War and love

di terychan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** la missione dei Sannin ***
Capitolo 2: *** La donna in pericolo ***
Capitolo 3: *** Naoto ***
Capitolo 4: *** il pass ***



Capitolo 1
*** la missione dei Sannin ***


La missione dei Sannin

 

La guerra è la cosa più brutta che possa esistere al mondo.

Lo sapevano bene tutti coloro che ne avevano preso parte.

In un mondo dove ninja dai terribili poteri combattevano per la supremazia, esisteva un gruppo a cui premeva solo difendere il proprio villaggio.

Erano i ninja della foglia.

Il loro villaggio era stanco delle continue guerre: con i giorni che passavano, aumentavano la fame e le vittime di quella guerra apparentemente assurda.

Il capo del villaggio della foglia decise che doveva far qualcosa per mettere fine a tutte le sofferenze e decise di tentare a diffondere la pace. E fu così che i tre leggendari ninja della foglia furono incaricati di recarsi nel paese delle rocce, e consegnare la pergamena del sommo Hokage, in cui richiedeva un armistizio.

Tra il paese della foglia e il paese delle rocce c’era un villaggio piccolo ma temibile.

Il villaggio delle acque.

Non erano in tanti, ma i loro ninjustu erano potenti proprio come l’acqua. In grado di spazzare via un intero paese con le onde, oppure scalfire a poco a poco, proprio come fa l’acqua gocciolante che erode le rocce con il tempo. Fu per questo che furono mandati i tre leggendari Sannin a compiere quella missione, poiché si riteneva che erano in grado di sconfiggere i temibili ninja acquatici. Ma i pericoli non finivano con il piccolo villaggio. Il paese delle rocce essendo molto diffidente non aveva voluto comunicare con l’Hokage. Quindi la pace era nelle mani di quei tre che portavano i nomi :Jiraiya, chiamato anche l’eremita dei rospi; Tsunade la più abile e potente ninja medico donna; ed infine Orochimaru il ninja che maneggiava una gran varietà di jutsu. Una volta superato il villaggio acquatico erano costretti a combattere anche contro i ninja delle rocce, per poter arrivare al sommo Tsuchikage.

Il giorno in cui partirono, il cielo era gonfio di nubi, l’aria era pesante e i cuori erano pieni di ansia. Si chiedevano se sarebbero riusciti nel esito della missione; speravano che il tsuchikage non avrebbe reso vano il loro viaggio pieno di pericoli.

Il piano dell’ Hokage era quello di firmare un trattato di pace con la terra delle rocce, per poi unirsi a loro nel tentativo di arrivare alla pace anche con le altre grandi terre. L’hokage confidava nel fatto che tutti volessero la fine della guerra: in fondo se fosse durata ancora a lungo avrebbe danneggiato tutti. Sarebbe seguito un periodo di carestia e se succedeva una cosa del genere la guerra diventava un inutile spargimento di sangue, che avrebbe portato alla miseria.

 

Per i primi due giorni il loro viaggio fu facile dato che si trovavano ancora nella terra della foglia e, quando incontravano altri ninja della foglia, questi esultavano al loro passaggio, benedicendoli.

Tutti avevano fiducia in loro, e tutti credevano nella loro vittoria.

Il loro viaggio iniziò a complicarsi nelle zone confinanti ai villaggi acquatici. Iniziò a piovere e incontrarono solo vecchie capanne abbandonate e caseifici distrutti.

Fu proprio al confine che incontrarono i primi nemici.

Durante la corsa Orochimaru avvertì una strana sensazione di pericolo, si fermò e fece cenno ai suoi compagni di arrestarsi. Jiraiya, Tsunade e Orochimaru si prepararono alla battaglia impugnando un kunai. Si guardarono in giro, tutto era immobile a parte qualche foglia mossa dal vento. Eppure tutti e tre sentivano distintamente una presenza.

Orochimaru lanciò il suo kunai verso una direzione, l’arma volò veloce e si piantò nel tronco di un albero. Si sentì un lamento e poco dopo dal tronco si vide staccarsi una figura, come se fosse stata fusa con il tronco e adesso ne stesse uscendo fuori. La figura man mano che uscì si rivelò essere un uomo. Afferrò il kunai che si era piantato nella sua spalla, e lo estrasse con noncuranza, come se non avesse sentito dolore.

Dal tronco di un altro albero si vide uscire qualcosa di liquido, che ,arrivando a terra ,si gonfiava verso l’alto prendendo forma di un essere umano. E alla fine si presentò un altro uomo dal retro di un albero. Si guardarono in viso intensamente, studiandosi.

I tre uomini portavano un coprifronte con un simbolo a forma di goccia. Era il chiaro segno che erano arrivati nella terra delle acque.

Tutti e tre indossavano una tuta nera, le loro gambe erano fasciate dalla caviglia allo stinco. Portavano una maschera che gli copriva il viso. L’unica cosa che li distingueva erano i capelli. Uno era biondo con la capigliatura corta, l’altro aveva lunghi capelli neri, come Orochimaru e l’ultimo invece era calvo.

La terra delle acque era chiamata così perché era piena di torrenti, fiumi e laghi e sulla parte a nord est la loro terra si affacciava sul mare. E loro si trovavano nei pressi di una immensa cascata. Ingaggiare un combattimento proprio lì poteva essere un’arma a doppio taglio, a causa del dirupo che avrebbe ostacolato il combattimento.

I tre sannin non avevano tempo per pensare così Jiraiya attaccò per primo.

In uno scatto si lanciò in una corsa velocissima contro il biondino. Lo attaccò con un pugno. Il nemico lo schivò abilmente con un balzo all’indietro.

“Direi che sono dei tipi in gamba.” Commentò Jiraiya con un sorriso divertito. Lui amava combattere soprattutto quando poteva misurare le sue abilità.

“Accidenti a lui, ma perché non pensa prima di agire?” disse Tsunade per poi lanciarsi in un attacco contro il ninja dai capelli corvini. Lanciò il suo Kunai e subito dopo lanciò una serie di shuriken, che il suo avversario riuscì a scansare. A parte uno che gli tagliò una ciocca di capelli.

Il ninja pelato si inginocchiò e cominciò a muovere le mani in una sequenza di sigilli. Ma improvvisamente si fermò, e sudò freddo. Orochimaru aveva interrotto le sue azioni puntandogli la propria katana sotto il collo. Il nemico non si era accorto di nulla. Orochimaru era stato così veloce e rapido che non era riuscito in tempo a impastare il suo chackra.

“Non abbiamo tempo da perdere con voi.” disse Orochimaru e con un gesto mise fine alla vita del nemico. Lo aveva fatto perché i suoi compagni erano distratti. Sapeva che loro odiavano quando si comportava in quel modo. Spesso non aveva scrupoli ad uccidere il nemico, chiunque fosse stato, non aveva pietà di nessuno. Era capitato più di una volta che Tsunade gli dicesse che era un essere viscido. Lui spesso la ignorava lasciandole sfogare la sua rabbia. Trovava troppo sentimentali i suoi compagni. Ma nulla toglieva al fatto che avevano fretta e perciò scattò di nuovo in avanti per aiutare Tsunade. Gli altri due nemici sembravano più forti del pelato. Il tizio dai capelli corvini riuscì a colpire Tsunade con un calcio al ventre. La ragazza si librò in aria per la forza del colpo ricevuto, quel maledetto aveva usato il chackra per potenziare il colpo. Orochimaru scattò verso destra e afferrò la ragazza in volo prima che battesse violentemente a terra.

Non fece neanche in tempo a ringraziarlo che Orochimaru scattò in avanti verso il nemico.

Iniziarono a combattere ferocemente. Tsunade preoccupata si voltò verso Jiraiya, lui era il più debole del gruppo, e sperava che se la cavasse.

Jiraiya scambiava colpi violentissimi con il suo avversario, così come Orochimaru.

Si vedeva che entrambi avevano fretta, soprattutto Orochimaru che non si dilettava come al solito a valutare le abilità del nemico.

