One Day

di AyrinL
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1988 ***
Capitolo 2: *** 1989 ***
Capitolo 3: *** 1990 ***
Capitolo 4: *** 1991 ***
Capitolo 5: *** 1992. ***
Capitolo 6: *** 1993 ***
Capitolo 7: *** 1998 ***
Capitolo 8: *** 1999 ***
Capitolo 9: *** 2000 ***
Capitolo 10: *** 2001 ***
Capitolo 11: *** 2002 ***
Capitolo 12: *** 2003 ***
Capitolo 13: *** 2004 ***



Capitolo 1
*** 1988 ***


15 Luglio 1988.
 

 
Ci sono sere in cui senti che la vita è giusta.
Che tu sei giusto.
C’è quell’aria fresca che pizzica la pelle, il sole scende sempre più all’orizzonte e mille giochi di arancione e giallo si mescolano al blu sempre più scuro.
E ti fermi, ti godi l’istante,  le labbra si alzano da sole all’insù, in un sorriso. Semplicemente ti godi l’attimo, ti godi il mondo per quello che è, ossia un posto speciale, un posto unico e sconfinato.
Pensi alla vita che ti è stata donata e a quanto essa sia speciale, e che va custodita gelosamente, assaporandola ogni giorno nelle sue mille sfaccettature, non perdendoti neanche un istante del tempo che scorre, dei minuti, dei passi, degli sguardi della gente, del sole, delle stelle, del mare, dei gesti, delle abitudini, di tutto.
In quel momento è tutto perfetto. Non importa del resto del mondo o di ciò che accade attorno a noi.
Quello, è uno dei pochi momenti nella vita in cui siamo davvero, davvero felici.
Quella sera era così che si sentiva Blaine, uscendo per l’ultima volta dalla sua casa, la Dalton.
Ormai tutto stava per cambiare: dopo l’estate si sarebbe trasferito per il college, davanti a lui c’era un futuro lungo, una strada che aspettava solo di essere percorsa.
Blaine non aveva paura: si sentiva soddisfatto, completo, aveva raggiunto un obiettivo concreto e aveva fretta di vivere. Proseguendo per il suo destino, di fare ciò che davvero voleva, sbagliando anche, ma vivere, vivere, quel vivere che tanto desiderava, quello che faceva battere il cuore, quello che faceva appassionare, quello che era simile ad un fuoco d’artificio in una notte di mezza estate.
I suoi amici attorno a loro festeggiavano, gridavano, si abbracciavano. Era tutto un delirio, ma lui preferiva festeggiare in solitudine, guardando per l’ultima volta la sua scuola, fotografando nella sua mente le cime degli alberi alti dei giardini, i prati sempre verdi e la luce del sole che ribatteva su di essa.
-  Avanti Blaine, vieni qui con noi!
-  Arrivo Nick!
E poi si concesse anche un secondo per rivolgere uno sguardo a loro, la sua famiglia da sempre, i suoi amici pazzi e scatenati che lo trascinarono in mezzo il gruppo.
Passarono una serata tra urla e risate, esattamente come tanti altre notti trascorse alla Dalton.
Con la differenza però, che quella sarebbe stata l’ultima.
 

 

**





Erano le cinque del mattino, quando erano rimasti in pochi a camminare per le vie deserte di Westerville.
Nick era ormai ubriaco, e Blaine non poté far altro che ridere quando cominciò ad avvinghiarsi a Jeff.
I due si scambiavano baci al chiaro di luna, allontanandosi sempre di più da Blaine. Sapeva che i due provassero una  forte attrazione, ma trovava ridicolo che si fossero ridotti alla loro ultima serata (e per giunta sotto l’effetto dell’alcool) per darsi da fare. Insomma, la vita è troppo breve per lasciarsi sfuggire il vero amore. Rise tra sé e sé per quel pensiero, dato che per tutti gli anni del liceo si era sempre crogiolato nella sua timidezza e  la sua ultima relazione si era conclusa in modo non del tutto felice.
 
-  Hey, ragazzi! Dove andate?
Nessuno dei due sembrava intenzionato a rispondere. Nick si staccò da Jeff per prenderlo per mano e trascinarlo via con sé.
-  Hey ragazzi! Avanti, tornate indietro! Sono da solo!
-  No che non sei solo.
Blaine sobbalzò sentendo qualcuno vicino a sé.
Si voltò e, poco dietro di lui, eccolo comparire.
Sebastian.
Il ragazzo più bello, talentuoso e fascinoso che la Dalton avesse mai conosciuto.
Fin dal primo giorno in cui lo vide, quegli occhi verdi lo avevano completamente estasiato. Era entrato una fredda mattina d’ottobre nella sala coro, altezzoso e fiero di sé, col passo sicuro e le iridi abbaglianti, presentandosi con quell’accento francese che spiazzava anche la più fredda pietra.
E ricordava bene il momento in cui i loro sguardi si incontrarono la prima volta, e quando Sebastian si era avvicinato a lui e gli aveva rivolto la parola.
Blaine però, quell’anno, aveva già un fidanzato. E solo Dio sapeva quando fu difficile resistere alle avances di quel ragazzo talmente bello da essere fuori dall’universo.
Quando Blaine ruppe la sua relazione con Kurt, il suo ragazzo, era già troppo tardi: erano già incastrati in quella scomoda situazione chiamata amicizia, e Sebastian non faceva più commenti sul suo fondoschiena, come accadeva invece all’inizio della loro conoscenza.
Il destino però, volle che Blaine si prese una cotta per Sebastian. E a restare in silenzio, per colpa della sua timidezza.
-  Oh, Sebastian.
Il francese davanti a sé era visibilmente ubriaco, barcollava e i suoi occhi erano pieni di lussuria.
- B-Blaine…
Sebastian non finì di parlare che si accasciò contro Blaine, il quale prese il suo braccio e lo mise sopra la sua spalla.
Sebastian era così pericolosamente vicino, le sue labbra, il suo profumo, che Blaine non si sorprese di ritrovarsi tremolante nonostante fosse lui quello sobrio.
-  Sei bello Blaine, lo sai? Ma davvero, dico..wow, Blaine, ti voglio bene, voglio bene tutti, io amo la vita, voglio un cane, un gatto, un coniglio, e poi… io… oh Blaine!
- Si Sebastian, ho capito, ti porto a casa. Dove… dove hai le chiavi?
Sebastian alzò la testa e scoppiò a ridere in un modo infantile. Blaine alzò gli occhi al cielo, sorridendo per la sbadataggine di quel ragazzo.
- Fammi indovinare. Non lo sai.
Sebastian non rispose e abbassò semplicemente la testa, appoggiandola sulla spalla dell’amico.
Dieci minuti dopo, Blaine caricò Sebastian sulla macchina e, dopo molti, molti sforzi, riuscì a portarlo a casa sua. I suoi genitori non c’erano, erano partiti il giorno stesso per la California.
Appena varcata la porta di casa, accadde qualcosa che di certo non si aspettava: Sebastian si gettò tra le sue labbra, stringendolo a sé in un bacio confuso, con ancora il sapore di vodka sulla sua lingua.
-  Seb… seb…
Blaine era completamente immobilizzato, ma Sebastian non cedeva, continuava a toccare le sue labbra e a far scorrere le mani sulla sua schiena.
Blaine perse completamente lucidità: si abbandonò al quel bacio, col cuore in gola, non pensando più a niente.
Si vive una volta sola.
Subito lo spinse in camera da letto, la stanza illuminata già dalla luce del sole che sorgeva. Non pensava a nulla, Blaine, solo alla maglietta di Sebastian gettata sul letto e al suo petto nudo sotto le sue mani.
- A…Aspetta, torno subito.
Blaine si staccò sotto lo sguardo confuso del ragazzo, correndo in bagno.
Chiuse furente la porta dietro di sé, appoggiandosi e prendendo respiri profondi.
- Stai calmo Blaine, stai calmo. E’ solo Sebastian, Blaine.
Prese respiri profondi. Vide il dentifricio sul lavandino: prese lo spazzolino, si lavò velocemente i denti. Aveva visto farlo milioni di volte nei film, evidentemente era così che ci si comportava. Aveva visto anche usare il filo interdentale, ma pensò che in fondo bastò così. Si diede un’ultima occhiata allo specchio.
- Avanti Blaine. Io credo in te. Forza e coraggio.
Corse nella camera da letto, cercando di assumere una faccia lussuriosa (ma sicuro di avere una smorfia improponibile), spalancò la porta e..
- Eccom.. oh.
Sebastian era davanti a lui che si stava rivestendo.
-  Oh, tu… te ne stai andando.
-  Io…
Sebastian aveva la faccia tramortita e mortificato.
-  Blaine, io… sono un imbecille, sono ubriaco e… non ho capito nulla, sono un idiota.
-  Seb, è tutto ok.
-  Non che non è ok. Blaine, tu sei mio amico, uno dei miei veri amici, e sono realmente pochi. Non posso permettere che questo comprometta la nostra amicizia. Io… ci tengo troppo a te, ti voglio bene e non voglio rinunciare a te per colpa del stupido sesso.
Stupido sesso.
- Va… va bene Seb, davvero, tranquillo.
Blaine si sedette ai bordi del letto, facendo un gran respiro e fingendo di essere tranquillo.
- Seb?
- Si Blaine?
- Ti prego, non andartene… resta con me stanotte, almeno per un po’. Sono solo e… tra poco apre la cornetteria qui all’angolo, potremmo andare a fare colazione e…
Sebastian non lo lasciò parlare, abbracciandolo da dietro. Il profumo inebriò completamente Blaine, che chiuse gli occhi sotto il suo tocco.
- Non me ne vado per nessuna cosa al mondo.




Note

eccomi qui people. Insomma, ho cominciato questo nuovo viaggio.
Non so quante di voi abbiano visto questo film meraviglioso. Detto ciò, sappiate che non resterò fedele alla trama. Cambierò molte cose per cercare di attenermi ai personaggi e a Glee.
Spero resterete con me. 
Un grazie speciale alle mie seblainers, le donne kinkose e la mia Somo ♥

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Capitolo 2
*** 1989 ***


Capitolo prevalentemente di passaggio :)




15     luglio 1989

 
 
 
 
- Dio mio Blaine, sono stanco, non ce la faccio più!
- Forza, è solo un divano Seb!
Sebastian appoggiò sull’asfalto il divano scaricato due minuti prima dal camion dei traslochi, portandosi una mano sulla fronte e asciugandosi il sudore.
- Come hai fatto a convincermi ad accompagnarti a Londra? A Londra! Io che non ho mai offerto un passaggio in macchina neanche a mia madre.
- Beh, ma io sono il tuo migliore amico.
Blaine si avvicinò per dargli un leggero pugno sulla spalla e sorridendogli divertito.
- Per farti perdonare dovrai venire il prima possibile da me a Parigi.
Sebastian gli sorrise, per poi alzarsi e riprendere con fatica il divano da portare dentro l’appartamento. Quando furono dentro, sul tavolo di legno vi era un foglio. Quel foglio, qualche riga stampata sopra, avevano cambiato il destino di Blaine.
- Davvero Blaine, ancora non riesco a crederci come tu ce l’abbia fatta.
- Grazie mille per avere fiducia nelle mie capacità Sebastian.
- No, dico sul serio, insomma, è la Oxford! La migliore università che ci sia al mondo. Potevano scegliere chissà tra quanti altri migliaia di studenti e invece hanno scelto te. Non credi sia un po’… destino?
- Destino?
- Oh Blaine, tra i due sono io quello meno intelligente, fatti valere. Ti trovavi così male in America? Perché sei scappato dall’altra parte dell’oceano?
- Per lo stesso motivo per il quale tu sei andato a Parigi un anno fa.
- Io ho seguito la mia famiglia.
Blaine si azzittì, guardando a terra e indugiando sul pavimento in moquette. Sospirò, ormai cosciente di dover parlare e di esternare i propri sentimenti. Non poteva far finta di nulla con Sebastian, non con lui, che lo capiva anche solo attraverso uno sguardo.
- Il fatto è che…  avevo bisogno di cambiare aria. Tutti i ragazzi fanno esperienze all’estero, no? Io ho voglia di viaggiare e conoscere il mondo.
- Sicuro che sia solo questo?
- Tu non demordi mai?
- Blaine, anche se eri lontano milioni di chilometri da me, sentivo bene la tua voce al telefono e ti sentivo… strano.
Certo che ero strano, pensò Blaine. Pensò a quei mesi trascorsi in quell’orribile appartamento a Pittsburgh, in quell’orribile campus universitario dove non si sentiva affatto a suo agio. Tutti sembravano felici. Perché lui non era come loro? Blaine conosceva bene la risposta, nel suo cuore, era lì custodita da sempre, eppure non aveva il coraggio di ammetterlo a sé stesso.
- Non mi trovavo bene all’università.
- Non ti trovavi bene?
- La smetti di ripetere quello che dico io? E’ una chiacchierata con un amico o una seduta dallo psicologo?
- Blaine, gli amici ti chiedono come stai, anche se poi non gliene importa davvero a nessuno. I migliori amici invece parlano con te esattamente come un bravo psicologo che scava nell’animo di un suo paziente. Solo che lo fanno gratis.
- E questa perla di saggezza dove l’hai imparata?
- Dalla mia mente contorta, modestamente.
- O forse hai visto troppi film di Woody Allen.
Sebastian sbruffò, andandosi a stendere sul divano.
- Per favore Blaine, sai che non sopporto quel genere di cose. Numero uno, non sono abbastanza intellettuale come te per capirlo. Punto secondo, ho tutta la vita davanti a me per annoiarmi.
- Hey! Woody Allen non è noioso!E’… è…
- Pessimista? Depresso? Cinico? Si, mi ricorda proprio te.
- Mi credi pessimista, depresso, cinico?
Blaine lo raggiunse aggrottando le sopracciglia e interessandosi al discorso che aveva cambiato improvvisamente piega.
- Beh, vedi… è che certe volte proprio non riesco a decifrarti. Sei, non so… è come se ci fossero ancora un sacco di cose che vuoi tenere dentro di te. È come se ci fosse un’altra persona, lì, nascosta.
Blaine fissava il suo amico con la bocca schiusa, il respiro fatto pesante.
“È come se ci fossero un sacco di cose che vuoi tenere dentro di te”.
Blaine decise di spezzare quel breve, seppur intenso, silenzio. Non voleva più sentire cose del genere.
- Ci siamo dati ai sentimentalismi eh? – e prese un cuscino gettandolo in faccia a Sebastian.
Lotta di cuscini: era da sempre il loro modo preferito con cui cambiare discorso.
- Blaine… Blaine basta, ti prego!
Blaine si rialzò, diventando serio tutto un tratto.
- Che ore sono?
- Le quattro e mezza. Perché?
- Merda, sono in ritardo.
- Cosa devi fare?
- Ti ricordi di quel mio zio che vive qui a Londra? Quello di cui ti ho parlato una settimana fa?
- Oh… già, il lavoro. Avanti Blaine, sei appena arrivato, non puoi goderti un po’ Londra?
- Seb, sai che mi servono soldi, e che mi serve quel posto di lavoro. E poi, credo proprio che sarà divertente.
- Certo, ore e ore di lavoro in uno squallido ristorante di cucina messicana.
- A me piace la cucina messicana!
Sebastian si arrese, non volendo infierire oltre. Si sorprese quanto loro due fossero diversi.
Appartenevano a pianeti distanti anni luce, eppure, si erano incontrati. Ed erano diventati migliori amici.
- D’accordo, ti accompagno io.
- Beh, dove vorresti andare?
Sebastian riprese un cuscino caduto a terra lanciandoglielo in piena faccia, e ripresero la loro usuale lotta.
- Signore qui abbiamo finit… oh.
L’uomo dei traslochi si presentò dentro la stanza, con scartoffie e documenti in mano.
- Scusate, la porta era aperta.
L’uomo era visibilmente imbarazzato, abbassò lo sguardo e fece per andarsene.
- No aspetti, venga qui.
- Scusate, non volevo disturbare lei e il suo compagno. La porta era aperta e…
L’uomo fu interrotto dalla risata forte di Sebastian. Blaine lo guardò confuso, alzando un sopracciglio.
- Io e Blaine? Compagni?
Continuava a guardare il suo amico ridendo. Blaine però, abbassò lo sguardo, firmando dei fogli sotto i suoi occhi.
- Grazie mille signore, arrivederci.
Recuperò le chiavi, Sebastian ancora che sghignazzava al suo fianco.
- Avanti cretino, andiamo.

