The Adjustment Bureau, Klaine Style

di cup of tea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Heavy ***
Capitolo 2: *** 2. Change ***
Capitolo 3: *** 3. Not right ***
Capitolo 4: *** 4. Far ***
Capitolo 5: *** 5. Time ***
Capitolo 6: *** 6. Mess ***
Capitolo 7: *** 7. Promise ***
Capitolo 8: *** 8. Pain ***
Capitolo 9: *** Where and When ***
Capitolo 10: *** 10. Resistance ***
Capitolo 11: *** 11. Revolution ***
Capitolo 12: *** Happily Ever After ***



Capitolo 1
*** Heavy ***


THE ADJUSTMENT BUREAU
KLAINE STYLE

Il destino è un'invenzione della gente fiacca e rassegnata. (Ignazio Silone)

 




Things were kinda heavy

Capitolo 1

 

Se c’era una cosa che aveva sempre fatto imbestialire Blaine Anderson, era sentirsi dire cosa doveva fare.
Ed era una condizione che lo perseguitava da sempre, non importa quanto cercasse di far sentire la sua voce.

Fin da bambino, aveva dovuto sorbirsi i consigli di vita di suo fratello, che raggiungevano sempre lo stesso grado di petulanza sia che avessero riguardato il suo modo di vestire, sia quello di giocare o di ballare.

Poi, aveva passato la sua adolescenza a rincorrere ottimi voti all’Accademia Dalton (Westerville, Ohio) per volere dei suoi genitori, che desideravano più di ogni cosa che almeno uno dei loro due figli facesse qualcosa di importante nella vita. Aveva stretto i denti fino al diploma, usando il glee club come unica valvola di sfogo.

Nel frattempo, aveva gelosamente nascosto la sua omosessualità per paura: magari i suoi non erano omofobi e forse lo avrebbero accettato comunque, ma di sicuro lo avrebbero tirato via da quella scuola perché, conoscendoli, sarebbero stati convinti che un’accademia maschile avrebbe costituito una fonte inesauribile di distrazione. Così, aveva mantenuto il segreto con tutti, convinto che una volta arrivato al college avrebbe potuto finalmente gestire la sua vita. Ma, sfortunatamente per lui, neanche lì gli fu possibile fare la parte del normale studente che partecipava alla vita del campus e alle feste perché, essendo il più promettente futuro medico newyorkese, non poteva permettersi di buttare all’aria l’opportunità di essere il primo della sua generazione a laurearsi in Medicina.

E così, anche quel giorno - il giorno della sua laurea - mentre cercava un posto per ripassare il discorso di migliore studente nell’hotel di lusso che generalmente ospitava gli eventi dell’università, non poté fare a meno di chiedersi se non stesse buttando via la sua vita, dietro al sogno di qualcun altro.

Non sapeva se diventare un dottore fosse sempre stata la sua aspirazione o se fosse soltanto un desiderio elaborato dal suo inconscio, manipolato dai discorsi dei suoi genitori. Non sapeva se ci fosse qualcos'altro che lo attirasse, semplicemente perché non si era mai permesso di pensare a un futuro diverso per sé.

“Blainey, sei così intelligente! Perché perdi tempo a cantare con quei canarini della tua scuola?”
“Mamma, ci chiamiamo Usignoli.”
“Comunque sia, forse dovresti lasciarli perdere… la tua media si abbasserà e non ti accetteranno mai all’università.”

E la solfa era continuata anche quando aveva lasciato l’Ohio per New York.

“Blaine, figliolo, non ti sembra di esagerare? Se perdi tempo a dare ripetizioni a quel tuo compagno non potrai concentrarti sui tuoi esami.”
“Papà, Sam mi paga e oltretutto mi fa piacere aiutarlo… e avere un amico.”
“Non ti servono gli amici. Sono solo una distrazione. Quando ti sarai laureato e sarai diventato il primario di qualche importante ospedale, allora avere un amico o una ragazza sarà un regalo che potrai farti.”

Quando aveva cominciato a credere di volere diventare un medico? Sperava di poter cominciare il suo discorso con uno di quei bei racconti ispiratori che si vedevano nei film, una di quelle storie in cui un ragazzo con le idee poco chiare e poca fiducia in sé stesso trovava la sua strada e rendeva tutti orgogliosi per aver fatto un grande percorso. Ma l’unica cosa che gli veniva da dire era semplicemente: “Ho sprecato i miei migliori anni per far felici tutti tranne che me stesso.”

Ma era evidente che non sarebbe stato l’incipit più raccomandabile.

Sospirò, mentre tirava fuori il foglio su cui era riuscito a scrivere qualche riga di circostanza e ipocrisia. Voleva provare a recitare il discorso a voce alta prima della cerimonia, che avrebbe avuto luogo di lì a un’ora. Entrò nell’elegante bagno degli uomini e si allentò la cravatta che non aveva scelto lui, ma Tina Cohen Chang, l’unica oltre a Sam ad avere avuto il coraggio di diventare amica della macchina che era. Sam e Tina avevano frequentato lo stesso liceo.

“C’è nessuno?!” chiese. Non ricevendo alcuna risposta, cominciò a leggere, passeggiando avanti e indietro.
“Cari compagni, siamo arrivati al termine del nostro percorso. Pieni di entusiasmo per il futuro e consapevoli di essere più ricchi nello spirito, ci affacciamo al mondo reale. Spero che sia meno falso di queste mie parole. Spero che voi abbiate potuto scegliere cosa fare della vostra vita. Spero che vi siate fatti degli amici che vi rimarranno sempre accanto. E infine spero di trovare qualcos’altro da dire perché questo discorso è orribile. Oltre che del tutto inappropriato.” Se non avesse avuto paura di presentarsi alla cerimonia con un livido in fronte, avrebbe volentieri sbattuto la testa contro le piastrelle scure del muro. Si sentiva frustrato e patetico.

“Merda. MerdaMerdaMerda.” Qualcuno imprecò da dietro la porta di uno dei gabinetti, interrompendo il suo flusso di coscienza.

“C’è qualcuno?” chiese Blaine.

“Merda.” La voce assunse un volto quando la porta si aprì. Ed era il volto più bello che Blaine avesse mai visto. Un eccentrico angelo pallido e ben vestito, con gli occhi più blu della sua vecchia divisa della Dalton, si era materializzato proprio di fronte a lui e si stava scusando.  “Perdonami… non volevo origliare. Avrei dovuto dire che c’era qualcuno quando lo hai chiesto, ma immagino che il fatto che mi stia nascondendo da due giganti in uniforme mi abbia bloccato. E poi tu hai cominciato a parlare ed era troppo tardi per fermarti. Bel discorso, comunque.”

“Dici?”

“Sì, beh… se non fai caso alle parole che hai scelto. Tu sorridi. Spesso non è quello che dici ma come lo dici che piace alle persone.”

“Fa pena.”

“Un po’ sì, in effetti.” Il ragazzo rise e quello che Blaine percepì fu un dolce scampanellio, fresco e allegro, che gli invase il cuore.

“Grazie, lo terrò a mente.” Rispose, sorridendo a sua volta. Poi calò un silenzio imbarazzante, ma il ragazzo lo riempì avvicinandosi e sedendosi tranquillamente sul piano di marmo dove stavano i lavandini.

“Mi chiamo Kurt.” E gli tese una mano. Blaine, titubante, l’afferrò con delicatezza, così liscia e morbida che neanche il velluto poteva essere un buon paragone.

“Blaine.” Rispose, senza essere capace di staccare gli occhi da quelli acquei di Kurt. “Da cosa ti nascondi?”
“Dalla Sicurezza.” Ammise lui, sorridendo colpevole.

Non posso crederci. Un angelo non viene ricercato dalla Sicurezza.

Kurt sembrò leggere il suo scetticismo e lo anticipò. ”Mi sono imbucato alla conferenza stampa per la presentazione della nuova collezione di Marc Jacobs… qua sopra.” E indicò il piano superiore con un dito. “Colpevole!” E rise un’altra volta. “E tu cosa ci fai chiuso qui? …Voglio dire, è chiaro che stai ripetendo il più brutto discorso mai composto per ispirare un’orda di giovani laureati poco promettenti, ma mi sfugge il fatto per cui uno come te se ne sta da solo o non ci sia una fidanzata premurosa pronta ad incoraggiarlo.”

Blaine aggrottò compiaciuto le folte sopracciglia. “Uno come me?”

“Sì, dai… uno come te. Intelligente, magari di famiglia benestante, incontestabilmente bello, il sogno di qualsiasi suocera.”

“Ecco, sempre il sogno di qualcun altro.” Bofonchiò.

“Scusa?”

“Lascia stare.”

“Ehi, io ti ho detto di essere un ricercato. Come minimo tu adesso dovresti dirmi qualcosa di molto personale.”

“Dici? E’ così che funziona?” Blaine gli si avvicinò, con fare cospiratorio. Quegli occhi lo stavano ipnotizzando.

“Proprio così. E’ la prassi: quando incontri uno sconosciuto che ripete un discorso in bagno, tu gli dici di essere un fuggitivo e lui ti dice cosa ci fa lì tutto solo.” Disse risolutamente Kurt.

“Probabilmente dovrei fidarmi. Non mi è mai capitato di trovarmi in una situazione simile.”

“Fidati. L’ho letto sul manuale.”

“Oh, il manuale non lo si può contestare.” Rise Blaine. “Ebbene, sto ripetendo incoraggiamenti vuoti e poco sentiti per poi rovesciarli su una folla di neolaureati, ma tutto ciò a cui riesco a pensare è quanto non sia stata una scelta mia. Non sono io che ho voluto essere un bravo studente al liceo, non sono io che ho voluto essere iscritto a Medicina, non sono io che ho voluto laurearmi con il massimo dei voti quasi prima del tempo. Non sono io che ho voluto fare un discorso.”

“E cos’è che vuoi tu, Blaine?”

Blaine sospirò. “In questo momento vorrei solo baciarti.”

“E perché non lo fai?”

Ci volle un po’ perché Blaine afferrasse il concetto. Mentre Kurt lo guardava, in attesa che facesse qualcosa, si sentiva come pietrificato. Era la prima volta che qualcuno gli dava il permesso di fare una cosa che voleva lui. Era la prima volta che qualcuno gli dava il permesso di baciarlo. In effetti, era la prima volta che baciava un ragazzo.

Spinto da una mano invisibile, si lanciò verso le labbra di Kurt - forse esagerando con la forza, ma non sembrava che il ragazzo ne fosse dispiaciuto. Al contrario, Blaine si sentì accogliere tra le sue braccia, si mise più comodo tra le sue gambe e gli afferrò il viso per approfondire ulteriormente il bacio. Kurt non era solo la creatura più bella che avesse mai visto: era anche la più delicata e la più profumata e, se non fosse stato abbastanza, era anche un gran baciatore. Non uno di quelli volgari, che gli era capitato di vedere di sfuggita, quando passava di fronte alle stanze aperte del dormitorio durante le feste. La sua lingua non gli stava violentando la bocca, come invece gli era capitato in passato con una che aveva cercato di sedurlo da ubriaca. Al contrario, coinvolgeva la sua con garbo e grazia. Le sue mani non vagavano senza criterio: le sentiva scorrere sulla sua schiena, leggere e sicure allo stesso tempo. Era come essere finito in una nuova dimensione, una in cui le cose andavano come voleva lui e non come gli era imposto dagli altri. Una in cui gli era permesso sentirsi bene.

“E’ scritto anche questo nel manuale?” sussurrò poi, senza aver il coraggio di aprire gli occhi e allontanare il viso da quello di Kurt.

“Oh sì.” Soffiò Kurt. “Il paragrafo prosegue proprio dicendo che se lo sconosciuto incontrato in bagno ti chiede di baciarlo, è raccomandabile lasciarglielo fare.”
Blaine lo prese come un invito a riprendere dove aveva interrotto, ma Sam entrò in bagno.

“Blaine, amico! Woah – scusate, ragazzi. Non volevo disturbare.” Sam era in totale imbarazzo e Blaine poteva sentirlo tutto. Lui e Tina erano gli unici a sapere che fosse gay, ma probabilmente saperlo in teoria e vederlo dal vivo erano due cose diverse. Ad ogni modo, poté intravedere un sorriso accennato sul volto dell’amico, uno di quei sorrisi alla “Finalmente! Sono felice per te!”, perciò non si sentì in dovere di spiegare né giustificare nulla. Kurt, da parte sua, sembrava completamente a suo agio.

“Tranquillo, Sam.” Disse, allontanandosi da Kurt, che per tutta risposta salutò allegro il nuovo arrivato.

“Ciao… ehm, Blaine la cerimonia sta per cominciare…” lo avvisò Sam, prima di lasciare il bagno chiudendosi la porta alle spalle.

Blaine si rivolse al ragazzo che era ancora seduto sul piano dei lavandini e dondolava nel vuoto le gambe incrociate all’altezza delle caviglie. Lo guardò intensamente, dalla punta delle sue scarpe laccate fino al ciuffo di capelli acconciato ad arte che gli lasciava libera la fronte liscissima: era appena passato dall’essere un perfetto sconosciuto al suo primo bacio e – forse questo era un pensiero un po’ troppo infantile e ottimista - all’uomo dei suoi sogni. “Scusa, devo andare…”
Kurt saltò giù. “Non preoccuparti! Se sono fortunato riuscirò a uscire dall’edificio senza che mi trovino.  Stendili tutti, con il tuo discorso! Se vuoi un consiglio, credo che la cosa migliore sia essere te stesso.” Sorrise, mentre usciva dal bagno.

Blaine lo seguì fuori; voleva chiedergli il numero di cellulare o qualcosa di simile per ricontattarlo, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu vederlo correre in fretta giù per le scale della hall, rincorso dai due omoni della sicurezza.

In un misto di fascinazione e delusione si avviò verso il grande ambiente dove genitori, insegnanti e studenti lo stavano aspettando. Forse, essere se stesso sarebbe davvero stato il tema conduttore del suo discorso di commiato. Il problema era che avrebbe dovuto improvvisare.

Col bacio ha funzionato.
 
 
 






 
LA TAVOLA DI CUP OF TEA

Ehilà!

Intanto grazie di essere arrivati fino a quaggiù :D Spero abbiate voglia di proseguire (nel limite del possibile conto di aggiornare ogni lunedì). 

Come ho detto nell'introduzione, questa ff è basata sul film I Guardiani Del Destino. Non so se l'abbiate mai visto o abbiate mai letto il libro, ma ci tengo a sottolineare che la mia storia non sarà fedelissima all'originale... direi che è "liberamente tratta".


Poi, ringrazio la mia Beta wuthering heights per essersi sottoposta anche questa volta alla tortura della ricerca della virgola di troppo.

Infine… cup of tea si è feisbukizzata! E’ una pagina appena nata e minuscola, in parte ancora da sistemare, ma se avete voglia la trovate qui. Fatene buon uso!


Ah, ovviamente non posseggo né Glee né i suoi personaggi e naturalmente non mi paga nessuno.


Bene, allora… a lunedì!

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Capitolo 2
*** 2. Change ***


THE WINDS OF CHANGE ARE BLOWING WILD AND FREE
Capitolo 2

 



La sveglia di Blaine suonò molto presto, quella mattina.

L’ultima volta che l’aveva puntata alle cinque e trenta risaliva al giorno in cui era partito per il college, perché aveva avuto il terrore di perdere l’aereo che finalmente avrebbe messo chilometri tra lui e la sua pressante famiglia.

Quel giorno invece, aveva appuntamento con il primario del Bellevue Hospital Centre - l’ospedale affiliato con il suo College - per prendere accordi sul suo primo mese di prova. Avrebbe svolto una semplice attività ambulatoriale, dopodiché, se fosse stato all’altezza delle voci che circolavano sul suo conto, avrebbe potuto esercitare come pediatra. Almeno la scelta di qualificarsi per lavorare a contatto con i bambini era sicuro fosse stata sua, e una delle ragioni per cui il Bellevue era famoso era proprio il centro pediatrico specializzato nelle ustioni.

Era già passata una settimana dalla cerimonia per la sua laurea, ma sembrava fosse volata. Aveva avuto un milione di cose da fare e a cui pensare - dal lasciare la stanza che divideva con Sam al College, al stabilirsi nel suo nuovo appartamento, al rispondere alle offerte di lavoro che sembravano piovergli in testa. A quanto pare era davvero il più promettente medico della sua generazione e il discorso che Kurt gli aveva ispirato – condito di “Seguite i vostri sogni” e “Siate voi stessi” o anche “La vita che abbiamo è una sola, non sprecatela” - non aveva fatto altro che conferirgli l’immagine di role model che tutti si aspettavano.

Kurt.

Anche nel pieno delirio di quei giorni, non aveva smesso un attimo di pensare a lui.
I suoi occhi, le sue mani, le sue labbra, i suoi baci. Oh, i suoi baci.

Come avrebbe fatto a ricontattarlo?

E se non avesse voluto essere ricontattato? Magari scappare via era stata una mossa voluta. Magari non era stato tanto piacevole quanto lo era stato per lui. O magari non era il primo che baciava in un bagno e che poi lasciava così. Magari, magari.
Sospirando rumorosamente, zittì la sveglia del cellulare con un dito e si alzò dal letto. Lo specchio appeso al muro gli urlò che era il caso di darsi una sistemata se non avesse voluto spaventare qualcuno, così si avviò verso il bagno, strascicando i piedi ancora mezzo addormentato.

Entrò nella doccia e, dopo essersi dato una veloce sciacquata giusto per svegliarsi del tutto, controllò l’orologio da polso che prima aveva appoggiato sul bordo del lavandino. Segnava le sei e venti. Non aveva assolutamente intenzione di fare tardi, perciò tornò in camera e si vestì in fretta con la camicia a maniche corte a quadretti blu, il golfino leggero della stessa tonalità che lasciava intravvedere il colletto e il papillon, e il paio di pinocchietto scuri che aveva preparato la sera prima. Gli rimaneva giusto il tempo per darsi una mano abbondante di gel sui riccioli ribelli, ma non abbastanza per riuscire anche a fare una buona colazione. Decise che avrebbe comprato un cappuccino medio da Starbucks prima di salire sull’autobus.

Infine, infilò i mocassini e prese la tracolla ma lasciò il cappotto autunnale sull’appendiabiti – fortunatamente quell’ottobre non aveva ancora portato il freddo. Così, uscì.  

 

***


Seduto su una panchina di Central Park alle sei e trenta del mattino, elegante nel suo nuovissimo completo scuro e con indosso il borsalino, Noah era intento a giocherellare con la spilla che si era guadagnato solo il mese prima.

Se la rigirava soddisfatto tra le dita, la lucidava quando rimanevano le ditate, ma soprattutto la osservava compiaciuto. Sul metallo chiaro si leggevano chiaramente il suo nome e il suo dipartimento.

 

Noah Puckerman

Adjustment Bureau – Prima Divisione


Come giovane recluta, quella era la prima vera missione che gli veniva affidata.
Non era la prima volta che aveva a che fare con Blaine Anderson, ma quel giorno era diverso. Non era affiancato da nessun superiore, come era invece avvenuto in passato: era solo. Lui, Anderson e il destino da compiere.

“Ricordati, deve rovesciarsi addosso il cappuccino alle sette e cinque.” Shannon Beiste, il capo della sua divisione, gli stava ricordando per l’ennesima volta cosa doveva fare. Come se le cento volte precedenti non fossero state abbastanza.

“Sissignora. Me ne occupo io.” Rispose prontamente, per poi vederla aggiustarsi il proprio cappello e dissolversi in lontananza.

Noah appuntò la spilla all’interno della giacca. Era la regola: le targhette non dovevano essere visibili ai civili, perché non dovevano essere riconoscibili ma confondersi tra la folla. Guardò poi l’orologio: le sei e quarantasette minuti.

Non gli rimaneva che aspettare, perciò si concesse di chiudere gli occhi per qualche minuto prima di entrare in azione.

La notte precedente era stata abbastanza agitata, per lui. Chi l’avrebbe mai detto che uno come lui sarebbe riuscito a passare l’esame per diventare Guardiano? Ok, era solo nella Prima Divisione, ben lontano dalle alte sfere, ma aveva già ottenuto una missione, e questo poteva solo significare che ciò che aveva davanti era una graduale e profumata carriera. Si immaginò prima Supervisore, poi Burocrate e infine… no, forse non sarebbe mai arrivato a sostituire Lui, però sognare non costava niente.
Un fastidioso raggio di sole lo costrinse ad aprire gli occhi. Com’era possibile che fosse già alto? Si tirò su di scatto. No, non poteva essersi addormentato! Non poteva essere già così tardi! Non poteva… controllò l’orologio da taschino: le 7.09.

“No! NONONO!!” esclamò, afferrando quella che, all’apparenza per un occhio inesperto, poteva sembrare una comune agenda in pelle nera. La aprì e il puntino scuro e lampeggiante che rappresentava Anderson si stava muovendo velocemente lungo quella che, sempre per un occhio inesperto, poteva sembrare una piantina della città.

Doveva fermarlo al più presto! Doveva rovesciare quel cappuccino! Non doveva assolutamente prendere quell’autobus!

Chiuse le pagine con un tonfo e si lanciò verso la fermata dell’autobus, che era già arrivato. Vide Anderson salire e scomparire dietro le porte automatiche.

“No!!” Sbattè un pugno su di esse, appena chiuse.

 

***

“Mi scusi” disse Blaine, una volta salito sul bus. Si era rivolto al conducente, che si stava preparando a far ripartire il mezzo. “Un signore deve salire... e sembra proprio che si in ritardo per qualcosa…”

“C’è un altro pullman già in arrivo” gli rispose questi, quindi bevve un sorso del suo cappuccino medio da asporto e si avviò alla ricerca di un posto a sedere.

“Non posso crederci” Sentendosi chiamare, Blaine si voltò in direzione della voce. E… Oh, Dio. Ci mancò poco che sputasse tutto quello che aveva bevuto.

“Kurt! Ehi! Che Bello vederti!” Gli rivolse un sorriso ancora più meravigliato e disteso di quelli che riservava solo alla vista di barattoli di gel in superofferta al supermercato o a svendite di papillon da Barney’s.

“Ma guarda un po’! Il bel medico neolaureato! Quante vite hai già salvato?” Lo salutò Kurt, mentre spostava un borsone da palestra dal sedile accanto a sé per fargli posto.

“Io? Oh nessuna, al momento. Inizio a lavorare oggi, per la verità.” Si passò una mano sulla nuca, come in imbarazzo. “Ma tu – proseguì – tu hai di certo salvato la mia, settimana scorsa! Non fosse stato per te, quel discorso sarebbe stato uno schifo.” Gli sorrise.

“Lo so, non posso fare a meno di essere indispensabile.” Si vantò bonariamente il ragazzo di cui evidentemente aveva dimenticato la bellezza, perché in quel momento Blaine lo trovava anche più incantevole e magnetico della prima volta che l’aveva visto.

“Ehi?? Sei ancora sulla Terra?” No, credo di essere in Paradiso, perché è evidente che tu sei un angelo. Che paragone banale, eppure com’era vero!

“S-sì, scusa, è che… i tuoi occhi. Te l’hanno mai detto che sono splendidi?” Idiota! Così lo spaventi a morte! Cosa ti è saltato in mente?

“Oh.” Le guance di Kurt avvamparono, mentre sorrideva timidamente. Se anche fosse stato un abituè dei baci agli sconosciuti in bagni pubblici di casuali hotel, forse non era poi così abituato a semplici e sinceri complimenti. Blaine si compiacque della reazione – inaspettata, perché Kurt gli era sembrato una persona molto sicura di sé - che aveva provocato e si rilassò.

“Grazie… tu invece stai bene, così… voglio dire, quel papillon ti dona.” Azzardò Kurt.

“Sei gentile, ma non devi dirlo solo perché io ho fatto un commento sui tuoi occhi.” Rispose Blaine, abbassando lo sguardo.

“No! Davvero! Sei un po’ più tu. Si vedeva che la cravatta era stata scelta da qualcun altro… questo papillon è… da Blaine!” Ridacchiò Kurt.

“Da Blaine?” Ripeté allegramente lui. Anche se era ovvio che Kurt non potesse sapere davvero cosa fosse da lui e cosa no, si sentì come se quel ragazzo lo conoscesse da sempre. Si sentiva capito, perché – in effetti – il papillon era sul serio una cosa da lui. Come faceva un quasi sconosciuto a essergli così affine?

L’autobus improvvisamente inchiodò.

Il bicchiere che teneva ancora in mano esplose, schizzando cappuccino medio ovunque. Anche sulla camicia di Kurt.

“Oddio, scusami. Ti prego perdonami!” Blaine sperò che un meteorite avesse appena colpito la terra e avesse creato una voragine nella quale avrebbe potuto tuffarsi direttamente, lanciandosi fuori dal finestrino dell’autobus, per scomparire nel buio più totale. O qualcuno avrebbe dovuto risvegliarlo da quell’incubo, perché non era possibile che avesse rovesciato un caffè addosso a uno che si imbucava alle conferenze stampa di Marc Jacobs. Come minimo quella camicia doveva valere un sacco di soldi, e lui poteva dire addio al futuro con Kurt, invecchiare insieme, trasferirsi a Provincetown, comprare un faro e avviare una colonia di artisti.

