L'ordine della Camicia di Forza

di Opalix
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'ordine della Camicia di Forza ***
Capitolo 2: *** La rivincita delle more ***



Capitolo 1
*** L'ordine della Camicia di Forza ***


L’ORDINE DELLA CAMICIA DI FORZA

ovvero

“AMICI DI VIRGINIA DE WINTER”
(della cui femminilità, a differenza di quella di Maria de Filippi, sono abbastanza certa)

Una delle cose davvero strabilianti dell’aver assistito da vicino all’ascesa di Milady de Winter (al secolo Savannah che, sebbene sia una che di solito tende a non far stragi e lasciare i personaggi tutti interi, ha ben pensato di autobattezzarsi come la stronza assassina dei tre moschettieri, così, tanto per lasciarsi aperta la porta) è stato il suo progressivo circondarsi di una manica di adorabili creature che hanno come comun denominatore il fatto di essere, oggettivamente, fuori come dei copertoni.
Riferendomi a queste folli e folleggianti creature parlo, ovviamente, dei suoi personaggi. Che poi essi siano diventati i protagonisti di un gioco di ruolo on-line, impersonati da esseri umani altrettanto folli e folleggianti, è da ritenersi un effetto collaterale abbastanza prevedibile.
Ma lasciamo gli adorabilmente pazzi ruolanti fuori dalla discussione e provvediamo ad analizzare gli originali, i figli amatissimi, usciti freschi freschi (e, ahimè, sempre troppo vestiti) dalla penna di Milady.
La saga prende il via con la prevedibile damsel-in-distress, che per una volta non è né bionda né in mutande, come prevede il copione dei migliori horror anni ’90, ma si difende bene in quanto a pirlaggine andandosene in giro, sola ed indifesa, in una notte in cui anche Buffy l’Ammazzavampiri si metterebbe una mano sul cuore e darebbe due giri di chiave alla porta. Eloise, la nostra attraente damigella, vince al gioco dell’oca (in che senso? potrebbe venire da chiedervi…) e risveglia l’aitante vampiro pluricentenario addormentato da tempo.
Una questione di culo, suppongo. Se io fossi in pericolo in zona universitaria accorrerebbero un punk a bestia e il suo pulciosissimo cane, Eloise si becca Ashton Blackmore.
Anzi, Ashton Blackmore di Blackmore.
Bello da vivo, bellissimo da non morto e, se mai qualcuno trovasse il modo di farne un cadavere definitivo e non semovente, sarebbe bello lo stesso perché i morti Blackmore non si putrefanno neppure.
Culo per culo per 3,14.
Un momento di silenzio e raccoglimento per sospirare sulla sua pelle di marmo lunare, i suoi capelli neri e i suoi occhi viola. E serve anche un po’ per domandarsi se i Blackmore e i Targaryen sono parenti alla lontana, ma questo non diciamolo all’autrice se no mi disconosce.
Ora, a questo punto della vicenda (cioè più o meno a pagina sei della prima pietra tombale, perché definirlo mattone è sminuente e non rende l’idea del gotico romanticismo di cui sono infuse le copertine, né del peso che questi libercoli da ombrellone sono in grado di infliggere alle tue braccia se tenti di leggerli sdraiata sulla spiaggia) tutti si aspetterebbero che l’avvenente umana e l’avvenente vampiro si mettessero insieme e la storia si svolgesse come da copione, tirando in ballo un altrettanto avvenente lupo mannaro a caso per fare un triangolo amoroso inter-specifico sufficientemente tormentato.
Grazie a Dio tutto ciò ci viene risparmiato.
Ashton Blackmore infatti non sembra abbisognare di una donna, ma piuttosto di un cane. O di un gatto. O di un criceto. O di un pappagallino. O di una potenziale esorcista con poteri magici da usare come animaletto di cripta, insomma. Infatti, questo centenario pezzo di carne indurita, decorativo come un David di Michelangelo e più o meno della stessa consistenza, non fa che rivolgersi ad Eloise chiamandola “ragazzina umana”, con l’aria di uno che vuole farle pat-pat sulla testolina da un momento all’altro, o ridere sotto i canini con il vago, distaccato divertimento con cui uno scienziato osserverebbe un topo da laboratorio intrappolato nel mini-labirinto.
