La storia inversa: ovvero, come distruggersi in sette giorni

di smarsties
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Domenica ***
Capitolo 2: *** Lunedì ***
Capitolo 3: *** Martedì ***
Capitolo 4: *** Mercoledì ***
Capitolo 5: *** Giovedì ***
Capitolo 6: *** Venerdì ***
Capitolo 7: *** Sabato ***



Capitolo 1
*** Domenica ***


Sono passati due anni dalla fine del reality.
Gwen è tornata da Trent e Courtney è felicemente fidanzata.
Duncan è rimasto solo, a deprimersi e ricorda, con nostalgia, i vecchi tempi passati assieme alla sua principessa …
Nah, ma stiamo scherzando? Questa è la storia inversa!
Ad essere sinceri, mi sarebbe piaciuto vedere il nostro “caro” punk nelle vesti del depresso, un’altra volta.
Rifacciamo tutto.
Sono passati due giorni dalla fine del reality.
Dimenticare. Ecco l’obbiettivo di tutti. Dimenticare quello stupido show e alcuni lo desiderano più di altri.
Gwen e Duncan stanno - ovviamente e purtroppo - ancora insieme e Courtney è sola ed è tornata ai suoi studi.
 

***
 

 

Domenica

 

Courtney se ne stava nella sua camera a studiare per l’esame di ammissione all’università.
Il suo libro era ormai pieno di segni indelebili gialli.
Ripassava per l’ennesima volta la stessa cosa; voleva avere la certezza di ricordarsi tutto.
Il prossimo passo sarebbe stato quello di fare una breve sintesi o, perché no, uno schema riassuntivo.
Prese un foglio dalla pila accanto a lei ma, quando mise la mano nel portapenne, si accorse che non aveva nessun utensile per scrivere.
Scattò in piedi e si mise alla ricerca di una penna o di qualsiasi altra cosa potesse scrivere, sfasciando gran parte della camera.
Possibile che non ci sia nulla?
Non poteva averle perse tutte, lei era così ordinata!
Alla fine, sotto il cuscino del letto, trovò una penna blu.
-Sì!-esclamò soddisfatta.
Tornò a sedere, ma quando provò a scrivere …
-Oh ma dai, è scarica!-
Buttò la penna che, per puro caso, finì fuori dalla finestra, provocando un buco nel vetro.
-Grande, ora mi toccherà chiamare anche il vetraio! E non ci sono nemmeno penne!-constatò Courtney ringhiando.
Afferrò al volo la borsa e controllò velocemente il denaro.
Cinque dollari. Buono.
Prese le chiavi di casa, appoggiate su un mobile di vetro all’ingresso e uscì di casa.

 

***
 

Sinceramente, non sapeva dove andare. I negozi, di domenica, erano tutti chiusi.
O almeno, era quello che pensava.
Si dovette ricredere quando vide, dall’altro lato della strada, una cartolibreria aperta.
Questo sì che è un colpo di fortuna.
Courtney spinse la porta a vetro per entrare ma fu costretta a fermarsi non molti metri dopo.
La scena era questa.
Alla cassa c’era già una vecchietta e il cassiere, un ragazzo dai capelli bruni che gli coprivano gran parte del viso, stava quasi per esplodere.
-Glielo dico per la centesima volta, qua non ci sono le dentiere!- urlò scocciato.
-Ah, davvero?-
La cliente cacciò dalla borsa una lista.
-Mi scusi, avevo sbagliato. Mi servirebbero delle matite … delle matite? Ma ce le ho già a casa. Mio nipote è veramente sbadato … no, aspetta. Sono i fogli di carta che ho già. O forse erano gli appunta matite?-
Il ragazzo era sul punto di esplosione.
Come biasimarlo!
Sparì per un secondo dietro al bancone, per poi tornarne con le braccia piene di oggetti.
-Sa una cosa? Le regalo una fornitura gratis di tutto per dieci anni. L’importante è che se ne vada via, non si deve mai più fare vedere!-
Imprecando qualcosa di indecifrabile, iniziò a lanciare di tutto e di più verso l’uscita.
Beh, la porta era andata!
La vecchietta corse – e dico corse – a recuperare tutti gli oggetti.
-Ingrato!-bofonchiò prima di sparire dietro un angolo.
Data la sua eterna fortuna, Courtney pensò di andare a trovare un’altra cartolibreria.
-Dove vai? Non ti serve nulla?-la bloccò una voce.
Si voltò ed incrociò per un attimo lo sguardo del cassiere.
-Ehm, ecco io … e al diavolo, sì!-
Era già nero di suo, inutile trovare scuse.
-E se non vuoi fare la stessa fine di quella signora, ti conviene darti una mossa.- la minacciò quasi.
Ma puntando lo sguardo verso il basso, si accorse che il denaro era già lì.

***
 

Courtney si incamminò verso casa con in mano una bustina di plastica.
Facile corrompere uno stupido ragazzo con la storia della ragazzina debole e incapace.
Come se lei lo potesse essere veramente …
Una volta dentro l’atrio del suo palazzo, ritirò la posta.
Solo una lettera.
La afferrò e prese l’ascensore.
Le portiere la inghiottirono e la lasciarono libera una volta sul pianerottolo del terzo piano.
Infilò la chiave nella toppa e, con uno scatto, spalancò la porta.
Doveva ammettere che la lettera la incuriosiva.
Mollò tutto sul divano e la aprì, grazie all’aiuto di un taglierino.
Una volta letto il contenuto, si congelò.
 Era una bolletta per pagare l’affitto della casa.
Come diamine faccio ora?
Era completamente al verde, senza ricordare che non aveva vinto il montepremi di quell’assurdo reality.
Certo, non poteva chiedere ai suoi genitori.
A parte che abitavano ad Ottawa, era già tanto che gli pagavano gli studi!
Se gliel’avrebbe chiesto, di certo non sarebbe vissuta.
La soluzione era una sola: trovarsi un lavoro.
Sapeva che non ne avrebbe mai trovato uno alla sua altezza, ma in futuro le sarebbe tornato utile.

 

***
 

Courtney era davanti al suo computer portatile, regalatole per Natale, sorseggiando una tazza di tè.
Stava navigando su un sito di annunci, alla ricerca di un qualcosa di decente.
-Perfetto.- sussurrò cliccandone uno.
Avrebbe lavorato in un bar, a dieci minuti da casa sua. Se l’avessero assunta, avrebbe dovuto prendere l’autobus ogni mattina.
Non era il massimo ma, almeno, poteva contare su un buon salario.
Lesse l’indirizzo.
Victory Street, 55.
Sarebbe andata lì, l’indomani mattina.

 

Era solo l'inizio della sua carriera.
Sentiva così vicino ormai il suo obiettivo, anche se non lo era affatto.

Finita l’università, si sarebbe concentrata solo su se stessa e avrebbe puntato alto.

Nessuno poteva fermarla, niente e nessuno.
Non poteva contare sugli altri, era sola. Ma non ci pensava.
In quel momento, era l’ultimo dei suoi pensieri.
 

Si incamminò verso la cucina, per poggiarvi la tazza ma, quando uno spiffero d’aria la fece rabbrividire, si ricordò di un piccolo particolare. Il vetro era ancora rotto.
E lei che sperava di andarsene a dormire prima!
Doveva apparire in forma, per domani.
Prese il suo palmare e compose un numero sulla tastiera …

 

***
 

Erano sempre i soliti, Gwen e Duncan.
Per il loro ritorno, avevano organizzato una festa con i loro amici più stretti. Nessuno di quei babbei – come li chiamavano loro - del reality.
In pratica, una ventina di persone in uno squallido appartamentino di periferia.
Il salotto era, ormai, quasi del tutto distrutto.
Rimasto intatto solo il tavolino con le cibarie e il mobile dove poggiava la radio, accesa e che sparava musica punk a tutto volume.
Si stavano dando un gran da fare. Fin troppo.
Qualcuno suonò al campanello. Andò ad aprire il punk.
Si materializzò, davanti a lui, un uomo sulla cinquantina dai folti capelli neri, simili al parrucchino di una persona che li aveva torturati per tre stagioni, alias Chris. Solo che, diversamente da lui, questo aveva degli occhi verdi che, in quel momento, stavano lanciando delle stilettate.
-Cos’è tutto questo caos?- chiede quasi ringhiando.–E’ mezzanotte passata e qui state dando una festa? Possibile che non ci sia un secondo di pace con te, razza di scostumato? Spegnete la radio!-
Duncan fece finta di non sentirlo.
-Come scusi? Vuole che alziamo il volume? Ehi ragazzi, musica a tutto spiano!-
-Sei duro d’orecchi? Abbassa il volume!-
-Più alto gente, più alto!-
-Mi piacerebbe tanto conoscere i tuoi genitori. Almeno, ci penserebbero loro a te.-
Ghignò.
-Forse non mi conosce bene … ora, diamoci dentro!-
Gli sbatté la porta in faccia e se ne tornò dal resto della banda.

 

L’aveva vinta, di nuovo.
Da quando si era trasferito in quel palazzo, aveva levato la vita a quel signore.
Lo stesso che, un paio di volte, aveva chiamato la polizia, per qualche suo scherzo innocente.
In fondo, si era solo infiltrato in casa sua e aveva dato fuoco alle sue riviste, causando un incendio.
Ed ora che c’era anche Gwen …
Forse lo stava istigando un poco al suicidio … ma chissene frega!
Lui era Duncan, se ne infischiava di tutto e di tutti e nessuno poteva comandarlo a bacchetta.
Tantomeno lei, la ragazza di cui si era perdutamente innamorato e la stessa che, neanche un mese prima, aveva tradito per un’altra.
Ehi, voleva cambiarlo!
Si era semplicemente ribellato ed ora era molto più felice.

 

-Chi era?-gli chiese Gwen vedendolo tornare da lei.
-Nessuno di importante.-
E tornò tutto come prima.
Come se non avesse suonato nessuno.
Come se non fosse successo nulla.
 
 
 
 


 

Angolo della pazza:
La mia terza long *w*
Una cosa totalmente nuova, se mi è concesso dirlo.
Fortunatamente, mi è concesso ^^”
Tranquilli, non ho abbandonato le mie altre storie ma questa dovevo ASSOLUTAMENTE postarla!
Allora che ne pensate?
Avete capito chi è il cassiere?
E chi è la vecchietta?
Chi ha letto A Tutto Reality: Il College, sa chi sono :D
Ho ricontrollato e sono più che sicura che non ci siano errori … spero.
Questa storia è corta quindi, per il momento, mi concentrerò su questa.
Ci si vede, gente.

Solluxy <3
 

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Capitolo 2
*** Lunedì ***


Lunedì

 
Quella mattina la sveglia suonò presto. Alle sei e mezza, sebbene avesse potuto svegliarsi benissimo un’ora più tardi.
Una fioca luce filtrava dalle tapparelle della finestra.
Courtney si svegliò e si stropicciò gli occhi, ancora impastati di sonno.
Si stiracchiò per bene e batté le palpebre un paio di volte, per abituarsi al bagliore.
Si sedette a gambe incrociate, dando le spalle al muro
L’avventura stava per cominciare.
Emozionata? No, solo un po’ tesa.
Emozionata per cosa, poi? Sapeva benissimo che lei poteva essere perfetta in tutto, bastava solo la buona volontà.
Non era un lavoro così complesso, ce l’avrebbe sicuramente fatta!
Si guardò attorno, più che altro perché non sapeva cosa fare.
Ma in fondo, ci era abituata.
In quello stramaledetto reality, Chris li faceva svegliare sempre ad orari assurdi. Alzarsi più tardi, ormai, era quasi impossibile.
Ma non voleva ricordarsene. Era un nuovo giorno, l’inizio di tutto.
Di tutto ciò che aveva sempre sognato, o forse no?
Qualche mese prima il suo sogno era ben altro, ma adesso … era tutto finito, basta con questi ragionamenti assurdi!
Si era ripromessa di non pensare mai più a lui. E non lo avrebbe fatto.
Si alzò di scatto dal letto e lo rifece velocemente.
Poi si chiuse in bagno, per farsi una veloce doccia.
Ne riuscì cinque minuti dopo - con un buonissimo profumo di bagnoschiuma alla fragola - e aprì l’armadio.
Cosa mettere per il tuo primo giorno di lavoro in assoluto?
Certo, non poteva apparire discreta … ma neanche esagerata!
Optò per una semplice maglietta bianca e dei jeans, accompagnati da sandali grigi.
Beh, né troppo e né troppo poco.
Il trucco? Sì ma a sufficienza. Solo un po’ di matita nera sugl’occhi.
Si guardò allo specchio. Era abbastanza grande per vedersi tutta.
Doveva ammettere che era perfetta.
Infine, scese in cucina per fare una colazione decente.
L’ispezione della dispensa non servì a granché: c’era solo un pacco di biscotti e una busta di latte.
Beh, meglio di niente!
 

