Good job, guys

di Elsa Maria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vacanza sinonimo di… Lavoro. ***
Capitolo 2: *** Luogo di pace e un ragazzo dai capelli albini. ***
Capitolo 3: *** Hachi a lavoro. ***
Capitolo 4: *** Che cos’è, una sfida? ***
Capitolo 5: *** Terra e Cielo ***
Capitolo 6: *** Lui... Il mio amico d'infanzia. ***
Capitolo 7: *** Cosa vuoi sapere? ***
Capitolo 8: *** Shinitagari, shinde mo ii yo ***
Capitolo 9: *** Cosa pensi del mio volto? ***
Capitolo 10: *** Una serata in compagnia. ***
Capitolo 11: *** Voglio vederti sorridere. ***
Capitolo 12: *** Amore forzato. ***
Capitolo 13: *** Pomeriggio fuori. ***
Capitolo 14: *** In un parco, leggendo manga ***
Capitolo 15: *** Fuochi d'artificio ***
Capitolo 16: *** Dalla felicità, alla catastrofe: tutta colpa di una ragazza sbadata. ***
Capitolo 17: *** Relazione a distanza, cos'altro? ***
Capitolo 18: *** L’ultimo giorno insieme, viviamolo al massimo. ***
Capitolo 19: *** Good job, guys ***
Capitolo 20: *** Epilogo: Sempre vicini come lontani ***



Capitolo 1
*** Vacanza sinonimo di… Lavoro. ***


Introduzione: Salve a tutti i lettori che vogliono intraprendere l'arduo viaggio di leggere, e magari commentare, questa storia. Non so bene cosa far presente, oltre l'eccessivo uso di termini giapponesi (che verrano specificati a fine capitolo, accostato alla parola troverete un (*) ), la pubblicità occulta di alcuni anime, manga, libri e quant'altro, aggiungendo infine la scelta dei cognomi: tutti rubati da Liar Lily non è come sembra!, il magnifico capolavoro di Ayumi Komura, pubblicato dalla Planet Shojo (altra pubblicità occulta). Spero proprio che i personaggi non risultino OOC, se invece è così, scusatemi. E' tutto, non so che altro aggiungere. Buona lettura!
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1

 
Un edificio bianco, che alla luce del sole abbagliante del mese di marzo non permetteva di guardare nulla se non i piedi, con un cancello di ferro che bisognava attraversare per accedere al viale principale di ghiaia, contornato da alberi di pesco: questa era la scuola media superiore Yoake. Il profumo dei fiori di pesco veniva diffuso dalla leggera brezza primaverile che trasportava anche i petali rosati, creando un’atmosfera di pace e serenità. Il silenzio tombale nelle aule, dove gli studenti erano attenti a seguire l’ultima lezione prima delle vacanze, sarebbe a breve scomparso, dopo il trillo assordante e più duraturo, rispetto al solito, della campanella. 
In una delle classi, del primo anno, le penne scorrevano veloci sui fogli immacolati, tutte allo stesso tempo –anche se c’era sempre qualcuno che non sapeva cosa inventarsi per salvarsi dall’ultimo posto della graduatoria-;
-“Io dico.”- pensava una delle menti ferme. –“Anche l’ultimo giorno di scuola la professoressa di giapponese antico doveva farci fare un compito in classe? Se non è cattiveria questa, cos’è?”-  
“Sawamura!” Scattò arrabbiata la professoressa, battendo forte la mano sulla cattedra. “Invece di guardare il cielo, in attesa della soffiata di un compagno, perché non ti concentri e spremi quei due neuroni che ti ritrovi? Queste cose sono state ripetute e ripetute in classe, lo sai bene. Quindi lavora.” Batté di nuovo la mano sulla superficie che era sul punto di creparsi. Sempre la stessa solfa. All’occhio saltava soltanto lui, magari ai banchi dietro si passavano tranquillamente bigliettini, ma solo lui stava facendo qualcosa. Era stato preso di mira dalla professoressa già dal primo giorno di scuola, perché, per sbaglio, mettendo il piede in una pozzanghera, le aveva macchiato i pantaloni bianchi di fango. “Sono di seta questi!” Aveva farneticato qualcosa del genere. Poi, lei spiegava sempre in classe, ripeteva e ripeteva le cose, ma quando ti azzardavi a chiedere, alzando educatamente la mano: “Non ho capito questa cosa.” Il sangue le ribolliva nelle vene, i muscoli del collo si contraevano, la fronte gli si aggrinziva tutta, i capelli si drizzavano e urlava furente: “Siete dei decerebrati! Come potete non capire, se sono io che spiego!? Ammetti, non sei stato attento, vero? Magari stavi giocherellando guardando le nuvole come Sawamura –sempre lui ci andava di mezzo-.” Poi il tono si addolciva e guardando il primo banco, vicino la finestra, diceva rivolgendosi ad un ragazzo dai capelli biondi e gli occhi azzurri come i suoi, che era il fratellastro: “Sawamura , tu sei l’unico che segue le mie lezioni, puoi rispiegare tu, gentilmente.” In verità, lui era l’unico con un cervello tale da capire da solo i concetti ‘spiegati’ dalla professoressa.  Dell’insegnate era anche solito battere il palmo della mano sulla cattedra, tanto duramente da far tremare tutta l’aula; la domanda che molti si facevano era: ma non sentirà dolore alle mani? A quanto pareva, per niente. Sbuffando tornò a concentrarsi sul foglio. Cosa scrivere? Il suo cervello aveva eseguito un ripristino totale. Anche con l’aiuto del fratello il suo povero cervello non riusciva ad assimilare alcuna nozione; forse su una cosa concordava con la professoressa: aveva due neuroni, che neanche funzionavano a dovere. Le sinapsi? Bella domanda, chissà se le aveva mai avute. Sospirò di nuovo. Voleva superare per lo meno Hayner; l’ultimo posto se lo battevano loro due di solito e quindi, superare il ragazzo, era una ‘grande’ soddisfazione; ma non gli importava granché tutto sommato. Lui era un tipo che prendeva la vita allegramente, non dando ad ogni tragedia un peso eccessivo –come, invece, il fratellastro era solito fare- e ciò lo poteva far sembrare un po’ ingenuo, ma a lui non importava; gli bastava avere dei veri amici intorno con cui parlare e tutto finiva. Certo, avere una fidanzata non avrebbe guastato, anzi… Però, come già detto, non era un tipo che dava troppo peso a questi dettagli.
La campanella suonò, procurando grida per tutta la scuola, ma solo sospiri delusi per la classe. Con mano lesta la professoressa ritirò i compiti e, dopo aver afferrato la sua borsa e la giacca, disse: “Avrete i risultati appena di ritorno dalle vacanze.” Ed uscì, facendo risuonare quel ticchettio dei passi per tutto il corridoio.
“Allora Sawamura, hai risposto correttamente alle domande? No? Proprio da te! Perché non sei come tuo fratello, il mio pupillo!” Disse Tidus avvicinandosi al banco dell’amico, imitando la professoressa.
“Divertente, veramente.” Rispose il ragazzo scocciato. Le verifiche lo mettevano sempre di cattivo umore.
“Su, su, Sora. La vita è bella. La professoressa Larxene è fatta così, cosa ci puoi fare. Adesso che poi sono cominciate le vacanze. Se fossi in te inizierei a preparare la cartella, ti stiamo tutti aspettando.” Gli disse il fratellastro tenendo la borsa sulla spalla. Il castano, ancora afflitto, mise tutti i quaderni e libri nella borsa. Un mese di riposo l’attendeva. Il suo programma? Semplice: leggere manga, guardare anime, video-giocare, maratona del Signore degli Anelli, mangiare, dormire e ricominciare tutto da capo, cambiando film da vedere. Arrivato a casa, però, il suo infallibile, nonché perfetto progetto fu ribaltato.
“Lavoro d’estate?” La madre, con il sorriso sulle labbra, annuì.
“Si. Tu e Roxas lavorerete questo mese di vacanza all’Onsen(*) della nonna di Kairi.” Il ragazzo era rimasto sbigottito. La famiglia di Kairi era sempre stata amica della sua, fin da tempi che furono. Anche lui, d’altronde, aveva una grande amicizia con la ragazza –anche se non era solo amicizia-. Però, passare un mese di libertà a lavorare, non se ne parlava proprio! Forse la presenza di Kairi e Roxas l’avrebbe aiutato, però… No, sarebbe stato un trauma.
“Mamma ti prego! Io ho altro da fare per queste vacanze.”
“Cosa? Leggere manga, vedere anime, mangiare, dormire e fare qualche maratona di film?” O la madre era sensitiva, oppure lui era prevedibile. “Non se ne parla proprio.” Scosse la testa. “Devi darti da fare! Renderti utile qualche volta non ti farà male di certo. Altrimenti, ragazzo mio, ti dovrai mettere sotto con lo studio di giapponese antico, inglese e musica, ed io ti controllerò come il cane fa con le pecore.” Sora sbuffò e violentemente si risedette –con l’arrivo della pessima notizia era saltato in piedi- incrociando gambe e braccia.
“Roxas, caro, potresti iniziare a sparecchiare, gentilmente?” 
“Certo zia.” Sorrise il biondo, che fino a poco fa era stato zitto ad assistere la discussione fra la donna e il cugino. Impilò le ciotole e le portò nella cucina con un vassoio –dove era stata servita la frittata dolce, che Sora amava tanto-. A lui l’idea di dover lavorare l’estate, in verità, gli risultava totalmente indifferente; quasi gli faceva piacere. Anche se lui conosceva Kairi da cinque anni –pochi in confronto ai quindici di Sora-, gli era sembrata subito simpatica, per non parlare poi della sua migliore amica Naminé. Solo al pensiero della ragazza, arrossì. I capelli biondo chiaro, gli occhi azzurro cielo, i tratti fini e leggeri, la pelle bianca, la corporatura magra, priva di muscoli o imperfezioni di alcun tipo. Si poteva proprio dire che il ragazzo era stato preso da un colpo di fulmine, ma non si considerava innamorato. Conosceva la ragazza poco e niente, quindi definire amore quello che provava nei suoi confronti era eccessivo. Mise i piatti in una bacinella nel lavandino e fece correre l’acqua, aggiungendo il sapone liquido. In quel momento nella cucina entrò la madre di Sora che gli sorrise.
“Grazie Roxa-kun, ma finisco io. Alla fine quel cocciuto di mio figlio si è arreso prima del previsto.” L’affermazione della donna gli fece scappare una risata. Si asciugò le mani e corse su per le scale, verso la camera che condivideva con Sora. Il ragazzo era disteso sul letto. Si potevano sentire i ‘sigh’ e i ‘sob’ attutiti dal cuscino sul quale aveva sprofondato il volto. Roxas, scuotendo la testa divertito dalla scena, si sedette sul suo letto. Prese il pigiama da sotto le coperte ed iniziò a sbottonarsi il gukan(**).
“Non capisco perché ti disperi tanto.” Commentò il biondo. Sora disse una parola, che si poteva identificare con: lavoro.
“E allora? So-kun, non pensi alla dolce Kairi che rivedrai dopo tanto e tanto tempo.” Kairi, con Naminé, frequentava una scuola femminile ad Osaka, quindi l’unico periodo in cui i due si poteva incontrare era appunto il mese delle vacanze.
Il ragazzo alzò un po’ la faccia dal cuscino per dire: “Lo so, ma devo sempre lavorare! Quindi potremo chiacchierare poco e niente.” E si lasciò cadere di nuovo sul morbido.
“Hai ragione, però non hai pensato al fattore Onsen? Kairi, Onsen, bagni in comune… Con tutti quegli Hentai che ti leggi e che nascondi sot…” Ma a Roxas fu subito tappata la bocca dal cugino, emerso dalla sua disperazione. I passi della signora di casa rimbombarono nel corridoio, per poi svanire, seguiti dal rumore del chiudersi di una porta. Roxas si sbracciò, l’altro gli aveva chiuso non solo la bocca, ma anche il naso, così non facendo più a respirare. Sora lasciò la presa con un sospiro di sollievo, mentre Roxas riprese fiato.
“Ma sei matto?”
“Non sono io quello che urla ai quattro venti i miei segreti, che sarebbero rimasti tali se non fossi stato tanto impiccione.” 
“Io volevo solo rifarti il letto, come farebbe un bravo fratello.”
“Mi dispiace per te, ma un fratello non lo farebbe mai.” Roxas sbuffò.
“Non so come si comportano i fratelli, io. “ Si alzò in piedi e continuò a spogliarsi.
Sora lo guardò un po’ triste. Cinque anni fa, nel mese di dicembre, entrambi i genitori di Roxas morirono in un incidente. Essendo la madre del ragazzo sua zia dalla parte materna; la madre decise di far vivere il ragazzo con loro e nessuno –lui e il padre- la contrariò, non ne avevano motivo. Roxas si ambientò subito e, anche se la morte dei genitori aveva lasciato un solco profondo nel suo animo, pian piano si aprì a tutti quanti, riuscendo a tornare a sorridere dopo non molto. Il problema del biondo, in verità, era quello di credere che la colpa della morte dei famigliari fosse sua, perché aveva richiesto loro di tornare il prima possibile, così che avrebbero passato quello che rimaneva delle vacanze natalizie insieme –i genitori erano dei grandi lavoratori, quindi il tempo della ‘famiglia unita e felice’ scarseggiava spesso-. Quando, invece lui, durante l’accaduto, era andato a casa di un amico, con il quale non si era poi più sentito. Di quello che sapeva i due amici erano rimasti tali per moltissimo tempo, per questo tante volte gli aveva chiesto come si chiamasse, o che aspetta avesse, se era simpatico o meno, ma Roxas, puntualmente, svagava dicendo che non se lo ricordava e, a forza di dirlo, alla fine era accaduto veramente.
“Ma sai per caso quando si parte?” Ruppe il silenzio Sora, sdraiandosi sul letto dell’altro, incrociando le dita dietro la nuca.
“Domani.”
“Cosa?!” Il ragazzo alzò il busto con gli occhi di fuori. “Già da domani? Un viaggio fino a Kinosaki(***)?”
Il biondo annuì. “Proprio così.” Aggiunse. “Io inizio a farmi i bagagli, poi non so se anche tu vuoi.” E da sopra l’armadio tirò giù una grandissima valigia argento.
“No, io ci penserò domani mattina.” 
“Sicuro Sora? Tu sei famoso per i tuoi fantasmagorici ritardi.”
“Sicurissimo! Ce la farò, mi metto pure la sveglia.” Ed impostò lo squillo alle 5:00 di mattina. “Spero non ti infastidirà.”
“Non preoccuparti.” 
Sora velocemente indossò i pantaloni e la maglia del pigiama e, come un anguilla, scivolò nelle coperte. In breve si addormentò, mentre l’altro continuava a pensare cosa portarsi o meno. Lo spazio non era molto quindi doveva decidere: libri o vestiti? L’ago della bilancia puntava più su libri, ma, purtroppo, il buon senso gli disse di portare più indumenti.
Quella che si prospettava sarebbe stata una lunga, lunghissima vacanza; che si sarebbe rivelata più memorabile di quello che i due si sarebbero mai potuti aspettare.
 
(*) Onsen: Terme giapponesi
(**) Gukan: divisa maschile
(***) Kinosaki: Cittadina termale per eccellenza, situata sulle coste del Mar del Giappone nel Kanzai settentrionale.

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Capitolo 2
*** Luogo di pace e un ragazzo dai capelli albini. ***


2
 
 
“I miei boxer! Roxas i boxer!” La voce isterica di Sora era penetrata nella mente di Roxas, come un trapano che per errore faceva il buco nel muro.
“Alla tua destra.” Sbuffò coprendosi le orecchie con le mani.
“E’ tardi, tardi, tardissimo.” Ripeteva ossessivamente, come se dirlo avesse fermato il tempo.
“Mi ricordi il bianconiglio, sai.” Sora lo fulminò con lo sguardo.
“Invece di fare l’ironico e leggere, che ne dici di passarmi i vestiti?!”
“Alla tua sinistra.” Il castano grugnì, e nervoso infilò, disordinatamente, gli indumenti nella valigia. Poi prese qualche manga, i vari caricabatterie, una torcia –non si sapeva mai, ma poteva tornare sempre utile-, e alcuni CD (sperando che ci fosse uno stereo).
Si mise seduto sul bagaglio per chiuderlo, ma la roba era troppa e neanche i piagnucolii del ragazzo facevano scattare le sicure per tenere legate la parte superiore e inferiore, in modo che non si sarebbero più staccate. Roxas, sospirando spazientito e esausto, buttò giù Sora, sistemò gli oggetti in modo ordinato e chiuse la valigia con una facilità da risultare irreale.
“Adesso possiamo andare.” Prese il libro e lo mise sottobraccio. Afferrò il manico della valigia e scese le scale, Sora lo seguì. Per arrivare all’Onsen avrebbero preso il treno, poi, alla stazione, ad aspettarli ci sarebbe stato il nonno di Kairi, proprietario dell’albergo.
Per il viaggio i due fratelli non parlarono molto, per vari motivi: Roxas si era precluso con le cuffie e la musica a tutto volume, mentre leggeva L’occhio del Golem (*) che era intenzionato a finire presto, per iniziare il seguito; invece Sora si lesse nuovamente tutti e 23 i volumi di Soul Eater (**) e commentava AnoHana (***), con i lacrimoni, che stava guardando sul suo cellulare; coinvolgeva persino gli altri passeggeri, tra cui c’era chi godeva dell’esuberanza del ragazzo, chi invece gli avrebbe piacevolmente puntato un fucile alla testa –i più sadici, perché c’erano (Roxas ad esempio), immaginavano le peggio torture da infliggergli-. 
Dopo qualche ora arrivarono  nel luogo dell’appuntamento.
“Sora maledetto!” Ansimava il biondo. “Mancava poco e rimanevamo sul treno!”
“Alla fine, però, siamo qui. Guarda il lato positivo!” Disse energico. Roxas lo guardò storto. “Su, su, fratellino. Smile!” E gli tirò le guance facendogli fare un sorriso forzato.
“Roxa-kun, So-kun.” Disse un anziano signore avvicinandosi ai due.
“Vecchio Shinohara!” Lo salutò Sora, non rendendo contento il nonno di Kairi per quel ‘vecchio’.
“Salve signore.” Fu più cordiale l’altro.
“Il viaggio, tutto bene?”
“Magnificamente!” Esortò il castano.
“A parte il fatto che a causa sua – disse Roxas, indicando Sora- stavamo per andare chissà dove.” I fratelli si guardarono e ringhiarono come cane e gatto.
“Suvvia, ragazzi. Non sprecate così le vostre forze, poi chi penserà a tutto il lavoro che dovete svolgere, eh?” Si mise fra i due e cinse loro le spalle con le braccia.
Il castano alla parola lavoro si sentì come investito da un camion che correva a tutta velocità sull’autostrada. Entrambi fecero un mezzo sorriso e con il vecchio si diressero alla macchina, che li portò dritti verso l’Onsen.
“Questo luogo ci è stato tramandato da generazioni.” Disse Shinohara. “Tu Sora già lo sai, ma questa è per Roxas la prima volta che viene.”
“La seconda signore.” Lo corresse il ragazzo. “Comunque non mi è mai stata raccontata la storia dell’Onsen.” Sora fece dei gesti di rimprovero a Roxas, doveva starsi zitto, adesso il nonnetto non avrebbe più smesso di parlare.
“Ma davvero! Oh, oh, allora sarò lieto di raccontartela.” Ed iniziò a parlare. Da quando un suo trisavolo trovò la fonte dove scorreva l’acqua termale, fino ai giorni loro, elogiando più del dovuto la zona che aveva ereditato. Anche se, appena i ragazzi arrivarono, non poterono che concordare con lui, dopo il restauro concluso due mesi prima, sembrava un altro posto.
Quella della famiglia non era una semplice zona termale, ma era un ryokan (****). 
L’architettura semplice e tradizionale, appartenente a quella parte del Giappone che pian piano stava per essere sommersa dalla modernità e le nuove tecnologie, era composta da strutture di legno, carta, erba, bambù e pietra. Un piccolo ruscello scorreva accanto la stradina che conduceva all’entrata, per poi sfociare in un fiumiciattolo che, per attraversarlo, era stato costruito un ponte. Il luogo tranquillo e silenzioso, placò gli animi irrequieti dei due ragazzi che allegramente andarono all’atrio. Si levarono le scarpe, ma gli fu detto di tenerle con loro per non occupare gli armadietti (*****) utili agli ospiti. Furono condotti, poi, a una piccola casa staccata dall’albergo, che era sempre nello stesso stile dell’Onsen, dove gli fu data una stanza.
“Qui –riferito alla casa- ci dormiamo: io, mia moglie, Kairi e un altro ragazzo che, come voi, arriverà tra poco. Ora sistematevi con cura e alle 20, raggiungetemi in cucina.” E così il vecchio li lasciò soli nella stanza.
“Ti immagini, Roxas.” Disse Sora con sguardo sognante “Kairi con lo yukata (******).”
“Come ti pare.” Gli disse il biondo disinteressato.
“Lo sai che potrebbe esserci anche Nami-chan?  Lei e la sua famiglia sono clienti abituali dell’Onsen, ci vengono ogni volta che possono.” Disse malizioso. Roxas avvampò.
“Naminé?” 
“Oh, guarda come arrossisce cuore di pietra. Hai un debole per la biondina, eh.” Ghignò il ragazzo soddisfatto di quella reazione.
“Non ho nessun debole io, che cosa farnetichi.” Sistemò i pantaloni e le magliette in un cassetto del comò di bambù. 
Sora si spogliò. Quando Roxas si voltò e lo vide, si coprì gli occhi.
“Che fai demente! Non puoi rimanere così in mutande; non mentre io ti credo vestito, per lo meno.”
“Devo indossare lo yukata. Quale problema hanno le mie mutande?”
“A parte che sopra ci sono disegnati dei maialini stilizzati? Mah, nessuno. Comunque se devi cambiarti fallo dovunque tu voglia, ma non davanti a me.” Sora, per ripicca, andò dietro le spalle di Roxas e, passandogli le braccia intorno il collo, iniziò a baciargli dietro l’orecchio. 
“Perché sei tanto imbarazzato Roxa-kun? Non è che, per caso, non riesci a controllare i tuoi pensieri tanto perversi e quindi desideri saltarmi addosso?” Incominciò a sbottonargli la camicia bianca.
“Questa è la tua stanza.” Disse una voce fuori la camera, aprendo poi la porta scorrevole e mostrando, così, quella scena più che imbarazzante. Sora si voltò verso l’ingresso e ridacchiò per mascherare l’imbarazzo.
“Ciao Kairi-chan.” Con una spinta allontanò Roxas, che cadde faccia avanti.
“Ciao… Sora…” La ragazza deglutì. Non si sarebbe mai aspettata di rivedere in quella situazione tanto ambigua il suo migliore amico, dopo un anno di lontananza. Roxas, ancora disteso a terra, agitò la mano in segno di saluto.
“Che ci fate in questa stanza?”
“Tuo nonno ce l’ha assegnata.” Le rispose il ragazzo.
“Ma questa è la stanza di Riku… A proposito.” Si scansò mostrando un ragazzo: alto, albino, con gli occhi azzurro ghiaccio, muscoloso e con un espressione seria guardava i due. Non era né divertito, né scocciato, era indifferente. “Lui è Riku Takanashi, un mio compagno di classe.” Sorrise la rossa.
Sora sbatté le palpebre incredulo. Compagno di classe? Ma quella di Kairi, non era una scuola femminile?
“Kairi, ma non frequentavi una scuola femminile?”
“Si, però da quest’anno sono stati ammessi anche i ragazzi, visto che non erano molte le adesioni da parte delle ragazze.”
“Ah…” In quel momento, una strana idea, pervase la piccola mente del ragazzo. Se si fosse trasferito ad Osaka, frequentando la stessa scuola della ragazza, le percentuali di un possibile amore salivano a livelli stellari. Roxas, finalmente in piedi, gli diede un colpo con il gomito. Sora era rimasto fermo con la bocca aperta e gli occhi luccicanti di chi aveva avuto ‘l’idea da premio Nobel’.
“Allora sgomberiamo subito Kairi, e Sora.” Il biondo lanciò lo yukata, che era ben piegato sul futon (*******), al fratello. “Vestiti.” 
Il castano strinse l’indumento a se, poi abbassò il suo sguardo verso i suoi ‘amabili’ boxer, diventando rosso.
 “Ah, ah…” Rise nervoso. “Con permesso…” E passò tra Kairi e Riku.
“Patetico.” Sentì un sussurro all’orecchio. Si voltò verso l’albino che lo stava guardando, sempre con quel volto serio e impenetrabile. Sora tirò su con il naso stizzito, e, con un passo un po’ goffo, andò nella stanza accanto. Roxas lo seguì dopo aver raccolto le sue cose e, appena entrò nella nuova camera, notò con piacere il cugino vestito e seduto sul futon. Aveva le gambe e le braccia incrociate, la solita posizione che assumeva quando era arrabbiato. 
“Che è successo adesso?” Sospirò il biondo che aveva portato con se anche la valigia di Sora.
“Quel tipo dai capelli bianchi, mi ha dato del patetico.” Gonfiò le guance.
“Come biasimarlo.” Commentò l’altro. Sora, che si aspetta comprensione e appoggio, rimase sbigottito. 
Roxas lo convinse a sistemare i vestiti nel comò –uguale a quello dell’altra stanza- e di non rimanere imbronciato a lungo. Il ragazzo, prese quello che gli disse il fratellastro come una sfida, e, quando finì di mettere a posto per primo, si vantò, credendo di avere vinto chissà quale premio.
Quando uscì dalla stanza, lasciando solo Roxas, si scontrò con Riku.
“Fa attenzione.” Lo rimproverò.
“Scusa, scusa.” Borbottò. 
L’albino si abbassò al suo livello per guardarlo negli occhi.
“Che c’è?” Balbettò.
“Niente, volevo solo vedere gli occhi di una persona patetica.” Disse tranquillamente. Sora sbuffò. 
“Allora ci avevo sentito giusto, sei stato tu a dirmi patetico, prima.”
“Ma che personcina perspicace. C’è un cervello in questa testa.” E gli scompigliò i capelli.
“Ah, ah, che battuta scontata. Tutti la stessa cosa dite, cambiate per lo meno.” Gli rispose a tono, credendo di aver trovato la risposta perfetta per avere un punto a suo vantaggio.
“Perché cambiare, quando sei così sciocco da non riuscire a capirlo? Già il fatto che in molti te lo dicono, dovrebbe suggerirti qualcosa, non pensi?”
Il castano sbatté i piedi per terra in mancanza di risposta. “Io vado in cucina come mi è stato ordinato, ci si vede dopo.” Fece un passò avanti, ma l’altro lo fermò da dietro, portando le mani sul petto dell’altro. “Hai messo male lo yukata.” Indicò le pieghe che si erano formate davanti. Velocemente glielo sistemò. “Fatto.” E lo lasciò andare. 
“Non ti avevo chiesto nessun tipo di aiuto.”
“Ne avevi bisogno, però.”
Sora arrossì e se ne andò. In quel momento Kairi uscì dalla sua camera, proprio di fronte a quella di Riku. Vide il ragazzo guardare alla fine del corridoio e gli chiese: “Successo qualcosa?” Lui scosse la testa.
“Nulla di particolare. Da quanto conosci quell’essere senza cervello?” Le chiese.
“Chi, Sora? Da quando sono nata praticamente. Per lo meno così dice mia madre. Lui è due settimane di differenza da me. Comunque siamo amici di infanzia, però quando mio padre si è dovuto trasferire ad Osaka per lavoro, ci vediamo solo durante le vacanze, quindi questo periodo.” 
“Capisco. Mi finisco di preparare e arrivo subito.” 
“Certo.” Gli sorrise la ragazza.
Per le 20 tutti i ragazzi erano andati nella cucina, dove il signor Shinohara era pronto a dare ad ogni ragazzo il proprio compito. 
“Kairi tu, come Sora e Riku, penserete a portare i pasti nelle stanze degli ospiti, e sistemare le camere appena questi sono usciti. Roxas tu invece penserai alla pulizia degli spogliatoi ed aiutare qui in cucina, so che non sei male in economia domestica.”
“Vero, signore.”
“Ottimo. Oggi è domenica, voi inizierete a lavorare in modo attivo domani. Per adesso però aiutate. Voi due –indicò Riku e Sora- andate a pulire le stanze vuote, le voglio perfette, mi raccomando. Mentre voi due –indicò Roxas e Kairi- occupatevi dei bagni, e già che ci siete anche dell’altra casa. Andate pure.” Tutti quanti, moggi moggi, uscirono dalla cucina, non pronti ad affrontare quelle pulizie profonde. Le stanze erano troppe per essere contate, i bagni troppo grandi per essere misurati, la casa troppo disordinata per essere pulita non rovistandola da cima a fondo.
Però quello erano le loro mansioni, e dovevano eseguirle senza lamentarsi di niente. 
Così, ebbe inizio il primo giorno dei 31 che dovevano venire. 


 
 

 
(*) L’occhio del Golem: secondo libro del ‘La trilogia di Bartimeus’ –L’amuleto di Samarcanda, L’occhio del Golem, La porta di Tolomeo- di Jonathan Streud.
(**) Soul Eater: manga e anime di Atsushi Ohkubo, shonen, pubblicato in Italia dalla Planet Manga (il numero 23 non è ancora uscito in Italia)
(***) AnoHana: diminutivo di: Ano hi mita hana no namae wo bokutachi wa mada shiranai, anime di Tatsuyuki Nagai, shonen.

(****) Ryokan: locande in stile tradizionale.
(*****): per entrare nelle Onsen, bisogna levarsi le scarpe e metterle in un armadietto, ed indossare poi le geta.
(******) Yukata: leggero kimono di cotone.
(*******) Futon: si potrebbe definire un materasso che si mette direttamente a terra, senza la struttura di un letto.




Angolo dell'autrice:
Non so perchè, ma mi andava di scrivere Angolo dell'autrice e non N.d.A. come scrivo di solito, mah.... Chi mi capisce, è bravo.
Salve a tutti! Spero che questo capitolo non abbia annoiato e che "l'umorismo" -se così lo posso definire- non sia sembrato scontato e banale. Come avevo già anticipato ci sono tante -troppe- note, che probabilmente sono anche scontate, ma meglio metterle che non. Non ho molto da dire, oltre ringraziare i recensionatori, e i lettori invisibili (nei quali ripongo la speranza che prima o poi diventeranno visibili). Volevo chiedere anche scusa per il ritardo, ma, sapete com'è, quando i genitori sono peggio di guardie carcerarie tedesche, c'è poco da fare. 
Grazie per chi leggerà anche questo mio piccolo commento.
Alla prossima!
Here we Go!

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Capitolo 3
*** Hachi a lavoro. ***


3
 
 
A forza di passare lo straccio sui mobili e piegare i futon, le mani gli iniziarono a far male. Quello che però lo fece più arrabbiare era che Riku, in confronto a lui, non aveva fatto alcuna fatica, anzi, tranquillamente continuava il suo lavoro senza mostrare nota di cedimento. E’ vero che lui era pigro, ma era più di un’ora che stavano facendo gli stessi identici movimenti. Almeno l’espressione sul volto doveva cambiare ed invece: niente. Sora non aveva parlato per nulla, e lui era uno loquace, anche molto, se non troppo. Voleva aprire una conversazione, ma come poteva con un tale soggetto?
“Che fatica…” Commentò.
“Per te, vorrai dire.” Lo mise subito a tacere l’altro. Niente, proprio non si poteva dialogare. Provò un nuovo approccio.
“Ti piacciono i manga?”
“Li trovo infantili e sciocchi. Non sono nulla di speciale, solo un modo per uscire dalla realtà. Tanto meglio leggere un libro.” Sora tremò dalla rabbia, ma doveva rimanere calmo, non agitarsi per niente, ognuno le proprie opinioni.
“Che libri leggi?”
“Mi piace molto il genere fantasy, anche se il giallo non mi dispiace.” 
“Mio fratello legge spesso il fantasy.” 
“Tu invece ti limiti ai manga.” Sora abbassò la testa imbarazzato. Non è che odiava leggere, ma gli risultava difficile. Ci fu di nuovo silenzio. Che dire? Parlare della scuola non gli andava, e non voleva chiedergli in che rapporti era con Kairi.
“Roxas è veramente tuo fratello?” Chiese l’albino.
“No. Sarebbe mio cugino, adesso vive nella mia famiglia, quindi lo considero come un fratello o fratellastro, poco importa poi, perché è un mio grande amico.” Fece un sorriso. Riku lo guardò e sospirò.
“Sei un tipo ingenuo, e non sono il primo a dirtelo, scommetto.”
“Non è vero.” Controbatté.
“Se lo dici tu.” Ridacchiò. Sora, nel vedere quel sorriso accentato fu un po’ scosso.  Era strano vedere una persona che per tre ore teneva quell’espressione indifferente, cambiarla improvvisamente, con un sorrisetto.
“Riku, tu hai per caso problemi facciali?”
“Perché?” Chiese spiazzato dalla domanda insensata.
“Non sorridi mai! Scommetto che rimarresti serio anche se ti ballassi davanti, con la pon-poko dance(*) di sottofondo.”
“Provaci. Balla.” Lo sfidò. Sora tossì e voltò lo sguardo indietro, arricciando il naso.
“Non ci tengo, e non so ballare.”
“Ti pareva.” Sospirò Riku.
Sora si avvicinò al volto del ragazzo, gli afferrò le guance e le tirò su, muovendo così le labbra verso l’alto.
“Ecco, così va meglio.” Lasciò la presa. “S-m-i-l-e” Scandì le parole.
Riku scosse la testa e tornò a pulire. 
“Ci mancano ancora 6 stanze, lo sai vero?”
“Lo so!” Cantilenò il castano. “Ma sono stufo.”
“Facciamo così, se ti faccio un sorriso torni a lavorare?”
“D’accordo!” 
Riku sorrise, un sorriso un po’ nascosto, non largo quanto quelli che Sora faceva ogni due parole, ma comunque un sorriso.
“Contento?” Tornò serio.
“Si!” Esultò felice. Riprese a lustrare fischiettano, contento di aver ottenuto ciò che desiderava.
 
Erano le nove di sera e non c’erano molti clienti nell’Onsen, quei pochi che c’erano erano rimasti in camera a gustare la propria cena. Roxas stava pulendo gli spogliatoi maschili. Con forza passava lo scopettone sul pavimento di pietra. La puzza era insopportabile, per non parlare dello sporco; si vergognava di essere nato di quel sesso. Per non commentare la bellissima bestemmia scritta sul muro. Era esausto. Avrebbe desiderato con tutto se stesso spogliarsi e immergersi nelle acque calde. Mah, perché no? Non c’era nessuno, che male poteva fare, tanto aveva concluso il suo lavoro –avrebbe pensato dopo alla casa-. Si sciolse il datejime (**), aprì lo yukata e lo fece scivolare giù dalle braccia, si levò l’intimo e si coprì con l’asciugamano. Non stava facendo niente di male, solo rilassarsi. Mise i vestiti nella cesta e la ripose in un armadietto. Poi andò ai bagni in comune, dove si immerse completamente -levandosi anche l’asciugamano-. Si poggiò ad un muro e si rilassò, abbandonandosi letteralmente a quel calore soporifero.
In quel momento il ragazzo sentì dei passi, poi il rumore di chi entrava in acqua. Era arrivato qualcuno. Se era un cliente? L’avrebbe detto al capo? Oppure era Sora che, non sapeva come, ma aveva capito che era andato lì e voleva fargli prendere un infarto? Nel dubbio si immerse completamente. Fortunatamente sapeva trattenere il fiato a lungo, grazie proprio al cugino, che volendogli sempre fare degli scherzi idioti, lo costringeva a nascondersi, e quale posto migliore se non sott’acqua? 
Il soggetto ignoto, per la ‘fortuna’ del ragazzo, era andato nella parte dove lui si era messo. Indossava ancora l’asciugamano, così, se mai fosse stato scoperto, non sarebbe stato trucidato più di tanto perché non aveva visto alcuna figura nuda… Poi la questione non reggeva, perché quelli erano bagni maschili, e ci si poteva immergere nudi, la verità era che quello a cui la cosa avrebbe infastidito era proprio Roxas. Si guardò intorno in cerca di una via di fuga, ma non riusciva a vedere a causa del vapore. Doveva riuscire a scappare, doveva… Oddio il tizio si era levato l’asciugamano. Via, via, doveva andare via! Si sentiva in imbarazzo come non mai. Iniziò a nuotare a rana verso la sua salvezza, con attenzione e cautela, se fosse andato troppo di fretta forse il cliente -era sicuro anche di quello, le gambe erano troppo muscolose per essere quelle di Sora- avrebbe avvertito lo spostamento d’acqua. 
“Si può sapere che diamine stai facendo là sotto?” Il ragazzo prese Roxas per le spalle e lo tirò fuori dall’acqua. Il biondo riprese fiato e si voltò a guardare chi fosse l’altro. Un uomo, sui venti, ventidue anni al massimo; aveva gli occhi verdi prato e i capelli rosso fuoco, più dei strani segni sotto gli occhi, delle gocce nere.  
“Scusi…” Balbettò.
“Scusi? Mica sono un vecchio che mi devi dare del Lei.” Sbuffò. “Prima di dirti il mio nome, posso sapere perché mi stavi spiando?”
“Spiando, io? Affatto. Sta fraintendendo, signore. Io mi stavo soltanto rilassando avvolgendo tutto il mio corpo nel calore dell’acqua.”
“Mi stai ancora dando del Lei. Se stai troppo sott’acqua poi ti senti male, ma dico sei scemo? E se non mi stavi spiando, che stavi facendo?”
“Ve l’ho detto. Mi stavo rilassando sommerso.”
“Una scusa plausibile, gentilmente.”
“Non è una scusa!” Sbottò alla fine il biondo. Il ragazzo rise di gusto.
“Ma come alziamo il tono. Prima fai tutto il preciso con le formule di cortesia e poi, come un cane, sei pronto ad addentarmi.” Roxas sbuffò. Secondo lui quel tipo si stava dando troppe arie, estremamente troppe.
“Posso sapere il suo nome?” Gli chiese.
“Axel Hoshimoto.” Disse spavaldo, come se il suo nome fosse conosciuto. “Tu invece? Ti chiami per caso Hachi(***)?” 
Roxas gonfiò le guance e sbuffò.
“Molto spiritoso, ma adesso non posso proprio fermarmi a parlare, ho ben altro da fare. Io sono un dipendente.”
“Davvero?” Lo guardò come se fosse stata detta la cosa più impossibile del secolo. “Allora mi toccherà avvisare il tuo boss della tua negligenza nel trattare i clienti con rispetto e nel lavorare.” 
“Cosa? No, ti prego, non una parola.”
“Dimmi il tuo nome.” Lo stava ricattando!
“R…”
“Sawamura-kun?! Sei vivo?!” La voce di Kairi arrivò dritta, chiara e nitida, alle orecchie di Roxas.
“Mi dispiace, devo andare. Le ricordo che i bagni sono aperti fino le 23. Spero di rivederla –grandissima bugia-.” Fece un inchino, indossò l’asciugamano, e uscì. 
“Ha riusato di nuovo il Lei.”
 
Velocemente si rivestì con lo yukata e raggiunse Kairi con molta nonchalance.
“Ti sei fatto un bagno, vero?” Non era difficile capirlo dai capelli tutti arruffati e bagnati.
“Non farmi la predica Kairi-chan.” La supplicò.
“D’accordo.” Disse facendosi scappare una risata.
“Tu hai finito tutto?”
“Si, anche se non ho potuto pulire completamente a causa di alcune clienti.”
“Beh, tuo nonno non se la prenderà.” Da dove proveniva la mania di farsi il bagno la sera tardi? Poi che soggetti erano queste persone? Quel Axel ad esempio, credeva che il mondo fosse suo? Solo perché aveva un grande charm e dei muscoli in più agli altri? 
-“ La gente è strana forte.”- Pensò il biondo che, con lo scopettone dritto, poggiato sulla spalla, e con la mano destra occupata per portare il secchione con l’acqua saponata, si dirigeva nella casa insieme a Kairi, pronti a completare anche l’ultimo lavoro.
Da quel semplice inizio si poteva prospettare una vacanza pesante, passata ad annoiarsi e a pulire, ma, come dice un detto: i cavalli si vedono all’arrivo.



 
 
 
(*) Pon-poko dance: corto d’animazione piuttosto rudimentale di mimi murai accompagnato da un brano strumentale molto semplice.
(**) Datejime: il nastro che si mette con lo yukata, solitamente le ragazze lo usano per farsi il fiocco che va dietro la schiena
(***) Hachi: oltre al numero 8, è usato anche per i cani con il sinonimo di Fido, cioè il significato che prende nella storia.
 


Angolo dell'autrice:
Sono tornata! Già, già, volevo proprio rompere le uova nel paniere a tutti voi! Ma non potevo tardare più di tanto con il capitolo dell'Arrivo di Axel, voglio dire u.u Parliamo di Axel! Bene, bene, spero che questo incontro vi è piaciuto (immaginate in un possibile futuro quando Roxas si ricordare il suo primo incontro con il rosso xD) anche se forse ho esagerato, facendo Roxas troppo sfortunato... Ma chi ha mai detto che è sfortuna u.u? Ambiguità S(°o°)S Comunque, comunque, passiamo ai ringraziamenti, obbligatori. Grazie a:
- Faith Yoite
- Violet*Star (che so che mi segue anche se non ha lasciato scritto nulla u.u, traditrice)
- Akima, recensionatrice nuova di zecca.
Thank you, thank you, thank you very much, guys. *3* 
Lo sclero si chiude qui!
Alla prossima!
Here we Go!

 

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Capitolo 4
*** Che cos’è, una sfida? ***


4

 
Roxas, dopo essersi messo i pantaloni grigi e la maglietta bianca del pigiama, si infilò sotto le coperte. Sora non era ancora arrivato, quindi addormentarsi sarebbe stato abbastanza facile; ma proprio quando il ragazzo chiuse gli occhi, un esuberante e stanco cugino entrò nella camera buttandosi sul proprio futon.
“Sona stanco!” Si lagnò.
“Anch’io, per questo vorrei provare a dormire.” Gli disse il biondo estremamente innervosito.
“Però dai, questo posto non è male. Ci sono tante persone gentili.” La mente di Sora andò ad alcuni clienti. Uno di questi si chiamava Marluxia, un tipo tranquillo, molto pacifico, che profumava di rose; un altro ancora era Demyx, che gli aveva richiesto un altro pasto, e suonava tranquillamente un sitar azzurro e argento –ed era anche molto bravo-, appena l’aveva visto gli aveva sorriso. Non tutti erano così! 
Mentre il povero Roxas pensò a quel deficiente che aveva incontrato nel bagno. Aveva atteggiamenti da Dio, e la cosa non l’aveva gradita; poi come poteva pretendere che lui usasse il Tu con una persona che non aveva mai visto in vita sua, e che per altro era un cliente? Insomma, gli risultava maleducato; ed infine, ma non meno importante, c’era una possibilità che avrebbe avvertito il vecchio Shinohara della sua piccola pausa fuori programma. Poteva andargli peggio?
“Ci sono anche i maleducati Sora.” Sospirò il biondo.
“Hai visto che carina che era oggi Kairi, peccato che non ho potuto starle molto vicino.”
“Quando le confesserai i tuoi sentimenti?”
“Non lo so. Ho paura che il nostro rapporto possa cambiare. Se poi lei accettasse solo per pietà?” Sospirò malinconico.
“Nah, Kairi non è il tipo. Ti rifiuterebbe con un sorriso.” 
“Sarebbe anche peggio.” 
“Come hai lavorato oggi con quel Riku?”
“Né male, né bene. E’ peggio di Sesshomaru(*)!” Sbottò.
“Se lo dici tu.” Il ragazzo si rigirò nelle coperte, dando così di spalle al fratello. “ ‘Notte Sora.” E chiuse gli occhi.
“Buonanotte.”  
Entrambi si addormentarono.
 
“A cosa vuoi giocare, Roxa-kun?”
“Non lo so, ****. Quello che vuoi tu.”
“L’altro giorno ho comprato queste riviste.” 
“Io queste non posso leggerle, non sono abbastanza grande.”
“Ma va’! Che ti importa, guarda questa.”
“N-non mi piace!”
“Allora perché sei arrossito?”
“Non sono arrossito, idiota!”
“Idiota sarai tu.”
“Roxa-kun, puoi venire un attimo; scusaci un secondo ****”
“Arrivo signora ****… Successo qualcosa?... Perché mi sta abbracciando?”
“Oh, Roxa-kun, è successa una disgrazia… I tuoi genitori…”
“No, non è vero…”
“Sta arrivando tua zia a prenderti. Oh, Roxa-kun.”
“Mamma, papà! No, no, non può essere vero!”
Il dolore e la disperazione provate in quel momento non le aveva più sentite in vita sua. Torneremo presto, gli avevano detto i genitori; ma non tornarono mai. 
Piangere nelle braccia di un’altra madre, quello anche gli faceva male. Avrebbe anche voluto un appoggio da parte dell’amico, lì presente, che era il suo migliore amico; ma non lo trovò, ricevette in cambio solo una battutina: “Sei stato fortunato, adesso sei libero da ogni peso.” 
Crudele e brutale. Mai più avrebbe voluto vedere quel ragazzo. Mai più… Mai più…
 
“Roxas, ehi Roxas!” Il ragazzo aprì gli occhi e vide il fratello sopra di lui che lo scuoteva per le spalle. “Tutto bene? Ti stavi muovendo tutto, facendo strani versi.”
“Si, si… Tutto bene…” Alzò il busto e si guardò intorno. Tutto sembrava così strano. Gli sembrava di aver dimenticato dove fosse, anche se lo sapeva.
“Hai fatto un brutto sogno?” Gli chiese Sora riportandolo nella realtà.
“Non lo so, non me lo ricordo.” Per quanto sembrasse una scusa, era la verità. Non ricordava cosa avesse sognato, ma quel sentimento d’angoscia, se lo sentiva ancora addosso. 
“Ti senti bene?”
“Mi gira la testa.” Disse il ragazzo mettendosi il dorso della mano sulla fronte.
“No, Roxas! Non morire! Roxas!” Urlò a squarcia gola. Restando seduto sulle cosce del fratello, chinò il busto per abbracciarlo. 
Allarmati arrivarono Kairi e Riku, che spalancarono la porta per vedere cosa accadeva. Un’altra volta una scena da cancellare. I due li guardarono senza parole.
“Non è come sembra!” Disse Sora balzando in piedi. “Lui sta morendo.” Indicò il biondo.
Kairi si precipitò accanto Roxas e gli sentì se aveva la febbre, ma non era così.
“Che ti senti Roxas?”
“Mi sento solo confuso… Nulla di che, sto bene.” Cercò di sorridere, ma gli faceva troppo male la testa.
“Sora.” Lo richiamò l’albino. “Tra un po’ dobbiamo andare a lavorare, quindi se vuoi puoi venirti a vestire in camera mia.”
“No, no, posso cambiarmi benissimo qui.”
Riku indicò Kairi che era chinata verso Roxas intenta a capire perché il ragazzo stava tanto male. Il castano arrossì. 
“D’accordo.” Sbuffò. Prese gli indumenti che doveva indossare e uscì dalla stanza insieme a Riku.
 
“Non riesco proprio a mettere bene questo coso!” Sbuffò Sora avvolto dalla stoffa blu a righe bianche dello yukata.
“Posso dirti che sei un grandissimo idiota?”
“No.”
“Allora ti dirò che sei un imbecille! Non è affatto difficile.”
“Non capisco bene, quindi per me è difficile.” Borbottò Sora. Riku gli si avvicinò e glielo mise, come il padre cambia il pannolino al figlio.
“Sistemato.” Disse mettendosi le mani sui fianchi.
“Grazie.” Si creò un silenzio imbarazzante. “Possiamo andare.” Cercò di salvarsi il castano.
“Tu e Roxas avete per caso una relazione?”
“Come?!” Per poco Sora non si strozzava con la saliva per la domanda inappropriata. “Assolutamente no. Cosa te lo fa pen… No, quello che tu e Kairi avete visto non era quello che sembrava.”
“Davvero?” Inarcò il sopracciglio. “Eppure era tutto così evidente.”
“Non è vero, Riku! Ti dico che non è così.”
“Spero che non avrete troppi problemi in futuro.” Ridacchiò.
“Smettila, smettila non dire cavolate!” Mosse le braccia e sbatté i piedi per terra in segno di protesta.
“Dalla tua reazione deduco che le mie non sono solo cavolate.” 
“Invece si!” Si lagnò. 
“Dammi una prova che la tua è una verità.”
“Una prova? Quale?”
“E’ un tuo problema.”
“Non puoi dirmi così! Che devo fare per convincerti?”
“Sbattere i piedi non ti aiuterà di certo.”
“Pensa quello che vuoi, non mi interessa, ecco. Se non ci sbrighiamo facciamo tardi a lavoro, quindi andiamo.”
“Certo che sei uno che si arrende facile.” Sora gli corse incontro, così da poterlo guardare in faccia da vicino –anche se lo sguardo era rivolto dal basso verso l’alto, Sora era estremamente basso e Riku troppo alto-.
“Non mi arrendo facilmente io.” Fece una faccia da duro che gli uscì male, molto male.
Per quanto il ragazzo era stato ridicolo, Riku scoppiò in una fragorosa risata. Sora, anche se prese a male quella risata, rimase tanto meravigliato che, con uno scoppio ritardato, iniziò a ridere anche lui, senza motivo. Quanto poteva essere stata strana la sua faccia? Per far ridere quel ragazzo, poi. 
“Non ho mai riso tanto in vita mia. Sei troppo buffo.”
“E’ un complimento?” Gli chiese Sora che si stava riprendendo dal momento di sfogo.
“In un certo senso.” 
Bussarono alla porta della stanza.
“Ragazzi, se lì dentro avete smesso di fare gli idioti, possiamo andare a far colazione. Ci manca un’ora all’inizio del nostro turno.” La voce dolce, ma al col tempo severa di Kairi li fece tornare sull’attenti.
Alle 8 del mattino i ragazzi che dovevano servire –Riku, Sora, Kairi- erano pronti a portare ad ogni stanza la colazione. 
“Che roba squisita. Kairi-chan, tua nonna è un angelo per caso?”
“E’ solo brava a cucinare. Le chiederò di tenerti la tamagoyaki (**) da parte.” 
“Grazie.” La guardò con gli occhioni e la bava alla bocca. Il solo pensiero di quella dolce pietanza a contatto con le sue papille, lo faceva salire al settimo cielo.
“Forza ragazzi, andate, su su.” Li risvegliò la moglie del capo.
E così iniziò la giornata di lavoro. 
“Roxa-kun, potresti andare tu all’atrio, purtroppo Selphie –l’addetta- non può venire oggi a lavoro.”
“Certo, signora Shinohara. Vado subito.”
Roxas andò alla postazione dove dava indicazioni, gestiva la cassa e prendeva ordinazioni.
“Buongiorno, vorrei un’indicazione.”
“Mi dica?” Chiese Roxas che stava guardando delle carte intento a riordinare.
“Qual è il suo nome?” Il biondo alzò il volto verso l’interlocutore, con sguardo scocciato.
“Cosa vuoi?”
“Che bello mi hai dato del Tu. Bravo Hachi.” Ridacchiò Axel. 
“Dietro di te ci sono dei clienti. Se l’unica cosa che vuoi è sapere il mio nome, te ne puoi anche andare.” Sbuffò.
“Devo andare a dire al tuo direttore della tua piccola pausa, aggiungendo dei particolari che tu hai continuato a negare?” Si riferiva, forse, al fatto che era entrato nella vasca per spiarlo? Che nervi quel ragazzo.
“Ma perché vuoi sapere il mio nome?” 
“Perché si.”
“Sawamura, accontentati del cognome.”
“Piccoli passi –anche se già lo aveva sentito il giorno prima-. Per oggi è tutto. Continua pure il tuo lavoretto. Ti aspetterò per una tua pausa.” E il ragazzo dai capelli rossi si allontanò.
-“Perché proprio a me? Perché dovevo incontrare un tale idiota! Perché proprio…”-
“Scusi, vorremo farci un bagno.”
“Sono 700 yen (***) a persona.” Sorrise riprendendosi dai suoi pensieri. La ragazza, accompagnata da altre due amiche, gli diede i soldi per tutte e tre.
 
