Last Friday Night.

di effewrites
(/viewuser.php?uid=125903)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Find another girl across the bar. ***
Capitolo 2: *** Three steps, four steps. ***
Capitolo 3: *** And I'm dyin' to know. ***
Capitolo 4: *** Once upon a time, a few mistakes ago. ***
Capitolo 5: *** I got nothing left inside my chest ***
Capitolo 6: *** Testing, testing, I'm just suggesting. ***



Capitolo 1
*** Find another girl across the bar. ***


A Ivy. 
Perché mi sopporta,
sempre.


Last Friday Night

 


FIND ANOTHER GIRL ACROSS THE BAR
CAUSE L-O-V-E IS NOT WHAT IT WAS.

 
Talia si stiracchiò.
La sensazione delle lenzuola che le scivolavano sulla pelle nuda la fece rabbrividire, mentre sospirava e affondava il capo nel cuscino, abbracciandolo e raggomitolandosi su sé stessa.
Sentiva lo stomaco in subbuglio e la testa che le pulsava ritmicamente; la ragazza mugugnò un’imprecazione, rimpiangendo di già il sonno che aveva attutito fino a quel momento gli effetti della sbornia.
«Vaffanculo» biascicò sbadigliando.
Sentiva il calore del sole sulla schiena scoperta, e quando mosse le spalle le ossa scricchiolarono. Talia non avrebbe mai voluto abbandonare quel confortante letto, così ampio e comodo. Era certa che non appena avesse messo piede a terra la stanza avrebbe preso a girare e lei avrebbe dato di stomaco, facendo dono al gabinetto di tutti quei drink che aveva ingollato la sera precedente.
Sospirò. Meglio rimandare il traumatico momento il più a lungo possibile.
Si allungò nel letto, facendo stiracchiare le dita dei piedi e le gambe, quando improvvisamente toccò qualcosa. O meglio, qualcuno.
Un brivido le corse lungo la schiena e Talia sgranò gli occhi.
Il candore della stanza la colse impreparata e le ferì la vista. Tende bianche che si gonfiavano per via della finestra del balcone lasciata socchiusa, pareti bianche e spoglie, mobilio di legno bianco e di metallo. Ogni oggetto lì dentro era bianco, asettico e impersonale.
Di una cosa Talia Grace era più che sicura: quella in cui aveva appena trascorso la notte non era affatto la sua stanza.
Con la punta delle dita del piede esplorò nuovamente lo spazio libero del letto, e sfiorò di nuovo una gamba a poca distanza da lei. Trattenendo il respiro la ragazza si voltò, cercando di essere il più silenziosa possibile, per non svegliare l’uomo addormentato sdraiato nel letto accanto a lei.
Lo sconosciuto le dava la schiena, e a giudicare dal respiro pesante stava ancora dormendo profondamente.
Oltre la schiena, di lui si scorgevano solo i capelli chiari. Sotto le coperte era completamente nudo.
Talia represse a stento l’impulso di colpirsi la fronte con il palmo della mano. Si limitò a stringere le palpebre e a passarsi una mano fra i disordinati capelli neri.
Era successo di nuovo.
L’aveva fatto ancora, cazzo!
Era la terza volta in un periodo di tempo decisamente troppo breve che si risvegliava in una stanza non sua. La terza volta che si ubriacava talmente tanto da portarsi a letto il primo sconosciuto che le capitava sotto mano.
Silenziosamente portò le gambe fuori dal letto, poggiando i piedi sul parquet in legno chiaro. Prima di alzarsi aspettò che il mondo intorno a lei la piantasse di vorticare.
Riuscì a individuare la sua biancheria intima per terra, poco lontano da dove si trovava, mentre il resto dei suoi vestiti era sparso un po’ ovunque.
Raccolse ogni cosa, muovendosi velocemente, o almeno alla massima velocità che le consentiva la sua mente ancora offuscata; voleva rivestirsi e andarsene da quel posto prima che il tizio-nel-letto si svegliasse, perché proprio non le andava di sapere come lui avrebbe reagito di fronte al fatto di aver trascorso la notte con una sconosciuta.
Sì infilò alla ben’e meglio il jeans e la maglietta, raccattando la giacca di pelle e gli stivali in un angolo della stanza. Mentre lottava per far entrare i piedi nelle scarpe, imprecando mentalmente ogni volta che produceva anche solo il fantasma di un rumore, colse la sua immagine nel grande specchio a parete accanto alla porta d’ingresso.
Il viso era pallido, aveva due occhiaie da far spavento, il pesante trucco nero le aveva impiastricciato le guance nascondendole la spruzzata di lentiggini che aveva sul naso. I suoi stessi occhi blu elettrico la guardavano con un’espressione contrita. Talia distolse lo sguardo.
Si era appena infilata la giacca e stava per uscire da quella camera bianca che voleva soltanto dimenticare e non rivedere mai più, quando sentì il colpo di tosse.
Un modo gentile di richiamare la sua attenzione, dal momento che molto probabilmente il tizio-nel-letto non conosceva il suo nome; e se anche l’avesse conosciuto, probabilmente a quest’ora l’aveva già dimenticato.
Talia rimase ferma, fingendo di non aver sentito, ma poi il tizio-nel-letto si schiarì di nuovo la voce, stavolta più rumorosamente, e lei si voltò verso di lui. Magari sarebbe riuscita a liberarsene in fretta. Aveva già accumulato un incredibile ritardo, e ricordava bene quanto Annabeth fosse precisa sugli orari. La sua amica odiava aspettare.
«Buongiorno», esordì il tizio-nel-letto, osservando Talia con un’espressione serena e riposata che le fece contorcere lo stomaco. «Te ne vai di già?».
Talia alzò appena le spalle. «Ho un appuntamento e sono in ritardo».
Non gli doveva delle spiegazioni, si ricordò con fastidio, mentre il tipo annuiva fra sé e sé, totalmente a suo agio nella situazione.
Ad occhio e croce doveva avere intorno ai venticinque anni. Occhi celesti, capelli biondo sabbia, appena un accenno di barba e un fisico asciutto e abbronzato.
A Talia sembrò totalmente insipido.
«Magari potresti rimanere per un caffè», propose il tipo. Talia affilò lo sguardo.
«Sono in ritardo», ribadì, e si voltò per dirigersi verso la porta.
«Be’, lascia almeno che ti chiami un taxi!». insistette lui. Dal rumore del materasso, doveva essere sceso dal letto. Quando Talia si voltò aveva già indossato un paio di pantaloni, e la stava guardando con un sorrisetto in volto.
Lei non ricambiò.
«Senti, non devi essere per forza gentile», disse. Ecco perché avrebbe voluto andarsene prima che il tipo si fosse svegliato. Voleva saltare la parte più imbarazzante, più umiliante di tutta la faccenda: la finzione che la sera prima ci fosse stato sul serio qualcosa di più di un rapporto occasionale. «New York è una città gigantesca e molto probabilmente — anzi, quasi certamente — dopo che sarò uscita da questo albergo non ci sarà più alcuna occasione nella quale potremmo incontrarci di nuovo. Fuori dalla stanza, fuori dalla tua vita. Ignorare quello che è successo sarebbe la cosa meno umiliante per entrambi. E, tra l’altro, non stavo accampando una scusa dicendo che sono in ritardo per un appuntamento: devo davvero andare».
Il ragazzo mantenne il sorriso, guardandola con fare curioso, come se la stesse studiando. Poi scosse la testa e allargò le braccia in segno di resa.
«D’accordo. Non posso nemmeno chiederti quale sia il tuo nome?».
Talia aprì la porta della stanza. «Non vedo a cosa potrebbe esserti utile», disse, chiudendo poi la porta alle sue spalle.

**

Mentre si dirigeva verso l’Olympus, il bar nel quale durante gli anni del liceo lei e la sua migliore amica Annabeth Chase avevano trascorso interi pomeriggi tra un libro di testo e qualcosa da mangiucchiare, Talia fece del suo meglio per dare una ravvivata ai suoi capelli e non sembrare una ragazza appena scesa dal letto — tra l’altro, neanche suo.
Cercò di ripercorrere la sera precedente, ma nella sua memoria c’era solo un grande e fastidiosissimo buco nero, sgradita conseguenza di quei dannati drink alcolici che doveva aver trangugiato durante la serata.
Scostando qualche passante frettoloso, riuscì a farsi strada tra la frenetica gente di New York e ad arrivare fino ai tavolini esterni del bar, per lasciarsi poi cadere su di una sedia sospirando.
Ordinò al cameriere una tazza di caffè ristretto, pregando che potesse rimetterla almeno un po’ in sesto prima dell’arrivo di Annabeth, e tirò fuori il cellulare per dare uno sguardo all’ora segnata sul display. Inarcò un sopracciglio.
Strano, si disse Talia. Annabeth Chase non era solita arrivare in ritardo.
Di tempo per preoccuparsi però non ce ne fu abbastanza; il caffè ordinato da Talia arrivò qualche minuto dopo, e la ragazza fece appena in tempo a buttarlo giù tutto d’un colpo, ustionandosi la gola, prima che uno sgargiante taxi giallo si fermasse all’angolo della strada, lasciando uscire una giovane donna dai lunghi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo all’altezza della nuca.
«Oh mio Dio, sei qui!».
Non appena la scorse, Annabeth si lanciò addosso a Talia con tutto l’impeto di una ragazza che non vedeva la sua migliore amica da un anno o poco più.
Le due ragazze erano diventate amiche ai tempi della scuola elementare, quando Talia aveva dieci anni e Annabeth uno in meno. Erano state indivisibili fino all’ultimo giorno di liceo, quando la bionda aveva esposto all’altra il suo progetto di iscriversi alla facoltà di architettura al più presto possibile.
“Voglio diventare un grande architetto, Tals”, le aveva detto Annabeth. “Come lo è mia madre. Voglio renderla fiera di me.”
«Sono sempre stata qui, Annie. Sei tu quella che è appena tornata», le sorrise Talia, ricambiando il suo abbraccio.

