Lo strambo uomo dello spazio.

di KikoChan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Dottore, la ragazza e il quadernino ***
Capitolo 2: *** Gli angeli. ***
Capitolo 3: *** Dialogo muto. ***
Capitolo 4: *** Il Capitano Jack Harkness. ***
Capitolo 5: *** Il Weevil. ***
Capitolo 6: *** La quiete prima della tempesta. ***
Capitolo 7: *** L'inizio. ***
Capitolo 8: *** Il racconto del Dottore. ***



Capitolo 1
*** Il Dottore, la ragazza e il quadernino ***


"Brrr, fa freddo" pensai, ma nonostante tutto, sentii che non era ancora il momento di alzarsi e andarsi a riparare in qualche posto. Chiusi il mio quadernino e lo riposi nella tracolla.

Restai per un po' con lo sguardo vacuo, perso nella pioggia che cadeva insistente. Ormai Richmond Park era la mia seconda casa, e il decimo albero a sinistra dell'entrata era il mio posto sicuro. Era riparato da due piccoli cespugli, mi potevo sedere tranquillamente e vagare con la testa, o scrivere sul mio quadernino blu, fido compagno di avventure mai avvenute, senza che nessuno sapesse della mia presenza, tranne il custode, ovviamente.

"Ehy piccola, guarda che il parco chiude!" disse Josh, il custode.

Josh era un uomo di colore sulla cinquantina, la barbetta bianca e brizolata gli incorniciava il volto. Aveva gli occhi scuri e dolci di chi nella sua vita ha dato e ricevuto tanto amore.

"Tranquillo, io resto ancora qui" dissi. Ormai era abitudine restare lì fino a dopo la chiusura, e Josh me lo lasciava fare, perché gli piacevano tanto le mie storielle, che erano tutte ispirate da quel magnifico posto sicuro.

"Fai attenzione, mi raccomando!" urlò uscendo dal cancello. "Non ti preoccupare, ci penserà lo strambo uomo che viene dallo spazio a salvarmi!" entrambi ridemmo. "Salutami tanto la tua signora, Josh!" "Sarà fatto!".

Detto ciò, Josh scomparve tra la pioggia di Londra.

Sospirai e tornai a guardare la pioggia accompagnata da una canzone dei Good Charlotte, Emotionless.

Io scrivevo spesso di quell'uomo. Lui veniva dallo spazio, era un uomo triste e solitario. Portava un grande fardello dentro sè e a fatica riusciva a fidarsi di qualcuno, mascherava il suo nome dietro ad un semplice "Dottore".

Fantasticai ancora un po' su quell'uomo.

 

"It's been a long hard road without you by my side."

 

Quella frase mi riportò con i piedi per terra. Quella canzone mi toccava sempre nel profondo, perché parla di un padre che ha abbandonato i figli, proprio come fece il mio.

Ingoiai le lacrime e presi il mio quadernino. Cercai la penna, ma non la trovai.

"Ma dove cavolo...?" cercai ancora nella borsa, ma niente.

"Che brutta testa di coccio che sono, devo smetterla di avere la testa tra le nuvole... "

"Cerchi questa?" , una mano mi porse la penna che cercavo, la voce era leggermente acuta, ma piacevole.

Presi la penna, mi bloccai. "Ma dovrei esserci solo io qui" pensai. Risalii la mano, piano, esaminando i dettagli. Il cappotto marroncino ricadeva leggermente largo sul polso elegante, una scarpa tipo Converse rossa faceva capolino nella visuale, vidi un completo gessato blu.

Trasalii.

Alzai lo sguardo, un sorrisetto spavaldo sul suo volto, gli occhi castano scuro mi guardavano sorridenti, i capelli scompigliati castani gli conferivano un'aria giovane.

Nonostante l'aspetto da giovane uomo, i suoi occhi erano vecchi.

Sgranai gli occhi.

"Cosa?" fece l'uomo sempre col suo sorrisetto spavaldo.

"...Tu...io...ecco...TU!"

"Mi sa che il TARDIS dev'essersi rotto. Non traduce la tua lingua."

"...Dottore?" sussurrai

"In persona, molto piacere" mi strinse la mano, poi facendosi serio disse "Ma come fai a saperlo?"

"Tu... non sei reale!" dissi in preda alla confusione, balzando in piedi.

"Oh, santo cielo. Mi vedi, come faccio a non essere reale?"

"Perché tu sei una mia invenzione...! Vedi...?" dissi tirando fuori il mio quadernino blu.

Con fare delicato lo prese, si infilò un paio di finti occhiali da vista e lo esaminò.

"Questo... questo è molto strano" disse con aria pensierosa, togliendosi gli occhiali e guardandomi con aria interrogativa.

"Quegli occhiali manco ti servono..." ridacchiai un po'.

Il suo sguardò restò fisso su di me, sempre con aria interrogativa. "Non mi capacito. Come facevi a sapere tutte queste cose su di me...? Le mie abitudini, il mio aspetto... tutto questo...tutto questo è molto strano"

"Cavolo, devo essermi addormentata ancora. E' un sogno, vero? Ora mi sveglierò e tu non ci sarai...come sempre."

"Sono reale, te lo assicuro. E tutto questo è molto strano..." fece ancora quell'espressione interrogativa e aggiunse "...Posso sapere il tuo nome?" "Margherita. Sono italiana." "Come mai qui a Londra?" "Ho sempre sognato di vivere qui..." "E come mai, se posso sapere?" "Sono stata qui un'estate e me ne sono innamorata; i paesaggi suggestivi, la pioggia..." "Sei una scrittrice?" "Spero di diventarlo" risi imbarazzata, non lo avevo mai confidato a nessuno. "Per ora sono una stupida ragazzina piena di fantasia" "Oh, nessuno è stupido! Voi umani siete così affascinanti... le vostre espressioni, i vostri complessi... TUTTO!" si entusiasmò. "Si si, tutto questo è molto sorprendente...ma adesso mi vuoi spiegare perché nel MIO quadernino c'è scritto di TE?"

Mi guardò con aria divertita "Non lo so, e lo adoro!"

Ci guardammo per un attimo e poi scoppiammo a ridere.

"Devo essere impazzita" dissi continuando a ridere.

"Ti stai bagnando tutta, cosa ci fai qui mentre piove?" disse toccandomi i capelli ormai fradici.

Rimasi un attimo attonita, poi mi ripresi e gli dissi "Ma dunque, che ci fai qui a Londra?"

"Non lo so..." disse con aria pensierosa guardando un punto. "Ma credo di averlo scoperto. Vieni con me presto, corri!".
Detto ciò mi prese la mano e iniziammo a correre verso il centro del parco, dove una statua che prima non c'era, ci fissava immobile.

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Capitolo 2
*** Gli angeli. ***