Un altro che ha seriamente bisogno di comprarsi un cane, o di procurarsi un hobby davvero molto impegnativo, è il biondo di turno, Axel Vandemberg. Anzi, il Principe Axel Vandemberg: biondo come il sole di giugno, occhi azzurri come il mare in Sardegna, bello, forte, ammirato, e con un ego al confronto del quale il Pacifico si sentirebbe una pozzanghera.
E di nuovo penserete (e non posso darvi torto) che, se ci è stato risparmiato l’ormai logorroico triangolo tra il vampiro, l’umana e il lupastro, non ci verrà risparmiato l’atavico dramma della scelta tra il biondo e il moro. Ma no, nemmeno questo.
Ashton non entra nemmeno in competizione, non nella vita concreta, almeno; l’interno della testa di Axel è tutta un’altra questione… ma il cervello di Axel Vandember mi sembra un luogo troppo estenuante perché io possa desiderare davvero di fare un viaggio al suo interno. Probabilmente mi aspetterei di sentire una versione gothic di Marco Masini che canta T’innamorerai/ di un bastardo che/ti dirà bugie/per portarti via da meeee, senza tener conto del fatto che contar balle ad Eloise sembra essere il passatempo preferito di Axel per un migliaio di pagine circa.
Ashton, dicevo, si limita a fare pat-pat sulla testolina di Eloise e si diverte un mondo a prendere per i fondelli il povero biondo. Eloise e Axel sono innamorati cotti uno dell’altra, da tempo talmente immemore che viene da chiedersi come Axel abbia superato l’adolescenza senza farsi venire il tunnel carpale. Del resto, sono entrambi così svegli e pronti di spirito da passare il tempo a far finta di non conoscersi piuttosto che fare ciò che Madre Natura li ha progettati per fare, alleggerendo in questo modo non solo il loro spirito, ma anche quello delle persone che stanno loro intorno, che sopportano le loro paturnie e che ne hanno lo spirito pieno e dolorante.
Ah si, è vero, c’è stato un dramma precedente, che ha interferito con il loro amore e separato i loro destini. Era coinvolta una zoccola vampira vecchia di centinaia di anni (la Bella Stronza?), e tutta una serie di situazioni in cui Axel avrebbe ben potuto evitare di andare a ficcare il naso. Di qui il bisogno cronico di Axel di un hobby impegnativo che lo porta ad essere una piaga nel posteriore dello Studium in generale, e di Eloise in particolare, a pedinare la gente in generale, ed Eloise in particolare, e a far parte di una versione medieval-gothic dei Back Street Boys in mantello nero e faccia mascherata.
L’Aldenorense dagli Occhi di Ghiaccio entra infatti a far parte delle confraternita delle Cinque Lune, insieme ad altri quattro pazzi, come richiede la migliore tradizione delle boy band. Axel è il biondo di turno, ovviamente, mentre gli altri Quattro dell’Oca Selvaggia (citazione di un vecchio film con Richard Burton, per chi fosse troppo giovane per averne mai sentito parlare… e no, giuro che non è un porno) sono: Ross Granville, il serio e sostenuto, (che, con il numero esorbitante di cugine e sorelle che si ritrova, ha sviluppato una furiosa orticaria da overload di estrogeni tale per cui non riuscirà mai ad avvicinarsi ad una donna in vita sua… di qui la necessità, anche per lui, di un hobby impegnativo), Gil Morgan, quello con i muscoli, (che di selvaggio ha solo un’ormonite furibonda perchè la sua strawberry blonde della situazione ha troppo la puzza sotto il naso per dargliela), Stephen Eldridge, quello dall’aria intellettuale, (che è la personificazione stessa dell’hobby impegnativo, probabilmente perché nessuno gli ha mai spiegato che il modo giusto per smaltire l’eccesso di energia non è esattamente andarsene in giro a scassinar tombe), e Bryce Vandemberg, il sofisticato.