***
 

 

Si era già fatta tutto il tragitto mentale.
A dieci metri da casa sua c’era una fermata, quella che avrebbe usato sempre. Dopo aver preso l’autobus, scendere quattro fermate dopo e, all’angolo della strada, ci sarebbe dovuto essere il bar. Facile!
Se avesse seguito quel programma, sarebbe arrivata sicuramente in orario almeno che, qualcuno chiamatosi “autista”, non avesse ritardato.
Quella mattina era una di quelle giornate.
Courtney era seduta su una panchina da già mezz’ora.
Giocherellava con le dita e, ogni tanto, sbuffava.
Se becco quello sprovveduto dell’autista, giuro che lo ammazzo.
Tutti i suoi tentativi di arrivare puntuale il suo primo giorni di lavoro, erano andati.
Diavolo!
Sbloccò il display del suo cellulare, per vedere che ora era. Le otto e diciannove minuti. L’autobus sarebbe dovuto essere lì già da ben quattro minuti.
Quattro minuti, ci rendiamo conto? E’ una cosa esagerata!
Quando le restò ben poca pazienza, finalmente arrivò l’autobus.
Destinazione “Victory Street, 55.”
 

 

***
 

 

Arrivata. Courtney era arrivata.
Si trovava davanti alla porta del bar.
Le iniziò a battere il cuore.
Perché dovrei essere nervosa? E’ solo il tuo primo giorno di lavoro in assoluto. Cerca di rilassarti, Court.
Prese un respiro profondo, per tentare di calmarsi almeno un po’.
Afferrò la maniglia e spinse la porta.
Tentò di ambientarsi.
Il posto non era male: pavimento a scacchi e i muri in legno. Faceva parecchio stile retrò ma, in fondo, le piaceva.
C’era persino un televisore!
-Cosa ci fa una così bella ragazza in questo posto?-chiese qualcuno alle sue spalle.
 Courtney si voltò.
-Sono qui per il lavoro. Sa dove mi posso rivolgere?-
-Io sono il proprietario. Mi chiamo Daniel.-
-Courtney.-
Si strinsero la mano.
Lo studiò attentamente.
Alto, fisico slanciato, capelli neri e occhi di un verde intenso, a detta sua, particolarmente belli.
-Allora, cosa dovrei fare?-domandò la ragazza, rompendo … il nulla.
-In teoria, dovresti prima fare una prova … -
Fu interrotto da un rumore di vetro che si infrange, proveniente da dietro il bancone.
-Sei assunta.-
Le indicò una porta nera.
-Vai lì. Dentro il primo armadietto a destra, dovrebbe esserci un grembiulino. Mettitelo e vai a lavorare. C’è un altro ragazzo che ti spiegherà tutto.-
 

 

***
 

 

Quel piccolo stanzino era agghiacciante, vuoto.
Solo dei semplicissimi armadietti in metallo.
Almeno, le informazioni di Daniel si rivelarono giuste. Courtney trovò un grembiulino di pizzo bianco, proprio dove indicato.
Notò un’altra porticina.
Provò ad aprirla e, miracolosamente, si ritrovò dietro il bancone.
Quando si dice colpo di fortuna …
Ma non era sola, no.
C’era anche un altro ragazzo, chinato a terra a raccogliere ciò che rimane di una tazzina. Intanto imprecava.
La ragazza si schiarì la voce.
-Senti, il capo mi ha detto di rivolgermi a te. In pratica, mi devi aiutare.-
Alzò lo sguardo e lo puntò verso la ragazza.
-Tu?-dissero in coro.
Eh già, Courtney aveva già avuto modo di “conoscere” il diretto interessato, il giorno prima.
-Scusa, ma tu non lavoravi nella cartolibreria qui vicino?-
-Mi hanno licenziato perché lanciavo gli oggetti contro i clienti. E’ colpa loro, non si danno mai una mossa. Mi mettono il nervoso, tutti! Ci mettono troppo tempo a cacciare i soldi e hai avuto modo di vederlo da te.-
Sospirò.
-Come ti chiami?-gli chiese.
-John. Non pensi anche tu che sia un bel nome?-
-Certo … io sono Courtney.-
 

 

***
 

 

John passò davanti alla ragazza, intanto ringhiava.
Poco dopo, tornò indietro con un paio di tazzine e si diresse verso un cliente.
-Senta, ora mi sta dando veramente sui nervi. Vuole un caffè? Bene, eccolo. Se lo può scegliere. Freddo, tiepido, caldo, a temperatura ambiente, con lo zucchero, senza … -
Mentre continuava a delirare, lanciava le tazze in ogni direzione.
Una, per poco, non colpì in piena testa Daniel.
-Se non vuoi essere licenziato, adempi al tuo dovere con serietà!-gli urlò dall’altra parte.
-Scusi capo, non succederà più!-
Courtney, vedendolo tornare indietro, scosse la testa.
-Che hai combinato?-sorrise.
-Era indeciso, così gli ho dato tutti i tipi di caffè che ci sono.-
Lei inarcò un sopracciglio.
-Ok, gli ho lanciato contro le tazzine, ma lui mi stava dando … -
-Il nervoso?-lo precedette.
-Esatto!-
La ragazza si voltò un attimo e vide un ragazzo che premeva insistentemente una campanella, posizionata sul bancone.
Gli si avvicinò.
-Finalmente, vedo che qui si va molto alla … -
Si paralizzò, anzi si paralizzarono entrambi. Soprattutto Courtney.
Non ci poteva credere. Lui gli era davanti. Di nuovo, dopo ormai tre giorni.
-Duncan?-chiese perplessa.
-Principessa?-ribatté lui. –Che diavolo ci fai qui?-
-Ci lavoro. Tu che fai qui?-
-Sono venuto a prendere un caffè. Ora, siccome gli ordini li do io, vai immediatamente a farmene uno.-
Il viso della ragazza stava per diventare viola.
Vai immediatamente a farmene uno?Ma chi si crede di essere?
Nessuno poteva parlarle così!
Gliel’avrebbe fatta pagare.
Lasciò la tazza di caffè che aveva in mano a raffreddare, per un po’. Ma proprio un po’. Circa dieci minuti, per essere precisi.
-Ce l’hai fatta. Avevi qualche problema con la macchinetta?-la prese in giro.
Tentò di ignorarlo e rimase rigida.
Gli diede la tazzina e …
-Ma che diavolo, è gelato!-esclamò.
-Davvero? Scusami, devo averlo fatto freddare un po’ troppo.-disse Courtney con un sorriso di disappunto strafalso. –Vado subito a riscaldartelo.-
Sparì nuovamente con la tazzina e, questa volta, la poggiò su un fornello – a proposito, chissà cosa ci faceva lì …
Una manciata di minuti dopo, tornò da Duncan.
-Spero sia di tuo gradimento.-disse con una risatina sotto i baffi.
Lui ne bevve un po’.
-La lingua mi va a fuoco, è bollente! Dammi un bicchiere d’acqua!-
Lei riempì un bicchiere al lavandino e glielo gettò addosso, infradiciandolo come si deve.
-Grazie.-disse con la stessa eccitazione di Noah. –Si può avere un caffè decente o no?-
Questa volta prese la zuccheriera e, davanti a lui, la rovesciò accidentalmente nella tazza.
-Ops!-
-Dimmi la verità, lo stai facendo apposta, vero?- chiese Duncan guardando ciò che doveva essere un caffè.
-Come puoi pensare una cosa del genere?-
Si alzò e andò via.
-E torna a trovarci!-gli urlò Courtney poco prima che varcasse la soglia.
Una volta fuori, lei scoppiò in una fragorosa risata maligna.
-Wow, e poi che sono io l’esagerato.-disse John ammirato.
-Infatti, tu sei esagerato.-
-Stai imparando dal maestro. Brava!-
I due, sorridendosi compiaciuti, si batterono il cinque.
 

 

***
 

 

Daniel era stato gentile.
Siccome il bar rimaneva chiuso per pranzo, aveva permesso a John e Courtney di restare a mangiare lì.
Seduti ad un tavolino, nel silenzio più completo, guardando la televisione … cosa volevano di più.
C’era persino l’aria condizionata!
-Forse lavorare in estate non è poi così male.-aveva confessato John. –Guarda che comfort che abbiamo!-
Courtney si era limitata ad annuire.
Stranamente, lui – credetemi, non lo farebbe mai – le aveva anche dato un pezzo del suo panino, per non farla morire di fame.
Era stato carino da parte sua; non lo credeva così … dolce.
E tra una bibita ghiacciata e una chiacchierata, ci scappava anche qualche risata. Una di queste, aveva fatto uscire tutta l’acqua dal naso di John.
Per un attimo, Courtney rimase a guardare la televisione.
Non ci poteva quasi credere, il telegiornale stava trasmettendo una cosa poco piacevole.
<< E adesso parliamo della coppia migliore di “A Tutto Reality”: La Gwuncan! >>
Coppia migliore?
Se Courtney non stava per spaccare lo schermo con un cucchiaino da tè, poco ci mancò.
-Ehi ma quello non è il tizio che hai maltrattato?-chiese John indicando un immagine di Duncan, apparsa appena sullo schermo. –Allora è famoso.-
Lei lo zittì con uno sguardo furente.
<< Una fonte vicina ha loro, ha dichiarato che i due, per il ritorno a casa, abbiano organizzato una festa con i loro amici più intimi. Questo è l’unico video diretto che abbiamo di ieri sera. >>
Non sapeva cosa era successo e non intendeva saperlo.
A quanto pareva, i due traditori avevano lanciato, dal balcone del loro appartamento, dei secchi d’acqua gelata sopra i cameraman del TG.
Non cambieranno mai,pensò Courtney sospirando.
<< Adesso passiamo ad un altro articolo, sempre sullo stesso argomento … >>
Temeva di sapere quale fosse l’altro articolo.
Spense la televisione, prima che potessero fare qualche critica anche su di lei.
Ed essere giudicata, in quel momento, era l’ultima cosa che le serviva.
-Perché l’hai spenta? Mi iniziava ad intrigare.-disse John polemico.
Più lo guardava e più pensava che i loro caratteri erano simili.
-Io odio quell'essere e non voglio sentire altro che lo riguardi, tutto qui.-sputò fuori.
-Che ti ha fatto di male?-
Lui mise un braccio attorno alle spalle della ragazza.
Avrebbe voluto raccontargli tutto ma, in pochi minuti, era impossibile racchiudere sentimenti provati in tre anni.
-Ma lo hai mai visto “A Tutto Reality?”-si limitò a domandare Courtney.
-No. Sei famosa anche tu, per caso?-
Sospirò.
-Lasciamo stare. In un certo senso è meglio così.-
 

 

***
 

 

Gwen stava rileggendo – forse per la centesima volta – il suo libro thriller preferito del suo autore preferito.
Strano a dirsi, ma leggere le piaceva molto. La coinvolgeva; era come se facesse parte anche lei di quel racconto.
Si rivedeva nei personaggi.
Era totalmente immersa quando, uno scatto sinistro di serratura, la riportò sulla Terra.
Duncan era tornato.
-Dove sei stato tutto questo tempo?-chiese andando verso di lui. –E come mai sei tutto bagnato?-
-Courtney.-biascicò lui secco.
-Courtney? Che centra lei?-
-Lavora nel bar qui all’angolo e mi ha lanciato addosso un bicchiere d’acqua. Ora scusami ma ho il bisogno di farmi una doccia.-
Il punk si fece spazio e si diresse verso il bagno sbattendo la porta.
Gwen scosse la testa.
Diamine, ma non si è proprio rassegnata?
 
 
 
 
 
 
 

 

Angolo dell’autrice:
Salve.
Sono sempre io a rompervi in questo lunedì (wow, l’avrò fatto apposta?) sera.
Che ne pensate di questo capitolo? Io, sinceramente, lo adoro.
Come ho già detto, per il momento mi dedicherò solo a questa long ma ho in fase di stesura anche il sedicesimo capitolo di A Tutto Reality: Il College.
A proposito, vi ringrazio delle nove recensioni lasciate nello scorso capitolo di quella storia e delle tre in questa.
Ho ricontrollato velocemente gli errori e non ne ho notati. Se ce ne sono, fatemi sapere.
Ora vado.
Ci si vede presto :*
 

Solluxy <3

 

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Capitolo 3
*** Martedì ***


Martedì

 
Due piedini color caramello scesero lentamente le scale.
Courtney, ancora in pigiama e con delle occhiaie piuttosto accennate, si precipitò in cucina.
Daniel le aveva dato un giorno libero, come impiegarlo?
Innanzi tutto, si era svegliata più tardi, rispetto ai suoi standard.
Di solito, si alzava presto per studiare ma, quella mattina, si era concessa un poco di sonno in più.
Con il nuovo lavoro, poi, lo studio era passato in secondo piano. Ma a cosa serve studiare se conosci tutto l’esame di ammissione a memoria?
Portarsi avanti di un paio di anni ha i suoi vantaggi.
Iniziò la sua ricerca alla colazione.
Nel frigorifero non ebbe molta fortuna, gli scaffali erano vuoti e la dispensa più che altro desertica.
Fantastico, non ho nulla!
Corse in camera e si infilò la prima cosa che vide, cioè i vestiti usati il giorno prima.
Poi afferrò la borsa – che era sull’appendiabiti, all’ingresso - e uscì di casa.
Destinazione … centro commerciale, uno qualsiasi.
 