“Non preoccuparti…” disse Kurt.

“No, davvero! Ti ho rovinato la camicia!” Poteva leggergli il disappunto in quegli occhi che si agitavano nel panico; era chiaro che Kurt fosse solo troppo perfetto per sbattergli in faccia il danno enorme che gli aveva appena inflitto.

“Ehi, vado in giro con un cambio in borsa proprio per casi come questi!” Lo rassicurò Kurt, appoggiando una mano sulla sua spalla con una tale dolcezza che Blaine pensò si sarebbe sciolto sotto il suo tocco.

“C’è anche questo sul manuale?” si sforzò di non piagnucolare mentre lo chiedeva.

“E’ in una nota a fondo pagina” scherzò Kurt. “Se c’è una qualche possibilità che lo sconosciuto del bagno abiti nella tua stessa città e possa prendere il tuo stesso autobus con un cappuccino medio di Starbucks in mano, portati un cambio nella borsa.” Disse, con risolutezza.

Blaine sospirò. Come poteva essere così meraviglioso, quell’uomo?

“Facciamo così” disse, frugando nella tracolla e tirando fuori un pezzo di carta e una penna. “Scrivi qui l’indirizzo della lavanderia e il tuo numero. Vado a ritirarti la camicia quando sarà pronta e ti pago il conto.”

“Non è necessario, sul serio! L’ho comprata in saldo…”

“Insisto.”

Kurt sorrise, e cedette. Blaine osservò le sue dita prendere cautamente la penna e scrivere sul pezzo di carta con la grafia più bella che avesse mai visto.

“Appena in tempo, questa è la mia fermata. Ma ora sai come trovarmi” Disse sorridendo Kurt, restituendogli tutto, compresa la speranza di rivedersi. Per un attimo le loro ginocchia si sfiorarono, mentre Kurt lo stava superando per avvicinarsi alle porte.

Appena aperte, Kurt scese sul marciapiede e raggiunse il finestrino corrispondente al sedile di Blaine. Un cenno di una mano per salutarlo, e Blaine non riuscì a tapparsi la bocca. “Penso a te da quel giorno in hotel!” e l’ultima cosa che vide, mentre l’autobus ripartiva, fu un grande sorriso a labbra strette disegnarsi sul suo viso.

 

***


“Sam…Sam! Ho rivisto il ragazzo del bagno! Sì, quello che ho baciato. No, non ho un appuntamento. Ma ho il suo numero! E’ già qualcosa, no? Oh, scusa non sapevo fossi a lezione. Ok, intanto io sono arrivato al Bellevue. Ci sentiamo più tardi!”

Blaine interruppe la chiamata ed entrò nell’ingresso del grande ospedale, passando attraverso il bel cortile curato e le grandi porte a vetri del reparto di pediatria. Sapeva esattamente dove andare, perché era lì che aveva svolto il suo tirocinio, durante il secondo anno all’università. Salutò Margareth, l’infermiera all’accettazione, e non diede peso al fatto che non lo avesse degnato nemmeno di un cenno con la mano, perché sembrava concentrata in una conversazione al telefono, o magari non si ricordava di lui. Attraversò il corridoio bianco in fondo al quale si trovava l’ufficio del Dottor Schuester, il primario.

Tutto era come lo ricordava. L’odore di disinfettante, la luce fredda che penetrava dalle finestre, il pavimento di un materiale plastico facile da pulire. Ma non quell’innaturale silenzio. Non quella pace quasi inquietante. Non quella… totale immobilità. Perfino Margareth non aveva ancora detto niente, nonostante avesse la cornetta attaccata all’orecchio da almeno cinque minuti.

Tutto ciò mise in Blaine una punta d’agitazione; ma trovò l’ufficio di Schuester socchiuso, così non ci pensò due volte e bussò spingendo appena la porta.

Ciò che si trovò davanti non era certo ciò che si sarebbe aspettato: un donnone vestito in giacca, cravatta e cappello e quattro uomini vestiti nello stesso modo stavano passando un aggeggio spaventoso intorno alla testa di Schuester. E come se questo non stesse già terrorizzando Blaine, il dottore appariva in piedi, piegato verso la scrivania, fermo, immobile nel gesto di segnarsi un appunto nell’agenda.

Cinque sguardi in un misto di stupore e minaccia si rivolsero verso di lui.

Che diamine succede?!

L’improvvisa consapevolezza di aver assisto a una cosa proibita gli iniettò la giusta quantità di adrenalina necessaria per attivare la fuga. E corse via.

L’ultima cosa che sentì fu il donnone ordinare: “Prendetelo.”

 

***


Blaine correva più veloce che poteva – lungo il corridoio, giù per le scale, girando a destra e a sinistra cercando di essere il più casuale possibile – ma non importa quanto cercasse di seminarli, quegli uomini lo raggiungevano. Alcuni riuscivano incredibilmente a precedere le sue azioni.

La sua fuga non durò molto.  

Non servì a niente nemmeno chiudersi in un bagno e comporre il 911 con il cellulare.

La linea telefonica era bloccata e fu raggiunto anche lì.

Qualcuno buttò giù la porta, mentre il donnone tuonava un “Non può scappare, Anderson. Così rende solo le cose più difficili.” E qualcosa su un torero e un toro che Blaine non afferrò del tutto. Fu bloccato da due uomini e cessò di lottare contro di loro solo quando un ragazzo che non poteva essere più grande di lui gli premette su naso e bocca un fazzoletto impregnato di una qualche sostanza sedativa.
 


Il buio.

Poi la confusione.

Si sentì cullare, poi trascinare, poi sballottare.

E poi di nuovo il buio.

Dove lo stavano portando? E chi erano quegli uomini?

Forse non gli importava veramente…  perché ora era un adolescente, alla Dalton, a cantare con gli Usignoli in qualche jam session improvvisata. Le Regionali erano vicine ed era felice. Ma i suoi genitori non dovevano saperlo… Doveva corrompere Cooper di nuovo, in qualche modo, perché lo coprisse. Avrebbe puntato il dito, così lo avrebbe preso più sul serio.
E infatti eccolo ora sul palco di un auditorium. Cantava ed era felice. Era con quelli che erano ciò che si avvicinava di più a degli amici, ed era felice. Guardava il pubblico, ed era felice. Guardava gli avversari – c’era un angelo tra di loro, molto simile a Kurt - mentre alzavano la coppa, ed era felice lo stesso. Perché quello era ciò che amava fare. 

“Non si vive di musica, Blaine.”

“Lo so papà.”

Si sentiva le guance in fiamme. E gli bruciavano gli occhi, forse erano le lacrime. Voleva strofinarseli, ma aveva le mani bloccate. Così li aprì piano piano. La luce era accecante.

Si ritrovò seduto su una sedia, in quello che sembrava il deserto parcheggio al coperto dell’ospedale.

Cominciò ad agitarsi ricordando più o meno gli ultimi avvenimenti, ma uno degli uomini che lo avevano bloccato in bagno gli mise una mano sulla spalla. Non in modo minaccioso… sembrava piuttosto accondiscendente. Quel gesto non lo mise per niente a suo agio.

Scosse la testa per diradare le ultime nebbie del sedativo e incrociò lo sguardo del donnone che sembrava essere il capo di quella strana squadra. Stava parlando al telefono con qualcuno e non capì una parola di quello che stava dicendo al suo interlocutore. Quando interruppe la conversazione fu solo per parlare con uno dei suoi uomini. Gli stava mostrando una agenda di pelle nera dicendo strane cose come “Se non lo resettiamo continuerà a cercare di scoprire la verità, per tutta la vita. L’Effetto Onda sarà infinito, e noi dovremmo continuare a sorvegliarlo, come un pastore con le sue pecore.”

“Non possiamo resettarlo” diceva l’altro. “Lui non sarebbe d’accordo. E’ stato un suo errore.” E indicò il ragazzo che lo aveva sedato.

A quel punto non ce la fece più.

“Chi diamine siete?!” sbraitò, e l’uomo che gli teneva la mano sulla spalla ora aumentò la presa per farlo stare fermo.

Il donnone che parlava per metafore rusticheintanto gli si avvicinò.

“Noi ci accertiamo che tutto vada secondo il Piano. Mi chiamo Shannon Beiste.”

Quella donna doveva essere pazza. Blaine annuì come si annuisce agli psicopatici nei loro deliri (magari quegli uomini erano proprio sfuggiti al controllo dei loro medici) e, approfittando della distrazione dell’uomo che aveva ancora la mano sulla sua spalla, scattò in avanti per cercare di scappare. Ma un gradino che prima non c’era lo fece inciampare e cadere rovinosamente sul pavimento. Si chiese se si fosse rotto una caviglia, mentre si sforzava di non imprecare.

Due uomini lo raggiunsero prontamente e lo risistemarono sulla sedia.

“Blaine, credeva davvero che non potessi prevederlo?” disse la Beiste. “Posso leggere le sue intenzioni. Come un fantino esperto sa domare il suo cavallo imbizzarrito.”

“La può piantare con queste immagini?!” sbottò Blaine, ma la Beiste lo ignorò.

“Allora, crede ancora di poter scappare?” gli disse invece.

A quel punto Blaine credette di essere il prossimo a venire ricoverato nel reparto di psichiatria. Avrebbe voluto portarsi le mani alla testa, ma erano ancora bloccate. Non potendo fare altro per calmarsi, strinse gli occhi. “Non capisco che sta succedendo.” Sentì l’angoscia crescergli nel petto ogni secondo che passava.

“Ha visto una cosa che non avrebbe dovuto vedere. Qualcosa che per lei non avrebbe dovuto neanche esistere. Immagino sia una scoperta sconvolgente. Non è colpa sua. Il suo percorso nel mondo avrebbe dovuto essere aggiustato: avrebbe dovuto versarsi addosso il caffè andando verso la fermata dell’autobus, così sarebbe stato costretto a tornare a casa a cambiarsi e avrebbe perso quel bus. Non arrivando in tempo all’ospedale, non sarebbe arrivato in orario all’appuntamento con Schuester… e non ci avrebbe visto.”

Grazie al cielo evitò altre metafore. Era già abbastanza incredibile così.

“Dovevo rovesciarmi addosso il caffè?!” ripeté.

 “Lo chiamiamo Aggiustamento. Ti rovesci addosso il caffè, o internet non funziona, o perdi le chiavi. Molte volte siamo noi che cerchiamo di aggiustare il vostro percorso perché seguiate il Piano. Le coincidenze non esistono. Quando però non ci riusciamo, dobbiamo intervenire e cambiare direttamente il tuo pensiero. Come abbiamo fatto con il Dottor Schuester – sta bene come un gattino alla sua prima poppata, non deve preoccuparsi.”

Ci risiamo con le metafore. Ma la lasciò continuare.

“C’è una cosa che deve sapere, se la lasciamo andare.”

“Ok.”

“Lei non avrebbe dovuto vederci. Nessuno ci ha mai visto, e se anche fosse successo sarebbe finita male. Ma io voglio essere buona con lei – mi sta simpatico nonostante tutto quel gel. E’ libero di andarsene, ma se vengo a sapere che ha spifferato qualcosa sul nostro conto, e stia sicuro che lo verrò a sapere, le cancellerò la memoria. La resetterò. Le sue emozioni, i suoi ricordi, non esisteranno più. Per le persone che conosce sarà semplicemente impazzito… mentre lei non proverà un bel niente. Ha capito?”

Questo lo mise ancora più in agitazione, ma allo stesso tempo fu grato di poter far finta che non fosse successo niente, così annuì. Cercò di alzarsi, credendo che la conversazione fosse finita. Ma la Beiste non la pensava allo stesso modo, perché lo bloccò.

“Ancora una cosa. Stamattina ha incontrato un uomo, sull’autobus. Kurt.”

“Cosa c’entra lui?” sbuffò Blaine.

“Non avrebbe dovuto rivederlo.”

“Non capisco, che importanza ha?!”

“Ne ha.” Disse lei con un fastidioso, saccente ed evasivo modo di fare, mentre con un gesto dava l’ordine a uno dei suoi di frugare nelle tasche di Blaine. Trovarono il portafoglio in cui era inserito il foglietto con il numero di cellulare di Kurt.

“Vi prego, no.” Ma lo stavano già bruciando con un accendino.

La Beiste sorrise. “E’ libero di andare, ora.” E Blaine sì sentì spingere attraverso una porta e cadere sul pavimento, dall’altra parte.

“Che ci fa lì per terra?!” Era la voce di Schuester. Era piombato nel suo ufficio.

 
 
 
 





 
La tavola di cup of tea
Nessuna comunicazione di servizio, solo GRAZIE.
E, se mi concedete un piccolo momento pubblicità, ho pubblicato una OS e potete trovarla qui: “Ogni giorno è uguale e diverso – il ritratto”
*Vi passa un cupcake*
Cup of tea

 

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Capitolo 3
*** 3. Not right ***


WHY DO WE FALL IN LOVE SO EASY, EVEN WHEN IT’S NOT RIGHT?
Capitolo 3

 
 
 
Uscito dall’ospedale, Blaine salì sul taxi che aveva chiamato perché lo portasse al campus dell’università, dove si era dato appuntamento con Sam per pranzare insieme.

Era solo mezzogiorno e mezzo, ma si sentiva come se fosse stato ininterrottamente sveglio per giorni; non era sicuro che sarebbe riuscito a prendere i mezzi pubblici e arrivare sano e salvo a destinazione, senza crollare a metà strada. Non ora che gli tremavano ancora le gambe per gli strambi e spaventosi avvenimenti di quella mattina.

Non poteva parlarne con nessuno, se lo ricordava bene, eppure aveva una disperata esigenza di farlo. Era pazzo? Si era immaginato tutto? No, non poteva essere tutto solo nella sua testa, perché altrimenti avrebbe ancora avuto il foglietto per ritrovare Kurt. Invece era stato ridotto in cenere in quel dannato parcheggio. Certo, a meno che anche Kurt fosse stato solo un’invenzione della sua mente e del suo cuore bisognoso di condividere la vita con qualcuno. Ma Sam li aveva visti in quel bagno, giusto? Perciò Kurt doveva essere reale. Proprio come quel ragazzo col borsalino, o il donnone i cui modi di dire sarebbero stati davvero comici se non fosse stato per l’assurdità degli avvenimenti, e anche la loro squadra di… Guardiani? E’ così che si erano definiti? Sarebbe stato meglio BruciaCervelli, o qualcosa di ancora più macabro.

Mentre osservava dal finestrino gli ingenui abitanti di New York, si appuntò nella mente di seguire l’avvertimento minaccioso della Beiste – il nome è tutto un programma! – e decise che, quali che fossero le sue angosce, non ne avrebbe fatto parola né con Sam, né con nessun altro. A pranzo, avrebbe mantenuto la conversazione su un livello molto più superficiale e si sarebbe concentrato sulla narrazione del suo incontro con Schuester.

Sì, è l’unico modo.

Arrivato all’ingresso del campus, trovò Sam già lì ad aspettarlo. Lo stava salutando con un sorriso disegnato dalle sue enormi labbra, ma neanche il calore amico che emanavano poteva dissipare l’inquietudine che sentiva dentro di sé. Anzi, il fatto che Blaine non riuscisse a rispondere con un sorriso altrettanto sereno era un problema, e Sam se ne sarebbe di certo accorto.
Si sforzò di piegare all’insù gli angoli della bocca, anche aiutato dalla parola “Ciao”.
Forse bastò quello a non destare sospetti, perché Sam aveva risposto con entusiasmo per poi iniziare a parlare della biondina con cui stava uscendo da un po’ di tempo, e si stava incamminando verso il bar dove avrebbero pranzato. Blaine lo affiancò e ascoltò in silenzio aneddoti su di lei e la sua gatta, Lady Wilelmina. Possibile che Sam si innamorasse sempre dello stesso tipo di ragazza? Da come la descriveva assomigliava molto a Brittany, il suo amore dell’ultimo anno di liceo. Blaine ovviamente non l’aveva mai conosciuta, ma Sam gliene aveva parlato molto, insistendo soprattutto sul fatto che nonostante fosse stata lei a lasciarlo per una ragazza (sì, una ragazza!) non riusciva ad avercela con lei, perché Brittany non conosceva l’odio e di certo non era stata sua intenzione fargli del male - così diceva lui. Sapendo molte cose su di lei, quindi, gli fu facile notare dei punti in comune tra lei e questa nuova biondina. Doveva essere proprio simpatica, pensò, mentre Sam parlava della loro passione comune per i quadri con la pasta e sperò che questa volta andasse meglio per il suo amico.

Si sedettero a un tavolino dopo aver ordinato e ricevuto i loro panini.  Sam aveva una luce negli occhi che Blaine non gli aveva mai visto. Diceva che aveva finalmente trovato la ragazza per lui, quella che era capace di capirlo e che non si sforzava di seguire i suoi deliranti ragionamenti quando partiva per la tangente, perché la verità era che lei viaggiava esattamente sulla stessa lunghezza d’onda. Solo Brittany c’era riuscita, prima di lei. Cosette, quello era il suo nome, non era neanche lontanamente bi-curiosa e adorava perfino le sue imitazioni.

“Le adoro anche io!” disse Blaine, con una punta di gelosia. Sam era uno dei pochi amici che aveva, e sentì all’improvviso una vocina malvagia, da qualche parte nella sua testa, che gli diceva che per quanto Cosette potesse essere deliziosa, glielo avrebbe portato via. Ma forse era solo perché la giornata era partita male e lui vedeva tutto nero.

“Lo so, amico. Ma sai, lei mi ha preso sul serio quando ho detto che il mio nome da spogliarellista era Cioccolato Bianco e quello da supereroe è Camaleonte Biondo. Capisci? A proposito, le piace anche il tuo, Nightbird, anche se non capisce se nasconde un doppio senso velato.“ Disse, sporgendosi con fare cospiratorio verso Blaine, seduto di fronte a lui.

“Certo, capisco…” rispose lui, incrociando le braccia e sforzandosi di essere meno scontroso, sebbene il fatto che l’avesse messa al corrente dei loro nomi da supereroi gli disse alquanto fastidio. La BLAM funzionava perché quelle erano identità segrete!

”Ehi Blaine, cos’è quella faccia? Oggi al telefono eri così contento! Non hai rivisto quel ragazzo? Perché non stai saltando dalla gioia?”
Perché un branco di malati di mente mi ha minacciato di non cercarlo più, o mi inceneriranno la memoria.

“Io ho… ho perso il suo numero. N-non lo rivedrò mai più.” Sentì le lacrime pungergli gli occhi.

“Oh. Mi dispiace, B. Davvero.” E calò un pensante silenzio riempito solo dal rumore dei panini addentati e dell’acqua versata nei bicchieri di plastica. Se non si teneva conto del vociare del resto dei clienti del bar e della radio che suonava in sottofondo, ovviamente.

“Raccontami del tuo colloquio!” Esclamò Sam, con l’entusiasmo di chi ha trovato finalmente qualcosa con cui cambiare discorso.

“Dunque…” cominciò Blaine, e si passò il tovagliolo sulla bocca per prendere tempo. Doveva stare molto attento a ciò che poteva o non poteva dire.

“Sono arrivato nel Reparto Ustionati, dove si trova l’ufficio di Schuester. Lui mi ha fatto accomodare mi ha fatto qualche domanda di routine… ha guardato il mio curriculum, ha preso qualche appunto… e mi ha detto che il periodo di prova è stato allungato a due mesi invece che uno.” E scommetto che c’è lo zampino di quei BruciaCervelli. Mi chiedo solo cosa ci guadagnino. “E così prima di cominciare a lavorare seriamente sarò costretto a scrivere ricette e fare noiosissime attività ambulatoriali. Scommetto che Schuester mi passerà tutti i casi che non vorrà abbassarsi ad affrontare. Comincio domani, comunque. Ora devo solo trovare il modo di dire ai miei che il loro figlio prodigio non è poi tanto migliore degli altri ragazzi della sua età.”

“Cavoli, amico. Non è proprio la tua giornata.”

“Non sai quanto hai ragione.”

***


Rimasto da solo al tavolo, una volta che Sam lo ebbe salutato per tornare al campus e quindi a lezione, Blaine prese una grande decisione. Perché avrebbe dovuto avere paura di quegli energumeni? Ci mancavano solo degli emeriti sconosciuti a dirgli come vivere la sua vita. Voleva rivedere Kurt? Certamente, e più di qualsiasi altra cosa. E allora avrebbe trovato il modo.
Tirò fuori dalla borsa un foglio da un blocco notes e una penna – la stessa penna che aveva usato Kurt. Si fermò ad ammirarla.

Patetico. Comincia a metterti a pensare.

E scarabocchiò.

Kurt

34 73 655?

34 37  566…(656?)

43 73…?

Lavanderia “Bolle di sapone”? “Gocce di sapone”? “Acqua e sapone”?

Setaccerò ogni lavanderia, se necessario.

E uscì dal bar, più determinato che mai.
Passò il pomeriggio salendo e scendendo da autobus di linee diverse, entrando e uscendo dalle lavanderie di ogni parte della città, compresi i lavasecco e quelle all’interno dei centri commerciali. Spuntò da un elenco che si era preparato quelle che aveva già visitato senza successo. Aveva perfino chiesto ai proprietari di ciascuna se avessero visto un ragazzo alto, pallido, curato e ben vestito, ma nessuno di loro gli diede speranza. 
Continuò così per giorni, uscendo il prima possibile dall’ospedale per continuare la sua ricerca.
Ma dopo due settimane, ancora nessun risultato. Kurt sembrava come scomparso nel nulla.
A quel punto, un pensiero si era infiltrato nella sua mente: e se l’Adjustment Bureau - invece di cancellargli la memoria come avevano minacciato di fare - avesse cambiato le idee a Kurt? Se l’avessero paralizzato come con Schuester e lo avessero lobotomizzato con quell’aggeggio infernale? Inorridì al solo pensiero. Non se lo sarebbe mai perdonato, perché sarebbe stata colpa sua. Forse doveva gettare la spugna.

Perché ci si innamora così facilmente, se poi non è giusto?
 
Quel giorno, a tarda sera, aveva cominciato a piovere, e così, sconsolato, Blaine tornò al suo appartamento, senza che il suo cervello gli desse tregua.

Nonostante il fatto che si rendesse conto che, se fosse davvero successo qualcosa a Kurt, lui ne sarebbe stato responsabile, continuava a pensare e rimuginare e riflettere e ripercorrere mentalmente il tragitto che aveva percorso durante quella prima giornata in cui si erano incontrati. Cercò anche di ricostruire la mappa della città e delle linee degli autobus, cercando di capire in quale zona potesse abitare Kurt. Se era fortunato, non abitavano poi così distanti l’uno dall’altro, considerato che quella mattina si erano incontrati sullo stesso mezzo. Se invece era sfortunato - e temeva fosse proprio così - Kurt abitava dall’altra parte della città, e quell’autobus era solo uno della lunga serie di mezzi pubblici che doveva prendere per raggiungere Manhattan. Le rotelline continuavano a girare incessantemente, al punto che desiderava che un po’ del gel che gli intrappolava i capelli penetrasse nella cute e raggiungesse quei meccanismi e li incollasse. Almeno così avrebbe avuto un po’ di pace e si sarebbe potuto concedere il riposo di cui aveva bisogno.

Girò la chiave nella porta ed entrò nel bell’appartamento pagato dai suoi genitori come regalo di laurea. Giurò a sé stesso che appena ne avesse avuto le possibilità l’avrebbe rivenduto e se ne sarebbe comprato uno davvero suo.

“Non riuscirai a ricordarti il numero.”

Blaine alzò la testa, sentendo una voce parlare con lui. Nel buio, afferrò il vaso di ceramica appoggiato sul tavolino dell’ingresso. Era l’unica arma di difesa disponibile.

“Chi va là?!” Disse, cercando di sembrare il più sicuro possibile. “Ho un vaso che potrebbe spaccarti la testa.” Ma l’Upper West Side non doveva essere una delle parti più “in” di New York? Pensavo fossero altre le zone pericolose… Tastò la parete con la mano libera, finché non raggiunse l’interruttore della luce e lo pigiò.

 E poi realizzò.

“TU! Tu sei uno di quegli squilibrati di quella mattina!”Era il ragazzo più giovane, quello che lo aveva sedato. Solo, non indossava il bel completo elegante della prima volta che l’aveva visto, ma una giacca di pelle, dei pantaloni color verde militare e degli anfibi. Non indossava il borsalino con la stessa eleganza di quella volta: al contrario, il cappello era scivolato all’indietro e lasciava intravedere una cresta di capelli scuri su una testa rasata. Con un’aria da  strafottente incallito, stava comodamente seduto sul suo divano ancora ricoperto di cellophane. Se si fosse mosso velocemente, pensò Blaine, magari sarebbe riuscito a colpirlo con il vaso.

“Ehi! Non fare così! Sono qui in veste amichevole.”

Blaine non riusciva a credere alle proprie orecchie, né tanto meno a rilassare la presa e riappoggiare il vaso al suo posto.
“Sono intenzionato a ritrovarlo. Non mi importa di cosa mi farete.”

