Powerless.

di Mary Mary
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Paranoid Trip. ***
Capitolo 2: *** I put a spell on you. ***
Capitolo 3: *** Smile and Anxiety ***
Capitolo 4: *** Start ***



Capitolo 1
*** Paranoid Trip. ***


<< Quindi questa sarebbe la nostra nuova casa? >>



<< Esatto! Ti piace, Diana? >>



<< La mia camera ha il balcone? >>



<< Purtroppo sì, ma non pensare di poter fumare due pacchetti al giorno di sigarette perché hai il balcone in camera. >>



Diana, mentre la madre portava le ultime valigie nell’atrio del palazzone popolare in cui si erano appena trasferite, salì al sesto piano, dov’era situato il loro nuovo appartamentino.



<< Che schifo di posto. Appena papà vedrà in che topaia mamma ci ha portati si incazzerà come non mai >>



Pensò, rimettendosi lo zainetto pieno di scritte sulla spalla destra, dopo averlo posato sul pavimento dell’ascensore.



Il sesto piano ospitava una fila interminabile di porte, tutte affiancate da campanelli con nomi per lo più stranieri. La porta del suo appartamento era l’ultima del corridoio, così si diresse direttamente là, senza soffermarsi ancora sugli arabi o asiatici nomi dei citofoni.



A circa metà strada sentì il suo cellulare squillare, lo prese in mano e lesse il display: Chris.



Chris era il suo ragazzo. O meglio, ex ragazzo. Lui, circa cinque mesi prima, cominciò a bucarsi, diventando dipendente da quella merda dopo solo un mese. Da quel momento cominciarono i casini, lui era troppo impegnato a chiederle prestiti su prestiti per le sue dosi quotidiane, finché un mese prima Diana cominciò a non rispondere alle sue chiamate, ai suoi messaggi, alla chat. Sperava che in quel modo lo convincesse a smettere di bucarsi o almeno a chiedere aiuto a qualcuno che potesse fare qualcosa, nonostante fosse sempre stato un tipo fin troppo orgoglioso. E pensava ingenuamente di essere riuscita nel suo intento quando le mandò un messaggio di scuse in cui aveva scritto di essersi lasciato alle spalle l’eroina; ma la speranza crollò nuovamente a pezzi perché neanche due ore dopo quel messaggio venne chiamata dalla sorella di Chris, Anna, che le disse che il fratello non era affatto uscito dal giro e che quindi le stava mentendo.



Dopo un’infinità di secondi il telefono cessò di squillare, Diana tirò un sospiro di sollievo nonostante sapesse che quella non sarebbe stata l’ultima telefonata di Chris di quel giorno, dato che il giorno dopo sarebbe stato per entrambi il loro primo giorno di scuola. In istituti diversi, fortunatamente per Diana.



Diana, infatti, avrebbe frequentato il terzo anno in un istituto artistico, studiando moda. Fin da piccola le appassionava disegnare e creare abiti, tutti le dicevano di essere dotata, ma suo padre l’aveva costretta sin da subito a frequentare un liceo scientifico, cosicché dopo sarebbe diventata anche lei dottoressa. Ma si sa, se una persona di sente fuori posto il primo giorno di scuola si sentirà tale per tutto l’anno; fu quello che successe. Già il primo giorno di liceo scientifico lei aveva compreso di essere l’unica a non comprendere le parole del professore. Forse non riusciva a seguire i suoi discorsi grandiosi sul futuro degli allievi di quella scuola perché trovava tutto ridicolo e insensato (o molto più probabilmente perché era strafatta).



Fatto sta che quando suo padre perse il lavoro due mesi prima egli divenne un alcolizzato e lei riuscì, in una sua “sbornia triste”, a fargli firmare il modulo per il cambio della scuola. Ed eccola là, ad aspettare con ansia il primo giorno di scuola mentre traslocava.



Giunta davanti alla porta del suo nuovo appartamento sentì al di là di essa sua madre ridere sommessamente.



<< Ti prego, fa che non ci sia il suo amichetto del cazzo, ti prego! >> Pensò Diana.



Dopo aver raccolto il coraggio necessario (o forse la forza psicologica) per entrare, infilò la chiave nella serratura e girò. Una volta entrata sperò con tutto il cuore di non trovare sua madre mentre faceva qualcosa di osceno con il suo apprendista.



Diana non era cieca per non notare quel feeling tra sua madre e il suo apprendista, ma cercava di non far capire alla donna che l’avesse capito fin dal primo momento. Insomma, due fette di prosciutto sugli occhi, no?



Ringraziò mentalmente Dio di non averli trovati assieme e sospirò con sollievo per la seconda volta in cinque minuti. Sua madre stava solo parlando al telefono con qualcuno, forse con una delle sue amiche. La ragazza rivolse un cenno a sua madre indicandole con la testa il balcone, che si apriva piccolo e zeppo di vasi all’apparenza vuoti, e con la mano il pacchetto di tabacco Lucky Strike rosso. Sua madre annuì leggermente anche se dalle sottili sopracciglia aggrottate si scorgeva il suo disappunto per la dipendenza alle sigarette di sua figlia neanche diciassettenne. Quello che non sapeva era che lei non ne era affatto dipendente, il tabacco che comprava raramente lo fumava in una cartina corta.



Diana aprì la porta finestra della cucina che conduceva sul balconcino e sentì richiudersela alle sue spalle. Con la coda dell’occhio vide sua madre che si allontanava dalla cucina e sentì la porta d’ingresso aprirsi e chiudersi. Chi era entrato? Si voltò, ma sia nella cucina che nel salotto non c’era più nessuno, segno che nessuno era entrato e che quindi era sua madre quella ad essere uscita di casa.



Infatti, pochi minuti dopo, appena Diana finì di girarsi la sigaretta, vide sua madre, piccola come una formica, sei piani più giù, che attraversava il cortile interno dei palazzoni per poi prendere la propria 500 nuova bianca e sfrecciare verso l’uscita.



La ragazza spense immediatamente la sigaretta nel terriccio di uno dei vasi sul balcone, entrò in casa e prese il suo portafogli dalla tasca più piccola del suo zainetto. Aprì una taschina del portafogli e ne tirò fuori una piccola bustina dal contenuto verdognolo, un pacchettino di cartine lunghe e un abbonamento settimanale della GTT scaduto. Ritornò sul balcone, avendo cura di chiudere meglio che poteva la porta finestra e si sedette su un altro dei vasi presenti, l’unico capovolto in grado di reggere il suo peso, nonostante fosse una ragazza molto esile. Mise un po’ di erba nella mano destra, la mischiò con il suo tabacco e gettò  tutto nella cartina. Appoggiò un attimo tutto e si preparò il filtrino.



In meno di trenta secondi aveva già il suo cannone pronto per l’uso, prese quindi il suo clipper e se l’accese con una cura maniacale.



Un tiro, due tiri, tre tiri, quattro tiri.



<< Mmmh, che buona… >>



Cinque tiri, sei tiri, sette tiri, otto tiri, la caratteristica frenata della macchina di sua madre, nove tiri.