Quest’ultimo, fratello di Axel, ha fatto della ricerca di un hobby impegnativo la sua filosofia di vita, la sua missione, il suo fine ultimo. Così ultimo che lo porterà alla tomba, come lui intelligentemente prevede e fa le prove del caso. Ma i biondi Jonas Brother presenti nella vecchia capitale non sono solo due, c’è anche Jordan, l’ultimo nato, che non viene arruolato nei Black Cloak Boys solo perché è piccolino e sarebbe circonvenzione di minore, e che se ne sta lì a guardare i suoi fratelli con aria afflitta e col terrore negli occhi calcolando a mente le probabilità di non aver ricevuto troppe copie dei geni che hanno reso Axel e Bryce… ciò che sono. Belli e biondi.
Bella stronza/che ti fai vedere in giro per locande ed osterie/con il culo sulla carrozza di quel vampiro arrogante…
Eh già, in questo scenario pieno di popstar alla High School Musical con un pizzico di The Skulls, il neurone di Axel continua imperterrito a cantare. Nel frattempo, la dolce Eloise se ne va in giro col vampiro più bello e più potente di tutta la cristianità a profanar tombe (è evidente che farsi una manicure o leggersi un libro non sono passatempi contemplati nella Vecchia Capitale) e gode dell’occasionale compagnia di un’altra coppia di pittoreschi personaggi: i vampiri Blackmore, che entrano in scena accompagnati dal motivetto di “Who wants to live forever”… e in effetti ce lo vedi quasi, il sostenuto Adrian, come una versione un po’ più silenziosa di Freddy. Considero questo personaggio estremamente riposante: è probabilmente l’unico del Mucchio Selvaggio a non tentare in continuazione di imporre la propria molesta presenza al proprio prossimo a tutti i costi. Dopo due o trecento pagine di Axel che compare dietro a ogni muro come la classica vicina guardona e Ashton che si diverte a spuntare da tutti i buchi come un’erbaccia particolarmente resistente, si accoglie l’entrata in scena delle buone maniere di Adrian con un sospiro di sollievo. Al fianco di Adrian, il “giovane” Cain appare un po’ come un curioso mix tra Justin Bieber (però meno antipatico) e il classico orfanello da telenoleva sudamericana degli anni ’80.
La cosa davvero positiva dei vampiri della De Winter (non solo dei Blackmore) è l’assoluta mancanza di seghe mentali stratificate. Mi spiego: dopo essermi sorbita cinque o sei libri infarciti delle paturnie di Lestat, per non parlare di quelle del glitterato Edward, avere a che fare con una manciata di non morti che non hanno occupato quel paio di secoli precedenti l’inizio della storia per costruirsi roccaforti volanti di seghe mentali… beh, è un passo in avanti. Certo, la cosa potrebbe trovare spiegazione nel fatto che la Lady Creatrice non ha fornito loro la materia prima necessaria per quest’attività, ma tendo a considerare principalmente un indice di buona educazione il fatto di non tediare il proprio prossimo con rimorsi, rimpianti e quanto di più deprimente la mente umana possa partorire se ha disposizione decenni di nullafacenza.
Concludo questo elogio alla follia e questa analisi dei principali “male characters” di Milady con un pensiero profondo ed intellettualmente impegnato. Si, dopo aver conosciuto i personaggi c’è anche una storia. Con una trama, pensate un po’. Anzi più storie che si intrecciano e vanno a formare quattro libri, che dovevano in origine essere tre. Il terzo libro sta per uscire, e il quarto… boh. Manco il titolo sappiamo ancora. Ma possiamo fare delle ipotesi. Dopo la Spada, la Chiave e la Penna… con l’ordine di quale altro oggetto dalla forma o dal simbolismo “velatamente” fallico avremo a che fare nel quarto capitolo della saga?