La statua era lì. Imponente.
Sembrava guardarci con aria di sfida. No, non guardava il Dottore.
Lei guardava me.
Arretrai. Il Dottore mi mise una mano sulla spalla.
"Hai paura?" mi disse.
"Li conosco. Gli angeli piangenti..." risposi con voce tremante. "...ma non ho paura." aggiunsi d'un fiato.
Avevo detto una bugia e il Dottore credo se ne accorse.
"Ma... perché guarda te?" disse lui osservando la statua con aria interrogativa. "Sembra voglia...sfidarti?" aggiunse ancora più confuso.
Gli occhiali spessi, effettivamente, gli davano un'espressione molto intelligente.
Strizzava gli occhi, sovrappensiero. Le rughe d'espressione attorno ai suoi occhi pensierosi erano molto marcate, le labbra curve sembravano voler parlare.
Il Dottore si avvicinò a me.
“Mi raccomando non smettere di fissarlo. Devo controllare una cosa.” Disse velocemente con voce scura e bassa.
Tenni i miei occhi fissi sulla statua, cercando di non fissarla negli occhi.
Potevo vedere il dottore con la coda dell’occhio puntarmi il suo cacciavite sonico. Il suo cappotto ondeggiava su e giù elegante, insieme al suo braccio; scorsi una smorfia mentre guardava il cacciavite.
“Dunque?” dissi sempre tenendo gli occhi sull’angelo.
“Dunque è strano. Il cacciavite impazzisce. Dice che sei umana, ma allo stesso tempo non ne è sicuro.” alzò un po’ la voce.
Si piazzò davanti a me. “Chi sei tu. O meglio, cosa sei?” disse quasi sussurrando.
Cercavo di tenere gli occhi fissi sulla statua, ma qualcosa mi impediva di distogliere lo sguardo dal Dottore e dai suoi occhi scuri e tristi.
Mi accorsi di una lacrima che scendeva lenta sul mio viso.
“Ma cosa…?” asciugai la lacrima con l’estremità della felpa.
“Oh. Questo si aggiunge alla lista delle cose strane.” dopo questa frase il Dottore sorrise e mi fece una carezza sulla testa.
Fece per prendere fiato quando sentimmo una voce in lontananza.
La voce era molto bella e sensuale, qualcosa la rendeva anche spiritosa e piacevole come quella del Dottore.
“Adesso ti piacciono italiane, Dottore?” disse quella voce. Non potevo guardare, altrimenti l’angelo si sarebbe mosso.
“Oh. No. Non tu.” replicò lui con voce quasi disperata.
“Che bell’accoglienza per un amico, non mi stupisco che tu sia sempre solo.” rispose l’uomo di cui non sapevo l’identità.
“Ehm, non per fare la guasta feste, ma… non mi sembra esattamente il momento di fare scenate del genere… sarei messa leggermente male.” dissi cercando di mantenere la calma.
Una mano grande si posò sulla mia testa. Sentii un respiro avvicinarsi al mio orecchio.
“Hai ragione.” sussurrò l’uomo. “ Non ti preoccupare, il capitano Jack Harkness è qui per te, dolcezza.” aggiunse.
Vidi il Dottore guardare l’angelo. Mi voltai di scatto per vedere chi avevo vicino.
Un uomo sulla trentina, alto e con delle belle spalle larghe. I capelli neri e scompigliati e gli occhi azzurri lo rendevano davvero carino. Aveva una camicia azzurra con delle bretelle, raccolta dentro i pantaloni neri.  Il cappotto mi colpì particolarmente, era un cappotto nero simil seconda guerra mondiale. Su di lui stava molto bene, rendendolo molto attraente.
Mi guardava con un sorriso radioso.
Rimasi a bocca aperta, non perché fosse particolarmente carino, ma perché tutti questi avvenimenti mi stavano comprimendo il cervello.
“Tutto bene?” disse sempre sorridendo.
“Oh, si. Si, si. Benissimo! Un uomo di cui ho scritto sul mio quadernino e che viaggia nello spazio su una cabina blu, di punto in bianco si materializza qui. E non solo! Anche gli angeli piangenti! E poi arrivi tu. Ora che altro succederà? Verrò rispedita indietro nel tempo?” dissi istericamente.
Jack sbiancò. “Dietro di te” disse.
Mi voltai di scatto, in tempo per vedere altre due statue spuntare dagli alberi. Statue che non c’erano prima.
“Ce ne sono altri.” disse il Dottore. “Non sbattete le palpebre, mi raccomando!” indietreggiò fino ad arrivare vicino a me e al capitano.
“Dottore, altri!” urlò Jack.
Eravamo circondati.
Senza pensarci due volte strinsi la mano del Dottore, in un gesto che voleva esprimere tutta la mia paura.
“Stai tranquilla” disse con voce soave “ti prometto che ti porterò in salvo.”
“Fidati del Dottore. Lo fa sempre.” aggiunse Jack raggiante.
“Perché sono qua?” si chiese il Dottore parlando fra sé e sé.
Il Dottore mi guardò, poi guardò gli angeli. “Stanno guardando te. Vogliono te. O meglio, credo vogliano la tua energia vitale. Come se… No, non è possibile.” disse con aria interrogativa.
“Cosa?” mi voltai per guardare il Dottore.
Sentii una leggera pressione sulla schiena.
L’angelo. Non avevo tenuto d’occhio l’angelo.
Sbiancai.
“No!” urlarono Jack e il Dottore, poi un lampo.
Mi trovai catapultata in un campo di grano.
Davanti a me, lo stesso angelo che mi aveva spedita in quel posto.

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Capitolo 3
*** Dialogo muto. ***


L’angelo era lì e mi fissava.
Indietreggiai facendomi spazio fra le spighe di grano gialle che ondeggiavano lentamente al vento. Arrivai al tronco di un albero rigoglioso.
Mi appoggiai al tronco e continuai a fissare l’angelo. “Cosa volete da me?” dissi con la voce che tremava.
Ovviamente, non ottenni risposta. Gli angeli hanno bisogno di un corpo per poter parlare.
Osservai attentamente l’angelo. I lineamenti di pietra erano delicati e fini, gli occhi senza espressione lasciavano trapassare freddezza e solitudine.
Già , gli angeli sono le creature più solitarie del mondo, non possono guardarsi , non possono toccarsi.
Quasi mi venne da piangere al solo pensiero, ma mi trattenni.
“Cosa volete?! Ditemelo!” Ci riprovai.
Ancora niente. Era un dialogo muto.
Provai a sbattere le palpebre, ma l’angelo non si mosse.
“Questo è strano...” pensai.
“No. Non è strano.” Disse una voce dentro la mia testa. Sobbalzai, mi accasciai a terra per il dolore alle tempie.
Ero scioccata. Chi aveva parlato?
Sentii il mio battito accelerare; l’angelo era sempre lì, immobile, con il sole che leggero si posava su di lui, facendo un gioco di ombre emozionante.
 Mi guardai intorno. Il campo di grano era immenso, un muretto di mattoni rossi segnava il confine con una immensa prateria.
Apparte il venticello leggero e le spighe, io e l’angelo eravamo soli.
Mi rialzai frastornata.
“Ma che diavolo...?” dissi con la voce impastata. “Possibile che...? No, no. Figuriamoci.” Dissi fra me e me.
“Tutto bene?” ancora quella voce.
Una voce senza sesso. Spaventosa e fredda.
“Questo è un collegamento psichico.” Continuò la voce.
“Chi sei?” dissi spaventata.
“Sono l’angelo Gabriel. Sono davanti a te.”
Sbarrai gli occhi, sentii le gambe cedermi e le tempie farmi male. Mi accasciai a terra tenendomi la testa.
Urlai dal dolore.
Un angelo che crea un collegamento psichico con una vittima? Non potevo crederci.
“Perché fa così male...?” dissi a fatica.
“Perché il collegamento psichico è nella tua memoria repressa.” La voce non accennava emozioni.
“Memoria...repressa?”
Un’altra fitta, sta volta più forte. Come se qualcosa cercasse di tornare a galla dagli abissi più oscuri dei miei ricordi, come se non volessi ricordare.
“Io e te abbiamo già avuto una discussione, prima di quel giorno.” Continuò l’angelo.
Gli angeli sono creature molto eleganti, sia nell’aspetto che nel modo di uccidere.
Ma di solito non sono creature molto chiacchierone, per questo ero frastornata e spaventata.
Rimasi a terra e osservai l’angelo senza dire niente. Il cielo si stava annuvolando e il sole di poco prima stava svanendo.
L’aria si fece più fredda.
“Non capisco.” Dissi infine.
“Non devi capire, devi solo ascoltare.”
“Mi vuoi uccidere?”
“Si. Sono costretto. La tua energia vitale è molta. Se presa insieme a quella del Dottore ci consentirebbe di dominare l’universo. Ti sto dando la possibilità di ricordare chi sei prima di morire.”
“Ma io non ti ho mai visto!” esclamai sempre più confusa.
“Dunque è vero.” Disse l’angelo.
“Cosa...?” Ancora una fitta alle tempie. Strinsi i denti.
“Ricordati. C’erano fiamme.”
La testa mi fece ancora più male, quasi come se volesse esplodere. L’immagine delle mie mani ricoperte di sangue mi tornarono in mente.
Sussultai e il dolore divenne insostenibile. Iniziai a vedere tutto sfocato.
Vidi l’angelo avvicinarsi, non avevo la forza di muovermi.
“No!” urlai.
Poi uno sparo, il rumore di qualcosa che va in mille pezzi. Non vidi nulla se non il giallo acceso del grano.
Non sentii nulla se non il suolo duro che si scontrava con il mio viso.
Non toccai nulla se non la pioggia fredda che iniziava a cadere.
Persi i sensi.

