di nuovo.
 
Tutti si resero conto del suo volto sofferente.
«Kurapika, cos’hai?», domandò Basho spaventato.
«Ti senti male?», chiese Senritsu con agitazione.
«Sto… bene», rispose con fatica per il troppo malessere.
Stava cominciando a sudare.
«Sei sbiancato!», esclamò Light.
«… Vado un attimo a rinfrescarmi», mormorò sparendo dal salone e lasciando tutti preoccupati.
 
 
Entrò velocemente nel bagno e si osservò di nuovo allo specchio.
Un’altra ferita si era aperta sulla sua guancia sinistra e la fasciatura che aveva intorno al suo braccio destro si era riempita di sangue.
Provò a lavarsi il viso più volte; aveva la pelle secca e desiderava tanta acqua fresca.
Quando fece per asciugarsi, si accorse che l’asciugamano era già macchiato.
Non ricordava di essere stato in quelle condizioni l’ultima volta che l’aveva usato.
I suoi occhi tornarono a concentrarsi sulla sua immagine riflessa nello specchio.
Delle orrende macchie purpuree gli erano apparse sulla fronte, sul mento, sulle gote…
Com’era possibile?
Sentiva l’epidermide estremamente delicata e fragile.
E se avesse preso qualche infezione?
 
Prese coraggio e con la mano sinistra toccò la parte della guancia ferita.
Chiuse gli occhi e la strusciò sul suo viso.
 
Che strana sensazione… Era come se le sue dita avessero perso la sensibilità.
Aprì di nuovo gli occhi. Si rese conto di non essere sereno perché le sue iridi si erano improvvisamente tinte di scarlatto.
Con enorme lentezza posò lo sguardo sulle sue mani.
 
Cominciò a tremare.
Vide solo rosso, rosso sangue… e frammenti di una pelle che pareva lacerata.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«EUREKA!», tuonò all’improvviso Takahiro.
Nakamura rimase tanto stupito quanto spaventato.
«Insomma, che succede?!».
Il moro apparve nel suo ufficio.
«Ho fatto una scoperta interessante», lo informò soddisfatto.
«Riguardo a cosa?».
«… Agli interessi di Light».
 
Takahiro condusse l’uomo nella sala d’informatica, aprì una fra le pagine che aveva utilizzato per fare le sue ricerche ed ingrandì un’immagine per mostrarla al boss.
«Ma che diavolo…?», sbottò.
Vide degli strani contenitori pieni d’acqua, dentro i quali erano stati messi dei bulbi oculari con le iridi rosse.
Era una tonalità molto accesa, simboleggiava la passione.
Magnifica da osservare…
 
«Cosa sarebbero?», chiese Nakamura incredulo.
«Gli occhi scarlatti, una delle sette meraviglie del mondo. Appartenevano ai membri della tribù dei Kuruta; essi vennero sterminati per il loro prezioso dono. Si diceva che i loro occhi cambiassero colore quand’erano in preda a forti emozioni», spiegò.
«… Quindi è una razza estinta?».
«Così pare».
«E cosa c’entra questo con Light?».
«Ho trovato questa foto indirizzata solo ad alcuni amici sul suo profilo; risale agli inizi di quest’anno. Pare che lui sia parecchio interessato a collezionarli per sua figlia», gli fece notare.
 
Il boss li scrutò attentamente.
«Kuruta…», ripeté.
«Cosa c’è?».
«Sei sicuro che non ci sia in mezzo qualche altro membro della famiglia?».
«Non lo so, però Light ha dichiarato che è l’oggetto più strabiliante che sia mai riuscito a prendere. Credi che possa essere un’informazione importante?».
L’uomo continuava a scrutare quegli occhi.
«È possibile, ma andrebbe contro le mie supposizioni», rivelò pensando a Kurapika.
«In che senso?».
«Non avevo nessun sospetto riguardo ad alcuni segreti che condividono quell’idiota e sua figlia. Inoltre è probabile che siano solo interessati agli occhi e basta», lo contraddisse.
«Allora dai un’occhiata qui».
Nakamura osservò l’album di fotografie di Light e la maggior parte di esse raffiguravano quei bulbi oculari.
«Ci sono due possibilità: o sono degli ossessionati… sono i protagonisti della faccenda», ipotizzò Takahiro.
«Vuoi farmi credere che discendano da quella tribù? Sono stati tutti massacrati! Piantala di fantasticare e fai la persona seria», si adirò l’altro, «Light è un pazzo e basta».
«Ma tu stesso un giorno mi hai detto di essere convinto che la figlia possa nascondere qualcosa!», affermò il moro.
«È vero, però non è detto che c’entri con questi affari».
«Dunque, cosa mi dici della moglie di Light stranamente deceduta?», lo stuzzicò.
«… Adesso basta! Ho altre idee!», esclamò il boss sbattendo le mani contro la scrivania.
«Si può sapere cos’hai?».
«Per ora non posso dirti niente. Tu pensa solo al piano!», concluse seccato.
 
Detestava quando qualcuno lo contraddiceva.
Il biondo era la sua priorità. Non sapeva se fosse a conoscenza di questi avvenimenti, ma doveva dimostrare i suoi sospetti.
Quel bastardo non poteva passarla liscia.
 
Osservò di nuovo l’immagine che era davanti a lui. L’informazione di Takahiro non doveva essere considerata futile, ma avrebbe riflettuto sulla questione in un altro momento.
«Occhi scarlatti, eh? Interessante!».
 
Lasciò la stanza in preda a mille pensieri che vorticavano nella sua mente.
L’ultima cosa che sentì furono le previsioni del tempo per quella sera.
 
-Temporale in arrivo. Zona più a rischio: quartiere di Chiyoda. Forti precipitazioni. Vento fino a 40 km/h da nord. Temperatura massima: 17°. Si raccomanda di rimanere a casa al caldo-.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«Andiamo», ordinò Light.
Da un’auto nera parcheggiata di fronte ad un edificio fatiscente uscirono il signor Nostrade, Kurapika, Basho e Senritsu.
Tutti tranne Senritsu indossavano delle divise di un bel color ceruleo scuro; lei era vestita con una tunica viola.
Il vento impetuoso che stava soffiando già da due ore li investì bruscamente.
Era ormai giunta la mezzanotte e il gelo terribile che stava opprimendo la città intirizzì i corpi dei quattro; le punte dei loro nasi erano completamente congelate e faticavano a scandire anche solo una parola.
«Facciamo in fretta. Sto per diventare un ghiacciolo!», si lamentò Basho.
 
La ragazza osservò turbata la costruzione: il colore sbiadito dei muri, le profonde crepe e la completa assenza di illuminazione facevano sembrare la struttura quasi diroccata.
«Siamo certi che sia il posto giusto?», chiese scetticamente.
«Sato mi ha dato queste indicazioni; non mi sono sbagliato», confermò il capo.
«Intanto entriamo: ho freddo!», ripeté Basho con angustia.
«Sono d’accordo», affermò il Kuruta, «È inutile esitare proprio adesso e non è neanche il momento di crogiolarsi nelle nostre ragioni; mi pare più pericoloso rimanere qui fuori».
«Già. Sta pure iniziando a piovere», constatò Light, vedendo le gocce d’acqua che stavano cominciando a bagnare l’asfalto.
Aleggiava inoltre un penetrante odore di acquerugiola, il quale fece loro comprendere che presto le condizioni meteorologiche sarebbero peggiorate.
 
Nessuno eccepì l’idea di mettersi al sicuro. Dopo aver attraversato quella strada stranamente deserta, giunsero di fronte all’enorme porta d’ingresso.
Light bussò tre volte servendosi del batacchio di legno, ma non ci fu una persona che venne ad accoglierli. Provò lui stesso a muovere la maniglia, ma non successe niente.
«Sono sordi?!», sbottò adirato.
«Forse si entra da un’altra parte», presuppose Senritsu.
«Non ci sono altre porte», ammise Basho scrutando la mappa dell’interno dell’edificio.
«Capo, le consiglio di telefonare al suo collega: potrebbe esserci qualche errore», consigliò Kurapika.
«Ma tu un attimo fa non eri d’accordo con me sul fatto di non indugiare?», domandò il moro confuso.
«È diverso. Prima non ho badato all’aspetto fisico del luogo; siccome ora nessuno si sta facendo vivo, c’è da preoccuparsi», spiegò.
«Però…».
Si bloccò quando osservò il biondo in faccia.
Non si era reso conto che aveva due cerotti sulla guancia sinistra.
«Oggi vuoi proprio farti del male, eh?».
«… Non sono affari tuoi», rispose con un’espressione improvvisamente cupa.
«Mi scusi», concluse l’amico ironicamente e allo stesso tempo stranito.
 
 
Ad un tratto i quattro udirono un fastidioso cigolio: la porta interessata si stava aprendo in una maniera esageratamente lenta.
La cosa che più li fece rabbrividire fu la mancata presenza di un individuo che la stesse spingendo.
 
Senza stare a rimuginare troppo su quegli stani avvenimenti, varcarono l’ingresso e subito dopo vennero inglobati nell’oscurità del luogo.
 
La porta si richiuse alle loro spalle.
Il buio si impadronì della loro vista; non riuscivano a scorgere nessuna finestra, dove penetravano i deboli raggi della luna, e i loro occhi non si abituavano.
Rimasero in silenzio; l’unica cosa che ognuno percepiva era il respiro del suo compagno più vicino.
«Ci siete tutti…?», azzardò a dire Basho.
«Sì, ma tutto questo non vi sembra parecchio strano?», domandò Senritsu intimorita.
«EHI! C’è qualcuno? Ma che razza di comportamento è questo?», protestò Light.
Dopo aver ottenuto come risposta il suo eco, esclamò: «Dannazione!».
«Dobbiamo cercare di proseguire noi», decise Kurapika.
«Sei impazzito? Io non mi so orientare; non vedo nemmeno la mappa e sono a corto di accendini», controbatté il moro.
«È vero. Non ci siamo preparati», ammise la ragazza.
«Cos’ altro pensate di fare, allora? Rimanere qui immobili come statue?», sbottò il biondo impazientemente.
«Certo! Ti sfido a non andare a sbattere la faccia contro la parete o qualche spigolo!», commentò ancora l’amico.
«Kurapika ha ragione», s’intromise il capo, «Non imbamboliamoci; propongo di muoverci. Avranno avuto problemi con l’impianto».
«Prevedo grosse fatiche…», mormorò Basho.
 
Il gruppo cominciò ad avanzare silenziosamente, facendo attenzione a dove metteva i piedi.
Non erano a conoscenza della strada che stavano prendendo; volevano solo trovare un luogo illuminato che avesse potuto tirarli fuori da quella specie di labirinto.
Nessuno aveva ancora avuto l’occasione di sfiorare la fredda superficie del muro e, se allungavano le mani, esse non andavano a posarsi su alcun tipo di materiale.
Questo fatto diede loro maggiore sicurezza; iniziarono infatti ad accelerare il passo.
 
Il posto ricordava tanto a Kurapika il tunnel che gli aspiranti hunter avevano dovuto percorrere nella prima prova per raggiungere la tanto agognata uscita.
La loro resistenza psicologica era stata duramente ostacolata e molti erano stati lasciati là dentro a morire come dei disgraziati.
Lui era scampato da quel pericolo, perciò era giusto che anche in quelle circostanze tenesse i nervi saldi.
 
 
Ad un certo punto si fermò.
Un brivido gli percorse la schiena: qualcosa non quadrava.
Trattenne il respiro e ascoltò.
 
Spalancò gli occhi: non riusciva più a sentire i passi dei suoi amici e del capo.
Si erano bloccati nel suo stesso momento?
«… Ci siete?», chiese con voce incredibilmente flebile. Quella scoperta lo aveva messo all’erta.
 
Nessuna risposta.
Prese coraggio e cominciò ad urlare i loro nomi, uno per uno.
Provò a spostarsi, ma gli sembrava di rimanere sempre in quello stesso punto così maledettamente lugubre.
 
Era rimasto da solo. Una piccola distrazione era bastata per separarlo dai suoi compagni.
Non sapeva cosa fare… né come comportarsi.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Nel frattempo Nakamura, Takahiro e un’altra persona si erano riuniti nella stanza che si trovava all’ultimo piano della villa del boss.
Avevano lo sguardo puntato su un grande specchio di forma ovale. Tenevano accesa una candela.
«Rokuro, dove si trovano adesso?», gli domandò l’uomo incuriosito.
«Il ragazzo biondo è ancora nel corridoio principale. Il suo amico ha imboccato la strada verso la zona est dell’edificio. Light e quella strana tipa sono in una delle stanze della zona ovest», lo informò.
«Dannazione, non sei riuscito a separare quei due!», protestò.
«Tranquillo. La trappola funzionerà comunque», lo rassicurò.
 
Takahiro era rimasto strabiliato. Con il Nen di quello sconosciuto erano riusciti a creare un portale nello specchio.
Attraverso l’oggetto potevano tenere d’occhio tutti gli spostamenti dei quattro senza che loro se ne accorgessero.
Era come se stessero controllando ogni avvenimento da una videocamera di sorveglianza.
 
«Ora viene la parte migliore», continuò a dire Rokuro.
«Senti un po’… Tu sei una delle guardie del corpo di Satoshi?», gli chiese con atteggiamento diffidente.
«Esatto», fu la risposta.
«E come fai a…?».
«Silenzio!», ordinò Nakamura, «Ti spiegherò tutto dopo. Ora godiamoci la scena».
«Ma… dove sono ora Satoshi, Shijo e Kagamine?».
Ricevette come risposta un sorriso a trentadue denti.
«Che domande! A casa di Light, no?».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Basho si era perso.
Non aveva la minima idea di dove fossero finiti gli altri.
Era infuriato con Kurapika e Light. Se non si fossero mossi dal luogo, probabilmente avrebbero potuto evitare quel guaio.
Purtroppo Kurapika era il braccio destro del capo e quest’ultimo si fidava ciecamente di lui.
Considerava che il Kuruta fosse troppo saccente, anche se gli voleva comunque bene.
 
Qualcosa catturò la sua attenzione.
Scorse una finestra in lontananza; era una bellissima sensazione per i suoi occhi.
Si avvicinò ad essa e si mise ad ascoltare il rumore della pioggia che scrosciava con violenza, producendo un fragore continuo.
I fulmini e i tuoni si alternavano e l’ululare del vento metteva in netto contrasto le condizioni del tempo esterne con la quiete del luogo in cui il giovane si trovava.
 
All’improvviso un fascio di luce lo abbagliò. Si voltò di scatto e vide incastonati sui muri della stanza degli enormi specchi che emanavano una strana energia.
Loro erano i responsabili di quel subitaneo chiarore.
 
Basho poté finalmente osservare quel posto: era deserto, non c’erano oggetti preziosi o mobili d’arte.
Pezzi d’intonaco erano ammassati sul pavimento pieno di polvere; insetti di ogni tipo e ragnatele dominavano gli angoli delle pareti.
Quell’edificio sembrava proprio abbandonato. Come poteva la Mafia usufruire di un simile orrore per fare delle aste così importanti?
Il ragazzo era rimasto schifato e quegli specchi così lucidi e perfettamente integri gli incutevano ancora più terrore.
Ne toccò uno e provò una strana impressione.
Non era un materiale comune…
 
 
Mentre era assorto nei suoi pensieri, una losca figura apparve alle sue spalle.
Fece appena in tempo a vedere la sua immagine riflessa e poi si scansò prontamente dalla sua posizione.
Schivò per un soffio un pugno di quell’individuo; la sua mano andò a colpire i pavimento, frantumando una mattonella.
 
Basho appoggiò sgomentato la schiena contro il muro mentre lo osservava rialzarsi.
Era dotato di una forza fuori dal comune, ma aveva la corporatura simile a quella di un umano.
Il nemico lo scrutò in faccia. L’altro notò il suo viso nella penombra: i suoi occhi erano completamente bianchi e sporgenti per l’assenza di iridi e pupille, la sua enorme bocca con i denti aguzzi saltava subito all’occhio e la pelle sembrava putrefatta.
 
«E tu… chi diavolo sei?», domandò disgustato.
La risposta di quell’essere fu un feroce ruggito. Subito dopo se lo ritrovò affianco; non fece neanche in tempo ad accorgersi del suo dislocamento che l’avversario gli mollò un potente sinistro, il quale lo colpì in pieno viso e lo fece strisciare a terra di qualche metro.
 