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Capitolo 3
*** 1990 ***


15 luglio 1990

 
- Seb, seb… mi senti?
- Forte e chiaro Blaine. Dove sei?
- In una delle solite cabine telefoniche. Sono in pausa e così ho deciso di chiamarti. Non ti disturbo vero?
- Oh… oh, n-no Blaine, tu non disturbi mai, lo sai.
Peccato che Blaine udì in sottofondo dei sussurri maschili.
- Chi ti sei portato a letto Seb?
- Io? Cos- cosa dici?
- Dio mio Seb, c’era da aspettarselo, ancora non avevi avuto nessuna storia con uno dei tuoi compagni di università.
- Mi dispiace deluderti, ma quelli del mio corso me li sono passati tutti già da un pezzo.
- Che schifo.
- A dire il vero sono con l’assistente di mio padre.
- Cosa?! Sebastian, è… è una cosa assolutamente immorale e…e se tuo padre lo venisse a sapere?
- Già, chissà come deve essere scoprire che il tuo assistente è gay e per di più se la fa con tuo figlio.
- Sii serio Seb. Devi stare attento. Sai com’è fatto tuo padre.
- Ricordi quando venisti a cena da noi e lo chiamasti ‘sporco fascista’?
- Sappiamo entrambi come è andata a finire.
- Sbattuto fuori di casa prima ancora del dessert. È stato emozionante.
- È stato umiliante.
Blaine sentì Sebastian ridacchiare dall’altro capo del filo. Non fece in tempo a rispondere, che il fastidioso rumore del telefono a gettoni declamò la fine del tempo disponibile.
- Seb? Seb mi senti?
Nessuna risposta. Blaine si appoggiò con la testa contro la vetrata della cabina, lasciando scivolare la cornetta lungo il corpo.
- Mi manchi.
Riuscì a sussurrare quelle parole col cuore in gola, perché si, gli mancava terribilmente.
Non sapeva se come amico o qualcosa di più. Ormai erano passati due anni da quando avevano finito il liceo e da allora vivevano troppo lontani, vedendosi solo due o tre volte l’anno.
Non era più sicuro dei suoi sentimenti, né della sua terribile cotta per Sebastian che aveva fin da quando erano alla Dalton. La distanza ormai aveva affievolito quel tenero amore, ma Sebastian gli mancava comunque, la sua assenza lacerava dentro perché la sua presenza era fondamentale nella sua vita.
Era un pezzo importante, avevano condiviso troppe cose ed era l’unica persona fidata.
Era stato un fratello, un padre, tutto. Sebastian c’era quando il resto del mondo era troppo occupato per accorgersi di lui. E anche se era pieno di imperfezioni e di difetti, a Blaine andava bene così.
Uscì sconsolato dalla cabina e rientrando nel locale in cui lavorava.
Un orribile ristorante messicano, dove gli odori pungenti si appiccicavano ai vestiti e non ne volevano sapere di andarsene.
Indossò di nuovo il suo grembiule arancione mentre i clienti erano intrattenuti da una band con tanto di mandolino, prese penna e taccuino  per dirigersi da un signore che aspettava di ordinare al suo tavolo.
- Cosa prende signore?
- Patatine con.. Guacamole? Può spiegarmi cosa sono?
“Ci risiamo”, pensò.
- È una salsa con avocado, succo di lime, pepe nero, pomodori, coriandolo, cipolla, aglio, peperoncino  e a scelta panna acida e maionese. Allora?
Pazientemente Blaine sorrise, aspettando che il cliente desse conferma, ma il suo viso pareva ancora più confuso.
- Ehm, può ripetere?
Blaine avrebbe volentieri gettato tutto all’aria e maledetto quel posto, ma purtroppo aveva bisogno di quel lavoro. Era davvero troppo.
I suoi nervi erano nuovamente messi alla prova come non mai in quei mesi. Quando un anno prima arrivò a Londra, pensava che tutto sarebbe cambiato, che la sua vita si sarebbe trasformata in una meravigliosa avventura.
E invece?
Si ritrovava a lavorare in uno squallido locale, a trovare a malapena il tempo di studiare rischiando quasi di farsi cacciare da Oxford e non aveva più il tempo di coltivare un qualsivoglia hobby che non fosse la masturbazione.
Perché ovviamente non aveva neanche il tempo di poter conoscere qualcuno con cui svagarsi almeno un po’.
Fortunatamente, giunse qualcuno a salvarlo.
- Blaine! Vai nel mio ufficio, c’è quello nuovo e vorrei che gli spiegassi un po’ di cose, ci penso io qui.
- Oh grazie!
Blaine guardò estasiato il suo capo, scappando da quel cliente scomodo.
Aprì la porta dell’ufficio, affacciandosi piano per scorgere il viso del suo nuovo collega. Avere una mano sul lavoro e un viso nuovo da conoscere gli avrebbe fatto bene.
- Ciao… oh.
Quando il ragazzo, seduto sulla sedia accanto la scrivania, si voltò, quasi gli venne un infarto.
- Blaine?
- Kurt? Oh.. oh mio Dio! Cosa… cosa ci fai qui?
- Oddio, come è piccolo il mondo!
Kurt corse ad abbracciare Blaine, che quasi cadde indietro sia per la sorpresa che per l’impatto col corpo dell’amico.
Kurt, il suo ex ragazzo.
L’unico e vero fidanzato che avesse mai avuto in tutta la sua vita.
Precisamente, nel 1986. Erano passati quattro anni, eppure sembrava molto di più.
I due erano molto amici, col tempo però nacque qualcosa di più tra loro. Blaine non avrebbe mai potuto dimenticare la loro storia: era pur sempre il suo primo amore, no?
Poi  Kurt partì per New York, nel tentativo di realizzare i propri sogni. E la distanza, ormai lo sapeva, faceva troppo male. Per non parlare di tutta quella serie di errori che si commettono nell’assenza del proprio compagno e tutto il resto che ne consegue.
Così, i due si lasciarono, con qualche lacrima, con qualche ferita sul cuore, ma misero fine alla loro relazione. Ormai era da un anno che i due non si sentivano.
- Allora? Non mi dici niente Kurt?
- Oh, si. Sono qui con Finn. Sai, ho intenzione di provare ad entrare in una compagnia di Londra famosissima,  fa spettacoli in tutto il mondo … Carmen, la mia docente alla NYADA, ha insistito tanto perché ci provassi, e così mi fermerò qualche mese qui in attesa dell’audizione. Sai, non è facile, ci vuole tempo, e poi volevo cambiare aria e…
- Sono contentissimo per te Kurt.
Kurt osservò estasiato Blaine, sorridendo.
- Sei cambiato molto Blaine.
- Spero in senso buono.
- Beh, hai solo l’aria stanca, ma questa barbetta ti dona.
- Abituati anche tu alla barba, perché non avrai più nemmeno il tempo di pettinarti.
- Cosa? Io? Non pettinarmi?
I due uscirono fuori dalla stanza, Blaine lo condusse nella cucina, presentandogli gli altri colleghi e mostrandogli la sua postazione. Gli ci vollero dieci minuti, affinché Kurt capisse ogni dettaglio del suo nuovo lavoro.
- Sul serio Kurt, scappa ora che sei in tempo. Fidati, qui è un inferno.
- E allora perché ci lavori?
- La risposta la sai bene, credo: soldi. E poi c’è la retta universitaria, e…
- Bene, ho capito tutto. Adesso però ci sono io: non sei più solo, no?
Blaine sorrise, contento di avere una nuova persona su cui appoggiarsi.
- Grazie Kurt.
- Di niente. E, dimmi… Sebastian come sta?
- Oh, Sebastian è in Francia.
- Oh, capisco. Sai, avrei scommesso che a quest’ora stesse già insieme.
Blaine quasi si soffocò con la sua stessa saliva.
- Come scusa?
Kurt gli diede un colpo dietro la spalla, ridendo divertito per la scena.
- Come non detto. Su, mettiamoci al lavoro.

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Capitolo 4
*** 1991 ***


15 luglio 1991

 






- Allora, dobbiamo prima di tutto imporre delle regole.
- Delle regole?
- Si, mi hai sentito bene.
- E quali sarebbero queste reg… oh Blaine, guarda!
Petali di rosa inondarono l’aria sopra le teste. Svolazzavano liberi, sopra di loro solamente l’immenso cielo di luglio e il sole bruciante.
Blaine si sentiva esattamente come quei petali bianchi e rosa. Poteva mischiarsi tra di loro, poteva farsi trascinare dal vento verso orizzonti sconosciuti e nessuno lo avrebbe riconosciuto, perfettamente mimetizzato.
Pensò che sarebbe stato un modo bellissimo di andarsene via dal mondo.
Una serie di macchine cominciarono a sfrecciare sulla stretta strada di campagna francese accanto a loro, suonando all’impazzata e seguendo una Berlina nera a capo del corteo. A bordo della macchina una ragazza con il suo velo da sposa sorrideva e agitava in aria il suo bouquet.
Sebastian osservò divertito la scena, poi tornò a volgere lo sguardo davanti al volante.
E Blaine guardava il suo amico ridacchiare, lasciandosi contagiare e alzando la testa all’insù, a osservare ancora i pochi petali che si libravano nell’aria.
Quando qualche settimana prima, Sebastian era andato a trovarlo a Londra e gli aveva proposto un viaggio nella parte più bella della Francia, quella di Montpellier bagnata dal Mediterraneo, si era messo a ridere sonoramente pensando fosse tutto uno scherzo.
Ormai la sua vita era concentrata solo sullo studio e il lavoro, e ci si era abituato allo stress, alla fatica, alla monotonia, interrotti solamente dalle uscite nel weekend con Kurt.
Anche se non erano affatto uscite, dal momento che spesso i due amici, sfiancati dal lavoro al locale, preferivano restarsene a casa e a guardare film in bianco e nero per tutto il giorno.
E invece, ora era rilassato a bordo della Cinquecento noleggiata da Sebastian, a correre liberi tra le strade tranquille, col vento sulla faccia che scompigliava i suoi capelli, per la prima volta liberi da tutto il gel.
- Stai meglio così, sai?
- No, ti prego,non oso immaginare in che condizioni siano adesso.
- Sono belli. Sai di libertà.
Sebastian gli rivolse un largo sorriso, prima di ricominciare a parlare.
Ma Blaine non lo ascoltava.
Sai di libertà.
Non provava una sensazione del genere da troppo tempo. E adesso sembrava di poter tornare a respirare, dopo un lungo periodo di apnea.
Se non fosse stato in compagnia di Sebastian, avrebbe preso in mano il suo adorato taccuino e avrebbe cominciato a scrivere. Carta e penna erano i sue due amici inseparabili, scriveva sempre, annotava qualsiasi cosa, e raccontare al suo fedele amico di quella bellissima giornata sarebbe stato un fascio di luce tra tutto quel grigio, tra tutte quelle parole buie e funeste che scriveva.
Lì, tra gli spazi bianchi, erano racchiuse tutte le sue frustrazioni, ogni riga si trasformava in un sottilissimo filo spinato. E quelle spine erano radicate dentro il suo cuore.
Non sapeva spiegarsi il motivo di così tanta rabbia nei confronti del mondo. Aveva smesso di formulare teorie su se stesso già da tempo.
Eppure era così, si sentiva perso da secoli,e aveva bisogno di qualcuno che lo prendesse per mano e gli spiegasse la vita, esattamente come fa un nonno col suo nipotino di cinque anni, quando gli chiede come fanno gli uccelli a volare, perché loro possono e gli umani no.
- Blaine, mi stai ascoltando?
- Mh… cosa?
Sebastian scosse la testa.
- Dove hai la testa?
- Io… niente, pensavo.
- E a cosa pensavi di così tanto interessante da non ascoltarmi?
- A niente. Anzi, si… alle nostre regole.
Blaine vide Sebastian sbruffare.
- Avanti, siamo in vacanza! Quali regole vuoi imporre?
- Allora, in caso dovessimo ubriacarci sconsideratamente …
- Oh si, lo faremo.
- Stai zitto! Dicevo: se una di queste sere andremo in un qualche bar e berremo vino a più non posso, promettimi che non ci toccheremo con un dito. Nessun contatto fisico. Distanza.
- Non posso controllarmi da ubriaco.
- Lo so, ed è per questo che ho portato con me dello spray al peperoncino.
- Tu sei matto. No, non ti toccherò con un dito. Ci siamo già fermati una volta, lo faremo un’altra volta.
Blaine sorrise, pensando a quella notte di qualche anno prima, quando avevano appena finito il liceo e in tasca avevano ancora tutti i loro sogni, ma anche un pizzico di lucidità per fermarsi in tempo prima di arrivare al punto di non ritorno.
Chissà cosa sarebbe successo se avessero fatto sesso.
Probabilmente ci sarebbe stato grosso imbarazzo. Probabilmente non sarebbe stato all’altezza di Sebastian, così i due non si sarebbero mai più visti.
E invece no. Il Fato li avevi portati lì, in Francia.
- Regola numero due …
- Ancora?
- Condivideremo la stanza in albergo, per cui, ognuno avrà i nostri spazi. Ossia: non voglio vederti in giro nudo.
- Ma a me piace stare nudo!
- Scordatelo. Non voglio vederti mentre fai li pipì, non voglio vederti nella doccia, non voglio vederti mentre fai la pipì nella doccia.
- Ai suoi comandi signore.
Sebastian imboccò una strada secondaria, sgommando verso destra e facendo perdere a Blaine l’equilibrio.
- Vai piano cazzo!
- Blaine!
- Cosa c’è?
Sebastian volse lo sguardo a lui, con un’espressione fintamente sorpresa.
- Cosa sono queste parole! Non è da te!
Blaine gli mise il broncio, guardandolo torvo.
- Divertente Seb. E guarda avanti, voglio arrivare ai cinquant’anni.
- Cinquanta? Io non vorrei mai arrivare ai cinquanta. Chissà che brutta esperienza deve essere l’andropausa.
- Oh, ma stai tranquillo, quella non arriva ai cinquanta, ma verso i quaranta.
- E allora camperò fino ai trentanove. Motivo per il quale voglio divertirmi e non pensare più a nulla. Mi restano meno di vent’anni di vivere, quindi, carpe diem! A tal proposito, ho una regola anch’io.
- Mh, e sarebbe?
- Niente scarabeo.
- Hey! Io amo lo scarabeo!
- Appunto.
Tra un battibecco e l’altro, i due arrivarono a Montpellier. Il caldo batteva sulle loro teste, ma a Blaine non importava, troppo attento a guardarsi intorno e a scorgere i particolari della città.
Colori nuovi, odori nuovi…
Dieci minuti dopo, i due erano già arrivati al loro albergo, l’ “Ètoil sur la plage”.
Firmarono alcuni documenti, pagarono, presero le chiavi della stanza numero 15 e salirono.
Blaine trovò la camera abbastanza confortevole: l’arredamento era in legno , le coperte dei due letti singoli erano rosse e intonate alle tende in seta. Sui cuscini, un biglietto di benvenuto da parte della direzione.
Sebastian si tolse le scarpe e si gettò sul letto, facendo rimbalzare il materasso.
- Riposati Blaine, stasera voglio uscire.
E così fecero.
Erano le otto di sera, quando i due si ripresero completamente dalla stanchezza del viaggio e, dopo una doccia veloce,  erano pronti per uscire.
Sebastian portò Blaine in un locale sulla spiaggia distante circa una mezz’ora dalla città. Il sole era ormai scomparso all’orizzonte e le prime stelle cominciarono a dipingere il cielo.
Il ristorante era sobrio, il profumo del mare e il suono delle onde facevano da cornice perfetta. Sebastian entrò con passo sicuro, come se già conoscesse quel posto. Un duo di chitarristi completava il quadro.
Presero posto in un tavolo vicino le grandi vetrate che si affacciavano sul mare.
Sebastian si guardava intorno, con gli occhi sognanti.
- Ci sei già stato qui, vero?
- Come hai fatto a capirlo?
- Hai gli occhi di chi si perde tra ricordi felici.
Sebastian sorrise, cominciando a giocherellare col bicchiere di vetro.
Restò in silenzio un altro minuto, perso in chissà quale mondo, in chissà quale fetta di felicità.
- Venivo spesso qui da bambino con mio padre. Andavamo in spiaggia il pomeriggio,  giocavamo, facevamo il bagno, ridevamo… poi la sera mi portava qui. Mangiavamo di tutto, perché si, il mare rende affamati…
Erano rari i momenti in cui Sebastian abbassava un po’ le difese e lasciava scoprire lati sconosciuti di sé. Sebastian era un regalo che andava scartato lentamente, o altrimenti la carta si sarebbe strappata con violenza.
Poi gli occhi di Sebastian si  fecero più buii: era arrivato il momento del ‘ma’.
- Ma?
- Poi siamo andati in America. E il resto è storia.
Una brutta storia, per di più. Una storia come quella di tanti altri ragazzi, quelli abbandonati dal padre perché troppo preso dal lavoro e lasciati crescere da soli. Ma ogni storia lascia impronte gigantesche in quei piccoli ragazzini destinati a diventare adulti da soli.
Sebastian era sempre evasivo sull’argomento famiglia, perciò Blaine apprezzò quella confidenza e non volle forzarlo a parlare ancora, così, decise di cambiare il discorso. Magari donando una parte di sé a lasciando anch’egli una confidenza.
- Al liceo ero innamorato di te.
Blaine vomitò quelle parole come un fiume in piena.
“Dio mio Blaine, sei proprio stupido! Tra tutti i ricordi che potevi raccontargli hai deciso proprio questo!”
Blaine si aspettava di trovare un Sebastian sconvolto, o un Sebastian divertito e in preda alle convulsioni per le risate.
E invece, nessuna piegatura sul suo viso. Nessuna espressione. Chiamò il cameriere in francese.
- Allora? Non dici niente?
- Lo sapevo già.
Questa era bella.
- Cosa?
- Tutti mi amavano alla Dalton, Blaine. Tutti morivano dietro il mio corpo scolpito e i miei occhi verdi. E poi?
- Poi siamo diventati ancora più amici di quanto già fossimo, migliori amici, ti ho conosciuto meglio e mi è passata la cotta.
Sebastian rise.
Blaine gettò un tovagliolo in faccia al suo amico, unendosi alla risata e liberandosi di ogni preoccupazione. In fondo era Sebastian. Il suo amico di sempre. Di cosa doveva aver paura?
- Ti ricordi la notte in cui l’abbiamo quasi fatto?
- Come dimenticare.
- Quella notte scrissi una poesia.
Il cameriere porto del vino. Sebastian riempì subito il suo bicchiere, assaggiando il liquido nero.
- Tu scrivi?
Blaine abbassò la testa, arrossendo. In tanti anni non gli aveva mai parlato della sua passione, del suo talento.
- Da un bel po’. Anzi, sai, il mio sogno è scrivere un libro.
- Pensa te! E non me l’hai mai detto! Ma allora devo assolutamente leggerla.
- Non se ne parla! Rideresti di me per tutta la vita!
Blaine si servì da solo e bevve un sorso del vino.
- Allora potresti farmi leggere una di quelle che scrivi per Kurt.
Blaine quasi si strozzò, rischiando di sputare tutto e macchiare anche la tavola perfettamente candida.
Kurt?
- Cosa?
- Avanti, non uscivi con faccia da checca tu?
- Siamo solo amici!
- Si, certo.
- Sebastian, te lo giuro. Non c’è assolutamente nulla.
- Non devi mica giustificarti, non sono il tuo ragazzo.
Blaine scosse la testa. Quel ragazzo lo destabilizzava.
- Ti dico che non c’è niente, o te l’avrei detto.
- Va bene, ma secondo me lui è ancora cotto. Tempo di qualche mese e vi rimetterete insieme. Vi troverete a parlare dei tempi passati, di quando era bello, del primo amore che non si scorda mai e ti ritroverai di nuovo nel suo letto.
Blaine cambiò discorso.
I due mangiarono, chiacchierando del più e del meno, ridendo, facendo progetti per i giorni successivi… erano loro, Blaine e Sebastian. Dopo aver mangiato per più di un’ora, si alzarono, pagarono il conto e si avviarono verso la spiaggia.
Camminarono a lungo a piedi nudi, respirando il sale marino, sentendo dei brividi lungo la schiena quando la sabbia si faceva più fredda. Poi, Sebastian interruppe il silenzio.
- Ti va di fare una pazzia?
- No.
Ma Sebastian non lo stette a sentire. Comincio a sbottonarsi la camicia bianca.
- Cosa fai?
- Oh avanti, un po’ di vita Blaine!
- Sebastian, le regole! Non devo vederti nudo!
Ma non lo stette a sentire: si spogliò completamente nudo e si gettò in mare.
- Avanti, vieni, l’acqua è bellissima!
Blaine guardava Sebastian nuotare e immergersi nell’acqua placida, scalciare come un bambino e urlare come un forsennato.
“Avanti Blaine, buttati. Che ti costa. E’ un bagno, solo un bagno. E lui è Sebastian, non devi vergognarti”.
La tentazione era troppo forte. Così cominciò a spogliarsi anche lui e in pochi secondi era già sott’acqua. L’acqua era caldissima, avrebbe potutorestare lì per sempre. Nuotò verso Sebastian, che nel frattempo aveva raggiunto le boe.
- Finalmente!
I due cominciarono a schizzarsi, esattamente come due bambini, non preoccupandosi affatto di essere completamente nudi, e che a pochi metri da loro vi era un ristorante zeppo di persone e che sicuramente li avevano visti privi di qualsiasi indumento.
Era lontano migliaia di chilometri da Londra e tutto era perfetto.
Poi Sebastian si fermò, cominciandolo a guardare fisso. Gli occhi si erano fatti di un verde scuro, Blaine percepì il loro cambiamento anche all’oscuro.
Perché gli occhi di Sebastian erano così: nelle sue iridi viaggiavano scintille talmente potenti da pizzicarti la pelle. E tu non puoi far altro che sopportare la pelle d’oca che ti si appiccicava addosso e nasconderla, se non vuoi diventare la sua preda.
Adesso Blaine ce l’aveva il pelo drizzato sulle braccia. Colpa dell’acqua che in quel punto era più fredda, si disse.
- Che faccia seria.
- Beh, pensavo a quello che mi avevi detto prima, al ristorante. Anch’io ci ho pensato a te spesso.
E ci penso ancora qualche volta, pensò Sebastian. Erano attimi, solo piccoli attimi nelle sue ore caotiche, ma attimi preziosi, e non voleva aggiungere quell’ulteriore particolare. Sarebbe stato come spezzare un filo che manteneva saldo l’intero equilibrio dell’universo.
- Davvero?
- Si. Mi piaci un sacco Blaine.
“Oh mio dio. Le regole, merda! Ecco cosa succede. No, non sta succedendo.”
- Il problema è che mi piacciono tutti gli uomini!
Ecco, appunto.
- Lo sai, e poi loro cascano ai miei piedi immediatamente. Sai, cioè, non sono mica un tipo da storie serie io. Voglio dire, se mai tu provassi qualcosa per me… non c’è problema, si potrebbe fare, sai, una cosa così, senza impegno…
Cosa?
Blaine lo guardò allucinato, quasi spaventato.
Quali strane divagazioni erano? Una cosa così? Senza impegno?
- Vaffanculo Sebastian.
E stava già per andarsene indietro.
- No dai, fermati, io.. io stavo scherzando, lo sai!
- Ti sembro uno che faccio le cose senza impegno Seb?
- No, tu sei migliore di me, lo so, infatti stavo solo…
- Non mi sembravi uno che stesse scherzando!
- NO!
- Cosa hai da urlare?
- I vestiti! I miei vestiti!
Sulla riva, un paio di ragazzini frugavano nelle tasche dei pantaloni di Sebastian, il quale cominciò a nuotare veloce verso la riva.
Un paio di ragazzini si intromisero tra Blaine e Sebastian. Il Fato aveva salvato entrambi da una situazione abbastanza scomoda.
“Perché te la prendi, Blaine? Sebastian è solo un amico, e lui scherza sempre.”15 luglio 1991
 

