Programma: C.A.L.D. di Ephi (/viewuser.php?uid=131928)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 1 *** Prologo. ***
PROGRAMMA: C.A.L.D.
PROLOGO
Se state pensando che questa sia la storia perfetta di una persona
perfetta, avete sbagliato sicuramente a seguire le indicazioni.
Non è il mio caso, credetemi. Niente figoni semi-morti e
dalla pelle marmorea, niente semi-lupi che si tatueranno il mio nome
sul braccio, niente supereroi con martello e caschetto pronti a
scatenare lampi e tuoni solo perché fanno un gran casino. Io
sono sempre stata solo quella complessata della situazione.
Ora vi chiederete perché dovreste stare a sentirmi ancora,
e, effettivamente, avreste solo ragione. Non saprei nemmeno elencarvi
motivi sufficienti per stare qui a perder tempo con me e alle mie
farneticazioni su gente del calibro di Perseo, Teseo, Odisseo, un sacco
di -seo.
Cosa c'entrano, dite? Ecco, me lo chiedevo anche io.
La mia tranquilla, allegra, monotona vita era tutta articolata in
piccolo arcipelago di isolette conosciute, per lo più, per
la loro simpatica componente (altamente) vulcanica. Oltre che per Lilo
e Stitch.
Quel pomeriggio me ne stavo dietro al carretto dei gelati che il signor
Mead mi aveva gentilmente prestato per cominciare il mio ennesimo
lavoretto estivo. Sistemai alcune - no, troppe - ciocche ribelli sotto
il berretto arancione e gli occhiali da sole. Vedevo fin troppi
bambinetti saltellanti, durante il giorno, e le scorte di gelato erano
praticamente destinate solo a loro. Di conseguenza, il mio guadagno
aumentava.
Per adesso era quello il mio obbiettivo: cavarmela da sola,
specie per realizzare il mio sogno. C'è chi svaluta
senza riserve i bambocci di quindici anni come me, solo
perché vivono ancora nel mondo dei desideri. Il mio era fin
troppo grande, diceva il signor Mead, ma lo trovava nobile.
In più, volevo partire per New York, visitare la Grande
Mela, ma non volevo dare peso alle tasche di mia madre, già
troppo occupata a mantenerci entrambe. Aveva un piccolo chioschetto
sulla spiaggia, vendeva un sacco di oggettini strani, con la piccola
differenza che era lei stessa a crearli. Autentici capolavori, credete
a me. Avevo appesi al collo almeno sei (uno l'avevo perso, va beh)
delle sue creazioni. Diceva mi avrebbero protetta, diceva che lui mi
avrebbe riconosciuto, quando li avrebbe visti. Per Lui, intendeva mio
padre.
Ma non parliamone.
Il mio carretto dei gelati era già semivuoto, data la massa
informe di turisti che invadeva le vie del lungomare. L'ultimo bimbetto
a cui diedi un ghiacciolo alla ciliegia mi ringraziò con una
specie di pernacchia, poi corse via, prima che potessi scagliargli
addosso una vaschetta di gelato alla vaniglia. Alzai gli occhi verso il
cielo e sentii sulla pelle che il sole stava cominciando a perdere
calore. Di lì a poco sarebbe arrivato un nuovo, bellissimo,
tramonto. E anche la "gara" a cui avrei partecipato quella sera stessa.
Non ero mai stata brava con le pistole, non quanto i miei amici. No,
calma. Non voglio dire che esco con gli agenti di CSI Isole Hawaii.
Voglio solo dire che i miei compari hanno una certa passione per i
giochi del luna park, in particolare quelli di tiro al bersaglio.
Quella stessa sera, poi, il più rompibballe di tutti, Tim,
aveva deciso di sfidare me (la più sfigata di tutti) a
VINCI-IL-PESCE-ROSSO-O-TI-BUTTO-IN-MARE, tanto per far capire agli
altri che lui era il più bravo di tutti.
Per riassumere: avevo un bagno in mare a cui prepararmi.
Riportai il carretto al bar del signor Mead (che per la cronaca,
assomigliava tanto a un tricheco, con tanto di baffoni arricciati. Era
bellissimo.) e mi trascinai fino a casa, gettando di tanto in tanto
qualche occhiata all'oceano.
Non avevo mai avuto paura di gettarmi in mezzo a quelle onde enormi.
Sentivo, in qualche modo, che qualcuno potesse capirmi, quando stavo
lì. Spesso mi capitava di rimanere seduta sul bagnasciuga e
conversare amabilmente con qualche granchio o pescetto microscopico. Le
stesse conversazioni che faresti anche col tuo vicino di casa, per
capirci.
-
Ehi Sam -
-
Ciao Jen, allora? -
sguazzava, il pescetto Sam - Com'è andata oggi coi bimbetti
assatanati? -
-
Una meraviglia, come
al solito -
-
Sei sempre stata brava
col sarcasmo -
-
La Donna del Sarcasmo,
mi farò chiamare così -
E mi continua a chiamare così.
Mi gettai nella doccia tentando di togliere il più possibile
la salsedine che costantemente mi si appiccicava addosso. Adoravo
quell'odore, ma non era carino presentarsi ad un'uscita come se avssi
pescato tonni fino a mezzora prima, diceva mia nonna. Come se mi
importasse.
Afferrai un paio di pantaloncini e una canotta, sgranocchiando qualcosa
alla veloce. Salutai mia madre con un urlo e raggiunsi di corsa la
piazzetta al centro del villaggio. Come mi aspettavo di trovare, Kevin
era seduto sotto una delle palme, la gamba zoppicante stesa sulla panca
di pietra. Si guardava attorno come se aspettasse di incontrare un viso
familiare il prima possibile. Quando mi vide, si sbracciò
come un matto. Mi avvicinai, con un cenno di capo.
- Ehi, Jenna! -
- Odio
quando mi chiami così -
- Allora, Jenna, com'è andata a lavoro? Tutto apposto? -
Annuii, sedendomi di peso accanto a lui. - Sì, certo. Non
capisco perché ti preoccupi così tanto -
- Sai che accadono cose strane, da un po' di tempo a questa parte -
disse Kevin, come per riprendermi.
- Sì, lo so, ma non è che tutte le vecchiette
vogliano uccidermi - aggiunsi in fretta, trattenendo una risata.
- Vecchiette, certo, vecchiette.. - bofonchiò lui, girando
con cautela la gamba malmessa.
- Ancora con questa storia? Andiamo, su con la vita.. -gli diedi una
pacca sulla spalla - Sono troppo forte per farmi ammazzare -
- Tu non capisci - disse all'improvviso, esattamente come una settimana
fa.
Per farla breve, sempre una settimana fa, una nonnina - che era tenera,
davvero tenera - aveva scagliato addosso a me e al bancone del bar in
cui lavoravo la sua borsetta di pelle di pitone, la quale conteneva
qualcosa di altamente esplosivo. Per un estremo caso fortuito, Kevin
era lì. Mi aveva afferrato e mi aveva fatto saltare (non
saprei nemmeno dire se a cinque o nove metri di altezza), salvandomi da
possibili ustioni di quinto o sesto grado.
Il direttore del locale per cui lavoravo pensò bene fosse
qualcuno che avesse qualche conto in sospeso con lui. La chiusura
imminente mi lasciò senza un posto e parecchio depressa, con
divisa e grembiule color limone bruciacchiato. Si era scusato, si era
pure impegnato a trovare un nuovo lavoro a noi poveri dipendenti. E il
signor Mead (l'uomo-tricheco) aveva accettato ad assumere proprio me.
Ero al settimo cielo, non fosse che, per Kevin, l'obbiettivo della
nonnina, dovevo essere solo ed esclusivamente io. Non ero riuscita a
fargli cambiare idea e nemmeno a farlo concentrare sul suo ginocchio
ammaccato. Continuava a starmi appresso come un'ombra, osservando
chiunque come se dovesse essere Jack lo Squartatore. (oppure Bilbo
Baggins, se proprio fate fatica a ricordare la sua faccia)
Quella sera, almeno, ero riuscita a convincerlo che farci uscire
sarebbe stata una cosa positiva, anche per distrarci un po', nonostante
non la smettesse di scrutare ogni minimo centimetro della piazzetta con
gli occhi color corteccia.
Gli altri ci raggiunsero poco dopo: Keilani, Rob e Mya assieme
a Tim, il suo nuovo (osceno) ragazzo. L'unica cosa che sapevo di lui
è che mi detestava, a pelle, forse per la battuta che avevo
fatto a proposito dei suoi capelli orrendi. Ecco, una cosa di me la
dovete sapere: non riesco a non dire quello che penso, spesso
risultando irritante e troppo sfacciata. Ma come sempre anche quella
volta tutti avevano riso, tranne lui.
Mentre camminavamo, sentii la mano di Kevin stritolarmi il braccio.
- Vuoi che il mio avambraccio si auto-amputi? - chiesi, bisbigliando.
- Sento puzza, Jenna -
- Ehi, non sei affatto carino - lo guardai seriamente offesa.
- Ma no - disse lui, parlando come se avesse una faringite acuta -
Sento che c'è qualcosa che non va, dobbiamo andarcene.. -
- Stai scherzando spero - decretai, tentando di liberare il braccio. -
Devo battere quello schifoso - accennai con cenno di capo
dietro di
noi.
- Per favore, Jen, devo parlarti.. -
Mi illuminai di immenso. - Ehi, non mi hai mai chiamata Jen! Ora mi
commuovo.. -
- La vuoi smettere?! - disse, imitando un urletto ancora in preda alla
faringite.
Non feci in tempo a controbattere che Il Simpatico Tim mi si
parò davanti, mentre teneva per mano la mia amica Mya, che
lo guardava come se fosse mister universo. (il che mi fece pensare
avesse seri problemi di vista) - Allora - cominciò, con la
sua voce suadente - Sei pronta, cara Jennifer? -
- Ci puoi scommettere - risposi, liberandomi dalla presa ferrea di
Kevin, che ora saltellava dietro di noi.
Raggiungemmo una delle bancarelle e mi parai di fronte a uno dei
fucili, osservandolo con una certa riluttanza. Non mi sentivo a mio
agio e sapevo che lui lo sapesse. Lo guardai con la coda dell'occhio,
mentre iniziava ad armeggiare con l'arma come se la conoscesse fin
troppo bene.
Presi esempio e cominciai a far finta di saperne qualcosa,
finché uno scintillio non attirò la mia
attenzione: un piccolo arco se ne stava appeso su una delle mensole
accanto ai premi. Notai fosse fintamente placcato in oro e piccole
freccette con la punta a ventosa gli stavano a fianco.
- Mi scusi - dissi in fretta e furia - Come tiro al bersaglio si
potrebbe usare una qualsiasi arma che, in qualche modo.. ehm.. centri
quel bersaglio, vero? -
Il signore mi guardò un po' confuso, poi annuì,
in silenzio.
- Benissimo: voglio quell'arco -
Tim si girò verso di me, come se avesse sentito la mia voce
per la prima volta da mesi solo ora. Scrutò il mio profilo
per un po', finché il signore dietro al banchetto non mi
porse la piccola arma giocattolo. Mi sentii subito meglio e doveva
averlo notato pure lui. Mi parve di sentirlo quasi ringhiare, ma ero
troppo occupata a posizionare le freccette.
Al via puntò la sua arma e sparò tutti e cinque i
colpi, centrando i barattoli in pieno. Mya per poco non
spaccò il timpano a Rob, col suo urletto, e lui
perse quasi
l'equilibrio.
- Ora tocca a te, Jennifer - disse, con un sorrisetto meschino dipinto
sulla quella faccia (da schiaffi).
Non lo guardai nemmeno e preparai l'arco, tendendo la corda. Strinsi
appena l'occhio e mirai al centro della lattina Sprite. Tira! sentii.
Scagliai
una freccia dopo l'altra senza nemmeno
accorgermene. Le lattine rimasero un momento in bilico, poi caddero
all'indietro con un accennato CLANG ritmico.
Tutti
rimasero in silenzio per un po', poi
Rob sussultò con un - WOW! DONNA! -
Gli feci l'occhiolino complice e scoccai un'occhiata eloquente al
simpaticone, poi diedi le spalle a tutti. Non volevo mi vedessero
così.
Dire che fossi turbata era dire poco. Non avevo mai avuto una buona
mira e poi non doveva essere così normale sentire delle voci
che ti consigliano come diventare "L'eroe del tiro bersaglio" tutto in
un colpo.
Poggiai l'arco sul bancone assieme a qualche banconota e poi sparii
nella folla, tentando di allontanarmi da tutti.
Mi fermai quando fui sicura che nessuno mi stesse seguendo e mi guardai
le mani. Doveva essere successo un miracolo o un qualcosa del genere.
Quella pressione che mi aveva accarezzato la mano era semplicemente
nata da dentro di me. Scossi forte la testa, stavo sicuramente
impazzendo.
Raggiunsi la spiaggia
più
vicina e mi sedetti sulla sabbia, ascoltando il rumore delle onde. Il
signor Mead aveva il suo piccolo
locale qualche metro più in là e la musica
ribaltava i muri, raggiungendomi.
Non sentii nemmeno i passi striscianti dietro di me, ma l'istinto mi
fece abbassare la testa prima che un braccio mi afferrasse. Rotolai
sulla sabbia e mi misi a carponi: Tim mi osservava con astio dal buio.
E fin qui, nulla di strano. Non fosse che, stavolta, avesse un occhio
solo.
Il suo ringhio mi fece balzare di poco all'indietro.
- Ma cosa cazz.. - bofonchiai, spostandomi i capelli dalla faccia - Ma
tu sei.. -
Lui rise, una risata gutturale, come in preda alla faringite che spesso
ha anche Kevin quando crede che nessuno lo senta.
- Tu sei.. Tu sei.. - ripetei, in preda ad un momentaneo inceppo col
dizionario.
- Vediamo se ci arrivi, Jennifer - tuonò, avanzando.
Rimasi immobile, ancora allibita. - Sei.. -
- Allora?! Sono?! - domandò, stavolta quasi offeso.
- Orribile!- decretai - Sei davvero osceno, ragazzo! -
insomma, dovevo dirglielo. Poteva essere anche un Ciclope, ma era
proprio brutto.
Lui mi fissò per qualche momento, come se non avesse colto
il messaggio (ormai era chiaro, anche versione monocchio era davvero
privo di
umorismo), poi fece la cosa che più mi fece rendere conto
del fatto che fossi in pericolo: partì alla carica verso di
me.
Rotolai nuovamente sulla sabbia, mentre con la sua clava (da dove
cavolo era comparsa?!) tentava di spappolarmi la testa. Mi alzai e mi
inoltrai nel buio della spiaggia, tentando di nascondermi tra le palme
giganti. Udii i suoi passi con fin troppa chiarezza, questa volta, e
continuai il mio slalom disperato fino alle prime luci del locale del
signor Mead.
- Non potrai scapparmi, semidea! Ho un conto in sospeso con tuo padre!
- urlò, non accennando a rallentare.
Non capivo cosa stesse dicendo, a cosa si riferisse, ma a quanto pare
mio padre aveva fatto qualcosa di brutto a qualche Ciclope. Ottimo, dissi tra
me e me.
Il cagnetto del signor Mead prese ad abbaiare all'impazzata.
L'uomo-tircheco uscì poco dopo, brandendo un qualcosa che
doveva essere una lancia.
- Vieni dentro, Jennifer! - mi disse, più simile a un
ordine.
Non me lo feci ripetere due volte, mentre piombavo nel retro del
locale suo locale con l'impatto di una cometa. Mi appoggiai al muro e
cercai di
prendere fiato, tentando di restare lucida. Ricapitolando: fuori da
quella porta un monocchio ce l'aveva con me per via di mio padre e
l'uomo-tircheco, armato di lancia (evitiamo domande), mi stava
difendendo.
Raggiunsi una conclusione: dovevo aiutarlo.