**

Per riallacciare un rapporto che per oltre un anno era andato avanti solo tramite telefonate ed e-mail servirono non più di una ventina di minuti, due caffè e una buona dose di confidenze tra vecchie amiche.
In un lasso di tempo decisamente breve, Talia era venuta a conoscenza della vita universitaria di Annabeth, delle disastrose visite della ragazza a suo padre e alla sua nuova moglie, ma soprattutto del suo fantomatico nuovo fidanzato conosciuto quattro mesi prima nel Connecticut, quando era andata a far visita a una sua vecchia amica.
«Devi conoscerlo, Tals» disse la bionda con occhi sognanti. «È così dolce, e romantico, e divertente! E poi, oh, dovresti vedere il suo sorriso…».
«Non ti vedevo in questo stato da quando ti prendesti quell’assurda cotta per mio cugino al terzo anno di liceo!», rise Talia.
Annabeth fece scomparire il sorriso e aggrottò le sopracciglia chiare. «Non dire stupidaggini».
«Non lo faccio, infatti».
Ricordava bene l’aria stralunata del volto di Annabeth ogni qualvolta la ragazza avesse incontrato suo cugino per i corridoi dell’istituto. Ma far stizzire la sua amica mezz’ora dopo il suo arrivo non sembrava proprio la cosa adatta da fare, per cui Talia si limitò a lasciarsi andare contro lo schienale della sedia mentre giocava con una delle bustine di zucchero poste nel contenitore sul tavolo.
«Allora», disse. «Quando potrò incontrare Mr. Sorriso e dare la mia benedizione? Non dovrò pagarmi un viaggio fino in Connecticut, spero! Al momento sono al verde».
Era una bugia. Il denaro non era mai stato un problema, per Talia. Aveva un conto in banca che avrebbe fatto invidia a chiunque, ma la sola idea di mettere le mani su quella fortuna la ripugnava, dal momento che detestava chi glie l’aveva procurata.
I grandi occhi celesti di Annabeth ebbero un guizzo, e la ragazza riprese a sorridere. «Non sarà necessario, visto che anche lui è qui a New York».
Talia perse interesse verso la bustina di zucchero. «Davvero?».
«Già. Ci tenevo a presentarlo a te e agli altri, e siccome lui doveva da tempo occuparsi di alcuni affari riguardanti l’azienda di famiglia l’ho convinto a venire qui a New York tre giorni fa per sbrigare tutto il lavoro, in modo da poter poi avere un po’ di tempo libero insieme».
Annabeth, Annabeth. Sempre pronta a pianificare ogni cosa.
«Sembra fantastico. Potremmo organizzare una cena, o qualcosa del genere. Magari affibbiamo il compito a Silena, eh? A lei piace sempre così tanto occuparsi di queste cose», propose Talia.
«Di sicuro, ma dopo. Ora ho bisogno che tu lo conosca, Talia! A dire il vero avrebbe dovuto accompagnarmi qui stamattina, ma ha avuto un contrattempo e i piani sono saltati», spiegò Annabeth con aria afflitta. Detestava quando i suoi programmi venivano sballati o rovinati.
Talia stava per dire che non c’era poi questa grande urgenza di farle incontrare Mr. Sorriso, ma Annabeth soffocò ogni sua parola sul nascere.
«Non importa. Vedrai, sarà qui a momenti. L’hotel dove alloggia non è affatto lontano da qui».
Talia non poté fare a meno di sorridere. Era più che raro vedere la sua migliore amica così emozionata per qualcosa o qualcuno, il che stava a significare che questo Mr. Sorriso doveva essere davvero eccezionale per farle un effetto del genere.
Le due ragazze parlottarono ancora per un po’ del più e del meno, chiacchiere superficiali con lo scopo più che altro di far passare l’attesa, quando all’improvviso Annabeth scattò in piedi.
«Ah, finalmente!», esclamò sorridendo. «Cominciavo a perdere le speranze!».
Una risata maschile giunse da un punto non molto lontano alle spalle di Talia. La ragazza dovette ammettere che si trattava proprio di una bella risata, calda, profonda, decisamente sexy.
«Te l’ho detto, ho avuto dei contrattempi imprevisti. Ma l’importante è che sono qui, no?».
Proprio mentre Annabeth correva ad accogliere Mr. Sorriso, Talia si lasciò scappare un non tanto impercettibile salto sulla sedia, lasciando rovinare la sua borsa per terra.
Uh, quella voce l’aveva già sentita. E anche di recente.
Molto di recente.
Si diede però della sciocca, scuotendo la testa con un sorrisetto.
Ma no, si disse, non è possibile. Era stato sciocco e assurdo anche solo aver avuto la sensazione che quella voce fosse appartenuta proprio a lui. Lui! Che con una città tanto grande a disposizione, proprio in quel bar sarebbe poi dovuto comparire così all’improvviso! Che assurdità.
Cose del genere accadevano soltanto nei telefilm seguiti dalle ragazzine in televisione o nei romanzetti rosa che spopolavano nelle librerie, non nella vita reale.
«Vieni, devo assolutamente presentarti una persona», esclamò Annabeth, rientrando nel campo visivo di Talia insieme a Mr. Sorriso.
Che, tra parentesi, un bel sorriso lo aveva davvero.
Un peccato, un vero peccato che fosse stato ridotto a poco più di una smorfia nel momento esatto in cui gli occhi celesti del fidanzato di Annabeth si erano soffermati su Talia.
La ragazza conosceva bene quel tipo di sguardo. Poteva essere ben definito da due delle più semplici parole esistenti nel vocabolario umano: oh, merda.
«Luke, ti presento Talia Grace, la mia migliore amica. Talia, lui è Luke Castellan, il mio fidanzato».
Mr. Sorriso era il tizio-nel-letto.
E Talia Grace era in un mare di guai.
 

I think I should know
How to make love to something innocent
Without leaving my fingerprints out, now,
L-o-v-e’s just another word I never learned to pronounce.

[Starstrukk - 3OH!3 ft. Katy Perry]











 

So di aver appena fatto una pazzia. Lo so, lo so, lo so, me ne rendo benissimo conto! So che ho un mucchio di fanfiction da iniziare/portare a termine, ma è un anno che LFN (o almeno i suoi primi due capitoli) mi capitano sotto gli occhi ogni volta che accendo il computer. 
E' proprio perché ho un botto di roba da scrivere che nel caso questa FF non venga apprezzata purtroppo credo che rimarrà su Efp sotto forma di oneshot c.c 
Comunque! Ci terrei a chiarire alcuni punti:
- questa FF è un' AU, ovvero Alternative Universe: non ci sono semidei, tutti i personaggi hanno intorno ai 20 anni, la trama è completamente inventata;
- ho inserito l'avvertimento OOC perché temo di stravolgere alcuni personaggi (quali Percy e Silena, che compaiono nel cap. 2);
- ho inserito il rating arancione in primo luogo per il linguaggio (preparatevi ad un'invasione di cazzomerdavaffanculoporcatroia òAò), e in secondo luogo per le tematiche sessuali. Non so ancora se verrà inserito un capitolo lime con scene di sesso non esplicite: se riuscirò a scrivere qualcosa di decente, ci sarà. 
Ehhhh credo di aver detto tutto.
Ah vabbé, questa fanfiction è dedicata ad Ivana, che è stata la prima a leggere il primo capitolo, e che mi sopporta sempre e comunque da ormai due anni. Ed è dedicata anche a Paola, la sua gatta (lunga storia...) <3

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Three steps, four steps. ***


THREE STEPS, FOUR STEPS
GUESS THIS MEANS THAT I’M A WHORE.

 
Si era portata a letto il fidanzato della sua migliore amica. E adesso sedevano tutti e tre ad un traballante tavolino di un bar semideserto di New York, pretendendo che Talia quella mattina non si fosse svegliata nel letto di Luke dopo una notte passata a fare Dio solo sa che cosa.
Annabeth, ignara di tutto, continuava a sorridere e a stringere la mano di Luke e a raccontare a Talia dei suoi progetti universitari.
Anche normalmente Talia avrebbe fatto fatica a seguire il filo dei suoi discorsi, ma adesso riuscire a prestare attenzione alla sua amica sarebbe stato a dir poco impossibile, con Luke seduto accanto a lei che recitava la parte del fidanzato fedele.
Era confusa, infuriata, aveva voglia di sbattere la testa sul tavolo e mandare al diavolo tutti quanti.
«Scusatemi, devo andare un secondo al bagno», riuscì a bofonchiare, interrompendo Annabeth che stava raccontando un aneddoto riguardante la vacanza in Connecticut che le aveva permesso di conoscere Luke.
Sgattaiolò via e si rintanò all’interno del bar, dove imboccò la direzione della toilette delle signore a testa bassa, senza guardare dove stesse mettendo i piedi.
Andò perciò quasi a sbattere contro il Signor Brunner, il proprietario del bar, un simpatico cinquantenne sulla sedia a rotelle che la conosceva in pratica da quando andava alle scuole elementari, e travolse perfino Iris, la storica fidanzata del Signor Brunner che ormai tutti consideravano sua moglie, una rossa fissata con i cibi biologici.
Quando raggiunse finalmente la toilette chiuse la porta e vi poggiò contro le spalle, chiudendo gli occhi e contando fino a dieci per almeno sei o sette volte.
«Dannazione!», esclamò poi sferrando un pugno contro il marmo del lavandino.
Il dolore che le attraversò la mano servì a calmarla, per cui si portò davanti allo specchio respirando profondamente. Guardò la sua immagine riflessa, e si sistemò i corti capelli neri.
D’accordo, ci sei andata a letto, si disse. Ma tu non hai colpa. Tu non avevi alcun modo di sapere che lui era il fidanzato della tua migliore amica.
Se c’era una persona che in quel momento avrebbe dovuto essere in preda ad crisi di coscienza, ebbene, quella persona era Luke. Era lui che aveva tradito la sua ragazza, su questo non c’erano scusanti.
Le dirò tutto, decise Talia rimuovendo anche parte del trucco nero sbavato sotto gli occhi con un fazzolettino di carta. Annabeth era sempre stata una ragazza razionale, avrebbe di certo capito che Talia non aveva mai avuto alcuna intenzione di farle del male. Se avesse saputo che Luke era offlimits, di sicuro la sera prima non lo avrebbe neanche sfiorato con lo sguardo.
Confortata da questo pensiero Talia buttò via il fazzoletto e, dopo aver preso un respiro profondo, uscì dal bagno.
Aveva intenzione di scusarsi con il Signor Brunner e con Iris per averli travolti, ma i suoi buoni propositi andarono in fumo quando vide Luke in piedi davanti alla cassa che cacciava fuori delle banconote dal suo portafoglio.
«Che cosa stai facendo?», gli sibilò avvicinandosi.
«Pago il conto».
«Sei un bastardo».
Luke si voltò verso di lei, inarcando un sopracciglio. «Perché sto pagando? Se proprio ci tieni possiamo dividere il conto a metà, così anche tu darai la tua parte», fece un sorrisetto innocente.
Talia resistette all’impulso di sferrargli un pugno in pieno volto, in modo da cancellargli quell’aria da finto tonto.
«Dirò tutto ad Annabeth», disse invece. «Ogni cosa. Non posso mentirle in questo modo, e non voglio che stia un minuto di più con un uomo come te. Merita molto di più di un traditore».
Luke non ebbe la reazione che Talia si sarebbe aspettata. Non s’infuriò, non la supplicò nel panico di non dire nulla, non la derise. Piuttosto sospirò, e le rivolse uno sguardo stanco che lo faceva sembrare più adulto di quello che non fosse in realtà stato.
«Questa è stata la prima e l’unica volta in cui l’ho tradita. Me ne vergogno, ma ora come ora non posso fare nulla per lei se non evitarle un dispiacere così grande. Sei sua amica, Talia, perché vorresti ferirla?».
«Mi stai chiedendo di mentirle?», Talia gonfiò il petto con fare oltraggiato.
«Ti sto chiedendo di tralasciare una parte della verità. Per il bene di Annabeth».
Era difficile pensare con Luke che la fissava in quel modo. Era assurdo, perché avrebbe dovuto nascondere il suo incontro di una notte con Luke? Annabeth meritava la verità, meritava di circondarsi di persone che le volevano bene e che la rendessero felice.
Annabeth meritava di essere felice.
Sei sua amica, Talia, perché vorresti ferirla?
Talia sospirò, e si sfregò la fronte con il palmo della mano.
«D’accordo. Non parlerò. Ma adesso devi andartene. Dovete andarvene tutti e due».
Luke annuì. «Ti ringrazio».
«Mi ci pulisco il culo con i tuoi ringraziamenti», mormorò Talia a denti stretti mentre a grandi passi si avviava verso l’esterno del locale, dove Annabeth stava aspettando in piedi accanto al tavolo. Aveva indossato la giacca e, non appena Talia la raggiunse, abbracciò la sua amica e le fece promettere che il giorno seguente si sarebbero incontrate.
«Abbiamo così tanto tempo da recuperare!», esclamò con un sorriso sincero.
Osservando Annabeth allontanarsi mano nella mano con Luke, Talia si sentì la persona peggiore che fosse mai esistita a questo mondo.

