Assassinio di mezza estate

di lishiawho
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** #1. Memorie dell'ex medico militare Jack H. Mustard ***
Capitolo 3: *** #02. Tutto ritorna ***
Capitolo 4: *** #03. Molly Mac Diarmid: La bambina che adorava leggere ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 
Scarlet Kassandra
Kassandra Scarlet era sempre stata una donna tutta d'un pezzo. Decisa, odiava pensare ed ammettere di avere delle debolezze di qualunque tipo. Frequentava i migliori pub di Bristol e non c'era persona che non conosceva o che non la conosceva. Per vari motivi - alcuni dei quali oscuri anche a lei - tutti sapevano chi fosse. Che fossero nobili o non lo fossero, a Kassandra non importava.
<< Che se ne parli bene o che se ne parli male, purchè se ne parli >> Diceva lei facendo seguire una risata quasi isterica.
Viveva da sola, anche se molti del posto erano convinti che aveva qualcuno di diverso ogni notte sotto le coperte che le faceva compagnia. E quando nella cittadina si sparse la voce che era stata invitata da un Sir per una cena rinomata tutti aprivano scommesse su chi avrebbe avuto il piacere di accompagnarla. Ma Kassandra non invitò nessuno e quando arrivò la sera della festa, lasciò la propria abitazione senza nessun accompagnatore.
 
Jacob Green
Tutti conoscevano quel buon uomo che portava il nome di Jacob Green, anche se in realtà il nome non era quasi mai conosciuto.
L'appellativo con cui veniva ricordato era Il reverendo Green, il nobile e gentile reverendo Green.
Faceva opere di beneficenza lui e nel sermone domenicale, dava tutto se stesso.
Chiunque viveva a Bradford, in quel piccolo paesello, non faceva che emolare le sue gesta come se fosse un vero e proprio santo in terra.
Ma Jacob Green non era affatto nato per essere reverendo né per indurre gli altri su quello che veniva considerato il sentiero del Signore.
No, lui era più simile ad una paillettes, che luccica sembrando un vero e proprio gioiello, ma che poi si rivela solo un insulso pezzo di plastica.
 
Eleonor Peacock
Donna gentile e raffinata, disposta a dare consigli e aiuto a chi ne ha bisogno. Ha un matrimonio felice e un figlio che studia all'Università.
Una donna da invidiare, se non fosse per le voci strane e contrastanti sulla sua vita all'apparenza perfetta.
Si raccontava, tra quelle donne che avevano tanto tempo libero da poterlo spendere in modi così costruttivi, che fosse scappata di casa all'età di diciannove anni perché rimasta incita e diseredata dalla famiglia.
Una ragazza madre non era contemplata nella famiglia Peacock.
 
Jack Mustard
Il medico militare Jack Mustard fu uno dei migliori commilitoni sul campo di battaglia ma fu disgraziatamente vittima di una sparatoria, essendo così costretto a tornare in patria. Non si sa nulla della sua vita privata da prima che partisse per l'Afghanistan, ma per ora abita da solo in un appartamento nel centro di Londra.
 
Diana White
Figlia della Governante Alexandrin White, viene assunta dalla famiglia Black alla morte prematura della madre, subentrando al suo posto. Oltre che fidata governante, Diana è anche la giovane istruttrice del Signor Black sebbene i due si passano all'incirca dieci anni di differenza. Nel periodo della sue morte, la Signora White fu accusata di aver adottato atteggiamenti poco consoni nei confronti del padrone.
 
 
Victor Plum
Abilissimo e rinomato professore di Oxford, Victor Plum è in realtà un uomo subdolo. Si conosce poco di lui, ma si pensa che la sua fama sia solo il frutto di inganni e della sua furbizia. E' oltretutto implicato in un caso d'omicidio che vede come vittima un suo collega d'università.
 
Mr Hudson George
Uomo a modo e di bell'aspetto. Non ha un occupazione fissa ma si destreggia in molte attività, come la scienza, la matematica, l'equitazione, la letteratura. Ama molto viaggiare e conosce il Signor Black solo grazie ad un suo amico che gli fece da tramite tempo prima.
 
Mrs Miles Black
Moglie di S. Arthur Black, i due si sposarono non appena ebbero compiuto vent'anni. Lei era una giornalista mentre lui si occupava degli affari della famiglia. Anche se il loro era stato un matrimonio combinato, la loro relazione si basava sulla fedeltà e ammirazione verso l'altro, l'impossibilità di lei di donare un erede al marito, tuttavia, increspò il loro rapporto.
 
Il filo conduttore che lega queste persone è solo uno: S. Arthur Black, proprietario di gran villa Tudor e la sua cena in piena estate.

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Capitolo 2
*** #1. Memorie dell'ex medico militare Jack H. Mustard ***


#01. Memorie dell'ex medico militare Jack H. Mustard 

Quel giorno Jack Mustard era tornato dal turno di notte all'ospedale rincasando verso le sette e mezza del mattino.
Quel lavoro gli ricordava sempre i fatti accaduti in guerra, la sparatoria e la fine che aveva fatto uno dei più rispettati medici militari di Londra: a fare l'infermiere. Entrando in casa, mentre riponeva le chiavi dell'appartamento in tasca, notò una busta a terra con una bella "B" incisa sul sigillo davanti che non gli era per nulla nuova. Prese la lettera e salì la rampa scale entrando poi nel soggiorno dell'appartamento e sedendosi su una delle due poltrone presenti, aprendo la busta e leggendone il contenuto.

"Caro Mr Jack Mustard, la invito a partecipare alla mia cena d'estate che si terrà il giorno dieci Agosto nella mia residenza, la aspetto.
Cordiali saluti S. Arthur Black"


Era da mesi che non era più in contatto con Arthur, i due erano vecchi compagni di camerata all'addestramento poi si erano divisi quando Black prese in mano gli affari di famiglia mentre Jack il fucile. I due si erano rincontrati dopo il rientro dell'ex medico in patria e si erano messi a chiacchierare. Jack era arrivato ad esporgli i suoi problemi e lui gli aveva risposto di dare tempo al tempo.
"Sei stato un militare per molto tempo Jack, non sei abituato alla vita civile. Prova a rilassarti e cerca di abituarti okay? Per qualunque cosa, sai dove trovarmi" Gli aveva detto, e a quanto pare aveva pensato che una cena d'estate, la notte di San Lorenzo, con altre persone con cui parlare fosse un buon modo per riportarlo alla vita reale.
Nulla di più sbagliato.
Arthur lo conosceva, avrebbe dovuto sapere che il carattere di Jack non era per nulla socievole, come diavolo aveva fatto ad invitarlo ad una cena?
Si alzò dalla poltrona lasciando l'invito su un piccolo tavolino vicino e andò ad aprire il frigorifero per trovare qualcosa con cui fare colazione ma visto la risposta negativa di quest'ultimo, uscì di nuovo di casa per andarsi a prendere un buon caffè.
Anche se ne aveva bisogno, dopo la notte insonne, di dormire non ne aveva voglia così si mise a fare quello che da tempo era diventato il suo hobby: scrivere.
Passò successivamente al poligono dopo aver pranzato e verso le sette di sera tornò a casa concedendosi un po' di riposo.
Quella notte, tuttavia, sognò di nuovo tutti quei volti che ogni notte lo opprimevano, i visi dei bambini che sembrava dormissero sereni in quell'enorme matassa di corpi, il sapore della polvere in bocca e il rumore delle grida e degli spari nelle orecchie.
L'indomani mattina era pronto, valige in spalla e invito alla mano per raggiungere la rinomata villa dei Black.
Ne toccò il suolo alle undici e cinquantacinque del mattino, quando la sua graziosa governante, Diana White, gli venne a dare il benvenuto e a prendere i bagagli, Arthur lo salutò con vigore e lui rise vedendo l'altro contento della sua presenza.
Fu allora accompagnato nella sua stanza a disfare le valige prima di scendere di nuovo al piano terra e salutare i due ospiti arrivati prima di lui: Jacob Green ed Eleonor Peacock.
Lui era un reverendo di un piccolo paesello vicino alla tenuta, conosceva il signor Black in quanto quest'ultimo non si perdeva un sermone, era stato il secondo arrivato alla villa.
Lei invece era una donna colta, tuttavia, mentre parlava esponendo in dettagli la sua vita - elogiando molto il figlio - a Jack sembrò una donna sola che si vantava non tanto per far sorgere l'invidia negli altri ma per convincere se stessa che quella era davvero la vita perfetta che ogni donna sognava.
Dopo noiose e molto inglesi e generiche partite a cricket, il pranzo fu pronto in tavola e fu divorato molto più velocemente di quanto fosse arrivato, erano le quattordici e trenta di pomeriggio quando un nuovo ospite si presentò alla villa.
Kassandra Scarlett era un donna dal fascino irresistibile e dal carattere forte. Ci raggiunse in giardino e salutò con un affettuoso abbraccio il proprietario, per poi passare alle presentazioni.
"Come mai questo ritardo, Kas?" Tutti fecero finta di nulla ma era ovvio che tutti avessero notato quel piccolo diminutivo.
Eleonor diede la sensazione di averlo notato molto, non distoglieva lo sguardo da Scarlett nemmeno per un minuto.
"Una donna si fa aspettare, Arthur. Come un qualsiasi oggetto che si brama alla follia. Lo attendi con tutto te stesso e alla fine, quando è tuo, ti senti meravigliosamente bene." Rispose la donna, bevendo un sorso di Gin cocktail offerto dal cameriere.
Non c'era dubbio che quei due se la intendessero.
Ad un ora dall'arrivo di Scarlett alla tenuta sia aggiunsero altre due persone: Miss Black Miles, la moglie di Arthur, e Mr. Hudson George. Lui era più un conoscente di Arthur, i due non si erano mai visti di persona, ma era stato invitato comunque a presiedere la cena.
Era bravo in molte attività aveva detto il proprietario della residenza, ma non aveva mai scelto una strada precisa.
A Jack sembrò un semplice ragazzo in cerca della sua strada ma che non voleva vantarsi troppo delle sue capacità, anche se oltre a quelle aveva sicuramente un bel faccino. Lo aveva notato anche "Kas", che continuava a mandargli frecciatine maliziose ad ogni sorso di liquore. Infine si aggiunse al gruppo l'ultimo ospite di quella sera, Victor Plum.
Lui era un professore di Storia dell'arte ad Oxford, ed adorava molto elogiarsi da solo.
Dalle quattro e mezza Jack cominciò a sentire la stanchezza delle notti insonne, così si ritirò in camera sua per cercare di dormire qualche ora prima dell'inizio effettivo del party. Si svegliò che era molto tardi ed uscendo dalla camera vide il corridoio deserto.
Cominciò allora a girare per un po' quando vide uscire molto di fretta Diana da una delle camere che, quando lo vide, si ricompose e lo informò che tutti gli ospiti erano nelle loro stanze a prepararsi per la cena. Erano le otto meno dieci quando Jack andò verso il salotto. 
Il pranzo lo avevano consumato sotto un gazebo in giardino, ma anche se era pieno Agosto la sera non permetteva di fare altrimenti. Raggiunse Jacob, Arthur e Victor che stavano parlando con un aperitivo in mano, lavoro e ancora lavoro.
Jack odiava quelle conversazioni, ad un certo punto si arrivava sempre a chiedere: " E tu Jack, che lavoro fai? Essendo un ex militare avrai qualcosa di grosso immagino." Si, grosso come la guancia di un bambino con un dente cariato.
Si interessò allora a Diana che apparecchiava la tavola, sembrava arrabbiata. "Successo qualcosa?" Chiese solo e Diana si voltò quasi spaventata, rispondendo con un "No, nulla" subito dopo. 
"Cosa facevi nella stanza al secondo piano qualche minuto fa?" Chiese ancora, non accorgendosi del disagio che la donna provava.
"E' la mia camera. Adesso se permette, ho del lavoro da fare." Lo liquidò in un attimo e Jack capì che quell'argomento non era quello giusto per attaccare bottone e si chiese il perché.
Cosa nascondeva nella sua camera Diana White che non poteva essere detto?
Dopo qualche altro minuto scesero nella sala Kassandra e Eleonor nei loro vestiti da sera, subito dopo, le prime portate furono pronte in tavola. Jack si ritrovò accanto ad Arthur e a George, di cui non si era accorto sino a quel momento. 
Il cibo era buono come al solito e la cena si passò bene.
Il dolce ed il caffè successivi furono portati nella sala accanto a quella dove tutti avevano mangiato.
Jack si era seduto su una poltrona rossa quando George gli si avvicinò invitandolo a fare con lui una partita a scacchi.
Fu una bella battaglia e l'ex medico non ricordava di averne mai fatta una così avvincente, che si concluse con una vittoria di Hudson preceduta da una ventina di minuti in cui erano perfettamente in parità di gioco.
"Ti sei distratto. Comunque è stata davvero una buona partita, non mi sono annoiato nemmeno un po', grazie."
Dopo una visita al bagno, furono tutti accompagnati al piano superiore che conduceva di nuovo in una stanza collegata con il tetto, una postazione perfetta per ammirare le stelle cadenti.
Ne videro molte quella sera ma verso le undici si recarono tutti verso le camere, visto che il vento aumentava e le nuvole coprivano la visuale.
"Non è bello Jack?"
"Uh? Certo, meraviglioso." Rispose.
Arthur non era mai stato un tipo filosofico o poetico e il fatto che ora stesse dando così importanza a dei semplici meteoriti aveva quasi sorpreso Jack, che se ne andò a dormire con questo piccolo pensiero nella testa.
Il mattino seguente Jack fu svegliato dall'urlo incontrollato di Kassandra, che in vestaglia si era recata in bagno scoprendo così il cadavere di Arthur. Il suo corpo rivolto a terra, in una strana espressione di dolore così esasperante da metterti i brividi, fece effetto a molti dei presenti. Dopo che Jack confermò davvero la morte dell'uomo, tutti scesero al pian terreno.
Nella sala dove la sera prima si erano divertiti a chiacchierare ora si espandeva un silenzio opprimente, scandito solo dall'orologio a pendolo e dai singhiozzi di Mrs Miles. La polizia era stata chiamata e loro non potevano fare altro che rimuginare sull'accaduto.
Dopo una mezzora tutti furono scossi dal suonare del campanello. Diana andò ad aprire facendo entrare chi di dovere.
"Joanne Christie, di Scotland Yard. Dov'è il corpo?" Disse, presentandosi, per poi farsi guidare da Jack su per le scale.
"E' stato trovato così questa mattina, eravamo stati tutti invitati alla cena che Sir Black aveva organizzato, a parte i camerieri e le governanti. "Oggi saremmo dovuti tornare tutti alle nostre vite abituali e invece..." Jack aveva visto molti corpi in vita sua, molti dei quali di suoi amici, quello di Arthur non faceva differenza, tuttavia si ricordò all'improvviso di una cosa e si allontanò molto in fretta dal bagno per tornare in camera sua. La sua Revolver era ancora lì, in una taschina della valigia, non aveva minimamente pensato a quel particolare perché anche l'idea di una cosa del genere era assurda, ma cosa avrebbe pensato la polizia trovando la sua pistola e associandola al colpo che aveva ricevuto Arthur alla tempia? Inoltre, dopo il suo ritorno, quella pistola non avrebbe dovuto trovarsi lì, bensì dentro un ufficio militare.
Jack si fece così prendere dal panico e un minuto prima che Joanne Christie gli bussasse alla porta gettò la pistola dalla finestra.
Tutta la giornata si concentrò sugli interrogatori di tutti i presenti e dei loro alibi.
La polizia faceva avanti e indietro fra le camere per perquisirle mentre gli altri continuavano ad indagare nell'ufficio di Black e sul cadavere. Fu una noia aspettare il turno di ognuno per lasciare la deposizione e fu altrettanto noioso ascoltare le domande di Joanne che ogni volta che venivano pronunciate ti accusavano di qualcosa.
"Lei è l'uomo che conosceva meglio la vittima di tutti gli invitati giusto?" Gli chiese
"Bhe, non è proprio corretto. Si, io conoscevo Arthur da tempo ma c'è..." Gli passarono davanti molti visi, sopratutto Kassandra.
"Si, Signor Mustard?"
"Bhe, intendevo dire che anche la moglie lo conosceva bene, e anche Diana, è stata la sua educatrice un tempo.
"Credo che anche tra Arthur e Kassandra Scarlett ci fosse dell'intimità." Disse
"Definisca intimità." Rispose la detective con un tono diretto
"Non lo so. Cosa le posso dire?"
"Andavano a letto insieme?" Chiese Joanne, arrivando dritta al nocciolo della questione.
"Io non lo so, cioè, non conosco Kassandra che da ieri."
Il suo interrogatorio alla fine si concentrò su quello, quando finalmente poté lasciare la residenza e tornare a Londra. Fu chiamato due giorni dopo, avevano trovato la Revolver e fatto gli accertamenti anche su quella. Analizzandola, tuttavia, era venuto fuori che non era l'arma da fuoco che aveva causato la morte di Arthur ma non fecero domande sul perché l'avevano trovata a terra, il motivo lo scoprì solo il mattino dopo sul The Guardians.
I veri responsabili erano stati catturati e quando lesse la notizia Jack faticava a crederci.