Fu un’azione inaspettata. Basho rimase disteso a terra in posizione prona; non era svenuto, ma aveva perso la sensibilità nel lato destro del suo viso.
Non poteva nemmeno accorgersi che stava sanguinando.
Si sentì successivamente afferrare per le gambe. Venne sbattuto brutalmente contro il muro e la vista gli si annebbiò.
La testa cominciò a girargli e le sue ossa mandarono fitte lancinanti.
Maledisse sé stesso per non essersi portato delle armi. Contro quel mostro così rapido il suo Nen era inutile.
Ma cosa poteva sapere? Non andava in giro con delle pistole durante aste o cerimonie.
Il problema era che verosimilmente lui e gli altri erano stati imbrogliati dal collega del capo per un motivo ignoto.
Era una trappola, non c’era ombra di dubbio. Doveva sopravvivere.
 
Quando la sua vista acquistò più nitidezza, vide le grosse fauci di quell’essere vicine al suo viso per azzannarlo.
In mezzo secondo afferrò una piccola trave di legno e la infilò fra i denti superiori ed inferiori per bloccargli la mandibola.
Non perse altro tempo. Si risollevò con fatica e, dopo aver impiegato il Kou sulla sua gamba destra, gli sferrò un calcio che fece urtare la sua faccia contro la parete, immobilizzandola.
 
Il suo nemico era al momento fuori gioco e lui doveva riflettere.
La finestra era troppo piccola per tentare la fuga e lui stesso non voleva abbandonare i suoi amici.
Uscire dalla stanza significava automaticamente immergersi nel vuoto e nell’oblio; inoltre non sapeva da dove quel mostro fosse giunto.
Doveva sconfiggerlo… ma come?
Si toccò la guancia dolente; sembrava che avesse un livido di grandi dimensioni.
 
L’avversario riuscì a liberarsi e spezzò in due la trave, ma le schegge affondarono inaspettatamente nelle sue gengive.
Cominciò a sputare sangue e a gemere per la sofferenza.
Basho ne approfittò subito per agguantare un altro pezzo di legno. Concentrò tutta la forza che aveva in corpo e si scagliò contro di lui.
«SEI FINITO!».
Lo colpì violentemente sulla nuca. La potenza usata fu tanta da fargli girare la testa di 180 gradi.
«Questa volta ti ho spezzato l’osso del collo!», esclamò Basho.
Il sorriso scomparve dalle sue labbra appena vide quella creatura alzarsi in piedi. Schioccò velocemente le ossa e la sua testa si raddrizzò, tornando ad osservarlo.
“… Illeso?”, pensò il ragazzo stupito.
L’avversario lo immobilizzò a terra con un veloce balzo e cominciò ad assestargli ripetutamente dei pugni sulla schiena.
Il giovane cercò di focalizzare la sua mente sul ritmo dei colpi che stava ricevendo.
Riuscì a bloccare un attacco per poi rifilargli un paio di gomitate sul mento, stordendolo.
Usò tutta la forza necessaria per sollevarlo e scaraventarlo con rabbia fuori dalla stanza.
Accadde però una cosa insolita. Appena il nemico si rese conto della situazione, le sue unghie crebbero fino a diventare acuminate. Riuscì a fermarsi e a mantenere in equilibrio il corpo affondando gli artigli sul duro pavimento.
 
Il moro capì che per qualche strano motivo aveva paura di evadere dal luogo dove stavano combattendo; forse nemmeno poteva farlo.
Gli tornarono alla mente quegli specchi; la luce che stavano esalando era diventata sempre più accecante.
E se quel mostro riuscisse a lottare con il loro aiuto? C’era di sicuro qualche stregoneria.
 
Aveva capito come sbarazzarsi di quell’individuo, ma prima doveva distrarlo.
 
«Shippuu Jinrai», sussurrò chiudendo gli occhi e rimanendo in uno stato di concentrazione.
La creatura provò ad aggredirlo in tutti i modi possibili, ma Basho parava ogni offesa o schivava gli assalti. Era diventato padrone della situazione.
Aveva usato l’Uragano-Tuono, ossia la capacità di percepire i movimenti dell’avversario e reagire in maniera automatica.
 
Era il momento. Afferrò un bastone e ne aumentò le proprietà intrinseche con lo Sho.
Si gettò sull’essere  e affondò l’oggetto nel suo petto, centrando perfettamente il cuore e il polmone sinistro.
Il nemico lanciò un urlo acuto; si accasciò a terra, affliggendosi per quella pena inimmaginabile.
Non era deceduto all’istante. Questo confermò i suoi sospetti.
 
«È giunta la tua ora!».
Con un pugno frantumò uno specchio e venne colpito da un’ondata maligna di energia Nen.
Ne ruppe uno per volta fino a quando vide il suo nemico svanire di fronte a lui.
Aveva vinto. Il trucco era stato smascherato.
Quella creatura era uscita da uno degli specchi e per opera di un Hatsu si nutriva della loro energia.
Non sapeva chi avesse architettato quel piano, ma doveva trovare i suoi amici e avvertirli prima che fosse troppo tardi.
I vetri non avevano perso la luminosità, così prese qualche frammento e si avventurò in quel pericoloso posto.
 
 
 
 
*****
  
 
 
 
Tremore, sudore, agitazione.
Il Kuruta non riusciva a parlare; ciò che stava vedendo non gli sembrava vero.
Da un lungo specchio appeso all’altezza del suo viso era appena uscita una persona che lui conosceva benissimo.
Quei capelli grigi e scompigliati, la sua costituzione robusta e la pelle scura, quei vestiti, quel tatuaggio…
Non poteva essere.
 
Ubo.
 
Cosa ci faceva lì? Non l’aveva ucciso un anno fa? Era il membro del Ragno… in carne ed ossa.
Un nuovo sentimento di rabbia avvampò dentro di lui, soprattutto per il sorriso di scherno che gli stava rivolgendo.
 
C’erano solo loro due. Il resto non importava.
Gli specchi che prima stavano circondando il ragazzo erano spariti di colpo.
Non vedeva il pavimento; c’era il vuoto sotto i suoi piedi… ma quell’essere ignobile non si azzardava a sparire dalla sua vista.
 
«… Cosa ci fai tu qui?», riuscì a chiedere inasprito, «Io ho seppellito le tue sudice membra a York Shin. Come diamine hai fatto a ritornare in vita?».
 
Non ottenne nessuna risposta. Ubo continuava ad osservarlo… e rideva, rideva sguaiatamente.
Il Kuruta andò su tutte le furie.
Non si stava comportando nel suo solito modo; non gli era venuto in mente il sospetto che quello non fosse il vero numero undici della Brigata.
In lui albergava solo collera e frustrazione.
 
Allungò istintivamente la mano e delle catene apparvero su di essa.
«Rispondimi… o non esiterò a farti a pezzi di nuovo!».
 
Basho, Senritsu, Light… Chi erano? L’odio per un nemico era il primo da reprimere.
 
Ad un tratto qualcuno gli parlò.
-*Sono queste le catene con cui l’hai ucciso?*-
 
Il biondo si voltò da ogni parte, ma non c’era traccia dell’uomo a cui apparteneva quella fredda voce.
«Chi sei? Vieni fuori!», sbottò adirato.
-*Non posso*-, fu la sua risposta, -*Sono la tua coscienza*-
 
Dopo aver analizzato quel tono così incredibilmente pacato, le frasi che diceva e la maniera con cui lo faceva ragionare, comprese finalmente chi era la persona che cercava.
 
«Kuroro…», sussurrò mentre una goccia di sudore gli solcava la fronte e una guancia.
Cosa ci faceva lui nei suoi pensieri? Eppure credeva di aver messo da parte l’orgoglio.
«Lurido verme…», mormorò a denti stretti, «Stai zitto e mostrami dove ti trovi! Oppure non hai il coraggio di farti vedere?».
 
-*Mi fai solo pena*-, replicò con fare irrisorio, -*Non sei cresciuto per niente. Ho davanti ancora il bambino di sempre*-
 
Il Kuruta si tappò le orecchie infastidito. Quella voce stava diventando profonda e penetrante.
«Non voglio sentire… un’altra parola da un bastardo che adora sporcarsi le mani».
Girò la testa per andare ad incontrare il volto di Ubo, ma non lo vide più. Era rimasto di nuovo solo in quel baratro… con il nemico della sua gente.
 
-*Mi pare che anche tu provi un piacere sorprendente nell’uccidere le persone*-
«… Lo faccio per una giusta causa», ribatté.
-*Io so che ti sei scaricato tutte le colpe per il massacro del tuo clan*-
 
Il giovane sbarrò gli occhi.
-*Dopotutto, come ho detto prima, sono la tua coscienza*-
«BASTA!», urlò liberando la sua catena del giudizio.
-*Vuoi che ti rinfreschi la memoria?*-  
 
Tutto intorno al biondo divenne bianco. Gli apparve poi di fronte un enorme alone grigio.
Non provò ad avvicinarsi e restò immobile ad osservare.
 
Con suo stupore vide i volti dei suoi genitori. Stavano litigando; sua madre non smetteva di piangere.
 
-*Vuoi sapere perché erano così inquieti?*-
Kurapika deglutì in attesa di una risposta.
-*Tuo padre non era mai stato d’accordo sul fatto di mandarti nel mondo esterno, giusto?*-
Il ragazzo strinse i denti. Lo sapeva, se lo ricordava. Non gli interessava neanche come avesse fatto Kuroro a venire a conoscenza di quegli avvenimenti.
 
-*Si stavano sgolando per te… e per i tuoi capricci da viziato*-
 
Comparve improvvisamente il viso di un bambino molto caro al Kuruta.
«P-Pairo…», emise incredulo.
Il suo compagno giaceva a terra in lacrime. Era terrorizzato da qualcuno.
Si manifestarono delle persone incollerite che gli stavano tirando addosso dei sassi.
Fiotti di sangue uscivano dalla sua bocca.
 
-*A causa della tua indole testarda e combattiva sei uscito allo scoperto assieme ai tuoi occhi scarlatti. La gente ha avuto modo di conoscere il tuo lato demoniaco, ma ha scaricato al tuo migliore amico tutte le colpe*-
 
Un altro ricordo, un’altra immagine.
Kurapika vide sé stesso da piccolo che stava salutando i suoi cari prima di partire alla volta del mondo esterno.
 
-*Ti ricordi perché sei stato promosso? È stato grazie alla bugia del tuo amico e tu non hai avuto il coraggio di raccontare come stavano veramente le cose*-
 
Una breve pausa di silenzio.
 
-*Li hai abbandonati nelle nostre mani*-
 
Le sue gambe cedettero. Il ragazzo chinò la testa fino ad incontrare il pavimento.
La disperazione lo oppresse… perché il suo avversario non stava mentendo.
«Vattene…», riuscì a scandire con gli occhi lucidi, «Sparisci dalla mia testa…».
-*Non ti è bastato?*-, chiese ancora l’interlocutore.
Davanti agli occhi si materializzò Ubo assieme a Pakunoda.
-*È vero che noi siamo stati i responsabili della fine della tua gente, ma non saremmo venuti a conoscenza dei vostri preziosi occhi se tu non avessi abbandonato il tuo mondo*-
 
Il biondo vide i momenti in cui aveva ucciso i due.
-*Hai fatto esattamente il nostro stesso gioco. Non avevi pensato alle conseguenze che sarebbero ricadute su di noi, nonostante fossi a conoscenza degli errori che anche tu avevi commesso*-
 
La testa gli stava scoppiando.
Quelle parole erano come mille pugnalate per il suo cuore, il quale venne colmato di tristezza.
Impiegò tutta la sua volontà per non far cambiare il colore del suoi occhi e per ricacciare quella maledetta voglia di piangere.
 
-*E i tuoi amici? Li hai messi in pericolo per il tuo egoismo. Hanno rischiato la vita per salvare una persona… dal cuore di pietra*-
«MERDA!», gridò, «Tu non sai assolutamente niente!».
-*Guarda in che condizioni ti sei ridotto…*-, continuò l’altro, -*Non puoi spostarti da questa città senza il consenso del tuo capo. Devi sottostare a tutti i suoi ordini. Ti sei imprigionato da solo ed è impossibile seguirci*-
«Smettila…».
-*Hai dedicato la tua vita alla vendetta… per infognarti nella più bassa società*-
«Non è così…».
-*Sei inutile. I tuoi parenti staranno ridendo di te*-
«NO!».
 
Il suo battito cardiaco era frenetico. Le sue catene vibravano a ritmo di esso.
-*Ti sei macchiato di sangue; dentro di te c’è un assassino che aspetta solo di essere risvegliato*-
Sollevò lo sguardo come ipnotizzato.
-*Sei un mostro…*
Si avvicinò allo specchio dove Ubo era apparso.
-*SEI UN MOSTRO!*-
 
Smise di respirare. L’immagine che vide lo spiazzò.
Non era riflesso il volto di Kurapika, ma un orrendo teschio imbrattato di sangue.
Era davvero lui? Come poteva vedere se non aveva gli occhi?
 
Osservò le sue mani.
Poteva vedere le falangi. Era come se la sua pelle si stesse liquefacendo, non lasciando più tracce di essa.
 
Cacciò un urlo, pervaso da sgomento e sconforto.
Stava impazzendo.
 
«NO! KURAPIKA!».
 
 
 
Successe tutto in un attimo.
Fu come se il Kuruta si fosse svegliato da un incubo. Si ritrovò nella stessa stanza dove tutto era iniziato.
Osservò gli specchi e notò che erano stati frantumati da qualcuno.
 
«Kurapika, stai bene?».
Riconobbe l’amico Basho. L’aveva salvato appena in tempo, ma non riusciva a smettere di ansimare.
«Hai gli occhi rossi», lo informò, «Cos’è successo?».
 
Il biondo stentava a capire.
L’unica cosa che importava era il suo corpo.
 
«Non guardarmi: sono orrendo», disse coprendosi il viso.
«Che cosa?! Guarda che sei sempre lo stesso!», ribadì l’altro.
Sentita quell’affermazione, il ragazzo si calmò e decise di guardarsi.
Stava bene; non era cambiato e non era sporco di sangue.
 
Una cosa tornò nella sua memoria. Si tolse la fasciatura e i cerotti; con grande meraviglia non vide nessuna cicatrice.
Le sue iridi tornarono del loro colore naturale e tirò un sospiro di sollievo.
«Che succede?», chiese il moro.
«Ero ferito; anzi, lo credevo», rispose incredulo.
«Ho capito: anche tu sei stato vittima di un’illusione!».
«… Illusione?», ripeté sconvolto.
«Prima sono stato attaccato da una creatura orripilante», raccontò mostrandogli i lividi, «Poi ho scoperto che avevano a che fare con uno strano Nen infuso in quegli specchi. Loro creano le illusioni e, se non ti avessi svegliato, saresti rimasto per sempre prigioniero».
 
Il giovane ripensò al conflitto che aveva avuto pochi minuti fa. Sembrava tutto così reale, demoralizzante, opprimente, soffocante…
Le sue intime paure erano rivenute a galla.
 
Chi poteva mai possedere un Nen così potente?
 
 
Mostro…
Quella parola continuava a riecheggiare nella sua testa.
 
«Ehi, Kurapika?», lo richiamò Basho.
«Perdonami… Sono un po’ confuso…».
«Qualsiasi cosa abbia provato, ricordati che è stata solo un’illusione», lo tranquillizzò.
Il Kuruta annuì senza aggiungere niente.
Basho continuò.
«Non perdiamo tempo: dobbiamo cercare gli altri».
Gli mostrò il frammento di uno specchio.
«Prendilo: ti aiuterà a vedere meglio. È capace di propagare una luce incredibile!».
«… Grazie».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«AIUTATECI!», continuò ad urlare Senritsu.
Uno di quei colossi stava massacrando di pugni Light, senza evitare di sbatterlo a terra.
«Scappa… Senritsu».
«NON VOGLIO!», gridò con le lacrime agli occhi.
 
Vedendo che la situazione non cambiava, si alzò in piedi e cominciò a lanciare addosso alla creatura tutte le cose pesanti che trovava sul pavimento.
 
All’improvviso l’essere abbandonò la presa sull’uomo per dedicarsi a lei.
La ragazza indietreggiò atterrita.
 
«Non mi intralciare…», le ordinò con una voce oltre tombale.
Sollevò una mano.
«… sottospecie di ratto», concluse.
 
Senritsu chiuse gli occhi atterrita.
Quella creatura aveva mollato un pugno… ma come mai non sentiva dolore?
 
Ebbe il coraggio di tornare ad osservare la situazione e vide con suo stupore che una figura davanti a lei l’aveva protetta.
 