**

Quella sensazione l’accompagnò durante tutto il tragitto che Talia dovette percorrere per arrivare all’appartamento che condivideva con suo cugino Percy.
«Sono a casa», esclamò la ragazza chiudendosi alle spalle la porta d’ingresso e lasciando cadere la giacca su di una sedia accanto ad un inutilizzato appendiabiti, regalo della signora Jackson, la madre di Perce.
Trascinando i piedi Talia si diresse nel salone, dove suo cugino stava guardando una qualche sitcom stravaccato in poltrona, e si lasciò cadere sul divano con il viso tra i cuscini, soffocando un’imprecazione che però non sfuggì a suo cugino.
«Giornataccia?». domandò Percy.
«Non ne hai idea».
Immediatamente Percy spense la televisione.
«Ti va di parlarne?».
Pur mantenendo il viso nascosto, Talia roteò gli occhi.
Percy Jackson era di sicuro il migliore amico che qualunque ragazza avrebbe mai potuto desiderare, con tutto quel suo essere premuroso e attento e pronto ad ascoltare, e in fondo ogni tanto Talia si ritrovava a pensare che per essere un bamboccione troppo cresciuto non era affatto male.
«Ho incontrato Annabeth stamattina».
Percy deglutì rumorosamente, e anche se Talia non lo stava guardando seppe che di colpo era impallidito. Il nome della sua ex fidanzata del liceo gli faceva sempre questo effetto.
«Ah sì?», mormorò il ragazzo schiarendosi la gola con un colpo di tosse. La voce gli era salita di un’ottava. «Come mai è qui?».
«È riuscita a prendersi una pausa dallo studio, a quanto pare»
Talia rimase per qualche istante senza parlare, e si limitò a lanciare un’occhiata preoccupata a Percy.
Doveva parlargli del nuovo ragazzo di Annabeth? Da quando lei e Percy si erano lasciati all’ultimo anno di liceo, dopo ben due anni passati insieme, lui era caduto in depressione. Talia ricordava con orrore quel periodo, soprattutto dal momento che era toccato a lei l’arduo compito di consolare suo cugino e dirgli che no, la vita non era finita e che sì, magari Annabeth avrebbe cambiato idea.
Poi per qualche miracolo divino Percy si era ripreso, aveva conosciuto un’altra ragazza e la vita aveva ripreso a scorrere normalmente.
Per quanto Talia volesse evitare di veder nuovamente soffrire Percy, decise che prima lui sarebbe venuto a conoscenza di Luke e prima se ne sarebbe fatto una ragione.
«Ehi, Perce», lo chiamò. «C’è una cosa che dovrei dirti».
Ma ricordati che sei un uomo e che se inizi a frignare come una femminuccia ti sbatto fuori casa a calci in culo, aggiunse mentalmente.
Cercando di ostentare una tranquillità che al solo udire il nome “Annabeth” era andata in frantumi, Percy si raddrizzò sulla poltrona. «Spara… anzi, no. Aspetta un secondo» esclamò, allungandosi verso il tavolino dove era poggiato il telefono, che aveva iniziato a squillare proprio in quel momento.
«Pronto? Oh, ehi! Ciao, Silena!»
Un brivido scese lungo la schiena di Talia. Se non ricordava male, mentre era con lei al caffè Annabeth aveva espresso la volontà di chiedere a Silena Beauregard, una loro amica piuttosto stretta, di organizzare una cena con tutto il loro gruppo di amici. Possibile che Silena fosse già entrata in azione?
«Sì, sì, Talia me l’ha appena detto. Non sapevo sarebbe tornata» mormorò Percy. Il suo sorriso vacillò appena, ma la voce rimase allegra.
«Oddio Percy, dammi quel telefono!» esclamò Talia in panico. Silena era una ragazza d’oro, ma non sapeva mai quando tenere la bocca chiusa e il suo tatto a volte era pari a zero. Sarebbe stato davvero un casino Silena avesse…
«Cosa? Aspetta, chi hai detto che è questo Luke?»
…parlato a Percy del ragazzo di Annabeth.
E porca puttana.
Quella mattina non c’era una sola cosa che andava per il verso giusto. Cos’era quella, la punizione del karma per essersi scopata il ragazzo della sua migliore amica?
Talia mormorò un «Ne parliamo dopo» a Percy, ma dubitò che lui l’avesse vista o sentita. Suo cugino se ne stava in piedi nel bel mezzo del salotto, con un’espressione funerea in viso. Non sbatteva neanche le palpebre.
Talia aspettò di vederlo respirare nuovamente prima di convincersi a chiudersi in cucina. Voleva bene a Percy, molto più di quello che ci teneva a dimostrare, e vederlo in quello stato non fece altro che peggiorare il suo già pessimo umore.
Una volta chiusa la porta della cucina, sospirò pesantemente e poggiò le spalle contro il muro. Si sentiva tremendamente stanca.
Nella caffettiera poggiata sul ripiano di marmo accanto ai fornelli c’era ancora un bel po’ di caffè preparato da Percy quella mattina. Talia prese la sua tazza dalla credenza, la riempì di quella miracolosa e meravigliosa bevanda e prese a sorseggiarla.
In quel momento, il cellulare nella tasca dei jeans vibrò due volte. Era arrivato un messaggio.
Talia prese l’ultimo sorso di caffè e poi controllò l’sms. Per poco non si strozzò.
— L’aereo è appena atterrato. Ti prego, dimmi che non ti sei dimenticata del mio arrivo. N. —
«Dannazione, dannazione, dannazione!», esclamò Talia uscendo dalla cucina. Percy doveva essersi chiuso nella sua stanza, perché nel salotto non c’era.
«Scendo di nuovo!», gridò la ragazza afferrando la giacca e le chiavi della macchina.
E che il cielo me la mandi buona.
 

Okay now raise two hands if you've ever been guilty 
And clap clap clap clap clap it out if you've walked with me. 
[Walk of Shame – Pink]











 

Secondo capitolo, yay! 
Percabeth e MaxTDF: grazie mille, sono contenta che vi sia piaciuta <3
Sissi_SeaweedBrain: esatto, "quel cugino" era proprio Percy u.u e, come ho scritto nell'introduzione, in questa FF ci sarà anche la Percabeth ;)
Ella_Sella_Lella: oddei lo dovrei dire io! *-* Grazie mille per i complimenti, sei troppo gentile <3
Dafne Rheb Ariadne: esatto, è Percy :) e hai ragione anche sul fatto che tra Talia e Luke ci sarà qualcosa ewe

Grazie anche a tutti quelli che hanno letto ma non recensito :)
Avete canzoni da proporre per i titoli? Perché per il momento è questa per me la parte più ardua nella scrittura dei capitoli :'D
Baci!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** And I'm dyin' to know. ***


Nei capitoli precedenti di Last Friday Night:

«Luke, ti presento Talia Grace, la mia migliore amica. Talia, lui è Luke Castellan, il mio fidanzato».
Mr. Sorriso era il tizio-nel-letto.
E Talia Grace era in un mare di guai.

«Mi stai chiedendo di mentirle?», Talia gonfiò il petto con fare oltraggiato.
«Ti sto chiedendo di tralasciare una parte della verità. Per il bene di Annabeth».

 
— L’aereo è appena atterrato. Ti prego, dimmi che non ti sei dimenticata del mio arrivo. N. —


AND I’M DYIN’ TO KNOW
IS IT KILLING YOU LIKE IT’S KILLING ME?

 
Il punto è che il karma è uno stronzo, pensò Talia alla guida della sua automobile, stringendo il volante così forte da far sì che le nocche le si sbiancassero. Accanto a lei, suo cugino Nico finiva di divorare il cheeseburger che avevano comprato per pranzo, e Talia lanciava sguardi assassini alle dita del ragazzino, piene d’olio fritto, che saettavano pericolosamente vicine ai sedili della macchina che aveva fatto ripulire poco più di una settimana prima.
Il karma è uno stronzo perché Talia sospettava che se non fosse andata a letto con Luke in quel momento non si sarebbe trovata imbottigliata nel traffico, e Nico non avrebbe avuto le dita sporche d’olio.
«Esistono i tovaglioli di carta, sai?» borbottò Talia mentre Nico si puliva la bocca con il dorso della mano. Gli occhi scuri del ragazzino la scrutarono cupi per qualche istante, al di sotto di un ciuffo di capelli neri.
«Ti ho vista mangiare cheeseburger in maniera molto più disgustosa» ribatté lui.
Touché. Talia si sporse per dare un pugno sulla spalla del cugino, ma non era arrabbiata. Di fatto, sorrideva.
«Eviterei di parlare così alla persona che ti ospiterà per le vacanze, moccioso»
Nico inarcò un sopracciglio, scettico.
«Sappiamo entrambi che hai accettato di tenermi in casa solo perché papà avrebbe pagato tutte le spese. E sul serio, Tals, moccioso? Mi aspettavo qualcosa di più da parte tua, ma a quanto sembra non sei al meglio delle tue capacità. Hai anche una pessima cera, senza offesa. Stavolta in quale casino sei andata a ficcarti?»
Il karma è uno stronzo perché tra tutte le persone che abitano questa terra, Nico Di Angelo era l’unico che sembrava riuscire a leggere Talia come un libro aperto. E dire che, pur essendo cugini di primo grado, si vedevano una, massimo due volte all’anno.
«Come sta Bianca?» chiese Talia con nonchalance, cercando di cambiare argomento.
«A meraviglia» rispose Nico, alzando gli occhi al cielo. «Non vedeva l’ora di trascorrere queste due settimane in Italia con mamma e papà»
Talia sorrise. La madre di Nico e Bianca era italiana, per cui la famiglia programmava quasi ogni anno queste visite ai parenti europei. Nico le aveva trovate divertenti fino a quando non era entrato nella fase dell’adolescente sarcastico, annoiato e scontroso, e aveva deciso di allietare le giornate dei suoi cugini newyorkesi piuttosto che incontrare zii e prozii di cui non conosceva neanche l’esistenza.
«Papà ti saluta, comunque» aggiunse Nico. «E ci teneva a chiederti se negli ultimi tempi hai avuto modo di—»
«Sai che non parlo più con quell’uomo da tempo. Tuo padre farebbe meglio a godersi la sua vacanza piuttosto che tentare di ricucire la famiglia»
Nico si voltò verso la cugina, che non ricambiò lo sguardo.
«È quello che gli avevo detto anche io» disse infine, alzando le gambe e poggiando le sue vecchie Converse nere sul cruscotto. S’infilò le cuffiette dell’iPod nelle orecchie e qualche istante dopo l’abitacolo dell’automobile si riempì dell’eco di batterie e chitarre elettriche.
Talia sospirò di sollievo. Con suo cugino non c’era pericolo di imbattersi in conversazioni spinose.
Il karma è uno stronzo, si disse nuovamente. Ma, grazie a Dio, Nico era l’eccezione che confermava la regola.

**

«Puoi mettere le tue cose nella stanza di Percy, c’è sempre il vecchio letto a castello. Lui dorme sul letto di sopra, ma non so come funzionino le dinamiche del marcamento del territorio fra voi maschi, quindi sistemati come ti pare. Percy? Perce, ci sei?»
Talia lanciò un’occhiata al salone, dove suo cugino, sdraiato sul divano, si stava lanciando da mano a mano una pallina da tennis, senza mai farla scappare. Percy, ricordò Talia, aveva quest’orrenda abitudine di perdersi completamente in una sorta di stato catatonico ogni qualvolta litigava con Annabeth, quando ancora stavano insieme. Questa doveva essere la reazione di Percy alla scoperta del nuovo ragazzo della sua ex.
«Percy, smettila di comportarti come un’ameba» mormorò Talia cercando di scuoterlo. Suo cugino a stento le rivolse un’occhiata stizzita. Talia sospirò; solitamente riusciva sempre ad attaccare bottone con Percy, e il fatto che lui l’avesse appena ignorata non era affatto un buon segno.
Fortunatamente, però, l’orgoglio risultò essere più forte di un cuore spezzato: nel momento in cui anche Nico entrò in salone, Percy si risollevò all’istante e rivolse al ragazzino un sorriso a trentadue denti.
«Ehi, Nico! Non sapevo saresti arrivato oggi!»
Nico gettò a terra il suo borsone e inarcò un sopracciglio.
«Inizio a sentirmi offeso. Nessuno qui si ricordava del mio arrivo. Sul serio, ragazzi, bella considerazione»
«Chiudi il becco. E non voglio vedere la tua roba in giro per casa. Sei libero di sparpagliarla nella stanza di Percy e nel suo bagno, ma il salone è territorio neutro» fece Talia, avviandosi verso la cucina.
Sentì Nico domandare a Percy: «Quand’è esattamente che Talia si è trasformata in tua madre?», e Perce rispondere: «Nah, lascia perdere. Le piace comandare e fare il bullo, ma alla fine è sempre la solita Talia che conosci tu»
Talia si morse con forza la lingua per non rispondere ed iniziare una lunga polemica-da-coinquilini. Piuttosto, si concentrò sul biglietto poggiato sul tavolo della cucina, su cui spiccava la calligrafia stretta e appuntita di Percy. Il biglietto la informava del fatto che Silena aveva organizzato per quella sera stessa una rimpatriata con tutto il loro vecchio gruppo di amici, proprio come nelle intenzioni di Annabeth.
Cazzo. Cazzo, cazzo, cazzo.
Talia stracciò il pezzo di carta e si massaggiò la fronte con una mano, pensando a cosa fare. Di sicuro non poteva non presentarsi alla cena, non se voleva evitare che Annabeth s’infuriasse con lei neanche un giorno dopo il suo rientro in città.
D’altra parte, andare a casa di Silena significava anche trascorrere un’intera serata ad avere costantemente sotto gli occhi Luke e Annabeth che amoreggiavano come due colombelle — la sola idea le procurò un crampo allo stomaco dovuto al panico.
Ennesimo sospiro di frustrazione. Non c’era tanta scelta.
Talia considerò seriamente l’ipotesi di versarsi un paio di bicchieri di qualcosa di abbastanza forte da accoglierla placidamente nel Felice Paese dei Brilli, perché quella cena non sarebbe affatto stata una situazione da affrontare totalmente sobri.