“La realtà come la conoscevi è stata completamente stravolta, e tu pensi a un uomo? Anche se riuscissi a ricordarti il numero, può sempre succedere qualcosa. Cellulare rotto, nuovo numero… e se anche dovessi riuscire a rincontrarlo per puro caso, potrebbe sempre accadere un imprevisto, un incidente… qualsiasi cosa per fermare l’Effetto Onda. Mi chiamo Puckerman, a proposito. Puck, se preferisci.”

“No, ci risiamo con i vostri discorsi senza senso… Effetto Onda? Andiamo… voi avete bisogno di bravo psichiatra, questa è la verità. Ora se ne vada, o chiamo la polizia.”

“Non credo sia una buona idea.” Si alzò e si avvicinò a Blaine, che stava ancora vicino alla porta. “In ogni caso,” riprese, “se vuoi delle risposte e dare un “senso” a quello che tu credi sia solo frutto della nostra presunta pazzia, raggiungimi a questo indirizzo, domani alle sedici.” E gli allungò un biglietto. Per la prima volta da quando era entrato, Blaine staccò gli occhi sospettosi da quell’uomo e li abbassò sul foglietto di carta.

Brooklyn Bridge

Ingresso al sentiero pedonale, lato di Manhattan

 
“Dovresti liberare quel divano dal cellophane, sarebbe nettamente più comodo.” Lo sentì dire.
“Aspetta, perché vuoi aiutarmi?” Disse Blaine, alzando lo sguardo verso Puck, ma lui non c’era più.
 

***

 
Il giorno dopo, Blaine uscì dall’ospedale in fretta e furia e si recò al luogo dell’appuntamento, ma apparentemente non c’era traccia di Puckerman.

“Sei Blaine Anderson?”

Blaine si girò verso la voce. Era il grasso e unto proprietario del carretto ambulante degli Hot Dog parcheggiato su quel lato della strada.

“Sì?” rispose titubante.

“Ti ho riconosciuto dal gel e dal papillon. Il tuo amico aveva ragione riguardo alla sua aria da damerino.” Ridacchiò inopportunamente, provocando a Blaine un senso di disgusto sulla lingua.

“Il mio amico?”

“Sì, quello che dovevi incontrare qui…” Rispose quello, grattandosi la pancia. “Ha detto di raggiungerlo sul traghetto delle sedici e trenta.”

“Ok, la ringrazio per la sua cortesia.” E accennò ad andarsene.

“Ehi aspetta, damerino! Quale cortesia?! Ora tu devi comprare uno dei miei hot dog!” 
Blaine ci pensò un po’ su e poi di controvoglia lo accontentò. Gemette quando la salsa di senape appena spalmata sul wurstel  scivolò sulle dita già sporche di quell’uomo che se le leccò senza riguardi per poi passargli il suo panino.
Pagò e fuggì.

***

Possibile che non ci sia un cestino neanche a piangere? Pensò, mentre saliva sul traghetto.

“Oh, che tenero! Mi hai comprato un hot dog!” Puck era comparso alle sue spalle e gli stava strappando il panino dalle mani.

“No! Aspetta! Non…” Provò a metterlo in guardia sulle scarse norme igieniche del carretto che glielo aveva venduto, ma era troppo tardi. Puck lo stava già divorando.

Oh, e chissenefrega. Infondo questo ragazzo se ne va in giro a bruciare i cervelli delle persone. Un mal di stomaco non gli farà male.

Si sedettero su due sedili su un lato del traghetto e aspettarono in silenzio che Puck finisse di fagocitare la sua merenda e che il traghetto partisse.

“Risponderò alle tue domande finchè posso.” Disse poi Puck.

“Ok… ehm. Che cosa avete fatto a Schuester?”

“Abbiamo modificato le sue idee riguardo al tuo periodo di prova.”

“Perché?”

“Questo non ti riguarda.”

“Non mi riguarda?! Voi! Voi paralizzate le persone, fate il lavaggio del cervello perché funzioni come volete voi! Siamo… i vostri
burattini?!” Ora Blaine sentiva che tutta la rabbia che aveva represso in quelle settimane sarebbe esplosa da un momento all’altro.

“Noi facciamo solo in modo che voi seguiate i percorsi pensati per voi dal Presidente.” Puck invece era calmo come l’acqua su cui stavano navigando.

“Il Presidente?”

“Noi lo chiamiamo così… voi utilizzate diversi altri nomi.”

No, ti prego.

“Noi percepiamo quando voi state compiendo una scelta. Quando dovete prendere una decisione, vagliate tutte le possibilità e noi ci assicuriamo che prendiate quella che dovete secondo il Piano. Siamo autorizzati a fare solo questo.”

“E ti permettono di dirmi queste cose? Non ci stanno seguendo, adesso?”

“Dobbiamo monitorare il mondointero. Non abbiamo il potere di seguire tutti in ogni istante. E no, in questo momento non sanno che stiamo avendo questa conversazione. C’è qualcosa nell’acqua che non ci fa vedere il vostro Albero delle Decisioni.” Blaine vide Puck fissare le onde oltre la ringhiera.

In effetti, pensò, quello poteva avere senso. La sera prima pioveva, quando si era ritrovato quel ragazzo in casa. L’acqua formava una specie di scudo?

“Tu sei un angelo?” Chiese.

“Qualcuno ci chiama così. Ma andiamo, amico, mi hai visto bene? Puck-zilla non può essere uno di quelli…! Chiamami Guardiano!” E gonfiò i bicipiti con fierezza.

Ok, Kurt è decisamente più angelo di te.

“Perché vuoi aiutarmi?”

“Ho le mie ragioni.”

Blaine annuì. Forse doveva cominciare a fidarsi di lui, se voleva capirci qualcosa. “E perché non posso stare con Kurt?”

“Quello che posso dirti è che, stando alle risorse che hanno usato, per loro è molto importante che voi non stiate insieme.” Fece una pausa, mentre Blaine sprofondava nuovamente nel vortice dei ragionamenti su come ritracciare Kurt.

“Lo cercherai comunque, non è così?” Disse Puck, con una punta di compassione nella voce. Blaine odiava quel tono. “Non puoi trovarlo. Non te lo permetteranno. E anche se non cercassero di fermarti, questa città ha nove milioni di abitanti. Non lo troverai mai. Dimenticalo. La vita continua.“

Non credo proprio.

 






 
La tavola di cup of tea
Ok, ho una confessione da fare… in origine non esisteva nessuna Cosette. Alla prima stesura, Sam era felicemente fidanzato con Brittany, ma per ragioni di trama ho dovuto separarli… E’ stata una scelta ultrasofferta (i BRAM sono il mio guilty pleasure – confessione n2) e niente, volevo solo rendervi partecipi del mio dolore e di quanto mi sono odiata.
Detto ciò, vi passo una tazza di tè e vi saluto <3
A lunedì prossimo
cup of tea

 

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Capitolo 4
*** 4. Far ***


Cause you sound so close but it feels like you're so far

Capitolo 4

 



Sei mesi.

Sei mesi di ricerche in giro per New York.

Sei mesi di “Ehi, mi scusi, per caso ha visto…?” e di “Non è che conosce…?”

Sei mesi di “Lo troverò, costi quel che costi.”

Sei mesi di testate contro la scrivania quando: “Cerca con Google: KURT. 188.000.000 risultati trovati (0,21 secondi)” e di “Se solo conoscessi il suo cognome.”

Sei mesi di “Sam, oggi non posso. Se riesco a prendere l’autobus a quell’ora precisa, potrei riuscire ad incontrarlo.”

Sei mesi di “Non ce la farò mai. Puck aveva ragione.”

Sei mesi.

 

***


Blaine salì sull’autobus anche quella piatta mattina primaverile.

Era buffo come - anche dopo essersi rassegnato all’impossibilità di rivedere Kurt – la prima cosa che faceva ancora prima di timbrare il biglietto fosse studiare uno a uno i passeggeri seduti e in piedi presenti sul mezzo. Sussultava ogni volta che intravedeva un borsone da palestra, ma rimaneva sistematicamente deluso appena riusciva ad intravedere il viso del proprietario. Data l’insistenza con la quale li fissava, era sicuro che prima o poi qualcuno si sarebbe lamentato – eppure, anche con questa consapevolezza, non riusciva a farne a meno.

Mentre il bus si rimetteva in moto, si fece largo tra un sedile e l’altro e si sedette accanto al finestrino, incassando il colpo per l’ennesima volta.

“Non ti servono gli amici. Sono solo una distrazione. Quando ti sarai laureato e sarai diventato il primario di qualche importante ospedale, allora avere un amico o una ragazza sarà un regalo che potrai farti.”

Forse suo padre non aveva tutti i torti. Non poteva rincorrere una distrazione per tutta la vita – specie se, più che rincorrerla, si trattava di assumere le sembianze di un cane da tartufo che fiuta disperatamente il terreno senza trovare niente.

“Non puoi trovarlo. Non te lo permetteranno. E anche se non cercassero di fermarti, questa città ha nove milioni di abitanti. Non lo troverai mai. Dimenticalo. La vita continua.“

La vita continua.

La vita continua.

Ma una che non ti sei scelto, che vita è?

Sospirò, appoggiando la fronte contro il finestrino, puntando gli occhi sulla strada, ma più che altro fissando nel vuoto.

E poi lo vide.


Bello, elegante anche con i pantaloni della tuta, fiero e sicuro di sé. Camminava a passo svelto sul marciapiede, tenendo entrambe le mani aggrappate alla cinghia del borsone a tracolla.
Sbattè le palpebre più volte, per sicurezza.
Sì, era lui, doveva essere lui! Questa volta non c’era alcun dubbio.

Kurt.

“Fermi l’autobus!” gridò Blaine al conducente, guadagnandosi tutti gli sguardi storti che fino a quel momento i passeggeri avevano accumulato e tenuto per sé stessi nei suoi confronti. Una signora gli ricordò acidamente che, se voleva scendere prima, avrebbe dovuto prenotare la fermata e che ormai doveva aspettare la prossima. Lei era in ritardo, non poteva permettersi che uno sbadato come lui rallentasse la corsa di quel mezzo già frenato dal traffico cittadino. Un anziano signore che puzzava di fumo si lasciò invece sfuggire un “I ragazzi di oggi…” con fare burbero e scortese. Blaine poté giurare di avere perfino sentito un “L’ho sempre pensato che a quello lì mancasse qualche rotella… fatelo scendere, per carità!” ma non se ne curò troppo, perché le porte si aprirono e lui saltò fuori sul marciapiede e prese a correre dietro l’angolo dove aveva visto girare Kurt.

“Kurt!” Lo chiamò, non fermandosi fino a che non lo ebbe raggiunto.
Kurt si girò. “Blaine?”
Anche col fiato mozzato, Blaine riuscì a rispondergli: “Sì, Blaine, sono Blaine! Oh, e tu sei Kurt, sei Kurt! Grazie, oh, grazie! Sei Kurt!”
“Stai bene?” gli chiese incerto l’angelo che aveva cercato per mesi interi. Angelo… no, quella parola non andava più bene. Gli ricordava i tipi con i cappelli e le loro brutte cose, mentre Kurt non era brutto, era bellissimo, era perfetto, come scolpito da chissà quale scultore.
Non ricevendo alcuna risposta, Kurt cominciò a sentirsi a disagio e questo bastò a risvegliare Blaine dal suo flusso di coscienza. “Cosa, io? Se sto bene? Non sono mai stato meglio! Tu sei Kurt! E io non mi sono mai sentito bene come adesso!”
“Ok, ok” ridacchiò Kurt, ora divertito dall’entusiasmo folle di Blaine. “Se ci tenevi così tanto a rivedermi bastava che mi telefonassi, avevi il mio numero e dovevi solo comporlo!” Blaine colse in quelle parole una nota di rimprovero o di disappunto per non essersi fatto vivo. Che Kurt volesse essere richiamato perché voleva rivederlo almeno tanto quanto ci teneva lui? No, forse teneva solo al pagamento del conto della lavanderia.
“Io… sì, scusami, volevo farlo, ma…” …le forze dell’Universo ci vogliono separati. Si guardò intorno, preoccupato di vedere spuntare un BruciaCervelli da dietro un albero del viale o da dietro un angolo.
“…Ma?” lo richiamò Kurt.
“…Ma… io sono… stato rapinato! Sì, rapinato! Mi hanno rubato il portafoglio e dentro c’era quel maledetto pezzo di carta e….”
“Rapinato?” Lo scetticismo di Kurt era più ovvio del fatto che non si sarebbe accontentato di una scusa simile. Le sopraciglia alzate, la smorfia disegnata dalle sue labbra rosee e le braccia incrociate sul petto parlavano per lui.
Blaine si sentì messo alle strette. “Senti, ti va di prenderti un caffè con me?” Gli chiese sempre guardandosi intorno con fare furtivo.
“Non lo so… tu dovresti andare in ospedale o dovunque ti abbiano dato un lavoro…” Kurt inclinò la testa e a Blaine ricordò un gatto splendidamente smorfioso.
“Chiamo Schuester e gli dico che mi sono ammalato.” Non ti libererai di me. Non adesso che ti ho ritrovato.

“Non credo sia una buona idea. I tuoi pazienti avranno bisogno di te e io devo… Si può sapere perché continui a girarti a cercare chissà cosa?!”
“Io? Non sto cercando niente… ora chiamo Margareth e l’avverto che non vado.” Prese il cellulare e ignorò deliberatamente le proteste di Kurt, che si erano trasformate da stizza pura ad accondiscendenza. In fondo era lusingato delle attenzioni di cui lo stava ricoprendo, e Blaine lo riusciva a sentire. Sorrise mentre investiva l’infermiera dall’altra parte della cornetta con un rapido e secco: “CiaoMargarethSìScusaSonoMalatoAvvisaSchuesterChePrendaInCaricoAncheIMieiPazientiPerchèOggiNonCISarò.”
E riattaccò. Ormai non faceva più solo attività ambulatoriale, ma era sicuro che un giorno d’assenza non avrebbe causato danni.
“Le hai chiuso il telefono in faccia.” Osservò Kurt, che ora lo stava rimproverando bonariamente.
“Oh, non ti preoccupare, non se la prenderà. Margareth spesso è di turno anche al reparto di psichiatria, è abituata ai fuori di testa,” Scherzò lui, di rimando.
“Ma io non voglio avere questa influenza negativa su di te… stiamo parlando da cinque minuti e ti ho già indotto prima a mentire e poi a trattare male una povera infermiera… nonché a insultare i pazienti di psichiatria…” Kurt scuoteva la testa, ma rideva.
Aspetta, loro… stavano flirtando?
“Andiamo, abbiamo sei mesi da recuperare!” Blaine gli aprì la strada con un gesto del braccio e non staccò gli occhi da lui finchè non furono fianco a fianco, diretti verso la prima caffetteria a tiro.

 

***

Con i propri caffè in mano, Blaine e Kurt uscirono e si sedettero su un tavolino all’aperto. Era una bella giornata – in tutti i sensi – e sarebbe stato un peccato rinchiudersi da qualche parte, perfino se c’era la possibilità di essere interrotti dagli squilibrati con il cappello.

“Chi ti dice che adesso io non stia con un bravo ragazzo?” Kurt non aveva smesso di provocarlo neanche per un minuto e Blaine ci stava prendendo gusto.

“Stai con un bravo ragazzo?” Ribatté, sorseggiando il cappuccino bollente. Rischiò di bruciarsi la punta della lingua, ma si sforzò di non fare una piega. Era più interessato alla risposta.

“Cambierebbe qualcosa per te?” Ehi, questa non è una risposta!

“Quanto andremo avanti rispondendo alle domande con altre domande?”

“Interrompi tu questo circolo vizioso.” Kurt si nascose poi dietro il bicchiere di latte scremato macchiato.

“Ok, anche se di fatto lo hai fatto tu.” Blaine gli fece una linguaccia. “Se cambierebbe qualcosa? Direi di no.” Disse, fiero di sé. Fidanzato o non fidanzato, Blaine non avrebbe mollato la presa molto presto.

“Oh, quindi non ti importa se diventi uno sfascia-famiglie!” Kurt si finse scandalizzato e con un gesto teatrale si portò una mano al petto, come se un colpo simile gli avesse fatto mancare un battito.

Risero e Blaine desiderò che quel momento durasse per sempre. Kurt aveva una risata calda e piena, lievemente acuta. Forse l’aveva già sentita in bagno, quel famoso giorno della cerimonia di laurea, ma era come se fosse la prima volta in assoluto ed era la cosa più deliziosa che avesse mai sentito.

“Beh? Lo sarei? Stai con un bravo ragazzo?” Azzardò, a un certo punto.

Kurt esitò un istante, ma poi rispose. “No, non lo saresti. Io e il mio ragazzo abbiamo rotto da poco. Non che sia durata molto, in realtà. Tre, forse quattro mesi.”

“Oh, mi dispiace…” ed era sincero. Qualsiasi cosa facesse stare male Kurt, per qualche ragione faceva male anche a lui.

“Non devi!” sorrise Kurt. “Adam era una persona dolcissima, ma non era… non faceva per me.” E Blaine lo vide bere un altro sorso, ma poté giurare di aver scorso le sue guance, altrimenti pallidissime, arrossarsi leggermente.

“Tu non sei stato rapinato, vero?” Cambiò argomento Kurt. “Tu hai perso il numero. Di’ la verità! Anzi, tu ti sei trovato un ragazzo, magari quel biondino del bagno e hai fatto sparire il pezzo di carta per evitare che facesse domande gelose!” I suoi magnifici occhi blu erano spalancati; scherzando, Kurt credeva di aver trovato la risposta a quell’inspiegabile silenzio. Era adorabile, sul serio. Sarebbe stato bello se fosse stato così semplice come la metteva lui, senza uomini del destino e tutto il resto.

“Sam è etero.” Rispose, mordendosi la lingua per impedirsi di sputare la verità.

“Con quella tinta?! Oh, Blaine, come sei ingenuo.”

“Dico sul serio. E dico sul serio anche quando dico che per sei mesi ho preso lo stesso, identico, fottuto autobus sperando di incontrarti, e lo sono anche quando dico che sto camminando a mille metri da terra, ora che ti ho trovato. Sai quanti “Kurt” esistono sulla guida telefonica? E’ difficile trovare quello giusto quando non si conosce nemmeno il suo cognome. E le palestre? Sai quante ce ne sono solo a Manhattan?”

Kurt fu colto di sorpresa da quelle parole e dallo sguardo serio di Blaine. D’un tratto, si immobilizzò, disarmato e confuso. Era una dichiarazione? Era un’accusa? No, era decisamente la prima cosa. 
“Io…  mi chiamo Kurt Elizabeth Hummel.” Riuscì solo a dire. “Aspetta, che c’entrano le palestre?”
 

***

Adjustment Bureau, Ufficio di Shannon Beiste, Prima Divisione.

“Avanti!” disse il donnone, appena Ryder Lynn bussò alla porta.

Il ragazzo entrò, titubante. La Beiste era seduta dietro la sua scrivania e stava sistemando dei documenti importanti. Ryder non voleva essere proprio lui a doverle dare la cattiva notizia, ma non c’era alternativa. “Mi scusi, Signora, abbiamo un problema.” Disse, allungandole la Mappa delle Possibilità di Anderson. “Blaine Devon Anderson è uscito dal Piano.”

La Beiste alzò gli occhi dai fogli che stava leggendo per poi dare un’occhiata alla Mappa. Scosse la testa, con frustrazione. “No, Anderson! Di nuovo? Quel ragazzo ha la testa più dura di un somaro! Come l’ha trovato?”

Ryder capì che si riferiva a Kurt. “Per caso. Lo ha visto per strada.” Era pronto alla ramanzina.

“Non avremmo dovuto allentare il controllo su di lui!” Sbraitò lei. “Andiamo!”

Ryder si sentì trascinare fuori dall’ufficio, in corridoio. Lo interpretò come un implicito ordine a seguirla nella missione, perciò si infilò il cappello che teneva in mano.
Vicino all’ascensore, incrociarono Puckerman.

“Sistemo ancora i tuoi casini dopo sei mesi!” Gli urlò contro la Beiste.
“Mi lasci venire con lei, Signora. Sistemerò tutto io.” La implorò Puck.
“Non se ne parla. Siediti dietro la tua misera scrivania e aspetta che ritorniamo. Dopo deciderò cosa fare con te.”
E sparirono dietro le porte dell’ascensore, sotto lo sguardo contrito di Noah.

 

***
 

“Aspetta, che c’entrano le palestre?”
“Tu… tu giri sempre con quel borsone… Ho pensato fossi un fissato della linea…” Non era così? Blaine era confuso.
“Io, cioè sì lo sono, ma non è il motivo per cui ho il borsone… Frequento la Nyada, l’accademia di arti drammatiche. Sono all’ultimo anno.”
“Oh.” Ora tutto aveva senso. “Wow! Quindi sai cantare e ballare?” Poteva essere ancora più perfetto quel ragazzo? Se lo immaginò su un palcoscenico, circondato da ballerine il tutù color oro e nero mentre cantava l’assolo più importante dello spettacolo, conquistando il pubblico e guadagnandosi una standing ovation. Erano permesse a teatro? Cavolo, la sua voce doveva essere magnifica. Era sicuro che sarebbe stato in grado raggiungere note altissime con l’eleganza di chi non compie alcuno sforzo nel fare cose impensabili per le persone comuni. Si appuntò nella mente che avrebbero dovuto cantare un duetto insieme, un giorno.
“Me la cavo, sì.” Rispose Kurt, modestamente.
“Ma smettila, commetto che ogni volta che ti esibisci viene giù il teatro.”

Da dietro un angolo, Shannon Beiste e Ryder Lynn li stavano osservando, controllando di tanto in tanto la Mappa delle Decisioni di Anderson. Ora, accanto al suo, era comparso un altro percorso, che si muoveva parallelo al suo. Indicava che Blaine stava cominciando a fare programmi che coinvolgevano Kurt e questo spaventava a morte la Beiste. Non era quello il Piano previsto per Anderson.

“Stacca la corrente alla Nyada” ordinò a Ryder “E cambia il luogo delle prove.”
Ryder tirò fuori dalla tasca quello che sembrava un cellulare e obbedì.
Intanto, la Beiste continuava a osservare i due novelli e presto sventurati innamorati.

“Dovresti invitarmi la prossima volta che prendi parte a uno spettacolo.” Disse Anderson.
“Noi beh… ne diamo uno domani sera. E’ lo showcase primaverile. Se vuoi venire…”
“Lynn, perdiana! Quanto tempo ti ci vuole?!” Si arrabbiò il donnone.
“Si stanno adoperando per far cambiare idea a Carmen Tibideaux.” Rispose. “Sarà tutto a posto entro un’ora.”
La Beiste gli strappò dalle mani la Mappa delle Decisioni e fece comparire solo il percorso di Kurt Elizabeth Hummel. “Anche l’Albero delle Decisioni di Hummel sta cambiando. Sarà meglio per te che facciano in fretta.”
Ryder guardò preoccupato il display del cellulare, maledicendo il giorno in cui era entrato nella Prima Divisione dell’Adjustment Bureau. Non poteva rimanere a gestire gli archivi delle Mappe delle Decisioni? Ah, no, è vero. La sua dislessia non glielo aveva permesso. “Ce l’hanno fatta, signora! Hanno indotto la Tibideaux a cambiare ora e luogo delle prove, così che Anderson non sappia dove cercare Hummel né per la giornata di oggi, né per quella di domani. Trentasei ore senza alcun contatto e Hummel non gli rivolgerà più la parola. Una seconda possibilità basta e avanza, non gliene darà una terza.”
La Beiste ricontrollò la Mappa di entrambi. “Potrebbe essere troppo tardi. Vedo già dei Punti di Flessione.” E mostrò a Ryder un puntino rosso lampeggiante dove i due percorsi si incontravano.
“Cos’è?” chiese Ryder.
“Un bacio.”
“Ed è sufficiente a cambiare il Piano?”
“Se è un bacio vero, sì. E mi risulta che se ne siano dati già uno, anche se non possiamo dire che fosse un bacio alla Biancaneve e i Sette Nani, né alla Bella Addormentata. Ma se si baciano adesso, potrebbe essere diverso. Una riparazione a un danno del genere causerebbe un Effetto Onda fuori dalla nostra portata.”
Ryder vide Hummel tirare fuori dalla tasca del borsone il cellulare e scusarsi con Anderson. Il messaggio del cambiamento di ora e luogo era arrivato. Le prove erano state anticipate e doveva andare. Non fece in tempo a dirgli dove, perché arrivò una chiamata a Blaine. Un’emergenza, Schuester aveva bisogno di lui, e non gli importava che fosse malato.
Anderson si morse la lingua per non imprecare. “Ci vediamo quando abbiamo finito entrambi, devo scappare anche io!” Lo sentì dire ad Hummel.
“Bene, direi che siamo fuori pericolo.” Disse Ryder alla Beiste.
“Non ancora.” Blaine si stava allungando verso Kurt per dargli un bacio. Il Punto di Flessione sulla Mappa lampeggiò più velocemente. Con un gesto rapido, la Beiste strappo di mano il cellulare a Ryder e compose un numero.
Il cellulare di Anderson squillò sul più bello, interrompendolo.
“Sì, Margareth, sto arrivando!” E diede a Kurt un semplice bacio sulla guancia prima di salutarlo e correre via.
“ORA siamo fuori pericolo.” Disse la Beiste, riconsegnando a Ryder Mappa e cellulare. “Torniamo al Bureau, dobbiamo trovare una soluzione permanente.”

