I'll keep you alive.

di afraidofspoon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** if you're broken I will mend ya. ***
Capitolo 2: *** let's go get lost ***
Capitolo 3: *** stand up and take the fisrt step. ***



Capitolo 1
*** if you're broken I will mend ya. ***


A Marika, sperando vivamente che si riprenda dal periodo buio.
Non sono brava con le parole, lo sai.
Avevo detto "questa volta non deve importare il gesto",
invece fattelo bastare, va.




«  if  you’re  broken  I  will  mend  ya  »

“Ce ne andiamo, Zayn” aveva detto.

Il fatto che mi avesse chiamato per nome la diceva lunga sulla serietà delle sue parole - da sempre ero Bohem.

Quello sguardo preoccupato e arrabbiato con cui era venuto a prendermi non lo dimenticherò mai.

“Dove mi porti, tortaiolo?” avevo domandato di rimando.


Lo sapevamo entrambi che quei sorrisi che ci rivolgevamo sapevano non di una luce alla fine del tunnel, ma di una fuga. Mi rimarrà per sempre impressa quella sua fretta di rubare quattro panni dall’armadio, il dentifricio e un po’ di soldi con cui tentare la sopravvivenza; quella sua fretta di camminare, hop-hop, un passo storto dietro l’altro.

Harold e la sua fretta di andarsene, portarmi via da quel posto che mi stava stretto da un poco. La sua fretta di salvarmi e cancellare tutto quello che mi procurava il dolore, quel grido d’aiuto che tacevo sempre, ma picconava costantemente nella mia cassa toracica.

Quella fretta di farmi ricordare di me, come se io fossi un suo problema.

“A stare bene” ha risposto lui, ricambiando il mio sorriso con le labbra un po’ più strette.

Non sapevo che dire, avevo un nodo in gola che costringeva le parole a restare lì, incastrate fra l’incavo fra le due clavicole. Avrei voluto dirgli cose che il mio stomaco non sapeva liberare, di quelle belle e un po’ mortificate. Magari delle scuse, magari dei “grazie”. Mi andava di dovergli dire qualcosa, che fosse una cazzata o che fosse importante.

I miei occhi si posarono sui suoi piedi di grandezza discutibile, che consumavano la mia camera da letto disordinata. Quando questi si bloccarono a pochi passi da me, alzai lo sguardo e sciolsi il mio caramello nella sua menta.

Tacito silenzio.

Una sorta di prurito accolse le mie mani, che svogliatamente si tesero verso le sue.

“Alzami, plebeo!” quanta dolcezza emanavo solo e soltanto io alle quattro del mattino?

Harry si stese un sorriso sulle labbra e afferrò le mie mani, così da riuscire ad alzarmi. Appena le mie mani tornarono libere, gli diedi una pacca sulla spalla, come a ringraziarlo del suo aiuto.

Pochi istanti dopo mi ritrovai a chiudere la porta di casa. “Ma cos’è sta storia che stai comandando tu? Harold!”.




Ci tenevo solo a precisare che non ci sarà il pairing in queste flasfic;
era solo un regalo che volevo fare ad una persona che mi sopporta da mesi.
A presto, si spera - non sono sempre così puntuale e svelta...

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Capitolo 2
*** let's go get lost ***


« let’s go get lost »

L’unica cosa che ricordo del viaggio è la partenza. Ci ritrovammo nell’abitacolo della sua jeep nel silenzio più totale.


Harry inserì la chiave nel quadro e accese motore e fanali.

Allungai la mano per accendere l’autoradio; avrebbe tenuto compagnia ad Harry mentre io mi preoccupavo di riaddormentarmi - erano appena le quattro del mattino.

“Non vuoi vedere il sole sorgere con me?” Aveva chiesto, vedendomi abbassare il sedile reclinabile.

Gli rivolsi il mio ultimo sguardo.

Forse non ero il tipo da riporre speranze nelle mani di qualcuno, non mi creavo certezze e di certo non mi aspettavo nulla da nessuno. Eppure ero consapevole che quelle ruote su cui stavo viaggiando mi avrebbero portato a qualcosa di più stabile, terra sotto i piedi, testa alta.