**

«Ricordatemi perché avete deciso di trascinarmi a questa festa»
«Non è una festa, Nico»
È più una veglia funebre, per come la vedo io, pensò Talia. Ma non lo disse ad alta voce.
«Quello che è. Andiamo, sono appena arrivato a New York e il viaggio è stato assurdamente stancante, e per di più non conosco nessuno a questa non-festa, quindi—»
«Annabeth la conosci. E gli altri li avrai visti almeno un paio di volte» tagliò corto Talia, che non era per niente in vena dei capricci adolescenziali di suo cugino. Tra l’altro, aveva deciso di portarsi dietro Nico perché in questo modo avrebbe avuto qualcuno a disagio almeno quanto lo era lei, e la cosa la rincuorava — sì, era una pessima cugina e no, la cosa non la turbava neanche un po’.
Quando le porte dell’ascensore si aprirono, i tre ragazzi si diressero di malavoglia verso l’appartamento di Silena Beauregard. Percorsero un corridoio pulito e lussuoso, con dei quadri appesi alle pareti e delle piante verde brillante a rallegrare l’ambiente. Talia osservò con sgomento che si trattava di piante vere, non di quelle in plastica economiche e, diciamola tutta, anche alquanto squallide.
Non era un segreto che la famiglia di Silena fosse, come dirlo in maniera carina?, ricca da far schifo. Eppure Talia non sarebbe mai stata in grado di abituarsi al lusso di cui era permeato l’ambiente frequentato dalla sua amica.
«È quello» fece Percy, indicando con un cenno del capo l’ultima porta alla loro destra.
«Ehi» sussurrò Talia, affiancandolo per un istante. Guardò suo cugino di sottecchi, quasi vergognandosi per lo slancio di affetto di cui stava per rendersi protagonista. Forse erano i sensi di colpa per come aveva trattato Nico. Forse quel bicchiere di vino che si era versata prima di uscire da casa stava finalmente iniziando a fare effetto. Chi può dirlo.
«So che puoi farcela. So che è una brutta situazione e che preferiresti essere altrove, ma ce la farai» disse, rendendosi conto di parlare anche per se stessa.
Per sdrammatizzare, aggiunse: «E quando Annabeth ti vedrà, capirà che gran pezzo di ragazzo si è lasciata scappare»
Percy inarcò un sopracciglio, sorridendo.
È un bel ragazzo, pensò oggettivamente Talia. Quel mix di occhi verde mare, capelli neri spettinati e fisico allenato avrebbero conquistato chiunque.
«Mi hai davvero appena detto una cosa carina? Wow, Talia, sono commosso»
«Se voi due avete finito con queste smancerie, io direi di entrare» esclamò Nico, attirando la loro attenzione.
Talia annuì, e qualche istante dopo eccola premere con decisione il campanello dell’appartamento di Silena. O la va o la spacca.
«Un istante e arrivo!» esclamò una voce a seguito del trillare cristallino del campanello. Qualche istante dopo, Silena Beauregard aprì la porta in tutto il suo splendore.
«Oh mio Dio!» squittì Silena, gettando le braccia al collo di Talia con una forza tale da farla traballare. «Talia, tesoro! È passato così tanto tempo dall’ultima volta che ci siamo viste!»
«Eh già, a chi lo dici…» balbettò Talia cercando di non far accidentalmente entrare i lunghi capelli neri di Silena nella sua bocca e nelle sue narici.
Ad ogni modo, quando la ragazza sciolse l’abbraccio, i suoi capelli erano ancora perfetti, come se avesse fermato il tempo per sistemarsi la messa in piega e poi l’avesse fatto ripartire con uno schiocco di dita.
Ma che cazz—?
«Oh, Percy!» fece ancora Silena, avvicinandosi a Perce per stringerlo in un abbraccio decisamente più delicato di quello che era stato riservato a Talia.
Silena posò i suoi occhi di un incredibile azzurro su Percy, osservandolo per una manciata di secondi come se fosse stato un malato terminale o qualcosa del genere. Alla fine gli rivolse un semplice sorriso, senza aggiungere nient’altro, e rivolse la sua attenzione a Nico.
«Tu devi essere Niccolò, vero? L’ho pronunciato bene?»
Nico sembrò aver appena ingoiato un rospo viscido.
«È solo Nico. Nessuno usa il mio nome per intero» borbottò con fare burbero.
Silena esclamò un «Ohhh!» di comprensione e, una volta terminati i soliti — inutili — convenevoli, Talia, Percy e Nico fecero il loro trionfale ingresso nel gigantesco salotto di casa Beauregard, già pieno zeppo di facce fin troppo familiari.
«Percy!» gridò un tizio allampanato con i capelli rossicci e un accenno di pizzetto dello stesso colore. «Non ci posso credere, ci sei anche tu!»
«Grover, amico!» s’illuminò Percy.
Grover Underwood era stato il suo migliore amico per tutta la durata delle scuole medie e del liceo, poi si erano persi di vista. Un vero peccato, perché i migliori aneddoti che Talia ricordava avevano per protagonisti proprio quei due.
«Ehi, Grover» lo salutò con un sorriso. Lui rispose al saluto con entusiasmo, ma senza riuscire a mascherare un certo rossore che gli si diffuse sulle guance — aveva una cotta non tanto segreta per Talia da quando si erano conosciuti.
«Ehilà, ragazzi! Era ora che vi faceste vivi!» rise un ragazzo afroamericano avvicinandosi e avvolgendo con spontaneità la vita di Silena in un abbraccio.
«Non essere scortese, Charlie» lo rimbeccò lei teneramente, stampandogli poi un bacio sulla guancia.
Talia non riuscì a non sgranare gli occhi.
«Silena! Tu e Beckendorf…?» domandò, dando voce anche all’espressione confusa di Percy, e come risposta le arrivarono alle orecchie la risata cristallina di Silena e quella bassa e profonda di Charles Beckendorf — che, a proposito, nessuno aveva mai chiamato Charlie, per quanto Talia poteva ricordare.
«Ci siamo messi insieme poco dopo la fine del liceo, più o meno quando anche Chris e Clarisse hanno deciso di provare ad essere una coppia» spiegò Silena, indicando due ragazzi seduti sul divano che chiacchieravano con quella che Talia riconobbe come Katie Gardner, una loro vecchia compagna di scuola, e i gemelli Stoll, che gemelli in realtà non erano, ma si assomigliavano talmente tanto che ormai tutti credevano lo fossero.
«Mi stai prendendo in giro?» esclamò Percy ad occhi sgranati. «Chris e Clarisse stanno insieme?»
Talia voleva ridere dell’espressione di suo cugino, ma si trattenne.
«Ah, ma non è tutto» aggiunse Silena, mostrando non tanto casualmente la propria mano destra: all’anulare  portava un elegante anello con una pietra che aveva quasi lo stesso colore dei suoi occhi.
«È un anello di fidanzamento?» squittì Talia, sentendosi mancare.
«Esatto!» rispose Silena, col volto — se possibile — reso ancora più bello dalla gioia. «Charlie me l’ha chiesto poco tempo fa, e ovviamente ho risposto di sì. So che siamo ancora giovani, ma quando trovi il vero amore non puoi semplicemente aspettare. Vero?»
Oh, Silena, Silena, Silena. Sempre innamorata dell’amore, persa nelle fantasie di un perfetto “per sempre felici e contenti” con il suo principe azzurro.
«Congratulazioni, ragazzi!» fece Percy, mentre Talia si limitò ad un sorrisino tirato.
Certo, se Silena voleva sposarsi non erano fatti suoi, ma l’idea che una sua vecchia compagna di scuola stesse per compiere il grande passo la faceva sentire a disagio.
Il gruppo andò a sistemarsi chi sul divano, chi intorno al grande tavolo del salone di Silena, arredato in maniera impeccabile in un miscuglio di mobili di fattura moderna ed elegante.
Proprio mentre Talia prendeva posto sul divano Nico, decisamente spaesato, e Connor Stoll, dalla porta che dava sulla cucina arrivarono Annabeth e Luke, mano nella mano.
Con un groppo in gola, Talia notò che avevano i vestiti coordinati: Annabeth era bellissima, con i capelli biondi legati in modo che i riccioli scendessero su di una spalla, e un vestito grigio scuro dall’aria pratica ma allo stesso tempo elegante e sofisticata, proprio come lei; Luke, invece, indossava un paio di jeans, una t-shirt dello stesso colore del vestito di Annabeth e una giacca scura a completare il tutto.
Ma avrebbe anche potuto indossare un costume da clown, perché al momento l’unica immagine che Talia aveva stampata in testa era quella di Luke, completamente nudo, tra le lenzuola della camera d’albergo dove avevano trascorso la notte.
«Talia!» esclamò Annabeth non appena la vide, correndole incontro. «Nico, che sorpresa! E… oh. Ciao, Percy»
Fu come se la temperatura nella stanza affollata fosse improvvisamente scesa sotto zero. Per un istante tutti smisero di parlare, troppo impegnati ad osservare la reazione di Percy.
Perce dovette essersene reso conto, perché rivolse ad Annabeth un glaciale sorriso di circostanza.
«Annabeth. È bello rivederti. Lui deve essere Luke»
Gli occhi di tutti i presenti si spostarono adesso su Luke. La situazione sarebbe stata alquanto comica, se fosse stata eliminata la tensione che saturava l’aria.
Luke annuì.
«Annabeth mi ha parlato di te, Percy. È un piacere conoscerti di persona, finalmente» disse. E poi, stupendo tutti: «Senza rancore, spero. Siamo tra adulti»
Lurido figlio di puttana, pensò Talia, cercando di non perdere il controllo.
Ci fu qualche istante di silenzio, e poi Percy parlò.
«Certamente. Senza rancore. Sono felice per voi»
E, come per magia, tutte le conversazioni ripresero simultaneamente. La tempesta era passata. Non erano scoppiate delle risse in quel momento, non sarebbero scoppiate durante il resto della serata.
Talia, però, non era dello stesso avviso.
Aspettò che la tensione scemasse completamente, intavolando anche diverse conversazioni con i suoi vecchi amici, ma tenne sempre d’occhio Luke. Nel momento in cui lo vide allontanarsi verso l’ingresso, si alzò dal divano con una scusa e lo raggiunse.
«Dobbiamo parlare» mormorò quando furono abbastanza lontani dagli altri, controllando che nessuno li stesse osservando.
Luke aggrottò le sopracciglia, ma si strinse nelle spalle e indicò a Talia una porta socchiusa lì accanto; la camera degli ospiti, dove Silena aveva poggiato le loro giacche quando erano arrivati.
«Dopo di te»

 
Now I'm standing alone in a crowded room
And we're not speaking
And I'm dyin' to know 
Is it killing you like it's killing me?
I don't know what to say since a twist of fate, when it all broke down
And the story of us looks a lot like a tragedy now
[The Story of Us – Taylor Swift]











 

Capitolo un po' più lungo del precedente, spero non vi dispiaccia :)
Mi scuso infinitamente per il ritardo nel pubblicare, ma la scuola mi sta davvero togliendo anche il tempo per farmi venire le crisi nervose, e quando ho un po' di tempo libero o cerco di uscire con le mie amiche o sono troppo esausta anche solo per pensare alle fanfiction xD
Sapientona: Eccome se ci sarà la Percabeth! ;)
Dandelion to dream: Ti ringrazio tanto per la canzone! La terrò sicuramente in considerazione :D No, non era Silena, ma presto si parlerà di lei.
Sissi_SeaweedBrain: Esattamente, N è Nico u.u Aw, sappi che le tue recesioni mi onorano <3
Ella_Sella_Lella: Yep, è Nico :D ahahah be', piacciono sia i bastardi che i bamboccioni u.u
Stelplena_Cielo: Aw, sei dolcissima ** In questo capitolo ci sono Silena e Charlie, contenta?
paynecakes: Perdona il mio ritardo nell'aggiornare, spero continuerai lo stesso a seguire la storia c:
mydaimonissnake: Grazie mille per la tua recensione!

Colgo l'occasione per segnalarvi la mia pagina di facebook appena creata, per rimanere sempre aggiornatì sulle mie fanfiction, visti i miei tempi di pubblicazione decisamente troppo lunghi xP inoltr è probabile che pubblicherò dei promo e degli sneak peek dei capitoli che verranno :)

Ringrazio infine gli 8 che hanno inserito la storia tra le preferite e i 14 che l'hanno inserita tra le seguite. Grazie infinite!