***
 

 

Solo una persona poteva essere a letto, alle dieci e ventisette minuti. Duncan.
Non se ne curò minimamente, tanto la sua giornata non aveva impegni.
Si accorse che, in qualche modo, la notte prima era caduto dal letto e, in quel momento, si trovava sul pavimento.
Si alzò massaggiandosi la testa.
Avrò sbattuto alla testiera ma non me ne frega niente.
In fondo, anche se era Luglio e lui si trovava in Canada, faceva pur sempre un caldo immane.
In realtà, neanche la sveglia era riuscita a svegliarlo. Fu un rumore assordante, proveniente dalla cucina, a interrompere il sonno del punk, quella mattina.
La sua fidanzata aveva avuto la brillante idea di mettersi a perlustrare ogni centimetro della stanza.
-Si può sapere che diavolo stai facendo?-chiese ancora sul ciglio della porta. –E già che ci sei, che ne dici di preparare la colazione?-
Gwen si diresse verso di lui.
-Oggi niente colazione, gli scaffali sono vuoti.-
-Cosa?-
-Dobbiamo andare a fare la spesa, quindi datti una mossa a vestirti.-
Se c’era una cosa che Duncan odiava, quelli erano i supermercati. Non li sopportava, sin da quando era bambino.
La gente stava mezz’ora a scegliere il cibo, i cassieri erano antipatici, i reparti sembravano infiniti … sì, è un posto che ti fa venire il nervoso. Eccome!
 

 

***
 

 

John era accasciato sul divano, a vedere un po’ di sana TV.
Un ottimo modo per passare il tuo martedì di riposo.
Il suo programma consisteva nel niente più assoluto, solo riposo e televisione.
Il suo stomaco, collaborando con lui nel far nulla, si cominciò a far sentire.
Non ti preoccupare amico mio, ora verrai sfamato.
Con la grazia di un elefante, si alzò in piedi e, a passi lunghi, si diresse in cucina.
Un urlo sovraumano non attardò ad arrivare quando, con sua grande sorpresa, si accorse che non aveva nessun tipo di provvista.
-Come faccio adesso a vivere?-si chiese tentando di non scoppiare in lacrime. –La mia vita è priva di significato.-
Ok, ti stai rendendo ridicolo. Fortuna che sei in casa tua e nessuno può vederti.
Dimenticandosi che era ancora in mutande, uscì fuori con l’intenzione di comprare qualcosa.
Dei commentini idioti e qualche battuta da parte dei passanti, però, fece accorgere al ragazzo del suo “magnifico” aspetto.
Inizia bene questa giornata …
 

 

***
 

 

Preso il carrello, Courtney entrò al supermercato.
Con una mano, leggeva la lista che si era preparata strada facendo.
Seguendola non ci avrebbe messo neanche un secondo.
-Allora, per prima cosa andiamo a prendere la frutta.-
Si iniziò ad incamminare ma, pochi metri dopo, qualcosa le venne addosso.
Puntò lo sguardo verso il tizio per dirgliene quattro, ma non lo fece.
-Ehi Court, anche tu qui?-le chiese con fare beffardo.
Sì, era John.
-Sei un idiota, perché non guardi dove vai?-
-Guarda che solo io posso sclerare come un pazzo, c’è il copyright.-
Sospirò.
Sarebbe stata una lunga giornata …
 

 

***
 

 

Per qualche strano motivo, ignoto alla ragazza, John si era messo a fare la spesa con Courtney.
E mentre lei utilizzava il carrello, il ragazzo teneva tutto in equilibrio, come un giocoliere.
L’altra scosse la testa: sapeva benissimo che era una messa in scena per fare colpo.
-Se vuoi, puoi poggiare tutto nel carrello.-mormorò quasi.
Lui udì perfettamente la frase e seguì il suo consiglio, gettando la roba all’interno.
La ragazza si voltò un attimo e guardò una persona con molto disprezzo.
Colui in questione, accortosi della presenza, la fissò con fare interrogativo. Potrebbe saltarmi addosso da un momento all’altro.
Per un attimo, o forse anche meno, si persero l’uno negli’occhi dell’altra. Ma che ci potevano fare: avevano entrambi degli occhi stupendi.
Ad un certo punto, come se si fossero svegliati da un coma, iniziarono a ringhiarsi contro.
-Tu.- sputarono con rabbia.
Era lui, Duncan. Stava con Gwen.
Courtney fece una cosa che mai avrebbe potuto fare: saltare nel carrello.
-Li vedi quei due?-chiese a John indicando “l’allegra coppietta.”
-Sì, perché?-
-Spingimi fino alla cassa, dobbiamo arrivare prima di loro.-gli ordinò.
Lui iniziò a correre, mentre lei salutò Duncan con la mano.
-Sentito Gwen? Dobbiamo vincere noi!-esclamò buttando la fidanzata nel carrello.
 

 

Courtney non si sarebbe mai sognata di fare una cosa del genere, tantomeno contro Duncan.
Forse quel reality le era rimasto così impresso, che aveva trasformato la vita quotidiana in prove più che demenziali.
Ma in quel momento non le importava, doveva arrivare per prima.
Non sapeva cosa avrebbe dimostrato poi, ma l’idea la divertiva.
 

 

Intanto, la sfida si fece “focosa.”
John, all’inizio un po’ trascinato, cominciò a starci e ad urtare più volte i rivali.
Duncan rispondeva ai suoi colpi, con altri forse più forti.
Tentavano di superarsi, di primeggiare ma sembravano essere sempre pari.
A rimetterci, invece, erano solo le due ragazze che, tanto per aggiungere qualcosa, iniziarono a lanciarsi tutto ciò che trovavano.
Gwen però, accortasi di ciò che c’era davanti, si fermò e si buttò a terra, seguita a ruota da Courtney.
I due ragazzi, avendo perso il controllo, non riuscirono a fermarsi e andarono dritti dritti contro un gruppo di persone.
Un carrello sbatté contro uno scaffale. L’altro, superata la cassa, si schiantò contro il muro.
Proprio per concludere in bellezza, davanti a loro si prostrò un omaccione pelato. Il direttore.
Li guardava minaccioso e loro capirono che erano fregati, letteralmente.
 

 

***
 

 

Si ritrovarono seduti su una panchina, fuori dal negozio.
Erano seri. Forse avevano realizzato il casino commesso.
Tutti, persino Duncan!
-Beh comunque sia, è stato il nostro carrello a sorpassare la cassa.-disse Courtney interrompendo l’agghiacciante silenzio.
-Mi dispiace ma sei nel torto. Quello era il nostro carrello.-ribatté il punk.
Gwen roteò gli occhi.
Ecco, ci risiamo.
-Era il più pieno, quindi il nostro. John ci ha poggiato anche la sua roba.-
-Siamo in due anche noi, non c’entra niente questo.-
-Sì invece. C’entra eccome!-
-Ad ogni modo, Principessa, abbiamo vinto noi.-
-Questo non è affatto vero!-
La gotica si schiarì la voce.
-Che ne dire se chiediamo la registrazione?-propose.
-Ottima idea.-approvò John. –Vado io.-
Entrò dentro e, dopo due secondi, lo si vide volare fuori e atterrare a pochi centimetri dalla panchina.
-Allora?-domandò Duncan.
-Non me li hanno voluti dare.-spiegò in breve, rialzandosi da terra.
Rimasero tutti immobili per qualche minuto. Poi, ognuno si allontanò per la sua strada, alla ricerca di un altro supermercato.
 
 
 
 

 

Angolo dell’autrice:
E rieccomi, con il terzo capitolo de “La storia inversa.”

Duncan: Non bentornata D:
Grazie, anche a te.
Grazie delle cinque recensioni nello scorso capitolo e delle altre cinque nell’ultimo capitolo di A Tutto Reality: Il College.
Vi voglio bene ma so che potete fare di meglio xD
Penso che questo è il capitolo che mi è uscito peggio.

Duncan: Viva l’ottimismo!
Già.
Coooomunque … recensite gente!
La prossima storia che aggiornerò sarà TDC, quindi tenetevi pronti.
Per Wizard101 dovrete aspettare che finisca una di queste due long sopra citate. Muhahaha :D
Ora vado.
Ci si vede presto …
 
Solluxy <3

 

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Capitolo 4
*** Mercoledì ***


Mercoledì

 
Anche se lavorava lì da poco, John aveva capito che il mercoledì era un giorno impegnativo. Non solo il locale era pieno, Daniel aveva chiamato anche tutti i dipendenti. E avrebbero dovuto lavorare per tutta la giornata!
Quanto vorrei tornarmene a casa.
La voglia del ragazzo di fare qualcosa, in quel momento, si trovava a migliaia di metri sotto il livello del mare.
E mentre i dipendenti erano occupati ad infilarsi i grembiulini, ci fu l’arrivo inaspettato di Daniel.
-Ragazzi, mi serve che uno di voi mi svolga una mansione facile facile.-spiegò mentre un gruppetto gli si avvicinò. –Dovrete riscrivermi a mano tutto il nuovo menù, ovviamente in modo ordinato e con una buona calligrafia. Chi si offre volontario?-
Tutti fecero un passo indietro, lasciando il bruno da solo.
-Ma bene John, sono contento che tu abbia deciso di accettare. Mi hai sorpreso tantissimo.-
-Veramente, io non … -
Prima che potesse concludere la frase, gli lanciò un foglio bianco con su scritto il menù da riportare in bella copia.
Stupidi ingrati,pensò guardando i suoi “colleghi.”
La porta – con poca grazia, rispetto alla prima volta - si aprì nuovamente, inghiottendo all’interno un altro ospite non inaspettato. Courtney.
Respirava affannosamente ed aveva la fronte tutta sudata. Quella mattina si era alzata più tardi del dovuto, perdendo così l’autobus.
Daniel le si avvicinò sospetto.
-Sai che è gradita la massima puntualità in questo lavoro, vero? Un altro ritardo e sarò costretto a licenziarti, anche se sei una ragazza davvero carina.-
-Sì scusami. Non succederà più.-rispose lei tenendo lo sguardo fisso a terra e arrossendo un po’. Non si sapeva se quest’ultima azione se era dovuta all’imbarazzo o al “complimento.”
-Lo spero. E ora tutti a lavoro! Sarà una lunga giornata.-
Eccome se sarebbe stata una lunga giornata …
 

***
 

-No, diavolo no!-
L’urlo di John, che per la ventisettesima volta dovette riscrivere tutto daccapo, fece voltare i clienti seduti ai tavolini vicini.
Accartocciò il foglio e lo lanciò nel cestino, con la speranza – vana – di fare centro. Ovviamente, fu costretto ad alzarsi e ad infilarcela di suo.
Courtney, pulendo la tazzina con un panno, osservava la scena ridendo.
-Non c’è niente di divertente, questa è la sventura più grande che la vita possa offrirti.-disse lui – con una punta melodrammatica – ringhiandole contro.
Si fermò un attimo a riflettere sulle parole del ragazzo, per poi continuare a ridere ancore più forte.
-Certo, come darti torto. Non è colpa mia se non sai fare nemmeno il copiato.- scherzò poi.
John la ignorò e tornò al suo lavoro. Un urletto isterico, però, dette il segnale del suo ventottesimo sbaglio.
-Peccato che sia arrivata tardi, avrei potuto farlo io.-biascicò Courtney mentre John era occupato a fare a brandelli il foglio che aveva in mano.
-Davvero?-chiese, girandosi in sua direzione. –Perché non vieni tu al posto mio?-
-Ho detto che avrei potuto, no che lo voglio fare. Goditi il tuo nuovo e fantastico lavoro.-
Nuovo e fantastico? Quando il ragazzo sentii quelle due parole, fu combattuto tra lo scoppiare a ridere o andare in stato di ebollizione. Scelse la seconda opzione, diventando di un bel porpora.
Beh, se lei non vuole aiutarmi, ce la farò da solo. Ci vorranno appena cinque minuti.
Ma non furono solo cinque minuti, bensì quindici.
Il cestino era ormai sommerso da cartacce e il viso di John, da porpora, si era trasformato in un bel rosso intenso.
La mano che teneva la penna si trovava ad un centimetro dal foglio e tremava: mancava da scrivere solo una lettera.
L’entrata inaspettata di un cliente, però, lo fece sbagliare per l’ennesima volta, provocando al foglio un modesto scarabocchio.
I suoi nervi, alla fine, cedettero e si avvento verso il “nuovo arrivato.”
-Ma lei è proprio un cretino! Non poteva entrare undici miseri secondi più tardi, eh? No perché, ovviamente, doveva farmi riscrivere nuovamente tutto per la novantacinquesima volta.-
Lo sclero – e il tentativo di andare a parolacce – fu sventato da Courtney che lo riportò indietro trascinandolo, prima che potesse fargli male.
-Ho capito, ci penso io.-disse lei alzando le mani in segno di resa e sedendosi all’ex posto del ragazzo.
In pochi minuti, e senza nessun tipo di errore, il menù fu pronto.
Fu quasi impressionato dalla rapidità e dalla calligrafia perfetta ed armoniosa impiegata dalla ragazza ma, neanche mezzo secondo dopo, tornò ad essere lo stesso di sempre, lo sclerotico che conosciamo bene.
Le strappò il foglio di mano e si diresse verso l’ufficio di Daniel, a passi lunghi.
Quest’ultimo era impegnato a ronfare sul lavoro; quando un irascibile e quasi pietoso John - con la delicatezza di un elefante che balla sulle scarpe da punta - entrò, infatti, balzò in piedi e scattò quasi sull’attenti.
L’altro, battendo un pugno sulla scrivania, fece cadere un plico di ricevute perfettamente ordinate.
-La prossima volta usiamo un computer, d’accordo?- fu l’unica cosa che disse, prima di sbattergli il foglio in faccia e di andarsene, facendo attenzione a far rumore.
Il moro, non avendo il tempo per ribattere, fece spallucce e infilò il foglio – a proposito, non si aspettava che John avesse una così bella calligrafia – nella fotocopiatrice, affiancata esattamente da un computer in ottime condizioni.
Se lo venisse a sapere …
 

***
 

Courtney si ritrovò nuovamente, dopo una dura giornata di lavoro, negli spogliatoi.
No, non fa proprio per me.
Sospirò e si tolse il grembiule. Dalla tasca ne uscì un bigliettino.
Si affrettò a raccoglierlo, prima che toccasse il suolo e lo lesse con attenzione.
 