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Capitolo 4
*** Il Capitano Jack Harkness. ***


Mi risvegliai. Era tutto buio, distinguevo solo la luce della luna che filtrava da una finestra di legno semi aperta.
Ero sdraiata su un materasso non molto comodo. Scorsi una luce fioca provenire da quella che sembrava una porta socchiusa.
Restai ancora un po’ immobile nel letto a rimettere in ordine le idee; mi sentivo davvero frastornata.
“Cos’è successo all’angelo?” pensai. “Sono viva, giusto?”
Mossi le gambe per testare la mia ipotesi. “Si, si. Le gambe ci sono. Sono viva. Ma dove sono?”  pensai sempre più confusa.
Mi misi a sedere, mi girava tutta la testa.
Mi cadde l’occhio sulla biancheria del letto. Era bianca, normale, quasi ottocentesca.
Gli occhi si abituarono un po’ al buio  riuscii a scorgere qualcosa di più.
Accanto al letto c’era un comodino di legno e sopra vi era una copia sgualcita della Bibbia.
Mi alzai frastornata e mi accorsi di non avere i miei vestiti, ma una sottoveste bianca e lunga più o meno fino alle ginocchia, le maniche lunghe aderivano ai polsi.
“Ma che cavolo...?” pensai.
Senza fare rumore andai verso la porta dalla quale proveniva la luce.
Vidi che era socchiusa, ma non riuscivo a vedere niente. Così la spinsi con delicatezza e entrai.
C’era un uomo seduto di spalle ad una scrivania in legno, la camicia azzurra e i capelli neri e corti, un po’ spettinati.
Lo guardai meglio e ricollegai gli avvenimenti.
“Capitano?” dissi confusa.
“Meno male, sei sana e salva. Aspettavo che dicessi qualcosa, credevo non mi riconoscessi dopo quello che è successo.” Disse con una punta leggera di allegria nella voce.
Si voltò, sorrise e mi fece cenno di avvicinarmi.
Esitai un attimo. Non ci capivo niente.
Guardai l’ambiente circostante.
Vi era una grande mappa appesa alla parete sotto la quale si trovava la scrivania, a destra, subito vicino alla sedia su cui era Jack, vi era una libreria, zeppa di libri impolverati. Alla sinistra vi era un semplice attaccapanni in legno, con la giacca del capitano sopra.
La luce proveniva da un piccolo lume ad olio posato sulla scrivania di Jack.
Ero sempre più confusa, mi sembrava di essere davvero  nell’ottocento.
“Si, la sottoveste ti dona molto.” Disse d’improvviso, sempre sorridendo.
Arrossii per l’imbarazzo e finsi di  guardarmi intorno.
Io non sapevo niente di lui, non è mai apparso nei miei racconti.
“Allora, ti avvicini o no?” disse toccando una sedia che prima non avevo visto.
Mi feci coraggio e mi andai a sedere vicino a lui, ad ogni passo esaminavo i suoi occhi azzurri. Continuavo a sentirmi strana. Ero in una stanza con un perfetto sconosciuto, che probabilmente, mi aveva spogliata per mettermi quella sottoveste.
Mi sedetti sulla sedia e lo guardai. Il suo sorriso si fece più ampio.
“Bel modo di conoscerci, vero?” disse allegramente e con fare ammaliante.
“Dove siamo? E i miei vestiti?” replicai diffidente.
“Siamo nell’Inghilterra dell’Ottocento, i tuoi vestiti sono ad asciugare e, prima che tu me lo chieda, si ti ho visto in biancheria intima. Quel reggiseno viola è davvero carino!”
Mi portai una mano sul viso per pensare.
“Ok, sorvoliamo la parte del reggiseno. Di chi è questa casa?”
“Era una delle basi del Torchwood, l’hanno dovuta abbandonare in seguito ad un attacco dei cyberman, ma ora è sicura.” Disse guardandomi stranito.
“Capisco. Il Dottore?”
Non rispose, mi fissò soltanto.
“Non ti chiedi come facciamo ad essere nell’ottocento? Non mi sembra normale.”
Pensai un attimo. Io non sapevo niente di lui, ma lui non sapeva niente di me. Eravamo nella stessa situazione.
“Io... conoscevo già gli angeli.” Dissi esitando.
“Spiegami.” Fece lui incuriosito.
Spiegai a Jack tutta la storia del quadernino. Lui mi guardò confuso.
“Tu hai scritto del Dottore... ma per caso hai scritto anche di qualche suo compagno?”
“L’unica compagna nelle mie storie è stata Rose Tyler, ma di lei non ho scritto molto... come se fosse scomparsa da un giorno all’altro.”
Jack si drizzò e sbarrò gli occhi.
“Rose Tyler...?”
“Si.”
“E’ realmente esistita. E’ scomparsa improvvisamente perché il Dottore l’ha dovuta...”
Esitò un attimo.
“Lo so, l’ha dovuta chiudere in un universo parallelo per salvarle la vita. Lo dice in un dialogo in una delle mie storie...” dissi confusa quanto lui.
“Hai scritto di Rose Tyler ma non di me, come se tu avessi già conosciuto il Dottore, Rose, gli angeli e tutto il resto, ma non avessi conosciuto me.”
“E’ strano...” dissi
“Già.”
Restammo un attimo in silenzio.
“Ma come mai sono viva? Come mai sei qui?”
“Sono arrivato in tempo per distruggere l’angelo, è stata l’unica cosa che sono riuscito a fare.”
“Ma... il Dottore? Perché lui non è qui?”
Mi guardò dolcemente. “Il mio trasporto basta per una persona sola, lui me lo ha impostato in modo che seguisse la tua scia. Siccome il Tardis non ci può raggiungere subito perché si distruggerebbe l’universo, dobbiamo aspettare almeno 24 ore per mandargli un messaggio e farci trovare.”
Mi morsi il labbro pensierosa.  Jack aggrottò le sopracciglia.
“Cos’è successo con l’angelo?” disse serio.
“Non...non lo so.” Sospirai. “Ha iniziato a parlarmi nella testa, dicendo che il collegamento era già nella mia memoria...diceva di conoscermi...” iniziò a farmi male la testa.
Mi portai le mani sulle tempie e strisi gli occhi. Il viso sorridente del Dottore mentre guardava il tramonto mi venne in mente.
Gemetti per il dolore e mi accovacciai sulla sedia, Jack si alzò e si accucciò vicino a me. “Tutto bene?” disse mettendomi una mano sulla schiena.
Il dolore passò. Annuii frastornata.
Alzai gli occhi e i nostri sguardi s’incrociarono.
“Dunque... lui ti comunicava tramite collegamento psichico.” Disse senza aspettarsi risposta. “Dobbiamo assolutamente trovare il Dottore.” Continuò alzandosi e andando verso la scrivania.
“E come faremo?” dissi
“Non ne ho idea. Ma ce la faremo.” Mi guardò sorridente e speranzoso.
Il mio sguardo si fece preoccupato.
“Andiamo, piccola! Sono il Capitano Jack Harkness! Posso tutto!”
Sorrisi e poi scoppiai a ridere.
“Che situazione strana!” dissi sempre ridendo.
“Finalmente sei di buon umore!” disse Jack sorridendo.
Tornai seria.
“Dunque ti piace il mio reggiseno?”
“Si, decisamente!”
“Maniaco. Come ti sei permesso di spogliarmi?”
Restò un attimo in silenzio. Risi di nuovo. “Sto scherzando! Grazie per avermi salvata.”
“Dovere.”
Ci fu un momento di silenzio.
“Come mai ti trovavi nel parco dove eravamo io e il Dottore?” chiesi incuriosita.
“Ero alla Unit, quando le mie attrezzature sono impazzite. Siccome io e il Dottore siamo amici di vecchia data... “ sorrise “Sono corso da lui, solo che, insieme a lui, ho trovato te e gli angeli. E ammetto che avrei preferito trovare solo te.” Rise un po’.
“Come facevi a sapere che sono italiana?”
“L’accento la dice lunga.” Disse facendomi l’occhiolino.
D’un tratto sentimmo un urlo, poi uno schianto.
Ci guardammo sopresi e senza dirci niente ci avviammo entrami verso la porta. Jack mi prese per mano e mi guidò fuori.
Quello che si presentava alla nostra vista, nel cuore della notte, era spaventoso.