Un bacio,
Effie.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Once upon a time, a few mistakes ago. ***


Nei capitoli precedenti di Last Friday Night:

«Luke, ti presento Talia Grace, la mia migliore amica. Talia, lui è Luke Castellan, il mio fidanzato».
Mr. Sorriso era il tizio-nel-letto.
E Talia Grace era in un mare di guai.

«Annabeth mi ha parlato di te, Percy. È un piacere conoscerti di persona, finalmente» disse. E poi, stupendo tutti: «Senza rancore, spero. Siamo tra adulti»

«Dobbiamo parlare»


ONCE UPON A TIME, A FEW MISTAKES AGO
I WAS IN YOUR SIGHT, YOU GOT ME ALONE.

 
«Lascia la porta aperta» fece Talia una volta entrata nella stanza.
Luke aggrottò le sopracciglia, e parve sinceramente confuso. «Credevo volessi parlarmi in privato»
Talia rabbrividì. Effettivamente, il suo scopo era quello. Ma la stanza degli ospiti di Silena era una camera piccola, per quanto confortevole, illuminata solamente da una lama di luce che filtrava attraverso le leggere tende bianche che coprivano la finestra. I rumori che provenivano dal salone, tutte le chiacchiere e le risate giungevano estremamente ovattate. Si era venuta a creare una strana sensazione di intimità e segretezza che a Talia non piaceva affatto.
«D’accordo, allora. Socchiudila. Ma non accendere» sospirò infine Talia, giungendo alla conclusione che sarebbe stato meglio evitare di attirare l’attenzione di qualcuno, facendo sì che le loro parole potessero giungere a orecchie indiscrete. Sapendo che nel salone erano presenti anche quei pettegoli dei fratelli Stoll, era un rischio che non poteva decisamente essere corso.
Luke accostò la porta allo stipite; grazie anche alla poca luce che entrava nel corridoio, gli occhi di entrambi si abituarono in fretta all’oscurità.
«Allora?» domandò Luke incrociando le braccia al petto. Il tono della sua voce non sembrava irritato, né tantomeno divertito o curioso. Pareva più che altro preoccupato.
Sulle prime Talia non ne comprese appieno il motivo, ma poi la situazione le apparve comicamente chiara: eccola lì, ancora una volta furtivamente chiusa in una camera da letto con il fidanzato della sua migliore amica.
Tutta la determinazione che aveva spinto Talia a chiedere a Luke un confronto diretto sembrò scemare sotto una pesante cascata di senso di colpa. Temporeggiando, Talia andò a poggiarsi contro una cassettiera di legno posta dinanzi al grande letto matrimoniale sepolto sotto strati e strati di giacche che troneggiava spavaldo al centro della stanza.
«Ti senti bene?» le chiese Luke.
No, avrebbe voluto rispondere. Aveva la gola terribilmente secca e una nausea più fastidiosa di una zanzara che ti ronza nelle orecchie.
«Non dire mai più a Percy una cosa del genere» disse invece. Il pensiero di suo cugino sembrò quasi ridarle forza. Inspirò profondamente.
Luke la osservò, confuso.
«Non capisco. Non mi sembra di aver detto nulla di male nei suoi confronti»
«Annabeth te l’ha raccontato che lei e mio cugino sono stati insieme praticamente da quando erano due ragazzini, anche se l’hanno capito con anni di ritardo?» sbottò Talia. «Non sono affatto il tipo di persona che crede in quelle stronzate sul destino e sul vero amore, quello che arriva e ti travolge l’esistenza al punto tale che quando scompare lascia il vuoto sia dietro che dinanzi a sé, ma so per certo che Annabeth è stato il grande amore di Percy. Okay? L’Amore con la A maiuscola. Il primo e l’ultimo, fino ad ora. Come puoi pensare che un semplice “Senza rancore” basti a sistemare il fatto che glie l’hai portata via?»
Luke era rimasto letteralmente a bocca aperta. Stava fissando Talia con l’aria di chi non riesce a credere ai propri occhi.
«Io non glie l’ho portata via!» ribatté infine.
«È come se l’avessi fatto» mormorò Talia senza scomporsi, conscia della rabbia che mano a mano le stava crescendo dentro e che aumentò a dismisura quando Luke, ridendo, scosse la testa e si passò una mano tra i corti capelli biondi.
«Ascolta, Talia. Ho capito, stai solo cercando di prendere le parti di tuo cugino. Va bene. Ma quando ho incontrato Annabeth lei aveva già chiuso la storia con Percy, altrimenti non avrei mai iniziato la nostra relazione»
Al sentire queste parole fu Talia che rise. La sua risata, però, era priva di genuinità; era un suono crudele, tagliente, pregno di sdegno e irritazione.
«È la verità» aggiunse Luke, tenendo fisso lo sguardo su di lei. Con la poca luce presente nella stanza, i suoi occhi parevano più oscuri che mai, due macchie d’inchiostro su di un viso altrimenti affascinante.
«Mi spiace» mormorò Talia. «Ma mi risulta difficile credere a queste parole quando a pronunciarle è lo stesso uomo che ha tradito la sua ragazza con una tizia qualsiasi incontrata in un bar»
L’ultima frase di Talia sembrò aleggiare nell’aria per forse anche più di un intero minuto, prima che Luke desse anche solo il minimo segno di averla recepita. Quando lui chinò mestamente il capo e prese a spianarsi la fronte con le dita, Talia seppe di aver fatto centro.
Aveva fatto centro non solo per la reazione di Luke, ma anche perché quella rabbia ribollente sembrava aver improvvisamente trovato una via di fuga. Persino la nausea che provava pareva essersi calmata.
«Pensavo avessimo già chiarito» mormorò Luke stancamente.
«Parlare cinque minuti scarsi in un bar non è esattamente quello che io chiamo un chiarimento»
«Che cosa vuoi che ti dica, Talia? Che mi dispiace? Che ho fatto una stronzata?»
«Non voglionulla da te, Luke! Ad essere sinceri, mi disgusta anche solo l’idea di dovere aver a che fare con te»
«Non sono stato io ad imbarcarmi in questa conversazione»
«Così come non sei tu a sentirti dilaniato dai sensi di colpa per quello che è successo l’altra notte? Perché io—»
«Chi ti dice che non mi sento in colpa?» sibilò Luke, con la voce tanto piena di rabbia che Talia cercò istintivamente di allontanarsi da lui. «Mi detesto sempre di più ogni ora che passa, ogni istante che trascorro con Annabeth. Non lo capisci, Talia? Sono il primo ad essermi reso conto che tu sei stata solo un errore»
Per Talia fu come se qualcuno le avesse appena squarciato il ventre.
Senza che potesse far nulla per combatterlo, percepì nettamente le sue spalle afflosciarsi sotto il loro stesso peso, mentre tutto d’un tratto le dita parvero essersi trasformare in fredda, insensibile pietra.
Luke sgranò gli occhi. Alzò lentamente la mano stretta a pugno, premendolo con forza sulle labbra. Quando abbassò il braccio, questo gli ricadde inerte lungo il fianco.
«Talia… Non volevo… Quello che c’è stato tra noi è stato qualcosa di sbagliato, ma ti giuro che non volevo—»
Nel momento in cui la prima lacrima calda scese sulla guancia di Talia, lei guardò Luke come se non avesse potuto credere ai suoi occhi. Alzò la mano e lo colpì con una forza e una violenza che non credeva di possedere; il rumore dello schiaffo spezzò il silenzio in maniera tanto brusca che Talia sobbalzò.
«Devo andare» mormorò con un filo di voce, sforzandosi per ignorare l’orrenda sensazione che anticipa il pianto, quando la gola sembra richiudersi su sé stessa e dolere come se qualcuno la stesse stringendo tra le mani con lo scopo di privarti del respiro.
Luke non fece nulla per fermarla, e forse fu meglio così; Talia afferrò la sua giacca, poggiata sul letto insieme alle altre, e si diresse con passo malfermo fuori dalla stanza.
La luce del corridoio la accecò per un istante. Talia sbatté ripetutamente le palpebre, per tentare di scacciare il velo di lacrime davanti agli occhi, dopodiché si domandò cosa fare.
Forse sarebbe dovuta andare in bagno e ricomporsi, per poi tornare nel salone come se non fosse successo nulla; forse avrebbe dovuto scusarsi con Luke per la sua reazione; forse sarebbe stato meglio avvisare gli altri che non si sentiva bene e che sarebbe tornata a casa.
Fanculo i forse.
Fanculo le lacrime, fanculo Luke, fanculo quella cazzo di serata.
Talia uscì dall’appartamento di Silena in maniera silenziosa e discreta, chiudendosi la porta alle spalle proprio mentre Luke si affacciava nel corridoio.

**

«Non ti sembra di aver bevuto abbastanza?»
«Da quando in qua sei la mia babysitter, Duck?»
Dakota lanciò uno sguardo di rimprovero a Talia, arricciando le labbra in quella storica smorfia che lo faceva somigliare ad una papera e che gli aveva fatto guadagnare il suo soprannome.
Dietro il bancone del bar, il ragazzo scosse la testa con biasimo, scuotendo i riccioli neri in un movimento che a Talia pareva stranamente ipnotico.
Inarcando le sopracciglia, impaziente, Talia allungò sul bancone il suo bicchiere vuoto e fece segno a Dakota di riempirlo. Lui le rivolse un’occhiata di biasimo e, al contempo, di preoccupazione, che Talia non riuscì a sopportare.
Oh, perfetto, adesso anche il ragazzo del bar si sentiva in dovere di farla sentire un’emerita merda? Talia si sarebbe alzata e se ne sarebbe andata in quattro e quattr’otto se non fosse stato per la morsa di puro panico che le stringeva lo stomaco ogni volta che pensava di abbandonare quel locale dalle luci soffuse, tappezzato di stampe di antiche città di fondazione romana, una decorazione quanto mai inusuale per un bar ma che non stonava affatto.
Erano anni che frequentava regolarmente “La Taverna di Bacco”. Lei e Dakota, il figlio del proprietario, si conoscevano da quando erano due ragazzini scapestrati a cui piaceva ubriacarsi con le vecchie bottiglie dei loro genitori. Poi lui aveva terminato gli studi e aveva preso a lavorare e si era trasformato in un ragazzo serio che guardava con disprezzo la sua vecchia compagna di ubriacature.
Disgustoso.
«Guarda che ce li ho i soldi per pagarlo, non sono una morta di fame» disse Talia, dopo aver aspettato una buona manciata di minuti un drink che Dakota non aveva alcuna intenzione di versarle.
«Oh, lo so bene. Non è questo il punto» fece il ragazzo, passando uno strofinaccio umido sul bancone, cancellando i cerchi di liquore lasciati dal bicchiere di Talia.
«Sai cosa, Duck? Fottiti. Fottiti sul serio. Non passerò la mia serata a bere alcolici scadenti in questo cesso di un locale»
«Ci hai trascorso i migliori anni della tua adolescenza, in questo cesso di un locale»
«Che adolescenza di merda che devo aver avuto»
Talia si alzò dallo sgabello, tenendosi poggiata al bancone dal momento che le sue ginocchia sembravano essersi trasformate in gelatina, preparandosi al teatrino che si ripeteva ogni qualvolta minacciava di andarsene dalla Taverna: Dakota aggirava il bancone in un istante, pronto a sorreggere in maniera cavalleresca la sua amica, che lo scacciava con malagrazia tornando a sedere e ordinando poi l’ennesimo cicchetto.
Stavolta Dakota non si mosse.
«Tals, dico sul serio» mormorò serioso. «Per stasera hai bevuto anche troppo. Lascia che ti chiami un taxi»
Talia aggrottò le sopracciglia. «La degna fine per questo schifo di serata» disse, infilando le mani nella sua borsa e tirandone fuori una manciata di dollari spiegazzati che gettò con violenza sul bancone. «Tieni il resto»
«Oh, andiamo, Talia! Talia! Dove stai andando? Sei ubriaca fradicia!»
Talia alzò il dito medio in segno di saluto e aprì la porta del locale, facendo tintinnare lo stupido campanellino che segnava l’entrata o l’uscita di qualche cliente.
La fresca aria della notte newyorkese fu come un balsamo sulla sua pelle. Non si era accorta di avere le guance in fiamme fino a quel momento. La sensazione era così piacevole che per un attimo cancellò ogni sua preoccupazione. Poi, però, tornò tutto, colpendola violentemente sulle spalle afflosciate dall’alcol, come fa la pioggia scrosciante quando non hai nulla per ripararti.
La rabbia, il disgusto, il senso di smarrimento. No, pioggia scrosciante era riduttivo: Talia si trovava senza riparo sotto la grandine.
Iniziò a camminare, inizialmente senza ben sapere dove si stesse recando, ma le bastò poco per capire dove i suoi piedi avevano avuto la brillante idea di portarla. Il cimitero.
Il percorso era abbastanza lungo, ma le strade erano tranquille e non era ancora così tardi da doversi preoccupare della feccia che di notte popola la città.
Mantenendosi accanto al muro per non inciampare nei suoi stessi piedi, Talia arrivò a fronteggiare i familiari cancelli che dividevano i morti dai vivi, i rimpianti e i rimorsi dalle infinite possibilità.
Sfiorò il metallo freddo e umido con le dita, poggiandovi poi contro la fronte con un sospiro.
Conosceva a memoria la strada che portava al cimitero perché l’aveva percorsa almeno una volta ogni settimana da quando aveva dodici anni per andare a trovare sua madre, che aveva tirato le cuoia decisamente troppo presto in un incidente d’auto. Era stata lei a causarlo: il suo tasso alcolico nel sangue era di parecchio più alto del consentito.
Talia sorrise amaramente, serrando le palpebre.
Le pareva di cogliere una certa ironia nella situazione. La sua sbornia l’aveva davvero condotta a far visita a quell’ubriacona di sua madre, morta a causa di un bel po’ di bicchieri di troppo?
E dire che Talia aveva sempre giurato e spergiurato che non sarebbe mai, mai stata uguale ad Elizabeth Grace, la donna che si era infatuata dell’uomo di un’altra e che aveva affogato i suoi dispiaceri nell’alcol.
Ma, ironia del destino, ecco Talia, che si era portata a letto il fidanzato della sua migliore amica e adesso cercava di zittire i sensi di colpa con del liquore di pessima qualità.
«Dannazione» mormorò Talia, sferrando poi con violenza un calcio al cancello. Il rumore metallico risuonò tutt’intorno. Se c’era un guardiano a controllare il cimitero, di certo l’aveva sentito.
Talia si strofinò gli occhi e tirò su col naso, raddrizzando le spalle. Era giunto il momento di tornare a casa.
Fu proprio mentre si voltava ed iniziava a camminare lungo il marciapiede che una lussuosa macchina nera si avvicinò, rallentando a passo d’uomo. Talia si fermò ad osservarla mentre il finestrino oscurato si abbassava, rivelando una figura conosciuta fin troppo bene.
«Buonasera, Talia» esclamò l’elegante giovane donna seduta al posto di guida.
Talia strabuzzò gli occhi, sconcertata.
«Zoe? Che diamine ci fai tu qui?»