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Capitolo 5
*** 1992. ***


15 luglio 1992



Trecentosessantacinque giorni che per Blaine passarono lenti, le ore sembravano dilatarsi sempre di più fino ad assumere proporzioni gigantesche. Il sole sembrava rallentare il suo cammino, e lui non faceva altro che sopravvivere.
Lavoro e studio. Nient’altro.
Più il tempo passava, però, più Blaine sentiva l’insoddisfazione crescere dentro. Al posto del suo cuore vi era un vuoto abissale, e Blaine sapeva che per cambiare la situazione l’unica cosa da fare era gettarsi in questo precipizio e smetterla di restare ancora sull’orlo. Solamente una volta toccato il fondo si può risalire. Aveva bisogno di cadere e farsi male, ma lui non faceva nulla. Restava sospeso in bilico, un grosso senso di vertigine che gli impediva di respirare.
L’insoddisfazione si trasformò in un’apatia radicata.
Accanto a lui, solo Kurt, che come lui non sentiva più niente. Kurt che non aveva passato il provino e si accontentava di esibirsi in squallide compagnie perché non aveva la forza di lottare.
In fondo, per Blaine vi erano prospettive diverse per il suo futuro, l’università andava più che bene, ma mancava ancora un anno prima della laurea. Era l’attesa che lo distruggeva. Il futuro era troppo lontano e il presente lo soffocava.
Questo però non faceva alcuna differenza tra lui e Kurt: le mancanze si assomigliano tutte.
Se solo Blaine avesse saputo come riempirlo quel vuoto.
Gli unici momenti di felicità erano sempre gli stessi: al telefono, con Sebastian. Anche se dopo la vacanza in Francia le telefonate si erano accorciate, Blaine sentiva l’euforia del suo amico, e sapere che fosse felice lo faceva stare bene.
E nonostante Kurt lo punzecchiasse spesso, alludendo ad una cotta da parte sua per Sebastian, Blaine sapeva che non era più così.
Restava sempre il suo miglior amico, al quale voleva un’infinità di bene, ma il suo amore adesso era richiuso in un ripostiglio, nella scatola dove si tengono i ricordi più belli.
Sebastian se la passava in tutt’altro modo.
All’improvviso si era ritrovato catapultato in un mondo nuovo. Un mondo in cui si trovava benissimo, un mondo dove il piacere e il divertimento regnavano assoluti.
Una mattina di gennaio, un suo amico gli chiese di accompagnarlo ad un provino televisivo. Sebastian accettò, in fondo quella mattina non aveva nulla da fare. Magari rimorchiava anche un bel ragazzo.
E, ovviamente, il suo fascino conquistò un biondino in giacca e cravatta sulla trentina e quell’attrazione si consumò in uno squallido bagno pubblico nei pressi dell’ufficio in cui si tenevano i provini.
Solitamente, dopo le sue sveltine con dei sconosciuti, Sebastian se ne andava con ancora addosso i profumi e le scie dei baci di gente che non sempre aveva un nome, ma solo un volto carino e un sedere da fine del mondo. Quella volta però, quel sesso veloce e senza senso lasciò qualcosa di più a Sebastian.
Due giorni dopo, Sebastian ricevette la sua telefonata. Non sapeva come avesse fatto ad avere il suo numero. Quando sentì la sua voce al telefono, fu scocciato, ma poi accettò quell’invito che gli cambiò la vita.
Un caffè, una proposta, un contratto firmato, e Sebastian divenne il volto nuovo della televisione francese. Perché Sebastian non sapeva che quel biondino, Sam, in realtà era un produttore in cerca di talenti.
Un programma musicale, fatto di giovani, cosce nude, musica disco, un mondo del quale adesso era il presentatore. A Sebastian bastava fare qualche ammiccamento davanti la telecamera, abbracciare la cantante di turno, farle falsi complimenti, annunciare la numero uno della classifica mondiale e beccarsi i suoi quattrini.
Era un mondo nuovo. Tutto il mondo e la società stavano cambiando: nuovi concetti si affollavano nelle menti delle persone, gli anni correvano verso il nuovo secolo e tutti erano in attesa di un grande cambiamento.
Sebastian non sapeva se quel nuovo mondo fosse giusto o sbagliato. A lui non importava, si ritrovò immerso in questo universo fatto di sballo, momenti da cogliere, di opportunità, di eccessi e lusso.
Tutti sembravano avvolti in una bolla, nessuno pensava più a ciò che era davvero importante.
Il mondo era cambiato, e adesso bastava essere bravo a letto per sfondare in tv e fare soldi a palate.
Tutto era perfetto.
Fino a quando, quel 15 luglio, ricevette una telefonata inaspettata.
Suo padre, che lo svegliò dopo una notte di alcool.
Non sapeva perché avesse tanta fretta di vederlo, proprio lui, che come al solito era indifferente alla vita di suo figlio. La sua voce metallica era come al solito fredda, eppure c’era un qualcosa di diverso, come se le sue corde vocali fossero talmente tese da essere fili taglienti.
Quando, quell’afoso pomeriggio, raggiunse la tenuta parigina dei suoi, Sebastian barcollava ancora per colpa dei postumi della sbornia. Del resto, era così ogni mattina: la notte, ogni notte, si ritrovava in qualche discoteca, circondato da gente che lo idolatrava e diceva di amarlo nonostante non sapesse nulla di lui. Tutti conoscevano solo il Sebastian bello e carismatico della tv. Quando ci pensava, ci soffriva un po’, ma poi tornava a sorridere, pensando che in fondo non c’era molto da conoscere del vero Sebastian.
- Finalmente, era ora. E dio mio, come puzzi di alcool.
Sebastian non rispose, distogliendo lo sguardo.
- Cosa succede?
- Devo portarti da tua madre. Non sta bene.
Sebastian si bloccò.
- Come, non sta bene?
- Puoi controllare tu di persona.
Cosa diamine stava succedendo? Sebastian davvero non capiva. Gli occhi di suo padre come al solito erano scuri e non lasciavano trasparire alcun tipo di emozione. Certe volte si chiedeva se fosse davvero un umano, con dei sentimenti, delle emozioni.
Sebastian si trascinò fin su le scale seguendo suo padre, mentre un’ansia strana saliva fin su il petto.
Arrivati in cima alle scale, suo padre lo fermò.
- Aspettami qui, dico a tua madre che sei arrivato.
Sebastian gli voltò le spalle, cominciando a guardarsi intorno. L’austerità di quell’abitazione, con il tetto alto e le volte bianche, con i mobili in legno scuro e il silenzio innaturale di certo non aiutavano a dare un clima di familiarità. In fondo però, non faceva alcuna differenza.
Qualsiasi casa abitata dai suoi genitori non avrebbe avuto un sapore familiare.
Lui e suo padre erano due perfetti sconosciuti e ormai il baratro tra di loro era incolmabile.
Sua madre di tanto in tanto lo chiamava, e quando si vedevano  gli offriva dolci sorrisi che scaldavano un po’ il cuore di Sebastian.
Nessuno, pensò, si sceglie la propria famiglia. Eppure non si può far altro che imparare a conviverci con i silenzi, con le incomprensioni, con le indifferenze, con le occhiate di disapprovazione, con le cene consumate da solo.
Gli era mancato una figura importante, una figura guida, quella di un padre. E per quanto questa mancanza se la sarebbe trascinata dietro per sempre, Sebastian aveva imparato a sopravvivere, a crescere da solo,a guarirsi da solo le ferite.
In fondo, proprio quella mancanza lo aveva reso abbastanza forte da essere in grado di resistere ai colpi della vita.
- Vieni, tua madre ti aspetta.
La voce incolore di suo padre lo accolse nella camera da letto dei suoi.
Sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori, di quelli che tirava fuori per sua madre Elisewin, nonostante non fosse  stata la madre più presente del mondo.
Ma quando si ritrovò di fronte a lei, qualcosa dentro lui si ruppe.
Sua madre aveva il viso pallido, le occhiaie scavate, le labbra talmente rimpicciolite da essere inesistenti. La forma del suo corpo spariva sotto lo strato di lenzuola bianche, mosse dal respiro irregolare e corto. Il petto si muoveva su e giù come una molla.
Dormiva, profondamente.
In quel momento, fu come se una diga dentro Sebastian si fosse spezzata. L’argine dentro di sé si spezzo per la prima volta. Un fiume nascosto in chissà quale parte della sua anima straripò, inondando il suo corpo, il suo respiro, i suoi occhi. Per la prima volta nella sua vita, una lacrima scendeva sulla sua guancia.
E gli occhi facevano male, perché non erano abituati a quella reazione.
Sua madre era così fragile da sembrare carta bagnata.
Aveva paura ad avvicinarsi, a toccarla, a testare con mano della chissà quale malattia si era impossessata di lei.
Sentì qualcuno avvicinarsi dietro di lui. Sebastian non lo vedeva, ma suo padre alzò una mano, cercando di volerla appoggiare sulla spalla del figlio. Ma poi la ritrasse, sentendosi in colpa, non sentendosi affatto in diritto di compiere un gesto simile. Strinse i pugni, esattamente come faceva in quel momento Sebastian.
Non lo sapevano, ma avevano lo stesso modo di subire i colpi. Il loro corpo si irrigidiva, diventava duro come la pietra, e i loro sguardi glaciali.
Non poté sostenere oltre quel silenzio, quell’aria rarefatta.
- Un mese fa tua madre ha scoperto di avere un tumore. Ha iniziato la chemio.  Lei non te lo voleva dire. Ma oggi ha reagito male alla terapia e… beh, ti ho avvisato. Se ti vedesse qui si infurierebbe.
Quelle parole inondarono Sebastian, lo colpirono come un fulmine. Tutto gli stava sfuggendo dalle mani. Una volta aveva sentito parlare di un vecchio mito greco in cui gli dei causavano ogni tipo di sventura ad un uomo, se questo superava ogni limite e sfociava in un eccesso lontano anni luce dalla luce. Ecco, questa era la sua punizione: aveva avuto una dose troppo grande di felicità (una felicità fittizia, adesso lo capiva) di spensieratezza, di noncuranza. E adesso qualcuno lassù lo stava punendo, era giunto il suo tempo di rientrare nella normalità, nei limiti, di avere la sua dose di sofferenza. Adesso, con la malattia di sua madre, i dosaggi erano tornati al loro posto. L’ordine nel cosmo era stato ristabilito. E adesso che la bilancia era tornata al posto giusto, Sebastian stava per perdere l’equilibrio.


**



- Blaine, grazie mille per aver passato questa serata con me, è stato… bello, davvero.
- Anch’io mi sono divertito molto, Kurt.
Quando Kurt aveva invitato Blaine ad un appuntamento, gli ci volle un po’ per capire che quella sarebbe stata una serata diversa dal solito. Che lo scopo di Kurt era ben preciso.
Era troppo preso con se stesso per accorgersi delle occhiate adoratrici di Kurt al lavoro.
E adesso eccolo lì, fuori un ristorante, con il suo ex ragazzo.
- Blaine, ti va di venire a casa mia?
Blaine annuì, perché l’istinto gli diceva di dire sì.
Cominciò a piovere. I due presero a correre sotto la pioggia battente e a ridere come pazzi, ritrovando un po’ di quei diciassettenni della Dalton alle prese con il loro primo amore.
E Blaine stavolta era troppo occupato a vedere cosa avesse il destino in serbo per lui, per rispondere alle telefonate di Sebastian e i suoi messaggi in segreteria.
- Blaine, sono Seb. Ascolta, quando puoi… richiamami. Ho bisogno di parlare con qualcuno. No, ho bisogno di parlare con te.

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Capitolo 6
*** 1993 ***


15 luglio 1993

 
- Silenzio! Siamo in onda tra tre…
Sebastian era voltato di spalle alla telecamera. La diretta stava per cominciare: il pubblico in sala avrebbe applaudito, lui si sarebbe voltato con una veloce giravolta, poi, avrebbe ammiccato con il suo sorriso sexy, e tutte le ragazzine a casa sarebbero svenute tra gridolini isterici e palpitazioni da infarto. Ogni giorno le solite azioni svolte in modo meccanico, da circa un anno. Perché erano quello l’effetto che facevano i suoi occhi scintillanti, i suoi capelli castani e quel ciuffo che cadeva sulla fronte dal gusto anni Cinquanta, le sue giacche fosforescenti  che fasciavano il suo corpo tonico e le spalle larghe. Ormai la faccia di Sebastian era sulle copertine di tutti i teen magazine. Tutti lo amavano, lo desideravano.  E questo i produttori televisivi lo sapevano fin troppo bene.
Nell’ultimo anno la sua vita era cambiata. Tanti cambiamenti, forse troppi. Forse Sebastian ancora non era cosciente dell’improvviso cambio di rotta della sua vita; il suo destino sembrava vagare in cerca di orizzonti ancora troppo lontani.
E questo senso di smarrimento era ben radicato nel suo cuore. Ogni giorno Sebastian indossava la maschera del ragazzo felice e realizzato. Una maschera di cera troppo pesante da portare, ma la vita  gli presentava piccoli rimedi per offuscare e alleggerire quel gran peso che sentiva sul petto. Quel mondo fatto di alcool, droga, sesso, divertimento sfrenato, luci della ribalta.
Nel gennaio del 1993, sua madre Elisewin morì. Quel tumore diagnosticato troppo tardi se l’ era portata via, e Sebastian, al fatidico momento, non c’era. Suo padre lo avvisò al telefono, con la sua solita voce fredda.
Non aveva mai pianto Sebastian per la morte di sua madre. Quando la vide, fredda, bianca, su quel letto che si intonava perfettamente con la sua pelle quasi grigia, ricacciò le lacrime. Se ne restò sul ciglio della porta a fissarla, impassibile. Spinse tutto a fondo, chiuse gli occhi e uscì dalla stanza, cercando di cancellare immediatamente quell’immagine dalla testa. Esattamente come fece un anno prima, quando venne a sapere della malattia di sua madre. Non era così che voleva ricordarsela.
Non ci pensava mai, Sebastian. Faceva di tutto per rimuovere il pensiero della bara di legno che scivolava nei tre metri di terra. Con sua madre, seppelliva anche il suo dolore. Seppelliva tutto se stesso, insieme al rancore di non aver vissuto abbastanza Elisewin, perché ormai era troppo tardi, perché ormai non aveva senso farsi ancora male. Per tutto il funerale non rivolse lo sguardo a suo padre.
Semplicemente se ne andò, lasciando dietro di sé tutto se stesso. Sebastian credeva di essere forte, di poter superare in pochi giorni la cosa. Il giorno dopo tornò al lavoro e si comportò esattamente come sempre, scherzando, ridendo, festeggiando.
In realtà aveva lasciato tutto se stesso in quel cimitero. Aveva annullato i suoi sentimenti senza accorgersene, nel momento in cui decise di cancellare l’immagine del corpo di sua madre senza vita.  Aveva respinto il suo dolore, credendo di averlo cancellato per bene. Invece era solo nascosto nei meandri della sua anima. Prima o poi sarebbe sbucato fuori, ma fino ad allora Sebastian avrebbe continuato a vivere come se non fosse successo nulla.
Continuava a negare la parte più profonda di sé.
E allo stesso modo continuava a non pensare al domani, ma solo a godersi il momento. Si diceva che la vita è troppo breve, che magari un giorno anche lui si sarebbe ammalato, troppo presto, senza aver  vissuto appieno.
Sebastian gustava un’esistenza fragile lasciandosi andare a tutte quelle sfumature incolori,insensate,  andando alla ricerca del gusto dell’avventura, dell’eccitazione, del brivido, come se quelle sensazioni fossero le uniche a tenerlo in vita.
Ecco, il mondo dello spettacolo gli offriva tutte queste cose, e in quel mondo ci si trovava bene, perfettamente a suo agio con la sua maschera.
Ogni sera una festa diversa, gente nuova, esperienze eccitanti. Tutti si limitavano a restare in superficie. Ed era così che Sebastian voleva vivere. Voleva restare per sempre disteso sulla superficie dell’acqua, galleggiando miseramente e non mettendosi mai a nuotare per paura di affondare.
Ed ecco un giorno come tanti altri.
Sebastian aveva recitato la parte del perfetto ragazzo con tanto carisma e tanto fascino. Come ogni settimana aveva mostrato il suo sorriso irresistibile e poi, dopo un’ora di show, le telecamere si spegnevano e le ballerine in minigonna si congratulavano con lui, lanciandogli occhiate inequivocabili.
Povere illuse, pensava Sebastian. Se solo sapessero di tutti i ragazzi che passavano sul suo letto ogni sera.
Forse lo sapevano in molti già, eppure era un argomento tabù e nessuno voleva mettere nei pasticci nessuno. La vita privata era qualcosa di secondario. In fondo, erano gli anni 90: il mondo si stava trasformando in silenzio.
E anche lui si stava trasformando, ma lui era troppo cieco per accorgersene. Quel cambiamento aveva il suono della sua anima che si frantumava, che si sbriciolava come una foglia morta d’autunno, aveva il suono del vento che soffia sulla cima innevata di una montagna solitaria. Era tutta una tempesta, ma Sebastian non sentiva niente, e si allontanava sempre di più da se stesso, sempre di più.
La diretta durò un’ora. Sebastian aveva dolore alle mascelle a furia di sorridere.
-  Eeh.. stop! Ottimo lavoro ragazzi, ci vediamo domani per le prove. Sebastian, tu vieni un attimo nel mio ufficio.
- Non posso capo, vado a cena con il mio miglior amico.
- Come vuoi, ma dai un’occhiata a questo.
Il suo capo gli passò una giornale arrotolato con forza. Sebastian lo guardò storto mentre lo sorpassava, per poi aprire il giornale e vedere di cosa si trattasse.
Cominciò a leggere, e bastarono poche parole per capire di cosa si parlava.
Strappò la pagina e la accartocciò sotto gli occhi perplessi del cameraman.
- Che hai da guardare?
E, con il suo solito modo di fare plateale, uscì fuori dallo studio gettando la carta a terra.
 