Mentre cercavo di saltare oltre la cassa, Kevin mi si
catapultò addosso, all'improvviso senza più alcun
sintomo di dolore alla gamba. I suoi ricci biondicci (oh!) erano alla
rinfusa sotto il berretto della OBEY. - Jen! - disse, strizzandomi in
preda al panico. - Grazi agli dei! -
- Grazie a chi..?
- chiesi, soffocando.
- Dov'è?! -
- Chi? -
- Il Ciclope! -
- Come diavolo fai a sapere che Tim è un Ciclope?! -
Non mi rispose e corse fuori, dove il signor Mead era impegnato a tener
occupato il monocchio della simpatia.
Lo seguii a ruota, ma il cagnetto mi bloccò la strada,
guardandomi malissimo. - Per favore, spostati! Devo.. - Poi alzai gli
occhi, al suono dello strumento a fiato che riempì la stanza
e la zona circostante. Non sapevo come facessi a riconoscerlo, ma notai
qualcosa che era ancora più scorcentante: una scossa
partì dal sottosuolo e radici, radici vere, apparvero dal
nulla, intrappolando Tim Il Ciclope. Il signor Mead fece qualche passo
avanti e lo colpì in pieno addome con la sua lancia: Tim il
Ciclope era ora Tim l'Ammasso di Sabbia.
Mi accasciai sulla porta e il cagnetto poggiò la sua
faccetta sulle mie ginocchia. Kevin mi raggiunse poco dopo. - Dobbiamo
andare, Jen, il dio ci aiuterà ad arrivare al continente in
men che non si dica - disse, porgendomi una mano.
- Kevin, sei una capra - commentai senza espressività,
notando i suoi nuovi pantaloni pelosi.
- Oh, beh, grazie.. - disse lui, abbozzandomi un sorriso.
Poi lo guardai meglio: Kevin aveva degli zoccoli al posto dei piedi,
delle zampe al posto delle gambe, una cintura borchiata a cui era
appeso un piffero e la solita maglietta Billabong. Ebbi un mancamento.
- Ahi, ahi, ahi - commentò il signor Mead, porgendomi un
braccio. - Forza, forza ragazza, non diventare una pappamolla tutta in
una volta per un piccolo Ciclope e un Satiro! -
- Io non sono una pappamolla! - gli dissi, guardandolo in cagnesco e
rimettendomi (quasi) in piedi.
- Ehm, forse dovresti portargli più rispetto, Jenna.. -
Ecco, aveva ricominciato.
- Solo perché è il mio datore di lavoro non vuol
dire che non possa dire quello che penso! - sbottai - E poi che
cos'è questa storia di dei e semidei? -
- Non è forse il luogo migliore per parlare di queste cose,
dobbiamo portarti nel continente, tua madre sa già tutto,
partiremo subito se.. - cominciò Kevin.
- No, io non vado da nessuna parte se non mi spiegate che dannazione
succede! - urlai nel bel mezzo della spiaggia desolata.
- A tempo debito, ragazza - disse il signor Mead - Viaggeremo per mare,
sarà più sicuro, avremo la protezione di mio
padre dalla nostra parte -
- Suo padre? - chiesi, stavolta incuriosita.
Il signor Mead sorrise, poi si fece illuminare appena dalla torcia,
facendo qualche passo avanti: aveva la solita faccia coi baffoni, ma
non era più goffo, era invece fin troppo giovane:
semplicemente lo sguardo di un nuotatore, così come il suo
fisico. Portava una camicia leggera e dei pantaloni a metà
gamba, i quali lasciavano vedere la pelle lucida e liscia,
nonché tendente ad un azzurro leggero, dei polpacci, la
stessa che concludeva fino ai piedi. Piedi palmati.
- Io sono Tritone, figlio di Poseidone - annunciò - Ed
è mio compito portarti al Campo Mezzosangue, semidea -
Lo fissai qualche secondo, poi annuii. Avevo sbagliato tutto, non c'era
alcun tricheco: avevo un Tritone per amico.
GUERRIERI!
(cit. Chirone) u.u
Come potevo mancare, mi chiedo!
Questo è l'inizio della mia nuova storia che (spero) di
poter concludere, dato il periodo estivo. Non sono sicura
prenderà molti, ma come si suol dire, tentar non nuoce.
Diciamo che per me è davvero un'Impresa con la I
maiuscolissima.
Il punto è che ci tengo davvero, davvero, davvero, davvero
tanto e spero di poter portare degno onore al mondo di Rick (un ola per
Rick, forza, gente!)
Quindi, vediamo come viene.
Ahm.. nel frattempo vi ringrazio anticipatamente (come sempre)
perché sapervi tutti qui, tutti interessati a Percy e tutti
assieme al Campo Mezzosangue, mi esalta un sacco.
Detto questo, alla prossima, semidei!
*zollette di ambrosia a tutti*
Stefi.
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Capitolo 2 *** Capitolo 1. ***
CAPITOLO 1.
CAPITOLO
1.
Ero sicura di essermi
addormentata e, cosa strana, provavo
un certo mal di mare. La brezza pungente dell'oceano mi investiva
come se fossimo in corsa. In effetti lo eravamo davvero.
Quando
strofinai gli occhi e misi a fuoco la scena, mi resi conto di dove
effettivamente mi trovassi: dovevo essere per forza su uno di quelli
yacht che ormeggiano fieri e giganteschi nei porti, quelli di tutti
quei VIP che si vedono in serie tv del calibro di Beautiful (. . .).
Mi aggrappai allo scienale del divanetto dove ero crollata e mi tirai
su.
Kevin
stava dormendo con la bocca spalancata, il suo russare
arrivò fino a
me (un misto tra beeeh-runf..
beeeeh-runf).
Accanto a lui, il
cagnetto ribelle dormiva accoccolato con la testina sulla sua coscia
caprina. Sorrisi istintivamente e mi maledissi per non aver avuto una
macchina fotografica.
Spostai
poi gli occhi oltre la mini terrazza in cui eravamo. Mi alzai
barcollando, ma presi in fretta l'equilibrio, raggiungendo lo
scorrimano e guardando appena sopra: il signor Mead-Divino-Tritone
guidava quella barca come se stesse girando un film (stavolta senza
Ridge e Brook), con il vento tra i capelli, chewing gum in bocca e
occhiali da sole, sebbene fosse notte inoltrata.
-
Ben svegliata, Jennifer - disse, senza nemmeno scomporre la posa in
cui era messo. Aveva la mano poggiata sul timone, immaginai
avesse anche un mini stereo da qualche parte con la sigla di
Baywatch.
Mi
affrettai a raggiungere la scaletta e lo affiancai, mentre lo scafo
ogni tanto saltellava all'impatto con la superficie (Kevin
finì con
la testa sul sedile di fianco al suo, senza smettere di
belare-russare).
-
Ci siamo quasi, attraccheremo direttamente al Campo - aggiunse, poco
dopo - Abbiamo un permesso speciale - sorrise, schioccando appena le
labbra.
-
Immagino sia dovuto al grado di importanza che ha - azzardai a dire,
mentre posizionavo i capelli sotto al berretto.
-
Anche - ammise - Ma ho bisogno di fermarmi al Campo per qualche
giorno, quindi tanto vale io attracchi davanti casa -
-
Ha una casa in questo fantasmagorico Campo? - domandai ancora, mentre
continuavo ad oscillare.
-
Vedrai, vedrai - disse divertito (cosa che non fece per niente
divertire me).
Tenni
una presa ferrea allo scorrimano, quando Tritone virò verso
destra,
entrando nella baia. All'interno dell'insenatura naturale non vedi
assolutamente nulla, il che mi fece pensare che il dio stra divino
qui presente avesse qualche problema con le coordinate
marine.
Infondo
era il dio dei fiumi, no? Sarebbe stato normale si trovasse
più a
suo agio con corsi d'acqua. Con enorme sorpresa, invece, piccole luci
cominciarono ad apparire, facendosi mano a mano più
chiare.
Superammo
senza problemi quello che doveva essere un velo (una barriera di
protezione, forse?) e Tritone alzò per la prima volta gli
occhiali
sulla testa. Le torce sulla spiaggia erano fin troppo
vicine.
Attraccammo
con una leggera toccata sul fianco, la barca rimase perfettamente
immobile, come se Poseidone avesse deciso che non era il caso di
sradicare il molo.
Tritone
si staccò un braccialetto di conchiglie (uno di quelli che
faceva
mia madre, per di più) e lo gettò in acqua,
blaterando qualcosa che
doveva essere per forza greco antico. Un momento, greco antico?
Feci
finta di niente, ma il dio notò la mia espressione turbata.
Mi
poggiò una mano palmata sulla spalla, fresca e umida. - Sta
tranquilla, è tutto normale - disse, come se avesse capito
ogni
cosa, poi cacciò un fischio, puntando gli occhi azzurri su
Kevin e
il suo cagnetto. - Qui, Scott -
Il
cagnetto scattò sull'attenti, al contrario di Kevin che
rotolò a
terra, prima di riuscire a mettersi in piedi. - Ci sono, signore!
-
gridò, la mano destra sulla fronte.
-
Comodo, comodo - lo riprese Tritone. - Kevin, scorta Jennifer a terra
e accompagnala in casa, alloggerà da me. E' troppo tardi per
disturbare i figli di Ermes -
-
I figli di Ermes? Il dio dei ladri? Il messaggero degli dei?! -
chiesi tutto d'un fiato (oh, cacchio, secondo me doveva essere un
figo, quel dio!), cosa che fece ridere divertito il satiro che
trotterellava vicino a me.
-
Sì, sì, esatto - mi disse, poggiandomi una mano
sulla schiena - Ma
domani capirai tutto. Ora devi riposare -
-
Non ho sonno, voglio vedere i figli di Ermes! - ero l'euforia in
persona.
-
Non penso loro abbiano voglia di alzarsi e vedere un'esaltata alle
tre del mattino - mi riprese Kevin, spingendomi giù dallo
yacht.
-
Sei un guastafeste - decretai, saltando sul molo. - Quindi, dove
dormo stanotte? Sulla spiaggia? -
-
No - intervenne Tritone - Alla Cabina Tre, la casa di Poseidone, mio
padre come già sai -
Kevin
si bloccò un istante. - Ma signore, è sicuro che
suo padre
voglia..? -
-
Ha gradito il braccialetto, satiro - cominciò,
raggiungendoci - Era
parecchio soddisfatto del manufatto, non potrà dire di no -
Poi
ci superò e raggiunse l'interno della casa, poggiando la
lancia
all'entrata. Non sapevo come, ma appena mise piede al suo interno una
luce azzurra e soffusa illuminò le pareti. Non resistetti e
lo
seguii, mentre a Kevin tornava un istantaneo problema di
faringite.
Scostai
la tenda bianca e quando feci un passo avanti rimasi letteralmente
sorpresa. La prima cosa che mi colpì fu un enorme tridente
dipinto
sulla parete principale: era immerso nelle onde dell'oceano. Mi parve
di sentirle infrangersi sugli scogli, ma mi chiesi se non fossero
semplicemente le onde che circondavano la cabina.
Il
secondo ambiente era quello delle stanza da letto, dove una fontana
zampillava acqua cristallina, decorata interamente di coralli. Mi
avvicinai, completamente rapita, e ci immersi un dito, portandolo poi
alle labbra: era acqua di mare.
Ebbi
un semi infarto quando Tritone mi parlò da dietro le spalle
(dannato
uomo-pesce). - Fa come se fossi a casa tua, io vado ad avvertire
Chirone del nostro arrivo - e si congedò, sparendo in
vapore acqueo.
Fissai
un momento il luogo in cui era scomparso con un'espressione ebete,
mentre Kevin si gettava (letteralmente) su una delle brandine. - Che
cosa beeehllissima!
- belò - Non ho mai dormito in una delle cabine
- aggiunse, rotolando sulle lenzuola che sapevano di brezza marina.
-
Davvero? E dove vivi di solito? - domandai, sedendomi sulla brandina
poggiata contro la parete opposta.
-
Nel bosco, sai.. siamo tutti lì noi. Assieme alle ninfe,
loro però
stanno negli alberi -
-
Ah -
-
Sì, sono più esigenti. Cose da donne, sai.. -
-
Certo, mi sembra ovvio -
-
Domani ti faccio conoscere mia cugina Lilith! - disse, in presa a un
lampo di euforia - E' un nocciolo davvero, davvero simpatico.. -
-
Immagino abbia gli occhi nocciola.. -
-
No, li ha color foglia - ammise, stringendo le labbra.
-
Cacchio, ci speravo - dissi, cercando di non sembrare scioccata ad
ogni rivelazione che mi aveva appena fatto. - Quante cabine ci sono?
- chiesi, gettandomi sulla brandina, le mani sotto la testa.
-
Una per ogni divinità dell'Olimpo - annuì,
facendo come me - Le
conosci.. sì? -
-
Le ho studiate a scuola - sbadigliai. - Ma.. - mi bloccai subito,
quando sentii di nuovo il suo belare-russare cominciare a riempire la
stanza.
Così,
mio padre era un mega fusto dell'Olimpo. Mia madre aveva scelto
bene.
Il
mio cervello partì in quarta, chiedendosi chi potesse essere
il mio
divino venerando genitore. Mentre cercavo qualche possibile
collegamento, fissavo le conchiglie ancorate al soffitto della cabina
tre. Infondo, col mare mi ero sempre trovata bene (incluse le onde
anomale).
Che
potesse essere lo Scuotitore della Terra? Qualcosa mi lasciava
perplessa. Non feci in tempo a darmi altre risposte che crollai,
cullata da beeeh-runf e
dalla fontana zampillante.
Sognai.
E per me fu strano, insomma, ho raramente una buona memoria
onirica.
Il profumo di freschezza e spumeggiante del mare aveva lasciato il
posto a quello delle montagne. Mi
trovavo in una foresta, fronde si alzavano senza avere una fine. Non
sapevo esattamente cosa fare, ma osservai quella boscaglia
davvero fiorente come se dovesse essere il prodotto di un dono divino.
Mi azzardai ad avanzare, guardando davanti a me.
Con la coda dell'occhio notai un'ombra: un'esile figura in corsa,
armata di arco. Non sentii alcun rumore, solo il fruscio delicato e una
scia di profumo di muschio a seguito. La mia mente lavorò a
velocità supersonica, come se sapessi benissimo chi fosse:
Artemide, dea della caccia, era proprio impegnata in una delle sue
battute. Deglutii tentando di convincermi che tutto questo forse
normale.
Andiamo, Jen,
mi dissi (mamma a che livelli ero giunta..) Sei figlia di un dio,
è normale vederli scorrazzare liberi e felici..
Non feci in tempo a prendere fiato e calmarmi che il mio monologo
interiore venne interrotto da un brusio più nitido. Dietro
di me
sentii delle risate, sicuramente qualcuno stava giocando.
Mi
avvicinai (tentando di non beccare in pieno due o tre radici) e, come
avevo previsto, un gruppo di ragazze all'incirca della mia stessa
età
stava giocando a palla, immerso dentro un piccolo lago formatosi
dall'incontro di un un torrente e un fiumiciattolo.
Aggrottai
appena la fonte, nascondendomi dietro una quercia. Avevano uno stile
davvero.. passato, non che io fossi l'esempio più indicato
per
mostrare qualcuno che sta al passo con la moda, ma il loro era
davvero, davvero.. antico.
Una
delle ragazze più piccole saltò in alto e
afferrò la palla,
ridendo a crepapelle, poi si bloccò, guardandosi intorno. -
Dov'è,
dov'è andata..? - chiese alle altre.
-
Oh, non ci credo, non è possibile! - sbuffò
un'altra, poggiando le
mani sui fianchi.
-
Non sarà andata a cercare di nuovo quel ragazzo, spero - si
intromise una delle più grandi.
Dietro
di lei, una del gruppo si staccò, raggiungendo la riva.
L'abito
bianco le fasciava i fianchi, ma lo strizzò, tenendolo poi
stretto,
continuando ad avanzare verso alcuni indumenti. Cominciò a
rovistarci dentro (che spiona).