“Tsunade, vai ad aiutare quel buono a nulla di Jiraiya, non abbiamo tempo da perdere.”disse Orochimaru per poi saltare in alto per evitare un calcio. Il nemico ne approfittò della sua distrazione: mentre era ancora in sospensione per il salto, il tizio dai capelli neri si portò la mano alla bocca dalla quale uscì un dardo di acqua ghiacciata. Il dardo volò veloce e si conficcò nella spalla del sannin che urlò dal dolore. Si accasciò a terra e Tsunade urlando il suo nome corse in suo soccorso. Il nemico le lanciò un altro dardo di ghiaccio, ma Tsunade con la sua tecnica deviò la traiettoria del dardo e raggiunse il nemico. Con un pugno caricato di energia riuscì a colpirlo in pieno petto. L’energia del suo pugno era in grado di frantumare una roccia grande quanto una casa.

Il nemico si accasciò a terra ed esalò l’ultimo respiro.

“Orochimaru!” urlò Tsunade preoccupata, si avvicinò a lui. L’uomo aveva tutta la spalla ghiacciata e il sangue si era raggrumato intorno al dardo ancora conficcato nelle carni.

Tsunade gli estrasse il dardo con un tiro unico e deciso. Orochimaru urlò dal dolore per poi lasciarsi cadere sulle gambe della donna semisvenuto. Tsunade iniziò immediatamente a usare i suoi ninjustu medici per guarirlo. Intanto Jiraiya continuava a combattere. Nella sua mano si formò una sfera di chackra concentrato, la mitica tecnica chiamata “rasengan”. Schivò un attacco di shuriken, e si lanciò mirando il colpo al petto del nemico. Ma il biondino si rivelò essere abile. Creo dei sigilli e dalla cascata accanto si alzò un onda gigantesca che prese la forma della testa di una tigre. Jiraiya colpì il nemico ma il gigantesco mostro d’acqua inghiottì Jiraiya trascinandolo via.

Il nemico, con uno squarcio al petto, si accasciò a terra morendo mentre Jiraiya era in balia del mostro acquatico.

“Jiraiya!” urlò Tsunade lasciando Orochimaru a terra e correndo da lui. Il mostro fece un tratto nel vuoto e scomparve lasciando Jiraiya precipitare nel vuoto. Mentre cadeva con una sua tecnica e uno sforzo immenso riuscì ad aggrapparsi ad una sporgenza.

“Merda!” esclamò notando quanto fossero viscide le rocce. Con il combattimento aveva consumato troppo chackra, e non aveva la forza di fare un evocazione.

“Jiraiya!” la voce di Tsunade gli fece sollevare il capo e la vide sul orlo del precipizio con il viso preoccupato. Ci mancava poco che scoppiasse a piangere. Lei si voltò urlando a Orochimaru di avvicinarsi.

Il ragazzo la raggiunse, Jiraiya vide che era più pallido del solito. Se non avessero combattuto sarebbe stato uno scherzo da ragazzi recuperarlo. Ma erano tutti a corto di chackra. Tsunade perché aveva curato Orochimaru. E Orochimaru perché aveva combattuto a lungo e non si era ancora ripreso perfettamente dalla ferita.

Gli calarono una corda, ma prima che lo raggiungesse, la mano di Jiraiya scivolò e Tsunade vide il suo amico precipitare nel vuoto. Jiraiya vide come Tsunade urlava disperata e se Orochimaru non l’avesse bloccata si sarebbe buttata nel disperato tentativo di afferrarlo.

 

“Perché!?” urlò Tsunade accusando Orochimaru “Perché non lo hai salvato?”

“Calmati, lui è uno dei sannin ricordi? Non morirà per così poco.”

“Stupido, da quell’altezza anche se non morisse sul colpo, senza un ninja medico non può sopravvivere.” gli disse con gli occhi lucidi.

“Forza andiamo. Abbiamo una missione da compiere” Le disse Orochimaru afferrandola per un braccio.  

“Cosa dici? Dobbiamo salvarlo dobbiamo scendere giù!” le disse lei ancora scossa dallo shock.

“Non abbiamo tempo, lascialo pure crepare e la facciamo finita.” rispose lui.

Tsunade non gli disse nulla, lo colpì violentemente con un pugno sul viso. Orochimaru barcollò e sputò un misto di sangue e saliva mentre la guardava allibita.

“Che cazzo stai dicendo? Jiraiya è un nostro compagno, è il nostro dovere salvarlo. Come fai a parlare così? Siete cresciuti assieme, non conta nulla per te?” Tsunade fece una pausa per prendere fiato e impedire alle lacrime di sgorgare. Lei era uno shinobi, non doveva farsi prendere dallo sconforto.

“Tu parli di tempo? Cosa vuoi che cambi un giorno o due? Io senza Jiraiya non vado da nessuna parte!” gli urlò contro. “il tsuchikage può anche aspettare, ma lui no, ogni minuto può essere prezioso, perciò con o senza di te io vado a cercarlo.” Non avrebbe permesso che un’altra persona per lei importante morisse per colpa della guerra. Aveva già perso le persone che amava di più al mondo. Non voleva perderne un’altra. Adesso le rimanevano soltanto Jiraiya, Orochimaru e la sua allieva Shizune.

Orochimaru si pulì il labbro spaccato dal sangue e sospirò. Non voleva viaggiare da solo, e soprattutto senza un ninja medico. Così anche lui si fece prendere dai sentimenti, infondo Jiraiya per lui era ancora un amico. “Sì, hai ragione, andiamo a prenderlo.” Le disse e finalmente vide un sorriso sul viso della sua compagna.

 

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Capitolo 2
*** La donna in pericolo ***


La ragazza in pericolo

 

 

Sulla riva di un fiume se ne stava seduto, su un masso, un ragazzino di circa 12 anni; era seduto con le gambe incrociate, fra le mani teneva una canna da pesca e fischiettava sereno una canzoncina. All’improvviso la canna del ragazzino cominciò a curvarsi, sotto il peso di un pesce che tirava con tutte le sue forze per non farsi trascinare sulla superficie.

“Non ti mollo piccola peste!” esclamò il ragazzo e tirò con più forza. Mentre era concentrato a tirar su la sua preda, notò la sagoma indistinta sotto il pelo dell’acqua.

“Wow, è enorme!” strillò felice. Dal fiume tirò su una mano grande e subito dopo il braccio: il ragazzino non aveva pescato nessun pesce, bensì un uomo. Quest’ultimo non si muoveva e il ragazzo ne dedusse che doveva essere morto. Non si stupì più di tanto, era abituato a vedere cadaveri in giro per i boschi o nascosti dall’acqua.

Tutto ad un tratto, la sagoma si alzò in piedi. Era piena di alghe, un pesciolino si era incastrato tra i fluenti capelli bianchi di quella sorta di mostro emerso dall’acqua leggermente torbida. Il ragazzino urlò spaventato a morte e scappò via, abbandonando la sua attrezzatura da pesca. Lo strano mostro pallido non era altri che Jiraiya, sporco e ricoperto di alghe viscide.

Il Sannin si trascinò fuori dal corso d’acqua, tossendo e vomitando. Una volta al sicuro si sdraiò supino, godendosi i raggi del sole che gli scaldavano il viso.

“Merda, non so nemmeno dove mi trovo.” Disse ansante. L’acqua sotto la cascata era profonda ed era riuscito a salvarsi, non aveva ferite a parte qualche graffio del combattimento o qualche livido a causa degli scogli contro cui la corrente lo aveva fatto sbattere. Però il corso d’acqua lo aveva trascinato a qualche centinaio di metri più avanti.

Rimase sdraiato li qualche minuto per recuperare un po’ di forze.

Poi, una volta riposato si tolse gli abiti fradici che aveva addosso per non ammalarsi, e si accese un fuoco affinché asciugasse prima.