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Capitolo 5
*** Il Weevil. ***


Ai miei occhi era così spaventoso, da non riuscire a muovermi.

Tre esseri rugosi, simili a esseri umani, con gli occhi incavati e scuri e la bocca piena di denti aguzzi e spaventosi, si scagliavano su una donna.

Cercava di dimenarsi, ma in tempo zero smise di muoversi e quegli esseri la divorarono.

Lasciai la mano di Jack e arretrai, portandomi le mani sulla bocca per trattenere un grido di terrore.

Gli esseri si girarono verso noi, e ci guardarono con aria cattiva.

"Cosa...?" articolai tra lo stupore e lo schifo.

"Sono Weevil. Come i Dalek, conoscono solo la rabbia." disse il Capitano senza distogliere lo sguardo dalle bestie.

"Cosa facciamo?" Chiesi spaventata.

"Torna nella base. Dove eravamo prima dovrebbe esserci una porticcina nascosta dalla mappa. E' uno stanzino. Dovrebbero esserci delle armi che ho lasciato qui per qualsiasi evenienza. Prendile e portamele."

Annuii e corsi in casa. Arrivai nella stanza, strappai la mappa e trovai la porticcina menzionata da Jack. La luce soffusa mi impediva di vedere bene, così afferrai tutto quello che potevo.

Guardai il mio bottino prima di correre nuovamente fuori. Avevo due pistole argentate lucide, pesanti ma maneggevoli, un...

Guardai meglio quell'oggetto. Ne accarezzai l'estremità in legno liscio.

Lo avevo già visto.

"Blaster...sonico..." sussurrai senza sapere come.

Era il nome di quella strana arma futuristica?

Comunque, non era momento per delle riflessioni. Mi precipitai fuori, arrivata all'uscio mi resi conto di essere scalza e con solo una sottoveste.

Sospirai rassegnata e corsi a dare le armi a Jack.

"Oh, brava!" Disse guardando ciò che avevo tra le mani e sorridendomi.

"Sono in sottoveste." ribattei guardandolo truce.

"Si, e riesci a correre, no?"

"Si..." dissi incerta.

Il Capitano sorrise, e non so perché, mi sentivo inquieta.

Mi diede in mano la pistola. "Sai usarla?" chiese.

"Ovvio che no! E poi il Dottore non vorrebbe!" dissi guardando l'arma.

Rise. Riprese la pistola e mi diede in mano quello che prima avevo chiamato Blaster Sonico.

"Basta che premi qua." disse facendomi vedere.

"Cosa dovrei farci?" chiesi incredula.

"Come cosa?" sorrise. I suoi occhi azzurri si illuminarono di una luce strana. Divertimento e sadismo assieme. "Ovvio! Dobbiamo attirare i Weevil fuori dal centro abitato... quindi..."

"Devo correre." dissi seria.

"Esatto!" disse il Capitano più radioso che mai.

"Oh. Ti odio!"

"No che non mi odi!" rise.

Lo guardai con occhi pieni di finta rabbia e iniziai a correre verso la campagna.

Un Weevil mi seguì. Jack doveva aver attirato gli altri due in un altro posto.

Mentre correvo, sentivo l'aria fredda asciugare il sudore. L'erba verde e bagnata della brina notturna rischiava di farmi scivolare, non vi erano stelle in cielo e la luna era quasi oscurata dalle nubi grige.

Avrebbe piovuto di lì a poco.

Era così buio che faticavo a vedere e il fiato cominciò a bruciarmi in gola; il mio cuore accellerava i battiti e le gambe mi facevano male.

Ma non mi fermai.

Guardai dietro di me, il Weevil mi stava dietro senza fatica. Disperata, guardai il Blaster.

No, non dovevo ucciderlo. Era pur sempre un essere vivente, anche se pieno di rabbia.

Finalmente, davanti a me, apparve in lontananza un casolare abbandonato.

"Forse..." pensai "Forse potrei riuscire a intrattenerlo finché Jack non verrà a prendermi."

Non so perché, ma mi fidavo ciecamente di Jack.

Intanto, il casolare era sempre più vicino. Arrivata, abbattei la porta con un calcio e mi feci male al piede che iniziò a sanguinare. Delle botti di ferro e delle travi, erano abbandonate lì. Dal soffitto penzolavano delle corde.

Sentivo il Weevil arrivare.

Fortunatamente sono sempre stata piuttosto agile, così mi aggrappai ad una corda e iniziai a salire fino ad arrivare ad un cornicione abbastanza largo che sembrava quasi il rimasuglio di un soffitto.

Ondeggiai sulla corda fino ad arrivare lì. Guardai in basso. Il weevil rimase a guardarmi e a urlare, a quanto pare non si poteva arrampicare.

Mi capitò di guardarlo negli occhi, e sentii una tristezza immensa. Quasi come se mi leggesse dentro.

D'un tratto il Weevil si zittì e rimase a fissarmi, immobile.

Lo guardai anch'io, non capivo perché di punto in bianco si fosse zittito così. Non cercava più di uccidermi?

Le assi di legno scricchiolavano sotto il mio peso. Dovevano essere state esposte alle intemperie per troppo tempo e ora stavano crollando.

Il battito cominciò ad accellerare e ebbi per la prima volta la sensazione di morire.

Il Weevil iniziò una specie di lamento, come un pianto disperato. Quasi come se soffrisse dannatamente per una situazione che solo lui conosceva.

Quel lamento mi colpì dritta al cuore e sentii il petto stringersi, come se cercasse di trattenere un pianto isterico. Mi faceva pena.

La trave s'inclinò e infine si ruppe, non ebbi il tempo di capire cosa successe che mi ritrovai tra le braccia di Jack.

"Presa!" esclamò sorridendomi.

Mi rimise a terra e entrambi guardammo il Weevil. Mi guardava e piangeva, sempre con quelle grida di straziante dolore. Come se si aspettasse un aiuto da me.

Il piede che stava ancora sanguindando mi fece male. Mi accasciai lievemente, ma tornai in posizione eretta subito.

"Tutto bene?" chiese Jack.

Annuii decisa.

D'un tratto un rumore familiare.

Io e Jack ci guardammo con gli occhi sbarrati, il Weevil non accennava a smettere di lamentarsi.

Corsi fuori, in tempo per vedere il Tardis materializzarsi.

La porta si aprì, il Dottore si affacciò dalla porta, uscì e rimase sull'uscio. Il mio cuore ebbe un sussulto, lo guardai incredula e corsi verso lui, lo vidi sorridere di cuore e spalancare le braccia.

Mi strinsi a lui con tutta me stessa. Ero così felice di vederlo.

Ci guardammo e mentre stavo per pronunciare qualcosa, sentimmo uno sparo.

Mi girai verso il casolare.

"Jack!" urlai e corsi dove lo avevo lasciato.

Il Weevil era riverso a terra, ancora vivo ma agonizzante.Jack sanguinava dalla guancia. Mi inginocchiai accanto a lui e guardai il Capitano con aria interrogativa.

"Mi sono difeso, quando te ne sei andata è impazzito."

Il Dottore corse subito accanto a me, ma il Weevil lo cacciò con un urlo secco.

"Vuole comunicare con lei." disse il Dottore stupito.

Il Weevil piangeva agonizzante tra le mie braccia. Tremavo. Non sapevo cosa fare.

Vidi il Dottore con la coda dell'occhio studiare la situazione. Guardai Jack, ma nemmeno lui capiva.