Ma una bella cenetta io e te da soli, no?
Mi accontento anche di un semplice gelato.
John.

 

Alzò lo sguardo e vide il mittente appoggiato sul muro, adiacente a sé. Lo guardava con un aria mista tra l’interrogativo e l’impaziente.

Perché avrebbe dovuto accettare? In fondo, si conoscevano da pochissimi giorni.
Ok, si era preso parecchia confidenza ma era pur sempre un mezzo sconosciuto.
In qualche lato nascosto e oscuro, però, sentiva uno strano sentimento verso di lui. Uno di quelli che aveva provato poche volte nella sua vita.
Non parlo dell’amore, bensì di amicizia.
A Courtney stava simpatico il brunetto pazzo psicotico e con qualche rotella fuori posto, che se la prende con le vecchiette che fanno acquisti nelle cartolibrerie.
Si sentiva quasi obbligata ad accettare. Quasi.

Non voleva dargliela vinta, in ogni modo. Cercò di opporre resistenza, incrociando le braccia al petto e voltando la testa in un’altra direzione.
Ogni tanto lo guardava di sbieco, per constatare se avesse mollato.
Ma quando lo faceva, si scontrava con i suoi occhi tristi e supplichevoli.
Diamine, non posso cedere.
Sbuffò pesantemente più e più volte ma, alla fine …
-Va bene, accetto l’invito.-mormorò mentre il ragazzo iniziò a volteggiare per la stanza, esultando.
Per la seconda volta nella giornata, gliel’aveva data vinta. Ma non sarebbe più successo.
Mai più.
 

***
 

-Questo è l’ultimo ristorante che conosco. Se non avremmo successo anche qui, mi toccherà cucinare.-riferì John scendendo dalla macchina.
Con parecchia galanteria, andò ad aprire la portiera a Courtney che sussurrò un flebile “Grazie.”
Lui spinse la porta ed entrarono.
Il locale non era niente di che, una semplicissima trattoria. Ben organizzata ed arredata in modo eccellente, C’era persino l’aria condizionata!
-Carino.- si lasciò scappare lei.
Il ragazzo si diresse verso la cassa per salutare un suo amico, un colosso biondo in carne. Somigliava vagamente ad Owen …
Rimasero a parlare per un paio di minuti, dopo di che furono condotti al tavolo.
No, non può essere. Che ci fanno loro qui?
Rimase come paralizzata e toccò a John risvegliarla dalla specie di coma, scrollandola un po’.
-Non c’è un altro tavolo?-chiese spontaneamente.
-Mi dispiace, è l’unico che è rimasto.-
Si sedette ringhiando e lanciò saettate ai loro “vicini di tavolo”, conosciuti meglio come Gwen e Duncan. Anche loro si accorsero della sua presenza e la guardarono preoccupati,  come se potesse fare una scenata delle sue.
Anche il bruno notò la tensione fra i tre e, ironia della sorte, non dette peso alla cosa. Tanto lui non c’entrava niente con quello show …
Finito il teatrino degli sguardi, cercarono di ignorarsi.
I due fidanzatini bisbigliavano tra di loro mentre John cercava in ogni modo di distrarre Courtney.
Diciamo che la serata andò abbastanza bene, nei due tavoli regnò la pace e la quiete più completa, coperta completamente dal vociare delle altre persone.
Dai, ci manca poco. Almeno non ho dovuto ricorrere a tutta la santa calma …
I dessert furono serviti, lo stesso per tutti: un semplicissimo e gustosissimo gelato alla panna.
Ma, quando lei pensò che tutto sarebbe andato per il verso giusto fino alla fine, ecco la svolta. Per pura casualità, Duncan tirò un pugno sul tavolo, facendo volare la sua coppetta – di vetro – dritta sul vestito di Courtney.
Oh cavolo, ora sì che sono finito …
Senza rifletterci molto, scattò in piedi e gli rovesciò accidentalmente una bottiglia d’acqua addosso e afflosciando così la cresta del ragazzo.
Prima che se ne accorgessero, anche John e Gwen – facendo spallucce - si erano aggiunti alla lotta, cominciano a lanciarsi i primi oggetti capitati sotto tiro.
La loro lotta, in confronto a quella tra Duncan e Courtney, era molto più leggera mentre i due sfiorarono il limite della violenza. Una lotta troppo dettagliata e sicuramente da raiting non verde, la quale è impossibile descrivere con poche parole.
Mentre la battaglia avanzava, alcuni dei clienti si stavano dirigendo verso l’uscita a gattoni. Altri, invece, si erano nascosti sotto i tavoli.
Nell’aria rimbombavano anche insulti piuttosto pesanti e qualche – ma proprio qualche – parolaccia di John.
Non lo avrebbero mai ammesso ma, in fondo, si stavano divertendo. Come tutti i giochi belli, però, anche questo ebbe fine.
Quando meno se lo aspettarono, il proprietario gli si prostrò davanti, con uno sguardo a dir poco omicida.
-Voi quattro … fuori di qui, immediatamente!-
 

***
 

I ragazzi si ritrovarono – nuovamente - fuori da un luogo pubblico. Siccome la panchina quella volta non c’era, si dovettero accontentare del ciglio del marciapiede.
-Espulso a vita da uno dei miei locali preferiti, incredibile!-esclamò John interrompendo il meraviglioso silenzio che si era creato. –Sbattuto fuori da due posti diversi in due giorni consecutivi, poi.-
-Non sarebbe successo niente, se Duncan non mi avesse tirato il  suo gelato addosso.-disse Courtney, incolpando il punk.
-Quante volte devo dirtelo ancora, Principessa? E’ stato un incidente.-
Gwen si schiarì la voce, come per incitarli a starsi zitti.
-Comunque, si è fatto tardi, io suggerisco di tornare a casa.-propose sbadigliando.
-Appoggio la mozione.-riferì l’altra. –Domani ho un turno doppio, poi.-
-Chissà a chi tirerà il prossimo caffè.-sussurrò ironico Duncan mentre la gotica ridacchiò; Courtney si limitò a fulminarli.
-Se vuoi, ti offro un passaggio io.-disse John mettendogli una mano sulla spalla.
Lei sbuffò.
-Va bene. Ma solo perché è buio e non voglio farmi più di cinque chilometri a piedi.-
Il punk evitò di fare qualche battuta a riguardo. Ci teneva ai suoi gioiellini …
 

***
 

La macchina di John era molto spaziosa e aveva i sedili comodi. Ma, cosa più importante, non era sporca.
-Fra trecento metri, girare a sinistra.-
La cosa che Courtney non riusciva a concepire era il navigatore satellitare, meglio conosciuto come tom-tom. Prima regola, mai fidarsi della tecnologia moderna.
Poi, a che diavolo serviva se, fino a prova contraria, la ragazza sapeva dove fosse casa sua? Poteva benissimo dirglielo ma, testardo com’era il ragazzo, ci rinunciò. Sì, erano una coppia – di amici, però – perfetta.
Il ragazzo rompé il silenzio, per la seconda volta nella serata.
-Collaudiamo la mia cultura, ok?-propose per ammazzare il tempo. –Allora, tu hai partecipato ad un insulso reality show, giusto?-
-Ah ah.-
-Sei un personaggio celebre … -
-Beh, credo di sì.-lo interrompé.
-E stavi con Duncan, il quale ti ha tradita in mondovisione per Gwen.-
-Esatto.-
Rispose all’ultima affermazione a malincuore. Non voleva più aver niente a che fare con quel punkettaro da quattro soldi. Lo stesso di cui, pochi anni prima, si era innamorata follemente.
La pesantezza sugl’occhi non tardò a farsi sentire e, cullata dai continui sbalzi dell’auto, si addormentò.
 
 
 
 
 
 
 

Angolo dell’autrice
Visto che rapidità che ho impiegato?
Ieri pubblico la drabble (mi piacerebbe se la leggeste) e oggi aggiorno “La Storia Inversa." Non fateci l'abitudine, non succederà più xD
Duncan: Ti senti realizzata, adesso?
Non immagini quanto :3
Ci stiamo avvicinando alla conclusione, gente! Solo altri tre capitoli.
*si sente un coro di “nooo!!!”*
Non vi preoccupate, sono sempre qui per voi (…)
*il coro di “nooo!!!” si fa più forte*
Va bene, mi sto zitta.
Ora vado, ci si vede al prossimo aggiornamento di TDC (piccola anticipazione, sarà un doposhow speciale).
 
Solluxy <3

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Capitolo 5
*** Giovedì ***


Giovedì
 
Quella mattina, John uscì di buon ora per andare a fare compere.
Stava girando da ormai mezz’ora con la macchina, in cerca di un posto. La fortuna, però, non era esattamente con lui.
Non c’era un parcheggio, nemmeno uno microscopico.
Alle volte, vorrei essere un mago. Così potrei far spuntare posti dal nulla!
Si accorse presto del suo pensiero perverso, che scacciò con forza.
Ma eccolo! Illuminato dal Sole, scorse un buco tra due auto. Ci si avvicinò e …
-Dannazione, è passo carrabile!- esclamò, tirando un pugno sul volante e facendo suonare – accidentalmente - il clacson.
La macchina davanti si fermò di scatto. Un omone aprì la portiera e si diresse verso John. Una volta lì, fece segno di tirare giù il finestrino. L’altro deglutì più volte, per poi obbedire
-Allora, qual è il problema?- chiese minaccioso.
Sorrise, anche se sapeva che era fregato.
-Un attimo di rabbia, ho suonato il clacson per pura casualità.- rispose, optando per la verità. Almeno non sarebbe finito in ospedale … forse.
Assottigliò gli occhi, per poi tornare indietro.
Tirò un sospiro di sollievo, se l’era bevuta …
Poco dopo essersi rimesso in marcia, scorse un piccolo viale a senso unico. Un buon poso in cui lasciare la macchina, pensò. In fondo, chi è l’idiota che va a controllare le strade a senso unico?
Apparte i vigili, nessuno!
Infatti, pochi metri dopo, si fermò e lasciò l’auto in mezzo alla strada, incustodita nel modo più assoluto.
Non c’è posto nemmeno a pagare oro. Chissene frega, io la lascio qui e basta!
Pensato questo, si allontanò in cerca di un negozio.
 
***
 
Gwen uscì di casa e si incamminò per la sua consueta passeggiata mattutina.
Non c’era niente di meglio che camminare in una calda ed assolata – forse sarebbe meglio dire afosa - mattina d’estate, mentre gli uccellini cinguettano felici.
Le strade sono poco affollate, nonostante sia un giovedì comune. Saranno già tutti a lavoro …
Destinazione parco, l’unico posto in cui c’è un po’ di tranquillità in quella frenetica città. Anche se pare che nelle stagioni calde sia un poco abbandonata. Infatti, tutti lasciavano le proprie case per partire alla volta di paesi esotici.
Sarebbe piaciuto anche a lei fare una breve vacanza e staccare la spina per un po’, ma dato che non aveva vinto il milione ci aveva rinunciato.
Pochi minuti dopo, arrivò a destinazione e scoprì che la sua panchina – sotto l’ombra di una quercia – non era occupata.
Non sapeva di preciso perché quello fosse il suo posto preferito in assoluto. Forse era legato con il suo passato, soprattutto con qualche ricordo di Trent.
Venivano sempre lì, quando ne avevano tempo.
 
Era una comune giornata di novembre.
Il sole tramontava, come ogni giorno, dietro i profili delle case.
Loro erano ancora lì, nonostante il parco avesse chiuso tra pochi minuti.
Trent suonava la sua chitarra, Gwen poggiava la testa sulla sua spalla.
Silenzio, non si sentiva nulla. Non parlavano, non volevano rompere quel momento magico. Inutile dire che l’amavano.
Il vento accarezzava la loro pelle, mentre gli ultimi raggi sparirono definitivamente, nel giro di pochi minuti.
 