“Scusi signore, le serve qualcosa?” Chiese Kairi che passando aveva notato Axel spiare da lontano Roxas.
“Vorrei sapere il nome del dipendente che sta all’atrio.”
“Roxas, signore.”
“Molto, molto gentile.” Ghignò. Roxas, ecco come si chiamava. Gli piaceva come nome, si sarebbe divertito a perseguitarlo. Tanto non aveva nulla da fare, anzi, si stava annoiando. 
Kairi si allontanò, portando in cucina le ciotole sporche. 
“Devi stare più attento, Sora.”
“Scusi signora Shinohara, non accadrà più.” Si scusò pentito il ragazzo. Era sempre stato goffo e maldestro, ma era una caratteristica che lo rendeva Sora. 
“Chiamami con il mio nome.”
“D’accordo Komachi-sama.” Disse con un volto da dolce cucciolo fedele.
“Bravo Socchan.” Sorrise la vecchietta. “Ora torna a lavoro.”
Sora annuì e si avvicinò a Kairi. 
“Andiamo Kairi, mi sento in forze.”
“Ti basta un complimento da parte della nonna e la tua pigrizia va in letargo?”
“Si.” Era stranamente eccitato.
“E se ti facessi io un complimento?”
Sora arrossì, rimanendo impalato davanti la ragazza.
“Finirà in brodo di giuggiole.” Commentò Riku –appena arrivato- sbuffando. Kairi rise mentre Sora si innervosì.
“Ti piace tanto prendermi in giro?”
“Ti darebbe fastidio se rispondessi di si?” Gli chiese l’albino.
“Un pochetto…”
“Allora si.” Sora rimase senza parole. Quel ragazzo era incredibilmente crudele –e lui incredibilmente ingenuo-. 
“Non litigate per favore, tra ieri e oggi non avete fatto altro che punzecchiarvi.”
“Kairi, ma non vedi che soggetto è questo qui?!” Dissero in coro, indicandosi. E la ragazza non poté altro che ridere alla scena estremamente comica.
“Aspettate qui un attimo.” La ragazza andò dalla nonna, alla quale bisbigliò qualcosa a cui la donna rispose annuendo e sorridendo.
“Allora?” Le chiese il castano.
“Abbiamo un’ora di pausa e voi, adesso, andrete a farvi un bagno. L’acqua aiuta a schiarire le idee e a scaricare lo stress.”
“Io non ci vado di certo, non voglio stare più di tanto in compagnia di questo decerebrato con due neuroni.”
“Parli come la mia prof. di giapponese antico.” Disse Sora quasi incredulo.
“Saggia donna.”
“Non esageriamo.” Bofonchiò l’altro.
“Io ne approfitto per leggere un libro.” Disse l’albino.
“Io per leggere un manga.”
Ma una Kairi arrabbiata li prese per il collo dello yukata e li lanciò dentro gli spogliatoi per gli uomini. I due, costretti dalla situazione, si spogliarono e entrarono in acqua –nei bagni per soli maschi, però-.
Come aveva detto Kairi, l’acqua scacciò lo stress e qualunque altro pensiero. Quella fonte termale era veramente buona. Sora si trovò uno spazio e affianco gli si mise l’albino.
“Non serve che stiamo vicini.” Disse Sora evidentemente in imbarazzo. Poter vedere il corpo del ragazzo gli aveva creato dei complessi d’inferiorità, a tal punto da farlo sentire un qualcosa di microscopico; in confronto era un’anguilla, o una sardina, o tutti gli animali viscidi che esistevano. 
“Kairi vuole che parliamo, no?” 
“Vero. Tu e Kairi siete molto amici?” Gli domandò Sora.
“Si può dire di si.”
“Siete per caso fi-fi…” Non riusciva a dirlo.
“Fidanzati?” Completò l’albino. “No. Però non mi dispiacerebbe.”
“Cosa?!” Sora si sentì stranamente minacciato.
“Ti piace per caso?”
“No, cosa te lo fa pensare. Pff…”
“Bene, allora ho la strada libera per conquistarla.” Sora lo guardò con uno sguardo al dir poco agghiacciante.
“Non permetterò che un tipo come te la tocchi.”
“Oh, oh, cos’è una sfida?”
“Può darsi.” Dentro di se sentiva un intento omicida da sfogare sul volto del ragazzo. Mentalmente si stava paragonando a Yuno di Mirai Nikki (****).
“Bene, allora facciamo così. Il primo che conquisterà Kairi, la lascerà completamente al conquistatore. Andata?” Gli porse la mano.
“ E sia.” Strinse la mano. “Ogni mezzo è lecito.”
“Love is war.” Disse Riku, con un ghignò di vittoria stampato sul volto.
“Ti ascolti per caso i Vocaloid (*****)?” Gli chiese Sora spezzando il momento di estrema ‘serietà’.
“Che c’entrano adesso? Ovviamente non li ascolto.”
“Ah… Capito… Che musica ascolti allora?”
“Mi piace più quella straniera, tipo Adele.”
“Chi?” Riku sospirò.
“Lascia perdere.”
“Come vuoi.” E l’ingenuità di Sora fece di nuovo centro.
 
Anche a Roxas fu data la pausa di un’ora e, come gli altri, andò nei bagni riservati agli uomini. Mentre si stava cambiando, però, gli capitò un ‘piccolo’ incidente di nome Axel. Quatto, quatto, gli arrivò alle spalle e, cingendogliele, gli baciò il collo. Roxas trasalì. Quale maniaco, pervertito, pedofilo, poteva prenderlo così alle spalle e per giunta baciarlo?! 
“Ciao, Roxa-kun.” Chi era? Non riusciva a voltarsi per guardare il volto, e in quel luogo solo i dipendenti, più i proprietari, conoscevano il suo nome. Escluse subito che potesse essere il cugino o Riku, perché la voce era differente; ma allora chi?
“Chi sei?” Balbettò. L’altro rise, come se la domanda che aveva fatto fosse stata stranissima, fuori luogo.
“Indovina, Roxas.” Gli coprì anche gli occhi.
“Per favore…”
“Niente storie. Indovina.”
“Sora?”
“No.”
“Riku?”
“No.” Le sue teorie erano giuste. 
“Ehm… Il signor Shinohara?” L’aver tirato fuori quel nome era segno di disperazione.
“Ma dai!” Rise. “No, non sono lui.”
“Diamine, chi cavolo sei?” Cercò di voltarsi, ma era bloccato dalle braccia dell’uomo.
“Pensaci un attimino più attentamente.”
“Non è che sei… No, non dovresti sapere il mio nome… Axel?” La presa lo lasciò.
“Ding, ding. Indovinato! Hai vinto la mia attenzione!” Roxas si voltò a guardarlo in faccia.
“Chi cavolo ti ha detto il mio nome?” Gli chiese scioccato e innervosito.
“Una ragazza dai capelli rossi, molto carina, mi permetto di aggiungere.” Kairi. Dopo l’avrebbe uccisa… No, le voleva bene; le avrebbe solo sclerato davanti. 
“Ora che sai il mio nome puoi lasciarmi in santa pace, no?”
“Non posso. Non hai sentito? Hai vinto la mia attenzione. Quindi accetta questo premio con un bel sorriso sulle labbra.”
“Io non ci faccio nulla con le tue attenzioni, te le puoi benissimo tenere!” Si levò lo yukata, avvolse l’asciugamano intorno i boxer, che poi si levò, così che la sua parte intima restasse coperta.
“Che pena, avere delle mutande nere. Speravo in qualcosa di più carino.” Sospirò il ragazzo.
“Senti. Tu hai venti anni, perché diamine te la prendi con un ragazzino di quindici? Vai a giocare con dei ragazzi della tua età.”
“Io in verità ne ho diciotto.” Roxas lo guardò a bocca aperta. Così giovane? Eppure dimostrava molto di più –ovviamente non di cervello-. “Comunque mi stai più simpatico tu dei miei amici. Le tue espressioni sono troppo divertenti.”
“Espressioni?” E lui che credeva di avere per tutta la giornata la stessa faccia.
“Si. Quei sorrisetti di circospezione che regali come fossero caramelle, oppure quella finta indifferenza a cui tieni tanto; mi fai divertire un mondo.” Roxas si sentì ferito da quelle parole così schiette, ma anche vere. 
“Che cavolo dici? Neanche mi conosci e già credi di sapere tutto sui miei atteggiamenti?” Disse tenendo lo sguardo abbassato.
“Da tutto il giorno che ti seguo, e io sono bravo a capire le persone. Poi, se quello che dico è veramente una bugia…” Gli prese il mente, alzandogli il volto per guardarlo negli occhi “…Perché ti ostini a guardare i tuoi piccoli piedini?” 
Roxas aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ne uscì neanche un verso. Si era perso guardando gli occhi verdi dell’altro. Per quanto Axel sembrava superficiale e snervante, gli occhi erano profondi, quelli di chi aveva già visto il peggio del mondo. 
“Sciocco, sciocco ragazzino.” E stampò sulle labbra del ragazzo un bacio, di quelli non seri, ma semplici, che sarebbero bastati a lasciare una piccola parte della sua essenza.  
Appena il biondo, totalmente preso dall’attimo, si accorse che il tessuto spugnoso che lo copriva si stava per sciogliere, riprese controllo di se, si staccò e strinse di più il nodo dell’asciugamano. Ansimava e non riusciva ancora a capire bene cosa era accaduto. 
“Ehm, io, si… Entrò nella vasca… Anzi, no, si è fatto tardi… Eh eh, devo tornare a lavoro.” Velocemente si rivestì e correndo –sotto lo sguardo di Axel- se ne andò. Il rosso non poté far altro che ridere. Si leccò le labbra.
“E con questo, caro Demyx, punto a me.”
 
Roxas tornò in camera sua con il cuore che batteva. Era appena stato baciato da un uomo? Per giunta quello era il suo primo bacio, ma la faccenda andava in secondo piano: Axel era un uomo! Un tizio, con il suo stesso coso in mezzo alle gambe! No, no, non andava affatto bene; la situazione era degenerata. Era persino un cliente… Anche più grande… Insomma, c’era un fattore a vantaggio? No, nessuno. 
-“Diamine, diamine. Che cavolo gli è saltato in mente a quel depravato dai capelli da rockstar fallita!?”- Continuava a dare capocciate alla parete sperando di cancellare la sensazione di quel bacio dalla mente, ma niente. Si morse il labbro inferiore. Sentiva pure il suo sapore! No, no, tutto era fuori controllo. Non era normale! Un uomo! Quello era un uomo! E quel suo cuore bastardo non faceva che accelerare sempre di più.
 
Mancavano ancora 30 giorni alla fine del mese…
 



 

(*) Sesshomaru: demone cane dell’anime e manga di Inuyasha (Rumiko Takahashi). Uno dei personaggi chiave dell’anime, nonché fratellastro di Inuyasha.
(**) Tamagoyaki: frittata giapponese.
(***) 700 yen: 4/5 euro
(****) Yuno di Mirai Nikki: protagonista femminile dell’anime e manga di Mirai Nikki (Sekae Esuno). La ragazza ama così tanto Yukki (protagonista maschile) che è disposta a sacrificare vite, compresa la sua.
(*****) Vocaloid: cantanti virtuali con la voce modificata da un modificatore vocale denominato, per l’appunto, Vocaloid. La canzone citata: Love is war, è una delle tante cantate da Miku Hatsune.


 
Angolo dell'autrice:
Volete ottenere un trauma in pochissimo tempo? Chiedete ad Axel, saprà aiutarvi! (Pubblicità occuta (S°o°)S)
Buongiorno, buonpomeriggio e buonasera lettori! Vi ha soddisfatto anche questo capitolo? Spero di si! Con l'aggiunta di un recensore sono contentissima e determinata a concludere questa fiction, però ho paura che, andando avanti, la storia diventi noiosa; quindi arriveranno le critiche, nessuno leggerà più... Voglio morire!(ST^T)S Però, tutto sommato, questa è la paura che ha ogni 'scrittore', giusto? Poi credo che le note sono un po' troppe... Tanto diminuiranno, quindi no problem -.-" Spero tanto che dei magici lettori, cuor di leone, che sono momentaneamente sconosciuti, vengano da me, una stretta di mano e si lascino conoscere con una recensione °u° Sarebbe fantastico! Okay, adesso sto dicendo tante cavolate perchè non so cosa inventarmi. Quindi...
Alla possima!
Here we Go!

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Capitolo 5
*** Terra e Cielo ***


5

 
“Cosa ho fatto di male?”
Nella stanza entrò Sora, che si stava strofinando i capelli con un asciugamano tenuto intorno al collo.
“Che stai combinando Roxas?” Gli chiese notando il ragazzo che stava dando ripetute capocciate al muro.
“Niente, Sora; assolutamente niente.” Disse girandosi verso il fratello, smettendo di farsi male.
“Come vuoi, se non desideri parlarne…” Fece il castano, offeso.
“Okay, okay, te lo dico…” Odiava vedere il fratello con quella faccia da cucciolo bastonato. Sora chiuse la porta, si sedette a terra e fece segno al biondo di fare lo stesso.
“Dimmi tutto.” Lo incitò.
“Premetto che io questa situazione l’ho vista poco fa. C’erano due ragazzi che stavano parlando, ad un tratto il più basso china la testa imbarazzato, il più grande gli alza il volto, prendendolo per il mento, e poi che fa? Lo bacia! E stiamo parlando di due maschi, ci terrei a sottolineare. Alla fine il più piccolo è fuggito. Allora mi sono chiesto: se mi accadesse qualcosa di simile, cosa farei?”
“Ti ha baciato un uomo?!” Esortò Sora sconvolto.
“Mi ascolti quando parlo? Ho detto che l’ho visto!”
“Ah, scusa, scusa, non ti offendere.”
“Comunque…” Roxas riprese il filo del discorso “Io se mi trovassi in questa situazione non saprei come comportarmi, te invece? Che faresti?”
“Per prima cosa mi chiederei se mi è piaciuto. Poi in base alla risposta mi farei altre domande; ad esempio, se mi è piaciuto inizierei a pensare alla possibilità di essere gay e a cosa provo per il tizio che mi ha baciato, e in quel caso interverrei chiarendo perché lui mi ha baciato; se invece la risposta fosse negativa e quello che ho ricevuto fosse stato il mio primo bacio, andrei dal tizio che mi ha baciato e lo ucciderei, ovviamente non proprio uccidere, insomma gli direi qualcosa.” E con poche parole Sora colpì in pieno il punto dolente della questione, infatti Roxas, se avesse potuto, avrebbe ucciso Axel nelle peggiori delle torture.
“Grazie Sora, mi sei stato utilissimo!”
“Di nulla… Però Roxas, mi stavo chiedendo, come mai ti interessa tanto questa faccenda? Insomma, erano due persone che non conoscevi, giusto? Quindi, perché sembri particolarmente turbato, tanto da battere la testa al muro?” Proprio in momenti come quelli Sora doveva far funzionare il suo piccolo cervellino? Non era sfortunato, di più, molto di più. 
“Vedi … Perché… Il ragazzo che ha baciato l’altro lo conosco, ecco.”
“Chi è, chi è? Lo conosco anch’io?”
“No, non credo che…”
“Descrivimelo, voglio sapere se per lo meno l’ho visto!” Cosa poteva dirgli? Forse inventarsi qualcuno non era l’idea migliore… Allora, doveva tirare in ballo qualcuno che conosceva.
“In verità Sora lo conosci, è Riku.” Il solo aver pronunciato quel nome fece scaturire in lui un senso di terrore; se solo l’albino l’avesse saputo era morto.
“Riku? Ne sei sicuro?” Sora guardava l’altro letteralmente spiazzato.
“Non del tutto, effettivamente.”
“Pensa te… Forse è questo il motivo per cui è tanto scorbutico; che si sentisse fuori luogo?” Sora aveva adescato perfettamente alla balla del fratello, era veramente troppo ingenuo.
“Non saprei proprio, magari un giorno, lontano, gliene parlerai. Ora andiamo che la nostra pausa è quasi finita.”
“D’accordo!” Sorrise il castano.
 
Riku, a differenza degli altri, era tornato a lavoro già da un po’ e gli era stato detto di ritirare gli asciugamani sporchi e di mettere quelli puliti. Accanto l’entrata dello spogliatoio maschile, due ragazzi stavano parlando vivacemente tra loro. L’albino, passandogli vicino, sentì il nome di Roxas seguito da una risata. Andò un po’ più avanti, poi si fermò e si mise ad origliare il discorso.
“Non è valido, conta quanto le ragazze!” Disse il più basso, e il meno sveglio dei due. Aveva gli occhi verde –quasi verde acqua- e i capelli biondi.
“No, no, è molto più difficile. Sono due punti.” Ghignò l’altro, un ragazzo con i capelli rossi e gli occhi verdi. Entrambi avevano acconciature strane, che fossero delle rockstar?
“Scegli sempre te le regole, non è giusto!”
“Io sono sempre quello che vince, è giusto. Stiamo 3 a 1, attento.”
“Ho ancora un mese, ti batterò!” 
“Non ci conterei.”
“Io comunque non ci credo che hai baciato questo Roxas.” Sbuffò il biondo.
“Quando lo rincontrerò ti farò vedere, tu però devi essere presente.”
“Si, si, fidati.” 
Aveva baciato Roxas? Per un gioco a punti? La cosa a Riku fece ribrezzo. Era inconcepibile. Avrebbe voluto andare da quel tizio con una fiaccola a posto dei capelli e dargli un pugno dritto nel naso, ma si trattenne. Aveva imparato a sue spese quanto farsi gli affari degli altri, perdendo il controllo di sé, fosse caro –d’altronde non era poi così in confidenza con Roxas per permettersi una tale scenata-. 
In quel momento al duo si avvicinò un uomo più grande dai capelli blu. Particolare era la cicatrice tra gli occhi, a forma di X. Si voltò verso Riku e lo fulminò con lo sguardo; aveva capito che stava origliando, così il ragazzo si sbrigò ad allontanarsi. Non avrebbe né avvisato, né difeso Roxas; se ne sarebbe stato al suo posto, come doveva essere.
 
Verso l’ora di pranzo per i clienti, Roxas era stato mandato a pulire lo spogliatoio maschile in quel momento di meno frequenza.
-“Perché sempre io devo pulire questo posto.”- Pensava sospirando.
“Senti marmocchio, i tuoi sospiri mi stanno facendo venire l’emicrania.” Sbottò un uomo robusto dai capelli biondi. Si chiamava Cid, e anche lui, come Roxas, gli era stato detto di lasciare la cucina e di andare a pulire.
“Mi scusi.” Sbuffò.
“Anche gli sbuffi.”
“Mi scusi.” Non respirò per evitare versi.
“Puoi respirare, sei per caso stupido?”
“Mi scusi.”
“Smettila di scusarti!”
“Mi scu… D’accordo.”
“Ehi, marmocchio!”
“Che diamine vuole adesso?!” Sbottò il biondo.
“C’è un cellulare qui. Qualche imbecille se lo è dimenticato, mettilo nella cesta degli oggetti smarriti.” Il ragazzo prese il cellulare e lo andò a mettere con gli altri oggetti. Era un modello touch di colore bianco, aveva una foderina con disegnato su uno scheletro che indossava un cilindro e suonava una chitarra rossa con le fiamme gialle e nere.
Appena stava posando l’oggetto sulla catasta di bracciali, orecchini, orologi e chi più ne ha più ne metta; una fortissima canzone rock-metal partì. Qualcuno stava chiamando e ad ogni squillo il volume si alzava. Probabilmente il proprietario del cellulare era sordo, oppure amava tanto quella canzone e desiderava che tutto il Giappone l’ascoltasse. 
Roxas, per far cessare quella musica chiassosa, rispose.
“Moshi-moshi(*)?” Chiese titubante.
“Brutto demente dove diamine ti sei cacciato? E da quando non rispondi più in inglese? Comunque, sbrigati a tornare in stanza che Saix è incazzato nero.”
“Ehm… Veramente qu…”
“Niente ma! Sbrigati a tornare, ti ricordi qual è la stanza, vero?”
“In verità…”
“Lo sapevo, che idiota! Aspettami all’atrio, vengo a riprenderti.” Attaccò.
Roxas rimase per un minuto buono stordito, con l’apparecchio poggiato sull’orecchio. Senza pensarci troppo andò all’atrio, almeno avrebbe ridato il cellulare a questa persona che sembrava conoscere il proprietario; ma la persona che incontrò, non era di certo qualcuno che voleva vedere.
“Hachi, che ci fai qui?”Axel, vedendo il ragazzo fermo ad aspettare qualcuno, si avvicinò.
“Visto che conosci il mio nome, potresti almeno usarlo?”
“Ma Hachi è tanto carino come soprannome. Comunque, che stai facendo?”
“Sto aspettando una persona.” Sbuffò dandogli di spalle. Non voleva neanche guardarlo in faccia, lo faceva solo innervosire.
“To’ guarda, anch’io.” Ridacchiò. Roxas si girò guardando verso il basso. 
“Questo è il cellulare di un tuo amico?” Gli mostrò l’oggetto. Il rosso lo prese ed esaminò, poi sospirò.
“Allora eri te al telefono.”
“Esatto.” Arrossì involontariamente. Che gli prendeva? Poi per… No, era a causa del momento, non arrossiva di certo per quel soggetto. “Io ho finito, posso anche andarmene.” Si girò, ma Axel lo prese ad una spalla e gli sussurrò: “Non me lo dai un bacio d’arrivederci.” Roxas prese la mano dell’altro e la scacciò dal suo arto.
“No, ora devo andare.” Il rosso, afferrandolo per il braccio, lo rigirò verso di sé e velocemente lo baciò. Aprì lentamente le labbra e cercò di entrare nella bocca del ragazzo con la lingua, ma lui lo scansò. Si mise una mano davanti le labbra. Era diventato più rosso dei capelli di Axel, ma il fatto del rossore era dovuto, non solo dal bacio, ma anche dal suo malsano desiderio di voler sentire la lingua a contatto con quella dell’altro.
Axel ridacchiò. “Che c’è Hachi? Sei troppo timido?”
“Roxas, mi chiamo Roxas!”
“Sentirlo dalla tua bocca rende il tuo nome più eccitante di quello che è, lo sai?”
“Sei insopportabile, lasciami in pace.”
“Non mi divertirei.”
“Se questo è il tuo modo di passare il tempo, non è per niente bello!” Roxas continuava a guardare verso il basso, per non mostrare il viso.
“Me ne vado solo se prima mi guardi in faccia.” Axel gli prese il mento e alzò il volto. Roxas teneva gli occhi chiusi e aveva un espressione estremamente imbarazzata, ma lui trovò quella faccia solo che adorabile.
“Va bene, ti lascio in pace.” Gli baciò la fronte. “Magari ci incontriamo okay? E tieni questo.” Gli ridiede il cellulare dell’amico. “Almeno puoi chiamarmi. La password per usarlo è 1234.”
“Un po’ scontata…”
“Purtroppo il mio amico è scemo.” Sospirò. A Roxas scappò una risata, ma si rigirò e, con passò rigido e svelto, se ne andò. Axel si mise una mano nei capelli e l’altra sul fianco. Non sapeva perché, ma stare con quel ragazzino iniziava a piacergli più del dovuto.
 
Nel frattempo, mentre Roxas era andato a pulire lo spogliatoio, Sora e Riku furono incaricati di levare i petali degli alberi di ciliegio dal vialetto d’entrata e di spargerli sui prati vicini. I due si misero subito all’opera.
Sora non riusciva ancora a credere a quello che gli aveva detto Roxas, insomma, Riku non era il tipo! Dopo aver proposto quella sfida? E se l’avesse fatto sperando che lui l’avrebbe rifiutato? No, no, impossibile… Eppure il fratello aveva fatto il suo nome! 
“Sora? Sora?!” Il ragazzo si guardò intorno, come se fosse appena stato portato dai marziani sulla terra. 
“Si?”
“Hai appena messo la scopa nell’acqua.” Gli disse Riku.
Sora guardò verso l’attrezzo, e lo levò subito dal fiumiciattolo. “Mi sa che non è più molto utile.” Sospirò scuotendo la scopa così facendola sgocciolare.
“Ti vedo distratto, è successo qualcosa a Roxas?”
“No, no, cosa c’entra Roxas?” Ridacchiò nervoso. Perché aveva detto Roxas? Forse si era accorto che il cugino l’aveva osservato mentre baciava quell’altro, di cui l’identità era ignota.
“Chiedevo. Mi sembri il tipo che si preoccupa più per gli altri che per sé stesso.”
“Forse è così; comunque Roxas sta bene.” 
 “A te, invece?”
“Non preoccuparti, non è successo niente.” Sorrise il castano. Riku abbassò lo sguardo, verso la scopa. Sempre così gli dicevano: “Non preoccuparti, sto bene.” E il giorno dopo muoiono… 
“Come ti pare.” E continuò a passare la scopa, spazzando i petali rosa degli alberi.
“Non finiremo mai di pulire, se da questi alberi continuano a cadere i petali.” Sbuffò Sora. Riku guardò le piante e gli venne in mente una similitudine che rappresentava un po’ quello che era il mondo adesso, quello che era la sua vita. Qualcuno che dall’alto ordinava di ‘pulire’ i propri problemi, ma che intanto dalla sua postazione sicura continuava a sporcare, e l’altro obbligato a pulire, continuava a fare quello che gli era stato ordinato; una presa in giro. Il ragazzo poi spostò l’attenzione sul castano. Il suo nome era quello del cielo, e ciò rispecchiava la sua personalità libera, non soggetta a continue pressioni… Mentre lui era la terra, quella che veniva calpestata in continuazione, che veniva spazzata via (**). Due opposti che mai e poi mai si potevano toccare. Lo invidiava.
“Riku, come mai sei venuto a lavorare qui?”
Il ragazzo, ancora immerso nei suoi pensieri, rispose: “Per stare lontano da casa…”
“Lontano da casa? Perché?”
“Niente… Nulla di che, volevo solo rendermi indipendente. Tu invece?”
“Io sono stato brutalmente costretto! A quest’ora potevo aver finito Super Mario Bross., ed invece? Sono qui a spazzare la terra!” Sbuffò.
“Già… Che sfortuna.” Disse triste. Sora inclinò la testa e lo guardò alzando un sopracciglio. Si stava comportando in modo strano, troppo strano. D’impulso, lasciò cadere la scopa e lo abbracciò.
“Lo so che adesso penserai male, ma mia madre mi dice sempre che un abbraccio può guarire ogni ferita, o per lo meno può far sorridere.” Riku sgranò gli occhi. Quel ragazzo era proprio particolare; ma quel suo gesto avventato aveva avuto l’effetto desiderato, perché sorrise, anche se in realtà non si sentiva in vena di esprimere un sentimento di gioia inesistente. 
“Ricordami anche di questo modo per farti sorridere, okay?”
“D’accordo, scansafatiche.”
“Cosa!?” Si staccò dal ragazzo e iniziò a dargli pugni sul petto. “Non sono uno scansafatiche, lo sarai tu, caso mai.” Stava usando Riku come un sacco da pugilato, ma dopo il quarto pugno iniziarono a fargli male le nocche. 
“Certo, Sora, proprio come dici tu.” Sbuffò.
“Che simpaticone che sei…” Si massaggiò le mani e le guardò con un’espressione addolorata. Riku ridacchiò. “Forza, forza. Al lavoro.” E ricominciò a passare la scopa. Sora lo guardò con la coda dell’occhio. No, gli era proprio difficile pensare che era gay, eppure… Per il momento si sarebbe accontentato di ciò che vedeva, senza pensarci troppo; poi si sarebbe visto in seguito.
 

 
 
(*) Moshi-moshi: equivale al “Pronto” di quando si risponde al telefono, in giapponese.
(**): Riku si riferisce ai loro nomi infatti Sora vuol dire Cielo, mentre Riku Terra, riferito ad un’isola o un continente.



Angolo dell’autrice:
Salve a tutti! Allora, allora, questo capitolo non è malaccio, vero? Devo innanzitutto ringraziare i recensori che non hanno saltato un capitolo che uno, thank you very much, guys u.u Io, personalmente, di questo capitolo amo il titolo; voglio dire Sora e  Riku stanno così bene insieme ed anche i loro nomi sono due cose opposte, ma senza una non c’è l’altra, così che diventa anche un concetto filosofico (o più semplicemente sono io che mi faccio dei viaggi mentali inesistenti). Vorrei far notare le solo due note, sto migliorando nell’usare un linguaggio che tutti capiscono, no? xD Poi il bellissimo soprannome Hachi ritorna, con un Axel sempre più passionale *-* bene, bene, continuiamo così! Comunque, non so bene cosa dirvi di preciso quindi… Grazie ancora di seguirmi, ve ne sono debitrice.
Alla prossima!
Here we Go!
 

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Capitolo 6
*** Lui... Il mio amico d'infanzia. ***


6

 
La giornata lavorativa si concluse senza altri problemi (Roxas aveva staccato persino prima per non incontrare Axel, che lo chiamava spesso; lui, ovviamente, non rispondeva mai).
La mattina seguente, i tre andarono in cucina per fare colazione.
Il biondo guardava e riguardava il cellulare che aveva nelle mani. Già dal giorno prima si sentiva in colpa nel averlo; non era suo, non poteva tenerlo!
“Roxa-kun, dovresti levarlo il cellulare mentre si mangia…” Gli disse Kairi.
“Scusami.” Se lo mise in tasca, ma si pentì. Non poteva metterlo in tasca, non gli apparteneva! Lo poggiò sul tavolo.
“Roxas, non hai sentito Kairi? Sei peggio di un bambino sai.” Si aggiunse Sora.
“E voi sembrate i suoi genitori, lasciatelo perdere.” Disse Riku. Il biondo stette zitto. In quel momento arrivò un vecchietto che lavorava nell’Onsen; in realtà non aveva nessun ruolo, ma visto che per anni e anni aveva prestato servizio, i nonni di Kairi lo tenevano con loro, la ragazza lo considerava come un bisnonno, praticamente. Si avvicinò al tavolo dei ragazzi, fece un gran sorriso che tutti ricambiarono, poi guardò l’apparecchio sul tavolo, lo prese e si avvicinò ai fornelli, dove c’era la pentola nella quale erano state messe a bollire le verdure. I quattro si scambiarono un’occhiata cercando di capire le intenzioni dell’anziano, che si rivelarono disastrose; infatti buttò l’apparecchio nell’acqua.
“Avevate dimenticato questa verdura.” Ridacchiò.
“Verdura?” Chiese Sora.
“Si, quella strana zucchina.”
Ci fu silenzio. Zucchina? E il cellulare non era neanche suo!
“Scusalo, scusalo.” Lo pregò Kairi.
“Non preoccuparti non fa nulla…” La rassicurò il biondo, anche se dentro si sentiva in colpa. Si sarebbe piacevolmente suicidato, ma non di certo perché il cellulare era appena stato reso inutilizzabile, ma perché adesso avrebbe dovuto dirlo a… Si, lui.
“Di chi era il cellulare Roxas?” Chiese Riku, che aveva un’aria sospettosa.
“Come di chi era? Mio.”
“Sei sicuro?” Il ragazzo non riusciva proprio a capire cosa volesse.
“Non dovrei esserlo?”
“Sto soltanto cercando di farti dire la verità.” Roxas sospirò, tanto era inutile tenerlo nascosto, avrebbe detto solo una parte della verità, magari cambiandola un po’.
“Era uno degli oggetti smarriti, il proprietario mi ha detto di tenermelo e non so perché.”
“Capisco.” L’albino bevve la zuppa, poi accatastò tutti i piatti sporchi e li andò a lavare. Sora si stiracchiò le braccia.
“Dobbiamo andare a lavoro?”
“Non lo so, la nonna non è ancora arrivata e sono le 8. Possiamo approfittarne per riposarci un altro po’ prima di cominciare.”
“Ottimo. Riku ti aspetto in stanza.” Gli disse il castano alzandosi.
“Perché?” Chiese Roxas, curioso.
“Ci vediamo un anime insieme, l’ho convinto.” Ridacchiò il castano.
-“Peggio della peste…”- Pensò Roxas accorgendosi di quanto la presenza di Sora potesse influire sugli altri.
“Tu che farai Roxas?” Gli domandò Kairi.
“Andrò a scusarmi con il proprietario del cellulare.”
“Capisco, io ne approfitto per chiamare un’amica, ci vediamo dopo.”
“Kairi perché non vieni con noi?” Le chiese Sora.
“Va bene, se non vi dispiace.” Accettò sorridendo. E così i ragazzi si divisero.
 
I tre andarono in camera di Sora e Roxas. Il proprietario della stanza prese il suo computer portatile verde appariscente, con attaccato sopra il dorso e intorno allo schermo degli adesivi dei Pokemon, e lo posò a terra. Poi si sdraiò sul futon aprendo la cartella dove teneva tutti gli anime scaricati. Gli amici gli si sdraiarono accanto.
“Cosa ci vediamo?” Chiese a Kairi.
“Lovely complex!” Esortò lei, indicando gli episodi dell’anime.
“No, il primo anime che vede non può essere uno shojo.”
“Allora cosa proponi?”
“Full metal panic.”
“E’ meglio Full metal alchemist, se deve vedersi uno shonen.”
“A te Riku che genere piace?” Gli chiese Sora voltandosi verso di lui.
“Posso anche non vedere nulla, non c’è problema.” Disse il ragazzo alzando le mani.
“No, no, invece te lo vedi, devi entrare nell’ottica, imparare a parlare la mia lingua.”
“Certo, come no.” Sospirò “Mi piacciono i gialli, programmi dove c’è il mistero e l’investigazione.”
I due ‘intenditori’ si scambiarono un’occhiata, poi un’illuminazione ed insieme dissero:
“Il Detective Conan!”
Si voltarono verso l’albino.
“Di Gosho Aoyama!”
“Dovrei conoscerlo?” Chiese il ragazzo non capendo da dove provenisse tanto entusiasmo. “E’ solo un cartone…”
“Eresia!” Esclamò Sora che si stava per sentire male.
“Riku, amico mio, quando sei con noi, non dire più: sono solo cartoni; d’accordo?” gli spiegò Kairi con tono pacato, anche se la stretta della mano sulla sua spalla si fece più forte.
“Va bene, come vi pare. Mettete questo anime, va’…”
Sora non se lo fece ripetere due volte. Trovò gli episodi e iniziarono a vederli. Durante la visione Sora faceva delle battute che puntualmente facevano sorridere Kairi, ma sbuffare l’albino; il quale era innervosito dalla sintonia che c’era tra i due, sentiva costantemente l’impulso di mettersi in mezzo e dividerli, ma non riusciva a trovare una spiegazione al suo essere così impulsivo e fuori controllo; che si stesse trattenendo troppo e che, inconsciamente, non ce la facesse più?
“Allora Riku, ti è piaciuto?” Gli chiese Sora alla fine del terzo episodio, con l’aria di chi già conosceva la domanda alla risposta.
“Veramente noioso e scontato. Casi sciocchi e insensati. Mi chiedo: come può un adolescente diventare un bambino delle elementari, è inconcepibile!” Era rimasto letteralmente traumatizzato dalla ‘stupidità’ che risiedeva negli anime, masse in movimento senza un perché.
“Sei senza cuore! Non capisci l’arte e il pensiero dietro questi casi!”
“C’è un pensiero?”
“Come… Come… Non ti capisco proprio!” Sbuffò Sora.
“Suvvia Sora, lui può pensare ciò che vuole, non deve per forza piacergli.” Disse Kairi prendendo le parti dell’albino.
“Kairi… Anche tu contro di me?” Le chiese triste il castano, che si sentiva abbandonato. Riku si alzò e andò accanto a Kairi –già in piedi- e le cinse le spalle con un braccio.
“Non puoi imporre agli altri ciò che ti piace, Sora. Andiamo a vedere se è tornata tua nonna, Kairi?” Disse spostando lo sguardo da lui a lei.
“D’accordo.” Balbettò leggermente. Sora sbuffò; come poteva balbettare, l’aveva solo toccata.
“Speriamo ci mettano insieme per il turno.” Usò un tono dolce.
“Già, speriamo.” Arrossì alle parole del ragazzo con il quale uscì, lasciando solo ‘l’abbandonato’. Strinse i pugni e digrignò i denti. L’altro aveva guadagnato un punto; ma non era gay? Dire che non ci capiva niente era un eufemismo. Chiuse il pc e si sdraiò sul futon. Desiderava capire Riku, d’altronde erano diventati amici, no? Forse era così, forse no… Stava solo impazzendo.
 
Intanto, il povero Roxas bussò alla porta di carta di riso della stanza assegnata ad Axel. Aveva brividi per tutto il corpo e persino le orecchie erano arrossite. Il solo pensiero di incontrarlo gli aveva fatto accelerare i battiti, gli sembrava che una scimmia impazzita si stesse divertendo a suonare il suo cuore.
Il ragazzo, in soli boxer e maglietta, aprì la porta. Tutti i capelli era scompigliati, e l’aspetto che aveva era estremamente sciatto. Fece uno sbadiglio e si stropicciò gli occhi.
“Che vuoi? Stavo dormendo.”
“Ecco…” Balbettò il biondo che stava cercando le parole per spiegare la sua situazione. Axel lo prese per il polso, lo portò nella stanza, facendolo cadere sul futon. Poi chiuse la porta e si sdraiò accanto a lui, abbracciandolo.
“Si può sapere che fai?” Cercò di liberarsi Roxas invano.
“Stavo dormendo e mi hai disturbato, adesso paghi l’affronto.”
“Ma quale affronto e affronto, lasciami andare.”
“Ti infastidiscono tanto le mie attenzioni?”
“Abbastanza.” Sbuffò.
“Bene, abbastanza non è molto, quindi è tutto apposto.” Lo strinse ancora di più.
“Aiuto.” Invocò il disperato. Axel non disse più nulla, silenzio assoluto.
“Ehi, rockstar? Tizio con i capelli appariscenti?” Provò a girarsi per guardarlo in faccia. Una volta voltato si accorse con molta gioia che il ragazzo si era addormentato. Sbuffò. Anche se dormiva, non mollava la stretta.
“Axel.” Gli sussurrò, ma quello non rispose. La situazione era veramente paradossale. Roxas guardò le labbra carnose che più di una volta l’avevano toccato, uno strano impulso crescente gli diceva di baciarlo,  ma la sua coscienza non glielo permetteva.  Chiuse gli occhi lasciandosi trascinare dal desiderio, si avvicinò alle labbra del ragazzo e delicatamente le provò a toccare, ma le sfiorò solo; non ci riusciva proprio.
“Axel, un punto a me!” Esortò un ragazzo biondo che entrò facendo scorrere violentemente la porta. Roxas trasalì e la stretta intorno al suo corpo si fece più forte.
“Idiota di un Demyx!” Urlò Axel lanciandogli un geta(*) in fronte.
“Eri… Eri sveglio…” Balbettò Roxas che stava lentamente esalando l’anima.
“Hai rovinato il momento!” Continuò a sgridare l’amico.
“Scusa, scusa, perdono.” Disse Demyx unendo le mani per pregarlo di non fargli male, anche se dentro se la rideva.
“Eri sveglio…” Ripeteva il ragazzo ancora in trance.
“Vattene via adesso!” Ringhiò. L’amico del rosso richiuse la porta facendo l’occhiolino.
“Puoi pure continuare.” Disse Axel concentrandosi nuovamente su Roxas, traumatizzato.
“E’ meglio che me ne vada…”
“Fermo!” Lo mise sotto di sé. “Non te ne vai. Lo sai che per non so quale motivo mi interessi in un modo particolare? E non è tutto, da un po’ ho la sensazione di averti già conosciuto… Ma non ricordo proprio quando e dove ti ho incontrato…”
“Viva i ricordi dimenticati… Adesso lasciami andare.”
“Perché sei venuto?”
“Il cellulare del tuo amico… Per sbaglio un vecchio l’ha buttato nell’acqua bollente.” Axel rise.
“Ben gli sta, così la prossima volta starà più attento.”
“Pensa che si è persino fusa la foderina.” Disse il biondo sospirando, avevano anche dovuto buttare le verdure.
“Se lo è meritato, ci ha anche disturbati.” Roxas arrossì –più di quanto già non fosse-.
“Disturbati? Cosa dici? No, ah ah… Ma che disturbati… A proposito mi lascia andare?”
“Rimani un altro po’, per favore.” Gli sussurrò con la vocina lagnosa che usava spesso il cugino quando voleva ottenere qualcosa.
“No.”  Rispose secco. Axel gli mordicchiò l’orecchio.
“Come vuoi. Da adesso inizia a pensare che la tua permanenza qui sia sequestro di persona.” Gli baciò il collo. Roxas si morse il labbro inferiore.
“Ti piace?” Gli chiese il rosso, ma il biondo scosse la testa. La mano dell’altro scivolò lungo l’esile corpo del ragazzo fino ad arrivare alla fine dello yukata. Lentamente alzò il tessuto, così da arrivare fino ai boxer.
“Ho avuto la risposta.” Con la lingua iniziò a scendere lungo il petto.
“Lasciami stare, Axel.” Disse per coprire un gemito.
“Neanche se mi pagassi.” Passò su un capezzolo.
“Axel basta! Se continui non ti vorrò mai più, ma più!” Roxas era quasi sull’orlo delle lacrime.
Il rosso si fermò d’un tratto, come se quella supplica avesse risvegliato in lui degli incubi, che da anni aveva represso con forza. Lasciò la presa e si sedette sui polpacci. Il ragazzo ne approfittò per scappare.
Quella voce, quell’implorazione, quel volto quasi disperato… Ora tutto era chiaro nella sua mente. Era lui, senza alcun dubbio… Ne ricordava nome e cognome.
Roxas Saotome, il suo amico d’infanzia.
 
 
 
(*) Geta: sandali di legno.




Angolo dell'autrice:
Zucchina? Mi sa che qui c'è qualcosa che non va? O.o
Zazze a zuzzi, azizi! Ozzi, za zezza zezza zazza è azzze za zezza zezza zeza! [traduzione: Salve a tutti, amici! Oggi, la festa della mamma è anche la festa della zeta!] Ma anche no u.u... Okay, mi sono sfogata abbastanza quindi passiamo alle cose serie: eh eh, ammettete tutte voi lo sospettavate! Però è così ovvio che alla fine poteva anche non sembrarlo °u° [mi riferisco alla AkuRoku; per la RiSo beh, cos' altro poteva dire Riku degli anime? E perchè Kairi e sempre in mezzo?] ... Mi sa che questo è stato il capitolo più irreale, se non il più corto... Scusate se vi ho deluso T^T sono molto pentita! Ma questo ho prodotto, quindi... Uff... Alla fine mi va bene anche così. Grazie ai recensori e spero si faccia avanti anche qualche lettore invisibile (suvvia, non siate timidi, l'unica cosa che mangio sono i pocky e muffins, sono dolce io eh ... E disse così la più grande delle menzogne), uno non sbaglia mai a sperarlo u.u Sempre sperando (mi piace la parola) che il capitolo vi abbia soddisfatto per quello che può...
Alla prossima!
Here we Go!

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Capitolo 7
*** Cosa vuoi sapere? ***


7

 
Stava correndo. Era certo di aver percorso il corridoio in meno di due secondi, e la lunghezza di questo non era di certo breve. Dovunque si era posato il tocco di Axel era una fiamma, una zona pericolosa, troppo calda per essere sfiorata, troppo rossa per non essere notata. Il desiderio malsano nel voler sentire di nuovo quel tocco aumentava a dismisura, mentre la domanda nel sapere che cosa gli prendesse, riceveva una risposta sempre più confusa e dubbiosa; doveva trovare una soluzione veloce ed efficace.
“Roxa-kun! Per fortuna che ti ho trovato, almeno tu!” La voce del capo fece frenare bruscamente il biondo. “Ragazzo, devi servire la colazione agli ospiti di questo corridoio. Siamo terribilmente in ritardo, se dovessi incrociare qualche clienti chiedi scusa per la mancanza di organizzazione.”
“Va bene.” Il tono che usò era un misto fra lo spaventato e l’imbarazzato. Che doveva fare se avesse incrociato Axel? Era riuscito a fuggire ed ora doveva tornare indietro. Tutti quei casi fortuiti lo stavano portando a pensare che la sua cattiva sorte, non era affatto un caso, era più che altro una sua compagnia di vita.
Portando le colazioni tornò sui suoi passi e, stanza dopo stanza, arrivò a quella camera. Appena posò davanti la porta d’ingresso il pasto, il ragazzo biondo, che prima era entrato assistendo a quella scena inopportuna ed equivoca (che equivoca non era), aprì l’uscio incrociando il suo sguardo con quello di Roxas.
“Ci scusiamo per il ritardo della colazione, buon pasto.” Disse lui cercando di essere il più professionale possibile.
“No problem, boy.” Sorrise.
“E volevo dirle che per sbaglio… Vede… Axel mi aveva dato il suo cellulare e io l’ho rotto.” Chinò il busto di 90°. “Sono veramente dispiaciuto, la risarcirò fino all’ultimo centesimo.”
“Quanto sei serio ragazzino, non fa nulla. Ne ho altri tre di cellulari, quindi non mi importa; però mi devi un favore.”
“Un favore?”
“Si.” L’espressione per quanto potesse sembrare ingenua, nascondeva un pensiero diabolico e calcolatore; Roxas, però, non ci fece caso.
“D’accordo, buona giornata.” Dopo un altro inchino se ne andò.
 
“Breakfast!” Annunciò Demyx portando il cibo davanti il rosso che era rimasto nella stessa posizione di quando Roxas era scappato, perso nei suoi pensieri.
“Ehi, Axel.” Il biondo agitò la mano davanti gli occhi spalancati dell’altro. Quello sbatté le palpebre e, girando gli occhi a destra e sinistra, si guardò intorno. “La colazione.” L’amico indicò il pasto.
“Non sono scemo, ti ho sentito.” Sbuffò afferrando le bacchette e separandole.
“Sicuro? Mi sembravi abbastanza imbambolato. Che è successo con il ragazzino?”
“Niente.” Guardò verso una delle tante pietanze e ne prese un pezzo.
“Non ne sarei certo, bugiardo.”
“Non rompere, biondino ossigenato.”
“Invece rompo, vecchia fiamma. Perché te la sei presa tanto con lui? E’ una mezza calzetta, uno da poco, cerca un’altra preda.”
“Non è vero, Roxas non è uno da poco, idiota.” Disse usando un tono che voleva mascherare la rabbia che provava per l’affermazione dell’amico. “E’ divertente perseguitarlo, nulla di più. Finché mi diverto va bene.”
“Axel… Non hai mai chiamato le tue vittime per nome, poi con quel tono. Anche lui ha usato il tuo nome prima, quando faceva tutto il cagnolino fedele.” Demyx guardò verso il basso, ma spiò con la coda dell’occhio la reazione dell’altro, che lo lasciò a bocca aperta. Il ragazzo era arrossito, e cercava di nascondere l’imbarazzo mangiando più voracemente –anche se in quel modo non faceva che accentuarlo-.
“Spero ti stancherai in fretta di lui.” Disse il biondo sospirando.
“Perché?”
“Così…” Disse evitando di rispondere “Certo che è proprio buona come cucina, la prossima vacanza ci torniamo.” Cambiò discorso.
“Senza Saix, però.”
“Ci seguirebbe dovunque, lui ci tiene d’occhio.” Tirò giù la palpebra inferiore con l’indice e fece la linguaccia. Axel rise per non mostrare l’irrequieto che gli agitava l’animo. Da cinque anni che non vedeva più Roxas; quando lui aveva tredici anni, il biondo ne aveva dieci, ed anche se era un marmocchietto irritante, starci in compagnia l’aveva sempre reso felice. Dopo che però accadde l’incidente, il ragazzo gli aveva giurato che non l’avrebbe più voluto vedere, che l’avrebbe dimenticato; era riuscito a mantenere solo la seconda. Se non avesse fatto quella battuta, forse in quel momento sarebbero ancora amici; però, il momento familiare in cui si trovava in quel periodo era pessimo, quindi si era lasciato trasportare dalla situazione dicendo una cosa sconveniente e … Si, sarebbe stato meglio se non avesse aperto bocca. Adesso come poteva agire? Sicuramente non avrebbe dovuto dire a Roxas chi era, però voleva che lo sapesse. Sospirò. Avrebbe agito come meglio credeva, alla sprovvista, organizzare un piano era inutile.
 