"Diana White e Kassandra Scarlett accusate dell'omicidio di S. Arthur Black, proprietario di villa Tudor.
Durante la cena che S. Black aveva organizzato la notte di S. Lorenzo, la signorina Kassandra Scarlett aveva inviato un biglietto d’incontro a quest’ultimo, intimandogli di vedersi verso le due del mattino nel bagno di servizio. La vittima, accettando l’invito, si trovò davanti Diana White, governante in carica ed ex educatrice del proprietario della villa, che lo uccise con un colpo di pistola alla tempia.
Le due ragazze, divenute complici, sono ora sotto la custodia della polizia, aspettando un regolare processo. Si pensa che il movente che abbia spinto le due ad assassinarlo fossero le molteplici relazioni con altrettante donne diverse in cui S. Black era coinvolto. "


Rilesse l’articolo più volte, come se potesse cambiare, come se in qualche strano modo lui si fosse sbagliato, inventandosi tutto, sapeva che il colpevole doveva essere qualcuno che era ospite alla villa, tuttavia leggendo la notizia non poté fare in modo di non rattristarsi.
Poi, all’improvviso, il telefono squillò, facendolo sobbalzare.
“Pronto?” Disse
“L’hai letto vero?” La voce che parlava dall’altro capo del telefono non era nuova, ma gli ci volle qualche secondo per associarla al volto di Hudson.
“Si, come …”
“Ti va se ci vediamo a quel bar sulla High Holborn? Il Cittie Of York tra una ventina di minuti?”
“D’accordo.” Jack prese chiavi, giacca e capello e uscì da casa, tuttavia prima ancora di scendere la rampa di scale in tutta fretta, rientrò nell’appartamento e aprì il cassetto della sua scrivania.
La revolver che gli avevano restituito quelli di Scotland Yard era lì e dopo averla fissata per qualche secondo la prese e la portò via con lui. Non sapeva il motivo per cui l’aveva fatto, mai da quando era tornato dal campo di battaglia aveva utilizzato o portato a spasso quell’arma, ma quella volta quasi sentì di averne bisogno e di sentirla, forse semplicemente per una sicurezza.
Si diresse allora verso il locale che George gli aveva indicato, passando la King’s Cross e aspettandolo proprio davanti l’entrata.
La facciata del pub si presentava in modo tradizionale, con due entrate poste all’estrema destra e all’estrema sinistra, entrambe sormontate da due porte di legno. George arrivò poco dopo cinque minuti ed insieme entrarono, anche l'interno era arredato in stile tradizionale e Jack capì il perché Hudson avesse scelto proprio quel posto per parlare: I tavoli e le sedie erano ad una distanza media l’uno dell’altro in modo da non occupare troppo spazio ma per far si che comunque le conversazioni dette rimanessero private. Ogni tavolo, poi, era diviso da un separé. Presero il numero dieci e ordinarono due birre. 
C’era silenzio, Jack non aveva la minima idea del perché Hudson l’avesse chiamato, certo, sospettava volesse parlare di quello che era accaduto, ma non ne scorgeva il motivo.
“Kassandra era con me la mattina dell’undici Agosto.” Bastarono quelle poche parole pronunciate in tono sommesso ad attirare l’attenzione completa di Jack sulla conversazione e a fargli capire che, effettivamente, c’era qualcosa che non quadrava.
“Stai scherzando? Perché non l’ha detto quando la Christie l’ha interrogata?” Chiese Jack
“Perché gli ho chiesto io di non farlo.” Jack non rispose ma la sua espressione tradiva la sua sorpresa.
“Stavamo parlando di qualcosa di privato. Di tanto privato che neanche la polizia doveva sapere. Tuttavia coprendomi non ha potuto difendersi.”
"Quindi ora cosa facciamo?”
“Io direi di provare ad andare a parlare con gli altri che erano presenti. Magari loro hanno notato qualcosa che può scagionarla.
 