Baci a tutti e buona lettura della terza lapide,
Diana Malaspina (Opalix)

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Capitolo 2
*** La rivincita delle more ***


L’avevo promesso, e io le promesse le mantengo. A costo di farmi diseredare da mammina de Winter, che però è un po’ come i cani: sono anni che abbaia minacciando di diseredarmi se non metto più rosa e più glitter nel mio guardaroba eppure non lo fa mai.
In suo onore (?), ecco a voi, senza ulteriore indugio…

LA RIVINCITA DELLE MORE

Ovvero

OPERAZIONE SOTTOVESTE (NERA)

C’era la legge di Avogadro.
C’erano le leggi della termodinamica.
E c’era la legge del perizoma: se sotto i pantaloni bianchi ti metti un tanga nero te le stai andando a cercare.
O almeno, quando ero una teenager le cose funzionavano così (e in estate, un gavettone sulle chiappe per accentuare la trasparenza non te lo levava nessuno). Nella Vecchia Capitale evidentemente no.

Ora, cosa può mai aver spinto la nostra autrice preferita a dotare la sua protagonista sempre e perennemente di vestiti bianchi e sottovesti nere? Semplice: nel quarto libro di Black Friars ci sarà una rivisitazione mediaval-fantasy del concorso di Miss Maglietta Bagnata (Madamigella Corsetto Inzuppato?) e l’autrice non voleva che Eloise fosse presa alla sprovvista nel caso le arrivasse addosso una secchiata. Non si sa mai. Eloise è, infatti, una ragazza intelligente e previdente, nonché pura e casta come un giglio di fiume. Così casta che il suo fidanzato, a forza di vedere spuntare pizzi neri e slacciare corsetti, morirà cieco e con un braccio amputato.
Eloise, inoltre, deve avere un contratto molto vantaggioso con un servizio di lavanderia di altissimo livello se può permettersi di andarsene in giro ad infangare gonne bianche dalla mattina alla sera. In questo senso non ha fatto un gran affare a prendersi Axel: se si fosse messa con un Edward Cullen di turno avrebbe potuto farsi portare in giro a cavalcioni sulla schiena e non sporcarsi piedi e vestito.
“Choices, choices…” diceva la cara Anita Blake di tanto in tanto (qualcosa come tre o quattro volte a libro, finchè ho avuto lo stomaco di leggere).
Scelte. Come le scelte di quella che è diventata la seconda eroina del mostro cuore. Sofia. La Saggezza, se saggezza volesse dire andare metodicamente a cercarsi guai, ad esempio scavalcando davanzali vestita da uomo e girandosene per quartieri malfamati, con tale perseveranza e testardaggine che Harry Potter ed Hermione Granger si alzerebbero dagli spalti e si leverebbero il cappello, sentendosi anche un po’ in soggezione.
Cos’hanno in comune queste due bellezze della vecchia capitale? Semplice. Suggerire a queste due dolci creature di starsene chiuse in casa, al sicuro, a leggersi uno stramaledetto libro e bersi una dannata tazza di te, equivarrebbe a prestare la Porche nuova di zecca ad una bionda in minigonna e chiederle di stare attenta a non rigare i cerchi in lega quando parcheggia. Parliamone. E vorrei far notare un dettaglio: entrambe queste simpatiche fanciulle sono scure di capelli. Chiome nere come la pece.
Le bionde dell’universo DeWinteriano sono, al contrario, delle tipe toste, serie e dedite al proprio lavoro, a cui potresti chiedere di parcheggiare un camper in un vicolo in salita e star sicuro che te lo restituirebbero senza un graffio, anzi magari ripulito e disinfettato. Io a Lara Degret affiderei tutto, macchina, casa e gatto durante le vacanze. E a Megan pagherei per affidare la mia orda di studenti. Cara Virginia adorata, tanto valeva mettere in discussione la gravità, no? Cioè, se proprio dovevi sovvertire le leggi principali che governano il funzionamento dell’universo, potevi metterti a far cadere le mele verso l’alto: avresti evitato un bernoccolo a Newton e fatto meno danni. Nemmeno il mio amico panzone osa tanto: quella iena di Cercei Lannister ha degli attacchi di bionditudine non indifferenti, e Darling Daenerys è una bionda come i Sette comandano, dentro e fuori. E comunque, in dubbio su a chi affidare lo scovolino del cesso, senza dubbio sceglierei Cercei piuttosto che Sofia o Eloise: avrei il terrore di ritrovarmi un demone che esce dallo scarico.
Mentre Eloise non può chiamare nulla a sua difesa (forse l’ascendente? A quale infausta ora del giorno è nata quella povera disgraziata per essere destinata a diventare una tale calamita per i guai? Ah, dimenticavo, esattamente quattro secondi prima che Axel si innamorasse di lei, giusto. Un’ora decisamente infausta a mio parere – vedere il mio precedente elogio alla follia per una discussione articolata sulla fastidiosità del Prince Charming della situazione), Sofia almeno ha una scusante: è una Blackmore.
“E quindi?” vi starete chiedendo…
Ho letto abbastanza fantasy nella mia gioventù – sprecata, sosterrebbe qualcuno – per concludere che le saghe migliori hanno sempre origine perché una delle famiglie regnanti (o un dominio, o una dinastia nobiliare…) se ne porta a spasso i “geni della sfortuna più nera” attirando (o provocando) guai a profusione. È l’evento scatenante, senza uno sfigato non puoi costruire una storia che si rispetti. Una saga fantasy è vincente in proporzione a quanto un gruppo di protagonisti (imparentati tra loro) sono solerti ad attirar disgrazie. O a trovarcisi casualmente – sempre – in mezzo, direbbero loro.
Zia Javanne metteva cornetti alle finestre di Armida per tener fuori gli uccelli del malaugurio (che erano poi i legittimi padroni di casa), a Westeros se vedi uno Stark che se ne va in giro a preannunciare inverno, freddo, morte, estranei e che dir si voglia, ti tocchi le palle. Virginia ha trovato il suo personale gatto nero negli esponenti della famiglia Blackmore: te li trovi sul luogo del delitto con più frequenza di Bones e Boot e, per sicurezza, si portano appresso Eloise e Stephen per eventuali autopsie.
E qui sorge il problema.
Gli Alton sono longevi e coriacei ma, prima o poi, smettono di appestare il proprio prossimo.
Gli Stark, come è stato ampiamente dimostrato, si ammazzano con relativa facilità. Non è nemmeno strettamente necessario tagliare loro la testa, anche se, a quanto pare, è lo sport nazionale.
Alcuni esponenti dei Blackmore, invece, te li ritrovi sul gobbo per centinaia di anni. E anche quando non sono vampiri hanno comunque sangue “divino” per cui, come dire, ti senti un po’ in soggezione a farli fuori. Anzi, soprattutto se non hanno ancora fatto in tempo a riprodursi, ti senti quasi in dovere di salvarli (da loro stessi, più che altro).
Anche perché, ammettiamolo, come non amarli?