Sora girovagava per l’Onsen in cerca di Riku. Lui aveva appena concluso la sua mansione e, a quanto detto dal vecchio Shinohara, la sua capacità di creatore di problemi non serviva ad alcuno, e che quindi poteva andare in giro a non disturbare i clienti fino a nuovo ordine. Era stato troppo duro ne suoi confronti. Certo, aveva rotto la quinta ciotola solo in tre giorni di lavoro, e due piatti, per non contare quel vaso decorativo nell’atrio, ma tutto sommato non aveva fatto nulla di che! Era solo inciampato più volte. Guardò a destra, poi a sinistra. I corridoi erano vuoti, come la cucina, le camere della casa, i giardini dell’edificio, l’atrio dell’Onsen. Non aveva ancora controllato nei bagni maschili, forse era lì. Diede una rapida occhiata tra le acque calde e le nuvole di vapore, l’albino era con la testa poggiata ad una parete. Gli occhi chiusi e la pelle bianca aveva acquisito un colorito più rosso, per il calore. Il castano ne approfittò: si cambiò e raggiunse l’amico. Senza dire nulla gli si mise accanto.
“Che stai facendo?” Gli chiese Riku.
“Niente. Mi rilasso.”
“Mi stai pedinando, ammetti.”
“Non precisamente.”
“Che vuoi, si può sapere?”
“Conoscerti meglio.”
“Cosa ti interessa in particolare?”
“Che ne so… La tua famiglia, ad esempio. Quanti siete, avete un cane, o queste cose.”
Riku non disse nulla. Non voleva parlare di sé, però forse con Sora era diverso.
“Vuoi veramente saperlo?”
“Si.” Disse serio. Il ragazzo aveva capito che era un tasto dolente per l’altro e proprio per questo voleva saperne di più.
“La mia famiglia era composta da me e i miei genitori, una volta ho avuto un pesce rosso ma è morto dopo una settimana perché mia madre si era dimenticata di dargli da mangiare. Più o meno otto anni fa i miei genitori hanno divorziato e così io sono andato a vivere con mia madre, mio padre scomparve dalla circolazione più presto di quello che mi aspettassi. Poi, tre anni dopo la separazione, in seguito ad un incidente autostradale, mia madre si ritrovò con qualche problema celebrale; in quel periodo si era trovata un compagno, un poco di buono direi, penso scommettesse ed avesse dei debiti, non so molto visto che poi venne ucciso, ma mia madre ormai si era lasciato con lui, quindi non mi interessava. Comunque, mia madre è morta tre anni dopo l’incidente, di ictus. In quell’ultimo periodo, quando la vedevo che stava male, mi diceva spesso: ‘Non preoccuparti, sto bene.’ E questa fu anche l’ultima cosa che mi disse, visto che una mattina uscii di casa per andare a scuola ed era viva, ma quando tornai era a terra morta. Poi, come per magia, comparve mio padre, che dal Hokkaido, mi portò ad Osaka. Diciamo che è un tipo che desidera sempre il massimo quindi, non posso prendere nessun voto minore al 100 e ciò rende tutto molto oppressivo, ma che ci posso fare; per non parlare poi della sua compagnia che credo mi abbiamo scambiato per un maggiordomo. Anche la mia vita sociale è disastrosa quanto quella familiare. Visto che cambiavo molto spesso scuola per decisione di mia madre, durante l’ultimo anno in Hokkaido mi ritrovai con un solo amico, il quale ho anche perso per averlo aiutato una volta. Stava per essere picchiato da dei bulli, ed io, agendo di impulso, lo difeso mettendomi contro quelli che si dovevano evitare assolutamente. Qual è stata la ricompensa? Che il mio amico si è fatto i cavoli suoi, mentre io ho continuato ad essere maltrattato per averlo difeso. Fortunatamente questa faccenda è finita quando sono venuto ad Osaka; ma non mi interessa molto, sai. Ormai ho fatto pace con me stesso, a quanto pare è questa la vita che mi spetta, non c’è altro da fare, meglio arrendersi all’evidenza il prima possibile che vivere in una falsa realtà, in cui tutto potrebbe migliorare, non credi?” Guardò verso Sora. Si sentiva più sollevato, come se avesse fatto cadere una parte del macigno che portava sulla coscienza. Aveva cercato di non far trapelare alcuna emozione durante il racconto, anche se, alla fine, non aveva provato nulla, come aveva detto anche all’altro, aveva fatto pace con sé stesso e con la realtà ormai da tempo, si era arreso al fatto che la sua vita era quello che era, nulla più. Il castano aveva le lacrime agli occhi che si sbrigò ad asciugare.
“Scusami.” Si sciacquò il viso con l’acqua termale, ma l’unica cosa che ottenne fu il volto che gli bruciava. “Ahia, che male!” Strinse i denti.
“Perché stai piangendo?”
“Come perché!? Voglio dire… Tutto quello che hai passato, tutto quello che hai provato… Non so, come hai fatto? Io avrei ceduto già da molto tempo, non sarei mai riuscito a vivere.”
“Tu, Sora, vivi un’esperienza diversa, in una famiglia ed educazione differente, ecco perché credi che sia impossibile vivere la mia vita; ma dammi retta io non sono per nulla speciale, non so niente di che, sono peggio di te, anzi.”
“Non è affatto vero! Non puoi capire quanto ti invidi…”
“Non dovresti.”
“Invece si! Riku, tu sei un’ottima persona, non sei quello che credi. Per me sei un esempio. Io voglio seguire quello che conosco, e io voglio imitare il Riku: forte, inespressivo, serio e gentile che in questi giorni sto imparando a conoscere. Non mi interessa di quella che è la tua famiglia, non voglio sapere dei tuoi genitori; voglio conoscere te, solo te.” Disse serio e motivato. Quel discorso lo stava rendendo orgoglioso di sé stesso, ma anche estremamente imbarazzato. Che avesse esagerato?
L’albino lo guardò un po’ perso. Gli occhi fissi su quel minuto ragazzo che non sapeva far altro che ridere, che però in quel momento lo stava motivando. Sentì il battito del cuore farsi sempre più forte, sempre di più, un crescendo di emozioni gli stavano facendo perdere il controllo del corpo. Con uno scatto veloce afferrò le spalle di Sora, lo avvicinò a sé…
“Riku?” Lo chiamò il castano un po’ intimorito. Lui lasciò la presa.
“Scusa…”
“E di che?” L’albino si coprì la bocca.
“Niente.” Sora lo guardò con sguardo interrogativo. Inarcò un sopracciglio pensieroso, poi il volto gli si illuminò, sembrava avesse trovato la conferma ad un dubbio.
“Allora è vero!”
“Cosa?”
“Roxas mi ha detto che ti ha visto mentre baciavi un ragazzo!” Riku spalancò la bocca sconcertato. Roxas gli aveva detto cosa?! Che aveva fatto lui!?
“Starai scherzando, spero.”
“Affatto. Suvvia Riku, di che ti vergogni, a me non interessa chi ti piace.” Gli sorrise.
“Sora.” Gli mise una mano sulla spalla. “Quello che ha baciato, non sono io, ma uno che si chiama Axel, mentre chi è stato baciato è proprio Roxas. Ho sentito questo Axel, che si vantava di aver baciato il tuo fratellino, così ha ottenuto due punti in una scommessa con un amico.” Sora spalancò la bocca e gli occhi. Era stato fregato! Si era fatto raggirare!
“No… Non è possibile! Quel maledetto mi ha preso in giro!”
“Sei troppo ingenuo, è questo il problema.”
“Non è vero!”
“Invece si.” Sora gonfiò le guancie e incrociò le braccia.
“Ti odio.” Bofonchiò. Era proprio infantile, quando si atteggiava in quel modo.
“Io invece ti amo” Rise l’albino, che poi si tappò la bocca. Che cosa aveva detto?
“Ah, ah, simpatico. Prendimi pure in giro.” Sbuffò scocciato. 
“Io esco.” Disse Riku alzandosi. Fortunatamente Sora non l’aveva preso sul serio, altrimenti non avrebbe saputo ribattere in alcun modo. Come gli era saltato in mente dire quella frase? Doveva riprendersi in fretta se non voleva perdere un’altra amicizia importante, o almeno quella con Sora gli sembrava tale.
Appena i due uscirono dallo spogliatoio, il capo li prese per le orecchie –letteralmente- e li rimise a lavoro. Nessuno gli aveva detto di prendersi una pausa, ma quei due avevano fatto di testa loro.

Mancavano ancora 28 giorni di duro lavoro.



Angolo dell'autrice:
Che bella la frase finale: "
Mancavano ancora 28 giorni di duro lavoro." Molto: WoW °O° Manca ancora così tanto... ? -.-" Eh già, manca ancora tanto.
Hola, lettori! Come state? Bene? Beh, siete sopravvisuti fino al capitolo 7 quindi direi proprio che state bene! Adesso parliamo un po' di questo mio orribile scritto: secondo voi Roxas sopravvivrà all'ira, non espressa, di Riku? Oppure Sora si accorgerà quanto era serio con quella frase l'albino? Oh, oh... Chi lo Sa (io si... battuta scontata <.<). Spero tanto che vi sia piaciuto questo episodio, anche se era dedicato maggiormente alla RiSo (ogni tanto tocca pure loro u.u). Ah, e volevo sapere che ne pensavate della storia 'toccante' sempre di Riku... Scontata e mal descritta vero? -.- Perdonatemi, a quanto pare non sono capace, ma imperterrita continuo (ormai ho iniziato). Confido in voi e nelle vostre recensioni! Posso fidarmi?
Alla prossima!
Here we Go!

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Capitolo 8
*** Shinitagari, shinde mo ii yo ***


8


“Roxas, sbrigati! Quanto ci vuole a portare tre casse di cipolle?” Sbuffò Sora mettendo sotto braccio, la sua unica cassa di carote.
“Zitto, maledetto.” Rispose ansimando.
“Sei proprio un tipo senza fiato tu. Eppure quando baci i ragazzi hai tutto l’ossigeno di cui hai bisogno.” Ridacchiò. Roxas lo guardò male. Da quando il fratello aveva scoperto che lui era stato baciato da Axel –anche se, a quanto sembrasse, Sora non conosceva né l’aspetto e il nome del rosso-, non la smetteva di prenderlo in giro –non con cattiveria, ovviamente-.
“Senti…” Prese fiato “…Ti ho già detto che è stato lui, io non ho fatto nulla.”
“Lo so, ti credo. Questo cliente ti ha più infastidito?” Gli chiese prendendo una scatola dalla pila che il biondo trasportava.
“Era ora che mi aiutassi. Comunque no…” Guardò in basso. Da quando era scappato dalla sua stanza, Axel non l’aveva più infastidito, ed era passata una settimana. In verità questa mancanza d’attenzione lo faceva star male; ma quello che proprio lo faceva innervosire era che il rosso lo evitava, quando, quello che lo aveva trascinato nella propria stanza, era lui! Quindi perché adesso non voleva più parlargli, o meglio, lo evitava completamente? Due giorni prima, l’aveva incrociato nel corridoio, e appena stava per salutarlo, lui lo aveva guardato e poi si era voltato, cambiando strada; se non era evitare questo, cos’altro? Cosa aveva fatto di tanto sbagliato per meritarsi quel trattamento?
“Sei dispiaciuto?” Gli chiese il castano inclinando la testa.
“Certo che no!” Scattò l’altro sulla difensiva. “Quante volte ancora mi dovrai fare queste domande?”
“Finché non mi convincerai. Lo sai che non ti credo per nulla, si vede che ti dispiace.” Roxas si morse il labbro. Era proprio così. Gli dispiaceva, eppure tanto; voleva che Axel tornasse a tormentarlo... Ammetterlo però era peggio della morte.
“Ti sei morso il labbro! Fai sempre così quando ti beccano in fragrante!” Scattò il cugino che, per indicarlo, fece cadere la cassa di cipolle. In quel momento arrivò Shinohara.
“Sora-kun! Sant’iddio! Si può sapere perché non riesci a fare una cosa come ti si richiede?” Esortò il capo esasperato. In sette giorni aveva allegato alla già vasta collezioni di oggetti rotti, altre ciotole, piatti, barattoli, anche una parete di carta di riso.
“Scusi signor Shinohara!” raccolse quello che aveva fatto cadere. Una delle cipolle era rotolata ai piedi di una signora, una nuova cliente, probabilmente.
“Mi scusi.” Disse raccogliendo l’ortaggio accanto i piedi di quella. Sora alzò lo sguardo e quando riconobbe quel volto di donna, trasalì.
“Salve, Sawamura.” Lo salutò quella con tono serio e duro.
“Professoressa Larxene?” Balbettò il ragazzo. Era proprio lei, quei occhi azzurri da gatto selvatico, la pelle chiara che rispecchiava a perfezione il suo cuore di ghiaccio, i capelli biondi sempre acconciati in modo particolare, quasi assurdo. Era molto giovane, e non aveva rughe, ma i segni della pelle raggrinzita a causa delle arrabbiature che si prendeva di continuo erano solchi irremovibili.
“Si, sono io. Come mai sei qui e non a studiare giapponese antico?”
“In verità io sono qui per lavorare, professoressa; non in vacanza.”
“Bene. Quindi sarai tu a servirmi, buono a sapersi; così se avrò bisogno di aiuto chiederò direttamente a te. Salutami tuo fratello se è qui anche lui, buon lavoro.”
“Ma è venuta sola?” Azzardò a chiedere il ragazzo.
“No, sono con una comitiva di amici che è venuta qui già da qualche giorno, ma a te ciò non interessa, vero?”
“Giustissimo.”
“Arrivederci.” E se ne andò facendo un gesto di stizza. Sora poté nuovamente respirare. Quella donna era il suo peggiore incubo. Tornò a mettere la cipolla insieme alle altre, prese la cassa e incitò il fratello, che si era nascosto, a seguirlo –il vecchio Shinohara, nel frattempo si era dileguato, anche lui spaventato dall’aura maligna della professoressa-.
Completata la mansione a Sora fu detto di controllare se c’era qualche stanza vuota a cui il futon era disfatto, quindi di sistemarlo, oppure di rimediare nel caso mancassero asciugamani negli spogliatoi e così via. Roxas, invece, fu nuovamente affidato all’atrio.
“Come? Mi devi dare il cambio?” Gli chiese Selphie.
“Esatto.”
“Non ne ho bisogno, farò gli straordinari. Tu puoi anche andartene.” Disse ignorandolo e facendogli gesto di allontanarsi. Il biondo alzò le spalle e se ne andò, ma si scontrò contro Demyx.
“Mi scusi.” Disse subito chinandosi.
“Ehi ragazzino! Da un po’ che non ti si vede in giro.”
“Oh, ciao Demyx. Sai com’è, il lavoro è tanto.”
“Immagino che noia.” Sorrise. Poi, guardando dietro il ragazzo, gli si illuminò il volto. Roxas, accorgendosi della reazione dell’altro, stava per girarsi, ma Demyx gli prese le spalle.
“Ricordi che mi dovevi un favore?”
“Si…” Roxas lo guardò sospettoso, come mai aveva tirato fuori quell’argomento? La cosa non gli preannunciava nulla di buono.
“Bene, stai per ripagare il debito.”
“Con quale tipo di favore?” Roxas stava già valutando delle vie di fuga. Demyx ghignò. Gli prese il volto e, avvicinando la bocca leggermente spalancata, baciò il ragazzo, facendo passare la lingua tra le sue labbra. Si separò da lui facendo schioccare le labbra, poi si passò su di esse il pollice. Era soddisfatto del gesto che aveva lasciato Roxas paralizzato.
“Ciao Axel!” Lo salutò Demyx agitando la mano. Quello si avvicinò come una furia. “Che c’è? Come mai tanto arrabbiato?” Il rosso strinse il pugno che sferrò sul volto dell’amico. Quello si sbilanciò, cadendo all’indietro, facendo una smorfia di dolore.
“Axel che diamine fai!” Gli urlò Roxas, ma lui lo afferrò per un braccio e lo allontanò dall’altro che, a terra, si era coperto con la mano dove aveva ricevuto il colpo. “Diamine Axel… Sei cambiato…” Sussurrò serrando i denti, scontento del risultato positivo della prova.
 
“Lasciami andare! Mollami, mollami!... Mi fai male!... Dove mi stai portando? Axel!” Spalancò la porta della sua stanza, lanciò al suo interno Roxas e chiuse. “Si può sapere che diamine ti prende?!” Urlò furioso.
“Perché stavi baciando Demyx?” Gli chiese Axel, usando il tono che secondo lui potesse risultare il più pacato; ma Roxas notò più che bene quell’accenno di rabbia e gelosia nella sua voce.
“Stavo? Sarebbe meglio dire: perché lui mi stava baciando!”
“Non l’hai rifiutato! Ho visto anche la lingua che ti entrava in bocca!” Sbatté la mano sulla porta scorrevole.
“Sono stato preso alla sprovvista! Comunque, non capisco questa tua reazione dato che non hai fatto altro che evitarmi in questa settimana. Credevi non me ne fossi accorto? Beh, allora pensi male, l’ho capito che ce l’hai con me per non so cosa!” Sbuffò.
“Non sono arrabbiato, ho le mie ragioni!”
“Quali sarebbero, sentiamo.” Incrociò le braccia al petto ed iniziò a battere il piede velocemente, come un tic nervoso.
“Non sono tenuto a dirtele e poi…” Si voltò a guardarlo, con la stessa aria da ‘quello che era dalla parte del giusto’. “… Non avevi detto che le mie attenzioni ti infastidivano?” Accennò un ghigno. Roxas abbassò lo sguardo e arrossì lievemente, non sapeva come controbattere.   
“Non significa niente.” Balbettò imbarazzato.
“Significa, significa eccome! Quindi, adesso, mi spieghi perché il mio evitarti ti ha turbato tanto.” Fece un passo verso di lui.
“Non c’è nessun perché. Non mi ha turbato di certo! Sono stato tanto tranquillo, anzi; mi sentivo più che altro in colpa perché credevo di averti fatto un torto, nulla di più.” Borbottò, buttando una scusa a caso. Axel gli si era avvicinato di parecchio, ormai erano uno davanti all’altro ed il rosso lo guardava dall’alto al basso.
“E’ una pessima scusa.”
“Forse perché non è una scusa?”
Axel gli prese il mento e si chinò lentamente.
“Tu mi ami.”
“Non è vero.”
“Ammettilo.”
“Non devo ammettere nulla.” La voce si fece più tremolante, e succube dell’altra, più profonda.
“Dillo.”
“Cosa devo dirti?.”
Le labbra del rosso si avvicinarono.
“Ti amo.”
“Non devo dirti nulla del genere, io.”
Le due bocche si stavano per sfiorare. Il corpo di Roxas desiderava quel contatto, anche se continuava a reprimere questa voglia, inutilmente.
“Ammettilo, Saotome.” A quel cognome Roxas si irrigidì e violentemente allontanò Axel.
“Come conosci il mio cognome? Intendo, quello originario.”
Il rosso si grattò la tempia destra. L’aveva fatta grossa, troppo grossa.
“Lo conosco e basta.”
“Come?!” Più che curioso era terrorizzato. Quel cognome risvegliava in lui ombre del passato che continuava a richiudere dentro il suo cuore, ferito da cinque anni e mai completamente guarito.
“Non ti ricordi proprio di me, vero… E pensare che eravamo molto amici.” Sospirò. Roxas lo guardò, cercando un’immagine riconducibile ad Axel, ma niente. Non c’era. “Voglio scusarmi per quella battutaccia che ti ho fatto… Non volevo dirti quello, insomma, mi è uscito così, senza pensarci, tipo lapsus.” Il biondo lo guardò ancora più confuso. “Ma insomma!” Sbuffò. “ Sei stato fortunato, adesso sei libero da ogni peso. Questo ti avevo detto…”
Come la corrente di un fiume, tutto tornò veloce alla mente del ragazzo. Dalla memoria estrapolò quel ricordo, quel maledetto ricordo, di quella tanto odiata persona, che troppo l’aveva reso triste.
“Tu… Sei…” Indietreggiò balbettando, con gli occhi spalancati. Le lacrime iniziarono a rigargli il voltò, lasciando il salato sulle sue labbra.
“Roxas, io…”
“Stai zitto!” Urlò. Si asciugò sfregandosi con la manica dello yukata. Con grandi passi si diresse all’uscio, Axel lo afferrò per una spalla.
“Non puoi odiarmi tanto per una battuta del genere!”
“Non sai come mi sentivo in quel momento, non puoi capirlo e hai peggiorato le cose! Tu eri l’unica persona di cui mi fidavo… Non voglio vederti, non voglio! Non avvicinarti a me, non chiedere di me. Ti odio, ti odio, ti odio!”
“Bello il destino, eh. Questo tu me lo dici proprio quando io ti amo, simpatico.” Roxas deglutì. Sentire quelle parole gli aveva provocato una strana sensazione di felicità, ma la persona che lui era… No, lo odiava e basta. Scrollò la spalla e aprì la porta.
“Addio.” E uscì camminando, ma solo quando il rosso non lo poté più vedere scappò via, correndo con la coda fra le gambe.
 
Il biondo si ritirò in stanza. Anche se aveva gli occhi ancora rossi, le lacrime si erano fermate e lui si era calmato.
“Roxa-kun, guarda!” Esortò Sora sbattendogli in faccia un manga. “E’ una figata questo!”
Il biondo si scansò e si sedette sul futon. “Ma tu non lavori mai?”
“Non c’era nulla da fare.”
“Come si intitola?” Gli chiese riferito al fumetto.
“Loveless (*), me l’ha prestato Kairi.”
“Ecco perché è una figata.”
“Leggi quanto è bella questa frase!” Sfogliò le pagine e, arrivato a quelle interessate, fece leggere a Roxas la frase.
“Ti scongiuro, non fare quella voce. Mi fai sentire strano. Non voglio vederti. Io non voglio più vederti! Perché, nel momento in cui ti dico addio, vorrei morire. (**)” Recitò ad alta voce. Strabuzzò un po’ gli occhi accorgendosi che la frase era eccessivamente inerente alla sua situazione, e ciò lo fece stare anche male. In quel momento si accorse, dell’inesistenza di motivo per cui aver detto ti odio ad Axel. Quella battuta che lui aveva fatto cinque anni prima, era, appunto, una battuta di cinque anni prima… Portare rancore per un così futile motivo? Si stava sentendo uno schifo. Forse, però, quel suo comportamento era stato causato perché spinto dall’imbarazzo, ma anche dalla felicità che gli avevano procurato quelle due parole, probabilmente dette con leggerezza?
“I wanna die…” Sospirò.
“Ti riferisci alla canzone di Miku (***)?” Gli chiese il fratello. Roxas lo guardò storto.
“Secondo te?”
“Scusami, eh. Comunque è una bella canzone, quindi ti dedico una parte del ritornello: Shinitagari shinde mo ii yo. Ed aggiungo: Shinitakunai nara seezee iki nobiro (****).” E poi continuò a canticchiare tutta la canzone. Roxas scosse la testa, alla fin fine, sarebbe stato meglio rimanere con Axel, che ritrovarsi nella stessa stanza con quel soggetto.
 
Sora, prima di andare nella sua camera, aveva aiutato Riku e Kairi a sistemare le camere occupate, ma ovviamente vuote, e riporre, in quelle non occupate, i futon negli armadi. Finito il compito Sora, per l’appunto, si era allontanato e Kairi gli aveva dato il permesso di entrare nella sua stanza e prendere il manga di cui gli aveva parlato. Rimasero soli l’albino e la rossa.
“Io vado a farmi un giro nel cortile.” Disse alla ragazza.
“Aspetta un attimo Riku, volevo parlarti.”
Lui, che già si era incamminato per andarsene, si voltò verso la ragazza. “Di cosa?”
“Ti piace Sora, non è vero?” Disse schiettamente. Riku reagì con un’espressione di chi era stato preso in fragrante, ma continuò a fare l’indifferente.
“Si può sapere di che cosa parli? Sora è un ragazzo, come può piacermi?”
“Riku guarda che ho visto con che sguardo lo guardi e come lo tratti; per quanto tu possa cercare di fare l’indifferente e il distaccato –e questo, ti assicuro, dimostra più di tutto che ti interessa-, si vede che stai attento a Sora, provvedendo di non ferirlo, quasi fosse una pietra preziosa; sbaglio?”  Fece un sorrisetto soddisfatto. Riku strinse i pugni. Quello che diceva la ragazza era vero, ne era cosciente e non voleva mentire a sé stesso, però, non voleva che qualcuno se ne accorgesse, che si sapesse; negare era la cosa più giusta da fare.
“Quello che dici è totalmente falso. Errato. Le tue conclusioni sono infondate.”
“Smettila di mentirmi Riku! E’ inutile! Tanto non lo direi a Sora…” Abbassò lo sguardo, pentita di aver urlato. “Sii sincero con me.”
L’albino sospirò. “Mi dispiace Kairi, ma a me non piace Sora.”
“D’accordo, allora non serve che ti metta in guardia sul fatto che lui mi piace e che, se mai dovessi conquistarlo, io farò di tutto per portarlo dalla mia parte.” Disse seria.
“Ti stai facendo delle strane idee in testa.” Sbuffò l’albino che si girò per andarsene.
“Riku… Ti infastidisce tanto dirmelo?” Sospirò. “Come vuoi, io ti ho avvisato.”
“Mi piace Sora, è vero.” Le disse impulsivamente. “E anch’io, farò di tutto per conquistarlo.”
I due si guardarono negli occhi, guerra era stipulata.
E così, il povero Sora, che aveva iniziato come cacciatore, divenne la preda.
 
 
 
(*) Loveless: Manga e anime di Yuu Konga. (Seinen manga, pubblicato in Italia dalla J-pop)
(**): Volume 2°, capitolo 4 (Loveless Yunkouga No 4: Toys master/ Il dominatore assoluto dei giocattoli.)
(***) Miku: Riferito alla Vocaloid Miku Hatsune.
(****): Shinitagari shinde mo ii yo vuol dire Voglio morire, va bene voler morire. Shinitakunai nara seezee iki nobiro vuol dire Mi lagnerò finchè vivrò. Dalla canzone I wanna die, per l’appunto di Miku  Hatsune.
 



Angolo dell'autrice:
Vi consiglio di ascoltare la canzone: ne vale la pena!
Salve a tutti! Chi non muore si rivede, in questo caso si risente, dico bene ^^? Allora, facciamo il punto della questione: in questo capitolo ho dato proprio larga fantasia al mio spirito otaku! Citazioni, citazioni, citazioni: diamine, una parte con sole citazioni! Da come credo avrete capito il titolo significa: Voglio morire, va bene voler morire e credo proprio che questa frase si addica molto a Roxas in alcune situazioni. Forse come ho descritto l'animo umano, nel senso, i sentimenti e il cambio opinione di Roxas su Axel, quando ha saputo chi lui fosse... Beh... Non ha molto senso vero? Onestamente non sapevo come renderlo meglio, spero di non aver fatto un danno... Comunque volevo avvisare che io ho finito di scrivere la storia, cioè, questo non è ovviamente l'ultimo capitolo, ma il mio documento di Word è concluso! Ammetto di essere soddisfatta del mio lavoro e se volete sapere quanti capitoli sono ve lo comunicherò rispondendo alla recensione ^^ Ne approfitto per ringraziare i recensori, che non mancano mai un appuntamento! Grazie infinte: Faith Yoite e akima! Spero di risentire Val-chan, prossimamente, ma a me basta che vengo seguita e che questa storia piaccia, se poi c'è anche il commento tanto meglio. Wow, questa volta mi sono sprecata con l'angolo dell'autrice, già O.O" è quasi lungo quanto il capitolo (Okay... Non proprio...). Grazie per aver letto,
Alla prossima!
Here we Go!

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Capitolo 9
*** Cosa pensi del mio volto? ***


  

9


 
La mattina seguente, Roxas fu il primo a svegliarsi a causa di un incubo, o forse, sarebbe meglio dire, a causa di un sogno tanto perverso, nei confronti di Axel, da averlo eccitato fin troppo. Dopo aver fatto passare le sue voglie, abbassando la tavoletta del water, ci si sedette sopra, tenendo la testa fra le mani.
-“Quanto mi odia il mio destino, quanto mi odia…”- continuava a pensare disperato. Si guardò allo specchio. Il solito, noioso, petulante, falso Roxas. Capelli biondo grano, estremamente spettinati –non che quando li sistemava, erano ben messi-; gli occhi azzurro cielo che celavano la peggiore delle notti, piena  di tormenti e terrori; bocca sottile e quasi invisibile, un inutile rilievo che sapeva solo fare sorrisi di circostanza, sorrisi falsi rilasciati per accontentare e, a volte, fuggire da domande e situazioni indiscrete. Il solito volto liscio dalla pelle pallida, con le gote di un colore leggermente più vivo, ma era pur sempre uno spettro… No, quelli erano più coloriti. Perché aveva la terribile sensazione che la sua vita era priva di significato, inutile e insignificante? A chi mai sarebbe dispiaciuta la sua fine? Un po’ a Sora forse, magari anche Kairi. Naminé? Chissà se si ricordava di lui. La professoressa Larxene si sarebbe sicuramente disperata, chi avrebbe potuto chiamare sempre per far risultare le sue lezioni interessanti e capibili? Forse anche lui avrebbe versato qualche lacrima; dopo quello che gli aveva detto, però, non ci avrebbe contato poi molto.
Era tutto così monotono e uguale, niente cambiava e ciò lo faceva stare peggio. Aveva bisogno di essere consolato e solo una persona poteva…
-“No, santo cielo! No!”- Furiosamente si alzò, uscì dal bagno e si mise nel caldo delle coperte. -“Dormi, dormi…”- Si ripeteva. Gli ritornò il mente il sogno che aveva fatto. Si rigirò mettendosi con la pancia verso l’alto e tenne il lenzuolo fin sopra il naso. Quella miriade di sentimenti che provava era amore? No, non di certo. Il solo pensiero di dover pronunciare una parola come: Ti amo, ad Axel, gli procurava una morsa allo stomaco. Poi c’era il fatto che era un uomo. Un fattore estremamente rilevante, eccessivamente rilevante, insomma non trascurabile! Tutto sommato, però, era una scusa, non gli interessava il sesso… Ruotò nuovamente, sprofondando il viso nel cuscino. Capire se era innamorato non era poi difficile e, beh, a causa di certi sogni, la prova del suo innamoramento verso Axel era inconfutabile. Ammetterlo? Mai e poi mai. Avendolo costretto con la forza era possibile che fosse rimasto catturato da quei suoi modi di fare, nulla più. Sospirò, e contemporaneamente suonò la sveglia. Quel bip assordante e straziante gli penetrò nella testa. Quel suono era stato impostato per far svegliare Sora, ma era l’unico che non si alzava. Spense il cellulare e diede un cazzotto in testa al cugino, che imperterrito continuò a russare serenamente. Roxas se ne disinteressò e iniziò a prepararsi per iniziare il lavoro, quel giorno c’erano altri carichi da portare, e i fattorini erano estremamente puntuali, quindi per le otto doveva essere pronto ad attenderli.
Infatti, alle sette e mezza, Roxas uscì dalla stanza, lasciando Sora dormire tranquillamente, così non salvandolo dall’ennesima sgridata; ma fortunatamente andò Kairi a svegliarlo, ed usò tutta la dolcezza che poté, d’altronde lei doveva raggiungere un obiettivo.
“Sora-kun.” Iniziò a scuoterlo. Segni di vita pari a zero. “Sora-kun.” Continuò. Arrivata all’ottavo tentativo, cambiò approccio e gli sussurrò all’orecchio: “Se non ti svegli ti gettò l’acqua fredda addosso.” Al diavolo la dolcezza.
Neanche le minacce sfiorarono la coscienza del ragazzo, ma, come dice il detto: uomo avvisato mezzo salvato. Prese un bicchiere d’acqua e lo verso sulla faccia del ragazzo, che si svegliò con un sussulto, seguito da un colpo di tosse e un brivido.
“Buongiorno!” Gli disse sorridendo innocentemente.
“Kairi, ma si può sapere che cosa ti è passato per la testa.”
“Non ti svegliavi.” Rispose semplicemente. “Ora vatti a preparare, penserò io a stendere il futon ad asciugare.” Il comportamento premuroso della ragazza lo fece arrossire. Non era mai stata così con lui, quindi era rimasto un po’ sorpreso –anche se l’acqua gelata addosso era un segno più che evidente che era la solita Kairi-. Sora si preparò e quando tornò in stanza, vide Kairi intenta a sistemargli le cose che aveva lasciato in disordine.
“Non preoccuparti Kairi, non ce ne è bisogno.”
“Per me è un piacere.” Gli sorrise. “Comunque oggi abbiamo il turno insieme, pulizia delle stanze.” Sora sospirò rumorosamente.  “Che noia… Pulire.”
“Però insieme. Non sarà tanto tragico.” Sorrise. Sora ricambiò il sorriso. Quella sarebbe stata un’occasione perfetta per avvicinarsi alla ragazza.
I due uscirono dalla stanza ridendo per una battuta fatta dal castano. Riku che stava anche lui per uscire, sentendoli richiuse la porta e li fece passare. Si affacciò leggermente con la testa, per vederli allontanarsi. Kairi aveva già fatto la sua mossa, ma come poteva solo competere, era una battaglia persa di partenza. A Sora d’altronde piaceva Kairi, quindi cosa poteva fare? Lui, un uomo? Sospirò. Da tener conto era anche il fatto che il castano l’aveva creduto gay, per una menzogna di Roxas, e quando aveva scoperto la conferma del contrario, gli sembrò di leggere nel suo volto un accenno di sollievo.
Aveva perso, c’era poco da fare o da dire. Avrebbe fatto passare anche questa, come tutte. Avrebbe continuato a rendere la sua vita indifferente e insignifi…
“Riku!” Una voce dal corridoio urlò il suo nome, distraendolo dai suoi pensieri. Uscì dalla stanza e chiuse la porta.
“Che vuoi Sora?”
“Non ti vedevo arrivare e pensavo ti era successo qualcosa, sai com’è, sei sempre preciso con gli orari, quindi…” Si grattò la nuca, guardando da un’altra parte. Riku, tenendo il volto impassibile, iniziò a incamminarsi, sorpassando Sora.
“Ti preoccupi troppo per gli altri, mi pare di avertelo già detto.” Con uno scatto il castano lo raggiunse, camminandogli accanto.
“Si, già me l’hai detto.” Riku lo guardò con la coda dell’occhio; un po’ di imbarazzo era visibile sul volto, e ciò lo lasciò soddisfatto. Aveva perso, c’era poco da dire o da fare, così si era detto? Mah… Chissà, il mondo è tanto strano e contorto.
 
“Questa era l’ultima scatola.” Disse Roxas stanco e trionfante.
“Ottimo lavoro, pivello.” Disse Wakka, dando una pacca sulla spalla del ragazzo, la quale fece un ‘crick’ alquanto inquietante.
“La mia spalla…” Disse il biondo con voce soffocata, bloccando un gemito di dolore.
“Il vecchio Shinohara mi ha detto di comunicarti che hai un po’ di tempo libero, poi ha borbottato qualcosa riguardo te e tuo fratello, facendo presente di quanto lui fosse imbranato e senza speranza… Poi ha aggiunto altro, però è meglio che un marmocchio come te non sappia.”
“Mi limiterò a immaginare. Grazie dell’informazione, ci si vede. Buon lavoro.” E agitando la mano il ragazzo si allontanò.
E così aveva una pausa, come sfruttarla? Era da un bel po’ che non si faceva un bagno restauratore, le acque l’avrebbero sicuramente aiutato per la spalla.
Spogliato dello yukata entrò nel bagno, che era più affollato di quando c’era venuto la volta prima (effettivamente l’aveva visitato sempre in orari di chiusura, era naturale la maggior affluenza a quell’ora del giorno). Trovò una parete libera e si lasciò andare con un sospirò di sollievo. L’acqua era così calda che… Si immerse completamente. Come protetto da un guscio riusciva a pensare più a sé stesso, a quello che gli era successo. Sembrava tutto così strano, così anormale; totalmente lontano dalla sua realtà. Gli venne in mente la sua immagine quella mattina allo specchio. Aveva trovato solo aspetti negativi di sé, non aveva un briciolo d’autostima. Chissà cosa Axel pensava del suo volto… No, no, ma quale Axel! Lui probabilmente non sapeva di che colore erano i suoi occhi perché troppo impegnato a pensare o a sé stesso, o a quelle battutine per rimorchiare, oppure a qualche giochetto sadico a cui sottoporlo. Non avrebbe di certo potuto chiederlo, che senso aveva, poi?
 
“Roxas, Roxas, stai bene?” Disse una voce.
“Sta aprendo gli occhi.” Esultò un’altra voce.
“Non distrarti e sbatti più forte quel ventaglio.”
Il biondo sbatté le palpebre e sfuocò il luogo in cui si trovava. Una stanza dell’Onsen. Alla sua destra una chioma rossa, che sgridava l’altro che era alla sinistra ed aveva i capelli biondi.
“Roxas, come stai?” Quello di destra si posizionò davanti al suo sguardo.
“Sto bene… Credo.”
“Te l’avevo detto che stare troppo allungo immerso nell’acqua termale fa male. Tu mi dai retta, però? No! Questa ne è la prova. Per fortuna io e Demyx stavamo per entrare e ti abbiamo notato.”
“Ci hai fatto spaventare piccoletto.” Sorrise quello di sinistra.
“Axel…” pronunciò lentamente il suo nome, Roxas. Il rosso fece cenno al’amico di andarsene e quello, sghignazzando, se ne andò.
“Dimmi, Roxas.”
“…Cosa pensi del mio volto?” A quella domanda improvvisa Axel esitò un po’. Che poteva dirgli? Che voleva sapere con quella domanda? Era un tranello?
“Perché me lo chiedi?”
“Chiesto cosa?” Alzò il busto e si stropicciò gli occhi.
“Mi hai appena fatto una domanda Roxas, e non ti alzare. Ecco, sdraiato, così. Comunque, stavo dicendo, mi hai chiesto cosa pensassi del tuo volto.”
“Cosa?!” Scattò di nuovo, sollevando il busto, facendo così cadere la pezza zuppa d’acqua fredda dalla fronte. “Dimentica, non ti ho chiesto nulla!”
“Invece non dimentico, anzi ti rispondo. Da dove iniziare… Uhm… Dai tuoi occhi! Allora sono azzurro cielo, mi ricordo che tua madre li aveva così. Sono brillanti e pieni di vitalità, assumono una luce particolare quando sei imbarazzato e quando sei felice. Del tuo viso, oltre la pelle candida e morbida, che la trovo irresistibile, belle sono le guancie che ogni volta che mi vedi si tingono dello stesso colore dei miei capelli, se non più acceso. La tua bocca sottile sa il fatto suo, non puoi capire che sensazione quando ti bacio, sembra di toccare dello zucchero filato, ma il sapore è anche meglio, perché è il tuo sapore. Poi, cos’altro? Il naso all’insù che ti ritrovi? Anche quello, irresistibile. Ogni tuo arto, ogni tuo zigomo è in simbiosi con tutto il resto. Roxas, per tua sfortuna sei perfetto, ed io amo la perfezione.” Si avvicinò per baciarlo, Roxas lo fermò.
“Ti ricordi cosa ti ho urlato ieri?”
“Certo e so quanto mentivi, anche tu ti stavi sentendo male per quelle stupidate. Dimmi, quando ti ho detto d’amarti, sei stato felice?” Il biondo arrossì, e volse lo sguardo dietro di sé.
“Affatto.” Balbettò.
“Allora facciamo così. Adesso mi guardi dritto negli occhi e mi dici che mi odi. Se lo dirai senza esitazione, ti lascerò in pace; se non mi convincerai, allora.” Fece un sorriso, inclinando un po’ la testa. “Dovrai dire che mi ami.”
Roxas lentamente girò il collo, guardò Axel. Deglutì.
“Io…” Balbettò. “Ti odio.” Esitò, abbassando lo sguardo all’ultima vocale della parola. Lui gli prese il mento e lo guardò seducente. “Stai mentendo.” Lo baciò. Roxas si sentì immediatamente risucchiato e travolto dalla passione dell’altro. Non stava ricambiando, anzi, era costretto a ricambiare. Si sentiva con un groviglio di polvere risucchiato dall’aspirapolvere, quindi cosa poteva fare se non ricambiare?
“Roxas, ti prego.” Gli sussurrò. “Fammi baciare almeno il tuo petto.” Il ragazzo avvampò eccessivamente e si trascinò leggermente indietro scuotendo la testa, confuso e sconcertato.
“Matto, matto, ecco cosa sei. Baciarmi… Il petto… No, no, tu non mi tocchi; no, per niente.”
“In verità, sono io che ti ho rivestito.” Poi tossì per finta e guardò verso l’alto.
“No, no… Non è possibile! Ti odio, ti odio, ti odio infinitamente! Ora, come una volta. Io che ti ho anche pensato, per un attimo creduto… Mi sono fatto quasi trascinare, ma per fortuna che sono uno con coscienza io!” Si alzò infuriato e sbattendo i piedi andò verso l’uscio. Il rosso si alzò anche lui, lo prese per il polso, tirandolo fra le sue braccia. Gli leccò dietro l’orecchio. “Dimmi che mi ami, Roxas, dimmi quelle due parole.”
“No, mai e poi mai!”
“Sai, da come neghi sembra quasi che tu lo provi, ma non voglia ammetterlo –anche se ciò già lo sapevo-.”
“Cosa ti inventi?! Lasciami andare.”
“Allora te lo dirò io, tante volte quanto tu non lo dirai, d’accordo?”
“Lasciami, lasciami!”
“Ti amo.”
“Molla la presa.”
“Ti amo.”
“Liberami!”
“Ti amo.”
“Insomma, la smetti.”
“Ti amo.”
“Ma sei di coccio o che so io? Ti ho detto di lasciarmi! Ehi, che fai? Stringi? Ma è da matti!”
“Ti amo.”
“Io non te lo direi mai così tante volte, quindi puoi pure finirla.”
“Ti amo.”
“Axel, andiamo, aprì queste braccia, tra un po’ mi distruggi lo stomaco!”
“Ti amo.”
“Anch’io e lo sai!” Urlò esasperato.
Il volto del rosso si illumino e iniziò a baciargli il collo.
“Ceerto che lo sapevo, Roxas. Sai, il tuo nome è bellissimo, quando lo pronuncio mi ricorda il verso di un gatto che fa le fusa.”
“Axel…” Cercò di richiamarlo.
In quel momento, però, la porta fu fatta scorrere velocemente. La figura seria e altezzosa della professoressa di giapponese antico padroneggiava l’uscio, e con uno sguardo tra lo sconvolto e disgustato guardava i due.
“Professoressa!” Scattò Roxas. “Non è come crede!”
“La maniaca è la tua prof… Oddio, tu mi vuoi rovinare il mio hachi.” Disse Axel abbracciandolo più stretto, per proteggerlo.
“Axel, si può sapere che stai combinando con Sawamura?”
“E’ il mio amato passa tempo, quindi Larxene, gira i tacchi e non ci disturbare.”
“Non puoi parlarmi così!”
“Invece si!” Tra i due si poteva benissimo notare la tensione. Intanto il povero Roxas, si trovava tra i due fuochi senza sapere come agire.
-“Se qualcuno, da qualsiasi parte di questo immenso universo, mi può sentire.”- Supplicò. -“Lo prego, faccia fermare questa tortura. Non è amore! Questa è costrizione, pura costrizione! Io questa torcia non la amo!”- E dentro si sentì distrutto e impaurito. La professoressa doveva ancora portare dei compiti in classe.
La stima dell’insegnate nei suoi confronti, finì in quel istante; e così neanche lei avrebbe pianto se sarebbe morto.


N.d.A.
La prima confessione per esasperazione, mi sento commossa T*T
Allora, salve a tutti! Chiedo scusa per il ritasrdo, ma in questo priodo sto facendo 'la maratona recupera gli ultimi cinque', non spero che qualcuno abbia o stia provando ciò che sto passando. Comunque, momentaneamente lasciamo perdere la scuola e concentriamoci sullo yaoi! Bene questo capitolo anche se corto mi sembra pieno di novità; un Riku motivato, ma soprattutto: la confessione del piccolo Hachi! Però pure Larxene, porca la vacca zoppa! Sempre in mezzo! Ma ad Axel interessa? Anche no, di fatti continua ad abbracciare Roxas, che amore *-* (Mi emoziono per un mio scritto -.-" normale...). La guerra per Sora andrà avanti e chissà chi avrà la meglio (tifiamo per te Riku!). E' tutto! (Corto il capitolo, corto l'angolo dell'autrice u.u)
Alla prossima!
Here we Go!

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Capitolo 10
*** Una serata in compagnia. ***