Jack pensava, Scarlett era davvero innocente come Hudson testimoniava? E Diana era veramente la colpevole oppure era stata incastrata anche lei?
“Con Diana e Kassandra in prigione, rimangono solo Victor, Jacob, Eleonor e la signora Miles con cui parlare."
Dopo quell’ora a parlare i due si divisero, dandosi appuntamento il giorno seguente per andare a trovare ogni ospite che era a villa Tudor la sera dell’omicidio.
Jack, lasciando il Cittie of York, cominciò a vagare per Londra con la mente ancora concentrata su gli strani avvenimenti successi, alla fine era bastata davvero una cena per farlo stare meglio.
Certo, avrebbe preferito che Arthur non fosse morto, tuttavia il brivido che gli davano queste situazioni gli era mancato.
Far luce sul mistero, quindi, era qualcosa che lo allettava sempre di più, fin quando si ritrovò a pensare a quali dati certi avessero sul caso e quali misteri erano ancora da svelare.
Arthur non aveva dato segno a nessuno dei presenti di essere in pericolo di vita o che fosse stato in qualche modo minacciato e neanche la Signora Miles aveva detto nulla a riguardo. Quindi, senza altre fonti a cui attingere, i sospettati della sua morte erano sicuramente tutti i presenti a villa Tudor quella sera, e se era vero che Arthur faceva il bello e il cattivo tempo sia con la governante che con l’amica, il movente per ucciderlo esisteva.
Ma c’era qualcosa in tutto quello che non quadrava, sulla scena il corpo era rivolto con la testa verso la porta e la sua posizione faceva subito pensare ad un qualcosa di premeditato, in cui il colpevole del delitto aspettava la vittima nella doccia prendendolo alla sprovvista e colpendolo. Sembrava quasi fatto apposta, l’assassino avrebbe potuto farlo sembrare un suicidio invece aveva effettivamente lasciato delle tracce, tracce che lo smascheravano subito. Il biglietto trovato in mano della vittima e la pistola nascosta alla bell’è meglio nel cassetto della camera di Diana erano state le prove schiaccianti che l’avevano incastrate, tanto perfette da sembrare messe lì apposta.
Troppi pensieri tormentavano l’ex militare tanto da non lasciarlo in pace nemmeno per un minuto, nemmeno mentre curava il ginocchio di una bambina caduta a lavoro e nemmeno la notte quando, di solito, si avvicinava al caldo camino con un bicchiere di Scotch a scrivere.
Alla fine la mattina arrivò e Jack si ritrovò Hudson alla porta alle sette e cinquantacinque, decisero di cominciare a parlare prima con
Eleonor Peacock.
Lei sembrava la più scossa dalla situazione. A quanto pare in quei soli due giorni aveva legato molto con Scarlett.
“Ci dica Mrs Eleonor, ha visto qualcosa che potrebbe far riaprire il caso? Qualcosa che potrebbe aiutare Kassandra?”
“No, mi spiace.” Spiegò nei singhiozzi.
“Subito dopo essere scesi dal tetto sono tornata in camera, salutando Kassandra. Quando io sono entrata, lei era sulla soglia della sua camera e credo fossero circa le undici, undici e dieci.” Mentre Hudson la ascoltava, io mi guardavo in giro.
Il salone era molto pulito e solare, c’erano i due divani posti l’uno davanti all’altro e al centro tra i due c’era un piccolo tavolino con sopra dei gigli bianchi. Il camino di marmo bianco era sul muro opposto alla grande finestra da dove cadevano delle tende bianche molto candide, accanto a questa c’era la vetrina dei liquori ed era impossibile non notare le mille fotografie incorniciate di suo figlio Harry.
Nei primi anni di scuola, poi al diploma al settimo anno e poi l’entrata al college. Si poteva dire che Eleonor Peacock non fosse solo molto fiera del figlio, ma ne fosse addirittura ossessionata. Tra le foto poste sul marmo del camino, tuttavia, si nascondeva una piccola scarpetta rosa da neonato che si intonava perfettamente con la stanza ma lasciava un po’ sorpresi.
Lasciarono casa Peacock verso le otto e quaranta e si diressero verso Oxford, dove sapevano avrebbero trovato Victor Plum.
Lui fu abbastanza innervosito e stranito della loro visita, soprattutto perché Jack e George avevano interrotto la sua lezione pre-esami.
“Io non so nulla a riguardo. Quando sono rientrato nella residenza sono andato subito a letto, erano circa le undici. "
"No, aspettate. Sono sceso in cucina per prendere qualcosa da bere e poi sono tornato in camera, ho incontrato per le scale il reverendo, lui potrà dirvelo. Ora se non vi dispiace, torno alla mia lezione.” Erano le nove e mezza passate quando si diressero al piccolo paesello vicino alla villa per parlare con Jacob Green.
Lui più che innervosito della loro visita sembrò innervosito dell’intera faccenda anche se quando aprì la porta e li riconobbe, a Jack sembrò fece un sospiro di sollievo momentaneo. Il dialogo con Green non fu diverso dagli altri, dopo la veduta delle stelle cadenti era rientrato in camera, passando davanti alla rampata di scale e vedendo salire Victor che poi era rientrato in camera.
Tuttavia nessuno si era cancellato dalla lista dei sospettati quella sera, perché nessuno poteva confermare che alle due del mattino del giorno undici Agosto, fosse a letto a dormire.
Visto che erano nelle vicinanze, decisero di parlare con la signora Miles e si avviarono per la strada della residenza.
“Jack, tu dov’eri all’ora dell’omicidio?” Chiese Hudson con non curanza.
“In camera a dormire, come tutti.” Rispose lui
“Quindi, dalla tua risposta, posso dedurre che non hai alcunché che possa confermare l’affermazione che hai fatto, giusto?"
"Ti potrei benissimo considerare un sospettato.” All’inizio l’espressione di Jack sul suo viso tradiva una grande sorpresa, tuttavia poi si rilassò, rispondendo.
“Certo, puoi. Come io potrei allora considerarti una persona poco intelligente, ma so perfettamente che non lo sei, di conseguenza so anche che non lo pensi.” Rispose Jack.
“Come fai ad essere così sicuro di cosa ci sia nella mia testa, Mr. Mustard?” Chiese ancora il giovane, quasi con un tono di sfida.
“Non so assolutamente cosa alberghi nella tua mente, tuttavia posso ragionare sui fatti che ti hanno portato a compiere certe azioni, come al volere il mio aiuto in questa situazione.”
“Avrei potuto benissimo farlo sapendo già che il colpevole in realtà sia tu, non ti pare?”
“Avresti potuto, ma se io fossi abbastanza intelligente da uccidere un uomo e far incolpare due donne senza che nessuno se ne accorga, allora non sarei tanto stupido da gironzolare ancora sulla scena del crimine. A meno che non mi sia sfuggito qualcosa ...”
Il dialogo tra i due si concluse quando videro il tetto della residenza farsi pian piano più vicino portandosi dietro anche le mura. Si sentiva odore di fresco, quella notte aveva piovuto, lasciando residui nell’aria e il fango a terra. Videro la vedova Miles intenta a cercare qualcosa ed a singhiozzare. 
“Cosa è successo, Miss Miles?” Chiese Jack, porgendole una mano in modo da farla rialzare.
“Ho perso la fede.” Disse, asciugandosi le lacrime
“Dopo quello che è successo, anche l’unica cosa che mi univa a lui sentimentalmente è sparita. Voi piuttosto, cosa ci fate qui?”
“Volevamo parlare con lei di quanto accaduto, speriamo solo di non essere stati troppo indiscreti nel chiederglielo così presto.” Disse George.
La vedova si asciugò le ultime lacrime finché dopo un sospiro rispose: “Sono disposta a parlare con voi, entrate.”
La residenza era esattamente uguale a come ognuno degli ospiti l’aveva lasciata, il che non faceva per nulla pensare che una squadra di Scotland Yard aveva ispezionato il luogo da cima a piedi.
“Cosa ricorda di quella sera, Mrs Miles?” Cominciò Hudson, cauto per non turbare la donna.
“Dopo la cena e il dolce siamo tutti saliti in veranda per ammirare le stelle, quando poi le nuvole hanno cominciato ad impedirci la visuale siamo tornati in camera, io ho fatto prima di Arthur ed ero già sotto le coperte intenta a leggere le ultime pagine del mio libro quando lui arrivò e si mise al letto. Mi sarei aspettata che dicesse qualcosa, soprattutto riguardo al mio taglio di capelli. Sapete, me l’ero fatto quella mattina, ma nulla. L’unica cosa che disse fu solo << Buonanotte >>, furono le sue ultime parola prima di ...” Le lacrime che fino a quel momento si era imposta di non versare scoppiarono tutte insieme e i due capirono che con l’interrogatorio bastava così.
Erano sull’uscio della porta, pronti per tornare in città, quando Jack chiese un ultima cosa alla donna.
“Lei vive ancora qui, Signora?” Sembrò sorpresa di una domanda simile.
“Si, è l’ultima proprietà di Arthur, stando qui lo sento più vicino.” Tornarono a Londra senza parlare, probabilmente perché intenti entrambi a pensare e collegare ogni deposizione che i presenti alla villa avevano dato, finché non giunsero davanti agli uffici della polizia.
In quell’occasione, il passato di Jack come medico militare servì molto e lui ne fu abbastanza felice. Parlarono così con entrambe le detenute.
Kassandra era calma e composta come al solito, sebbene il vestito da sera dell’ultima volta era stato sostituito da una tuta da detenuta e il trucco si era pian piano tolto, lei non aveva perso nulla. Jack si ritrovò a pensare a quanto fosse giusto il detto ‘Non è il vestito a fare una donna, bensì la Donna a fare il vestito' .
Scarlett non aveva fatto scenate, niente urla - anche se probabilmente nella sua testa urlava di sicuro - come una perfetta donna inglese.
Un comportamento così non si addirebbe ad una come lei. Spiegò per filo e per segno quello che aveva fatto la sera dell’omicidio. 
“Salutata Eleonor sull’uscio della porta, andai in realtà in camera sua” Disse, indicando George.
“Dopo aver parlato con lui per ore me ne tornai in camera, probabilmente saranno state le due e mezza o giù di lì, risvegliandomi la mattina seguente. Il mio bagno era stato chiuso è per questo che volevo utilizzare quello di servizio.” Disse.
Quando il tempo per le chiacchiere finì, Kassandra concluse la discussione dicendo che non vedeva l’ora di rivederli con il vero colpevole tra le mani.
Passarono quindi a Diana che sembrava la più scossa e neanche la stessa persona che avevano visto solo cinque giorni prima.
Aveva gli occhi rossi e scavanti, sintomo che piangeva spesso e probabilmente non riusciva a dormire la notte, la tuta era di una taglia più grande della sua e gli ricadeva male sul suo corpo minuto, i capelli legati in un piccolo chignon era sporchi e quel biondo prima curato e brillante, ora era spento.
Lei raccontò davvero la verità ai due, che vennero a sapere della relazione che legava Arthur e Diana già da parecchi anni. Lui l’aveva convinta che presto avrebbe lasciato la moglie, ma Diana non sapeva che il proprietario della residenza in cui lei lavorava aveva anche altre amanti al di fuori di lei. Quando Jack prima di cena l’aveva vista uscire di corsa da una delle stanza del secondo piano era perché aveva scoperto S. Arthur in compagnia della bellissima Scarlett Kassandra. Questo faceva di lei una perfetta sospettata, tuttavia, Diana sembrava distrutta, troppo per essere la vera colpevole. 
Probabilmente era combattuta per i sentimenti che provava riguardo alla morte di Black, una parte di lei pensava che l’uomo se l’era meritato, ma dopo tutto chi era lei per giudicare? Inoltre per lei l’amore esisteva, quel filo conduttore che la legava ancora alla vittima esisteva ed era triste per lui, al tutto si andava ad aggiungere il peso della prigionia al quale non era destinata.
Usciti dagli uffici della polizia i due non poterono fare altro, allora, che tornare a villa Tudor per le ultime prove.
Ne toccarono nuovamente il suolo verso le dodici e trenta, notando che Mrs Miles era assente.
Entrarono grazie alla chiave sempre nascosta in uno dei vasi e si diressero al piano superiore. Salirono le scale, cercando di rimanere concentrati e di osservare ogni minimo particolare, arrivando al secondo piano e cominciando ad ispezionare le camere.
Non trovarono nulla nelle prime due, che dovevano essere appartenute Green e Victor. Le successive furono quella di Eleonor e subito dopo quella di Kassandra. In quest’ultima c’era il bagno privato chiuso, come lei aveva detto. Anche la camera di Diana era pulita.
Andarono allora nel bagno dove era stato trovato il corpo finché, per pura casualità, Jack non si accorse di una porta bloccata e nascosta dietro un mobilio. La forzarono. All’interno c’era una camera buia, odorava di chiuso, segno che non era stata aperta per molto tempo, ma la polvere smossa da terra indicava il contrario.
Era così, quindi, che l’assassino aveva posto l’agguato alla vittima? In quel buio, dove solo uno spiffero di luce invadeva la stanza, un oggetto luminoso brillava all’angolo tra la libreria e la porta.
La fede nuziale di un amore infelice brillava come a dire “Sono qui, guardatemi.”
Non c’era bisogno di leggere le incisioni all’interno.
Fu successivamente stilata da Jack una lettera indirizzata a Joanne Christie, detective che si era occupata del caso:
“Detective Christie l’invito a leggere il contenuto di questa lettera se vuole veramente scovare il colpevole del delitto commesso questo dieci di Agosto.
Ogni persona, fatta eccezione del personale e la moglie della vittima erano tutte persone invitate da quest’ultima per una cena estiva, di conseguenza sconosciute tra loro.
Dopo la cena, in cui tutti erano presenti, gli invitati si spostarono in una sala dove venne servito loro il dolce prima di seguire Diana White, accusata di aver assassinato il suo capo, verso la veranda dove avrebbero passato la serata ad ammirare le stelle cadenti.
Verso lei undici di sera il tempo cambiò, rendendo impossibile la visuale e costringendo tutti a tornare nelle proprie stanze.
Nessun invitato qui ad un alibi per le due del mattino, almeno finché i letti dove i presenti a villa Tudor abbiano dormito non comincino a parlare, quindi tutti sono possibili indiziati.
Avete accusato, oltre che la governante, anche Kassandra Scarlett, amica intima di S. Arthur Black, per il ritrovamento di un bigliettino nelle mani di quest’ultimo, secondo cui lei lo incitava a farsi trovare nel bagno di servizio del secondo piano per un incontro romantico. Ottima esca per ucciderlo, tuttavia la vostra deduzione – fatta in base alle prove che credevate indiscutibili – è errata.
Il biglietto, difatti, non è stato scritto da Kassandra come la pistola non è stata impugnata da Diana White.
Se il vostro team avesse fatto una leggere attenzione in più avrebbe veramente scoperto l’indizio cruciale. Nel bagno dove la vittima è stata uccisa c’è un entrata secondaria che conduce ad una stanza in disuso da parecchio tempo, lì abbiamo trovato la prova che le mando come supplemento in questa missiva.
La fede nuziale appartiene a Mrs Miles Black, moglie – ormai vedova - della vittima.
Quest’ultima, venuta a scoprire delle molteplici relazioni di suo marito e sentendo che tra loro, ormai, non c’era più amore, decise di punirlo compiendo un gesto estremo.
Scrisse il biglietto a nome di Kassandra e chiuse appositamente il suo bagno per farla recare in quello di servizio dove avrebbe poi trovato il corpo. Mentre tutti erano concentrati sul ritrovamento, Mrs Miles nascose la pistola in camera di Diana per poi raggiungere il bagno e mettendo in atto la scena di moglie addolorata per la scomparsa del marito.
A confermare ciò, una dichiarazione di un maggiordomo di casa Tudor che esclama che la Signora Miles non ha più messo piede in quella villa dopo l’accaduto quando a me ha espressamente risposto che non aveva intenzione di lasciarlo.
Quando sono andato a parlare con lei, i vestiti che indossava erano troppo puliti per un giorno di pioggia come quello che c’era stato il giorno prima e anche il maggiordomo ha confermato che quella era la prima volta che la donna rimetteva piede nella villa, come se si fosse dimenticata di qualcosa.
Ebbene, detective, scommetto che quella fede è la cosa che la Signora cercava così disperatamente.
Faccia pure i dovuti controlli, a presto. 