Rilassandosi la sua mente iniziò a vagare mentre osservava le fiamme crescere. Gli tornava alla mente lo sguardo disperato di Tsunade mentre lui precipitava nel vuoto. Era la prima volta che lo aveva guardato in quel modo. Possibile che lo considerasse già spacciato? Forse aver perso delle persone care l’aveva resa più apprensiva? Non voleva illudersi di aver fatto breccia nel cuore della ragazza. Era riuscito ad avvicinarsi di più a lei negli ultimi tempi. L’aveva stretta fra le braccia mentre urlava e piangeva disperata per la morte del suo amato. L’aveva curata quando lei ormai non voleva più vivere, e non usava i suoi ninjustu per curarsi da una malattia. Le era stato accanto nel dolore. Ricordava ancora bene quando le aveva urlato contro la sua rabbia. Era frustrato, perché lei non riusciva a vedere che esistevano ancora persone che l’amavano. Tsunade aveva chiuso il suo cuore crogiolandosi nel dolore. Non sopportava vederla in quel modo. Ma soprattutto non sopportava essere ignorato da lei, nonostante tutti gli sforzi che faceva. Jiraiya prendendo tutto il coraggio, l’aveva lasciata sola, nella speranza che reagisse. E fu allora che Tsunade era andata a cercarlo. Gli aveva dato un pugno sulla testa, come era abituata a fare, e gli aveva detto “Deficiente, come osi lasciare sola una donna?”

Dopo i primi battibecchi, lei gli aveva confessato che aveva ragione lui. Il sommo Hokage era andato a parlarle e lei aveva aperto gli occhi. Si era resa conto che aveva ancora i suoi compagni, il sommo Hokage a cui era affezionata, ed infine la sua allieva Shizune.   

Da quel giorno ogni tanto Tsunade gli sorrideva riconoscente. Almeno per i primi minuti, perché poi Jiraiya faceva sempre qualcosa che la faceva imbestialire e lo picchiava. E fino a quando Tsunade lo picchiava o lo rimproverava, allora significava che andava tutto bene. Anche quella serpe di Orochimaru aveva provato a starle accanto, o almeno per quello che concedeva il suo carattere strambo. Orochimaru…… “Porca miseria, adesso Orochimaru starà da solo con lei!” disse Jiraiya scattando in piedi come una molla.

“Quel maledetto bastardo approfitterà della situazione e tenterà di sedurla!” disse ancora e grugnendo qualcosa di incomprensibile si vestì in fretta. Non aveva intenzione di permettere al suo amico-nemico di abbracciare la bella Tsunade. Più ci pensava e più si innervosiva, doveva trovarli al più presto. Sapeva che Tsunade non era del tutto indifferente al fascino di Orochimaru

Quando erano piccoli, lei aveva avuto una cotta per lui.

Si tirò i capelli per la frustrazione sperando che lei non ricordasse.

In realtà Orochimaru non era il tipo da sedurre una donna. O meglio non faceva parte dei suoi interessi, almeno per il momento. Certo non disdegnava le belle donne, ma aveva un progetto a cui stava dedicando tutto se stesso e non aveva tempo per l’amore. Pensava che l’amore fosse una cosa futile e che rendeva uno shinobi debole. E lui invece voleva diventare il più potente, l’unico a conoscere tutti i jutsu del mondo, per riuscire a dominarlo, e a portare finalmente la pace; perchè solo sotto un unico regno non ci sarebbero state guerre, perché non esistendo terre da conquistare o deboli da sottomettere, non ci sarebbe stato nessun motivo per muovere guerra.

Jiraiya si mise a correre nella foresta, sperando di incontrare al più presto i suoi compagni.

Mentre correva in lontananza vide una figura a terra con la testa adagiata su una grossa radice. Rallentò la sua corsa fino a fermarsi di fronte alla figura. Era una donna. Era svenuta, e sulle braccia presentava vari lividi e tagli, così come sulle gambe. Jiraiya non potè fare a meno di fermarsi, soprattutto visto che si trattava di una donna, e tutti lo sapevano che il suo più grande punto debole era il suo carattere libertino da don giovanni, che gli impediva di fermarsi se vedeva una bella donna, a maggior ragione se questa sembrava indifesa e in attesa di un aiuto.

E questa in particolare era molto bella. Aveva lunghi capelli neri, le labbra rosee, un naso piccolo e perfetto. Dall’aspetto sembrava una sua coetanea. Provò a cercare il coprifronte per capire a quale terra appartenesse. Ma non lo trovò. Il suo abbigliamento era strambo. Portava un paio di calzoncini corti . Degli stivali che arrivavano sopra al ginocchio sui quali c’erano delle placche in metallo che proteggevano il ginocchio e gli stinchi. Sopra i calzoncini verde scuro portava una sorta di body nero, con le spalle scoperte. Alle braccia aveva dei guanti senza le dita, verdi anch’essi che le coprivano gli avambracci fin sopra il gomito, su di essi c’erano altre placche di metallo e dei polsini di metallo decorati con delle incisioni. Legata alla vita portava una katana. Quella donna lo incuriosiva sempre di più. Come mai aveva la katana con se? Se era stata sconfitta di sicuro l’arma gliel’avrebbero portata via. Molto probabilmente la ragazza dopo aver combattuto a lungo era scappata e sfinita dalla battaglia doveva aver perso i sensi.

Jiraiya notò quanto fosse sexy la ragazza, e senza alcun pudore studiò le forme della ragazza, prendendo anche qualche appunto su un taccuino. Dopo essersi dato un contegno decise di aiutarla. Così la prese fra le braccia e si stupì nel constatare quanto fosse leggera. Non sapeva dove portarla, si guardò in giro e notò in lontananza una grotta. Senza pensarci due volte la portò lì.

Non voleva accendere un fuoco, aveva paura che i nemici di quella ragazza fossero ancora in giro. E se li scoprivano doveva combattere, e non se la sentiva dato che non era ancora riuscito a recuperare molto chackra. Recuperò un po’ di foglie secche con cui improvvisò un letto e ci sdraiò sopra la ragazza. Si sedette accanto a lei, tendendo le orecchie fuori.

Le ore passavano e tutto sembrava tranquillo, ma nonostante tutto Jiraiya fece un giro di ricognizione per essere sicuro. Il mistero di quella ragazza si infittiva, perché nessuno era dietro le sue tracce? Aveva perso del sangue per strada, e lui aveva fatto scomparire le tracce. Il sole tramontò e arrivò la sera. Quando Jiraiya tornò alla grotta la ragazza dormiva ancora. Avrebbe voluto che Tsunade fosse lì con lui per curarla. Sentì la ragazza muoversi, e si avvicinò a lei. Sembrava che si stesse svegliando ma si sbagliava. La misteriosa donna cominciò a battere i denti. Jiraiya si stupì, perché il clima era mite e nella grotta faceva persino caldo. Controllò la temperatura poggiando una mano sulla fronte, e notò subito che scottava. Aveva la febbre alta. Jiraiya accese un fuoco sperando di non attirare attenzione. Uscì ancora una volta e si mise alla ricerca di piante medicinali. Era stata Tsunade a insegnare a lui e Orochimaru le proprietà curative della natura. Si procurò dell’acqua e preparò un infuso, con quello che era riuscito a trovare nelle vicinanze. Sollevò piano la testa della ragazza per versarle il liquido sulle labbra. Ma la maggior parte della bevanda le colava dagli angoli della bocca per poi disperdersi nel fogliame secco sotto di lei.

“Su forza bellezza devi bere.” Disse provando di nuovo. Osservò le labbra carnose della ragazza e la sua natura perversa uscì fuori dandogli l’idea di cosa fare. Prese un sorso della bevanda trattenendola nella bocca. Poi si avvicinò alla ragazza: aveva intenzione di dargliela bocca a bocca. Ma arrivato vicinissimo si sentì avvampare e per la tensione ingoiò il liquido. Iniziò a tossire forte e si stava quasi strozzando per l’essenza forte delle piante.