***

Blaine saltò sul primo taxi che trovò. Era felice, si sentiva bene e pieno di energie.
Aveva finalmente ritrovato Kurt, e non importava che Margareth li avesse interrotti, perché fino a quel mattino non sperava più neanche lontanamente nel loro ricongiungimento. E invece l’aveva trovato. E proprio quando aveva deciso di lasciar perdere.
Ci pensò bene: che fosse quello il trucco?
Cosa aveva detto Puck?

“Noi percepiamo quando voi state compiendo una scelta. Quando dovete prendere una decisione, vagliate tutte le possibilità e noi ci assicuriamo che prendiate quella che dovete secondo il Piano. Siamo autorizzati a fare solo questo.”

Aveva ritrovato Kurt quando aveva deciso di gettare la spugna. Quegli squilibrati avevano smesso di controllarlo quando lui aveva deciso di rientrare nel Piano.
Quindi, finché avesse pianificato qualcosa che coinvolgesse Kurt, i BruciaCervelli lo avrebbero saputo e tenuto d’occhio, ma così – se avesse fatto credere loro di essere rientrato nel loro fantomatico Piano – lo avrebbero lasciato in pace, e per sempre. Ma come avrebbe fatto a non programmare niente, ora che lo aveva ritrovato?
Si maledì per non avergli richiesto il numero di cellulare, anche se probabilmente, nel momento in cui lo avesse fatto i tipi col cappello lo avrebbero raggiunto e bruciato di nuovo.
Per lo meno ora sapeva dove studiava e che si sarebbe esibito il giorno dopo. Appena finito di fare quello di cui Schuester aveva bisogno, sarebbe corso alla Nyada, avrebbe cercato la segreteria e avrebbe chiesto dove si stavano svolgendo le prove. Così avrebbe raggiunto lì Kurt e magari avrebbero passato la serata insieme.

No, Blaine. Niente piani.

Ripensò sognante alla piacevole conversazione che avevano avuto. Questo poteva farlo, vero?

“Io e il mio ragazzo abbiamo rotto da poco. Non che sia durata molto, in realtà. Tre, forse quattro mesi.”

Tre, quattro mesi. Cioè lui e Adam avevano cominciato a uscire dopo che loro due si erano scambiati il bacio nel bagno.

“Adam era una persona dolcissima, ma non era… non faceva per me.”
Non era… non era Blaine? Che Kurt provasse le stesse cose che provava lui? Ok, forse stava correndo un po’ troppo con la fantasia.

“Tu ti sei trovato un ragazzo, magari quel biondino del bagno, e hai fatto sparire il pezzo di carta per evitare che facesse domande gelose!”
O forse non stava poi fantasticando?
Sorrise, come solo sorrideva quando pensava a Kurt.

Io…  mi chiamo Kurt Elizabeth Hummel.”
Kurt Elizabeth Hummel.
Ora conosceva anche il suo cognome.
Come sarebbe suonato assieme ad Anderson?
Kurt Anderson-Hummel. Blaine Anderson-Hummel.

No, Blaine. Niente piani.

 
 





La tavola di cup of tea

Niente, volevo solo passarvi una fetta di torta.
Buona settimana a tutti! <3
cup of tea

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Capitolo 5
*** 5. Time ***


THIS TIME WE’LL SHOW THEM ALL HOW MUCH WE MEAN
Capitolo 5

 



 

“Tu devi essere la piccola Daisy, non è così?” Disse Blaine guardando la cartella clinica dell’esile bimba sdraiata sul letto davanti a lui.

La bimba annuì timidamente.

“Bene Daisy, come ti senti? Mi hanno detto che sei stata bravissima poco fa.” Daisy aveva solo sette anni, ma era riuscita a sopravvivere a un grave incidente d’auto avvenuto mesi prima. La data sulla cartella indicava il nove novembre, quindi il primo intervento a cui l’avevano sottoposta risaliva al periodo di prova di Blaine, e proprio perché all’epoca lui firmava solo le ricette per conto di Schuester, non l’aveva mai incontrata fino a quel momento. L’esplosione di cui era rimasta vittima le aveva causato pesanti ustioni lungo tutto il braccio sinistro, ora ancora fasciato nonostante fosse passato parecchio tempo dall’operazione. A quell’epoca il trapianto del tessuto cutaneo era avvenuto con successo, ma poi qualcosa era andato storto durante il periodo di convalescenza a casa e ora si trovava di nuovo in quel letto d’ospedale, reduce dalla sala operatoria per la seconda volta.

Ormai Blaine non era più nuovo al contatto con bambini che si trovavano – chi più, chi meno – nelle stesse condizioni di Daisy, ma non si era ancora abituato alla forza che tutti quei piccoli dimostravano nell’affrontare la vita.

Daisy aveva due grandi occhioni castani, in quel momento ancora lucidi per l’anestesia appena smaltita. Sembrava spaventata ma si rilassò quando Blaine le sorrise, intenerito dalla sua espressione confusa.

“Bene” rispose piano la bimba, e Blaine le sorrise nuovamente.

Sul comodino c’erano un paio di fogli colorati con i pastelli a cera. Daisy doveva avere disegnato fino a poco prima di essere preparata per l’operazione.

Si sedette su un lato del letto, accanto a lei, e le si avvicinò con fare cospiratorio.

“Sai cosa dicono i dottori?”

”Cosa?” chiese lei, curiosa.

“Shhh è un segreto, mi raccomando! Dicono che sei un’artista. Dicono i tuoi disegni sono i più belli che abbiano mai visto. E dicono anche che sei la bimba più forte che abbiano mai incontrato.”

Daisy era bellissima con le guance arrossite. Strinse il suo orsacchiotto con il braccio sano e sorrise orgogliosa e timida.

“Posso vederli?” Le chiese poi, indicando i fogli.

La bimba annuì e Blaine li prese con delicatezza.
Un disegno rappresentava una casa, su una spiaggia. L’altro ritraeva una famiglia, presumibilmente la sua. Una bambina dai capelli lisci e scuri con un orsacchiotto sulle spalle teneva per mano una donna con gli stessi suoi tratti e un uomo con qualcosa che assomigliava a una chitarra. A Blaine si strinse il cuore. Daisy aveva perso suo padre in quel maledetto incidente d’auto, perché per proteggerla dalle fiamme prima dell’arrivo dei soccorsi le aveva fatto da scudo. Lui era morto prima di arrivare in ospedale, ma lei era sopravvissuta cavandosela con “solo” qualche ustione sul braccio. Nel disegno, sopra alla figura del papà, si leggeva chiaramente la scritta “Il mio eroe” e, viste le note musicali stilizzate disegnate accanto a lui, sembrava cantare.

“Ma papà! Non è giusto! Perché non posso andarci anch’io come i miei compagni?! Studierò appena torno a casa!”
“Non usare quel tono petulante con me, signorino! Hai un test lunedì, non devi perdere tempo, quindi non andrai a cantare in quella casa di riposo con quegli scansafatiche dei tuoi compagni. Punto e basta.”
“Ma papà…”
“Niente ma, Blaine.”
“Io ti odio…”

Impedì a una lacrima di scendere sulla guancia guardando verso il soffitto cercando di non far trasparire il suo stato d’animo. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva parlato con i suoi? Per quanto fossero opprimenti gli volevano bene e lui li stava palesemente evitando. Che figlio degenere era? Se aveva la possibilità di aiutare Daisy lo doveva anche a loro. Si promise di chiamarli presto: doveva farlo in segno di rispetto per Daisy, che non avrebbe avuto più possibilità di parlare con suo padre, doveva farlo in segno di rispetto per i suoi genitori che avevano solo e sempre voluto il meglio per lui – nonostante i modi fossero sbagliati, ma soprattutto doveva farlo per sé stesso: per tutto quel tempo si era nascosto, mostrando al mondo un Blaine che non esisteva. Stava imparando ad alzare la testa e lo avrebbe fatto anche con loro. Avrebbe raccontato del lavoro, delle sue vere passioni… e avrebbe raccontato di Kurt. 

“Signor Anderson?” Si sentì chiamare dalla madre di Daisy e ciò bastò a farlo tornare in sé.

“Sono davvero bellissimi, Daisy. Salve, signora Fairclough, se vuole seguirmi fuori…”

Blaine raccontò brevemente alla madre di Daisy come il chirurgo aveva trapiantato nuovamente del tessuto dove quello della prima operazione si era danneggiato e le disse che tutto era andato bene. Le diede poi disposizioni per le medicazioni e il cambio delle bende e la rassicurò – se tutto andava per il verso giusto, Daisy sarebbe stata dimessa entro una settimana. Preferivano tenerla in osservazione ancora, solo per evitare che ci fossero altre complicazioni. Se ne sarebbe assunto lui ogni responsabilità. Lei lo ringraziò, con le lacrime agli occhi. Era così giovane e aveva già subito una così grave perdita! Blaine sperò che la donna avesse la stessa forza interiore di sua figlia, perché non riusciva a immaginare quanta gliene sarebbe servita per crescere una bambina da sola. Le sorrise e lei fece lo stesso, rimandando indietro le lacrime. Sì, era forte. Insieme lei e Daisy ce l’avrebbero fatta, almeno di quello era sicuro.

Dopo che si furono stretti la mano, Blaine rientrò nella stanza per salutare anche Daisy. Erano già le cinque del pomeriggio e per quel giorno il suo turno era finito.

“Allora, Daisy. Se è tutto ok, io ti saluterei, per oggi. Sarai anche stufa di vedere dottori che ti girano intorno, non è così?” Lei rise debolmente. “Goditi la tua mamma, che sicuramente muore dalla voglia di coccolarti.” Sorrise in segno di saluto alla signora Fairclough che lo aveva seguito dentro la stanza, e fece per uscire.

“Dottore?” lo chiamò la bambina.

“Chiamami Blaine. Lo lascio fare solo alle grandi artiste.”

“Uhm. Blaine?” Chiese allora lei, titubante.

“Sì?”

“Vorrei un lecca-lecca.”

Quella bambina avrebbe superato qualsiasi cosa, ne era certo.

 

***

Uscito dall’ospedale, Blaine lasciò che il pensiero su come scoprire il luogo delle prove di Kurt si infiltrasse nel suo cervello.

Non era il caso di passare per la segreteria della Nyada, perché i Guardiani sicuramente sapevano già che l’avrebbe fatto, perciò decise di ottenere l’informazione partendo un po’ più da lontano.

Prese il cellulare e compose il numero del centralino.

“Zona?” Rispose una voce metallica dall’altra parte della cornetta.

“Manhattan, New York Academy of Dramatic Arts.” Rispose meccanicamente, mentre aumentava il passo camminando lungo Il marciapiede e si guardava intorno per essere sicuro che non sbucasse nessun BruciaCervelli.

“La collego.” Blaine rimase in attesa per un tempo che gli parve infinito. E in effetti fu proprio così, perché la linea si interruppe improvvisamente, chiudendo la chiamata. Blaine controllò sul display del cellulare se ci fosse campo, ma probabilmente si trovava in una zona della città in cui la linea era disturbata, perché l’indicatore segnava assenza di rete.

Strano. Si trovava nel pieno centro di New York, diamine, non in una caverna isolata in mezzo al nulla più assoluto!

Si fece venire al volo un’altra idea, e corse verso una cabina telefonica, per poi scoprire che era guasta.

Cominciò ad insospettirsi ed ebbe la conferma delle sue paure quando vide spuntare da dietro un angolo la Beiste e uno dei suoi scagnozzi. Merda.

“Ci sono tanti pesci nel mare, Anderson. Credevo fosse chiaro che quello è off limits.” Si sentì dire, ma quello che percepì fu solo una voce lontana, perché stava già pensando a come scappare e allo stesso tempo a come trovare Kurt.

“E’ passato tanto tempo, devo essermi scordato.” Disse fingendosi sbadato. Continuava a guardarsi in giro, in cerca di una via di fuga. “Ci avete fatto incontrare tre volte, pensavo che ormai andasse tutto bene…” Proseguì nella farsa, passandosi una mano dietro la nuca.

“Non siamo stati noi, ma il Caso.” Rispose tranquillamente la Beiste.

A quel punto, Blaine prestò più attenzione. Smise di guardarsi ossessivamente intorno e fissò negli occhi quel donnone col cappello. “Perché ci volete separare?”

“Perché lo dice il Piano.” Gli rispose il suo scagnozzo.

“Allora il Piano è sbagliato, o lo state interpretando male.” Ribatté secco.

“Porta un po’ di rispetto, Anderson. Lo sai chi l’ha scritto?”

Blaine si fece piccolo piccolo, intimorito dal tono con cui gli stavano parlando. D’altra parte, chi erano loro per impedirgli di essere felice? Non ne poteva più, soprattutto perché nessuno voleva spiegargli il motivo per cui doveva lasciare perdere Kurt e sentì la sua frustrazione aumentare di minuto in minuto al punto che credeva che prima o poi sarebbe scoppiato. “Se non dobbiamo stare insieme, allora perché io mi sento così?” Chiese debolmente, abbassando lo sguardo.

“Non importa quello che senti, testina ingellata. Purtroppo, importa solo quello che è scritto nero su bianco.”

Cos’era quel tremolio nella voce della Beiste? Lei si stava…. Intenerendo? In fondo, magari, dietro quell’aria da dura era una donna dolce e sensibile.

Eppure, di nuovo, non gli stava dando una motivazione valida. Cosa c’era di male nel sapere la verità? Cosa non volevano che sapesse? Spiegare come andavano le cose era la scelta migliore, sapendo la verità lui si sarebbe messo l’anima in pace – possibile che non ci arrivassero? Che senso aveva dirgli “No” e basta?

“Perché no, Blaine. Non ci andrai. Punto e basta.”

 Rialzò di scatto la testa. Doveva sfruttare quel momento di debolezza, doveva farsi valere.

“Lei non lo sa il perché.” Disse trionfante. “Per questo non me lo può dire. Non lo sa.”

Godendosi lo sguardo basito dei due Guardiani, alzò i tacchi dei suoi mocassini e corse verso il bar all’angolo del marciapiede.

Entrò e, senza pensarci due volte, chiese ad alta voce se qualcuno sapesse dove si sarebbe tenuto lo showcase primaverile della Nyada – se era fortunato e a rigor di logica, era lì che avrebbero fatto le prove generali - e la ragazza dai tratti ispanici vestita di rosso dietro il bancone fortunatamente seppe rispondergli. “I miei due coinquilini frequentano entrambi quell’accademia; so che dovevano fare le prove all’interno dell’istituto, ma hanno cambiato all’ultimo momento. Credo siano in quel piccolo teatro nei pressi del Callbacks. Sai dov’è?”

“Sì, oh sì. Grazie! Grazie mille!” Le rispose entusiasta correndo fuori già pronto a chiamare un taxi. Sulla porta percepì qualche commento sul suo abuso di gel da parte della ragazza, ma non ci fece troppo caso.

Di tre taxi che gli passarono sotto il naso neanche uno si fermò, non importa quanto si fosse sbracciato e quanto sembrasse voler tentare il suicidio buttandosi in mezzo alla strada. Lo sguardo fisso della Beiste e dell’altro BruciaCervelli lo stava praticamente scottando.

“Per quanto continuerete a dirottarli?! Cavolo, l’Effetto Onda sarà infinito!” Li prese in giro furiosamente, quando l’ennesimo taxi lo superò senza fermarsi. “Qualunque cosa facciate, non mi ferm-” Si voltò verso quello che sembrava il boato dell’impatto di due auto che si scontravano senza riuscire a finire la frase.

Un tassista aveva appena perso il controllo del mezzo e si era scontrato rovinosamente contro una macchina parcheggiata.

In breve tempo, il panico scatenato tra i passanti e gli astanti dilagò fin dentro ai negozi, facendo rovesciare in strada clienti e commercianti.

“Voi siete davvero dei fuori di testa!” Sbraitò Blaine contro la Beiste. E corse verso il taxi fumante.

“Sono un dottore! Fatemi passare!” raggiunse il finestrino del mezzo. Fortunatamente il conducente era cosciente, ma aveva una brutta ferita sulla fronte. “Non si preoccupi – qualcuno chiami il 911! L’ambulanza sarà qui a minuti.” Controllò il polso dell’uomo e continuò a tempestarlo di domande per tenerlo cosciente.

Quando finalmente l’ambulanza fu sul posto, Blaine spiegò brevemente l’accaduto al personale medico – ovviamente tralasciando il fatto che l’incidente non era poi stato tanto un incidente. Aspettò che l’uomo venisse caricato sulla lettiga e poi sparì tra la folla, sperando di avere seminato i BruciaCervelli.

Raggiungere il teatro dal punto in cui si trovava non era difficile. Saltò su un autobus pressoché vuoto e tirò il fiato per un momento. Quante cose potevano accadere in un solo giorno?

Fuori dal finestrino vide il donnone e il suo tirapiedi corrergli dietro. In preda al panico si rivolse al conducente: “Le do cento dollari se salta tutte e cinque le fermate fino al Callbacks e infrange le regole della strada!” Disse dopo aver contato le banconote nel suo portafogli. Il conducente accettò senza tanti scrupoli. “Scusate! Scusatemi!” Disse Blaine ai pochi passeggeri presenti. “Sto per ricongiungermi con l’amore della mia vita, e sono davvero in ritardo! Se manco all’appuntamento potrei non rivederlo mai più.” Il misto tra la sua audacia e lo sguardo da cucciolo che si era formato sul suo volto intenerì un’anziana signora seduta nel posto degli invalidi. “Lei sarà sicuramente una ragazza molto fortunata.” Gli disse, annuendo con la saggezza dell’età. Blaine le sorrise timidamente. Non era esattamente una ragazza l’amore della sua vita, e non sapeva nemmeno se ritenere Kurt fortunato, ma contava il pensiero, giusto? E quella signora gli aveva rivolto uno dei pensieri più dolci e incoraggianti come non ne riceveva praticamente mai.

Ryder correva dietro alla Beiste, che controllava allo stesso tempo sia la strada sia la Mappa delle Decisioni. “Ci sono Punti di Flessione!” Sbraitò. “Se Anderson lo sente cantare avrà raggiunto il mio limite di controllo dell’Effetto Onda!” Perse il cappello, che cadde sul marciapiede. Il cappello era fondamentale nelle missioni, serviva.  Si fermò a raccoglierlo mentre ordinava a Ryder di bloccare la porta di ingresso del teatro, ma lui l’avvertì che era troppo tardi, perché Anderson era già sceso dall’autobus ed era già entrato.

“Merda! Anderson!”  


***

Blaine entrò nell’atrio del modesto teatro.

Una ragazza piccolina con i capelli scuri e un naso importante stava bevendo direttamente da una bottiglietta d’acqua appena ritirata dal distributore automatico. Indossava una canottiera lunga a spalline sottili bordeaux e un paio di leggins neri, e aveva un asciugamano intorno al collo. Blaine decise che poteva essere una studentessa della Nyada in pausa dalle prove, così le si avvicinò.

“Scusami?” le chiese.

“Sì, sono Rachel Berry. Vuoi un autografo? Non dovresti essere qui, sai? Queste sono prove private… ma apprezzo il fatto che ti sia imbucato per vedermi, quindi chiuderò un occhio.”
Al di là del suo ego esorbitante, Blaine la trovò simpatica. “Io, ehm, no, perdonami… io speravo che potessi dirmi dove trovare Kurt… Kurt Hummel.”

“Oh Barbra santa. Tu sei Blaine! Come ho fatto a non averlo capito subito? Sei uguale a come ti ha descritto! ! E’ talmente ovvio! Sei il Blaine di Kurt!”

“Il Blaine di Kurt?” Ok, sì, suonava decisamente bene.

Blaine non poteva crederci. Kurt aveva parlato di lui a un’amica! Proprio come lui aveva fatto con Sam! Se lo immaginò seduto a gambe incrociate sul divano con in mano una tazza di latte caldo in compagnia di quella Rachel, intenti a scambiarsi quattro chiacchiere tra amiche. Era una visione deliziosa.

“Kurt in questo momento sta provando il suo numero sul palcoscenico, ma se non ti fai vedere dalla Tibideaux puoi sbirciarlo da dietro le quinte. Sono sicura che a lui farà piacere!” Gli disse Rachel e poi lo abbracciò forte. Quindi gli indicò come raggiungere il backstage prima di tornare lei stessa sul palcoscenico.

Complice il buio e la quantità esorbitante di costumi di scena, Blaine riuscì a infiltrarsi dietro il palco senza essere visto. Spostò con delicatezza una tenda di velluto rosso che nascondeva la quinta e lo vide.

Come la più bella delle colombe, cantava con magnifica precisione e grandezza un intenso pezzo dal musical Sweeney Todd, “Not while I'm around”.

Nella versione originale era il piccolo Toby a cantarla in un duetto con Mrs Lovett, ma Kurt donava all’intera canzone un giusto grado di maturità, pur mantenendo la voce dolce e delicata come quella del ragazzino. Era perfetto, ancora di più di quanto l’avesse immaginato. Sentì una lacrima correre inesorabile giù per una guancia.

“Spero tu sia contento.” La voce della Beiste interruppe l’idillio, ma Blaine si rifiutò di staccare gli occhi da Kurt. “Adesso il tuo caso passerà ai piani alti. Non hai idea di chi ti sia messo contro.”

 



La tavola di cup of tea
Buona domenica, miei piccoli cupcakes!
Ho aggiornato oggi perché domani non avrò nemmeno il tempo per respirare… maledetta università e orari improponibili!
Spero che la storia vi stia piacendo… fatemi sapere cosa ne pensate!
Intanto vi passo un quintale di biscotti al burro.
A presto! cup of tea

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Capitolo 6
*** 6. Mess ***


IT’S US THAT MADE THIS MESS
Capitolo 6

 
 

Shannon Beiste, Capitano della Prima Divisione dell’Adjustment Bureau, aveva affrontato - durante la sua infanzia nella fattoria paterna - situazioni ben più spaventose di quella che aveva di fronte in quel momento.
Aveva fronteggiato tori imbizzarriti, faine fameliche a caccia di qualche gallina indifesa, mamme oche pronte a beccare senza pietà chiunque si avvicinasse ai suoi piccoli… Eppure, ora si sentiva tremendamente preoccupata e niente riusciva a calmare quel male che sentiva all’altezza dello stomaco, neanche avesse mangiato un maialotto intero. Sapeva che quella sgradevole sensazione era dovuta all’ansia di parlare con Figgins, il suo superiore, del fatto che Anderson fosse riuscito a sfuggire al controllo della sua squadra; quello che però non riusciva a spiegarsi era come potesse provare angoscia di fronte a un emerito incompetente, per quanto fosse comunque il suo capo. Era sempre stata una donna forte, fiera e impavida, cosa c’era che la spaventava tanto, allora?

Si era sempre sentita e dimostrata più determinata nel suo lavoro rispetto a molti dei suoi colleghi uomini – ci credeva veramente nei vari Piani, e faceva di tutto perché venissero rispettati. Ma visti gli ultimi eventi, cominciava a dubitare della sua effettiva durezza, perché evidentemente poi bastava un niente – gli occhi da cucciolo di un ragazzo che cercava disperatamente di competere con le forze del destino per il suo diritto di amare,  o il senso di colpa facilmente leggibile sul viso di uno dei nuovi e sbadati Guardiani della sua squadra – perché la corazza crollasse lasciando spazio alla donna dolce e materna che sapeva di essere in realtà.

La cosa negativa era che, in quel momento davanti all’ufficio di Figgins, la corazza le sarebbe servita per proteggersi dai rimproveri – o chissà, un licenziamento – ma si sentiva ancora senza difese perché in fondo era contenta di non essere riuscita a bloccare Anderson. Forse a quel ragazzo avrebbe fatto bene stare con uno come Hummel… forse si sarebbero fatti del bene a vicenda. Chi dice che l’amore distrae o impedisce di percorrere la propria strada come individuo? I percorsi di quei due ragazzi – anche incrociandosi - non dovevano per forza ostacolarsi a vicenda. Anzi, potevano essere di sostegno l’uno per l’altro. Ma Anderson aveva ragione: lei non conosceva il vero motivo per cui lui e Hummel non potevano stare insieme, perciò non poteva fare congetture o spingere le alte sfere perché cambiassero i loro Piani trasformandoli in uno unico che li vedeva finalmente insieme. Probabilmente i piani alti sapevano quale fosse la vera ragione, ed era sicura che sarebbe stata anche una di quelle buone, ma così, anche a occhi chiusi, Shannon sentiva che non sarebbe stata d’accordo in ogni caso. Era una sensazione strana: la sua fiducia nei Piani che riguardavanoquei due ragazzi stava venendo meno e forse era giusto essersi messa da parte. Aveva solo paura che Figgins avrebbe sguinzagliato contro quei poveretti la Seconda Divisione, e in quel caso Anderson avrebbe fatto bene a preoccuparsi sul serio.

Bussò al portone di legno scuro.

“Entra, Shannon.”