10


“Kimi wa oujo,” Cantò lei.
“Boku wa mesitsukai.” Cantò lui.
“Unmei wakatsu,”
“Aware na hutago.”
“Kimi wo mamoru sono tame naraba, boku ha aku ni datte natte yaru.(*)” Conclusero il ritornello in coro, per poi scoppiare in una fragorosa risata, causata dalle loro voci paragonabili a quella di una cornacchia in preda ad uno spasmo.
“Io adoro questa canzone.” Commentò il ragazzo mettendosi lo straccio, che aveva passato sopra un mobile, sulla spalla.
“Tu Sora diventeresti malvagio per proteggermi?” Gli chiese.
“Certo che si! Farei qualunque cosa per te!” Le sorrise.
“E per Riku?”
“Riku? Che c’entra?”
“Nulla, nulla.” Continuò a lucidare il piano su cui stava pulendo. Sora la guardò interrogativo e sorpreso. Che strana domanda, molto strana. Cosa c’entrava Riku? Erano solo amici loro due e avrebbe fatto di tutto per mantenere la loro amicizia, ma fare di tutto per lui, come sembrava intendesse Kairi, beh… No.
“Quante stanze mancano?”
“Ancora due.” Gli rispose
“Lo sai che mi piace proprio il manga che mi hai prestato. Adoro Sobi, lui si che è un figo!”
“Che fortunato Ritsuka(**), vorrei tanto essere lui.”
“Cosa dici Kairi! Verresti perseguitata da quell’uomo che è un mezzo maniaco, non avreste nulla in comune, dammi retta.”
“Ma se hai appena detto che è figo.” Ridacchiò.
“Si, è vero, però… Per te sarebbe meglio uno come me, ecco!”
“Uno come te? Dici?” Si voltò a guardarlo, avvicinandosi.
“Si… Insomma…” Bofonchiò, evitando lo sguardo di lei.
“Sora, io ti piaccio?” Chiese la ragazza gongolando un po’ con il busto. Sora, raccogliendo tutto il suo coraggio –tenendo comunque la testa bassa- si sentiva pronto a dire quel ‘si’ che tanto avrebbe desiderato corrisposto, così che le loro labbra si sarebbero toccate, diventando un tutto uno con l’armonia. Avrebbe assaporato il dolce e fragrante sapore di Kairi –l’aveva sempre immaginato come un mix di fragole e ciliegie-; e lei avrebbe potuto sentire tutto l’amore che provava nei suoi confronti. Avrebbero avuto un futuro magnifico e florido, si sarebbero sposati, avrebbero avuto uno, due, tre, anche quattro figli! Sarebbero stati insieme per sempre, un amore eterno e favoloso, che neanche i principi e le principesse delle favole avevano mai vissuto; ma, appena concluso il film mentale della sua vita e nel istante in cui stava per pronunciare la sillaba, fu bruscamente interrotto dal rumore dello scorrere della porta, aperta da Riku –l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento-.
“Sora, ti vuole la signora Shinohara.” Lo avvisò. Il ragazzo si guardò intorno imbarazzato, si gratto la nuca e sospirò. “Eccomi.” E deluso uscì prima dell’albino.
“Non si spia, Riku; è maleducazione.” Gli fece notare con un sorrisetto malizioso la ragazza.
“In amore tutto è lecito, dovresti saperlo.” La guardò con astio.
“Lo so bene, temo che tu non ne sia cosciente. Sora non ti considera nulla più di un amico, sarà difficile per te.” Ricambiò lo sguardo, con lo stesso odio.
“Mai dire mai, cara Kairi.”
“Spero solo non getterai la spugna, Riku.” Sospirò scuotendo la testa. L’albino se ne andò silenziosamente, senza aggiungere alcuna parola. Gettare la spugna? No, non l’avrebbe fatto. A differenza di tutte le azioni passate, quella volta, se non avesse combattuto, se ne sarebbe pentito fin troppo.
Intanto Roxas si trovava ancora fra le braccia di Axel, davanti lo sguardo severo della sua professoressa di giapponese antico. Come poter credere che il suo miglior alunno era il compagno di letto di quel maniaco di un amico che si ritrovava? Una mente così aperta e sviluppata, nelle mani di un decerebrato, una capra con i pollici opponibili, un essere infimo e inferiore agli esseri più infimi e inferiori sul pianeta.
“Axel, si può sapere che stai combinando con Sawamura?” Cercò di tenere il tono calmo e professionale, anche se la rabbia stava per scoppiare.
“E’ il mio amato passatempo, quindi Larxene, gira i tacchi e non ci disturbare.” Sbuffò, stringendo ancora di più il biondo, fra le sue braccia.
“Non puoi parlarmi così!” Scattò lei.
“Invece si!” Si guardarono con odio. Erano persino visibili le auree contrastanti, che fecero rabbrividire Roxas.
“Axel, maledetto…” Fece un ringhio.
“Vuoi fare a pugni?” Gli chiese spavaldo. Lei sbuffò, si ricompose il datejime e lo guardò con superiorità.
“Fa ciò che credi, d’altronde non è affar mio.” Tagliò corto la questione. Odiava perdere tempo. “Vi lascio soli. Sawamura, mi ha profondamente deluso. Farsi coinvolgere da quel soggetto, che peccato.” Usò un tono dispiaciuto, anche se in realtà era sprezzante.
“Professoressa, la prego, lei sta equivocando la situazione.” Cercò di spiegarsi il ragazzo, ma Axel lo interruppe subito, mettendogli la mano davanti la bocca.
“Quale equivoco, ed equivoco. Hai appena ammesso d’amarmi, e non si può rimangiare la parola data!” Cantilenò come un bambino delle elementari. “Per cui, Larxene, vattene.” Si voltò a guardarla.
“Axel, smettila.” Disse il biondo a denti stretti.
Larxene, con un verso di stizza, uscì a testa alta. “Che facessero come volessero, quei due.” Borbottò tra sé e sé. Stava ancora contenendo la rabbia –anche se in parte la stava scaricando sul pavimento, attraverso i suoi passi eccessivamente marcati- e non sapeva cosa fare, proprio per questo era andata da Axel, voleva proporgli di fare qualcosa insieme –e quel qualcosa l’avrebbe scelto lei-. Anche se lei ormai aveva ventisei anni compiuti, conosceva quel ragazzino di otto anni più giovane. Il loro primo incontro avvenne cinque anni prima. Un giorno come tanti, Saix, con il quale condivideva l’appartamento insieme a Marluxia –frequentavano università diverse, ma erano amici già dalle elementari e avevano deciso di convivere comunque-, tornò a casa portando con sé un marmocchio di quattordici anni. Gli stava per rubare le chiavi della macchina, ma a quanto pareva l’uomo con la X era stato più scaltro e furbo e così lo aveva preso. Una persona normale l’avrebbe portato dalla polizia, ed invece no; Saix non solo lo fece restare quella sera per la cena, ma anche per alcuni giorni. Era scappato di casa dopo che i genitori avevano divorziato, questa era la spiegazione. Una storia sentita e risentita, ma quel ragazzino sembrava molto più triste di quello che doveva essere, e alla fine anche lei ci fece amicizia. Ovviamente Axel fu riportato a casa da sua madre, però molte volte tornava a far visita sia a lei che Saix –soprattutto lui-. Ogni volta che varcava la porta dell’appartamento sembrava sul punto di suicidarsi, ma subito dopo una chiacchierata con l’uomo X (uno dei molteplici soprannomi che Larxene aveva pensato per l’uomo, ma mai usato), gli tornava il sorriso e sprizzava vita da tutte le parti. Questo è sempre stato un mistero per lei, ma non ha mai investigato al riguardo. Poi però, con l’arrivo dei diciassette anni ne combinò di tutti i tipi, troppe volte i tre avevano fatto a turno per andare a recuperarlo dalla polizia. Una volta una rissa, un’altra guida in stato d’ebbrezza. Non gli mancavano mai le donne, con le quali si divertiva a fare a gara con Demyx; non aveva mai avuto una storia seria, anche se sospettava che una c’era stata, ed era presente tutt’ora… Lei però non si era mai interessata, ne era rimasta beatamente fuori, era la scelta più saggia.
In quel momento ripensò anche al comportamento di Axel nei confronti di Roxas. Sembrava il solito marmocchietto eppure… Era diverso. Immersa nei suoi pensieri aveva percorso tutto il corridoio, incontrandosi con Saix, che la fermò.
“Sai per caso dov’è Axel?” Gli chiese con un tono piatto.
“Nella sua stanza, a farsela con un mio alunno.” La notizia fece sospirare l’uomo. Prima o poi quel ragazzo avrebbe preso anche una denuncia per molestie sessuali e un qualche annetto di carcere gli avrebbe solo che giovato.
“Un tuo alunno?” Le fece eco. “Chi?”
“Non credo ti dovrebbe interessare.” Disse scontrosa.
“Non vedo il motivo perché tu non possa dirmelo.” Lui rimase con il solito volto inespressivo.
“Roxas Sawamura, soddisfatto?” Sbuffò, incrociando le braccia al petto.
“Sawamura? Certa che sia questo il cognome?”
“Più che certa! Credi sia il tipo da dimenticarsi queste cose?” Chiese offesa.
“Con te nulla è certo.” Lei borbottò e sbuffò ancora.
“Vado ai bagni.” Annunciò per poi allontanarsi sempre arrabbiata.
Saix, invece, si diresse verso la camera di Axel. Fece scorrere la porta di quel poco che gli permetteva di controllare la situazione. C’era Roxas sdraiato sul futon, Axel sopra di lui, mentre lo baciava, voracemente, coinvolgendolo nella sua sfrenata passione. Il biondo era tutto rosso e –gli si poteva leggere in volto- in conflitto con sé stesso. Voleva allontanare il suo assalitore, ma contemporaneamente, ne voleva di più. Per poco l’uomo non si sentì male a quella vista. Axel era più che cosciente che una delle tante cause del suo crollo psicologico era stata proprio quello stesso ragazzino, che adesso sembrava ‘amare’. Non si era accorto chi fosse il ragazzo? Poco probabile, non era tanto scemo da non essersene reso conto. Però, Axel poteva benissimo fare ciò che voleva, senza l’appoggio di nessuno, quindi non se ne sarebbe interessato, finché quella relazione sarebbe rimasta nei limiti del passatempo estivo, altrimenti sarebbe dovuto intervenire.
“Axel, lasciami stare.” Disse ansimando Roxas, nel momento in cui le loro labbra si separarono.
“Dammi una ragione.” Gli sussurrò dolcemente.
“Perché mi infastidisci.” Disse quasi bisbigliando, ma Axel sentì comunque e lo guardò duro.
“Davvero?”
“Certo che si… Secondo te?” Balbettò guardandosi un po’ intorno.
“Allora scusami tanto. Vattene pure.” Si alzò in piedi e si passò una mano sullo yukata per levare dei granelli di polvere, inesistenti. Poi diede di spalle all’altro, incrociando le mani dietro la nuca.
“Come?” Chiese incredulo e, in fondo, dispiaciuto.
“Mi hai appena detto: Axel, lasciami andare; ed io ti sto lasciando andare. Che c’è, hai cambiato idea?” Lo guardò con più durezza, tanto che Roxas si sentì sottopressione.
“No, no, per niente.” Cercò di tenere un tono di superiorità.
“Allora cosa aspetti?” Ci fu un silenzio d’imbarazzo. “Sentimi bene, Roxas. Non so cosa non ti faccia ammettere che, almeno un po’, tu sia attratto da me; ma se uno dei tanti motivi è che siamo due uomini, allora non credere che per me sia più facile realizzarlo. Si, è vero, ti ho detto d’amarti e su questo non ho dubbi, però, entrare nell’idea che sia io che te abbiamo lo stesso sesso, risulta strano. Io, poi, ho avuto rapporti solo con delle ragazze, e mai nulla di serio, per cui.” Sospirò.
“E’ vero.” Balbettò il biondo –si era seduto sui polpacci e stringeva la coperta del futon, tenendo il mento attaccato allo sterno-. “Mi è difficile ammetterlo perché siamo entrambi uomini, non che ci sia qualcosa d’ammettere, non lo nascondo. Però tu per lo meno sai che vuol dire essere fidanzato con una ragazza; scommetto che l’hai già fatto con una ragazza e per di più il tuo primo bacio è stato con una ragazza, mentre io…” Si ammutolì di colpo.
“Non mi vorrai dire che…” Axel tentò in tutti i modi di soffocare una risata.
“Si, il mio primo bacio l’ho ricevuto da te.” Ammise con un sospiro. Axel, purtroppo, non resistette e scoppiò a ridere.
“Che ti ridi, scemo!” Scattò Roxas guardandolo furioso. Era completamente avvolto dall’imbarazzo, e prova ne erano le punte dell’orecchie completamente rosse.
“Sei troppo carino.” Si coprì la bocca con il palmo della mano.
“Ma come te ne esci!” Borbottò il biondo. 
“Quindi, ammetti che un pochino, nel profondo, mi ami?”
“Ti ho detto che non è così! Non ti amo, non ti sopporto!” Continuò a negare, scuotendo la testa.
“Allora perché sei qui a discutere con me?” Roxas si guardò velocemente intorno, poi si alzò.
“Infatti me ne sto andando, vedi?”
“Vedo.” Fece un ghigno. “Bye-bye.” Roxas sbuffando uscì, scontrandosi così contro Saix.
“Mi scusi.” Fece un inchino e, superando l’uomo, se ne andò. Quello sguardo ghiacciale, gli provocò un brivido lungo la colonna vertebrale; incuteva veramente timore. Che avesse visto qualcosa? Sperava con tutto sé stesso di no.
Tornato a lavoro, dopo essere stato rimproverato della sua assenza prolungata e dopo aver raggirato con dimestichezza la domanda: “Chi è stato a farti quel succhiotto?” con la quale il cugino lo stava perseguitando, riuscì a svolgere tranquillamente le mansioni.
Sora, d’altro canto, portando una pila di asciugamani puliti, che gli coprivano la visuale, si scontrò violentemente contro un cliente, che a sua volta era intento a giocare a Bubbles sul cellulare. I panni volarono da tutte le parti, il cellulare fece loro compagnia, ed entrambi i ragazzi finirono a terra.
“Che dolore…” Disse Sora stringendo i denti e massaggiandosi il fondoschiena; si mise in ginocchio e raccolse quello che gli era caduto. L’altro invece iniziò a tastare per terra, nella ricerca disperata del suo cellulare.
“No!” Urlò “Si è rotto lo schermo!” Sora accorse a guardare. Lo strumento aveva tutto lo schermo pieno di crepe, e, essendo un modello touch, sicuramente non avrebbe più funzionato. “Mi scusi!” Disse dispiaciuto. “Le ripagherò tutto fino all’ultimo yen! Mi scusi, mi scusi…” Continuò a ripetere. Il cliente lo fermò e lo guardò sbalordito.
“Sei per caso un parente di Roxas? Vi somigliate tanto.” Esortò.
“Si, sono il cugino. Lo conosce?” Chiese Sora incuriosito.
“Certo; diciamo che siamo conoscenti. Lui è amico di un mio amico.” Sorrise.
“Come si chiama quest’amico? Se posso.” Cercò di tenere un tono educato, voleva sapere se era lo stesso nome in grado di rendere Roxas tanto vulnerabile.
“Axel, perché?” Chiese a sua volta Demyx.
“Roxas sembra molto preso da lui.” Rispose senza pensarci troppo.
“Lo stesso per Axel. Dovresti vedere che passione fra i due.” Commentò scuotendo la testa in dissenso.
“Allora è stato lui ha fargli il succhiotto.”
“Probabile.”
-“Che soggetto mi ritrovo per cugino.”- Pensò Sora.
-“Che pedofilo mi ritrovo per amico.”- Pensò, contemporaneamente, Demyx. Ci fu un attimo di silenzio, e, prima che Sora potesse congedarsi dalla conversazione, Demyx gli domandò: “Avete da fare questa sera, te e tuo cugino?” Aveva il viso illuminato da un’ambigua luce malvagia.
“No…” Rispose perplesso.
“Bene, venite alle dieci di questa sera in camera mia e di Axel, siamo in gruppo e ci divertiremo.” Fece un sorriso –che nascondeva sempre quell’ambigua malvagità-. “A proposito io sono Demyx.”
“Io Sora. Conti pure sulla nostra presenza!” Il biondo se ne andò, lasciandolo solo a raccogliere gli asciugamani. Il programma della serata si prospettava interessante; avrebbe invitato anche Riku, sarebbe stato divertente.  La sola idea lo rendeva euforico; poi vedere Roxas in imbarazzo, sarebbe stato uno spettacolo molto appagante. Si, si sarebbero certamente divertiti –questo però, lo pensò solo Sora-.
“Non ci pensare! Non te lo immaginare, mai e poi mai! Neanche a pagarmi!”
“Dai Roxas, si tratta di passare del tempo con delle persone!”
“Sono clienti e tu neanche li conosci!”
“E’ vero, però conoscono te!” Esordì Sora, additandolo.
“Me?” Si indicò da solo.
“Si. Era un ragazzo biondo di nome Demyx, amico di un certo… Axel.” Volse gli occhi verso l’alto,
facendo finta di dovere ricordare il nome del ragazzo, che pronunciò con vaghezza. Roxas si irrigidì, avvampò,  poi tossi assumendo un volto indifferente al nome appena pronunciato.
“Ah. Io non lo conosco, ti sei fatto fregare.” Sbuffò.
“Mah, sarà. Tu intanto hai il volto tutto rosso.” Gli fece notare. Roxas si volto dandogli le spalle.
“Certo, come no. Comunque non verrò e con questo la discussione si conclude!” Disse ad alta voce, per rendere il concetto più forte.
Inutile dire come realmente si concluse la conversazione e in quanti erano, all’ora prestabilita, davanti la porta della stanza.
“Perché dovevo venire anch’io?” Chiese Riku pacato.
“Così, volevo che venissi.” Gli sorrise Sora.
Roxas sbuffando bussò ed una voce sconosciuta invitò loro ad entrare. Il castano aprì la porta ed entrò, seguito dagli altri. Tra i volti conosciuti c’erano quelli di Axel, Demyx e Larxene –anche Saix per Riku e Roxas, anche se lo conoscevano più di vista che per altro-. Accanto la professoressa sedeva un ragazzo dai capelli neri, anche se sembrava avesse dei riflessi grigio-blu, e gli occhi color acciaio; era molto più giovane in confronto gli altri, probabilmente avrà avuto un anno meno di Axel. Mentre accanto l’ultimo citato sedeva un uomo, che dall’aspetto sembrava avesse più o meno l’età di Larxene; aveva i capelli rosati –colore alquanto strano- e gli occhi blu.
Larxene bevve un sorso di vodka direttamente dalla bottiglia, si leccò le labbra e lanciò un’occhiata agli ospiti.
“Perché ci sono anche i marmocchi?” Disse con un tono che a Roxas suonò sprezzante, ma che in verità era già sotto l’effetto dell’alcool.
“Così, perché mi andava di invitarli.” Spiegò velocemente Demyx.
“Che gioco faremo, prima che Larxene lasci il mondo della sobrietà?” Chiese il ragazzo dai capelli neri, picchiettando le dita su un libro che aveva accanto, dalla copertina rigida.
“Calma Zexion, avremo tutto il tempo.” Il biondo lanciò un’occhiata ad Axel che annuì. “Bene. Voi lì, sedetevi pure –i tre si sedettero (Roxas il più lontano possibile da Axel)-. Allora, questo gioco si chiama: Il gioco del re. Le regole sono queste: ci sono nove bastoncini –uno per ognuno-, ma soltanto otto hanno sopra ritratti dei numeri, uno di esso ha una corona, la corona del re e chi la possiede deciderà la sorte dei partecipanti –se desidera anche sé stesso- del turno. Ovviamente la decisione del re è assoluta, chi dovesse contraddirla, dica addio ad un indumento a sua scelta.” Ridacchiò il ragazzo. “Ed ora. –prese i bastoncini da una busta di nailon- pescate!” Il gioco iniziò.
Le prime sfide furono infantili, per non dire noiose, scelte dai più fiacchi di fantasia del gruppo –Roxas, Zexion e Sora-, ma con l’andare avanti del tempo, anche le sfide iniziarono ad alzare un po’ il tono. Il primo che diede il via fu Axel, che ordinò a due di bere una bottiglia a testa, in meno di un minuto e i re successivi seguirono il suo esempio. Quando, poi, l’atmosfera si fece completamente brilla –tranne che da parte di Riku, lui non aveva toccato alcolico, e, anche se aveva dovuto bere per una sfida, era perfettamente lucido-, la ‘gioia’ aumentò, il gioco continuò verso un livello sempre più hot.
Nessuno rispondeva delle proprie azioni, le menti erano distaccate dai corpi, la ragione incatenata in un luogo profondo e nascosto, la memoria registrava ricordi che poi rinchiudeva nel più lontano subconscio.
Cosa era accaduto? Cosa doveva ancora accade?
Buio.
Buio totale.
Black Out.
 
 
 
(*): Kimi wa oujo vuol dire Tu sei la principessa; Boku wa mesitsukai vuol dire Io sono il tuo servo; Unmei wakatsu vuol dire Destino diviso; Aware na hutago vuol dire Gemelli pietosi; Kimi wo mamoru sono tame naraba, boku ha aku ni datte natte yaru. vuol dire Per proteggerti, per fare ciò, io diventerei anche malvagio. La saga del male, seconda parte: Servant of evil (servo del male). Canzone dei Vocaloid, cantata da Len Kagamine, con coro di Rin Kagamine.
(**): Sobi e Ritsuka sono i protagonisti di Loveless.




N.d.A. 
Viva il coretto di cornacchie Sora Kairi, un applauso!
Salve! Sono tornata per vostra sfortuna muahahah! Cosa accade di bello in questo capitolo? Beh, già il fatto di questo gioco e del 'tutti ubriachi tranne Riku' ... Eh eh, chissà che succederà la mattina dopo u.u Per non parlare dell'entrata in scena dell'ultimo citato (povero Socchan che imbarazzo). Poi nella akuroku Axel che finalmente scopre di aver traumatizzato quel povero Hachi di Roxas, rubandogli il suo primo bacio; povero, povero Roxas! E poi... Diciamo che in verità questo è un 'capitolo ponte' che introduce al capitolo 11 che è il mio preferito, uno tra i migliori che ho prodotto direi u.u leggerete poi. Spero però che anche questo sia valso la pena della vostra attesa.
Alla prossima!
Here we Go!

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Capitolo 11
*** Voglio vederti sorridere. ***


 

11


 
Lentamente aprì gli occhi. La vista era offuscata, batté le palpebre. Alzò a fatica il busto poggiato su un fianco; con la mano libera –l’altra l’aveva poggiata per reggersi- si stropicciò gli occhi e fece uno sbadiglio. Si guardò intorno ancora un po’ stralunato, non riusciva a ricollocarsi. Confondeva destra e sinistra, il sopra con il sotto e, come se non bastasse, aveva un fortissimo mal di testa, oltre i sensi di nausea. Si lasciò nuovamente andare sul futon –tenendo la posizione su un lato-.
Una mano, da sotto le coperte, si poggiò su un fianco, con circospezione risalì e passò sui pettorali –quasi inesistenti-, dopo aver roteato per un po’ sullo stesso punto, si fermò. Roxas ebbe un sussulto. Chi c’era dietro di lui? Terrorizzato si girò cautamente; poi rilasciò un grido corto e agghiacciante. Si trascinò verso la parete, con le mani e l’aiuto delle gambe. Ansimava spaventato e il peggio arrivò quando l’altra persona si mostrò, svegliato da quel grido assordante.
I capelli spettinati, pieni di gel del giorno prima, ricadevano lungo la schiena con lo stesso aspetto degli spini di un istrice. Gli occhi leggermente socchiusi ancora addormentati e le gocce nere sulle guancie sbiadite. Gli addominali scoperti si gonfiavano e sgonfiavano ad ogni respiro. Quell’aspetto trasandato fece venire il batticuore a Roxas. Axel lo guardava con un’espressione indecifrabile. Forse era stupito del fatto che il ragazzo era lì, oppure scocciato perché gli era stato rovinato il sonno, o più semplicemente stanco, ancora confuso, perché svegliato bruscamente.
Solo in quel momento il biondo iniziò a riordinare la faccenda, ponendosi alcune domande, tra cui spiccava: Cosa diamine ci faccio qui, -si toccò il petto- senza yukata e –controllò la presenza dell’intimo- . . . ?!
Si alzò in piedi e furiosamente ispezionò la stanza, raccogliendo i suoi indumenti e indossandoli velocemente –anche se lo yukata tutto era fuorché un indumento veloce e semplice da mettere-.
“Roxas.” Lo chiamò l’altro, che era ancora nel futon, con voce rauca. Il ragazzo gli si avvicinò con in mano i suoi indumenti.
“Tieni.” Glieli porse. Teneva lo sguardo basso e il volto stava lentamente diventando più rosso e la sua mente posò i riflettori su un altro quesito: Cosa era successo? La risposta che gli pareva più ovvia, sembrava proprio quella che lui non avrebbe voluto che fosse.
“Che ci fai qui?” Gli chiese.
“Non lo so. Non me lo ricordo.”
“Davvero?” Si stiracchiò, come se nulla fosse.
“Axel.” Attirò la sua attenzione. “Non ti viene nulla in mente?”
“Neanch’io ricordo.” Gli disse sempre tranquillamente.
“Però… Guardati.”
“Perché dovrei?” Si guardò. Alzò anche le coperte e sbiancò. “Roxas…”
“Non chiedere a me, sai! Io non ho colpa!” Andò subito sulla difensiva.
“Come scusa?!” Sbuffò. Prese i vestiti e iniziò ad indossarli.
“Okay, la colpa è anche mia, almeno credo… Non me lo ricordo!” Il biondo iniziò a girare intorno un punto, così disegnando una piccola circonferenza sul pavimento di legno.
“Va bene, va bene. Stiamo calmi; non è la fine del…”
“Si che lo è!” Lo interruppe bruscamente, disperato. “Era la mia prima volta! Avrei voluto fosse con una ragazza!” Stare tutto il giorno accanto a Sora e a contatto con i suoi hentai, alla fine l’avevano fatto iniziare a fantasticare su quel momento importante, che lo avrebbe reso adulto nel corpo, e su cosa sarebbe accaduto, come si sarebbe comportato, pensando alle emozioni che avrebbe potuto provare, ed invece… Si trovava in quel casino! Senza uno straccio di ricordo.
“Beh, non tutto va come si programma.” D’altronde la loro ‘storia’ –se tale si poteva definire-, era un qualcosa del tutto fuori programma.
“Me ne sono accorto da quando ti ho conosciuto!” Axel non sapeva se sentirsi offeso o meno da quelle parole. Poi ripensò a quello che poco prima aveva affermato Roxas e gli disse: “Rispondi a questa domanda: tu preferiresti farlo con una ragazza o con la persona amata?” Il biondo inarcò un sopracciglio. Stava per avere una crisi di nervi e lui che fa? Gli si mette a fare i quiz.
“Ma che domanda demente sarebbe, questa?” Sbottò.
“Rispondi senza troppe storie.”
“La persona amata.” Rispose alzando gli occhi al cielo, sperando un po’ di serietà da parte di Axel.
“Allora perché hai detto che avresti voluto farlo con una ragazza?” Roxas si pietrificò. Da quando il rosso ascoltava quello che diceva? Cosa poteva rispondere, poi? Dire la prima cosa che gli passava per la testa gli sembrava la cosa più logica, in quel momento aveva altri  pensieri.
“Perché…” Non gli veniva nulla da dire.
“Roxas, se noi l’avessimo fatto –perché non ne siamo sicuri-, te ne pentiresti?” Il ragazzo fece un respiro profondo. L’orgoglio, le bugie dietro le quali si nascondeva per paura non le considerò minimamente, si gettò direttamente dicendo ciò che pensava: “No, non mi dispiacerebbe affatto.” Solo dopo realizzò quello che aveva detto. Si tappò la bocca e iniziò a ridacchiare nervosamente. “Ora che ci penso: ma quanto è tardi! Devo andare, tra poco devo lavorare e…”
“Roxas.” Lo richiamò.
“… Non posso fare tardi, assolutamente, altrimenti, sai…”
“Roxas.” Si alzò in piedi.
“… Il proprietario mi farà una lavata di capo che non se ne può più…”
“Roxas.” Gli si avvicinò.
“… Onestamente non ne ho voglia, quindi…”
“Ti amo.”Gli prese il mento e, delicatamente, gli posò le labbra sulle sue. Un dolce tocco, un’emozione unica. Che fosse quella la sensazione che si provava a ricevere il primo bacio? Perché proprio in quel momento… Perché non voleva altro che Axel?
Il rosso lo avvicinò a sé cingendogli con un braccio il fianco. Roxas arcuò lievemente la schiena, abbandonandosi completamente all’altro. Una volta separati, Axel lo abbracciò.
“Sono felice.”
“Felice di cosa?” Finse di non capire.
“Secondo te?” Gli rigirò la domanda.
“Non ho molta fantasia.” Ridacchiò “Perché mi lascio abbracciare?”
“Non precisamente. La tua confessione indiretta mi è piaciuta molto, ma se aggiungi quelle due paroline, sarei ancora più felice.”
“Non dirò nulla, scordatelo.” Scosse il capo. “Ora, però, devo andare veramente.”
“Va bene. Prima però devi baciarmi.” Si abbassò alla sua altezza.
“Ma che dici… Non ti voglio baciare!”
“Dici troppi no; finirai per farmi innervosire.” Fece un ghigno. “Non vuoi che mi arrabbi, giusto?” La mano del rosso iniziò a scivolare verso il sedere del ragazzo che rabbrividì.
“Giusto…” Gli prese il volto con entrambi le mani e gli diede un bacio a stampo, che sfiorava a mala pena le sue labbra. Axel lo lasciò e sorrise compiaciuto.
“Pensavo non ti spingessi a tanto.” Roxas non disse nulla, si toccò la bocca.
“Roxas?” Gli agitò la mano davanti gli cocchi. Lui sbatté le palpebre, riprendendosi.
“Tutto bene?”
“Si, si. Ora vado, ciao.” E, stranamente allegro, se ne andò.

Nel frattempo, uno degli invitati alla festicciola della sera precedente, si risvegliò, non nella sua stanza e sdraiato sul corpo di un altro.
Sora continuava a stropicciarsi gli occhi, sperando di non trovarsi in quella situazione. Cosa ci faceva sopra Riku? Perché il suo cuore continuava a battere all’impazzata? Fece un respiro profondo; da assonnato non riusciva a pensare, tanto meno agitarsi. Ammirò quel volto pallido, che era sotto di lui, in un’espressione serena e rilassata che gli trasmetteva una strana sensazione, riconducibile al piacere, ma anche qualcosa di più. Accarezzò con un dito lo sterno del ragazzo. La pelle era morbida ed emanava un piacevole tepore. Poggiò la guancia sul petto, all’altezza del cuore. Lo sentiva, quel suono leggero e piacevole, come il cinguettare di un usignolo. Gli piaceva quel suono. Lento e nitido, rilassante; se avesse potuto, sarebbe rimasto in quella posizione per sempre.
“Sora? Che stai facendo?” Gli chiese bisbigliando Riku, che aveva appena aperto gli occhi.
“Mi piace, il tuo battito.” Disse a bassa voce, con un’espressione persa e tranquilla.
Riku non sapeva come reagire. Non voleva levarlo da sopra di sé, ma non sapeva come agire.
“Perché ti piace?” Gli chiese, tenendo sempre un tono basso.
“Perché sento che mi trasmette qualcosa.”
L’albino si incupì. Come poteva il suo cuore trasmettere qualcosa, se non ne era mai stato in grado?
“Sora.” Gli passò una mano fra i capelli castani. La parte verso la radice era più dura, a causa della copertura di gel che aveva un piacevole profumo di frutta esotica, rispetto alle punte, in cui mancava la sostanza, che era liscia e morbida. “Cosa intendi per ‘trasmettere’?”
“Sembra quasi batta per me.” Ridacchiò, intento all’ascolto.
L’altro si morse il labbro. Era possibile che avesse già capito tutto? Forse aveva fatto trasparire troppo le emozioni e … No. Più semplicemente Sora l’aveva intuito, anche se, essendo ingenuo, non era mai andato ‘al di là delle righe’. Continuò ad accarezzarlo.
“Sta battendo più forte.” Disse il ragazzo emozionato. Aveva l’espressione simile a quella di un bambino che, davanti un acquario, vedeva uno dei pesci iniziare a muoversi lentamente, spostando le pinne avanti e indietro con decisione.
“Il tuo invece?” Gli chiese per distrarlo.
“Il mio?” Gli fece eco. “Non lo so, non penso abbia il tuo stesso suono, non è così vivo.” Il volto si rattristì improvvisamente.
Riku lo afferrò per le spalle e lo fece rotolare sotto di sé. Scivolò fino al petto del ragazzo per accostarci l’orecchio.
“Non so quanto il mio suono sia bello, ma ti assicuro che anche il tuo è speciale.” Lo guardò negli occhi.
Sora non aveva mai notato, come in quel momento, quanto fossero belle le iridi blu dell’albino. Una copertura cristallina che nascondeva quella che era una vita sofferta, quelle che erano le tante lacrime versate e che poi non ci furono più, come esaurite. Quello sguardo profondo lo faceva annegare in un oceano senza limite, giù, sempre più giù, perso nel vuoto. Era triste, non voleva vedere quello nei suoi occhi; voleva vedere una luce di speranza, di felicità, anche se fosse stato impossibile raggiungerla, desiderava vederla, percepirla, farla sua.
“Riku, come posso renderti felice?” Gli chiese alzando il busto –il che costrinse l’altro ad alzarsi, poggiandosi sulle cosce del castano-. Il ragazzo ci pensò un po’ su, poi gli chiese con un’altra domanda: “Tu cosa faresti?”
“Beh… Non saprei. Dipende da cosa tu vuoi.” Lo guardò con fermezza ed imbarazzo.
“Quello che io vorrei…?” Si sporse in avanti, verso il castano. “Rimanerti accanto il più possibile.” Passò le braccia sotto quelle dell’altro e fermò le mani sulle sue spalle, stringendolo poi a sé.
“Vorrei anche capire la tua felicità, provarla e condividerla con te. Sentire il tuo cuore battere per la persona che ami, anche se…” Non continuò.
“Anche se…?” Gli chiese Sora, incitandolo a proseguire.
“Anche se non sono io.” Tremò per paura della reazione del castano. Aveva di nuovo parlato a sproposito e di nuovo aveva sbagliato.
“In questo momento, Riku.” Balbettò il ragazzo, distogliendo l’albino dagli innumerevoli insulti che si stava rivolgendo. “Il mio cuore batte per te.” Deglutì. La situazione era diventata estremamente imbarazzante.
Dal nulla un pensiero balenò nella mente di Sora: e se Riku aveva scherzato? Se aveva frainteso quello che gli aveva detto? Voleva sprofondare, sotterrarsi e mai più riemergere.
“Sora. Mi ami?” Gli sussurrò dolcemente.
Amare? Cosa voleva dire amare? Cosa intendeva con quella parola? Non l’aveva mai veramente capito. A lui piaceva Kairi, giusto? Ma quanto differenzia il piacere dall’amore? Cosa si prova quando si è innamorati, allora? Sentiva lo stomaco annodarsi, il cuore accelerare, tanto che ogni secondo di più diventava più rosso. Questi erano i sintomi di chi era innamorato? No, troppo semplice, eppure l’amore era semplice e puro, vero? Quel momento di riflessione si stava prolungando troppo.
“Riku, io…”
“Non fa nulla, non importa. E’ indifferente.” Tagliò bruscamente la conversazione. Non voleva soffrire, sapeva qual’era la risposta, ascoltarla non gli sarebbe servito di certo a motivarlo. Si alzò, e, voltatosi per andare verso l’uscio, fu afferrato per il polso dal ragazzo che lo guardò duramente.
“Invece importa! Se mi hai fatto una domanda allora hai chiesto anche una risposta.” Disse alzando il tono della voce. Riku lo guardò inespressivo.
“Allora qual’è la risposta?”
“Io… Non la so.” Lasciò la presa, facendo ricadere il braccio accanto a sé.
“Questa tu la definisci una risposta?” Il tono che usò ferì il castano, come mille aghi ghiacciati. Stette in silenzio e, afflitto, abbassò la testa. Riku strinse i pugni e uscì dalla stanza.
Una sostanza liquida e salta, percosse le guancie di Sora, lasciando una scia umida che rimase sulla pelle. La goccia scivolò, fino a cadere sul parquet, dove lasciò la forma. Una dopo l’altra ne scesero tante. Perché stava piangendo? Non ce ne era motivo, eppure… Piangere lo stava facendo star meglio.
Asciugandosi gli occhi –anche se continuavano a bagnarsi- si alzò. Quella non era camera sua, ma quella di Riku. Chissà come c’era arrivato; poco gli importava. Si avvicinò ad un tavolino che era in un angolo. Sopra c’era un libro: ‘Sogno di una notte di mezza estate’ una commedia di Shakespeare. Aprì il libro, dove era segnata la pagina. Era scritto in inglese, non ci capiva niente. Guardò il segnalibro. Una foto: erano ritratti una bambino dai capelli albini e una donna che lo abbracciava, sorridente, dai capelli neri, e aveva gli stessi occhi del bambino. Probabilmente era la madre di Riku. Ciò che gli parve più strano fu che l’albino non sorrideva, anzi, sembrava avesse un’espressione stanca, che implorava aiuto. Cosa poteva aver vissuto per non riuscire più a sorridere? Altre lacrime gli marchiarono il volto. Il solo pensiero che sua madre in quel momento era viva a casa, mentre Riku non aveva nessuno che con ansia lo aspettava lo fece star male, probabilmente il padre –l’unico che gli era rimasto- neanche si era accorto della sua assenza; ma lui cosa ne poteva sapere? Niente. Non aveva neanche idea di come si potesse sopportare una vita simile. Una volta, in treno, aveva sentito una vecchietta dire: “Ognuno ha ciò che si merita.” Riku questo, però, non se lo meritava. Voleva di nuovo sentire il suo cuore, quel battito armonioso.
Rimise la foto apposto e uscì. Della sera prima ricordava solo ombre in movimento, la sensazione di essere trasportato e basta. Tornato nella sua stanza, Roxas non c’era: dove poteva essere? Guardò l’ora, era tardi, tremendamente tardi, ma non gli importava, non voleva lavorare, non ci sarebbe riuscito. Si rimise nel futon e, quasi abbracciandosi da solo, continuò a pensare a Riku e a quell’espressione vuota nel volto.
Voleva vederlo sorridere, nulla di più. Perché non poteva?

“Kairi-chan, dov’è Socchan?” Gli chiese la nonna preoccupata, mentre tagliava del tofu a cubetti.
“Non lo so nonna, oggi non è venuto.” Disse la ragazza preoccupata.
“Sta male?”
“Non lo so… Quando ho bussato non ha voluto che entrassi.” Sospirò. In realtà lei aveva il sospetto di quello che era accaduto, li aveva visti quella mattina, nella camera di Riku.
“Roxa-kun ti ha detto nulla?” Le chiese la vecchietta. Lei scosse il capo.
“Lui neanche sapeva che stava male, pensava non si fosse svegliato.”
“Ma come? Non hanno dormito nella stessa stanza?” Disse con tono sorpreso.
“A quanto pare no.” Disse la ragazza stringendosi fra le spalle. Nessuno dei due aveva dormito nella propria stanza in verità. Avrebbe chiesto a Roxas più tardi.
“Tu guarda un po’, quel distratto di tuo nonno.” Esordì la donna. “Gli potresti portare gli occhiali, dovrebbe essere in ufficio.” Glieli passò. Avevano un montatura leggera, di colore marrone. Le lenti erano parecchio spesse, perché il nonno ci vedeva quanto una talpa. Annuì e con un passo veloce andò verso l’ufficio, ma si fermò, appena vide un ragazzo dai capelli rossi che, ridacchiando compiaciuto, stava dietro a Roxas, che fingeva di ignorarlo.
“Neanche gli altri si ricordano di ieri?” Chiese il biondo all’altro.
“No, nessuno. Chissà che avrà combinato tuo fratello.” Ridacchiò. “Zexion mi ha detto di aver visto quel tizio albino che lo portava via in braccio.”
“Come?! Ha portato via lui, ma non me!” Sospirò. “Non dovevo fargli quel torto… Me la sono cercata.”
“Quale?” Chiese curioso il rosso.
“Lunga storia, di cui non voglio parlare.”
“Mi riguarda?”
“Ovviamente.”
“Racconta, racconta.” Lo pregò.
“Ti ricordi quando mi hai baciato?” Axel annuì, come poteva dimenticarlo? Quell’espressione paonazza e imbarazzata del biondo, le labbra piccole e delicate, mai sporcate da nessun’altro. “Mi sono inventato di aver visto un tizio che baciava un altro, e il tizio che baciava era Riku.” Sospirò malinconico. Axel rise, si piegò persino in due.
“Sei troppo divertente, ma che vai a raccontare.”
“Poi Riku ti ha sentito parlare con Demyx riguardo una scommessa –a quella parola Axel si ammutolì e deglutì- e per questo ha potuto dire a Sora, quando ha tirato fuori l’argomento, che tu mi avevi baciato. Però non ha usato nomi, a parte il mio ovviamente. Quindi mi hai solo messo nelle peggio situazioni!” Sbuffò. “E a proposito, ora che mi ci fai pensare, che cosa sarebbe questa cosa della scommessa?”
Axel si grattò una tempia e alzò gli occhi al cielo. Roxas sospirò. “Conoscendoti è facile immaginarlo.”
“Però Roxas, non ti ha infastidito sapere che eri una scommessa?” Gli chiese.
“In vero, le tue eccessive attenzioni anche dopo il bacio non mi hanno mai fatto pensare che ero una scommessa.” Disse con un tono tranquillo e un’espressione di superiorità. Axel strabuzzò gli occhi, quel comportamento non se lo sarebbe mai aspettato da lui.
“Quando andrai in pausa?”
“Perché?”
Axel gli sussurrò qualcosa all’orecchio che lo fece arrossire violentemente. Iniziò, poi, a balbettare delle parole sconclusionate.
“Comunque, tra Sora e l’altro c’è qualcosa?” Gli chiese cambiando discorso.
“No. Cosa te lo fa pensare?”
“Riku se lo mangia con gli occhi, il tuo caro cuginetto.”
“Ti stai sbagliando.”
“Sono sicuro di ciò che dico.”
“Non sono affari miei.” Disse stringendosi tra le spalle e iniziando ad incamminarsi verso l’atrio.
“La fai facile. Dovresti investigare.”
Si fermò. “Per la tua curiosità?”
“Anche.” Ghignò.
“No.” Rispose secco, ricominciando a camminare. Axel lo seguì –beccandosi tutta l’ira del ragazzo, che fino a quel momento aveva provato a restare calmo-.
Kairi si poggiò alla parete più vicina, pensierosa. Riku quindi si era fatto avanti e Sora era chiuso nella sua stanza. Doveva capire cosa era accaduto, cosa aveva potuto fargli di tanto scioccante. Non è che avessero…
“Kairi-chan, che fai lì?” La voce del nonno la fece sobbalzare.
“Avevi lasciato questi in cucina.” Gli passò gli occhiali. Il vecchio la ringraziò, congedandola. Lei ne approfittò subito per parlare con Riku.
Andò nel cortile, dove il ragazzo stava svolgendo la mansione assegnatagli, e appena gli si avvicinò, disse con il tono alterato: “Che hai fatto a Sora?!”
Lui fermò il rastrello e si poggiò sull’asta con il gomito. “Niente.”
“Non mentire.”
“Non sto mentendo.” Si guardarono negli occhi.
“Vatti a scusare, ora!” Per rendere il messaggio più convincente sbatté un piede a terra, indicando il suolo.
“Ma come?” Disse stupito. “Questo sarebbe il tuo momento, l’occasione d’oro.”
“Stupido!” Gli urlò. “Ti copro io, per il turno. Va da lui!” Gli sottrasse il rastrello. Riku fece un sorriso di consenso e, sotto lo sguardo soddisfatto della ragazza, corse verso la stanza dell’amico. Bussò rumorosamente.
“Apri, Sora.” Ordinò. Non si sentiva parola arrivare dall’interno, allora Riku fece scorrere la porta. Sora era avvolto nelle coperte, tutto rannicchiato su se stesso. L’albino si avvicinò, con passi leggeri. Si chinò sul ragazzo. In quel momento sembrava un cucciolo infreddolito, abbandonato in uno scatolone, in un giorno di pioggia. Fragile e tremante. Impulsivamente gli baciò la guancia, approfittandone spudoratamente, ma non se ne pentì di certo. Il ragazzo continuava tranquillamente a dormire, ma per quanto potesse sembrare sereno, in verità non lo era, o almeno così sembrava all’albino notando, in controluce, la scia umida lasciata dalle lacrime. Passò il pollice sulla guancia che aveva appena baciato: erano sorprendentemente morbide. Sorrise.
“Ti amo, Sora.” Bisbigliò dolcemente.
“Riku?” Lo chiamò l’altro d’un tratto, agitandosi nelle coperte.
“Si?” Balbettò intimorito. Che avesse sentito? Il ragazzo si rigirò e lo guardò.
“Che ci fai qui?”
“Controllavo come stavi.” Spiegò semplicemente. “Cosa hai?”
“Niente.” Si voltò di nuovo, dandogli di spalle.
“Sora, hai pianto?”
“No.”
“Perché hai pianto?” Il castano tirò su con il naso; parlò solo dopo qualche secondo di silenzio. “Perché tu sei sempre infelice, sempre con un’espressione vuota. Dentro di me sento il bisogno di donarti qualcosa che ti permetta di sorridere, ma va sempre a finire che ti arrabbi. I tuoi sorrisi sono così rari… Ed io che vorrei vederti sorridere…” Sospirò.
“Hai pianto per me, quindi?” Chiese l’albino incredulo. Sora evitò di rispondere.
“Sora, posso dirti una cosa?” L’altro acconsentì con un piccolo cenno del capo.
Quello gli si avvicinò all’orecchio, sussurrando: “Ti amo.” Poi si allontanò. Come avrebbe reagito il ragazzo, che stava prolungando il silenzio, come era accaduto quella mattina. Sora si voltò, sedendosi a gambe incrociate. “Me lo potresti dimostrare?” Riku non capì se quella fosse: furbizia, curiosità o semplicemente ingenuità; fatto sta che lo accontentò. Si avvicinò al volto del castano, lasciando il suo sapore su quelle labbra carnose che non avevano mai percepito un tale calore in vita loro.
Sora, che aveva immaginato il giorno prima, come tutta l’adolescenza che aveva vissuto, di baciare Kairi, la ragazza di cui era follemente innamorato –questo lo pensava sempre fino al giorno prima- credendo si sarebbero plasmati in un’unica essenza, in un’unica anima e tutte le sdolcinerie che veniva dopo, adesso tutto gli era stato capovolto da quel ragazzo che non conosceva neanche da un mese e per il quale, tuttavia, il cuore batteva forte, per il quale aveva pianto lacrime amare, mostrandogli quanto la vita non fosse rose e fiori, come lui l’aveva sempre vista –calcolando anche i lati negativi-.
Quando Riku si staccò, lo fece lentamente, quasi per far soffrire il meno possibile quella divisione. Guardò l’altro seriamente, pronto a ricevere qualunque risposta; ma nessuno dei due parlò. Riku si alzò e abbozzò un sorriso dicendo, più per rompere il ghiaccio che per altro: “Se ti senti meglio torna a lavorare, non fare lo scansa fatiche.”
“Riku…” Sussurrò il suo nome come se fosse lontano, irraggiungibile, una preghiera impossibile da realizzare.
“Allora?” Lo incitò a muoversi. Sora si alzò e nel momento in cui lo stava per seguire, l’albino lo fermò. “Sistemati prima.” Indicò lo yukata che si reggeva a mala pena sulla vita del ragazzo. Lui si voltò, sciolse il cordoncino –levando prima il datejime- e rimise bene il tessuto, ma con poco successo. Sbuffò quando, per la terza volta, gli venivano delle pieghe sul petto. Riku sospirò, gli cinse i fianchi da dietro ed iniziò a sistemargli l’indumento. Sora non poté far altro che arrossire. Cercò, con la coda dell’occhio, il volto del ragazzo, che era sulla sua spalla destra. I capelli albini gli toccavano la guancia, quasi accarezzandola; lo sguardo concentrato lo aveva incantato; sentiva persino il suo fiato che gli arrivava come una brezza leggera sul collo. L’emozione lo stava divorando, e non era la prima volta che Riku lo aiutava con lo yukata, eppure… Per prima cosa lo aveva baciato, poi gli aveva sorriso (anche se doveva perfezionarlo), ed infine aiutato, rendendo ogni movimento tremendamente sensuale. Lo sguardo si posò anche sulle labbra, carnose e delicate –l’aveva potuto testare-, leggermente inumidite di saliva. Il desiderio di un nuovo contatto gli pervase la mente, ma cercò di rimuoverlo all’istante –anche se inutilmente-. “Fatto.” Annunciò, come era solito fare. Nel pronunciare la parola le labbra si erano leggermente schiuse, producendo un suono leggero, anche se il tono era forte e chiaro.
“Riku, per caso, tu mi odi?” Gli chiese. Questo dubbio gli era stato di passaggio, ma era strano capire cosa veramente provava il ragazzo con quel comportamento.
“Mi pare di aver dimostrato il contrario, oppure stavi dormendo?” Usò un tono ironico.
“E’ strano.” Balbettò. “Io non ti ho dato neanche una risposta, eppure sei tanto rilassato. Prima ti sei arrabbiato e…”
“Sora.” Lo interruppe. “Ho sbagliato ad arrabbiarmi, non pretendo che tu ricambi, ma ti desidero almeno come amico e poi, con la mia reazione di prima, ti ho fatto piangere ed io non voglio accada. Io amo la tua esuberanza, la tua felicità, la tua allegria; non posso permettere che queste tue qualità svaniscano.”
“Qualità?” Chiese, non capendo perché l’uso di quel termine.
“Si, qualità. Tu solo sei riuscito a farmi sorridere sinceramente.” Per quanto il volto volesse sembrare serio vedeva che dentro era sereno, quasi felice. Il ragazzo arrossì lievemente, imbarazzato da quello che l’altro gli stava confidando con un tono tanto tranquillo. Come ci riusciva? Lui sarebbe piacevolmente morto sul colpo.
“Andiamo a lavoro?” Gli chiese sempre l’albino, accortosi della crescente confusione dell’altro; il quale si limitò ad annuire e a seguirlo.
Non ci stava più capendo molto. Se pensava a Kairi il cuore gli batteva e la mente vagava nelle peggio fantasie, ma se pensava a Riku era sul punto di morire a causa di un infarto, il solo pensiero del suo volto, dello sguardo, gli facevano mancare il fiato, tanto che i polmoni imploravano ossigeno; eppure l’idea di baciare un uomo era così irreale. Sospirò. Le vacanze erano a metà, non aveva molto tempo per mettere in chiaro le idee, ma doveva.
Solo poi si accorse che aveva meno tempo del previsto, perché, probabilmente, sarebbe morto per mano del vecchio Shinohara, che quella volta lo tenne per un’ora nel suo ufficio.






N.d.A.
Mi sono accorta solo ora di aver cambiato Angolo del'autrice in N.d.A. ... Oh, ma chi se ne frega u.u
Eccomi! Strano ma vero. Desideravo lo leggsse, ecco tutto ^^ Sono 7 pagine di word, quindi si può dire che questo è un capitolo lungo (rispetto ai miei standard u.u). Amo ciò che ho scritto per la RiSo, non mi sarei mai aspettata che venisse fuori dal mio buco nero chiamato testa un discorso tanto sensato, romantico, figo (si può dire u.u), stranamente inerente al videogioco! Un avvenimento incredile! Il frammento che più amo è: "Sora non aveva mai notato, come in quel momento, quanto fossero belle le iridi blu dell’albino. Una copertura cristallina che nascondeva quella che era una vita sofferta, quelle che erano le tante lacrime versate e che poi non ci furono più, come esaurite." Non chiedetemi perchè, ma mi piace O.O Poi la scena d'apertura con la Akuroku e la dichiarazione indiretta di Roxas, ah mi sono divertita, eccome se mi sono divertita! Per non parlare poi del comportamento di Kairi! Amo quest capitolo... Lo so, magari a voi non avrà fatto né caldo, né freddo, oppure lo troverete insulso, sciocco, se non scontato... Ma... Insomma io ci ho messo l'anima, ecco! 
Spero che anche voi la penserete come me. 
Alla prossima!
Here we Go!

