Mz Hyde

di shyanimal
(/viewuser.php?uid=413590)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il Fidanzato Perfetto. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il cuore sembrava esplodere nel mio petto. Il mio respiro affannoso pareva non avere intenzione di placarsi. Facevo fatica a tenere gli occhi aperti, mi faceva male la testa e la gola. Portai una mano sulla fronte per tirarmi indietro i capelli che si erano attaccati al viso sudato, e sentii un brivido percorrermi la schiena. Sentivo come se l'attimo prima avessi caldo e l'attimo dopo avessi freddo. Il petto mi bruciava e sentivo le mani e le braccia tremare. Lasciai cadere l'oggetto che avevo in mano ed esso fece un lieve rumore appena toccò il suolo.
Intorno a me, buio. Un lontano e fioco lampione dava la possibilità di intravedere leggermente qualche sagoma che mi circondava. Il cielo era nero, non c'era neanche una stella. Mi trovavo in un vicolo cieco in un paesino vicino Londra. Che ora fosse, non ricordo. Comunque, non c'era nessuno. Come ci ero arrivata? Non ricordo. Ricordo soltanto la sensazione di umidità che avevo addosso.
L'asfalto sotto i miei piedi era frastagliato con decine di buche piene d'acqua piovana. In effetti, era appena finito un temporale. I muri delle due case alla mia destra e alla mia sinistra erano di mattoni e così anche quello dietro di me, che segnava la fine del vicolo. La luce del lampione dall'altra parte della strada era talmente debole che mi sembrava stupido anche solo provare di vedere qualcosa. Certamente non potevo rimanere ferma ad aspettare il sole. Scossi la testa per cercare di riprendermi. Volevo chiedermi cosa ci facessi lì, ma sentivo di saperlo già. Eppure.. non lo sapevo. 
Fino a un minuto prima ero certa di quello che stavo facendo, ma ora.. non lo ero più. Sentii una lieve pioggiarella che cominciava a picchiettarmi in faccia e sulle spalle nude. Feci caso al modo in cui ero vestita. Avevo una canottiera nera smanicata e dei jeans stretti. Mi attraversò la mente l'idea che avrei potuto esser stata ubriaca fino a quel momento. Subito accennai un no con la testa, come per smentire l'ipotesi appena azzardata nella mia mente. Non sono una ragazza che esce e si ubriaca. Ho quasi paura di ubriacarmi. La pioggia aumentò. Pensai che sarebbe stato meglio trovare un riparo da qualche parte, mentre cercavo di ricordare come erano andate le cose. Il cervello mi consigliò di avviarmi verso il fioco lampione, ma l'istinto mi disse di restare lì. E così feci. 
Tastai le tasche dei miei pantaloni nella speranza di trovare il cellulare e pregando che fosse acceso. Niente. Il temporale intanto stava ricominciando. A quel punto, presa dal panico, cercai intorno a me una qualsiasi cosa che potesse darmi un indizio su quella serata. Notai qualcosa ai miei piedi. Una sagoma lunga e non molto larga. Ci fu un fulmine e vidi cosa realmente si trovava di fronte a me: una persona. Trasalii violentemente e cercai di trattenermi dallo scoppiare in lacrime. Mi inginocchiai ed avvicinai entrambe le mani per riuscire a (nella peggiore delle ipotesi) riconoscere i tratti dell'individuo. Iniziai a toccare quello che, con la luce del secondo fulmine, avevo capito che era il viso. Sentii il suo naso all'insù, gli occhi chiusi, le labbra leggermente carnose e fredde e qualche segno ruvido sulla fronte e sulle guance. Chiarissime forme di impurità della pelle. A quel punto ne fui certa. Quella persona era sicuramente giovane, con un'età fra i quattordici e i diciannove anni. Appena le sfiorai i capelli bagnati dalla pioggia fui capace di definirne il sesso. Era una ragazza. Ma perché era in quel luogo? Perché con me? Perché era sdraiata lì? Un brivido mi tracciò una linea che andava dalle spalle fino al fondo schiena e nella mia mente balenò l'idea che quella ragazza stesa a terra potesse essere morta. Appena cercai di posare la testa sul suo petto per sentire se il cuore le batteva ancora, un terzo fulmine illuminò il vicolo ed io cacciai un grido soffocato mentre dallo stupore mi lanciavo all'indietro, finendo in una pozzanghera e bagnandomi la schiena e le braccia. Sentii un lieve pizzicore ai gomiti, con i quali mi ero riuscita a sorreggere prima di picchiare anche la testa al momento della caduta e, con gli occhi spalancati, la riconobbi: Melanie Fisher. Diciassettenne timida, insicura. Studentessa della Oscar Wilde High School. Attualmente fidanzata con Peter Farrel. Poco curata, poco sorridente. Il genere di ragazza che non da nell'occhio e che nessuno nota. E sebbene lei non avesse questa grande personalità, io la odiavo.