Sorrise. Quanto le mancavano quei fantastici giorni autunnali trascorsi insieme a Trent.
Si sedette e chiuse gli occhi, giusto per rilassarsi un po’. Ma, quando li riaprì, notò con dispiacere che non era più sola.
Si ritrovò davanti un ragazzino sui quindici anni, che la fissava.
Odio la gente che mi guarda …
Sapeva benissimo dove voleva andare a parare.
-Scusa, tu sei per caso Gwen di A Tutto Reality?-
Ecco, come non detto.
-Sì, sono io.- sbuffò.
Lui si voltò un attimo in direzione di altri ragazzi.
-Ehi gente, è proprio lei. Venite, coraggio!-
In poco tempo, fu assalita da una massa di fan urlanti e che chiedevano un autografo.
Magari fosse solo quello, veniva assalita anche di domande un pochino personali. Ma giusto un pizzico, niente di che.
Scrollarseli di dosso sarebbe stata la missione più infida del secolo, e di tutti quelli passati e futuri.
La sua idea di giornata all’insegna del relax era ufficialmente saltata …
 
***
 
Courtney era già a lavorare da un’oretta circa. Quell’idiota di John era riuscito a guadagnarsi la mattinata – sarebbe infatti venuto il pomeriggio - libera mentre lei no.
Era stata costretta ad andare al bar per un turno extra.
Mentre era intenta a pulire le tazzine, notò una bambina mettersi in punta di piedi, cercando di farsi notare.
-Ti serve aiuto, piccola?- chiese avvicinandosi a lei.
-Ti ho già vista da qualche parte. Per caso sei famosa?- domandò.
-Ecco, non esattamente. Diciamo che ho partecipato ad uno show.-
-Courtney, giusto?-
La ragazza riuscì a vedere un gruppo – meglio folla – accalcata contro il bancone.
Circa una ventina di braccia si allungavano verso di lei, per cercare un autografo.
C’erano persone di tutte le età: dai bambini agli adulti e persino qualche anziano.
Ora sì che mi servirebbe l’aiuto di qualcuno.
 
***
 
John tornò verso la sua auto, con delle buste in mano. La spesa era andata a buon fine, per fortuna.
Ora me ne tornerò a casa e mi sdraierò sul divano, davanti alla TV.
La sua prospettiva di “giornata quasi perfetta” si rivelava interessante. Ma, ovviamente,doveva esserci il solito rompiscatole di turno. In questo caso un vigile urbano.
Era davanti al suo mezzo di trasporto, la quale era circondata da segnalini gialli e altre varie cose.
Che c’è? Ora nemmeno si può lasciare la propria macchina in mezzo ai piedi?
-Lei è il proprietario del veicolo, giusto?- domandò, guardandolo arrivare.
La perspicacia è di casa, pensò mentre infilava le buste nel portabagagli.
-No. Io sto mettendo le buste qua dentro perché voglio che me le freghino. Sa com’è, aiuto i ladri. Opero per il male.-
Un po’ d’ironia non ha mai fatto male a nessuno.
-Non faccia lo spiritoso. Non sa che i parcheggi sono stati inventati apposta per parcheggiare le auto?-
-Magari li avrei usati, se ce ne fosse stato almeno uno libero. C’è sempre una risoluzione per tutto, dico bene o no?-
L’agente si sfilò di tasca una penna ed iniziò a scrivere qualcosa su un blocchetto.
L’allegra scena comica fu accidentalmente interrotta da una massa umana di persone e Duncan.
-Ehi ciao!- disse John sbracciandosi.
-Scusa ma al momento sono un tantino impegnato!- urlò di rimando.
Le sue “inseguitrici” si fermarono quando videro il bruno, per poi iniziare a rincorrere lui.
-Avete visto? Quello è il ragazzo del video!- gridavano, nel frattempo.
Video? Quale video?
In quel momento era l’ultimo dei suoi pensieri. Ne approfittò del momento per risalire in macchina e partire a tutto gas, urtando i segnali e lasciando il vigile urbano a protestargli dietro.
Purtroppo per lui, continuò ad essere inseguito.
-Cosa c’entro io? Perché non tornate a rincorrere … lui?- chiese indicando il punk, che lo salutava  con un ghigno.
-Tu invece me la pagherai per questo.- disse poi al ragazzo.
Impegnato a “sclerare”, non si accorse che davanti a lui c’era un bellissimo muro in mattoni.
Non vide altra scelta: inserì la quinta e ci si andò a schiantare contro. Poco prima dell’impatto si mise a pregare.
Con la stessa forza di un autotreno la macchina demolì il muro, trovandosi così lungo una strada del centro. Le persone che camminavano lungo il marciapiede furono costrette a buttarsi a terra, per evitare di essere investite.
-Wow, non pensavo di avere una macchina così … resistente!-
Esattamente una frazione di secondo dopo finì la benzina e John rimase a piedi.
-Mi rimangio tutto ciò che ho appena detto. Sei l’auto più inutile del mondo!-
Aprì la portiera e si mise a correre con la speranza di seminare le “fan” che, durante il problema tecnico, lo avevano raggiunto.
Come se non bastasse, inciampò anche in una crepa nel marciapiede ma, in qualche modo arcano e sconosciuto, riuscì a rimanere in equilibrio. Però il mazzo di chiavi che portava in tasca cadde nel tombino, che si trovava sul ciglio della strada.
Forse dovrei comprarmi un marsupio …
Imprecò qualcosa in silenzio mentre continuava a fuggire da quel gruppo di ragazze troppo esaltate.
Attraversò la strada senza guardare a destra e sinistra, con il risultato che fu artefice di un incidente di gruppo. Gli autisti si affacciarono e iniziarono ad insultarlo, ma lui era troppo occupato e non si accorse di nulla.
Prese il cellulare e cercò un numero nella rubrica, quello di Courtney. Appena lo trovò, lo premette.
Squillò per un paio di secondi.
-Che diavolo vuoi?- domandò scorbutica, dall’altra parte.
-Allora, da dove posso iniziare? Sono rimasto a piedi, sono inseguito da fan ostinate e, soprattutto, le chiavi di casa mia sono finite in un tombino.-
-Io ho altri problemi qui, quindi se non ti dispiace … -
-No aspetta, mi serve il tuo aiuto!-
-Scordatelo, non verrò mai ad aiutarti. Soprattutto dopo che ti sei preso una mattinata libera!-
-Ascolta, devo assolutamente recuperare il mazzo di chiavi di riserva. L’unico problema è che si trovano dentro casa e mi serve il tuo aiuto per recuperarle … -
 
***
 
Duncan era rimasto per un po’ a guardare la scena, divertito dall’idea che si era finalmente riuscito a liberare dalla massa di fan.
Beh, ora sono un problema di John.
Intanto, il vigile si era rimesso a bordo della sua auto, con la speranza di trovare il pirata della strada.
Credo che avrà due problemi … meglio lui che me.
Si rimise in marcia, con la speranza di tornare a casa senza nessun’altro tipo di problema.
Speranza vana dato che, dopo un po’, andò a sbattere contro un’altra massa di fan “inferocite.”
Sapete già cosa accadrà dopo; sarà costretto nuovamente a darsi alla pazza fuga …
 
***
 
-Continuo ancora a pensare che la tua idea sia idiota.- commentò Courtney, che aveva appena raggiunto John a casa sua. –Mi spieghi perché dovrei fare io da esca per i fan?-
-Perché tu non sai dove si trovano le chiavi. Quindi, te ne stai davanti alla porta buona buona, in attesa che io le trovi.-
La ragazza sbuffò pesantemente, seguendo alla lettera il “grandissimo” piano.
Il bruno, grazie all’aiuto di una corteccia d’edera, si stava arrampicando sul muro con l’idea di arrivare fino alla finestra della sua camera, rompere il vetro e prendere le chiavi. Un piano da perfetto stalker, pensò mentre lo metteva in atto.
Se i suoi vicini l’avessero visto, l’avrebbero sicuramente denunciato ma chissene frega!
A Courtney, invece, le cose non andavano tanto meglio. Se ne stava sul ciglio della porta, in attesa che lo stupido show si fosse concluso.
Magari me ne torno a lavoro e lascio John da solo …
In fondo, avrebbe anche potuto farlo se non fosse stato per un piccolissimo problema: le fan, le stesse che prima stavano inseguendo il ragazzo.
-Guardate, quella è Courtney!- esclamò una di loro.
Le altre, intanto, gridavano come pazze.
-Ehm John? Mi serve una mano, fa’ in fretta!- esclamò lei, nella vana speranza che possa sentirla.
Intanto, il ragazzo spaccò il vetro e si ritrovò nella sua stanza.
Il vetraio lo chiamo dopo, ora ho da fare.
Aprì la cassettiera, sotto la scrivania e ne sfilò un mazzo di chiavi. Poi si diresse verso l’ingresso, ma fu costretto a fermarsi quando vide gli innumerevoli fan.
-Ma che diavolo succede!- esclama stupito.
Una signora sulla quarantina si fece spazio tra la folla, con un microfono ed una squadra di cameraman. Era la reporter del telegiornale locale e si stava dirigendo verso le due “star”.
-E siamo qui in diretta con Courtney di A Tutto Reality e John, divenuto famoso grazie al video del ristorante che abbiamo trasmesso questa mattina.-
Ah, ecco quale video. Mi ha chiarito molto le idee.
La ragazza, invece, rimase spiazzata.
-Ed ecco la domanda che tutti ci chiediamo: voi due state insieme?- chiese, puntandoli il microfono davanti.
-Ehm, ecco … noi, in realtà … -
Courtney viene interrotta dal ragazzo, che afferra il microfono con forza.
-Io e lei siamo solo amici. Lavoriamo nello stesso bar, anche se ci siamo conosciuti in una cartolibreria. Facevo il cassiere lì, prima di essere licenziato per fatti che non voglio raccontare, e lei era venuta a fare acquisti in quel subdolo negozietto. Vi basta come risposta?-
Senza esitare butta il microfono a terra e lo schiaccia con un piede, causando un fischio insopportabile.  
-Era necessario?- domando la ragazza, portandosi le mani alle orecchie.
-Sì, mi stava dando sui nervi. Mi chiedo come tu possa sopportare questa cosa.-
Ah, me lo chiedo anch’io. Eccome!
La reporter recuperò in fretta l’oggetto da terra – stranamente ancora funzionante.
-Questa domanda è rivolta a John.- continuò poi. –Se ti dovesse essere proposto, parteciperesti ad A Tutto Reality?-
Sgranò gli occhi.
-Stai scherzando, vero? Certo che no! I reality show sono i programmi televisivi peggiori che abbiano mai inventato, e non voglio diventare un montato insopportabile del cavolo come alcuni.-
L’intervista fu interrotta da un boato, proveniente dal marciapiede adiacente.
Un altro gruppo di ragazzi – e non solo – stavano rincorrendo altre star che conosciamo molto – troppo - bene. Già, proprio Duncan e Gwen.
I due ne approfittarono del momento per fuggire ma, purtroppo per loro, i fan se ne accorsero e li raggiunsero in fretta.
Diavolo, erano veloci!
Ad un incrocio i due gruppi si mischiarono come per magia e si ritrovarono presto in un vicolo cieco e i ragazzi furono con le spalle al muro.
-Ora sì che siamo ufficialmente fregati.- commentò Duncan mentre la folla avanzava lenta.
Si sentirono per un attimo come dei topi in trappola, come se il gatto – anzi, i gatti - li volesse mangiare e a loro non rimane altro che sperare.
Sperare che qualcuno faccia un segno dal cielo e venga in soccorso.
Queste cose, però, non possono succedere realmente. La fortuna non esiste o, almeno, non arriva mai nei momenti opportuni. Quindi, puoi solo fare ciò che fa un topo – o qualsiasi altra preda - in certe circostanze.
Scene del genere sembrano durare secoli, fu così anche allora.
Iniziarono a sudare a freddo e a deglutire più volte. Dio buono, se esisti, manda qualche Santo quaggiù.
Il “miracolo” - se si può chiamare così – avvenne: John aguzzò la vista e notò un carro attrezzi portare via … la sua auto? Stavano portando via il suo gioiello?
-Il mio tesoro! La mia unica gioia e orgoglio di vita! Riportatela immediatamente qui, è solo a secco!- urlò, spintonando tutti e iniziando a correre verso il suo obiettivo.
Dietro di lui si unirono il vigile urbano – lo stesso di prima -, una folla inferocita di autisti – con torce e forconi, tanto per rendere tutto più medievale – e alcuni fan. Quelli più “accaniti” erano rimasti lì.
In qualche modo oscuro, però, scoppiò una rissa tra varie fazioni: i sostenitori della Duncney e quelli della Gwuncan. Potete immaginare i discorsi privi di senso, non c’è bisogno che li trascriva qua sotto …
Dopo insulti verbali – anche piuttosto pesanti -, passarono alle mani.
La demenzialità di quella lotta fece profondamente riflettere Duncan e Courtney. Mai come allora si sentirono ridicoli.
Davvero si erano comportati, anche loro, in modo così infantile?
Davvero l’avevano fatto solo per distruggersi, per primeggiare, per far vedere all’ex partner di essere migliore?
Ma soprattutto, erano del tutto sicuri che volevano distruggersi?
Tutto per colpa della vendetta, la stessa che aveva trascinato con loro anche John e Gwen.
Avevano coinvolto due persone che, almeno in parte, non c’entravano nulla. Quella cosa doveva rimanere tra loro, dovevano risolverla in modo civile. Non facendosi cacciare a vita da due luoghi pubblici!
-Tregua?-
-Tregua, principessa.-
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice
Salve miei lettori.
Se siete arrivati a leggere fin qui vi ringrazio, questo capitolo non merita.
*ottimismo time*
La vena demenziale c’è, anche se va a scarseggiare verso la fine. I’m sorry D:
Annuncio – solennemente – che gli ultimi due capitoli saranno incentrati esclusivamente sulla DxC e ci sarà qualche accenno anche alla TxG.
Yeeee!!!
Annuncio che presto arriverà anche il 19°capitolo di TDC, anche se potrebbe esserci una sorpresa prima …
Avevo già detto di una serie. Bene, ora sono due quelle in programma :3
La prima storia di una delle due è già pronta, manca solo il “tocco finale.” Per l’altra … penso dovrete pazientare un po’.
Ora vado, ci si sente nelle recensioni.
 