Jack H. Mustard." 

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Capitolo 3
*** #02. Tutto ritorna ***


Titolo: Assassinio di mezza Estate { #02. Tutto ritorna }
Autore: Type Writer
Fandom: Cluedo
Characters: Eleonor Peacock
Paring: //
Genere/Avvertimenti: Introspettivo - Giallo - Death!fic
Rating: Pg
Word: 5286 (fiumidiparole)
Disclaimer: Copyright © WaddingtonGames 1948. All rights reserved.
Setting - Crime:  #09. Segreto  @ diecielode

#2. Tutto ritorna

Eleonor Peacock quella mattina era rincasata verso le undici del mattino, aveva fatto il turno di notte all’ospedale e aveva bisogno di qualche ora di relax.
Lei, il marito e il figlio, gestivano uno degli ospedali della città – il più costoso notando il loro tenore di vita – dividendosi il lavoro.
Lei era capo infermiera,  il figlio era un neurochirurgo mentre il marito il primario dell’ospedale.
Non c’erano stati casi gravi quella notte ma erano comunque ore di sonno perse e una come lei non poteva permetterselo.
Si cambiò d’abito, optando per il tailleur blu elettrico che tanto le piaceva e che non la faceva passare inosservata per nessuna delle strade della città. M
entre si stava cambiando, la porta dell’abitazione si aprì .
“Wilfred, sei tu?” Chiese la donna sorpresa.
“ No mamma, sono io.” Harry Smith entrò nella stanza nell’esatto momento in cui la madre cercava di agganciarsi l’ultimo orecchino di perle sull’orecchio sinistro.
“Come mai sei qui, caro?”  Harry non viveva più con i suoi genitori, si era trasferito subito dopo la laurea, andando prima all’estero per alcuni stage per poi tornare in Inghilterra e prendere il posto di neurochirurgo nell’ospedale di famiglia, mentre continuava a studiare. Ora abitava a qualche chilometro dall’ospedale e ospitava un amico straniero conosciuto in America.
“Sono passato per dire a papà che questa domenica io e James non possiamo venire a cena, ma vedo che è già uscito. Puoi avvertirlo tu? Devo scappare.”
Harry se ne andò subito, tanto che la madre non riuscì neanche a dirgli ‘ciao’.
Voleva molto bene al figlio, avrebbe potuto anche morire per lui, tuttavia non poteva non ammettere che avrebbe preferito vederlo sistemato con una bella ragazza e sperare in un qualche nipotino invece di vederlo con l’uomo con cui abitava.
Si ripeteva sempre, tuttavia, che l’amore di una madre era potente e non poteva essere sconfitto dal semplice fatto che suo fosse gay, quindi tirava avanti. L’unico problema, però, rimaneva Wilfred. Lui non sospettava minimamente che suo figlio avesse quel tipo di gusti sessuali e non sapeva come avrebbe reagito se lo avesse scoperto, inoltre suo marito non approvava la convivenza tra i due per il fatto che James non pagava l’affitto della stanza a casa di Harry e se lo faceva, la quota era molto bassa – rispetto ai loro standard. Quello che però non capiva Wilf era proprio questo, James non era un peso per Harry, anzi quando stavano insieme sorrideva di più di quando il figlio passasse il pranzo domenicale con loro, lo sapeva perché li aveva visti.
Era successo qualche mese prima, era uscita a pranzo da sola perché il marito era di turno all’ospedale e la sua amica Mary aveva disdetto all’ultimo momento. Aveva prenotato in un ristorante nel centro città e prendendo posto al tavolo – dopo aver ordinato – notò che a due tavoli di distanza dal suo c’erano due giovani, uno era Harry l’altro un ragazzo che non aveva mai visto.
Era biondo e di carnagione molto chiara, anche più di quella di suo figlio, aveva lineamenti squadrati e il suo accento non era per nulla inglese.
“Ciao mamma!” Disse Harry, sorpreso ma per nulla preoccupato.
“Ciao tesoro. Cosa ci fai qui?” Chiese lei, ancora in piedi vicino al tavolo del figlio. Cercava di mantenere un atteggiamento normale, ma fremeva dalla voglia di sapere chi fosse quel ragazzo sconosciuto che sembrava fosse amico di suo figlio.
“ Pranziamo. Ah, vuoi unirti a noi?” Chiese poi, come se improvvisamente si fosse ricordato le buone maniere.
“ No, stai tranquillo, ho un mio tavolo. Volevo solo sapere chi fosse, tuttavia, questo tuo nuovo amico. Non mi pare di conoscerlo.” Disse lei, divenendo all’improvviso schietta e diretta e pronunciando quel ‘non mi pare di conoscerlo’ come un rimprovero diretto al figlio.
“Giusto, scusa. Lui è James. Un mio amico venuto dall’America.” Disse, presentandoli ufficialmente. James si alzò e strinse la mano della signora, esclamando parole come  ‘sono felice di conoscerla’ aggiungendo ‘Harry mi ha parlato molto di lei.’
Eleonor aveva trovato James un ragazzo gentile e a modo, oltre che bello. Aveva fatto una buona impressione anche se c’era qualcosa – una sensazione – che ancora non riusciva a definire. Arrivò alla soluzione quando scoprì che i due vivevano assieme.
Dopo la piccola conversazione, lei tornò al suo tavolo, lasciandoli soli a mangiare e cominciando il suo pasto senza, però, abbandonarli con lo sguardo.
Quell’unico pranzo era bastato a fargli capire che la compagnia di James faceva molto piacere a Harry e che la sua sola presenza lo rendesse felice.
Da quando Wilfred si era imbattuto in lui all'ospedale, i due non andavano molto d'accordo. James era un ottimo psicanalista e Wilf Smith era un uomo che odiava parlare al prossimo dei propri problemi e farsi analizzare psicologicamente, il fatto che poi vivesse con l'unico figlio senza pagare un affitto adeguato lo fece imbestialire ancora di più, era quello il motivo per cui Harry rifiutava sempre l'invito dei genitori per una cena tutti insieme, per un motivo o per un altro.
Eleonor uscì di casa dieci minuti dopo che Harry se n’era andato, chiudendo la porta con doppia mandata ed incamminandosi verso la spa. Arrivata fu accolta gentilmente come al solito e prese appuntamento con il massaggiatore, avviandosi verso la stanza.
“ Eres siempre splendìda, E’l. “ Disse.
Alvares era latino americano, un giovane sui venticinque anni circa, di pelle abbronzata – così diversa da quella bianca degli inglesi – occhi scuri e capelli corti che gli incorniciavano il viso. Si era trasferito in Inghilterra da tempo, ma la sua pronuncia era rimasta quella d’origine; era diventato il massaggiatore privato di Eleonor da quando lo aveva visto la prima volta.
Lei a quelle parole sorrise e cominciò a spogliarsi per poi prendere posto sul lettino, sentendo le mani calde di Alvares, bagnate d'olio, che le accarezzavano la schiena. Il brivido che sentì poco dopo fu l'ultima cosa che ricordò prima di sprofondare nelle fantasie che ogni tanto si concedeva e di cui faceva parte anche il massaggiatore.
Di solito in questi suoi sogni lei era molto più giovane - non che in realtà fosse anziana, aveva solo quarantotto anni, tuttavia se si considerava il marito e il figlio ormai ventenne, quegli anni equivalevano al doppio - e dopo aver incontrato Alvares in una calda spiaggia dei Caraibi i due finivano per fare l'amore dentro un capanno, ascoltando il solo suono delle onde mentre lui entrava ed usciva da dentro di lei, con violenza.
Finita la seduta pagò la parcella e tornò a casa. Si sedette sul divano in salone e si concedette altri minuti di riposo, disturbati successivamente da Wilfred che tornava a casa dal lavoro.
Appena lo vide tornò alla realtà, abbandonando i suoi sogni.
L'aspetto di Wilfred era cambiato con gli anni, andando sempre peggiorando, aveva messo su quindici chili ed ora era molto in carne, senza contare il fatto che non era mai stato un uomo di corporatura gracile, anzi tutto il contrario. Non esisteva più quel fascino che l'aveva catturata quando avevano circa vent'anni e anche l'amore che provavano l’uno per l’altra sembrava essersi volatilizzato, come si era volatilizzato il sesso. Eleonor non faceva sesso con il marito da così tanto tempo da aver perso effettivamente il conto e a volte si chiedeva se la ragione fosse lei, se Wilfred non la trovasse bella ed attraente come prima.
“C'è una lettera per te.” Aveva esclamato, porgendogliela e sedendosi sul divanetto di fronte al suo e aprendo di nuovo la ventiquattrore per cominciare a leggere scartoffie.
Eleonor sospirò, lasciando correre e concentrandosi sulla busta. Era di un bel colore avorio, quello che di solito si utilizzava nelle cene importanti, nessun indirizzo e nessun nome solo un sigillo con la lettera B incisa sopra. Eleonor l'aprì:

"Cara Mrs Eleonor la invito a partecipare alla mia cena d'estate che si terrà il giorno dieci Agosto nella mia residenza, la aspetto. Cordiali saluti S. Arthur Black"

Eleonor dovette utilizzare tutte le cellule nervose del suo cervello per ricordarsi chi fosse questo Arthur, finché non gli ritornò alla mente. I due si erano conosciuti durante una crociera, erano entrambi partiti con le famiglie per un viaggio di relax ed avevano finito per dividere il tavolo nella sala da pranzo.
“ Ti ricordi la coppia che abbiamo incontrato anni fa, quella che ci ha fatto compagnia durante la crociera a Santa Monica?” Chiese Eleonor
“No, chi sono?” Rispose il marito, non alzando neanche lo sguardo da quello che stava facendo.
“Lascia stare.” E si chiuse lì il discorso. 