E adesso proprio lei era lì, sdraiata su un asfalto bagnato e sporco, in un vicolo cieco, con una luce fioca proveniente da un lampione in lontananza, con tre muri di mattoni intorno, in compagnia dell'unica persona capace di odiarla, e con uno squarcio nel collo che non le aveva sicuramente risparmiato la vita.
Vidi le lacrime ammassarsi nei miei occhi, ma dalla bocca mi uscì una risata isterica che mise paura perfino a me. Non volevo ridere. Non era una cosa sulla quale avrei potuto ridere! E' vero, non la sopportavo.. ma chi potrebbe mai uccidere una ragazza come lei? Mentre la testa cominciava a bruciare, notai che accanto al corpo di Melanie c'era un oggetto. L'oggetto che avevo fatto cadere quando la mia mente si era risvegliata. Quarto fulmine. Era un coltello insanguinato dalla punta fino al manico. Indietreggiai, trascinandomi con la sola forza delle braccia e strusciando i gomiti sul terreno, ferendomeli. Mi sforzai di usare le gambe solo per cambiare la direzione e svoltare a destra, verso uno dei muri di mattoni e, appena arrivai, sbattei la schiena su esso. Mi sentivo tutta informicolita, il mio corpo tremava e percepivo ancora nella gola una risata che con tutte le forze tentai di soffocare. Inutile. La risata uscì ed echeggiò fra le mura. Velocemente, portai le mani alla bocca, coprendola, e spingendo quanto potevo, come per essere sicura che non sarebbe più uscito un suono da essa. 
In quell'istante, sentii qualcosa di umido e denso sulla pelle del viso. Allentai con cautela la "presa" e cercai di capire che sostanza ci fosse sulle mie dita. Troppo buio. Non si vedeva niente. Quinto fulmine. Sangue. Un'esagerata quantità di sangue pendeva dalle falangi delle mie mani. Gridai di nuovo, e poi risi.
Se prima avevo qualche dubbio, adesso non ne avevo più.
Melanie Fisher era stata uccisa da una persona. Una persona che provava odio per lei. Una persona arrabbiata, pazza, disperata. Una persona che doveva per forza avere qualche problema mentale. E quella persona, ero io.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il Fidanzato Perfetto. ***


Era una tiepida mattina di Marzo. All'interno della Oscar Wilde High School le voci degli alunni echeggiavano fra i corridoi dal pavimento leggermente polveroso e ruvido. Stavo salendo faticosamente le tre rampe di scale che portavano all'aula di letteratura con lo zaino su una spalla e due libri in braccio. Accanto a me, la mia compagna di banco Charity mi stava raccontando l'ennesimo bisticcio fra lei ed il suo fidanzato. Quella mattina però non avevo molta voglia di ascoltarla, mi sentivo intontita ed assonnata. Mi limitai ad annuire e a darle ragione. Girammo verso sinistra e ci incamminammo verso la classe, senza molta fretta. Non ero un tipo sportivo, né ero molto interessata alle attività motorie, perciò ogni mattina per me fare quelle scale era una tortura: arrivavo in cima sempre con un accenno di fiatone. Sbadigliai e decisi di fermarmi alla macchinetta del caffé.
<< Vuoi qualcosa, Charity? >> le domandai tirando fuori dalle tasche dei miei jeans qualche spicciolo.
<< Oh, no, grazie comunque. >> rispose lei con un sorriso che io ricambiai subito. Inserii le monete nella macchinetta e premetti il tasto con scritto "cappuccino". Mentre aspettavo che fosse pronto, mi guardai intorno, mentre la mia amica ricominciava a raccontare.
<< Dico sul serio, Elissa, io prima o poi lo mollo! >> gesticolò lei.
<< Nah, non dire scemenze. Tieni a lui più che al tuo cane. Non lo lasceresti mai. >> risi io.
<< Questo è quello che dici tu.. >> ribatté.
<< No, questo è ciò che ho imparato in questi tre anni di amicizia. >> scherzai. Il cappuccino era pronto, così allungai una mano e lo presi. Bevvi un sorso e continuai ad ascoltarla.
<< Uhm.. forse hai ragione.. beh, non possiamo essere tutte fortunate come te! >> aggiunse ridendo. Diceva sempre così quando le cose fra lei e il suo ragazzo non andavano bene. Sorrisi abbassando lo sguardo. Era vero. Non tutte le ragazze avevano la fortuna di avere un ragazzo dolce e gentile come il mio. 