<< La caratteristica frenata di mamma? OH CAZZO! >>



Guardò con infinita tristezza un terzo di canna da buttare via. Che amarezza!



La lanciò, sarebbe stato troppo evidente a causa dell’odore se l’avesse spenta e messa in tasca.



<< Vabbé, tanto ho ancora due deca! >> pensò sorridendo.





Rientrò in cucina e aprì il frigorifero con fare disinvolto giusto in tempo. Sua madre apparve sulla soglia della porta d’ingresso con una busta del supermercato vicino. Ecco dov’era andata… in effetti, poi, il frigorifero appena aperto era completamente vuoto.



<< Ah, wow. Io esco… Non aspettarmi >> disse con la voce impastata Diana alla madre, mentre quest’ultima stava mettendo una confezione di dodici uova in frigo.
<< Ok, non tornare tardi. Comunque ti aspetterò, voglio proprio vedere in che stato mi tornerai stanotte >>



Diana prese lo zainetto e uscì di casa. Nonostante avesse fatto poche note* era già abbastanza fusa dato che aveva caricato un bel po’ la canna.
Si sedette su una panchina del parco dietro i palazzoni. Quanto tempo era passato da quando era uscita di casa? Guardò l’ora: le 20.13.  Che bello, erano passati solo sei minuti! Inoltre sua madre non si era nemmeno ricordata che il giorno successivo la figlia avrebbe cominciato la scuola. Meglio così, altrimenti non l’avrebbe fatta uscire.



Ad un certo punto Diana sentì una canzone familiare risuonare. “Snuff”, degli Slipknot. La sentì ripetersi per due volte prima di accorgersi che era la sua maledetta suoneria del telefono.



Rispose senza guardare il display.



<< Pronto?? >>



<< Cazzo, ti sei decisa a rispondere finalmente! E’ passato un mese! Dove sei?? >>



Era Chris. Si pentì subito di non aver guardato il display prima di rispondere.



<< Chris… Io… Perché? >>



<< Come perché? Rispondi quando cazzo ti pare te al telefono eh? Dove sei? Passo a prenderti >>



<< Io non so dove sono… In un parco, un bel  parco… >>



<< Tralascia il bell’aspetto del parco, descrivimi ‘sto parco!! >>



<< Ci sono degli alberi… Ma non quelli brutti, quelli belli, verdi e alti…Poi…Poi…Poi ci sono una, due, tre panchine e poi…Poi aspetta, un’insegna luminosa dove c’è scritto “non ti voglio vedere, Chris”! >>



<< Senti, piccola, giuro, sto cercando di mettere a posto la nostra relazione, dammi una fottutissima possibilità, ti prego >>



<< Mi devi ancora centodieci euro, dammeli e poi potrai mettere a posto quel che cazzo vuoi! >> rispose quasi urlando, trascinando le parole in maniera veramente troppo impastata.



<< Hai fumato? Porca puttana, Diana. Dici tanto a me per l’ero* e te sei la prima che si fa! Porca puttana, dimmi dove sei!
Ora quello ad urlare veramente era lui.



<< Almeno io non mi buco. Comunque vaffanculo, Chris. >>



Detto questo Diana riattaccò. Sentì giusto giusto la risposta di Chris al suo ‘vaffanculo’. Forse un ‘vacci te, tossica’, o forse  un ‘vacci te, stronza’.
Ora però non aveva importanza. Riprese di nuovo cartine, un altro abbonamento scaduto, il tabacco e la sua erba, pronta a farsi un altro viaggio, sperando senza paranoie questa volta.




---- Dieci minuti dopo ---



<< Ok, sono andatissima. Esiste questo termine? Ahahah, chissà! >>



<< …Dove diamine vado ora? Con mamma mi è sembrato di vedere un pub carino più avanti. Boh, ho cinque euro, vado a prendermi una birretta >> continuò a pensare Diana.



Uscì dal parco, e cercò di ricordare dove aveva visto il pub poche ore prima. Di sicura nella via principale, ma a che altezza?



<< Proverò a farmela tutta, se non trovo quel pub specifico non me ne fotte, basta che mi vendano una birra >>



Camminò lentamente, senza fretta, per una decina di minuti, curiosa del suo nuovo quartiere. Era un quartiere periferico della città e a quanto pare c’erano molti bucomani; l’aveva notato dalla quantità industriare di siringhe usate gettate nella bassa erba del parchetto prima.



Ma non le importava più niente. Non le importa di Chris, o della scuola nuova sicuramente piena di oche strillanti armate di rossetto e minigonna, o di suo padre che a quest’ora era di sicuro seduto davanti a un bancone di un bar a ubriacarsi fino a non reggersi in piedi, o di Chris, o di sua madre che ora stava davanti alla tv in attesa che qualche soap opera le prosciughi il cervello, o di Chris, o di Chris...



<< Porca puttana! >> sussurrò << Perché diamine sto pensando a quell’idiota? >>



Una luce dall’altra parte della strada la attirò. << Oh, che bella luce. Oooh, ma diventa verde! E rossa! Torna gialla! Ma sono i colori rastafar… ah no, c’è pure il blu, accidenti >>.



Controllò che nessuna macchina passasse e attraversò la strada. << Tzé, questo a dimostrazione che sotto effetto di marijuana si capisce tutto perfettamente! Vedete? Ho attraversato controllando accuratamente che non venissi investita! >> continuò a pensare, o meglio a rivolgersi a qualcuno nella sua testa. Un bel monologo, insomma.



Dal tipo di quartiere e dal tipo di persone davanti al pub a fumarsi una sigaretta capì che in quel locale vendevano alcool ai minorenni, per fortuna. Non che si volesse ubriacare, per carità, era già fusa e non avrebbe potuto reggere più di tanto l’alcool. La sua unica intenzione era quella di sedersi tranquilla ad un tavolo, bersi la una birretta (possibilmente alla cannabis, se la vendevano in quel posto) e non pensare più a niente.



Decise di schiarirsi un po’ le idee con una sigaretta, così si sedette sul muretto perpendicolare al locale. Incrociò le gambe e diede un’occhiata in giro. Notò un gruppetto di ragazzi che la stavano fissando,  o meglio: un ragazzo del gruppo in questione la stava tranquillamente indicando con la mano destra e i suoi amici erano tutti voltati verso di lei, facendo commenti un po’ troppo ad alta voce su di lei. Ovviamente, lei, come risposta, alzò il dito medio della mano verso di loro, provocando una loro risata.



<< Tosta la tipa! >>



<< Già, dieci euro e mi faccio quella Rasta! >>



<< Tosta la tipa? Ma che cazzo è, uno scioglilingua per tostapani? Ma soprattutto, come minchia faccio ad essere Rastafariana se ho due piercings visibili in faccia, il dilatatore e cinque fori alle orecchie? Che ignoranti, diamine! >> pensò Diana lanciando un’occhiataccia al gruppetto, e occupandosi finalmente della sigaretta da girare.



<< Non è Rastafariana, idioti. >> sentì Diana.



Alzò la testa con sguardo carico di gratitudine verso chi aveva detto quella frase. E fu lì che sentì il suo cuore quasi fermarsi e morire.