«K-Kurapika!», esclamò.
Il Kuruta si era messo in mezzo appena l’avversario aveva sferrato il colpo e l’aveva ricevuto con tutta la potenza che era stata trasfusa nel suo braccio.
L’azione era stata abbastanza rapida e il biondo non si era concentrato abbastanza per rinforzare il corpo con il Nen.
 
Un rivolo di sangue gli uscì dal labbro inferiore, ma non si curò di quel particolare.
«Cerchi rogne?», fu la fredda domanda che pronunciò al nemico.
«Levati di mezzo», rispose l’altro ruggendo.
«Ti metterò a tacere una volta per tutte», disse prima di sparire.
Si materializzò dietro di lui e quest’ultimo venne colpito da una raffica di calci alla nuca che gli fecero perdere l’equilibrio.
Un colpo più violento lo fece sbalzare contro il muro. L’urto causò molte crepe sulla parete.
 
«Non ti permettere mai più di insultarla!», concluse.
«Kurapika, lascia stare! Andiamo via!», lo implorò Senritsu.
«Mi rifiuto. Doveva portarti rispetto», ribatté facendola arrossire.
«Fatevi da parte!», li avvertì Basho e in meno di cinque secondi tutti gli specchi furono spezzati.
Anche quella creatura svanì come previsto.
 
«Ma cos’hai fatto?», chiese stranito il capo.
«Ora ve lo spieghiamo».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«Leorio, non farlo! È una pazzia!», esclamò Gon.
«Tutte le cose che fa sono pazzie…», lo corresse Killua.
«Perché mai? Mi sono stufato!».
 
I tre stavano avendo una discussione a casa del moro. Quest’ultimo in particolare sembrava davvero preoccupato.
Aveva indossato un impermeabile ed era in procinto di uscire fuori.
 
«Mi volete impedire di andare da Kurapika?».
«Hai visto quanta pioggia c’è? È pericoloso!», spiegò Gon.
«E se andrai a casa sua, le guardie esterne ti sbatteranno fuori a calci», aggiunse Killua.
«Non possono permettersi: sono suo amico».
«Non c’entra. Tu non sei un mafioso e, se Kurapika sta affrontando in questo momento degli affari delicati, non può lasciarti entrare», ribatté lo Zaoldyeck.
«Ma non si tratta di “questo momento”! È da un po’ di giorni che non ci sta degnando di una telefonata», sbraitò.
«Hai capito che lavoro sta facendo? Dimenticati il Kurapika che spiega meglio di un’enciclopedia!».
«Mi sa che tu stai diventando più antipatico di lui».
«Non litigate!», ordinò Gon, «Sono sicuro che ha un buon motivo per non risponderci. Magari sta passando un brutto momento…».
«Devo sapere cosa sta succedendo!», insistette il più grande.
«Leorio, non ti intromettere. Non capisci che è pericoloso immischiarti nelle sue faccende?», gli domandò Killua.
A quel punto il moro sbuffò e con un veloce scatto spalancò la porta.
«Vado a casa sua», ripeté deciso.
«Aspetta! A questo punto sarebbe meglio se venissimo con te!», propose Gon.
«No, gli parlerò io. Non seguitemi», concluse abbandonando la stanza.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«È così che stanno le cose?!», sbottò Light.
«Sì, sembra incredibile, lo so…», concordò il Kuruta.
Senritsu notò che aveva ancora le labbra insanguinate.
«Mi dispiace tanto…».
«Non è stata colpa tua», la rassicurò sorridendole. Poi si rivolse al capo: «Sta bene?».
«Niente di rotto, per fortuna… ma ho dolori dappertutto», rispose, «Chi diamine ci ha teso questa trappola?».
«Secondo me il suo collega non c’entra. Che motivo avrebbe per tradirla?», lo fece riflettere Basho.
«Lo so, ma su chi altro posso riporre i miei sospetti?».
 
Ad un tratto squillò il cellulare di Light.
Il signor Nostrade vide che la chiamata proveniva da casa sua.
 
«Pronto?».
«Finalmente riesco a contattarla!», proruppe una sua guardia del corpo.
Sentiva la sua voce parecchio distante e l’uomo non era tranquillo.
«D-Daiki, sei tu? Che succede?».
«È terribile! Non so come sia potuto accadere…».
«CHE COSA?».
«Capo… la nostra villa è…».
 
Non sentì più nulla: era caduta la linea.
«MALEDIZIONE!», tuonò.
«Cosa le ha detto?», chiese Kurapika.
«Niente, non ho capito una parola! Non c’è campo in questo dannato posto!».
«Ha almeno accennato a qualcosa?».
«Sì… alla villa. Era spaventato».
Tutti si alzarono immediatamente in piedi.
«Dice sul serio?», domandò Basho guardingo.
«Perché vi dovrei mentire?... Oddio, a casa c’è anche Neon!», si ricordò.
«Dobbiamo uscire da questo luogo!», affermò Senritsu.
«Chiunque ci abbia fatto un simile scherzo, ha voluto certamente distrarci per poter combinarne una delle sue», ipotizzò il Kuruta.
«Sì, muoviamoci! Questa storia non mi piace per niente!», concluse il capo.
 
Grazie alla catena della pressione di Kurapika individuarono l’uscita e si precipitarono fuori dall’edificio.
Furono subito investiti da una folata di vento e dalla pioggia.
Si moriva dal freddo e ad ognuno di loro cominciarono a battere i denti.
Era quasi impossibile camminare.
 
«Ehi…», emise all’improvviso Basho.
«Che c’è?», chiese Light.
«… Dov’è la nostra macchina?».
 
Tutti gettarono subito lo sguardo al parcheggio: la loro auto era sparita.
L’avevano di sicuro rubata.
 
 
 
Il piano era stato studiato bene.
Erano rimasti sotto la pioggia, infreddoliti e feriti, con un senso di impotenza che stava consumando lentamente il loro animo.
 
 
 
 
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Finalmente parla l’autrice:
 
Salve a tutti, carissimi.
La ritardataria ha aggiornato! ^^’
Non uccidetemi, per favore… *si ripara dai pomodori*
Questo capitolo ha superato in lunghezza tutti gli altri; le mie dita non si muovono più secondo la mia volontà. Il prossimo non sarà così…
Sapete che l’ho anche accorciato? xD In teoria si sarebbe dovuto concludere con i quattro sfortunati che tornavano alla villa, ma poi sarei arrivata alla cinquantesima pagina di Word…
Non ho potuto postarlo prima perché ho avuto un sacco di impedimenti; inoltre sono molto giù di morale.
A Settembre tutti ricominciano a lavorare… ed io non ne ho voglia! T_T
Quanto vorrei passare le giornate a scrivere… Lo farei anche a costo di ammalarmi!
Parliamo del capitolo.
Mi sento realizzata solo perché ho imparato a fare la “e” maiuscola accentata! *-*
Vi avevo detto che non sarebbe stato tutto così facile. Il Nen di Shijo è molto potente e per il mio nuovo personaggio ho in mente tante cose! È il mio preferito fra i quattro (mi piace addirittura più di Nakamura).
Attenzione, però: se scelgo un personaggio come antagonista, non significa che lo detesti.
Vi dico solo che ho sempre provato antipatia verso i protagonisti di un libro (sono strana, ahaha!). Forse è questo il motivo per cui adoro il tenebroso comportamento di Kurapika!
Ho passato intere nottate ad elaborare l’assurdo piano di Nakamura; non so neanche come abbia fatto il mio cervello a non scoppiare! :P
C’è stata molta azione. Mi sono inventata il potere della quinta catena di Kurapika, poiché Togashi è ancora impegnato a contare le pecorelle.
Sappiate che questa dura condizione potrebbe costargli molto cara…
I poteri Nen degli altri saranno spiegati in seguito (e se questa trappola vi è sembrata incredibile, non è ancora successo niente).
Basho ha avuto il suo momento di gloria in stile “Io sono leggenda”, ma ora i quattro sono rimasti senza la macchina…
Vi ricordo che Nakamura poteva assistere ad ogni loro peripezia!
E Leorio? Sta andando proprio nella villa dove è successo qualcosa di strano, eh? xD
Per gli scontri ho fatto un luuuungo ripasso delle tecniche Nen. Non ricordo così facilmente le cose…
Nell’illusione dove Kurapika ha creduto di parlare con Kuroro, ho scritto parecchi spoiler sul film Phantom Rouge (facendoli diventare melodrammatici).
Se non sapete chi è Pairo o se non siete a conoscenza della faccenda del mondo esterno, mi dispiace. Però negli avvertimenti ho scritto “Spoiler”, quindi sono giustificata! xD
Un consiglio: non dimenticatevi le parole che Kuroro ha detto sul Kuruta. Potrebbero non rivelarsi delle menzogne…
L’ultimissima cosa! Nel capitolo precedente i nomi di quei bambini pestiferi non erano stati scelti a caso. Ecco i significati…
Ichiro: primo figlio
Jiro: secondo
Masami e Masumi: nomi simili per le gemelle
Goro: quinto
 
Un grazie di cuore a:
♥ Chichi Zaoldyeck
♦ Crazyforever
♣ Faith Yoite (la scena che desideri sarà nel prossimo capitolo)
♠ FireFist23
♫ Hiroto49 (lo stesso vale per te con la scena di Leorio)
♪ M_Kurachan (ex Madara_Minato)
♥ Queen of the Night
♦ Raine93
♣ I lettori anonimi
♠ La gentile collaborazione di Hisoka. Mi ha permesso di usare questi simboli (♥♦♠)
 
Vi voglio bene. Una semplice recensione o una visitina mi fanno sempre tornare il sorriso sulle labbra! ^^
Grazie ancora e aspetto i vostri commenti.

 
 
 
 
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Nel prossimo capitolo:
 
«Come fai a non ricordarti quello che è successo?!».
 
«Chi sarebbe questo Kuroro?».
 
«Non so quale sia l’utilità delle sue catene. Se gli prendessi in prestito i poteri, potrei scoprirlo».
 
«Solo perché non mi aveva dato quello che volevo, le ho alzato le mani come un rozzo villano! Non posso perdonarmelo…».
 
«Mi dispiace… ma il suo collega è…».
 
«Non mi avete mai detto niente! Che razza di gruppo è il nostro?».
 
«È strano, ma… perché ho voglia di ammazzarlo?».
 
«Mai lasciarsi ingannare dalle apparenze. A volte chi sceglie di aiutare una persona, lo fa solo per i suoi biechi scopi… e può  rivelarsi un abile traditore».
 
«Kurapika… Sei stato tu?».
 
 
 
 
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Un bacione a tutti,
Scarlet Phantomhive.
 

 

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Capitolo 5
*** Associazione NSSK x Inganni x Tradimenti ***


Attenzione: il testo scritto utilizzando il colore blu indica un flashback, il quale ha come punto di riferimento una × per indicare il suo inizio e la sua fine.





 
Cognome e nome: Minami Shijo
Età: 31 anni
Gruppo sanguigno: AB+
Altezza: 1.83 cm
Peso: 73 kg
Segno zodiacale: Capricorno
Compleanno: 28 Dicembre
Tipo di Nen: Specializzazione
Capacità: Assorbimento temporaneo degli Hatsu
Abilità preferita: Toki no Kensa (controllo del tempo)



 
 
L’udienza
Capitolo 5: “Associazione NSSK x Inganni x Tradimenti”.
 
 
 
 
Leorio stava camminando rapidamente sotto la pioggia.
Gli sembrava parecchio difficile orientarsi in quella città; si era ritrovato insolitamente a dare uno sguardo ai segnali stradali e alle vie.
Sapeva dove abitava il Kuruta. Il problema era che un impermeabile ed un ombrello non bastavano per ripararlo dalla fitta pioggia.
 
Non c’era anima viva sul marciapiede.
Si sentiva l’unico idiota che aveva tentato di fare un’azione così azzardata.
“Maledizione, devo muovermi”, rifletté senza smettere di essere teso.
Sarebbe stato più conveniente provare a telefonarlo il giorno dopo, ma la sua indole impaziente aveva premuto ancora una volta sui suoi sentimenti.
 
 
All’improvviso sentì il rumore di alcuni passi. Delle persone erano in procinto di avvicinarsi a lui e, a giudicare dalla frenesia con la quale stavano calpestando le pozzanghere, erano di fretta.
Si mise istintivamente vicino al muro per lasciarli passare.
 
Ciò che vide lo spiazzò.
Dal buio spuntarono i visi di Light e Basho. I due non si accorsero neanche della sua presenza; lo superarono e continuarono a correre.
 
«Ma che cavolo…?», si domandò sbalordito.  
Non erano a casa.
Avevano delle espressioni terrorizzate; pareva essere successo un fatto molto grave.
 
Fece appena in tempo a tornare dov’era che venne urtato violentemente dal corpo di un’altra persona.
Riuscì a mantenere l’equilibrio, ma il suo ombrello finì a terra, impregnandosi in seguito di acqua piovana.
 
Stava per sbraitare con la sua solita arroganza quando vide Kurapika di fronte a lui.
Il biondo era completamente fradicio; i suoi capelli erano talmente bagnati da aderire perfettamente al pallido viso.
Il suo sguardo emanava un misto fra rabbia e stupore. Stava tremando; aveva un paio di ferite ed un livido sul labbro inferiore.
 
«Kurapika…», emise scioccato ed allarmato.
«Spostati», fu la sua secca risposta.
Scansò Leorio, lo sorpassò e svanì di nuovo in quella cupa oscurità.
 
Il più grande era rimasto esterrefatto; non riusciva nemmeno a muoversi e a porsi delle domande.
 
«Leorio…», lo chiamò una voce femminile.
Si voltò di scatto e vide Senritsu.
«Non seguirci», concluse prima di avanzare.
 
Cominciò a comprendere il motivo dell’assenza del suo migliore amico.
Stava accadendo qualcosa di tremendo.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Nessuno ebbe il coraggio di dire una parola.
Rimasero immobili; ciò che era attorno a loro li atterrì.
La porta della loro villa era stata scassinata, tutti gli oggetti preziosi eburnei e d’argento erano stati rubati; i mobili, i tavoli, le poltrone… erano rovesciati a terra.
I vetri delle finestre frantumati, la cassaforte aperta, i muri imbrattati di inchiostro e vernice…
Il piano inferiore della casa era stato completamente saccheggiato.
 
No… Era impossibile.
Stavano solamente vivendo un dannatissimo incubo.
 
Senritsu non poté più sopportare quell’orrore; gli occhi le si riempirono di lacrime e ruppe in un disperato pianto.
Basho l’abbracciò. Lui stesso stentava a capire la situazione.
I nemici non puntavano a loro, ma alle ricchezze; era una cosa inusuale. Se fossero stati dei veri ladri, non si sarebbero curati della presenza dei proprietari.
Sapevano l’identità e la posizione di ognuno, altrimenti come avrebbero potuto organizzare tutto alla perfezione?
Si sentivano spiati… anche in quel momento.
 
Kurapika non stava manifestando nessun’emozione in particolare; non aveva la forza di farlo.
Aveva gli occhi puntati verso il pavimento dove erano sparsi incautamente cocci di vasi e le gambe di qualche sedia.
Per un attimo le sue iridi si tinsero di scarlatto; doveva cercare di tenere a freno la sua immensa furia.
 
Osservò ad un tratto uno specchio con sdegno: avevano lasciato un messaggio utilizzando un rossetto che apparteneva probabilmente a Neon.
Mosse la sua bocca soltanto per leggerlo.
«Se non vi arrenderete, la prossima volta toccherà ad uno di voi».
 
Quel silenzio funereo venne interrotto da un urlo di Light, il quale prese miserabilmente a calci una cornice che aveva trovato su uno scalino.
 
Tutti furono assoggettati da un senso di sfiducia.
Una delle più prestigiose famiglie mafiose era diventata un insieme di disgraziati che ormai avevano perso anche la dignità.
 
 
 
 
*****
  
 
 
 
«L’avete visto tutti?», domandò un euforico Nakamura.
«Sì. Che peccato: hanno scoperto il trucco…», commentò Rokuro.
«Stai tranquillo. È bastato questo».
«Mi spieghi prima di tutto come funziona il tuo potere?», lo interrogò Takahiro.
Dopo una breve pausa di silenzio passata a scrutarsi, Rokuro si decise a raccontare.
«Io sono un hunter della Materializzazione. La mia specialità è concretizzare delle creature che possono sembrare vive e reali, ma in realtà sono frutto di una potente illusione attuata grazie agli specchi. Se l’avversario non si dovesse accorgere dell’artefice di questi inganni, rimarrebbe per sempre intrappolato. Si può essere soddisfatti così, giusto?».
L’interlocutore lo stava seguendo con una certa ammirazione.
«Quanta concentrazione usi per evocare gli specchi?».
«Poca. Ormai sono abituato, dato che ci sono voluti due anni di allenamento», rispose con sorprendente indifferenza, «Adopero principalmente l’En per estendere il mio campo illusorio, poi entra in scena il Ryu insieme allo Sho per bilanciare la forza delle creature con quella degli specchi che li evocano».
«Adesso è tutto chiaro?», chiese Nakamura spazientito.
«… Sì».
 
