Ricordi

di Lothiriel_Indil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Francis ***
Capitolo 2: *** Segreti ***
Capitolo 3: *** Paura ***



Capitolo 1
*** Francis ***


Ennesimo meeting svolto nel caos più totale: Alfred che cercava di imporre le sue folli idee per porre fine a un qualche problema; Arthur che, come ogni volta, si mostrava contrario alle proposte dell’americano; Ludwig che cercava di tenere a bada Feliciano che diversamente avrebbe finito per oziare; e poi c’era lui… Gli altri lo avrebbero definito come un fantasma, un’ombra che se ne stava in disparte come se tutto quello che gli avveniva intorno non lo riguardasse, Matthew.
Il rappresentante canadese era seduto lontano dal resto della combriccola e, da bravo spettatore, osservava quello scenario ormai diventato monotono.
Kumajirou, come suo solito, si era sistemato al suo fianco e non mancava di chiedergli chi fosse. Ancora si domandava come facesse a non riconoscere la persona che gli procurava i viveri.
“Bonjour, Matthew!”, una voce raggiunse le orecchi del canadese che si stupì non poco per quell’evento fuori dall’ordinario. Mai qualcuno gli aveva rivolto la parola, o meglio dire che mai qualcuno si era accorto della sua presenza.
Voltandosi, il timido canadese, puntò gli occhi viola sul suo interlocutore, una persona che avrebbe riconosciuto tra mille.
“Francis…”, si limitò a pronunciare il nome del rappresentante francese che lo guardava a sua volta con la sua solita aria che gli dava un che di malizioso.
Da tempo, Matthew, non parlava con lui, non perché ce l’avesse con lui, sia chiaro, ma per il semplice fatto che non ne aveva avuto occasione, gli ultimi avvenimenti l’avevano portato a stare lontano da lui, come dagli altri in effetti.
“Comment ça va, mon amie?”
Le guance del timido biondo si dipinsero di una piacevole tonalità rossa. Aveva sempre adorato quell’accento che caratterizzava il più grande, da piccolo adorava ascoltarlo per ore proprio per questo dettaglio.
“Sto bene…”, pronunciando queste parole, Canada, distolse lo sguardo per fingere di dare attenzione all’orsetto bianco che in quel momento sembrava piuttosto affamato.
Si sentiva in difficoltà e in imbarazzo, non era abituato a parlare con le persone, tanto meno con le altre nazioni. Tranne per quanto riguardava suo fratello che qualche volta sembrava ricordarsi di lui.
Come reagire a tale avvenimento? Lui, l’inutile Canada, si trovava a parlare con una delle nazioni più importanti, proprio quella che un tempo gli aveva fatto da padre.
Matthew perse un battito e si trovò a trattenere il respiro nel riportare la mente a quegli avvenimenti. Il solo ricordare quel passato ormai lontano e l’abbandono avvenuto da parte del francese, gli faceva provare un forte dolore al petto, di certo non provocato da un malessere fisico.
“Qualcosa non va?”
Erano molte le cose che non andavano in quel momento, ma il canadese si limitò a scuotere il capo. Non gli sembrava il caso di rivelargli i pensieri, o meglio i ricordi, che gli rendevano difficile mantenere la calma.  Lui, la tranquillità fatta persona.
Scuotendo il capo, il biondo, gli rivolse un timido sorriso in modo da tranquillizzarlo:”E’ tutto ok”
E non poteva dire nemmeno il contrario, no? Il francese non aveva fatto nulla di male nei suoi confronti, era capitato tutto a causa sua.
Francis, che sembrava non essere tanto convinto per le sue parole, allungò una mano per posarla sul capo dell’altra nazione:”Andiamo a mangiare qualcosa?”
Un momento di silenzio aleggiò tra i due, il tempo che il canadese si concesse per dargli una risposta. Come rifiutare? Probabilmente sarebbe stata un’ottima occasione per riavvicinarsi, no?
Senza attendere oltre, e senza alcun timore, rispose:”Oui, Francis.”