Chris.












*note: tiri


*ero: diminutivo di eroina


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Angolo autrice:


Salve a tutti, è la mia prima volta qui. Mi sta molto a cuore questa storia, perché ho preso spunto in alcune parti di essa da degli avvenimenti che ho vissuto in prima persona.


Spero vi piaccia, lasciate pure una recensione, ve ne sarò grata c:


Mary.

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Capitolo 2
*** I put a spell on you. ***


<< Non è Rastafariana, idioti. >>  sentì Diana.

 

Alzò la testa con sguardo carico di gratitudine verso chi aveva detto quella frase. E fu lì che sentì il suo cuore quasi fermarsi e morire.

 

Chris.

 

Nella mente di Diana si accostarono due possibilità: alzarsi e andarsene oppure parlare e chiarire una volta per tutte la loro relazione. Se si fosse potuta chiamare così. Lei scappava dal suo ragazzo ormai da un mese.

E ora, lui era lì, davanti a lei, con la sua solita aria da stronzo.

 

<< Finalmente, porca puttana. Sai quanto è passato? Un mese. Un cazzo di fottutissimo mese, senza che non ti degnassi di chiamarmi o scrivermi un messaggio. Dove diamine sei stata? Ma soprattutto… Come devo interpretare questa cosa?!”

<< Come un “Lasciami stare”! >> disse esasperata Diana << cos’è? Pensavi che chiedendomi una possibilità io te l’avrei data? Dopo tutto quello che mi hai fatto passare?! >>

<< Preferisco bucarmi che star dietro a della fottuta erbetta tutta la vita, come fai te. >>

<< Non parlavi così pochi mesi fa, quando eri tu stesso a star dietro all’erbetta, come la chiami te! >>

<< Stai zitta, ti ho chiesto dove cazzo sei andata tutto questo tempo. Casa tua ora è vuota, dove ti sei  trasferita? >>

<< Chris, vatti a fare una pera in un bagno pubblico, cazzo, lasciami stare, non ti voglio più parlare né vedere. Hai scelto l’ero*, ora sono cazzi tuoi, io me ne tiro fuori! >> Diana prese il suo zainetto e scese dal muretto, fece per attraversare la strada quando il ragazzo la prese per un braccio e la trascinò nella stradina parallela al locale, sfortunatamente deserta.

 

Diana era ancora sotto l’effetto della canna di neanche mezz’ora prima, capiva tutto ma non connetteva abbastanza. Chris le prese il mento e le guardò attentamente gli occhi.

<< Quante te ne sei fumate? >>

<<…Di che? >>

<< Di caramelle. Di canne, cazzo, Diana! >>

<< Non credi siano cazzi miei?! >> replicò acidamente.

<< Sono cazzi miei se la ragazza che amo si sta rovinando come il sottoscritto! >>

 

Passarono secondi interminabili (o forse minuti?). Nella testa di Diana le parole del ragazzo rimbombarono una, due, tre, infinite volte. Lo guardò con aria stupita.

 

<< …Cosa? >>

<< Quante da stamattina? >>

<< … Una! >>

<< Non è vero! Sei nello stesso stato di quando ti ho chiamata, due cazzo di ore fa! Quante ne hai fumate oggi? Se non mi dici la verità giuro che non ti lascio andare >> disse, stringendole il polso fino a farle male.

 

Quando le aveva circondato il polso con la mano? Non se lo ricordava. Quando quel ragazzo a pochi centimetri da lei si era ridotto così? Non ricordava neanche quello.

Quegli occhi azzurri che lei aveva tanto amato di lui erano di colpo diventati ghiaccio, freddi; i suoi curatissimi dreads erano diventati paglia secca, aveva un po’ di barba. Dimostrava trent’anni anziché i suoi appena diciannove. Dov’era finito quel ragazzo dolce, quel appassionato allo skateboarding e ai libri?

Non seppe da quanto tempo rimase lì imbambolata a pensare a queste cose, capì solo che lui si stava sempre più innervosendo. Il polso in quel momento le faceva veramente troppo male.

 

Non riuscì a trattenere le lacrime, cercò di contenerle ma non ci riuscì. Non perché il polso le faceva malissimo ma perché non capiva ciò che stava succedendo. Perché Chris si stava comportando così per un po’ di erba quando lui si bucava? Non aveva senso. Non aveva mai pianto davanti a  nessuno, era sempre riuscita a trattenersi, perché invece quando si trattava di lui tutte le sue difese crollavano? Appena si avvicinava quel ragazzo lei non capiva più niente.

Chiuse gli occhi, continuando a piangere silenziosamente. Li riaprì dopo pochi secondi, aspettando di vedere lui ancora più incazzato di quanto fosse già prima.

 

Invece, lui sembrava ancora più confuso di lei. Inizialmente il ragazzo abbassò il capo, facendo sfiorare i suoi dreadlocks biondi cenere contro la fronte di Diana. E rimase così per un po’, fissando il cemento ai loro piedi, distante pochi millimetri dalla ragazza. Lei restò immobile, continuando a piangere.

Poi sentì la mano di lui lasciarle il polso e avvicinarsi pericolosamente al suo viso. Non capiva più niente, era colpa dell’erba che le sembrava tutto così al rallentatore o era la sua mano ad avvicinarsi lentamente?

Chris le accarezzò dolcemente la guancia, guardandola negli occhi. Diana cercò di guardare tutto tranne i suoi occhi glaciali ma la tentazione era troppo forte. Sollevò lo sguardo e vide che il ragazzo la guardava teneramente, sembrava che fosse tornato com’era prima. La fissava con amore, ora, le asciugò anche le lacrime.  E poi successe tutto ancora più al rallentatore.

 

Vide lui che le guardava gli occhi, poi le labbra; e lei, senza pensarci due volte fece lo stesso. Non sapeva perché lo stesse facendo, non sapeva neanche quando i loro corpi si erano avvicinati così tanto. Si accorse che lui le cingeva teneramente la vita, accarezzandola. E, anche qui, senza pensarci, lei si avvicinò ancora di più a lui. Non c’erano più centimetri a dividerli ormai. Il corpo di lei combaciava perfettamente a quello di lui, Diana spostò un dread sfuggito dalla coda del ragazzo e si baciarono, senza fretta.

 

E non fu uno di quei baci senza significato, quelli rudi, veloci in qui le lingue non fanno altro che scontrarsi con violenza. Fu uno di quei baci lenti, quelli che provocano non brividi di eccitazione, ma di leggerezza, di amore. Quelli che si presentano come pensieri fissi ogni mattina al risveglio.

Solo allora Diana capì di amare veramente quel ragazzo, quello da cui era scappato per settimane. E capì solo allora che tutto questo era anche colpa sua. Non doveva abbandonarlo, doveva aiutarlo, non lasciarlo solo e disperato, ancora con la spada* conficcata nella vena del braccio. Lo amava e si sentiva veramente uno schifo per aver voltato le spalle al suo problema con le droghe. Per aver voltato le spalle a lui.

 

Le loro labbra si allontanarono lentamente, lei aprì gli occhi e si vide guardata per la prima volta nella sua vita con sincero amore. Sì, lo amava, e anche lui a quanto pare amava lei. Perché era così.