Non sapeva perché alla fine, la mattina del dieci di Agosto, aveva tirato fuori una piccola valigia ed era partita. Dopo aver letto l’invito lo aveva appoggiato su uno dei mobili in camera, e li era rimasto fino a quella mattina. Si era fermata a guardarlo per qualche minuto per poi girarsi e prendere alcune cose dall’armadio mettendole nella sua borsa, lasciando scritto a Wilfred che sarebbe tornata tra un paio di giorni. Si chiese, durante il viaggio, se fu per cambiare aria, allontanarsi dalla città o dalla vita ‘perfetta’ che sembrava avere ma che, in realtà, la soffocava.
Conosceva tutte le dicerie che circolavano per l’ospedale o tra i suoi vicini, tutti erano convintissimi di volere una vita come la sua. Lei aveva tutto, soldi, un buon marito, un figlio di cui essere fieri …  un tempo lo pensava, era cascata anche lei nella ragnatela dell’apparenza che circondava la sua vita.
Arrivò alla villa verso le nove e trenta, forse un po’ presto ma nell’invito non c’era riferimento a nessun orario specifico.
Al suo arrivo, una deliziosa governate ed un maggiordomo, le presero i bagagli facendole strada verso la camera che avrebbe occupato durante i giorni di residenza, scendendo poi ad incontrare il proprietario.
“Mr. Black, sono anni che non ci vediamo, come sta?”
Anche negli anni precedenti, al loro primo incontro, Eleonor aveva notato il fascino dell’uomo che non era regredito per niente anche dopo il tempo passato, anzi si poteva benissimo dire che fosse ancora più affascinante.
Era alto, circa sull’uno e settantacinque, occhi chiari, un bel sorriso e la barba che gli incorniciava le labbra.  Era vestito con un completo nero giacca e cravatta, pronto a accogliere ogni ospite che si sarebbe presentato alla villa.
“Bene, ma mai quanto lei Mrs Peacock, è meravigliosa.” Eleonor sapeva bene che erano apprezzamenti da manuale ma gli fece comunque piacere riceverli.
“Mi chiami Eleonor, non si preoccupi.” Disse lei
La porta si aprì, rivelando l’arrivo di un altro ospite. Jacob Green toccò il suolo di Villa Tudor verso le nove e quarantacinque, salutando apertamente il proprietario.
“Salve Arthur, come va?” Chiese
“Benissimo. Lei, reverendo Green, come sta?”
“Molto bene la ringrazio” Rispose, per poi rivolgersi ad Eleonor.
“Salve anche a lei, sono Jacob Green, il reverendo del piccolo paesello qui vicino.”
Eleonor si presentò a sua volta, riflettendo sul fatto che quell’uomo sembrasse tutto fuorché un prete.
Si incamminarono allora verso il giardino, cosicché Arthur poté fargli ammirare la sua splendida residenza.
Fuori, il cortile era curato nei minimi dettagli. Non vi era filo di erba secca o uno più tagliato dell’altro,  sempre annaffiato e l’aiuole piene di fiori stupendi.
Anche la residenza, da fuori, faceva il suo effetto, rendendo il tutto più moderno. Si potevano vedere tutte le finestre delle camere, quella che era stata occupata da Eleonor, per esempio, aveva un piccolo balconcino da cui, quando era salita per posare i bagagli, si era affacciata per vedere fuori.
La propria finestra era proprio davanti al gazebo e alla piscina esterna. Accanto a lei c’erano altre due stanza ancora non occupate da nessun ospite.
“Come mai la sua famiglia non l’ha accompagnata, Eleonor?” Chiese Arthur, curioso.
“Harry era impegnato con l’ospedale e lo studio, mentre Wilfred ha avuto un urgenza.” Mentì.
Il motivo di quel viaggio era proprio l’allontanarsi per qualche giorno dalla famiglia, se avesse portato anche loro tanto valeva rimanere a casa.
Dopo la visita, mentre erano nella parte del cortile, dove c’era l’entrata principale, si accorsero dell’arrivo di una quarta persona, probabilmente un altro ospite di S. Black.
“Jack, quanto mi fa piacere vedere che hai accettato l’invito!” Disse, aprendo le braccia in un gesto di allegro benvenuto.
Il tono con cui gli si era rivolto, faceva intendere che i due fossero amici di vecchia data.
“Grazie a te di avermi invitato.” Rispose, prima di sparire accompagnato dalla cameriera, su per  la rampa di scale.
Il signor Mustard era un ex medico militare rimandato in patria, ad Eleonor dava la sensazione di un uomo molto solo.
In una qualche stramba maniera rispecchiava alcuni dei suoi silenziosi problemi con quelli che pensava avesse anche Jack, era per questo che si lasciò andare raccontandogli la sua vita.
Dopo un’acuta conversazione, Arthur propose una partita a cricket finché il pranzo non fu pronto finalmente in tavola.
Le portate erano ottime e tutti fecero i complimenti al cuoco. Dopo aver finito il pranzo, che si fece nel bellissimo giardino proprio sotto il gazebo davanti alla stanza di Eleonor, i camerieri offrirono qualcosa di fresco e dissentante mentre si parlava.
Eleonor Peacock prese solo un acqua tonica, non reggeva molto l’alcool. Dopo le prime chiacchiere i presenti videro l’arrivo di un nuovo ospite.
Era una donna molto bella, alta, chiara, risoluta.
“Come mai questo ritardo, Kas?” Disse Arthur.
Come Eleonor aveva fatto, tutti notarono quel diminutivo e il sorriso di lei quando accettò il Gin cocktail.
“Un donna si fa aspettare, Arthur; Come un qualsiasi oggetto che si brama alla follia. Lo attendi con tutto te stesso e alla fine, quando è tuo, ti senti meravigliosamente bene."
Tuttavia, quello che colpì Eleonor non fu la palese relazione che ci fosse fra Kassandra Scarlett e Arthur Black, quello che interessava a lei era la stessa Kassandra.
La guardava,  ne guardava i movimenti, le labbra, gli occhi, l’altezza, le mani, i vestiti come se potessero dissipare il dubbio che si era creato in lei, un dubbio che la mangiava da dentro, che la logorava da quando aveva sentito il cognome della ragazza.
Da un ora dal suo arrivo si unirono agli ospiti Mrs Miles Black, la moglie di Arthur e Mr Hudson George, un nuovo invitato.
La signora Black andò subito a presentarsi agli ospiti prima di andare a salutare il marito. Gli passò davanti molte volte, molto probabilmente per fargli notare il taglio di capelli che sembrava fatto recentemente, forse quella mattina stessa, prima di salutarlo con un leggero bacio a fior di labbra.
Mr Hudson George, invece, era un bel ragazzo sui venti, venticinque anni e mentre Arthur lo presentava non disse nulla. Ad Eleonor gli ricordò molto suo figlio Harry.
L’ultimo ospite che si presentò alla villa fu Victor Plum, prestigioso insegnante di Storia dell’Arte di facoltà nell’Università di Oxford. Ad Eleonor sembrò un tipo abbastanza viscido e furbo, senza contare il suo narcisismo ed egocentrismo smisurato che probabilmente superava quello di qualsiasi donna.
Dalle quattro e trenta il gruppo si separò, Arthur si scusò molto con gli invitati per doverli lasciare da soli alla villa per un lavoro da finire, ma doveva essere completato entro il giorno stesso, quindi si ritirò nel suo studio. Jack Mustard, invece, andò a riposarsi nelle sue stanze e Jacob Green e Victor Plum seguirono il suo esempio. Anche Mrs Miles Black tornò in villa per parlare con la cameriera della cena, mentre Hudson andò a sistemare i pochi bagagli che aveva portato con se visto che prima non aveva potuto farlo.
Eleonor e Kassandra rimasero sole e fu la più giovane a chiedere gentilmente a Peacock se gli andava di fare una passeggiata nel giardino inmenso della tenuta. Lei, che non aspettava altro, accettò.
“Mi dica, come ha conosciuto Arthur.” Chiese la ragazza
“Sono passati anni, in realtà. Quindi non posso dire di conoscerlo molto bene. Ero partita con la mia famiglia per una crociera a Santa Monica e per sbaglio ci avevano assegnato lo stesso tavolo al ristorante. Lui era in compagnia della moglie, fu così che ci conoscemmo. Mi chiedo comunque come abbia fatto a ricordarsi di me dopo tutto questo tempo.” Rispose lei.
“Oh, ma Arthur è così. Si ricorda di ogni persona che incontra e capisce anche se questa persona è speciale e degna d’attenzione.” Disse Kassandra.
“Lei lo conosce bene, vero?” Chiese stavolta Eleonor
“Si. Era un conoscente della mia famiglia quindi lo conosco fin da piccola,  inoltre andavano a scuola insieme. Quando io ero al terzo anno lui era al settimo ma mi ha aiutato molto.”
Era interessante sentirla parlare, era una donna a modo e gentile, anche se sembrava averne passate tante. Quando stavano per rientrare nella villa, andando nelle proprie stanze per riposarsi un po’ prima della cena, Kassandra gli rivelò quello che Eleonor non era ancora pronta ad ascoltare.
“Quando scoprii dell’adozione non sapevo come comportarmi con i miei genitori,  Arthur mi ha aiutato tanto anche in questo. Gli devo molto.”
“Lo immagino.” Rispose Eleonor, evasiva, prima di raggiungere la sua camera quasi in tutta fretta ed abbandonarsi dietro la porta che l’avrebbe ‘protetta’.
Non avrebbe mai pensato che scappando da quella quotidianità in cui era rinchiusa e da quella famiglia tanto perfetta da nascondersi segreti, avrebbe trovato il passato . Un passato che si era dolorosamente lasciato alle spalle e che non era pronta ad affrontare di nuovo.
Automaticamente i ricordi riaffiorarono, la sorpresa della scoperta, la paura di quello che avrebbe provocato, il timore di non essere pronta ma l’immensa felicità e la completezza di quando lei era venuta al mondo. La solitudine di quando lei se n’era andata.
“Miss Peacock, congratulazioni. Lei è in dolce attesa” Gli aveva detto sorridente il dottore che l’aveva visitata, ma quella che sarebbe dovuta essere una felice notizia creò il panico in lei.
Cominciò a vagare per le vie cittadine senza fare caso a dove andasse, vedeva già la reazione del padre che, dopo averle urlato contro ed averla schiaffeggiata, si preparava ad andare da Thomas.
Lui ancora non sapeva nulla, cosa doveva fare?
La loro relazione non era accettata dalla famiglia di lei e i due erano costretti a vedersi in segreto, cosa sarebbe successo se
avrebbero saputo che fosse rimasta incinta a venticinque anni?
Fu difficile scegliere e passò giorni interi a pensare all’aborto.
Eleonor non era mai stata una persona molto religiosa, però gli capitò molto spesso di pensare all’aborto come ad un qualcosa di innaturale e sbagliato.
Le settimane passarono senza che lei prendesse una decisione, fin quando non arrivò il giorno del controllo medico, quando vide per la prima volta i lineamenti immaginari del suo futuro bambino e ne sentì il flebile suono del piccolo cuore.
Eleonor non seppe se fu proprio quella prima ecografia, quel suo primo incontro a farle prendere la decisione definitiva, tuttavia scelse di avere il bambino.
Lo disse quindi a Thomas, che dopo una sorpresa iniziale fu felicissimo della notizia, ripetendosi con il sorriso sulle labbra: “Sarò papà!”
Passarono nuovi giorni, nuove settimane e pian piano la pancia cominciava a vedersi. Eleonor era ancora preoccupata di come la famiglia l’avrebbe presa, tuttavia in quel tempo i due si erano trasferiti ed avevano cominciato una convivenza. Thomas aveva trovato un buon lavoro, quindi la loro situazione economica non era per nulla instabile, non avrebbero fatto mancare nulla al bambino.
Tuttavia, anche se fossero diventati ricchi non sarebbe servito a far cadere Thomas sotto una luce diversa, per il padre di Eleonor lui era il male, colui che aveva allontanato la figlia dal suo controllo e non glielo avrebbe mai perdonato.
Fu così che quando Eleonor partorì quella bellissima bambina e gli diede il nome di Kassandra – in onore della gentile madre di Thomas che li aveva sempre aiutati, mancata qualche anno prima – successe il finimondo.
Currado Peacock venne all’ospedale, ma non per congratularsi con la figlia e vedere la sua dolce nipotina appena venuta al mondo, ma per fargliela pagare al bastardo che l'aveva fatto accadere..
Ci vollero quattro uomini della sicurezza per cacciarlo fuori dal reparto e dall’ospedale stesso prima dell'arrivo della polizia. Thomas fortunatamente non aveva riscontrato ferite gravi e fu subito medicato da un infermiera.
La cosa che spaventò più Eleonor, tuttavia, furono le ultime parole gridate da suo padre: “ Ricordati che non sei più nostra figlia.”
La paura non era dovuta perché avrebbe dovuto abbandonare la famiglia, ma perché quella famiglia avrebbe potuto rovinarla. Erano sempre stati i più ricchi e suo padre aveva molti contatti, con una sola telefonata poteva far accadere l’inverosimile.
E così accadde. Thomas perse il lavoro due giorni dopo, le sue suppliche sul fatto che aveva appena avuto una bambina e che non poteva perdere il lavoro in quel momento non scatenarono nemmeno una piccola reazione al sovrintendente che gli diede solo cinque minuti per sgombrare la sua scrivania, nessun altro era disposto a dargli un posto.
Passarono così le settimane  ed Eleonor non sapeva che fare, essere una madre era un compito difficile, soprattutto se non si avevano soldi con cui mandare avanti la famiglia.
La decisione che prese, quindi, fu quella di proteggere ed aiutare le persone che amava di più.
Si mise in contatto con una buona famiglia, i Scarlett erano stati sempre considerati una famiglia invidiabile. Mrs Anna Scarlett era una donna bella e gentile e anche il marito era un brav’uomo, con un buon lavoro e che adorava i bambini. I due avevano già tre figli.
Eleonor gli espose la situazione e loro furono molto comprensivi, come se potessero capire il dolore che tutto quello le aveva comportato. Accettarono così l’adozione di Kassandra.
Lei, in seguito, abbandonò la casa dove, anche se per poco tempo, aveva vissuto con la sua piccola famiglia, tornando ad essere intrappolata sotto il tetto del padre e lasciando come spiegazione a Thomas solo una misera lettera.
A quel tempo gli sembrò la scelta più giusta da fare, assicurare a Kassandra un futuro certo e non pieno di 'se' come quello che avrebbe potuto offrirle lei.
Thomas tornò da lei più volte per chiederle spiegazioni, ma il padre gli impedì sempre di vederla, fin quando non si avvicinò più a casa loro.
Gli anni passarono ed Eleonor vide solo da lontano la crescita di Kassandra, che giocava con le sue sorelle nel giardino di villa Scarlett.
Si sposò, qualche anno dopo, con un giovane presentatole da suo padre ed insieme ebbero il figlio Harry, che crebbe agiato, in una famiglia benestante.