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Capitolo 12
*** Amore forzato. ***


12


 
“Demyx, si può sapere che fai?” Gli urlò Larxene. Lui le fece segno di zittirsi e tornò ad ascoltare, attentamente, senza perdersi un solo respiro, la conversazione che si stava tenendo nella sua stanza.
“Sei troppo oppressivo, Saix.” Sbuffò Axel.
“Ti vorrei ricordare che eri tu a volermi parlare in continuazione, solo che ultimamente non ti confidi più, anzi mi eviti, senza alcun tipo di riguardo. Si può sapere che ti succede?” Gli chiese irritato.
“Niente. Mi diverto soltanto; con Demyx stiamo facendo la solita scommessa.”
“Solo?” Lo guardò sospettoso.
“Sai di Roxas, vero?” Sapeva che, quando Saix cambiava troppe espressioni qualcosa lo infastidiva e, quando poi lo guardava con sospetto, ecco lì che era venuto a conoscenza di informazione che lui avrebbe preferito rimanessero segrete. Lo guardò con odio –tanto per controbattere con un’espressione-, ma l’uomo riassunse quell’aria indifferente, impenetrabile.
“Tu sai bene chi è quel ragazzino e vuoi veramente…”
“Taci!” Lo zittì, lasciandolo spiazzato. “Io lo amo, questo è tutto.” Era tremendamente serio, quasi Saix si spaventò. Non l’aveva mai visto tanto deciso, poi per quella persona.
“Ami troppe persone, Axel.” Si avvicinò a lui con uno scatto, lo prese per i polsi e lo sbatté al muro. Il rosso strinse i denti per il dolore.
“No, solo Roxas.”
“Non mentire.”
“Non lo sto facendo.” Ci fu silenzio.
Saix strinse di più la presa sui polsi, portandoli sopra la testa e tenendoli con una sola mano. L’altra invece la utilizzò per afferrare il mento del più giovane.
“Axel, ti devo riportare alla memoria chi ti ha fatto diventare adulto nel corpo?” Il citato cercò di fuggire alla stretta, ma era come incatenato e più si muoveva, più la stretta aumentava. L’uomo lo baciò avidamente, facendo entrare nella sua bocca la lingua –che ovviamente fu ripudiata-. Axel provò ancora a dimenarsi, ma non c’era verso. Voleva urlare ‘basta’, ma non ci riusciva.
Appena Saix si staccò, ansimò rumorosamente e sputò a terra.
“Stammi lontano!” Gli urlò.
“Perché dovrei?”
“Mi infastidisci!” Gridò ancora e d’un tratto sentì dentro una sensazione di deja-vù, come se quella scena l’avesse già vissuta, ed infatti era così. Tremò al solo pensiero, mentre sul volto dell’uomo si fece largo un sorriso compiaciuto.
“Ora capisci?” Lo lasciò andare. “Si è sempre sentito così, ad ogni tuo gesto, ad ogni tuo bacio, sempre.”
“Non è vero.” Disse Axel, che era scivolato a terra afflitto, con un filo di voce, accennando un gesto di dissenso con il capo.
“Eppure ne hai avuto la prova.”
Il respiro si fece più affannoso. Aveva veramente fatto provare quello a Roxas? Quel tremendo supplizio?
“Vedi Axel, in realtà tu ami troppo, ma non sei ricambiato.” Gli mise una mano fra i capelli e glieli spettinò. “A parte me. Se vuoi parlarmi, o altro, vienimi a cercare.”  Con passi lenti si avvicinò alla porta.
Demyx e Larxene –che si era messa ad origliare insieme all’altro- si ritirarono, facendo irruzione nella camera di Zexion –che era di fronte-. Quando sentirono Saix allontanarsi tirarono un sospiro di sollievo, ma ricevettero in cambio a quella salvezza dei libri in testa –d’ammirare era l’incredibile mira del ragazzo, che aveva preso in piena fronte, con soli due colpi, entrambi gli impiccioni-. Insieme, gli intrusi, uscirono dalla stanza.
“Allora è così, avevo ragione.” Disse Larxene, pensando ad alta voce.
“Cosa?” Le chiese Demyx, che si stava massaggiando la fronte dolente.
“Saix sta con Axel.” Affermò senza più alcun dubbio.
“A quanto pare.” Ridacchiò. “Povero amico mio, gli vado a tirare su il morale.”
“Se vuoi perderci tempo.” Sbuffò andandosene con passo altezzoso.
Demyx, entrò nella stanza con nonchalance. Axel era seduto a terra, con le gambe divaricate, la schiena poggiata al muro come la testa, e le braccia poggiate sui ginocchi. Lo sguardo era perso nel soffitto, un sentimento colpevole gli premeva sul cuore, sembrava quasi che il suo mondo gli fosse crollato addosso, ma forse era proprio così.
“Axel-kun?” Lo chiamò il biondo, inclinando leggermente il capo. Lui non rispose, tenendo lo sguardo sempre alto. “Che ti ha detto Saix?” Si abbassò verso l’amico.
“Secondo te io ho costretto Roxas ad amarmi? Sempre se così si può dire.”
“Ad essere sincero si. Però, pensala così: se non ricambiava i tuoi sentimenti ti avrebbe già denunciato.” Sorrise.
“Sono una persona orribile…” Si passò la mano sulla fronte, tirandosi indietro dei ciuffi di capelli che gli erano andati sugli occhi.
“Vuoi che ti porti qui Roxa-kun?”
“No e lasciami solo.” Fu diretto e schietto. Demyx sospirò, si alzò e se ne andò.
“Roxas, cosa hai?” Gli chiese Riku fissando il ragazzo che non stava facendo altro che sospirare, tenendo il broncio.
“Sono solo stanco.” Disse la prima scusa plausibile che gli passava per la testa, anche se era stata eccessivamente scontata. Riku però stette in silenzio, accontentandosi di quella vaghezza, non aveva senso cercare di convincere il ragazzo a parlare.
“Sicuro che non ne vuoi parlare, sembri a pezzi.” Però, essendo amici, poteva anche provare ad insistere.
“D’accordo, solo se poi tu risponderai ad una mia domanda.” Propose.
“Affare fatto.” Annuì. “Scommetto c’entri Axel.” Disse prima che l’altro potesse aprire bocca.
“Ma se già lo sapevi, perché l’hai chiesto?”
“Non ci vuole molto a capire chi ti fa stare così, anche se non capisco il perché.”
“Oggi non si è fatto vedere, ed è strano…” Sospirò, ancora.
“Vai nella sua stanza, che aspetti?” Roxas lo guardò con uno sguardo fra l’irritato e l’imbarazzato.
“Sei per caso pazzo? No, no, non è normale, andare nella sua… Pft. Neanche a pagarmi.” Ridacchiò nervoso.
“Roxas, non puoi aspettarti che faccia tutto lui, lo sai vero.” Gli fece notare con tono pacato. Era incredibile quanto sangue freddo avesse quel ragazzo.
“Io… Io non voglio che faccia qualcosa, quindi sto bene così.”
“Stai negando ciò che hai affermato, sei infantile.” Lo spiazzò.
“Non sono infantile.”
“Lo sei.” E il biondo si zittì. “La tua domanda?” Gli chiese Riku.
“Tra te e Sora c’è qualcosa?” A quelle parole fu l’albino a sospirare.
“Io ho confessato i miei sentimenti a tuo fratello, lui però non mi ha risposto.” Spiegò triste. Roxas non aggiunse altro, però il pensiero che Axel avesse visto giusto lo faceva innervosire.
“Qui ho finito.” Annunciò l’albino sbattendo le mani fra loro per pulirle dalla polvere. “Che ne dici se finisco anche le tue mansioni?” Roxas lo guardò interrogativo. “Così puoi andare da Axel.” Si spiegò. Roxas, arrossito, tossì ed annuì. “Grazie.” Si inchinò persino.
E così, il coraggioso Roxas andò nella tana del leone.
“Che stai facendo ragazzino?” La voce dura di Saix fece rabbrividire Roxas, che era fermo davanti la porta della camera di Axel. Non aveva trovato il coraggio per bussare e quindi era rimasto per 10 minuti a guadarsi intorno, incerto sul da farsi.
“Volevo… Dovevo… In verità…” Balbettò, cercando una scusa sensata, ma la voce tuonante di Saix che gli chiedeva la verità, lo fece tremare e confessare: “Sono qui per vedere come stava Axel.” Saix accennò un sorriso, anche quello pauroso.
“Perché?”
“Beh… Oggi non l’ho visto e…”
“Che bisogno c’era di vederti?” Roxas stava per entrare nel pallone, era peggio di un interrogatorio.
“Non saprei.”
“Allora cosa vuoi? Cosa sei tu per lui?” Domanda imprevista e tabù.
“Un amico, nient’altro.” Abbassò lo sguardo, quasi quella parola l’avesse ferito.
“Puoi andartene, Axel non sta molto in forze, mi sto occupando io di lui.”
“Va bene. Allora, buona giornata.” Fece un inchino, si girò e si allontanò. Saix, invece entrò e fu in quel momento che Roxas si fermò. Perché se ne doveva andare? Lui voleva vedere Axel! Non aveva di certo bisogno del permesso speciale di qualcuno. Tornò indietro con passo veloce e marcato e con forza aprì, senza preavviso, la porta della stanza assistendo ad una scena imbarazzante. Saix mentre baciava il collo del rosso, inerme, era intento a levargli lo yukata. Lo spettatore iniziò ad aprire e chiudere la bocca senza emettere suono.
“Roxas, io…” Scattò subito Axel, scansandolo da davanti a sé l’uomo.
“No, no, scusatemi tanto, non sarei dovuto entrare in questo modo.” Ridacchiò nervoso, per poi fare un inchino. Però, mentre si stava per girare così che se ne sarebbe andato scappando da quel momento imbarazzante, si rese conto di quanto tutto fosse sbagliato. Che ci faceva Axel in balia di un altro? Non era proprio lui che gli aveva detto: ‘Ti amo’ talmente tanto che se avrebbe continuato  a quel ritmo, sarebbe morto velocemente? Si voltò, pieno di rabbia –anche se, l’espressione che assunse fu solo che buffa- e gridò: “Si può sapere che stai facendo?!”
“Stiamo avendo un rapporto intimo, idiota.” Sbuffò Saix innervosito dell’interruzione.
“Lo noto, non sono stupido.” Controbatté.
“Roxas, vattene.” Gli disse Axel freddamente.
“Che?!” Spalancò la bocca a quell’ordine. “Si può sapere che ti prende?”
“Vattene e basta.” Ripeté. Roxas si sentì una morsa al cuore, perché lo stava cacciando? Perché doveva…? Aveva mentito tutto quel tempo, eppure… No, non poteva essere vero.
“Come ti pare, tanto a me non interessa.” Singhiozzò. “Me ne vado…” Si strofinò il naso.
“Allora perché sei ancora qui?” Gli chiese Saix, sempre più irritato.
“Perché me ne vado, solo se lui viene con me!” Con uno scattò prese il polso di Axel, che velocemente si alzò, trascinato dal ragazzo, con il quale corse via.
“Roxas, diamine! Fermati!” Ma il ragazzo non gli diede retta. Il rosso dovette ricorrere alla violenza, tirandolo a sé, prendendolo per i polsi e sbattendolo al muro più vicino. “Che fai? Che ti prende?” Roxas ansimò e strinse i denti. “A me che mi prende? A me?!” Gli urlò Aveva le lacrime agli occhi e a quella vista Axel si sciolse come neve al sole. Lasciò la presa che aveva sull’altro, spaventato da sé stesso, cosciente di essere in torto, rendendosi conto che era tutta colpa sua, ancora. “Scusami…” Bisbigliò. “E’ tutta colpa mia.”
“Di che colpa parli?” Gli chiese il biondo asciugandosi le lacrime.
“Tu non sei innamorato di me, non è vero?”
“Come?” Si guardò intorno accertandosi di essere nella realtà e non in qualche dimensione parallela, dove tutto era l’opposto della verità.
“E’ così, d’altronde. Io ti ho costretto ad amarmi… Quindi tu che motivo avresti di provare un qualunque sentimento nei miei confronti? Nessuno, è così.” Roxas non riusciva a capire da quale pulpito uscisse quella autocritica, che senso aveva dire cose che lui non aveva mai pronunciato o minimamente pensato? La cosa lo fece infuriare.
“Axel, si può sapere chi ti ha detto queste idiozie?” Cercò di trattenersi, moderando il tono.
“Se continuiamo così credo potrei morire. Non sopporto la pietà.” Disse sprezzante.
“La pietà?”
“Smettila Roxas! Tutte quelle volte che volevi scappare ed io ti ho trattenuto… Tu mi odi, non mi ami, ti ho solo torturato.” Continuò a spiegarsi, ma Roxas proprio non riusciva ad afferrare il senso del discorso, gli mancava una parte.
“Ma che co…”
“Basta Roxas! La storia finisce qui, è inutile che adesso mi cerchi! Sono stato un verme, lo so, non mi serve il tuo sguardo critico per capirlo! E adesso vattene, lasciami stare! Non capisco proprio perché continui a parlarmi se mi odi, se mi trovi…”
“Taci!” Lo interruppe bruscamente. Axel si ammutolì, stupito e spaventato da quella reazione. “Per prima cosa tu non decidi per me; io scelgo quello che provare nei tuoi confronti e vorrei proprio sapere quando ti ho detto di odiarti, quando ti ho detto di disprezzarti e soprattutto quando mai ti ho criticato. Per cui non ti permetto di dire cose non vere, di insultarti usando il mio nome, così che qualcun altro si addossi la colpa della tua autocommiserazione. E comunque, tanto per la cronaca, se veramente avessi voluto sottrarmi alle tue attenzioni ti avrei riempito di botte e accadrà se adesso non ti riprendi immediatamente! Demente di un rockettaro!” Sbuffò incrociando le braccia, continuando a borbottare qualche nota di disapprovazione nei confronti del suo interlocutore, che non riusciva a dire nulla, a parte un ‘ma’ che aveva aperto un discorso non concluso.
“E’ tutto, ora me ne vado veramente!” Sbuffò ancora il biondo.
“Quindi…” Esordì l’altro, accertandosi che Roxas fosse attento a quello che stava per dire. “… Non mi odi?”
“Certo che no, demente! Io ti amo, vuoi capirlo una buona volta, diamine!” Gli urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Poi, una volta aver realizzato quali parole aveva pronunciato, si schiarì la voce e con un fare professionale, disse: “Mi congedo dalla nostra disputa, arrivederci.” Fece un inchino. Si voltò e, con un’andatura estremamente rigida –sembrava quasi fosse un soldatino di legno-, fece un passo per allontanarsi, ma neanche arrivò il secondo che la mano di Axel lo aveva bloccato.
“Roxas, sei senza speranza.” Lo tirò a sé e lo abbracciò.
“Mollami, mollami!” Si dimenò.
“Mai e poi mai.” Ridacchiò.
“Che fine ha fatto il discorso: se mi urlavi ‘lasciami’ tutte quelle volte vuol dire che mi odi, e via dicendo?” Gli chiese, imbruttendo la sua voce, credendo di imitarla, nella parte che riprendeva il discorso di Axel.
“Ho solo provato ciò che ti facevo, o per lo meno ho provato ciò che credevo ti facessi.” Gli spiegò.
“Chi…” Axel gli chiuse la bocca con un bacio.
“Non preoccuparti, è una mia faccenda personale. Non preoccuparti.” Ripeté di nuovo scandendo le ultime due parole.
“Invece mi preoccupo, insomma…” Sbuffò, gonfiando le guance.
“Cambiando discorso, cosa mi hai detto poco fa? Io ti amo, vuoi capirlo una buona volta… Mi pare che hai detto proprio questo, o sbaglio?” Roxas arrossì e iniziò nuovamente ad agitarsi. “Ti sbagli, ti sbagli! Comprati un apparecchio acustico! Io ho detto non ti odio, e ciò è diverso dal ti amo.”
“Capisco. Allora quando ti deciderai ad ammettere i tuoi sentimenti?”
“Non provo nulla per te, quindi non devo ammettere nulla.” Spiegò con un tono da saputo, ma ciò fece stringere l’abbraccio.
“Sei così carino, Roxa-kun.” Fece strusciare la sua guancia contro quella del biondo.
“Axel, demente, lasciami andare. Imbroglione, maledetto!” Cercò di allontanarlo da sé, facendo leva sul suo petto.
“Roxas… Sawamura?” Una dolce e flebile voce femminile pronunciò quel nome incerta. Il diretto interessato si volse nella direzione della voce. Capelli biondi e voluminosi, occhi azzurri chiari, pelle bianca latte e lineamenti delicati.
“Naminé?” Balbettò lui, più incerto di lei. La ragazza annuì avvicinandosi. Axel lasciò la presa, liberando così il ragazzo che corse incontro l’amica.
“Come mai qui?” Le chiese emozionato.
“I miei genitori hanno avuto le ferie in questo periodo e così ne abbiamo approfittato per venire a rilassarci.” Sorrise. Quel sorriso tanto solare quanto fragile, fece arrossire di poco Roxas. Axel, che stava assistendo a tutto, sbuffò. Il biondo lo stava oscurando completamente. –“Le donne, che potere mai avranno per far rincoglionire qualunque uomo.”- Pensò scuotendo la testa sconfitto.
“Lui chi è?” Chiese poi la ragazza, l’unica che si era ricordata della presenza del rosso.
“Uno che è meglio non conoscere.”
“Ma lo stavi abbracciando.”
“In realtà è il contrario.” Specificò.
“Non avrò per caso interrotto qualcosa di importante.” Disse cadendo subito in imbarazzo.
“Effettivamente…” Stava per dire Axel, ma fu bloccato dal tono più acuto di Roxas, che pronunciò un: “Affatto!”
“Okay…” Balbettò.
“Dimmi Nami-chan, posso aiutarti in qualche modo? Sai, quest’anno sia io che Sora siamo alle dipendenze del nonno di Kairi.”
“Davvero? Quindi potremo passare molto tempo insieme, sarà magnifico! Allora mi potresti aiutare con il bagaglio?” Gli chiese. Roxas sorridendo annuì, come un cucciolo fedele.
“Io me ne vado, Hachi-kun.” Lo salutò Axel ghignando. “Ti vengo a cercare dopo.”
“Stupido.” Sbuffò Roxas guardandolo allontanarsi. A Naminé scappò una risata minuta –“Niente di importante eh? Roxa-kun, sei un pessimo bugiardo.”-
Prima della conclusione della giornata, Kairi decise di parlare con Sora per chiedergli cosa gli fosse accaduto ieri, ma il ragazzo svagò senza dare spiegazioni, a quel punto la ragazza dovette andare a chiedere a Riku, ma lui, in tutta risposta le disse: “Chiedi a Sora.”, ma non si arrese e così, essendo stati affiancati i due possibili amanti all’ultimo turno, e lei i suoi li aveva terminati, decise di spiarli. Non era una cattiva azione, era solo un modo per soddisfare la sua curiosità e studiare le tattiche del nemico. Solo che i due, inaspettatamente, stettero zitti per molto tempo, senza neanche guardarsi negli occhi e solo quando la speranza di ricavare informazioni stava per abbandonare la ragazza dai capelli rossi, Sora parlò.
“Senti Riku, è dall’altro ieri che te lo vorrei chiedere.” Disse timidamente.
“Cosa?” Gli chiese l’altro con tono piatto.
“Perché mi hai detto che la signora Shinohara mi aveva chiamato se non era vero?”
Riku si irrigidì e fermò lo scopettone, con il quale stava pulendo il pavimento intorno gli armadietti dello spogliatoio.
“Non volevo che dicessi a Kairi che l’amavi.”
“Quindi ci stavi spiando?” L’albino stette zitto, anche se quella era una domanda retorica. “Sono felice.” Commentò poi.
“Per cosa?” Chiese stupito, Riku.
“Vedi… Se avessi detto di si a Kairi, tu probabilmente non mi avresti detto i tuoi sentimenti e così, ora, saresti triste.” Gli sorrise. “Alla fine è andata proprio bene.”
“Sora, te però ami Kairi giusto?”
“Si…” Balbettò incerto.
“Beh, se la ami dovrai dirglielo prima o poi, non credi? Insomma, non puoi non vivere il tuo sogno d’amore perché potresti rendermi infelice. Sai a me basta essere amici.” Accennò un sorriso.
“Non mentirmi Riku, non mi piace. Soffriresti solo.”
“Fa parte della vita.”
 “Però…”
“Sora, ascoltami bene. A volte pensare a sé stessi e non agli altri è la migliore scelta, perché molte delle persone in questo mondo sono meschine e pensano solo al loro profitto, se tu sarai accondiscendente con tutti, non avendo una tua personalità, verrai continuamente usato.” Sora si morse il labbro. Di nuovo quel tono serio, quasi da rimprovero. Odiava la sua ingenuità.
“Però se mi sarai amico sono certo che nessuno avrà mai l’occasione di usarmi.” Gli sorrise.
“Sei incredibile Sora.” Sorrise anche lui.
“Facciamo questo patto!” Esordì d’un tratto il castano. “Se non mi sorriderai sinceramente e come si deve dovrai leggere un manga con me; se invece io mi farò sottomettere dagli altri, allora… Non so, scegli tu.”
“Ti potrò baciare.”
“Ma questo è sfruttamento.” Sbuffò.
“Anche il tuo. Mi vuoi far piacere per forza i manga.”
“E va bene. Faremo come dici tu.” Riku gli si avvicinò, gli prese il mento e lo baciò a tradimento. Sora si pietrificò, riuscendo a riprendersi solo quando il ragazzo si divise da lui, mordendogli il labbro inferiore.
“Perché l’hai fatto?!” Si coprì la bocca, allontanandosi.
“Non hai fatto valere la tua posizione. Se non volevi che questa fosse la tua punizione dovevi per lo meno insistere.” Lo guardò serio.
“Traditore.” Incrociò le braccia e volse lo sguardo all’indietro, facendo il sostenuto.
“Ammetti comunque che non ti è dispiaciuto.” Disse malizioso.
“Ma sei per caso matto? Ammettere che? I baci di Kairi sarebbero qualcosa di migliore, secondo me.”
“Convincitene quanto preferisci, tanto sai che non è così.” Lo continuò a stuzzicare.
“Invece è così!”
“No, non lo è. Perché anch’io preferirei un bacio di Kairi ai tuoi, sei pessimo; quindi, quello che in realtà è il problema, sei tu.” Gli spiegò. Sora strabuzzò gli occhi, poi si fece pensoso. Se, come diceva Riku, era pessimo a baciare, non avrebbe mai trovato una ragazza, e lo stesso anche Kairi non lo avrebbe più considerato; il dolce tocco, l’unione delle loro anime.
“Fantasie che si vanno a sfumare… Vita rovinata…” Disse afflitto.
“Sora, sei proprio ingenuo.” Sospirò l’albino.
“Non è vero!”
“Invece si. E poi scusami, se tanto ami Kairi, perché non glielo vai a dire ora? Anche lei è pazza di te, sai.” Questa rivelazione, fece arrossire la spia, nella quale un intento omicida crescente si faceva spazio, prevalendo su tutti i sentimenti. Avrebbe ucciso con gioia, e senza rimpianti, quell’albino doppiogiochista.
“Pazza di me?” Gli fece eco, balbettando. Se era così gli bastava andare dalla ragazza, confessargli il suo amore e … Però, perché l’incitamento da parte del ragazzo l’aveva turbato? Perché la battuta ‘anch’io preferirei baciare Kairi’gli aveva procurato una morsa allo stomaco?
“Esattamente.” Lo guardò. “Senti, che ne dici se finisco qui io, praticamente non mi sei di alcun aiuto.” Disse schiettamente.
“Sempre gentile.” Borbottò il ragazzo, lasciando solo l’altro.
Kairi finse di star per arrivare e si scontrò con Sora, il quale salutò con un largo sorriso: “Buonasera Sora, come mai qui?”
“Stavo per andare in camera, tu?”
“Io?” Si guardò intorno. “Beh… Ti stavo cercando!” Affermò quasi urlando.
“Per cosa?” Chiese curioso, ed emozionato.
“Per concludere il discorso che abbiamo iniziato l’altro giorno.” Arrossì, abbassando lo sguardo. Iniziò a giocherellare con le dita e disse, balbettando: “Sora, ma io ti piaccio?”
Il castano strabuzzò gli occhi, stupito dalla domanda completamente inaspettata. Doveva dire di si, se Riku non aveva mentito anche Kairi l’amava, quindi non sarebbe stato rifiutato, ma, in realtà la paura che gli premeva sul cuore, non era quella del rifiuto, ma quella del pentimento. Non era più sicuro se veramente amava Kairi, però si sentiva ugualmente legato, che doveva dire? Si, no? Che ne sarebbe stata dell’amicizia con Riku? Sicuramente si sarebbe fatta più tesa, lui però non voleva, lui voleva averlo accanto, ma non l’amava, eppure…
“Allora, Sora-kun?” Gli chiese nascondendo l’insistenza e la curiosità, con un tono dolce.
“Beh…” Deglutì. Non poteva che rispondere così.
 


N.d.A.
Avete notato la manchezza delle note? Una rottura in meno da leggere, evviva! Gioite pure (anche se per poco).
Già dal titolo si poteva iniziare a fare congetture strane e contorte, ed invece: Hachi ce l'ha fatta! Certo si è rimangiato tutto poi, ma l'ha detto! Stappiamo una bottiglia per Roxas! Allegria! Campai (cin cin in giapponese, anche se non sono sicura si scriva così O.o)! Bene, bene. Tutti pollici in giù per Saix, che cattivo <.< Ma parliamo della RiSo: cosa sceglierà Socchan? Curiosi? C'è una possibilità che dica no quante ne dica sì... Ama Riku, ma anche Kairi; non vuole deludere Kairi, ma neanche Riku... Povero ciccio! Poi Larxene e Demyx impiccioni e Zexion con la mira perfetta? Si, volevo proprio fare una scena del genere u.u. Beh, avviso che il prossimo capitolo è uno tra i più belli, soprattuto per quello che accade, per niente programmato! Ma questa volta non lo metterò subito igh igh.
Alla prossima!
Here we Go!

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(Disegno ispirato a ciò che pensa Axel quando Roxas si dichiara: "Sì, si è dichiarato! Banzai!" Scusate la pessima qualità, ma non so usare lo scanner...)

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Capitolo 13
*** Pomeriggio fuori. ***


13




Il sole, che splendeva alto nel cielo privo di nuvole, si rispecchiava nelle acque limpide e calme dei canali, orlati di salici ed edifici con lo stesso design dell’Onsen, tipici di Kinosaki. Tirava un vento leggero, che rendeva più sopportabile il caldo afoso. I ragazzi, vestiti in borghese, seduti su un muretto, aspettavano un autobus per andare al centro della cittadina e godersi le bancarelle allestite per quel giorno. Kairi sedeva tra Sora e Naminé; indossava una canotta giallognola bordata di fucsia, dei pantaloncini jeans e delle semplici scarpe da ginnastica bianche. Con un gesto veloce sottrasse a Riku il suo cappello con la visiera nero e lo indossò sorridendo. Roxas era intento a consultare il tabellone con gli orari del bus e il suo orologio, ma non contento chiedeva anche a chi come loro aspettava, informazioni; il mezzo era in ritardo di cinque minuti. Sora continuava a giocherellare con la catenina d’argento attaccata alla cerniera di una delle tasche dei pantaloni larghi e blu; era troppo imbarazzato per parlare con la ragazza al suo fianco e troppo pentito per poter soltanto guardare l’albino che era alla sua destra. Naminé lanciò un’occhiata veloce al gruppo. La situazione tra loro sembrava calma, ma tesa allo stesso tempo; essendo appena arrivata non poteva di certo pretendere di capire cosa era accaduto, ma era comunque felice nella sua ‘ignoranza’; da tanto non vedeva Sora e Roxas, mentre Riku e Kairi gli erano mancati e stare con loro gli andava più che bene. Si alzò e andò accanto il biondo che si sporgeva sulla strada, sperando di vedere l’autobus in lontananza.
“Come mai tanta fretta?” Gli chiese sorridente.
“Fretta? No, ma cosa dici, quale fretta.” Ridacchiò nervoso.
“Dalla tua reazione direi che ti sei accorto di loro.” Rise. “Non sono dei bravi pedinatori.” Roxas sospirò malinconico.
“Temo non mi libererò di loro facilmente.” Naminé non poté altro che annuire, concordando.
“Però potremmo fargli pentire questo pedinamento.” Lo afferrò sottobraccio. “Fingiamoci una coppietta.” Roxas arrossì.
“Nami-chan, non puoi dire così… Insomma…”
“Non ci dobbiamo mica baciare. Ora vieni a sederti e tranquillizzati.” E lo riportò con il gruppo.
“Sora, non mi sta benissimo?” Disse Kairi facendo delle pose per sfoggiare il cappello.
“Uh… Si molto bella.” Balbettò.
“Ma insomma.” Sbuffò. “Si può sapere perché sei tanto distratto?”
“Perché, vedi…” Iniziò a pensare ad una spiegazione, ma l’albino intervenne, salvandolo dalla situazione.
“Kairi, non riesci a capirlo da te? Quel cappello ti sta orribilmente. Sora è deboluccio, quindi se ti dovesse fissare troppo a lungo potrebbe sentirsi male; non biasimarlo.”
“Quindi in breve mi stai dicendo che se lo indossassi tu, Sora si potrebbe sentirti meglio.”
“Io ho detto che se vede te si sente male.”
“Guarda tu da quale pulpito arriva la critica. Il cappello, comunque, non te lo ridò.” Gli fece la linguaccia, abbassando la palpebra inferiore dell’occhio. Sora, che aveva guardato il battibecco tra due, si era sentito tirato in causa troppe volte, ma preferì non dire niente a sproposito; la sua attuale posizione non glielo permetteva.
“Eccolo!” Esultò Roxas tutto contento. Naminé gli cinse il braccio e gli diede un bacio sulla guancia, lasciandolo un po’ perplesso e imbarazzato –soprattutto quest’ultima-.
“Mi divertirò molto in questa parte.” Sorrise emozionata. Roxas invece sorrise preoccupato. Naminé faceva parte del club del teatro nella sua scuola ed era veramente eccezionale come attrice -una volta aveva anche visto l’interpretazione di Amleto in cui Naminé era Amleto-, però lui no! Lui, anzi, era un pessimo attore, non riusciva neanche a dire la più semplice delle bugie e ora doveva recitare la parte dell’innamorato? Con quegli occhi verdi e vispi che controllavano da lontano ogni suo movimento, capendo ogni sua emozione? Sarebbe stato un lungo pomeriggio.
I ragazzi si sedettero in coppie da due e fu Riku l’unico che rimase solo.
“Sora.” Gli sussurrò Kairi. “Entro la fine della giornata, ce la farai darmi un bacio davanti a tutti? D’altronde adesso stiamo insieme, no?” Sora sorrise malinconicamente, annuendo. Erano fidanzati ormai, doveva entrare in quest’ordine d’idee.
 
“Allora, Sora-kun?” Gli chiese nascondendo l’insistenza e la curiosità, con un tono dolce.
“Beh…” Deglutì. Non poteva che rispondere così. “… Si, mi piaci molto Kairi-chan.” Le sorrise.
“Davvero!” Si finse stupita. “Quindi, da adesso… Saremo fidanzati?” Sora esitò un attimo prima di annuire e baciarla dolcemente.
Tutte le sue immaginazioni si rivelarono vere. Poté assaporare tutto di lei, sentendosi molto vicino alla sua anima. Il lucidalabbra che aveva sapeva di ananas, però profumava di fragola. Era un sogno che si realizzava… Però si sentiva vuoto, non riuscendo a percepire la bellezza di quel contatto. Voleva sentire qualcosa di più forte, qualcosa più simile a Riku. Forse li stava spiando, però non voleva vedesse che stava baciando un’altra. Perché aveva detto di si a Kairi, se amava Riku? No, non poteva amarlo, non era amore, non poteva essersi innamorato in così pochi giorni, di un ragazzo poi. Si staccò guardandola in volto. Aveva gli occhi socchiusi e il volto rosso. Per lei quel bacio aveva significato qualcosa, si sentiva tremendamente in colpa.
 
“Sora!” Lo scosse la rossa. Lui si voltò e la guardò con sguardo perso. “Ma si può sapere che hai?” Sbuffò irritata.
“Niente di che, fa troppo caldo.” Si prese il collo della maglietta bianca e lo mosse per rinfrescarsi. La chiave nera stampata sulla maglia si piegò e tirò a seconda del movimento eseguito. A Riku scappò una risata e Sora si girò a guardarlo; ma neanche all’incrociarsi dei loro sguardi che il castano aveva già abbassato il suo. Le gote gli si tinsero di un leggero rossore, che non passò inosservato a Kairi, la quale sospirò, girando la testa verso il paesaggio che scorreva veloce, oltre il vetro; purtroppo per lei conosceva bene il ragazzo, quindi il suo compito, in quel momento, era quello di far ammettere all’amico di amare quel maledetto doppiogiochista alla follia. Esserne cosciente, però, le faceva male.
Roxas, invece, aveva poggiato il gomito accanto il finestrino e ogni tanto lanciava un’occhiata alla strada che si lasciavano dietro, controllando se Axel lo stava seguendo.
Da quando aveva messo piede fuori dall’Onsen si era accorto della presenza di lui, in compagnia di Demyx. In realtà a farglielo notare era stato Riku che, mentre si stavano dirigendo alla fermata, aveva indicato una ‘fiaccola’ nascosta dietro un albero.
“Ti piace proprio, quel ragazzo.” Disse allegramente Naminé.
“Già.” Le confessò Roxas sovrappensiero. Alla ragazza scappò una risatina e il biondo la guardò interrogativa.
“Credevo sarebbe stato più difficile fartelo ammettere.”
“Come?” Non riusciva a capire che intendesse la ragazza.
“Ti ho chiesto se ti piaceva il tuo pedinatore e tu mi hai risposto: già.”Gli sorrise.
“Cosa, quando, perché?” Disse velocemente, arrossendo.
“Innamorato cotto.” Confermò stupita.
“Nami-chan, ma che dici….” Sospirò. “Tutti contro di me.” La ragazza ridacchiò diabolicamente.
Una volta arrivati, Kairi propose di dividere il gruppo per vedere le bancarelle, perché, secondo lei: “Con voi uomini tra i piedi sarà impossibile vedere tutti gli articoli esposti e comprare qualcosa; sareste utili solo per portare gli acquisti.” I tre non osarono contraddirla e la lasciarono andare, trascinandosi Naminé dietro.
“Io ho sete, vado a prendermi qualcosa –indicò un bar di fronte a loro- aspettatemi qui.” Disse loro Roxas, che corse verso il locale. Riku, però, prese Sora per un polso e iniziò ad addentrarsi tra la folla.
“Aspetta Riku, Roxas non è tornato, poi non ci trova.”
“Non preoccuparti, lui non vorrà di certo stare con noi.” E lanciò un’occhiata ad un tavolo di un bar che stava più lontano dalla loro posizione. Sora non capendo seguì l’albino, sperando che poi il cugino non l’avrebbe riempito di botte.
Quando, però, Roxas tornò, accorgendosi di essere stato abbandonato, pensò non solo a prendere Sora a pugni, ma anche di, visto che c’era, squartarlo e poi usare le sue ceneri per un acquario o un’isola per le tartarughe. Sospirando si poggiò al muro accanto l’entrata del bar, sorseggiando il calpis(*) che aveva appena comprato.
“Gli do 10 secondi.” Disse fra sé e sé.
10…
-“Chissà se verrà allo scoperto.”-
9…
-“Verrà, non è il tipo da tirarsi indietro da una tale opportunità.”-
8…
-“Ora che poi sono qui, tanto tranquillo ad aspettarlo.”-
7…
-“Forse non verrà vedendomi tranquillo?”-
6…
-“Mi faccio veramente troppi problemi.”-
5…
-“Non si può amare così tanto una persona… Poi io non lo amo!”-
4…
-“Non sembra sia nei dintorni, ma si farà vedere.”-
3…
-“Comunque, se non verrà, sarà meglio per me.”-
2…
-“Starò più tranquillo.”-
1…
-“Però fa proprio caldo, sarà meglio che rientri nel bar se non arriva.”-
0…
Nessun’anima viva all’orizzonte, neanche l’ombra di quel ragazzo troppo alto e strano, con dei segni che significavano qualcosa di ambiguo sulle guancie. Niente di niente, zero assoluto, riusciva a percepire solo l’odore di alcuni dolci che vendevano alla fiera, oltre il gran caos causato dalle persone –sempre intento a consultare la merce delle bancarelle-. Roxas agitato si guardò intorno, una volta a destra, l’altra a sinistra, e fece lo stesso movimento una decina di volte prima di convincersi di essere solo. Solo come un cane.
“Baka-Axel(**)! Prima mi pedini e poi non ti fai vedere?!” Ringhiò. Poi, casualmente, scorse con la coda dell’occhio, in un vicolo cupo, dei capelli rossi molto simili a quelli del ricercato.
-“E’ sicuramente lui, chi mai indosserebbe dei capelli pettinati in quel modo.”- E soddisfatto, con un fare quasi furtivo, si avvicinò al soggetto e, quando girò l’angolo per guardare chi fosse, si accorse che non era chi cercava.
L’uomo davanti a lui aveva i capelli simili, quasi uguali, a quelli di Axel, ma per il resto erano diversissimi. Occhi grigi di cui lo sguardo incuteva paura –la stessa sensazione che provava quando guardava Saix-, aveva un pizzetto e una barba folta, lineamenti marcati e corporatura robusta. Teneva tra le labbra screpolate una sigaretta, che era più cenere che tabacco; espirò il fumo sul volto del biondo che tossì violentemente.
“Che hai da fissare, bamboccio?”
“Nulla signore, scusi.”
“Signore?” Inspirò ed espirò, sbuffando. Si tirò su le maniche della giacca verde militare, mostrando un tatuaggio maori. Il telefono dell’uomo squillò –la suoneria era quella già impostata dei Nokia- e quello prontamente rispose:
“Pronto?” Portò nuovamente la sigaretta alla bocca, fece una grande inspirata e poi buttò a terra la chicca completamente consumata. La voce dall’altra parte della cornetta gli disse qualcosa e l’uomo continuò a parlare in un’altra lingua, non conosciuta al ragazzo.
In quel momento anche lui decise di prendere il cellulare per chiamare il cugino, ovviamente però, il telefono squillava, ma nessuno rispondeva. Non si arrese e riprovò, senza successo. Intanto il tizio dai capelli rossi attaccò e iniziò a frugare nella tasca gigante del cappotto. Certo che era proprio strano, indossare un soprabito con quel caldo, però non ci fece caso più di tanto, d’altronde non lo indossava mica lui. Aprì la rubrica in cerca del numero di Riku, però poco prima di riuscire a cliccare sul numero, sentì una lama affilata d’acciaio, poggiarsi sul suo collo.
“Stai buono, bamboccio oppure ti taglio il collo. Metti via quell’affare e vieni con me senza fare storie, capito?” Roxas deglutì e terrorizzato annuì.
L’uomo lo prese brutalmente per i polsi, che fece scontrare con la schiena, e, puntando il coltello tra le spalle, iniziò a spingerlo, portandolo in un edificio decadente, con fuori un’insegna sulla quale non si riusciva più a leggere quello che c’era scritto.
“Mi lasci andare!” Continuò ad urlare Roxas nella speranza che qualcuno potesse sentirlo.
“Sta zitto! Se continui ti strapperò la colonna vertebrale con le mani!” Il ragazzo tacque e iniziò a tremare. Cosa ne sarebbe stato di lui? Dove stava andando e dove si trovava? Voleva morire… La paura nell’affrontare quello che gli aspettava era troppa. Perché proprio a lui? Cosa aveva fatto di male per meritarsi tanta sofferenza?
L’uomo lo spinse dentro il palazzo. Uno stretto corridoio portava ad una rampa di scale marce. Le finestre erano sbarrate da delle aste di legno, sul pavimento, sempre in legno, c’era un tappeto rosso e consumato, l’unica illuminazione era data da alcune lampade al muro che producevano una luce fioca, tra queste ce ne erano delle pendenti, con i cavi mangiati dai topi, dei quali si potevano sentire i rumori delle zampe che correvano e dei tetri squittii. Salirono le scale che scricchiolarono pericolosamente. Roxas fu fatto entrare nella prima porta a destra della rampa. Una stanza dalla tappezzeria rosso vermiglio, illuminata solo da due lampade poggiate sui comodini accanto il letto matrimoniale polveroso dalle coperte rosse carminio. A differenza del piano inferiore, davanti le due finestre presenti c’erano delle tende –rosse- e una di esse era aperta. Poggiata al davanzale di essa c’era un uomo alto dai capelli biondo chiaro e lisci, che indossava uno smoking, completo di gemelli e scarpe lucide, intento a fumare una sigaretta. Cosa ci faceva un uomo ‘di classe’ in quel luogo abbandonato dagli uomini e persino da Dio?
“Eccolo, signore.” Disse l’uomo barbuto lanciando Roxas sul letto. L’uomo al davanzale guardò l’altro, poi passò ad esaminare il ragazzo. Annuì e disse qualcosa in straniero mentre prendeva dalla tasca il portafogli. Il rosso scosse le mani e rispose sempre nella lingua sconosciuta. Quello si strinse fra le spalle, rimise in tasca il portafogli e fece segno di lasciarlo solo con il giovane. Il barbuto, con un cenno del capo, quasi sottomesso, uscì chiudendo la porta.
Sul volto dell’uomo si fece largo un ghigno ed, iniziando a levarsi la cravatta, gli disse: “Tu sei il nuovo gioiellino di Ugo, quindi. Non avrei mai immaginato che quell’uomo rozzo mi avrebbe portato in poco tempo un bel ragazzo come te.” Se quello era un complimento, non raggiunse Roxas in alcun modo. Spaventato, tremante, scioccato, era sdraiato su quel letto, mentre sudava sangue freddo e respirava a mala pena. Le lacrime iniziarono a sgorgare, quando l’altro lasciò cadere a terra la cravatta nera e la giacca del medesimo colore. Si sbottonò i primi bottoni della camicia bianca e si chinò su Roxas che iniziò ad agitarsi come una furia.
L’uomo gli si sedette sul suo inguine, bloccandogli gambe e polsi. “Sei vergine, per caso?” Roxas non rispose, continuò a scalciare. “Poco importa, non avrò il minimo riguardo per il tuo bel corpicino.” Ridacchiò. Il ragazzo gli morse il braccio, quello non poté far altro che lasciare la presa e nel momento in cui stava per riprendere il controllo sul giovane, questi gli diede un pugno dritto in faccia, che però fece solo peggiorare la situazione.
“Brutto stronzo! Adesso te ne farò pentire!” Nuovamente lo bloccò e, levandogli brutalmente la maglietta, inizio a leccarlo dal collo, allo sterno, fino ai capezzoli con il quali giocò un po’. Roxas coprì i gemiti con i singhiozzi. Faceva male, troppo male. Perché tutto quello a lui? Avrebbe voluto invocare il nome dei genitori, ma non poteva; Axel, era l’unico nome che in quel momento gli veniva in mente, però lui non c’era, era solo, senza alcun aiuto, senza…
“Roxas!” Una voce. Dei passi veloci e il peso che premeva sul suo corpo mancare. Il rumore di pugni ben assestati.
“Guarda che persona orribile. Si era messo a giocare con un povero, piccolo corpo.” Un’altra voce. Dei passi che si avvicinavano a lui, poi il peso sul letto, che fece scricchiolare le molle e uscire un po’ di polvere. “Tutto bene, Roxa-kun?” Tremava ancora, il corpo non rispondeva ai comandi, tutto era un dolore.
“Axel…” Riuscì solo a pronunciare.
Il ragazzo al sentire il suo nome, lasciò l’uomo a terra con il labbro e il setto nasale rotti e raggiunse subito il biondo che lentamente stava alzando il busto dal letto.
“Roxas, stai bene? Cosa ti ha fatto quel bastardo? Ehi, Roxas?!” Axel era preoccupato e agitato, se era riuscito a trattenere la calma per attuare l’infiltrazione nel palazzo, senza che l’uomo barbuto se ne accorgesse, era stato solo grazie alla presenza di Demyx.
“Axel!” Lo guardò con le lacrime agli occhi, pronti a bagnarsi ancora, ma non più di dolore, ma di sollievo, quasi di gioia. Sul volto aveva ancora l’espressione terrorizzata. Il rosso lo strinse forte a sé.
“Scusa se non sono intervenuto subito.” Il ragazzo si sfogò, piangendo sulla sua camicia nera, che in quel momento gli sembrava il luogo più sicuro del mondo. Axel era lì, per lui, solo per lui. Era talmente preoccupato che l’aveva pedinato. Doveva tutto ad Axel, perché se non fosse stato solo per il fatto di essere nei suoi pensieri, sarebbe sicuramente ceduto alla malvagità di quell’uomo, senza neanche provare a liberarsi. Axel iniziò ad accarezzargli i capelli, sfregandoli tra le sue dita; un tocco sicuro, in grado di proteggerlo da qualunque pericolo, quel contatto che solo dei genitori possono donarti… Quella persona era veramente tutto per lui.
“Axel…” Lo chiamò, ancora immerso nel tessuto scuro.
“Dimmi.”
“Ti amo. Grazie di essere qui.” Lo abbracciò e l’altro non poté far altro che aumentare la stretta, baciandogli anche la testa.
Il violentatore si alzò da terra e, raccogliendo le sue cose, guardò verso Demyx, il quale gli fece notare il coltellino che passava da una mano all’altra. Dopo poco, il malvagio era scappato a gambe levate, come il barbuto, che prima era stato svenire fuori la porta.
“Ehm, ehm.” Fece l’amico di Axel con due colpi di tosse. “Siete veramente teneri, non lo metto in dubbio, però io vorrei andarmene da qui e non voglio di certo lasciarvi soli… Temo per te, Roxa-kun.” Ridacchiò. Roxas si rivestì e con i due tornò alla piazza dove con gli amici si erano divisi. Axel cingeva la spalla destra del biondo con un braccio, tremava ancora. Sospirò. L’idea di non aver potuto fare di più lo stava tormentando. Il ragazzo si accorse subito dello stato d’animo dell’altro e gli disse: “Hai fatto tutto quello che potevi ed è stato anche di più di quello che speravo.” Gli confessò, arrossendo. Axel sorrise.
“Lo so, lo so. Sono stato fantastico.” Rise.
Roxas accennò un sorriso. Si sentiva veramente sollevato dalla presenza del rosso ed anche se era imbarazzato, non voleva essere lasciato dalla sua stretta.
“Dove ti ha toccato?” Gli chiese. Il biondo deglutì; il pensiero di quella lingua sulla sua pelle era come veleno.
“E’ partito sul collo, per poi passare al petto.” Sentì la mano sulla spalla stringersi.
“Maledetto…” Disse Axel a denti stretti. Roxas guardò a terra; forse un po’ di colpa era sua, se avesse insistito quell’uomo non gli avrebbe neanche levato la maglietta, invece… Forse Axel non l’avrebbe più toccato perché schifato?
Appena uscirono dal vicolo, si potevano intravedere Naminé intenta a calmare sia Kairi che Sora –Riku non stava collaborando poi molto-, mentre si agitavano muovendosi troppo.
“Preferisci che ti lasci?” Gli chiese il rosso.
“Io se fossi in te accetterei la proposta; immagina che rottura avere dietro questo stalker.” Intervenne Demyx, intromettendosi. Roxas, però, non ebbe neanche il tempo di decidere che una Naminé sorridente e una Kairi infuriata –il cugino era stato intrattenuto dall’albino-gli andarono incontro.
“Allora stavi con lui, idiota! Accendere il cellulare, no? Ci stavamo preoccupando moltissimo!” Disse la ragazza arrabbiata, sbattendo i piedi a terra, così donando più enfasi al suo discorso.
“Kairi, vedi…” Cercò di spiegarsi l’accusato, ma Axel, lasciando la presa su di lui, si spiegò al suo posto: “Il ragazzo qui presente era stato rapito da un soggetto alquanto losco che io e Demyx abbiamo messo K.O., salvandolo.” Rimase sul discreto, ma solo quell’accenno di storia fece risentire il terrore del momento al biondo.
“Cosa?!” Kairi strabuzzò gli occhi e abbracciò l’amico. “Come stai, Roxa-kun? Cosa ti ha fatto?” Il tono si addolcì, anche se era agitato.
“Sto bene, non preoccuparti.” Cercò di fare un sorriso.
“Sicuro?”
“Si, si, veramente; è stato tutto merito di Axel.” Indicò il ragazzo dietro di lui –Demyx invece si sentì risentito, ma soprattutto dimenticato-.
“Roxas, vuoi rimanere con loro?” Gli chiese Naminé.
“No… Cioè…” Spostò lo sguardo da lei a lui, poi ad un cane bianco che passava con la sua padroncina –una bambina dai capelli neri e corti-, infine all’asfalto sotto di sé.
“Ho un’idea migliore! Andiamo tutti a guardarci i fuochi d’artificio questa sera!” Esortò Kairi, che poco prima aveva notato un manifesto dell’evento. Tutti si scambiarono un’occhiata e accettarono senza troppi ripensamenti.
Quella brutta vicenda sembrava essere scomparsa, fatta volare via dal vento che nell’ultima ora si era alzato. Roxas respirò a pieni polmoni quell’aria ‘di nuovo’, come non aveva mai fatto prima. Di certo, per quanto fosse stato brutto ciò che gli era accaduto, gli aveva fatto capire quanto era importante la vita, non solo per lui, ma anche per gli altri.
“Roxas.” Gli sussurrò Axel all’orecchio. “Sappi che quello che ti è stato fatto, verrà accuratamente –marcò la parola- pulito da me, chiaro; d’altronde, ormai hai ammesso d’amarmi.” Roxas arrossì e iniziò a balbettare ‘ma’ sconclusionati. Axel rise; gli rimanevano solo 18 giorni, ma sicuramente, avrebbe potuto far vivere al ragazzo emozioni che solo lui gli avrebbe potuto donare.
 
 
 
(*) Calpis: bevanda analcolica dal lieve gusto di latte, misto a un sapore leggermente acido.
(**) Baka-Axel: letteralmente: Idiota-Axel.
  



N.d.A. 
E' un po' penoso il fatto che vi metto tra le note: Baka-Axel. Vi sto sottovalutando, lettori >°-°<
Allora... Vogliamo discutere? Iniziamo da dove è nato questo capitolo. Mentre mia sorella faceva la gara di ginnastica artistica io mi ero messa in disparte, armata di fogli e penna rossa a scrivere. Ad un certo punto, non so perchè ma mi viene in mente: "E se Roxas..." E scrivo, senza ne ma e perché. Ecco il risultato! Avrete notato che ho descritto molto dettagliatamente il luogo (forse troppo <.<") dove viene portato Roxas, ma ho pensato che per un momento così importante, era d'obbligo. Forse ho un po' esagerato, perchè un evento del genere potrebbe portare un trauma profondo, però... Insomma è sempre una ff ecco! Come già detto è uno dei capitolo che ho più amato, e sono 7 pagine di Word. Non vi spaventate poi del fatto che è solo AkuRoku, il prossimo capitolo è incentrato sulla RiSo, ed incontrerete un Riku mai visto eh eh =B non anticipo nulla! Spero tanto che vi sia piaciuto questo scritto e ringrazio tutte le persone che recensionano con tanta cura (Val-chan è tornata *-*) e quei lettori che invisibili non sono e mettono la storia tra le preferite e seguite, nonché ricordate! Veramente grazie!
Un'ultima cosa prima del saluto: ho aggiornao presto perchè non ci sarò la settimana prossima quindi credo che sabato sera o domenica metterò il capitolo 14!
Continuate a seguirmi e alla prossima!
Here we Go! 