“Che schifo! Questa bevanda è orrenda.” disse, ma non si scoraggiò era pienamente intenzionato a dare la bevanda bocca a bocca. Si chinò di nuovo su di lei e poggiò delicatamente le labbra a quelle della ragazza. Erano calde e umide. Con un dito Jiraiya le abbassò leggermente il mento per permettergli di spostare il liquido dalla sua bocca a quella della ragazza. Senza volerlo le sfiorò la lingua con la sua. Si staccò bruscamente, se la ragazza si sarebbe svegliata in quel momento lo avrebbe di sicuro ucciso credendolo un aggressore. Ma neanche quel pensiero lo fece desistere e le diede un’altra boccata di medicina.

Quando finì la bevanda, coprì la ragazza con il suo giubbotto, e notò che la ragazza in qualche modo sembrava migliorata. Non batteva più i denti, e il colorito sembrò meno pallido.

Jiraiya sospirò sollevato, e si sdraiò accanto a lei per riposarsi.

“Chissà come si chiama?” pensò mentre le palpebre diventarono sempre più pesanti

 

 

 

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Capitolo 3
*** Naoto ***


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Capitolo 3

Naoto

 

 

 

 

 

Lo scroscio continuo della cascata faceva venire il mal di testa alla bella Tsunade. Avevano impiegato ben cinque ore per arrivare sul fondo della cascata.

“Riesci a vederlo?” chiese Tsunade cercando con gli occhi tra la spuma dell’acqua e i dintorni della cascata.

“No, non riesco a percepire nessuna presenza.” Le rispose Orochimaru concentrato anche lui nella ricerca.

“Guarda!” esclamò Tsunade per poi correre verso la riva del fiume. Si chinò e allungò una mano nel letto del torrente. Orochimaru le vide penzolare dal braccio una borsa grondante d’acqua.

“E’di Jiraiya.” disse Tsunade con rinnovata speranza. “non deve essere troppo lontano.” Orochimaru si guardò in giro e vide brillare fioca una bella canna da pesca.

La raccolse e la mostrò a Tsunade.

“Jiraiya non aveva attrezzi del genere.” disse serio. “Qui la situazione sembra complicarsi.”

“Credi che lo abbiano soccorso?” chiese Tsunade.

“Non lo so, ma la domanda è: chi l’ha trovato era un amico o un nemico?”

Tsunade cominciò a preoccuparsi sul serio; in quella situazione se avessero catturato un membro della foglia le probabilità che lo avrebbero ucciso per non avere problemi erano alte. E anche ammesso che non l’avessero ucciso, non lo avrebbero fatto andare via come se nulla fosse.

La terra delle acque voleva restare fuori da tutte le guerre e rimanere neutrale, e lo facevano eliminando tutti gli intrusi nei loro territori.

Infatti era stato un fatto normale per i Sannin essersi imbattuti in quei tre nemici.

Ma avendoli uccisi, si sarebbe sicuramente creato un altro problema: il villaggio dell’acqua avrebbe indubbiamente mobilitato le loro squadre speciali per cercare gli intrusi. Quindi era rischioso andare cercare Jiraiya nei villaggi, apertamente.

Tsunade e Orochimaru erano ben consapevoli della situazione.

“Cosa facciamo?” chiese Tsunade. Orochimaru alzò il capo verso il sole che ormai stava tramontando.

“Sta diventando buio, è meglio cercare un riparo per la notte e proseguire domani mattina.” Disse appuntando gli occhi su Tsunade, sperando che condividesse la sua opinione.

Tsunade guardò di nuovo verso il corso d’acqua con ansia, sentì degli ululati in lontananza e arrivò alla conclusione che il suo compagno aveva ragione.

Camminarono per una buona mezz’ora quando trovarono una grotta a qualche chilometro dalla cascata. Entrò per primo Orochimaru con una fiaccola improvvisata con un ramo e un ninjutsu di fuoco.

“Qui mi sembra perfetto.” Disse Orochimaru. Accese un fuoco al centro della grotta.

“Non è rischioso accendere il fuoco? Saremo visibili.” disse Tsunade.

Orochimaru ghignò fiero di sé stesso, poggiò la mano sulla parete rocciosa e concentrò l’aura del suo chackra verso la mano. Dopo pochi minuti Tsunade vide formarsi una parete di squame lucide e scure, come se fosse stata la pelle di un enorme serpente. L’entrata si chiuse, ma nonostante non ci fosse uno spiraglio in quella pelle, l’aria non mancava. Era come se quella parete fosse traspirante.

Rimase sbigottita: non aveva mai visto il suo amico eseguire una tecnica del genere. Si avvicinò alla parete incuriosita e provò ad accarezzarne la superficie. Al tatto sembrava un vero e proprio serpente. Si voltò e aprì la bocca per parlare, ma le uscì una specie di gemito strozzato: Orochimaru si stava togliendo la sua maglia, rimanendo a torso nudo.

“Che.. che diavolo?” disse balbettando e arrossendo. Non si aspettava di certo che Orochimaru si comportasse in quel modo. Che gli era saltato in mente?

Orochimaru sembrava non averla sentita perché le afferrò il braccio facendola inginocchiare accanto a lui.

“Ehi ma che intenzioni hai?!” strillò Tsunade sorpresa.

Orochimaru per tutta risposta la guardò perplesso, poi si indicò la spalla che aveva ripreso a sanguinare. Orochimaru voleva essere medicato e lei lo aveva completamente frainteso, credendo che avesse intenzione di sedurla o peggio aggredirla. Tsunade capì che la sua reazione era stata esagerata. Silenziosamente si inginocchiò accanto al compagno.

Tsunade iniziò a impastare il suo chackra e a indirizzare sapientemente il suo flusso verso le ferite per ripristinare le cellule del corpo. Prima curò la parte frontale, poi passò dietro di lui e si inginocchiò alle spalle del ragazzo; prima di allora, non aveva fatto caso al fisico asciutto di Orochimaru, forse perché era raro vederlo senza i vestiti. Ma in quel momento le era sembrato troppo magro, era pelle e ossa, sembrava quasi una donna; era abituata con Jiraiya che di stazza era possente in confronto. Con un gesto delicato strinse nelle mani i suoi capelli, erano setosi e corposi: dei capelli che avrebbero fatto invidia a qualsiasi donna. In confronto, i suoi sembravano stopposi e sciupati. Tsunade aveva sempre amato i capelli del ragazzo, e spesso da bambina osava toccarglieli, e lui si scostava infastidito, rimproverandola e intimandole minaccioso di stare lontana dai capelli. Temendo che anche in quel momento lui lo trovasse fastidioso li spostò facendoli cadere tutti verso la spalla sana, in modo che cadessero verso avanti sul petto. Scesero in modo fluido e morbido come una colata di petrolio lucente. Tsunade si morse il labbro cercando di sopprimere quello strano desiderio di giocherellare con i capelli.

Doveva ammetterlo, da quel punto di vista, era rimasta ancora una bambina.

Orochimaru si concesse un sospiro di sollievo sotto il tocco guaritore della compagna.

“Domani proveremo a cercare qualche villaggio qui vicino e ci infiltreremo senza dare nell’ occhio.”

Disse Orochimaru mentre Tsunade continuava a passare le mani sulla spalla.

“E’ strano che la ferita si sia riaperta. Il veleno che ha usato quel tizio era molto particolare. Adesso sono riuscita a estrarlo del tutto. Questo veleno ostacola la rigenerazione delle cellule, se ti feriva ad un punto vitale saresti già morto. Quel veleno è orribile e insidioso, a quanto pare ha un’altra peculiarità: se arriva a penetrare il cuore e si diffonde può danneggiare l’apparato del chackra, uccidendo lentamente.”

“Io lo definirei affascinante.” Le rispose Orochimaru rivestendosi.

Tsunade scrollò le spalle, sapeva che Orochimaru trovava affascinante le cose più insidiose e utili per i combattimenti, anche se erano dei mezzi disonesti.

Dopo aver fatto una magra cena si misero a dormire, Orochimaru si addormentò quasi subito. Tsunade invece non riusciva a chiudere occhio. Ripensava a come si era comportata durante il giorno. Si accorse di essere cambiata un po’ e di aver avuto forse delle reazioni eccessive.