Solluxy <3
 

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Capitolo 6
*** Venerdì ***


Venerdì
 

 
Un John molto stressato si trovava al di là del bancone, con uno sguardo a dir poco indecifrabile per la razza umana - un misto tra disgusto, irritato e molto stanco.
Uno sbadiglio, poi un altro.
Stava ancora cercando di dimenticare il giorno precedente – il suo incubo peggiore – e la multa che gli avevano fatto, il quale troppo costosa da pagare subito.
In fondo aveva solo insultato un personale pubblico, abbandonato la sua macchina in mezzo alla strada perché al secco e provocato un incidente di massa, niente di che! Senza dimenticare gli innumerevoli fan da cui era stato assalito.
Sarebbe stato costretto a lavorare come un pazzo, per tutta la giornata e senza nessun giorno libero. Ovviamente non avrebbe dovuto avventarsi nemmeno contro i clienti.
Una vera e propria tragedia. Non sarebbe mai uscito indenne da quell'impresa, se lo sentiva.
Lanciò un’occhiata a Courtney, la quale non trasmetteva nemmeno lei esattamente la positività più assoluta. Ce l’aveva ancora con sé stessa riguardo la storia delle sfide demenziali.
-Almeno c’è un po’ di sole, in questo posto. Dai su, non hai mica ucciso qualcuno!- tentò di tirarle su il morale, con scarso successo.
Infatti, riuscì a guadagnarsi solo uno sguardo truce.
-Ehi ehi, stavo solo scherzando. Non te la prendere tanto, Miss Permalosa.-
Grosso errore, fratello.
Sapeva anche lui che non sarebbe sopravvissuto, quando vide lei avvicinarsi minacciosa.
-Io sarei permalosa?- domandò, puntandogli un dito contro la faccia. –Allora tu sei uno sclerotico, volgare, idiota, cinico ed egocentrico essere rivoltante!-
Come non detto, brutta mossa.
Il piano per rendere la mattinata divertente era saltato … almeno che non avesse voluto finire in ospedale, con un bel trauma cranico e qualche ossa rotta.
-Ma chi sopporti di meno, me o lui?- azzardò quasi, dopo che lei uscì a servire un cliente.
Entrambi sapevano di quel lui, alcuni più di altri.
In meno di un attimo, se la ritrovò davanti a ringhiargli contro.
-Non. Voglio. Parlare. Di. Questo. E ora lasciami stare.-
Gli avrebbe spaccato volentieri un piatto in testa, se solo lo avesse avuto a portata di mano. Si limitò a spintonarlo, facendolo cadere di sedere nel secchio dell’immondizia.
John, quel giorno, imparò un’importantissima lezione di vita: mai mettersi contro Courtney, se non ti vuoi ritrovare con le chiappe incastrate in un secchio pieno di carte sporche e di avanzi di brioche.
Una signora lo interruppe. Sì, la vecchietta della cartolibreria.
-Mi scusi, potrebbe prepararmi un caffè?- chiese.
Odiava quella persona. Ma veramente tanto!
-Sa una cosa? Se lo faccia da sola a casa sua, altrimenti le regalo una fornitura gratis di … qualcosa in testa. Non vede che ho ben altro da fare? Ho il fondo schiena incastrato e lei mi chiede un caffè? Ma vada via, per favore!-
Eh sì, le buone vecchie abitudini non muoiono mai.
 
***
 

 
Quel tardo pomeriggio, Courtney ebbe la brillante – o forse no – idea di mettersi a riordinare tutta la sua stanza. Era arrivato il momento di liberarsi di alcune cianfrusaglie e altre varie cose.
Poggiò uno scatolone sulla scrivania e iniziò a riempirlo di vecchie riviste, fogli stracciati, vecchie liste ormai inutili e oggetti rotti – o meglio, distrutti da alcuni attacchi d’ira.
C’era tutto, o quasi. Il momento più delicato: sbarazzarsi dei ricordi.
Li teneva sigillati in un cassetto del suo comodino e aprirlo, anche se dopo pochi giorni dalla fine del reality, doleva. E molto.
Doveva farlo, e possibilmente senza piangere. Si avvicinò e tirò la piccola maniglia in legno.
Eccoli lì, tutti rigorosamente in ordine. Ma era sicura di farlo? Sì, ne era certa.
Quella stupida gara le aveva aperto gli occhi. Si sentiva diversa, stranamente più matura.
Tutti si sarebbero aspettati un cassetto strapieno di roba, e invece no. Era quasi del tutto vuoto, molti dei ricordi erano stati bruciati nel caminetto.
Erano rimasti solo tre piccoli ed insignificanti oggetti. Non aveva mai avuto il coraggio di farli fuori, ma non in quel momento. Se ne voleva sbarazzare definitivamente.
La lettera dove erano elencati tutti i difetti di Duncan. Quel fascicolo di trentadue pagine che li aveva tenuti svegli un’intera notte, insieme.
Il diadema della sfida sulle favole. Dopo la conclusione aveva deciso di tenerla; era pur sempre il ricordo di una vittoria esilarante. Ma, ormai, non aveva più nessun significato.
La sua mano vagò nel cassetto alla ricerca del ricordo più doloroso. Lo strinse, ma non lo guardò. Sapeva benissimo che, se lo avrebbe fatto, sarebbe scoppiata a piangere come una bambina.
Impolverato, era rimasto là dentro per parecchio tempo.
Rovinato, l’aveva amato e anche disprezzato.
Frammentato in due, come il suo cuore.
 
Ok, è un po’ strano e mette i brividi ma … mi piace tanto. Non ti dimenticherò mai!
 
E’ vero, non l’aveva dimenticato. E lui?
Si era veramente dimenticato di lei?
Non era del tutto sicuro di voler conoscere la risposta, la sapeva già.
La cosa che le faceva più rabbia è che lui, tra tante, aveva baciato proprio la sua migliore amica, l’unica che aveva avuto. E l’aveva persa per colpa sua.
Lo odiava … ma chi diavolo voleva prendere in giro? Nemmeno sé stessa, ormai era risaputo da tutto e tutti. Persino dai muri!
Si affrettò a mettere tutto nella scatola e chiuse i lembi con una striscia di nastro adesivo. Lo imbracciò e uscì di casa, a passo svelto. Prima si sarebbe tolto quel peso, meglio era.
Una volta fuori, lo poggiò affianco ai cassonetti, con la speranza di non averne più niente a che fare. Voleva definitivamente chiudere i ponti con quello stupido reality da quattro soldi, ma …
 
***
 

 
Duncan si diresse verso il corridoio d’ingresso, con l’intento di fare una passeggiata scaccia pensieri. Una voce lo bloccò prima che potesse varcare la soglia di casa.
-Dove pensi di andare?-
Gwen era dietro di lui e lo guardava con le braccia incrociate al petto.
-Vado a farmi un giro e voglio farlo da solo, se permetti.-
-Ecco, ci risiamo. Tu esci e chissà dove vai ed io rimango a casa. Non mi fai mai venire con te e voglio sapere il perché.-
Sbuffò pesantemente.
-L’altra sera ti ho portata a cena fuori. E’ già tanto, per uno come me.-
Ovviamente, tralasciando il risvolto negativo di tutto …
Un’occhiataccia. Ok, ok, ho capito.
-Ti ho fatto una domanda e mi sembra che tu non mi abbia risposto.-
-Perché sì, ok? La conosci la privacy? Ora, fatti gli affari tuoi e lasciami in pace.-
La maledì in silenzio e se ne andò, sbattendo la porta più forte che poté.
Lei rimase lì, immobile come una statua di cera. Guardava un punto fisso senza uno scopo prestabilito.
Sì sentì umiliata, sconfitta. Usata da quel punk da strapazzo, per colmare il vuoto di entrambi, e subito dopo abbandonata per niente.
Una piccola lacrima uscì, solcandole in viso pallido.
Pensò ad quel ragazzo che conosceva fin troppo bene e che, dopo la rottura, aveva fatto eliminare.
Sapeva che non l’avrebbe lasciata sola, mai.
Sapeva che ci teneva a lei, più di qualunque altra.
Sapeva che lo amava ancora, anche dopo averlo mollato freddamente in mondovisione.
Le mancavano le sere in cui, seduti sul divano, guardavano un film e mangiavano dei popcorn. Cercava la sua mano, ma non per conforto o altre varie stupidaggini, perché lo voleva più di ogni altra cosa al mondo.
Avrebbe desiderato tanto sentirlo di nuovo affianco a sé, ormai era impossibile. O quasi.
Doveva rimediare, ora che il suo rapporto con Duncan aveva raggiunto il capolinea.
Afferrò il cellulare e scorse con il dito la rubrica alla ricerca del suo nome: Trent.
Si sentiva obbligata a chiedergli scusa, per il modo orribile in cui l’aveva trattato. Non aveva mai avuto il coraggio di farlo, era arrivato il momento.
Sentì il cuore in gola mentre il telefono continuava a squillare.
-Pronto?- una voce ruppe quei rumori estenuanti.
Coraggio Gwen,  puoi farcela. In fondo, è solo una chiacchierata con il tuo ex.
-Ciao, sono Gwen. Volevo solo chiederti come stai e magari parlare un po’, niente di cui allarmarsi … -
 
***
 

 
Ormai era buio.
Il cielo era offuscato, non si potevano intravedere le stelle. Solo le flebili luci dei lampioni illuminavano la strada.
Duncan camminava da tempo, con le mani nelle tasche dei jeans. Vagava senza meta e, a ogni passo, la sua testa si riempiva di dubbi e rammarichi.
Ma chi diavolo gliel’aveva fatto fare a mettersi con Gwen!
Stupido orgoglio, tutta colpa sua. Gli aveva impedito di stare con la persona che amava e che ama ancora.
Stava diventando insopportabile. Ma avrebbe dovuto lasciarla in un modo più “umano”, per impedire di farla soffrire. E invece era stato egoista, aveva pensato solo a sé stesso.
Se ne era fregato altamente – come suo solito – ed era corso dalla quasi amica di lei, pensando di esservi invaghito follemente. Aveva solo spezzato un legame d’amicizia piuttosto forte e una storia d’amore da far invidia alle fiabe.
Che idiota che sono stato.
E se ne rese conto solo in quel momento, anche se erano passati pochissimi giorni dalla fine di quel dannato show, che gli aveva rovinato la vita.
Era cosciente di aver perso per sempre la sua adorata principessa, una delle poche ragazze – se non l’unica – a cui aveva realmente tenuto.
 