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Capitolo 14
*** In un parco, leggendo manga ***


14




“Aspetta Riku, Roxas non è tornato, poi non ci trova.” Fece notare all’albino, che lo aveva afferrato per il polso.
“Non preoccuparti, lui non vorrà di certo stare con noi.” E lo trascinò nella folla.
Code di persone radunate davanti ai banchi dove offrivano assaggi e vendevano specialità locali; meno affollate le bancarelle che esponevano articoli di cartoleria, di cui ce ne era una ben allestita che aveva colpito Sora, ma non Riku, che gli permise di poter andare a vedere dato che lui doveva cercare una cosa –non specificando cosa questa fosse-. Sora senza troppe domande annuì e si fece fare la propria penna con sopra inciso il suo nome, che pagò cara –lui, in realtà, non la voleva, desiderava vedere come si incideva la penna, ma alla fine l’artigiano avendo segnato il suo nome, la dovette comprare-. Si guardò intorno ed individuò una chioma albina davanti un espositore mentre dava i soldi per acquistare il suo articolo. Velocemente il castano si avvicinò e, quando vide la merce esposta, rimase stupito; Riku quando si voltò e lo notò, stava per morire dalla vergogna.
“Che fai qui, Sora?” Gli chiese.
“Cosa hai comprato?” Rispose con un’altra domanda.
“Non vedo perché ti dovrebbe interessare.” Rispose scontroso. Sora però afferrò la busta contenente l’oggetto. Infilò la mano in questa e tirò fuori l’articolo.
“Ti sei comprato il manga del Detective Conan?!” Sbatté le palpebre incredulo. Riku sospirò.
“E’ per mio cugino.”
“Stai mentendo, Riku.” Lo guardò malizioso. “Dimmi la verità.”
“Se me lo chiedi tu… L’ho comprato per me perché lo trovo interessante e vorrei provare a leggerlo, non sono mica come qualcuno di nostra conoscenza che ripudia i libri, quasi fossero composti da una qualche sostanza corrosiva.” Sbuffò innervosito, rimpossessandosi del manga, che rimise nella busta.
“Se mi aspetti un attimo vado anch’io a dare un’occhiata al banco, okay?” Gli sorrise. L’albino annuì, tenendo lo sguardo serio. Sora lo fece attendere per una decina di minuti e, quando lo raggiunse –si era seduto su una panchina-, gli mostrò gli undici manga che aveva appena comprato. Il castano propose di trovare un luogo isolato per leggerli in tranquillità e l’altro lo condusse in un piccolo giardino –fuori la fiera- completamente vuoto. Il prato era verde brillante, tagliato da poco. Era tutto circondato da una staccionata bianca; c’era la zona dedicata ai bambini con poche giostre, mentre il resto era adornato da alcuni pini e alberi più bassi dalla provenienza sconosciuta. I due si andarono a sdraiare sulla salita del giardino pubblico. Il sole stava iniziando a calare, tingendosi di un giallo che diventava via via più rosso. La brezza di quella mattina era ancora presente e spostava in avanti i capelli dei due ragazzi. Il silenzio faceva padrone –l’unico suono che si sentì fu quello di un bambino che piangeva, gridando: “Mamma, mamma.”, ma cessò subito-. Riku prese il suo acquisto e, silenziosamente, iniziò a leggere. Sora fece lo stesso, ma non poté non girarsi più volte per guardarlo. Quel volto serio, concentrato, lo stava facendo impazzire. Sospirò. Per quanto poteva essere ingenuo, non era orgoglioso e testardo come suo cugino, quindi ammettere, per lo meno a sé stesso, di provare qualcosa di profondo per Riku non lo lasciava stupito; però lui aveva detto ‘si’ a Kairi, a causa della sua poca fermezza di spirito, e non poteva di certo tradirla, non poteva… Il riflesso del sole risplendeva negli occhi dell'albino e ciò rendeva il tutto più romantico; diamine quanto si odiava! Amava Riku? Amava Kairi? Era amore quello che provava? Sospirò di nuovo. Iniziò a leggere il suo shojo, che lo prese subito.
-“No! Nana-chan, non arrenderti così! Picchia quel bastardo di Shoji! Perché l’ha tradita con Sachiko? Bastardo, bastardo!(*)”- Urlò a sé stesso, preso emotivamente.
Riku lo guardò. “Sora.” Lo richiamò nel mondo dei vivi. Quello girò la testa. “Perché stai piangendo?” Gli chiese. Il castano lo guardò interrogativo e si toccò gli occhi; stava piangendo?!
“Oddio, scusa… Il manga mi ha preso un po’ troppo, credo.” Piangeva, perché? Forse il motivo era che riconosceva la sua situazione in quella rappresentata fra quelle pagine… Lui era Shoji, Riku Sachiko e Kairi Nana. Per l’insicurezza di Shoji, che non aveva detto di no a Nana, alla fine aveva fatto soffrire anche Sachiko –la donna che aveva sostituito l’altra nel suo cuore-, ma anche Nana, scoprendo il tradimento, aveva sofferto! E lui? Avrebbe fatto soffrire la sua ragazza in quel modo? Ma anche Riku… Scosse la testa. Non era possibile, non aveva senso.
“Sicuro di star bene?”
“Si, si. Vedi mi piace molto questa serie e aspettavo con ansia di potermi leggere il seguito.” Sorrise malinconicamente; l’albino gli lanciò un ultimo sguardo, poi tornò a fare ciò che aveva interrotto.
“Riku” Lo richiamò d’un tratto. “Tu mi ami ancora? Non hai avuto dei ripensamenti?” Gli chiese, con un tono serio. Riku lo guardò stupito da quella domanda.
“Sora, non capisco perché continui a chiederlo.”
“Ti prego, rispondi!” Quasi gridò. Non riusciva controllare i suoi sentimenti, esplosi senza ragione; era un vero egoista, sapeva di far soffrire l’albino con quella richiesta, ma continuava a chiederglielo, per avere una certezza.
“Sora per…”
“Scusami.” Lo interruppe, poggiando il volto sulle ginocchia che cinse con le braccia. “Sono una pessima persona… Voglio essere sicuro del tuo amore, ma intanto sono fidanzato con Kairi; non dovrei neanche averti come amico. Perdonami, perdonami…” Incominciò a piangere. Riku si avvicinò con cautela all’orecchio del ragazzo, come se con troppo movimento sarebbe potuto volare via, e gli sussurrò dolcemente: “Ti amo, Sora.”
Il castano alzò la testa, girando il volto verso l’albino. Aveva un espressione triste, colpevole, gli occhi tutti arrossati; l’altro non poté che sorridergli per poi baciarlo. Durante il contatto Riku prese le spalle del castano e l’accompagnò al suolo, facendolo così distendere. Quando le loro labbra si separarono, l’albino gli salì sopra.
“Ti amo Sora, ti amo più di chiunque altra persona al mondo; sei per me una delle ragioni di vita, se non l’unica.” Si chinò su di lui e lo baciò di nuovo, solo che con più passione. Fece intrufolare la lingua nella bocca dell’altro che strizzò gli occhi per reprimere un gemito, causato dal piacere crescente. I battiti accelerati facevano da sottofondo musicale, a quella danza di cui le loro lingue erano protagoniste. Neanche il tempo di riprendere fiato che diedero il via ad un secondo giro. Quello era ciò che cercava, ciò che desiderava: il sapore forte e deciso di Riku. Sora, che aveva tenuto le braccia lungo il corpo fino a quel momento, le sollevò, poggiando una mano sulla schiena e l’altra sulla testa, intenta ad accarezzare i capelli argentei dell’altro. Riku, Riku… La sua mente era inebriata dal suo nome, dal suo profumo, dalla sua essenza… Solo da lui. Appena si separarono il ragazzo sopra gli morse il labbro inferiore, poi iniziò a baciargli il collo, lasciando anche un succhiotto sulla spalla destra; gli alzò la maglietta e riempì il petto di baci, che non tralasciarono un millimetro di pelle. Neanche i capezzoli passarono inosservati, anzi, furono presi di mira e trattati con cura. Nel frattempo, la mano di Sora si era intrufolata sotto la maglietta azzurra del ragazzo, per fargli notare quanto ancora di più volesse, per avvertirlo del desiderio che aumentava smisurato, e il messaggio subliminale non tardò ad arrivare all’albino che, subito, iniziò ad abbassare la zip dei pantaloni larghi del castano, facendo scattare il bottone automatico. Notò con piacere che ‘la presenza’ nascosta dai boxer neri si era gonfiata e richiedeva attenzioni particolari.
“Dimmelo Sora; esprimimi il tuo desiderio.” Gli sussurrò sensualmente.
“Riku… Toccami.” Disse con un filo di voce, imbarazzato. L’albino ghignò e lentamente si abbassò all’altezza del sesso del castano. Stava per privarlo degli indumenti, pronto a donargli un piacere unico; ma, in quel preciso momento, sentì l’abbaiare di un cane avvicinarsi e la voce di una bambina gridare: “No, Nii-chan(**)!” Riku volse lo sguardo verso la fine della collinetta e strinse i denti. Si levò da sopra Sora, il quale si ricompose in un batter d’occhio. Il cane –un barboncino bianco- corse verso il castano e gli saltò addosso, iniziando a fargli le feste, abbaiando e leccandogli il viso. Quando la bambina arrivò, con il fiatone, corse verso il cucciolo e lo prese in braccio.
“Sono veramente dispiaciuta, chiedo perdono.” Fece un inchino. Era minuta, dal viso magro e lineamenti non ancora formati. Indossava un vestitino nero, ‘abbinato’ al colore dei suoi capelli con un taglio a caschetto e ai grandi occhi.
“Non è nulla.” Le sorrise Sora. Riku invece sbuffò.
“Adesso per colpa di quel cane non potrò baciarti.” Il castano arrossì.
“Che dici demente, la bambina…” Ridacchiò nervoso –in quel momento si sarebbe potuto affermare che era il gemello di Roxas, non il cugino-. La piccola li squadrò curiosa e poi, additandoli, esortò: “Siete dei fidanzatini per caso?” Quel tono dolce e, ovviamente, infantile faceva sembrare il concetto molto ‘puro’, ma, da come lo interpretò Sora, fece solo accrescere l’agitazione. Avevano forse traumatizzato un povero cuore innocente?
“Ma cosa dici, piccina. Non vedi, siamo due uomini.” Indicò prima Riku e poi sé stesso, sorridendo.
“Però assomigliate molto agli zii...” Ricambiò il sorriso, poi però, tutto d'un tratto, si fece più triste e cominciò a singhiozzare.
“Cosa hai?” Le chiese l’albino, nascondendo il nervoso causato dal pianto improvviso; non aveva simpatia per i bambini.
“Non trovo più mia zia… L’ho persa di vista!” E scoppiò in un pianto disperato. Il castano le si avvicinò e l’abbracciò, iniziandole ad accarezzare i capelli corvini.
“Ti aiuteremo noi, va bene. Sai dirci dove abiti?” Lei annuì.
“Da dove è uscito quel noi?” Domandò l’albino, con lo sguardo indifferente.
“Perché anche tu mi aiuterai a portare la bambina a casa.” Sorrise.
“Non mi va, sto tanto bene qui.”
“D’accordo, come desideri. Resta anche solo, fa poca differenza per me.” Disse il castano stringendosi tra le spalle. Si alzò dal prato e prese la bambina per mano. Neanche finita la discesa che Riku lo stava seguendo, portando la busta con i manga. Sora camminava allegro e soddisfatto, facendo ondeggiare il braccio che lo collegava alla bambina. “Come ti chiami?” Le chiese.
“Xion.” Rispose allegra. “Tu?”
“Sora.”
“Che bel nome, Socchan!”
“Grazie Xion-chan. Ora, indicaci la strada.” Usciti dal parco, svoltato qualche angolo, fatta una rampa di scale in marmo bianco –gli ricordavano molto quelle della sua scuola-, attraversato un ponte, arrivarono davanti la porta di una casa piccola ed elegante, tinta di una vernice crema, dal tetto in legno scuro. Sora suonò il campanello. Aprì la porta un uomo alto, muscoloso, dai lineamenti marcati; cappelli biondi con il taglio alla maschietta e gli occhi azzurro chiaro; entrambe le orecchie piene di piercing, lo facevano sembrare un gangster. Li fissò interrogativo chiedendosi chi mai fossero i due sconosciuti, poi notò Xion che gli andò incontro abbracciandolo –riuscì a stringere solo la gamba-.
“Zio, zio!” Disse felice.
“Xion, che succede? Chi sono queste due persone?”
“Vedi zio, mi ero persa per seguire Nii-chan, e questi due fidanzatini mi hanno aiutato!” Sorrise innocentemente.
“Non siamo fidanzatini, Xion-chan. Comunque è stato un piacere signore.” Disse il ragazzo facendo un inchino, Riku si limitò a fare un cenno con il capo.
“Zio, zio, posso andare con loro a vedere i fuochi d’artificio?” Domandò d’un tratto la bambina.
“Xion-chan io non so se …” Iniziò il discorso Sora, ma che fu subito fermato da Riku, che proseguì.
“Per noi non ci sarebbero problemi, anzi ci farebbe piacere.” Il castano guardò stupito l’amico. Non voleva neanche portarla a casa, ed ora…?
“Non so se posso affidarvi Xion, voglio dire…” Disse l’uomo pensoso.
“Ti prego, zio!” Iniziò a tirargli la gamba del pantalone.
“Perché vuoi andare con loro?”
“Sono gentili, simpatici e piacciono molto a Nii-chan!”
“Ma Xion…”
“Ti prego!” Insistette, facendo gli occhioni dolci, in grado di sciogliere qualunque cuore. Lo zio sospirò.
“D’accordo, avvertirò io tua zia. E…” Entrò un attimo in casa e tornò all’uscio subito dopo, con un biglietto da visita. “… Tenete, per contattarmi.” La bambina gioendo tornò dalla parte di Sora, riprendendo la sua mano.
“Andiamo, andiamo Socchan! Nii-chan vuole fare un’altra passeggiata.” Il cane anche abbaiava felice.
“Va bene.” Disse allegramente. L’esuberanza della bambina lo stava contagiando, mentre Riku sembrava più cupo. Aveva solo invitato la bambina perché aveva notato la tristezza dell’amico, ma già se ne stava pentendo. Voleva Sora tutto per sé ed invece… -“Che palle!”- Pensò sbuffando.
I due spiegarono alla bambina che dovevano rincontrare altri amici, perché erano venuti in gruppo e per ciò dovevano tornare al punto d’incontro. La piccola annuì solo, per nulla preoccupata di dove l’avrebbero portata. Nella piazza c’erano già Kairi e Naminé.
“Kairi-chan!” La chiamò Sora avvicinandosi, quella si voltò.
“Eccovi ragazzi, ci stavamo preoccupando. Dov’è Roxas?”
“L’avevamo lasciato solo qui, probabilmente starà con Axel.” Spiegò Riku.
“Però è strano, non risponde al cellulare; sembra spento.” Disse la ragazza dai capelli rossi. Sora controllò il suo cellulare notando le due chiamate del cugino.
“Strano, a me ha chiamato per ben due volte, che motivo c’era di spegnerlo?”
“Magari non vuole essere disturbato mentre compie certe azioni.” Ipotizzò ironico l’albino.
“Ma va’! Non è il tipo.” Sbuffò il castano non cogliendo il sarcasmo.
“Chi è la bambina?” Chiese Naminé. La piccola si fece avanti.
“Mi chiamo Xion!” Si presentò con un largo sorriso.
“Dobbiamo portarla a vedere i fuochi d’artificio di stasera.” Specificò Sora.
“Va bene, tanto avevamo già deciso di guardarli, con Naminé.” Le due si scambiarono un’occhiata ed entrambe arrossirono.
 
“E’ un segreto, non ne dovremmo fare parola”
“Nessuno mai lo conoscerà.”
“Una cosa fra me …”
“… E te.”
 
Entrambe ripensarono a quel dialogo che si erano scambiate, sul ponte, davanti le acque del canale, mentre…
“Certo che prendi sempre te le decisioni.” Sbuffò Riku, distraendola dai pensieri. “Senti, che ne dici di ridarmi il cappello?” Le propose, porgendo in avanti la mano. Lei sospirò e ridiede l’oggetto al proprietario.
“Mi mancherà.” Disse, fingendo di asciugarsi una lacrima.
Sora si iniziò a guardarsi intorno.
“Mi sto preoccupando.” Disse. “Che fine ha fatto Roxas?” Tutti si scambiarono un’occhiata, agitati. I minuti continuavano a passare, ma del biondo neanche l’ombra. Più lo chiamavano, più la voce della segreteria sembrava sul punto di impazzire a forza di ripetere la stessa cosa. La bambina si stava annoiando a forza di aspettare e cercava, in tutti i modi, di convincere Sora a portarla a giocare, ma il castano era troppo agitato per darle retta, tanto che gli disse anche scontroso: “Sta zitta un attimo, Xion!” La bambina rimase scossa, gli occhi si riempirono di lacrime e piangendo si allontanò di corsa. Riku la seguì, vedendo che il ragazzo stava dando i numeri; d’altronde era il fidanzato di Kairi, ci avrebbe pesato lei a calmarlo. Xion si era nascosta dietro un cespuglio chiusa su sé stessa, con il cagnolino vicino, singhiozzando.
“Ehi.” Disse sedendole accanto. Lei lo guardò, aveva gli occhi gonfi.
“Socchan è cattivo!” Disse tornando a piangere, con il viso poggiato sui ginocchi.
“E’ solo preoccupato per suo fratello, è molto paranoico.” Gli veniva quasi da ridere, ma tenne il volto serio.
“Preoccupato? Ma non è grande suo fratellp?”
“Si, ma Sora è fatto così, tiene più agli altri che a sé stesso.”
“A te tiene?”
“Si, pensa che tiene più lui a me, che mio padre.” Disse senza pensare.
“Io non ho più un papà e neanche una mamma… Lei è morta quando avevo tre anni e il mio papà se ne andato prima che io nascessi, o almeno così mi hanno detto i miei zii.”
“Il mio di papà è tornato dopo la morte di mia madre.” Accennò un sorriso triste. “Mi ricordo ancora gli occhi azzurri di mia madre che riuscivano sempre a tranquillizzarmi, mentre adesso…” Sospirò. La presenza della bambina lo stava facendo esprimere, portando a galla le tristezze ormai sigillate nella sua coscienza.
“Io invece mi ricordo la sua stretta, era così calda e protettiva… Però io, anche adesso, sono felice.”
“Io non so se mai lo sono stato, sei proprio fortunata.”
“Com’è possibile che Riku-kun non sia felice? Non sta bene con Socchan?”
“Io non sto con Sora, ma sarebbe bello.” Sospirò ancora. Xion gattonò verso di lui e lo abbracciò.
“Non temere Riku-kun, presto Socchan si accorgerà di te e ti amerà.” Per un attimo non si riuscì a distinguere chi era il consolato e chi il consolatore.
“Tu sei una bambina strana.”
“Lo so!” Sorrise. “Ma a te va bene così, giusto?”
“Giusto.” Le accarezzò i capelli.
“Ecco dove eravate!” Esortò una persona dietro di loro. L’albino si voltò.
“Eri in pensiero, Socchan?” Chiese malizioso, sottolineando il soprannome. Il castano arrossì lievemente e disse borbottando: “Non chiamarmi così.”
“A Socchan da fastidio essere chiamato Socchan, eppure Xion ti chiama così.” Disse quasi offeso. La bambina ridacchiò divertita dagli atteggiamenti dell’albino.
“Ma lei è una bambina.” Fece notare Sora, un po’ stupito dalla ‘stupidità’ che stava mostrando il ragazzo.
“Ed io che sono… Per te?” Sora arrossì violentemente. Cosa c’entrava in quel momento?
“Beh…” Belò come una pecora.
“Sta arriva, quel deficiente!” Disse gridando Kairi arrabbiata, che con Naminé si diresse dal biondo che stava arrivando.
“Andiamo anche noi Ri…” Cercò di dire Sora che fu bloccato dalle labbra di Riku sulle sue.
“Sei molto carino quanto ti preoccupi.”
“Riku… Perché l’hai fatto?!” Balbettò paonazzo.
“Sei proprio ottuso.” Sbuffò l’albino accostandosi al suo orecchio, pronunciando con tono seducente: “Perché ti amo.” Il castano perse un battito, trattenne persino il respiro. Sentire quell’emozione provocata dalla sua voce, dal suo tono, lo faceva impazzire.
“Anch’io… Ti…” Stava per dire, ma fu brutalmente interrotto dalla bambina che urlò: “Nii-chan! Non fuggire!” Sora si pietrificò, accorgendosi solo in quel momento che Xion aveva visto tutto. Si voltò a controllare se la piccola si stava allontanando troppo, ma riuscì a riprendere subito il cagnolino.
“Allora, cosa stavi per dire, Socchan?” Gli domandò.
“Niente!” Scattò imbarazzato e si allontanò, camminando così rigidamente che sembrava avesse dei pezzi di legno a posto delle gambe.
Riku lo guardò divertito. Amava quel ragazzo, quell’ingenuo meraviglioso ragazzo.
 
 
 
(*): Vicenda tratta dal manga (anche anime) di Ai Yazawa Nana collection, volume 4, capitolo 9, pubblicato in Italia dalla Planet Manga.
(**) Nii-chan: Fratellino.



N.d.A.
ATTENZIONE! ATTENZIONE! Xion completamente OOC, ma avevo bisogno di una bambina che interveniva nei momenti peggiori, o meglio dire, nei momenti migliori u.u Quindi quella ragazzina ha solo l'aspetto e il nome di Xion! 
Salve di nuovo! AVVERTENZA! Non ci sarò per una settimana, quindi ci rivedremo Lunedì per il capitolo 15 (non temete, come sapete, è già scritto u.u). Adesso parliamo del capitolo 14. Sì, mi sono divertita due volte! 1: a fare quel pezzo nel parco, oddio che pucciosi (?) O///O  2: a far arrivare Xion sul più bello xD Il discorso che più ho amato è stato quello dove Riku ha chiamato Sora Socchan (anche lì mi sono divertita). Però, quello che più di tutto lascia scioccati (mi sono scioccata io stesso mentre lo scrivevo) è che Riku si è comprato un manga! Sora è peggio della peste u.u Non so quanti di voi poi conoscano Nana, ma spero proprio io sia riuscita a far capire il pezzo di storia e come l'ho connessa a Sora... Se conoscete Nana mi sa che è meglio -.-" La frase del capitolo che più amo è: "Siete dei fidanzatini per caso?" sì, amo questa frase xD Poi quale mistero nascondono Naminé e Kairi? Ma chissà u.u Non ho molto altro da dire, oltre l'apparizione magica di Luxord  e il Sora preoccupato che diventa cattivo... Socchan che crudele i-i (igh, igh, sono io la cattiva).
Alla prossima!
Here we Go!
  

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Capitolo 15
*** Fuochi d'artificio ***


15


La sera calò in fretta rendendo l’aria più umida e fredda. Tutte le luci della cittadina si accesero insieme, rendendo il paesaggio particolare e romantico –infatti per le strade c’erano solo coppiette di adolescenti e famiglie felici-. Il gruppo stava cercando il luogo più adatto per appostarsi, ma i migliori sembravano essere già occupati. Si fermarono a cena in un ristorante tipico, dove Xion si stava per bere un bicchiere di sakè credendo fosse acqua calda con uno strano sapore, Demyx per poco non si strozzava con un’alga e Sora stava per far cadere una delle cameriere che gli disse le peggio cose, tanto che i compagni dovettero tapparsi le orecchie a causa della voce isterica.
“Axel, ma tu che università frequenti?” Gli chiese Kairi.
“Devo ancora decidere.”
“Non è tardi?” Gli domandò, poi, Roxas con tono critico, trovando inammissibile quel comportamento negligente.
“Ognuno ha i suoi tempi.” Si giustificò il rosso. “Ad esempio so quanto sei bravo a scuola, pensa che Larxene non fa che blaterare di te in continuazione: Sawamura, oh, Sawamura che genio quel ragazzo! Saix, Saix leggi che bello questa traduzione, e guarda questa sintesi! Se avesse 10 anni di più me lo sposerei! E continua così per altri cinque minuti, poi passa a parlare di Sora, sai…” Guardò verso l’interessato “…Il tuo compito se lo lascia per ultimo, così da poter pensare anche nel sonno a come tormentarti la mattina successiva e so che riesce sempre con successo nell’intento; comunque Roxas, il punto è che tu ci metti molto meno di me ad apprendere, ma in fatto di iniziativa e sentimenti… Beh, non credo che arriverà mai il tuo tempo.” Ghignò mettendolo in imbarazzo davanti a tutti.
“Cosa dici…?” Balbettò rosso in viso, stringendo le mani, poggiate sulle cosce, in pugni.
“Ma allora anche voi siete due fidanzatini!” Esortò la bambina, tutto d’un tratto.
“Non è vero!” Scattò il biondo sulla difensiva. Axel rise.
“E la bambina si dimostrò più perspicace di Roxas!” Disse il rosso, proclamando la vittoria schiacciante di Xion sul suo amato.
“Persino un’anguilla è più perspicace di Roxas.” Aggiunse Kairi, facendo scoppiare tutti –tranne Roxas, ovviamente- a ridere.
“Se proprio dobbiamo fare confronti…” Intervenne Riku. “Cara Kairi, una iena è molto più tranquilla di te.” Un coro di ‘oh’ si alzò. Sarebbe da lì a breve scoppiata una guerra.
“Ha parlato l’albino! Persino un iceberg è meno freddo di te!” Sbottò arrabbiata. I presenti iniziarono a farsi piccoli, piccoli.
“Suvvia Kairi, puoi fare una battuta migliore di questa.” Disse quasi ghignando. Tutti si diressero lentamente fuori la saletta privata.
“Io… Tu… Idiota!” Sbottò incrociando sia braccia che gambe. “Aver avuto la meglio su Sora non ti permette di rivolgerti in questo modo a me!” Sbuffò. Sora rimase scosso dalle parole della ragazza. Se ne era accorta? “L’avrete già fatto immagino.” Aggiunse con un tono da poter sembrare sprezzante.
“Diciamo.” Disse Riku sorseggiando un po’ di sakè.
“Che cosa vai dicendo, Riku! Non è affatto vero!” Intervenne il castano.
“Ci hanno battuto sul tempo…” Aggiunse Axel pensoso. “Roxas, bisogna recuperare!” Il biondo sbiancò.
“Ma di che diamine stai parlando, idiota…” Ridacchiò paonazzo.
“Mi sento l’unico normale, tu?” Sussurrò Demyx alla bambina.
“Concordo pienamente.” Disse lei annuendo.
“Sapete.” Esordì Naminé cogliendo l’interesse di tutti. “Io non ho mai visto i fuochi d’artificio. Sarebbe bello guardarli con la persona amata, o per lo meno così pensavo; credo però, che ammirarli con degli amici sia molto meglio.” Sorrise innocentemente.
“Ami qualcuno, Nami-chan?” Le chiese la bambina.
“Ehm…” Esitò un attimo, imbarazzata dalla domanda improvvisa.
“Dai, dai, diccelo Nami-chan!” Fecero in coro Xion e Demyx –che sembrava avessero stretto una qualche alleanza-.
“Mi piace molto Roxa-kun, ma sono arrivata troppo tardi.” Sorrise stringendosi fra le spalle. Kairi la guardò e strinse i pugni, cercando di non farsi notare, ma quella reazione non passò inosservata a Sora.
“Vado un attimo in bagno.” Disse la rossa alzandosi. Sora impulsivamente la seguì, sotto lo sguardo serio, ma soprattutto geloso, di Riku. Naminé al passaggio della ragazza abbassò la testa, come pentita.
“Siamo proprio gli unici normali.” Confermò Xion al suo nuovo amico. Lui non poté che annuire, concordante.
“Xion, ci andiamo a prendere un gelato?” Le propose Roxas. La piccola annuì vivacemente: “Con piacere Roxa-kun! Vieni anche tu Nami-chan?” Le domandò. La ragazza si alzò e li seguì, uscendo dalla stanza. I tre –Riku e i due amici- rimasero nella stanza che piombò nel silenzio.
“Senti Riku, ho un’idea.” Cominciò Axel un nuovo discorso. “Dividiamoci per poter vedere i fuochi, sarà più facile trovare un luogo. Io con Roxas, lui –indicò Demyx seduto accanto a sé- con la bambina, te con Naminé e Sora con Kairi; che ne dici?”
“Io direi più io con te e Roxas con Naminé.” Rispose l’albino alla provocazione. Axel ridacchiò.
“Sei proprio uno tosto, ma troppo fragile.”
“Tu non sembri da meno.” Ribatté senza variare l’espressione.
“Assomiglia troppo a Saix.” Rabbrividì Demyx.
“E’ vero, quasi mi mette suggestione.” Sospirò sfregandosi i capelli rossi, come per reprimere un fastidio.
“La tua proposta non è male. Te con Roxas e io con Sora, faccenda conclusa.” Chiuse la discussione Riku.
“Affare fatto.”
“Perché io con la bambina?”
“Siete molto affini.” Rispose Axel a Demyx, che un po’ si era offeso.
“Di che parlate?” Chiese Kairi rientrando, seguita da Sora.
“Abbiamo deciso di dividerci in gruppi da due, te con Naminé e Sora con Riku, vi va bene?” Ripeté il rosso. I due si guardarono e risero.
“Ci va benissimo.” Sorrise la ragazza.
“Più che bene.” Aggiunse il ragazzo.
I compagni, avvertiti anche gli altri due –Roxas si era rifiutato, ma la sua voce fu repressa con forza dallo sguardo di Axel e Riku, ma soprattutto quello di Kairi, che brillava di una strana luce che non prevedeva nulla di positivo-, si andarono a cercare ognuno la propria postazione. Demyx portò la bambina e Nii-chan a fare qualche giro sulle giostre allestite per la fiera, prima dell’inizio dello spettacolo; Riku e Sora si posizionarono sulla salita nel parco, come quel pomeriggio; Kairi e Naminé trovarono un posto libero vicino alla riva del canale, dove anche altre persone si erano posizionate; Axel e Roxas invece… Vagavano ancora senza una meta perché al rosso non andava bene nessuno dei luoghi proposti dall’altro.
 
“Senti, Dem-kun, te ami per caso qualcuno?” Gli chiese la bambina, mentre andava avanti e indietro con l’altalena spinta dal ragazzo.
“Si, Xion-chan, c’è qualcuno; ma non sono ricambiato.” Sospirò tristemente.
“La cosa ti fa tanto soffrire?”
“Abbastanza…” La spinta si fece più debole.
“Fermati un attimo, Dem-kun.” Gli ordinò e il biondo eseguì. La piccola saltò giù e, sistemandosi prima il vestito, abbracciò Demyx. “Ti farò felice io, Dem-kun, aspetta altri cinque anni!” Vedendo l’espressione seria della bambina, il ragazzo rise; quella piccoletta con poche parole gli aveva fatto tornare il sorriso: strano, ma vero.
“Grazie Xion-chan.” La prese in bracciò e le diede un bacio sulla guancia. “Mi hai reso felice, sai?”
“Che bello Dem-kun!” Passandogli le mani dietro al collo si strinse a lui, poggiando il volto sulla spalla.
“Senti… Posso considerarti mio migliore amico?”
“Certo che si.”
“Evviva!” Strinse di più l’abbraccio. “Così adesso ho anche te, oltre Nii-chan.”
“Non così forte Xion, mi strozzi.” Ma il corpo della piccola si fece più pesante, e la presa si fece più debole. Con gli occhi chiusi dormiva tranquilla sulla sua spalla.
“Forza Nii-chan, indicami la strada per tornare a casa, la sai vero?” Quello abbaiò due volte girando su sé stesso, poi iniziò a correre e si fermò dopo un po’, ricominciando ad abbaiare. “La conosci.” Disse fra sé e sé il ragazzo che, caricando bene la bambina, si lasciò guidare dal cane, il quale –dopo qualche fermata davanti negozi che vendevano prodotti per cani- lo condusse proprio a casa di lei. Una volta ridata la bambina ai parenti tornò all’Onsen, stranamente felice.
 
“Allora, Kairi-chan, cosa ti sei detta con Sora?” Le chiese la bionda con un volto sereno e curioso.
“Niente di speciale.” Disse svagando, mentre la mente andava a ripescare quel ricordo recente.
 
“Kairi, cosa hai?” Le urlò il ragazzo che la seguiva, avvicinandosi sempre di più.
“Lasciami perdere Sora!” Gli disse in tutta risposta.
“Kairi.” La prese per un polso. “Cosa è successo tra te e Nami-chan?” Abbassò il tono alla domanda. La rossa volse lo sguardo a terra, si liberò dalla presa del castano e si voltò.
“E tra te e Riku, me lo diresti?”
“Si, te lo direi.”
“Cosa?” Gli chiese.
“Prima rispondimi tu.” La mandò avanti.
“Ci siamo baciate.” Disse a testa alta, fiera di quel che aveva fatto.
“Oh…” Era rimasto alquanto sorpreso, non se lo sarebbe mai, ma proprio mai, sognato, immaginato, non l’avrebbe neanche ipotizzato per assurdo.
“‘Oh’ cosa? Mi disprezzi?” Gli chiese, mordendosi il labbro.
“Affatto, è solo... Strano.” Disse letteralmente spiazzato; non riusciva proprio a pensarlo.
“Non è molto diverso da quello che fai con Riku!” Sbottò, irritata. “Fin dove vi siete spinti?” Chiese poi. Sora tossì, arrossì e abbassò lo sguardo verso le dita che iniziò ad intrecciare fra loro.
“Lui mi ha baciato… Sempre più appassionatamente e poi… Beh… Mi ha baciato il petto, scendendo; però si è dovuto fermare, perché è arrivata Xion…” Balbettò.
“Certo che non vi fate problemi voi, se il luogo è pubblico o meno.” Adesso era Kairi quella spiazzata.
“Sai com’è, quando il momento ti prende e poi gli ormoni e… Che vergogna…” Disse nascondendo il volto con una mano.
“Sora-kun, mi prometti una cosa?” Il ragazzo allargò le dita che gli coprivano la visuale, così da poter vedere la ragazza. “Questa sera confesserai i tuoi sentimenti a Riku e se ti avanza tempo saluterai per sempre la tua innocente verginità?” Sorrise. Sora avvampò, a quel malsano pensiero dei loro corpi nudi e coperti da alcune gocce di sudore entrare in un contatto che avrebbe lasciato per sempre il segno.
“D’accordo.” Balbettò. La ragazza sorrise, ancora più felice. Era stata sincera con il ragazzo e l’aveva incitato a fare il giusto –poi avevano fatto anche una promessa, e Sora, per sua contentezza, era uno che le manteneva-; il suo compito era terminato, adesso doveva pensare solo a sé, d’altronde anche lei aveva fatto una promessa.
 
“Capisco.” Si accontentò di quella risposta. “Speriamo inizino presto.” Disse poi emozionata. La rossa guardò verso l’erba sotto di sé –entrambe erano sedute a terra-.
“Nami-chan… A te va bene anche se la persona con cui lo vedrai sarò io?” La bionda si voltò a guardarla, interrogativa.
“Non capisco che intendi.” Le disse.
“Prima hai detto che ti piaceva Roxas e che avresti voluto vederli con la persona che ami o con amici ed invece…” Iniziò a parlare velocemente, non dando neanche il tempo all’altra di capire cosa dicesse. Quella, quasi costretta, le prese il mento e la baciò. Separando le loro bocche sussurrò: “Sono già con la persona che amo, sciocca.” Poi sorrise. Kairi sbatté le palpebre sorpresa. Per quanto l’aspetto potesse ingannare, Naminé era una ragazza con iniziativa, molta iniziativa, e ciò non le dispiaceva affatto.
 
“Riku, mi stavo chiedendo.” Iniziò a dire Sora, che era sdraiato accanto l’albino. Quello girò la testa per guardarlo. “Se mi donassi a te, saresti felice?”
Riku strabuzzò gli occhi per la domanda, che non si addiceva poi molto a quella che era la timidezza di Sora; ma, prendendola seriamente, si mise a pensare. Tornò a guardare le stelle.
“Non pretendo tanto, sono sempre stato uno umile io.” Disse. “Sarei felice se mi donassi una stella.” E ne indicò una tra le migliaia che il cielo notturno, senza ombra di nube, mostrava. Sora fece un sospiro di sollievo.
“Per fortuna, una cosa facile.” Fece un sorriso.
“Mi basterebbe, ora che ci penso, anche una tua confessione” Disse malizioso, l'albino. Era vero che quel pomeriggio si erano spinti molto e che, ad un certo punto, il castano stava per rivelare i suoi sentimenti; però… Riku sapeva che non erano veri, tutto sommato. Sora era un tipo confuso, ingenuo, era possibile che l’avesse assecondato, senza pensarci troppo; poi lui nel frattempo era fidanzato con Kairi e questo mostrava solo quanto fosse più perplesso del previsto. Sospirò. Era un tipo incorreggibile, da tutti i punti di vista.
“Ti amo, Riku.” Disse con tono chiaro e deciso. All’albino mancò il respiro. Mentiva, non poteva essere che così.
“Non scherzare, Sora.”
“E chi scherza. Sono serissimo, mi piaci davvero.”
“Mi piaci non ha lo stesso significato di ti amo.” Il tono sembrava alterato.
“Lo so, lo so bene. Io, effettivamente, non comprendo a fondo la differenza, ma stando con te, stando con la persona da cui sono amato, l’unica che riesce a coinvolgermi in qualunque cosa essa faccia, sono certo che imparerò presto quale sia la disuguaglianza. Dal mio tono penserai che sarà una leggerezza, ma non è così. Forse è la mia ingenuità che rende tutto più facile da dire… Chissà.” Parlò con un’espressione spensierata, serena, appartenente a quelle persone che non desideravano altro, di ciò che avevano, dalla vita. “Ora sei felice?”
“Per niente.” Disse serio.
“Perché?!” Scattò il castano, alzando il busto per enfatizzare lo stupore.
“Stai dicendo tante cavolate, ecco tutto! Ti sei fatto condizionare dal mio comportamento egoistico e ostinato, quindi non mentire a te stesso e non darmi false illusioni, perché mi faresti solo arrabbiare!” Sbuffò spazientito.
“Mentire? Illusioni?” Disse, come ripetendo a sé stesso. “Insomma Riku!” Gli montò sopra –come quel pomeriggio l’albino aveva fatto con lui- e gli poggiò le mani sul petto. “Qui, quello che sta mentendo a sé, sei proprio tu! Perché non vuoi credermi? Perché continui a non fidarti delle mie parole? Sono serio, diamine! Quello che non vuole che io sia innamorato di te, sei solo te; non io, né Kairi, solo e unicamente te! Io più che rivelarti i miei sentimenti non so che fare! Anche se una cosa ci sarebbe… Ascolta il battito del mio cuore.” Gli ordinò, continuando a guardarlo dritto negli occhi, con un’espressione così seria e decisa da far quasi paura. L’albino, già stufo di quella situazione, posizionò l’orecchio sul petto del ragazzo, tanto per accontentarlo.
Il battito era lo stesso, non era cambiato dall’ultima volta che lo aveva ascoltato, eppure sentiva dentro di sé una strana sensazione di ripudio contro sé stesso, un fastidio corrosivo.
Il castano gli cinse la schiena con le braccia, stringendolo in un abbraccio quasi possessivo.
“Il mio cuore batte per te, capito? Non volevi questo? Sentire il mio cuore battere per la persona che amo, giusto? Ecco, sta battendo per la persona che ama!”
“Sora…”
“No! Non dire con quel tono scocciato il mio nome, non te lo permetto! Diamine, non è facile neanche per me essere così esplicito, non puoi capire che sforzo, e tu mi ripaghi in questo modo? Sei pessimo, Riku; ma io continuo a provare sentimenti irrefrenabili. Ti amo, stupido!” Urlando l’ultima frase, respirò affannosamente. Era veramente faticoso esprimere una valanga di emozioni che facevano pressioni sul cuore. –“Ma proprio quando io capisco di amarlo…”- Pensò Sora –“… Questo stupido ci ripensa?!”- D’un tratto il castano sentì la sua maglia bagnarsi, dei piccoli singhiozzi, le braccia più muscolose, rispetto le sue, stringersi a sé, come se lui rappresentasse l’ancora di salvezza che avrebbe portato l’altro fuori da quel baratro di tristezza in cui era precipitato.
“Scusami…” Bisbigliò, piangendo. Sora ricambiò la stretta facendo più forte la sua, baciandogli la testa; poi rise lievemente.
“Mi sembro mia madre; si comportava così quando da piccolo mi facevo male.” E ciò fece scappare una risata all’albino che iniziava lentamente a calmarsi. “Riku, quand’è l’ultima volta che hai pianto?”
“Quando è morta mia madre... Mi è capitato anche quando mio padre mi aveva picchiato, ma è durato poco.”
“Picchiato?”
“Niente di che… Avevo preso un 90 e non gli andava bene.” Disse stringendosi fra le spalle.
“E sei arrivato tra gli ultimi nella classifica?”
“No, primo.” Sora rimase scioccato. Perché tante pressioni? E neanche a dire che era arrivato secondo! Era arrivato primo! Quel numero che lui riusciva a sognarsi ogni tanto.
“Non è esa…”
“Lo so, ma non comando io.” Lo interruppe. Ci fu un attimo di silenzio. “Quindi è vero che mi ami?” Gli chiese l’albino.
“Si.” Annuì sicuro l’altro.
“Nessun ripensamento?”
“Nessuno.”
“Sicuro?”
“Sicurissimo.”
“Non te ne pentirai, vero?”
“Mai e poi mai.”
“Neanche se tua madre o tuo padre, magari entrambi, ti disprezzassero?”
“Insomma, Riku!” Sbuffò. “Se non ricambi perché ti sei accorto di non-so-che-cosa, basta che me lo dici.” Chiuse gli occhi e arricciò il naso, facendo il sostenuto. Schiuse leggermente l’occhio sinistro per vedere l’espressione di Riku.
“Ti amo anch’io, Sora.” Sorrise lievemente.
“Era ora che me lo dicessi, mi stavo seriamente preoccupando.” Gli poggiò le braccia, tenendole tese, sulle spalle, e fece toccare la sua fronte a quella del ragazzo.
Riku avvicinò le labbra, ma fu Sora ad azzerare quei pochi millimetri di lontananza. Si baciarono, cercando l’uno di risucchiare l’essenza dell’altro; era tutta un’altra cosa quando si era consapevoli di amare e di essere amati. Uno scambio equo di passione e d’amore, qualcosa di semplice e complesso, ovvio e assurdo, un mix di emozioni non specificate, uno stato tra la serenità e il più completo caos, un concetto contorto che era l’amore, tanto conosciuto quanto sconosciuto.
 
“Axel, deciditi per una buona volta!” Sbuffò il biondo, ormai arrivato al limite della pazienza perché quella sottospecie di uomo non aveva ancora trovato un luogo che lo aggradava.
“Riesco ad essere più serio solo se camminiamo, ed io devo farti un discorso importante.” Spiegò.
“Potevi dirmelo prima che rifacessimo lo stesso giro più di cinque volte?!” Sbottò; per quanto avesse memorizzato la strada, i piedi si stavano muovendo indipendentemente.
“Oggi, mentre stavamo sul letto e ti abbracciavo hai detto di amarmi, lo pensi veramente? Non era come per accontentarmi, diciamo.”
“Vedi…” Iniziò balbettando, già era entrato nel suo stato: imbarazzo all’ennesima potenza. “Forse l’ho detto per il motivo da te citato e perché ero sovrappensiero, ma non per questo non lo penso, d’altronde sarebbe come dire che io sono un ragazzo glaciale come Riku, o socievole come Sora, o altri esempi irreali che adesso non mi vengono in mente, però forse non lo penso veramente, dipende dai momenti e da altri fattori.” Si giustificò con quel discorso contorto e privo di significato.
“Basta, scuse.” Tuonò, arrabbiato. “O me lo dici adesso, seriamente, guardandomi in faccia senza rimangiarti tutto all’ultimo momento o qui la storia inizia e finisce.” Sbuffò. “Ho dovuto anche affrontare Saix per te e non è di certo facile confrontarsi con quell’uomo!” Indicò un punto impreciso dietro di lui, spaventato dalla possibilità che, con il solo pronunciare del nome, l’uomo dai capelli blu sarebbe apparso tra una nube di fumo nero e lampi bianchi.
“Axel, io… Non ce la faccio.” Disse con una voce soffocata.
“Come ti pare, tanto non sembra che ti frega qualcosa. Vediamoci questo spettacolo pirotecnico e torniamocene all’Onsen, che sono stanco.” Si stiracchiò le spalle. “Pensare che questa non è neanche una vera separazione.” Si guardò attorno e si andò ad appoggiare alla ringhiera del ponte che era alla loro destra. “Qui andrà bene.” Roxas gli si mise accanto, aveva ancora il volto basso, completamente coperto dai capelli biondi.
Il rosso lo guardò, indifferente della messa in scena, doveva mostrare la sua fermezza nel prendere decisioni.
“Non voglio…” Singhiozzò. “Non voglio di nuovo provare questa sensazione.” Si passò il palmo della mano sugli occhi. Con uno scatto abbracciò Axel, premendo il suo viso sulla camicia, come aveva fatto quel pomeriggio. “Ti prego, non mi lasciare da solo… Non voglio più dividermi dalle persone che amo.”
Axel sbatté le palpebre incredulo. Scoppiare a piangere mentre lo abbracciava, facendolo sentire importante con parole che giravano intorno il concetto, era proprio un colpo basso. Gli accarezzò la testa.
“Quindi, mi ami, Roxas?” Gli sussurrò. Il ragazzo trattenne il respiro. Ci fu un silenzio angosciante. Axel respirò e scosse la testa.
“Sei proprio perfido e testardo, non capisco perché non vuoi dirmi ti amo. Cosa ti costa se è la verità? Non ci credo che è imbarazzo, c’è un limite a tutto.” Sbuffò.
“Perché mi facesti quella battuta?” Disse d’un tratto.
“Come?”
“Se ci ripenso mi è difficile credere che tutto questo non sia uno dei tuoi giochi, uno di quei momenti passeggeri che con una folata di vento possono scomparire.”
“Roxas, vuoi sapere cosa mi è accaduto negli anni in cui non mi sei stato accanto?” Il biondo annuì debolmente.  “In quel periodo, quando i tuoi genitori morirono, i miei litigavano sempre più spesso, mio padre picchiava mia madre come se nulla fosse e io, impotente, non potevo altro che disinteressarmene, d’altronde se cercavo di difenderla venivo picchiato anch’io, quindi non mi conveniva. Quella battuta era dovuta proprio alla mia idea che senza genitori avrei vissuto meglio, tu, in realtà, non c’entravi niente, ti avevo usato per dire ciò che apertamente non potevo. Fatto sta che l’anno dopo divorziarono, mio padre si trasferì in America dove ebbe, meglio dire dove tutt’ora ha successo e fa la sua vita, lontano da me e da mia madre, la quale a volte si sfoga su di me. Pensa che c’è stato un periodo nel quale ha iniziato a bere, diventando dipendente, ma fortunatamente ne è uscita. Io, nel frattempo, continuavo a disinteressarmi un po’ a tutto, mi divertivo con gli amici e a scuola davo il minimo, l’importante era non essere bocciato. Poi incontrai Saix che mi rimise sulla buona via e con il quale avevo una relazione e, te lo dico liberamente, proprio lui mi ha sottratto la verginità. Quando, l’anno scorso, feci diciassette anni ci allontanammo, diventando più amici che amanti. Io me la sbattevo con qualche ragazza, mi continuavo a divertire con Demyx, anche se ora che ci ripenso, tutto questo non mi dava soddisfazione. Poi, abbiamo deciso tutti di andare in vacanza e guarda un po’ chi mi ritrovo a corteggiare per passare il tempo? Mi ero detto: Ma guarda ‘sto sfigato precisino, adesso lo perseguito un po’. Ed eccomi qui, innamorato pazzo di te, a raccontarti la mia vita pallosa e sprecata, senza un senso preciso… Penoso vero?” Sospirò.
“No, direi naturale. D’altronde tutte le persone che avevi intorno, a parte Saix e Demyx credo, non ti consideravano, usandoti solo come sfogo e alla fine, persino te, sei arrivato ad usarti come sfogo… Forse per questo vuoi che ti dica insistentemente quanto ti ami. Axel, non te lo dirò sempre, non ce la farei… Non sarei io, non sono così esplicito; però, giuro di fartelo capire attraverso i gesti, che tu troverai infantili, ma per me contano molto…” Disse il biondo, cercando di tenere un tono serio, non sciocco e balbettante che aveva quando era imbarazzato.
“Una dichiarazione, quasi mi commuovo.”
“Idiota, che vai dicendo!”
“Perché non lo era?” Lo guardò malizioso. Il biondo abbassò la testa, voleva evitare il suo sguardo, altrimenti il rosso avrebbe ottenuto ciò che desiderava, e lui non avrebbe preso alcuna iniziativa.
Axel, notando l’espressione nascosta con poco successo, diventare sempre più confusa e imbarazzata, rise e cambiò discorso.
“Te, invece? Che è successo dopo che te ne sei andato da casa mia?”
“Mi sono trasferito da mia zia, la madre di Sora. Mi trovai subito bene, anche se ero ancora scosso dalla morte dei miei genitori; ma nulla di speciale. Sora continuava a chiedermi di te, ma io non ne volevo parlare per tanti motivi, non solo per quello che mi avevi detto, ma soprattutto perché io mi ero reso conto di quanto ero stato esagerato e il senso di colpa mi faceva stare male. Volevo scusarmi, ma quando provavo a chiamarti non rispondevi e dopo un po’ il tuo numero è diventato inesistente… Quindi ho preferito dimenticare tutto. Forse sono più patetico io che me la sono presa tanto per una frase pronunciata al momento; poi non sono neanche venuto a cercarti, mi sono limitato a chiamarti. Che stupido.” Ridacchiò malinconico.
“Non è vero, anzi, adesso che ascolto la tua versione mi sento felice. Comunque me l’ero perso il cellulare, e me ne sono dovuto comprare uno nuovo.” Spiegò.
“Ah, capisco.” Ci fu un attimo di silenzio, colmato solo da un’improvvisa folata di vento, che subito passò.
“Prima tu hai ipotizzato che io, usandomi come sfogo, desidero un appoggio e per questo fatto ti chiedo in continuazione di confessarmi i tuoi sentimenti, giusto?”
“Si.” Fece un’espressione interrogativa; quale era il punto della questione? Sicuramente nulla di buono.
“Allora, se hai capito quello di cui ho bisogno, perché non me lo dai senza troppe storie? Solo per questa volta.” Gli chiese Axel, persuadendolo con lo sguardo.
“Io non so se…” Prese un respiro profondo; d’altronde cosa gli costava? Se era solo per quella volta.
“Ti amo.” E buttò fuori tutta l’ansia accumulata. Poi si sentì un fischio, uno scoppio e luce che ricopriva il cielo. Erano iniziati. Serpenti variopinti sulla tavola blu scuro, che era la notte, danzavano liberamente, muovendo freneticamente i loro corpi, per poi svanire in una piccola nuvola grigiastra.
Axel baciò il biondo, sotto quello sfondo di luci e colori. La passione ancora più sfrenata del solito, incombeva su Roxas, che non sapeva proprio come poter ricambiare il gesto, eccessivo per lui.
“Axel…” Riuscì a dire ansimando, appena il ragazzo si staccò per riprendere fiato; ma neanche passarono pochi secondi, che già Roxas si ritrovò impegnato in un altro bacio.
“Roxas, torniamo all’Onsen; vieni da me.” Gli disse bisbigliando. Roxas arrossì e timidamente annuì.
Superfluo dire cosa accadde tra i due, superfluo dire quanto si amarono, concedendosi l’uno all’altro;  non esistevano più Axel e Roxas, ma solo due anime, come tante, che si plasmarono in un’unica, stupenda essenza.

N.d.A.
Ed ecco lì che questa storia non continuò, causa: decesso dell'autrice da parte delle fangirl.
Buonasera! Anche con un gorno d'anticipo ho pubblicato il capitolo! Anzalizziamolo bene: la scena del ristornate? Sfottere Roxas e Sora era d'obbligo. Battibecco tra Riku e Axel? Stessa risposta che sullo sfottere Roxas e Sora. Poi la divisione delle coppie... Se stavano tutte insieme come potevo creare certe situazioni! Demyx e Xion è la mia preferita xD Non so perchè ma amo quando lei gli dice:
“Ti farò felice io, Dem-kun, aspetta altri cinque anni!” fa molto tenero :3 e forse è l'unica coppia eterno del momento O.O" La NaminéxKairi è forzata però... Ci stava ecco >.< Poi va beh, il discorso tra Riku e Sora mi sentivo ispirata, come al solito... Questa coppia ha uno strano ascendente su di me u.u Poi l'AkuRoku... Via i problemi e ormai si amano... L'unica cosa è stata eh eh... Non so fare le scene hot, va bene! La frase finale, in più, mi ispirava quindi... Ecco non vi arrabbiate! E continuate a seguirmi vi prego iOi 
Alla prossima (se non morirò prima)!
Here we Go!

P.S. Chiedo umilmente scusa ad akima e Val-chan! 

E come promesso ecco il disegno dedicato alla AkuRoku.