Non sapeva se provare considerazione per l’operato dell’uomo o una grande gelosia.
Purtroppo lui non era un hunter. Non era qualcuno.
Questo fatto gli provocò un enorme fastidio.
 
«Riprendiamo il discorso», annunciò il boss, «Rokuro, cos’hai visto durante i combattimenti?».
«Su Light, la ragazza e il tipo muscoloso non ho niente da dire. Si sono difesi bene».
«A me interessa Kurapika!», specificò.
«Prima devo informarvi su un’altra cosa… Non sono io che decido il tipo di illusione», rivelò.
«E chi le controlla?», sbottò Takahiro stupefatto.
«Parte tutto da una condizione: non sarò io a determinare cosa far apparire, ma lascerò che le paure più grandi dei nemici vengano a galla».
«Quindi… vuol dire che tutti temono di affrontare delle persone più forti di loro?».
«Tranne Kurapika…», s’intromise Nakamura, «È successo qualcosa di diverso durante la sua illusione».
«Con chi stava parlando?», domandò Takahiro.
«Non te lo so dire», rispose Rokuro, «Quando l’avversario sta avendo una cosiddetta illusione psicologica, mi risulta impossibile vedere l’oggetto della sua inquietudine. Però posso benissimo ascoltare la sua voce».
«Allora?».
«Ho cercato di segnarmi quello che ha detto», confessò afferrando un taccuino, «Ha urlato: “Ho seppellito le tue sudice membra a York Shin”».
«Sapevo che Light si fosse trasferito da lì… ma non ero a conoscenza del fatto che il biondino avesse commesso un omicidio!», affermò il boss ghignando, «Niente male…».
«Poi ha tentato di giustificarsi per una cosa che non ho ben assimilato. Urlava ed era disperato».
«Non ha proprio nominato nessuno?».
L’interessato chiuse gli occhi nel tentativo di rammentare. Non era facile ordinare tutti quegli avvenimenti.
 
All’improvviso spalancò gli occhi e tornò ad osservare i due.
«Sì… C’è una persona…».
«Chi è?».
«Mi pare che si chiami… Kuroro».
 
Il rombo di un tuono squarciò il cielo appena pronunciò il suo nome; il pavimento tremò come se ci fosse una scossa di terremoto.
 
Non osarono parlare: quell’avvenimento scosse parecchio i loro animi.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«NEON… NEON!».
Light e gli altri si stavano velocemente dirigendo al piano superiore.
Quando vi giunsero, videro che era immacolato; nessun oggetto era stato rubato o distrutto.
Si precipitarono verso la camera della ragazza. Fu in quel momento che una guardia del corpo piombò di fronte a loro, facendo cenno di parlare a bassa voce.
«Daiki…», sussurrò il capo.
«Stia calmo. I ladri non sono saliti; hanno esplorato solo la sala».
«E Neon? Come sta?».
«Benissimo. È assopita da un sacco di tempo».
«Cosa?!», sbottò.
«È la verità», insistette mostrando la giovane mentre stava dormendo sul suo letto.
«Ci siamo radunati in camera sua per proteggerla nel caso dovessero attaccare di nuovo», aggiunse.
 
Light stava cogliendo poco la circostanza.
«E voi?», chiese tremando con gli occhi puntati verso di lui, «Non avete tentato di far fronte al pericolo? Non avete visto in faccia il colpevole? PERCHÉ DIAMINE VI HO DATO QUESTO INCARICO, ALLORA?».
 
Aveva una collera incommensurabile. Era talmente rosso in viso che pareva dovesse scoppiare.
Daiki fu costretto a chiudere la porta per evitare di disturbare Neon, poi riprese.
«Capo… la verità è che… ci siamo addormentati anche noi».
 
Tutti rimasero sbigottiti.
«… Prego?».
«Non sto mentendo!», esclamò mentre i suoi occhi si inumidivano, «Non sappiamo come sia potuto accadere… ma, quando ci siamo svegliati, abbiamo visto questo disastro».
Appena finì il discorso, due mani circondarono brutalmente il suo collo.
«Dammi una buona ragione… per cui io non vi debba licenziare!».
«Capo», lo chiamò Kurapika, «Non si arrabbi. Potrebbero essere stati colpiti da qualche potere Nen. Che senso avrebbe perdere apposta il lavoro?».
Dopo aver lanciato un’occhiata velenosa all’uomo, lasciò la presa su quest’ultimo.
«Sono degli hunter?», chiese poi.
«Non lo so. Penso che abbiano soprattutto voluto spaventarci», congetturò il Kuruta.
«Ha ragione! Noi non c’entriamo niente!», tentò ancora di discolparsi Daiki.
«STAI ZITTO!», ordinò Light, «Come fai a non ricordarti quello che è successo?!».
«Tenga presente che anche Neon non si è accorta di quelle persone… e sta dormendo», sottolineò Kurapika.
«È impossibile ed inspiegabile! Io… non posso crederci», concluse mettendosi disperatamente le mani fra i capelli.
 
Senritsu era rimasta turbata.
Non poteva fare a meno di badare al sonno improvviso che l’aveva colta quella mattina.
Ripensò al discorso di Basho: le aveva parlato di un misterioso signore anziano che aveva avuto un malore di fronte alla villa.
Strano, molto strano…
La parola “coincidenza” stonava nella sua mente. Non voleva essere pessimista, ma probabilmente la famiglia era già entrata in contatto con quegli individui.
Doveva riferirlo al capo senza nascondere nulla.
 
«È terribile!», urlò ad un tratto un’altra guardia del corpo uscita dalla camera.
«Cosa c’è?», domandò atterrito Light.
«Hanno rubato alcune predizioni di sua figlia…».
«Merda!».
«E anche degli oggetti a lei molto cari. Credo che siano un paio di occhi scarlatti».
 
Kurapika si irrigidì; quell’affermazione l’aveva spiazzato.
Non erano più nelle sue mani.
Avevano osato toccare ciò che gli apparteneva. Perché?
 
Strinse così tanto i pugni che le nocche gli diventarono bianche.
Non era facile mantenere la calma, ma in quell’attimo non poteva fare altro.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«Chi sarebbe questo Kuroro?», continuava a postulare Nakamura.
«Non ne ho idea», rispose Rokuro.
«Scommetto che è un nemico del biondino. Avete visto quant’era adirato?», ritenne Takahiro.
«Oppure è un parente con cui ha avuto divergenze di opinioni», addizionò il boss.
«La cosa più importante da sapere è che presumibilmente ha avuto un passato da assassino», ricordò l’altro.
«Forse è stato costretto ad uccidere qualcuno», accluse l’hacker.
«Almeno sappiamo un suo segreto! Chissà se il suo capo ne è a conoscenza…».
«Penso proprio di no», rispose l’uomo, «Ma chiariremo le idee molto presto».
 
«Che conversazione interessante!», esclamò una persona.
Dietro di loro si trovavano Shijo, Satoshi e Kagamine.
«Colleghi!», li accolse Nakamura.
«Avete scoperto tante cose, ma anche noi abbiamo fatto il nostro lavoro!», disse Satoshi con orgoglio.
«Non lo metto in dubbio. Dove sono le vostre guardie?».
«Al piano inferiore: non vogliamo che ci sentano», spiegò Kagamine.
«Concordo. Sono in debito con te per ciò che hai fatto a Kurapika», continuò il capo Mafia.
«Natsume è unico».
«Alla fine anche quella era un’illusione!», fece notare Takahiro.
«Sì, ma è diversa da quella di Rokuro», ribatté l’altro, «Natsume è dell’Emissione. Ogni corpo che tocca viene infettato da un germe particolare di Nen che si insinua nella sua pelle e nel suo cervello. Il punto è che non può creare dei mostri apparentemente tangibili; non rientra nel suo potere».
Lui annuì. Tutti quei preliminari erano serviti solo per sconvolgere il biondo.
 
«Guarda cosa ti abbiamo portato!», interruppe il discorso Shijo.
«Fai vedere», si incuriosì Nakamura.
Fra gli oggetti sequestrati tirò fuori dei fogli di carta sbiaditi; avevano assunto un particolare color marrone fulvo.
Il boss lesse qualche riga di essi.
«Sono poesie?», chiese alla fine.
«Forse, ma accennano sempre ad avvenimenti futuri», replicò il collega.
«Nel retro di ogni foglio c’è scritto un nome diverso», notò.
«Sì, è la cosa che ci ha sorpresi di più».
«Dove li avete trovati?».
«Nella camera della figlia di Light. È davvero bella!», commentò Satoshi.
«Non fare l’imbecille…», lo rimproverò Kagamine.
«Davvero notevole!», proruppe Nakamura con sguardo vispo, «Il motivo per cui Light non vuole perderla è sicuramente fra le mie mani. Magari la ragazza fa un lavoro particolare».
«E se fosse un’utilizzatrice di Nen? Può darsi che siano alcuni incantesimi», suppose Shijo.
«Intendi dire che è una maga?».
«… Qualcosa del genere».
«Ci rifletterò dopo. Altri oggetti?».
«Oh, sì».
 
Estrasse un contenitore con due bulbi oculari aventi le iridi scarlatte.
«Sono questi, vero?», domandò.
«Gli occhi dei Kuruta…», mormorò incantato il capo.
La brillantezza che emanava quel colore era indescrivibile.
Sembrava che quelle pupille lo stessero scrutando. L’uomo era rimasto completamente rapito dalla loro bellezza.
«Meravigliosi…», emise.
«Perché ci hai ordinato di prenderli?».
«È semplice: sono certo che quella famiglia centri con la questione del massacro», ribadì, «Oppure c’è qualche superstite là dentro e nessuno se n’è accorto».
«Ti riferisci a Kurapika?».
«Già. Ora che sono venuto a conoscenza di una parte del suo passato, i miei sospetti si sono ingigantiti».
«Fammi capire… I suoi occhi sono diventati scarlatti?».
«Non lo so. Quando era in procinto di impazzire, qualche suo amico deve aver rotto gli specchi e non ho più potuto vedere niente», narrò.
«E adesso cosa pensi di fare?», si interpose Takahiro.
Il boss gli rivolse un sorriso beffardo.
«Potrei chiederti la stessa cosa. Domani dovrai svolgere un lavoretto per me».
«Di che si tratta?».
«Il collega di Light potrebbe farsi sentire; me l’hai detto anche tu, no?».
«Dovrei ammazzarlo?».
«Mi sembra la cosa migliore. In futuro può diventare pericoloso e Light lo chiamerà di sicuro».
«… Agli ordini!», esultò entusiasta.
Per la prima volta gli aveva concesso di impugnare delle armi: non stava più nella pelle.
 
Il signore si riferì agli altri.
«Voi dovrete cominciare a divulgare la mia innocenza. Presto a Light potrebbe venire qualche sospetto».
«Sarà fatto», rispose Shijo.
«Il problema è: dove conserviamo gli oggetti rubati?».
«Non c’è da preoccuparsi», irruppe Kagamine, «Ho una guardia che sa usare dei trucchi».
«Cioè?».
«Lo vedrai. Gli serviranno solo… delle superfici molto ampie; possono essere delle pareti o anche un tavolo», anticipò.
«Mi fido di te», terminò Nakamura, «Caro Light… ci vediamo domani».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Erano le sei del mattino seguente.
Il chiarore dell’alba tardava a presentarsi. Continuava insistentemente a circolare una leggera brezza.
I telegiornali non facevano altro che annunciare notizie su allagamenti, persone rimaste coinvolte e rapine.
Sentire queste cose provocava un senso profondo di nausea.
 
Dalle due di notte tutte le guardie del corpo erano state impegnate a rimettere in ordine il piano inferiore della villa.
La porta d’ingresso e le finestre erano tornate come prima grazie al Nen.
Le cameriere e i servitori avevano pensato alla pulizia di ogni angolo e, quando tutto fu pronto, sembrava che la famiglia si fosse appena trasferita.
Tutti gli oggetti di valore e gli ornamenti non erano più presenti.
 
Chiamare la polizia era una sciocchezza: avrebbe svolto delle indagini, ma nel frattempo loro sarebbero stati arrestati.
Nessuno poteva sottrarsi alle rigide regole della Mafia.
 
 
«È da ieri sera che, quando chiamo Sato, mi risponde la segreteria telefonica. Ma cosa diavolo sta combinando?», protestò Light.
«Capo, è possibile che anche lui sia stato implicato nella questione!», gli ricordò Senritsu mentre stava svolgendo delle analisi al computer.
«Non lo saprò mai se continuerà ad evitare di rispondermi. Tu pensa a lavorare!».
 
 
Intanto al piano superiore Kurapika era disteso sul suo letto.
Si sentiva male. Dopo essersi fatto una doccia rinfrescante, si era reso conto di avere la febbre.
Era inevitabile: un’intera nottata trascorsa sotto la pioggia e il vento avrebbe sicuramente portato a questa sventura.
La temperatura non era molto alta, ma gli rodeva il fatto che Senritsu fosse rimasta illesa e che Basho avesse solo un semplice mal di gola.
 
Perché era così debole? Non riusciva proprio a sopportarlo.
Schifava letteralmente come si era ridotto.
 
Immerse debolmente la garza nell’acqua fredda e se la mise sulla fronte; un immediato senso di sollievo lo invase, poiché sentiva il sudore appiccicare i vestiti contro la sua pelle.
 
Chiuse gli occhi e ripensò all’illusione da cui era stato soggiogato.
Kuroro non aveva il diritto di giudicarlo come la causa di tutto, neanche se fosse il falso nemico della sua amata tribù.
Eppure… conosceva i suoi timori alla perfezione. Non aveva ordinato alla sua coscienza di pensare; era tutta opera di quello sconosciuto maestro di Nen che pareva essere parecchio potente.
In pochi minuti gli aveva fatto tornare tutto il risentimento nei confronti dei suoi parenti che lui aveva tentato di ripudiare, lasciando un vuoto nelle sue passioni.
 
Non si era pentito…
Era sempre stato nella ragione; a causa loro si trovava nella squallida società.
Non aveva abbandonato i suoi cari.
Voleva cercare un dottore per Pairo, scoprire i luoghi che circondavano la sua foresta, conoscere delle nuove persone…
 
Già… ma perché?
 
Tutto era cominciato da un semplice capriccio. E allora? Ogni bambino a quell’età dovrebbe avere un sogno nel cassetto.
 
Il mondo esterno: un luogo che il Kuruta avrebbe incessantemente odiato.
Era forse sbagliato avere il colore degli occhi diverso? Che diritto avevano di perseguitarli e trucidarli?
Lui era sopravvissuto per questo: vendicare e non perdonare.
 
Un altro pensiero apparve nella sua mente.
Se avesse dedicato la sua vita a rimuginare sul passato, non sarebbe mai stato visto bene dalla gente.
 
Cosa importava? Era molto meglio spedire all’inferno i criminali, piuttosto che lasciarli a piede libero.
 
 
Aprì gli occhi all’improvviso.
Anche lui era un criminale…
 
“Maledizione”, pensò. Finiva per contraddirsi tutte le volte.
 
Mostro.
Di nuovo quella parola, di nuovo quell’immagine.
Non voleva diventare così, ma era ineluttabile.
 
Basta. Doveva distrarsi; la testa gli stava esplodendo.
Si alzò faticosamente dal letto e si diresse verso la cucina.
Il capo aveva momentaneamente proibito a chiunque di uscire, quindi doveva arrangiarsi.
 
Qualcosa di forte da bere; lo desiderava ardentemente.
Non gli bastava la febbre. Per scacciare quelle paure era necessario ubriacarsi… ubriacarsi come mai aveva fatto, sperando di non ritornare cosciente.
 