Il sole era comparso in cielo solo da poche ore quando Matthew fu svegliato da alcuni indigeni e da un certo borbottare.
La prima cosa che notò fu l’assenza del suo fratellone, Alfred, ma gli adulti non gli diedero nemmeno il tempo di chiedere spiegazioni, sembravano agitati.
Una delle donne lo accompagnò fuori dalla tenda borbottando qualcosa riguardo ad alcuni uomini mandati da una qualche divinità malvagia, uomini che lo avrebbero portato lontano.
Ma lui cosa poteva capirne? I suoi pensieri erano completamente rivolti verso il suo adorato fratellone, dove poteva essere andato? Lui avrebbe potuto difenderlo dagli uomini malvagi, no?
La tenda del capo tribù era più grande rispetto alle altre. Lui e Alfred spesso si intrufolavano al suo interno per poterla esplorare e per fingere di essere loro a ricoprire quel ruolo importante, senza sapere che rappresentavano qualcosa di molto più grande. Prima di entrarvi la donna si fermò per diversi secondi, momenti in cui lo osservò con compassione e indecisione, sembrava stesse combattendo con sé stessa per decidere sul da farsi, ma, prima che potesse raggiungere una decisione, una voce la richiamò dall’interno della tenda. Una voce sconosciuta al piccolo.
La donna, Ailen, si chinò sul bambino per posargli un dolce bacio sulla fronte, gesto che si sarebbe impresso nella giovane mente del biondo per l’eternità.
“Venez, Matthew…”, questa volta la voce sconosciuta si rivolse al piccolo che per la prima volta iniziò a provare un certo timore. Aveva la sensazione che da quel momento in poi le cose sarebbero cambiate completamente.
Il giovane Canada entrò nella tenda e sbarrò i suoi grandi occhi nel vedere la persona che si trovò di fronte: un adulto dai capelli dello stesso colore dei suoi, gli occhi azzurri come il mare immenso che circondava quelle terre e la pelle candida. Era diverso dalle persone che lo avevano circondato fino a quel momento.
“Bonjour, Matthew.”, pronunciò lo sconosciuto con la sua voce melodiosa e con quell’accento che il piccolo trovò divertente. Non sembrava cattivo, ma non capiva quello che gli diceva, parlava in una lingua diversa dalla sua.
“Non mi capisci, vero?”, domandò nuovamente l’adulto che sembrava trovarsi non poco in difficoltà in quella situazione. Sospirando, quindi, si avvicinò al più piccolo e si inginocchiò per raggiungere la sua altezza.
Matthew non si allontanò, sapeva che non aveva cattive intenzioni, ma decise comunque di stare attento.
“Je suis Francis, mon petit.”, mormorò con tono dolce puntandosi l’indice contro il petto.
Il bambino lo studiò a lungo, solo in un secondo momento portò la manina a posarsi su quella del più grande e un sorriso allegro prese ad aleggiare sul suo viso paffutello:”Francis.”


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Capitolo 2
*** Segreti ***


Per il canadese era impossibile non notare quanto fosse cambiata la capitale francese, un tempo molto frequentata da lui stesso.
Faticava a riconoscere molte delle strade più affollate e molto probabilmente si sarebbe perso se non fosse stato al fianco dell’affascinante rappresentante di quella tutt’ora magnifica nazione.
Kumajirou camminava al loro fianco emettendo qualche verso scocciato, non aveva voglia di muovere un solo passo e aveva anche una gran fame, ragion per cui Matthew aveva deciso di portarlo con sé.
“A cosa pensi?”

Matt si voltò a guardare il biondo che lo osservava a sua volta con un sorrisetto stampato sul volto. Non potè evitare di pensare quanto fosse strano avere qualcuno al proprio fianco e per di più conversare. Inutile dire che era abituato a rimanere in completo silenzio, forse era per questo che riteneva complicato trovare un argomento di cui parlare tranquillamente con lui.
“Mi è sempre piaciuta la Francia.”, gli rivelò con un certo imbarazzo.