-Bene, goditi una vita senza burro di arachidi.-
-Grazie, goditi il carcere.-
-Senz’altro.-
 
Poteva rivivere quella scena, se la ricordava come se fosse ieri. Se ci si sforzava, poteva riuscire anche a sentire le calde labbra – al momento impastate di vomito – della ragazza sulle sue.
Una sola domanda gli rimbombava più volte come un martello pneumatico: perché?
Perché, se era stato lui a volere quella relazione, l’aveva distrutta per primo?
Perché si trovava per strada a rimuginare sul passato?
Ma soprattutto perché, nonostante tutto, l’amava ancora?
In lontananza avvistò un piccolo locale dall’altro lato della strada, illuminato come se fosse festa.
La sua mente perversa gli ordinò di entrare e di prendere una gustosa birra ghiacciata. Si leccò i baffi al solo pensiero, ma rimase ugualmente immobile.
Ebbe come una visione. Si ritrovò davanti lei, la ragazza isterica che amava stuzzicare più di ogni altra cosa. Quel battibecco continuo li caratterizzava particolarmente ma la cosa bella era che, dopo ogni litigio, tornavano ad amarsi sempre più.
Come avrebbe voluto che fosse stato così anche in quella situazione …
Ma a che diavolo vai a pensare! Tu sei Duncan, non un sentimentale del cavolo.
La sua faccia era talmente buffa che sarebbe potuto scoppiare a ridere da un momento all’altro ma, siccome ci teneva alla sua salute, tentò di evitare. Anche se era tutto frutto del suo cervello altamente malato, non si sapeva mai …
Non capì esattamente ciò che gli stava urlando contro, ma di sicuro cose del tipo “Non ci pensare nemmeno!” oppure “Se ti azzardi solo, sei un uomo defunto.”
Poi si dissolse magicamente nell’aria, lasciando il ragazzo più confuso - e frustrato - di prima.
Non era di certo il tipo da seguire alla lettera tutti gli ordini di una ragazza – ops, già fatto -, soprattutto se si trattava di un momento di follia del suo subconscio. Ma, dato che parliamo sempre di lei, fece un eccezione e riprese a camminare lungo un viale.
Si bloccò di scatto e si nascose rapidamente dietro un palo.
Ottimo nascondiglio, amico. Stai perdendo colpi …
La vide, vide Courtney uscire da un appartamento che si presuppone fosse il suo.
No, spero tu stia scherzando. Le tue ipotesi da Watson mi sorprendono ogni giorno di più …
Il suo sguardo cadde inevitabilmente sullo scatolone che aveva in mano. Lo poggiò sul ciglio della strada, davanti a dei cassonetti, e rientrò velocemente in casa.
Non l’aveva visto. Il suo nascondiglio non era del tutto penoso, allora … Ok, era penoso e basta!
Si avvicinò e, per curiosità, tagliò il nastro adesivo che teneva chiusa la scatola con il suo coltellino fidato, lo portava sempre con sé.
Materiale molto, ma davvero molto interessante.
Lo afferrò, facendo attenzione a non far cadere nulla, e si diresse lungo la via di casa.
Ok, con quello scatolone sembrava un barbone ma era di vitale importanza.
-Ehi Duncan, come stai oggi?-
Si girò e vide John che camminava dal lato opposto al suo e sul marciapiede adiacente. Stava tornando a casa dopo una dura giornata di lavoro.
-Per caso la tua fidanzata ti ha appena cacciato di casa?- chiese beffardo, indicando il “bagaglio a mano.” –No perché, se solo volessi, ti potrei ospitare sotto il mio umile tetto.-
Sì, la gentilezza di John è spaventosa …
Roteò gli occhi, e ignorandolo, riprese a camminare.
-Dove vai stupido idiota? Torna subito qui, devi rispondere alle mie provocazioni! Ci sei o ci fai? Voglio una risposta concreta!-
Continuò a sclerare come un matto senza nessun successo. Ormai lui era lontano …
 
***
 

 
Duncan rientrò nell’edificio – conosciuto comunemente come casa -, chiudendo la porta lentamente.
Nel buio riuscì ad intravedere appena la figura di Gwen. Si era appisolata sul divano e il braccio sinistro era penzoloni. Teneva stretto in mano il suo cellulare, che sfiorava appena il suolo.
La lasciò stare, non voleva rovinarle il sonno, ma soprattutto, non voleva litigare con lei un’altra volta.
In silenzio, si diresse in camera e poggiò rovinosamente la scatola sul letto, facendola sobbalzare appena.
Aprì i lembi e lanciò varie cianfrusaglie – di cui non gliene fregava nulla – a terra. Poi si bloccò alla vista dei tre ricordi “prediletti.”
Lasciò perdere il manuale - che tanto odiava - e la corona. Si fiondò letteralmente sul piccolo oggetto che ben conosceva anche lui, distrutto e sgretolato.
Non posso crederci, lo ha ancora. O meglio, l’aveva.
Perché se ne era liberata?
Non riusciva a capire, lei lo adorava! Gliel’aveva persino detto, se lo ricordava come se fosse ieri.
Idiota, ha miliardi di motivi a suo favore. Vuoi che te li elenchi tutti, anche se si fa giorno?
Sapeva cosa fare, anche se andava contro la sua maledettissima vocina interiore: aiutarla a capire che stava sbagliando a buttare all’aria cose che, chiaramente, non avrebbe mai dimenticato.
Lo prese e lo poggiò sulla scrivania. Tasto la mensola, alla ricerca dello scotch. Dopo averlo afferrato si mise a lavoro.
Diversamente dall’intero appartamento, la luce in quella stanza rimase accesa a lungo.
 
 
 
 
 

 
Angolo dell’autrice ritardataria e depressa
Annuncio iniziale: queste note saranno decisamente lunghe. In compenso, regalo gratis cuscini per tutti coloro che hanno aperto la pagina.
Volevo iniziare con due avvisi.
1. Come avrete notato, ho tolto la mia long sui pirati. In pratica la sto revisionando e sto aggiungendo chiarimenti, descrizioni e robe varie. Finita questa long, probabilmente, la rimetterò.
2- Ho deciso di sospendere A Tutto Reality: Il College, per mancanza di ispirazione. Avevo in mente GRANDI cose per alcuni di loro, ma le sfide scarseggiavano. Poi oggi è uscita la prima puntata di Total Drama: All Stars e, diciamocelo, ora tutti seguiremo la quinta stagione effettiva (seppure in inglese … o almeno io lo faccio), nessuno verrà a leggere la mia “invenzione.” Tuttavia, non la cancellerò in rispetto di coloro che la seguivano e a recuperare una storia tra popolari e con novantasette recensioni ce ne vuole.
Ok, passiamo al capitolo.
Lo so, fa pena e pietà soprattutto la parte sui pensieri di Court. Fanno rivoltare i morti nella tomba.
Duncan poi … vogliamo parlarne? Io non voglio, poi vedete voi …
L’unica che si salva (ma anche no) è Gwen.
E infine abbiamo John … Ah John, se non ci fossi tu. Mi dispiace solo che in questo capitolo l’ho trascurato un po’ e anche nel prossimo sarà così. Ma sclererà comunque come un pazzo assatanato in cerca di vendetta (???)
Preparate i fazzoletti. Il prossimo sarà l’ultimo capitolo è sarà quasi totalmente incentrato sulla DxC.
Potete iniziare a piangere già da ora, sì. Anche se penso che questo “sfogo di luglio” non mancherà a nessuno.
Sono angosciata, domani riapre la scuola. Ma penso che non freghi a nessuno, tranne agli esasperati come me.
Io vado a sfogarmi, a sclerare e a fare altre cose per cui potrei essere definita psicopatica.
Ci si vede.
 

Solluxy <3
 

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Capitolo 7
*** Sabato ***


Sabato
 
Non c’era niente di meglio che mettersi in malattia, per scampare ad alcuni giorni di lavoro. Era stata un’idea ingegnosa, tipica di John. Certo gli servivano i soldi - dimenticando ciò che era successo due giorni prima - ma una vacanza non ha mai fatto male a nessuno.
Se ne stava sul divano con un cartone di pizza fumante, a pianificare il “giorno migliore dell’anno.” Non sapeva di preciso cosa fare, ma di sicuro il programma comprendeva mangiare e dormire. Oppure dormire e mangiare, era indeciso.
Guardate che sono due cose diverse e bruciano molte calorie. Avrebbe fatto una sudata pazzesca, se lo sentiva.
Ok, ironia a parte, era sudato sul serio. Scegliere cosa fare è stressantissimo, ragazzi.
Addentò una fetta di pizza e gustò lentamente il boccone. Era veramente buona, cavolo!
Ovviamente, data la sua abnorme sfiga, il telefono cominciò a squillare interrottamente.
Ma non possono inventare un aggeggio per prendere le cose a distanza? Per evitare che la gente interrompa le sue attività, no sapete com’è …
Si alzò con una botta secca e buttò uno sbuffo che potrebbe essere stato intercettato fino in Alaska. Afferrò l’utensile, cercando di non spaccarlo.
La solita telefonata abituale di Courtney. Mi chiederà sicuramente perché non sono venuto al lavoro, pensò prima di cominciare quella conversazione – che, probabilmente, comprendeva anche una ramanzina.
-Pronto?- chiese sorridendo.
Una voce stridula ed acida non tardò a farsi sentire, letteralmente.
-Si può sapere perché io devo restare qui a lavorare, mentre tu sei in casa a poltrire pur essendo in perfetta salute?- urlò una voce femminile.
Sì, Courtney come aveva immaginato.
Potrei fare l’indovino …
-Nessuno ti obbliga a sgobbare per forza.- rispose lui, con tutta la santa calma di cui un essere umano può essere dotato.
-Io almeno lo faccio il mio dovere! E Ora, qualunque cosa tu stia compiendo, muovi quelle gambe e degnaci della tua presenza.-
Era veramente nera, non scherzava.
-Mi spiace tesoro, te lo scordi. Buona divertimento e saluta Daniel da parte mia.- le chiuse il telefono in faccia.
Ok, appena l’avrebbe rivista gli avrebbe sicuramente fatto del male ma, per il momento, era uno a zero per lui.
Gustati la vittoria finché dura. E amico, credimi, non sarà a lungo …
Già … ma chissene fregava!
In quel momento voleva solo godersi al meglio quella giornata all’apparenza rilassante, ma dal punto di vista del ragazzo faticosissima.
Ormai lo conoscete, lui e la sua esagerazione su queste cose.
Si sdraiò nuovamente sul divano. Accese la televisione e iniziò a girovagare tra i vari canali, con noia.
Anche la TV mi è contraria. Possibile che non esiste più nulla di decente al giorno d’oggi?
Solo vari telegiornali si vedevano e parlavano tutti della neonata relazione tra lei e Courtney la quale, tecnicamente, non si era mai creata. Non l’avevano ancora capito che erano solo amici – anche se non si notava esattamente – e mai lo capiranno.
Gli occhi si fecero stranamente pesanti. Tutta quell’attualità lo stava facendo addormentare  … se non fosse stato per il citofono!
Ovviamente, doveva suonare sempre nei momenti meno opportuni.
Scattò in piedi e, ringhiando, si diresse verso l’utensile attaccata sul muro dell’ingresso.
-Chi è?- domandò spazientito.
Sapete bene che i suoi limiti non raggiungono picchi elevatissimi, soprattutto se parliamo di una dote che John chiaramente non ha.
Ma per capirlo non serviva mica uno scienziato.
-Sono il postino; ho un pacco per lei. Se cortesemente viene sotto e mi mette una firmetta … -
Cortesemente? Povero uomo, non sapeva proprio con chi aveva a che fare.
Prese un respiro profondo … prima di cominciare a sclerare come un pazzo.
-Ora si sturi le orecchie e mi ascolti attentamente, perché non ho intenzione di ripeterlo due volte. Io sono semplicemente un ragazzo che sta cercando di godersi le sue ferie non meritate e non alzo il mio regale fondoschiena, anche se l’ho già fatto, per venire sotto a firmare un foglio. Quindi, lasci quel pacco vicino alla mia cassetta e se ne torni a lavorare. Grazie mille e buona giornata.-
Prima di richiudere, però, si sentì di nuovo la voce di quel lavoratore fannullone e pagato troppo.
-Ma signore è una regola. Non posso darglielo se lei non mi firma l’autorizzazione.-
-Sa una cosa? Se lo mangi quel pacco perché io non lo vengo a ritirare! E non si faccia mai più vedere sotto questo palazzo, altrimenti chiamo i carabinieri. Tutto chiaro?-
L’ultima frase sembrava da vittima innocente ma fa niente.
Finita la sottospecie di minaccia cominciò a tirare la cornetta e, con forza sovraumana, staccò il citofono e provocò un buco enorme al muro, che si sgretolò un po’. Lo buttò a terra e, per romperlo ulteriormente, iniziò a prenderlo a calci.
Eh sì, la pazienza era proprio una specialità di famiglia.
Non era abbastanza, sapeva che lui era ancora sotto. S’incamminò verso il balcone con una ciotola in mano e iniziò a lanciargli contro il contenuto in testa: frutta.
Il postino scappò via impaurito. Non sarebbe di certo tornato in quel luogo infernale, poco ma sicuro.
-Sì bravo! Corri, corri!- urlò il ragazzo, salutandolo con la mano.
Si sa, la giornata perfetta di John deve comprendere almeno uno sclero mattutino. E già che ci siamo pure uno pomeridiano e serale …
 