 
 
 
Birra. Trovò solo dieci lattine di essa.
Meglio di niente…
 
Non fece nemmeno in tempo ad afferrarne una che qualcuno gli chiuse immediatamente in faccia lo sportello del frigorifero.
«Cos’hai intenzione di fare?», chiese quell’individuo.
Kurapika si degnò di seguire con lo sguardo la direzione della voce fino a puntare gli occhi su quelli di Basho.
«Che vuoi?».
«Ti ho fatto una domanda», ribadì il bruno.
«C’è bisogno che ti illumini io?».
«Kurapika, sto parlando seriamente! Hai la febbre e vuoi anche bere? Complimenti, stai distruggendo il tuo corpo! La dipendenza è una brutta bestia…», lo rimproverò.
«Hai finito?», domandò distaccatamente il Kuruta.
«… Tu sei matto! Potresti ammalarti gravemente!», lo avvertì l’amico.
«Ho già la testa che non mi funziona. Cosa cambia?».
Fece per toccare di nuovo la maniglia, ma Basho si parò davanti a lui.
 
«Perché mi fai questo?», scoppiò il biondo disperato.
«Se io non fossi tuo amico, ti avrei lasciato passare», fu la risposta.
«Piantala di essere gentile con me».
«E tu smettila di essere testardo!».
 
Vedendo che il più giovane aveva smesso di ribattere, ne approfittò per continuare.
«Ti invito a guardare come sei diventato».
 
Kurapika trasalì. Era la stessa frase che gli aveva rivolto Kuroro.
 
«Non riesci ad avere pietà né per gli altri, né per te stesso», gli rinfacciò ancora, «Questo lavoro ti sta cambiando. Capisco che vorresti continuare la tua vendetta, ma non puoi».
 
Stava esattamente ascoltando la ripetizione di quella dannata illusione e non ne poteva davvero più di essere ripreso per quel motivo.
 
Era impazzito, lo sentiva. Il suo autocontrollo stava vacillando.
 
«Quando ingerisci quegli alcolici, diventi un mostro!».
 
Sentita quella parola, non ci vide più dalla rabbia.
La sua mano si mosse automaticamente. Sferrò un rapido pugno a Basho, il quale lo accolse in pieno viso senza spostarsi.
La sua reazione fece alterare ulteriormente il giovane.
Cosa voleva dimostrargli? Che fosse lui quello nel torto? Si sbagliava di grosso.
 
Lo prese per la camicia e lo sbatté al muro con forza.
«Lasciami in pace!», comandò aggressivamente.
Era irriconoscibile.
«Coraggio…», lo incitò l’altro, «Dammene un altro… se aiuta a sfogarti».
«Non dire stronzate!», controbatté il Kuruta stringendogli il collo.
«Tu vuoi picchiarmi… proprio come hai fatto con Senritsu».
 
Udita quell’affermazione, Kurapika rimase spiazzato; si tuffò improvvisamente nei ricordi di non molto tempo fa.
 
Abbassò lo sguardo, rimanendo a bocca aperta, e lasciò lentamente Basho dalla violenta presa.
 
Rimembrare quel giorno gli procurava dolore; l’inconsueta parte del suo carattere si era animata per una sbronza.
Strinse i denti. Non aveva il coraggio di osservare chi gli stava di fronte.
 
«Non l’hai dimenticato, vero?», chiese il moro.
 
Non ricevette una risposta. Nella cucina calò il silenzio.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«Apri la bocca».
«No! Sto bene!».
«Tua madre mi ha detto che hai tanta tosse; devo controllare la gola».
«Quel bastoncino di legno mi dà fastidio!».
«Non lascio la presa, tranquillo».
«Se mi costringi, mordo la tua mano!».
 
Nel luogo dove Leorio stava lavorando, il pediatra per cui si adoperava era impegnato a discutere con un bambino di nove anni.
Quest’ultimo si rifiutava di lasciarsi visitare; temere i dottori era una cosa abbastanza abituale, ma la pazienza di cui a volte ci si doveva servire era inconcepibile.
 
Il ragazzo era seduto in un angolo della stanza a meditare.
Dopo quel paradossale incontro con il suo migliore amico era tornato a casa esagitato.
Gon e Killua stentarono a credere al suo racconto.
 
Cosa ci faceva Kurapika ferito sotto la pioggia a mezzanotte?
La cosa più presumibile era che ci fosse stata una rissa tra mafiosi durante un’asta, ma il Kuruta non era il tipo che si gettava nelle mischie.
C’erano anche Senritsu, Basho e il suo capo.
Cominciò a sentirsi un verme per non averlo subito chiamato quella mattina.
Allo stesso tempo gli faceva paura quell’acida occhiata che gli aveva rivolto.
Era davvero il suo timido vecchio compagno di avventure?
 
 
«LEORIO?», inveì il pediatra.
«S-Sì? Mi dica», rispose il giovane intimidito dall’urlo.
Si era incantato da dieci minuti.
«Anziché bivaccare su quella sedia, dammi lo stetoscopio!».
L’aiutante corse a prenderlo senza farselo ripetere.
Quando glielo porse, il bambino disse: «Allora sei un alleato del nemico! Strano, credevo fossi più vecchio!».
«Ho solo vent’anni, mio caro Yuichi», replicò cercando di sorridergli.
Il medico gli tolse la maglietta, prese l’estremità dell’oggetto a forma di campana conica e la posò sul torace del piccolo, procedendo con l’auscultazione.
«Questa specie di disco è freddo!», si lamentò.
«Shh», emise Leorio per farlo zittire.
«Respira lentamente», disse il dottore.
Yuichi ubbidì.
«Ora devi dire “trentatré”», proseguì.
Il paziente ripeté la parola.
«Un’altra volta».
«Ancora?!».
«Mi serve per percepire meglio le vibrazioni».
«Trentatré trentini trotterellando. Va bene adesso?», domandò esasperato.
«Sì…», concluse sospirando.
Subito dopo si rivolse al collega.
«Prendi nota. Il Fremito Vocale Tattile è diminuito; è una malattia della laringe. Penso che sia disfonia, visto che il bambino ha poca voce».
«Allora? Ho dentro un mostro sputa fuoco che mi ha seccato la gola?», s’immischiò l’interessato.
«Certo che no! Guardi troppi cartoni», asserì Leorio.
«Cosa ti aspettavi? Io sono piccolo e indifeso», ribatté con sguardo dolce.
«Che tenera creatura…», disse il bruno con voce melliflua.
«Beh, chiamiamo tua madre?», propose il pediatra.
«No! Mi hai promesso che avrei fatto il medico!», gli ricordò.
«Ma ho altri pazienti…».
«Se non mi fai provare, dico alla mamma che mi hai importunato!», lo ricattò.
I due rimasero di stucco.
«Brutto bamboccio petulante…», cominciò a dire Leorio, ma l’altro lo interruppe.
«Facciamo quello che vuole: non voglio che rovini la mia reputazione».
«Si sta davvero sottomettendo a lui?».
«Non discutere e fai il malato!», comandò.
«Evviva!», esclamò Yuichi, «Coraggio, sdraiati!».
«Cerca di distrarlo. Nel frattempo io vado a parlare con i suoi genitori», gli sussurrò all’orecchio il dottore.
«Fermo! Non mi faccia…».
 
Troppo tardi: aveva già lasciato lo studio.
Non era proprio il momento di giocare. Il ragazzo non aveva sperimentato un’esperienza più imbarazzante di quella.
 
«Hai frequenti dolori alla testa, eh?», si accinse a dire il bambino.
«Quando mai avrei…?».
«Ho deciso che hai mal di testa!», ribadì.
Si avvicinò al suo viso.
«Mostrami la gola», ingiunse.
«Cosa c’entra?!», eruppe l’altro.
«Attieniti alle mie regole!».
Il moro sbuffò e acconsentì.
 
Dopo aver esaminato il suo interno, Yuichi prese lo stetoscopio e appoggiò il disco sulla sua fronte.
Leorio rimase stupito.
«Che stai facendo? È impossibile che possa sentire il respiro!».
«Infatti non è la mia intenzione», obiettò.
Il giovane restò in silenzio a scrutare l’espressione concentrata del bimbo.
Credeva veramente in quello che stava facendo per lui: non era un passatempo.
 
«Posso fare lo psicologo?», gli domandò ad un tratto.
«… Perché?».
«Tu soffri di nostalgia, dico bene?».
 
Per il ragazzo fu come se il tempo si fosse fermato. Continuò ad osservare il sorriso innocente del piccolo con ammirazione.
Aveva centrato perfettamente l’argomento. Si notava così tanto la sua tristezza?
 
«Stai bene?», gli chiese Yuichi.
«No, per niente…», rispose con la massima sincerità, «Smettila di leggermi nel pensiero!».
L’ilarità si dipinse sul volto dell’altro.
«Ho indovinato? Sono un genio!», esultò mettendosi a saltare.
 
«Senti…», lo richiamò il bruno, «Se è vero che i bambini sono la voce della verità, dammi un consiglio».
Non aveva ben chiaro il motivo per cui si fidasse tanto di quella persona sconosciuta.
La solitudine e la disperazione lo portavano a cercare l’appoggio di qualsiasi individuo.
«Dimmi tutto», approvò l’aspirante medico.
«Facciamo finta che il tuo migliore amico sia… un tipo duro di comprendonio, un impulsivo, uno che non si accorge dei suoi limiti».
«Un incosciente?», sintetizzò.
«Esatto. Questo ragazzo decide di intraprendere un lavoro molto pericoloso».
«Come mai?».
«Ehm… perché è ossessionato da una determinata cosa».
«Mmh…», emise incrociando le braccia.
«Dopo un po’ comincia a cambiare atteggiamento; non ti telefona più e nasconde i suoi problemi. Tu non puoi stargli vicino e riesci a vederlo quelle poche volte che gli concedono del tempo libero. Il punto è che sei molto arrabbiato con lui perché non ti ascolta e vorresti prenderlo a schiaffi per farlo ragionare».
Yuichi venne incuriosito da quella spiegazione.
«Insomma… che cosa faresti?», gli domandò alla fine con sguardo speranzoso.
 
 
«Niente», replicò il bimbo convinto.
«Come sarebbe a dire?!».
«Niente che possa nuocere alla mia salute», specificò.
«… Stiamo parlando del tuo amico!».
«Lo so, ma non ho scelto io questa strada per lui», ribatté immediatamente.
Leorio non seppe difendersi ancora, perciò lo lasciò parlare.
«In parole povere TU sei in ansia», azzardò.
«Sì».
«Il consiglio che posso darti è: non strafare. Lui ha voluto questi problemi e adesso se li tiene».
«Non posso restare indifferente! Può succedergli qualcosa!», sbottò.
«Pazienza», fu la replica.
 
La costernazione che provò l’hunter gli impedì di proferire parola.
«Mi spiego meglio», continuò il piccolo, «Non sto dicendo di dimenticarti del tuo amico, però è più importante che tu stia bene».
«… E quindi?».
«Se lui si ostina a combinare stupidaggini, lascialo fare; prestò imparerà la lezione».
«Ma non posso stare con le mani in tasca se si caccia nei guai!».
«Non puoi seguirlo? Trascorri un po’ di tempo con lui quando è libero».
«Lo faccio!».
«Nel modo sbagliato», aggiunse Yuichi, «Mettere il broncio con servirà a niente; gli trasmetti il tuo malessere ed è l’ultima cosa che vorrebbe provare. Dimostragli che sei tranquillo, scherza con lui e prova a farlo ridere; l’allegria è sempre contagiosa. In questo modo si renderà conto di non essere solo e tu potrai stare in pace con te stesso».
 
Leorio era stato rapito dal suo insegnamento. Era solo un bambino, eppure velava una certa maturità.
 
«È l’unica cosa che puoi fare. Se non funzionano i rimproveri, fallo sentire a suo agio».
«Capisco…».
«Se oggi pomeriggio è libero, perché non vi vedete? Potete incontrarvi al parco giochi; andate sullo scivolo, giocate a nascondino o con la palla. Sbizzarritevi!», consigliò con euforia.
 
Il moro si ricordò di stare discutendo con una persona di nove anni; per lui era normale che due amici frequentassero un posto simile.
A parte quel particolare, aveva trovato davvero interessante il suo parere.
«Ti ringrazio per la tua pazienza. Sei davvero un tipo sveglio!», affermò sentendosi rianimato.
Si era fatto prendere dal panico; avrebbe potuto ragionare come il bimbo.
«Figurati. Farmi gli affari degli altri è la mia specialità!», rispose ridacchiando.
«Dai, ora ti accompagno da tua madre».
«Fermo dove sei!», comandò, «Mi devi pagare. Non lavoro gratis!».
«Mi stai prendendo in giro?! Non elargisco soldi ad un marmocchio!», protestò.
«Ricordati cosa posso dire ai miei genitori», lo minacciò puntandogli il dito.
«… D’accordo, piccolo impertinente. Hai vinto tu».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Basho aveva condotto Kurapika nella sua camera, poiché il Kuruta era visibilmente demoralizzato.
Per molti minuti erano rimasti in silenzio. Ciò che era successo prima li aveva afflitti nello spirito.
 
Il moro fu quello che ritentò di instaurare un dialogo.
«Ascolta… mi dispiace per essere stato duro con te. Volevo però che riflettessi sul tuo comportamento. Ammetti che sei fragile! Non puoi di certo nasconderlo facendo il gradasso!».
«Senritsu…», mormorò il biondo senza ascoltarlo, «Io… non riesco più a parlare serenamente con lei da quando è successa quella cosa».
«Non esagerare! Se lo sarà dimenticato», persistette l’amico.
«No», negò l’hunter con fermezza, «Lei ha paura di me… dal giorno in cui sono impazzito per lo stesso motivo».
 
 
 
 
×××××
 
 
 
 
Era una gelida serata di Ottobre.
In uno dei locali più miseri e pericolosi del quartiere di Shibuya stava avvenendo una tremenda colluttazione.
I due ragazzi alle prese con una lite erano completamente ebbri.
Non avevano una valida ragione per azzuffarsi in quel modo; alcune persone avevano testimoniato che per errore uno dei due era andato addosso all’altro, facendo rovesciare a terra la sua bevanda.
La cosa più atroce ed indecente era che la lotta aveva preso vita per colpa di Kurapika.
 
«Sai quanto ho pagato per bere quel liquore, razza di imbecille?», domandò continuando a sbattergli la testa contro il pavimento.
Le sue iridi scarlatte non si notavano per via delle lenti a contatto.
«Peggio per te, stronzo! Hai le mani di pastafrolla!», gli rinfacciò l’altro.
Il biondo afferrò al colmo dell’alterazione i capelli del ragazzo, lo sollevò e lo colpì con un violento pugno che lo scaraventò contro un tavolo.
Gli altri indietreggiarono atterriti.
«Prova a ripeterlo, sudicia merda di discoteca!», inveì a denti stretti.
Faticava a reggersi in piedi e vedeva tutto doppio.
«Avanti…», iniziò a dire l’avversario mentre si stava rialzando, «… dimmi invece cosa vuoi fare tu qui dentro! Ti sbronzi per accalappiarti qualche sgualdrina che ti ammira per le porcate che fai?».
«CHIUDI QUELLA BOCCACCIA!», tuonò Kurapika avventandosi contro di lui e colpendolo sullo stomaco.
Il giovane sputò sangue.
«Indicami allora la tua provenienza», continuò il Kuruta, «Tu sei nato certamente da una madre altrettanto bastarda!».
Gli arrivò immediatamente un ceffone che gli fece voltare la testa a sinistra.
«Questa non te la perdono…», promise l’altro, «CHIEDIMI SCUSA, IDIOTA!».
Il biondo gli rivolse un sorriso mordace e dopo gli sputò in faccia.
«Puoi scordartelo», concluse.
 
Fu un susseguirsi di colpi brutali e sferrati senza usare la minima tecnica.
I ragazzi, sottomessi dall’ubriachezza, reagivano solamente secondo un istinto animale.
 
Ad un tratto qualcuno agguantò le braccia di Kurapika e lo allontanò dal suo avversario.
«DATTI UNA CALMATA! NON TI RICONOSCO PIÙ!».
 
Il giovane riconobbe la voce di Basho, ma si ostinava a dimenarsi.
«Lasciami andare! LASCIAMI!».
Il più grande dovette utilizzare tutta la sua forza per tenerlo a bada.
Ormai il suo amico non comprendeva più niente: c’era rabbia e sdegno.
Non riusciva a fermare le sue grida, le quali erano peggiori di quelle di un indemoniato.
Di Kurapika era presente solo l’aspetto esteriore; tutto il resto stonava con il suo modo di essere.
 
Il suo collega era venuto a sapere appena in tempo del luogo dove era andato quello sconsiderato. Con lui c’era anche Senritsu, la quale impallidì nel vedere la scena.
Un amico dell’altro ragazzo era intervenuto a sua volta per fermare la lite.
 