 




**

 




- Blaine? Sei arrivato?
- Si Kurt, ho preso un taxi. Non capisco ancora perché tu non sia venuto con me.
- Ne abbiamo già parlato: venire lì per vedere voi  due parlare per tutta la serata senza che io venga minimamente calcolato? No, grazie.
- Avanti, voi due non vi siete mai sopportati, è vero, ma adesso è diverso, non trovi?
- Scusami Blaine, proprio non mi va. Adesso ti devo lasciare, devo tornare al lavoro.
- Va bene, ti chiamo dopo io.
- A dopo amore.
“Amore”. Doveva ancora abituarsi a quel nomignolo.
Anche la vita di Blaine in quell’ultimo anno era cambiata.
 Lui e Kurt erano diventati, di nuovo, una coppia. Non sapeva spiegarsi come fosse successo, ma una sera, Kurt lo baciò davanti due bicchieri di vino nell’intimità del loro appartamento, e si smosse qualcosa nel cuore di Blaine, un sentimento strano, qualcosa forse paragonabile alla nostalgia. Era successo tutto troppo in fretta, ma Blaine si lasciò guidare dai baci soffusi del suo amico. Erano esattamente gli stessi Kurt e Blaine del liceo. Sempre loro, solo un po’ più grandi.
Lo amava? Non sapeva dirselo. Forse lo adorava. Quando si faceva questa domanda, Blaine si rispondeva: “Non mi fa scrivere poesie d’amore.”
Quella era roba che faceva con Sebastian, perché l’amore non corrisposto è ciò che vi può essere di più struggente nella vita di un adolescente, e lui sfogava tutto se stesso mettendosi a scrivere, rinchiuso nella sua stanza illuminata solo da una lampada.
 Ricordava ancora quando, quel 1988, tornato a casa dopo essere quasi finito a letto con Sebastian, aveva strappato un foglio da un vecchio taccuino e le parole cominciavano a uscire fuori come un fiume in piena.
Adesso che era un po’ più adulto, rideva di se stesso al pensiero di quelle ridicole rime con cuore, amore, sole. Eppure erano le uniche cose con le quali riusciva a sfogarsi: ogni volta che la penna si posava sul foglio, donava un po’ del suo amore a quel pezzo di carta bianca. Quando finiva, però, il dolore era ancora lì, non se ne andava.
Era una passione forte, di quelle da farsi i graffi sul cuore, di quelle che ti restano impresse per tutta la vita perché era un amore pari alla forza di mille stelle.
Con Kurt non vi era quell’intensità, quel continuo struggersi, non c’erano le lacrime, le strette al cuore, ma era un amore tenero, di quelli felici, di quelli senza slanci emotivi e grandi sconvolgimenti. Magari non avrebbe vissuto un romanzo dai mille colpi di scena, ma  a lui stava bene tutto della sua nuova vita. La serenità regnava sovrana e Blaine si disse che le vere storie d’amore magari non sono come ce lo raccontano nei film, con batticuori, suspence, sconvolgimenti e rincorse.
Kurt gli stava accanto nel modo in cui Blaine desiderava, lo faceva sentire meno solo e aveva una ragione in più per vivere.
In macchina verso Sebastian, però, aveva una strana sensazione. Come se dovesse succedere qualcosa. Qualcosa di non piacevole. Il suo sesto senso lo stavo colpendo fin dentro lo stomaco, dandogli crampi insopportabili. Il tutto si mischiava con l’emozione di rivedere il suo amico dopo tanto tempo.
Non sapeva cosa aspettarsi. Aveva paura di trovarsi di fronte un Sebastian troppo diverso, ora che era una star della televisione.
 Il viso del suo amico annebbiava la sua mente. Solo per un momento badò alle luci del quartiere lussurioso che si riflettevano sul vetro. Sebastian lo aspettava in un famoso locale di Parigi.
 L’aria di luglio era secca e si appiccicava sulla pelle. Stavolta era diverso. Se lo sentiva. Sperò di non arrivare mai a destinazione, ma proprio quando l’ansia cominciava  trasformarsi in paura, il tassista annunciava il loro arrivo. Pagò, scese della macchina e si diresse verso l’ingresso del locale, dove una donna con un orribile taglio di capelli lasciava passare solo chi era in lista.
- Blaine Anderson.
La donna lo lasciò passare. Entrò lentamente, un po’ spaurito: una piccola stanza dalla tappezzeria blu, vari cartelloni di promozione e poltrone dalle forme strane. Trovare Sebastian sarebbe stato difficile e avrebbe vagato in quel posto sconosciuto per un bel po’. Una musica proveniva dal basso. A giudicare da quel piccolo assaggio, capì che si trattava di uno di quei locali alla moda frequentata solo da gente selezionata e snob. Scese le scale che si trovavano davanti a lui, la musica si faceva più vicina, così come l’odore pungente di alcool.
In pochi secondi si ritrovò nel cuore del locale: davanti a lui le luci bianche a intermittenza illuminavano i volti di mille sconosciuti compressi nella pista da ballo. La musica rimbombava sulle pareti e sul pavimento che tremava sotto i suoi piedi. La luce era davvero fastidiosa e cominciò a pensare che sarebbe stato più facile chiamare Sebastian e dirgli che il volo era stato cancellato, piuttosto che infiltrarsi nella calca alla ricerca del suo amico.
“Forse posso chiedere a qualcuno. In fondo tutti lo conosco qui.”
Fermò il primo ragazzo che gli capitò sottomano e, con il suo francese un po’ zoppicante, gli chiese dove fosse Sebastian Smythe. Il ragazzo sollevò il braccio indicando verso destra: la zona bar. Blaine sollevò le punte per scorgere il viso del suo amico seduto a bere. E lo vide: con un cocktail mano e il telefono all’orecchio. Come diavolo riusciva a parlare al telefono con quel caos non lo capiva.
- Merci!
E lasciò il ragazzo per dirigersi in fretta da Sebastian. Superare i mille corpi sudati e ammassati fu davvero difficile, ma dopo cinque minuti Blaine era dietro Sebastian, appoggiato coi gomiti al bancone e ancora intento a parlare al telefono. Blaine gli si avvicinò, aspettando che sentisse la sua presenza e si voltasse.
- Lo so, è stato un numero perfetto, al diavolo quello che dicono i giornalisti, sono solo tante teste di cazzo, sono degli incompetenti, non capiscono nulla di me…
Sebastian però, non aveva intenzione di voltarsi a quanto pare. Così gli si avvicinò ancora più vicino, fino a giungere al suo orecchio:
- Avevi detto un locale tranquillo.
Sebastian si voltò finalmente, lasciò andare il mastodontico telefono cellulare e si buttò tra le braccia del suo amico. Blaine non poté che storcere il naso quando sentì  la puzza di vodka pungergli il naso. Sciolse l’abbraccio per guardarlo dritto negli occhi.
- Quanto hai bevuto?
Sebastian fece uno sbuffo per poi cominciare a ridere. Blaine sorrise, perché quello era il suo solito modo di fare, Sebastian e il suo titanismo, il suo fregarsene di tutto e di tutti, la sua smania di tutto. Sebastian e il suo sorrisetto al quale nessuno resisteva. Ma c’era qualcosa nel suo modo di fare che lo innervosiva parecchio. La luce nei suoi occhi era diversa. Più fioca del solito.
Sebastian si avvicinò a Blaine, al suo orecchio. L’alito caldo soffiò contro il viso dell’amico.
- Seguimi, ho prenotato un tavolo al privè per noi!
E cosi Blaine fece, sollevato di allontanarsi da quel posto troppo rumoroso per i suoi gusti. Sebastian lo portò in una salone accanto la discoteca, decisamente più sobrio e più tranquillo. Poche persone sostavano e sedevano sui divanetti  bianchi in pelle, ma tutti gettarono un’occhiata incuriosita su Sebastian, il quale, ovviamente, non si sentiva affatto imbarazzato ad avere tutti gli occhi addosso.
- Allora Blaine, accomodati. Ho ordinato dello champagne.
- Brindiamo a qualcosa?
- Si. Brindiamo alla mia noncuranza. Perché io me ne frego di quello che dice la gente. Sai cosa diceva su di me un articolo di giornale, oggi? Sebastian Smythe: il re della tv spazzatura.
E buttò giù tutto di un sorso il suo bicchiere.
- Seb… sei strano.
- Oh Blaine, sto benissimo.
- Vuoi parlarne?
- Io…
Sebastian esitò. Proprio mentre sembrava aver preso una decisione, un suono provenne dalla tasca destra della sua giacca.
- Scusa, devo rispondere. Dovresti procurarti anche tu uno di questi aggeggi, sai? Credo che tra un po’ l’avranno tutti.
E si alzò, senza preoccuparsi di Blaine. Al telefono aveva tutta l’aria di divertirsi. Parlava, parlava, agitava le mani e rideva forte. Dov’era la compostezza che lo caratterizzava, quell’aria altezzosa che lo rendeva antipatico agli occhi di tutti ma unico agli occhi di Blaine?
Restò dieci minuti buoni a parlare al telefono, facendo su e giù per la stanza.
La serata fu disastrosa. Sebastian si alzò più di una volta per rispondere a quel maledetto telefono, e troppe volte vennero interrotti  da ragazze in minigonna che passavano a salutarlo. I due non parlarono per niente, se non del lavoro di Sebastian. Il francese parlava solo di sé, non faceva alcun tipo di domande a Blaine. Era come se non esistesse.
Era passata un’ora e, alla quinta telefonata, Blaine perse le staffe. Si alzò, senza guardare Sebastian negli occhi, veloce verso l’uscita, con tutta la rabbia che gli saliva in corpo. Era arrivato da Londra solo per lui, aveva viaggiato e lasciato a casa Kurt, da solo. Era andato lì per passare una serata speciale, per voler aiutare il suo amico che sentiva stesse andando alla deriva dopo l’avvento in tv e la morte di sua madre, ma Sebastian, al contrario, sembrava non accorgersi della sua presenza.
- Hey, dove stai andando?
Blaine non rispose. Lasciò la stanza ritrovandosi nella discoteca.
- Blaine! Blaine!
Sentiva Sebastian dietro di sé, ma non si volse. Tento di mischiarsi tra la folla, così che lo perdesse di vista,e ripercorse le scale con il fiato in gola. Era furioso, non si meritava quello. Non si meritava la maschera di Sebastian: quella era per gli altri, non per lui. E non poteva sopportarlo di vederlo così finto, così insopportabile, così menefreghista. Voleva vederlo vulnerabile sotto il suo sguardo, privo di qualsiasi identità estranea, come succedeva quando erano al liceo. Puri, ingenui, liberi. Con l’avanzare degli anni invece tutto quello stava scomparendo, ma adesso era troppo. Non poteva più sopportarlo. Non poteva più tollerare l’angoscia di ricevere sempre meno le sue telefonate dopo la vacanza in Francia e non poteva più sostenere di vederlo in quel programma dove era un burattino nelle mani di qualcun altro.
- Blaine!
Era ancora dietro di lui. Chiuse gli occhi cercando di ignorare la voce di Sebastian che lo rincorreva.
Era già fuori quando Sebastian lo raggiunse e lo prese per il braccio.
- Sei impazzito?
Blaine si voltò con lo sguardo iniettato di sangue e Sebastian fece un passo indietro, spaventato dalla sua reazione.
- Io sarei impazzito? Seb, ti comporti come… come… come non lo so che cosa, ma non sei più tu!
Sebastian lo guardava, con la fronte aggrottata. Stava in silenzio, ascoltando tutte le parole che il suo amico stava rigettando all’improvviso come un fiume in piena.
- Seb, io… non chiami mai, sono sempre io a farlo, e ogni volta mi dici che sei troppo impegnato o cose del genere. Hai sempre l’aspetto di un ubriaco e in tv non sopporto quella voce finta e insopportabile che fai. Non sei tu! Cosa sei diventato?
Una lacrima cominciò a scorrere sul suo viso, senza che Blaine se ne accorgesse, ma Sebastian la notò, e restò spiazzato di fronte tutto quello che stava succedendo. Quella lacrima era uno schiaffo in pieno viso: era il prezzo da pagare per tutti quei mesi passati a negare ogni parte di sé. Continuava ad ascoltare Blaine, le sue parole, e ad ogni rancore che usciva fuori dalla bocca dell’amico creava una voragine dentro di sé.
- E poi… non mi parli più di te, non so cosa sta succedendo nella tua vita, e tu non sai cosa succede nella mia! E so che in quest’ultimo anno è successo di tutto… tuo padre, tua madre… Ma io non posso farcela. Non ne vale la pena! Non vale la pena combattere per un Sebastian che non esiste più.
E si voltò, per andarsene, questa volta per sempre. Ma la voce di Sebastian lo bloccò di nuovo.
- No! Non andartene, ti prego. Io… ho bisogno di te.
Un silenzio calò tra di loro. Quello Blaine, ormai non se l’aspettava. Si voltò piano. Davanti a sé, il suo migliore amico più vulnerabile che mai, come i petali secchi di una rosa. Le sue iridi verdi divennero lucide. Non aveva mai visto Sebastian piangere. Adesso, quella lacrima era sull’orlo del precipizio, trattenendosi ancorata alle sue ciglia lunghe e nere, fino a sprofondare e lasciarsi cadere, scivolare lungo le sue gote, le sue labbra. Seguì piano con gli occhi il percorso di quella goccia cristallina come un oggetto prezioso. Sebastian gli stava offrendo le sue lacrime, e quello valeva più di mille parole. Poi cadde una seconda, poi una terza. E così via, ogni lacrima rompeva i silenzi di quell’ultimo anno, ogni lacrima era una parola non detta, un segreto non svelato, un aneddoto non raccontato.
 E Blaine seguì il suo istinto: corse da lui, gettandogli le braccia al collo. I loro corpi, adesso vicini, respiravano all’unisono, fondendosi in una sola anima. Sebastian lo avvolse con le sue braccia, avvicinandolo sempre più a se, mormorando dei “scusa” strascicati tra un singhiozzo e l’altro.
E dentro di Blaine vi era una guerra in corso. Lì, tra le sue braccia, stava riaffiorando qualcosa che credeva ormai non esserci più, ma che invece esisteva ancora, lì ben nascosto tra le pieghe del cuore. Eccola, quella passione, quello struggimento, quel battito accelerato da infarto, le farfalle allo stomaco. Si sentiva esattamente come quel  ragazzo della Dalton che era accecato dall’amore.
Affondò la testa nell’incavo del collo e le lacrime cominciarono a scivolare più veloci.
“No, non è possibile tutto questo.” Continuava a negare, ma era tutto lì, tutto in quell’incastro di corpi il senso di ogni cosa. La vita gli si era affacciata di nuovo e adesso tutta la sua esistenza fuori da quell’abbraccio sembrava solo finzione, solo un’inutile messa in scena. La consapevolezza di quel sentimento mai sparito si faceva sempre più spazio dentro di lui, senza che potesse fermarlo. Straripava dentro ogni fibra del suo corpo e lui sentiva quasi di annegarci dentro. Bastò un minuto, un minuto tra le braccia di Sebastian, per capire che lo amava ancora, che non aveva mai smesso. Respirava a fatica Blaine, non poteva credere a tutto ciò che gli stava capitando. Di nuovo.
Era quello l’amore? Proprio come aveva letto nei libri e visto nei film?
E allora perché sentiva un dolore lancinante al petto? E Sebastian lo stringeva ancora di più a sé, e Blaine si sentiva morire, il suo desiderio era quello di prendere il suo viso tra le mani e posare le sue labbra sulle sue, mettere fine alle sue agonie e lasciare che il suo sentimento, sedimentato troppo a lungo, uscisse fuori ed esplodesse come un fuoco d’artificio. Ma il buon senso gli disse di staccarsi, che era ora di andare, che quello non era il suo posto. Che ormai la vita gli aveva divisi abbastanza da creare un vuoto insormontabile. Ma, prima di staccarsi, glielo disse, consapevole che quello, forse, sarebbe stato un addio, che Sebastian sarebbe scappato come aveva fatto nella loro vacanza in Francia quando Blaine gli aveva offerto i suoi ricordi, i suoi sentimenti, tutto.
- Ti amo Sebastian. Ma non mi piace più.

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Capitolo 7
*** 1998 ***


Scusate l’immenso ritardo, purtroppo scuola e famiglia mi hanno tenuta davvero tanto occupata. Scusate anche per la lunghezza esigua, ma è stato un periodo davvero tremendo per me. Giuro mi rifarò al più presto, grazie a chi continua a leggere questa storia! Un salto di cinque anni dall’ultimo capitolo: siamo al 1998.
 