Forse era vero, l’aria pulita mi avrebbe fatto bene.

Ovviamente non mi aspettavo felicità, sorrisi e arcobaleni, ma una luce potevo vederla.

Mi ero stancato delle parole.

“Ti sto vicino”. “Ci sono io con te”. “Starai bene”. “Giuro che, prometto che, fidati di me”.

Parole, ed io volevo qualcosa di concreto. Esattamente quattro ruote.

“Har, noi comuni, grezzi mortali non facciamo queste cose” spiegai, appallottolando la felpa dietro la nuca, per poi chiudere gli occhi in modo automatico.

L’ultima cosa che ricordo è la sua risata cristallina.

Poi caddi in un sonno profondo.





Tornata presto, Marika mi deve amare, ciao.

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Capitolo 3
*** stand up and take the fisrt step. ***


Fa pena, ma dovevo inventarmi
qualcosa di diverso e volevo strappare
un sorriso a Marika. 

 

«  stand  up  and  get  the  first  step »

Il risveglio fu indimenticabile. Ma di certo non dolce. Il sonno era stato pressoché tranquillo e profondo, di quelli che devi pagarli a un dio per averli. Be’, nel mio caso, perlomeno.

Nightmaredegli a7X strillava dritto nelle mie orecchie tramite un paio di cuffiette connesse all’autoradio.

Quel riccio bastardo me l’avrebbe pagata cara. Molto, molto cara.

Tolsi subito gli auricolari, la fronte fredda e sudata e la tachicardia esagerata.

“Pezzo di merda, stavo per morire d’infarto!” dissi agitato e con la voce tremante, mentreallungai le mani verso di lui per dargli svariati schiaffi sulle braccia e sulle gambe.

Harold rideva come un pazzo. Certe volte mi chiedevo quei sorrisi da dove li tirasse fuori, con quale forza li tenesse appesi agli occhi così a lungo, così tante volte, senza mai stancarsi.

“Dimmi cosa cazzo ci trovi di divertente e fai ridere pure me!” gli urlai contro, in modo brusco.

Il riccio smise di colpo di ridere e spalancò gli occhi, destato dal mio urlo.

La velocità con cui cambiò espressione e la sua nuova faccia da scemo mi fecero venire l’istinto di ridere, che cercai di trattenere, ma invano.

“Ma stai ridendo?” disse Har accigliando lo sguardo, e più che una domanda mi sembrò un’affermazione.

Allora scoppiai a ridere fino ad avere le lacrime agli occhi e un leggero male allo stomaco.

Ma che situazione stupida era?

Gli diedi una sberla alla nuca e lo guardai come a dirgli “brutto coso con un fottuto cespuglio in testa, osa farlo un’altra volta e ti spezzo le ossa del pisello”.

Styles ricevette il messaggio e poi ricambiò, muovendo il capo verso il finestrino, gesto che suggeriva di scendere dalla macchina.

I miei piedi toccarono suolo; ci vollero pochi istanti - il tempo di stiracchiarci e lisciarci i vestiti - e ci ritrovammo a camminare lungo un sentiero ghiaioso.

Strinsi una sigaretta fra le labbra e la accesi, facendo il primo tiro.

L’aria di mare e il sole che si stava svegliando sembravano surreali nel mese di ottobre.

Non ebbi il tempo di aspirare una seconda volta, che la sigaretta sparì dalle mie labbra e finì dritta fra quelle inesperte di Har.

Risi, un poco infastidito. “Punto primo: ridammi la sigaretta. Punto secondo: tu non fumi. Punto terzo: smettila di atteggiarti come un boss, qui comando io” dissi, riprendendomi la sigaretta.

La riposi di nuovo fra le mie labbra e poi ridussi gli occhi a due fessure, sentendo uno strano sapore pizzicarmi il palato.