La Beiste entrò nell’ufficio cercando di fare meno rumore possibile. Tenne la testa incavata tra le grosse spalle e lo sguardo basso. Era come se volesse diventare invisibile, perché nessuno aveva mai fallito così miseramente. Nessuno aveva mai fallito così miseramente senza neanche pentirsene.
Il piccolo uomo dai tratti indiani seduto dietro la scrivania la stava osservando in silenzio, la schiena appoggiata alla poltrona girevole, i gomiti sui braccioli e il mento appoggiato sulle dita incrociate. Non sembrava minaccioso… solo irritante.

Shannon si sedette sulla sedia di fronte al tavolo e non spiegò nulla dell’accaduto, perché Figgins l’aveva certamente già saputo dalle Mappe delle Decisioni.
Così si limitò a esporre i suoi dubbi riguardo alla validità del Piano di Anderson: “Tra loro c’è un’affinità inspiegabile. Ci sono continui Punti di Flessione. Abbiamo provato a separarli più volte ma poi il Caso li ha fatti rincontrare. C’è qualche possibilità che abbiamo interpretato male il Piano?”

“Beiste, mi hai preceduta. Tutto questo mi è sembrato strano fin da quando tutta la faccenda è cominciata, ma non credevo fosse il caso di intervenire.” Shannon pensò che più che “non fosse il caso di intervenire” Figgins non ne aveva voglia; ma continuò ad ascoltare. “Ora però la faccenda è degenerata. Ho chiesto a Shelby Corcoran di fare una ricerca nell’archivio, e questo è quello che ha trovato. Shelby?”

Una bella donna dai capelli corvini vestita con una camicetta di seta color fucsia infilata in una gonna nera a vita alta e lunga fin sopra il  ginocchio entrò  nell’ufficio di Figgins, facendo risuonare i tacchi sul pavimento di ceramica. Shannon non sapeva se fosse esibizionismo o classe.
“Sembra che Blaine Devon Anderson e Kurt Elizabeth Hummel vogliano stare insieme perché un tempo dovevano stare insieme.” Disse Shelby controllando dei documenti contenuti nelle cartelle beige che aveva in mano.

“Come?” Chiese Shannon.

“E’ così. In una versione precedente del Piano, sembra che Hummel avrebbe dovuto infiltrarsi alla Dalton Academy per spiare i Warblers – un glee club molto famoso in Ohio – prima di una competizione. Lì avrebbe conosciuto Anderson. Poi si sarebbe dovuto ritirare dal liceo che frequentava, il McKinley di Lima, perché gli atti di bullismo che doveva affrontare ogni giorno lo avrebbero portato alla disperazione. A quel punto la storia d’amore con Anderson sarebbe sbocciata presto, forte e genuina al punto che l’anno successivo Anderson avrebbe dovuto lasciare la Dalton per trasferirsi al McKinley con Hummel, una volta scampato il pericolo dei bulli. Il fatto è che poi qualcosa è cambiato. Il Presidente ha voluto cambiare la storia di Anderson. Quel ragazzo aveva e ha tutt’ora le potenzialità per diventare un grande medico, mentre Hummel ha una carriera promettente a Broadway. E’ possibile che, se la loro storia d’amore fosse continuata, si sarebbero condizionati troppo a vicenda. Hummel sarebbe rimasto a Lima per aspettare che Anderson finisse il liceo, lasciandosi sfuggire così l’opportunità di entrare alla Nyada senza perdere alcun anno, vincere lo Showcase Invernale della Tibideaux e diventare una delle stelle più giovani del panorama dei teatri newyorkesi, mentre Anderson non avrebbe mai capito se la decisione di seguire Hummel alla Nyada fosse realmente un suo desiderio o solo la paura della separazione, oltre al fatto che le vite che è destinato a salvare non sarebbero mai state salvate.”*

“Ma è terribile.” Disse la Beiste, sconcertata. “Che cosa stiamo facendo? Che mondo stiamo costruendo?! Un mondo freddo, privo di sentimenti veri, un mondo volto all’utilitarismo e alla solitudine!” Si fermò un momento per riprendere fiato. “Ci serve un bravo medico? Ok, obblighiamolo a una vita di doveri e infelicità! Sapete, stiamo spruzzando insetticida sulla piantina dell’amore di due ragazzi credendo di fare il loro bene, ma in realtà stiamo solo inquinando il terreno e le loro radici.” Shannon combatté contro le lacrime che sentiva salire.

“Calmati, Shannon.” La redarguì Figgins e lei incrociò le braccia al petto e voltò la testa dalla parte opposta rispetto a dove si trovava la Corcoran. “Prego, Shelby. Continua pure.” Disse, tagliente.

“Ora il problema è che resti del Piano precedente li spingono ancora a stare insieme. Entrambi sentono di appartenere l’uno all’altro anche se non è così. Dobbiamo separarli di nuovo.”

“Siamo persone orribili.” Disse Shannon, più a sé stessa che ai presenti. “Ringrazio solo di non poter essere più coinvolta nella missione. Anderson è uscito dal mio limite di controllo dell’Effetto Onda e ora dovete arrangiarvi senza di me. Spero proprio che non ci riusciate.” Disse risoluta.

“Shannon, consegna il tuo distintivo e il cappello. Hai 24 ore per lasciare l’Adjustment Bureau.”

 

***

Blaine vide Kurt finire la sua meravigliosa esibizione. Era solo una prova ed era stato così magnifico! Si chiese quanto grandioso potesse essere mentre cantava davanti a un pubblico vero. Lo vide poi fare un inchino incrociando una gamba dietro l’altra, le braccia rigide lungo il busto e il capo chino per la modestia di fronte a tutti gli applausi che i suoi compagni e l’insegnante gli stavano rivolgendo,e infine voltarsi verso le quinte per lasciare il palco agli studenti che dovevano ancora provare.

I loro sguardi si incrociarono per un momento – quello di Kurt era sorpreso e deliziato, quello di Blaine estasiato per la performance e per il suo esecutore – fino ad allacciarsi magneticamente nel momento in cui Kurt raggiunse il backstage.

“Sei riuscito a trovarmi!” esclamò Kurt. “Ho provato ad avvisarti del luogo, ma il cellulare non prendeva… ho chiesto anche alla mia amica Rachel di prestarmi il suo, ma forse non c’era campo, perché non sono riuscito a inviarti il messaggio…” Blaine sapeva che avrebbe dovuto interrompere quella valanga di parole, ma ascoltare la sua voce era così bello! “…Staranno facendo dei lavori, immagino… cosa stai guardando?” Chiese poi il ragazzo, arrossendo debolmente e allo stesso tempo abbastanza da cancellare completamente il pallore che lo caratterizzava. Blaine lo vide nascondere la sua timidezza dietro l’asciugamano con cui si stava asciugando la fronte lievemente lucida di sudore percettibile solo alla luce dei riflettori, altrimenti del tutto inesistente.

“Te.” Rispose. “Sto guardando te.” E ogni volta è come se fosse la prima.

Kurt arrossì ulteriormente e sorrise, appoggiando l’asciugamano su una spalla. “Se hai voglia di aspettarmi, mi faccio la doccia e ti raggiungo fuori, così poi magari andiamo da qualche parte…” Blaine vide le sue dita stringere la presa intorno alla salvietta e gliene prese una. Per quanto l’immagine del corpo nudo di Kurt accarezzato dall’acqua calda e avvolto dal vapore fosse tremendamente paradisiaca, Blaine si sforzò di rimanere lucido e di ricordarsi che i BruciaCervelli potevano separarli di nuovo da un momento all’altro. Visto quello che avevano fatto con il taxi e l’incidente, come minimo avrebbero fatto scivolare Kurt sul pavimento bagnato e gli avrebbero fatto battere la testa contro le piccole piastrelle rotte e taglienti. I suoi compagni poi avrebbero chiamato l’ambulanza che sarebbe passata per un’entrata secondaria e lo avrebbero portato in ospedale. E in tutto ciò lui sarebbe rimasto ad aspettarlo nell’atrio del teatro ignaro di tutto.
Non avrebbe perso di vista Kurt per niente al mondo, quello era fuori discussione - quindi la scelta sul da farsi si riduceva a solo due alternative: la prima, andare a fare la doccia con lui – la più desiderabile, ma forse troppo avventata per due che si sono visti solo quattro volte e mai per un vero appuntamento – e la seconda, convincere Kurt a uscire dal teatro senza rinfrescarsi.

“No, ehm… che ne dici se andiamo subito? E’ tutto il giorno che spero di vederti…” Non pensare che sia un perfetto idiota, ti prego.

“Ma…”

“Stai benissimo anche così.” E non mentiva. Kurt poteva indossare perfino un sacco della spazzatura e sarebbe comunque apparso splendido. Il ragazzo indugiò un momento, come se stesse pesando sulla bilancia i pro e i contro di una mancata sessione di igiene personale.

“Avrei preferito essere impeccabile per il nostro primo appuntamento, ma se me lo dici con quegli occhi… non posso rifiutare. Bando ai rituali di idratazione, allora! Ma ricorda che sei stato tu a insistere e se la mia pelle ne risentirà saprò con chi prendermela.” Disse Kurt, prendendo la borsa e facendo strada a Blaine verso l’uscita. “E se comincio a notare che la gente mi evita perché sono sudato, darò la colpa a te.”

Andiamo, non puoi davvero credere di non avere un buon odore.

“Oh, fa molto pizza post-partita di calcetto, non trovi? Fa molto maschio!” Scherzò Blaine, accentuando l’ultima parola.

Kurt lo guardò di malizioso. ”Adoro come dici ‘maschio’!... ma non penserai mica che ci ‘faremo una pizza’, vero?” Ora lo guardava di sottecchi e Blaine ebbe paura di aver mandato tutto all’aria.

“Io…”

“Andiamo. Ti porto io in un bel posto. E’ qui vicino.” 

 

***

Blaine non era mai stato al Callbacks.

Non che non sapesse cosa fosse o dove si trovasse – tutti quelli un minimo interessati al mondo del teatro sapevano che i migliori debutti off-Broadway avevano luogo lì – ma non aveva mai avuto occasione di entrarci, soprattutto perché era risaputo che per non essere visti di cattivo occhio dai clienti abituali di quel bar bisognava essere in compagnia di almeno uno studente della Nyada. Strane dinamiche da prime donne snob che guardavano dall’alto in basso chiunque non avesse cominciato a sognare la fama del mondo dello spettacolo fin dalla culla, pensò Blaine. Fortuna che Kurt non era come loro. Cioè, lo era – snob e prima donna – ma nel senso buono.

Era posto molto carino, comunque. Le luci soffuse dei piccoli lampioncini appesi alle pareti di mattoni rissi a vista creavano un’atmosfera intima e rilassata, e a ciò contribuiva anche un pianoforte che suonava lieve in sottofondo. Tutt’intorno e dal soffitto scendevano fili di lucine colorate che vivacizzavano l’ambiente, come quelle che si mettono sugli alberi di Natale.

Il locale non era caotico anche se quella sera era decisamente affollato. La grande affluenza era probabilmente dovuta al fatto che era venerdì e, come gli spiegò prontamente Kurt, era la serata del karaoke. In occasioni come quella, chiunque poteva avvicinarsi a Pascal, il pianista, e suggerirgli la canzone che si intendeva cantare. Chiunque avesse un amico alla Nyada, s’intende.
Si sedettero ad un piccolo tavolo rotondo in un angolo.

“Volete ordinare?” Chiese una ragazzina visibilmente annoiata dal suo lavoro, ma costretta a farlo per racimolare qualche dollaro.

“Una birra media per lui e uno Shirley Temple con tante ciliegine per me, grazie.” Rispose Kurt. “Non ti dà fastidio che abbia ordinato per te, vero?” Chiese poi, subito dopo che la ragazza se ne fu andata.

“No, se mi permetti di offrire io.”

“Andata!”

Intanto, una ragazza bionda dalla voce molto delicata ma allo stesso tempo piena aveva finito la sua esecuzione di “Memory”, dal musical Cats.

“Oh, Pascal è libero! Dobbiamo andare noi a cantare adesso!” Esclamò Kurt.

“Cosa?! No. Non credo proprio. Richiedimelo quando avrò bevuto.” Gli rispose Blaine incrociando le braccia sul tavolo e scuotendo la testa, con un’espressione alla “Spiacente!” stampata in faccia.

“Andiamo… non avrai paura di cantare davanti a un pubblico così poco attento alla possibile concorrenza! Sono sicuro che se stoni non se ne accorgeranno neanche.” Lo punzecchiò Kurt, facendo ovviamente dell’ironia sulla spocchia degli studenti della Nyada e sulla loro abitudine a cercare i difetti degli altri anche dove non ce n’erano.

“Io?! Stonare?! Non ti ho mai detto che ero il leader del glee club del mio liceo?! Ho una voce che fa emozionare anche i muri.”

“Provalo.” Lo sfidò Kurt, allungandosi sul tavolo con gli occhi fissi in quelli di Blaine.

“Ok, ma scelgo io la canzone.” Blaine si alzò deciso, diretto verso Pascal. Kurt non sentì quello che i due si stavano dicendo, ma vide il pianista alzarsi e andare a prendersi qualcosa da bere. Lo seguì con lo sguardo fino a che non lo perse tra la folla davanti al bancone, al che si girò verso Blaine con sguardo interrogativo e gli si avvicinò.

“Oh, lui non ci servirà.” Gli disse lui, mentre attaccava il suo lettore mp3 alle casse e gli passava un microfono. “Ora sei tu quello che ha paura!”

Blaine pigiò il tasto PLAY e Kurt riconobbe le prime note senza neanche doverci pensare. “No, dai! Non ti facevo così da boy band anni Novanta!” Blaine si avvicinò l’indice alla bocca per fare segno a Kurt di fare silenzio. La canzone stava cominciando! Kurt rise per lo sguardo così volutamente ed esageratamente serio del bel moretto che aveva di fronte e lo lasciò cominciare per primo.

 

I'll be your dream, I'll be your wish I'll be your fantasy.
I'll be your hope, I'll be your love be everything that you need.
I love you more with every breath truly madly deeply do.
I will be strong I will be faithful 'cause I'm counting on A new beginning.
A reason for living. A deeper meaning.


Kurt si fece coinvolgere e attaccò con lui al ritornello. In fondo era una canzone orecchiabile, e finalmente gli studenti della Nyada avrebbero ascoltato qualcosa di diverso dai soliti numeri da musical – bellissimi e sempre molto intensi, ma il venerdì sera ci voleva qualcosa di meno impegnativo.
 

I want to stand with you on a mountain.
I want to bathe with you in the sea.
I want to lay like this forever.
Until the sky falls down on me


Blaine si ricordò di quando si era immaginato di duettare con Kurt. Era proprio vero che spesso la realtà supera la fantasia. Le loro voci si armonizzavano perfettamente, legandosi come in un abbraccio e riempiendo l’ambiente di soffici note calde. Kurt aveva cantato probabilmente tutto il pomeriggio, ma la sua voce era ancora bellissima e vellutata. Si vedeva che non faceva alcuno sforzo, ma soprattutto si riusciva a percepire che cantare ed esibirsi era quello che amava fare. Gli lasciò cantare da solo la seconda strofa per godersi lo spettacolo.
 

And when the stars are shining brightly in the velvet sky,
I'll make a wish send it to heaven then make you want to cry
The tears of joy for all the pleasure and the certainty.
That we're surrounded by the comfort and protection of
The highest power.
In lonely hours. The tears devour you

Kurt era delicato in tutto quello che faceva. Cantava in modo delicato, si muoveva in modo delicato, gli prese una mano in modo delicato. E con il cuore che batteva a mille, Blaine si unì ancora nel ritornello.
 

I want to stand with you on a mountain,
I want to bathe with you in the sea.
I want to lay like this forever,
Until the sky falls down on me


Era rivolto verso di lui. Kurt lo stava guardando negli occhi mentre cantavano. E le parole… Blaine le sentiva tutte e le stava dedicando una per una a Kurt. Era vero anche da parte sua?
Ciò che cantò Kurt subito dopo sembrò la risposta.

 

Oh can you see it baby?
You don't have to close your eyes 'cause it's standing right before you.
All that you need will surely come


Se possibile, il cuore di Blaine batté anche più velocemente. Si impadronì dell’ultima parte della canzone e attirò Kurt più vicino a sé.
 

I'll be your dream I'll be your wish I'll be your fantasy.
I'll be your hope I'll be your love be everything that you need.
I'll love you more with every breath truly madly deeply do


Il fatto che Kurt si fosse unito nuovamente a lui nell’ultimo ritornello era un buon segno, vero? Poteva fare quello aveva desiderato fin dalla mattina?
 

I want to stand with you on a mountain
I want to bathe with you in the sea.
I want to lay like this forever.
Until the sky falls down on me**


Incurante del fatto che la base continuava ad andare e che in quel punto avrebbero dovuto riempirla di “O-ooh” e “Yeah-ah”, Blaine sciolse le dita incrociate a quelle di Kurt e passò il braccio intorno alla sua vita. Con l’altra appoggiò il microfono sul pianoforte facendo rimbombare un “tum” nelle casse e infine la usò per accarezzargli una guancia. Kurt aveva gli occhi lucidi di stanchezza e forse anche di emozione, perché erano bellissimi anche così spalancati. Lo baciò.

Fu diverso dal bacio nel bagno – un po’ perché questa volta avevano un vero e proprio pubblico che applaudiva, un po’ perché Blaine lo sentiva più vero. Non era più un bacio di incoraggiamento pre-discorso, non era più un bellissimo bacio tra sconosciuti, non era più solo un bacio.
Era un bacio tra due persone che avevano appena cantato un duetto romantico e che si piacevano veramente e magari anche in modo profondo.

Era un bacio tra Kurt e Blaine.
Era una promessa.
Era la perfetta conclusione per una giornata di ricerche e di lotta contro il destino avverso.
Era il lieto fine, ma anche il lieto inizio.

 

***

Ritirati i pochi effetti personali, Shannon Beiste si avviò per i corridoi del Bureau e lì salutò con lo sguardo. Non avrebbe potuto metterci piede mai più, perché la pena per i Guardiani disertori era abbassarsi alla condizione di comune essere umano. Per qualche ragione, sentì che se la sarebbe cavata, non era triste. Però un po’ di nostalgia doveva essere legittima: quel luogo era stata la sua casa per tre quarti della sua vita.
Passando davanti alla sala di lettura dei Piani, intravide Noah Puckerman seduto a uno dei tavoli, mentre osservava la Mappa delle Decisioni di qualche individuo sconosciuto alla luce fioca di una lampada da scrivania.

“Si passa l’intera carriera sapendo di stare facendo la cosa giusta. Si mantiene l’ordine, si fa “quello che è necessario”. Speri che ti venga affidato un caso importante, uno di quelli con cui farsi un nome. E quando ti capita scopri che in realtà stai facendo la parte del lupo cattivo.” Disse, alle spalle del ragazzo.

“Cosa?” Noah si girò verso di lei, confuso dalle parole e dal tono deluso del suo superiore.

“Dico che non è colpa tua, zucchina. Dovevano stare insieme.”

“Cosa?” Ripeté il ragazzo con fare un po’ ebete ma più attento.

“E’ così, in una vecchia versione del Piano. Mi sono chiesta come avesse potuto il Caso farli incontrare in quello stesso autobus nello stesso momento. E questa è la risposta: erano destinati a stare insieme, anche se adesso non lo sono più.”

“Come può il Piano cambiare tanto?” Chiese Puck, comprendendo ora lo stato d’animo della Beiste.
“Non lo so. Va al di là del mio livello. Ma non ne voglio sapere più nulla. Se non mi avesse licenziato Figgins, avrei dato le dimissioni.”

“Lei…-cosa?”

“E’ così, zucchina. Me ne vado.”

“E la Prima Divisione? E io?” Noah fu aggredito da un senso di paura e panico incontrollabile.Per quanto la Beiste non perdesse mai occasione di rimproverarlo, rimaneva sempre il suo mentore – era qualcosa come un coach per un giocatore di Football - e in qualche modo gli voleva bene. In più, gli aveva appena dato la conferma di non essere il solo a dubitare del Bureau.

“A voi ragazzi verrà probabilmente affidato qualche compito d’ufficio in attesa che venga nominato qualcuno al mio posto. Nel frattempo, il caso Anderson passa alla Seconda Divisione.”

“Quella di Sue Sylvester?!”

La Beiste annuì.

“Te la caverai, ne sono sicura.” La Beiste appoggiò una mano su una spalla del ragazzo e la strinse affettuosamente, prima di allontanarsi.

“Aspetti!” Urlò lui, correndole incontro. “Ho detto a Anderson qualche dettaglio in più sul nostro conto.” Sussurrò, una volta vicino a lei.

Seguì un silenzio che sembrò essere infinito, durante il quale Puck desiderò di non aver detto nulla. Ma poi la Beiste sospirò.
“Non ti rimprovererò. Non dirò che hai fatto bene. Spero solo che non lo vengano a sapere.”

 
 
 
 
 
 
*E’ ovvio che la storia canon di Kurt e Blaine non è esattamente così, ma mi serviva che fosse un po’ diversa.
**La canzone è Truly Madly Deeply dei Sevage Garden
 





La tavola di cup of tea

Bonjour, amici! State bene? Io è un miracolo se non sono ancora stata fagocitata dalla dispensa incomprensibile di un mio professore, ma per il resto non mi lamento.
Per quanto riguarda questo capitolo… Oh! Finalmente abbiamo scoperto che Kurt e Blaine erano destinati a innamorarsi già in passato, e anche se poi qualcosa è cambiato, Blaine non ha gettato la spugna. Ci voleva un po’ di fluff, no? Finalmente! E il fluff non è ancora finito… ;)
E la Beiste? Beh lei è buona, in fondo!
Al prossimo capitolo!
*spalma il burro su una fetta biscottata, la spolvera di zucchero e ve la passa*
 cup of tea

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Capitolo 7
*** 7. Promise ***


I’ll never let them hurt you, I promise
Capitolo 7



 

Blaine seguì Kurt nel buio del suo loft di Bushwick.

Sentiva una risatina 
crescergli in gola - di quelle che vengono quando sai che stai facendo una cosa proibita e potresti essere scoperto, di quelle che sfogano l’eccitazione e che ti costringono a morderti le labbra per non farle uscire.

Kurt gli prese una mano, mentre con l’altra gli faceva segno di fare silenzio avvicinando l’indice sul proprio sorriso altrettanto eccitato e divertito, visibile solo agliocchi di Blaine perché abituati all’assenza di luce già da un po’.

Blaine si lasciò trascinare dalla presa di Kurt e soffocò un gemito quando colpì rumorosamente qualcosa di duro in mezzo alla stanza.

“Shh!!” gli intimò Kurt. “Rachel e Santana dormono di là!”

“Scusa!” Sussurrò lui, incassando la testa fra le spalle. Si fece trainare di nuovo per il braccio, finché non sentì l’altro tirare qualcosa che assomigliava a una tenda, per poi sentirsi spingere con la giusta dose di dolcezza e provocazione su quello che doveva essere il letto di Kurt.

Si tenne sollevato sui gomiti mentre lo sentiva lanciare il borsone in un angolo indefinito della stanza e tirare nuovamente la tenda in modo da separare lo spazio che era riservato a lui dal resto della casa. Dopo un momento di silenzio lo sentì frugare in una tasca e prendere qualcosa, che poi scoprì essere il cellulare quando lo vide illuminarsi. Il buio della stanza non fu vinto dalla debole luce fredda del display, ma bastò a permettere a Blaine di intravedere i tratti del volto e la linea delle spalle e delle braccia di Kurt. Sembrava fatto di vetro. Lo seguì con gli occhi in ogni movimento, dall’aprire un armadietto basso sul pavimento, all’illuminarne il contenuto alla ricerca di qualcosa. Blaine si tolse i mocassini e si girò sulla pancia, il mento appoggiato sulle braccia incrociate, in attesa.

“Trovato!” Lo sentì esultare a bassa voce.

“Grande!” e allungò il braccio verso la custodia del dvd che Kurt gli stava passando.

Moulin Rouge.

Ne avevano parlato tutta la sera. Avevano scoperto che era il film preferito da entrambi e avevano deciso di guardarlo insieme. Nonostante fosse già mezzanotte passata quando avevano lasciato il Callbacks, non erano neanche lontanamente preoccupati dell’ora che avrebbero fatto. Anche il fatto che Kurt avesse lo Showcase la sera successiva - e che quindi avesse bisogno di riposo - passò in secondo piano.

Quando Blaine percepì il peso di Kurt sul materasso accanto a sé ebbe un brivido. Si concentrò sulle proprie mani che aprivano il computer portatile e inserì il dvd nel lettore. Gli passò uno dei due auricolari – per non svegliare le coinquiline di Kurt, non avrebbero potuto tenere il volume alto e neanche cantare ogni canzone come avrebbero voluto, ma condividere gli auricolari significava stare l’uno accanto all’altro e tanto bastava a rendere comunque unico il momento. Blaine infine schiacciò “play”.

Erano così vicini che le loro braccia si stavano sfiorando. Ogni respiro era una carezza sulla pelle dell’altro e ogni scena sullo schermo era una scusa per vedere le proprie reazioni rispecchiarsi negli occhi altrui.

Ogni battuta era una parola dolce sussurrata all’orecchio.

Ogni colpo di tosse insanguinato era una lacrima da asciugare sulla guancia con un dito.

Ogni canzone era una danza di labbra silenziose.