«Sei diventato pazzo?! Cosa ti è saltato in mente di fare?», sbottò Basho adirato.
Ottenne un ghigno come risposta.
«Ciao, mamma…», fu il saluto ironico.
«Non posso credere che tu abbia fatto una simile balordaggine… per un’insulsa bevanda!», lo sgridò esterrefatto.
«Insulsa?», ripeté il Kuruta, «Io ne ho bisogno! NON CAPISCI CHE LA VOGLIO?».
«KURAPIKA!», urlò Senritsu parandosi di fronte a lui, «Adesso smettila! Torna ad essere un ragazzo intelligente!».
Lui la scrutò attentamente, poi dalla sua bocca uscirono solo parole taglienti.
«Ha parlato la sventurata che si è ridotta così per aver ascoltato il suo amico ubriaco mentre le suonava la “serenata” oscura».
 
Lui era inconsapevole di starla accusando, ma quella frase non poté fare altro che causarle una piaga profonda nel cuore.
«Proprio per questo ti voglio fermare!», reiterò alla fine.
Prese dal tavolo una bottiglia contenente un superalcolico e la mostrò al ragazzo.
«Non esisteranno mai più delle droghe create per accorciare la nostra vita!», annunciò con atteggiamento risoluto.
Chiuse gli occhi e aggiunse: «Il tuo battito è convulso ed incontrollabile. Sei stregato da queste maledizioni…».
Non poté più trattenersi.
«Il Kurapika che conoscevo non c’è più! Il tuo comportamento… mi fa semplicemente schifo!».
 
 
Qualcosa la colpì con violenza.
Una mano si era appena gettata contro la sua guancia.
Il Kuruta, dopo essere riuscito a liberarsi dalla presa di Basho, le aveva mollato uno schiaffo.
 
Tutto procedette in maniera terribilmente lenta per la giovane; non credeva ai suoi occhi.
Questi ultimi si inumidirono. Scorse poco nitidamente la sagoma di Basho, il quale aveva di nuovo bloccato le mani del ragazzo, imponendogli di calmarsi.
 
Si accorse successivamente di essere caduta a terra.
«Sen, stai bene?», le chiese l’amico atterrito.
Provò a toccarsi la gota dolorante mentre calde lacrime cominciavano a solcarle il suo viso.
 
Nel vedere quella reazione, Kurapika smise di agitarsi. Realizzò finalmente che stava piangendo per lui.
Sentì che Basho stava tentando di condurlo via dal quel posto e non ebbe il coraggio di protestare.
 
La ragazza che gli aveva sempre voluto bene come una madre… era stata maltrattata dal suo fantomatico figlio.
 

 
 
 
×××××
 
 
 
 
«Solo perché non mi aveva dato quello che volevo, le ho alzato le mani come un rozzo villano! Non posso perdonarmelo…», concluse l’interessato coprendosi il volto con le mani.
 
Dopo qualche secondo di silenzio Basho diede una leggera pacca sulla spalla del collega.
«Ehi, non demoralizzarti! È acqua passata… L’importante è che tu abbia imparato la lezione».
«Non è così facile…», fu la replica immediata, «Cadrò sempre nello stesso errore e non maturerò mai completamente. Sono il parassita della famiglia!».
«Ma che stai dicendo?!».
«Tu mi temi… e non ti fidi di me. Senritsu ha solo un mio ricordo passato perché non facciamo altro che litigare. Spesso lei ha ragione; io però, sfoggiando la mia cocciutaggine, trovo una scusa per vincere. Finirò per farmi odiare dai miei amici; non ho la coscienza pulita».
Il moro stava per ribattere, ma l’altro continuò.
«Non voglio più ricordare… né vivere».
«Rimangiati queste parole!», ordinò, «Io credo in te e so che riuscirai ad uscire da questo vizio. Devi solo avere tenacia e sicurezza in te stesso».
 
Il loro discorso venne troncato da un urlo di Neon proveniente dal piano inferiore.
«BASHO? SENRITSU DESIDERA IL TUO AIUTO! MUOVITI!».
I due sbuffarono nello stesso momento.
«Il dovere mi chiama», disse il bruno, «La cornacchia ha gracchiato».
«Io mi domando come abbia fatto a restare impassibile di fronte al furto», rifletté il Kuruta.
«Quella pensa solo al colore ideale dello smalto! Non arriva a comprendere gli altri problemi», ripeté l’amico toccandosi la testa con un dito.
A Kurapika sfuggì un lieve sorriso per il sarcasmo del compagno.
Sollevò la testa fino ad incontrare il suo sguardo.
«Non pronunciare una parola sulla nostra discussione a Sen», gli raccomandò.
«Stanne certo!».
«E poi… falla divertire, dato che hai questo dono», aggiunse.
«Perché non la raggiungi tu? Saresti la persona più adatta!», affermò l’altro strizzandogli un occhio.
«È meglio di no. Ho perso l’autostima in un mare di difetti ed imperfezioni».
 
«BASHO!», gridò di nuovo la ragazza.
«A dopo», concluse uscendo imbronciato dalla stanza.
 
Appena la porta si richiuse e Kurapika rimase da solo, il suo cellulare vibrò sul comodino.
Cercando di scacciare quegli orribili pensieri, contemplò il mittente del messaggio che aveva ricevuto.
 
Come temeva: era Leorio.
Si ostinava a farlo sentire ancora più in colpa; voleva di sicuro essere informato sulle faccende della notte passata.
Nel suo vocabolario non era presente il significato di farsi gli affari propri.
 
Cambiò completamente idea quando lesse il contenuto.
-Ci vediamo questo pomeriggio alla caffetteria Yuumei.
Sì, te lo sto ordinando. Ho voglia di scherzare con il mio migliore amico ed esigo la sua presenza!
Io verrò comunque. Sarà accettato il tuo rifiuto solo in caso di forza maggiore-.
 
Il ragazzo continuò a fissare lo schermo quasi meravigliato.
Sembrava tranquillo e contento.
Non sapeva se si stesse sforzando o se avesse preso un colpo in testa, il quale gli aveva fatto dimenticare tutto.
 
Prese coraggio e si diresse verso l’ufficio del capo.
Era probabile una negazione del permesso, ma doveva provarci ed utilizzare la sua fermezza per giungere ad un accordo.
 
Decise di accontentare il suo amico; le cose si sarebbero presto complicate e forse dopo quell’uscita non l’avrebbe più potuto rivedere.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Vennero le quattro del pomeriggio.
Nella villa di Nakamura erano presenti momentaneamente il proprietario e Shijo.
I due stavano ancora discutendo sulle faccende dell’altra sera e riuscivano ad aggiungere delle informazioni interessanti.
«Kurapika ha usato delle catene?», domandò il collega incredulo.
«Sì. Rokuro può darti la conferma», rispose il boss, «Quando ha nominato quel Kuroro, ha sfoderato minacciosamente cinque catene: una per ogni dito. Credo che siano fatte con il Nen perché sono apparse all’improvviso».
«E poi?».
«Non è successo più niente. Sembrava intimorito ed insicuro sul fatto di usarle», rivelò.
«Che notizia interessante!», esclamò Shijo appoggiando il mento sui dorsi delle mani, «Deve avere un potere davvero inquietante».
«E sicuramente ha commesso quell’omicidio grazie ad esse», seguitò l’altro.
«Un utilizzatore di Hatsu, eh? Potrebbe essere della Concretizzazione», immaginò il moro.
«Mmh, io non mi intendo di queste cose. So che… stiamo facendo venire allo scoperto tutti i suoi segreti», affermò fieramente.
«Però dobbiamo essere certi che non abbia qualche capacità pericolosa. Può darci del filo da torcere».
«Come pensi di svelarlo?».
«Con la mia Specializzazione», replicò, «Non so quale sia l’utilità delle sue catene. Se gli prendessi in prestito i poteri, potrei scoprirlo».
Nakamura aggrottò la fronte.
«Stai attento. È possibile che abbia usato qualche trucco per impedire agli altri di danneggiare il suo Nen. Quel ragazzo è furbo…».
«Hai ragione», ammise, «Ma forse è dotato di altre condizioni che potrebbero nuocere a lui stesso. Mi sembra un tipo risoluto e disposto a tutto; voglio assolutamente giocare questa carta».
«Ora rimani qui: mi devi aiutare», gli ricordò il boss.
«Tranquillo. Ideerò un piano in seguito».
Si alzò dalla sua sedia e disse: «Questa guerra è già vinta da noi. Te lo posso assicurare!».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«Ci vediamo domani, Sato!».
«D’accordo».
 
L’uomo si era appena separato da alcuni suoi compagni mafiosi. Si erano riuniti per trascorrere un sereno pomeriggio al di fuori dei loro affari.
Dopo averli salutati, cominciò ad incamminarsi verso la sua abitazione vicina.
 
Circolava un elevato numero di automobili e di persone; era impossibile sentirsi soli in mezzo a tutta quella folla.
 
Provava la sensazione di essere osservato e seguito da più di un’ora. Cercava di non badarci, ma un brutto presentimento stava affiorando nella sua mente.
Non sapeva perché si sentisse così a disagio; forse era una sua fantasticheria.
 
Le paranoie gli avevano sempre giocato brutti scherzi, ma lui poteva udire in tutto quel fragore il rumore di passi spediti e particolarmente veloci.
Qualcuno si stava avvicinando a lui… sempre di più.
La sua passeggiata finì per trasformarsi quasi in una corsa.
 
Sato era la classica persona che si crucciava per ogni sorta di trepidazione che lo affliggeva; non aveva mai avuto tanti amici, poiché questi ultimi si erano allontanati dalla sua depressione.
Ma in quel momento le sue orecchie non mentivano: lui era l’oggetto dell’inseguimento.
 
Si precipitò a casa sua dopo essersi fatto strada fra la gente con spinte e strattoni.
Chiuse a chiave la porta d’ingresso e sospirò.
Era indeciso se si trattasse di un poliziotto o di un malevolo.
Le sue guardie del corpo lo accolsero, ma lui preferì dirigersi verso il suo ufficio e stare lontano da occhi indiscreti.
 
Si ricordò di prendere la pastiglia per l’ipertensione.
Gettò nel cestino molte scartoffie che si trovavano sopra la scrivania; essere disordinato era una sua caratteristica.
Trovò il farmaco, lo mandò giù con l’aiuto di un bicchiere d’acqua e subito dopo si accese una sigaretta.
Le questioni della Mafia lo stressavano oltre il limite. Era sempre agitato e si fidava raramente di qualcuno.
 
 
Il suo cellulare squillò.
Rispose svogliatamente alla chiamata.
«Pronto?».
«Sato, sei vivo!», eruppe una persona che lui riconobbe.
«Oh, Light! Quanto tempo…».
«Ma che dici? Ti ho telefonato una decina di volte».
«Perdonami, ero con i miei colleghi. È probabile che non abbia sentito il suono del telefono», si giustificò.
«Cosa avevi intenzione di fare?», cambiò argomento l’altro.
«… Io? Perché?».
«Se era uno scherzo, è stato davvero di pessimo gusto!».
«… Di cosa stai parlando?», domandò l’interessato stupito.
 
Non ricevette una replica. Era caduta di nuovo la linea.
Sollevò lo sguardo e notò che era anche andata via la luce.
Spalancò immediatamente la finestra della stanza; era l’unica fonte di illuminazione possibile.
«OCCUPATEVENE VOI!», urlò in modo che le sue guardie lo sentissero.
 
Restò in balcone ad ammirare il cielo.
Non aveva voglia di parlare con Light. C’era di sicuro un errore; non aveva commesso nient’altro di illegale.
 
L’uomo rimase assorto in mille pensieri.
Non si accorse della presenza che si stava avvicinando cautamente a lui.
Non si accorse di essere diventato immune a qualsiasi rumore per via degli immediati effetti collaterali di quelle medicine.
Non si accorse delle mani che si stavano minacciosamente allungando verso di lui.
 
Una spinta selvaggia gli fece perdere l’equilibrio.
Cominciò a vedere tutto sottosopra. Una ventata di aria gelida lo investì.
 
Le ultime cose che scorse in quell’attimo furono delle persone che urlavano disumanamente… e la dura superficie dell’asfalto venirgli incontro.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«L’ha fatto apposta! Quel bastardo ha escogitato tutto! Ed io che lo consideravo una brava persona…», brontolò Light sbattendo il cellulare sullo scrittoio.
Prima che potesse sfogare ancora la sua ira, qualcuno bussò alla porta della sua camera.
«Chi diavolo è?», chiese irritato.
Si pentì della sua arroganza quando scorse il volto di Senritsu.
«Capo, devo parlarle. È urgente».
Vedendo la sua espressione timorosa, il signor Nostrade si scusò immediatamente.
«Mi dispiace… Puoi entrare».
La mora non se lo fece ripetere due volte.
Si avvicinò a lui e, appoggiando le mani sul tavolo che li separava, annunciò: «Forse so qualcosa riguardo al responsabile».
Le sopracciglia dell’uomo si sollevarono per un paio di secondi, poi i tratti del suo viso si rilassarono di nuovo.
«Sono certo che il mio collega sia l’unico a dovermi confessare tutto», smentì facendo uso della sua pertinacia.
«Mi ascolti!», si incaponì la ragazza, «Sono stata anch’io vittima dell’incantesimo che provoca un’improvvisa sonnolenza!».
«Ti riferisci a ieri? Eri solo stanca; non discolparti».
«Non le è sembrato strano che quel signore si sia sentito male proprio di fronte alla nostra abitazione? E come mai nessuno a parte lei si è accorto della sua presenza?», gli fece notare.
«Può anche darsi che sia stato un semplice caso. Dopotutto non mi è successo niente».
«Magari non se n’è accorto!», specificò la giovane.
 
I due rimasero ad osservarsi per un istante. Lo sguardo di Senritsu era così penetrante che Light dovette distogliere il suo.
«Beh… forse era un uomo mandato da Sato. Il punto è che non so spiegarmi come abbia potuto fare tutto questo», confessò.
«Sa cosa le dico?», domandò lei, «Secondo me non è stato il suo collega».
«Come fai ad esserne così sicura?».
A quel punto la bruna rivelò ciò che aveva celato con il suo amico.
«Ho discusso con Basho riguardo al boss che avete incontrato quella famosa sera. Mi ha detto che avete passato dei brutti momenti e…».
«Allora non ha tenuto la bocca chiusa!», sbottò il capo.
«Non importa! Prima o poi sarei dovuta venire a saperlo», gli ricordò, «Non lo rimproveri!».
«Però ti ha spaventata inutilmente e chissà quante altre cose ti avrà detto…».
«È possibile che sia stato lui a combinare questo torto», suppose.
«… Nakamura?».
«Se è il suo nome, sì».
 
 
 
Partì improvvisamente la suoneria del cellulare. Credendo che fosse il suo collega, il signor Nostrade rispose dopo neanche due squilli.
«Chi è?».
«È successa una cosa terribile…», cominciò a dire una voce differente.
«Akito!», esclamò Light riconoscendo una guardia del corpo che si trovava nella zona, «Dimmi tutto!».
«Mi dispiace… ma il suo collega è stato ritrovato senza vita sotto casa sua!», gli riferì.
Light si alzò di scatto dalla sedia.
«COSA?!».
«Alcune persone hanno visto la scena; pare che sia stato gettato dal balcone o che si sia suicidato. Anche la polizia è incerta! Quella famiglia mafiosa si troverà in guai seri…», aggiunse.
 
Non riuscì a proferire parola. Colui che sospettava era diventato una vittima.
I suoi ragionamenti svanirono. Doveva ricominciare a costruire le sue idee… o forse no?
 
«È in linea?», lo chiamò l’altro.
«Ti chiamerò in un altro momento: non voglio immischiarmi in queste faccende», concluse mettendo giù la telefonata.
Si risedette e sbuffò.
«Cosa le ha detto?», chiese la mora.
«Pare che il responsabile abbia fatto fuori Sato prima che di poterci chiarire», raccontò.
«Oddio!», proruppe impaurita.
«Almeno sappiamo che lui non rientrava nella questione».
 
Lei gli lanciò un’occhiata di spregio.
Era possibile che non fosse in grado di provare la minima compassione per un uomo?
Cercò di trattenere le lacrime: piangere di fronte ad un egocentrico era la peggiore umiliazione.
 