Trasalì
appena, quando trovò quello che doveva essere un rotolo. -
No -
annunciò poi. - La nostra amica anche oggi ha da fare.. -
-
Come "ha da fare"? - protestò una voce dal gruppo.
-
Il volere del divino Zeus non si può ignorare -
decretò senza voler
dare altre spiegazioni. Stracciò la pergamena e la
gettò nell'erba
alta, scrutando me (o almeno così mi parve), poi le nubi.
Mi
svegliai con Kevin che urlava. - E' ORA DI PRESENTARTI AL CAMPO!
-
Trovai
ai piedi del letto una maglietta arancione con sopra la scritta
"CAMPO MEZZOSANGUE" e un pegaso alato sotto. La trovai
fantastica, adoravo quel colore.
Corsi
in bagno e tentai di tendermi il più presentabile possibile.
Per la
prima volta in tutta la mia esistenza avrei avuto a che fare con
qualcuno come me. Insomma, era una cosa davvero importante. Dopo aver
passato la vita a saltellare da una scuola all'altra, non avevo mai
trovato un amico per davvero. L'unico che era rimasto tutto l'anno,
stavolta, era Kevin. In qualche modo riusciva a starmi dietro, a non
trovare strane tutte le cose che vedevo e che non riuscivo a non
raccontargli. E la maggior parte delle volte era stato costretto a
viverle con me. Poveretto.
Pettinai i capelli (che imploravano di
essere risparmiati) e infilai la cosiddetta divisa.
Non
raccontai a Kevin del mio sogno. Non volevo pensasse che mi fossi
già
fissata con la storia di questi greci e che potesse credere che volessi
anche io una tunica bianca e sandali di pelle. Okay entrare
nell'ambiente, ma non penso lo avrei fatto in questa
maniera.
Camminammo
fino ad altri edifici, posizionati a quella che, in un primo impatto,
sembrava una U. Notai
che le case avevano i colori più svariati: dal rosso fuoco
di una al
bianco cristallino di quella a fianco, da quella che sembrava
più una fabbrica (con
tanto di camini, giuro) a quella completamente ricoperta di fiori ed
edera (fissai con una certa ansia quella simile alla casetta di
Barbie, la stessa che io avevo fatto fuori a sei anni).
Non feci
in tempo a ripercorrere tutto lo sprazzo con lo sguardo che Kevin mi
afferrò per il braccio, portandomi all'edificio
più grande.
Sulle
scale rividi Tritone, il che mi fece sentire in un certo senso al
sicuro. Appena più sotto un uomo col posteriore da
cavallo si
massaggiava il mento, pensieroso, ma il suo volto si distese subito
dopo, quando mi vide. Tentai di porgere il mio sorriso migliore.
Insomma, è più che normale incontrare un centauro
per strada, al giorno d'oggi.
-
Devi essere Jennifer.. - disse, voltandosi del tutto verso di me.
Annuii col capo, stile robot.
- Io sono Chirone - continuò,
sorridendo a sua volta, gentile - Direttore delle attività
qui al
Campo Mezzosangue.. -
Tritone rimase in silenzio, nuovamente in
tenuta Signor Mead. Evidentemente non voleva farsi riconoscere anche
ad altri, oltre noi.
- Ah, Kevin ha già provveduto alla
maglietta, ottimo.. - continuò lui come se fosse tutto
normalissimo.
Kevin belò compiaciuto di sé stesso (questo lo
aveva imparato da
me) - Hai alloggiato alla cabina di Poseidone, vero? -
- Sì,
signore - dissi, ancora versione soldato.
- Un permesso speciale
del dio degli oceani - sorrise - Ma non accadrà molto
spesso, gli
dei sono molto esigenti sui loro spazi. Alloggerai alla casa di Ermes
finché.. Beh.. -
- Finché mio padre non si rivelerà, lo so -
terminai.
Lui annuì. - Il Campo Mezzosangue è composto da
dodici
cabine, come hai potuto vedere. Soltanto gli dei maggiori,
solitamente, si prendono la briga di riconoscere i loro figli.. -
sospirò - Dunque, spero che il tuo si faccia presto avanti -
- Ma
come.. come potrò sapere quando avrà, si
cioè,
deciso che è ora di farsi vivo? - chiesi senza nemmeno
pensarci.
- Oh,
giusto - disse più tra sé e sé - Ti
verrà rivelato in modo molto
eloquente: ogni divinità ha un simbolo - spiegò,
facendo un cenno
alle cabine. Lo seguii con gli occhi e notai innumerevoli dettagli
che non avevo captato: una civetta, un martello, un fulmine..
-
Quindi dovrò aspettare uno di quei simboli.. - dissi,
spostando gli
occhi nuovamente sul centauro.
Lui annuì, sempre sorridendo. - Ma
adesso vieni dentro, sarai affamata -
Alcuni tavoli esplodevano.
Non potevano fare altro. Notai che il numero cinque fosse altamente
agitato (un coltello era stato scagliato contro il tavolo numero
sette, cosa che aveva provocato da quest'ultimo un'imminente
vendetta). Al tavolo sei era in corso un dibattito molto acceso, ma
diplomatico, mentre il tavolo nove era un passaggio di fogli e
disegni, pastelli e carboncini, oltre che fili, forcine e bulloni. Il
tavolo dieci lo evitai per principio.
Chirone continuò ad
accompagnarmi fino a quello che doveva essere il tavolo undici.
Ermes. Alcuni ragazzi mi gettarono addosso occhiate curiose, altri,
forse fin troppo abituati a vederne di tutti i colori, continuarono a
leggere il loro giornale (o a farne delle pagine aeroplanini di
carta). Un ragazzo biondo mi guardò, invece, fin troppo
contento.
-
Luke - esordì Chirone - Posso affidartela, vero? -
Il ragazzo
biondo (Luke il figlio di Ermes che era davvero davvero davvero
davvero bello, devo dirlo) annuì, spostando gli occhi da lui
a me. -
Assolutamente, è un buone mani -
Il centauro mi diede una pacca
sulla schiena e mi lasciò in balia di Luke. Ebbi un attimo
di
panico, quando mi allungò la mano. - Luke, tanto piacere -
disse,
continuando a sorridere.
- Jennifer - la strinsi (temetti di
essere peggio del robot di prima).
- Siediti, siediti.. Andiamo
Connor, falle spazio.. - bofonchiò, spingendo da parte uno
dei suoi
fratelli.
- Ehi ma che modi! - si lamentò lui, piazzandosi nel
posto dalla parte opposta.
- Non fare il delicato, Connor, non ti
riesce - intervenne una ragazza, che poi mi sorrise a sua volta -
Siediti, Connor cede sempre il suo posto alle belle ragazze -
-
Chi ha detto belle ragazze? - commentò Connor, notandomi
solo in
quel momento. - Oh.. -
Luke mi afferrò per la maglia,
costringendomi a sedere. - Non fare commenti, Connor. Nemmeno tu,
Travis -
Il ragazzo di fronte a Luke rise divertito, affogando poi la
risata nel suo succo.
- Ehi Chris, non ridere della tua famiglia -
intervenne una voce troppo simile a quella di Connor. Non ci potevo
credere.
- Sì, sono gemelli - disse neutro Luke, come se mi
avesse letto nella mente - Quando si dice la fortuna.. -
- Vero?
Mamma lo diceva sempre - annuì serio quello che era Travis
(o
Connor?).
- Adesso lasciatela stare o scapperà dal Campo ancor
prima di aver capito chi sia suo padre - li riprese Luke, porgendomi
una scodella con frutta e cereali. Evidentemente doveva essere il
capo della combricola.
In tutto quello scambio di battute, non ero
riuscita a proferire parola. Mi sentivo a disagio, come se non
dovessi essere tra quelle file. Ermes non era di sicuro mio padre, ma
almeno accoglieva chiunque senza troppi problemi.
Cominciai a
mangiare immersa nei miei pensieri. Avrei voluto mangiare con Tritone
o Kevin, ma avevo perso di vista entrambi. Chirone sembrava sparito.
Mi sentii incredibilmente sola.
Una mano si poggiò sulla mia
spalla, riportandomi a terra. Luke sorrideva, gli occhi azzurri e
lucidi (oh dei. . .).
- Se hai finito ti accompagno alla cabina
undici, così ti puoi sistemare. E magari evitare che rubino
la tua
roba.. -
Mi guardò un attimo sconcertato quando uscii
dalla cabina tre. Gli spiegai che avevo un permesso speciale,
già
terminato, ma non fece domande.
La cabina undici mi ricordava
quelle immense sale d'attesa degli aeroporti (presente?). Dentro vi
era di tutto. Ogni angolo personalizzato in modo diverso, ogni zona
del mondo trovava il giusto spazio, ogni letto era opposto all'altro.
Luke mi condusse nella zona più infondo, continuando a dirmi
chi
evitare e chi poter conoscere senza aver paura di ritrovarmi senza
portafogli (erano pur sempre figli del dio dei ladri, no?).
Si
fermò di fronte a un letto sotto la finestra: era carino,
appena in
disparte ma non troppo.
- Nella stanza accanto ci sono io -
annunciò - Se hai bisogno, mi trovi lì. Sistemati
e quando sei
pronta raggiungimi che cominciamo il giro per le attività
del Campo
- concluse, sempre sorridendo (dei dei dei. . .).
Quando mi
ritrovai da sola ebbi l'impulso di contattare mia madre. Mi maledii
parecchio, non ero mai stata simpatizzante per i telefoni cellulari.
Gettai tutto il contenuto del mio zaino sul letto, cercando una penna
e presi il quaderno (ne portavo sempre uno con me, spesso avevo
l'impulso di cominciare a scrivere.. scrivere qualsiasi cosa mi
passasse per la testa). Strappai un foglio e mi sedetti sul letto,
cominciando a scriverle. Chissà se avrei potuto inviarla o
meno..
Quando alzai gli occhi dal foglio ne avevo riempito ben più
della metà. Trattenni a stento un grido, rendendomi conto di
essere
osservata. Connor (o Travis?) mi fissava sorridendo, totalmente
spalmato sul suo letto (tre brandine più in là).
- Scusa, non
volevo spaventarti, ma ho perso ben trenta minuti di sonno, stanotte
-
Alla faccia.
- Come mai? - chiesi, poggiando la penna sul
foglio.
- Ho dovuto attuare un piano con Connor - continuò,
facendo ciondolare il piede poggiato sulla gamba opposta. Okay. Era
Travis.
- Che genere di piano..? - chiesi ancora, piegando la
testa.
- Ah, di qui a breve vedremo i suoi sviluppi.. - ridacchiò
tra sé, mettendosi seduto. Mi scutò per un po',
fin
troppo interessato. Mi sentii avvampare, quando si strofinò
le
mani e prese fiato.
Non fece in tempo a continuare che dei
boati si levarono da fuori. Travis schizzò in piedi,
incitandomi a
seguirlo alla finestra. - Guarda, tu guarda.. - mi disse,
addentandosi un labbro.
Non capivo a cosa si riferisse, ma osservai il cortile centrale, dove
altra gente stava cominciando a radunarsi. Poi ebbi l'impressione di
vedere un rossetto Maybelline New York partire a mo' di meteora dal
nulla. Insulti in delicati e raffinati arcaicismi si levarono da un
punto ben preciso: dalla casa di Barbie cominciarono a volare
i più svariati oggetti di alta moda che avessi mai visto
(una
scarpa
di Gucci atterrò proprio sotto la finestra).
Travis cominciò a
ridere come un dannato, accasciandosi contro il davanzale. Non
riuscii a non seguirlo anche io, quando fuori vidi Connor che moriva a
sua volta, aggrappandosi alla spalla di Chris.
Non ridevo così
tanto da quando avevo costretto Kevin a vestirsi da suora lo scorso
Halloween.
WOOOOW!
ehilà! eccomi tornata xD
tranquilli che è già in progetto in capitolo
number ciù ehehehe
che dire u.u comincerei coi grazie..
a tutte le persone che hanno recensito, ovvero: Elizabeth_Lovegood
(nonché preziosa consigliera dal bellerrimissimo avatar),
_Angel_
(con percy che divampa, YEAH!), epoiboh_woman
(a cui devo altre zollette), mixer_smile (che
è cospiratoria quanto me, ehehehe. vi tengo sulle
spine, eh) e nika_hades
(ADE POWER, PER GLI DEI!)
a tutte le persone che la
ricordano, ovvero: nika_hades
(mi devo preoccupare che ade mi perseguiti?) e Marypotterheads10
(che già amo dal nome).
quelle che l'hanno messe tra
le seguite, ovvero: accio
Black (la mia sistah), Elizabeth_Lovegood
(woooow!), nika_hades
(ora mi faccio due domande. . .), mixer_smile
(sei everywhere ahahahah), epoiboh_woman
(non lo fai solo per le zollette, vero..?), giascali (mi
commuovo, veramente..), Lallyary_Jackson
(dal cognome si capisce tutto, YO!) e Marypotterheads10
(again <3).
quelle che l'hanno addirittura messe tra le preferite: Marypotterheads10
(<333) e nika_hades
(gli inferi mi esigono, ormai è ufficiale).
davvero, non mia spettavo un simile afflusso, nemmeno jen, che
è
ancora in imbarazzo time per l'inserimento tra i figli di ermes (vorrei
ben dire. OH DEI. . . ) ma vedrete che si scioglierà non
appena
si abituerà a certe presenze.
comunque comunque comunque.
spero vi sia piaciuto anche questo, mi sono divertita a scriverlo. mi
piace guardare il campo attraverso i suoi occhi.
alla prossima, eh! non finisce qui, ehehehe.
*lancio di zollette*
stefi.
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Capitolo 3 *** Capitolo 2. ***
CAPITOLO 2.
CAPITOLO
2.
La casa di Ermes non era affatto male, avevo cominciato ad ambientarmi
fin da subito. I consigli di Luke si erano rivelati molto utili
(continuavo ad avere tutte le mie cose, a parte quando Connor decideva
di voler indossare una mia canotta, specie quella con la scritta "I
LOVE HAWAII". La adorava) e avevo cominciato ad avere qualche amico.
In qualche modo, mi sentivo felice.
Non solo: avevo finalmente conosciuto il direttore del campo, niente
meno che il dio Dioniso in persona! Tutti lo chiamavano signor D. Un
nome da boss, di quelli che rimangono impressi. Almeno quanto la sua
camicia leopardata, si intende.
Ammetto che avrei volentieri sorseggiato con lui del buon vino, ma
ciò non avvenne. Mi guardò, massaggiandosi la
barbetta e l'unica cosa che mi disse fu: - Come hai detto che ti
chiami? -
- Non l'ha detto, in realtà - era intervenuto Chirone, prima
di sparire all'allenamento di tiro con l'arco.
- Ah, giusto - disse il dio, aggrottando la fronte - Dunque, me lo dici
come ti chiami o no? -
- Ah sì, certo. Jennifer, ma anche Jen o Jenny va bene -
dissi, stringendo le labbra.
- Bel nome, Penny, bel nome -
- Ho detto che mi chiamo.. -
- Allora Penny, vedi di non fare casino in giro per il campo o ti
trasformo in un grappolo d'uva, ci siamo capiti? -
- Ma.. -
- A mai più rivederci, Penny -
Finta lì.
Quella
mattina sarei andata con Travis a far visita alla casa di
Efesto. Era convinto che avessi bisogno di un'arma e i figli del fabbro
degli dei non avrebbero di certo rinunciato a ribaltarmi come un
calzino per trovare quella perfetta.
- Oppure i figli della Cervellona, loro se ne intendono in diverso
modo.. - continuò, pensieroso.
- Cervellona? Ah. Ti riferisci ad Atena, giusto? -
Lui annuì in silenzio, corrucciato in faccia e nel profondo.