Ogni bacio tra Christian e Satine era un bacio tra lui e Kurt.

Carezze a fior di polpastrelli, Your Song, battiti di cuori e di ciglia, la vie de Bohème, nasi che si sfiorano, un magico sitar, dita intrecciate, macchina da scrivere, camicie sbottonate, diamanti, capelli spettinati,  amore sullo schermo, amore in un loft di Bushwick.

Come What May.

***

Blaine si svegliò tranquillo.

Sorrideva, perfino. Sorrideva.

Se tutte le mattine del mondo avessero potuto  essere così, pensò, il mondo sarebbe stato un mondo migliore. Il suo lo era appena diventato, senza ombra di dubbio.
Inspirò con il naso, a occhi ancora chiusi. Le lenzuola sapevano del suo gel alla ciliegia misto alla crema idratante di Kurt, che gli aveva applicato con dolcezza lui stesso prima che si addormentassero, mentre gli raccontava del suo lavoro in ospedale e della sua famiglia.

“Ti vogliono bene” gli aveva detto. “E’ per questo che vogliono il meglio per te.” E lui lo sapeva. Sapeva che era così, doveva solo ricordarselo, di tanto in tanto. “Qual era il tuo sogno?” gli aveva chiesto, poi. Non gli servì un secondo per pensarci. “Cantare”, aveva risposto. E alla realizzazione che in passato i loro glee club si erano scontrati sul palco di un qualche auditorium disperso in Ohio, Kurt gli aveva detto: “Era destino che ci incontrassimo.” Lui si era morso un labbro, e Kurt glielo aveva baciato.

Allungò un braccio verso il centro del letto, alla ricerca di un contatto e di una conferma che quello che era successo tra loro non fosse stato solo un sogno o uno scherzo della sua immaginazione.

Avevano vinto, giusto? Avevano battuto il destino. Lo avevano cambiato, lo avevano fatto su misura per loro. Niente più gente con i cappelli.

Spero tu sia contento. Adesso il tuo caso passerà ai piani alti. Non hai idea di chi ti sia messo contro.”

Lo spazio accanto a sé era vuoto.

“Il tuo caso passerà ai piani alti.”

No. Kurt.

“Non hai idea di chi ti sia messo contro.”

Si alzò di soprassalto, con il cuore che batteva a mille e gli occhi che si agitavano nel panico. Dov’era?! Cosa gli stavano facendo?! Gli stavano facendo dimenticare tutto?!

“Kurt!” chiamò, mentre spostava la tenda e correva in cucina.

“Ullalà, Lady Hummel ci ha portato un amico! Dimmi che non hai un accento inglese anche tu, ti prego.”

 “Santana!”

“Che c’è?! Sto cercando di fare amicizia!”

In cucina non c’era nessuna traccia di Kurt, ma in compenso due ragazze stavano facendo colazione con latte, cereali e frutta sedute al tavolo. Blaine riconobbe Rachel e le sorrise, un po’ incerto. L’altra ragazza, Santana, assomigliava in modo impressionante a qualcuno che poi realizzò essere la tipa del bar che gli aveva dato indicazioni. “I miei due coinquilini frequentano entrambi quell’accademia; so che dovevano fare le prove all’interno dell’istituto, ma hanno cambiato all’ultimo momento.” “Santana!” esclamò.

“Ci conosciamo?”

“Noi, sì… cioè no. Più o meno. Oh per favore ditemi dov’è Kurt.”

 “Ehi calmati! La tua fatina è sotto la doccia! Possibile che Hummel non riesca a trovarsene uno normale?” disse la ragazza rivolgendosi alla sua amica. Rachel intervenne cercando di recuperare il danno. “Quello che Santana vuole dire è che se vuoi puoi sederti qui con noi e mangiare qualcosa mentre lo aspetti…”

Kurt. Sotto la doccia. Ovvio. Perché non ci aveva pensato subito? Si lasciò sprofondare su una sedia vintage, sentendosi un perfetto idiota. Sarebbe diventato matto prima o poi, lo sapeva.
Rachel gli passò un biscotto fatto in casa.

***

Quando Kurt fecce capolino in cucina, Blaine stava chiacchierando del più e del meno con le ragazze, finché Santana non annunciò che aveva appuntamento con Brittany – sì, la Brittany di Sam. Blaine pensò a come il mondo fosse davvero piccolo come si diceva, ma anche che il McKinley al completo si fosse trasferito a New York.

“Oh, Kurt. Eccoti qui. Il moretto qui presente quasi non ce la faceva più! Stanotte ne avete fatte delle belle, eh?”

“Santana, per l’amor del Cielo, quando imparerai a farti gli affari tuoi?” Ribatté Kurt, mentre si sedeva con loro.

“Capito! Santana Lopez non è gradita. Adios!” E scomparve dietro la porta scorrevole dell’ingresso.

Blaine ridacchiò. Per quanto fosse senza peli sulla lingua, quella ragazza non era male. Sorrise a Kurt, che sembrava fin troppo imbarazzato di una delle sue coinquiline. Stava spiluccando qualche fetta biscottata alternandola a sorsi generosi di spremuta d’arancia, scuotendo con disapprovazione la testa.

“Che hai?” chiese Rachel anticipandolo di mezzo secondo. Kurt era davvero troppo serio, e constatare che non avesse il suo stesso sorriso stampato in viso da quando si era svegliato gli fece un po’ male.

“Adam.” Rispose Kurt, allineando un cucchiaio al tovagliolo e al bicchiere.

“Adam?” Ripeté Blaine.

“Sì. Ero sotto la doccia e non ho sentito il telefono vibrare. Non lo sento da mesi e ora che fa? Mi chiama. Quattro volte.”

“Quattro volte?” C’è qualcosa che non va.

“Avrà fiutato la concorrenza.” Gli fece l’occhiolino Rachel, mentre si alzava per lavare la sua tazza nel lavandino.

“Dev’essere proprio così…” E scommetto che qualcuno gli abbia “dato l’idea”…

“Non preoccuparti. Non ho intenzione di richiamarlo.” Gli sorrise Kurt, prendendogli una mano tra le sue. Blaine amava da morire quando Kurt gli accarezzava il dorso con il pollice, e tanto bastò a strapparlo dalle sue preoccupazioni,più serie della semplice gelosia che sospettava il suo ragazzo.

“Che fai oggi?” Si sentì chiedere a un certo punto da Rachel.

“Beh, è sabato ed è il mio giorno libero dall’ospedale… direi che sono aperto a qualsiasi tipo di proposta.”

“Perfetto! Accompagnaci alle prove generali per stasera, ti va?”

Blaine guardò Kurt. “Beh, se anche a te non dispiace, verrei volentieri…”

“Sarebbe fantastico.” Gli rispose lui, radioso.

“Bene!” Esultò Rachel.

***

Blaine impiegò tutto il viaggio verso il teatro a ragionare.

Per quanto ritenesse il ritirare in ballo l’ex-fidanzato un tentativo alquanto debole per separarlo da Kurt, in cuor suo sapeva che non sarebbe stato l’ultimo. I BruciaCervelli stavano cercando un nuovo modo per attaccare, era evidente. Non era più lui l’obiettivo delle loro azioni. Avrebbero agito su Kurt, e con una consapevolezza del genere non poté che sentirsi terribilmente spaventato.

“Cosa c’è, Blaine? Sei così silenzioso…” gli chiese Kurt con occhi dolci, mentre camminavano lungo un marciapiede di Manhattan. Rachel, qualche passo davanti a loro e ormai quasi scomparsa nell’entrata del teatro, aveva già cominciato a riscaldare la voce a suon di “Mimimimimi”, guadagnandosi occhiate pesanti dai passanti.

“Niente, io… ho solo paura che tutto questo possa finire. Perché è quello che succede sempre – le cose belle finiscono.” Rispose Blaine a testa bassa. Kurt lo prese sottobraccio.

“Ehi…” sentì le sue labbra morbide sulla guancia stampagli un bacio delizioso. “…Io non vado da nessuna parte.”

“Lo spero tanto.” La voce gli si ruppe in gola.

“Non piangere, Blaine. Piangere è un totale spreco di energie, ed è una cosa da perdenti.”
“Lo so, papà.”

“Kurt, aspetta.” Lo fermò, una volta entrati nel teatro. Kurt era già qualche gradino più in su, sulla scalinata che conduceva dietro le quinte. Blaine lo guardò negli occhi come se volesse imprimerne l’immagine nella sua mente. Non voleva staccare gli occhi dalla sua figura, come se sentisse che quella sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbero visti. Aveva la sgradevole sensazione, incastrata tra stomaco e diaframma, che qualcosa sarebbe successo. Sapeva che si dimenticavano tante cose nella vita, con o senza qualcuno che ti bruciasse le facoltà mentali, quindi inconsciamente stava cercando un modo per cui il volto di quella creatura così perfetta - che per qualche oscura ragione sembrava ricambiare i suoi sentimenti - vivesse per sempre dentro di lui.

“Ti amo, Kurt. Ti amo così tanto da stare male. E – lo giuro - non permetterò mai che ti accada qualcosa di brutto.”

“Wow, io…” Ma Blaine non gli permise di continuare. Era salito di qualche gradino e lo stava baciando. Le mani sul collo di Kurt contavano i battiti del suo cuore e lo sentirono accelerare. Ne staccò una solo per accompagnare quella di Kurt sul proprio torace, a sinistra. I loro cuori battevano insieme ora, ed era la musica più bella che fosse mai stata composta. Più dei loro duetti, forse perfino più di Come What May.

“Ti amo anch’io.”

 





LA TAVOLA DI CUP OF TEA
Well well well *parla come Sebastian*
Capitolo più corto del solito, ma di una certa – come dire…- sostanza.
E per una volta, niente scene con gli uomini del Bureau a rompere le scatole! Ci voleva, decisamente.
A presto <3
cup of tea
 

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Capitolo 8
*** 8. Pain ***


I WOULD HOLD YOU IN MY ARMS, I WOULD TAKE THE PAIN AWAY
Capitolo 8

 



 

Blaine seguì Kurt con lo sguardo finché il ragazzo non sparì dietro la porta di un camerino. Prima di salutarlo gli aveva letto l’eccitazione negli occhi per lo spettacolo di quella sera; aveva visto un luccichio brillare nelle sue iridi azzurre e il lieve rossore che si era esteso sulle sue gote pallide. Ma forse quello era dovuto anche al lungo bacio che si erano scambiati poco prima.

Decise che sarebbe tornato a casa, avrebbe fatto una doccia, sarebbe uscito di nuovo per comprare un mazzo di fiori e infine avrebbe acquistato un biglietto per una buona postazione nei pressi del palco, per vedere tutta la magnificenza del suo Kurt divampare sotto i riflettori.

Trotterellò sorridente fuori dal teatro senza fare caso al gruppetto di spocchiosi studenti che stavano ridendo di lui, appollaiati sulle scale. Una volta in strada, si sporse dal marciapiede agitando una mano per chiamare un taxi in perfetto stile Carrie Bradshaw, ma nessun mezzo sembrava volersi fermare.

“E’ frustrante, vero?”

Blaine si girò verso la voce che aveva espresso la domanda. Una donna alta e dai capelli corti e biondi si era come materializzata alla sua sinistra e stava fissando la strada davanti a loro. Indossava una tuta da ginnastica rossa con due bande bianche lungo i fianchi, e un cappello. Un cappello uguale a quello dei Guardiani.

Merda.

Aveva abbassato la guardia per quanto – mezza giornata? Poco di più, se si contava la notte? Ed ecco il risultato: si era liberato del donnone solo per ottenere che un’altra prendesse il suo posto.

“Cosa volete ancora da me? Non avete qualcosa di più importante da fare, piuttosto che starmi appresso? Non so… salvare donne dalla violenza domestica, o - diciamo - sventare attentati?”

“Andiamo, giovane Burt Raynolds, è ovvio che siamo attivi anche su quei fronti.”

“Beh, non ve la cavate molto bene, se posso dire la mia.” Agitò di nuovo la mano non appena vide un’ombra gialla avvicinarsi a tutta velocità, ma ovviamente il taxi non si fermò. “Ma insomma, che ne è del libero arbitrio? Io voglio solo stare con Kurt, non faccio del male a nessuno!” Le disse guardandola in faccia e lasciando perdere la strada. Era chiaro che non si sarebbe fermata nessuna vettura.

“Passeggiamo, ti va?”

Blaine annuì, non che avesse molta altra scelta.

Mentre camminavano lungo i marciapiedi soleggiati del centro, la donna cominciò a parlare. Aveva una voce dura e parlava con estrema lentezza, con un sorriso beffardo sempre disegnato dalle sue labbra sottili e rosee.

“Abbiamo concesso il libero arbitrio. Dopo aver guidato la razza umana dalla Preistoria all’Impero Romano ci siamo ritirati, perché agisse da sola. Ha visto i Secoli Bui per cinquecento anni fino a quando abbiamo deciso di ritornare. Così avete avuto il Rinascimento, l’Illuminismo e la Rivoluzione Scientifica; per seicento anni avete controllato gli impulsi con la ragione. E nel 1910 noi ci siamo ritirati. In cinquant’anni avete provocato Guerre Mondiali, Grande Depressione,  fascismo, olocausto e infine avete portato l’intero pianeta quasi alla distruzione, con la crisi dei missili di Cuba. Così abbiamo deciso di tornare prima che faceste qualcosa di irreparabile perfino per noi. Non avete il libero arbitrio, Clark Kent. Avete l’impressione del libero arbitrio.”

“Si aspetta che le creda? Prendo decisioni ogni giorno.”

“Certo, hai scelto la marca di gel per capelli che preferisci – che a proposito, mi fa venire la nausea da quanto è profumata – o di indossare quei terribili pantaloni a pinocchietto. Ma l’umanità non ha la maturità per controllare i temi importanti.”

“E voi ce l’avete? Come ho già detto, il mondo  non è perfetto neanche con il vostro contributo.”

“Almeno esiste ancora. Se lo lasciassimo a voi, non sarebbe così.”

“E questo che cosa c’entra con me e Kurt? Se stiamo insieme il mondo non esploderà, ne sono sicuro.”

“Il tuo incontro con Porcellana il giorno della tua laurea non è stato dovuto al Caso. Siamo stati noi. Sapevamo che avrebbe ispirato il tuo discorso e in quel momento ti serviva una spintarella per sentirti di nuovo in cima alla piramide. Ma le vostre interazioni avrebbero dovuto finire lì. E’ vero, il mondo non esploderà, ma tu puoi fare tanto per cambiarlo, pensa alla piccola Daisy. C’è una ragione se hai sempre sentito il bisogno di stare in mezzo ai bambini.”

“Non è l’unico bisogno che ho.” Borbottò.

 “Puoi fare molto, ma non capiterà se starai con Faccia da Pizzichi.”

“Lui mi rende migliore, il discorso ne è un esempio! Come può essere un problema?!”

“Le alte sfere credono che tu possa diventare un grande medico. Che tu possa fare del bene a molti malati. Che tu possa trovare una cura perfino per le malattie più gravi. Ma succederà solo se rimarrai concentrato su questo obbiettivo.”

“La smetta.” Blaine si portò le mani sulle tempie. Sentiva il cervello sovraccarico, proprio come era successo sei mesi prima in quel maledetto parcheggio. Ma più di ogni cosa, quelle parole gli sembravano tremendamente famigliari, addirittura identiche a quelle che si era sentito ripetere fino alla nausea dai suoi genitori quando era un ragazzino. E ora sapeva che qualcun altro, qualcuno con un cappello in testa, le aveva decise per loro.

“Andiamo, mezz’uomo – sei davvero l’uomo più basso che io abbia mai visto, lo sai? -  non si può sfuggire al proprio destino. C’è solo una persona che può dirti come vivere la tua vita.”

“Sì, io.” La sfidò.

“No, io. Sue Sylvester. E sì, anche il Piano che qualcun altro ha scritto.”

“Senta, questa cosa non riguarda voi. Riguarda me. Io so cosa provo per Kurt e so anche che non cambierà. Tutto quello che ho sono le scelte che faccio. E io scelgo lui, costi quel che costi.”
Se avesse potuto guardarsi allo specchio, era sicuro che avrebbe visto delle fiamme risplendere nei suoi occhi. Nessuno gli avrebbe più detto come vivere la sua vita. Nessuno lo avrebbe più tenuto lontano da Kurt - neanche Kurt stesso nel caso in cui qualcuno gli avrebbe fatto cambiare idea.

La Sylvester lo guardò strizzando leggermente gli occhi. “Guarda, è arrivato un taxi. Se ti muovi ora, riuscirai a fare tutto prima che cominci lo spettacolo.”

Blaine si girò verso la strada, insicuro. In effetti, una vettura aveva appena accostato di fronte a lui. Perché tutt’a un tratto lo stava lasciando andare? Quando si voltò nuovamente verso la donna, lei non c’era già più. Non se lo fece ripetere due volte e saltò all’interno del taxi, direzione Upper West Side.

 

***

Blaine arrivò presto a casa, si diede una veloce sciacquata e uscì di nuovo, con indosso un bel completo elegante.

Trovò il negozio di fiori all’angolo fortunatamente aperto, quello del signor Raymond. Ogni mattina passava lì davanti per andare alla fermata dell’autobus, e ogni volta lui e l’anziano proprietario si scambiavano un saluto veloce con un gesto della mano. Questa volta però, non era solo una visita di piacere. Entrò e lo salutò sorridente.

“Salve, Ray! Come sta oggi?” Aveva più di ottant’anni, ma lavorava ancora con la forza di un vivace trent’enne. Amava il suo mestiere e il negozio che aveva costruito insieme alla sua ormai defunta moglie, perciò per qualche ragione non riusciva a decidersi ad andare in pensione. Quando gli aveva raccontato la sua storia, Blaine aveva trattenuto a stento le lacrime.

“Ah, caro ragazzo, mi piacerebbe avere ancora l’energia di voi giovani! Dove stai andando così di fretta?”

“A teatro, il mio ragazzo si esibisce questa sera.”

“Oh è un’occasione importante, allora! A quali fiori avevi pensato?”

“Vorrei un grande mazzo di rose rosse e gialle, legate con un bel nastro, magari azzurro, come i suoi occhi.” Si sentì avvampare le orecchie, mentre parlava. Era proprio cotto, non c’era più niente da fare.

“Perfetto.” E sparì dietro agli alti gambi dei fiori in esposizione. Ricomparve dopo qualche minuto, con un mazzo di venti rose rosse e gialle tra le mani. Le legò con un nastro di seta di un bel turchese brillante e le avvolse in un doppio strato di cellophane.

Blaine pagò e ritirò i suoi fiori.

 “Buona serata, Ray. E guardi che è ancora un ragazzino!”

Raymond ridacchiò allegramente e lo salutò con un “Buona fortuna, ragazzo!”

 

***

Il teatro era già quasi pieno, quando arrivò. Trovò Santana e quella che doveva essere Brittany in piedi davanti al bancone del bar, entrambe in abito lungo. Santana era favolosa in rosso e Brittany sembrava una bambolina, così bionda e in rosa pastello.

Salutò Santana e si presentò a Brittany, sentendosi un po’ in colpa per non aver ancora detto a Sam di averla incontrata o comunque di aver avuto sue notizie. Sperò con tutto sé stesso che le cose con Cosette stessero andando bene e giurò a sé stesso di chiamarlo non appena avesse avuto un momento.

I posti che erano stati loro assegnati non erano perfetti quanto Blaine aveva sperato, ma neanche terribili. La visuale era comunque centrale e molto buona.

Le luci si abbassarono poco dopo che si furono seduti e una donna fiera e autorevole avvolta in morbidi foulard comparve sul palco. Fece una breve introduzione sulla serata e ringraziò l’orchestra e qualche luminare seduto davanti. Presentò poi la prima studentessa e le lasciò il palco.

Era una bellissima ballerina dalle movenze aggraziate e leggere, sinuosa nel tutù nero con ricami di pizzo. Era una vera gioia per gli occhi, ma Blaine si sentiva troppo nervoso per potersi godere quell’elegante performance. Cominciò a giocherellare con il nastro che avvolgeva i fiori e si morse il labbro. Non vedeva l’ora che Kurt uscisse dalle quinte.

“Così lo rovinerai.” Gli disse Santana, seduta tra lui e Brittany.

Chiuse le mani a pugno, smettendo di torturare il mazzo di rose.

La seconda studentessa sul palco fu Rachel.

Conquistò l’intero pubblico con la sua voce particolare. L’emozione che traspariva da ogni nota di Moon River nella versione di Barbra Streisand gli fece formicolare le dita, al punto di doverle sfregare contro il tessuto dei pantaloni.

“Calmati, por favor! Stai contagiando Brittany!” La ragazza bionda stava mangiando nervosamente delle gelatine di frutta, affondando le mani in un sacchetto di carta bianco e tirandone fuori a manciate.

“Questi film mi mettono sempre ansia!” Disse lei, giustificandosi. Blaine, a dir la verità, non capì quel commento fino in fondo, ma Santana gli fece cenno di non chiedere.

Una volta che Rachel ebbe finito il suo numero, il pubblico esplose in una standing ovation. Rachel non aveva pari. Si alzò anche Blaine lasciando a Santana il mazzo di fiori, per poterla applaudire vivacemente, ma peggiorando decisamente la situazione delle sue mani. Santana frugò nella sua borsa e ne tirò fuori delle salviettine umidificate alla menta. “Così magari il fresco ti lenisce il bruciore.” Gli disse un po’ scocciata quando si fu seduto. Lui prese sia la salviettina, sia il mazzo di rose.

Sul palco rientrò l’insegnante, la Tibideaux, per annunciare lo studente seguente. Per la gioia di Blaine – e per quella di Santana che non ne poteva più dei suoi tic nervosi – era il turno di Kurt.

“Buona sera a tutti, sono Kurt Hummel e canterò Not While I’m Around, dal musical Sweeney Todd.”
Bastarono le prime note perché Blaine sentisse già delle lacrime silenziose e lente percorrergli le guance.

Kurt era magnifico, come lo era stato ogni volta alle prove e forse anche di più. Leggiadro, sicuro, gli occhi aperti e fissi sul pubblico. Non un’ombra di tensione. Era fatto per stare sul palcoscenico.
Blaine si asciugò una lacrima con il dorso della mano.  

“Per favore, sembri una ragazzina in piena sindrome premestruale.” Gli disse Santana, ma lui non sentì niente, perché un boato sorpreso del pubblico aveva coperto il suo commento.
Blaine perse un battito. Non era possibile. No. No. NO!

Kurt inspiegabilmente aveva perso la voce a metà canzone, aveva cominciato a tossire sul pavimento del palco e a chiedere dell’acqua e aria. Fu accompagnato fuori dalle ballerine che stavano danzando intorno a lui fino a pochi attimi prima e l’orchestra smise di suonare.

Blaine si alzò di scatto e attraversò la fila di poltrone incurante dei piedi che stava pestando involontariamente. Raggiunse il corridoio e si fiondò verso il camerino di Kurt.

La Sylvester, sbucata da dietro un angolo, lo bloccò con una mano.

“Credevo di essere stato chiaro!” Le urlò.

“E’ un ottimo performer, non è vero? Sai, c’è una cosa che oggi non ti ho detto. Non ho avuto il cuore di farlo – al contrario di quanto si dice, anche io ne ho uno.” Esordì lei, sarcasticamente. “Se Porcellana resta con te, rischierai di compromettere non solo il tuo futuro, ma anche il suo. Ucciderai i suoi sogni.”

“Come?!”

“Hummel diventerà uno dei più famosi attori di Broadway. Uno dei migliori al mondo. Se resta con te, finirà per insegnare ai bambini dell’Asilo di Broadway.”

Blaine non poteva crederci. Eppure… eppure aveva senso…

“Si dice spesso di non sentirsi in colpa se succede qualcosa agli altri, ma in questo caso direi che dovresti. Quando ci ripenserai, ricordatelo. Noi ti abbiamo avvertito.” E se ne andò.
No. No. Come potevano vincere loro? L’aveva giurato! Nessuno l’avrebbe più separato da Kurt. Nessuno!

Blaine corse su per le scale, le stesse su cui quella mattina si erano baciati. Le stesse su cui lui gli aveva promesso che non avrebbe permesso che gli venisse fatto del male, le stesse sui cui gli aveva detto di amarlo e su cui Kurt l’aveva detto a lui.

E ora? Cosa avrebbe fatto? Aveva già infranto la promessa, perché era sicuramente colpa sua se Kurt aveva perso la voce. Ed era solo un avvertimento, lo sapeva. La prossima volta avrebbero fatto accadere qualcosa di molto peggio. Cosa doveva fare? Stava per fargli male di nuovo, ma per il suo bene. 

 

***

Spinse piano la porta del camerino, e trovò Kurt seduto su una sedia con un bicchiere d’acqua in mano mentre Rachel gli teneva l’altra e gli diceva che sarebbe andato tutto bene.

Ecco, ora sto anche per rendere Rachel una bugiarda.

“Ehi.” Li salutò piano.

“Ehi!” Rispose con voce roca Kurt. Era così strano non sentire più quello scampanellio acuto che lo caratterizzava. Faceva quasi male.

“Vi lascio soli.” Rachel uscì.