Lo accarezzai, "Shhh, va tutto bene." gli sussurrai per tranquillizzarlo.

La creatura alzò una mano verso me, e toccò il ciondolo a forma di drago che pendeva dalla mia collana.

Era un drago in ferro, molto vecchio. Aveva uno zaffiro al posto dell'occhio. E, che io ricordi, è sempre stato con me.

D'un tratto un ringhio uscì dalla sua bocca, si rialzò e si buttò sopra di me, mi immobilizzò a terra.

Il pavimento duro si scontrò con la mia nuca, ma non sentii particolare dolore.

Cacciai un urlo, vidi il Dottore correre per mandare via il Weevil, ma uno sparo lo fece cadere esanime accanto a me.

Guardammo entrambi Jack.

"No, io non sono stato." disse più stupefatto di noi.

"Sono stato io." la voce di un uomo alle nostre spalle.

Non feci in tempo a guardarmi alle spalle che mi accorsi della mia testa che perdeva sangue.

Dovevo averne perso molto, perché sentivo la vista annebbiarsi.

"Dott..."

Persi ancora i sensi.

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Capitolo 6
*** La quiete prima della tempesta. ***


Quando rinvenni, era mattina.

Ero alla base del Torchwood, il sole filtrava leggiadro dalla finestra, illuminando la stanza che avevo visto solo in penombra.

Mi misi a sedere, mi girava la testa.

Mi sentivo stringere le tempie; con una mano, le toccai. C'era una garza ad avvolgermi la testa.

Gli avvenimenti della nottata precedente si fecero largo nella mia memoria. Già, avevo perso sangue dalla testa, per questo ero svenuta.

Tirai via le coperte che sembravano essere di raso bianco. Furono confermate le mie tesi. Avevo tutte le gambe graffiate e il piede che mi ero ferita, fasciato.

Sospirai e mi guardai nuovamente intorno. La Bibbia che era sul comodino, era stata sostituita da un bicchiere d'acqua e da una rosa.

Presi il bicchiere e bevvi a piccoli sorsi, mentre sentivo gli uccellini cinguettare.

Notai un pezzo di carta piegato. Lo aprii e lessi ciò che vi era scritto. Era una calligrafia mascolina, ma elegante. Probabilmente di Jack.

Siamo a portare via i corpi dei Weevil. Non alzarti per nessun motivo!”

Prese a farmi nuovamente male la testa, perché i ricordi tornavano violenti.

“Ah!” esclamai per colpa del dolore. Poi ripensai meglio a ciò che era successo.

L'uomo! Quell'uomo che aveva ucciso il Weevil!

Chi era? E dov'era adesso?

Presa dallo sconforto misi le gambe fuori dal letto, inspirai ed espirai per farmi forza e poggiai i piedi al pavimento.

Mi diedi lo slancio per alzarmi, con una mano mi tenni al comodino per non cadere.

Per qualche secondo tutto roteò intorno a me. Poi mi calmai e mi guardai. Avevo una sottoveste diversa dalla precendente. Evidentemente l'altra era stata messa a lavare.

Andai verso la finestrella di legno e mi affacciai. Il sole era dolce e non scottava. La rugiada sull'erba brillava e tutto era tranquillo. Nessuna traccia degli avvenimenti della sera precedente.

Era tutto sparito. Compreso il pianto lamentoso di quel povero essere.

Mi si strinse il cuore al pensiero. Poverino, chissà cosa voleva dire.

Uscii dalla stanza e scesi delle scale in legno che a ogni passo scricchiolavano. Di sfuggita, avevo visto un cucinino ieri.

Arrivata al fondo della scalinata mi guardai intorno. La luce del giorno illuminava quel casolare vuoto. Vi erano stanze enormi con solo una scrivania e qualche poltrona.

Vagai per un po' in cerca di quel cucinino.

Lo trovai infondo al corridoio, vicino alla porta d'ingresso.

Era tutto così antico e bello. Mi era sempre piaciuta quell'epoca.

Nella dispensa trovai qualche biscotto fuori epoca e delle erbe per fare il tè.

Chissà com'era la vita qui, alla base?

Feci il tè e mi misi a mangiare passivamente quei biscotti.

“Chissà quando torneranno.” pensai. “Chissà quanti insulti mi prenderò per essermi alzata dal letto senza seguire i loro ordini.”

Mi raddrizzai sulla sedia.

“Mah. Peggio per loro.” dissi.

Finita la pseudo colazione, lavai il bicchiere che avevo usato e rimisi i biscotti nella credenza.
“Chissà dove saranno i miei vestiti...” pensai.

Mi toccai nuovamente la testa e sentii che avevo ancora le garze. Con delicatezza me le tolsi e le posai sul tavolo.

“Ora.” dissi “andiamo a cercare sti cavolo di vestiti. Non ne posso più di ste sottovesti.”

Vagai per trenta minuti buoni tra stanze e stanzini, fino a chè non arrivai ad una stanza che sembrava un lavatoio. Lì trovai i miei vestiti asciutti e profumati.

L'idea di Jack che lavava i miei vestiti mi fece ridere di gusto.

Mi tolsi la sottoveste e infilai i miei jeans, facendo attenzione a non toccare troppo le ferite. Misi la t-shirt e la felpa cercando di non fare movimenti troppo bruschi.

Poi, presi la sottoveste e la ripiegai accuratamente, mettendola insieme ai vestiti che erano nel lavatoio.

Decisi di leggere qualcosa. Tornai nella stanza dove avevo incontrato Jack ieri notte e scelsi un libro dalla copertina sgualcita.

Tornai giù di sotto e spostai una poltrona da una delle stanze, vicino all'ingresso. Mi sedetti e iniziai a leggere; presa da quell'inglese un po' antico, da quei personaggi così simili a me e da quella storia così dolce e passionale, non mi resi conto del tempo che era passato.

La storia mi stava addolcendo tantissimo, tanto da farmi sentire la mancanza del Capitano e del Dottore.

Proprio mentre mi apprestavo a leggere l'ultimo capitolo, la portà si aprì.

Jack e il Dottore si materializzarono sorridenti.

Mi guardarono con sguardo canzonatorio.

“Cosa stai facendo qui?” disse il Capitano.

“Dovresti essere a letto.” finì il Dottore.

Scossi la testa e sorrisi di cuore, andai loro incontro e li abbracciai fortissimo.

“Chiedo perdono, ma non è da me restare a letto senza fare niente ad aspettare due uomini!” dissi.

Incontrai lo sguardo del Dottore e restammo in silenzio per qualche secondo.

“...e poi...” continuai sempre guardando il Dottore “...dovevo trovare il modo di occupare il tempo mentre vi aspettavo...”.

Abbassai la testa e guardai il pavimento.

Jack mi diede una pacca sulla schiena. “Perdonata!” disse sorridendo. “Giusto, Dottore?”.

Il Dottore si scosse come se si stesse riprendendo da un sogno. “Si. Si, si! Giusto!” sorrise di cuore e mi abbracciò.

“Ora però, dobbiamo parlare.” disse.

Ci andammo tutti a sedere intorno al tavolo in cucina e, presa da un certo languore, presi i biscotti dalla credenza mettendoli in mezzo.

Sia io che Jack iniziammo a mangiarne qualcuno mentre ascoltavamo il Dottore parlare.

“Dunque.” iniziò “Marghe, ricordi l'uomo che ieri ha sparato alla creatura?”

Annuii.

“Bene. Come Jack sa, è scappato dopo che sei svenuta. Noi crediamo che possa sapere qualcosa riguardo a Weevil e come sono arrivati qui.”

Si schiarì la voce e prese un biscotto.

Materializzai le parole che aveva appena detto. “Dunque, lo dobbiamo andare a cercare?” dissi.

“Ma non so com'è fatto.” continuai.

Il Dottore ingoiò il biscotto e continuò. “Giusto, vero. Ma noi crediamo anche che voglia parlare con te, altrimenti non sarebbe scappato appena sei svenuta.”.

“Ergo” dissi tra un boccone e l'altro. “Devo attirarlo.”

Jack sorrise amabilmente e disse “Certo che si!”