And the saddest fear comes creeping in
That you never loved me, or her, or anything
I knew you were trouble whe you walked in
So shame on me now
[I Knew You Were Trouble – Taylor Swift]









 

Aw, scusate l'imperdonabile ritardo! Vado di fretta persino adesso che sto finalmente aggiornando :/ 
Vorrei avere la forza di riuscire a commentare il capitolo in maniera coerente, ma davvero non ce la faccio. Ho solo 5 ore di sonno sulle spalle T___T Dico solamente che la storia della madre di Talia, Elizabeth, verrà approfondita. Dakota è un personaggio che compare nel libro The Son of Neptune, e che ho riadattato per questa fanfiction.
Besos!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** I got nothing left inside my chest ***


I GOT NOTHING LEFT INSIDE MY CHEST
BUT IT’S ALL ALRIGHT.

 

Per Roberta.

 
Talia strofinò il viso contro il cuscino, mugugnando lamentele senza un senso vero e proprio. Non aveva la forza di alzarsi dal letto, tanta la stanchezza che aveva addosso, ma un mal di testa martellante le stava impedendo di riprendere sonno.
Aprì gli occhi, ritrovandosi a fissare con sguardo annebbiato le mura della sua camera, ricoperte di frasi tratte dalle sue canzoni preferite.
Nell’aria si stava velocemente diffondendo il profumo del caffè appena preparato, cosa che diede a Talia la forza di spingere le gambe fuori dal letto per tirarsi a sedere.
Strusciando i piedi per terra la ragazza si trascinò fuori dalla sua camera da letto, tenendo una mano poggiata contro il muro perché aveva la sensazione che se non avesse avuto una guida vera e propria si sarebbe resa protagonista di un incontro molto ravvicinato con il freddo e duro pavimento.
Una volta giunta sulla soglia della cucina, Talia rimase per qualche istante a fissare con sconcerto l’elegante figura femminile che, seduta al tavolo, reggeva con la mano sinistra una tazza di tè nero fumante mentre con la destra andava messaggi sul suo Blackberry alla velocità della luce.
«Buongiorno, Talia» disse Zoe senza degnarla neppure di uno sguardo. «Ho preparato il caffè. È bello forte, quindi serviti pure»
Zoe Nightshade era l’amica più fidata che Talia avesse mai avuto da quando Annabeth si era trasferita all’università. Si erano conosciute in circostanze insolite, dal momento che Zoe si trovava nel pieno del suo periodo da stagista nell’ufficio della sorellastra di Talia quando quest’ultima l’aveva conosciuta; il loro rapporto era stato a lungo caratterizzato da un’irrequieta alternanza di amore (poco) e odio (fin troppo).
Comprensibile, se si pensava che Zoe era l’esatto opposto di Talia: lunghi capelli castani, splendidi occhi scuri dal taglio orientale, un’eleganza e una classe innate rese interessanti da quell’aria esotica che contribuiva a rendere Zoe Nightshade una donna di successo, oltre che una preda appetibile per qualunque uomo le fosse capitato accanto.
Ma Zoe, c’è da dirlo, riteneva l’universo maschile un qualcosa del quale il mondo avrebbe potuto facilmente fare a meno; da quando Talia l’aveva conosciuta, ancora non l’aveva vista una sola volta impegnata in una storia o in un meno impegnativo flirt passeggero.
Quanto a Talia, invece…
«Che diavolo ci fai qui?» mormorò Talia versandosi una tazza di caffè, sorseggiandolo poggiata al lavello. Chiuse gli occhi, godendosi per qualche istante la sensazione di un caffè come il cielo comanda, non quella porcheria annacquata che Percy si ostinata a preparare ogni mattina prima di andare a lavoro.
«Ho ricevuto una chiamata dal tuo amico. Dakota, mi sembra» rispose Zoe, e Talia percepì un brivido correrle lungo la schiena al ricordo del suo comportamento la sera precedente. «Ero parecchio sorpresa, a dire il vero, ma mi ha spiegato che aveva conservato il mio numero nel caso ci fosse stata qualche… emergenza. Davvero premuroso»
Talia piagnucolò una lamentela in risposta, lasciandosi scivolare contro il mobile fino a sedersi per terra a gambe incrociate, con la tazza di caffè stretta tra le mani. Zoe le rivolse un’occhiata di disapprovazione, ma era talmente abituata a comportamenti del genere che invece di redarguire Talia si limitò a scuotere il capo e a bere un altro sorso di tè.
«Effettivamente era una vera e propria emergenza ieri sera, non ti pare? Voglio dire, appena sei entrata in macchina sei crollata. Ritengo sia un’innegabile prova del mio affetto nei tuoi confronti il fatto che ti abbia trascinata di peso fino al tuo letto senza lamentarmi del fatto che pesavi quanto un macigno e puzzavi di alcol in maniera nauseabonda. Ad ogni modo, cosa ti ha ridotta in quello stato pietoso?»
Talia alzò lo sguardo, incontrando gli incuriositi occhi scuri di Zoe. Sentiva il bisogno fisico di tapparle la bocca, perché nonostante avesse terminato di bere la sua prima dose mattiniera di caffè si sentiva ancora totalmente fuori dal mondo a causa della quantità di alcol ingerita la sera prima.
Quella voragine che le si era aperta alla bocca dello stomaco, risultato del senso di colpa per come aveva trattato Dakota, non migliorava affatto la situazione.
Il Blackberry di Zoe vibrò, spezzando il silenzio che era venuto a crearsi. La ragazza digitò velocemente una risposta, dopodiché torno a concentrare la propria attenzione su Talia.
«Allora?» la incitò.
Talia si passò una mano fra i corti e scompigliati capelli neri, sospirando.
«Non ne ho proprio voglia di parlarne» disse infine.
Zoe inarcò un sopracciglio scuro dalla linea tanto perfetta da parer disegnata. Era chiaro che non credeva neanche un po’ a ciò che le era appena stato detto e la cosa lasciò Talia stranamente sollevata.
C’era una parte di lei, realizzò, che non aspettava altro che riversare su qualcuno tutto quel gigantesco groviglio di problemi e d’angoscia che le si era posato sul petto da quando tutta quella faccenda era cominciata.
«C’entrano per caso i fiori che hai ricevuto stamattina mentre ancora dormivi?» domandò Zoe, mal interpretando il silenzio di Talia, la quale al sentir questa frase assunse un’espressione parecchio stranita.
«Fiori?»
«Li ho lasciati nel salone. Una composizione davvero elegante, a mio parere» fece Zoe, alzandosi con eleganza e uscendo dalla cucina, solo per poi ricomparire qualche istante dopo con un bouquet di fiori tra le mani.
Il cuore di Talia mancò qualche battito.
Zoe aveva ragione, era proprio una composizione elegante. Talia non era mai stata brava nel ricordare i nomi dei fiori, né nel riconoscerli, ma riuscì ugualmente ad apprezzare il modo in cui corolle bianche e nelle tonalità del rosso erano state accostate e i loro gambi fasciati prima da foglie di uno sgargiante color verde bottiglia e poi dalla plastica protettiva.
«Chi li manda?» domandò con un tremito nella voce, ostentando indifferenza.
«C’è un biglietto» disse Zoe, staccando dalla composizione una bustina bianca senz’altra scritta che il nome di Talia scritto a penna in un angolo.
La ragazza si alzò da terra, allungando una mano e prendendo la bustina dalle mani dell’amica. L’aprì con una sorta di riverenza, con il cuore che le era saltato in gola e stava cercando di strozzarla. Aveva lo stomaco così sottosopra che desiderò no aver bevuto tutta quell’enorme tazza di caffè.
Tirò fuori il biglietto dalla busta, e lesse con attenzione.
Talia,
perdona la mia assenza durante i giorni passati. Il lavoro mi ha tenuto tremendamente occupato. Ho provato a rintracciarti telefonicamente, ma non rispondi mai alle mie chiamate. Spero accetterai le mie scuse e vorrai onorarmi con la tua presenza domani sera, per un party di lavoro alla Lighting Corporation.
Con infinito amore, papà.
«Incredibile…» mormorò Talia, rileggendo velocemente il biglietto mentre le dita prendevano a tremarle per la frustrazione.
Suo padre.
A spedirle i fiori era stato suo padre. Ovviamente. Chi altri.
Di certo non Luke. No. Talia non aveva sperato neanche per un millesimo di secondo che quel bouquet fosse stato spedito da Luke. Neanche per idea. Che assurdità.
Si sarebbe detestata a lungo per aver desiderato di leggere la firma di Luke su quel dannato pezzo di carta.
«Allora?» fece Zoe, riportando Talia alla realtà.
«È di mio padre» spiegò lei, gettando con malagrazia il bigliettino sul tavolo e voltandosi per cercare un contenitore per i fiori. «Vuole che mi presenti domani sera a lavoro per una festa»
«Sembra fantastico!»
«Non ci provare neanche, Zoe. Non ci andrò»
Zoe aggrottò le sopracciglia, avvicinandosi a Talia e osservando il grosso barattolo in vetro da lei recuperato che era stato appena elevato al rango di vaso da fiori.
«Ti sei sempre lamentata di quanto tuo padre pensasse più al lavoro che alla sua famiglia e poi rifiuti occasioni del genere» disse seccamente. Talia alzò gli occhi al cielo.
«C’è una differenza tra il pensare alla famiglia e il ricordarsi di avere figli solo in occasioni speciali» controbatté. Aveva perso il conto di quante volte lei e Zoe avevano sostenuto quella discussione.
«Che c’è di male nel volere i propri figli accanto nelle occasioni speciali?»
«C’è di male che all’infuori di queste occasioni sono orfana di padre oltre che di madre!»
«Almeno lui ci prova» mormorò Zoe, adombrandosi.
Talia si strinse nelle spalle, a disagio. Zoe viveva una situazione familiare se possibile ancora più incasinata della sua: suo padre l’aveva disconosciuta, o un qualcosa del genere, quando lei aveva deciso di non lavorare nell’azienda di famiglia bensì in quella del padre di Talia.
Erano anni che Zoe non aveva contatti con la sua famiglia. Neppure le sorelle si degnavano più di parlarle.
«Ehi» fece Talia, cercando di alleggerire la situazione. «Non è che io non voglia… Insomma, immagino ci sarà anche June. Sai che quella donna mi odia. Eviterei solo inutili tensioni se non mi presentassi»
June era la moglie di suo padre. Inutile sottolineare il fatto che i due fossero sposati già da molto prima che Talia nascesse…
«Fallo per tuo padre, non per June» disse semplicemente Zoe con un’alzata di spalle. «E poi potrebbe essere una buona distrazione da qualunque cosa ti abbia ridotta all’ubriacatura ieri sera»
Riportata improvvisamente alla realtà, Talia si adombrò.
 