Fu riportata alla realtà dal bussare della porta, Diana White l’avvertiva di prepararsi per la cena.
Anche se controvoglia e con la mente da tutt’altra parte, Eleonor indossò il suo vestito migliore, blu notte, che le ricadeva giù con grazia sino oltre le caviglie e con una piccola scollatura sul seno. Aggiunse degli orecchini ed un ciondolo dello stesso colore, si sistemò i capelli ed uscì dalla stanza.
Incontrò Kassandra che scendeva dalla rampa di scale.
Aveva lasciato i capelli mori, quasi corvini, sciolti, alcune ciocche le ricadevano sulle spalle. Indossava un semplice vestito rosso di seta senza spalline e degli orecchini rubino.
Era splendida.
“Che bel vestito Eleonor, complimenti!” Disse, gentile.
“Tu sei meravigliosa.”
Kassandra sorrise ed insieme raggiunsero la sala.
La cena fu ottima e si passò splendidamente, finché, verso le nove e un quarto, non si ritirarono tutti nella sala di ricreo. C’erano divani e poltrone comode, una grande libreria, scacchiere e altri vari oggetti. Tutti si interessarono molto alla partita a scacchi tra Mr Mustard e Mr Hudson.
Finita questa, in cui il vincitore fu Mr George, tutti furono invitati a seguire Diana White finché, entrati in una delle camere munita di una scala interna, non uscirono all’esterno.
Si ritrovarono sul tetto dell’edificio e le stelle cominciarono a cadere.
Verso le undici tutti furono d’accordo nel rientrare, le nuvole avanzavano coprendo quindi la visuale, ognuno tornò nella propria camera ed Eleonor salutò Kassandra prima di andare a riposare. Quella notte non dormì molto bene, continuava a girarsi e svegliarsi continuamente da sogni in cui lei era processata con l’accusa di abbandono, oppure assisteva alla prima delusione d’amore di Kassandra, la vedeva piangere ma non poteva dirle niente né aiutarla.
La mattina fu quasi la salvezza, finché non sentì qualcuno urlare. Si alzò immediatamente, coprendosi con un giacchetto ed uscendo dalla camera. Kassandra era a terra, con in viso un’espressione spaventata e sorpresa. Diana le era accanto, cercando di farla calmare mentre Mr Mustard  accanto a loro teneva lo sguardo dritto nel toilette di servizio del piano.
Riverso  a terra, in una posizione rigida e con un espressione di dolore, giaceva il corpo di S. Arthur Black, colpito alla tempia con una pistola.
Mr Mustard fece allontanare tutti dalla scena e poi intimò a Diana di chiamare Scotland Yard, che dopo una mezzora arrivò alla residenza.
La detective che aveva risposto alla chiamata era una donna, Joanne Christie. I capelli lunghi e biondi tinti raccolti in un chignon fatto di fretta e rovinato dal cappello che si era tolta entrando, alta e decisa ma ad uno sguardo attento non potevano sfuggire le occhiaie sotto gli occhi ed uno sguardo spento.
Venne condotta dall’ex medico sulla scena per poi ordinare ai poliziotti che l’avevano accompagnata di controllare tutta la villa mentre il coroner, in un primo esame, stabiliva l’ora e la causa della morte. La detective si occupò successivamente degli interrogatori dei presenti.
“Allora, Mrs Peacock. Da quanto conosceva Sir Black?” Chiese la donna.
“Da poco. Il nostro primo incontro risale a molto tempo fa, ci incontrammo su una nave diretta a Santa Monica. Dividevamo il tavolo dei pasti, ma alla fine della crociera non lo rividi più, almeno finché non mi invitò alla sua cena.”
“Cosa pensa di questa cena?” Chiese ancora Joanne.
“In che senso mi scusi.” Eleonor aveva già molti problemi a cui pensare e questo era un altro che si aggiungeva alla lista, provava agitazione insensata in quel momento.
“Non le sembra strano che ne abbia organizzata una così, all’improvviso? E che abbia invitato lei dopo anni senza contatti?”
“Mi sta forse accusando di qualcosa, detective? Non so perché Sir Arthur abbia voluto organizzare questa cena e neanche perché abbia voluto invitarmi.”
L’interrogatorio fu lungo ma alla fine tutti poterono tornare alla loro vita di sempre, salutando per l’ultima volta villa Tudor.
Tornata a casa Eleonor era molto più stanca di quando fosse partita e le parole del marito non furono per nulla d’aiuto.
“Si può sapere cosa ti è saltato in mente? Te ne sei andata senza dire una parola.”
“Ti ho lasciato un biglietto mi pare.” Rispose lei, concentrandosi affinché il suo mal di testa svanisse.
“E ti sembra sufficiente?” Chiese il marito, adirato.
“Comunque, ho saputo che Harry non viene più a cena oggi.”  Disse lui, calmandosi un poco.
“Si, infatti.”
“Perché?” Chiese burbero.
“Avrà altro da fare.” Rispose lei evasiva, mettendosi a sedere su uno dei divanetti bianchi del salone.
“Cosa c’è di più importante di venire a mangiare a casa dei propri genitori?”
Magari farà sesso sfrenato con  quel bel ragazzo che vive con lui, cosa che tu non fai più da anni.
Pensò Eleonor, rispondendo, invece, tutt’altro.
I giorni passarono e quel giorno passato a villa Tudor si allontanava sempre di più, come se fosse successo anni prima.
Eleonor si rese conto del poco tempo passato in realtà solo grazie all’articolo della vicenda sul The Guarians.



“Diana White e Kassandra Scarlett accusate dell'omicidio di S. Arthur Black, proprietario di villa Tudor."
"Durante la cena che S. Black aveva organizzato la notte di S. Lorenzo, la signorina Kassandra Scarlett aveva inviato un biglietto d’incontro a quest’ultimo, intimandogli di vedersi verso le due del mattino nel bagno di servizio. La vittima, accettando l’invito, si trovò davanti Diana White, governante in carica ed ex educatrice del proprietario della villa, che lo uccise con un colpo di pistola alla tempia."
"Le due ragazze, divenute complici, sono ora sotto la custodia della polizia, aspettando un regolare processo. Si pensa che il movente che abbia spinto le due ad assassinarlo fossero le molteplici relazioni con altrettante donne diverse in cui S. Black era coinvolto.”