 

<< Mi dispiace così tanto per essermene andata via, mi dispiace veramente, scusami..>>  disse singhiozzando Diana e abbassando nuovamente il viso.

<< Diana, guardami. Guardami, per favore >>

Dopo aver tirato su col naso, lo guardò.

<< Ti amo >> le disse a bassa voce, continuando a sostenere lo sguardo con quello arrossato di lei << Ti amo così tanto >>.

<< Ti amo anche io, Chris >>.

 

Si baciarono nuovamente, questa volta più a lungo, fin quando lui si staccò da lei e ricominciò a parlare, mentre le accarezzava la schiena.

<< Dormi con me stanotte? >>  le chiese, con voce da bambino.

<< Certo >> gli rispose lei, sorridendo dolcemente.

 

Chris le prese la mano e si incamminarono assieme verso l’inizio della stradina, ritrovandosi di nuovo davanti al locale, dov’era parcheggiata l’auto color metallo del ragazzo. Diana a quanto pare ci era passata davanti senza accorgersene.

<< Un mese fa non era così rigata! Che è successo? >> chiese lei, sfiorando una delle portiere rigate atrocemente.

<< Eh, un cazzone me la rigata >>.

Diana guardò dapprima la macchina, poi il ragazzo.

<< Gli dovevi dei soldi? >> gli chiese, aggrottando le sopracciglia.

Dal silenzio di lui, Diana capì che aveva ragione.

 

Chris entrò in macchina, aspettò che lei si sedesse sul sedile affianco al suo e mise a moto. Passarono dieci minuti e il silenzio di quando erano partiti continuava ad esserci; tutti e due trascorsero un terzo del tragitto dal locale a casa di lui in una situazione di disagio, volevano entrambi parlarsi ma a nessuno veniva in mente una frase abbastanza intelligente per cominciare un discorso sensato.

<< Posso fumare se tengo il finestrino abbassato? >> chiese alla fine Diana.

<< Dipende cosa vuoi fumare >>.

<< Una sigaretta, tanto non mi è ancora passato l’effetto della bomba* di prima >>.

<< Puoi fumare una sigaretta solo se me ne giri una anche a me, allora >> le disse, sorridendole.

<< Grazie… >>.

 

<< …Posso chiederti una cosa? >>  continuò lei, porgendogli la sigaretta e  sperando che lui non si incazzasse di nuovo per quello che aveva intenzione di chiedere.

<< Spara >> disse lui, accendendosi la sigaretta con un clipper sfruttando l’attesa per il semaforo verde.

<< Perché non vuoi che fumi? Non intendo sigarette, però… >>.

<< Non è che non voglio che te fumi, a sedici anni anche io mi facevo le bombe come se non ci fosse un domani.>> rispose lui buttando fuori il fumo della sigaretta.

<< E allora perché non posso farmele, se hai appena detto che anche te fumavi un casino? >>

<< Proprio per quello che non voglio, piccola! Ti conosco da ben tre anni! So che ti annoi subito delle cose. A quattordici anni bevevi come una spugna, poi sei passata alle superiori e hai cominciato a fumare sigarette per tutto il primo anno, con qualche occasionale canna. Fino a lì è OK, dai, era normale a quell’età. Quando ci siamo messi assieme, a metà dell’anno scorso te ormai fumavi due, tre canne al giorno. E ora? Quante te ne fumi al giorno, eh? Cinque, sei? Scommetto che sei sana solo pochi minuti al giorno, se non mai! >> replicò lui.

 

Non era arrabbiato, era sinceramente preoccupato per lei. Diana si sentì nuovamente uno schifo, aveva ragione lui, era lei quella nel torto, era sempre stata lei nel torto.

 

<< E comunque Anna mi ha riferito delle cose. Per questo mi ero incazzato così tanto quando ti ho trovata fusa, prima, davanti al locale >> continuò Chris.

 

<< Anna? Che ti ha detto? >> gli chiese lei, sorpresa.

Anna, la sorella di Chris, aveva frequentato le lezioni di recupero estivo di matematica e chimica con Diana. Non erano amiche, ma si parlavano a vicenda molto volentieri; era una di quelle ragazze che anche in un giorno di lutto sarebbe riuscita a far spuntare un sorriso a chiunque. Erano persino uscite assieme qualche volta, ovviamente alle spalle del fratello, per questo era sorpresa che gli avesse sparlato dietro.

 

<< Mi ha detto che nei recuperi ti ha beccata un bel po’ di volte strafatta, e non di erba. So com’è mia sorella, non riuscirebbe a distinguere l’erba dal fumo, ma mi ha raccontato in che stato eri. E non potevi aver solo fumato, da come ti ha descritto! Dio mio, Diana, sei passata anche agli acidi, ora? Domani potresti andare a scuola dopo aver sniffato coca, a quanto ne so! >>

 

Colpita e affondata, aveva preso degli acidi solo qualche volta in tutta la sua vita, e lui era subito venuto a saperlo.

<< Ok, hai ragione, sono passata a fumare sei, sette bombe al giorno. E’ vero, sono sempre fusa, ma l’unica roba che ho preso, oltre all’erba, è stata l’LSD, nient’altro! Non bevo neanche più, te lo giuro! >> si difese lei.

 

Chris la guardò con sospetto, poi capì che era stata sincera. Non riusciva proprio a immaginarsela con una siringa in mano; lei, la sua piccola Diana, che aveva difeso dall’altra gente della periferia, lei, così esile, con quegli occhioni che parlavano da soli, che la facevano sembrare una bambola di porcellana con tanto di dreadlocks e piercings. Lei, che incuteva un senso di tenerezza, solo fin quando non la si faceva incazzare, perché sennò sarebbe stata una camionista nel linguaggio.

 

Forse era proprio quello che gli piaceva di lei. Era una bambolina, certo, ma una bambolina forte.

 

*Ero: diminutivo di “eroina”.

*Bomba: “canna”.

*Spada: “siringa”.

 

 

--------------------------------------------------------------Ecco il secondo capitolo della mia storia. L'intervallo tra il primo e il secondo capitolo è enorme.. Non so se qualcuno stia seguendo la storia, credo sia per questo che avevo perso un po' la voglia di scrivere. Ma rieccomi qua, gradirei veramente tanto tanto se qualcuno mettesse una recensione, almeno da capire cosa migliorare o se a qualcuno piace ciò che sto cercando di fare..

Un saluto, Mary.