<< Tu e Peter siete perfetti insieme! >> continuò. Confesso che quando mi venivano dette queste cose, mi emozionavo sempre. Riconoscevo di essere stata fortunata, e ne ero felice.
<< A proposito, quando torna dalla gita? >> domandò infine.
<< Domani. >> risposi in tono allegro. Non vedevo l'ora che tornasse. Quella settimana le classi del terzo e del quarto anno erano tutte andate in Svizzera per un progetto scolastico. Anche se sette giorni passano in fretta, avevo comunque sentito la sua mancanza, com'era giusto che fosse. Ma in quegli ultimi giorni stavo quasi male per la sua assenza, avevo come una brutta sensazione che mi stava riempiendo d'ansia tutto il corpo. Scacciai quei brutti pensieri dalla testa e sentii suonare la campanella. In un sorso, finii di bere il mio cappuccino, scottandomi leggermente la lingua. Feci finta di niente, sorrisi a Charity ed entrammo in classe.
La mattinata trascorse velocemente, fra poesie vecchie di cent'anni ed esperimenti chimici in aula di scienze. All'ultimo suono della campanella, tirai un sospiro di sollievo, raccolsi lo zaino da terra e me lo misi sulla spalla destra. Uscii da scuola e rividi Charity che mi aspettava insieme a Dixie, la mia migliore amica, che si fumava tranquillamente una sigaretta. 
<< Vedo che ci siamo già risvegliati. >> scherzai alludendo al fumo.
<< Certamente! Vuoi? >> Dixie allungò il pacchetto verso di me e lo aprì. Scossi la testa.
<< Nah, lo sai che non fumo. >> risposi facendo una smorfia.
<< Come vuoi. >> fece spallucce ed aspirò di nuovo, non curante di tutti i professori che la squadravano da capo a piedi con fare disgustato o quasi snobbante. Se c'era una cosa che adoravo di Dixie era che lei non le notava nemmeno queste cose, tanta la sua indifferenza. 
<< Oggi tutte da me, come sempre? >> domandò Charity intromettendosi fra noi due. Sospirai leggermente. No, pensai. Oggi devo preparare il dolce per Peter, dissi fra me e me.
<< Ho come l'impressione che Elissa abbia altri impegni.. >> disse Dixie guardandomi negli occhi e gettandomi il fumo in faccia sorridendo.
<< Oh, giusto, Peter Farrel, il Fidanzato dell'Anno torna domani e la nostra fidanzatina le deve preparare un mitico dolce per l'occasione. >> mi prese in giro Charity.
<< Mi dispiace ragazze, sarà per la prossima volta, okay? >> sorrisi con gli occhi supplichevoli.
<< Tranquilla, vai pure. >> disse facendomi l'occhiolino << Io e Char ce la sapremo cavare. >>
<< Grazie.. allora, ci sentiamo più tardi. Adesso scappo. Ciao! >> salutai velocemente. A malapena riuscii a sentire la loro risposta, già mi ero incamminata con passo svelto verso casa. 
Appena arrivai, mi misi subito all'opera e dopo qualche ora riuscii a finire la torta. Stanca ma soddisfatta, presi il cellulare e feci il numero di Peter. Quattro squilli, e ancora nessuna risposta. Cinque. Sei. Al settimo, stavo per riattaccare, quando sentii la sua voce nella cornetta.
<< Pronto? >>
<< Peter? Ciao, come stai? >> domandai sorridendo.
<< Mmh.. bene. Io sto bene, tu come stai? >> rispose lui con tono distaccato, quasi distratto.
<< Bene.. Pete, c'è qualcosa che non va? >> chiesi lievemente preoccupata.
<< No, va tutto bene. Fra qualche ora arriverò a casa. >> disse lui.
<< Va bene. Cosa stavi facendo? Ti sento strano.. >> 
<< No, nulla, stavo solo.. stavo dormendo. Sinceramente sono molto stanco. >> 
<< Oh, immagino. Beh, allora ti lascio dormire. Mandami un messaggio appena arrivi a casa. >>
<< Va bene. >>
<< A dopo.. >>
<< Ciao. >>
<< Ti amo. >>
Silenzio. Mi avrà sentito? Probabilmente no. Si sarà riaddormentato di colpo. Risi pensandoci. Posai il cellulare sul comodino vicino al letto e lo misi sotto carica. Stanotte lo lascio acceso, pensai, almeno saprò con certezza a che ora arriverà a casa.
Ebbene, rimasi sveglia fino a mezzanotte ad aspettare il suo messaggio, poi crollai dal sonno.
Il cellulare però non si mosse.
Quando lo schermo finalmente si illuminò, erano le sei di mattina. Ed era la sveglia.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1975120