Mi portai una mano sul viso e vidi il Dottore e Jack scambiarsi un'occhiata d'intesa.

“Cosa significa?” chiesi allarmata.

“Significa che tonerai in sottoveste!” la felicità di Jack sfiorava le stelle.

“TE LO SCORDI!”

“Oh si!” intervenne il Dottore. Come potevo dire di no a quegl'occhi dolci e a quell'espressione di bimbo?

“Ma non voglio...” mi lamentai.

“Dai, su! Cosa vuoi che sia!” intervenne Jack.

Incontrai lo sguardo del Dottore, che dolcemente mi invitava a seguire i loro piani. Quello sguardo così dolce e triste mi sconvolgeva ogni volta.

“E va bene.” borbottai. “Ma è l'ultima volta!”

“Fantastico!” esclamò il Dottore con un ampio sorriso.

Chissà perché, ogni volta, il suo sorriso scatenava in me una malinconia fortissima.

Misi il broncio e mangiai un altro biscotto.

“Dottore...” dissi con la bocca piena.

“Dimmi.” rispose lui masticando.

“Ma chi è Rose Tyler?” chiesi ripensando alla conversazione tra me e Jack.

Il Dottore abbassò lo sguardo e posò il biscotto sul tavolo.

“Rose è stata una mia compagna, e senza dubbio la più indimenticabile...” disse con una punta di tristezza. I suoi occhi si fecero più scuri e tristi.

Lo osservai meglio. Il cappotto era stropicciato e i capelli spettinati, nel complesso faceva davvero tenerezza.

Si alzò per prendere un bicchiere d'acqua e io senza pensarci gli corsi dietro.

Lo abbracciai forte. Potevo sentire la sua schiena e il suo respiro regolare.

“Cosa...?” mi chiese con quel suo tono curioso.

“Niente, mi sei mancato.” dissi seria e stringendolo di più.

Lo sentii irrigidirsi, quasi come se lo avessi sorpreso. Mi staccai e lui si voltò a guardarmi.

Mi sorrise e mi accarezzò.

“Oh, Margherita, ragazzina misteriosa. Io scoprirò cosa sei, puoi giurarci.” disse dolcemente. Una ciocca ribelle gli ricadeva sull'occhio.

Afferrai la sua mano e la tenni sulla mia guancia.

“Non vedo l'ora.” dissi sorridendogli.

In quel momento ci dimenticammo del Capitano, che prontamente disse “E io non ti sono mancato?”

Il Dottore ritirò la mano e tossì imbarazzato, io mi voltai col viso che scottava.

“I maniaci non mi mancano.” replicai secca.

Jack si alzò e mi prese in braccio come se fossi un sacco di patate.

“Oh, avanti signorina! Dobbiamo andarci a mettere la sottoveste!”

Iniziai a scalciare e a battere pugni sulla schiena di Jack, ma era inutile.

“Lasciami!” urlai.

“Ma non ci penso proprio!”

Mi portò al lavatoio e mi diede la sottoveste.

“Perché devo indossarla?” chiesi.

“Perché quegli abiti sono troppo vistosi, e poi sei più carina così!” disse spavaldo.

“Oh. TI ODIO!”

Rise un po', poi uscì dalla stanza per farmi cambiare.

In dieci minuti ero pronta.

Uscii e andai verso il cucinino. “Bene, possiamo andare.” dissi imbarazzata.

Andammo verso il casolare della nottata precedente. L'aria fredda mi faceva battere i denti e il cielo si stava colorando dei colori accesi del tramonto.

Dietro di me il Dottore e il Capitano stavano avendo un'accesa discussione su ciò che avevano fatto durante il giorno.

Sorrisi nel vederli così affiatati.

Il casolare iniziava a vedersi, allora accellerai un po' il passo per andarmi a mettere in un posto dove non tirasse vento.

Quando fui vicina, riuscii a vedere che l'uomo era già lì. Seduto con la schiena appoggiata alla parete.

“Ti stavo aspettando.” disse con voce calda.

Restai di sasso. Sentii le mani del Dottore afferrarmi per tenermi indietro.

“Chi sei?” chiese Jack.

Non vi fu risposta. Ma l'uomo continuava a guardarmi.

“Chi sei?” chiesi.

“Oh, mi conosci!” disse in tono divertito.

“Chi sei?” ripetei la domanda.

“Colui che tu hai imprigionato in quest'epoca.” rispose secco.

Mi voltai a guardare il Dottore in cerca di risposta, ma tutto quel che vidi fu uno sguardo confuso e stupito.

 

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Capitolo 7
*** L'inizio. ***


Chiedo scusa per la mia immensa assenza, ma vari problemi mi hanno impedito di scrivere çwç 
Prometto che d'ora in poi cercherò di aggiornare più spesso!
Ciao a tutti <3
_______________

Ritornai con lo sguardo sull'uomo.
Gli occhi grigio scuro screziati di verde lasciavano trasparire la sua rabbia. I capelli neri e lunghi, raccolti in una pratica coda di cavallo, erano scompigliati dal vento.
Non doveva avere più di una trentina d'anni.
"Trenta precisi." disse, come se mi avesse letto nella mente.
Lo guardai ancora, cercando di scatenare una qualche reazione nella mia mente. Le ciglia lunghe, delicate, si intonavano perfettamente con i lineamenti delicati, ma mascolini.
Si alzò, come per farsi vedere meglio. Il fisico asciutto ma ben definito era messo in bella mostra, grazie alla camicia bianca e aperta che gli aderiva al corpo. I pantaloni neri, erano a tratti strappati e insanguinati. Le sue mani erano grandi, callose e rovinate, probabilmente da qualche lavoro nei campi o qualcosa del genere; era alto tanto quanto Jack.
"Pensaci, dai." disse ancora.
Mi voltai in cerca delle mie due uniche ancore di salvezza, il Dottore e il Capitano.
"Senti qualcosa?" disse il Dottore, posandomi una mano sulla guancia, come a darmi conforto. 
"No." dissi affranta " o almeno, non ancora... il suo aspetto potrebbe essere cambiato." , pensai ad alta voce. Effettivamente, potevo aver ragione. Il suo aspetto potrebbe tranquillamente non essere più quello di un tempo.
Mi voltai in cerca dell'approvazione dell'individuo che annuì non appena incontrò il mio sguardo, avanzando di qualche passo verso di me e lasciando cadere il fucile alle sue spalle, credo per tranquillizzarmi.
Feci per avvicinarmi anche io, ma il Dottore oppose una leggera resistenza, aumentando la pressione della sua mano sulla mia spalla. Jack lo toccò e ebbero un dialogo silenzioso di qualche secondo. Alla fine il Dottore annuì e mi lasciò andare.
Mi avvicinai con passi incerti e tremante di freddo. L'uomo mi tese una mano e io la presi. 
Eravamo a pochi millimetri l'uno dall'altra, poi poggiò la fronte sulla mia, tenendomi la faccia immobilizzata con le sue mani.
"Chiudi gli occhi." mi sussurra. 
Feci come mi aveva detto e strinsi i pugni. Si stava insidiando dentro di me, stava cercando di aprire le porte chiuse e blindate della mia memoria.
Un dolore indescrivibile mi attanagliò la testa. 
"Stai ferma, non muoverti." disse.
"Fa male." 
"Lo so."
Sentivo la mia mente combattere contro l'intruso.
Dolore, buio, dolore, buio, dolore e ancora buio. Poi un lampo. Il mio ciondolo. Un ragazzo dai capelli biondi che me lo mette al collo; fuoco, fiamme e distruzione sullo sfondo. Mi urla di correre e scappare, mi urla di andarmene da lì perché i Signori Del Tempo mi vogliono. Mi urla di andare dal Dottore, mi urla di fidarmi solo di lui e mentre sto per correre, mi afferra la mano, mi fa voltare e mi bacia.
Le ultime parole che mi rivolge sono "non sai quanto mi scoccia lasciarti a lui. Ma è meglio per tutti."
Poi il TARDIS. Poi il nulla, ancora.
Aprii di scatto gli occhi e l'uomo mi lasciò andare, indietreggiai e caddi sul terrendo umido.
Lo guardai con aria interrogativa. Poi ci pensai nuovamente.
"Quel ragazzo..." dissi scioccata. 
"Si." disse secco "Ero io."
Una fitta alla testa, accompagnata da un dolore al cuore.
Urlai per cercare di resistere a quel dolore. Sentii il Dottore correre, seguito da Jack. Si accovacciò.
"Cosa ti ha mostrato?" disse scuotendomi per farmi tornare in me.
"Distruzione!" riuscii ad articolare.
Poi lo strinsi forte e piansi a dirotto tra le sue braccia. 
"Va tutto bene, piccola, tutto bene." disse accarezzandomi dolcemente i capelli. 
Sentii la mano di Jack posarsi sulla mia schiena "calmati, tranquilla. Poi ci racconterai tutto."
"Rialzati, non ho ancora finito." irruppe l'uomo.
Passai ancora un po' a singhiozzare, poi mi staccai dal Dottore, lui fece per protestare ma qualcosa nel mio sguardo lo fermò.
Mi alzai e cercai di calmare il mondo che girava intorno a me.
Mi avvicinai nuovamente all'individuo che ora per me aveva un nome. Un nome ben chiaro e carico di dolore, odio, rancore, tristezza e amore. Questo era quello che sentivo pensando al nome che la mia memoria mi aveva fornito. Uno pseudonimo, come "il Dottore".
"Pittore" sussurrai allungando una mano sul suo viso "...Pittore."
Rise, freddo, senza essere veramente divertito. "Tu sai anche il mio vero nome, ma ancora non lo ricordi."
"...Pittore?" disse il Dottore. Dalla voce sembrava spaventato.
Mi voltai per guardarlo; gli occhi sbarrati, il sudore freddo che gli imperlava la fronte. 
"Allontanati da lì, ora." disse.
"Ma..." cercai di ribattere.
"Ora!" urlò e un'espressione furibonda si materializzò sul suo volto.
Jack mi caricò sulla sua spalla, come fece in casa.
"Oh, Dottore, sei ancora arrabbiato per quella storiella?" rise il Pittore.
"Hai tradito tutti!" urlò furibondo il Dottore.
"Ma ho salvato lei." disse indicando me.
"Lei non può essere Lei!" 
"Oh, si che lo è. Chiedilo al TARDIS."
La faccia del Dottore si fece più seria e la rabbia lasciò spazio alla tristezza.
"Lei si è sacrificata per salvare me." disse con tono rassegnato.
"Era maledetta."
"E' morta!" urlò esasperato il Dottore "se fosse rinata, significherebbe altra guerra!"
Sul volto del Pittore si disegnò un sorriso freddo e malefico.
"E' già iniziata, caro mio Dottore."
Poi scomparve nel nulla.