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... Non è un granché, ve'? -.-"

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Capitolo 16
*** Dalla felicità, alla catastrofe: tutta colpa di una ragazza sbadata. ***


16 

Tra le coperte, avvolto da un caldo quasi stordente, si trovava stretto fra le sue braccia ancora imbarazzato da quello che era accaduto la sera prima. Nella stanza si poteva ancora sentire l’eco dei suoi gemiti rilasciati in preda al piacere più folle e ciò non faceva che aumentare il disagio. I ricordi di quei momenti sembravano tanto reali che ancora sentiva sul suo corpo il calore, l’eccitazione, il dolore che era stato sostituito dal piacere. Axel l’aveva trattato con dolcezza, baciandolo come lui solo sapeva fare, trattando le sue parti intime con cura… Quasi gli era difficile crederlo. Di fatti era timoroso su ciò che sarebbe accaduto perché era certo che avrebbe avuto a che fare con qualcosa di più selvaggio, ma la conferma che gli era stata data era, per l’appunto, il completo opposto. Sarebbe cambiato qualcosa in lui non essendo più… Si mosse nel futon, cercando di scacciare quel pensiero. Ciò che forse metteva il suo essere orgoglioso e testardo nell’ammettere di ‘non amare determinate cose’a dura prova era proprio il fatto che voleva sentire di nuovo il rosso dentro di lui, mentre lo baciava avidamente, ma era troppo felice per pensare a quei stupidi dubbi che di solito gli venivano nei momenti peggiori. Sicuramente tutto quello che aveva provato gli sarebbe rimasto per tutta la vita, anche durante i rapporti futuri. Si morse un labbro appena ricordò quando il rosso aveva giocato con i suoi capezzoli –e non solo- con la lingua. Arrossì ancora di più raggiungendo il limite del possibile ripensando a quando Axel l’aveva masturbato, facendolo venire nella mano –che, tanto per cambiare, leccò-.
Le braccia che lo cingevano si strinsero di più e delle labbra si posarono sul suo collo, dolcemente.
“Buongiorno, Roxas.” Gli disse l’altro con un tono premuroso, anche se la voce era ancora assonnata.
“‘Giorno.” Balbettò.
“Ti è piaciuto, ieri notte?”
“Già te l’ho detto.”
“Voglio sentirlo di nuovo.” Il ragazzo si girò verso l’interlocutore.
“Ne abbiamo già parlato. Non posso rispondere a domande imbarazzanti, di cui già sai la risposta, perché l’hanno ricevuta.” 
“Dai, si tratta solo di due lettere.” 
“Uffa…” Sospirò. “Si, mi è piaciuto.” 
“Sono tanto, tanto felice.” Gli baciò la fronte. “Mi sono preso la tua verginità.” Esultò contento.
“Non è mica un premio.” Borbottò il biondo.
“Invece si; il miglior premio che un uomo abbia mai visto su questa Terra.”
“Non dire cretinate…”
“Solo perché ti fanno sentire importante, non vuol dire che sono cretinate.” Ghignò.
“Non mi fanno sentire importante.”
“No?” Sembrava quasi offeso.
“No.”
“D’accordo, come vuoi tu. Posso avere il permesso di continuarti ad abbracciare?”
“Va bene…” Balbettò. Axel sorrise e chiuse gli occhi per addormentarsi di nuovo.
“Senti, Axel…” Lo richiamò Roxas, tenendo la voce bassa. Il rosso aprì un occhio. “Ma io… Sono stato tanto pessimo?” 
“Sei stato il miglior Uke(*) con cui l’abbia mai fatto.” Roxas sbuffò. Essere il passivo lo infastidiva e non poco, d’altronde ci teneva al suo orgoglio, però non poteva di certo controbattere dicendo: Non sono l’Uke. Sarebbe stato come scavarsi la fossa da soli.
“Il migliore su quanti, se posso chiedertelo?” Domandò più per chiedere, che per sapere.
“Effettivamente solo tu, ma a me sta bene così.” Rise. Roxas gli diede dei pugni sul petto.
“Non mi piace essere preso in giro, idiota.”
“Perché esiste qualcuno a cui piace?” Gli chiese prendendogli i polsi.
“Se sai che da fastidio, allora perché continui?”
“Perché, per l’appunto, infastidisce.” Ghignò.
“Sei veramente cretino.” Si alzò dal futon, recuperando i boxer, che indossò.
“Perché hai le mutande nere? Quanto sei depresso? Due volte che te le vedo, due volte che sono nere.”
“Si può sapere che problemi hai?” Lo guardò sbigottito.
“Nessuno, piccolo Uke.” Ridacchiò divertito. Perché Axel doveva essere tanto infantile? Poi si domandava perché continuamente non gli diceva da amarlo, con certi atteggiamenti come poteva? Per evitare che quel nuovo soprannome prendesse il sopravvento come ‘Hachi’, gli si sedette sopra. 
“Se non la smetti, ti picchio.” Minacciò.
“Che paura.” Disse alzando le mani e scuotendole.
“Non voglio che mi chiami Uke.” Avvicinò il volto a quello dell’altro, tanto che le punte dei suoi capelli biondi gli toccarono le guance.
“L’unico modo per evitarlo è dimostrandomi che non lo sei.” Ghignò. 
“Non ti darò una tale soddisfazione, e poi è mattina non ti sembra… Eccessivo?”
“Affatto.” Lo prese per le braccia e lo portò sotto di sé. “Ti voglio ogni momento di più, non mi è bastato ieri.” Disse con un’espressione tremendamente frustrata.
“No, Axel! Lasciami andare, immediatamente.”
“Fammi baciare almeno il tuo petto. E’ così esile, mi piace tanto.” 
“No, no, no.” Continuò a ripetere, ma inutilmente, perché il rosso si era già messo all’opera. Roxas si stava eccitando e la cosa lo faceva innervosire; il suo compito era non farlo capire all’altro e fermarlo prima che sarebbe stato troppo tardi. Purtroppo, però, appena Axel gli morse il capezzolo destro con delicatezza, passandogli sopra la lingua, si lasciò sfuggire un piccolo gemito, ed anche se immediatamente soffocato, non passò inosservato all’orecchio acuto del rosso, che senza indugi iniziò a scendere verso la parte che realmente gli interessava.
“Già ti si è indurito.” Ridacchiò. Roxas avvampò e balbettò: “Non è vero…”
“Che intendi dire con non è vero, scusa? Vuoi constatare tu stesso?”
“Axel, smettila, ti prego.”
“Perché? Ora che mi stavo divertendo!” Sbuffò. “Anch’io ti prego di farmi continuare, ma non mi vuoi accontentare; allora quello che mi chiedo è: se tu, che al momento non detieni il potere, non mi concedi di continuare, perché io, che ho il potere, devo smettere?”
“Perché è molestia sessuale, depravato! Già il fatto che tu sei maggiorenne è un problema, poi vai anche contro il mio volere, direi che qui il potere è dalla mia parte.”
“Ma a te tutto questo piace, dico bene?”
“Non c’entra niente questo.”
“Invece si che c’entra.” Prese i boxer neri per l’elastico e, lentamente, iniziò ad abbassarli. “Vediamo se tra un po’ sarai della stessa idea.” Ridacchiò. Roxas strizzò gli occhi, pronto a ricevere il piacere; ma lo scorrere della porta e un tonfo distrassero i due, che contemporaneamente guardarono verso l’uscio. Una ragazza, dagli occhi verde brillante e dai capelli castani acconciati in una maniera particolare –due boccoli che ricadevano sul petto-, era caduta in posizione supina, facendo volare alcuni documenti che le ricaddero accanto i piedi e sul petto. Arrossì di vergogna, si rialzò subito e raccolse le carte, poi guardò verso i presenti nella stanza.
“Sono desolata chiedo perdono.” Balbettò. Poi guardò meglio la scena e i soggetti coinvolti in essa, sussultando e spalancando gli occhi accorgendosi che uno dei due era Roxas. “Roxa-kun?!” Per poco non urlò il nome.
L’interpellato deglutì e richiamò la ragazza a sua volta. “Olette?”
“Cosa… Come… Gomen nasai(**)!” E fece un inchino. Richiuse la porta sbattendola. Quella ragazza, confusa, imbarazzata, impressionata, vagava per l’Onsen con la sua immagine in quella posizione, in quel momento, impressa nella mente. 
“Merda… Tra tutti proprio lei…” Disse terrorizzato.
“Che ha quella che non va?”
“E’ la segretaria del vecchio Shinohara e per di più è una mezza pettegola, facilmente impressionabile, che andrà a dire a tutti ciò che ha visto!” Urlò in preda alla rabbia.
“E allora?” Chiese Axel completamente indifferente.
“E allora? E allora?! Come puoi dire: e allora?! E’ un evento apocalittico! La mia vita è ufficialmente finita!” Iniziò a battere il palmo delle mani sulla fronte, sperando di potersi dimenticare dell’inconveniente, anche se quella che doveva dimenticare era Olette, non lui.
“Non capisco proprio quale sia il problema che ti abbia visto con me.” Sbuffò spazientito.
“Axel, il problema non sei tu, ma il contesto; per spiegarmi meglio: siamo due uomini! E per giunta questo è un rapporto illegale.” Era sull’orlo dell’esaurimento nervoso.
“Se la metti dal tuo punto di vista, effettivamente è un evento apocalittico, ma solo se ci tieni tanto a me da volermi stare sempre accanto, quindi considero la tua esasperazione una confessione d’amore.” Disse sorridendo allegro. Roxas, invece, strabuzzò gli occhi; perché, almeno per una volta, Axel non poteva essere serio? Questa sua parte indifferente e quasi ottimista era la parte che più odiava. 
“Comunque devo uscire da questa stanza, subito!” Cercò di far levare Axel da sopra di lui, ma non ebbe affatto successo. “Axel, ti potresti levare per favore.” Disse vergognandosi della sua debolezza. Il rosso sbuffò e si sedette sul futon, liberando il biondo che schizzò in piedi e in pochissimo tempo si rimise i vestiti che aveva indossato per l’uscita –lo yukata era nella sua camera dove, ovviamente, non era tornato-. “Ci si vede, sempre se vivrò.”
“Si, si come ti pare.” Sbuffò imbronciato. Non voleva che il ragazzo se ne andasse, insomma… No, non voleva se ne andasse. Il biondo gli si avvicinò e gli lasciò un bacio leggero sulle labbra. 
“Ci vediamo dopo; grazie di tutto.” Disse mordendosi il labbro e uscendo dalla stanza a gambe levate. Axel si toccò le labbra, stupito e spiazzato da quel gesto; l’aveva baciato di sua spontanea volontà? Questo sentimento di serenità e quasi imbarazzo, non l’aveva mai provato prima; Roxas poteva essere così speciale per lui?

“Sora, sai per caso dov’è Roxas?” Gli chiese Kairi. Il ragazzo posò le ciotole sporche nel lavandino e, poggiando una mano sul bordo, si mise a pensare.
“Dovrebbe essere in camera nostra, oppure è ancora da Axel.” Si strinse fra le spalle incerto.
“Tu ne sai qualcosa, Riku?” Chiese rivolgendosi al ragazzo che, dietro di lei, era intento a tagliare delle verdure.
“Non vorrei sbagliarmi, ma prima mi è sembrato di vederlo correre da qualche parte, però non indossava lo yukata.”
“Provo a vedere in camera vostra allora, posso Sora?”
“Certo, fai pure.” Le sorrise. La ragazza ricambiò il sorriso e uscì dalla cucina, lasciando i due soli.
“Sora potresti cercarmi un contenitore dove mettere queste verdure tagliate?”
“Certo.” Il castano si asciugò le mani e iniziò ad aprire gli sportelli di legno bianco, spostando vari barattoli, utensili e quant’altro. -“Eccolo lì… Però è piuttosto in fondo.”- Pensò, allungando la mano verso l’oggetto richiesto. Non riuscendo ad arrivarci, si mise sulle punte dei piedi, sfiorandolo; allora iniziò ad insistere cercando di avvicinarlo, ma quello che ottenne fu che uno dei barattoli di vetro in prima fila cadde a terra, rompendosi in mille pezzi.
“Diamine…” Si chinò a raccogliere i frammenti, ma nel farlo si tagliò il polpastrello dell’indice.
“Sei senza speranza, Sora.” Riku prese il polso della mano ferita e, aprendo il rubinetto del lavandino, la mise sotto il getto d’acqua fredda. “Rimani fermo così.” Si raccomandò, prima di iniziare a spazzare via il disastro combinato dal castano. Sora era leggermente arrossito, non solo perché si vergognava del guaio che aveva provocato, ma anche perché, nel momento in cui Riku gli aveva preso il polso, aveva immaginato che disinfettasse la ferita leccandogli il dito, come era solito vedere nei manga shojo che gli aveva prestato Kairi. –“Però se mi avesse ‘guarito’ sarebbe stato come ammettere che io sono la ragazza nella nostra coppia.”- Questo pensiero lo fece agitare ancora di più. Cosa andava a pensare? Certo, ormai stavano insieme –anche se non l’avevano annunciato apertamente-, però era ugualmente imbarazzante, anzi, proprio perché erano fidanzati che il tutto era più disagevole! Se davanti a sé aveva Riku, l’amico freddo e distaccato, con il quale era impossibile instaurare un discorso, allora si; ma davanti a sé c’era Riku, il suo ragazzo dolce e premuroso –anche se a volte scorbutico-, con il quale ben presto si sarebbe spinto anche oltre al bacio… Arrossì anche per quest’altra considerazione.
“Sora, si può sapere perché mi stai fissando con quell’espressione paonazza?” Gli chiese l’albino facendolo riemergere dal suo mondo di pensieri e fantasie.
“Perché… Perché stavo pensando…”
“Tu pensi?!” Lo interruppe con una faccia sbigottita. Sora lo guardò serio e Riku abbassò la testa in segno di scuse. “Scusami; dicevi?” 
“Noi due siamo, come dire… Fidanzati?” Riku buttò i frammenti di vetro raccolti nel secchio e, sbattendo le mani, si voltò a guardarlo.
“Secondo te?” Usò un tono freddo e schietto e ciò fece sentire un brivido dietro la schiena al ragazzo, era meglio se si fosse stato zitto. 
“Domanda stupida, vero?” Ridacchiò nervosamente, grattandosi la nuca.
“Esattamente. Mi sembrava strano che tu pensassi, però se questa è la domanda allora tutto è più chiaro.” Sora sbuffò. 
“Grazie Riku, ti voglio bene anch’io.”
“Io non ti voglio bene.” 
“Perché?” Balbettò Sora, spaventato. Non è che Riku avesse avuto qualche dubbio e aveva deciso di lasciarlo perdere –anche se ciò era strano, dato quello che aveva detto-?
“Perché io ti amo.” Sorrise maliziosamente. Sora non poté altro che diventare ancora più rosso, prendendo un bellissimo colorito bordeaux.
“Ora che ci penso, devo andare a fare quel… Si, quel lavoretto per il vecchio Shinohara, quindi scusami, ma devo andare.” Si diresse verso l’uscio, ma l’albino lo fermò abbracciandolo. 
“Fare il timido e il prezioso è una nuova tecnica per persuadermi?”
“Fare il timido e il prezioso?” Gli fece eco per poi sbuffare. “Affatto. Cosa vai dicendo Riku, ti stai sbagliando.”
“Allora dammi un bacio.” 
“No! Insomma, potrebbe entrare Komachi-sama.” Riku assunse un'espressione seria e spazientita. Il castano si voltò per dargli un bacio a stampo.
“Contento?”
“Si.”
“Bene.” Annuì, mettendosi le mani sui fianchi. Si scambiarono entrambi uno sguardo… Un intenso e interminabile sguardo, che stava facendo diventare il silenzio angosciante.
“Non dovevi andare da Shinohara?” Gli fece promemoria l’albino.
“Oh, si vero! A dopo allora.” E se ne andò, lasciando il ragazzo solo, che sospirò scuotendo la testa.
-“Idiota, ingenuo e lunatico… Eppure lo amo tanto…”- Riprese a tagliare le verdure con un sorriso accennato sulle labbra.

“Roxa-kun, mio nonno ti vuole parlare.” L’avvisò l’amica dai capelli rossi. Era riuscito a darsi una lavata veloce almeno al corpo e ad indossare lo yukata, pregando per tutto il tempo di non essere chiamato dall’uomo appena pronunciato, ed invece doveva subito affrontarlo. Sfortunato, solo così si poteva definire. Bussò alla porta della stanza, dove era allestito l’ufficio del direttore. Con un “Avanti.” Detto a voce forte e chiara, il ragazzo, ancora spaventato, entrò. Era una camera come le altre, decorata con alcuni librerie, di cui gli scaffali erano pieni di libri e oggettistica varia –tra cui un buffo salvadanaio a forma di mucca e un piccolo peluche di coniglio intento a rosicchiare una carota-, c’era anche una vetrina piena zeppa di fascicoli di vari colori e altri documenti impilati ordinatamente. La scrivania era al centro della stanza, era un modello semplice e in legno; sul piano c’erano una luce ad olio, un portapenne con alcune matite e penne, un temperino, il computer con la rispettiva tastiera e mouse, ed infine, da un lato, altri documenti –probabilmente erano quelli che Olette aveva fatto cadere prima-. L’anziano sedeva al di là della scrivania ed invitò il ragazzo ad accomodarsi davanti a lui, con un largo sorriso. Roxas ricambiò il sorriso con uno più accennato e si sedette.
“Voleva vedermi, signore?” Cercò di tenere un tono fermo e lo sguardo fisso sugli occhi azzurri dell’uomo, coperti dalle spesse lenti degli occhiali da vista.
“Si, Roxas. Non so se ti senti in vena di parlarne, ma Kairi mi ha raccontato cosa ti è accaduto ieri pomeriggio. Come stai? Ti è stato recato un qualche danno?” Disse preoccupato, sporgendo leggermente il busto verso di lui.
“Affatto signore, sto bene.”
“Ti avrei chiamato prima, solo che mia nipote me l’ha detto solo questa mattina. Roxas, comunque, anche se tu mi dici di star bene io mi sono sentito costretto a dover chiamare i tuoi zii che verranno qui a prenderti; mi capisci vero? Poi alla fine della vacanza mancano meno di 16 giorni, quindi hai lavorato quanto dovevi lavorare, non preoccuparti.” 
Roxas era frastornato e scioccato da quella notizia improvvisa. Quindi doveva tornare a casa e stare distante da…
“No!” Esclamò sovrappensiero. Non voleva lasciare Axel, non voleva dovergli dire di nuovo addio… Non voleva… 
“Roxas, per favore, devi capire. Arriveranno domani, quindi ti concedo questo giorno di vacanza, per rilassarti per bene, okay? Non fare quel viso triste, anche a me dispiace, sai.”
“La prego, io non voglio andare!” Si alzò in piedi.
“E’ già stata presa la decisione.”
“Io… Non capisco…”
“Basta discutere, il discorso è concluso.” Il biondo sospirò. Stava facendo di tutto per trattenere le lacrime; come l’avrebbe detto ad Axel e cosa sarebbe successo poi? Tutto sommato anche se non fosse avvenuto quell’inconveniente si sarebbero dovuti separare, però… Perché doveva finire tutto in quel modo?
Nel momento in cui stava per fare l’inchino di congedo, il vecchio Shinohara lo fermò.
“Non ho concluso.” Il tono divenne improvvisamente più duro e distaccato. “Mi è stato riferito anche di una certa scena di questa mattina, di cui tu sei uno dei soggetti, è parliamo di una scena alquanto oltraggiosa: Roxas, è vero che questa mattina eri in stanza di un cliente, uomo e maggiorenne, e stavate avendo un rapporto sessuale?” Quelle parole furono come veleno per la mente di Roxas, scioccato, demoralizzato, ormai scoraggiato e sconfitto dalla realtà. La sua vita perché a volte faceva tanto schifo? Perché quando era felice tutto doveva andare per il peggio? Ma soprattutto, perché Axel doveva finirci di mezzo, lui che non c’entrava nulla? Tremò, cosa poteva rispondergli, cosa doveva rispondergli; quale sarebbe stata la replica che gli avrebbe dato vantaggio? Non lo sapeva, non ne aveva idea…
“Vede…” Fece un respiro profondo, pronto a rispondere.



(*) Uke: sostantivo che indica il soggetto passivo in un rapporto sessuale ( il soggetto attivo, invece, è identificato con Seme)
(**) Gomen nasai: Mi dispiace [Ho preferito usare questa espressione per incidere sul fatto della formalità N.d.A.]



Angolo dell'autrice:
Visto che questo capitolo apre una nuova "saga" della storia, che va verso il termine, ho deciso di tornare alle origini scrivendo Angolo dell'autrice ansi che N.d.A. u.u E ciò frega a chi? A Nessuno (eh eh ho l'Organizzazione dalla mia parte!)
A parte le mie battutine squallide vi pesento il capitolo 16 con il quale ho cercato di recuperare la mancanza di descrizione... Non potete capire quanto mi sono vergognata a scrivere solo quel pezzo lì! E'... E'... Perdonatemi ma sono il tipo da "Baci e amore" più che "Sesso selvaggio"! Però nei manga... Ehm... Sono tutto il contrario u.u Adesso parliamo un po' di quanto tutte noi odiamo Olette in questa mia storia xD di quanto iniziamo ad odiare Shinohara e che caro il nostro Sora rompi-oggetti-tutto-Shojo. Ammettete: vi aspettavate che Riku leccasse la ferita, ve'?! Eh eh u.u (lo so che non è vero però volevo dirlo ecco). Perdonate il capitolo striminzito ^^" e volevo fare un'annotazione: so bene che molti, troppi, sanno chi è l'Uke, però ho preferito mettere la nota, quindi sappiate che non vi credo ignoranti xD E' todo u.u
Alla prossima!
Here we Go! 

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Capitolo 17
*** Relazione a distanza, cos'altro? ***


17

“Mi è stato riferito…” Disse serio il vecchio Shinohara “… Anche di una certa scena di questa mattina, di cui tu sei uno dei soggetti, e parliamo di una scena alquanto oltraggiosa.” Si schiarì la voce, per poi dire: “Roxas, è vero che questa mattina eri in stanza di un cliente, uomo e maggiorenne, e stavate avendo un rapporto sessuale?”
“Beh, vede…” Il biondo fece un respiro profondo, guardò verso le mani che stringevano lo yukata sulle gambe “Si signore, è tutto vero…” 
“Eri accondiscendente?” Gli domandò, non mostrando il turbamento causato dalla risposta affermativa.
“Assolutamente, signore.” Rispose con voce tremante.
“Era lo stesso uomo che ti stava per stuprare?” Questa volta Roxas si limitò a scuotere la testa, in segno di dissenso –anche se era rimasto un po’ impressionato dalla domanda sconveniente-.
“Roxas, questa adesso è una domanda più personale: tu ami quel uomo? Non sei stato costretto in alcun modo, vero? Ti prego di dirmi la verità.”
“Assolutamente, signore. Io lo amo, per questo non voglio tornare a casa, per questo mi sto sentendo male per averlo messo nei guai…” Si morse il labbro, stava quasi per titubare nel dare la risposta e non era proprio consigliabile in quel momento.
“Io non giudico i tuoi orientamenti sessuali o le tue scelte, non sono un tuo parente, né tutore o quant’altro, neanche un amico se è per questo, quindi ho dovuto avvisare i tuoi tutori dell’accaduto e loro hanno preso una decisione, su ciò non si può discutere, mentre sul fatto di amare questo uomo, beh, visto che adesso hai del tempo perché non corri da lui?” Gli fece un sorriso. 
“Signor Shinohara, io…” Disse il ragazzo che tutt’un tratto si sentì sollevato, sostenuto.
“Non ne farò parola ad alcuno, promesso.” Gli disse il capo, sempre con un sorriso.
“La ringrazio!” Balbettò alzandosi. “Con permesso.” Fece un inchino e corse fuori dall’ufficio. Shinohara si abbandono sulla sedia di vimini. “Ah…” Sospirò “Questi giovani… Sempre a complicarsi la vita, stanno.” Borbottò.

“Cosa?!” Urlò Sora completamente sbalordito. “Perché ti vengono a prendere?” 
“Per quello che è successo ieri…” Disse il biondo a testa bassa.
“Cosa è accaduto ieri?” Gli chiese, ma non rispose. Gli faceva troppo male dover ricordare l’accaduto.
“E’ quasi stato stuprato da un uomo…” Prese la parola Kairi che in quel momento era presente, perché stava svolgendo il turno con Sora.
“Come?! Perché non mi hai detto nulla?”
“Non sapevo come dirlo…” Si giustificò.
“Eppure Kairi…”
“Me lo ha detto Axel, spiegandomi bene che è accaduto prima di cenare.” Lo interruppe la ragazza. Sora sospirò.
“Quindi dovrai tornare a casa…” Roxas annuì sconsolato. “Vorrei aiutarti, ma non posso di certo. E’ fuori questione mettersi contro mia madre, andrebbe a finire male.”
“Penso proprio che non cambierebbe idea comunque…” Sospirò il biondo sempre più depresso.
“Roxa-kun, per il momento non ci pensare, d’accordo?” Gli disse Kairi. “Hai il giorno libero oggi?”
“Sì.”
“Allora va a cercare Axel, credo che quello non aspetti altro.” Gli fece l’occhiolino. A Roxas scappò una risata e, salutando i due, li lasciò al loro lavoro. Kairi diede una botta in testa al castano.
“Stupido, potevi fargli vedere il lato positivo delle cose? Lo sai che è melodrammatico!”Sbuffò.
“Scusa, scusa; è solo che mi ha infastidito non esserne al corrente.”
“Se tu ieri ti fossi concentrato un po’ più su Roxas che su Riku, l’avresti saputo.” Gli disse maliziosa. Il ragazzo arrossì leggermente e poi si schiarì la voce.
“Si, forse hai ragione…”
“Come va tra te e l’iceberg?”
“Tutto bene, ho mantenuto la promessa.” Le sorrise.
“Non l’hai fatto perché me l’avevi promesso, vero?” Lo guardò incerta; Sora era capace di tutto, e lei lo sapeva bene. Una volta, quando erano alle elementari, gli aveva detto di mettersi la divisa femminile che lui quel pomeriggio le aveva macchiato con il succo. Lei ovviamente scherzava, non era seria, ma il giorno dopo Sora se l’era messa! Era un ragazzo che prendeva le cose troppo seriamente, di fatti le disse: “Una promessa è una promessa ed io, anche contro voglia, le mantengo!” Ed era proprio quella frase, che più volte era tornata a galla durante i loro pomeriggi passati insieme -quando lei voleva divertirsi un po’ facendogli fare un patto- a preoccuparla. Con i sentimenti delle persone non si scherza.
“Anche te con questa storia.” Sbuffò. “Non sono tanto scemo da dichiararmi ad un ragazzo se non provo nulla per lui.” Anche se era imbarazzato cercò di restare il più serio possibile, tenendo lo sguardo dritto negli occhi della ragazza.
“Sora-kun, sei cresciuto!” Esclamò la rossa contenta abbracciandolo.
“Grazie! Credo…” Ricambiò l’abbraccio. “Invece te? Con Nami-chan?” La ragazza arrossì, ora era il suo turno. 
“Tutto bene… Insomma, è un piacere sapere di essere ricambiati sinceramente, anche se non credo che Naminé sappia mentire, oppure si… Lei d’altronde fa l’attrice, ma adesso mi sto perdendo in chiacchiere inutili, eh eh…” Sora la guardò divertito, ma anche sorpreso; non aveva mai visto Kairi tanto imbarazzata in vita sua. Forse quella volta che era entrato nel bagno, per errore, mentre lei si cambiava l’assorbente e, non per errore, si era ritrovato una pochette metallica dritta in fronte e, quando lei uscì dal bagno, oltre alle torture che lo attesero –in merito a quel giorno aveva anche una cicatrice sull’avambraccio- non gli rivolse la parola per una settimana.
“Vi siete baciate?”
“Si, ho anch’io mantenuto la promessa.” Sora le scompigliò i capelli.
“Brava Kairi-chan, stai crescendo anche tu.” Sorrise, però, quando lui prima aveva ricambiato l’abbraccio, lei in cambio del gesto affettuoso gli calpestò un piede.
“Io, Sora, sono già cresciuta da tempo.” Sbuffò e tornò a lavoro, lasciando il ragazzo dolorante indietro.
-“Perché non mi sto mai zitto…”- Pensò, rattristendosi della sua debolezza –anche se, in verità, era Kairi che possedeva troppa forza-.

Mentre Kairi e Sora discutevano, Roxas si era messo alla ricerca del rosso, che non aveva ancora trovato. Aveva controllato nella sua camera, nei bagni, nella sala per il ping pong, ma non era in nessuno di questi luoghi; allora decise di chiedere a Saix, Marluxia o chi per loro e domandare se sapessero dove fosse, anche se compiere l’atto richiedeva del coraggio che lui non aveva. Si continuò a guardare intono. Il cortile come sempre era splendido e forse in quelle due settimane di cambiamento era l’unica cosa rimasta uguale. Sempre verde, sempre tranquillo e pulito, con gli alberi di ciliegio sparsi qua e là, che caricavano l’aria con il profumo dei loro fiori. Per quante persone ci potessero essere il silenzio regnava, solo qualche brusio si poteva sentire, ma poco contava; quello era il posto ideale per riflettere su qualunque decisione da prendere. Roxas, però non ne aveva, gli serviva più che altro il coraggio di dire quello che era successo ad Axel, non poteva fuggire e non poteva far finta di nulla, ma prima doveva trovarlo. Si guardò di nuovo intorno, e ciò che lo incuriosì fu vedere Saix, nascosto, che osservava una ragazza seduta su di una panchina sotto uno degli alberi di ciliegio che chiacchierava con una sua amica. Il biondo, fingendo di non aver notato quell’azione di spionaggio, andò verso l’uomo.
“Buongiorno, signore.” Lo salutò timoroso. Quello sussultò e, con un’aria più terrificante del solito, si voltò a guardare il ragazzo.
“Che vuoi?”
“Vorrei sapere dov’è Axel, devo parlargli urgentemente.”
“E’ uscito con Demyx, sono andati da qualche parte in città.” Disse con il solito tono, freddo e serio, da far venire la pelle d’oca.
“Grazie.” Si girò per andarsene, poi, però, si voltò nuovamente verso di lui. “Chi sta spiando?” L’uomo lo fulminò con lo sguardo, facendolo subito pentire della domanda.
“Non credo ti importi.”
“Già, ha proprio ragione; mi scusi.” Fece un inchino e si allontanò. Passò davanti le due donne che chiacchieravano allegramente, quando una delle due lo chiamò: “Roxa-kun! Roxa-kun, vieni un attimo; stavo giusto parlando di te!” Disse quella dai capelli rossi, raccolti da una coda alta. Lui si avvicinò lentamente, quasi impaurito che Saix potesse uscire dal suo nascondiglio e sbranarlo. 
“Mi dica pure, signorina.” 
“Signorina?” Ridacchiò. “Mi sono presentata l’altro giorno, Kureha Kurokage, ricordi?” Sorrise.
“Si, ricordo.” Annuì. “Come mai parlavate di me?”
“E’ vero che hai una relazione con un ragazzo dai capelli rossi?” Roxas strabuzzò gli occhi, ed ora questa da dove veniva?
“Perché me lo chiede?” Balbettò.
“La mia qui presente amica è innamorata di un tizio che sembra essere innamorato di quello che sembra il tuo ragazzo, capisci?” Parlò velocemente, in maniera contorta, tanto che il ragazzo dovette pensare bene alle parole pronunciate per capire cosa aveva detto.
“Chi gli ha detto una cosa del genere?”
“Vi ho visti ieri prima dei fuochi d’artificio, e poi ho incontrato Olette –per altro amica mia anche lei- e, vedendola turbata, le ho chiesto cosa le fosse successo e lei mi ha risposto di avervi visto in una certa situazione.” Si spiegò gesticolando e rimanendo sul vago. Roxas deglutì.
“Si… Io e lui stiamo insieme… La prego non divulghi la notizia, la scongiuro…”
“Visto Tsuki-chan? E’ tutto apposto! Comunque starò zitta, Roxa-kun, non sono una pettegola io.” Sorrise. Il biondo, però, notò nell’amica che gli era affianco un’espressone che diceva: “Certo come no.” e ciò lo fece preoccupare più di quanto già lo era. Doveva parlare con Axel il prima possibile.
“Ora io dovrei andare, scusatemi.” Fece un inchino di congedo. La rossa lo salutò, ringraziandolo ancora del thé che gli aveva preparato qualche sera prima, perché stava male. 
Lasciò il cortile, riprendendo così le sue ricerche. Per sua fortuna, quando chiese alla sua professoressa se Axel era tornato, quella gli disse di si, aggiungendo il fatto che il ragazzo era nella sua stanza; in cambio però –e questo lasciò un po’ stranito il biondo- la donna chiese se sapesse dove fosse Saix e, nel caso l’avesse visto, se avesse notato dei comportamenti sospetti. Roxas rispose affermativamente, accennandole anche il fatto che a lui sembrava stesse spiando qualcuno, non specificando chi era il qualcuno. Sul volto della professoressa si fece largo un ghigno e senza un saluto, se ne andò. Il ragazzo si strinse tra le spalle, pensando che a lui la faccenda non doveva interessare e andò da quello che ormai si poteva definire il suo amato.
Bussò leggermente, timoroso.
“Posso entrare?”
“Entra pure Roxas.” Lo invitò Axel. Il ragazzo entrò. I due proprietari della camera erano distesi sui futon, indossando dei jeans entrambi grigi scuro, dai quali si potevano vedere i boxer –quelli di Axel erano neri, (poi criticava lui), mentre quelli di Demyx a righe blu e verdi-, intenti uno a giocare con la PSP, l’altro a suonare qualche brano sconosciuto con il sitar blu e argento. 
“Che c’è?” Gli chiese il rosso, mettendo in stand-by la console. Roxas lo guardò negli occhi, intenzionato a fare un discorso serio, tenuto da una voce calma e sicura; ma neanche la prima parola che abbassò la testa, dicendo: “E’ successa una cosa… Ti ricordi cosa è accaduto ieri, no? Ecco vedi, Kairi l’ha ovviamente detto a suo nonno che ha avvisato i miei zii, quindi…” Una profonda tristezza e solitudine lo prese alla sprovvista, facendolo sentire dentro vuoto. Perché sembrava tanto devastante doversi allontanare da Axel? Forse perché si trattava di un anno intero di separazione? E se si fossero visti durante le vacanze sarebbe bastato? Quei pochi giorni? Una lacrima, a sua insaputa, iniziò a scivolargli lungo il viso. “…Domani mi verranno a prendere e dovrò tornare a casa.” Le altre rimasero in bilico sulla palpebra inferiore. Tirò su con il naso e si strofinò un occhio. “Scusami.” Aggiunse accennando un sorrisetto. Demyx fermò le corde dello strumento, mentre Axel lo abbracciò, premendo una mano sulla sua schiena, l’altra sulla nuca.
“Roxas, lo sapevamo entrambi che prima o poi questi giorni sarebbero finiti, e l’unico modo che abbiamo per sentirci è attraverso e-mail e chiamate. Ogni volta che potrò verrò a trovarti, non dimenticare c’è Larxene che è una tua professoressa, potrebbe essere comodo. Per cui evita di piangere che è inutile.” Gli prese il volto tra le mani e con i pollici gli asciugò una lacrima che stava per cadere. “Se anche ti dovessi allontanare da me…” Gli sussurrò. “… Io ti riverrei a riprendere anche in capo al mondo, passando sopra qualunque ostacolo mi si ponga davanti, sono stato chiaro?” Il tono serio e profondo fece arrossire Roxas, che annuì debolmente. “Quindi non preoccuparti! Visto che non abbiamo molto tempo, oggi andiamo a farci un giro in città? O devi lavorare?”
“Il vecchio Shinohara mi ha detto che oggi non lavoro, quindi sono libero.”
“Ottimo.” Lo baciò. “Vatti a cambiare, che ti faccio passare una giornata indimenticabile.” E ghignò. Roxas strabuzzò un attimo gli occhi e deglutì; poi voltandosi uscì dalla stanza –ancora scandalizzato-.
Il rosso rimase un altro po’ in piedi davanti la porta da dove era uscito il ragazzo. Una notizia che non avrebbe voluto sentire, la quale non sarebbe dovuto arrivare, non così presto per lo meno.
“Allora, Axel.” Disse Demyx d’un tratto alzandosi e mettendogli una mano sulla spalla. “Visto che non ami mostrarti debole davanti i piccoletti, che ne dici di sfogarti sulla mia spalla?” Allargò le braccia, con un sorriso. Il rosso fece un sorrisetto debole, accettando l’invito.
“Certo che ci tieni a lui… Sono quasi geloso.” Abbassò la voce sull’ultima parte della frase, per la dura verità che risiedeva dietro essa. Amava Axel, lo sapeva, ma non era gay, aveva amato anche ragazze, molte, però solo quel maledetto bastardo di un amico gli aveva stravolto la vita con i suoi modi di fare. Troppe volte l’aveva mandato al diavolo per quanto un suo sorriso riusciva a tranquillizzarlo, più di quanto ci riuscisse la sua adorata Hatsune(*) –il sitar-, troppe volte l’animo gli veniva corroso dalla gelosia perché molte potevano toccargli quelle sue bellissime labbra, mentre lui no; quando all’inizio della vacanza aveva baciato Roxas, si era chiesto come quel ragazzino con nessuna qualità aveva avuto potuto baciare Axel, mentre lui solo una misera volta, che neanche si poteva contare visto che era per gioco. All’inizio voleva ferire entrambi, però poi, vedendo come Axel era sempre più felice della vicinanza del ragazzo, alla fine lui anche ne fu felice e la gelosia divenne compassione verso sé stesso; e in quel momento poterlo abbracciare e consolarlo era il meglio che poteva desiderare. Tutto sommato, poi, anche lui voleva sentirsi per amore… Anche lui voleva essere apprezzato e ricambiato, da qualcuno, maschio o femmina che sia. Voleva poter trovare l’altro estremo del filo rosso.
Nel precise istante in cui si separò dall’amico, entrò nella stanza Saix.
“Prima ti cercava Roxas.”
“Lo so, ci siamo già incontrati.”
“Ne vuoi discutere?” Gli chiese. Il rosso si voltò un attimo verso Demyx che gli accennò un “sì” con la testa.
“D’accordo.” E l’uomo lo invitò nella sua di camera –accanto la loro-.
“Che ti succede?” Gli chiese.
“Roxas domani tornerà a casa, perché ieri pomeriggio è stato quasi stuprato da un uomo, e non so come far funzionare una relazione a distanza!”
“Non perdere mai i contatti, questo è l’essenziale, e ad ogni occasione buona dovete vedervi.”
“Lo so, ma… Lo credo impossibile… Cosa potrei fare?” Sospirò. Già gli era difficile tenere una relazione ravvicinata, non osava pensare come una a distanza.
“Axel, ci sarebbe un modo, ma non so se tu sei il tipo…” Disse l’azzurro dopo un attimo di riflessione.
“Dimmi.” Disse, come se una piccola speranza si fosse accesa.
“Potresti trasferirti lì, cercare un’università che ti aggrada e il gioco è fatto; ma sei abbastanza responsabile da poter vivere da solo?” Axel sospirò; anche quella possibilità che gli sembrava perfetta, si spense.
“Non ce la farei e mia madre non vorrebbe, lo sai che mi vuole con sé.”
“Axel, se tieni ad una persona, sei disposto a tutto per lei. Tu Axel ami Roxas?” Lui annuì. “Allora non vedo alcun problema. Se entrambi vi amate qualunque soluzione prendiate affinché possiate per lo meno rimanere a contatto sarà efficace.” Gli mise una mano fra i capelli e glieli scompigliò. “Quando l’altra volta ti ho mostrato ‘quello che facevi a Roxas’, in realtà, mi sono reso conto che quello era ciò che ho fatto io per farti innamorare di me, per questo poi ti sei allontanato.” Sospirò malinconico. “Comportamento patetico e infantile, non c’è dubbio; costringere a farsi amare è solo segno di stupidità. Quindi Axel ti chiedo scusa, veramente, e cerca di essere felice con Roxas, chiaro? Se ti farà soffrire però, sarò pronto a prendere le parti di chi è nel giusto.” Axel rimase completamente spiazzato da quelle parole, ma, cercando di non rovinare l’atmosfera evitò una qualunque battutina.
“Grazie, Saix.” Sorrise, poi però fece un ghigno. “Colgo l’occasione per chiederti una cosa. Ho sentito Larxene parlare a Marluxia di una certa ragazza che ti sei messo a pedinare, è la verità? Chi è lei?” Disse eccitato. Non era riuscito a trattenersi. Saix tornò serio, ci aveva messo poco il rosso a trovare il buon umore, e se stava nascondendo la tristezza, era veramente bravo. 
“Una vecchia amica di nome Tsuki, nulla di che.”
“Saix, perché non mi racconti qualcosina di più.” Sbatté le palpebre, facendo gli occhioni dolci. 
“E’ una mia ex, sono dieci anni che non ci sentiamo più, e adesso voglio riuscire a parlarle di nuovo; contento?”
“E quindi tu la pedini?”
“Non so come avvicinarmi.”
“Eh, Saix, Saix.” Gli diede qualche pacca sulla spalla. “Vai da lei e la saluti, non è qualcosa?”
“Il problema è che ieri alla festa abbiamo parlato e lei mi ha salutato, prima di andarsene, con un bacio.”
“E allora il problema non esiste, è cotta di te, punto.”
“Un bacio sulla guancia.”
“Infantile… Persino Roxas è più audace, quindi la situazione diventa persino preoccupante e ciò ti rende anche perverso; comunque dovresti, come già detto, andare da lei e salutarla.”
“Sei inutile, tu.” Sbuffò l’uomo scuotendo la testa.
“E’ stato un piacere aiutarti.” E uscì, ridacchiando e salutandolo con la mano. 
Indossata la camicia, Axel andò all’atrio, dove con Roxas si incontrò e andarono a prendere la moto. Gli aveva promesso un pomeriggio indimenticabile e gliel’avrebbe dato.

Mancavano 21 ore all’arrivo dei coniugi Sawamura.



(*) Hatsune: letteralmente ‘primo suono’


Angolo dell'autrice:
Manca poco alla fine di questa cosa! Meno -3 capitoli! YEAH! Una palla in meno da seguire su EFP! Che liberazione! 
Salve a tutti! Suvvia non odiate più Shinohara! Ammettetelo! Che dolce quel vecchietto *-* E il nostro Roxas che finalmente dice: Sì lo amo, senza rompere troppo u.u (credo che questo fatto sia dovuto alla mia antipatia nei confronti di Misaki di Junjou Romantica che si ostina a dire di non amare Akihiko <.< Ma dai dico io!) Ed ecco Demyx e i suoi pensieri ultra Moe! Mi sono sprecata! Non so perché, ma sto perdendo fiducia in questa fic... Come se alla fine l'avessi rovinata iOi ditemi che non è così e se lo è... Ditelo comunque! Tornando al qui presente capitolo... Sora e Riku non ci sono ... Recupererò poi su su u.u Avvertenze: la citazione occulta a questa Tsuki è per introdurre uno Spin-off di una mia amica che parla di Saix, figura importante e ambigua in tutta la mia storia ^^" Poi ne riparlerò bene nell'ultimo capitolo u.u Comunque, tornando al discorso precedente, sento che la storia sia diventata in un qualche modo strana... Cioè... E' irreale, infantile, idiota... T^T Forse lo era anche prima! . . . Beh... Che posso dire... Ci rivedremo nell'18 che è più decente, giuro!
Alla prossima!
Here we Go!



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Capitolo 18
*** L’ultimo giorno insieme, viviamolo al massimo. ***


18

Il sole picchiava forte, e il caldo era afoso. A mezzogiorno le strade della cittadina non erano molto piene, si vedevano diverse donne in yukata che si fermavano ai bar più vicini per chiacchierare dei più recenti avvenimenti; alcuni bambini che correvano per le vie, giocando con i loro amici; pochi invece erano gli uomini che probabilmente erano rinchiusi in ufficio o in negozio, beati dall’aria fresca del condizionatore, ed era ciò che Axel più desiderava in quel momento. Si stava pentendo di aver proposto a Roxas di uscire, si pentiva di essersi messo la camicia –anche se non poteva girare a petto nudo-, e si pentiva di aver lasciato la PSP in stand-by, quando nella stanza c’era Demyx. Visitarono per un po’ la città e, all’una circa, Roxas sentì il suo stomaco invocare cibo.
“Axel, dove andiamo a mangiare?”
“Dove preferisci tu, ho abbastanza soldi, quindi non c’è problema.” Il rosso mise la mano in tasca per assicurarsi della presenza del portafogli.
“Non se ne parla, pago io.” Disse bloccandogli il polso prima che potesse sfilare la mano.
“Perché?” Sollevò un sopracciglio.
“Non mi piace avere debiti.” 
“Oh, ma chi mai ha parlato di debiti.” Si chinò verso di lui, fino ad arrivare all’orecchio. “A te non serviranno soldi per ripagarmi.” Ridacchiò, mentre Roxas avvampò.
“Quindi dove andiamo a mangiare?” Cercò di riprendere il discorso.
“Il ristorante dove abbiamo cenato ieri non era male, che ne dici?”
“D’accordo, andiamoci pure.” Sorrise il biondo, anche se preoccupato di quello che gli era stato appena sussurrato. Arrivati al locale una donna dai lineamenti aggraziati li fece accomodare. Ordinarono del sushi, che mangiarono tra una chiacchiera e l’altra.
“Gli volevi rubare l’auto?!” Esordì Roxas, mentre portava alla bocca un nigiri(*).
“Già.” Rispose Axel intento a masticare.
“Con quale coraggio sei andato contro quell’uomo?”
“Chi lo sa. Giovane sciocco e depresso, ognuno i propri problemi.” 
“Ma non avrebbe dovuto portarti alla polizia?”
“Perché, ci speravi?”
“Beh, ci sarebbe un molestatore in meno per la strada, non è che la cosa mi dispiacerebbe.”
“Molto gentile.” Ghignò. “Tu, però, dove andresti senza di me?” 
Roxas tossì, imbarazzato. “Comunque, è stato un comportamento singolare, non trovi?”
“Neanche tanto, sai; ha detto che gli facevo pena.” 
“Mi stupisce il fatto che Saix provi compassione per qualcuno.”
“Rimarrà per sempre un mistero.” Disse Axel stringendosi fra le spalle, per poi allungarsi verso un hosomaki(**). Poi guardò verso il ragazzo che gli era davanti e notò che vicino gli angoli della bocca gli erano rimasti due chicchi di riso. Si alzò dal cuscino arancione con un ghigno, e si avvicinò a Roxas.
“Che succede?” Gli chiese seguendolo con lo sguardo. Il rosso si abbassò e, poggiando una mano a terra e l’altra sulla spalla del biondo, gli leccò via il cibo dal viso. Il ragazzo strabuzzò gli occhi e deglutì. Un sorriso beffardo –come se il ghigno non fosse abbastanza- si fece largo sul volto dell’altro. “Speravi ti baciassi, vero?” Gli disse.
“No, idiota.” Sbuffò, scansandolo. Axel prese la mano che Roxas gli aveva appena poggiato sul petto e la baciò, lievemente. 
“Mi vuoi veramente allontanare?”
“Questo è un luogo pubblico…” Borbottò, cercando di distogliere lo sguardo dal viso seducente dell’altro.
“Ma questa dove siamo ora è una sala privata, quindi…” Si avvicinò nuovamente. 
“E’ inutile discutere con te, fa come vuoi.” Sbuffò, non resistendogli più. Axel, però, andò all’indietro, così sedendosi sui polpacci. 
“Se non mi resisti, non mi diverto.” Si imbronciò come un bambino.
“Sei sadico o cosa?”
“Ti lamenti sempre. Dimmi almeno un lato positivo che trovi in me!” Gli ordinò. Roxas si mise a pensare profondamente. I secondi passavano veloci, rendendo il silenzio che aumentava carico di rabbia da parte del rosso.
“Non è difficile dai!” Sbottò innervosito.
“Invece è molto complicato.” Disse ancora immerso nei pensieri. “Non ne riesco a trovare neanche uno… Incredibile…” 
“Il problema sei tu che hai un punto di vista troppo critico.”
“Allora vediamo un po’ te. Quale è una mia caratteristica positiva?” Gli chiese, sicuro che, come lui, il rosso ci avrebbe dovuto pensare.
“Facile. Uno dei tuoi tanti pregi, che secondo me è persino il migliore, è quello di essere innamorato di me.” Accentuò in modo particolare l’ultima parola. Per quanto quella frase potesse essere egoista, un elogio più verso sé stesso che verso di lui, Roxas arrossì, stupito più dal fatto di aver sentito quelle parole, per lui imbarazzanti, pronunciate con tanta sicurezza.
“A me piace questo lato di te, dici sempre ciò che pensi, non considerando le conseguenze, oppure te ne disinteressi, fatto sta che, anche se può sembrare che parli a sproposito, così non è. Io non ne sarei mai in grado.” Pronunciò quelle parole quasi incantato dal modo di fare del ragazzo.
“Meglio dire ciò che si pensa, invece di tacere e mentire; io la penso così.” Gli fece un sorriso. “Finiamo il sushi e poi andiamo un po’ in giro. Ti voglio comprare un souvenir!” Esortò.
“D’accordo, se proprio desideri.” Sospirò; tanto avrebbe ripagato tutto a fine giornata, come prima Axel gli aveva accennato… Sì, avrebbe preferito di gran lunga pagare con il denaro.
“Non puoi arrenderti così, diamine! Dovevi dire: no, Axel, non voglio che tu spenda soldi per me.”
“Prima ho provato a dirtelo, e mi hai già spiegato come dovrò ripagarti, quindi non voglio sprecare fiato inutilmente.” Spiegò mangiando l’ultimo hosomaki.
“Perché l’hai mangiato? Era mio!”
“Sei proprio infantile tu, sai?” Sbuffò il biondo che, per quanto era innervosito dal comportamento del ragazzo, si stava divertendo; bene o male lo stava mettendo a disagio e la cosa gli piaceva eccome. –“Forse per questo Axel mi vuol vedere continuamente imbarazzato.”- Pensò.
“Non sono infantile, solo che mi piace esserlo; è differente.”
“Certo, Axel, l’importante è esserne coscienti.” Ridacchiò.
“Non mi deridere; non eri forse tu quello che mi ha fatto la predica riguardo il non dover prendersi gioco della gente?”
“Hai ragione, scusa. Comunque l’hosomaki era veramente buono!”
“Davvero?” Si porse in avanti, prendendogli il mento e, baciandolo, fece esaminare alla sua lingua ogni centimetro della bocca del biondo. “Proprio vero.” Disse staccandosi. “Il sapore della tua bocca è migliore del solito.” Roxas abbassò la testa, al limite del rossore; le vinceva tutte lui. Axel sorrise, mettendo la mano in tasca, cercando qualcosa. Il biondo osservò distrattamente il movimento e gli sembrò che il rosso stava prendendo i soldi, i quali aveva poggiato sul tavolo.
“Possiamo andare.” Axel si alzò e allungò la mano verso il ragazzo per aiutarlo a tirarsi su. “C’è un posto preciso dove vuoi andare?”
“No, nessuno.”
“Bene, allora lo troveremo.” Aprì la porta scorrevole e, appena uscirono, nella stanza entrò la donna che li aveva fatti accomodare.
“Roxas.” Gli sussurrò d’un tratto Axel all’orecchio, prendendogli la mano. “Corri.” E si precipitò all’uscita, trascinando il biondo ancora confuso. L’ultima cosa che sentirono, prima di allontanarsi completamente dal locale, fu la donna gridargli maledizioni e il ticchettio dei geta che si muovevano velocemente, ma non abbastanza per raggiungerli.
Quando si fermarono il rosso poggiò le mani sulle cosce, mentre Roxas sui fianchi, arcuando leggermente la schiena e buttando la testa indietro.
“Ma che cavolo combini?!” Gli gridò il biondo.
“Volevo farti provare il brivido di non pagare.” Ridacchiò, infilando in tasca i soldi che aveva finto di poggiare sul tavolo.
“Diamine Axel! Non mi sono mai vergognato tanto in vita mia! Ed ora? Non potrò più entrare in quel ristorante, sarò targato come criminale e tutto per colpa tua!” Sbraitò arrabbiato nero.
“Su, su Hachi, non costringermi a metterti la museruola.” Sbuffò.
“Non ti ci mettere con questo Hachi!”
“Allora Uke?”
“Leggi bene le mie labbra: sei insopportabile!” Disse per poi dargli di spalle, incrociando al petto le braccia.
“Ma mi ami, giusto?” Gli chiese, abbracciandolo da dietro.
“Sto iniziando a dubitare anche di questo.”
“Allora mi toccherà farti ricredere.” Gli lasciò un succhiotto sul collo. 
“Axel, siamo in piazza, luogo pubblico, davanti occhi indiscreti; possiamo evitare?”
“Possiamo? Come mai usi il plurale? Ti senti per caso coinvolto.” Ridacchiò divertito.
“Non intendevo questo con noi. Intendevo che entrambi siamo visti e quindi si pensa che entrambi ci concediamo l’uno all’altro, capito?”
“Non è così?” Gli chiese.
“Momentaneamente no.” Sbuffò, riuscendo a sottrarsi dalla presa. “Dove andiamo adesso?” Gli domandò.
“Ieri ho visto un negozio particolare, andiamo?”
“Che intendi con particolare?” Chiese Roxas, preoccupato per la sua incolumità.
“Vedrai.” E lo trascinò via.