 
 
 

15 luglio 1998

 
 
 
- E questo era l’ultimo servizio di oggi, alla prossima settimana per scoprire le ultime novità sul mondo dei videogames e della tecnologia…
- Stop! Siamo fuori onda!
Un Sebastian sconsolato abbandonò il centro dello studio, abbandonandosi su una sedia lì vicino e portando la testa tra le mani. Ogni settimana, dopo la messa in onda, si ritrovava a fare il bilancio della sua vita, lì seduto in disparte, lontano dal movimento di operai, registi, tecnici. Il suo viso stanco e i suoi occhi spenti lasciavano trasparire tutta la sua insoddisfazione. Avrebbe voluto uscire fuori e urlare, urlare fino a sentire la gola bruciare, urlare che quel posto gli faceva schifo, che si era ridotto a fare il presentatore di un orrido programma sui videogiochi. Lui, che non ne capiva niente di tutta quella roba che sembrava attirare chiunque. A Sebastian quelle cose lì non facevano alcun effetto, odiava vedere come i ragazzini restavano ipnotizzati davanti dei piccoli schermi.
Del resto, però, cosa poteva fare? Ormai quasi più nessuno lo voleva in televisione. Ormai, a ventotto anni, la sua stella si era spenta, quella luce cristallina dei suoi occhi verdi erano scomparsi, dopo cinque anni di autodistruzione il suo corpo risentiva tutto quel peso che gravava sulla sua anima.
Dopo la sua rottura con Blaine ( anche se non poteva chiamarla davvero “rottura”, in fondo erano solo migliori amici) l’alcool stava diventando una presenza sempre più costante.
 Solo quella briciola di amore per se stesso e il ricordo di sua madre lo salvarono dal baratro. Sebastian era solo, ma dopo cinque anni sentiva di non avere più alcuna dipendenza. Lui stesso non riusciva a capacitarsi di come fosse successo, ma da quando il mondo della televisione lo aveva abbandonato, non c’erano più feste o uomini al suo servizio per una sola notte.
Niente sesso, niente alcool, niente eccitazione, niente brivido dell’avventura.
Qualcosa, forse una presenza soprannaturale, come si diceva spesso, lo aveva salvato. E a lui bastava sapere quello per non ricadere nel vuoto, per restare in piedi quel poco che serviva alla sopravvivenza, anche se faceva male, anche se la voglia di mollare era forte. Di certo non si era ridestato completamente, a volte sentiva che sarebbe bastato poco per farlo ricadere. Sebastian viveva così ormai, in bilico su di un filo sottilissimo,  sarebbe bastata la minima vibrazione e il vuoto lo avrebbe accolto a sé. Cercava di non pensarci, cercava di continuare a vivere esattamente come tutti gli altri. Ma c’erano sere in cui tutto gli sembrava più difficile e avvertiva il peso di un’esistenza trascinata. Quella sera era una di quelle.
A complicare la situazione, il suo fastidiosissimo agente Ralph che lo guardava da poco più lontano, col suo sguardo che diceva: “brutte notizie”. Sebastian si passò una mano tra i capelli, non ne poteva più di quell’uomo:  grazie a lui firmava contratti per programmi patetici o si riduceva ad essere ospite di sagre di campagne sperdute per la Francia. Non aveva più interesse ormai per quel lavoro, continuava a farlo solamente per denaro. Odiava le sue occhiatacce sotto le sopracciglia grigie cespugliose, il suo essere costantemente serio e severo con i suoi clienti.
Voleva smettere al più presto e uscire fuori da quella gabbia che, pochi anni prima, lo aveva ridotto al lastrico. Quel lavoro lo teneva ancora incatenato al passato, lo aveva trasformato in un Sebastian che non riconosceva più, un Sebastian che si era giocato tutto: il rapporto con il padre, il lavoro, le amicizie.
Si alzò controvoglia e raggiunse Ralph.
- Ho una cattiva notizia.
Ecco, come sospettava.
- Oggi c’è stato il consiglio d’amministrazione della rete.
- E?
- Mi spiace Seb, sei fuori. Vogliono rinnovare il programma e vogliono un volto nuovo, più fresco e… giovane.
Sebastian si appoggiò con la spalla contro il muro, distolse lo sguardo da Ralph e scosse il capo. Sorrise: pochi attimi prima desiderava fuggire via da quel posto, adesso, qualcuno, qualcosa, Dio o il Fato, avevano realizzato quel desiderio. Non rispose, incapace di formulare una frase di senso compiuto. Non sapeva davvero cosa pensare.
- E la notizia buona?
Ralph lo guardò tordo, alzando un sopracciglio perplesso.
- Come scusa?
- Hai detto che avevi una notizia cattiva. Solitamente dopo una cattiva notizia ce n’è sempre una buona, no?
Ralph non lo rispose. Si voltò e fece per uscire dallo studio, quando si fermò e richiamò Sebastian.
- Tutti nella vita abbiamo alti e bassi. Questo è solo un grande, profondissimo basso.
E se ne andò, e Sebastian si domandò perché la vita debba essere per forza una questione di altezze.
Si guardò intorno, realizzando che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno, probabilmente. Forse doveva cominciare a pensare al proprio futuro. Adesso tutto stava cambiando. Dopo un profondo basso, si può solamente risalire. Ormai sentiva il fondo sotto i suoi stessi piedi.
- Mi dispiace molto.
Sebastian si voltò.
Thad.
Il ragazzo, assistente del regista, stringeva tra le mani una tazza fumante di caffè. Thad era un ragazzo piuttosto silenzioso, ma l’unico che sembrava preoccuparsi di lui. Sebastian prese il caffè e lo ringraziò con un sorriso.
Thad fece per andarsene, ma Sebastian lo bloccò per il polso.
- Hey, aspetta, non scappare. Probabilmente non ci rivedremo più io e te quindi.. beh, sei stato l’unico qui con me ad essere gentile, vorrei ringraziarti offrendoti qualcosa da bere.
Sebastian sfoderò uno dei suoi sorrisi abbaglianti e, di fronte quell’immagine, il giovane Thad non poté far altro che accettare.
- Va bene. Ti aspetto fuori.
E corse via, lasciando Sebastian da solo. Sentì un nodo allo stomaco, quando si ricordò che l’ultima vera e propria uscita seria con un ragazzo era stata cinque anni prima, con Blaine.
 




**

 
 
 
Blaine aprì la porta del suo appartamento sommerso dalle buste della spesa. Col piede la richiuse e portò alla bocca le chiavi di casa coi mille ciondoli colorati. Arrivato in cucina, lasciò tutto sul tavolo, respirando per la fatica di quel peso trascinato per le centinaia di scale percorse. Appoggiò le mani sul tavolo, stanco, quando qualcosa alla sua destra attirò la sua attenzione. Un’ombra sul divano che si muoveva lentamente.
Sobbalzò e indietreggiò all’indietro, il cuore cominciò a battere all’impazzata per lo spavento.
- Kurt! Merda! Ecco cosa significa non cambiare la serratura!
- Ero venuto a prendere alcune mie cose.
Blaine iniziò a fare avanti e indietro furioso.
- Certo, come ieri, e l’altro ieri, e l’altro ieri ancora. Kurt, per favore, non rendere le cose più difficili di come già sono. E’ finita, fattene una ragione. Mi dispiace di farti soffrire, ma vedi, non puoi piombare così in casa mia e farmi rischiare ogni volta un infarto!
Blaine alzò tremendamente la voce, Kurt lo osservava senza battere ciglio dal divano. Le mani strette in pugno, lo sguardo tetro e fisso sul suo ex ragazzo.
- Lo sai che ho molte cose, tra vestiti e altro.
Il riccioluto prese un respiro profondo, cercando di calmarsi.
- Bene, hai preso quello che ti serviva?
- Oh si. Però volevo raccontarti una storia.
Blaine si sedette su una sedia, accasciandosi sconsolato. Odiava i modi di fare plateali di Kurt in quelle situazioni. Restò in silenzio, incrociando le braccia.
- Bene. Un giorno, torno a casa e trovo il mio fidanzato seduto al divano. Mi avvicino, è decisamente strano, sento che c’è qualcosa che non va. Gli chiedo se va tutto bene, e lui, dopo cinque anni di convivenza, di ingiurie e commenti da parte della gente che non riesce ad accettare il fatto che siamo quasi nel ventunesimo secolo e i tempi stanno cambiando… mi lascia. Dice che non mi ama più, che non ha senso continuare così. Per giorni e settimane ho sofferto come un cane pensando a quali errori possa aver mai commesso per aver perso il suo amore. Poi, oggi, arrivo qui, la nostra vecchia casa, e capisco che mi sono pianto addosso inutilmente, che in realtà lui mi ha lasciato solamente perché è innamorato ancora del suo migliore amico!
Blaine alzò la testa. Qualcosa lo attaccò al petto, come una pugnalata. Prese un profondo respiro, cercando di camuffare l’agitazione.
- Peccato che io e Sebastian non ci sentiamo da cinque anni.
- Peccato che ho trovato questo quaderno. Molto commoventi queste poesie, Blaine.
Blaine spalancò gli occhi. Si alzò dalla sedia, dirigendosi furiosamente verso Kurt.
- Dammelo.
Kurt gettò il quaderno a terra. Quel quaderno che Blaine possedeva dal 1988, da quella notte in cui quasi finì a letto con Sebastian.
- Ecco il tuo quaderno. Potevi dirmelo almeno Blaine, sai?
Le lacrime cominciavano a scendere sul suo viso. Blaine non riusciva a pensare più a nulla, era solo terribilmente furioso. Raccolse il quaderno da terra, poi urlò contro Kurt di andarsene, il quale, repentinamente si diresse verso la porta asciugandosi il viso. Blaine sbattè violentemente la porta, per poi lasciarsi andare contro la parete. Si accasciò sul pavimento, con le gambe raccolte. Piangeva, perché quella frase di Kurt faceva male, perché era stato sconfitto da un sentimento troppo grande. Piangeva, singhiozzava, perché per colpa di quell’amore sedimentato troppo a lungo nel fondo de suo cuore, aveva ferito l’unica persona che gli era davvero amica, e adesso si sentiva solo, terribilmente solo, con una ferita nell’anima che nessuno poteva curare.
Doveva richiamare Kurt. Il giorno dopo, ma lo avrebbe fatto. In quel momento pensava solo a quel quaderno, alle sue parole, alla sua sofferenza, alla sua voglia di lasciarsi alle spalle quel mondo così crudele.
Fino a quando avrebbe tollerato quella situazione? Non lo sapeva. In quel momento avrebbe fatto di tutto per ricevere un abbraccio, ma Blaine era solo.
Terribilmente solo.

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Capitolo 8
*** 1999 ***


15 luglio 1999

 
Prima di un’uscita importante, Sebastian metteva su un po’ di musica e camminava, cercando di smorzare la tensione. Nel corso degli anni, dopo tutte le sue lunghe vicissitudini, era diventato meno sicuro di se stesso, ma non lo dava certo a vedere. Non mostrava mai le sue debolezze, nemmeno al suo fidanzato, Thad.
Faceva avanti e indietro, mentre il vecchio giradischi di suo padre suonava di tutto, da Wagner a “Night at the Opera”, il suo album preferito dei Queen.
Quella calda sera di luglio, stretto nel suo blazer nero, si guardava allo specchio dandosi un’ultima occhiata alla cravatta. Quel completo era così simile alla sua divisa della Dalton, senza però  quei colori orribili ai bordi della giacca.
Quella notte avrebbe portato Thad a cena. Era passato esattamente un anno dalla loro prima uscita, e quella data per Sebastian rappresentava la fine della sua eterna perdizione. Se si voltava indietro, vedeva una persona ancora in balia dell’alcool, con un lavoro che non sentiva più suo, che cercava di restare in piedi con le sue sole forze mentre il dolore continuava a corrodergli l’anima e la terra sembrava inghiottirlo.
Non c’era più quel senso di nausea nelle viscere, come una fenice era rinato dalle proprie ceneri.
- Avanti Seb, non è difficile da dire, sono solo due parole. Due semplici parole.
Sentiva che era giunto il momento di dirlo, perché ormai lui e Thad erano insieme da un anno, ed erano entrambi sulla soglia dei trenta. Certo, non avrebbero mai potuto camminare mano nella mano alla luce del sole, la gente ancora non accettava quel genere di cose, seppure l’avvicinarsi del nuovo millennio dava speranza di cambiamento.
Non avrebbe mai potuto presentare il suo ragazzo a suo padre, ne avrebbe potuto chiedergli la mano. E forse era meglio così, Sebastian non era quel genere di persona.
Quindi, almeno quelle due semplici parole, quel “ti amo”, glielo doveva. Non potevano essere una coppia normale, ma quella era la cosa più naturale del mondo. Credeva che dirlo lo avrebbe reso più grande, più maturo. E l’agitazione cresceva, perché Sebastian non aveva mai pronunciato quelle parole.
E solo una volta qualcuno le aveva indirizzate a lui.
Per anni Sebastian aveva vissuto nella paura di non poter riascoltare mai più quella frase, non in quel modo diretto e viscerale. Quella voce continuava a risuonare nella sua testa. Se Blaine fosse stato lì l’avrebbe incoraggiato, tutto sarebbe stato più semplice.
Il sentimento tra lui e Thad era sincero. Sebastian si era persino trasferito a Londra con lui.
 Thad era londinese e chiese il trasferimento qualche mese prima. Lavorava in una tv locale percependo un modesto stipendio, mentre Blaine continuava a vivere più che altro con le buste mensili di suo padre. Nessun produttore era interessato a lui, così Sebastian passava le proprie giornate sul divano e un giornale, facendo finta di cercare un lavoro. Di studiare ormai non voleva saperne più nulla, e si convinse che il suo unico talento fosse quello di non concludere nulla della sua vita.
Cambiò città per dare una svolta, perché non poteva allontanarsi dal suo unico punto fermo, Thad, perché voleva lasciarsi alle spalle quella città maledetta che lo aveva condotto nel baratro più volte, prima per sua madre, poi per sua padre, per il lavoro e per gli eccessi.
Adesso, davanti a quello specchio, Sebastian vide un uomo che stava cercando di rimettere in piedi dignitosamente la propria vita, e ci stava riuscendo. L’alcool era un ricordo lontano grazie a Thad, ma soprattutto a se stesso, e suo padre da tempo non ingeriva nella sue scelte di vita. Aveva un appartamento gradevole nel centro di Londra e si stava costruendo il suo piccolo mondo.
Avrebbe presto trovato un lavoro, chissà. C’erano ancora però troppe incertezze. Tra queste, Blaine.
Adesso vivevano nella stessa città, e Sebastian non sapeva ne dove Blaine abitasse, ne dove lavorasse o quali posti frequentasse. Certe volte si immaginava di svoltare l’angolo di una qualsiasi strada e di ritrovarselo a pochi centimetri dalla sua faccia. Da solo, o magari con Kurt. Si chiedeva spesso se i due stessero ancora insieme. E l’unica risposta in grado di darsi era “si”, perché Blaine era in grado di tenere le cose unite, era una colla vivente che impediva alle cose di rompersi. Eppure, questo non accadde con il loro rapporto.
Scosse la testa, cercando di cancellare via il ricordo di Blaine dalla sua testa. O per lo meno di offuscarlo. Le iridi dorate del suo ex migliore amico erano tracce indelebili nella sua mente, impossibili da lavare via.
Si diede un’ultima sistemata allo specchio. I capelli erano perfettamente ingellati e al loro posto. Fuori la finestra la luna splendeva più che mai, e Sebastian sorrise, ringraziando il cielo dello spettacolo delle stelle che rendeva tutto più bello.
- Seb, hai finito?
Thad bussò, incitandolo a sbrigarsi.
- Arrivo!
 
 

**

 
 
Blaine sedeva nella caffetteria nei pressi del la Tower of London. Aspettava impaziente Kurt, mentre sfogliava la sua copia sgualcita di Orgoglio e Pregiudizio. Leggeva alcune righe in modo sconnesso, nell’attesa del suo amico come al solito ritardatario.
Ho lottato invano. Non c'è rimedio. Non sono in grado di reprimere i miei sentimenti. Lasciate che vi dica con quanto ardore io vi ammiri e vi ami…
- Blaine!
Blaine sobbalzò. La voce di Kurt lo interruppe sul più bello, ma si alzò comunque per andargli incontro e abbracciarlo.
Lo invitò a sedersi e ordinarono due tazze di caffè.
Come si era ripromesse, Blaine, dopo la furibonda lite di unno prima, richiamò Kurt. I due adesso erano tornati ad essere amici, superarono le loro incomprensioni e tornarono a volersi bene esattamente come quando erano amici alla Dalton.
Kurt non viveva più a Londra: si trovava a New York, finalmente stava per realizzare il suo sogno. Era stato riammesso alla NYADA e si era diplomato. Aveva già varie particine in diverse compagnie teatrali, ma la sua era tutta una salita. Lo si capiva dal suo sguardo brillante e fiero. Blaine non poté che esserne lieto.
Kurt aveva lo sguardo di una persona felice.
- Allora Kurt, tutto bene lì a New York?
- E’ tutto bellissimo Blaine! New York è davvero la mia città, mi sento a casa lì. Il lavoro va a meraviglia, il mese prossimo farò un provino per Broadway! Sono  così felice, non lo vedi?
Blaine sorrise, annuendo vigorosamente.
-Te lo meriti tutto Kurt.
Kurt sorrise a sua volta, poi abbassò gli occhi, come sentendosi in colpa per tutta quella felicità, e Blaine se ne accorse subito.
- Cosa c’è?
- Scusami, non ti ho chiesto come stai tu invece.Il lavoro, come va?
- Oh, a scuola tutto davvero bene, adoro insegnare.
Kurt riabbassò lo sguardo, prendendo un sorso dalla sua tazza di caffè fumante.
Blaine sbruffò, captando i segnali di disapprovazione del suo amico.
- E adesso cosa c’è?
- Lo sai cosa penso. Tu hai un altro talento.
- Te l’ho già detto Kurt, no.
Blaine si irrigidì, sapeva già come sarebbe terminata quella conversazione. Tante volte ne avevano parlato al telefono e ogni volta finivano per discutere.
Kurt lo guardò negli occhi con uno sguardo tenero, esattamente come fa un padre davanti un figlio alle prese con la sua prima cotta.
- Blaine, sai che giorno è oggi? 15 luglio. Un anno fa, trovai quel tuo quaderno abbandonato. Non so perché ti ostinassi a nasconderlo, ma vedi, lì dentro c’è un prezioso. Devi farlo leggere a qualcuno. Tu hai un dono, ed è quello della scrittura. Usalo, non incastrarti per sempre in questo ruolo da bravo insegnante, è una commedia che con me non regge.
- Io adoro quei ragazzini, mi piace il mio lavoro.
- Ma non è una cattedra il tuo posto! Almeno provaci, il mondo non ne può più dei soliti scrittori, ha bisogno di qualcuno come te, che sappia emozionare e fra piangere con l’uso di qualche semplice parola.
Blaine si ammutolì. Non aveva mai fatto caso agli ammonimenti del suo amico, ma stavolta quelle parole facevano uno strano effetto.
- Credi davvero che io possa farcela?
Kurt sorrise. Strinse la mano di Blaine in un pugno confortante, facendo sorridere il suo amico.
- Io non lo credo. Lo so.
Blaine prese un profondo respiro. Ci avrebbe dormito su.
- Allora, parlami di questo spettacolo.
Kurt cominciò a parlare e a gesticolare in modo convulsivo, e Blaine ascoltava cercando di restare dietro a quella marea di frasi sul mondo dello spettacolo o su quanto fosse emozionante Broadway.
Ma qualcosa lo distrasse. Qualcosa fece bloccare il suo cuore. Il mondo attorno a lui scomparve piano a piano, la voce di Kurt era ormai solo un eco lontano.
Poco lontano da lui, Sebastian scendeva da una macchina scura e si dirigeva per aprire la portiera dall’altra parte. Porse la mano ad un ragazzo poco più basso di lui, del quale Blaine non riuscì a scorgere i lineamenti. Il suo sguardo era attento solo alla figura di Sebastian.
- Blaine? Blaine mi stai ascoltando?
- Io… non mi sento tanto bene.