 

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Capitolo 3
*** Smile and Anxiety ***


Chris POV:
Viaggiammo per circa altri dieci minuti in mezzo al traffico seriale di Torino prima di arrivare a casa mia.
Diana, durante il viaggio aveva fumato un’altra sigaretta e mi provocò una tenerezza assurda quando mi chiese se potesse farlo. Ero sicuro che mi avesse detto la verità per quanto riguardava il numero di canne e acidi che avesse fumato o ingoiato. Così le risposi nuovamente che non c’era nessun problema.
Le accarezzai più volte la gamba sinistra nei momenti in cui non dovevo cambiare marcia, ovviamente non in modo volgare.
Parcheggio la macchina davanti al palazzo condominiale in cui abito, in uno dei parcheggi riservati ai residenti.  Feci addirittura il galantuomo aprendole la portiera.
Sorrisi mentre si aprivano le porte dell’ascensore, e la seguì al suo interno. Tutto di lei mi faceva uno strano effetto, il suo sorriso, il suo profumo, il suo vizio di mettersi continuamente a posto la frangetta, il suo modo di guardarmi, persino il suo linguaggio da camionista quando si incazzava.
Abitavo all’ultimo piano, il nono, da solo. I miei genitori morirono quando ero ancora un bambino molto piccolo.
Morirono in un incidente stradale in tangenziale a causa di un ubriaco al volante. Almeno così mi raccontò mia zia materna, che mi accudì come fossi suo figlio fin quando io compì la maggior età; arrivati i diciotto anni, infatti, decisi di cambiare radicalmente e di trasferirmi; volevo bene a Patrizia, mia zia, ma il modo in cui mi guardava, come se fossi la feccia dell’umanità, mi convinse ad andarmene. E tutto questo a causa di mozzicone di canna dimenticato in mezzo alle sigarette nel portacenere. Comprai l’appartamento in questione con i soldi derivati dallo spaccio di marijuana. Certo, erano soldi ricavati da azioni non legali, ma era comunque stato un bel lavoro per me. E fu proprio grazie a questo lavoro che conobbi Diana, una mia frequente cliente.

Inizio flashback…
- Ciao, senti… Ho sentito che vendi…- gli chiese una ragazzina esile dagli stupendi occhioni verdi.
Dimostrava sì e no dodici anni, ma doveva essere impossibile, dati i suoi dreadlocks  e il suo central*.
- Certo. Ho della skunk* se vuoi… Quanto hai da darmi? - le risposi, squadrandola dalla testa ai piedi.
Sembrava una bambola di porcellana, aveva un qualcosa che lo attirava, e non solo fisicamente.
- Va benissimo un deca di skunk, grazie - gli disse la bambolina, sorridendo e mettendosi una mano nella tasca posteriore dei jeans, larghi il doppio delle sue gambe. - Mi potresti solamente tenere un attimo lo skate? Non riesco a raggiungere il portafogli in queste maledette tasche… - sbottò lei.
Presi lo skateboard nero, che non avevo notato se non in quel momento e aspettai che la bambolina mi desse i dieci euro.
- Ma che cazzo?! - esclamò lei agitandosi e affondando le mani in tutte e due le tasche posteriori - non trovo il mio portafogli, porca puttana… -
Si voltò indietro, a destra e poi a sinistra, imprecò e bestemmiò un paio di volte e mi guardò.
- Mi sarà caduto mentre ero sullo skate, non ho più soldi… Mi dispiace averti fatto perdere tempo - sussurrò imbarazzata.
Mi fece una tale tenerezza che mi misi a ridere, suscitando uno suo sguardo interrogativo.
- Non fa niente, te la do a credito se mi prometti che mi porterai i soldi un altro giorno! Come ti chiami, dolcezza? - le chiesi sorridendo. Non ero mai stato così gentile prima d’ora, non avevo mai venduto a credito.
- Diana… Ma non devi, veramente. Quando avrò di nuovo dieci euro tornerò, ma non darmi niente a credito, non sono una persona molto affidabile e… Meglio di no- balbettò velocemente la bambolina di nome Diana.
- Allora facciamo così. Io ti do sta erba e tu in cambio vieni a letto con me. Che te ne pare? - le suggerì, ovviamente scherzando.
- C-cosa? - disse lei con il labbro inferiore tremante e le guance rosse come un peperone. A quanto pare non aveva capito che si trattava di una battuta.
- Scherzavo, dolcezza, non sono così meschino! Te la regalo, OK? A patto che tu torni a comprare erba da me tutte le volte che ti serve rendendomi il tuo pusher personale. E che oggi tu fumi assieme a me questa skunk.  Che ne dici? - le dissi.
Vidi le sue guance tornare al colore naturale e sorrise.
- OK, affare fatto -

Fine flashback…

Le porte dell’ascensore si aprirono, con un fastidioso fruscio. Presi con una mano quella di Diana e con l’altra frugai nella tasca dei pantaloni, trovando le chiavi di casa. Le infilai nella serratura ed aprì la porta d’ingresso del mio appartamento.
Diana entrò per prima e accese la luce del corridoio. Mentre stavo chiudendo la porta in un secondo me la ritrovai abbracciata al mio petto, come un cucciolo di koala.
La mia Diana… La mia tenera e piccola Diana…  Ricambiai volentieri l’abbraccio e le circondai la vita con le mie braccia.
- Mi sei mancato così tanto, Chris - disse lei improvvisamente.
Mi sei mancata così tanto anche te.
Sembra sia passata una vita dal nostro ultimo abbraccio, o dal nostro ultimo bacio…o dalla nostra ultima volta a letto…

Diana alzò il viso tutto ad un tratto e mi guardò, con la sua aria da bambina, per un attimo temetti di aver pensato ad alta voce. Mi persi nei suoi occhioni verdi/grigi.. Difficile capire quanti colori potessero assumere.
Diana si avvicinò alle mie labbra, baciandole castamente e teneramente. Come potrei non amarla?
Ovviamente ricambiai e con la lingua chiesi silenziosamente e senza parole di farmi entrare nella sua bocca, cosa che avvenne quasi subito. Le nostre lingue cominciarono a danzare assieme, a scontrarsi dolcemente. Cominciammo a baciarci non più castamente, ma passionalmente e senza problemi avvicinai il mio bacino al suo, combaciandoli perfettamente.
Non riesco più a tenermi sotto controllo.
Ribaltai perciò di colpo le posizioni. Se prima era Diana ad avermi sbattuto contro la porta di ingresso abbracciandomi, ora ero io a tenerla tra il mio corpo e la porta, schiacciandola, facendo aderire i nostri corpi e facendo in modo che lei sentisse la mia erezione.
Tolsi le mani dalla sua sottile vita per poi scendere fino alle natiche, e lì la alzai, sorprendendomi di quanto fosse leggera.
- Sei leggerissima - sussurrai mentre con le labbra e con la lingua scendo lentamente verso il suo collo.
- Shh… - dice lei, circondandomi il collo con un braccio mentre con l’altro mi attira a sé tirandomi delicatamente i capelli. Compresi la sua eccitazione dal momento in cui mi resi conto che stava ansimando, cosa che stavo facendo anche io, a quanto sentivo.
La portai in camera mia, e la poggiai sul mio letto senza smettere di baciarla per neanche un momento. Mi privai dei miei vestiti, cosa che fece pure lei e la vidi finalmente senza niente addosso.
Sì, mi si decisamente mancata, amore.