Era passato troppo poco tempo dalla morte del suo amato e del suo fratellino. Non avrebbe sopportato in quel periodo un’altra perdita. Doveva assolutamente salvare Jiraiya, e proteggere Orochimaru. O non si sarebbe data pace per il resto della vita.

 

 

 

 

 

Jiraiya si svegliò sollevando il busto bruscamente. Gli succedeva sempre, fin da quando era iniziata la guerra, e spesso accadeva durante la notte: si destava avendo la sensazione di trovarsi in pericolo. Per la paura di essere sorpreso nel sonno non riusciva a dormire per più di tre ore di fila. Si rese conto che invece quella notte aveva dormito profondamente. Con pigri gesti si legò i capelli alla nuca, e si alzò in piedi stiracchiandosi e sbadigliando con la bocca spalancata. - Dovevo essere proprio stanco, per dormire come un bambino.- pensò grattandosi la testa svogliatamente. Si guardò intorno, e non appena si rese conto di essere in una grotta si rammentò ciò che era accaduto il giorno prima. Si voltò di scatto, e poi sospirò di sollievo vedendo la ragazza ancora sdraiata sulle foglie.

Si avvicinò con cautela, e notò che la ragazza aveva cominciato a sudare, ma nonostante il caldo era ancora pallida. La scoprì per farla sentire meglio. Poi, si mise a sedere, voleva svegliarla, ma temeva che non facesse bene alla salute. Il gorgoglio dello stomaco lo fece distrarre dai suoi pensieri; gli venne la sensazione di avere un grande vuoto nello stomaco e sentì una fame tremenda.

Istintivamente portò la mano dietro di sé alla ricerca della sua borsa che aveva accuratamente riempita di tutti i viveri e oggetti necessari per la sopravivenza, ma non la trovò. Soffiò scocciato: si era dimenticato di averla persa durante la sua spiacevole nuotata. Guardò la ragazza ancora una volta e alla fine decise di uscire a cercare del cibo, sperava solo che nel frattempo la donna non si svegliasse, e che di conseguenza andasse via.

Voleva conoscerne almeno il nome.

Il sole quella mattina brillava in tutto il suo splendore: era una giornata meravigliosa. Jiraiya iniziò a cercare qualcosa da mangiare vagando fra gli alberi, e stando attento a non allontanarsi troppo dalla grotta, più che altro per non perdersi.

Mentre camminava tra gli alberi fu invaso da uno strano senso di pace. Gli uccellini cinguettavano, il sole era caldo, e l’aria profumava di pini e muschio. Jiraiya inspirò l’aria e allargò le braccia. In quel  posto sembrava quasi che non esistesse nessuna guerra, sembrava una sorta di rifugio. Desiderò scrivere le sensazioni che provava, ma aveva dimenticato il suo taccuino nella grotta.

Avvistò un piccolo cespuglio che sembrava colmo di frutti, si ci avvicinò e notò che erano fragole; erano piccole e selvatiche, ne mangiò una o due, poi ne raccolse qualcuna adagiandoli sopra un fazzoletto candido. Era un po’ magra come colazione, quindi decise di mettersi a caccia. Oltre alla ragazza moribonda nella grotta anche lui aveva bisogno di cibo per riprendere le forze. Sentì dietro di se un fruscio. Si voltò di scatto, temendo che potesse trattarsi di un nemico.

Vide un coniglio correre sul terriccio. Un sorriso soddisfatto apparve sul viso di Jiraiya, vide che quel coniglio si era rifugiato nella sua tana; meglio di così non poteva andare. Raccolse dei ramoscelli, e li intrecciò abilmente in una trappola. La posizionò di fronte alla tana. Adesso non restava che aspettare che la preda venisse fuori. Si sedette sotto un albero poco distante. Sospirò di nuovo pensando che era proprio piacevole quel posto. Sentiva lo scorrere di un ruscello poco distante, il sole faceva brillare l’acqua, e penetrava attraverso le foglie del bosco dando un aria piacevolmente mite, si vedeva il polline volare sotto i raggi di luce. Sembrava una scenografia per un bel racconto di fantasy, con elfi, fatine e creature magiche. Jiraiya chiuse gli occhi, sfiorò i fili d’erba con le dita sentendone la ruvidità, e il candore. Come in un flashback gli venne in mente una scena macabra. Un bosco, con alberi spezzati, sangue sull’erba e sui tronchi. Lupi che si aggiravano in cerca di prede. Già… ultimamente i Lupi erano ingrassati. Non dovevano cacciare come al solito, trovavano sul loro cammino il pasto quotidiano. Jiraiya si sentì rabbrividire. Ormai lui era sporco, come l’erba delle battaglie. Aveva ucciso davvero tanti nemici forse troppi perché non si ricordava nemmeno il loro viso. L’hokage gli ripeteva sempre di non crucciarsi, che aveva ucciso solo per proteggere il villaggio. Che se non l’avesse fatto sarebbero morte tante persone a lui care. Ma lui di notte sognava gli occhi dei suoi nemici che lo scrutano con odio, e bramavano vendetta. Avvolte nel sogno vedeva le loro mani, ossute e pallide tendersi verso di lui, sussurrargli parole di odio e rancore.

- spero che la generazione futura non conoscerà mai questo tipo di sofferenza. – pensò Jiraiya sospirando.

Si alzò e si affrettò a controllare la trappola, e con un sorriso soddisfatto vide che aveva funzionato. Per pranzo avrebbe mangiato della carne. Era felice come non mai.

Dopo la caccia rientrò nella grotta tenendo per una mano la lepre ormai divenuto un essere commestibile, e della frutta trattenuta con l’altro braccio. Non appena varcò la soglia si sentì investire da qualcosa che lo costrinse a battere la schiena contro la parete rocciosa. La frutta gli cadde dalle mani, così come il povero coniglio. Jiraiya sentì il freddo metallo sfiorargli il viso. Quando finalmente si rese conto di ciò che stava accadendo, si accorse che la ragazza che aveva salvato lo aveva immobilizzato, incrociandogli due lame sotto il collo.

“Chi sei?” chiese la ragazza.

Jiraiya non proferì parola. Rimase imbambolato a guardarla, aveva gli occhi chiari, e la sua voce gli era sembrato il suono più soave sentito fino ad allora.

La ragazza strinse le lame sul collo di Jiraiya.

“Chi sei?” ripeté più nervosa. L’uomo si accorse che la ragazza ansimava e sudava. Era ancora debole, ma era riuscita a bloccarlo ugualmente. Tuttavia Jiraiya non era un ninja qualunque, così insinuò lentamente un piede tra quelli della ragazza, poi in uno scatto le afferrò i polsi, e con un movimento laterale deciso del piede la fece cadere all’indietro. La seguì subito dopo e torcendo i polsi alla ragazza si ritrovarono nella situazione inversa.

La ragazza sbarrò gli occhi sorpresa, ma le forze le venivano meno, la presa salda sulle due lame diventò debole e alla fine lasciò la presa arrendendosi.

“Lasciami.” Ansimò.

Jiraiya gettò via le due lame, poi la prese in braccio e la portò sul suo letto di foglie secche.

“Non temere non ti farò del male.” Le disse mentre la portava sul suo giaciglio “Anzi dovresti proprio ringraziarmi invece, ti ho trovata svenuta sotto ad un albero, e ti ho portata qui.” Disse sedendosi accanto a lei con le gambe incrociate.

La ragazza si voltò a guardarlo, e ripeté la domanda ma con un tono più dolce.

“Chi sei?”

“Mi chiamo Jiraiya.”

La ragazza lo osservò meglio e notò il suo coprifronte con lo stemma della foglia.

Lo trovò bizzarro, con quei lunghi capelli bianchi dall’aria spettinata, ma che in un certo senso erano ordinati. Trovò quel viso affascinante. Soprattutto il suo sorriso, gli sembrava quasi infantile, sembrava un bambino che stava facendo amicizia.

- Quello stemma… E’ un nemico.- pensò la ragazza. Non riusciva a capire perché  quel ragazzo aveva deciso di aiutarla, soprattutto in un periodo di guerra. 