Il mondo le crollò addosso, era impossibile, non poteva essere vero.
Le sembrava ieri che le stesse dicendo, confidandosi, che Arthur l’aveva aiutata tanto, che gli doveva molto e ora l’aveva ucciso? Impossibile.
Si preparò in fretta, prese un taxi e andò a Londra.
Forse fu una cosa stupida, ma pensò di poter aggiustare le cose solo parlando con la detective Christie e spiegandole la situazione, cosa che non successe.
Tornò allora a casa, triste e dubbiosa. Cosa doveva fare? La sua Kassandra non avrebbe mai fatto una cosa del genere, ne era certa tuttavia non sapeva come provarlo.
Il giorno seguente, come se avessero letto nel suo pensiero, bussarono alla porta Jack Mustard e George Hudson. Volevano parlare con lei, stavano indagando sul caso.
“Ci dica Mrs Eleonor, ha visto qualcosa che potrebbe far riaprire il caso? Qualcosa che potrebbe aiutare Kassandra?” Chiese il giovane
“No, mi spiace.” Rispose lei, tutto quello le fece venir voglia di piangere.
“Subito dopo essere scesi dal tetto sono tornata in camera, salutando Kassandra. Quando io sono entrata, lei era sulla soglia della sua camera e credo fossero circa le undici, undici e dieci.” Spiegò ancora.
“Non c’è nient’altro che posso dirvi, mi spiace” Si scusò.
“Ma perché chiedete questo? C’è la possibilità che si siano sbagliati, vero?” Chiese subito dopo, con un tono che fece trasparire un po’ d’agitazione.
“Kassandra non avrebbe mai ucciso Arthur, mi ha raccontato che l’aveva molto aiutata quando erano piccoli, sono praticamente cresciuti insieme.” Disse.
I due ringraziarono e se ne andarono, con la promessa di fare giustizia.
Pochi giorni dopo scoprì che Mr Mustard e Mr Hudson ce l’avevano fatta, Kassandra era libera e scagionata da tutte le accuse. La vera colpevole era Mrs Miles Black, la moglie di Sir Arthur.
Eleonor si felicitò molto della notizia, sperando che Kassandra non fosse rimasta troppo scossa.
Era domenica di tarda mattina, Eleonor stava preparando il pranzo, Harry aveva finalmente accettato di pranzare con loro, portandosi anche James, si chiese se non volesse rendere la sua relazione ufficiale.
Il campanello suonò.
Eleonor si ritrovò il bellissimo volto di Kassandra sulla soglia della sua porta, non sembrava per nulla scossa da quello che era successo, era raggiante più che mai.
Era vestita con un bellissimo tailleur giallo chiaro con i bordi bianchi, accostato a delle scarpe con un tacco non troppo alto e un capello degli stessi colori del vestito. Pelle candida e lunghi capelli mori che le ricadevano sulle spalle.
“Ciao Eleonor” Disse, sorridendo.
“Spero di non averti disturbata.” Aggiunse
“Ma ti pare, entra pure. Mi fa piacere vederti!” Esclamò Eleonor in rimando.
Eleonor fece accomodare Kassandra in soggiorno, andando ad abbassare il fuoco dei fornelli e tornando con del vino che aveva tenuto per pranzo.
Lei ringraziò, bevendo un sorso prima di cominciare a parlare.
“Ho saputo che sei andata a parlare con la Christie per farmi uscire, hai sempre saputo che ero innocente?” Chiese
“Sempre. So che non avresti mai potuto fare una cosa del genere.” Rispose Scarlett
“E come, non ci conosciamo che da pochi giorni.” Disse lei, provocando in Eleonor dispiacere.
Era vero, loro non si conoscevano, anche se condividevano un legame di sangue. Cosa poteva fare Eleonor adesso?
In quei giorni aveva pensato spesso di rivelare a Kassandra la verità, tuttavia come poteva stravolgerle la vita così?
Sarebbe stato egoista e lei non lo voleva, come non voleva fare del male alla figlia. Avrebbe continuato ad osservarla da lontano, come faceva nei primi tempi della sua infanzia.
Scarlett si alzò in piedi, cominciando a camminare per il salotto finché non fu catturata dalla piccola scarpetta rosa sul camino.
Quella scarpetta da bambina era un regalo che Eleonor aveva voluto fare a Kassandra quando lei aveva compiuto cinque anni, subito prima di trasferisi, l’aveva consegnata ad Anna Scarlett per essere sicura le arrivasse.
C’era inciso il suo nome dietro, in carattere corsivo. Erano state fatte su misura e ne aveva ordinate tre. Un paio per la piccola ed una sola per lei, a ricordale quel pezzo di anima che non aveva più.

“Me la ricordo questa.” Disse Kassandra, sfiorandola con le dita.
“Perché non sei venuta a darmele di persona?” Domandò
Eleonor si sorprese. Lei sapeva?
La ragazza tornò a sedersi vicino alla donna, prendendole la mano.
Si, lei sapeva e questo rese Eleonor felice anche se timorosa. Cominciò a piangere e a quel punto Kassadra l’abbracciò.
Un abbraccio che dava sicurezza per il futuro, amore, comprensione e perdono.
Dopo ventisei anni dall’ultima stretta delle sue piccole manine, Eleonor poteva finalmente stringere a sé la figlia senza aver paura di quello che sarebbe potuto succedere.

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Capitolo 4
*** #03. Molly Mac Diarmid: La bambina che adorava leggere ***


#03.  Molly Mac Diarmid: La bambina che adorava leggere


Joanne Christie era rientrata tardi anche quella sera, sospirando nel sentire il silenzio che ormai dilagava in casa da tempo.
Si tolse la giacca e poggiò chiavi e telefono sull’isola della cucina, notando così il biglietto che Alex le aveva lasciato: “Non posso stare sempre ai tuoi comodi
Sbuffò, aprendo il frigorifero e prendendo un panino già preparato e una birra, mettendosi poi seduta sul divano accendendo la televisione.
Era stanca. Stanca della sua vita, stanca del silenzio della casa, stanca del suo lavoro.
Soprattutto del suo lavoro,  che le aveva portato via quella poca felicità rimasta dopo la morte dei genitori.
Dopo un sorso di birra chiuse gli occhi, abbandonandosi al ricordo della voce di Molly che la chiamava a gran voce per il ritorno del papà e chiedere ad entrambi se volevano andare a prendere un gelato tutti insieme, interrotti però dallo squillo del cellulare di lei, che l’avvertiva di una tentata rapina a mano armata in una banca vicino al centro di Londra.
Non era la prima volta che il suo lavoro si metteva tra lei e la sua famiglia, ma in un caso del genere come poteva voltare le spalle a quelle persone in pericolo solo per un gelato?
Come detective aveva delle responsabilità che non poteva ignorare.
Alex capiva tutto ciò ma arrivò al punto di non poterlo più sopportare, finché non cominciarono i primi litigi che andando avanti si trasformarono in un documento di divorzio da firmare.
Molly era distrutta da questo ed anche se Joanne voleva stargli vicino più di ogni altra cosa, c’era ancora il suo lavoro che glielo impediva.
Era successo la stessa cosa quella sera, Joanne sarebbe dovuta rientrare alle cinque per poi andare a prendere Molly alla scuola di danza, era rincasata alle dieci di sera.
Prese il telefono, controllando i messaggi. Era sicura che Molly stesse con il padre, che le aveva scritto quel biglietto, ma voleva comunque controllare.
Lo trovò, in mezzo ad altre mille messaggi da leggere, alcuni della centrale, altri da Rose e Jenna – non le sentiva da settimane ormai – altri ancora dalla direttrice della scuola della figlia.
“E’ con me.”
Solo tre parole, ormai era da tempo che tra lei e l’ex marito non c’era più dialogo e questa era un’altra cosa della sua vita che odiava.
Si addormentò sul divano con la televisione accesa, risvegliandosi solo il giorno dopo verso le nove, quando il suo telefono squillò di nuovo.
Joanne rispose  senza fare caso a chi fosse, trovandosi a parlare con la docente responsabile della scuola della figlia.
“Salve signora, mi piacerebbe poter parlare con lei questo pomeriggio verso le quattro, è possibile?” Rispose si, prendendo appuntamento per poi alzarsi dal divano ed entrare nella doccia.
Arrivò alla centrale verso le dieci meno dieci scontrandosi contro Clara e Matt che si dirigevano fuori dall’edificio.
“Sei arrivata finalmente. C’è un emergenza alla villa di un riccone, Sir Arthur Black, è stato assassinato. Vieni con noi?”
Neanche a dirlo, Joanne si catapultò giù per la rampa di scale entrando nuovamente in macchina accompagnata dai colleghi.
“Cosa sappiamo?”
“Uomo, 45 anni. La chiamata è stata fatta dalla governante, per quel che sappiamo gli hanno sparato.” Disse Clara, dal sedile posteriore.
Era cominciata un'altra giornata e subito con un omicidio. Era in momenti come questi che Joanne si chiedeva cosa l’avesse spinta ad entrare in polizia, il lavoro del padre forse?
Cosa c’era di così bello nel vedere cadaveri dilaniati da ferite o con buchi in più che non si dovrebbero avere?
Probabilmente, quando aveva deciso la sua strada, aveva pensato solo ai lati positivi. Cercare di aiutare le persone, tuttavia, costava quello che era successo alla sua famiglia?
Smise di pensare a cose del genere quando videro in lontananza la villa, doveva rimanere concentrata.
Vennero ad aprire e dopo le presentazioni, Joanne fu scortata al piano di sopra da uno degli ospiti, Jack Mustard, che le mostrò il cadavere e gli espose a grandi linee la vicenda.
"E' stato trovato così questa mattina, eravamo stati tutti invitati alla cena che Sir Black aveva organizzato, a parte i camerieri e le governanti. Oggi saremmo dovuti tornare tutti alle nostre vite abituali e invece..."
Joanne si chinò sul corpo, colpo alla tempia.
“Non ha avuto neanche il tempo di accorgersene.” Disse con rammarico, voltandosi per prendere quello che le serviva per dare una prima occhiata al corpo e notando che il signor Mustard non era più dietro di lei.
L’aveva osservato attentamente, era stato il primo ospite con cui aveva avuto modo di parlare. Atteggiamento rigoroso, tipica postura da militare.
Si passò agli interrogatori quando Joanne scese di nuovo al piano inferiore e si divise i compiti con i due colleghi e gli altri della squadra.
"Lei è l'uomo che conosceva meglio la vittima di tutti gli invitati giusto?" Gli chiese, il tono di chi cercava di capire se l’interrogato stesse o meno mentendo.
 "Bhe, non è proprio corretto. Si, io conoscevo Arthur da tempo ma c'è..." Mr Mustuard fece una pausa,  pensando.
 "Si, Signor Mustard?"
 "Bhe, intendevo dire che anche la moglie lo conosceva bene, e anche Diana, è stata la sua educatrice un tempo.
 "Credo che anche tra Arthur e Kassandra Scarlett ci fosse dell'intimità." Disse

"Definisca intimità." Attaccò subito Joanne, come un mastino mai sazio di risposte.
 "Non lo so. Cosa le posso dire?"
 "Andavano a letto insieme?" Continuò, arrivando dritta al nocciolo della questione.
 "Io non lo so, cioè, non conosco Kassandra che da ieri."
Non sembrava che mentisse, così dopo altre poche domande sui loro atteggiamenti, Mustard fu libero di andare e Joanne passò all’ospite successivo.
Diana White era stata la governante e l’istitutrice della vittima e sembrava la più scossa dalla situazione. Rispose alle domande di Joanne a monosillabi e tenne sempre lo sguardo basso, incredulo.
Quando gli interrogatori si conclusero e tutta la equipe tornò a Scotland Yard, Joanne rimase a lavoro a controllare ogni profilo degli ospiti di quella sera.
Jack Mustard era, come aveva pensato, un ex militare e ricollegò facilmente la pistola che avevano trovato nel giardino della villa come sua. Capiva cosa aveva provato, riabituarsi alla vita civile non era facile, tuttavia si sarebbe aspettata un atteggiamento più freddo e meno impulsivo. Si assicurò che la pistola venne messa in regola e poi passò ad un altro profilo.
Kassandra Scarlett, viveva a Bradford e sembrava l’esatta donna che avrebbe potuto rubare il marito a chiunque. Conosceva la vittima da tempo, secondo i rapporti era un amico della famiglia che l’aveva adottata. Si chiese come avrebbe anche potuto pensare di ucciderlo.
Passò poi a Diana White, governante in carica ed ex educatrice della vittima. Dal suo interrogatorio non era uscito nulla al di fuori delle sue lacrime e Joanne si chiedeva se una ragazza così sconvolta potesse essere l’assassino.
Rimase molte ore alla sua scrivania a leggere e studiare i profili degli ospiti, finché il telefono squillò, quasi spaventandola.
Era Anderson, della scientifica.
“Abbiamo trovato qualcosa” Disse e Joanne si alzò dalla scrivania per raggiungerlo.
“C’era un biglietto nelle mani del cadavere. Non si leggeva bene, ci ho messo un po’ per capire.”
Anderson le fece vedere il biglietto che aveva riposto in una della buste di plastica per evitare contaminazioni di ogni genere. La scritta era stata trasportata al computer e da lì ricostruita.
Segnava un orario. ‘Appuntamento alle 2.00 nel bagno di servizio al primo piano, non vedo l’ora di vederti. Kassandra’
Questa dovrebbe essere stata una buona prova, anzi, davanti ad una giuria poteva anche significare la totale colpevolezza di Kassandra Scarlett, tuttavia Joanne non ne era tanto convinta.
Diede istruzioni di perquisire di nuovo la villa, Scarlett non aveva nulla né addosso né in borsa, (quindi l’arma del delitto doveva trovarsi ancora dentro la casa della vittima) e poi di mandare due agenti a prelevarla.
Quando entrò in casa sua c’era di nuovo silenzio, e Joanne sospirò. Si tolse quei vestiti fastidiosi e si mise una camicia spiegazzata poggiata sul divano prima di mettersi a dormire.
La mattina seguente suonò il campanello e quando andò ad aprire la porta si ritrovò Alex in giacca e cravatta pronto per andare a lavoro.
Lei lasciò la porta aperta per lasciarlo entrare andando verso il davanzale della cucina e riempiendosi la tazza di caffè. Non chiese se Alex ne volesse, lui lo odiava.
“Sei tornata tardi anche ieri notte non è vero?” Le disse lui e lei sorrise amara.
“Lo sai già, perché lo chiedi?” Rispose, bevendo un sorso.
“Quando capirai che prima o poi tutto questo ti farà male?”
“Lo ha già fatto.” 