All’inizio non le era parsa una cattiva idea.
Zoe l’aveva convinta a confermare la sua presenza a quello stupido party organizzato da suo padre e ciò aveva costretto Talia a uscire di casa per andare alla ricerca di un abito adatto all’occasione. Proprio lei, che considerava il massimo dell’eleganza l’uscire di casa con i capelli in ordine e i vestiti non sgualciti.
Riconoscendo di aver decisamente bisogno d’aiuto nella ricerca di un vestito da sera Talia aveva chiamato Silena, la persona che più sembrava indicata per darle una mano, cogliendo anche la balla al balzo e scusandosi per come si era comportata la sera precedente. Silena, lungi dall’essersela presa, si era presentata a casa di Talia per trascinarla con fin troppo entusiasmo verso il centro commerciale più vicino.
«Ancora con il nero!» esclamò esasperata passandosi le mani tra i lunghi e fluenti capelli neri. «Almeno provalo quel tubino blu notte che ti ho dato, ti risalterebbe gli occhi in una maniera meravigliosa!»
Talia osservò con scetticismo l’abito blu scuro posato sul suo braccio come una presenza opprimente. «Non so, Sil. I colori non sono esattamente un qualcosa di cui mi fido. Con questo andrei sul sicuro» si difese, agitando la gruccia cui era appeso l’abito da cocktail nero causa dell’esasperazione di Silena, la quale glie lo strappò  letteralmente dalle mani con fare risoluto.
«Mi hai chiesto di accompagnarti perché ti fidi di me. Hai bisogno di me, nel nome del cielo! Senza offesa» fece quando Talia abbassò lo sguardo confusa come a cercare cosa non andasse bene nei suoi jeans strappati, negli anfibi e nel suo vecchio maglione.
«Fallo per me, per una soddisfazione personale» aggiunse Silena in tono supplichevole. «Va’ nel camerino a provare il tubino. Solo provarlo! Se poi non piace ti lascerò naufragare nell’oceano degli abiti neri, d’accordo?»
Talia provò a protestare, ma solo alla fine acconsentì con un sospiro. C’era un qualcosa, nei centri commerciali, forse la scontata musica pop in filodiffusione o le luci al neon o il rumore prodotto dallo scontro tra i pavimenti di linoleum e i tacchi di centinaia di donne dagli abiti e dai capelli perfetti, che tendeva a far azzerare le forze di Talia; l’unica cosa che si sentiva in grado di fare in quel momento sarebbe stato il rannicchiarsi sotto una pila di cardigan in offerta e aspettare che qualcuno avesse pietà di lei e la portasse di peso fuori.
Invece Talia dovette marciare insieme all’angosciante tubino blu verso uno dei camerini liberi. Tirò la tendina color porpora per nascondersi alla vista degli altri acquirenti e si isolò dal resto del mondo. In quello scarso spazio illuminato così violentemente da farla cominciare a sudare, Talia si spogliò e scivolò nella stoffa fredda dell’abito scelto da Silena, faticando appena per strizzarvisi dentro quel tanto che bastava a far aderire il vestito alla pelle senza avere problemi a respirare.
Si stava osservando con malcelato scetticismo allo specchio quando la testa di Silena sbucò nel camerino con uno sgrilletto estasiato.
«Lo sapevo che saresti stata divina, lo sapevo!»
Talia digrignò i denti e avvampò. «Smettila di strillare ed esci di qui, devo cambiarmi!»
«La smetterò quando comprerai questo vestito»
«Cosa ti fa credere che lo comprerò?»
Silena sorrise sorniona. «Il fatto che hai tenuto questo tubino addosso per più di cinque secondi senza tentare di strapparlo. Ammettilo, piace anche a te!»
«Esci di qui!» esclamò Talia, piazzando una mano sul viso di Silena e spingendola via.
«Ti aspetto alla cassa!» rise la ragazza allontanandosi.
«Ti odio» mormorò Talia scuotendo la testa. Si accertò che Silena si fosse allontanata sul serio prima di rimirarsi un’ultima volta allo specchio.
Sorprendendo sé stessa, sorrise. Le piaceva il modo in cui i suoi occhi brillavano, risaltati da tutto quel blu.
 

And now all my loves that come back to haunt me. 
My regrets and texts sent to taunt me. 
I never claimed to be more than a one-night stand 
I've given everyone I know a good reason to go. 
But I came back with the belief 

that everyone I love is gonna leave me. 
[All Alright – Fun]









 

Ciao a tutti, ragazzi! Oddio, è passata una vita da quando ho aggiornato l'ultima volta ;___; vi chiedo infinito perdono, ma la scuola e quel poco di problemi personali di ogni normale adolescente mi hanno fagocitata, restituendomi alla vita solo di recente! La scuola è (quasi) finita, per cui ho ripreso a scrivere a tutto spiano! Il prossimo capitolo di LFN è già il lavorazione, e lo stesso vale per le Cronache (c'è qualcuno tra voi che le segue? lol).
Ho anche in programma di scrivere una nuova AU Taluke, più un'original. Mi sto autosommergendo di lavoro ahahah!
Vi chiedo ancora scusa per il ritardo nell'aggiornare; vi lascio qui una serie di link con i quali vi autorizzo a pressarmi per il rilascio dei nuovi capitoli:
- Facebook EFP
-
 Facebook personale
-
 Ask
- Pagina Facebook

Non mordo, anzi, mi farebbe piacerissimo se mi contattaste <3 tra l'altro so che a molti scrivere recensioni pesa, ma se poteste anche solo mettere "mi piace" alla pagina di facebook per farmi sapere che seguite sarebbe comunque un incentivo ad andare avanti :) Non chiedo recensioni, solo sapere che ci siete!
Un bacio!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Testing, testing, I'm just suggesting. ***


TESTING, TESTING, I’M JUST SUGGESTING
YOU AND I MIGHT NOT BE THE BEST THING.

 
«Ecco a lei. Buona giornata!»
«Sì, buona giornata, come vuoi» mormorò Talia dopo aver afferrato la busta contenente il suo nuovo vestito e aver controllato per la settima volta lo schermo del suo cellulare. Silena le aveva detto che l’avrebbe aspettata alla cassa, ma sembrava essere sparita nel nulla.
«Dove diavolo sei» piagnucolò Talia uscendo dal negozio e mescolandosi alla folla del centro commerciale. Si sentiva persa, in quel luogo così differente dai mercatini e dai negozietti dove era solita andare a far compere.
Stava quasi considerando l’idea di far chiamare Silena agli altoparlanti dell’amministrazione del centro come fosse stata una bambina che aveva smarrito la sua mamma quando Talia si sentì chiamare proprio dall’amica. Si guardò intorno fino a che non individuò Silena, che si stava sbracciando per farsi notare, in compagnia di Annabeth e Luke.
Talia combatté l’impulso di ficcare la testa nella busta che teneva in mano nascondendosi come uno struzzo per poi scomparire tra la folla; si limitò, piuttosto, a dirigersi verso il gruppetto con un sorriso forzato stampato in faccia mentre imprecava mentalmente contro tutti coloro che almeno una volta nella vita avevano affermato che New York fosse una città enorme.
«Li ho visti passare mentre ti aspettavo e sono corsa a fermarli» spiegò Silena. «Ho provato a chiamarti per dirtelo ma nel negozio doveva esserci davvero poco campo, mi dispiace»
«Non importa» mormorò Talia. Aveva appena dimenticato l’irritazione provata pochi attimi prima, troppo occupata a notare come Luke avesse lasciato andare la mano di Annabeth, fino a quel momento stretta nella sua, non appena l’aveva vista arrivare.
«Allora è vero» esclamò Annabeth, senza dar segno di aver notato il comportamento del suo fidanzato. «Silena ti ha convinta a comprare un vestito!»
Talia si strinse nelle spalle con aria rassegnata. «C’è sempre una prima volta per tutto»
Annabeth rise; il cuore di Talia si strinse in una morsa, oppresso dal desiderio di riabbracciare la sua più cara amica, di strapparle risate spontanee come quella che aveva appena ascoltato, senza doversi sentire in colpa nei suoi confronti.
«Ehi, umh, Annabeth. Mi dispiace per ieri sera. Per come me ne sono andata»
«Oh no, Tals, tranquilla! Non preoccuparti, Luke mi ha detto tutto»
«Che cosa?!» esclamò Talia sgranando gli occhi e lasciando cadere la busta che aveva in mano. Luke si chinò a raccogliergliela dal momento che Talia sembrava essersi paralizzata.
Luke le aveva detto tutto? Ma tutto cosa? Se le aveva detto tutto allora perché Annabeth non l’aveva ancora scuoiata di fronte a tutto il centro commerciale? Stava aspettando un momento migliore? Non voleva testimoni? Annabeth era sempre stata furba, aveva forse intenzione di vendicarsi in maniera subdola? Talia avrebbe fatto meglio a buttarsi in ginocchio e a supplicare perdono?
«Sì, ho detto ad Annabeth che hai ricevuto una chiamata e hai dovuto correre via. Sembrava urgente» disse Luke, porgendole la busta.
Talia lo osservò, troppo spaesata persino per sentirsi sollevata. Si accorse che era letteralmente rimasta a bocca aperta e che il cuore aveva accelerato i battiti.
«Grazie» mormorò infine, prendendo la busta dalle mani di Luke.
Quindi lui l’aveva coperta. Dopo che lei l’aveva schiaffeggiato. Quel ragazzo sembrava avere come unico scopo nella vita quello di far sentire Talia una merda.
«È tutto okay, comunque?» domandò Annabeth, strappando Talia ai suoi pensieri. Gli occhi grigi della ragazza erano velati di una preoccupazione che Talia si senti in dovere di dissipare.
«Sì, sì, non preoccuparti. Solo, umh, mia sorella. Aveva bisogno di me e sembrava una cosa parecchio urgente, quindi…»
«Ehi, ho un’idea!» esclamò Silena, che detestava sentirsi messa da parte durante una conversazione. «Che ne dite se invece di rimanere qui in piedi come degli sciocchi ce ne andassimo ad un bar a bere qualcosa? Conosco un posto al primo piano del centro commerciale che deve assolutamente essere provato!»
L’idea del bere qualcosa fere eseguire un triplo salto mortale carpiato allo stomaco di Talia, ancora sottosopra dopo l’ubriacatura della sera prima. La ragazza promise a sé stessa che non avrebbe ordinato nulla di alcolico mentre insieme agli altri si dirigeva verso gli ascensori.
Intanto che sul pianerottolo aspettavano insieme ad un nugolo di persone che uno dei due ascensori disponibili si fermasse, Annabeth non smise un istante di ciarlare sulla meraviglia strutturale e architettonica che era quel nuovo centro commerciale, elogiando in particolar modo gli ascensori con pannelli in vetro trasparente che affacciavano sul cortile interno del centro.
Mentre lei parlava Luke la osservava sorridendo con uno sguardo particolarmente affettuoso, cosa che spinse Talia ad alzare gli occhi al cielo e ad incrociare le braccia al petto.
«Oh, Talia, quasi dimenticavo! Tu non hai problemi a usare questi ascensori, no?» domandò Annabeth mal interpretando l’espressione della sua amica.
Silena aggrottò le sopracciglia scure per un istante prima di assumere un’espressione desolata. «Cielo! Me n’ero completamente dimenticata, Tals! Avresti dovuto ricordar meno quando prima siamo salite!» esclamò. Ci mancava poco che i suoi grandi occhioni celesti si riempissero di lacrime.
Luke, incuriosito, alzò un sopracciglio nella direzione di Talia, che sentendosi al centro dell’attenzione  s’incupì.
«Ho dei problemi con le altezze» spiegò. «Se posso, evito di affacciarmi da luoghi molto alti. Ma non è importante. Questi ascensori sono veloci, se non guardo i pannelli di vetro non avrò alcun fastidio»
«Possiamo usare le scale, se preferisci» fece Luke.
Talia arricciò il naso. «Ho detto che non è importante. Ormai poi l’ascensore è qui, muoviamoci»
Effettivamente in quel momento si era illuminato uno dei pulsanti verdi accanto alle porte metalliche; non appena esse si aprirono la folla scemò all’interno dell’ascensore, grande abbastanza per contenere una dozzina di persone.
Talia e gli altri furono tra gli ultimi ad entrare e fu dunque su di loro che gli sguardi di tutti si puntarono non appena scattò il segnale acustico per il peso eccessivo.
«Cazzo!» mormorò Talia, sobbalzando e beccandosi un’occhiataccia da una donna ben pasciuta accanto a lei che stringeva in braccio un marmocchio. Al solo cogliere con la coda dell’occhio attraverso i vetri i sei piani che la separavano da terra, Talia aveva cominciato ad agitarsi ed era entrata in tensione. Fu dunque con grande sollievo che esclamò, rivolta ai suoi amici: «Aspetto il prossimo»
Uscì dallo stretto abitacolo e premette un altro pulsante di chiamata, ma il segnale acustico non cessò di suonare.
«Esco io, esco io» fece Luke facendosi largo tra i corpi accalcati fino ad affiancare Talia sul pianerottolo.
«Vi aspettiamo giù!» esclamò Annabeth, mentre le porte dell’ascensore si chiudevano lasciando Luke e Talia completamente soli.
 