Diana POV:
Aprì gli occhi, ma la luce troppo accecante del sole che filtrava dalle tende mi costrinse a richiuderli nuovamente. Mi mossi nel letto girandomi dall’altro lato e vidi i lunghi dreadlocks di Chris che incorniciavano la sua schiena chiara.
E’ dimagrito anche lui tantissimo…
Sorrisi, ricordando la sera prima, ero molto felice di essermi riavvicinata a Chris.
Lo aiuterò, questa volta. Voglio assolutamente che smetta di bucarsi.
Sentì improvvisamente  vibrare il mio cellulare e mi ricordai di colpo che giorno fosse.
- Oh Cristo, Chris, svegliati! - esclamai scuotendolo dalle spalle -Chris, oggi è il primo giorno di scuola! Cazzo, svegliati! -.
Per tutta risposta (finalmente) Chris di girò verso di me e aprì i suoi adorabili occhi color ghiaccio.
- Mmh - mugugnò lui aggrottando la fronte - buongiorno, piccola -
- Buongiorno un cazzo! Che ore sono? - dissi sbuffando e prendendo il telefono da sotto il cuscino. Avevo il vizio di metterlo lì ormai da anni, anche se ero benissimo a conoscenza che non facesse molto bene.
- Chris, alza il culo! Sono le sette e mezza e io devo ancora tornare a casa prendere vestiti e libri! -
Perfetto, primo giorno in una scuola nuova e sono già in ritardo! E in più Chris non ha voglia neanche di muovere un dito.
- Ti presto io una mia maglietta, preparati qui -  si limitò a dire lui.
In effetti non mi sembra una cattiva idea…
Sbuffai, sussurrai un “OK” e mi alzai frettolosamente dal letto, accorgendomi solo in quel momento che indossavo solo dei boxer a righe blu e nere di Chris.
Quando diamine li ho messi?
Guardai Chris, sperando di trovarlo già sveglio del tutto, ma si era addormentato nuovamente, a giudicare dal suo respiro.
Sempre lo stesso pigrone pensai inevitabilmente con un sorrisetto sulla labbra.
Decisi di svegliarlo per l’ennesima volta, questa volta facendogli il solletico; riaprì gli occhi esclamando sono sveglio, sono sveglio e mi sorrise.
Mi voltai ridendo e andai verso il bagno, minacciandolo prima di una morte dolorosa se non si fosse alzato entro dieci minuti.

Chris POV
“Se non ti alzi entro dieci minuti di immergo nell’acido, Chris!”
Ah, l’amour!
Sorrisi. Le minacce di morte da parte di Diana erano così romantiche la mattina.
Sentì l’acqua della doccia scorrere e mi alzai svogliatamente dal letto, sbadigliando sonoramente. La tentazione di spalancare la porta del bagno senza preavviso per ammirare Diana nella doccia era fortissima, ma, conoscendola ormai da anni, la sua minaccia di pochi minuti prima poteva benissimo avverarsi.
Aprì l’armadio e cercai in mezzo al casino una maglietta da poter prestarle, ma la cosa risultò abbastanza complicata. Vestivo largo, molto largo, e se le avessi prestato una maglia che usavo di solito le sarebbe arrivata come minimo alle ginocchia. Vidi sul fondo dell’armadio la mia vecchia t-shirt, la più piccola tra tutte forse, nera con la faccia di Alborosie stampata sopra.
So che Diana non era una persona che amava follemente il reggae, ma più propensa ad ascoltare un po’ tutto tranne il pop
Chiusi le ante dell’armadio quando cominciai ad avere una forte nausea.
Gesù, era passato solamente un giorno dalla mia ultima pera!
Cercai con tutte le forze di reprimere il senso di nausea, ma non aveva molto senso star male per niente.
Se vomitassi forse non avrei più la nausea, no? O almeno, lo spero.
Senza pensarci due volte bussai alla porta del bagno.
-Piccola…- chiamai, ma la mia voce era non più che un sussurro.
Sperai che mi avesse sentito, ma mi accasciai a terra, tenendomi la pancia con una mano. Al senso di nausea si era affiancata un serie di dolori addominali fortissimi. Non ce la facevo più.
Mi accorsi di star sudando, mi rialzai dal pavimento e, barcollando, afferrai un pacchetto di fazzoletti posti dentro il cassetto del comodino. Con uno di questi mi ci soffiai il naso, che non finiva più di colarmi.
Mi sentivo improvvisamente agitato, non riuscivo a star fermo un momento.
Mi accasciai nuovamente sul pavimento, e appoggiavi la schiena sul lato più breve del letto.
La nausea mi attanagliava sempre più lo stomaco, cercai di non pensarci.
Ad un tratto la porta del bagno si aprì e sulla soglia comparse Diana, in intimo. I lunghi dreads castani le ricadevo lungo i fianchi e aveva le guance arrossate a causa del calore della doccia. Sembrava una bambolina di porcellana, esattamente come il giorno in cui si erano conosciuti, il primo giorno in cui fumammo assieme erba.
Al solo pensiero del forte odore dell’erba non riuscì più a trattenere la nausea; mi alzai frettolosamente, scostai in modo un po’ troppo brusco Diana e mi precipitai in bagno. Mi diressi verso il gabinetto e cominciai a vomitare al suo interno.
Sentì Diana avvicinarsi dietro di me e raccogliermi tutti i dreads, togliendomeli dalla faccia.
Quando finalmente non sentì più i conati mi rialzai, sempre barcollando, e tirai lo sciacquone; mi lavai la faccia e la bocca nel lavandino, davanti al quale era appeso uno specchio.
Non avevo il coraggio di alzare la testa per vedere l’espressione sicuramente schifata di Diana. Dopo pochi secondi, però, alzai lentamente lo sguardo e, tramite lo specchio, lo incrociai con il suo. Mi sorpresi: non mi stava affatto guardando schifata.
-M-mi dispiace, Diana…- le dissi.
-Non è colpa tua, amore. Ti senti ancora male, vero?- rispose lei, con uno sguardo visibilmente preoccupato.
-Devo farmi una pera, piccola. Esci dal bagno, non voglio che tu veda.- le dissi.
-O-ok…- balbettò. Mi abbracciò e uscì dal bagno richiudendosi la porta dietro senza dire una parola.
Preparai tutto: una stringa di scarpa che fungesse da laccio emostatico, un cucchiaio, un accendino, del succo di limone e infine la mia polvere bianca.
Finito tutto il procedimento e, soprattutto, finiti tutti gli effetti dovuti all’astinenza, mi alzai e aprì la porta.
Sul letto era seduta Diana. Mi guardò e mi fece un sorriso d’incoraggiamento.
Amavo quella ragazza, la amavo così tanto!
-Ehi, piccola…-
-Stai meglio?-
-Sì sì - le risposi.
Mi accorsi che indossava la maglietta di Alborosie che le avevo scelto.
-Ti sta bene, anche se un po’ larga…- le dissi, indicando con il capo la t-shirt.
-Già. Andiamo, amore?-
Annuì e presi il mio zaino da sotto il letto. Ci misi dentro l’astuccio, un blocco di fogli completamente vuoto, l’accendino e il pacchetto di Yesmoke rosse.
-Andiamo!-
La presi per mano e salimmo pochi minuti dopo sulla mia auto.
-Sono nervosa… Perché diavolo ho scelto moda? La classe sarà piena di oche, sarò si sicuro l’unica con piercings e dreads!- biascicò lei, mentre si accendeva una sigaretta dopo aver abbassato il finestrino.
-Per questo ho scelto te, baby. Perché hai i dreads e i piercings!-
-Coooosa? Solo per quello?!- urlò con aria imbronciata, dandomi un colpetto sulla spalla.
-Scherzavo! Ahahah! Ti amo, e non perché hai dreads e quant’altro.- la tranquillizzai, sorridendole. -Stendile tutte quelle oche comunque-.
Svoltai l’incrocio e parcheggiai. Eravamo arrivati.