La ragazza sollevò le braccia guardandole, sembrava che si fosse accorta solo in quel momento che le aveva fasciate. Guardò anche le gambe e anche loro erano fasciate nei punti feriti.

“Mi hai curata tu?” chiese la ragazza. Jiraiya si grattò la testa nervosamente e sorrise ancora.

“Sì, sono stato bravo vero?” disse fiero di se. “posso sapere il tuo nome?” chiese poi.

La ragazza lo guardò titubante, non sapeva se poteva fidarsi, in fondo era pur sempre un nemico.

“Mi chiamo Naoto.” Rispose, non c’era nulla di male nel dire solo il nome infondo.

“E’ un nome bellissimo.” Disse lui, poi arrossi leggermente “come te.”

La ragazza non diede peso al complimento appena ricevuto, evidentemente era abituata.

“Senti, Jiraiya, mi porti cortesemente la mia arma?” disse lei sollevando leggermente il busto.

Jiraiya si alzò stizzito: aveva appena fatto un complimento alla ragazza, e lei lo aveva snobbato. Afferrò le due lame e le studiò. Erano di ottima fattura, ed avevano una curiosa forma.

Sembravano quasi due pezzi di un puzzle contorto. Provò ad avvicinarle, afferrò entrambe le maniglie con entrambi le mani, e si attivò una sorta di meccanismo a scatto che unì le due lame in  un'unica katana.

“wow, la tua arma è straordinaria; anche il metallo sembra di ottima qualità.” Disse rigirandosi la spada fra le mani. Poi si bloccò e la osservò serio, pensando se faceva bene a dargliela o meno. Infondo poco prima lo aveva attaccato.

“Questa per adesso la requisisco io.” Disse e la infilò nella sua cintola.

La ragazza sospirò arrendendosi.

Avrebbe dovuto immaginare che non le avrebbe restituito l’arma dopo averlo appena attaccato.

Jiraiya osservò la ragazza ancora per qualche istante indeciso sul da farsi, poi lo stomaco gorgogliò rumorosamente echeggiando nella grotta.

“Hai fame?” chiese il sannin alla ragazza.

“Sì.”

Jiraiya si alzò deciso a preparare la colazione, ma prima di mettere le mani sulla carne portò della frutta alla ragazza, delle belle e succose mele.

Naoto titubò nel accettare l’offerta. Così lui diede un morso al frutto.

“Vedi? Non è avvelenato, che motivo avrei per ucciderti? Se ti volevo morta ti avrei uccisa quando ti ho trovata svenuta nel bosco, non credi?” e così dicendo porse di nuovo il frutto con il morso alla misteriosa ragazza. Naoto accettò la mela concludendo che avesse ragione lui.

Jiraiya sorrise di nuovo “bene, allora preparo la carne.” Disse contento.

Naoto lo guardò ancora una volta in viso: quel ragazzo la turbava. Da un lato doveva essere preoccupata dato che si trovava con uno sconosciuto dispersa in qualche grotta. Eppure quel sorriso e quel modo di fare le infondevano sicurezza, aveva la sensazione di essere stata salvata da qualche creatura del bosco, come succede nelle favole di genere fantasy. In effetti Jiraiya con quella strana capigliatura somigliava vagamente ad un elfo.

Naoto si sentiva debole, non ricordava molto di ciò che era successo. Si ricordava solo di essere stata attaccata da sei ninja dell’acqua, che era stata ferita con un dardo avvelenato, e che era riuscita appena in tempo a prendere l’antidoto. Poi ricordava solo una folle corsa tra gli alberi ed infine il buio.

“Quanto tempo ho dormito?” chiese lei mentre, seduta sul pavimento, mangiava la mela.

“Solo una notte e due giorni.”

Naoto si alzò all’improvviso, come se si ricordasse di qualcosa di importante da fare. Arrivò vicino all’uscita dove c’era Jiraiya intento a cucinare.

“Ehi, cosa fai?” esclamò sorpreso Jiraiya.

“Devo andare.” Gli rispose lei, arrivata all’uscita però ebbe di nuovo un giramento di testa, e le forze le vennero meno. Jiraiya la afferrò prontamente fra le sue braccia per impedirle di cadere.

Lei si aggrappò al suo braccio, e si rese conto di quanto fossero muscolose. Magari con lui sarebbe stata al sicuro fino alla sua guarigione. - Maledizione.- pensò mordendosi il labbro: in quelle condizioni non poteva fare molto, era costretta a fermarsi.

“Senti non so quale ragione tu abbia per andare, ma non ti permetto di andartene se prima non guarisci. E poi da quello che sono riuscito a capire, tu eri stata inseguita dai nemici non è vero? Se te ne vai nelle tue condizioni e ti trovano sei spacciata.”

“Lo so maledizione, ma ho una missione da svolgere.”

Jiraiya teneva ancora la ragazza fra le proprie braccia, poi la fece sedere accanto a lui delicatamente.

“Beh, anch’io sono in missione, ma ci sono cose più importanti delle missioni.”

“Quando si tratta della vita di un intero villaggio, credo che la missione sia di estrema importanza.” Ribattè la ragazza infastidita.

“Ma se il ninja in pessime condizioni si appresta a svolgere una missione, i rischi che fallisca sono molto alte.”

La ragazza si arrese, infondo sapeva che se falliva rischiava che il suo villaggio poi si sarebbe trovato in grave pericolo.

“Su questo la pensiamo allo stesso modo.”

“Bene allora datti da fare e va a riposarti.” Così dicendo Jiraiya aiutò la ragazza a mettersi sdraiata sul suo giaciglio.

“Ehi!” esclamò lei infastidita e sofferente.

“Sì?” le rispose con tranquillità lui.

“La tua mano.”

Jiraiya fece il finto tonto guardandosi la mano poggiata sul sedere della ragazza, poi continuando a fare il finto imbarazzato la tolse ridacchiando divertito.

“E’ scivolata scusami.”

In una frazione di secondo Jiraiya si ritrovò a cadere all’indietro per la forza dell’impatto contro il pugno della ragazza.

“Non provarci mai più.” Gli disse Naoto mentre si lasciava cadere sul letto di foglie.

Jiraiya che intanto se ne stava al suolo sofferente si chiedeva se quella ragazza stava davvero male, dato che il pugno che aveva sferrato aveva la forza di un uomo grande e grosso, invece di una esile e sofferente fanciulla.

 

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Capitolo 4
*** il pass ***


“Ecco il villaggio.” Annunciò Orochimaru a bassa voce.

Tsunade raggiunse Orochimaru, che in quel momento si trovava appollaiato su un albero ad osservare la zona.

Quando lo raggiunse, vide dall’alto lo splendido villaggio dell’acqua.

Era una città piccola, quasi campagnola. All’interno del villaggio si poteva vedere il lago di modeste dimensioni, attorno al quale vi erano le case degli abitanti, quasi tutte dipinte di rosso, con tetti spioventi in uno stile tipicamente orientale. Sul lato nord del lago c’era una cascata, e i monti attorno al villaggio costruivano un muro naturale che andava a diminuire di altitudine man mano che si raggiungeva il lato sud del villaggio. In quel punto vi erano costruiti due torri che sorreggevano un immensa porta di metallo, finemente decorata.

Orochimaru prese il suo cannocchiale e zoomò sul ingresso.

Vide due uomini arrivare all’entrata, questi due esibirono una sorta di pass, quindi la guardia posta in cima della torre diede l’OK permettendo l’ingresso ai viaggiatori.

Poi vide arrivare altri due uomini, anche questi presentarono un pass e poi entrarono.

Orochimaru passò il binocolo alla compagna. “Osserva anche tu, hanno una sorta di pass per entrare al villaggio, dobbiamo procurarcene almeno uno.”

“Sì, ma faremo a modo mio.” Disse Tsunade scambiando un’occhiata severa al compagno.