- E in che modo se ne intendono, loro? - domandai, mentre mi abbassavo
a schivare un ramoscello di vite danzante, appoggiato al muro della
casa di Dioniso.
- Nel senso che loro guardano più il legame che
c'è tra
il soldato e l'arma che impugna. Si chiama strategia militare, quella
che nasce tra il contatto giusto tra guerriero e arma in suo possesso,
mi segui? - spiegò.
- Abbastanza -
Atena era la dea della saggezza, ma anche dell'arte della guerra. Era
una cosa ben diversa, rispetto alla guerra stessa. O almeno,
così Travis mi aveva lasciato intendere. Con gli occhi corsi
verso l'edificio rosso, la casa di Ares: era come se il caos dovesse
regnare sovrano, sennò nessuno sarebbe stato apposto con
sé stesso.
Continuammo a camminare fino ad un edificio in mattoni, più
simile a quegli stabilimenti che si incrociano nelle periferie di
grandi città industriali.
- Aspettami qui - disse Travis, lanciandomi un occhiolino.
Okay, non sono stata del tutto sincera. In un certo qual modo ero
convinta che Travis ci stesse provando con me. Non so, chiamatelo
istinto femminile (spero Afrodite non mi senta). Sarà che
ogni
volta che cominciavo a vagare a caso per il Campo compariva lui a
indirizzarmi verso la direzione giusta o anche perché aveva
preso l'abitudine ad aspettarmi ogni mattina per andare a far colazione
assieme (e ciò significava alzarsi in orario,
perché io
sono sempre in orario. Per lui
doveva essere un trauma). Avevo cominciato a distinguerlo da Connor
perché, ogni volta che era l'ora di pranzo o cena,
cominciava a
lanciarlo dalla parte opposta del tavolo rispetto a me. Era molto
gentile, certo. E poi aveva un piccolo taglietto sul sopracciglio
destro
che lo rendeva quasi tenero. E gli occhi blu, grandi. Ma.. questo
è un altro discorso. E poi non fanno per me, queste cose.
Andiamo avanti.
Guardai il profilo di Travis entrare nella cabina come se la conoscesse
benissimo. Mi sedetti sugli scalini all'ingresso e attesi, fino a che
un
tonfo non mi fece sobbalzare sul posto.
- Accidenti! - si lamentò una voce. Quando mi voltai, vidi
una
ragazza piegata su una cassetta degli attrezzi, intenta a raccoglierli.
Alzò un momento gli occhi su di me e fece una specie di
smorfia.
Aveva il volto appena paffuto e coperto di fuliggine.- Oh, scusami, non
volevo essere.. Mh, lascia perdere, scusami -
La raggiunsi istintivamente e le diedi una mano a raccogliere un paio
di chiavi inglesi, un martello e qualche vite e bullone. - Nessun
problema, può succedere.. -
- Già, a me succede sempre, vorrei avere la stazza dei miei
fratelli - confessò, accennando una risata.
Era vestita con una tuta da lavoro, come quelle che indossano i
meccanici nella loro officina. La sua però era altamente
personalizzata: tagliata fin sopra il ginocchio, con una cintura
borchiata di pelle nera in vita; aveva una bretella allacciata e una
no, che lasciava intravedere la maglietta arancione del Campo che avevo
anche io. Gli anfibi erano il tocco finale, assieme ai capelli (che
dovevano essere biondi, ma in realtà erano in alcune zone
color
carbone) stretti e legati in uno chignon alla buona, che lasciava
ricadere qualche riccio ribelle.
Aveva gli occhi azzurri, talmente azzurri che spiccavano da soli tra il
nero che aveva in testa e sulle guance.
- Grazie - esordì, poi mi sorrise. Era davvero bella,
nonostante
la tenuta mascolina. Mi tirai su, sorridendole a mia volta.
- Sei nuova? - chiese, poggiando la cassetta sulla ringhiera di ferro
del balcone.
- Si sono qui da quattro giorni -
- Allora benvenuta - sorrise ancora, togliendo i guanti da lavoro - Sei
già stata riconosciuta? -
- Ahm - ebbi una stretta allo stomaco - No, ancora no.. -
La ragazza mi guardò un momento, poi annuì piano.
-
Vedrai che succederà, magari il tuo genitore divino
è
impegnato in qualcosa di..divina importanza - rise tra sé,
scendendo i gradini dell'entrata principale.
Raggiungemmo il lato ovest dell'edificio e prese a sciacquarsi mani,
braccia e viso, infilando un berretto con la visiera (con la scritta
sopra TEAM EFESTO). - Ecco, adesso direi che va meglio - disse,
prendendo un bel respiro - Mi chiamo Yashila e sono figlia di Efesto -
disse, allungando una mano - Ma tutti mi chiamano Shila -
- Jennifer - le dissi - Ma tutti mi chiamano Jen.. -
Quando le strinsi la mano non avevo ancora compreso che lei sarebbe
diventata una delle fortune più grandi che avrei avuto nella
mia
vita.
Passai metà mattinata in sua compagnia. Mi
raccontò di
essere nata in India, sua madre era un ingegnere meccanico. Vivevano in
una delle zone delle vecchie colonie inglesi, sua madre aveva origini
londinesi. Efesto aveva evidentemente trovato quella donna di notevole
interesse.
Notai come non riuscisse a tenere mai troppo le mani ferme e che
tenesse una matita poggiata sull'orecchio. Di punto in bianco
cominciava a disegnare e scarabocchiare progetti sul quadernetto che
teneva nella tasca davanti della sua tuta, mentre parlava di tutt'altre
cose. La trovavo geniale.
Mentre dondolavo sull'altalena dietro la cabina di Efesto, Travis
riapparì.
- Ah, ma allora sei vivo - dissi, ridacchiando.
- Devo ridere? - commentò - Ciao Shila.. - sorrise poi, con
un
cenno di capo - Beckendorf ha ovviamente accettato, dovrai solo dirgli
che
arma vedi per te -
Grande. Ovviamente io ero un asso negli armamenti.
Shila dovette aver notato la mia espressione afflitta. - Tranquilla -
cominciò, poggiando una mano sulla spalla - Puoi cominciare
con
una spada qualsiasi, quando poi sarai più abile e
controllerai i
suoi istinti gliene chiederai una specifica, mio fratello non dice mai
di no se qualcuno ha bisogno d'aiuto -
- Confermo, è una buona idea - intervenne Travis.
- Potremmo andare alla cabina di Atena a chiedere consiglio,
comunque. Un'arma ti servirà sempre, specie per la Caccia
alla
Bandiera di domani -
- Caccia alla che..? - domandai, aggrottando la fronte.
- Non glielo hai detto, Travis? -
Il ragazzo rimase marmoreo una frazione di secondo, poi
cominciò
a parlare a raffica. - Volevo lo scoprisse a cena stasera. Si sarebbe
divertita di più! -
Shila era, invece, scioccata. - Certo, a finire a pezzettini nella
foresta! -
Fissai Shila, poi Travis, poi Shila, poi di nuovo Travis.
La figlia di Efesto guardò il figlio Ermes (che sembrava
volesse
diventare un lillipuziano) con aria di serio rimprovero. Poi si
alzò, scuotendosi i pantaloni. - Ce ne occupiamo noi.
Farò
fare a Beckendorf l'arma più leggera e adatta a te mentre
Travis ti
insegnerà le tecniche base di difesa, vero Travis? - gli
ruggì in faccia Shila.
- Sìssignora - scattò lui.
Mi prese a braccetto e cominciammo a correre verso l'arena da
combattimento. Non avevo ancora un padre e continuavo a incontrare una
morte certa.
Questa cosa del padre divino cominciava a piacermi sempre meno.
L'allenamento con Travis non era andato un granché. Anzi, se
devo proprio dirlo, era andato uno schifo.
Avevo costante paura di fargli male e la spada che Beckendorf mi aveva
fatto, non era l'arma giusta per me. Quando la scagliai contro gli
spalti, sentii Shila imprecare in greco, prima di rotolare all'indietro
nell'intento di schivarla.
- Non sono fatta per lottare, basta! - mi lamentai, sfilando l'elmo e
lanciandolo a terra. Travis mi saltellò vicino, tentando di
starmi dietro.
- Andiamo, andiamo, andiamo! - cominciò - Non ti arrendere
adesso! -
- No, Travis, non sono salvabile -
- Magari con Luke andrà meglio.. - cominciò.
- O magari con noi -
Quella voce poco familiare mi costrinse a voltarmi. Dietro di noi Shila
ci stava raggiungendo assieme ad un gruppetto di ragazzi e ragazze in
armatura da combattimento. Avevano piume rosse sugli elmi e
parlottavano tra di loro, commentando con termini non propriamente
simpatici. Sentii Travis sogghignare piano.
- Ah, Travis, che bello vederti -
- Come sei simpatica Clarisse, davvero, non reggo l'allegria - disse
lui, facendo una smorfia divertita.
Non so esattamente spiegarle, queste cose, ma si sente a pelle quando
due persone non si sopportano. Quei ragazzi non ci sopportavano. A
prescindere da tutto, sentivo che ci avrebbero voluti spiaccicare al
muro e torturarci fino a che non si fossero stancati.
Una cosa divertentissima da fare tutti assieme.
- Chi è questa pivella? - disse la cosiddetta Clarisse,
puntando la punta della sua lancia verso di me.
- Non sono fatti tuoi - tagliò corto Shila, piazzandosi di
lato a me con le mani sui fianchi.
- Oh beh, se vuole conoscermi. Jennifer, tanto piacere - dissi,
sfoderando il mio finto sorriso peggiore.
A Clarisse questa cosa non dovette piacere. Notai che la presa sul
manico dell'arma si fece più forte, poi tutto nella sua
espressione
cambiò, quando un nuovo arrivato gli porse una mano sulla
spalla.
- Andiamo, sorella, dovresti essere cortese coi nuovi arrivati - disse,
costringendola a girarsi.
- Ma.. -
- Va tutto bene, si è presentata come hai chiesto o sbaglio?
-
Aveva la voce pacata, estremamente più pacata rispetto a
quella
della sorella e soprattutto una presenza più composta e meno
gradassa. Non si scomodò troppo, rimase fermo ad aspettare
che
Clarisse tornasse a respirare regolare, poi puntò lo sguardo
verso di noi. Fece un cenno a Shila.
- Ciao David - disse lei, alzando appena il mento.
- Yashila, Trevis - salutò - Come mai qui nell'arena? -
Shila fece una smorfia contrariata a sentire il suo nome per intero, ma
Travis prese parola prima che lei potesse dire chissà cosa.
-
Nuova arrivata. Specie di allenamento - decretò, come se
fosse
un telegramma umano.
- Ah, capisco - commentò lui, stranamente interessato.
Clarisse dovette cogliere la stessa nota pungente, tanto che sorrise
(quasi) allegra, puntando gli occhi verso il fratello.
- Andiamo Dave, insegnale qualche bella mossa - canzonò,
poggiandosi contro la lancia.
Travis scoppiò in una risata isterica. - Certo Clarisse,
così la farebbe a pezzi! -
- Appunto - bisbigliò lei.
Grazie tante.
Mi crebbe un moto d'ira dentro, talmente forte che stoppò
perfino la risata del figlio di Ermes. Lo scansai e mi piazzai di
fronte al gruppetto di fantocci in armatura greca che, adesso, mi
fissava senza espressione. Okay, forse non era stata la mia mossa
più intelligente.
Dave superò Clarisse e si fermò di fronte a me. -
Allora? Ti va? -
Da sotto l'elmo apparvero due color cioccolato fondente. Mi parve quasi
di scorgere un bagliore rosso, accennato dal semibuio in cui erano
immersi.
Non abbassai minimamente gli occhi, mentre annuivo. - Puoi giurarci -
Raccattò il mio elmo da terra, facendo allontanare tutti gli
altri, poi me lo lanciò. - Mettilo, non vorrei sfregiare il
tuo
bel faccino -
Avevo voglia di prenderlo a pugni, ma non dissi di no, tenendolo sotto
braccio. Quando feci per metterlo, lui fece l'esatto opposto. Lo tolse
con estrema velocità e lo poggiò bruscamente tra
le
braccio di una Clarisse fin troppo esaltata.
Aveva i capelli neri, mossi, e la pelle appena ambrata. Il viso era
appena corrucciato, ma a differenza degli altri, il suo sembrava naturalmente così, senza alcun
pensiero cinico verso chi avesse di fronte. Mi sentii a disagio.
Sfoderò la
sua spada e la roteò piano, girandomi intorno. - Passale la
tua spada, Travis - ordinò.
Travis
tentennò, poi fece
qualche passo verso di me, spinto appena da Shila. Afferrai l'elsa
rivolgendogli un piccolo sorriso, poi mi riconcentrai sul ragazzo che
continuava a muoversi, scrutandomi.
- Non so se lo sai.. -
disse la voce (irritante) di Clarisse.
- Che cosa dovrei
sapere? - dissi, irritandomi.
- Che io e i miei
fratelli, incluso Dave, siamo figli di Ares - continuò, col
suo solito ghigno - Il dio della guerra -
Mi si strinse lo
stomaco.
Fantastico, avevo a che fare con un pazzo isterico voglioso di far
fuori chiunque. Avrei voluto il tempo per scrivere un testamento..
- E quindi? - feci,
tentando di sembrare la persona più tranquilla del pianeta.
- Quindi Clarisse
adesso tace o non ci possiamo concentrare, vero sorellina? - intervenne
Dave.
La figlia di Ares
ringhiò appena, ma non proferì parola. Doveva
avere proprio un certo contegno soltanto con lui.
Dave, dal canto suo,
non azzardava
a togliermi gli occhi di dosso. Più che un insopportabile
foglio del
dio dei bulli, sembrava un vero e proprio stratega. Feci mezzo passo
all'indietro e lui dovette coglierlo come un cedimento. Mi corse incontro e
mirò un
fendente dritto dritto alla mia spalla. Mi sporsi appena in tempo per
parare il colpo e le lame si scontrarono con un rumoroso CLANG!
Non ebbi
nemmeno il tempo di
rimettere apposto le idee che lui cominciò a colpire di
nuovo,
non lasciandomi il privilegio di pensare a niente. E, cosa strana,
riuscivo perfettamente a stargli dietro. Era come se il mio corpo fosse
fatto per questo, come se dovessi impegnarmi a seguire i miei istinti,
lasciando liberi i miei sensi di decidere da sé.
Purtroppo, i bei
momenti in cui mi sentii una vera eroina durarono poco.
La spada di Dave
colpì un
po' troppo forte e barcollai all'indietro, perdendo l'equilibrio. Ne
approfittò per colpire di nuovo, ma riuscii ad abbassarmi
appena
in tempo, centrando un colpo perfetto. Lo sentii ringhiare come la
sorella. Non gli era piaciuta la cosa.
Quando mi rimisi in
piedi, i suoi occhi erano più rossi (nessuna congiuntivite,
era proprio incacchiato).
- Tu.. -
sibilò.
- Jen, preferisco -
Prese la carica e
lanciò un
grido di quelli che avrebbero spaventato qualsiasi persona a cui
l'avrebbe rivolto. Me inclusa. Ebbi l'impulso di gettare la spada e
correre dalla parte opposte, ma qualcosa costringeva i miei piedi a
rimanere ancorati sul posto: paura, semplice pura paura.
Dave
affondò due colpi di
seguito, che riuscii a malapena a schivare, roteando su me stessa.
Continuava a starmi addosso, in preda alla rabbia, e la lama della
sua spada mi affettò l'unica ciocca che non era riuscita a
rifugiarsi sotto l'elmo.
Sentivo le braccia
pesanti, come se
l'ansia che si era depositata alla base del mio stomaco avesse
intaccato la mia concentrazione e determinazione. Di nuovo, capii che
era su questo che lui aveva giocato.
Colse l'attimo in cui
abbassai la
guardia mi disarmò, facendomi poggiare contro il pettorale
della sua armatura, la spada contro la mia gola: era gelida e
splendente allo stesso tempo. Sentii il suo respiro calmarsi poco a
poco e non abbassò l'arma fino a che i figli di Ares non
esplosero in un boato di grida e risa.