***
 
La luce del sole filtrava dalle tapparelle già da un po’.
Gwen si svegliò grazie ad essa e, solo dopo essersi alzata, realizzò che doveva essersi appisolata sul divano.
Non si era accorta di nulla, era successo tutto così velocemente. Aveva parlato al telefono con Trent per due o tre ore, mentre guardava un film – visto e rivisto con lui. E tra commenti e ricordi nostalgici il tempo era volato e aveva chiuso gli occhi.
Si diresse in camera, senza un intenzione ben precisa. Ma, quando aprì la porta, rimase immobile a fissare un punto ben preciso.
Duncan stava dormendo con la testa poggiata sulle braccia – stile cuscino – e sedeva sulla scrivania.
Ecco che fine aveva fatto …
Gli si avvicinò e lo scosse lentamente, per farlo tornare sul pianeta Terra. Lui la guardò con fatica, con uno sguardo omicida del tipo “Dammi una buona ragione per avermi svegliato così presto.”
Quando si accorse chi aveva davanti, la sua espressione tornò alla normalità e la fissò attentamente, in attesa di una sua frase.
-Allora?- la incalzò dopo un po’.
Iniziò il discorso con il termine più idiota che potesse mai venirgli in mente.
-A che ora sei tornato ieri notte? Non ti ho sentito.-
Ecco appunto.
Che razza di domande vai a fare pure tu!
Il fatto è che pareva tesa. Come il ragazzo, d’altronde.
-Non eccessivamente tardi, credo. Tu invece? Come mai eri sul divano?-
Avvampò imbarazzata.
-Ehm, ecco … stavo vedendo un film e mi è venuto sonno all’improvviso.-
Lui fece uno strano cenno con la testa – un misto tra sì è no - e si alzò, facendo come per andarsene.
-Dobbiamo parlare.- sillabò lei, fredda ed impassibile.
Perché ho la netta sensazione che non riguardi nulla di buono?
Si sedette sul letto, seguita a ruota da Duncan. La fine – in senso letterale - era vicina …
-Senti, non so come dirtelo quindi lo faccio e basta. Tu mi piaci, sì, ma quello che provo per te non è amore. O almeno non lo è più. Siamo troppo simili e non potrà mai nascere qualcosa di serio.-
Sapeva già dove voleva andare a parare, eppure rimase fermo ad ascoltare, senza spiccicare parola.
-E’ un modo carino per dirmi che è finita?- chiese poi, anche se sapeva che non avrebbe mai dovuto farlo. O forse sì?
Lei annuì, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento.
Non ci fu nessun tipo di reazione, se lo aspettava.
Poi nemmeno lui non provava più nulla. Della serie “chiudiamola qui e smettiamo di fare gli ipocriti.”
Gwen si alzò e prese una valigia da sotto il letto.
Aprì la bocca come un idiota ma non ne uscì niente.
-Non preoccuparti, so dove andare e non c’è bisogno che tu mi caccia per farmelo capire.- la precedette lei, come se fosse una veggente.
Che la sia veramente?
-Te ne torni dal caro Elvis, per caso?- domandò.
Mio caro Watson, stai diventando sempre più intuitivo … e stupido. Quanto è elevato il tuo quoziente intellettivo? Anzi, ce l’hai il cervello?
Non aspettò una risposta, la conosceva già da buono e fidato Watson.
Stava per varcare la porta della stanza, trascinandosi dietro il suo trolley blu notte, ma fu fermata.
-Gwen, noi saremo ancora amici?-
Si voltò sorridendo.
-Ovvio che lo siamo ancora. Ci si vede in giro.- lo congedò.
Il rumore della porta fu il segnale che si trovava ufficialmente solo. Di nuovo.
Ghignò. Non sarebbe rimasto in quella situazione ancora per molto, se lo sentiva …
 
***
 
Courtney uscì dal bar, sbattendo la porta d’ingresso. Era nerissima.
Non solo era stato un giorno pessimo in tutti i sensi, ma John aveva avuto la faccia tosta di NON presentarsi al lavoro e di mettersi in malattia.
E gli aveva persino chiuso il telefono in faccia! No, ci rendiamo conto?
Quel ragazzo aveva appena firmato la sua condanna a morte. Appena avrebbe rimesso piede al bar si sarebbe dovuto scontrare contro la collera di Courtney.
Povero essere vivente – ancora per poco – comune. Ok, non è esattamente comune, ma va beh …
Arrivò alla fermata e si sedette sulla panchina, sotto il portico a vetro. Il suo sguardo cadde per puro caso sul tabellone con l’orario dell’autobus e lo confrontò con il suo palmare.
Buttò un grido che fece voltare tutti i passanti.
Quello stradannato autista era in ritardo di UN misero minuto. E magari fosse un evento che si ripeteva una volta ogni tanto … succedeva ogni santissimo giorno!
Le opzioni, allora, erano due: o gli faceva causa per mancata puntualità, oppure gli avrebbe fatto fare la stessa fine di John. La prima, grazie.
Il ragazzo meritava un trattamento speciale, più unico che raro.
Cos’altro può succedere, ora?
Il suo pessimismo influì anche sul tempo atmosferico: da un sole splendente ad un acquazzone violento.
Grande.
Mentre le gocce venivano giù velocemente si accorse che qualcuno – con la grazia di un bufalo - si era appena seduto affianco a lei.
Lo guardò di sbieco e, ricorrendo a tutta la buona volontà, cercò di non diventare rossa. Missione fallita, come non detto.
Duncan era lì a nemmeno un centimetro dal suo corpo.
Non guardarlo, ti prego non guardarlo!
Si voltò e lo fissò imbambolata. Lui, accortosi di ciò, fece lo stesso.
I loro occhi si scontrarono, facendo diventare – sempre se possibile – la ragazza ancora più paonazza.
Un ghigno da parte di lui, dovuto sicuramente al color semaforo acceso che si era dipinto sulle sue gote.
Che figura. E proprio davanti a lui!
-Ciao.- sussurrò risoluto.
Lei, di tutta risposta, abbozzò un sorriso, mantenendo il suo “fantastico” colorito.
-Che c’è? Il gatto ti ha mangiato la lingua?- chiese con ironia.
Ed ecco a voi la tipica frase di un moccioso di tre anni … o, in questo caso, di un aspirante Watson. Facciamo tutti un grande applauso al mitico Duncan!
Accennò una flebile smorfia quasi adorabile, giusto per farlo ricredere.
Scoppiarono a ridere come due ebeti, senza ragione – o quasi. Sembravano bambini, sembrava come se fossero tornati indietro nel tempo, a pochi anni prima. Stavano bene insieme anche si ostinavano a negarlo. Avevano dimenticato quanto fosse bello stare un po’ da soli, loro due soltanto, senza nessuno attorno.
Finalmente l’autobus arrivò alla fermata e quei pochi passeggeri si affrettarono a salire, velocemente per non bagnarsi.
Per grande sfortuna – o forse no – i posti a sedere erano finiti e i due, che si erano attardati un po’, furono costretti al solo appiglio di una misera sbarra di metallo, uno di fronte all’altra.
Courtney cercò di evitare di incrociare i suoi stupendi occhi acquamarina, per non far andare le sue guance a fuoco nuovamente … e per non far un’altra figuraccia. Non voleva dargliela vinta a quel punk da strapazzo.
Dai, ce la puoi fare. Il viaggio non è poi così lungo e, una volta a casa, potrai maledirti per non avergli confessato tutto.
Un urto improvviso.
La ragazza venne sbattuta qua e là come una bambolina di pezza, per poi cadere – per pura coincidenza – sul petto di Duncan. Si aggrappò con forza alla sua maglietta, per evitare di cadere … peccato che a terra ci finirono entrambi.
Si ritrovarono stesi sul suolo, lui sotto e lei sopra. La situazione era alquanto critica.
Avrebbe voluto tanto rimanere accoccolata per un po’ sul suo petto, come ai vecchi tempi. Forse lo voleva anche lui, forse no.
Cosa diavolo pensi? Lui non è più tuo, è della tua ex amica. Tu non sei lei, quindi non glielo porterai via in modo subdolo e meschino.
Anche se avrebbe potuto …
D’impulso, però, si alzò di scatto. Duncan fece lo stesso.
-Scusami.- balbettò.
Il colore rosso semaforo tornò – perennemente – a dipingere le sue gote, come quelle di una bambina di ritorno da un prato.
-Di cosa scusa? So che ti è piaciuto e, in un certo senso, è piaciuto anche a me, malgrado sia stato solo un incidente.-
Calcò molto sulla parola “solo.”
I loro visi erano ormai a pochi centimetri di distanza, la ragazza abbassò il suo visibilmente imbarazzata.
Si allontanò a passi lunghi verso la portiera e premette un pulsante rosso, per prenotare la prossima fermata. Prima sarebbe uscita da quella scatola di latta, meglio sarebbe stato per entrambi.
Stare lì, con lui, da soli – si fa sempre per dire - , la faceva stare male, faceva riaffiorare vecchi ricordi che era meglio che annegassero nell’oscurità per sempre.
Non era più suo e non si sarebbe comportata mai da sgualdrina per riaverlo: era una persona onesta, non come Gwen. Poi, non era nemmeno del tutto sicura che lui voleva la stessa cosa.
L’autobus si fermò. Duncan la inseguì e la bloccò poco prima che potesse allontanarsi.
-Insomma, che diavolo ti prende?-
Courtney tentò di trattenere le lacrime.
-Lasciami stare!- urlò isterica.
Strinse più forte la presa che aveva sul braccio esile della ragazza.
-Gradirei una risposta!-
Il suo tono la fece rabbrividire, ma si riprese in fretta.
-Sono fatti miei personali, non ne voglio discutere con te.- prese un respiro, per tentare di riacquistare la calma.
Dovresti, invece. Dovresti proprio mia cara.
Lui sorrise ma non fu un ghigno, bensì un sorriso sincero. L’attirò verso sé e l’abbracciò.
Un momento magico, era come se tutto si fosse fermato. Bastava un semplice gesto affettuoso per far sentire i due al paradiso. Sarebbero rimasti così per chissà quanto tempo … se non fosse stato per l’autista che, dopo il ritardo, aveva anche il coraggio di commentare.
-Ci muoviamo? Ho un giro da fare e vorrei essere pagato.- domandò seccato.
Il ragazzo sciolse l’abbraccio e puntò lo sguardo – omicida – in sua direzione, corrugando le sopracciglia.
-Sì, un secondo. La pazienza non è esattamente il suo forte.- urlò di rimando.
Poteva ritenersi fortunato che non c’era John, altrimenti il capitolo sarebbe finito a botte. Ops, sto divagando …
-Comunque, questo è per te.- disse, allungando il braccio in sua direzione e stendendole una busta di carta.
Lei rimase incredula, non riusciva a credere ancora che tutto ciò fosse vero. Forse stava ancora dormendo e si trovava nel mondo dei sogni.
-Davvero?- balbettò, prendendolo con la mano tremolante.
Si sorrisero nuovamente.
Non le rispose, ma la ragazza ebbe la netta sensazione che due labbra le avevano sfiorato appena la guancia sinistra. Forse se lo era solo immaginato, forse no.
Ma quando alzò lo sguardo, in cerca di una risposta, davanti non c’era più nessuno. L’autobus era ripartito verso l’orizzonte con Duncan dentro, lasciandola lì sotto la pioggia.
 
***


 
Courtney si sedette al tavolo di vetro del soggiorno e vi poggiò la busta sopra.
Prese un sospiro: non era esattamente del tutto sicura di voler sapere di cosa si trattava, ma la curiosità era troppo forte.
Sfilò dall’interno un pacchetto quadrato, avvolto tra la carta da regalo bianca e un fiocco rosso.
I suoi occhi caddero immediatamente su un bigliettino, incastrato perfettamente. Lo prese e, col in cuore in gola, lo lesse con un po’ di tensione.
La sua conoscibile calligrafia.
 
Non dimenticare, so benissimo che non vuoi neanche tu.
Duncan.
 
Dimenticare? Dimenticare cosa? Non riusciva a capire proprio.
Fece velocemente a brandelli la carta e gli si prostrò davanti una scatola di cartone. La aprì subito, senza rimuginarci troppo, e rimase scioccata.
Ciò di cui pensava di essersi liberata – un giorno prima, guarda caso – era di nuovo lì, davanti ai suoi occhi.
E una domanda sorse spontanea: come diavolo ha fatto ad avere questi oggetti?
Poggiò altrove il fascicolo e, forse contro la sua volontà, si infilò il diadema tra i capelli. La sua mano afferrò poi un piccolo oggettino, tenuto insieme da una striscia compatta di scotch.
Il teschietto di legno. L’aveva "riparato". Per lei.
La finestra era stranamente aperta – forse una dimenticanza – e una folata di vento fece scivolare sul pavimento il biglietto che, prontamente, lei afferrò.
Dietro vi era scritta una frase, solo in quel momento lo notò.
Abbozzò un sorrisetto: la tipica frase stile stalker.
 
PS. Non ti libererai così facilmente di me.
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice che merita la fucilazione perché ci ha messo una vita ad aggiornare
E siamo arrivati così all’ultimo capitolo. Grazie a tutti coloro che hanno seguito la mia fic, ve ne sono grata c’:
Cosa ne pensate? Vi è piaciuto?
Io sono notevolmente colpita dalle mie inutili doti, sono soddisfatta di me.
*prende un pacco di fazzoletti*
Lo so, è triste. L’ultimo capitolo, la mia prima fan fiction conclusa. Mi mancherà e sono sicura mancherà anche a voi.
I’m crying D’:
Beh, con la conclusione suspensosa (?) vi annuncio che, da adesso, wizard 101 non è più sospesa e che inizierò a scrivere il secondo capitolo da domani. Successivamente - ma forse anche prima - ri posterò la mia storia sui pirati.
Grazie, ancora, di cuore per avermi sostenuta in questi due lunghi mesi.
 
Solluxy <3

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