“Sa di fragola… Harry. Smettila con quel fottuto rossetto, andiamo, sei un uomo!” lo spinsi leggermente, continuando a guardare davanti a me. La casa era a pochi metri da noi, ed aveva un aspetto terribilmente stupendo.

Spiai Har con la coda dell’occhio e lo sentii ridere. “È burrocacao, Don Bohem” aveva specificato. “E comunque il tuo cuginetto Keb trova arrapante il modo in cui fumo, e fare un po’ di pratica non mi farà di certo male”.

Maledetto quel suo tono così effeminato di parlare, certe volte. E con “certe volte” s’intende “ogni volta che si parlava di prenderlo in cu mio cugino Keb”.

Presi la sigaretta fra pollice e indice. “Non posso avere un cugino così facilmente imbambolabile” dissi, pensando a Keb e rammaricandomi per la sua ingenuità.

E invece!” Mi spinse Harry, aprendo la porta della casa di legno tinta di bianco.

Mi fece entrare per primo ed io mi guardai intorno.

L’odore sapeva di mare e pagine di libro. La casa era molto illuminata; sulla parete al fondo della camera si vedevano delle sfumature arancioni e rosastre provenienti dalle enormi ed amabili vetrate. Era una di quelle case da copertine di romanzo.

“Fai come fossi a casa tua” disse, lanciando la sua giacca sul divano, e sparendo in chissà quale stanza della casa.

Mi avvicinai ad una delle grandi finestre. Il mare era abbastanza scuro, ma calmo da essere inquietante.

Mi sentii disordinato e disorientato; quel caos terribile che mi portavo fra le ossa era a dir poco fastidioso e demoralizzante mentre stavo a guardare quella quiete sulla linea dell’orizzonte. Ma cosa ci facevo io là? Ero lì per portare altri casini? Chi sarebbe stato il prossimo a cui avrei rovinato la vita? Harold?

No, non me lo potevo permettere. Mi girai di scatto e fui sorpreso di trovarlo a pochi passi da me.

Abbassai lo sguardo un secondo, m’interessavano davvero tanto le scritte sulla sua maglietta.

“So a cosa pensi” disse, interrompendo i miei pensieri fatti di rammarico e preoccupazione.

“Vagine?” domandai stirandomi un sorriso storto e falso sul viso.

Harry inclinò il viso ed incrociò le braccia sul petto, guardandomi con aria di rimprovero.

Alzai gli occhi al cielo e sospirai. “Non possiamo restare oggi e poi...”

“Scordatelo!” ringhiò, guardandomi arrabbiato. “Bohem, odio questo discorso. So che tu nemmeno hai voglia di affrontarlo ed io non sono bravo a parlare né sono saggio, e quindi… sorvolerò. Così come hanno stancato te, le parole hanno annoiato anche me. Quindi non ti permeto di andartene, non ti ho caricato sulla mia fottuta macchina ad un orario sconnesso e ti ho portato fin qui per vederti fare storie” disse serio, alzando un sopracciglio.

“Ti sono grato, ma non ne ho bisogno” risposi, cercando di non innervosirlo. “Io sto bene così.”

“Tu non stai bene!” Il petto del riccio si gonfiò di aria, che buttò subito dopo fuori con uno sbuffo sonoro.

Ed ecco che stava per partire con la sua sfuriata isterica e mammesca.

“Bohem, te lo chiedo per favore. Provaci. Pochi giorni, tuttalpiù avrai visto delle vagine nuove e avrai staccato un poco la spina” mi supplicò, scherzandoci sopra, anche. “Andiamo, dai ascolto al tuo vecchio!”.

Mi diede un pugnetto sulla spalla, ed io lo ricambiai. “Va bene, mammina. Diciamo che ci penserò” mentii, sforzandomi di dare quel che di vero al mio sorriso.

Forse lo avevo convinto.

Ma il suo sorriso ricambiato con le labbra più strette non sembrava così certo della mia promessa.




Chiedo scusa per il ritardo, ma almeno questo coso è un po' più lungo - non 'decente', ma lungo.

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