“Dove vai, Sora?” Gli domandò Kairi vedendolo allontanarsi.
“Approfitto della pausa per andare in camera a riposare.” Fece un sorriso, talmente falso, che più per compassione che per cosa, Kairi ricambiò con un altro sorriso.
Il ragazzo entrò nella sua stanza, chiuse la porta e si andò a sdraiare sul letto, divaricando sia gambe che braccia, guardò il soffitto, iniziando a pensare sui fatti avvenuti e su quello che sarebbe accaduto in futuro.
-“Se domani verranno i miei genitori probabilmente anch’io me ne andrò, così che mia madre mi rinchiuderà in camera mia, senza acqua e senza cibo, a studiare come un forsennato giapponese antico; non credo sopravvivrò, poi senza Riku…”- Tirò su con il naso e si rannicchiò, abbracciandosi. –“Lo voglio accanto a me in questo momento…”- Arrossì al suo stesso pensiero. –“Quindi come potrò stare per undici mesi senza di lui… Non posso farcela… Sono peggio di una ragazzina innamorata.”- Sospirò, ritornando nella posizione iniziale. –“Non voglio neanche salutare Kairi. Ho bisogno di una soluzione efficace, immediata, qualcosa di geniale.”- E sprofondò nei suoi pensieri più oscuri e nascosti, in cerca di quell’illuminazione che gli sembrava tanto distante e lontana.
Qualcuno bussò alla porta, ma non ricevette risposta, perché la meditazione non poteva permettere interruzione. Entrò comunque, chiamando due volte il ragazzo, che immobile rimase a terra, e l’entrato, preoccupato, gli si precipitò accanto, iniziando a scuoterlo. La voce dell’arrivato risuonò confusa e ovattata.
“…ra? …ora? Sora?!” Urlò infine, facendo balzare il castano con il busto. Spalancò gli occhi osservando per bene l’altro.
“Quando sei arrivato, Riku?”
“Poco fa, non mi hai sentito bussare?”
“Bussare?” Chiese, confuso.
“Lascia perdere, ho capito. A cosa stavi pensando tanto intensamente?”
“Ad un modo per non starti lontano!” Esortò, senza rendersi conto delle parole pronunciate.
“Davvero?”
“Cosa?” Domandò poi, come ripreso da un sogno.
“Mi stai prendendo in giro spero?” Disse innervosito.
“Per cosa?”
“Mi hai appena detto che stavi pensando ad una soluzione per non starmi lontano!” Sbottò.
“Ah…” Arrossì. “Si, è vero. Domani vengono i miei genitori per prendere Roxas, probabilmente mi toccherà tornare a casa con loro, ma io non voglio. Ciò che desidero è poter restare con te e Kairi, anche durante l’anno… Sarei disposto a lasciare casa mia, gli amici, tutto; anche se detto così sembra più che altro un capriccio che una cosa…” Il discorso fu interrotto da un bacio improvviso dato dall’albino. “…Seria.” Concluse a bassa voce.
“Non sembra affatto un capriccio, lo vedo nel tuo sguardo quanto sia importate quello che stai dicendo e non credo tu possa immaginare la felicità che mi trasmettono queste tue parole.” Come un segno di timidezza si morse leggermente un labbro, quasi volesse che il gesto restasse nascosto.
“Sei felice?” Domandò sorpreso. 
“Te l’ho appena detto mi pare.” Sbuffò, imbarazzato. Quelle emozioni accennate lasciarono Sora completamente stupito. Riku emozionato? Sicuramente a breve avrebbe nevicato, o più semplicemente sarebbe avvenuta la fine del mondo.
“Riku, posso dirti che ti amo più di quello di cui sono cosciente.” Gli confessò ancora sbattendo le palpebre per l’avvenimento. L’albino ne approfittò immediatamente per lasciargli un bacio passionale, che costrinse l’altro a sdraiarsi sul futon. Salendogli sopra, l’attivo tra i due, iniziò a ricoprire di baci la parte superiore del corpo del castano, a quale scapparono due gemiti, che non furono per nulla trattenuti.
“Mi desideri, Sora?” Gli domandò Riku con il fiato corto per l’eccitazione. Il ragazzo annuì timidamente, arrossendo ulteriormente. Il ragazzo sopra lo baciò e, dopo essersi scambiati un’occhiata, iniziò a scendere, giù sempre più giù, fin dove il soggetto interessato attendeva, impaziente, attenzioni. Sciolse il datejime dello yukata, ma Sora lo interruppe.
“Non so se…”
“D’accordo, allora mi fermo.” Disse l’albino che levando le mani dall’indumento –che avrebbe desiderato togliere-. Sora, però, poggiò le mani su quelle dell’altro; erano più grandi delle sue, più adulte e fredde, ma il tocco che rilasciavano sul suo corpo lo facevano infiammare.
“Continua…” Balbettò in certo, chiudendo gli occhi, quasi volendoli sigillare. L’albino sospirò silenziosamente, e, facendo ritornare i loro petti a contatto, avvicinò il volto a quello dell’altro. 
“Non farò nulla se non sei totalmente accondiscendente.”
“Io lo sono.”
“Non è vero, hai una faccia spaventata; non devi accontentare nessuno. Non è che stai facendo ciò perché hai paura che poi non ci sarà più tempo?” Gli domandò Riku sospettoso.
“Io…” Balbettò non sapendo come contraddirlo.
“Sora, diamine…” Sbuffò levandosi da sopra di lui. “Non ci posso credere… Sei davvero così idiota?”
“Veramente…” Cercò una giustificazione, ma poi, abbassando la testa avvilito, disse: “Si…” Riku sospirò, grattandosi la nuca. 
“Mi sto sentendo stupido anch’io.” Gli disse scocciato.
“Scusami, Riku.” 
“E di cosa? Non ce ne è bisogno… Io torno a lavoro, visto che non ho altro da fare. Attento a non annegare nei tuoi pensieri, okay?”
“Certo.” Disse ancora afflitto dal suo comportamento infantile. Riku, che nel frattempo si era alzato, prese il mento di Sora sollevandolo e, chinandosi leggermente, gli diede un bacio semplice, un piccolo contatto veloce. 
“A dopo.”
“A dopo…” Disse come incantato, quasi quel gesto così semplice fosse valso più di mille incoraggiamenti, che l’avrebbero aiutato a perdere l’espressione triste. D’un tratto poi, un’idea folle, ma al col tempo geniale, gli passò come un lampo nella testa, tanto che esclamò: “Trovato!”
“Cosa?”
“Ho trovato la soluzione, Riku! So cosa posso fare!”
“Cosa?” Chiese di nuovo, con la curiosità crescente.
“Lo saprai domani.” Si alzò e andò alla porta, che fece scorrere. “Allora, andiamo? Abbiamo del lavoro dal svolgere, l’hai detto anche tu prima.” L’albino sorrise sotto i baffi e lo seguì uscendo dalla camera.

Intanto Axel aveva portato Roxas al negozio particolare, che prima aveva citato, ma ciò che veniva venduto in questo, lasciò Roxas completamente allibito.
“Videogame? Ma sei peggio di Sora!” Sbuffò, innervosito, tenendo d’occhio il rosso che passava da un gioco ad un altro. 
“Guarda, Roxas! Devo assolutamente comprarmelo!”
“Cosa?”
“Il professor Layton e la maschera dei miracoli.” Il ragazzo rimase a bocca aperta, rifiutandosi di profanare qualunque parola. “Se no c’è anche Asura’s wrath (***)… Sono indeciso.”
“Insomma sei uno che ha dei generi definiti… E si può sapere quante piattaforme hai?”
“Più o meno tutte, mi manca la Wii, ma non dispero di certo.”
“Sbrigati a comprare e usciamo di qui.”
“D’accordo, prendo entrambi!” Annunciò allegro dirigendosi alla cassa. In quel momento a Roxas venne il sospetto che il suo ragazzo –pensarla in questo modo lo fece arrossire lievemente- non avesse pagato il pranzo proprio per comprarsi i videogiochi, e sicuramente era così.
“Fatto, possiamo anche uscire.” Disse ancora euforico per l’acquisto.
-“No, neanche Sora è tanto contento, solo quando trova una cosa che cercava da mesi, se non anni.”- Pensò sospirando. 
Appena uscirono dal negozio, d’un tratto, dal cielo iniziarono a cadere gocce su gocce, sempre più violentemente. I due, presi alla sprovvista, cercarono il riparo più vicino rifugiandosi sotto un portico non lontano da dove si trovavano. 
“Etciù.” Starnutì il biondo, cercando di farsi calore sfregandosi le braccia. Axel lo abbracciò, stringendolo forte. 
“Ci penso io a tenerti caldo.” Gli sussurrò dolcemente. “Mi spiace non avere nessun indumento da prestarti.”
“Non fa nulla, grazie comunque…” Balbettò, sempre più rosso; altro che Axel, a farsi caldo ci stava già pensando da solo. 
“Sei tutto rosso, vedi che funziona il mio metodo.” Questa volta il tono suonò più divertito, che premuroso.
“Tu, maledetto…” Axel aumentò la stretta. “I love you, Roxas. I’d die without you.” 
“Non parlarmi in inglese…” Continuò a balbettare.
“And you?” Domandò guardandolo.
“What… Cioè, cosa?”
“Moriresti senza di me?”
“Non proprio, ma si… Insomma…”
“Non mi piace quel non proprio.” Lo prese per le spalle e lo poggiò al muro che era alla loro destra, posizionando una mano sopra la testa del biondo e l’altra lungo il proprio corpo. “Di si e basta.” 
“Se mi costringi non ha senso.” Sbuffò.
“Io ti sto solo istigando a dirmi il vero.”
“Mi da fastidio, quindi non farlo.” Axel si levò da lui, e sbuffò. 
“Testardo, testardo, ecco cosa sei!”
“Non è vero.” Gli urlò.
“Non alzare la voce.” Lo sgridò.
“Non la sto alzando.”
“Invece si.”
“Perché stiamo litigando?”
“Perché ti credi una persona che ha sempre ragione.”
“Ovvio, è così.”
“Questo lato di te mi era nascosto.”
“Certo, tu non conosci molte cose di me, sai?”
“Bene.” Si sedette a terra, poggiando la schiena al muro. “Viene qua.” Indicò il posto accanto al suo. Roxas si mise dove indicato. “Parlami di te.”
“Come?”
“Voglio conoscerti, posso?”
“Si, ma non so cosa dirti.”
“Quando sei nato?”
“Il 13 maggio.”
“Gruppo sanguigno?”
“AB.”
“Piatto preferito?”
“Axel, dai è inutile.” Sbuffò.
“Rispondi e non lamentarti.” Lo ammonì e il ragazzo, sospirando, rispose: “Non lo so… Mi piace il sushi.”
“Dove studi?”
“Dovresti saperlo, Larxene insegna lì.”
“Lo so, però voglio sentirlo da te.”
“La scuola media superiore Yoake.”
“Tuoi amici più fidati?”
“Si chiamano Hayner, Tidus e Pence.”
“Come ti trovi nella tua famiglia?”
“Bene.”
“Il tuo primo amore?” Domandò ancora.
“Credo Naminè…”
“Il tuo fidanzato attuale?”
“Te lo devo dire?” Gli chiese, non mostrando quel poco d’imbarazzo che stava abilmente mascherando con dell’ironia.
“Certo.” Disse con serietà il biondo sospirò ancora.
“Tu.”
“Moriresti per me?”
“Si, ed è proprio per questo che adesso stiamo insieme, cercando di passare al massimo questo pomeriggio.” Arrossì, abbassando la testa; ormai aveva perso il conto delle sue sconfitte.
“Ottimo, sono contento che tu me lo dica.” Sorrise allegro e soddisfatto.
“Visto che piove…” Balbettò. “…Rientriamo all’Onsen?”
“Ma siamo venuti con la moto, non sarebbe vantaggioso, meglio rimanere qui.”
“Okay…” 
Ci fu silenzio. Il rumore della pioggia cadere sull’asfalto e nelle pozzanghere erano gli unici suoni, che sembravano rilassare gli animi. Roxas chiuse gli occhi, facendo così scivolare via con la pioggia tutti i suoi dubbi e le preoccupazioni.
“Io, Axel, non morirei per te, io vivrei per te; da morto non credo servirei a qualcosa.” Accennò un sorriso. Il rosso gli prese la mano, facendo intrecciare le dita; bastò quel gesto per trasmettersi l’un l’altro quello che provavano, quello che sentivano e tutto ciò che volevano nascondersi per evitare preoccupazioni inutili. Entrambi temevano che si sarebbero persi di vista, ma entrambi sapevano che non l’avrebbero mai permesso.
La pioggia continuò a cadere imperterrita, e nell’attesa che si fosse fermata i ragazzi si raccontarono qualche aneddoto per ammazzare il tempo e solo verso le diciotto, dopo essersi anche presi una specialità locale come snack, tornarono all’Onsen, dove la giornata insieme, di certo, non si sarebbe conclusa.


(*) Nigiri: tipo di sushi che consiste in piccole polpettine di riso sopra alle quali vengono appoggiate delle fettine di pesce crudo
(**) Hosomaki: Sushi arrotolato, fatto con mezza foglia di alga (nori) ripiena di riso e un ingrediente che può essere sia pesce fresco che verdure.
(***) Asura’s wrath: videogioco per Xbox 360 e PlayStation 3, uscito nel 2012 in Italia.



Angolo ell'autrice:
Evvai, ne manca uno! Era ora! Festeggiamo... O no, aspetta... C'è anche l'epilogo <.< che noia!
E voilà (si scrive così O.o), ecco il terzultimo capitolo! Penultimo per la vera storia! (Non che il resto sia finto, però è un in più u.u) Che dire... Troppo zuccherato, vero <.<" Mi dispiace, andate a fare una visita per il controllo del diabete dopo questo, mi sa che conviene. Purtroppo non so fare scene... Serie con l'Akuroku... Quindi... Chiedo venia u.u Da notare il ritorno delle note! Yeah! Non so se qualcuno dei lettori conosce le pietanze da me citate, ma io ho specificato u.u Non ho molto da dire... Beh... Siamo alla fine, quindi se potete lettori invisibili lasciate un commento positivo o meno, anche corto, ma fatevi sentire °o° Con questo è tutto. Passo e chiudo.
Alla prossima!
Here we Go!

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Capitolo 19
*** Good job, guys ***


 

19

 

“Mmh… Ah… Nn...” Piccole spinte. I loro respiri, divenuti ormai irregolari, si sincronizzarono, come i battiti dei loro cuori. “Ah… Ah…” Il movimento del bacino si velocizzò. Un gemito dopo l’altro completava l’atmosfera d’amore nella stanza. “Hyah!” La botta finale, decisa. Poi l’apice, il momento in cui il respiro si fermava, il battito diveniva più lento, impercettibile, e i gemiti morivano in gola, tutto in quell’istante in cui il piacere era sovrano. “Tutto bene?” Gli chiese il Seme della coppia. “Si.” Rispose affannosamente il ragazzo che era sotto. “Ti amo.” Gli sussurrò. “Anch’io.” Abbracciò il ragazzo che gli era appena entrato dentro, mentre una lacrima gli scivolava lungo la guancia. Lo amava, lo amava troppo; non avrebbe mai voluto dividersi da lui, mai.

“Roxas…” Lo chiamò Axel, sussurrandogli all’orecchio. “E’ ora di alzarsi.” Gli baciò il collo. Il biondo si mosse e girandosi diede uno schiaffo, involontario, al rosso. Lentamente alzò il busto e si stiracchiò.
“Che ore sono?”
“Le nove e tre.” Gli rispose l’altro massaggiandosi la guancia, con una smorfia di dolore.
“Cosa?!” Il ragazzo scattò in piedi, si vestì e velocemente iniziò a farsi la valigia. “Gli zii saranno qui verso le dieci!”
“E qual è il problema?”
“Devo essere pronto.” 
“Pignolo.” Sbuffò, sdraiandosi nuovamente sul futon di Sora. “Certo che non è male come camera.”
“Siamo stati fortunati che Sora non c’era.” Disse Roxas.
“Già, così sono potuto restare accanto a te. Maledetto Demyx che era in stanza.”
“Anche se, alla fine, potevamo stare anche nella tua camera, tanto non abbiamo fatto nulla.” L’espressione che fece fu di sollievo.
“Non ricordarmelo, ragazzino viziato e capriccioso! Mentre Riku e Sora se la spassavano nella camera a fianco, io sono dovuto rimanere immobile a girarmi i pollici.” Si lagnò.
“È tutta colpa tua che mi hai sfidato. Il tuo fare da gradasso non ti ha portato a nulla, ben ti sta!”
“Roxas, ti prego. Come farò senza di te per undici mesi!” Gli disse rattristato.
“È mattina.”
“Neanche un bacio?!” Sbottò. Il biondo sospirò, mise alcune magliette, che aveva tirato fuori dal cassetto, nella valigia; si avvicinò al futon, poi gattonando andò a sedersi sulle cosce di Axel, poggiando il mento sulle braccia, posate a loro volta, sul petto del rosso.
“E se non volessi essere baciato da te?”
“Non ci crederei, neanche se mi rifiutassi.” Ghignò, rispondendo alla provocazione implicita.
“Più che altro io non ci riuscirei.” Sciolse le braccia, poggiando la guancia sul petto. Axel gli iniziò ad accarezzare i capelli.
“Se solo potessimo rimanere insieme un altro po'.”
“Purtroppo non si può... È colpa mia...”
“Non è vero, tu non c'entri nulla."
“Lo credi sul serio?”
“Che domanda sarebbe?”
“È una domanda.”
“Certo che lo credo!”
“Ne sono felice.” Strusciò sul suo corpo, verso il viso. 
“Non so come potresti essere triste con me.” Ghignò.
“Io invece non so come levarti quel ghigno dal volto.”
“Chi lo sa, forse esisterà un modo.” Roxas abbassò la testa, poggiando le labbra su quelle dell'altro.
“Così funziona?” Chiese.
“Si, ma per poco. Se vuoi ottenere un effetto più duraturo, devi spingenti più in là.” Tirò fuori la lingua, toccandola. “Allora, la vuoi aggiungere?”
“Perché dovrei?” Balbettò.
“Se non lo fai ti farò mio, con molta passione.” E si curò di accentuare l'ultima parte. Il biondo deglutì. Avvicinò nuovamente la bocca, portando in avanti la lingua timidamente. Axel, divertito, completò l'opera, sovvertendo le loro posizioni. Con la lingua iniziò a scendere dal collo.
“Axel, fermo.” Gli mise le mani sulle spalle, cercando di allontanarlo.
“Perché non vuoi che ti tocchi?”
“Non è che non voglio, però è troppo.”
“Troppo?” Gli fece eco, non capendo il senso che aveva la parola nel contesto.
“Si.” Si limitò a confermare.
“Allora cosa dovrei fare, sentiamo.” Disse serio, quasi innervosito.
“Non lo so...” 
“D'accordo, ti ho capito io. Ti lascio perdere.” Si alzò in piedi. “Mi vado a cambiare.” E uscì dalla stanza, portandosi il cambio.
Roxas sospirò rattristato. Non riusciva proprio a lasciarsi andare; forse questa reazione era dovuta al fatto di contare sul carattere di Axel che imperterrito avrebbe proseguito.
Questo pensiero faceva sembrare il loro rapporto leggermente sadomaso. Sconsolato continuò a prepararsi la valigia.
“Buongiorno.” Disse qualcuno, entrando nella camera.
“Buongiorno, Sora.” Lo salutò il biondo, riconoscendo la voce. “Dove sei stato questa notte?” Il castano alla domanda arrossì.
“Sono stato da Riku.”
“Lo so, si sentiva.” Ridacchiò.
“Oddio, non volevo… Ho disturbato?” Balbettò vergognandosi.
“No, no, per niente. Sono contento per te.” Gli sorrise. I ricordi di Sora che si immaginava come sarebbe stato fare sesso con Kairi, usando persino lui come manichino, lo fecero ridere.
“Grazie.” Disse Sora, non sapendo come rispondere.
“Come è stato?” Gli chiese poi, lasciando spiazzato il castano per la domanda fin troppo audace -si trattava pur sempre di Roxas-.
“Fantastico, meraviglioso, cioè… Non saprei come definirlo, però anche quando mi faceva male, io stavo bene.” 
“Ti capisco.” Annuì, concordante.
“Preparati la valigia, che anche tu vieni via oggi, giusto?”
“Si.” Prese il suo bagaglio, messo ordinatamente in un angolo della stanza, sul futon, aprendolo.
“Invece te con Axel, come va? Immagino che anche voi ieri sera l’avete fatto.”
“No, mi aveva provocato ed io, per vendetta, mi sono rifiutato.” Si sentiva soddisfatto del suo agire; ma Sora, sconcertato, esordì: “Ma sei scemo?!”
“Perché?” Chiese spaventato dalla reazione del cugino.
“Ieri era l’ultimo giorno in cui potevate stare insieme, e tu l’hai sprecato? Prova ad immaginare come si senta Axel; adesso magari è preoccupato perché pensa che tu ti stia sforzando per stare con lui… Sei idiota o cosa?” Uno strano senso di colpa crebbe nel biondo, che abbassò lo sguardo.
“Prima, infatti, Axel era arrabbiato…” Gli confessò.
“Appunto. Ora dov’è?”
“Credo si stia facendo una doccia…”
“Allora va da lui, subito!” Lo incitò Sora. “Dimostragli che per te lui conta qualcosa.”
“Ma non so cosa fare.”
“Devi solo lasciarti andare, tanto ormai lui è il tuo ragazzo, no? Non vedo il problema.” 
“Si, ma…” Balbettò.
“Niente ma: go!” Esortò sorridendo. Roxas, arreso all’evidenza che Sora ne capiva molto più di lui nel campo dei sentimenti, andò da Axel. 
La porta del bagno era chiusa, la voce di Axel che canticchiava qualche canzone in inglese, inventandosi le parole, faceva da sottofondo allo scorrere dell’acqua. Roxas mise la mano sulla maniglia e fece scorrere la porta. Nella doccia, alla quale si accedeva attraverso una porta di vetro opaco, si vedeva la sagoma di Axel muoversi.
Il biondo bussò: “Axel… Posso fare la doccia con te?” Balbettò, estremamente imbarazzato.
“Non ti sforzare.” Gli disse chiudendo l’acqua. “Tanto ho finito.”
“Io non mi sto sforzando.” Replicò. Il rosso aprì la porta della doccia, uscendo insieme a delle nuvole di vapore. Un asciugamano gli cingeva i fianchi, i capelli bagnati scendevano lisci lungo la schiena, con le gocce d’acqua che lentamente scivolavano dai capelli, ricadendo poi sugli addominali scolpiti e sulla schiena. 
“Non ti credo.” Prese un asciugamano più grande che era appeso, passandolo sul corpo. “Mi sono permesso di prendere gli asciugamani puliti.”
“Oh… Si, non fa nulla.” Disse, continuando a seguire ogni suo movimento con attenzione e anche una certa ammirazione.
“Non dovevi prepararti?” Gli domandò, indossando i boxer.
“Ah, si, ma c’è ancora tempo.” Rispose. Axel non disse più nulla; si spicciò i capelli con la spazzola che si era portato la sera prima. “C’è un phon?” Chiese.
“Lo sportello in basso, alla tua destra.” Indicò lo sportello. Il ragazzo si chinò e prese quello che voleva; attaccò la spina e azionò l’oggetto.
Roxas guardò in basso, verso i suoi piedi che continuava a muovere agitato. Cosa doveva dire? Era arrabbiato, non ci voleva di certo un genio per capirlo.
“Axel…” Il rosso spense il phon e, senza voltarsi, disse sbuffando: “Cosa vuoi?”
“No, niente; solo…”
“Se non hai nulla da dire, io finirei di asciuga…” Ma venne interrotto quando sentì le braccia del ragazzo cingergli i fianchi.
“Axel non voglio che tu sia arrabbiato con me.”
“Allora anche tu cerca di non farmi arrabbiare.”
“Scusa.” Axel si girò e gli prese il volto. 
“Sei scusato.”
“No, aspetta.” Lo fermò. Axel sospirò, odiava questo comportamento: prima voleva essere baciato, poi non più… Gli faceva salire il sangue al cervello. Però, poi, preso alla sprovvista, sentì sulle sue labbra quelle di Roxas, che non omise la lingua, la quale avidamente stava cercando la sua, che non tardò a farsi trovare. 
“Roxas…”
“Scusami se non riesco a ricambiarti, ma sono fatto così e non credo di riuscire a cambiare.”
“Sei perfetto come sei.” Sorrise, facendo toccare le loro fronti. “Anche se mi devi spiegare perché ti ostini a respingermi. Per lo meno stai zitto e subisci.” Ghignò.
“Mi sembra un po’ esagerato… Comunque se ti dico il perché, giura di non ridere.”
“Prometto di non ridere.”
“Ti contrasto perché so che tu continuerai imperterrito e, in un certo senso, mi piace.” Abbassò la testa dalla vergogna. Axel lo guardò un attimo interdetto, poi iniziò a ridere di gusto e Roxas, ormai paonazzo, desiderò solo di sotterrarsi… Mai più si sarebbe confidato con Axel; sbagliando si impara.

“Signor Shinohara!” Lo salutò una donna dai capelli castani, portati a caschetto.
“Rin, che piacere poterti rivedere!” Si diedero la mano e poi si abbracciarono. “Come è andato il viaggio, tutto bene?”
“Si, si, ma come ben sai siamo intenzionati a partire. Roxas è pronto?”
“Viene anche Sora con voi?” Domandò il vecchio.
“Certo, ma se lei vuole che resti…”
“La prego, lo porti via!” La supplicò l’uomo. “E’ stato utile, si, però non ce la faccio più. Avrà rotto in totale 20 oggetti.”
“Che cosa?” Balbettò. “Sora mi sentirà.” E il volto della donna assunse una spaventosa espressione.
“Dov’è Shinnosuke?”
“Sta pagando il taxista.” Rispose. Proprio in quel momento l’uomo entrò.
“Salve, signor Shinohara.”
“Oh, Shinnosuke, benvenuto anche a te. Che ne dite di accomodarvi in una sala privata? Vi farò portare un po’ di sakè mentre attendete i ragazzi.”
“Accettiamo con molto piacere, grazie.” Confermò la donna.
“Olette, pensa a far accomodare gli ospiti.”
“Sissignore.” Fece un inchino. “Prego, seguitemi pure.” Disse con un sorriso, indicando la strada.

“E’ arrivata vostra madre!” Annunciò Kairi, entrando nella stanza dei due fratelli. “Dov’è Roxas?”
“E’ con Axel. Appena arriva lo avviso.” Gli rispose chiudendo la valigia.
“E così si riparte…” Sospirò rattristita la ragazza.
“Già, speriamo che mia madre accetti.” Disse il castano.
“Secondo me dirà di si.” La rossa si poggiò alla porta. “Comunque Sora, cosa mi racconti?”
“Niente di speciale.”
“Te e Riku l’avete fatto?” Disse, arrivando subito al punto, sghignazzando maliziosa. Il ragazzo sorpreso, tossì. 
“Perché lo chiedi?”
“Eddai, dimmelo Socchan.”
“Non chiamarmi Socchan.”
“Scusa.” Sbuffò. “Allora?”
“Si, l’abbiamo fatto.” Rispose, domandandosi quale avvenimento mai poteva essere aver fatto l’amore con il suo ragazzo, d’altronde anche Roxas l’aveva fatto, eppure a lui nessuno chiedeva cosa era successo. 
“Gli hai fatto una foto?” Domandò poi.
“Kairi-chan?!” Esclamò strabuzzando gli occhi.
“Scherzavo.” Disse ridendo. “Comunque è meglio se vai da tua madre, avviso io Roxa-kun.”
“Di cosa devi avvisarmi?” Domandò il ragazzo, che era appena arrivato. 
“I tuoi zii sono qui.”
“Cosa?!” Scattò nella stanza e riprese a farsi la valigia. “Arrivo subito, voi se volete precedetemi.”
“Okay, andiamo Sora.”
“Si.” Annuì, seguendola. 
Poco dopo l’uscita dei due amici, nella stanza entrò Axel, che, a differenza di quando era in bagno, indossava lo yukata, tenendo l’asciugamano intorno al collo. 
“E così sono arrivati.” Disse, poggiandosi con la spalla sullo stipite.
“Già.” Disse triste. 
“E va beh, allora buon viaggio! ... Non saprei cosa altro dirti.”
“Non saprei neanche io.” Ridacchiò malinconico. Axel si avvicinò e lo abbracciò da dietro. 
“Ti amo, non perderemo i contatti, non lo permetterò mai, non di nuovo.”
“Lo stesso vale per me, Axel.”
“Ora sbrigati, se no poi il tuo curriculum da pignolo si ritroverà con una macchia.” Ridacchiò. Il ragazzo ricominciò la preparazione dei bagagli, aumentando la velocità.

Nella stanza privata, erano tutti radunati intorno un tavolino quadrato. Gli adulti da un lato, Sora, Kairi e Riku di fronte.
“Sora, il vecchio Shinohara mi ha supplicato di portarti via, ti rendi conto?” Disse la madre, irritata e imbarazzata dal comportamento del figlio. 
“Scusa, mamma… Mi dispiace.”
“I tuoi bagagli sono pronti?”
“Si, prontissimi.” Fece una pausa, poi si schiarì la voce. “A tal proposito: mamma, io volevo chiederti una cosa…”
“Quale?”
“Io desidero trasferirmi a vivere con la famiglia di Kairi ad Osaka!” Annunciò lasciando spiazzati tutti i presenti –eccetto Kairi, che già sapeva di questo piano e aveva informato sua madre, la quale aveva dato il suo consesso.-
“Come mai quest’idea?” Disse la signora Sawamura, sbattendo le palpebre incredula.
“Perché voglio rimanere vicino a Kairi!”
“Sora, perché?” Continuò a chiedere la madre.
“Perché si, ecco tutto! Desidero frequentare la sua stessa scuola; sapete da quest’anno è accessibile anche ai ragazzi e infatti lui, che adesso è mio amico, va in classe con Kairi.” Disse, indicando Riku.
“Quindi tu vuoi rimanere più accanto a Kairi?” Domandò per conferma la madre.
“Si.”
“Sora, non è che per caso l’hai messa incinta?!” Intervenne il padre. Sora sbiancò, mentre sia Kairi che Riku trattennero a stento una risata. 
“No, cosa dici papà…”
“Questa tua reazione e le tue richieste effettivamente fanno prendere questa considerazione seriamente.”
“Non è vero…”
“Possiamo fidarci?” Chiese Rin.
“Mamma, non può essere vero perché io sono fidanzato con…” Ma in quel momento, intervenne Kairi, che volle salvare i genitori del ragazzo da un infarto.
“…Me! Proprio così. Ma non abbiamo avuto ancora quel tipo di rapporto, è la verità. Io voglio solo rimanere accanto al mio Socchan per tutto il tempo.” Poggiò la testa sulla spalla del ragazzo che arrossì.
“Oh, capisco… Beh, siete molto carini, non c’è che dire, però non so se Sora recherà disturbo a tua madre.”
“Non tema signora, mia madre è già al corrente e ha dato il suo consenso.”
“Beh, allora si può fare, oggi tornerai a casa con noi, però; così ci metteremo d’accordo e verrai iscritto alla stessa scuola di Kairi. Spero si possa fare anche se è una vicenda dell’ultimo secondo.”
“Lo so, scusa mamma.”
“L’importante Sora è che non causerai alcun disturbo a Kairi e alla famiglia.”
“Assolutamente.”
“Cosa ne pensi tu, Shinnosuke?”
“Sono pienamente d’accordo con te, non vedo alcun problema, per cui hai anche il mio appoggio.” Sorrise. 
“Urrà!” I due si abbracciarono. Riku, che sembrava il terzo in comodo, tenne uno sguardo freddo e distaccato, anche se dentro sentiva delle pugnalate al cuore. Lo infastidiva immensamente quella messa in scena con Kairi, però… Alla fine era per lui.
“Quando arriva Roxas?” Domandò poi l’uomo.
“Lo andiamo a chiamare io e Kairi, se volete.” Propose Sora, ma fu in quell’istante che Riku scattò. 
“Ti accompagno io, Sora!” Esortò, trascinando via il castano dalla stanza. 
“Ehi, Riku… Fermati.” Gli disse il ragazzo, ma l’albino non gli diede retta e lo lasciò solo quando furono arrivati nella stanza dei due fratelli, dalla quale Roxas stava uscendo con Axel.
“Che ti prende?!” Gli chiese con il fiatone.
“Perché… Perché hai fatto tutte quelle scene con Kairi?” 
“Come perché, mi pare ovvio.”
“No, non lo era…” Disse a bassa voce. 
“Invece si!” Urlò il castano innervosito dal comportamento impulsivo del ragazzo. Riku strinse i pugni. Non riusciva a fermarsi, sentiva come il bisogno di prendere a pugni il castano.
“Già devo sopportare il fatto che te ne vai, anche se alla fine ci rivedremo, però la gelosia che provo nell’immaginare te e Kairi nella stessa casa. Poi quella scena davanti i tuoi genitori… Diamine mi ha fatto stare male!” Rilassò i muscoli “Sei un’idiota…”
“Riku…” Sora lo abbracciò. “Scusa se sono stato insensibile, anche se non dovresti avere dubbi su chi amo, non credi?”
“Mi da comunque fastidio…”
“Allora non lo farò più, promesso.” Gli alzò il volto. “Adesso… Smile!” Gli tirò su gli angoli della bocca. Sora a differenza di lui non era cambiato, ingenuo e spontaneo, goffo a volte. Perché riusciva a tranquillizzarlo con così poco? Sorrise.
“No, Sora.” Gli prese le mani, scansandole dal suo volto. “Kiss.” E lo baciò, con un sorriso sulle labbra.
“Però non così all’improvviso…” Disse il castano appena divisi, completamente paonazzo.
“Scusami.” 
“Ora raggiungiamo i miei genitori, non vorrei si facessero strane idee…” Disse, girando gli occhi di lato per evitare lo sguardo dell’albino.
“D’accordo.” 

“Roxa-kun!” Esordì Rin appena lo vide entrare. “Come stai? Quando Shinohara mi ha detto dell’accaduto io ho pensato al peggio.” Lo abbracciò.
“Sto bene zia; non mi è stato fatto niente.”
“Sicuro?” Domandò, tenendo le mani sulle spalle esili del ragazzo, guardandolo negli occhi.
“Si, mi sono salvato grazie ad un mio vecchio amico.” Sorrise.
“Chi?” 
“Si chiama Axel, il mio amico d’infanzia.” 
“Mi ricordo di lui, era la casa del ragazzo in cui ti trovavi quel giorno, vero?” Il biondo annuì. “Sono felice tu l’abbia incontrato.” Gli sorrise. “Sei pronto per partire?” 
“Si.” 
“Ottimo. Porta la tua valigia nell’atrio allora.” 
“Già fatto, è tutto pronto.”
“Bene. Anche Sora ha detto di essere pronto, quindi possiamo partire.” Gli disse la donna.
“Posso salutare delle persone?”
“Certo.”
E così tutti uscirono dalla sala e si divisero.
“Stai per partire?” Gli domandò Axel che l'aveva aspettato fuori.
“Eh, già; sono gli ultimi saluti.” Fece un altro sorriso. 
“La prima volta che ti baciai, mi ricordo ti dissi che mi divertivano molto i sorrisetti di circospezione che regalavi a destra e manca e la finta indifferenza che, ho scoperto, in verità usavi solo come copertura per non essere di peso agli altri. Adesso che siamo soli, persino fidanzati, tu ti ostini a fingere? Roxas se devi piangere, piangi pure.”
"Non devo piangere. Onestamente mi sento tranquillo, sono sicuro che non perderemo i contatti e sono certo che appena ci sarà l'occasione ci rincontreremo; per cui non ho alcun bisogno di piangere.” Sorrise. 
“Ah…” Fece Axel, quasi deluso da quella risposta.
“Axel…” Lo richiamò il ragazzo avvicinandosi. “Se devi piangere, fallo pure.” Il rosso lo guardò sbalordito, poi, mentre gli occhi si velavano di lacrime, lo abbracciò. Non fu un lungo pianto, neanche eccessivo, ma bastò per far sfogare Axel e rendere felice Roxas. Piangeva perché lui si stava allontanando, poteva esistere una forma maggiore d’amore?
“Non so cosa mi hai fatto…” Disse il rosso “… Non so come mai mi sono innamorato tanto di te, come hai fatto?” 
“Non lo so.” Alzò le spalle.
“Fai buon viaggio e scrivimi quando sei sul treno, quando sei a casa, sempre.”
“Facciamo quando ho tempo, okay?”
“D’accordo.” Gli prese il volto e dolcemente lo baciò. Appena si separarono Roxas si allontanò; già era difficile lasciarsi, se non si sarebbero subito divisi, non ci sarebbero più riusciti.

“Vuoi una mano a portarla giù?” Chiese l’albino.
“No, no; ce la faccio.” Rispose Sora prendendo la valigia. La madre lo aveva appena avvertito della imminente partenza. Riku sottrasse al castano il bagaglio e lo precedette.
“Anche con lo yukata credevi di riuscirci.”
“Riku!” Gli urlò sbuffando, per poi corrergli dietro, raggiungendolo. “Mi sento un’idiota.”
“Perché, non lo sei?”
“Simpatico.” Sbuffò di nuovo. L’albino accennò un sorriso.
Prima dell’atrio, Sora si rimpossesso della sua valigia che aveva nuovamente conquistato con la forza; se la madre avesse visto Riku portare la borsa sicuramente si sarebbe lamentata su quanto lui fosse scansafatiche, ed era l’ultima cosa che volva sentirsi dire.
“Siete pronti?” Chiese per sicurezza Shinnosuke.
“Si.” Risposero i due cugini in coro.
“Ci rivedremo presto, Kairi.” Disse abbracciandola. 
“Si.” Ricambiò il gesto. Il castano fece lo stesso con Riku.
“Arrivederci, Sora.” Gli disse l’albino.
“Ti amo.” Gli sussurrò il castano, per poi staccarsi. Andò davanti il padrone dell’Onsen. “Arrivederci anche a lei signor Shinohara!” Esortò, stringendogli la mano.
“Anche a te Sora-kun; mi raccomando di non far impazzire mia nipote.”
“Può contarci.” Infine fece i saluti anche alla moglie del capo. “Komachi-san lei, ogni tanto, potrebbe inviarmi alcuni dei suoi piatti?” 
“Non si può Socchan, se tornerai a trovarci preparerò qualunque cosa tu vorrai.”
“Evviva!” Ed iniziò a pensare a quale leccornie avrebbe assaggiato, con un rivolino di saliva che gli colava lungo l’angolo della bocca. Anche Roxas fece il giro dei saluti, ricevendo i complimenti per il duro lavoro da parte di Shinohara e ciò lasciò un po’ offeso Sora, che però non poté biasimare il vecchio. Il biondo lanciò uno sguardo verso un angolo nascosto, dove Axel si era appostato e gli sorrise.
I due presero i bagagli e, nel momento in cui stavano per uscire definitivamente dall’Onsen, Shinohara li fermò e gli disse: “Com’è che dite voi giovani? Good job, guys!” E fece un largo sorriso. Roxas e Sora si scambiarono un’occhiata e sorrisero anche loro.

Con tutto quello che era successo, tutto quello che avevano provato, tutto ciò che avevano fatto, ma anche imparato, mai lo avrebbero dimenticato.
Eh, si… Proprio un:

 

Good job.



 

Angolo dell'autrice:

La fine... Questa è la fine! T*T Che bello, il signore ha lodato voi lettori!
Eh già, ecco la fine! Certo, come annunciato centinai, migliaia di volte c'è l'epilogo, però... E' finita. Ammetto di aver fatto i personaggi OOC, ma in mia difesa dico che per la fine volevo esagerare in maniera sproposita e buttare giù tutto quello che il mio cervello si era trattenuto (Sì... Si era trattenuto <.<). Ho amato scrivere questa storia e spero che anche a voi è piaciuta!
Un ringraziamento speciale a:
-Faith Yoite: una delle sante donna che mi ha recensito tutti i capitoli! Grazie per il tuo supporto e aiuto! Te ne sono riconoscente!
-akima: Che mi ha seguito constantemente, spronandomi a scrivere scene hot che non ha avuto! Ti chiedo scusa, ma dai... Non è finita male, no?
-Val_chan: A te faccio tanti auguri (ieri, il 3 era il tuo compleanno e volevo rifarteli insomma u.u) e considera questo come un regalo (ma che regalo <.<)! Grazie anche a te per aver recensito sminuziosamente tutti i capitoli, mi hai fatto morir dal ridere con i tuoi scleri! 
-mori: Grazie pr aver lasciato quelle recensioni! Non vorrei che ti avessi annoiata e che non mi avessi più seguito ^^
-Riot_RTB: Beh mi stavi tenendo sotto esame e ho come il sentore che ti abbia deluso, se è così ne sono dispiaciuta, grazie comunque per aver letto.
-Dreamer_98: Che si è fatta sentire, almeno una volta, ma ti ringrazio di cuore! E spero tu mi abbia seguito fino ad ora.
Poi ci sono anche coloro che hanno messo la storia nelle preferite, seguite e ricordate che non si sono fatti sentire, ma ci sono xD Quindi grazie a:
khely 
Neko_DemDem 
Seurya 
- Sfrigolas
So chan
Violet Star
- Blue Sun 
- Sfrigolas 
- TheDarkLady 
- ZhtoJM 
- _monique_ 
- LadySaika


Grazie a tutti! (°3°)/ Potete lasciare una recensione almeno per la fine, gradirei molto (scusate la sfacciataggine)
Alla prossima ultima volta!
Here we Go!

 

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Capitolo 20
*** Epilogo: Sempre vicini come lontani ***


 20

From: Hoshimoto Axel.

Sub: Sono in viaggio.

Ho appena preso il treno, sarò ad Osaka tra due ore. Certo, però, anche tu, trasferirti ad Osaka solo per essere d'aiuto a Saix per il piccolo, sei veramente idiota! Soprattutto per il fatto che mi arrivano continui messaggi di lamentele sul bambino da parte tua, non è che li gradisco molto; e dovresti saperlo, ma quando ci chiamiamo tu ti disinteressi delle mie suppliche, anzi te la cavi sempre con quel: “Ti amo” che credo sia più un modo per farmi entrare in confusione che per altro. Comunque, come già detto, tra due ore circa sarò da te, quindi non muoverti da casa di Saix (poi ti dovrei anche sgridare, perché sai bene quale rapporto c'è fra me e Saix e dovermi dirigere a casa sua, insicuro sulla tua presenza, beh, mi spaventa), mi fido! Ciao, a dopo \(°3°)/

E... Si ... Ti amo okay? (Io però i tuoi capricci li accontento sempre...)

Bye.

 

Il biondo avvicinò il telefono al petto, stringendolo fra le mani. Da quando si erano divisi erano successi alcuni fatti, più che altro esilaranti. Saix si era sposato con una certa Tsuki e avevano avuto un figlio, di cui Axel era diventato la tata -di fatti veniva pagato-; infatti, circa a Settembre, 'l'allegra combriccola' si trasferì ad Osaka e a loro si aggiunse Demyx, con il quale Axel si era preso un appartamento -che era di fronte la casa di Saix-. Essendosi, poi, trasferito anche Sora ad Osaka, vivendo da Kairi, Axel a volte, sotto commissione di Roxas, controllava il castano riferendo dei vari momenti d'intimità con il suo ragazzo, Riku, il quale ormai era stato ufficializzato. Infatti, il Natale dell'anno passato, Sora più i suoi due amici, in compagnia di Naminé, era tornato a trovare i genitori per le vacanze; conclusa la festa principale, loro, i giovani, si erano radunati in una sala per un ‘dopo festa’, durante il quale, sotto l'effetto dell'alcool, Sora baciò l'albino urlando ai quattro venti la loro relazione ed anche se nella sala non c’era nessuno che non lo sapesse, i genitori di Sora in quel preciso istante passarono di lì e sentirono ogni singola parola. Fortunatamente, però, non erano per niente contrariati, giusto un po' il padre che avrebbe desiderato dei nipoti, ma gli andava bene anche così. Roxas, invece, a differenza degli altri, era rimasto a casa degli zii continuando la sua vita, portando la sua carriera scolastica a raggiungere voti sempre più alti -ciò dimostrò anche quanto la presenza di Sora influisse sui comportamenti altrui; l'unico che era in grado di sopportarlo era il santo Riku-. 
Roxas continuò a guardare fuori dal finestrino. L'immagine di quel decerebrato del suo ragazzo gli pervase la mente, facendolo ridere ai ricordi di quell'inverno, quando non poté raggiungerlo perché bloccato dalla neve. Anche se si era sentito solo, i suoi continui, petulanti messaggi e chiamate lo facevano star bene. -"Axel potrebbe benissimo fare lo stalker."- Aveva pensato molte volte.
Un altro ricordo comico apparteneva a quando raccontò ad Axel che una ragazza gli aveva confessato i suoi sentimenti e, per farlo arrabbiare, gli disse che aveva accettato quella confessione; le grida si udirono anche con l'apparecchio lontano dall'orecchio. Alla fine quella relazione a distanza aveva funzionato e a breve, dopo molto tempo, si sarebbero rincontrati.
Per buona parte del viaggio il biondo dormì, ma grazie ad un controllore fu svegliato alla sua fermata e, una volta sceso, si diresse all'indirizzo datogli da Axel con un taxi.
La casa era piccola, bianca, con un cortile dall'erba bassa e qualche fiore rosa acceso sparso qua e là, recintato da una staccionata anche essa bianca. Aprì il cancelletto, percorse il piccolo viale, si sistemò la sacca blu con tutto l'occorrente per la settimana in cui avrebbe dovuto stare con Axel, e suonò il campanello.
Una settimana, un mese, sempre un lasso di tempo che li avrebbe separati; questo lo rattristava, però c'era lui, c'era Axel, quindi, qualunque limite ci sarebbe stato, lui era lì a rendere ogni secondo indimenticabile. La porta gli fu aperta da una donna dai capelli neri e lisci, occhi gentili, ma da un colore azzurro ghiaccio.
“Si?” Domandò affacciandosi.
“Sono Roxas Sawamura.” Rispose sorridendo.
“Ciao, sono Tsuki Moonacre. Piacere.” 
“Piacere mio.”
“Entra pure.” Lo fece accomodare.
“Ti chiamo Axel.” Il ragazzo annuì e lei si allontanò.
Il biondo si guardò un po' attorno. C'erano alcuni poster di quadri impressionisti, incorniciati e appesi ai muri dipinti di un color crema con qualche affresco; la casa era graziosa sia all'interno che all'esterno. 
“Axel è per te.” Gli disse la donna entrando nella camera del figlio dove il rosso stava giocando con il bambino. “È arrivato.” Aggiunse prendendo Yoru -nome del piccolo- in braccio. Axel corse nell'atrio e si fermò alla vista del ragazzo, che timidamente esaminava il luogo attimo a sé, proprio come un cucciolo impaurito in un luogo estraneo.
“Hachi!” Esclamò andandogli incontro per abbracciarlo.
“Hachi?!” Sbuffò lui, mettendogli le mani sul petto per fermarlo. “Diamine Axel, non ci vediamo da undici mesi e già mi fai arrabbiare?”
“Arrabbiare?” Gli prese i polsi e abbassò le braccia, avvicinandosi. “Eppure io sono tanto felice.” Lo baciò. “Ti sono mancato?” Gli domandò mordendogli il labbro inferiore.
“Si...” Rispose completamente catturato dalla sua voce seducente. Stava odiando sé stesso e la sua debolezza, perché cadeva sempre vittima dell'audacia di Axel, anche con mesi e mesi di esercizi e letture su come poter controbattere al partner, tutto inutile. 
“Sono felicissimo.” Strinse l'abbraccio. “Adesso andiamo subito a casa mia, voglio proprio fartela vedere!”
“Va bene, così ne approfitto anche per salutare Demyx.” Sorrise. Axel avvisò Tsuki della loro uscita e portò il ragazzo nel palazzo di fronte la casa dove si trovavano. Salirono due rampe di scale ed il rosso si fermò davanti la prima porta alla loro destra. Bussò. “Sono io Demyx, ho qui il cagnolino.” Il ragazzo dall’altra parte della porta aprì, lanciandosi su Roxas e abbracciandolo.
“Ciao Roxa-kun!” 
“Ciao Demyx… Come mai tanta ospitalità?”
“Quando te ne sei andato mi hai lasciato solo i saluti da parte della fiamma.” Bofonchiò. 
“Scusami…” 
“Basta voi due.” Axel li divise. “Entra pure.” Lo invitò uno dei padroni. Il ragazzo entrò e quello che vide lo lasciò spiazzato. Un appartamento completamente diroccato, coperto di sporcizia e immondizia da cima a fondo: una vera pattumiera, persino le stalle erano più pulite e soprattutto profumate.
“Sto per sentirmi male…” Disse il biondo che sentì mancarsi l’aria. Axel lo sorresse. 
“Ti piace?” Ebbe il coraggio di chiedere.
“Axel… Cosa avete fatto in questo luogo…?”
“Ci abbiamo vissuto per un anno.”
“Io esigo che questo posto venga pulito da cima a fondo, mi rifiuto di passarci una settimana!”
“Mamma mia che pignolo.” Sbuffò Demyx. 
“Quello che dico anch’io.” Annuì concorde all’amico.
“Me ne vado, chiederò ospitalità a Tsuki!”
“Non pensi a Saix?” Gli fece notare il rosso, facendolo fermare.
Neanche era arrivato che già si era: imbarazzato, vergognato, arrabbiato, sentito per un breve lasso di tempo felice, e per concludere disgustato. Possibilità di sopravvivenza: rasenti lo zero per cento; voglia di rimanere un secondo di più ad Osaka: sotto lo zero; voglia di tornare a casa: anche oltre il cento. Axel lo abbracciò da dietro e lo prese in braccio, portandolo nell’appartamento.
Quella che si prospettava sarebbe stata una lunga, lunghissima settimana, senza possibilità di libertà, ma certamente, per quanto poteva essere un pessimista, sapeva bene che si sarebbe costruito dei ricordi memorabili, che l’avrebbero segnato per sempre, come solo Axel poteva. D’altronde, accade questo quando ci si ama, non è vero?

 

L'ultimo angolo dell'autrice:
E' già questa è veramente la fine! Ho messo il bollino: completa!
Spiego perché ho pubblicato così presto: Se non ora, a settembre, è non sono sadica, suvvia u.u Quindi ho preferito metterlo ora ^^ Certo, la vera e propria fine della storia era il cap. 19, ma questo era per chiudere un po' l'AkuRoku rimasta in sospeso. Non ho molto da dire oltre che mi immagino solo cosa potrebbe accadere in questa settimana xD E ve lo lascio immaginare anche a voi. Che dite, la frase finale haavuto un certo effetto? Spero proprio di sì u.u
E bene questi sono gli ultimi saluti, ultimi, ultimi... Uff... Addio! 
A non una prossima per questa storia!
Grazie di tutto!
Here we Go!


P.S. Disegno mio e di Faith Yoite: Roxas version Hachi!

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By Me [scusate l'immagine troppo grande]

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By Faith Yoite

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