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Capitolo 4
*** Start ***


Capitolo 4

 
Scesi dall’auto di Chris e buttai per terra il mozzicone della sigaretta che avevo acceso prima.
Mi guardai intorno. Non c’era nessuno!
Ero così terribilmente in ritardo?!
-Amore, ma che ore sono?- chiesi a Chris.
-Le 7 e quarantacinque… Sei addirittura in anticipo!- mi rispose lui, chiudendo la portiera e infilandosi le chiavi ed il cellulare in tasca.
Sbuffai e cercai di sedermi sul cofano della macchina, troppo alto per la mia altezza. Sentii Chris sghignazzare dietro di me e gli lanciai un’occhiataccia, sibilando “tanto ce la faccio!”. Lo vidi ridere e avvicinarsi a me.
-Certo, peccato che prima sembrassi una scimmia!- esclamò continuando a ridere e sollevandomi dalle natiche. Mi poggiò delicatamente sul cofano e appoggiò i gomiti sopra le mie cosce.
Mi aveva appena dato della scimmia. DELLA SCIMMIA!
Notò le mie sopracciglia aggrottata e quel ghigno che aveva stampato in faccia si trasformò in un sorrisetto dolce.
-Mi hai dato della scimmia, stronzo!- replicai io, tenendo il broncio.
Non rispose e si limitò a schioccarmi un bacio a fior di labbra, sorridendo teneramente.
Ricambiai il sorriso e cominciai a girare un’altra sigaretta.
-E’ già la seconda in cinque minuti, Diana!- mi rimproverò lui, sfilandomi la sigaretta appena rollata dalle labbra e portandosela in bocca.
Gli feci la linguaccia e girai l’ennesima sigaretta con il mio tabacco Lucky Strike, accorgendomi di averlo quasi finito.
Sbuffai al pensiero di dover andare dal tabacchino e tornai a guardare Chris, che fissava la sua macchina ormai completamente rigata mentre mi accarezzava un fianco.

-Amore…- cominciai.
-Mmmh?- mi rispose, incatenando il suo sguardo color ghiaccio al mio.
-Mi potresti comprare del tabacco? Non me lo vendono in questa zona…- chiesi io, facendo gli occhioni dolci.
Chris annuii e mi fece scendere dalla macchina, facendo attenzione a non bruciarmi con la sua sigaretta accesa. Mi circondò le spalle con un braccio e ci incamminammo verso il tabacchino, che era a pochi metri dalla scuola.
Dopo avergli dato i soldi, entrò e mi lasciò fuori a tenergli la sigaretta che aveva acceso poco prima. Mi sentivo una totale idiota… chissà che pensava la gente vedendomi con due sigarette!
Sogghignai e mi sedetti sul muretto davanti al tabaccaio, mi aggiustai la frangetta e notai un gruppo di ragazzi e ragazze che mi fissavano.
Si chiederanno perché ho due sigarette accese, credo… pensai ingenuamente.
Poi però vidi un ragazzo avvicinarsi e sorridermi. Alzai un sopracciglio, ricredendomi.
-Ciao!- mi fece lui, porgendomi la mano.
Lo guardai con freddezza e mi voltai indifferentemente dall’altra parte, continuando a fumare la mia sigaretta.
-Non mordo, eh!- continuò ridendo, spostandosi davanti a me e bloccandomi la visuale.
Ero decisa a non rispondergli, Chris se mi avrebbe trovata a parlare con un altro ragazzo sarebbe diventato immediatamente geloso… e violento. Ovviamente non nei miei confronti.
-Beh, io sì!- sentì alle mie spalle.
Parli del diavolo e spuntano le corna!
Mi voltai a guardarlo. Teneva il pacchetto di tabacco in una mano e doveva aver legato i suoi dreadlocks mentre era in coda in tabaccheria.
-Levati dalle palle, è di mia proprietà.- replicò duramente, guardando il ragazzo che mi si era avvicinato.
Quest’ultimo mi guardò, come se volesse avere la conferma di ciò che aveva detto Chris, e sbuffò, ritornando dal suo gruppo di amici, con le mani affondate nelle tasche dei jeans.

-Wow.- mi limitai a dire, sorridendo divertita a Chris, che invece mi guardava dubbioso.
Inarcai nuovamente un sopracciglio e lo fissai con sguardo interrogativo. Mi prese per mano e si diresse velocemente verso la sua macchina.
Infilò le chiavi e aprì una delle portiere dietro.
-Entra.- mi disse.
Aggrottai la fronte, ma ubbidii alla sua richiesta, entrando in macchina e sedendomi in centro.
Lo guardai chiudere la portiera e fiondarsi sulle mie labbra.
Ora perché mi stava baciando?
Ringraziai il cielo che Chris possedesse una macchina con i finestrini oscurati e ricambiai il suo bacio.
Era furioso per quel ragazzo, ne ero certa.

Sentii la sua barba pungermi le labbra, il mento e successivamente il collo. Socchiusi gli occhi, mi sentivo terribilmente eccitata.
-Chris…- sussurrai, sciogliendogli i dreads che aveva legato in tabaccheria e lasciando che ricadessero da tutte le parti.
Non mi rispose, e continuò a lasciarmi dei caldi ed umidi baci lungo il collo, per poi soffermarsi su un punto, il mio punto G, provocandomi dei brividi di piacere.
Solo lui poteva eccitarmi con dei semplici baci!
Poi tutto ad un tratto, capii perché si era fermato su un particolare punto del mio collo.
Mi stava facendo un succhiotto!
-Chris, poi come cazzo lo nascondo?!- esclamai io, cercando di alzare il suo viso.
Passarono degli interminabili secondi, poi sollevò il volto e cominciò a fissarmi, con un ghigno in faccia.
-Almeno in questo modo quegli arrapati dei tuoi nuovi compagni di scuola capiranno che appartieni già a qualcuno!- ribatté con fare ovvio ed orgoglioso.
-Ma vaffanculo!- borbottai io cercando di non ridere.
Mi baciò con un sorriso stampato in faccia e mi accarezzò una guancia.
-Se solo non dovessi entrare a scuola tra cinque minuti ti avrei scopata qui, cazzo!- esclamò.
Risi. Sempre il solito ragazzaccio, geloso, possessivo e pervertito!
***
La vidi ridere per la mia ultima frase.
…Peccato che lo pensassi veramente!
Le diedi un altro bacio, più casto rispetto ai precedenti e continuai ad accarezzarle la guancia per una manciata di secondi.
-Scendiamo?- mi chiese, improvvisamente.
Annuii controvoglia; mi piaceva da matti accarezzarla e farle le coccole.
Riaprì la portiera e scesi, seguito da Diana, che cercava intanto un modo per coprire il succhiotto pulsante con i dreads. Mi guardai intorno. Ora sì che si cominciava a vedere gente che aspettava di entrare a scuola.
Volsi uno sguardo altrove e notai una ragazza che mi fissava. Aveva i capelli neri e corti, magra e molto alta; indossava dei jeans strettissimi, una canottiera nera che miracolosamente tratteneva il suo enorme seno, e delle converse rosse.