Spinsi via le braccia
di Dave e me
ne liberai, togliendo l'elmo e gettandolo per l'ennesima volta a terra.
Avrebbe raggiunto i suoi fratelli e si sarebbe vantato come un idiota
fino allo sfinimento e non avevo proprio voglia di rimanere
lì a
sentirlo.
Mi chinai a
raccogliere la spada di Travis.
- Ah-ah! - mi
canzonò la voce di Clarisse - Ci vediamo quando pulirai i
gabinetti, pivella! -
- Finiscila Clarisse -
tagliò corto Dave, che non aveva proferito parola.
L'unica cosa che fece
fu riprendere
il suo elmo e tornarsene da dove era venuto. Era davvero figlio di Ares
o era stato adottato?
Clarisse, come al
solito, non disse
nulla. Chiamò a raccolta i restanti figli di Ares e
seguì
il fratello, continuando a sghignazzare alle mie spalle.
Mi voltai verso il
figlio di Ermes
e gli porsi la sua arma, prima di salutare lui e Shila e partire dalla
parte opposta dell'arena, con l'unico desiderio di sparire per almeno
le prossime due ere.
A cena la tavolata di
Ares era
allegra. Clarisse aveva raccontato la mia disfatta circa sette volte,
poi si era concentrata a coinvolgere tutti i suoi fratelli a ridurre
rapati a zero almeno tre quarti dei membri della casa di Apollo. Notai
Dave intento a mangiare e parlare cauto assieme a due ragazzi. Non dava
soddisfazioni alle chiacchiere di Clarisse, anzi, se ne stava per i
fatti suoi.
Quando si
voltò verso di me mi rivolse un ghigno divertito, prima di
tornare a fare come se non esistessi.
Divorai il mio
polpettone come se dovessi soffocarmi (i miei istinti suicidi non
avevano fine).
Luke si fece strada
tra i figli di
Ermes stra esaltati e si piazzò di fronte a me, sorridendo
come
al solito. Non l'avevo visto per tutto il giorno. Pensai fosse
parecchio impegnato con gli affari che ha di solito un capo cabina
(qualunque essi siano) o cose del genere.
- Allora, oggi
è andata bene? - mi chiese, rubandomi una patatina. Proprio
figlio di suo padre.
- Una meraviglia -
mentii.
Non potevo dirgli che
mi sentivo a
pezzi. Che avevo le braccia a pezzi. Che avevo i polpacci a pezzi. Che
non avevo più una ciocca di capelli. Che ero una vigliacca.
- Travis ha detto che
hai avuto il tuo primo combattimento - continuò -
Coraggioso, per una semidea con zero esperienza -
Le parole di Luke mi
colpirono in faccia come una secchiata di acqua gelida. Coraggiosa io? Ma per favore..
- Domani ti allenerai
con me, ti va? - disse, rubandomi l'ennesima patatina.
- Io e te? Luke, io
non ho speranza -
- Ti voglio nella mia
squadra nella
Caccia alla Bandiera - decretò - Un ottimo motivo per farla
pagare anche ai simpatici figli di Ares - confessò,
facendomi
l'occhiolino. Si alzò e tornò al suo posto,
lasciandomi a
fissare il pasto. Poi i miei occhi corsero al profilo di Dave che
adesso si piegava in avanti, ridendo come un matto assieme ai suoi
fratelli. Storsi la bocca: dovetti ammettere che il modo
di ragionare di Luke mi andasse parecchio a genio.
Per la prima volta
dopo tre giorni
mi ricordai che Kevin era sparito. E mi arrabbiai parecchio.
Insomma, era il mio migliore amico. Okay che aveva tutti i parenti qui
attorno (da qualche parte, in qualche pino o cespuglio che fosse) ma io
non avevo radici. E di sicuro non avevo pidocchi della piante, quindi,
perché evitarmi?
Vagando con lo
sguardo beccai i ricci ribelli di Shila, al tavolo di Efesto. Mi
sorrise apertamente, poi
arrossì, sparendo dietro al spalla monumentale di
Beckendorf. Mi chiesi se fossi effettivamente così
spaventosa.
Uno dei figli di Ermes
(che avevo
scoperto si chiamasse Brandon) mi poggiò una mano sulla
schiena,
piegandosi ad afferrare la frutta davanti a me. Puntò gli
occhi
nella stessa direzione in cui Shila era sparita, facendo finta di
niente. Poi mi sorrise e tornò a sedersi vicino a Chris,
gettando ogni tanto
qualche occhiatina al tavolo di Efesto.
Shila
riaffiorò poco dopo, lanciandomi uno sguardo della serie "Non ti
azzardare a commentare". Non mi azzardai a farlo.
Travis insistette per
accompagnarmi alla cabina. - Mi dispiace - disse, infilandosi le mani
in tasca.
- Non è
colpa tua, faccio pena di mio, Travis - risi, mettendo apposto la
ciocca a metà.
- No, davvero. Penso
Luke farà meglio di me. Lui è il migliore qui.. -
Annuii col capo. -
Può
essere, ma penso che tutti siano migliori, qui, rispetto a me - dissi,
guardando il ragazzo biondo due file davanti a me.
Luke rideva con una
delle sue sorelle e, in un certo senso, la sua presenza rasserenava
anche me.
L'unica cosa che volevo era gettarmi a letto e spiaccicarmi il cuscino
in faccia, fino a farmi auto-soffocare (di nuovo).
Invece, sognai.
Stavolta il segno era estremamente opaco. C'era così tanto
fumo
che gli occhi cominciarono a lacrimarmi nel sogno (o anche nella
realtà?) e avanzai a tentoni, salvandomi al pelo dal
beccarmi un
tavolo in pieno stomaco.
Quando cominciai a vedere meglio, una figura enorme prese forma, poi il
rumore di un battere incessante: quello di un martello. La barba era in
fiamme e illuminava più di qualsiasi altro faro
dell'officina.
Tossicchiò e si asciugò la fronte con il braccio.
Non ci
mise poi molto ad accorgersi dello sguardo imbambolato e idiota che lo
stava fissando (il mio).
- Oh! - disse, fermando il martelletto a mezz'aria. Come diamine faceva
un martellino del genere a stare in una manona di quelle dimensioni?!
Rimasi immobile con la bocca semiaperta. Stavo dando proprio una bella
impressione.
- Avanti, ragazzina, non fissarmi così - disse, dando un
ultima martella(tina).
- Signore..divino..Efesto? - bofonchiai, rendendomi conto del caldo
infernale solo in quel momento.
- In divina persona - annuì, guardando il suo operato
attraverso
una lente. - Come mai sei..? Oh, immagino sia tu la destinataria di
questo, quindi non ha senso io ti faccia fuori -
Efesto era proprio simpatico.
- Ha una cosa per me, signore? - chiesi, facendomi aria con la
maglietta.
Lui annuì pensieroso. - Tuo padre. Sempre bravo a rompere,
rompere qualsiasi cosa eh, ma a rimettere apposto direi di no -
- Mio padre? Mio padre le ha detto di.. - Lui alzò
un sopracciglio scuro. - Mio padre le ha detto di darlo
a me? Lei sa chi è..? Può dirmelo? Voglio dire,
signore,
divino Efesto, signorissimo.. solo se vuole, insomma.. - presi fiato
(per quanto ossigeno potesse esserci lì dentro).
- Ehi ehi ehi, calma! - tuonò, scoppiando poi in una risata
fragorosa. - Sei una miccia accesa, ragazzina, mi sei proprio simpatica
-
Sciolsi le spalle e mi poggiai contro il tavolo da lavoro. Dovevo
essergli apparsa come una stupida idiota.
Nonostante le mie paturnie, il dio si avvicinò e si
abbassò alla mia altezza, porgendomi il palmo della mano
aperto.
- Questo è tuo - disse, semplicemente - Tuo padre vuole lo
abbia
tu. E' aggiustato, poiché dopo l'ultima battaglia contro gli
Achei non ne era uscito molto bene. Già dalla prima
battaglia
contro i Titani aveva qualche acciacco, ma è comunque
resistito
abbastanza, a parer mio -
Fissai gli occhi di fiamme di Efesto, prima di guardare l'oggetto nella
sua mano. Aveva l'aria di essere un semplice braccialetto, uno di
quelli di ferro abbastanza spessi. Era dorato, completamente dorato,
senza alcuna decorazione. Lo presi titubante.
- Non porti troppe domande, giovane semidea - cominciò
Efesto,
tirandosi su - Arriverà il momento in cui potrà
rivelarsi, soltanto se tu accetterai di portare quello che lui ti ha
affidato - aggiunse, facendo un cenno al bracciale che stringendo fra
le mani.
- Ma signore lei non può.. -
Il dio scosse piano la testa, come se mi avesse letto nel pensiero. -
Lo farà lui, non sarò di certo io a prendere il
suo
posto. Chi lo sente, poi. Quando si lamenta sa essere peggio di Zeus -
Un tuono risuonò il lontananza e il dio sbuffò,
alimentando le fiamme sulla sua barba. - Ora va, semidea, ci rivedremo
- mi disse, prima di diventare un'immagine di nuovo opaca e oscillante.
Mi svegliai di soprassalto e guardai l'interno della cabina. Tutti
dormivano tranquilli.
Odiavo questa connessione onirica, la odiavo a morte. Mi alzai e
raggiunsi il bagno, gettando la faccia sotto l'acqua, quando avvertii
un certo peso al polso.
Con un gesto molle accesi la luce e per poco
non ebbi un infarto: il bracciale era ancorato lì.
hello
there!
sono abbastanza in
euforia perché manca poco, davvero poco a voi-sapete-cosa
*tom riddle mode*
che ne dite? non
trovate simpatici i figli di ares? io sì, mi fanno morire
AHAHAHA
ma basta,
basta, perché sennò do' di matto.
grazie grazie grazie a
chiunque abbia letto fino a qui (e leggerà altre)
a chiunque sia passato
per puro scassamento di balls (più comunemente noto come
noia)
e a chiunque sia
interessato davvero a questa donna.
e comunque correte a vedere grover in abito da sposa perché
è davvero S-E-C-S-I.
ciao u.u
ps:
ambrosia a tutti.
pps: dioniso nel film sarà un
boss, per gli dei :D
..Sì,
Penny, okay, però non dovresti farmi pubblicità occulta.
No, signore,
divinissimo Dioniso, lo facevo solo per..
Niente
storie, sei o non sei un membro del mio Campo? Io necessito del meglio, Penny.
Mi chiamo Jenny.
Cioè,
Penny, se proprio devi farla, falla bene: chiama Ermes e fagli mandare
messaggi ovunque su twitter, chiama Efesto e fagli sintonizzare tutte
le reti, specie la CNN, chiama tutti quei semidei seccanti del campo e
fagli appendere miei manifesti ovunque, chiama..
Va bene, va bene, va
bene, evitiamo la pubblicità!
No
ma io adesso la voglio. La esigo.
Dioniso
non ti pare di esagerare?
Chirone,
torna a trottare.
...
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Capitolo 4 *** Capitolo 3. ***
CAPITOLO 3.
CAPITOLO
3.
Cantami, o Diva del Pelide Achille
l'ira
funesta che infiniti addusse
lutti
agli Achei, molte anzitempo all'Orco
generose
travolse alme d'eroi..
STOP.
No, no. Nessun proemio
omerico, non per la figura che avrei fatto quella sera.
Dopo colazione un
figlio di Atena
mi aveva raggiunto fuori dal refettorio, fin troppo incuriosito. Si
chiamava Ruth, aveva i capelli nerissimi e gli occhi grigi, un bel paio
di occhiali rayban poggiati sulla testa e un sorriso smagliante. - Hai
chiesto di incontrare uno di noi, vero? -
- Effettivamente no -
- Shila mi aveva detto
di sì -
-
Allora..sì -
- Bene -
Parlammo un'ora buona,
seduti sugli
scalini della casa di Atena. Tentò di spiegarmi il meglio
possibile l'importanza di avere un'arma propria e quello che Atena
definisce "strategia".
- Significa sapersi
muovere nel
mezzo del campo di battaglia come se fossi sempre stato lì
in
mezzo. Come se la battaglia fosse un bel pic nic -
- Siete troppo
positivi. Una
battaglia potrebbe sembrare di tutto, ma non l'avrei mai paragonata ad
un giardino felice colmo di tramezzini -
Ruth
scoppiò a ridere, poi si bloccò all'improvviso,
osservando il mio polso. - E quello cos'è? -
- Un bracciale -
- Dove lo hai preso? -
- Non mi crederesti,
me lo ha.. -
- Mi pare di averlo
già
visto.. - mi bloccò, lo sguardo come se il suo cervello
stesse
lavorando alla velocità della luce. - Senti, ti vengo a
cercare
dopo, devo fare una mini ricerca - aggiunse in fretta.
E sparì,
dileguandosi all'interno (gli occhi della civetta, a quel punto, mi
ficero intuire fosse meglio sloggiare).
Passai il resto della
mattina ad allenarmi con Luke e mi aveva distratto non
poco. Mi aveva quasi, potrei dire, convinta del fatto che avrei
migliorato davvero e sarei diventata un'ottima spadaccina. Almeno fino
a che non mi ero ritrovata sola nell'armeria.
- PERCHE'? PERCHE' DEVO ESSERE FIGLIA DI UN DIO?! - continuavo a
urlare, demolendo la fronte contro il muro.
Insomma, comprendetemi. Non avevo niente di divina importanza. Niente
che potesse rendersi utile, durante la caccia alla bandiera. Per di
più, le spade mi facevano schifo, ma a Luke non riuscivo a
dirlo. Guardarlo contento e convinto di poter cavare qualcosa di buono
in me, mi bloccava.
Al diciottesimo bocciare tra la mia testa e il muro mi fermai,
sedendomi a terra. Il braccialetto privo di qualsiasi segno familiare o
messaggio promozionale rifletteva la mia immagine: tutto quello che
vedevo erano un ammasso di capelli neri, gonfi, sparsi qua e
là. Due occhi nocciola - i soliti miei occhi nocciola -
quelli di
una ragazzetta come un'altra, di quelle che incroci alle fermate
dell'autobus con l'iPod alle orecchie e la testa chissà
dove,
persa nella musica a palla.
La musica, dannazione. Mi mancava da morire. A volte avevo
l'impressione di avvertire un vuoto nel petto, specie quando mi sentivo
sola o avevo bisogno di ratagliarmi una fetta di mondo.
Chissà
se avrei potuto avere un iPod..
Uscii dall'armeria che era ora di pranzo. Corsi alla cabina di Ermes e
mi cambiai in fretta, senza dare troppo nell'occhio. Travis mi
lanciò uno sguardo incuriosito (penso fosse per il fatto che
stessi zitta per più di tre minuti) e gli sorrisi di
rimando,
tentando di sembrare il più naturale possibile.
Mi affiancò senza dire una parola, quando vide che ero
pronta,
poi non ce la fece più. - Stai.. bene? - chiese, cercando di
non
tentennare.
- Benissimo - risposi, afferrando i capelli a caso e legandoli
in una coda stretta.
- Senti, volevo dirti che.. Si ecco.. Mi dispiace non averti detto
niente, della Caccia alla Bandiera - disse, con un tono che non avevo
gli mai sentito usare.
Quando incrociai i suoi occhi blu capii che fosse veramente veramente
preoccupato. E la cosa, ammetto, mi lusingò non poco.
Presi un bel respiro e gli sorrisi di nuovo, stavolta più
convinta. - Sta tranquillo, Travis, è tutto apposto. E poi
ci
sarai tu a coprirmi le spalle, no? -
Lui sobbalzò appena, poi annuì convinto. - Ci
mancherebbe, non ti lascerò di certo in balia dei cinghiali!