«Cosa farà adesso?», riuscì a chiedergli con voce roca.
«È semplice: seguirò il tuo consiglio», rispose, «Andrò a fare una visitina a Nakamura».
«Aspetti! Vorrei sapere com’è andato a finire il vostro incontro».
L’uomo le rivolse un’espressione glaciale.
«Sappi solo che ha tirato fuori dalla nostra bocca degli accenni riguardanti i nostri affari segreti e i poteri di Neon».
«Davvero?», scoppiò sbigottita.
«Sì. Sembrava avercela parecchio con Kurapika», confessò.
«Come mai?».
«Se lo sapessi, te lo direi», le fece constatare.
«Devo parlargli», decise cominciando a dirigersi verso la porta.
«Non puoi».
«Perché?».
«Gli ho concesso il permesso di uscire. Aspetta il suo rientro».
 
La ragazza sospirò: ogni volta che aveva bisogno di lui, non era in casa. Talvolta credeva che lo facesse apposta.
Non ebbe altra scelta e prese il suo telefono.
«A dopo, capo», lo salutò prima di dirigersi verso la sua camera con determinazione.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Uccidere. Togliere la vita ad una persona.
Il sapore della soddisfazione non era mai stato così vivo nel suo palato.
Non esisteva una migliore liberazione.
 
Takahiro continuava ad osservare imperterrito la sua pistola lontano dalla gente irriguardosa.
Un prurito alle mani davvero ben compensato!
 
Dopo aver tagliato tutti i fili della corrente, era riuscito ad intrufolarsi facilmente nella villa di Sato.
Ammazzò tutte le guardie del corpo servendosi dell’ambiente poco illuminato. In seguito, per far nascere il sospetto che il boss si fosse suicidato, lo spinse in modo da farlo cadere dal balcone del secondo piano.
 
L’impatto non poteva risultare più appagante.
La testa dell’uomo fu la prima a colpire l’asfalto; Takahiro era in grado di udire persino ad occhi chiusi il rumore delle ossa del corpo che si erano spezzate e fracassate quando Sato aveva esalato l’ultimo respiro.
 
Una pozza di sangue circondava il cadavere.
Era così impegnato ad ammirare la sua opera che neanche si accorse delle grida degli altri.
Quella visione aveva qualcosa di artistico.
Le chiazze rosse disposte fino a formare delle allegre forme geometriche; la simmetria delle braccia, le quali avevano escoriazioni ed abrasioni sugli stessi punti…
Nessun dubbio: era venuto un capolavoro.
 
Aveva finalmente trovato una valvola di sfogo: la possibilità di massacrare.
Non importava se l’avrebbero cercato.
Perché tornare a casa? Poteva benissimo divertirsi per qualche altra ora.
 
I suoi genitori sarebbero stati sgozzati come dei capri espiatori.
Doveva ammettere che erano bravi a far diventare i figli irrequieti; per troppo tempo lui e i suoi fratelli avevano visto l’inferno.
Morire con l’onore di essere ricordato come un coraggioso criminale: una fine sublime.
 
 
Udì la vibrazione del suo cellulare.
Guardò lo schermo e identificò il numero di Nakamura.
«Ehilà!», urlò gioiosamente.
«Hai fatto fuori quel tipo?», chiese il boss.
«Ma certo! Ti ringrazio per avermi dato questo compito!».
Le labbra del signore si distesero in un malefico sorriso.
«Figurati, caro. Ottimo lavoro».
«Non torno adesso a casa. Voglio svagarmi un po’!», lo informò.
 
La risposta non fu immediata, ma alla fine glielo permise.
«Va bene, fai quello che vuoi. Te lo meriti».
«Posso?!», chiese per accertarsi di aver capito.
«Affermativo. Però stai molto attento, va bene?», gli raccomandò.
«Non so come ringraziarti! A stasera!».
 
Kagamine, il quale aveva ascoltato la breve conversazione, non tardò ad inveire.
«Perché l’hai lasciato andare?».
«Rilassati. Ormai non mi serve più», replicò sorseggiando del vino dal suo bicchiere.
«Come sarebbe a dire?».
«Tutto quello che volevo è stato eseguito da lui. Adesso ha coronato il suo sogno e possono fargli quello che vogliono», spiegò con la massima sicurezza.
«Allora verrà catturato!», esclamò il collega.
«Probabile».
«E se confesserà la tua identità?».
«Non si azzarderà: gli ho messo paura. Dopo un ricatto del genere, sarebbe inutile parlare».
«Quindi puoi assicurarmi che siamo al sicuro?».
«Al 100%».
 
«Sbrigatevi!», ordinò Satoshi, spuntando dal seminterrato, «Light potrebbe arrivare a momenti».
«Hai ragione», concordò Kagamine, «Velocizziamo i nostri lavori. Forza!».
 
Un detto particolarmente importante rimase impresso nella mente di Nakamura.
Oltretutto l’aveva inventato lui stesso e se ne serviva in queste occasioni.
“Mai lasciarsi ingannare dalle apparenze. A volte chi sceglie di aiutare una persona, lo fa solo per i suoi biechi scopi… e può rivelarsi un abile traditore”.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«Pensavi davvero che avessi la smania di mentire al capo per i tuoi comodi?», chiese Kurapika con un certo tono di voce.
Si stava dirigendo velocemente verso la caffetteria Yuumei e stava discutendo al telefono con Senritsu, come era solito fare.
«Tu spiegami perché non mi doveva essere rivelato niente!», perseverò la giovane.
«Domandalo al signor Nostrade».
«Avrei potuto cercare di trovare una soluzione con voi…».
«Non ti struggere per faccende che non ti riguardano».
«Come fai ad esserne così sicuro?».
«Adesso devo andare», tentò di concludere il biondo.
«Non mi avete mai detto niente! Che razza di gruppo è il nostro?».
«È una questione di prevenzione e sicurezza. L’importante non è spettegolare con gli amici; mi dispiace che non riesca ad afferrare il concetto».
 
Ci fu una breve pausa di silenzio.
«Mi considerate debole, vero?».
«Sì», fu la risposta immediata del Kuruta. Girare intorno all’argomento era tempo sprecato.
«Questo è il motivo per cui voglio proteggerti… e farti sentire serena».
Senritsu non ebbe la capacità di ribattere di fronte a quell’affermazione.
Non sapeva se sentirsi un oggetto estremamente fragile nelle loro mani o una persona anche troppo preziosa.
«Ci sentiamo dopo», concluse Kurapika mettendo giù la chiamata.
 
Scorse in lontananza il bar. Per una volta Leorio non aveva sbagliato le indicazioni.
Dovrebbe provare un leggero imbarazzo nel vedere l’amico che aveva letteralmente liquidato la sera precedente, ma nessun’emozione scaturiva dal suo cuore.
Non sentiva né timore, né felicità.
Era certamente contento di vederlo, però non riusciva ad accennare un sorriso.
La morte si era impadronita del suo animo, il suo gelido cuore della speranza ardente.
 
 
 
Quando mise piede dentro il locale, vide che Leorio gli stava già venendo incontro.
Che patetico: si notava da lontano la sua volontà di fare finta che niente fosse accaduto.
Tutti lo riconoscevano come un mostro… e non riusciva più a tollerarlo.
 
«Ciao…», lo salutò il più grande timidamente.
«Ciao», ricambiò con la massima indifferenza.
«Beh… come stai?».
«Bene».
 
C’era qualcosa di diverso nel Kuruta; il bruno se ne accorse anche dal suo aspetto.
La camicia che indossava era completamente nera. La sua pelle particolarmente chiara si metteva in netto contrasto con i bracciali scuri in pelle che gli coprivano gli avambracci.
Borchie e catene pendevano dai suoi jeans aderenti.
Gli occhi erano quasi interamente coperti dalla frangia. I suoi capelli erano notevolmente cresciuti; non aveva neanche il tempo di tagliarli e curarseli.
Non c’era una parola adatta per descrivere la debilitazione del ragazzo.
 
«Sicuro che sia tutto a posto?», azzardò l’amico.
«Non giudicare una persona per come si veste», gli consigliò prontamente l’altro, mettendolo a tacere.
«Ci sediamo?», chiese poi.
«… Certo, va bene».
 
Dopo essersi accomodati, una cameriera corse subito a prendere le ordinazioni.
«Cosa vi porto?».
«Per me un caffè macchiato, grazie», rispose Leorio.
«Un tè freddo alla pesca», decise Kurapika.
Il moro lo osservò stupito.
«Perfetto. Arriveranno fra qualche minuto», li informò la signora prima di andarsene.
«Non posso crederci: hai scelto una bibita normale!», esclamò allibito.
«Assumere alcolici di fronte a te sarebbe un gesto maleducato», esplicò l’interessato.
«Oh, vedo che non hai perso il tuo charme!», affermò l’altro divertito.
«È una cosa che dovrebbero avere tutti, non credi? La tua meraviglia mi sorprende assai».
«Chiedo umilmente scusa a Sua Altezza!».
 
Tutto stava procedendo per il meglio. Il medico era riuscito a rompere il ghiaccio e pareva che il Kuruta si stesse rilassando.
Bastava che mantenesse la calma e sarebbe stato capace di trasmetterla a colui che ne aveva bisogno.
 
«Vorresti chiedermi il motivo per cui fossi fuori casa ieri sera?», domandò inaspettatamente Kurapika.
«Certo che no! Sono affari tuoi e non ho il diritto di intromettermi», lo rasserenò.
«Non è un problema se te lo racconto», reiterò schiettamente.
«… Allora spara».
Non poteva negare di essere curioso.
«In questo periodo la famiglia Nostrade è perseguitata da altri mafiosi gelosi della sua popolarità. Ci stanno tendendo molte trappole dalle quali siamo riusciti ad uscire con travagli», espose.
«Caspita, non lo sapevo…».
 
«Ci hanno anche derubati», aggiunse.
«DERUBATI?!».
«Abbassa la voce!», gli ordinò guardandosi intorno, «Sì, è così. Per fortuna nessuno è rimasto coinvolto».
«E… avete qualche idea su chi potrebbe essere l’ideatore del piano?».
«No, è meglio non fare congetture che potrebbero rivelarsi errate. È probabile che Basho e gli altri abbiano iniziato le indagini».
Piantò il suo sguardo sugli occhi dell’amico e concluse dicendo: «Per ora è tutto quello che devi sapere».
«Ok…».
 
 
 
Ad un certo punto Leorio fece la sua spiegazione.
«La ragione per cui ti ho invitato è: dimenticare i problemi. Siamo qui per divertirci e discutere su altre faccende… come facevamo un tempo».
«Mi sembra un’impresa leggermente difficile», commentò il più giovane ironicamente.
«Non lo è… perché sono molto contento di vederti».
 
Appena sentì quella frase, il Kuruta lo fissò incredulo.
Nonostante il suo strano temperamento, stava provando gioia per la sua presenza?
Che strano… Dopo tutti quei rimproveri, gli suonava come una presa in giro.
Di sicuro neanche Leorio lo sopportava.
 
Un momento…
Cosa accidenti stava pensando?
Non poteva provare rancore verso tutte le persone che incontrava.
 
Eppure… in qualche modo c’entravano con la sua rovina, nessuno escluso.
Forse il suo migliore amico era la causa principale: gli aveva insegnato a provare compassione di fronte al suo acerrimo nemico.
Sarebbe potuto essere libero. La sua vendetta avrebbe già avuto una fine.
 
Sì… in fondo al cuore lo detestava in maniera ripugnante.
“È strano, ma… perché ho voglia di ammazzarlo?”, si chiese improvvisamente.
Quel dolce sorriso, il suo fare così goffo ed imbarazzante, la sua capacità di deviare mentalmente chi gli stava intorno.
Tutto ciò gli urtava i nervi fino al culmine della sopportazione.
Era cosciente di non stare mostrando la sua indole razionale, ma poco gli importava.
 
«Kurapika, ti sei incantato?», lo chiamò il bruno.
Lui gli rivolse un sorriso irriverente.
«Perdonami, ma queste tue solite dichiarazioni d’amore fraterno mi tediano oltre il limite».
 
Leorio rimase paralizzato.
In altre parole gli aveva detto di essere ridicolo.
Si auto convinse che fosse solo uno scherzo da parte sua.
 
«Dunque…», continuò placidamente l’altro, «… parlami un po’ di Gon e Killua».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«È vicino a noi; riesco a sentirlo».
«Sto facendo la strada giusta?».
«Sì, procedi».
 
Era passata un’altra ora.
Dopo aver saputo della notizia di Sato, Basho e altre due guardie del corpo erano andati a fare una ricognizione nella casa della persona uccisa per trovare qualche indizio plausibile che avesse potuto ricondurli all’identità del nemico.
 
Uno dei due nuovi uomini, Mitsuo, possedeva la Specializzazione sul senso dell’olfatto.
Qualsiasi cosa che annusava, anche inodore, riusciva a farlo risalire all’interessato.
Memorizzava l’effluvio e localizzava il colpevole se era nelle vicinanze.
 
I tre avevano per buona sorte scovato un brandello della sua maglietta; ipotizzarono che avesse dovuto ricorrere alle armi prima di essersi gettato sul collega di Light.
 
Passato un quarto d’ora, scorsero l’uomo in un vicolo cieco mentre stava tentando di rubare la borsa ad una ragazza per puro divertimento.
Approfittarono della situazione per bloccare con l’auto l’unica possibile uscita e si precipitarono fuori da essa per acciuffarlo.
«Sei sicuro che sia lui?», chiese Basho.
«Certo», replicò Mitsuo, «Non vedi cosa sta facendo?».
«Hai ragione».
 
Takahiro si accorse all’ultimo momento degli avversari. Erano alcuni membri della famiglia Nostrade.
Fu costretto a lasciare la presa sulla giovane e a puntare loro la pistola.
 
Era una situazione inaspettata. Non si era mai scontrato fisicamente contro una persona senza utilizzare tattiche ed imbrogli.
Ma non si pentì di aver girovagato per tutto quel tempo: si era divertito a comportarsi come un incivile senza regole.
 
Sparò nella direzione di Basho.
Si intromise subito la terza guardia chiamata Taro.
Usò il suo corpo come uno scudo; la pallottola affondò nel suo stomaco, il quale aveva assunto una consistenza elastica; subito dopo la prese con una mano e la gettò via.
Takahiro rimase scioccato: erano maestri di Nen.
Taro apparteneva alla categoria della Trasformzione e aveva la capacità di rendere flessibile ogni fibra del suo organismo.
 
Tanta fu la meraviglia che non si accorse del calcio improvviso di Mitsuo sulle sue ginocchia per fargli perdere l’equilibrio.
Basho piombò immediatamente dietro di lui, immobilizzandolo e tappandogli la bocca con una mano.
L’uomo fu costretto a gettare l’arma: era in netto svantaggio contro tre persone.
 
Continuava a domandarsi come avessero fatto a rintracciarlo. Era accaduto tutto così velocemente.
 
I tre l’avevano già caricato in macchina per portarlo in un posto meno vicino al centro del quartiere.
L’avrebbero sicuramente riempito di domande, proprio come aveva previsto Nakamura, e poi era ignoto ciò che gli sarebbe capitato.
 
Nonostante la brutta situazione, il rischio di essere ucciso e il divieto di accennare le dispute del capo, aveva ormai realizzato il suo sogno e non gli interessava più niente.
 
Basho non perse tempo e telefonò a Kurapika.
 
 
 
 
Nella caffetteria il cellulare del biondo cominciò a squillare.
«Rispondi pure», gli disse Leorio prima di proseguire nella bevuta del suo secondo caffè.
 
«Pronto?».
«Raggiungici subito!», inveì il moro.
Il ragazzo rimase colpito dal suo atteggiamento.
«Che è successo?».
«Abbiamo catturato il bastardo. È necessaria la tua presenza!», svelò.
«Sul serio?!», sbottò allarmato.
«Sì, ma ora non ti racconto i dettagli. Fatti trovare nel luogo dove è stato arrestato quel signore che vendeva tarocchi».
«Ho capito. Sto arrivando».
 
Si alzò di scatto dalla sedia e cominciò a dirigersi verso l’uscita.
«Ehi, Kurapika?», lo chiamò l’amico.
«Devo andare», confessò nervosamente.
«E chi paga?».
«Tu, per favore. Ti darò i soldi in un altro momento».
«Aspetta!», urlò afferrandogli una spalla.
«Lasciami andare: ho fretta», sottolineò l’altro.
«Dimmi perché!».
«Non ti interessa».
Con uno strattone si liberò dalla presa.
«Rimani qui. Ci vediamo».
 
 
Leorio rimase ad osservarlo sbigottito mentre si allontanava dal locale.
 
E adesso? Cosa doveva fare?
Sembrava tranquillo, però bastava un piccolo problema per farlo diventare ansioso e acido.
 