A Talia parve un crudele scherzo del destino che nessuno degli acquirenti del centro commerciale necessitasse dell’ascensore proprio in quel momento. La sua voglia di stare da sola con Luke ammontava più o meno alla voglia che aveva di presentarsi la sera successiva alla festa di suo padre, cioè meno di zero.
«Sicura di non voler prendere le scale?»
«Sicurissima» mentì Talia, reticente a mostrare quanto l’avesse turbata il cogliere anche solo di sfuggita il livello d’altezza a cui si trovava.
Al diavolo, Tals, si disse. Non puoi lasciare che una cazzo di fobia ti condizioni fino a questo punto.
Se lo trascinava dietro sin da quando era bambina, il voler provare a se stessa di essere in grado di sconfiggere la sua più grande paura, cosa che tra l’altro l’aveva spinta a compiere i gesti più stupidi e disparati. Un esempio? Prima di andare a vivere con Percy, era andata a visitare un attico all’ultimo piano di uno dei grattacieli del centro, con grandi vetrate che affacciavano sulla città. Nonostante il prezzo esorbitante che sforava decisamente troppo il suo budget, Talia si era intestardita e aveva deciso che sarebbe andata a vivere lì. Solo l’effettiva mancanza di denaro le aveva fatto cambiare idea.
«Giuro che non ti sto seguendo, comunque. È per puro caso che ci siamo incontrati» mormorò Luke. Talia lo fissò per qualche istante; era un tentativo di far conversazione, quello?
«Non ho mai pensato che mi stessi seguendo» disse seccamente, quasi sulla difensiva. «Ma grazie per quello che hai detto ad Annabeth. Poche persone l’avrebbero fatto, dopo che… sai, no»
«Dopo aver ricevuto un ceffone tale da farti domandare se per caso ti fossi procurato un paio di minifratture nel viso? Direi che quasi nessuno l’avrebbe fatto»
Talia guardò Luke sconcertata. Davvero l’aveva colpito così forte? Possibile che non se ne fosse resa conto? Un bruciante senso di colpa si fece largo nel suo petto mentre scrutava il profilo di Luke nel timore di trovarvi un qualche livido o rossore. Luke si accorse del suo sguardo e inarcò un sopracciglio.
«Stavo scherzando, Talia. Senza offesa, ma su di una scala da uno a dieci al tuo schiaffo avrei dato un sei. Massimo sette, per essere buoni»
«Porca puttana, Luke!» esclamò Talia con un sorriso di sollievo, sentendo come un peso sollevarsi dal petto. Iniziò a ridere, e di lì a pochi secondi aveva contagiato anche Luke con la sua risata.
Riuscirono a darsi una calmata solamente quando le porte dell’ascensore si aprirono nuovamente, mostrando stavolta una cabina vuota.
Talia rabbrividì e sentì il proprio stomaco stringersi in una morsa mentre entrava; si poggiò con la schiena contro la vetrata, sfregandosi la fronte con una mano e socchiudendo gli occhi.
Finirà in fretta. Un minuto, forse anche meno, e poi sei fuori.
Luke scoccò uno sguardo a Talia, poi premette il pulsante di discesa per il primo piano. Le porte si stavano già chiudendo quando qualcuno fuori gridò di aspettare e Luke le fermò inserendo un braccio nel mezzo. Le porte si ritrassero e nell’ascensore entrò una vecchietta dai capelli bianchi raccolti in una crocchia sulla nuca che si profuse in ringraziamenti.
Poi, finalmente, l’ascensore partì. Talia chiuse gli occhi.
Dopo una manciata di secondi, però, la cabina si fermò con uno scossone. Talia dovette appoggiarsi con entrambe le mani alle pareti  per non cadere.
«Che succede?» mormorò allarmata.
«Credo che l’ascensore si sia bloccato» le rispose la vecchina con un tono di voce tale che pareva avesse appena commentato le condizioni meteorologiche, quando invece aveva annunciato quella che Talia considerò immediatamente una delle più grandi disgrazie che avessero mai colpito la civiltà umana.
«Oh mio… Oh mio Dio! Cazzo, cazzo, cazzo! Oddio. Oddio» esclamò Talia. Aveva aperto gli occhi e, invece di starsene buona in un angolo ad aspettare che l’ascensore si sbloccasse, si era ritrovata a guardare verso le vetrate, in preda ai conati di vomito.
«Che significa che siamo bloccati?!» quasi strillò.
L’anziana signora le rivolse uno sguardo perplesso, ritraendosi appena. «Immagino che tra qualche minuto si sistemerà tutto»
«Qualche minuto? Qualche minuto è troppo
«Talia» la richiamò Luke. «Calma. Capita spesso che gli ascensori si blocchino, non è nulla di grave»
Talia avrebbe avuto voglia di sbranarlo vivo.
«Come sarebbe a dire che non è nulla di grave? Siamo bloccati in una fottutissima scatola di vetro a metri e metri da terra, cosa cazzo c’è di più grave di questo?!»
Luke rivolse uno sguardo di scuse alla signora, che fissava Talia in maniera scandalizzata con una mano poggiava teatralmente sul petto.
«Ha la fobia delle altezze, la perdoni» disse.
Talia si sentì sprofondare. Si trovava in quella situazione orrenda e Luke si preoccupava del linguaggio da lei usato. La cosa peggiore fu però lo sguardo impietosito che le venne rivolto dalla vecchina.
«Stia tranquilla, povera cara» le disse la donna. «Non è il caso di piangere, suvvia!»
Talia si rese conto di avere le guance umide da lacrime di frustrazione. Oh, perfetto. Tanto per migliorare la situazione, insomma.
Luke si voltò verso di lei, con un’espressione preoccupata in volto. In un attimo era lì, accanto a Talia, sorreggendola per le spalle mentre la ragazza tentava di asciugarsi le lacrime.
«Talia» sussurrò. «Talia. Va tutto bene. Senti? È già partito l’allarme, significa che entro poco sbloccheranno la cabina»
Effettivamente, Talia si rese conto del campanello che suonava in lontananza. La cosa parve tranquillizzarla. Alzò lo sguardo su Luke, ancora vicino a lei, fin troppo vicino…
«Te l’avevo detto che avremmo dovuto prendere le scale» disse lui, accennando un sorriso. Talia scosse la testa, sforzandosi di riprendere il controllo su se stessa.
«Aspettate, vediamo se… oh, ecco!» fece la signora, tirando fuori dalla sua enorme borsa un pacchetto di Kleenex e porgendolo a Talia. «Prendete pure, con tutto il trucco che questa povera ragazza ha sugli occhi piangere non è affatto una buona idea»
Talia avrebbe voluto controbattere sulla definizione “povera ragazza”, ma desistette. Al contrario, borbottò un ringraziamento mentre afferrava un fazzoletto e lo passava sul viso, ritraendolo quasi completamente nero. Luke sorrise della sua espressione contrita.
Qualche istante dopo, ci fu un nuovo scossone. Talia sobbalzò con fare isterico.
«Tranquilla!» le disse immediatamente Luke. «Guarda, stiamo scendendo. È già finito tutto» aggiunse cercando di rasserenarla.
Talia serrò gli occhi, inspirando profondamente ed espirando con la bocca. Luke le cinse le spalle con un braccio, sfregandole la spalla con la mano.
Passarono secondo che a Talia parvero eterni, prima che il segnale acustico avvisasse dell’arrivo dell’ascensore al primo piano.
«Eccoci qua!» trillò tutta allegra l’anziana signora, rivolgendo un sorriso a Luke e Talia. «Si faccia coraggio, cara. È fortunata ad avere un fidanzato così premuroso» disse, poco prima che le porte si aprissero.
Talia sbatté le palpebre, rendendosi solo in quel momento conto del fatto che Luke la stesse tenendo stretta al proprio corpo. Poggiò le mani sul fianco di lui e lo spinse via, allontanandosi.
«Non è il mio fidanzato» disse, turbata, ma la vecchina aveva già lasciato la cabina dell’ascensore.
Talia decise di seguire immediatamente il suo esempio.
Uscì in fretta, senza sapere dove dirigersi, ma non ebbe neanche il tempo di guardarsi intorno che si ritrovò a stringere una terrorizzata Annabeth tra le braccia.
«Cielo, Talia!» esclamò Annabeth. «Cielo. Come stai? Appena ho sentito l’allarme mi sono preoccupata da impazzire!»
La ragazza si allontanò appena, scrutando in volto Talia. Le sue sopracciglia bionde si aggrottarono quando Annabeth notò gli occhi arrossati e il trucco sbavato della sua migliore amica.
«Sto bene» fece Talia, rassicurando sia Annabeth che Silena, la quale stava accarezzando teneramente la sua spalla con fare materno e protettivo. «È passata, per fortuna»
«È stata brava» disse Luke, avvicinandosi al gruppetto. Talia si lasciò scappare una risata nervosa.
«Non è vero. Ho sbroccato di brutto»
Annabeth sorrise, avvicinandosi al suo fidanzato.
«Spero che Luke sia stato un galantuomo, lì dentro!»
Talia e Luke incrociarono i loro sguardi.
«È stato fantastico» mormorò lei.
Fin troppo fantastico.
Talia si chiese perché karma e destino ce l’avessero così a morte con lei.

 

Stuck now, so long, we just got the start wrong
No more last place, you better get your story straight
You can’t stop this and I must insist
That you haven’t had enough, you haven’t had enough
Testing, testing, I’m just suggesting
You and I might just be the best thing.
[Haven’t Had Enough – Marianas Trench]











 

Oh, finalmente quella sconsiderata della mia chiavetta per la connessione ha deciso di funzionare! Essendomi trasferita come ogni anno in Calabria per le vacanze, è iniziato l'incubo internet. Non mi dilungo più di tanto nel commentare il capitolo, dico solo che mi sono divertita in maniera assurda nello scriverlo! E nulla, ho notato che a molti di voi che recensite piace Taylor Swift! Ragazzi, fosse per me i titoli dei capitoli sarebbero tutti parte dalle sue canzoni! :') Yep, sono una Swiftie in piena regola, ormai credevo si fosse capito.
Per quelli di voi che sono fan della Percabeth... non preoccupatevi, non ho dimenticato Percy in un baratro a crogiolarsi nel dolore. Tra un paio di capitoli al massimo tornerà in scena anche lui! 
Baci <3

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1457908