-
(alias, figli di Ares)
Scoppiai a ridere, spingendolo piano oltre la soglia delle camere. Lo
trascinai fuori, dove Shila stava poggiata contro il pilastro. Ci
salutò con un mezzo sorriso dei suoi e si diresse con noi
fino
al refettorio.
Come al solito, i tavoli erano in subbiglio. Dioniso sedeva al tavolo
principale, senza curarsi della presenza di nessuno, se non del tavolo
dei suoi figli. Vi era solo qualcosa di insolito: Chirone sedeva
accanto a lui e, al suo fianco, Tritone era riapparso.
Non capii se mi avesse notata o meno, ma continuai a guardarlo,
tentando di leggere il labbiale. Captai ben poco, dato il chiasso dei
miei compagni di tavolo e della premura di Travis a riempirmi il piatto
di qualsiasi cosa gli passasse davanti.
- Ehi, stai bene? - mi domandò Brandon, sedendosi di fronte
a
me. Lo fissai un momento, poi annuii. Lui sorrise, poi
aspettò
che Travis si fosse distratto e si chinò in avanti. - Devo
chiederti una cosa - cominciò, quasi sibilando.
- Certo - gli dissi - Dimmi..pure -
Brandon prese un bel respiro. - Conosci Shila, vero? -
- Sì, perché? -
- Sai per caso se.. Ha qualcuno che.. Hai capito - buttò
fuori in fretta, gesticolando con una mano.
- Ho capito..? -
- Non hai capito? -
- Non ho capito..cosa? -
- Quello che volevo dire -
- Cosa volevi dire? -
Il figlio di Ermes mi fissò preoccupato, poi alzò
appena
le sopracciglia. Okay, non ero di sicuro figlia di Afrodite.
- Ah, no, no - scossi in fretta la testa - Non ha nessuno.. Ho capito,
adesso -
Lui sorrise fin troppo compiaciuto, ma non aggiunse altro.
Kevin sembrava non esistesse. Era completamente
sparito dalla circolazione: nessun biglietto ("..auto sparita, potevate
morire, potevate essere visti!" Ah, quanto mi piaceva Molly Weasley..
Harry Potter, presente?), nessun messaggio, nemmeno un
segnale
dal cielo. Mi aspettavo di tutto, ne ero sinceramente pronta, ma lui
non aveva ritenuto importante rendermi partecipe della sua vita.
Vagai per il bosco circostante le capanne, fin giù al
laghetto delle
canoe, perfino i campi di fragole, ma nessuno dei satiri aveva idea di
dove fosse il mio amico. Per la prima volta dopo giorni in cui
cospiravo alle sue spalle, mi resi conto di quanto Kevin mi mancasse.
Un amico come lui non lo avrei rimpiazzato con nessuno.
Persa nei miei pensieri, mi ritrovai al tiro con l'arco. Non c'era
nessuno, a parte un ragazzo biondo due spanne più alto di
me,
con un'aria vagamente familiare. Eppure ero sicura di non conoscerlo
affatto..
Intercettò i miei passi e alzò il viso dalla sua
sacca di cuoio, fissandomi. Lo fissai anche io.
- Beh? -
- Eh? - riuscii a dire. Aveva davvero
un'aria familiare..
- Che fai, tiri o no? -
- No, direi proprio di no -
- E allora per quale motivo sei qui? - Domanda lecita.
- Non lo so, sinceramente - Grande risposta.
Mi squadrò incerto, alzandosi in piedi. Intascò
un
piccolo oggetto metallico color oro e poggiò la tracolla
sulla
spalla. - Non puoi ignorare i bersagli, comunque - continuò,
come se nulla fosse. Si allontanò verso quelli
più
distanti, tirando via alcune frecce, dorate anch'esse. Lo aspettai,
immobile.
- Vuoi tirare? - chiese al ritorno, impalandosi davanti a me.
- Io..ti ho già visto - decretai, ignorando la domanda.
- Probabile. Sai, il Campo Mezzosangue.. Ci vivi anche tu.. - disse,
trattenendo una risata.
- No, no, sto dicendo - scossi in fretta la testa - Fuori da qui -
Il ragazzo aggròttò di nuovo la fronte, facendomi
balenare in testa di nuovo un'immagine sfocata di qualcuno che gli
somigliava fin troppo. Non riuscivo a capire perché, ma ero
pronta ad ammettere che mancasse soltanto un passo alla risposta. Lui
continuò a fissarmi, poi notò il bracciale al mio
polso e
rilassò il viso, sorridendomi. Mi porse l'arco che aveva in
mano
e una freccia, attendendo.
- Vuoi che tiri? - chiesi. Lui annuì, incrociando le braccia
e
facendo qualche passo indietro. Alzai le spalle e incoccai la freccia,
tendendo l'arco.
- Ah-ah, ti piacerebbe -
- Che cosa..? - non ebbi nemmeno il tempo di finire la frase che il
biondo mi aveva fatto virare di 45°. Assottigliai gli occhi. -
No -
decretai - Sarà almeno a un raggio di cento metri! -
- Centosessantasette, per la precisione - mi corresse - Chirone ha
sbagliato di due centimetri. Capita -
- Non ce la farò mai, potrei beccare quel gruppetto di figli
di
Atena e sicuramente non sarebbe piacevole - conclusi, riporgendogli
l'arco.
- Non cercare scuse, tira - mi rimproverò. Okay, cominciava
a sembrare mia madre.
Respirai a fondo, rilassando i muscoli. Riappoggiai la freccia sulla
corda e chiusi un occhio, calibrando la traettoria. Per un
momento fu come camminare verso il bersaglio (o magari il contrario).
Riuscivo a sentire chiaramente la brezza e vedere ogni
possibilità di cambiamento. Sapevo per certo che avrei
dovuto
aspettare quella corrente d'aria passasse o si abbassasse, per centrare
il punto rosso, così vicino da poterlo quasi sfiorare.
Sentivo le dita prudere, ma non ancora a sufficienza, nemmeno quando il
vento cessò. Avvertii alla mia sinistra che anche lui aveva
la mia stessa consapevolezza che quello fosse il momento
giusto. Scoccai.
Veloce come la luce, la freccia si conficcò nel
bersaglio.
Abbassai le braccia e seguii di corsa il ragazzo (detto Biondo) che era
già partito a tutta birra. Quando arrivai dietro di lui,
fissai
l'opera incredula.
- Fantastico - commentò, distruggendo il mio centro perfetto
(infondo, era sua..). Si rigirò la freccia tra le dita prima
di
sorridermi - Beh, allora ci vedremo presto -
- Che vuoi dire? -
Non ottenni risposta, mentre si allontanava intonando Welcome To The
Jungle.
- ALMENO DIMMI IL TUO
NOME! - urlai, seriamente offesa.
- Hector - annunciò, mentre la sua voce si perdeva - E
gradirei te lo ricordassi o mi riterreò offeso -
Hector il Biondo che mi ricordava qualcuno di familiare si
rigirò e stavolta sparì in mezzo al gruppo di
semidei che
risaliva l'arena. Mai avrei pensato che lo avrei rivisto più
spesso del dovuto.
L'armatura non era male. Mi piacevano le piume azzurre. Mi piaceva
fosse leggera. Non mi piaceva il motivo per cui l'avrei usata.
Luke aveva radunato tutti i componenti della Casa di Ermes e stavamo
attendendo la chiamata di Chirone. Di fronte alla Casa Grande,
alcuni dei membri di Efesto erano già in
posizione, mentre
dal lato opposto, la marmaglia di Ares faceva notare la sua presenza,
intonando cori poco simpatici. Shila mi lanciò un saluto
entusiasta, indicando le piume sul suo elmo: era contenta che fossimo
dalla stessa parte.
I figli di Atena stavano cercando di aiutare alcune delle figlie di
Afrodite ad allacciare la loro armatura (con risultato qualche stratega
imbambolato di fronte a delle ragazzette divertite e in preda a
risatine acute isteriche), mentre i figli di Apollo si fermarono
accanto al nostro gruppo.
Il capo cabina, un ragazzo con folti capelli scuri e occhi marroni
come i miei, diede una pacca sulla spalla a Luke, che si
voltò
un po' sorpreso. - Lee! - disse poi, illuminandosi - Hai sgunzagliato
gli arceri, vedo -
- Oh, sì - confermò lui - Ma ci sarà
qualche nuova
sorrpesina per i figli di Ares, questa volta. C'è chi ancora
ha
un debole per il combattimento corpo a corpo, nelle nostre file -
I due ragazzi risero, cominciando poi a parlottare tra di loro, quando
Beckendorf li raggiunse. Scorsi con gli occhi tutti i componenti della
nostra squadra e, a differenza della rossa, avvertii una certa
unità ed equilibrio.
I figli di Efesto stavano controllando le spade ai figli di Ermes
(tutte in perfetto stato, erano già passati prima di cena,
ma non avevano resistito ad
ultimo controllino). I figli del dio del sole, stavano decidendo come
disporsi, mentre altri davano l'ennesima occhiata agli archi dei
fratelli più piccoli. Li invidiai a morte.
- Bene bene bene.. - disse una voce alle mie spalle.
Quando mi voltai, Hector mi guardava dall'alto, un sorriso strambo e
l'elmo con piumaggio azzurro sottobraccio.
- Vedo che siamo nella stessa squadra. Mi sarebbe dispiaciuto cercare
di farti fuori - aggiunse, seriamente sentito.
Quanto mi stava simpatico.
- Già, quindi.. Ehm.. Se non ti dispiace, mira a quelli
rossi.. - dissi in fretta, sforzandomi di sorridere.
- E' quello che faccio più volentieri, ho un conto in
sospeso
coi fantasmagorici bulli - continuò, facendo un cenno col
capo
ai figli di Ares.
Clarisse stava facendo un gran baccano, imponendo alle sue reclute
più giovani di non fiatare, non respirare, non dire nemmeno
una
vocale, quando lei parlava. La sua lancia elettrica emanava scintille
gialle, ogni volta che la sbatteva al suolo.
- Nah, Clarisse è innoqua - disse Hector di punto in bianco,
come se avesse letto nella mia mente il mio ultimo pensiero (ovvero:
gira a largo dallo stecchino con le scintille).
- Innoqua? Lì dentro nessuno mi sembra adatto all'aggettivo innoquo - dissi.
Hector dovette cogliere la mia vena ironica, perché
accennò una risata, poi scosse la testa. - No, quelli sanno
fare
solo un gran casino. Ma c'è qualcuno lì in mezzo
con cui
spero tu non debba incrociare la tua lama.. -
- Chi? -
- Non la vedrai qui, poco ma sicuro. Lei la incroci solo sul campo di
battaglia -
Notai un nuovo sorrisetto strano, ma non dissi nulla.
- Beh, ti saluto, devo aiutare Lee a far mantenere la calma ai
più piccoli - decretò - Vedi di restare tutta
intera -
aggiunse con un tono leggermento più basso.
Gli feci un cenno col capo, mentre si allontanava. Lo vidi aiutare una
delle sue sorelle a sistemare la faretra, poi un altro e
infine
testare la corda dell'arco della prima, quando Luke mi
occupò la
visuale.
E così Hector era figlio di Apollo. Insomma, avrei dovuto
capirlo dalla simpatia pungente fin troppo simile alla mia. O dal fatto
che avesse una certa abilità nel tiro. O dal fatto che, a
guardarlo, non avrei potuto piazzarlo da nessun altra parte.
Chirone ruppe il flusso dei miei pensieri, trottando di fronte a noi. -
Eroi! - cominciò, rimbombando - Giovani semidei! E' con
immenso
piacere per me annunciare questa nuova Caccia alla Bandiera! -
Molti cori di approvazione si levarono dalle fila di Ares. Per la prima
volta dopo giorni avvertii la voce di Dave e cominciai a tremare di
rabbia: se ne stava lì, tra Clarisse e un altro dei suoi
fratelli, un ghigno maligno in faccia.
- Oggi la Luna splende e illumina la foresta più del dovuto,
non
è meraviglioso? Ma non perdiamo altro tempo. Avete un
massimo di
tre ore per cercare di rubare la bandiera alla squadra avversaria! E
cercate di non perdere troppi pezzi, stavolta, non è vero,
Dioniso? -
Il dio non alzò nemmeno la testa dal suo giornale,
mugugnando un 'Mmmmhmh'.
- Che vinca la squadra migliore! Cominciate! -
I ragazzi cominciarono subito a sparpagliarsi, incitandosi a vicenda.
Una mano si poggiò leggera sulla mia schiena, costringendomi
a seguire
il gruppo dei figli di Ermes. Quando mi voltai verso di lei, mi accorsi
che era proprio una dei figli del dio dei ladri a starmi vicino.
Aveva
folti capelli castani che uscivano dal suo elmo, coprendole le spalle.
Notai un sorriso gentile, ma ardito, mentre mi faceva cenno di
infilarlo in fretta. - Tranquilla - disse - Non sei sola, siamo una
famiglia qui -
- Questo mi
tranquillizza - ammisi, infilando l'elmo e afferrando l'elsa della
spada.
-
Paige, mi chiamo Paige - disse, camminandomi a fianco - Sto un paio di
letti più in là del tuo e so che ti chiami Jen,
Travis mi ha parlato di
te -
- E ti ha detto di
farmi da badante -
Paige rise,
sfiorandosi la cintura.
- Quasi, mi ha detto che è la tua prima Caccia alla
Bandiera.
Dunque, è normale -
Il
forte accento texano della ragazza mi fece pensare ad un ristorantino
dove io e mamma andavamo a mangiare quando avevamo voglia di
trasferirci culinariamente in Texas (appunto). Guardai in direzione
delle sue mani e notai due pistole appese, capendo il perché
della
bandana appesa al collo: aveva davvero l'aria di uno di quei banditi
che vedevo nei film. Se l'avesse alzata sul naso e avesse inforcato un
cappello da cowboy, sarebbe stata perfetta.
Hector ci
schizzò a
fianco, seguito da Lee e Michael, un altro figlio di Apollo. Lo vidi
arrampicarsi su un cumulo di massi e coordinarsi con i fratelli per
piazzare il primo gruppo di arceri. Beckendorf e due componenti di
Efesto, tra cui Shila, partirono in esplorazione, mentre i restanti
rimanevano a guardia di quella che doveva essere la nostra bandiera.
Travis
e Connor affiancarono l'ultimo gruppo, mentre Luke e Chris seguirono
Beckendorf, seguiti da Hector, Michael e un altro della casa di Apollo.
La
foresta cominciava a farsi più fitta, mentre ci
addentravamo. Avvertivo
accanto a noi presenze non molto gentili e fruscii che mi facevano
scattare sull'attenti ogni minuto che passava. Una ninfa per poco non
mi fece perdere tre anni di vita, facendo spuntare il visetto dal suo
tronco.
- Non ti mollo, sta
tranquilla -
disse Paige a un certo punto. - Seguiamo Luke, di sicuro
sarà
più divertente che stare qui -
Non chiedetemi
perché la seguii.
Paige
si muoveva senza fare il minimo rumore. Sembrava accarezzasse l'erba,
più che calpestarla. Pensai che essendo figlia del dio dei
ladri,
avesse una certa specialità nell'intrufolarsi ovunque senza
dare
minimamente segno della sua presenza. Ci seguirono alcuni dei suoi
fratelli, spada sguainata. Feci lo stesso, tentando di non risultare un
problema, più che un'alleata.
Fu alla fine del
sentiero che notai un piumaggio rosso in lontananza.
- Shh, ehi, fermati! -
dissi a Paige.
- Che c'è? -
- Non li vedi? Figli
di Atena! -
- Dove.. Oh, cavolo..
- sibilò, gettandosi dietro un cespuglio (che fece Ahia! o almeno
credo).
Azzardai
più o meno la stessa cosa, prendendo in prestito l'albero di
una ninfa.
Cercai di sbirciare, mentre avvertivo le loro voci più
nitidamente. Vidi
Ruth parlare con una delle sue sorelle, prima di partire con un
gruppetto di fratelli verso il bosco.