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Capitolo 8
*** Il racconto del Dottore. ***


Il Dottore cadde sulle ginocchia, affondando le dita lunghe e magre nel terreno bagnato, stringendolo con foga, quasi come per soffocare una reazione rabbiosa, strappando l’erba che vi stava crescendo.
Lo vedi stringere gli occhi e i denti, mentre tutt’intorno l’aria si faceva fredda e umida; le rughe intorno agli occhi si accentuarono dandogli un’espressione disperata e per la prima volta, mi sembrò un bambino sperduto e spaurito.
Lo sguardo di Jack era impassibile, quasi come una maschera di cera. Il vento iniziava a soffiare sempre più forte, sempre più freddo. Come se stesse riflettendo i pensieri e le emozioni del Dottore in quel momento.
“Fammi scendere.” dissi a Jack quasi in un sussurro.
Lui annuì e mi poggiò a terra, con delicatezza. Si avvicinò al mio orecchio e scostandomi i capelli sussurrò: “Vai. Ne avete bisogno entrambi.”, in quel momento, quelle parole bastarono a diradare l’incertezza dentro di me e corsi verso il Dottore, ora tremante e impotente.
Il cuore mi si stava stringendo in una morsa, quasi letale. Sentivo che non avrebbe retto il peso di tutte quelle emozioni dovute da chissà quali ricordi che io ancora non avevo ritrovato. 
Però una cosa era certa, il battito mi diceva di stare vicino al Dottore e di non lasciarlo più brancolare nel buio da solo, perché il mio cuore per primo aveva conosciuto la solitudine e l’abbandono.
Gli arrivai di fronte. I capelli castani e spettinati ondeggiavano col vento, facendo strani intrecci tra di loro. Restai ad osservarlo, cercando le parole giuste da dire.
Naturalmente, non ve ne erano. M’inginocchiai anche io e lo strinsi più che potevo.
Mentre lo cingevo, mi accorsi che tremava, non capivo se di paura o di freddo, ma tremava. E il cuore mi si strinse ancora di più, mi mancò il fiato e cercai di soffocare un pianto che nasceva dal profondo. Un pianto malinconico, a cui non sapevo dare spiegazione.
Si  lasciò andare sul mio petto e si strinse forte a me, come un bimbo fa con la mamma appena la vede rientrare dalla porta di casa, dopo un pomeriggio che lei è a lavoro; i suoi respiri erano irregolari, forse si stava sforzando di trattenere quel pianto nervoso che doveva tirar fuori da tanto.
Con mano tremante, gli accarezzai la nuca, affondando le mie dita nei suoi capelli morbidi e sottili.
“Va tutto bene, sono qui.” dissi con voce spezzata.
Lui restò ancora un po’ in quella posizione, cercando di calmarsi, mentre io intanto riflettevo sugli avvenimenti di poco prima.
Chi era il Pittore? 
Cosa voleva da me?
Di quale guerra stavano parlando? Forse la Guerra Del Tempo? 
Quello che avevo visto nel ricordo, poteva essere Gallifrey?
Ma soprattutto, chi ero io? Perché la guerra sarebbe ricominciata con me?
Strinsi ancora di più il Dottore, che con il suo corpo esile aveva salvato così tante vite, ma per far ciò aveva dovuto distruggerne altre, portando quel fardello ovunque andasse.
Finalmente, il respiro gli tornò normale. Si staccò e io sciolsi l’abbraccio. 
Restammo a guardarci per una manciata di minuti, entrambi con gli occhi lucidi e con lo stesso interrogativo in testa “Perché io?”.
Sentii i passi del Capitano avvicinarsi, sprofondando nel terreno e lasciando impronte umide e profonde. 
Con dolcezza si accucciò accanto a noi e ci guardò con apprensione, senza dire nulla. I suoi occhi azzurri erano velati di una profonda e antica tristezza, come se sulle spalle di quell’uomo gravasse un’altrettanto oscuro passato, fatto di segreti, menzogne e abbandono.
Li guardai entrambi, cercando di non lasciar trasparire la mia agitazione per tutto ciò che era successo poco prima. 
Sentii la mano del Dottore posarsi sulla mia, e quando cercai il suo sguardo, notai che lui mi stava già guardando con tenerezza e gratitudine.
Senza dire una parola, ci alzammo tutti e tre, e proprio in quel momento, il cielo iniziò a coprirsi di nuvoloni.
“Meglio rientrare.” disse Jack guardando pensieroso le nuvole sopra di noi.
“Già, meglio. Dobbiamo discutere di un paio di cose, comunque.” rispose il Dottore con la sua voce leggermente acuta e piacevole. Era tornato il Dottore di sempre. 
Quella forza d’animo mi fece quasi commuovere. Andava avanti, sempre e comunque. Non si abbatteva e, anche se i suoi nervi a volte cedevano, non rinunciava mai.
Il cuore prese a battermi forte mentre lo guardavo aggiustarsi il cappotto, togliendo qualche macchia di terra qui e là. I suoi movimenti eleganti mi provocavano battiti sempre più forti.
“Allora? Resti lì, tu?” la voce del Capitano mi riportò sulla terra. Mi guardava con un sorriso che andava da un orecchio all’altro, come se avesse intuito ogni mio singolo pensiero di quel preciso istante.
“Ci speri!” risposi sorridendogli.
Mi avviai verso di loro, sostenendo lo sguardo di Jack.
“Si, in effetti si”  disse una volta che li raggiunsi.
Per tutta risposta gli feci la linguaccia. “Perché non resti tu, qui?” rimbeccai.
“A cuccia voi due!” ci riprese il Dottore, che ci stava guardando alquanto divertito.
Poi, mi prese per mano e mi sussurrò “Non lasciarla per nessun motivo.”.
Ebbi un sussulto, sapeva essere davvero strano, il Dottore.
Ritornammo alla base, e io andai di corsa a cambiarmi. Al mio ritorno mi attendevano una tazza ti tè fumante e lo sguardo deluso di Jack.
“Ma uffa!” sbuffò.
“Che vuoi?” dissi alzando un sopracciglio.
“Che tu ti rimetta la sottoveste.” fece un sorriso divertito.
“Uh! Ma certo! Adesso vado a rimettermi quell’orrore e a prendermi un bel malanno perché la mente di un maniaco sessuale dice così!”
Il Dottore quasi sputò il tè per trattenere la risata.
Jack, invece mise su un finto broncio.
Per una manciata di secondi ci guardammo con finto odio, finché la voce del Dottore non interruppe il nostro gioco dicendo “Facciamo i seri, ora. Ci sono delle cose di cui dobbiamo discutere e non abbiamo tempo da perdere.” 
Annuii e presi posto sulla sedia accanto a Jack, davanti al Dottore.