Sapeva che Orochimaru avrebbe tramortito il nemico per poi sottrargli il pass. Agendo in quel modo però rischiavano di far scattare l’allarme. Sapeva anche che se lei gli avesse spiegato le ragioni lui avrebbe detto “Basta ucciderlo no?” era già capitato altre volte, ed erano costretti ad agire sempre in fretta per non farsi scoprire. E in quel frangente la fretta non avrebbe portato a nulla. Dato che non sapevano neanche se il loro compagno era effettivamente prigioniero in quel villaggio.

Dovevano entrare, agire e poi sparire senza lasciare traccia.

“OK sei tu il capo!” le rispose Orochimaru curioso di vedere cosa avrebbe escogitato. Attesero qualche momento, poi videro uscire un uomo su un carretto trainato da cavalli, lo seguirono usando varie tecniche di mimetizzazione.

L’uomo doveva attraversare il bosco poco distante dal villaggio per recarsi verso i campi per ritirare la scorta di frutta che spettava al villaggio.

“Ho un piano.” Disse Orochimaru all’improvviso.

“No, non si uccide, non si stordisce, non deve neanche accorgersi che gli sottraiamo il pass.”disse Tsunade subito dopo.

“Fammi finire, prima di parlare.” La interruppe Orochimaru. Lei sospirò annoiata ma poi annuì.

“Dunque, tu lo fermi chiedendogli un passaggio e lo seduci, mentre io senza farmene accorgere salirò sul retro del carro e cercherò nelle borse. Poi ti darò un segnale e ce ne andremo.”

Tsunade lo guardò infastidita: non le andava a genio recitare la parte della sgualdrina, senza contare che il tizio in questione era anche brutto oltre che troppo vecchio per lei.

“D’accordo, ma sii un ombra, non voglio che per qualche incidente, dovremo poi ricorrere alla violenza, avremmo delle difficoltà enormi poi.”

“Ma per chi mi hai preso? Fino a prova contraria io vi sono superiore, sia a te che a quel buono a nulla di Jiraiya.”

Tsunade sbuffò e si allargò la scollatura, poi intrecciò le dita e con la tecnica della trasformazione cambiò gli abiti. Si precipitò sulla strada, attese il carro, e una volta arrivato vicino finse di cascare. L’uomo fu costretto a fermarsi per non travolgerla.

“Tutto bene signorina?” chiese l’uomo.

Tsunade si rialzò lentamente lanciando uno sguardo intenso al conducente.

“Sì, grazie sono solo inciampata.”disse Tsunade. Poi si sollevò e osservando l’uomo finse di stupirsi “Che uomo affascinante.” Disse Tsunade melliflua. Si avvicinò al carro ancheggiando con grazia felina, una eleganza che non aveva mai ostentato fino ad allora.

Orochimaru ghignò sicuro che l’uomo avrebbe abboccato. Ma per loro grande sorpresa invece l’uomo continuò il suo cammino ignorando le curve mozzafiato della donna.

“Ho fretta, mi scusi signorina.” Aveva detto l’uomo, borbottando poi di quanto fosse sfacciata. Quindi abbandonò lì la fanciulla in difficoltà.

Tsunade si sentì umiliata, era forse brutta? Eppure Jiraiya e altri tipi che le facevano la corte davano un idea diversa. Poi realizzò che non era lei il problema. Quel uomo di sicuro non amava le donne, anche perché aveva un atteggiamento strambo: un po’ troppo effeminato. Ridacchiò tra se e se e raggiunse Orochimaru con un balzo.

“Spiacente, ma il tizio qua non subisce il fascino delle donne.” Disse dandogli una pacca sulle spalle. Poi con un cenno della testa gli fece capire che doveva essere lui la distrazione.

“Forza, tocca a te.” Gli disse Tsunade vedendo che Orochimaru esitava.

Il sannin sbarrò gli occhi sorpreso, poi si indignò corrugando la fronte.

“Io?” chiese puntandosi il dito sul petto, come se lei avesse detto la cosa più assurda al mondo. Tsunade annuì.

“Pfui puoi scordartelo, passiamo al piano B ammazziamolo e via.”

“Già e poi cosa dirai alle persone che lo aspettavano? Non vedendolo tornare daranno l’allarme e addio alla nostra intrusione. E poi lo hai visto anche tu che l’unico modo per arrivare al villaggio è passare dalla porta. Mica possiamo buttarci giù dalla cascata, ammesso che sia raggiungibile. Sei la nostra unica speranza. E poi che ti costa basta farti dare un passaggio e distrarlo con le chiacchiere.”

“Cioè tu vorresti che io mi fingo gay per distrarlo?”

Tsunade gli tolse il giubbotto mentre lui continuava a opporsi alla sua idea.

“Che stai facendo?” chiese poi Orochimaru confuso. Tsunade non gli rispose, lo guardò agguantandosi il mento, con fare analitico, poi allargò la scollatura del particolare Kimono di Orochimaru; in modo che si notasse il petto liscio e bianco.

“Scordatelo, aspettiamo il prossimo.” Protestò ancora lui.

Tsunade vide che con le buone non stava ottenendo nulla, quindi decise di ricorrere a metodi più bruschi. Lo afferrò per il colletto e poi usando tutta la sua forza e aiutandosi con una tecnica ninja lanciò l’uomo.

“Non lo uccidere, o ti ammazzo io.” Gli urlò mentre era ancora in volo.

Orochimaru girò su se stesso e poi atterrò sulla terra. Poco dopo arrivò il carretto, che si fermò.

“Stava andando verso i campi?” chiese l’uomo con un gran sorriso.

“Sì!” rispose Orochimaru senza slancio, come se avesse detto la cosa più noiosa al mondo.

“Gradisce un passaggio, bel giovane?”

Orochimaru non rispose neanche limitandosi a montare sul carretto.

Tsunade dovette trattenersi per non scoppiare a ridere. Poi notò che Orochimaru non si stava impegnando; ma nonostante ciò l’uomo sembrava alquanto interessato a lui.

Intanto Tsunade si avvicinò furtivamente al carro, correndo con il busto abbassato, si posizionò dietro al carro. Per non fare troppo rumore afferrò il legno del sostegno posteriore del carico. Usando il braccio come leva si diede una spinta verso l’alto, e atterrò all’interno del carretto con leggerezza, come se fosse stato un gatto non emise alcun rumore. Si acquattò al suolo ringraziando il cielo che ci fosse un po’ di roba sul carro che la copriva.

“Dimmi, vieni molto spesso qui?” chiese l’uomo.

“Sì, ci lavoro.” Rispose Orochimaru quasi infastidito.

“Come hai detto che ti chiami?”

“Mi chiamo….Tsunamaru.” gli disse Orochimaru.

L’uomo passò il braccio attorno alle spalle del sannin, che facendo uno sforzo enorme riuscì a sembrare impassibile.

“Bene Tsunamaru, dimmi c’è l’hai la fidanzata?”

‘ adesso lo ammazzo, se non toglie la mano lo uccido sul serio.’ continuava a pensare Orochimaru fremendo dentro di se per poter picchiare il molestatore.

“No, a me non interessano le donne.” Riuscì a rispondere il sannin.

Tsunade intanto frugava nelle borse, poi finalmente riuscì a trovare il pass. Con un piccolo sbuffo di fumo fece apparire una piccola lumaca, ordinando di farsi vedere da Orochimaru.

“Oh che bella notizia.” Disse il pilota del carretto felice. In quel momento la messaggera riuscì ad arrivare sul braccio del Sannin.

‘ Era ora.’ pensò sollevato, ma in quel preciso istante, l’uomo fece scivolare la mano sul sedere di Orochimaru palpandoglielo.

Orochimaru non riuscì a frenarsi e gli sferrò un cazzotto di tale potenza che l’uomo cadde dal carro.

Sentì la lumaca bisbigliare “brutto stupido ci farai scoprire.”

Allora Orochimaru scese dal carro e puntò il dito sul pervertito.

“Noi due ci rivedremo.” Disse con uno sguardo cupo, da far gelare il sangue nelle vene. L’uomo deglutì preoccupato.