“Vedrai che con un po’ di riposo passerà tutto.” Cercò di rassicurarlo Blaine, colpito dalle lacrime che si stavano raccogliendo agli angoli delle sue iridi azzurre.

“Certo.” Rispose Kurt, poco convinto. La delusione per l’esibizione andata male e la vergogna per non averla portata a termine aleggiavano come fantasmi intorno al suo corpo ingobbito sulla sedia di fronte allo specchio.

“Sei un grande performer, vedrai che guarirai. Sarà stato solo un po’ di stress. Ieri avremmo dovuto lasciare che ti riposassi.” Non resistette all’impulso di abbracciarlo e questo gli fece ricordare di avere ancora le rose in mano. “Oh, questi sono per te.”

Kurt li prese con delicatezza, ammirandoli e annusandone il profumo. “Sono davvero bellissimi.”

“Come te.” Lo abbraccio di nuovo, questa volta più forte, questa volta come se fosse l’ultima, perché in effetti lo era. Trattenne il respiro, mentre sentiva quello di Kurt sulla sua pelle. Strinse gli occhi. Se avesse indugiato un momento di più, non si sarebbe mai più mosso di lì. Sarebbe stato felice per il resto dei suoi giorni, con l’uomo della sua vita accanto, ma avrebbe distrutto il futuro di Kurt. Lui avrebbe rinunciato volentieri a salvare il mondo, ma Kurt meritava di più di insegnare all’Asilo di Broadway. “Devo andare a fare una telefonata.” Gli sussurrò all’orecchio, combattendo contro le lacrime.

“D’accordo. Ti aspetto qui.”

Blaine uscì lentamente, chiudendosi piano la porta alle spalle.

Fargli del male lui stesso piuttosto che glielo facessero altri. A quanto pareva, era l’unico modo per cui la sua promessa non venisse infranta del tutto.

 
 

LA TAVOLA DI CUP OF TEA
Non odiatemi, vi prego! Blaine lo fa solo perché ha paura che possa succedere qualcosa di peggio a Kurt! Ma ricordatevi, Klaine is Endgame, perciò ora che abbiamo toccato il fondo non si può che risalire!
Un piccolo appunto: il discorso iniziale tra Blaine e la Sylvester è molto simile – se non identico, in alcuni punti – a quello originale del film, io non sono così brava in storia! X)
Grazie a tutti <3
A lunedì prossimo
cup of tea

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Capitolo 9
*** Where and When ***


When and where, I’ll be there

Capitolo 9

 


Undici mesi dopo.






Il tempo guarisce tutte le ferite.

Chi l’aveva detto? Blaine avrebbe voluto scoprirlo e andare da lui/lei per mostragli/le gli occhi gonfi e le occhiaie per le notti insonni passate a pensare a Kurt e a quanto gli avesse fatto male, o per regalargli/le i barattoli di gel che ormai non usava più perché non ne valeva più la pena di curare il suo aspetto nei minimi dettagli. Senza Kurt, non valeva la pena di fare niente.

Scosse la testa e cercò di concentrarsi sul suo lavoro.

Controllò nuovamente la cartella del suo paziente, perché a furia di fissarla senza dire una parola stava rendendo inquieta sua madre, che sedeva su una seggiolina vicino al letto. Quando riuscì a mettere a fuoco il referto senza che intorno alle scritte comparissero il palcoscenico del teatro o l’appartamento di Kurt, sospirò di sollievo.

“Molto bene, Frankie. Qualcosa mi dice che molto presto potrai tornare a casa.” Sorrise al bimbo di sette anni seduto sul materasso che stava giocando con una macchinina. Blaine si girò verso sua madre e annuì alla domanda che le era rimasta bloccata sulle labbra. “Proprio così, signora Fuller. Frankie sarà dimesso entro uno o due giorni, e potrà tornare a scuola già da settimana prossima. Ovviamente dovrà fare della riabilitazione, ma presto sarà tutto a posto.” La signora lo ringraziò e lui prima di andarsene si rivolse al piccolo: “Prometti di restare lontano dalle prese della corrente?”

“Lo prometto.” Gli rispose questi prima di aggiungere: “Solo se lo farai anche tu.” Indicò poi un punto indefinito sopra la testa di Blaine, che si portò un mano tra i capelli e si specchiò nel vetro della porta. In effetti, pareva proprio che avesse preso la scossa. “Affare fatto.” Disse ridendo, avvicinandosi e stringendogli la mano proprio come se avessero stilato un accordo.

Uscì poi dalla stanza, diretto verso il suo armadietto, ancora sorridendo. Com’era possibile che un bambino di sette anni, che aveva visto relativamente poche volte, avesse capito che qualcosa non andava in lui? Ok, forse non aveva proprio capito che i capelli non curati fossero un sintomo di qualcosa di più profondo, però in qualche modo gli aveva messo davanti agli occhi che non poteva lasciarsi andare come stava facendo. Era un medico, per la miseria. Lavorava in mezzo ad altre persone, molte sofferenti – alcune più di lui. Doveva ritrovare la concentrazione, doveva ritrovare l’equilibrio che aveva perso. Se non per sé stesso, doveva riuscirci almeno per tutti i bambini ricoverati, che ogni giorno lottavano con una forza incredibile. Doveva farlo per loro rispetto.

Recuperò i vestiti e si diresse allo spogliatoio, lasciando il camice con il suo nome nel cesto della lavanderia. Per quel giorno aveva finito il turno.

Marley, l’infermiera di turno all’accettazione, lo fermò un momento. “Dottor Anderson? Le ricordo l’appuntamento di musicoterapia di domani… non vorrei si dimenticasse la chitarra come l’ultima volta.”

Sì, doveva senza altri indugi ritrovare la concentrazione. Da poco aveva incominciato a lavorare anche con bambini autistici, passando con loro qualche pomeriggio a settimana suonando e cantando e ottenendo risultati sorprendenti. L’offerta di questo lavoro gli era stata fatta qualche tempo prima, quando in una sera particolarmente difficile Daisy gli aveva chiesto di cantarle qualcosa e sua madre gli aveva detto che suo padre lo faceva sempre per farla addormentare. Schuester era passato di lì e, probabilmente colpito dalle sue capacità canore, aveva fatto il suo nome alla dottoressa Pillsbury, che lo aveva chiamato e gli aveva proposto di prendere parte al nuovo programma di musicoterapia promosso dall’ospedale.

Di recente, però, aveva lasciato che il suo stato d’animo compromettesse il suo lavoro, e la sua distrazione aveva raggiunto il picco la settimana prima, quando aveva dimenticato la chitarra a casa e Benjamin, il suo piccolo paziente del giovedì affetto da sindrome di Asperger, aveva distrutto il castello di Lego costruito da Charlie.*

“Me ne ricorderò, grazie Marley. Non accadrà più.”

La giovane infermiera gli sorrise e lo salutò con un cenno della testa.

****

Blaine raggiunse Tina al bar sotto casa di lei, dove qualche volta si erano trovati per bere un caffè e raccontarsi le novità. Quando Sam si era lasciato sfuggire in sua presenza che lui stava uscendo con un ragazzo, Tina era diventata una curiosa insopportabile e si era ritrovato costretto a raccontarle tutto nei minimi dettagli. All’epoca le aveva detto quanto fosse felice, mentre negli ultimi tempi si era ritrovato a piangere sulla sua spalla. “Non capisco perché l’hai lasciato, se ti piaceva così tanto.” Gli aveva detto una volta, con poca delicatezza. “Divergenza di punti di vista.” Aveva risposto asciutto lui, ovviamente senza specificare che i punti di vista non fossero suoi e di Kurt, ma suoi e dei Guardiani del Destino, o come si chiamavano.

Quel pomeriggio, Blaine stava sorseggiando il suo caffè mocha mentre lei spiluccava un muffin e scorreva velocemente le pagine del quotidiano locale alla ricerca di un lavoro disponibile.
D’un tratto, la vide spalancare gli occhi e avvicinarsi al foglio, come per essere sicura che quello che aveva visto fosse proprio vero.

“Trovato qualcosa?” Le chiese noncurante.

“Io… sì. Ma non sono sicura che ti possa far piacere.”

“Cosa?” Blaine, confuso, allungò il braccio e tirò a sé il giornale, ignorando Tina che gli stava
consigliando di lasciar perdere.

Crack.

Una foto. Una foto gli aveva appena distrutto il cuore.

“Blaine?” Si sentì chiamare in lontananza da Tina, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu continuare a fissare l’articolo.

Fiori d’arancio per Kurt Hummel, astro nascente di Broadway

E quello era solo il titolo.

La foto ritraeva Kurt magnifico sul palcoscenico di un teatro, mentre in piccolo un’altra foto lo ritraeva mano nella mano con un ragazzo. L’articolo riassumeva brevemente la carriera appena cominciata ma già fiorente di Kurt e l’incontro con una sua vecchia fiamma – una sua vecchia fiamma! – Adam Crawford, anche lui ex studente della Nyada. I due avevano poi deciso di sposarsi.

Sposarsi.

“Stai bene?” Gli chiese preoccupata Tina.

“io…” si sforzò di risponderle. “Credo che andrò a casa.”

****

Noah chiuse il giornale seccamente.

Doveva fare qualcosa.

Strappò un angolo di foglio e ci scrisse sopra un indirizzo e un orario, prima di buttare il resto nel primo cestino a tiro.

****

Quella sera pioveva.

Due giorni prima Blaine aveva ricevuto uno strano biglietto nella casella della posta, che lo invitava a presentarsi nei pressi del molo. Ora si trovava lì, preoccupato ma incuriosito, riparato da un ombrello grande.

“Anderson!”

Blaine si girò, vedendo Puck avvicinarsi a lui.

“Tu! Come ho fatto a non pensarci prima?” Non sapeva se essere arrabbiato o felice per la sua presenza. Ora che non stava più con Kurt, cosa potevano volere ancora? Forse minacciarlo perché non stava prendendo sul serio il suo lavoro? “Stai tranquillo, mi sto rimettendo in riga.”

“Non è per questo che sono qui.”

“E perché allora?”

“Amico, io… voglio aiutarti.”

“Aiutarmi?”

“Sì… beh, ho avuto un mentore che mi ha insegnato a guardare oltre ciò che ci viene ordinato. E quello che vedo è infelicità. Il tuo destino e il tuo lavoro sono importanti, ma non sono l’unica cosa di cui tenere conto.”

“Perché tu sei così diverso con me?”

“Noi non gestiamo le emozioni come fate voi, ma non vuol dire che non le proviamo. Alcuni più di altri. Io ho il cuore duro e spesso penso solo a me stesso, ma perfino io so fare la cosa giusta.”

 Dopo un momento di silenzio in cui Blaine stava decidendo se fidarsi o meno, si lasciò andare.
Tanto non aveva più niente da perdere, semmai poteva guadagnarci.

“Il destino si sta compiendo, Puck. Io sto diventando un ottimo dottore, anche grazie alla novità della musicoterapia e nonostante le mie recenti debolezze. Kurt sta diventando una stella di Broadway e si sta per sposare. Tutto va secondo il Piano. Ma tutto questo è sbagliato e io non faccio che pensare a lui.” Si fermò per riprendere fiato, sotto lo sguardo attento di Puck. “Sai dove andrà a sposarsi?” Gli chiese poi.

“Di fronte a un giudice, domani mattina.” Gli rispose il Guardiano semplicemente.

Blaine sentì combattere un’altra domanda sulla sua lingua, una che avrebbe richiesto una riposta che lo avrebbe fatto sentire un tremendo egoista geloso se fosse stata positiva. Non resistette oltre: “E’ felice?”

“Blaine, la Sylvester non ti permetterà di avvicinarlo. Né stasera, né domani mattina.”

“E’ felice?” Ripetè lui, stringendo i denti e i pugni.

Puck sospirò. E scosse la testa.

Sentimenti contrastanti si fecero strada in Blaine, come previsto. Se Kurt non era felice, significava che forse c’era ancora una speranza, che non amava Adam anche se aveva provato a ricucirgli il cuore dopo che lui gliel’aveva spezzato lasciandolo in quel camerino, e che  forse poteva ancora fare qualcosa – Piano o non Piano. Lo aveva lasciato per questo, giusto? Perché potesse essere felice. Ma non lo era, Puck gliel’aveva appena detto.

“Devo cercare di riprendermelo, Noah.” Disse tutto d’un fiato. “Mi aiuterai?”

Puck aveva un’espressione incomprensibile. “Loro ti sentirebbero arrivare da lontano.”

“E se fossi veloce come voi? Se riuscissi ad arrivare ovunque, come voi?” Sapeva che se avesse insistito Puck avrebbe ceduto. Perché altrimenti sarebbe venuto da lui?! “Insegnami ad attraversare le porte. Vi ho visto, quel primo giorno in ospedale. Arrivavate sempre prima di me. So che funziona così.”

E infatti Puck cedette.

“Smetterà di piovere tra un’ora. L’acqua è l’unica cosa che impedisce loro di vederci. Per insegnarti come funziona, ci vorrà tutta la notte e un posto circondato dall’acqua. Muoviamoci.”

Blaine lo seguì fino a quando non arrivarono alla porta di un negozio di scarpe qualunque. Puck si fermò. “Lezione numero uno: il pomello va sempre girato in senso orario.”

“Che succede se lo faccio nel senso inverso?”

“Non funziona. Ora mettimi una mano sulla spalla e non lasciarla per nessun motivo fino a che non siamo entrati.”

“Non sono mai chiuse?” Chiese Blaine mentre chiudeva l’ombrello e metteva una mano sulla spalla di Puck.

“No, se hai uno dei nostri cappelli. Lezione numero due.”

Puck girò il pomello, ma, invece di ritrovarsi nel negozio, entrarono nell’atrio del New York Aquarium.

Se non siamo circondati da acqua qui…

L’orario di chiusura era passato già da un po’, perciò Puck fece in modo che l’allarme non saltasse e concentrò gli inservienti in un bagno particolarmente intasato. Quindi furono liberi di parlare di portali e cappelli senza destare sospetti.

Puck, per prima cosa, tirò fuori la sua agenda e una mappa di New York; poi cominciò la lezione.

“Le Porte - o Strati più precisamente - come hai potuto vedere, ci permettono di muoverci da un posto all’altro. Sono tutte collegate, ma devi conoscere la loro geografia: non è che se apri la porta del tuo ambulatorio in ospedale arrivi all’ingresso del teatro solo sperandolo. Le Porte sono collegate fra loro come quelle di un appartamento, diciamo. Per esempio, sai che per andare in camera da letto devi passare la porta d’ingresso e poi la porta della zona notte e infine quella della camera. Quello è l’unico percorso per raggiungerla. Così funziona con gli Strati. Mi segui?”

“C-credo di sì.”

“Bene, le Porte sono distribuite in modo casuale. La punta sud di New York, dove ci troviamo in questo momento, è la zona più densa, insieme a quella di Manhattan, dove si trova Central Park, il luogo delle nozze. Questo significa che muoversi sarà più veloce, ma anche più complicato. Tieni presente che Central Park non ha Porte, se non quella del punto informazioni in mezzo al parco. Inoltre, la Sylvester ti starà alle calcagna. Ma ci sono tanti modi per raggiungerlo, devi solo fare pratica. Muoviti nel substrato – il percorso che collega gli Strati - così sarà più difficile per il Bureau capire da quale Porta sbucherai.”

“Non ho capito niente.”

“Concentrati, Anderson. Guarda la mappa. Fai delle ipotesi.”

Blaine prese la mappa, titubante. Le Porte erano segnate in blu e i loro collegamenti in oro.

“Ok, allora. Da qui vado al Liceo Abramo Lincoln, poi il negozio sulla Caton Ave, poi Brooklyn, il New York City Correction Department, il West Care Pediatrics, il ristorante sulla West End Avenue, e infine il punto informazioni.”

“Troppo semplice, ti beccheranno.”

“Ok, allora evito il punto informazioni ed entro nel parco a piedi, o in bicicletta.”

“Va bene, ottimo. Dovrai essere veloce, o ti vedranno arrivare. Ora, devi capire che questa cosa non è mai stata fatta. Quando attraverserai la prima Porta, si scatenerà l’inferno. Considera chiunque indossi un cappello una minaccia. Sia che sia un berretto, una bombetta o una kippah. Chiunque indossa un cappello potrebbe lavorare con Sue. Bene, cosa fai se ne incontri uno?”
Blaine ci pensò su.

“Neanche voi attraversate le Porte senza cappello, vero?”

“Vero. E’ un nostro limite. Probabilmente il Presidente lo ha fatto per arginare il nostro potere, come con l’acqua.”

“Ok, bene. se gli facessi cadere il cappello e scappassi prima che lo raccolga?”

“Improvvisazione, bravo! Ora sai tutto quello che ti serve. Non ci sono piani B, hai solo una
possibilità: non sprecarla. Vai e riprenditi Kurt. Ricorda: non sbagliare le Porte. E prendi questo, altrimenti non vai da nessuna parte.”

Puck gli porse il cappello.

“Cosa ne sarà di te?” gli chiese di rimando Blaine, mettendosi il cappello in testa.

“Non preoccuparti. Non è la prima volta che infrango le regole.”

Blaine annuì e prese un lungo respiro. Scendere nel substrato era un po’ come nuotare in apnea.

 
 








La tavola di cup of tea

Buondì bei pasticcini!
Ci siamo, siamo quasi quasi quasi alla risoluzione. ^^
Solo un piccolo appunto per questo capitolo: per la Sindrome di Asperger mi sono affidata a Wikipedia (per quanto sappia quanto sia inaffidabile). Tra le caratteristiche della Sindrome di Asperger si legge:  “Egocentrismo inusuale, con una mancanza di attenzione verso gli altri e i loro diversi punti di vista; scarsissima empatia o sensibilità, bisogno di una “persona guida”, mancanza di conoscenza delle convenzioni sociali; predisposizione a infrangere le regole sociali.” Se qualcuno di voi ne sa più di me e ritiene che la reazione di Benjamin non vada d’accordo con la malattia, vi prego di farmelo sapere. L’ultima cosa che voglio è sparare cavolate, soprattutto riguardo l’argomento medico.
 Volevo poi ringraziare wuthering heights, che riesce a betarmi tutto anche quando glielo mando all’ultimo secondo e a notte fonda <3
Un abbraccio a tutti,
a lunedì prossimo,

cup of tea

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Capitolo 10
*** 10. Resistance ***


Love is our resistance
Capitolo 10




The Adjustment Bureau, 13 marzo. Ore: 8.30 circa

La porta di un ufficio si aprì all’improvviso e ne uscì una ragazzina bionda e allarmata. Con in mano la Mappa delle Decisioni di Anderson, corse lungo il corridoio ed entrò senza bussare nell’ufficio del suo superiore.

“Becky, dobbiamo decisamente lavorare sulla tua irruenza.”

“Ma signora Sylvester, abbiamo un problema!” Replicò lei, porgendole la Mappa. “Anderson sta facendo un tentativo con le Porte! E’ sceso nel substrato!”

“Come?!”

“E’ così, ha un cappello!”

“Chiama subito il funzionario delle nozze. E raduna i Guardiani, abbiamo un matrimonio da salvare.”

 

***


Central Park, 13 marzo. Ore 8.50

Il sole del mattino splendeva tiepido sugli invitati al matrimonio.

Central Park era la location perfetta, il sogno di Kurt fin da quando era solo un bimbo di sette anni che giocava a far sposare i suoi peluches.

Un gazebo adornato di tulle bianco, file di panchine alle cui estremità erano fissati ricchi bouquet di fiori chiari, una piccola orchestra d’archi, amici e parenti frementi dall’aspettativa… Kurt osservava tutto da qualche metro di distanza, mentre Adam gli chiedeva di dargli un’ultima sistemata al papillon e lui con mente assente glielo aggiustava. Rachel era lì con loro, a dare le ultime direttive a Burt, che avrebbe dovuto accompagnare Kurt all’altare, e alle damigelle – Brittany allegra come un cucciolo che fa le feste e Santana disgustata dal lilla dell’abitino di seta che Kurt aveva scelto per loro.

“Il matrimonio inizia fra cinque minuti, è tutto chiaro?” Stava dicendo Rachel. “Brittany, mi raccomando, gli sposi sono Kurt e Adam, non il giudice e la signora anziana che suona l’arpa.”

 “Rachel, darle dell’anziana è bullismo, non ti lascerò rovinare questo giovane amore appena sbocciato.” Ribatté severa la biondina. “Brittany, tesoro, non c’è nessun giovane amore appena sbocciato. Siamo qui per evitare che Porcellana scappi, ricordi?” La incoraggiò Santana, guardandola fissa negli occhi per essere sicura che avesse capito. Adam alzò la testa nella loro direzione solo in quel momento, e Rachel intervenne per evitare problemi. “Non starla ad ascoltare, Adam; ieri abbiamo visto Se scappi ti sposo ed è rimasta suggestionata - non è così, Santana?” Rachel le tirò una gomitata nel fianco e Santana rispose con un larghissimo finto sorriso a denti stretti. “E’ così.”

Adam sorrise incerto e tornò a guardare Kurt. “Ci siamo.” Gli disse prendendogli una mano. “Devo andare sull’altare, adesso.” Gli baciò la punta del naso. “Ci vediamo fra poco, ok? Ti aspetto lì.” Disse infine, nella voce una nota di insicurezza celata dalla piccola battuta.

Kurt fissava ancora gli invitati. Tutto quello che era successo intorno a lui fino a quel momento gli era parso ovattato e lontano, di poca importanza se paragonato al vuoto tremendo che si era aperto al centro del suo petto. Non era la cosa giusta, non lo era, non lo era.

“Kurt?”

Si sentì richiamare alla realtà. “Sì?”

“Ti aspetto lì.” Si sentì ripetere.

“Io… ho bisogno d’aria.”

“Ma siamo all’aperto…”

“Due minuti, ok? Ci sarò, te lo prometto, ma dammi due minuti.” Assicurò ad Adam, con occhi quasi imploranti. Guardò poi Rachel, che annuì sorridendogli comprensiva. Non ebbe il coraggio di guardare gli altri.

Kurt si allontanò in fretta, consapevole di aver appena creato nell’atmosfera una tensione dal potere distruttivo.

Ma cosa doveva fare? Corse lungo il vialetto sterrato fino al laghetto delle paperelle, dove si fermò appoggiato dalla staccionata del ponte che lo sovrastava. Si asciugò le lacrime – spuntate chissà quando -  prima che potessero bagnare il colletto della camicia, ignorando il fatto che la camicia bagnata sarebbe comunque passata inosservata in confronto alle punte delle scarpe nere ormai bianche di polvere del vialetto.

***

Substrato, 13 marzo. Ore 8.55

Corri, apri le Porte, evita i passanti, non guardare chi ha un cappello.

Dopo un po’ che lo facevi, diventava quasi automatico.

Blaine era ormai arrivato sulla West End Avenue e la prossima sarebbe stata la Porta del punto informazioni in mezzo a Central Park. E poi accadde.

“Anderson, si fermi. Questa cosa non può farla!”

Lo avevano trovato, ma lui non si fermò. Il piano di togliere il cappello a qualsiasi Guardiano avesse provato a fermarlo non era applicabile, perché erano in cinque – e questo voleva dire che avrebbe dovuto togliere cinque cappelli contemporaneamente, e allo stesso tempo evitare che lo prendessero. Puntò quindi sulla velocità e sulla fortuna. Girò il pomello della porta del ristorante e, invece di puntare al punto informazioni com’era in programma, decise all’ultimo di mirare a un altro ingresso, uno che Puck non aveva considerato.

Era uno schifo, ma per Kurt questo e altro.

Il bagno chimico nei pressi del lago delle paperelle.

***


Central Park, ore 9 circa

Adam guardò impaziente l’orologio, per poi puntare gli occhi contro le ultime panchine in fondo, sperando di vederci Kurt a braccetto con suo padre. Niente.

Cercò Rachel – in piedi con Brittany e Santana sull’altro lato dell’altare - con lo sguardo, e lei comprese al volo la sua implorazione muta. La vide alzare gli occhi al cielo e poi scomparire velocemente dietro le due ragazze e poi correre verso il punto dove si era diretto Kurt. Tutto questo sui tacchi.

Rachel trovò Burt dove lo aveva lasciato, che aspettava il ritorno di Kurt. Non sembrava preoccupato, anzi, sulla sua fronte rilassata si poteva leggere quanto bene conoscesse suo figlio e quanto sapesse che quella situazione sarebbe giunta, prima o poi.

“Burt, abbiamo bisogno di aiuto. Intrattieni gli ospiti, racconta qualche aneddoto, inventa qualcosa. Io vado a cercare Kurt.”

“D’accordo, faccio quello che posso. Ma non so quanto riuscirò a tenerli buoni.” In cuor suo, Burt sperava che suo figlio riuscisse a comprendere che quella fuga era un segno evidente che il suo cuore sapeva benissimo cosa voleva – e soprattutto cosa non voleva. Adam era un caro ragazzo, ma non era quello giusto: lo sapeva Burt, che non aveva visto alcun luccichio negli occhi del figlio quando gli aveva detto che si sarebbe sposato, e sperava che ora lo sapesse anche Kurt.

Rachel arrivò affannata sul ponte dove trovò Kurt, in piedi e appoggiato alla staccionata. Appena la vide, lui scoppiò di nuovo in lacrime – o forse non aveva mai smesso di farlo.