Poggiai i gomiti sul tavolo e cinsi la tazza fumante per scaldarmi le mani.
“Bene. Suppongo che entrambi volete sapere chi è il Pittore.” disse con durezza. 
I suoi occhi assunsero un’espressione pensierosa.
“E non solo.” rispose Jack.
“Dunque” iniziò “Il Pittore, è un signore del tempo, come avete visto. Era figlio di uno dei più grandi generali del nostro tempo ed eravamo…” la sua voce si spezzò.
Bevve un sorso di tè e sempre con aria pensierosa continuò “…eravamo migliori amici. E assieme a lui, c’era il Maestro.”
A quel nome Jack trasalì.
“Come…eravate migliori amici?” chiesi con una nota di stupore nella voce.
“Adesso capirete.” rispose sorridendoci tristemente. “Eravamo cresciuti assieme, entrambi eravamo stati cresciuti per prendere il posto di generali una volta morti i nostri padri. Un giorno, però, circa 17 anni prima dello scoppio della Guerra, nacque una ragazza-ibrido.”
La sua voce si spezzò di nuovo e prese a guardare nella mia direzione, forse intuiva già la mia domanda.
“Ragazza…ibrido?” chiesi aggrottando le sopracciglia.
“Si, noi Signori Del Tempo chiamiamo col nome di ibridi, coloro che nascono per metà signori del tempo…” bevve un altro sorso di tè “…e per metà TARDIS.”
Io e Jack ci scambiammo uno sguardo confuso.
“Come si fa a nascere metà TARDIS?” chiesi.
“Semplicemente, si viene concepiti a bordo di esso e si nasce sempre a bordo di esso. Durante la nascita una parte del vortice del tempo presente nel TARDIS, si fonde con l’anima del nascituro, conferendogli l’aspetto e le capacità di un Gallifreyano, seppur con un numero ridotto di rigenerazioni, ma al contempo diventa un’arma pericolosissima, perché è in grado di controllare il tempo stesso, cambiandolo a suo piacimento, giocando con la vita e la morte di chiunque gli si pari davanti.” la voce del Dottore si era fatta estremamente cupa e seria.
Iniziarono a tremarmi le gambe.
“Dunque, dicevo” continuò “Nacque questa ragazza-ibrido. La chiamarono Callisto, in onore al mito greco in cui la ninfa viene trasformata nella costellazione dell’Orsa Maggiore alla sua morte. Questo però, era anche il suo futuro. Infatti i generali di Gallifrey, volevano usarla come un’arma per espandere la grandezza di Gallifrey stessa. Così, ci fu affidata, ancora in fasce perché noi la crescessimo e la educassimo come una comune Gallifreyana, ma al contempo dovevamo renderla un’arma distruttiva. Callisto cresceva e diventava sempre più bella, dolce, intelligente e mortale. Inutile dire che entrambi ce ne invaghimmo e non volevamo in alcun modo che le venisse riservato un destino tanto crudele, così iniziammo a pianificare la sua e la nostra fuga, cercando il modo di mascherare la sua parte da Signore Del Tempo-ibrido e di farla rinascere come umana. Ad ogni modo, la notizia di Callisto aveva fatto il giro di ogni universo, di ogni via lattea e di ogni sistema solare, e ognuno la desiderava come arma. Dalek, Angeli, Sontaran… insomma, tutti iniziarono ad attaccare Gallifrey per averla. La sua morte si avvicinava sempre di più, Callisto aveva solo 17 anni, niente se paragonati alla vita di un Signore Del Tempo. No, non doveva andare così. Il Pittore trovò il modo di cancellarle i ricordi e di intrappolarli nell’oscurità della sua mente, per farla rinascere come un’umana e farle vivere una vita serena, anche se ciò avrebbe significato abbandonarla per sempre e non poterla più vedere. Però ciò sarebbe avvenuto solo ed esclusivamente alla sua prima morte. E’ stato lui a imprigionare tutta la vita di Callisto in un oggetto, perciò non so come e cosa sia successo esattamente, dovrebbe raccontarcelo lui. Comunque, mentre la Guerra distruggeva Gallifrey, lei riuscì a fuggire. Con me.”
Il Dottore tirò un sospiro e bevve un altro sorso del tè ormai tiepido, poi continuò “Il Pittore si usò come esca per attirare tutte le attenzioni su di lui, dandomi così il tempo di allontanarmi con lei. I generali lo catturarono e gli fecero il lavaggio del cervello. Gli fecero credere che il vero nemico ero io. Lui venne a cercarmi. Per uccidermi e riprendersi Callisto, ma, dopo una lotta estenuante, lei lo costrinse alla rigenerazione e, dato che poteva controllare il tempo, lo sigillò in un’epoca precisa. Quella in cui siamo adesso. Stanca e ormai in punto di morte, mi supplicò di portarla sulla terra e di farle vivere una vita normale. Poi mi fece promettere che avrei fermato la guerra e che non sarei rimasto mai solo. Mi fece promettere che la sarei venuta a riprendere.” la voce gli tremò. 
“Ma mantenni solo due delle promesse la misi nel pericolo più grande di tutti, tenendola con me a bordo del TARDIS. Avevo ogni tipo di esercito alle costole. Così lei morì per salvarmi da coloro che mi volevano morto. Non ricordo nulla di quel momento perché persi i sensi, di lei persi ogni traccia e suppongo  che non sia riuscita a rigenerarsi. Riuscii a fermare la guerra, ma lei non tornò.” si prese la testa tra le mani. “Sono stato uno stupido. Io…” non finì la frase.
Io e il Capitano eravamo entrambi senza parole e la testa aveva iniziato a pulsarmi  nuovamente.
Il Dottore alzò la testa e la girò verso me. “Il Pittore ha detto che Callisto è tornata. Ha detto che sei tu, ma non può essere possibile.” 
“Perché no?” chiesi
“Perché… perché lei non avrebbe fatto in tempo a cambiare epoca nello stato in cui era.” 
Mi portai una mano sulle tempie che pulsavano.
Jack si morse un labbro. “Dobbiamo trovare il Pittore e farlo parlare.” disse serio.
Il Dottore annuì.
“Ma dove può essere andato, se può spostarsi solo in questo tempo?” chiesi sforzandomi di non urlare per il dolore.
Lo sguardo del Dottore si ammorbidì un po’. “Ha usato uno strappo temporale che appare in quella zona dopo un determinato numero di anni e tempo. Ha calcolato tutto. Ma sarà facile trovarlo, grazie al TARDIS.”
Io e Jack ci alzammo all’unisono. 
“Allora?!” incalzammo il Dottore.
Lui si alzò sorridente e disse “Allons-y, miei prodi guerrieri!”

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