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Capitolo 9
*** 2000 ***


15 luglio 2000

 


Quando pochi mesi prima Blaine trovò nella cassetta delle lettere un invito al matrimonio del suo vecchio compagno Warbler, Trent, un’ondata di eccitazione lo pervase: un matrimonio è sempre una scusa perfetta per concedersi una vacanza. Sarebbe tornato in Ohio, dove si sarebbe tenuta la cerimonia, avrebbe passato un po’ di giorni con i suoi genitori e con i suoi vecchi amici di scuola e si, sarebbe stato un po’ come tornare ai vecchi tempi.
Ma quell’istante di gioia si estinse subito, quando al telefono Trent gli disse che sarebbero stati presenti tutti i Warbler, ma proprio tutti, al suo matrimonio.
- Anche Sebastian?
- Anche Sebastian, accompagnato dal suo nuovo compagno.
Blaine cercò di non pensarci, ma era più forte di lui: il fatto che avrebbe rincontrato Sebastian da vicino dopo tanto tempo lo angosciava e lo destabilizzava. Doveva dirgli qualcosa? Fare qualcosa?
O semplicemente poteva evitarlo?
Come poteva restare calmo con Sebastian a pochi metri da lui? E per giunta col suo compagno!
Era sempre così, era sempre stato così: Sebastian era l’unico in grado di smuoverlo, di dargli quei piccoli grandi tormenti e quei nodi allo stomaco. Non sarebbe mai stato psicologicamente pronto a quell’incontro, e poi si sa: la vita è imprevedibile e un conseguirsi di colpi di scena scoordinati, ed era proprio questo a spaventarlo.
Chissà come avrebbe reagito Sebastian. Chissà come avrebbe reagito lui, che in quel periodo non faceva altro che farsi domande su domande sulla popria esistenza.
Blaine cercava di proteggersi da qualcosa, ma non sapeva di preciso cosa fosse quel mostro che lo gettava nell’insicurezza e nel dubbio. Si chiedeva perché fosse toccata a lui tutta quell’angoscia esistenziale, come se si fosse addossato tutte le domande che gli altri non si ponevano, tutte quelle sensazioni che nessuno provava perché troppo impegnati a vivere la vita giorno per giorno. Certe volte si sentiva così fuori posto e terribilmente diverso, ma ormai ci aveva fatto l’abitudine a quella veste. Scappare, si diceva, sarebbe bello scappare da quella Londra che per lui aveva perso tutti i suoi colori, e andare via, lontano, là dove il sole infiamma un cielo così azzurro da far piangere, là dove non vi sono nuvole o temporali. Ci voleva qualcosa che gli riportasse l’estate nel cuore. Magari un viaggio con biglietto di sola andata.
Avrebbe voluto essere anestetizzato dai sentimenti, ma quella volta la tattica del “fuggi la realtà” non avrebbe funzionato. Nelle sere solitarie di quel nuovo millennio che con sé non aveva portato nulla di nuovo, gli bastava rifugiarsi nei libri, nelle storie, tuffarsi in roba inesistente , immaginare di vivere in un’epoca lontana … Blaine era diventato il fantasma di se stesso.
Ci volle quel matrimonio per risvegliarlo.
Blaine cercò di distrarsi con il lavoro, correggendo compiti, partecipando alle assemblee e passando lunghi pomeriggi con i bambini della sua classe. Gli piaceva quel lavoro, adorava i suoi alunni e otteneva ben molte soddisfazioni. Se ripensava al suo vecchio lavoro al locale messicano, sentiva di nuovo la nausea allo stomaco per l’odore di cibo fritto che gli restava sempre appiccicato anche dopo dieci docce.
Di certo aveva altri progetti per sé, ma poteva andargli anche peggio.  Trovava sollievo nella compagnia di quelle piccole pesti che gli donavano ogni giorno un sorriso; si sentiva meno solo di quanto fosse realmente.
Comunque, un piccolo passo verso un grande cambiamento, Blaine l’aveva già fatto. Quando più di un anno prima, Kurt gli consigliò di inviare i suoi scritti a qualche casa editrice, pensò fosse una cosa assolutamente  folle. Avanti, lui uno scrittore? Amava scrivere, certo, ma era un’attività fine a se stessa: a lui non interessava pubblicare e guadagnare, a lui importava scaricare la sua tensione su un foglio di carta come se fosse una spalla su cui piangere.
Poi, un giorno come tanti, si disse che non aveva nulla da perdere, ormai. E così fece: prese alcuni indirizzi di case editrici, così, senza un nesso logico, a caso. Non si aspettava nulla, aveva solo commesso una piccola pazzia – o per lo meno così poteva essere definita secondo i suoi standard – e non si faceva troppe illusioni, ne si dava false speranze.
E così, dopo due mesi di paure e tentennamenti, il giorno del matrimonio arrivò. Blaine atterrò in Ohio la sera prima.  Nonostante fosse ancora stanco per il fuso orario, il mattino si svegliò prestissimo: non riusciva a dormire all’idea che avrebbe incontrato Sebastian. Quei sessanta giorni erano passati lenti, il tempo sembrava dilatarsi ogni minuto di più.
Blaine era già dentro la chiesa, intento a salutare i suoi vecchi amici, quando  incrociò il suo sguardo con quello di Sebastian, appena entrato nell’edificio. Sebastian sostava fermo, rigido.
Quegli occhi. Quegli occhi verdi annientavano tutte le cose negative che il suo cuore doveva sopportare ogni giorno. Aveva dimenticato quella sensazione, la sensazione di avere quelle iridi cangianti addosso, il sentirsi così confusi ma allo stesso tempo così bene. Capì, in quel momento,che gli era mancato troppo, in un modo che non era concepibile. E sentiva che era così anche per Sebastian: lo sguardo che si scambiarono, seppur breve e appena percettibile, fu intenso, uno scambio di parole non dette per troppo tempo.
Sebastian alzò un po’ la mano, salutandolo. Blaine ricambiò accennando un sorriso.
I due presero posto lontano, ma Blaine, dietro di lui, non riusciva a togliere gli occhi dal suo collo lungo, e Sebastian sentiva quello sguardo su di sé, e più volte si voltò per guardarlo. E il resto del mondo non c’era. Non c’era neanche Thad al suo fianco che seguiva con gli occhi lucidi la cerimonia.
Nessuno dei due ascoltò ciò che stava succedendo in quella chiesa. Erano attratti l’un l’altro come una calamita, perché troppo anni erano passati e, nonostante la lontananza, il filo del loro rapporto non si era spezzato.
Blaine voleva riabbracciarlo e scoprire la persona che era diventata Sebastian, perché sapeva che era cambiato.
E Sebastian, voleva sapere cosa si era perso in tutto quel tempo sprecato per colpa del suo carattere, del suo orgoglio, del suo tutto.
Blaine cercò di concentrarsi sulla cerimonia, ma ogni tentativo fu vano. Più volte Sebastian fece finta di voltarsi per andare alla ricerca di un qualcuno, ed ogni volta i loro occhi si incrociavano mandando scintille.
Ma anche dopo la cerimonia, non si avvicinarono subito. O per lo meno, non del tutto.
Blaine era troppo timido.
Sebastian si sentiva inadeguato.
Cenarono entrambi con un nodo allo stomaco.
E come ogni matrimonio che si rispetti, arrivò il momento del primo ballo, poi si aprirono le danze, i due novelli sposi decisero che anche un karaoke fosse appropriato.
E i due, intanto, si avvicinavano sempre più, pericolosamente, ma sempre cauti, lanciandosi occhiate di tanto in tanto.
Ma ogni volta che Sebastian cercava di farsi più avanti, qualcuno lo fermava, chiedendogli di presentare il suo ragazzo.
- Sebastian! Non mi dire! Hai il fidanzato!
Sebastian guardò torvo Nick, il suo vecchio compagno.
- Si, Jeff. Le persone crescono.
E si allontanò prendendo Thad al suo fianco per il braccio, troncando la conversazione.
- Non mi dire, ti sei fatto anche lui.
- Cosa?
- Ogni festa, matrimonio o qualsivoglia cerimonia a cui partecipiamo, in qualsiasi angolo del mondo in cui ci troviamo, c’è qualcuno che ti sei portato a letto. Dimmi, anche lo sposo?
- Cosa?! – Sebastian si affogò col bicchiere di champagne appena portato alla bocca. – Trent? Dio mio Thad. E comunque, è vero, ho avuto una vita amorosa molto intensa, ma cosa posso farci, l’importante è che adesso è passato.
Sebastian fece un sorrisetto malizioso e Thad sbruffò fintamente offeso.
Nel frattempo, gli ospiti si intrattenevano cantando con la sposa sulle note di “Angel”. Quella musica stucchevole gli dava la nausea, ma chissà per quale ragione, Thad si unì a tutti gli altri cantando a squarciagola.
Lo fissò per un momento da lontano, quando percepì, accanto a lui, la presenza di Blaine.
Si pietrificò, non sapeva cosa fare. E Blaine, del resto, non sembrava voler collaborare. Con lo sguardo fisso sul pavimento, si torturava i lembi della giacca e cominciò a muoversi nervosamente.
“ Fatti coraggio, Seb.”
Sebastian si avvicinò all’orecchio di Blaine, il quale trasalì immediatamente per quel contatto.
- Ce la filiamo?
Blaine non poté far che sorridere, sciogliendosi alla sensazione del calore del corpo del suo amico così vicino.
- Si, ti prego!
Blaine seguì Sebastian fuori dal locale, per poi imboccare un corridoio e salire delle scale che portavano sul tetto. Era buio, solo la luce della Luna illuminava flebilmente i loro volti. Tutti i rumori della festa erano spariti, di sottofondo vi erano solo i loro respiri fatti pesanti.
Sebastian si accese una sigaretta.
- Se non ti conoscessi e volessi provarci con te ti avrei offerto una sigaretta, ma ti conosco troppo bene per sapere che ci tieni alla tua salute e non hai mai fumato in tutta la tua vita.
Ispirò. Blaine accanto a lui cominciò a ridacchiare e si appoggiò al cornicione. Diede un’occhiata in basso: si trovavano molto in alto ed ebbe un senso di vertigine. Pensò che in quel momento si sentiva proprio così: esposto, esposto dopo tanto tempo alla vita. Quindi era giunto il momento di lasciarsi andare, di scollarsi tutta quella paura di dosso. Ormai Sebastian era lì, non poteva rischiare di perdere quell’occasione per… per fare cosa poi? Parlare? Tornare amici? Blaine non aveva ancora idea di ciò che sarebbe successo. Per una volta non avrebbe pianificato nulla, e avrebbe lasciato le cose al caso. Tossicchiò, per poi fare un grosso respiro, come a farsi coraggio, e cominciò a parlare.
- E così… hai il ragazzo.
- Sei la decima persona che mi fa questa domanda oggi, è tanto difficile da credere?
Blaine lo guardò ridendo e incrociando le braccia.
- Sinceramente? Si.
- Beh… sai com’è … le orge non ti tengono al caldo la notte…
- E non si prendono cura di te quando sei vecchio.
Sebastian annuì, meravigliandosi di se stesso e del cambiamento che aveva subito nel corso degli anni. Continuò a fumare, in cerca delle parole giuste da dire.
- Cosa hai fatto in questi anni, Sebastian?
Il francese si mise accanto a Blaine, appoggiato con la schiena al cornicione, una leggera brezza scompigliava i capelli sulla sua fronte.
- Sono andato avanti. Mi sono rifatto una vita, sono cambiato. Tutto sommato sono soddisfatto di me stesso.
Blaine si staccò, ponendosi di fronte Sebastian. Gli sorrise, nel modo più naturale che poteva.
- Mi sei mancato, Seb.
E poi, accadde qualcosa che nessuno dei due aveva previsto. Forse fu la Luna, forse il buio, o forse furono proprio le iridi dorate di Blaine che sprigionavano quel mondo fantastico che aveva dentro di sé da offrire al mondo.
Ma, senza che l’avesse programmato, senza che potesse fare qualcosa per fermarsi, Sebastian si avvicinò, prese il suo viso tra le mani e lo baciò.
E non come quella notte del 1988, in modo appassionato e furente.
Pose delicatamente le sue labbra su quelle di Blaine, assaggiandole, esplorandole, prendendosi tutto il tempo necessario, come se non fosse esistito più nessuno sulla faccia della Terra, ma fossero rimasti solo loro due. E in quel momento, gli anni passati nel silenzio, nell’angoscia, nelle mancanze, sparirono. Come se non fosse successo nulla. In quel momento, nella loro testa c’erano solo i ricordi felici. Gli anni al liceo, la vacanza in Francia, le lunghe telefonate al telefono.
Blaine si alzò sulle punte facendo pressione sulle labbra di Sebastian e stringendosi a lui. Gli girava la testa, il cuore batteva a mille e poteva sentire il battito di Sebastian fare lo stesso. Blaine sorrise nel bacio, staccandosi un secondo per riprendere fiato. Strinse tra le sue mani i capelli di Sebastian, avvicinandosi nuovamente e riprendendo il bacio. I due si esplorarono in un modo che non credevano possibile, Blaine sentiva di sciogliersi sotto il tocco di Sebastian, il quale fece scendere le sue mani sulla schiena. Adesso le braccia di Blaine erano raccolte intorno le spalle di Sebastian, cominciando ad approfondire ancora di più quel bacio.
Ma, nonostante il suo corpo rivendicasse le labbra di Sebastian, la mente di Blaine lo fece staccare dal corpo del suo amico. All’improvviso, la realtà era ripiombata sulle loro teste. Un forte chiasso proveniente dalla sala dove era in corso la festa lo fece tornare sulla Terra. Blaine si staccò con uno schiocco sonoro, e fissava confuso Sebastian. Quelle labbra rosse lo tentavano, voleva con tutto se stesso  riavvicinarsi al corpo del suo amico, perché lì, tra quelle braccia, il mondo era diventato perfetto.
Tremava, la brezza estiva diventò freddo pungente che penetrava fin dentro le sue ossa.
- Seb… noi… non possiamo.
E Sebastian lo guardò confuso, deglutì e abbassò lo sguardo, perché anche lui adesso sentiva il peso della realtà che lo richiamava. C’era Thad  giù che lo aspettava, e tutto quel tempo che era passato tra di loro? Si poteva cancellare con un semplice bacio?
Tutto era confuso. L’unica cosa che riuscì a vedere, fu Blaine che si staccava da lui per tornare indietro.
Senza il corpo del suo amico vicino al suo, faceva terribilmente freddo. Il vuoto metteva le vertigini.
Ed eccoli lì, esattamente come vent’anni prima, un bacio interrotto per evitare il precipitare delle cose, un bacio interrotto per colpa delle troppe domande, per evitare i cambiamenti, perché, in fondo, a nessuno piace restare perennemente in bilico.

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Capitolo 10
*** 2001 ***


15 luglio 2001

 
 
Essersi ritrovati.
Questa era ciò che più contava.
Non c’era bisogno di farsi delle domande o di cercare delle risposte. Ognuno di loro era indaffarato con le proprie vite, come sempre, ma stavolta con la presenza costante dell’altro. Cercando di ignorare quel bacio avvenuto l’anno prima sul tetto di quel posto che avrebbero ricordato per sempre. Entrambi volevano solo normalità, nient’altro.
Sebastian sembrava aver raggiunto finalmente quella stabilità tanto agognata, non aveva senso gettare tutto all’aria o fare un salto nel vuoto. Quando si trattava di Blaine, si sentiva esattamente come sospeso su di un filo sottilissimo, e provava un turbine di emozione, dalla paura al senso di vertigine.
Quella stessa vertigine che provò poco prima di baciare Blaine, quando affacciatosi sul cornicione del terrazzo vedeva sotto di lui un brulicare di luci e di colori, e lui era in cima, esposto alla vita, quella vita  che lo aveva reso estremamente fragile.
L’importante era esserci, offrire i propri sorrisi e il proprio aiuto esattamente come due amici.
Essere ritornati alla normalità era un grande traguardo per Sebastian, che aveva rimesso in sesto la sua vita pezzo dopo pezzo, ma non aveva ancora raggiunto la vetta. E sapeva che era giusto così: aveva imparato, con l’età e la maturità che ne consegue, che non ha senso avere tutto subito, eccedere.
Era il 2001 e Blaine e Sebastian avevano 31 anni.
Sebastian visse quegli anni così intensamente che il giorno del suo compleanno non riusciva a credere di dover spegnere 31 candeline. Le contò una ad una e spegnerle sembrava una fatica titanica. Soffiava e quasi gli mancava l’aria, le piccole fiamme restavano lì, si piegavano ma non accennavano a spegnersi.
Lo aiutò Thad, tra una risata e l’altra, a dare una forte soffiata d’aria, lasciando spazio solo al fumo e all’odore di cera che rischiava di versarsi tutta sulla panna, e Sebastian si sforzò di sorridere, pensando che quella era una scena da compleanno di un novantenne rinchiuso in una casa di riposo.
Tutto stava cambiando, a cominciare dal suo corpo. Certo, era ancora giovanissimo, ma era… diverso. Un uomo. Si guardava allo specchio e il fisico magro da adolescente era completamente sparito, e aveva lasciato spazio a dei pettorali più scolpiti, a una mascella più marcata, a delle braccia scolpite.
Ma il cambiamento più grande, lo notò soprattutto nella sua vita sentimentale. Il suo modo di provare emozioni, di dimostrare il suo affetto, gli impulsi che non erano più così forti. Non che non avesse più desiderio di fare l’amore, ma era… diverso. Strano, forse. Era una sensazione che neanche lui riusciva a spiegarsi.
Ogni tanto, sotto la doccia, rifletteva sulla sua vita: aveva una bella macchina, una bella casa, un lavoro normale, un bellissimo ragazzo e tanti amici. Tutti questi elementi si addizionavano nella sua testa, uno dopo l’altro, e pensava a come si fosse conformato, era ormai un adulto come tutti gli altri, un uomo che indossava giacca e cravatta come tutti gli altri.
Lui accettava quella stabilità che si era cucita addosso. In fondo l’aveva tanto desiderata, ma una volta, mentre il getto freddo della doccia lo bagnava, si ritrovò a piangere cantando “Strawberry Fields” dei Beatles. Diede la colpa alla malinconia degli anni passati che, si diceva, era normale.
Tutto ciò che stava succedendo, quei cambiamenti graduali, era normale. Continuavano a ripeterglielo tutti.
E lui non riusciva a concepire come fosse possibile, lui che la normalità l’odiava e non aveva mai avuto a che fare con essa.
Anche la sua relazione con Thad aveva preso una piega diversa. Ormai stavano insieme da così tanto che a volte passavano ore nella stessa stanza senza parlarsi. Ormai conoscevano tutto l’uno dell’altro, e una patina di freddezza di era posta tra di loro.
Thad non gli dava più la mano in pubblico. Diceva di sentirsi a disagio, che odiava le occhiatacce della gente.
- Thad, a te non è mai importato dei giudizi degli altri!
- Quando avevo vent’anni. Ora è diverso.
Sebastian cercava di non pensarci.
È normale. È normale. Normale.
Neanche Blaine sembrava capirlo. Perché a lui, invece, andava tutto benissimo.
Quel pomeriggio, Blaine telefonò Sebastian, dicendogli di preparare lo champagne perché dovevano festeggiare.
Sebastian quella sera non aveva molta voglia di prepararsi, così accolse il suo amico in pigiama, il suo pigiama grigio infeltrito a righe che faceva tanto detenuto di un campo di concentramento.
Era intento a fare zapping alla tv, quando sentì la porta aprirsi.
- Thad, dove stai andando?
Thad sobbalzò, per poi avvicinarsi a lui correndo frettoloso.
- Oh, non te l’ho detto? Oggi il capo ha organizzato una cena di lavoro… ci sono dirigenti e cose così, una noia…
- E invitano il cameraman per una cena di dirigenti?
Thad si bloccò, con la bocca aperta e le parole sospese a metà.
- Beh… ma lo sai che sono il cameraman più importante, magari vogliono darmi una promozione!
Sorrise, diede un bacio veloce sulla guancia a Sebastian e scappò via senza dare la possibilità al suo fidanzato di replicare.
Lasciò perdere, diede un sorso veloce alla birra e si accoccolò sul divano.
Pochi minuti dopo, suonò il campanello. Si alzò e, ancora con la birra mano, aprì la porta, ritrovandosi di fronte un Blaine perfettamente pettinato e ben vestito.
- Sei in pigiama?
Ci risiamo, pensò Sebastian.
- Si, dobbiamo restare in casa, no?
Blaine entrò senza troppe cerimonie.
- L’ho portato io lo champagne, ho pensato che magari te ne fossi già dimenticato.
- E infatti.
- Seb? Tutto bene.
Sebastian accennò un sorriso, annuì e si fece consegnare la giacca.
- Thad è in casa?
- No, aveva una cena di lavoro.
- Beh, non importa, gliela comunicherai tu la notizia. Dove sono i bicchieri?
- Lì, nella dispensa. Cosa succede?
Blaine prese due calici e versò lo champagne. Offrì un bicchiere a Sebastian, si sedette sul divano con aria soddisfatta e gli occhi che luccivano.
- Seb, oggi è l’inizio della mia nuova vita.
Sebastian lo affiancò, guardandolo curioso.
- Puoi essere più preciso?
- Prova a indovinare.
Sebastian sbruffò. A Blaine piaceva creare suspence.
- Oh avanti… hai conosciuto qualcuno, finalmente?
- Oh avanti, ancora con questa storia!
- È la prima cosa che mi è venuta in mente dato che sei da solo!
- Io non sono solo. Io sto da sola, è diverso.
- Certo, certo. Su avanti Blaine, dimmelo tu.
- Beh… ricordi quel quaderno con tutti i miei scritti che Kurt mi ha consigliato di inviare a qualche casa editrice?
- Oddio.
Blaine annuì vigorosamente e sorrise, un sorriso così luminoso Sebastian non lo aveva mai visto sul suo visto.
- Mi hanno dato un anticipo per scrivere un libro!
Sebastian abbandonò il bicchiere sul tavolo vicino al divino e si gettò tra le braccia di Blaine, il quale lo strinse con altrettanta forza a sé.
- Blaine io… sono così felice per te!
Sebastian non lo lasciava andare, sorrideva anche lui in preda alla felicità, come se Blaine gliela stesse trasmettendo per osmosi.
- Seb, non respiro!
Sebastian si staccò, tenendo ancora le sue mani salde sulle spalle del suo amico. Poi prese il bicchiere per brindare.
- Allora, a cosa brindiamo?
- Non lo so Seb, dimmelo tu, perché io… è una sensazione così strana! Per la prima volta farò qualcosa che davvero amo fare, ci credi? La vita va finalmente nel verso giusto.
- Allora brindiamo alla tua felicità, al tuo futuro luminoso e al più grande scrittore americano di tutti i tempi.
- Seb, ti prego , non esagerare.
Diedero una veloce sorsata, poi Blaine si gettò nuovamente tra le braccia del suo amico, come se tra quelle braccia avesse potuto contenere tutta quella traboccante felicità. Il cuore stava per scoppiare in petto, e condividerlo con il suo migliore amico rendeva l’atmosfera ancora più magica. Era fantastico vedere Sebastian così felice per lui: significava avere un ruolo primario nella vita di qualcuno, gioire per la felicità di una persona speciale più che per qualcuno.
Si, lui non era solo.
C’era Sebastian accanto a lui e tutto era magico.
E pensò che il momento era troppo perfetto, per spezzare l’incantesimo e dargli anche una brutta notizia: la casa editrice dal quale era stato contattato era francese. E per meglio gestire i contatti e il lavoro, tutti pensarono sarebbe stato meglio per lui lasciare Londra per trasferirsi in Francia.
Note:










Sarò brevissima. Scusate immensamente per il ritardo. Sono tutt'ora molto insicura sul capitolo, perché descrivere l'interiorità di un trentenne non è stato facile. Io ho solo 18 anni e sono lontana anni luce dalla maturità. Ho parlato personalmente con persone trentenni per cercare di captarne qualcosa, e questo è quello che ne è venuto fuori (tra cui il ragazzo che canta Strawberry Fields sotto la doccia!)
È stato molto affascinante, spero di aver dato loro "giustizia". Ovviamente se c'è qualche trentenne che non si ritrova in questo stato d'animo può criticarmi, buttarmi merda addosso... insomma, fate voi. 
Non ringrazio mai abbastanza chi mi legge e commenta i capitoli, quindi, voi che siete arrivati qui... Grazie mille!
Un bacio,
Carmen.

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Capitolo 11
*** 2002 ***


Scusate immensamente per il ritardo. Credo che molti di voi sapranno che mese disastroso sia Maggio. Spero comunque di aver ripagato l’attesa con questo capitolo. Buona lettura e grazie in anticipo per chi è ancora qui, anche dopo un mese :D
 
 
 

                                                                                                                                                                                                




     15 luglio 2002
 

 
- Sebastian! Finalmente, sono tre giorni che ti cerco, ti credevo morto!
- Blaine, sto venendo lì da te.
- Cosa? Seb, tutto bene?
- Sono già sull’aereo, ti chiamo io più tardi.
Sebastian attaccò senza dare opportunità a Blaine di replicare. Sprofondò nella sua poltrona di terza classe, accanto a lui un vecchio signore russava da circa un’ora. Prese un respiro profondo, concedendosi un attimo per riflettere a fondo.
Guardò il suo riflesso nella piccola finestra al suo fianco: aveva un aspetto orribile. Le profonde occhiaie e la barba incolta, l’espressione stanca di chi non dorme da troppo tempo e ha la testa piena di pensieri. Talmente stanco da non godersi per un solo attimo il cielo e le nuvole che si espandevano fuori il vetro.
Un ragazzo prese posto davanti a lui. Recuperò un libro dalla sua borsa e cominciò a leggere. La copertina era blu, e una scritta dorata riportava il titolo e il nome dell’autore. Riconobbe immediatamente il libro.

One Day, di Blaine Anderson.

Sorrise, ricordandosi di quando un anno prima Blaine gli diede la notizia della pubblicazione. Era orgoglioso di lui, finalmente aveva realizzato il suo sogno. Certo, sarebbe stato bugiardo a negare che sentiva terribilmente la sua mancanza ora che era in Francia, ora che aveva la sua vita e si vedevano di rado. Ma sarebbe stato altrettanto egoista non pensare alla sua felicità. Erano di nuovo lontani, ma sapere che lì, a Parigi, che aveva una ragione per vivere, lo faceva stare meglio. 
Pensò che dopo anni la situazione si era ribaltata, che adesso era Blaine quello ricco e di successo, e lui non era nessuno. Lui era sempre quello insoddisfatto, che indossava una maschera fatta di sorrisi finti, che viveva di finzioni e fuggiva la realtà come un bravo illusionista.
Anche la sua storia con Thad era una vana illusione, che dopo tanto tempo si era sciolta al sole mostrandosi come era davvero.
Tre giorni prima, Thad aveva confessato a Sebastian di avere un altro.
Era innamorato di un’altra persona. Una persona conosciuta sul posto di lavoro. Una persona che forse poteva dargli davvero una vita favolosa. Sebastian non aveva molto da offrire, ma quel poco che aveva lo donava con la potenza di mille splendidi soli, e la fine di quella storia era per lui una sconfitta. Per l’ennesima volta si era lasciato sfuggire dalle mani qualcosa di bello.
Non ci furono scenate, urla, spiegazioni. Sebastian lasciò la loro casa, fece i bagagli, restò due giorni in apnea cercando di riflettere su come agire, poi, istintivamente, capì che c’era una sola cosa da fare. Ed era quella più semplice: andare da Blaine. Perché era l’unica persona che aveva al suo fianco. Perché era l’unico che, nonostante avesse la sua vita, interrompeva qualsiasi cosa stesse facendo per parlare al telefono con lui. Qualcuno una volta disse che le geografie del cuore non conoscono distanza.
E Sebastian pensò che in quel momento, quel qualcuno, avesse perfettamente ragione. Non importava quanto tempo ci avrebbe impiegato quell’aereo per arrivare in Francia, avrebbe sopportato la presenza di un vecchio ingombrante e di un bambino che scalciava dietro il suo sedile.  Sembrava l’unica cosa giusta da fare. O per lo meno, quella più sensata.  Contava i minuti che passavano e i chilometri che scorrevano sotto di lui, pensò a quello che avrebbe dovuto dire a Blaine quando sarebbe arrivato.
Riflesse a lungo sulla fine di quella storia. La sua prima storia finita così, senza troppi giri di parole. E allora perché non aveva la forza e il coraggio di combattere? Non una sola parola, non una sola lacrima. Erano bastate poche frasi di circostanza per porre fine a tutto. È davvero possibile dimenticarsi in poco tempo di una persona? Thad l’aveva fatto. Di chi era la colpa? Non lo sapeva.
Pensò a sua madre, che lo avrebbe accudito come quando era ancora un bambino.
Si appisolò tra un pensiero e l’altro, un sonno disturbato da incubi strani, come un film di qualche artista visionario. Sentì qualcuno toccargli una spalla.
- Signore, siamo arrivati.
Maledì l’hostess per averlo svegliato. Si sentiva completamente indolenzito e provava un dolore acuto alla testa. Diede un’occhiata al suo cellulare che accese immediatamente: erano le otto di sera.
Trovò una serie di messaggi di Blaine che chiedeva spiegazioni, ma lasciò perdere.
Fuori il sole di luglio accennava appena a tramontare, si alzò e recuperò la sua borsa e in fretta scese dall’aereo.
L’area parigina lo travolse con la sua freschezza, prese un profondo respiro e cercò di sorridere almeno un po’.
Restava solo da prendere un taxi fuori l’aeroporto.
Quando lo trovò, l’autista chiese se avesse bagagli da caricare.
- No, grazie.
Salì in macchina, sorridendo per la sua impulsività che lo aveva portato in Francia senza bagagli. Mezz’ora dopo, il taxi scaricò Sebastian dinanzi l’abitazione di Blaine.
Una piccola villetta di periferia, l’intonaco bianco e le finestre ricoperte di violette sul davanzale. Era tutto così candido, tutto così… da Blaine. Si chiedeva cosa ci fosse di utile nel vivere in una casa così curata, ma da soli.
Sebastian prese un respiro profondo, decise di contare fino a tre prima di raggiungere l’ingresso e suonare.
Non sapeva perché fosse ansioso. Ma sapeva che aveva bisogno di rivedere Blaine.
Premuto il campanello, udì il suono acuto da dietro acuto, poi l’avvicinarsi del passi veloci di Blaine che correva ad aprire la porta.
- Sebastian!
Sebastian sorrise timidamente, non trovando le parole da dire. Si intrufolò nella casa senza proferire nulla. Quando furono dentro, lasciò cadere a terra la sua borsa e guardò Blaine, sentiva un groppo salire in gola.
Stava per piangere.
Tutte le emozioni trattenute fino a quel giorno stavano per uscire fuori.
L’ultima volta in cui aveva provato una sensazione simile, fu quando suo padre lo avvisò della malattia di sua madre.  
Eccole, di nuovo lì, quelle lacrime lancinanti, quelle che traballano sull’orlo degli occhi e poi cadono velocemente sulle guance, una dopo l’altra. Le crepe che si aprono e provocano terremoti interiori. 
E il suo corpo, in difesa di quella tempesta, si mosse senza che Sebastian potesse controllarlo da Blaine. Tra le sue braccia.
Blaine lo abbracciò, lo strinse forte a sé, senza fare domande. Sebastian si avvinghiò al suo corpo come se fosse la sua unica ancora di salvataggio in mezzo quell’alta marea di lacrime. Il tempo cessò di trascorrere, l’unica cosa che poteva sentire era il battito accelerato di Blaine in sintonia col suo respiro, interrotto dai singhiozzi che si facevano sempre più forti. Piangeva, non riusciva a smettere.
Blaine lo fece sedere sul divano, ma Sebastian non accennava minimamente a staccarsi da lui. E dopo un tempo che sembrava infinito, cominciò a parlargli di tutto quello che era accaduto. Di come fosse rimasto di nuovo da solo, che la vita continuava a voltargli le spalle, che l’unica persona che aveva accanto era lontano mille miglia da lui.
Blaine lo accarezzava e lo stringeva ancora forte a sé, Sebastian sentiva il suo respiro contro i suoi capelli.
- Ci sono qui io adesso, stai calmo, non piangere.
Blaine cercava di tranquillizzarlo in tutti i modi. E lì, tra quelle braccia, ormai lo sapeva bene, si sentiva protetto. Era quella la sua unica casa. Tornò a respirare regolarmente, sentiva la tempesta dentro di sé placarsi. Blaine non si staccò un attimo da lui.
Restò su quel divano con lui tutta la notte, si addormentarono in quell’abbraccio, in quel groviglio di cuori pulsanti che si rincontravano dopo tanto tempo.
Sebastian si addormentò contro il suo petto. E quella notte non fece incubi. Tutto in quella casa era silenzioso, un silenzio calmo, una pace che cancellò, in quelle ore, tutti i ricordi cattivi. Trovò anche la forza di sorridere in quella notte, perché no, lui non era affatto solo.
Improvvisamente, quell’atmosfera divenne surreale, magica.
Aprì gli occhi, la casa si colorò di una luce rosa: il sole stava sorgendo all’orizzonte, fuori solo il suono del fruscio delle foglie mosse dalla leggera brezza estiva. Su di sé, la presa rassicurante di Blaine, le sue mani che toccavano la spina dorsale. Restò a guardarlo per alcuni minuti.
La luce solare filtrata dalle finestre inondava dolcemente il suo viso.
Era bellissimo.
Cominciò ad ammirare i tratti del suo viso, a seguire con gli occhi i lineamenti del suo viso.
Stava succedendo qualcosa. Il cuore cominciava a battere sempre più veloce. Sembrava di essere di fronte un’opera d’arte. Un’opera d’arte che lui poteva toccare.
Istintivamente, portò le sue dita sul suo viso. Sfiorò i suoi capelli ancora ricci e folti, scese lungo la sua fronte, le palpebre. Da lì poteva contare una ad una le sue lunghe ciglia. Le guance, la mascella, per poi risalire su fino le labbra.
In un altro momento avrebbe trovato quella cosa ridicola. E invece lì, in quel momento, quel gesto gli sembrava così naturale.
Sentiva riaffiorare qualcosa tra di lui. Le crepe della sera prima richiudersi lentamente.
Il respiro gli si faceva sempre più pesante. Forse era una folgorazione? Cosa diamine stava accadendo?
Si sentiva strano. Un brulichio di vita che nasceva dalla punta dei piedi e percorreva la sua colonna vertebrale, facendolo rabbrividire. La sua mano sostava ancora ferma sul suo viso, quando Blaine aprì leggermente gli occhi.
Sebastian ritrasse subito la mano. Blaine restò a guardarlo prima perplesso, poi dolcemente.
Poi, senza che potesse controllarsi, senza poter fermarsi in tempo e contare fino a dieci, Sebastian disse dolcemente:
- Credo di amarti.
Solamente l’attimo dopo, capì quello che aveva fatto.
Si alzò dal divano, guardando spaventato Blaine.
Cosa aveva fatto? Ma diamine, se era vero. Si, lui lo sapeva ora, l’aveva sempre saputo.
Sebastian era follemente, incommensurabilmente, inevitabilmente innamorato di Blaine. E solo allora capiva che era sempre stato così. Rimasero a guardarsi per lunghi secondi, e in quel lasso di tempo, come in un film muto accelerato, vide davanti a sé tutto il ripercorrere della loro storia. E solo allora capiva: aveva sempre amato Blaine, ma era troppo cieco per capirlo.
Lui amava Blaine.
“Cazzo!”.
- Io…
Blaine si alzò dal divano, cominciò a fare avanti e indietro per la stanza.
Sebastian lo seguì, cosciente di aver commesso forse un errore.
Poi, all’improvviso, Blaine si parò davanti a lui.
- Cazzo! È tutta la vita che cerco di esserti solo un amico. È da tutta una vita che sono innamorato di te, di te che sei sempre stato maledettamente cieco! E adesso, proprio adesso che finalmente ci stavo riuscendo, tu mi sconvolgi! Cazzo se ti odio! Ti odio!
E Sebastian restò inerme di fronte alle lacrime di Blaine, che era vicinissimo a lui,a pochi millimetri dal suo viso, i respiri che si fondevano.
Poi lo vide serrare gli occhi, allentare la presa delle mani chiuse a pugno.
- Io non ci riesco Seb, non ci riesco…
- Io… Blaine, mi dispiace, sono uno stupido…
Blaine portò una mano sulla sua bocca per zittirlo.
- Non ci riesco a non amarti.
Quella frase colpì il cuore di Sebastian. Restò in apnea per alcuni secondi, la mente offuscata, il respiro pesante, ma l’anima improvvisamente leggera.
Blaine azzerò la distanza. Prese il volto di Sebastian tra le mani e cominciò a baciarlo.
Un bacio affamato, appassionato, le labbra di Blaine che per troppo tempo hanno cercato quelle di Sebastian.
Un bacio famelico, di quelli senza respiro, di quelli desiderati a lungo ma per troppo tempo non dati.
Tutto era accaduto in fretta, eppure era l’unica cosa che aveva un senso.
Quella mattina, Blaine e Sebastian fecero per la prima volta l’amore.
La passione li aveva travolti e li aveva riuniti dopo anni e anni di attese, di lasciate, di riprese.
Sebastian non pensava a cosa sarebbe successo dopo. Era felice, e al momento aveva bisogno solo di quello.
Con quel bacio, Blaine aveva cancellato in un solo secondo tutto il dolore che aveva accumulato in quei anni. Blaine era la sua salvezza, adesso lo capiva.
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** 2003 ***


15 Luglio 2003

 




Erano trecentosessantacinque giorni che Blaine si svegliava sentendosi l’uomo più felice del mondo.

Un anno. Quante cose possono cambiare in un anno? Molte, se solo lo si desidera.  Sebastian si sentiva completamente rinato. Tante volte era morto dentro e poi si era rialzato più forte di prima, ma quella volta era diverso. Si sentiva invincibile contro il mondo, e non l’ossessionava più la paura di poter ricadere di nuovo. No, Sebastian non aveva più paura.
Aveva accanto a sé un uomo che amava davvero. Che amava da sempre, ma era sempre stato troppo cieco per accorgersene.

E Blaine… lui aveva accanto a sé l’uomo che da sempre desiderava e lo aveva reso una persona nuova.
Blaine aveva insegnato a Sebastian ad amare. Lo aveva insegnato svegliandolo ogni mattina baciandolo dolcemente sulle labbra.
E Sebastian aveva imparato ad amare ascoltando la voce soffusa di Blaine che diceva “ti amo”.
Aveva imparato a rispondere “anch’io, Blaine”, con la voce di chi ha conosciuto l’amore attraverso le labbra del suo amato, e non importava se a volte si sentiva fin troppo stucchevole: sorrideva, perché il vecchio Sebastian non avrebbe mai lasciato post – it in giro per le stanze, non si sarebbe mai svegliato la mattina per comprare i cornetti caldi, non avrebbe mai lasciato tutto per trasferirsi a Parigi per un ragazzo, non avrebbe mai cambiato tutti i suoi piani per qualcuno.

E invece, eccolo lì. 
Dopo un anno, a scoprire giorno dopo giorno cosa significa amare, donare tutto se stesso ad un’altra persona.
Entrambi avevano conosciuto finalmente il sole. Vivevano una quotidianità fatta di sorrisi, carezze, complicità. Ogni giorno il cuore ricordava loro che ormai avevano conosciuto l’amore vero, quello che salva le vite.
E forse Sebastian era ancora un allievo un po’ carente in fatto di sentimenti, forse non avrebbe mai capito cosa significasse realmente amare, ma non importava: tutto ciò che faceva lo faceva con tutto il cuore, e questo già bastava.