“Non posso farlo, Rachel, non posso.” Disse, lasciandosi accogliere dalle braccia minute dell’amica.

Rachel rimase in silenzio, lasciando che le carezze materne sulla schiena dell’amico parlassero per lei.

“Ma Adam? Non se lo merita! Devo farlo per lui, sì, non se lo merita.”

A quel punto Rachel non riuscì a trattenersi. “Kurt, per favore. Non ti sposerai solo perché senti di dover qualcosa a qualcuno, perché altrimenti te lo impedirò io. E stai molto attento alla furia di Rachel Barbra Berry.”

“Dovresti stare attento, ha ragione.”

Kurt sentì mancargli un battito. Quella voce. Quella voce. Alzò la testa dalla spalla di Rachel e si girò, lentamente.

“Vi lascio soli.” Disse lei, lanciando uno sguardo alla “Stai attento anche tu” a Blaine, ma non riuscendo a trattenere un sorriso.

“Dove vai?” Le chiese spaventato Kurt.

“Qualcuno deve offrire una bella performance gratuita a tutti quegli invitati… almeno non saranno venuti qui inutilmente.” Lo baciò poi su una guancia, arrampicandosi sul suo braccio. E infine li lasciò, speranzosa.

Rimasero in silenzio a fissarsi per un momento infinito. Kurt con il cuore che ancora batteva a mille, Blaine con il fiato corto per la corsa e per l’ansia.

Fu lui il primo a parlare, anche perché di tempo da perdere non ne avevano. I Guardiani a quel punto erano sicuramente già nei paraggi.

“Kurt, non lo devi sposare.” Gli si avvicinò.

“Puzzi di urina stantia.” Disse tagliente Kurt.

Blaine lo ignorò. “Mi dispiace, lo so cosa pensi di me, ma ho sbagliato, mi dispiace, dico davvero.”

“No, tu non sai niente.” Si scansò da lui.

“Kurt, ascoltami, lo so che ti ho fatto del male. Io non volevo lasciarti, ma ho dovuto!”

“Blaine, avanti! Mi hai lasciato senza una spiegazione, in un momento terribile, avevo solo bisogno di te, e tu mi
hai abbandonato lì. Adesso che cosa speri di fare?!” La voce di Kurt era aggressiva e bagnata di lacrime, e aveva raggiunto note altissime che incrinarono il cuore di Blaine.

“Ascoltami, ti prego. So che sembra terribile, ma c’è una spiegazione!” Mentre parlava intravide un Guardiano uscire da dietro un albero alle spalle di Kurt – ormai li riconosceva anche a distanza. “Vieni, con me, per favore, ti spiegherò tutto, ma adesso non c’è tempo.”

“No, io non vengo da nessuna parte con te!”

Il Guardiano era ormai alla distanza di un braccio e Blaine, assecondando un impulso che fino a quel momento aveva represso, tirò un pugno sul naso all’uomo, che cadde a terra intontito. Il fight club della Dalton, in fondo, era servito a qualcosa…

“Oh mio Dio, Blaine che cosa hai fatto?!” Urlò Kurt, inorridito.

“Non preoccuparti per questo, lui è con loro!” Ormai era in lacrime anche lui, per la frustrazione, la rabbia, e per lo sguardo terrorizzato di Kurt – che ormai lo credeva anche un criminale oltre che uno spezza cuori.
In preda alla disperazione, per far capire a Kurt cosa stava accadendo, frugò velocemente nelle tasche del Guardiano e ne tirò fuori una di quelle agende nere che nascondevano le Mappe delle Decisioni. Ormai non gli importava più del patto che aveva fatto con la Beiste. Non aveva niente da perdere: se non si fosse spiegato, Kurt non lo avrebbe più voluto al suo fianco. Questo valeva il rischio di essere resettato.

“Ascoltami, ti prego. Guardami!” Lo afferrò per le braccia e lo fissò negli occhi spaventati. “Io lo so che mi ami. Questo dice che mi ami.”Indicò la Mappa. “E che io amo te, e che non possiamo stare insieme, per via del Piano.”

“Blaine, cos-”

“Kurt, io ti amo, conta solo questo, voglio passare la mia vita con te, anche solo per poco.”

A quelle parole, Kurt si sentì spiazzato.

***

“Signora Sylvester, lui gli ha detto di noi.”

“Chiama la squadra interventi, occorre un reset immediato.”

***

“Perché ti stanno inseguendo?” fu l’unica cosa che riuscì a dire. Non aveva capito niente di tutto quello che stava succedendo, solo che Blaine era in pericolo e questo era abbastanza per farsi passare momentaneamente la rabbia.

“Loro… vogliono resettarmi.”

“Cosa vuol dire? Che cosa dici?!”

“Io ti amo, Kurt. Ti mostro una cosa. Meriti di sapere.” Kurt lo vide sistemarsi il cappello e si sentì afferrare delicatamente una mano. Tutto ciò non aveva senso…

“No, io non ci entro, là dentro.” Disse, quando capì che lo stava portando verso il bagno chimico.

“Fidati di me.”

Rassegnato all’idea che quello fosse l’unico modo per capirci qualcosa, Kurt annuì. Nonostante tutto il male che gli aveva fatto, non riusciva a non fidarsi di Blaine, almeno non quando la situazione sembrava essere letteralmente di vitale importanza.

Sollevato, Blaine girò la maniglia della porta. La attraversarono, ma invece di trovarsi nello spazio angusto e puzzolente che Kurt si aspettava, si trovarono nello stadio degli Yankees.

Ci mancava un pelo che svenisse.

“Va bene, muoviamoci. C’è una Porta lì.” Gli intimò il ragazzo che non era più sicuro di conoscere. E non era sicuro nemmeno che fossero i propri i piedi che stavano correndo, eppure era al fianco di Blaine e lo stava seguendo tenendogli una mano.

Attraversarono un’altra Porta e questa volta sbucarono sulla Sixth Avenue. Ad ogni passaggio, Kurt esclamava: “Oh mio Dio!”, in continuazione, come una cantilena, al punto che Blaine aveva smesso di rispondergli. Aveva capito che era solo il suo modo di gestire la situazione.  

Entrarono poi in un negozio, ma finirono su un prato, con la Statua della Libertà che aleggiava su di loro.

A quel punto, Kurt si fermò. Immobile, non voleva andare da nessun altra parte.

“Blaine! Come abbiamo fatto?! Ti prego, devi dirmi che succede… o io divento matto…”

Lui l’afferrò per le braccia, prima che potesse avere un mancamento. “Va bene, ascolta. Queste Porte le usano quelli che ci inseguono.”

“Chi sono?!” Urlò.

“Io-io non so come chiamarli! Bruciacervelli, Guardiani, non lo so. Ma loro vogliono allontanarti da me!”

“Perché a loro importa di noi?!”

“Ti hanno fatto perdere la voce, Kurt. Quello per cui lavori da una vita non si avvererà, se stai con me. Per questo ti ho lasciato, quel giorno!”

“Non riesco a capire…” le lacrime ripresero a pungergli gli occhi. “Perché vogliono separarci?!”

“Il Piano… il loro Piano. Ma non possono vincere… E se trovassi chi l’ha scritto?” La domanda era più rivolta a sé stesso che a Kurt, ma quella che espresse subito dopo non lasciava scampo. Un aut-aut in piena regola. “Ok, posso passare la prossima Porta da solo - non vedrai mai più me, né la gente che ci insegue. O puoi venire con me. Non so cosa troveremo, ma so che staremo insieme, che è l’unica cosa che voglio al mondo.”

Cosa fare? Abbandonarsi completamente a chi ti ha già ferito? O tornare alle tue nozze, dove un ragazzo fantastico e assolutamente normale ti sta ancora a spettando?

Fiato corto, occhi spalancati e brividi lungo la schiena.

“Io vengo con te.”
 

 
 
La tavola di cup of tea
Eccomi di ritorno nel regno nei vivi!… Scusate l’attesa, l’università è una piaga!
Ok, beh, questo capitolo è tardato ad arrivare e a dir la verità non è nemmeno betato, ma volevo postarvelo comunque, perché avevte aspettato abbastanza. Se trovate errori di qualsiasi tipo, avvertitemi, ma perdonatemi gli strafalcioni e abbiate pietà per una povera studentessa ancora in piena sessione estiva. A proposito, in bocca al lupo a tutti gli universitari e ai maturandi!
Comunque appena sarà betato lo sistemerò come si deve!
Bene, siamo quasi giunti alla resa dei conti e solo un capitolo ci separa dall’epilogo… come andrà a finire? A lunedì prossimo, promesso!

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Capitolo 11
*** 11. Revolution ***


IT’S A REVOLUTION, I SUPPOSE
Capitolo 11


 

Un calore dell’intensità di mille fuochi d’artificio esplose nel petto di Blaine, all’improvvisa consapevolezza che Kurt aveva acconsentito a seguirlo e aveva riposto la propria fiducia e la propria vita nelle sue mani.

Sentì la presa di due mani preoccupate stringersi intorno al suo braccio sinistro, mentre poggiava la destra sul pomello di quella che avrebbe dovuto essere l’ultima Porta. Dovevano raggiungere il Bureau, se volevano avere anche solo una possibilità di cambiare la sorte, e l’unica idea che gli era venuta era girare il pomello in senso antiorario. Quando aveva chiesto a Puck cosa sarebbe successo se lo avesse fatto, il Guardiano gli era parso fin troppo evasivo con il suo “Non funziona”.

Speriamo funzioni.

Avvolse le dita intorno al metallo e girò lentamente. Con suo enorme sollievo e con sorpresa di Kurt, la serratura scattò e la Porta si aprì su un corridoio dal pavimento di marmo grigio, illuminato da lampadari antichi appesi alle pareti chiare.

Si guardarono negli occhi prima di prendere un profondo respiro e lanciarsi all’interno dell’edificio, evitando di chiedersi se quel posto fosse reale o avessero preso una botta in testa e adesso si trovassero in un letto d’ospedale in coma farmacologico.

Corsero lungo tutto il disimpegno fino ad attraversare un ingresso di legno scuro che si apriva su un locale, decisamente simile a quelli delle vecchie biblioteche: lunghe file di tavoli e sedie e scaffali tutt’intorno, su cui erano disposti volumi neri. Probabilmente era lì che tenevano le Mappe, pensò Blaine.

Quando sentì che le gambe di Kurt stavano per cedere sotto tutto il peso della sua incredulità, si sforzò per non perdere il controllo anche lui.

Si sentirono in lontananza dei passi concitati ma regolari, come una marcia. Strinse la presa intorno al suo fianco e lo sorresse mentre ricominciavano a correre, per scappare dai Guardiani - che naturalmente li avevano trovati - e per raggiungere il Presidente, ammesso che ce ne fosse davvero uno e che fosse nell’edificio.

Corsero a perdifiato per il locale, rovesciando sedie dietro il loro cammino per rallentare i Guardiani, che stavano spuntando da ogni angolo. Trovarono delle scale e le salirono a tre gradini per volta – sembravano infinite ma a ogni passo il marmo risuonava nelle loro orecchie, fornendo il giusto ritmo e riferimento per coordinarsi. Kurt non sembrava più spaventato, eppure il suo fiato non era mai stato più corto.

Anche Blaine era stremato. Cercò di non pensare alla Sylvester e ai suoi scagnozzi che avevano raggiunto la base della rampa ed erano non lontani da loro, ma, quando finalmente trovò una porta in cima alle scale, la speranza di una via di salvezza gli diede la forza di fare gli ultimi gradini.

***

Merda Anderson!


Puck chiuse al volo la Mappa e prese a correre, senza avere la più pallida idea di cosa fare.

In un corridoio, incrociò tre Guardiani, perciò si nascose dietro a un angolo, per capire cosa avessero intenzione di fare.

“Bisogna consegnarlo al Presidente. Anderson ha superato ogni limite.” Era stata il braccio destro della Sylvester a parlare, e questo poteva solo significare guai per il suo protetto.

Decise di improvvisare, d’altra parte era uno dei pochi consigli efficaci che aveva dato ad Anderson. Sfoderò tutto il suo charme. “Becky! Ti vedo in forma oggi!”

“Che cosa vuoi Puckerman? Non dovresti essere a pulire l’archivio con tutti quelli della tua squadra di falliti?” Becky Jackson sapeva essere proprio una diva insopportabile. Un bullo, perfino.

“E’ così, infatti! Ma poi… sì, poi il Presidente ha chiesto che gli portassi quel documento, proprio quello che hai in mano.” Non sapeva che cosa ci fosse scritto, né cosa ne avrebbe fatto – bruciato? Strappato? Ingoiato? – ma il primo passo senza dubbio era impadronirsene.

Becky guardò gli altri due Guardiani, incerta. “Sicuro, e il Presidente avrebbe scelto proprio te? Si dice in giro che tu abbia spifferato qualcosa di troppo a qualcuno che non doveva neanche essere a conoscenza della nostra esistenza, sai?” Sorrise impertinente, con l’espressione di chi sa di avere la vittoria in pugno.

“Andiamo, biondina, quanto tempo è che facciamo questo lavoro? Sappiamo che il Presidente ha un Piano per tutti, no? E poi… vogliamo tutti la stessa cosa: tu hai ricevuto l’ordine di consegnarlo, il Presidente l’ha richiesto e io devo portarglielo. Tutto fila, non credi? Ora dammi quel documento, coraggio, così potrai tornare dalla tua adorata Sue.”

Becky ora era in evidente difficoltà. Puck ne approfittò.

“Non vorrai mettere in dubbio le mie intenzioni, spero. Se è così puoi anche tenerti quel documento, ma io poi sarei costretto ad andare dal Presidente a dirgli che Becky Jackson si è rifiutata di darmelo.”

Un lampo attraversò gli occhi della biondina.

“Facciamo così, Puckerman. Glielo portiamo tutti e quattro insieme.” Gli consegnò il pezzo di carta, ma Puck sentì anche la presa dei due Guardiani stringersi intorno alle sue spalle.

“Ma, biscottino, che spreco di energie!”

“Non mi incanti, testa vuota.”

A quel punto, Puck non vide alternativa. Si liberò dalla presa di quelle mani aggressive e diede uno spintone ai due Guardiani, non facendo lo stesso con Becky solo perché rappresentante del gentil sesso e perché sapeva che sarebbe riuscito a seminarla anche soltanto correndo.

Scappò lungo i corridoi del Bureau e, una volta aperto il documento, scoprì che era possibile rigiralo a favore di Anderson. Alla fine, pareva proprio che il Presidente lo avrebbe ricevuto, solo con qualche interpretazione Made in Puck.

***

Corridoi, uffici, porte di legno scuro, ma soprattutto: scale. Quanti gradini poteva contenere un solo edificio? Dopo essere arrivati in cima a quella prima rampa, si erano trovati di fronte lo stesso panorama di quando erano entrati. Marmo bianco, pareti chiare, lampadari appesi. Quel posto sembrava tutto uguale, qualsiasi angolo girassero. L’unica certezza che avevano di essere effettivamente saliti al piano superiore era la vista di New York sempre più lontana.

Blaine era esausto e Kurt sembrava continuare a muovere i piedi solo per inerzia.

Aprirono l’ennesima porta dopo aver scalato l’ennesima rampa, e ciò che si aprì alla loro vista li lasciò a pezzi e disperati.

Il tetto.

Nessun ufficio.

Nessun Presidente.

Nessuna via di fuga - un esercito di Guardiani pronti a resettarli a bloccargliela.

Preso dal panico e dalla certezza che non solo la loro storia d’amore stava per essere cancellata, ma anche le loro vite passate e perfino il ricordo di essersi quantomeno conosciuti, Blaine si girò verso Kurt, che doveva appena aver realizzato lo stesso pensiero.

Gli prese il viso tra le mani, sentendo quelle di lui aggrapparsi con disperazione ai suoi fianchi e stringerlo a sé. “Ti amo!” Lo sentì urlare con il poco fiato che gli era rimasto. Un sospiro roco uscì dalla bocca di Blaine, prima che baciasse Kurt con bisogno e affanno. “Ti amo”, riuscì a rispondergli senza staccarsi troppo da quelle labbra che si muovevano con le sue. Le loro lacrime si mescolarono, come anche il sudore che scendeva dalle loro tempie.

Il tempo di riprendere fiato e di perdersi per un momento ancora l’uno delle iridi dell’altro, che la Sylvester li aveva raggiunti e interrotti.

“Credevate davvero di trovare il Presidente?” disse, beffarda. “E cambiare così il destino? Riscriverlo?”

“Sue, dacci un taglio.” Puck era sbucato in quell’istante da dietro la porta. Blaine non sapeva se poteva permettere alla speranza di insinuarsi tra le dita sue e di Kurt, saldamente intrecciate. Sentì Kurt stringere la presa.

“Ho un messaggio per te.” Proseguì Puck, porgendo alla Sylvester quello che sembrava un documento. Lei lo lesse e, con sconcerto e una punta di delusione rispose: “Ho capito”, prima di lanciare un ultimo sguardo di sfida ai due innamorati e poi andare via.

Puck interpretò i visi dei due ragazzi, così cominciò a spiegare.

“Anche la Sylvester ha un capo.”

Blaine sgranò gli occhi, incredulo. “Tu sei il Presidente?!”

“Io?! No, non diciamo sciocchezze. Sono bello e intelligente, ma non onnipotente. Un giorno, magari…” Scherzò, ma poi si rifece serio.

“Comunque l’hai conosciuto. O conosciuta. Assume forme diverse, quindi accorgersene non è facile per nessuno.”

“Ok, cosa significa tutto questo?” Intervenne Kurt.

“Era una specie di prova?” lo affiancò Blaine, non senza una punta di rabbia.

“Direi che tutto è una prova. Per chiunque, anche per noi Guardiani del Destino. Blaine, tu hai rischiato tutto per Kurt. E Kurt, quando c’era da attraversare la Porta sotto la Statua della Libertà, anche tu lo hai fatto. Avete fatto tutto ciò che è contro le nostre regole e Sue voleva che le rispettaste, è il nostro lavoro. Ma mi avete ispirato e siete riusciti a ispirare anche il Presidente.”

Blaine osservò il foglio di carta che Puck aveva ancora in mano. “Quel messaggio parla di noi?”

“Sì.”

“Che cosa dice?” Chiese concitato Kurt.

“Dice che quello che c’è fra voi è una grave deviazione dal Piano. Così il Presidente l’ha riscritto.” Puck porse ai due ragazzi il foglio di carta, non senza lasciarsi sfuggire un sorriso.

Blaine guardò il contenuto: una Mappa delle Decisioni era stata appena disegnata e due percorsi viaggiavano parallelamente.

Un sospiro di sollievo svuotò i polmoni di Blaine che si sentì spuntare un sorriso dagli angoli della bocca – il primo sorriso vero da chissà quanto tempo. Gli occhi lottavano contro le lacrime e percepì lo stesso in Kurt.

“Ok” disse, dopo essere riuscito a ricomporsi. “Adesso cosa succede?”

“Adesso” rispose Puck riprendendosi il proprio cappello, “potete usare le scale.” Sorrise e li lasciò soli, ad abbracciarsi di fronte al tramonto di un magnifico sole che stava calando dietro i grattacieli di New York. Quello sarebbe stato il primo sole di una lunga serie, il primo tramonto che avrebbero osservato senza il timore di venire improvvisamente separati.

***

Molte persone vivono la loro vita seguendo il percorso che qualcun altro ha scritto per loro, perché troppo timorose per cercarne altri.
Poi ci sono persone che, per quanto si sforzino di cambiare le cose, non ne hanno né l’energia, né le capacità, e finiscono per credere che non ci sia alternativa.
Infine, esiste una particolare categoria di individui che superano gli ostacoli che sono messi sul loro cammino, persone che capiscono che il libero arbitrio è un dono difficile da utilizzare ma è importante lottare per esso.
E’ questo il vero piano del Presidente: un giorno, non saremo noi a scrivere il percorso, ma voi. 

 
 




 

 
*****
La tavola di cup of tea
Oh santa teiera! Siamo giunti alla fine! *si asciuga una lacrimuccia*
No, no, manca ancora l’epilogo… che fine fanno Kurt e Blaine? E Puck? E tutti gli altri?
A lunedì prossimo, con tanto di ringraziamenti vari e chiarimenti <3
Grazie <3
Ah, vi ricordo
la mia pagina Fb – lo so, lo so: sono pedante ;)

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Capitolo 12
*** Happily Ever After ***


 

HAPPILY EVER AFTER
Epilogo

 



“Muoviti, Rachel è già lì che ci aspetta!”

“Arrivo, arrivo!” Blaine gettò sul letto la camicia e i pinocchietto sciupati dalla lunga giornata, e afferrò al volo il completo fresco di lavanderia che Kurt gli stava praticamente lanciando.

Mentre si vestiva per il saggio dell’Asilo di Broadway preparato da suo marito, Blaine lo osservò aggiustarsi con insistenza il ciuffo, davanti allo specchio del comò, nel piccolo spazio al centro libero dalle fotografie che avevano incollato negli anni come due giovani adolescenti innamorati.

“Stai benissimo” lo rassicurò Blaine e Kurt gli sorrise nel riflesso.

“Non ti ho nemmeno chiesto com’è andata oggi… scusami sarà lo stress dei preparativi!” Gli disse lui poi voltandosi nella sua direzione e baciandogli la nuca sui riccioli scuri, mentre era chino ad allacciarsi le scarpe.

“Oh, è stata una grande giornata! Sasha sta reagendo molto bene alla terapia. Mi ha perfino fatto un disegno, oggi. Una nota musicale blu. Prendilo, è nella tasca dei pinocchietto.”

Kurt cercò all’interno delle tasche e ne tirò fuori una busta, chiusa dalla linguetta risvoltata all’interno. “Caspita, ci tieni davvero tanto, se lo hai custodito così!”

“Ci tengo, sì, ma non è quello, il contenuto della busta.” Blaine gli si avvicinò alle spalle e gli circondò i fianchi in un abbraccio. “Aprila.” Lo incoraggiò poi, stampandogli un piccolo bacio su una spalla.

 Kurt sfilò la linguetta, curioso. La busta conteneva due biglietti andata e ritorno per Parigi.

“…tu?” Kurt, meravigliato e sorpreso, si girò tra le braccia di Blaine, per guardarlo in viso.

“Beh… ho semplicemente pensato che non volessi usare le Porte, perciò ho comprato i biglietti, nel modo tradizionale. Sai non ho più avuto contatti con Puck, adesso che è nelle Alte Sfere, e sinceramente sto bene così.”

Kurt rise alla battuta, emozionato. “Come mai adesso?”

“Sei stato via per quasi un anno, per il tour di “The Boy From Oz” e poi sei stato impegnato con l’Asilo, mentre io non mi sono ancora preso una pausa seria dall’ospedale. Voglio un po’ di tempo, solo per noi. E’ tanto brutto? Possiamo cambiare meta, se preferisci.”

“Mi stai davvero chiedendo se voglio andare in un posto diverso da Parigi? La capitale del romanticismo, con mio marito, soli. A cantare Come What May in cima alla Tour Eiffel?”

 Blaine ridacchiò.

“Non vedo l’ora di partire!” Lo baciò entusiasta Kurt.

“Ora andiamo, non voglio perdermi i tuoi pulcini che muovono i primi passi su un vero palcoscenico.” Lo prese per mano e uscirono.

 





************************************************************

La tavola di cup of tea


Ehilà tazzine!

Eccoci giunti alla fine, ma proprio alla fine fine :’)

Eh già, Kurt e Blaine – in barba a quelli che dicevano che si sarebbero distratti a vicenda – sono riusciti a realizzare i propri sogni, e sono anche riusciti a trovare dei momenti per loro. In fondo è così che funziona nella vita reale, no? E’ il modo migliore per mantenere un equilibrio, facendo sacrifici e godendosi i momenti belli.

Dopo questo attimo di filosofia spiccia sul senso della vita, passo ai ringraziamenti. Ovviamente, ringrazio tutti voi che siete giunti fino a qui. Che abbiate letto, seguito, ricordato, preferito o recensito, siete tutti nel mio cuore.

Poi devo un megagrazie a wuthering heights, per aver betato e discusso con me sui dettagli, ma anche per assecondare sempre le mie idee malsane.

Infine, un bacio enorme a Berkano, per non prendersela mai quando dico: “Oggi non esco, devo scrivere”. <3

Ok, penso di non aver tralasciato nulla. Per qualsiasi cosa, questa è la mia 
pagina fb  e questo è il mio profilo di twitter. 

Grazie ancora a tutti voi <3

Alla prossima,

cup of tea
 
Ah, per chi fosse interessato, queste sono le canzoni a cui mi sono ispirata per i titoli dei capitoli.
1.       Teenage Dream – Katy Perry
2.       To Make You Feel My Love – Bob Dylan
3.       Try – P!nk
4.       Kiss The Rain – Billy Myers
5.        Demolition Lovers – My Chemical Romance
6.       Animal – Neon Trees
7.       Vampires Will Never Hurt You – My Chemical Romance
8.       Hurt – Christina Aguilera
9.       Together – The XX
10.    Resistance – Muse
11.   Radioactive – Imagine Dragons
12.   Happily Ever After – He Is We

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