Poi prima di sparire Orochimaru gli mostrò il dito medio “Sei fortunato vecchio bacucco.” Disse.

L’uomo del carretto rimase spiazzato di fronte a tale reazione, rimase a terra incredulo mentre Orochimaru si allontanava. All’improvviso gli vennero i brividi e piagnucolando tornò sul suo carretto, spronando i cavalli terrorizzato.

“Beh devo dire che sei stato bravo a non farti scoprire” disse ridacchiando fra se e se Tsunade.

“Tsunade!” chiamò Orochimaru con tono duro. “Se provi a raccontarlo a Jiraiya giuro che ti uccido.”

Tsunade la buttò sul ridere “Ma dai, Jiraiya potrebbe usarlo per qualche suo romanzo non credi?” gli rispose e lo guardò con un sorriso. Ma Orochimaru non stava scherzando affatto, la fulminò con uno sguardo furente di pura malvagità. Tsunade ebbe i brividi.

“Non eri molto sensuale, però ha funzionato lo stesso.” Disse Tsunade.

“Neanche tu eri sensuale, eppure sei una donna.” Gli rispose Orochimaru intenzionato a offenderla.

Tsunade si fermò e lo fulminò con gli occhi. Orochimaru fu costretto a fermarsi “Che c’è?” chiese con il suo solito tono disinteressato.

Tsunade gli si avvicinò con passi felpati, poi passò le braccia sulle spalle del ragazzo mostrandogli la generosa scollatura. Poi si avvicinò ancora in modo che si poggiasse con la testa sulla spalla. Poi insinuò un dito nella scollatura di Orochimaru, scendendo lentamente, accarezzandogli la pelle nivea. “E’ così che avrei dovuto fare?” gli chiese guardandolo negli occhi.

Orochimaru era confuso, cos’era quell’atteggiamento da parte della sua compagna? Doveva ammetterlo Tsunade era proprio sexy, peccato che a lui non piaceva per nulla il suo carattere. Beh, ma doveva anche ammettere che a lui non piaceva nessuno, dal punto di vista caratteriale. Però in quel momento quelle labbra gli sembrarono improvvisamente invitanti.

“Sì, dovevi comportarti così, non come una stupida gatta morta.” Si limitò a rispondere Orochimaru. Poi si allontanò come se non fosse successo nulla. Tsunade si irritò, ma poi pensò che Orochimaru era fatto in quel modo, non doveva prendersela.

“Sei scemo? Mi si rivolta lo stomaco a pensare di comportarmi in quel modo con quel vecchio.” Disse Tsunade facendo spallucce.

 

Naoto si svegliò bruscamente, e nel sollevarsi di scatto avvertì una fitta di dolore al fianco destro.

Strinse i denti soffocando un gemito. Spostò la stoffa che copriva il dolore e notò un grosso livido violaceo.

‘Questa forse me la sono fatta svenendo.’ Pensò.

“Lì ci vorrà un impacco di erbe per far sparire l’ematoma.” Constatò Jiraiya.

Naoto si ricoprì in fretta quasi spaventata. Quando sollevò la testa notò a qualche metro distante Jiraiya seduto comodamente con la schiena poggiata alla parete rocciosa. Si chiese come mai non aveva notato la presenza vicino a lei.  ‘si vede che sono malata, una cosa del genere non mi era mai capitata prima.’ Si sentì frustrata da tanta debolezza: lei era la ninja donna più abile del villaggio, destinata a diventare Kage, un errore del genere non era degno di una come lei. Non aveva mai sopportato le malattie, odiava sentirsi debole.

Naoto guardò fuori verso l’uscita della grotta, notò che era l’alba. Si alzò e si diresse fuori dalla grotta. Non appena uscì sentì l’aria fredda pizzicarla, ebbe la sensazione di sentirsi meglio. Si allontanò di qualche passo, mentre Jiraiya la seguì attento che lei non cadesse di nuovo.

Naoto allargò le braccia e inspirò l’aria avidamente: stare in quella grotta la soffocava e aveva bisogno di aria fresca.

Mosse ancora qualche passo, poi le venne un giramento di testa: stava crollando nuovamente. Ma le braccia salde di Jiraiya le impedirono di cadere.

“Vedo che stai meglio, ma non abbastanza da potertene andare da sola.”

Naoto non rispose neanche.

“Dai ti riporto dentro.” Disse Jiraiya intento a caricarsela sulle spalle.

Naoto però lo fermò afferrandolo per un braccio.

“No, non ne posso più di starmene sdraiata sulla roccia, voglio rinfrescarmi, o se proprio non posso, voglio stare un po’ nella natura.”

Jiraiya sorrise infondo la comprendeva benissimo, anche lui odiava starsene fermo. Stava di nuovo per caricarsela addosso quando lei lo fermò nuovamente.

“Mi basta che mi sorreggi, non voglio essere portata in groppa come una mocciosa.” Le disse lei infastidita.

“D’accordo, qui vicino c’è una cascata con un bel fiume.” Jiraiya la guidò nel bosco, indicandole i posti dove aveva piazzato delle trappole in caso ci fossero dei nemici.

Quando arrivarono nei pressi della cascata, Naoto si bloccò ammirando il panorama che le si presentò in tutto il suo splendore.

Il sole era sorto da pochi minuti e tra la cascata e il lago sottostante si era formato un arcobaleno. Attorno ad essi la vegetazione era rigogliosa e si sentiva il cinguettare sereno degli uccellini. Vide anche dei pesci saltellare sullo specchio d’acqua. Si sentì invasa da una piacevole sensazione di pace.

“Questo luogo ha il potere di rasserenarti.” Disse Naoto con un espressione commossa in viso. Era felice di vedere che non tutto era stato distrutto dalla guerra e che esistevano ancora dei posti in cui regnava la pace.

Si sedettero entrambi sulla riva con i piedi ammollo.

“Jiraiya, perché mi hai salvata? Tu vieni dal villaggio della foglia, la maggior parte delle persone che incontrerai saranno tuoi nemici.” Chiese lei dopo qualche attimo di silenzio.

Jiraiya non rispose subito, all’inizio rimase serio a guardarla negli occhi, cercando le parole adatte.

“Il mio nemico è colui che minaccia la vita dei miei cari. Se scopro che sei diretta a massacrare la mia gente, allora sarò costretto ad ucciderti.” Disse con l’aria di un grande saggio che non teme nulla. “Certo sarebbe un peccato uccidere una così bella ragazza, ma lo farei senza esitazioni per difendere il mio paese. Ma non sono tanto vile da farlo adesso, se tu sei una mia avversaria attenderò che tu sia in grado di combattere. Dimmi Naoto tu sei mia nemica?” chiese.

“Non lo sono.” Gli rispose lei decisa guardandolo intensamente negli occhi. Jiraiya la fissò per essere sicuro che non stesse mentendo. Gli occhi della donna non mostravano nessun segno di agitazione, o di malvagità. E lui capì che gli aveva detto la verità.

Dopo qualche attimo Jiraiya si rilassò sorridendo “Ne sono felice.” Disse gioioso. E lo era davvero, in quel posto sarebbe stato un sacrilegio uccidere un nemico. E poi la ragazza gli piaceva, sembrava coraggiosa oltre che bella. Si massaggiò la guancia dove aveva ricevuto il suo pugno, pensando che era anche forte. E lui aveva un debole per le donne così.

Dopo qualche attimo di silenzio Naoto guardò di sottecchi Jiraiya.

“Senti ho tanta voglia di farmi un bagno.” Disse guardando lo specchio d’acqua sotto di lei.

“Da’davvero?” fece entusiasta Jiraiya, immaginandosi insieme a lei in acqua, nudi a scherzare.

“Sì, ma da sola. E se sbirci ti uccido.” Disse lei con uno sguardo furente.

Jiraiya sospirò sconfitto. “Sì, ho capito vado a caccia.” Disse e si alzò mogio.

Naoto frenò una risata “Certo che sei sfacciato.” Constatò lei.

“Sempre meglio che bugiardo.” Le disse facendole un occhiolino.

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