I
figli di Atena erano i più problematici della squadra rossa,
questo lo sapevano tutti. Era quasi impossibile batterli sul campo,
dato che era come se fossero a casa loro o a un picnic, come aveva
detto proprio Ruth quella mattina.
Paige
attirò la mia
attenzione, facendomi notare una cosa che non avevo ancora captato:
nascosti nel fogliame, Luke e Beckendorf, seguiti da Chris e altri
della nostra squadra, avevano torvato quella poastazione esattamente
come noi. Luke alzò gli occhi verso di me e un lampo di
consapevolezza
gli attraversò il viso.
- Io?! - riuscii a
bisbigliare.
- Eh? - chiese Paige.
Luke annuì,
come in conferma, mentre Paige già si esaltava, afferrando
il pugnale dal suo stivale.
- Non posso, Paige,
non posso, diglielo tu! -
- Ehi, Luke sa quello
che dice, fidati un po' degli altri -
- Ma.. - tentai di
contraddirla, ma sapevo aveva ragione. C'era chi credeva in me
nonostante tutto.
Presi un lungo
respiro, stringendo di più l'elsa, e guardai Luke, che
aspettava soltanto un cenno. Poi, tutto esplose.
Corremmo
lungo la picola discesa, attaccando assieme. Un figlio di Atena
sguainò
la spada più in fretta degli altri, facendo capire ai
fratelli che
qualcosa non andava.
Beckendorf
attaccò quello che sembrava il capo
del mini plotone, mentre due dei rossi se la prendevano con Luke.
Decisi di aiutarlo, attirando l'attenzione di questi.
- Ah, la nuova
arrivata! - disse lui, facendo roteare la sua spada.
- Quella che non
scorderai tanto in fretta, bello - confermai, attaccandolo in fretta.
Gli
stetti dietro senza problemi, parando i suoi affondi. Cominciai a
tenere un certo ritmo (e fu strano più per me
che per gli
altri,
credetemi), fino a che non mi accorsi che le sue mosse stavano
diventando fin troppo coordinate. Trovavo una certa fatica a
prevederle, ma non mi arresi nemmeno quando un urlo arrivò
dalla
foresta.
- I figli di Ares,
bene! - disse lui, gongolando.
- Ci
mancava solo questa! -dissi, sentendomi di nuovo intrattabile come
prima. Presi a sfogare la mia rabbia repressa sul poveretto, tanto che
cominciò a indietreggiare fin contro un tronco, fissandomi
sconcertato.
Quando lo disarmai,
non lo degnai nemmeno di uno sguardo. Aspettavo i figli di Ares come se
non volessi altro.
Paige
e Luke mi arrivarono a fianco, mentre gli altri catturavano e
intrappolavano i prigionieri. Sentivo i passi dei nuovi ospiti farsi
più vicini e qualcosa in me stava seriamente facendomi
perdere il
controllo.
- Calmati -
sentenziò Luke - Non diventare come loro -
- Voglio farlo a pezzi
-
- Ho detto non
diventare come loro! -
- Non garantisco
niente -
Luke
stette per aggiungere qualcosa, ma era troppo tardi. Cinque o sei
ragazzi ci arrivarono davanti, fermandosi come una mandria impazzita.
Clarisse reggeva la sua lancia, mentre un ragazzo al suo fianco puntava
gli occhi verso la sottoscritta.
Era la resa dei conti.
O almeno
pensavo lo fosse, quando notai che quel ragazzo non era Dave e che una
furia più piccola si fece strada dal gruppetto, con me come
unico suo obbiettivo.
La
ragazza mirò un fendente diritto sulla mia faccia, che
schivai, mentre
Luke al mio fianco iniziava un duello con la sorella. Non aveva la
stessa stazza robusta e mascolina di Clarisse, era anzi piuttosto
bassina e tre volte più agile. Mi ricordava tanto Dave.
Non mi dava
nemmeno il tempo di pensare ad una mossa per controbattere. L'unica
cosa che potevo fare era difendermi e cercare di mantenere tutti i miei
pezzi al loro posto.
La voce di Paige mi
arrivò all'orecchio,
incitandomi a non mollare. Da Clarisse, invece, si levò una
risata di
scherno, mentre cercava di stare dietro a Luke. Insomma, la tipa in
questione doveva avere non pochi ammiratori tra i suoi fratelli.
- Avanti, combatti
come si deve! - mi disse all'improvviso. Aveva una lunga treccia di
capelli neri che le usciva dall'elmo.
Quella voce
più che darmi forza, mi fece sentire esattamente come quando
avevo incrociato la spada con Dave all'arena.
Arrancai,
inciampando in qualcosa. Clarisse rise più forte, mentre
Luke si
voltava verso di me. La ragazza mi guardò, pronta ad
attaccare. Strizzai gli occhi.
Al
contrario di ciò che mi aspettavo (la mia morte), qualcosa
si scontrò
con la sua lama. Aprii un occhio e la vidi balzare all'indietro,
slegarsi l'elmo e gettarlo a terra, in preda all'ira funesta.
- Russel,
stanne fuori! - ringhiò contro alla figura sopra di me.
- Nadja - canzonò Hector - Anche per me è sempre
un piacere incontrarti -
La figlia di Ares lo guardò con un lampo assassino negli
occhi. Temetti stesse per sputare anche fiamme.
Lui ignorò completamente gli insulti in greco antico che
aveva cominciato a gettargli addosso.
- Levati, non devi intrometterti negli affari miei! -
sentenziò, riafferrando la sua spada.
- Ti conviene andartene - mi disse lui, continuando a guardare gli
spostamenti di Nadja.
- Non ci riesco - confessai.
E in effetti era vero. Il bracciale sul mio polso aveva cominciato a
risultare un peso. Letteralmente.
Nadja
partì a tutta birra contro di noi prima che lui potesse
aggiungere
altro. Mi scavalcò con un salto e parò i suoi
colpi, facendola
indietreggiare per darmi il tempo di rimettermi in piedi.
Li guardai
combattere come se non dessero nemmeno tempo al tempo di agire. Nadja
si muoveva come se stesse danzando, ma con la precisa
finalità di farlo
fuori, mentre Hector si limitava semplicemente a tenerla buona.
- Allora, ti vuoi mettere a riparo o no?! - mi urlò infine,
abbassandosi appena in tempo di ricevere un colpo in pieno naso.
Mi
afferrai il polso, reggendolo come se fosse un sacco, e cominciai a
correre dalla parte opposta. Mi pareva di portare un gioiello di piombo.
Tentai di non dare nell'occhio, ma ciò durò poco:
la voce
di Dave si levò dal nuovo gruppo che stava arrivando.
Attraversai di corsa la radura, continuando a sentire i figli di Ares
alle calcagne. Il bracciale al polso si faceva sempre più
pesante ed ebbi quasi paura di non riuscire a raggiungere una buona
velocità (diamine, papà, che razza di regalo
è? Un
braccialetto per fare i pesi?!).
Non riuscivo a capire dove stessi esattamente andando, ma non mi
importava: dovevo togliere quell'affare.
Cominciò
ad annebbiarmi la vista, quando cercai di farlo girare. Niente. Mi
stava togliendo il respiro. Immaginai di vedere la mia mano sparire
nelle viscere della terra, risucchiata.
Qualcosa nella mia testa
mi fece cominciare ad invocare tutti gli dei. Non era possibile. Non
così. Volevo contare qualcosa anche io, volevo fare anche io
la
differenza e ripagare tutti quelli che avevano creduto in me.
Strinsi gli occhi, avvertendo le voci dei ragazzi alle mie spalle come
lontane mille miglia.
Una
luce, abbagliante, illuminò lo sprazzo verde a giorno. I
passi dei
nuovi arrivati si inchiodarono al suolo. Sentii un calore crescermi in
pieno petto e il bracciale scattò, roteando di 180°:
un arco dorato era
ora tra le mie mani.
Sulla sua curva perfetta brillava in, caratteri greci, la scritta λαμπρός,
splendente.
- Che diavolo..? - sussurrò Dave, cercando di vedere
attraverso quella luce, il viso riparato da un braccio.
Quando
mi alzai ebbi una visuale completamente diversa di tutto, come se la
luce del sole sopra la mia testa avesse cambiato
e perfezionato i
pigmenti dei colori di ogni cosa. Tesi l'arco e una freccia di luce
apparì da sé. Sapevo esattamente cosa fare.
Mirai ai figli di Ares
appena in tempo per sentire grida di giubilio provenire dalla foresta.
Scoccai una freccia dopo l'altra senza aver bisogno di alcuna faretra.
Quando
i miei compagni si ritorvarono dietro di me, Luke per poco non fece
cadere la bandiera scarlatta, fissando prima i figli di Ares conficcati
nella parete di roccia, poi sopra la mia testa. Hector
apparì poco
dopo, l'elmo a mezzaria, uno sguardo vagamente stupito, ma non troppo.
- Non ci posso credere.. - disse Shila, un filo di voce. Paige
inforcò un paio di occhiali da sole per guardarmi meglio.
Il
trotto di Chirone arrivò in tempo per annunciare la fine
della Caccia
alla Bandiera e la vittoria della squadra azzurra, ma alla luce quasi
senza fine si coprì appena gli occhi, poi sorrise.
- Ave Jennifer Kane! - annunciò - Figlia di Apollo, dio del
sole e delle arti! -
eeeeh,
salve!
sì, lo so,
ci ho messo tantissimo a pubblicare il nuovo capitolo, ma ne
è valsa la pena.
avevo bisogno di
stimoli e li ho trovati u.u
dunque, stavolta
Dioniso non si è degnato di apparire (tanto
meglio) e ho deciso di passare direttamente ai ringraziamenti:
a tutti quelli che non
si sono scordati di jen (figlia di quel ganzo di apollo);
a chiunque sia passato
per caso o per noia;
a chiunque sia
passato, davvero, grazie.
e poi due
ringraziamenti speciali: ai creatori di due personaggi da ora
presenti in questo racconto.
parlo di hector e nadja, due autentiche perle.
e..ho finito.
Penny?
oh no..
Penny,
che stai facendo?
niente, signor D.
Hai
contattato Ermes? No perché devo aggiungere una lamentela,
non mi ha rinnovato l'abbonamento a Somelier
Oggi.
e io che c'entro?
Beh,
fai da tramite, mi sembra ovvio.
...
Penny,
andiamo, vuoi che mi perda gli aggiornamenti di questa settimana?
no, si figuri.. sia
mai.
Lo
so, sarebbe scioccante, privo di ogni possibile scusa, privo di..
va bene, va bene, ho
capito!
Mi
sento affranto.
oh dei..
Non
capito.
...
Non
rispettato.
chissà come
mai, eh?
Come
hai detto, Penny?
ahm.. vado a cercare
ermes su divin-maps. addio.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 4. ***
CAPITOLO 4.
CAPITOLO 4.
Sedere al tuo
tavolo era tutta un'altra cosa.
Immaginate di ritornare a casa dopo anni passati fuori, magari in un
altro emisfero, causa studio universitario. Borsone in spalla, stessa
scalinata da percorrere, con la stessa cassetta della posta fuori dalla
stessa porta che varcavi ogni giorno per andare e tornare da scuola.
Immaginatelo bene, perché mi sono sentita proprio
così.
Shila parlottava con Paige e Travis fuori dalla mensa e vedermi assieme
al corteo dei figli del dio degli oracoli li fece sorridere
soddisfatti. Insomma, sapevano quanto mi turbava questa storia del non
essere riconosciuta. E nonostante da Ermes stessi divinamente, sapevo
per certo non fosse il mio posto.
Ma comunque sia, adesso sedevo al tavolo con la mia vera e propria
famiglia.
Michael,
Lee e Hector stavano al bordo opposto al mio, ma il loro vociare li
faceva sembrare esattamente accanto a me. Molti dei miei fratelli
avevano storie totalmente diverse e alquanto strambe, rispetto alla
mia, eppure
mi trattavano come se avessimo condiviso da sempre la stanzetta accanto
a quella dei nostri genitori, fino a che ognuno non avesse preso la propria strada.
Era meraviglioso.
A fine colazione avevo conosciuto tre quarti della casa e avevo preso
una certa simpatia per due delle mie sorelle, Adele e Zoey.
Mi accampagnarono a fare il giro dei luoghi di cui i figli di Apollo
avevano il compito di occuparsi. Avevo scoperto che l'infermeria era
totalmente in mano nostra, così come il mantenere decenti le
armi di tiro (arco e frecce e magari faretra, tanto perché
non
siamo megalomani).
Infine, mi indirizzarono alla nostra cabina: la numero sette.
Adesso, immaginate di nuovo. Un enorme, enorme blocco d'oro,
completamente decorato e retto da colonne a capitelli dorici, ionici e
corinzi. Ogni stile architettonico si trovava in perfetta sintonia con
l'altro, come se ogni periodo artistico che ti colpisse di
più
si plasmasse a tuo piacimento.
Se non fossi stata figlia sua, avrei di sicuro dovuto indossare un paio
di occhiali per non restare accecata da cotanto splendore.
Rimasi a fissarla qualche minuto imbambolata, finché un
colpetto
sulla mia spalla non mi fece rimettere i piedi per terra.
Mi voltai, poi gli sorrisi. - Ehi, Ruth. Ripreso dalla sconfitta? -
- Non ne parliamo - disse in fretta, ridendo. Ruth era un tipo apposto,
mi andava a genio. - Piuttosto, mi è dispiaciuto non averti
beccato prima, avrei potuto dirti del bracciale - aggiunse, facendo un
cenno al mio braccio.
L'oggetto dorato era diventato, adesso, una piuma o parte integrande
del mio stesso arto. Non lo sentivo più.
- Era un'arma di tuo padre, la prima per l'esattezza -
continuò. Sembrava più entusiasta di me.
- Efesto aveva accennato a battaglie contro i Titani e gli Achei, penso
di aver intuito quanto sia antico questo cosetto.. - affermai,
alzandolo per specchiarmici.
- Beh, ti spetta di diritto, infondo, no? - mi sorrise - E spero di
poterlo disintegrare alla prossima Caccia alla Bandiera -
- Ti piacerebbe, figlio della Cervellona -
Un tuono risuonò in lontananza. O forse una sottospecie di
grido spastico di una qualche civetta.
Abbandonai Ruth per correre alla casa di Ermes il più in
fretta
possibile. Non avrei sopportato di ricevere, per ripicca, cacca di
pennuti notturni sulla testa.
Okay, avevo traslocato. La cabina di Apollo era qualcosa di
spettacolare non solo da fuori, ma credetemi se vi dico che a ogni
angolo qualcosa
scintillava come se dovesse ridurti la cornea a un filino e portarti
alla cecità.
Così sarebbe stato per chiunque non avesse questa
particolare
protezione alla luce (sto parlando anche di me, già).
La cabina aveva quel non so cosa che mi ricordava un faro, la cui vista
non lasciava escluso niente. Alle pareti, numerosi archi erano appesi,
come se ogni arma dovesse davvero avere la benedizione di mio padre per
poter avere un senso.
Mio padre.
Alcuni dei miei fratelli avevano conservato dei ritagli di giornale,
fotografie o qualsaisi altra cosa avessero presupposto raffigurasse
lui. Mi ero fermata a osservarli, uno a uno, e, cosa sconcertante,
nessun volto era uguale all'altro.
In uno appariva come un bambino che aveva vinto il primo premio a uno
di quei giochi che si fanno sulla sabbia, della serie "costruisci la
migliore scultura di sabbia". E siccome era il dio delle arti, vi
lascio immaginare (dietro di lui, la signora che gli stava dando il
premio lo fissava sconvolta).
In un'altra aveva tanto l'aria di essere un fotografo fin troppo
importante, sulla quarantina e non più di dieci anni. Giurai
di
averlo visto a una di quelle mostre che, a casa mia, fanno una volta
ogni eclissi lunare (giuro). Non lui, ecco, ma quelle fotografie
sì. Mi avevano colpito come solo un'opera perfetta riesce a
fare. Niente di sfarzoso, finto o fuori luogo. Ogni scatto era la
perfezione.