Guardai subito la mia ragazza, che fissava pensierosa l’edificio nel quale sarebbe dovuta entrare a momenti.  Quella barbie era nulla in confronto alla mia piccola. Diana aveva una prima di seno ed era molto esile, ma mi piaceva soprattutto per questo. I suoi lunghi dreadlocks e i suoi tanti piercings erano poi la ciliegina sulla torta.
La campanella che cominciò a suonare segnando l’inizio delle lezioni interruppe i miei pensieri. Volsi lo sguardo verso Diana. Era tesissima, non l’avevo mai vista così agitata.
Ricambiò lo sguardo e notai solo allora che si stava mordendo freneticamente le labbra.
Sorrisi. Amavo quando faceva così.
Mi avvicinai a lei ed incrociai le dita dietro il suo collo.
-Su, entra, prima che pensino che tu non ci sia!-
Mi abbracciò e mi baciò le labbra dolcemente.
-Mi verrai a prendere all’uscita?- mi chiese, aggrottando le sopracciglia e facendo sporgere il labbro inferiore.
-Certo, piccola- le risposi, baciandola nuovamente.

Entrò a scuola e la vidi, attraverso le porte vetrate, chiedere qualcosa ad una bidella grassoccia e bassa, molto probabilmente sulla collocazione dell’aula. Annuii con il capo e mi guardò, alzando gli occhi al cielo e sorridendo divertita. Sorrisi di rimando e, una volta sparita dalla mia vista, entrai in macchina ed infilai le chiavi per mettere a moto.
Presi il mio pacchetto di Yesmoke dal cruscotto e accesi una sigaretta.
Poi sentii bussare al finestrino. Mi voltai e vidi ‘la barbie’, che mi guardava maliziosa.
Abbassai per pura gentilezza il finestrino, ma il mio sguardo scocciato intuiva già la mia indifferenza nei suoi confronti.
-Quella che è entrata era la tua ragazza?- mi chiese, sorridendo.
Ma a che cazzo le interessa?
***
Bussai all’aula nove.
Stavo sudando, ero agitatissima e in più non ero neanche sicura che fossi realmente in aula nove. La bidella con cui avevo parlato balbettava e di conseguenza non capii bene se dovevo dirigermi in aula nove o diciannove.
Sentii un ‘avanti!’ dall’interno dell’aula e, dopo aver sospirato, entrai.
-Finalmente si degna della sua presenza, signorina… Morgan, se non erro, giusto?-
Guardai la professoressa fissarmi con una serietà mai vista prima d’ora e non riuscii a trattenere un sorriso divertito.
-Non erra, non erra…- dissi, cercando stavolta di non riderle direttamente in faccia.
L’insegnante in questione era buffissima; molto alta, molto magra e un viso scavato. Sembrava un topo.
-Beh, si dà il caso che tu sia in ritardo già il primo giorno di scuola. Questo mi fa dedurre che continuerà così per tutto l’anno scolastico.-
Ecco, di nuovo questi fottuti pregiudizi!

Alzai un sopracciglio e mi avviai verso l’unica sedia vuota, nella seconda fila, attaccata alla finestra.
Mi guardai intorno, e constatando che la classe era veramente stracolma di oche con due chili di trucco in faccia, decisi di guardare fuori dalla finestra.
Aggrottai la fronte. Chris, che stranamente era ancora lì davanti, stava parlando con una ragazza dai capelli corti. Strinsi i pugni, ed un attacco di gelosia mi attraversò.
Voltai lo sguardo altrove, sperando con tutta me stessa che quella ragazza si staccasse da Chris.
Notai solo allora che due ragazze sedute davanti a me indicavano con l’indice fuori dalla finestra.
-Sai che bello essere sbattute da un ragazzo così?!-
-Cazzo, ho sempre sognato di scopare con un tipo con i rasta…-
-Eh, ma credo sia fidanzato… Sta parlando con quella…-
Stavano parlando del mio ragazzo, porca puttana!
Inspirai profondamente, cercando di non arrabbiarmi più di tanto.
Volevano essere sbattute dal mio ragazzo. Chiamavano i dreadlocks "rasta". Pensano che lui sia fidanzato con quella barbie tettona.
Calmati, Diana.
Respira, inspira.

Stessi zitta, e tirai un sospiro di sollievo non appena Chris mise a moto la macchina e sgommò via dalla tettona, senza neanche degnarla di uno sguardo.
***
Le ore passarono velocemente per mia fortuna. In men che non si dica ne mancano solamente due, da trascorrere in palestra, che era posizionata al piano terra. Non ho mai avuto la benché minima voglia di correre, né tanto meno dietro una palla da calcio.
Il professore di educazione fisica era forse l’unico insegnante simpatico, ed ottenni finalmente una scusa per andare a fumare in cortile. Un semplice “vado in bagno” e via, ad accendermi una sigaretta girata precedentemente.
Mi sedetti sotto il portico del cortile e buttai fuori il leggero fumo, pensando.
Di cosa hanno parlato Chris e quella ragazza?
Domani mattina si ripeterà la stessa faccenda dell’eroina, Chris si inietterà nuovamente quella merda. Cosa potrò fare io per contrastarlo?

Sospirai tristemente.
-Che merda…- sussurrai, accendendomi la sigaretta che si era spenta.

A poca distanza da me c’era un gruppo di ragazze, che chiacchieravano tranquillamente tra di loro di scarpe, cosmetici e ragazzi.
Ascoltavo senza alcun interesse le loro conversazioni, non volevo sprofondare tra i miei pensieri.
Udii una loro frase che mi lasciò di stucco.
“Che tossica… Se fosse mia figlia e tornasse così a casa la riempirei di botte.”
Mi rialzai, lanciai il mozzicone a qualche metro da me e mi voltai verso le ragazze in questione.
-Che puttana… Se fosse mia figlia e tornasse così a casa la riempirei di botte!- esclamai in faccia alla ragazza in minigonna e top, quella che mi aveva dato della tossica.
Mi girai ed entrai in palestra lasciandole con gli occhi sgranati dallo stupore. Sorrisi inevitabilmente.
Mi sarei divertita in quella scuola.

Angolo autrice:
Tadah! Ecco il quarto capitolo dopo 385793475498 mesi di assenza, causa studio (se se, come no!) :c
Vi prometto che diventerò più puntuale e che il quinto capitolo uscirà presto... Ringrazio tutti quelli che hanno avuto la pazienza di mettere questa storia tra i preferiti, seguiti, e cià cià cià... Grazie mille!
Non vi succede niente se recensite e mi dite il vostro parere eh ;)
Alla prossima,
Mary.

 

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