Come non amare Virginia e la sua cricca di pazzi scatenati?
Come non amare l’atmosfera dello Studium che quasi quasi mentre leggi ti aspetti di vedere un gruppetto di studenti seduti a terra a passarsi una canna e suonare una chitarra. Come non amare Christabel che, con la sua collezione di divise dello Studium farebbe sembrare i Cullen una ciurma di dilettanti?
Come non amare quell’atmosfera ospedaliera da Misericordia’s Anatomy, con le specializzande Granville che camminano ridacchiando per i corridoi aspettando di ricucire amorevolmente qualche aitante smandrappato?
Come non amare Bryce che fa un po’ l’Enzo Miccio della situazione, però più figo?
Come non amare lei, che ogni anno ci regala questo tuffo estivo in un mondo romantico e pericoloso, fiabesco ed inquietante, angosciante, passionale ed esilarante?
E allora tuffiamoci tra le nebbie del Presidio anche quest’anno (sentendoci un po’ come nella bassa ferrarese a Novembre, in effetti). Tuffiamoci in quest’ultimo capitolo che tra un paio di giorni sarà nelle nostre mani (e peserà nelle nostre borse, al punto che dovremo scegliere se portarci appresso quello o una bottiglia d’acqua, combattuti tra la sete di sapere e la sete e basta).

Auguro a tutti, anche quest’anno, buona lettura.

Diana Malaspina (alias Opalix)

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