E fin qui, avevo comincianto a provare una profonda stima.
Andando avanti nelle fotografie e articoli di giornale, lo avevo visto
fare da modello a una di quelle sfilate di alta moda con la stessa
disinvoltura di qualcuno che sa di poter avere il controllo della sala
intera. E ammetto che ne avesse tutte le ragioni (infondo sei anche il
dio della bellezza maschile, no, paparino?)
Feci una smorfia, scorrendo senza darci troppo peso, poi qualcosa mi
bloccò. Era la struttura di un ospedale, precisamente, la
scritta diceva "Ospedale Pediatrico Morgan Stanley, New York". Un
medico, sulla trentina, sorrideva all'obbiettivo, abbassato accanto ad
un bambino che sorrideva anche più scintillante di lui.
Strinsi forte il foglio.
Quell'uomo era mio padre.
Lessi in fretta l'articolo, captandone solo alcune parti: "Il
dottor Helton ha restituito la vita al legittimo proprietario, Thomas
Jefferson, attuando la sua nuova cura per la prima volta nella storia
della medicina anti-tumorale." [...] "Il
piccolo Thomas oggi è tornato a correre per le strade della
sua
città, giurando di ricevere la forza per credere di nuovo
alla
vita semplicemente guardando il sole ogni mattina, e che quello
è un motivo più che sufficiente per continuare a
sperare".
Deglutii rumorosamente, passando ad altri
articoli
simili. Dottor Helton, Dottor Jaymes, Dottor Takayama, Dottor Jones,
Dottor Bandhura. Avrei potuto continuare per ore a elencare tutti gli
interventi di mio padre nel campo della medicina. Non c'era continente,
stato o regione del mondo in cui non avesse messo piede, almeno una
volta, per rinfrescare la memoria e la speranza di
possibilità a
tutte quelle persone che, tra ricerche e studi, cercano soluzioni a
quei mali che ti colpiscono, portandoti alla morte.
Mi ritrovai a sorridere. Non importava se apparisse come un uomo
giovane, vecchio, saggio, solare. Era sempre lui, sempre attento,
nonostante le voci della sua passione sfegatata al divertimento.
Ed era anche vero. Voglio dire, molti articoli affermavano di averlo
visto a qualche party delle élites dei paesi più
ricchi
del pianeta o sopra un palco a far saltare la folla nel bel mezzo di un
suo concerto.
Mio padre, era tutto questo. Era così tanto, che facevo
fatica a credere che potessi essere davvero sua figlia.
Tutto questo mi aveva smosso dentro qualcosa per ciò che
avrei voluto fare. E mi addormentai con questo pensiero.
Almeno, prima di sognare.
Mi trovavo in una casa dal sapore antico, davvero fuori dai miei canoni
(non l'avrei mai arredata così, ma comunque).
Avanzavo lenta, forse perché l'enorme quantità di
specchi
appesi ai muri mi dava una certa ansia. Non sentivo voci, né
rumori, né suoni, ma vedevo soltanto immagini di una figura
riflessa ovunque. Sembrava stesse leggendo o comunque era china su
qualcosa. Portava un paio di occhiali e sembrava uno di quegli
scrittori stra convinti di loro stessi (presente Oscar Wilde o Gabriele
D'Annunzio? I sexsymbol per eccellenza).
Afferrò un calice di vino rosso, facendolo roteare
distrattamente sulla mano. non staccava gli occhi dal libro, a parte
per specchiarsi di tanto in tanto e sorridersi dolcemente (sorridersi,
esatto).
Non si accorse nemmeno della figura femminile che stava rassettando la
stanza e attizzando di nuovo il fuoco nel camino.
- Serve altro, signore? - chiese, come se la sua voce venisse da
lontano e sbattesse contro le pareti.
- No, mia cara - rispose lui, sempre con la stessa pochezza con cui
dava retta al vino. - I miei gioielli sono al loro posto? -
- Certo, signore, come mi ha detto - confermò, sempre
risultando lontana.
Lui le sorrise fintamente e lei si congedò. Era di una
bellezza
disarmante, perché non la degnava del dovuto sguardo?
Non feci in tempo a domandarmi altro che qualcuno mi scosse forte,
facendomi svegliare di colpo.
E quel qualcuno era Kevin.
- Dove diamine sei stato?! - gli urlai addosso, scagliandoli il cuscino
in faccia.
- Beeeh! -
disse lui,
abbassandosi in tempo (il cuscino colpì Hector, ma era
ancora
immerso nel mondo di Morfeo, nonostante le mie urla isteriche) -
Calmati, Jenna! Ero in missione per conto di Tritone! Non è
colpa mia! -
-Non ci sono scuse, caprone malandato! - urlai di nuovo, tirandogli
qualsiasi cosa avessi a tiro.
- Ehi, ehi! - si abbassò lui - Devo parlarti, è
una cosa seria! -
- Sentiamo, avanti, dimmi qualche altra scusa, sono pronta - dissi,
afferrando una statuetta del dio del sole.
- Solo se poggi quella cosa d'oro di ventordici carati e ti fai un bel
giro di rilassamento attorno al lago mentre ti ascolti -
Accettai. Non volevo mio padre mi maledisse per l'affronto al suo
mezzobusto.
Camminammo per qualche centinaio di metri. Continuavo a non volergli
parlare e sentivo che fosse seriamente dispiaciuto. Okay, va bene, ero
troppo orgogliosa. Lo lasciai parlare a tutto spiano, mentre cercava di
nascondere che fosse a disagio. Gli occhi verde foglia mi guardavano di
tanto in tanto.
Quando finì, mi fermai sulla riva del lago e presi un sasso,
facendogli fare qualche saltello sulla superficie.
- Quindi i fratelloni hanno litigato, mh? -
- Poseidone ha accusato Zeus di un furto...personale, sì -
Sembrava contento della mia domanda. Almeno aveva capito che volevo
ancora parlare con lui.
- E che furto sarebbe? -
- Non lo sappiamo. Ho provato a contattare tutti i miei amici satiri,
per sapere se nelle foreste, boschi o orti condominiali si sia visto
qualcosa di diverso, ma niente. Tritone ha controllato i corsi d'acqua
su richiesta di suo padre. Il dio degli oceani sembra davvero
affranto.. -
- Doveva esserci parecchio affezionato, allora -
- Già, ma a quel che le divinità delle selve
dicono, è un qualcosa che Zeus ha sembre bramato -
- Queste fonti sono certe? - chiesi, sempre più interessata.
- Tua zia è una fonte certa di sicuro, sebbene a noi maschi
non dica praticamente niente di niente.. -
- Mia zia? -
Kevin annuì, diventando tutto gonfio e fiero, di pronunciare
quel nome. - Artemide, dea della caccia e della luna -
Non avevo ben chiaro perché Kevin avesse scelto proprio
me per parlare con Artemide (zia?). Sapevo fosse una
divinità che aveva fatto foto di restare vergine e ripudiare
il
matrimonio, ma ero convinta fosse in qualche modo aperta al mondo, data
la sua nomina di divinità nomade e cittadina del mondo.
Quella sera, aspettai che i miei fratelli rincasassero. Ma ovviamente
Hector sembrò captare qualcosa.
- Non venite? - ci chiese Zoey a falò finito, una delle
nostre sorella.
- Arriviamo subito - disse in fretta lui, mentre la spingeva dolcemente
a rientrare - Il tempo di capire perché Jen sta facendo
malamente quella che ha intenzione di farsi beccare fuori dalla sua
cabina e procurarci chissà quale maledizione - concluse,
dandomi
un'occhiataccia.
- Ehm, ho da fare, Hector, per piacere, non farmi domande - dissi tutto
d'un fiato. Mio fratello mi guardò esattamente nello stesso
modo.
- Ha a che fare con l'idea che mi hai esposto stamattina? -
- No, no.. Non andrò di sicuro a esercitarmi all'infermeria
alle undici e mezza di sera - dissi, ridendo.
Non ve l'ho detto, ma avevo deciso di diventare una guaritrice.
Insomma, noi figli di Apollo sappiamo fare di tutto (vuoi mettere?), ma
ognuno di noi prende una specializzazione in qualcosa. E vista la mia
già super-vista (carina, questa!), avevo deciso di
perfezionarmi
in qualcosa che avesse potuto rendersi utile a tutti e non solo a me.
Ma comunque.
- Okay, okay, come ti pare, me ne vado a dormire -
- Te ne sono grata -
- Ma sappi che ti tengo d'occhio -
- Lo so benissimo -
- Buonanotte -
Il falò era completamente deserto. Mi sentii a disagio,
mentre attendevo Kevin.
Il tacchettio dei suoi passi arrivò poco dopo. Si era messo
tutto in tiro per l'udienza con la dea.
- Oh porco Tartaro, non ci posso credere.. - alzai l'occhio al cielo.
- Ehi, vacci piano con le imprecazioni. Là sotto ci sono
mostri che non sono affatto simpatici, sai? -
- E non li voglio conoscere -
- Meglio così, credimi - disse lui, sistemandosi i ricci
biondicci.
- Piantala Kevin, è una dea, non hai speranza -
- Non farmi sentire un minorato. Devo fare bella figura -
- Vai già bene così, guarda me come sono
conciata.. - mi indicai eloquente.
- Effettivamente.. -
- Va' al Tartaro, capito? Tuffati di testa -
Mi voltai, offesa, e mi incamminai nella foresta.
I satiri avevano un altare dedicato a tutte le divinità
devote
alla natura. Era molto piccolo e semplice, ma brillava come l'argento,
esposto alla luna. Il mazzo di fiori che avevo portato come offerta mi
sembrava altamente ridicolo per una divinità, ma Kevin aveva
giurato che Artemide preferiva altamente le cose essenziali
più
che i soliti rituali.
Li poggiai sulla pietra e mi sedetti a terra, cominciando un preghiera
in greco antico. Non successe assolutamente nulla.
Kevin si sedette accanto a me, scattando ad ogni movimento del fogliame.
- E' solo vento, sta calmo e prega con me - dissi, stringendo di
più le mani intrecciate.
A un certo punto, i raggi della luna sembrarono farsi più
caldi
e l'erba sembrò crescere a un tempo indefinito. Avvertivo i
piccoli fili accarezzarmi le gambe, mentre concludevo l'ultima frase.
Davanti a me, una ragazza di circa la mia stessa età, armata
di
arco e frecce, accarezzava i petali dei fiori, ridandogli il loro
naturale vigore. Era esattamente come nel mio sogno in quella foresta.
A guardarla in viso immaginai come potesse essere quello di Apollo
(insomma, erano pur sempre gemelli, no?)
Kevin, al mio fianco, tornò in preda alla
faringite.
- Divina Artemide.. - mi scappò, con un filo di voce.
La ragazza si voltò e mi sorrise dolcemente, afferrando
tutto il
mazzo su un braccio. - Jennifer, sono lieta di incontrarti -
- Come sa il.. Ah giusto, immagino sia un potere speciale dei suoi -
Artemide avanzò cauta e mi porse la mano. Non sapevo
esattamente
se prenderla o meno, ma lo feci. Mi sentii percorrere da un brivido:
era fresca e profumava di muschio. Morbida come quest'ultimo e
vellutata.
- Non ho potuto ignorare la tua chiamata, non si ignora mai la chiamata
di una fanciulla. Non è vero, satiro? -
Kevin annuì, cercando di sbiascicare qualcosa con la sua
faringite.
- So cosa vuoi chiedermi - aggiunse in fretta - E so che Tritone ne
è immischiato, a causa di suo padre -
- Poseidone e Zeus sono divinità che hanno da sempre avuto
motivo per discutere. Un motivo vale l'altro, tanto per capirci -
Lei azzardò una risata, cristallina, che riempì
la
piccola radura di brezza montana. - Lo so bene e per questo sto
aiutando sia mio padre Zeus che Poseidone a cercare una soluzione. Ma
quegli oggetti non si trovano. Da nessuna parte. Le mie Cacciatrici
migliori sono sempre tornate a mani vuote e temo che ci sia una magia
molto potente in mezzo a tutto questo -
- Cosa intende dire? -
- Intendo dire che questo furto potrebbe creare scompiglio nell'Olimpo
non soltanto tra Zeus e Poseidone, bensì anche sui
cosiddetti
schieramenti. Siamo così infantili, a volte, noi
divinità. Vecchi rancori, vecchie storie, ogni scusa
è
buona per tirarle fuori. Ma quando si tratta di divinità
come
Zeus e Poseidone non è il caso di prenderla alla leggera.
Potrebbero scatenare una guerra anche per un non nulla -
confessò Artemide, sforzandosi di non sembrare preoccupata.
- Divina Artemide, lei sa che cosa è stato rubato, vero? -
La dea annuì, pensierosa. - E' un qualcosa che conferisce a
Poseidone il potere di mantenere le acque della loro naturale purezza,
un qualcosa che è suo di diritto, di una bellezza estrema,
anche
anche di altrettanto potere. Se Poseidone non dovesse ritornare a
possederle, il suo potere potrebbe cessare di esistere. E come ben sai,
gli esseri viventi hanno bisogno di acqua per sopravviere -
Guardai la dea con lo stomaco contratto. Era davvero un brutto affare.
Dietro di me, Kevin scalpitò. - Mia signora, potreste
pensare di
affidare un'impresa a qualche eroe valoroso. Sono sicuro che anche i
semidei del Campo non desiderano altro che l'equilibrio, specie
sull'Olimpo.. -
Artemide spostò lo sguardo sul mio amico e un lampo le
attraversò gli occhi argentati.
Sembrava non aver preso in considerazione quell'idea e la capico.
Insomma, aveva uno stuolo di compagne con sé e sicuramente
preparate a dovere. Eppure, non sembrava affatto dispiaciuta.
Percorse qualche passo, facendo spuntare qualche fiore candido ai suoi
piedi, poi annuì, sempre più convinta.
- E sia, che i semidei abbiano il diritto di provare il loro valore -
decretò. Poi mi poggiò una mano fresca sulla
spalla - Mia
cara, lascio a te il compito di portare a Chirone il mio messaggio.
Abbiamo bisogno di voi per evitare una lite che potrebbe raggiungere un
livello mondiale -
- Va bene, Artemide - annuii.
- Mio fratello ha proprio delle figlie volenterose - aggiunse,
sistemando il suo arco d'avorio.
Un corno risuonò in lontananza.
- Il corno di Zoe, devo andare, le Cacciatrici mi chiamano - disse,
allontanandosi.
- Ma Artemide non mi ha detto di che cosa si tratta! -
- Ogni cosa ha il suo tempo, Jennifer. Ci rivedremo presto -
La dea sorrise dolcemente e io chiusi gli occhi appena il tempo di
vederla sparire nel suo raggio lunare. La radura tornò
ferma,
come se l'assenza del potere della dea l'avesse fatta riaddormentare.
Al mio fianco, Kevin sospirò sognante. E io ero diventata
l'Ermione personale di mia zia.
weeeeilà!
allora, allora, allora.
sono particolarmente ispirata (non si vede?)
comunque sia, sono contenta di essere finalmente entrata nel succo
della storia. cominciano ad avvenire cose più interessanti e
ad
essere citate divinità che spaccano (artemide, YEAH!)
sperando di ricordare tutti i dettagli, confido che voi captiate
più indizi possibili.
mi costa studiarmi la mitologia greca, anche se ammetto sia una gran
figata AHAHA
alla prossima u.u
Salve, qui è Dioniso che parla.
Siccome mi sento
bellamente ignorato dalla suddetta Lennie, ho deciso di disertare le
prossime chiusure finali.
Addio.
*Jennifer getta tutta la sua roba in dono agli dei* AVETE ASCOLTATO LE
MIE PREGHIERE! SEEEEEH!
Ti piacerebbe.
fanculo, voglio stare
con gli dei egizi. basta.
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