Alex sapeva perfettamente a cosa Joanne si riferisse: la loro famiglia era andata in pezzi soprattutto per la sua dedizione al lavoro.
“Fisicamente intendo.”
E lei rise ancora.
Stettero per un momento in silenzio e poi tornò tutto normale, Alex batté le mani, sfregandole, come se fosse impaziente prima di chiedere: “ Dov’è Molly? E’ pronta per la sua giornata con papà?”
“Che?” Disse lei, certa di aver sentito male.
“Oggi deve rimanere da me, te lo sei scordato?” Disse lui.
E a quel punto Joanne sbiancò, sentendo la paura, il terrore stringerla in una morsa letale. Aveva voglia di gridare, urlare, picchiarsi.
La tazza le scivolò dalle mani e andò in frantumi a terra seguita dal suo corpo che, dopo aver perso i sensi, cadde sul pavimento.
Si svegliò all’ospedale, cercò di mettersi a sedere e allora vide suo marito parlare col medico.
Fece mette locale di quello che era successo e scese dal letto, staccandosi la flebo dal braccio e cominciando a vestirsi, Alex entrò poco dopo.
“Molly … ” Gli stava dicendo, lui sospirò.
“Ho già avvertito la polizia, devi stare tranquilla.” Aveva risposto. Non voleva ma era innegabile che pensasse che la colpa di tutto fosse di Joanne e del suo stupido lavoro.
“Mia figlia è sparita per colpa mia e tu mi stai dicendo di stare tranquilla? Tu come fai a stare tranquillo. Non sappiamo neanche dove sia e tu te ne stai qui, a fare quattro chiacchiere col dottore!” Urlò
“Mi accertavo che anche tu stessi bene. Vuoi farmene una colpa?”
Alex era sempre stato così, si diceva: “Cosa ci posso fare?” E preferiva piangersi addosso. Forse era anche quello il motivo della rottura del loro rapporto. Ma Joanne non era così. Uscì dall’ospedale e chiamò la centrale, avvertendoli che avrebbe partecipato alle ricerche e che nessuno avrebbe potuto impedirglielo.
“Dov’è stata vista l’ultima volta?” Le chiesero, tutti la fissavano.
“Doveva essere a scuola di danza, vicino a North Gower Street.” Rispose lei
“Abbiamo già chiamato la scuola ma la direttrice ha detto che la bambina se n’è andata come al solito. Da sola.”
Come al solito. Quelle parole le fecero male. Più male degli sguardi degli agenti che si sentiva addosso e che la colpevolizzavano, come fossero in un processo e loro fossero la giuria.
Passarono tutto il giorno a girare per Londra, nei posti che frequentavano di solito, dove a Molly piaceva stare, ma nulla.
“Va a casa, ti serve almeno un po’ di riposo okay?” Le disse Clara, con voce gentile, sperando di farla stare meglio anche se sapeva che questo non sarebbe lontanamente bastato.
Joanne aveva vissuto la giornata nel completo terrore e non solo per il fatto che Molly fosse scomparsa. Aveva paura che il suo telefono squillasse – di nuovo – e che le avrebbero chiesto dei soldi (o chissà quale altra cosa) per riaverla indietro, soldi che lei non poteva dare.
Questa, tuttavia, fu la variante migliore di quello che poteva accadere. Quando tornò a casa si mise a sedere sul divano, poggiando una foto di Molly – della loro famiglia – sul piccolo tavolino dove era solita mangiare da sola, e si strinse forte al petto il suo peluche.
Quella sera rifletté veramente sulla sua vita, sulla famiglia che avrebbero dovuto essere. Per la tanta foga che aveva di imitare suo padre, Joanne si era dimenticata dei problemi che avevano affollato la sua famiglia quando era una bambina, i litigi e i pianti: era diventata come lui.
Si addormentò e sognò lei che rispondeva al telefono e quello che le veniva detto era che avevano trovato Molly  e che poteva andare a trovarla in obitorio.
Il suo corpo piccino, un chiarore innaturale, il viso rilassato.
Si svegliò di soprassalto dopo che Molly si era alzata dal tavolo dove era sdraiata e si era rivolta a Joanne, continuando a ripetere: “Perché? Perché, mamma. Perché?”
Erano le due del mattino, si era alzata e ora girava per la camera della figlia.
Fissava tutto con molto attenzione. L’armadio bianco, quando l’aprì caddero alcuni indumenti. Le aveva sempre raccomandato di mettere in ordine, ma era più forte di lei, l’ordine le durava al massimo una settimana. Come il mobile, anche il resto della camera era ancora in disordine. Il letto sfatto, i giochi a terra e qualche cartaccia di merendine rubate di nascosto dalla cucina. L’unica cosa che teneva in ordine era la sua collezione di libri. Molly li venerava, non c’era un filo di polvere.
Se ne accorse all’improvviso, come se qualcuno di invisibile – un angelo custode magari – glielo facesse notare, mancava un volume dalla piccola libreria: Harry Potter e La pietra filosofale.
E all’instante Joanne capì dove Molly fosse, corse alla porta, prendendo solo le chiavi della macchina. Guidò per un po’ per poi parcheggiare sotto l’alta torre con l’orologio.
Si fece tutti i binari fino a che non raggiunse il nove e il dieci; Molly era addormentata, con il libro in mano, poggiata con la schiena sul muro che avrebbe dovuto condurla al binario nove e tre quarti.
Joanne pianse appena la vide, raggiungendola e sedendosi vicino a lei. Le accarezzò i capelli, guardandola mentre dormiva beatamente, la pagina del libro aperta. Joanne si chiese se Molly si sentisse come Harry, l’avere i genitori vivi ma non averli accanto pronti a proteggerti, a coccolarti, a giocare, era come non averli.
Chiuse il libro e prese Molly in braccio, raggiungendo la macchina e andando a casa. Joanne era riuscita a non svegliarla, la mise nel suo letto e uscì dalla stanza. Sarebbe potuta rimanere a guardarla tutta la notte, tuttavia andò in cucina e compose il numero di Alex. Lui rispose dopo alcuni squilli, con la voce impastata dal sonno, facendo rendere conto Joanne dell’ora: erano quasi le tre del mattino.
“L’ho trovata” Disse piangendo. “E’ casa adesso.” Continuò.
“Che cosa? Dov’era? Sta bene?” Disse agitato.
“Si, era a King’s Cross. Ora è a letto, dorme come un angioletto.” Fece una pausa. “Alex, perché non torni a vivere qui?” Confessò
“Cosa?” Ci fu una pausa.
Entrambi erano coscienti di amarsi ancora, ma per mantenere su un rapporto purtroppo non bastava solo l’amore.
“E’ per Molly. E’ come se non si sentisse amata.” Tirò su col naso. “Non voglio che si senta così Alex, non quando noi l’amiamo così tanto.” Soffocò ancora il pianto.
Sentì l’ex marito sospirare, come per darle ragione, e poi rispose:
“Ci serviva questo per riallacciare il nostro rapporto?”
“Sarò lì domani mattina alle otto. Ne parleremo meglio.”
La telefonata finì.
Quella notte Joanne dormì nel letto della figlia, abbracciata a lei, tenendola stretta per non farla scappare di nuovo.
Entrambi i genitori si presero una settimana dal lavoro e da qualsiasi altro impegno che avevano e trascorsero quei giorni insieme, come una vera famiglia.
Molly era felice e il rapporto tra Joanne e Alex si stava pian piano riparando, anche se c’erano ancora molte incomprensioni.
Quando Joanne tornò al lavoro, trovò sopra la scrivania del suo ufficio una lettera indirizzata a lei e un articolo di giornale di qualche giorno prima. Il caso che stava seguendo prima che Molly scomparse era stato assegnato a Clara vista la situazione e lei solo ora era venuta a conoscenza dei fatti.
Secondo il The Guardians erano state Kassandra Scarlett e Diana White le assassine di S. Arthur Black, tuttavia non si vedeva d’accordo con l’esito del caso.
Aprì la busta e ne lesse il contenuto:
“Detective Christie l’invito a leggere il contenuto di questa lettera se vuole veramente scovare il colpevole del delitto commesso questo dieci di Agosto.

Ogni persona, fatta eccezione del personale e la moglie della vittima erano tutte persone invitate da quest’ultima per una cena estiva, di conseguenza sconosciute tra loro. Dopo la cena, in cui tutti erano presenti, gli invitati si spostarono in una sala dove venne servito loro il dolce prima di seguire Diana White, accusata di aver assassinato il suo capo, verso la veranda dove avrebbero passato la serata ad ammirare le stelle cadenti.
Verso lei undici di sera il tempo cambiò, rendendo impossibile la visuale e costringendo tutti a tornare nelle proprie stanze. Nessun invitato qui ad un alibi per le due del mattino, almeno finché i letti dove i presenti a villa Tudor abbiano dormito non comincino a parlare, quindi tutti sono possibili indiziati. Avete accusato, oltre che la governante, anche Kassandra Scarlett, amica intima di S. Arthur Black, per il ritrovamento di un bigliettino nelle mani di quest’ultimo, secondo cui lei lo incitava a farsi trovare nel bagno di servizio del secondo piano per un incontro romantico. Ottima esca per ucciderlo, tuttavia la vostra deduzione – fatta in base alle prove che credevate indiscutibili – è errata. Il biglietto, difatti, non è stato scritto da Kassandra come la pistola non è stata impugnata da Diana White. Se il vostro team avesse fatto una leggere attenzione in più avrebbe veramente scoperto l’indizio cruciale. Nel bagno dove la vittima è stata uccisa c’è un entrata secondaria che conduce ad una stanza in disuso da parecchio tempo, lì abbiamo trovato la prova che le mando come supplemento in questa missiva.
La fede nuziale appartiene a Miss Miles Black, moglie – ormai vedova - della vittima. Quest’ultima, venuta a scoprire delle molteplici relazioni di suo marito e sentendo che tra loro, ormai, non c’era più amore, decise di punirlo compiendo un gesto estremo. Scrisse il biglietto a nome di Kassandra e chiuse appositamente il suo bagno per farla recare in quello di servizio dove avrebbe poi trovato il corpo. Mentre tutti erano concentrati sul ritrovamento, Miss Miles nascose la pistola in camera di Diana per poi raggiungere il bagno e mettendo in atto la scena di moglie addolorata per la scomparsa del marito. A confermare ciò, una dichiarazione di un maggiordomo di casa Tudor che esclama che la Signora Miles non ha più messo piede in quella villa dopo l’accaduto quando a me ha espressamente risposto che non aveva intenzione di lasciarlo. Quando sono andato a parlare con lei, i vestiti che indossava erano troppo puliti per un giorno di pioggia come quello che c’era stato il giorno prima e anche il maggiordomo ha confermato che quella era la prima volta che la donna rimetteva piede nella villa, come se si fosse dimenticata di qualcosa.
Ebbene, detective, scommetto che quella fede è la cosa che la Signora cercava così disperatamente. Faccia pure i dovuti controlli, a presto.

Jack H. Mustard."

Joanne raggiunse l’ufficio di Clara e le fece leggere la lettera.

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