Ripensò alle parole di Yuichi.
Fare finta di niente? Era umanamente impossibile, vedendolo in quello stato.
In che guaio si sarebbe cacciato stavolta?
 
“Mi dispiace, ma… non prendo ordini da nessuno”.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Light non poteva credere ai suoi occhi.
Ciò che Nakamura gli stava mostrando andava contro ogni sua aspettativa.
La villa dell’altro boss era stata precedentemente messa a soqquadro.
Rimanevano soltanto alcuni mobili d’arredo; per il resto avevano rubato anche le tende e l’intonaco delle pareti era rovinato e macchiato da strane scritte.
 
«I miei servitori hanno appena iniziato a pulire i pavimenti sporchi. C’è ancora tanto da fare prima di sistemarla», spiegò addolorato.
«Capisco…».
Diede un rapido sguardo ad alcune persone che stavano sistemando delle carte.
«Chi sono?», chiese.
«Dei miei colleghi di lavoro. Anche loro mi stanno dando una mano».
 
Light era sempre più confuso.
Aveva intenzione di accusare l’uomo per la faccenda del misterioso ladro, però anche a lui era capitata quella tragedia.
 
«Come puoi constatare, siamo sulla stessa barca», gli ricordò il boss.
 
Doveva credergli?
Sembrava tutto così effettivo…
 
«Scusa se ti ho disturbato… È meglio che tolga il disturbo», ammise.
«Non se ne parla proprio! Mettiti comodo», dissentì Nakamura, «Non sarà questa sciagura ad impedirmi di vedere i miei conoscenti».
Fece sedere Light su una sedia e aggiunse: «Inoltre non hanno perlustrato altre zone della casa».
«Anche da noi è stato così!», affermò l’interlocutore stupefatto.
«Ma secondo te… cosa vuole farci capire?», lo interrogò l’uomo curioso.
«Beh, penso sia una persona che vuole primeggiare su tutti», fu il commento.
Nakamura nascose un sorriso malefico e chiese: «Non è che… stavi sospettando di me?».
Il signore lo osservò con un misto fra sbalordimento e soggezione.
«A dire la verità… sì».
«È normale che ti comporti così dopo la nostra discussione di quella sera. Devi comprendere però che io sto usando una maschera; se vuoi sopravvivere, ti tocca diventare un tipo tosto. Non lo faccio per cattivi scopi», raccontò.
«È davvero difficile fidarsi».
«Ed è altrettanto arduo andare d’accordo, ma dobbiamo provarci», concluse cercando di risultare spontaneo.
 
L’altro non trovò le parole giuste per ribattere e Nakamura ne approfittò.
«Oh, dimenticavo…», lo avvertì.
Prese da un cassetto della sua scrivania un pezzo di carta. Nella parte superiore era ancora attaccato dello scotch.
«L’ho trovato sopra uno specchio», illustrò prima che il collega glielo potesse domandare.
«Guarda cosa c’è scritto», intimò mostrandoglielo.
 
-Se non vi arrenderete, la prossima volta toccherà ad uno di voi-.
Erano le stesse parola che Kurapika aveva letto nel loro specchio.
Notò addirittura una firma non molto leggibile.
Presunse che ci fosse scritto “Associazione NSSK”.
 
Non riuscì a parlare. Sentiva che il panico si era impossessato del suo cuore come una pianta che metteva radici.
 
«Mi sembra una buona informazione», soggiunse Nakamura, «Condividi?».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«È inutile, non vi rivelerò mai niente. Uccidetemi, piuttosto!».
 
Benché Basho e gli altri stavano infliggendo minacce e maltrattamenti, Takahiro non accennava a nessuna questione importante che volessero sapere.
Era disposto a farsi ammazzare senza il minimo timore.
 
 
Dopo un po’ li raggiunse Kurapika. Aveva corso così tanto da essere arrivato con il fiatone.
Il moro gli venne incontro.
«Non sputa sentenze!», ammise.
L’altro scrutò in faccia il responsabile dell’omicidio con disprezzo.
«Non conosco quel pezzente», confessò.
«Devi dirci però cosa dobbiamo fare!», lo avvisò il collega.
«Perché proprio io?».
«Sei il braccio destro di Light, perciò dare gli ordini è compito tuo», spiegò.
 
Il Kuruta non replicò ulteriormente. Sentiva un’enorme responsabilità sulle spalle e i suoi battiti cardiaci si affaticavano ad essere meno agitati.
Cominciò a dirigersi verso l’uomo. Le altre due guardie non smettevano di prenderlo a pugni, ma la cosa stava risultando futile e quasi ridicola.
«Basta», ordinò con risolutezza.
Gli interessati si scansarono appena il giovane gli fu vicino.
 
Non poté fare a meno di riflettere sulla situazione.
Il temperamento di quell’individuo gli ricordava il giorno in cui aveva catturato Kuroro.
Non importava quanto l’avesse malmenato; quel sorriso spietato non si spegneva nel suo odioso viso ed era riuscito a farlo cadere nel torto dall’altro punto di vista.
 
«Ti consiglio di parlare, altrimenti te la dovrai vedere con il nostro capo», cominciò a dire.
Takahiro non osò incontrare il suo sguardo.
«Prima di tutto dimmi se sei veramente colui che ha architettato il furto».
Non ottenne una risposta.
«Qual è il tuo nome?», gli chiese dunque.
L’altro fece una breve risata.
«Sono tuo padre…», rispose senza abbandonare quel ghigno.
 
Le mani di Kurapika prudevano dalla rabbia.
Avrebbe voluto tanto adoperare la sua fedele catena del giudizio su di lui, ma correva il rischio di perire all’istante e non ne valeva la pena per uno sconsiderato.
 
Che senso aveva fargli domande? Suppose che gli altri ne avessero già formulate a sufficienza.
Si avvicinò all’uomo e gli confiscò la pistola.
«Questa la prendo io», concluse.
Poi si rivolse ai compagni.
«Lo porteremo vivo dal nostro capo; sarà lui a decidere tutto. Nella sala delle simulazioni sono presenti degli strumenti di tortura: dovremmo riuscire a farlo parlare con quelli», li informò.
«E dopo lo lasceremo andare?», domandò Taro.
«… Si è messo certamente nei guai», fu la replica del Kuruta.
 
Iniziarono ad incamminarsi verso l’auto di Basho.
Non c’era bisogno di tenere il nemico così saldamente, dato che pareva godersi la scena.
 
Riconobbe che il ragazzo biondo era il bersaglio principale di Nakamura e non indugiò a stuzzicarlo.
«Fai l’impavido quando in realtà te la fai sotto per una piccola illusione».
 
L’hunter spalancò gli occhi e si girò di scatto verso il più grande.
Vedendo quel viso così stupito, gli sfuggì un’altra risata liberatoria.
 
«Allora hai fatto parte del complotto!», esclamò cercando di trattenere le sue emozioni.
«Certo, lo confesso. Ho visto tutto quello che hai combinato».
 
Che piacere rinfacciare le cose!
Sarebbero state probabilmente le ultime frasi che avrebbe detto, perciò dovevano fare la loro bella figura.
 
«Le catene che usi sono bellissime», proseguì.
Kurapika rimase spiazzato.
«Chi hai seppellito a York Shin?», continuò ancora.
Non poteva essere.
«E perché sei così arrabbiato verso un certo Kuroro?».
No…
 
Come faceva ad essere entrato in possesso di quei segreti?
Ciò voleva dire che… anche altri mafiosi ne erano a conoscenza.
 
Era l’ennesima persona che gli aveva fatto una predica quel giorno.
E come mai riguardava sempre e solo quella maledetta illusione?
Non riusciva a togliersela dalla testa. Qualcosa lo stava perseguitando; poteva essere un malocchio.
La cosa certa era che non sarebbe riuscito a resistere mentalmente ancora per molto.
 
Un pensiero lo colse all’improvviso.
E se avesse rivelato quelle faccende al capo? Era l’ultima persona che doveva sapere delle questioni che lo avrebbero messo in cattiva luce.
Sarebbe stato sospettato, ricercato, cacciato…
Tutto per colpa di un dannato potere Nen.
 
La sua mano si mosse automaticamente: non aveva altra disperata scelta che puntargli l’arma.
«Dimmi immediatamente come hai ricavato questi ragguagli… o sarà peggio per te», lo intimidì.
«Kurapika, che stai facendo? Lascialo perdere!», sbottò Basho.
«SILENZIO!», urlò il biondo, «Avanti, parla!».
 
«È vero», iniziò a dire l’altro, «Tu sei debole e terribilmente psicolabile. Mi fai pena».
Piantò gli occhi sul viso del ragazzo.
«Non ti dirò assolutamente niente. Affoga nel tuo tormento e lascia che i tuoi amichetti festeggino sul mio cadavere. La tua vera natura sta per essere scoperta e correrai così tanti pericoli che sarà impossibile contarli sulle dita di una mano».
 
L’indice del Kuruta avvolse istintivamente il grilletto.
 
«Farai la stessa fine disonorevole di fronte a coloro che ti hanno voluto bene… TU MORIRAI!».
 
Partì un assordante colpo di pistola.
La pallottola lanciata penetrò il petto di Takahiro fino a colpire il cuore.
Dopo aver vomitato una grande quantità di sangue, l’uomo spirò.
 
Mitsuo e Taro lasciarono cadere a terra il suo corpo.
Tutti erano rimasti agghiacciati di fronte a ciò che aveva fatto il giovane, il quale stava osservando il cadavere con una fierezza che discordava con la gravità della circostanza.
 
«Perché? PERCHÉ?», gridò il bruno.
Avrebbero dovuto ricominciare le investigazioni.
 
 
«KURAPIKA!», urlò inaspettatamente una persona.
Dall’angolo della via era apparso un Leorio più morto che vivo.
Il suo pallore era ben definito nella penombra del luogo e faceva fatica a respirare.
 
«Che ci fai tu qui?!», scoppiò Basho.
Ebbe il sospetto che avesse spiato l’amico per tutto quel tempo.
Si era trasformato in un testimone dell’assassinio impiegato dal biondo.
 
Il Kuruta non parlò.
 
«Kurapika… sei stato tu?».
Non riusciva a crederci.
Il suo migliore amico aveva ucciso ancora una volta una persona, macchiandosi di quel peccato.
 
Il suo fare lunatico lo disgustava. Era talmente ottuso da non voler fare affidamento sui suoi colleghi.
Uccidere era la sua precedenza… proprio come era successo con Ubo.
 
Chi aveva davanti? Un ragazzo accecato dalla vendetta… o un criminale complessato?
 
«Sei sempre in mezzo», esplose il giovane mafioso.
Nella sua voce si poteva udire una punta di esasperazione.
«Ti avevo detto di restare dov’eri… Sei così idiota e ficcanaso da esserti  messo in questa disgrazia per causa mia».
Strinse la pistola fra le mani e le sue spalle cominciarono a tremare.
«Sono stanco di essere reputato un instabile, di essere calpestato da persone impiccione, di essere privato della mia autorevolezza».
Voltò la testa verso quella di Leorio.
«Non mi lasci altra decisione».
Puntò il dito verso il cadavere.
«Noi ce ne andremo… e tu non saprai niente di ciò che è stato compiuto», disse mentre Basho si stava caricando controvoglia sulle spalle il defunto.
 
«Ti avverto. Se oserai riferire alla polizia o a chiunque altro delle delucidazioni sulla mia persona e se io lo dovessi venire a sapere…».
 
Una goccia di sudore colò sul collo del moro.
 
«… la prossima volta che ti vedrò… ti ammazzerò senza pietà».
 
 
 
 
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Sakka no kakudo (angolo dell’autrice):
 
Cari amici telespettatori(?), eccomi qua! ^^
Ho faticato tanto per trovare uno straccio di tempo libero: sono arrivata a dover scrivere anche dopo le undici di sera.
Di questo passo morirò per overdose di caffè e Moment! O.O
Come al solito mi scuso con voi se questo capitolo vi è risultato banale… Ripeto però che ho controllato infinite volte la sua struttura sintattica e grammaticale!
Sono così logorroica perché c’erano degli errori anche la dodicesima volta che gli ho dato uno sguardo -.-‘’…
Comunque sono riuscita ad aggiornare due volte questo mese! Cercherò di mantenere il ritmo, ma potrei crollare o avere mille impegni. Non vi assicuro niente.
Sarete ovviamente informati se ciò dovesse accadere!
Ah, ricordate quando vi ho detto che codesto capitolo sarebbe risultato più corto?
Dimenticatelo! xD Non ricordo se ho superato le cinquanta pagine di Word… Più di così non potevo accorciarlo!
Procediamo con le precisazioni.
Diciamo che tutto ruota attorno al rapporto di amicizia fra Kurapika e Leorio e la sciagura che è capitata ai Nostrade.
Voi direte che i segreti del Kuruta sono ormai scontati, ma… per un’informazione errata si possono modificare molte cose (e qui chiudo la bocca xD)! Attenti a Shijo…
Mi sono divertita un sacco a disegnare la scena di Leorio che mi ha chiesto Hiroto! Sono morta dalle risate! :D
Ho pensato ad un momento buffo. Siccome è l’aiutante di un pediatra… perché non inserire delle situazioni imbarazzanti con un paziente?
Ho fatto un sacco di ricerche tipo: “malattie dei bambini” oppure “nome dell’oggetto che serve per auscultare”. Sono una frana in medicina! ^^’
Devo ammettere che il dialogo con Yuichi mi è servito molto per far ragionare Leorio. All’inizio volevo che vertesse sulla comicità, poi si è rivelato indispensabile per il proseguimento. Grazie mille, Hiroto!
Passiamo alla scena chiesta da Faith.
Alloooora… spero che ti sa piaciuta. Il flashback è stato cruento e ho cercato di utilizzare termini non molto volgari: ho avuto l’istinto di alzare il rating! xD
Non vi aspettavate un Kurapika capace di tanta violenza, vero? Guardate che l’alcol è una brutta bestia…
Per il resto non serve che aggiunga qualcosa: tutto è specificato nel capitolo e vedrò i vostri commenti.
C’è solo una cosa che vorrei chiarire.
I personaggi di HxH soffrono di una rara patologia(xD) chiamata “ooc dentro l’ic”.
Senritsu potrebbe sembrare una ragazza troppo emotiva ed opprimente, ma risente della situazione che sta vivendo.
Anch’io piangerei e mi scoraggerei per un amico che ha preso una cattiva strada; rimarrei turbata se mi succedessero questi fatti e non uscirei di casa se avessi quell’aspetto.
Ha già cominciato ad acquistare coraggio; infatti ha raccontato la sua esperienza al capo.
Fra qualche capitolo tornerete a riconoscerla! ;)
Adesso Kurapika…
Lui ha un carattere pesantemente influenzato dall’ambiente malvagio! Non è stravolto; ho cercato di immaginarmelo in relazione a quegli avvenimenti.
Sarebbe impossibile restare freddi ed indifferenti… Sfiderei il vero Kurapika a non impazzire! xD
Intanto, però, è un tipo che cambia idea molto facilmente e ha pure commesso un omicidio… Leorio ha visto tutto!
Cosa succederà?
Vorrei dirvi tante cose… ma passiamo ai ringraziamenti.
 
Dedico questo capitolo alla gentilissima Faith Yoite, la quale ha realizzato quel grandioso disegno di Shijo! ♥
Non dovevi disturbarti… Se non aiuti Togashi a disegnare, mi offendo! Sei bravissima!
Un grazie speciale va anche a:
Chichi Zaoldyeck
Crazyforever
FireFist23
Hiroto49
Kuraro
Lillochan
M_Kurachan
Queen of the Night
Raine93
I lettori anonimi ♥
 
Commentate in tanti e fatemi sapere! :3
Non siate timidi…
Kura:- Ha parlato quella che desiderava girare con un secchio in testa quand’era piccola -.
Dettagli! >.< *lo sbatte fuori dalla stanza*

 
 
 
 
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Nel prossimo capitolo:
 
«La prossima volta toccherà ad uno di voi».
 
«Il passo seguente consisterà… in un rapimento».
 
«Sei pronto a firmare il nostro contratto?».
 
«Si è venduto al nemico come uno stolto!».
«Come ti permetti?».
 
«Mi hanno offerto un secondo biglietto. Ti dispiacerebbe… accompagnarmi?».
 
«Grazie a quel campo di Nen, assopirò il suo Hatsu e mi risulterà più facile rubarglielo».
 
«Una deformazione corporale?».
 
«Colpito e affondato».
«KURAPIKA!».
 
 
 
 
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Al prossimo mese,
Scarlet Phantomhive.
 

 

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