Quella mattina Blaine si svegliò più agitato del solito. Non aveva mai dato pese alle ricorrenze, eppure quella volta era diverso. Si svegliò alle sei del mattino, perché le farfalle allo stomaco non tenevano chiusi gli occhi, perché quei stessi occhi volevano saziarsi fin da subito della vista di Sebastian addormentato accanto a lui. Cominciò a girovagare per la casa e a far scorrere le dita tra i libri della sua libreria.
Prese “Le Notti Bianche” di Dostoevskij, al quale era profondamente legato, forse perché il Sognatore di quelle pagine gli ricordava terribilmente il vecchio Blaine di qualche anno prima.
C’era una frase sottolineata in rosso più volte.
Io vorrei farti dormire, ma come i personaggi delle favole, che dormono per svegliarsi solo il giorno in cui saranno felici.
Ecco, finalmente, anche lui si era risvegliato il giorno della felicità. Insieme a Sebastian. Avevano atteso tanto, a lungo, e non importava più nulla: c’erano solo loro due.
Chiuse gli occhi, ricordando per un momento l’inizio della loro storia, il momento in cui le loro labbra si incontrarono per l’ennesima volta, ma, finalmente, senza scappare, senza avere paura, senza tirarsi indietro come tutte le altre volte.
Decise allora di vestirsi immediatamente per andare a far compere: un giorno speciale meritava una colazione speciale. E sorrise, perché pensò che molto probabilmente Sebastian non avrebbe ricordato facilmente l’occasione.
E si, sarebbe accaduto esattamente ciò che aveva sempre immaginato: si sarebbe offeso, avrebbe tenuto il muso per qualche ora in attesa di un regalo in extremis del suo ragazzo. Probabilmente una cena a lume di candela, e allora lui l’avrebbe perdonato, perché avanti, come avrebbe potuto resistere davanti il sorriso di Sebastian?
Il suo cuore si scioglieva, solo a pensare a quei sorrisi maliziosi che rivolgeva solo a lui. Alle fossette che si creavano e a quella luce nelle sue iridi verdi.

Blaine ancora non riusciva a crederci che finalmente stava vivendo la sua favola. La sua favola iniziata all’improvviso. Era bello finalmente svegliarsi senza pesi sullo stomaco, e vivere alla giornata, senza pensare a cosa sarebbe successo il giorno dopo.
Si vestì in fretta e furia, non lasciando alcun biglietto per Sebastian, perché solitamente il suo fidanzato dormiva fino alle dieci.
Abbandonò il libro sul divano e chiuse la porta dietro di sé lentamente, cercando di non far rumore.


Nonostante la prudenza di Blaine, il sonno leggero di Sebastian venne interrotto dal cigolio della porta di legno. Aprì gli occhi, tentò di mettere a fuoco l’ora sulla sveglia. Quando realizzò che erano appena le sei e trenta del mattino, sbruffò e mise la testa sotto il cuscino. Ma quando sentì il letto più leggero, si volse e notò che Blaine non c’era.
- Blaine?
Ma la sua voce risuonava per la casa vuota. Si alzò, scostò le tende e portò una mano sulla fronte per difendersi dalla luce del sole appena sopra l’orizzonte. Davanti a lui alcune case di periferie. Certo, non era come avere davanti a sé la torre Eiffel sullo sfondo, ma… era pur sempre casa.

Lì si sentiva a casa. Si sentiva così a proprio agio che poté constatare, quella mattina, come era cambiata quella casa dal giorno in cui si era trasferito.
Blaine era un tipo fin troppo disordinato. Lui si giustificava dicendo che “era il suo disordine creativo”, quello in cui si immergeva per scrivere.
Sebastian invece era un tipo fin troppo ordinato e meticoloso, e da quando lui era lì le cose erano decisamente più in ordine.
C’erano molte più fotografie vicino i muri, c’erano foto del liceo, quando entrambi indossavano ancora le divise della Dalton, c’erano le foto delle vacanze, c’era quella stampa dei Beatles presa al mercatino delle pulci che Sebastian aveva voluto a tutti i costi, c’era di tutto vicino a quelle pareti che una mattina avevano deciso di tinteggiare di blu: sembrava un appartamento di un universitario, ed era così che si sentivano: sciocchi, giovani, ingenui, maledettamente felici.

Scese le scale e qualcosa lo colpì allo stomaco quando, acceso il suo cellulare, vide la data impresso sullo schermo.
15 luglio.
All’improvviso ricordò tutto. Ricordò che esattamente l’anno prima la sua vita era cambiata. Esattamente un anno prima aveva avuto il coraggio di cambiare le carte in tavola, prendendo il primo volo per Parigi e fuggire tra le braccia di Blaine.
Arrivato nel soggiorno, vide il libro abbandonato sul divano, e quella frase sottolineata più volte. La carta delle pagine sarebbe diventata molto presto polvere, per quanto quel libro era assiduamente letto sia da Blaine che Sebastian.
Prese un respiro profondo: non aveva preparato niente per Blaine.
Pensò che magari anche Blaine l’avesse dimenticato, dato che non aveva accennato a nulla nei giorni precedenti. E se fosse stato un trucchetto il suo? Cominciò a ridere di se stesso: si stava creando un mucchio di problemi per una ricorrenza. Ma è così l’amore, che rende,a  volte, ingenuamente stupidi.

Poi, ebbe l’illuminazione.


Si vestì in fretta e in furia e uscì fuori di casa, e solo quando era in macchina si accorse che a quell’ora i negozi non sarebbero mai stati aperti.


Blaine e Sebastian non si incontrarono fino all’ora di pranzo che consumarono velocemente nel loro appartamento.
Sebastian non accennò al loro anniversario, ma restò in attesa di un commento da parte di Blaine che non avvenne. Che se ne fosse dimenticato realmente?
In realtà Blaine, attendeva da parte sua anche un solo accenno, ma nulla, come aveva previsto.

Così lasciò subito Sebastian, poiché aveva un colloquio con il suo editore.
- Devo scappare Seb… non avevamo nulla in programma per oggi, no?
Blaine lo guardò allusivo, sperando fino all’ultimo.
- No Blaine, assolutamente niente.
E Blaine se ne andò via sconsolato.
Rimase un po’ deluso, si aspettava almeno un commento da parte di Sebastian, gli sarebbe bastato un semplice bacio sulle labbra seguito da un dolce “buon anniversario, amore mio.”  Ma Blaine non poteva immaginare quello che Sebastian aveva preparato per lui, e quando alle sette di sera tornò a casa, si trovò dinanzi uno spettacolo a dir poco esilarante.


Il soggiorno era addobbato di candele e fiori di carta sparsi un po’ovunque. Vicino al camino spento, due cuscini a terra e, attorno a loro… dei peluche. Sebastian sbucò dalle scale, sorridendo.
- Ehm, Seb? Cosa succede?
- Buon anniversario Blaine.
E prese il suo viso tra le sue mani, abbassandosi e poggiando le sue labbra sulle sue. Sentì Blaine sorridere nel bacio, per poi staccarsi e dare un’occhiata allibita alla stanza.
- Cosa… cosa sono questi? – disse, indicando i peluche a terra.
- Sono i nostri testimoni di nozze.
Blaine strabuzzò ancor di più gli occhi.
- Tu sei matto.
- Perché? Non ci è ancora permesso sposarci qui in Francia, quindi ho pensato: al diavolo le cose ufficiali.
Blaine esaminò ancora una volta la stanza e i pupazzi ai lati dei cuscini. Non riusciva a proferire parola per l’incredulità di quel gesto.
- Blaine, ci sei?
- Io… non credo di sentirmi molto Blaine.
- Oh, ho capito, sono un cretino, come ha fatto a dimenticarlo!
- Dimenticare cosa?
Sebastian si inginocchiò davanti a Blaine, prendendogli le mani.
- Blaine Anderson, mi vuoi sposare e rendermi l’uomo più felice del mondo?
Blaine cominciò a ridere: si era immaginato tante volte quel momento nella sua testa, e adesso era tutto così diverso… era persino meglio di come se lo aspettava. Si inginocchiò anch’egli davanti al suo ragazzo, baciandolo con passione e ripetendo più volte ‘si’ nel bacio, chiedendosi come aveva fatto a innamorarsi di un uomo così… ecco, non trovava mai le parole per descriverlo.
Sebastian lo condusse ai cuscini, e Blaine e notò vicino ai cuscini due fedine di legno.
- Oh, certo, queste sono le nostre fedi.
- Si, e… oh, ti presento i nostri testimoni di nozze. Blaine, ti presento Spongebob Squarepants e Patrick Stella.
- Oh, piacere signor Spongebob, è un grande onore averla qui con noi oggi.
Sebastian cominciò a ridere, dopo qualche minuto non riuscivano ancora a calmarsi per l’ilarità della situazione.
- Blaine, adesso calmati: è il momento delle promesse.
- Ma io non ho scritto nessuna promessa!
- Tranquillo, comincio io.
Sebastian si fece serio, prese le sue mani e lo guardò intensamente negli occhi. Avrebbero ricordato quel momento per tutta la vita.



- Sai Blaine, faccio fatica a credere che sia già passato un anno. Questo è stato in assoluto l’anno più felice della mia vita. Non potrò mai ringraziarti abbastanza per i momenti che mi hai regalato. In questi mesi hai ricomposto i cocci della mia esistenza in frantumi che sembrava essere irrecuperabile, ma tu… tu non ti sei arreso, hai raccolto ogni singolo pezzo di me e mi hai reso una persona nuova. Hai fatto sorgere il sole nel mio cuore e finalmente posso assaporare ogni singolo attimo di felicità senza aver paura che qualcuno me la porti via. Con te al mio fianco mi sento invincibile. Tu sei il mio migliore amico, sei un fratello, un padre, sei l’amante perfetto, sei tutto ciò che mi rende completo. Senza di te sarei ancora quell’uomo immaturo di qualche anno fa, che ricercava la felicità lì dove non doveva essere cercata. Tu mi hai insegnato cosa significa amare, e cioè desiderare di restare per sempre accanto una sola persona. Quella persona sei tu: sei l’unica certezza che ci sia mai stata nella mia vita, e non rischierò mai più di perderti, per nessuna ragione al mondo.


Poi prese l’anello e lo fece indossare ad un Blaine ormai sull’orlo delle lacrime, che guardava adorante Sebastian, chiedendosi come fosse possibile che proprio a lui sia toccata quella felicità enorme.
Avevano lottato a lungo per ritrovarsi fino a quel punto, e Blaine capì allora che la vita è fatta di attese, e solo chi è in grado di attendere potrà conoscere quella che è la vera e unica felicità: l’amore. 

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Capitolo 13
*** 2004 ***


Scusate il ritardo per la pubblicazione. Vita sociale, estate, umori che vanno su e giù hanno contribuito a questo capitolo del quale non sono tanto convinta. È un capitolo di passaggio, corto, niente di che. Ah, sono anche nella fase depressione post - concerto dei Muse, e ho davvero davvero la voglia di vivere sotto zero, quindi solo per questa volta, vi prego, siate clementi ç_ç 



15 luglio 2004
 

 
- Hai fatto la spesa stamattina?
- No Blaine, ho avuto da fare al negozio.
- Anch’io ho lavorato, non me ne sono stato certo con le mani in mano.
Sebastian sbuffò, standosene zitto per evitare una discussione.
La loro vita proseguiva in quella quotidianità che non smettevano mai di assaporare, con i stessi ritmi e gli stessi battibecchi di una coppia sposata. Loro due non lo erano, o almeno non per lo Stato francese. Tuttavia, Blaine e Sebastian si sentivano legati da quelle fedi di legno che si erano scambiati l’anno prima, in quel matrimonio improvvisato nell’intimità della loro casa.
Sebastian aveva comprato un piccolo edificio poco distante dalla loro abitazione: aveva deciso già anni prima di essere una persona normale, così, con tanto amore e cura, trasformò quel posto mal andato in un fruttivendolo. Avevano intrapreso quel progetto nel dicembre del 2003, e le cose andavano piuttosto bene.
Blaine invece continuava la sua professione di scrittore: pubblicava ancora qualche racconto qua e là, presso case editrici di modesta importanza.
Ogni mattina Sebastian si alzava molto presto e si recava sul suo posto di lavoro, sentendosi esattamente in un quadro dove una felice famigliola si mantiene in posa e sorridente davanti a un mulino disperso nel verde.
Certo, loro non erano proprio una famiglia. Mancavano molte cose. Come dei figli, ad esempio.
Non credeva che avrebbe mai avvertito il senso della paternità: proprio lui, che detestava i bambini e detestava i genitori che correvano come matti dietro i loro figli.
E invece, adesso gli mancava non avere qualcuno che rendesse completamente piene le sue giornata.
Erano solo loro due, lui e Blaine, e si chiedeva se l’amore che provava per il suo uomo sarebbe bastato per sempre.
Se Sebastian sentiva ogni tanto la mancanza di qualcosa che non aveva mai avuto, dall’altra parte c’era Blaine, con il suo carattere dolce che sembrava essere nato per fare il padre, ma che si rammaricava perché sapeva che non avrebbe mai avuto una famiglia vera e propria. Certo, aveva una casa dove si sentiva protetto e al sicuro, quel focolare intimo gli ricordava proprio i posti della sua infanzia, ma non era la stessa cosa. Per quanto gli abbracci del suo fidanzato fossero la cosa più bella del mondo, gli mancava qualcosa. Tante volte nella sua testa si era immaginato come sarebbe stato essere non più solo “Blaine e Sebastian”, ma avere un nome da decidere per quella creatura che sarebbe arrivata a riempire le loro giornate.
Litigare sulla preferenza del sesso, sulla scelta del colore delle tutine.
Avere qualcuno che lo svegliasse la domenica mattina.
Avere qualcuno a cui regalare caramelle o a cui raccontare le fiabe prima di andare a letto.
Poter osservare divertito Sebastian mentre tentava di cambiare un pannolino. 
Invecchiare e vedere crescere quel figlio, scattargli la foto il giorno del ballo di fine anno, riporre in una scatola gli oggetti di una vita ed accompagnarlo al college.
Sorrideva Blaine, sognando qualcosa che forse non sarebbe mai potuto essere suo. O chissà quanto tempo sarebbe passato prima di poter vedere realizzati i propri sogni.
 Attorno a lui vedeva ignoranza, la gente non riusciva ancora a concepire l’amore tra due persone dello stesso sesso. Spesso, mentre era passeggiava mano nella mano con Sebastian, riceveva soloe occhiatacce della gente, che ancora non si abituava a quella realtà messa continuamente a tacere. Insabbiata, nascosta per bene.
Eppure, qualcosa nel mondo, in Europa, cominciava a muoversi. Già nel 2001 e l’anno prima, i Paesi Bassi e il Belgio avevano legalizzato le unioni tra persone dello stesso sesso, e entrambi accolsero la notizia con tanta, tanta speranza: chissà quanto tempo ci sarebbe voluto prima che anche in Francia tutto ciò fosse stato possibile, ma vedere il mondo cominciare ad evolversi accendeva in entrambi un barlume di fiducia: forse, avere una famiglia, non sarebbe rimasto mai più solo un sogno.
Qualcosa cominciava anche a muoversi in Spagna, e chissà quante altri Paesi, sull’esempio di queste, avrebbero fatto qualcosa. Era un viaggio ancora tutto da percorrere, ma Blaine sapeva benissimo che anche lui avrebbe avuto il suo momento di gloria. Sapeva che prima o poi, anche lui avrebbe detto il suo “si, lo voglio”, sapeva che prima o poi anche lui avrebbe percorso la navata per raggiungere il suo Sebastian.
Perché si, avere dei pupazzi come testimoni improvvisati in un matrimonio altrettanto improvvisato era sicuramente molto romantico, ma nulla avrebbe eguagliato quel momento. E sarebbe stato il loro momento perfetto, che avrebbero ricordato per sempre.
Da quel momento Sebastian avrebbe fatto di tutto per avere una propria famiglia, ed essere un padre migliore di quello che invece gli era stato dato. Avrebbe dato ai suoi figli la sua presenza e tutto ciò che suo padre negli anni gli aveva negato, ossia cura, comprensione, sostentamento.
Ormai suo padre non era presente nella sua vita già da tanto tempo, fin dai tempi della morte di sua madre. Da allora si sentivano pochissimo, suo padre aveva smesso di dare giudizi sulla vita di suo figlio già da tempo, ma era sempre presente nel tono della sua voce un certo rancore. Il rancore di un padre che voleva di più per suo figlio.
Anche Sebastian a volte credeva che avrebbe potuto fare molto di più nella sua vita, ma vivere con Blaine e stare con lui gli bastava. Non riusciva davvero a capacitarsene: come poteva suo padre non accorgersi che stava bene? Che quella era la vita che si era scelto? Non riusciva davvero a sentirlo come un padre.
Un padre dovrebbe prima di tutto pensare alla felicità di un figlio. E invece tra di loro era tutto diverso.
- Stamattina ha chiamato tuo padre.
Sebastian ascoltò Blaine senza proferire parola. Si stese sul divano, chiudendo gli occhi.
- Seb, lo sai che sei sul divano con le scarpe, si?
- Si.
Aprì un occhio per vedere la faccia contrariata di Blaine. Sorrise e si rimise composto.
- Va bene capo! Allora, cosa si mangia stasera?
- Seb, non tentare di cambiare discorso.
Sebastian si arrese, sconfitto. Non sopportava quando Blaine tentasse in tutti i modi di ricucire un rapporto ormai fin troppo fatto a pezzi.  
- Blaine, te l’ho già detto: non mi interessa sapere se mio padre chiama. Fine della discussione.
- Ma, Seb…
- Niente ma. Ho detto fine della discussione.
Sebastian si alzò dal divano per dirigersi in cucina. Un momento di silenzio lo fece sperare di averla avuta vinta, ma ovviamente, si sbagliava. Sentì i passi veloci di Blaine dietro di lui seguirlo.
Sebastian aprì il frigo, pur non cercando nulla da mangiare, ma non voleva assolutamente affrontare quel discorso, di nuovo.
Sentì le braccia di Blaine avvolgergli i fianchi e il peso della sua testa sulla spalla. Il tocco dei capelli ricci del suo fidanzato gli pizzicavano il collo. Richiuse il frigorifero, sapendo che ormai non aveva via di scampo.
Si voltò e prese il volto di Blaine tra le sue mani, avvicinandolo ancora di più vicino a sé e appoggiando la sua fronte su quella di Blaine.
- Non voglio che lui si intrometta tra noi due.
Vide Blaine abbassare gli occhi e sussurrare: - Io voglio solo che tu sia felice.
Sebastian sorrise, portò una mano sotto il mento di Blaine, costringendolo ad alzare lo sguardo verso di lui.
- Ma io sono felice.
Premette le labbra contro quelle di Blaine, cercando di trasmettergli sicurezza, quella sicurezza che suo padre non gli aveva mai dato. Forse non avrebbe mai avuto un figlio, ma in quel momento si sentiva quasi come un padre nei confronti del suo ragazzo.
Blaine si staccò, guardandolo serio e fisso negli occhi.
- Seb?
- Si?
- Se è vero che questa storia dei matrimoni, si insomma… è vera, mi prometti che ci proveremo?
Sebastian, per tutta risposta, ripescò le sue labbra in un bacio ancora più travolgente. Blaine si staccò nuovamente per riprendere fiato.
- E mi prometti che avremo una famiglia tutta nostra?
Sebastian annuì, vicino al suo viso, i loro respiri fusi in un unico respiro.
- E mi prometti che sarà una famiglia vera? Che ci sarai sempre per nostro figlio?
Il luccichio negli occhi di Blaine quasi abbagliava gli occhi di Sebastian, che in quel momento si innamorò ancora di più del suo splendido, perfetto ragazzo.
- Si, te lo prometto.
Blaine sorrise, sentendosi al sicuro tra quelle braccia, le uniche in grado di tenerlo saldo in quel mondo caotico.
Pensava già al momento in cui finalmente si sarebbe avverato il suo sogno, e poco importava in fondo se i suoi figli avessero avuto un nonno o no: se restavano loro insieme, sarebbero stati forti contro tutto e tutti.
 

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