In un primo momento, il francese, si dimostrò piuttosto stupito nel sentirgli pronunciare quelle parole, ma a quanto pareva ne era rimasto felice.
“Lo so.”, rispose socchiudendo gli occhi per una manciata di secondi. Un tempo era solito ricordarglielo, era un bambino piuttosto vivace con chi conosceva e riteneva fosse necessario rivelare il suo apprezzamento per quella nuova terra che si trovava a visitare.
Il canadese distolse lo sguardo. Stava di nuovo pensando al passato. Possibile che non riuscisse a fare altro in quel momento? La presenza del francese gli provocava una simile nostalgia da dover rivangare ogni singolo momento della sua infanzia passata al suo fianco?
“Nel posto dove stiamo andando cucinano dell’ottimo cibo.”, gli rivelò l’altra nazione decidendo di cambiare argomento.
“Puncakes?”, domandò il più giovane portando una mano a posarsi sulla testolina dell’orso che sembrava piuttosto affaticato.
“Anche.”, confermò.
Il canadese si trovò a sorridere e si fermò quando il suo sguardo si soffermò sulla Senna. Le acque erano calme, complici l’assenza di un solo filo d’aria e il cielo sereno privo di nuvole.
Non si accorse minimamente del “Ti piacerà” che il francese pronunciò per continuare quella conversazione. No, ormai il canadese era perso nei suoi pensieri. Quelle acque l’avevano portato in un posto lontano dove, moltissimi anni prima, per la prima volta si era trovato a provare una profonda malinconia.

Il mare azzurro circondava la nave sulla quale si erano imbarcati ormai da diversi giorni. Il giovane Matthew, ancora bambino, osservava la vasta distesa d’acqua dall’oblò della stanza che gli era stata assegnata.

Francis, l’uomo che l’aveva portato con sé, gli aveva raccontato di una terra diversa da quella dove aveva vissuto fino ad allora. La Francia.
Ma cosa poteva esserci di così diverso? Animali differenti? Frutti? Diversi metodi di caccia? No, le differenze andavano ben oltre, il piccolo l’aveva capito alla sola vista del rappresentante francese che ai suoi occhi risultava fin troppo diverso dalla gente della tribù.
Gli avevano negato la sua tunichetta bianca, quella identica a quella che indossava suo fratello Alfred, e gli avevano fatto indossare vestiti eleganti e dall’aria raffinata, a dire la verità anche un po’ scomodi.
Nessuno gli aveva detto dove fosse andato Alfred. Francis aveva accennato qualcosa riguardo a un’altra terra e gli aveva promesso che un giorno lo avrebbe rivisto. In realtà ci credeva poco.

“Matthew!”, fu proprio la voce di quel francese a risvegliarlo dai suoi pensieri poco felici.

Il bambino, un po’ restio, si voltò a guardare il più grande che si era affacciato alla porta: sul suo viso vi era dipinto un grande sorriso ed aveva l’aria non poco annoiata, probabilmente era andato da lui con l’intento di svagarsi.
“Francis.”, pronunciò il suo nome con poco entusiasmo. Non provava risentimento nei suoi confronti, semplicemente gli riusciva complicato fidarsi di lui, erano troppi i segreti si cui l’altro era a conoscenza e di cui non gli parlava.
“Arriveremo domattina.”, lo informò il francese andando a sedersi sul bordo del letto con le sue solite movenze eleganti.

Chissà se in Francia erano tutti come lui? Alcuni degli accompagnatori del più grande, a suo dire, risultavano fin troppo ridicoli per il modo in cui erano conciati. Lui non era un esperto di abbigliamento, nel posto in cui era vissuto non era una cosa considerata troppo importante, ma li trovava non poco divertenti e a stento riusciva a trattenere una risatina in loro presenza.
“Oui…”, rispose il piccolo con un pessimo accento francese che sembrò donare un sorriso allegro al biondo. Da quando si trovava su quella nave, Matthew, era stato rimproverato non poche volte per la sua poca conoscenza del francese, che a dire la verità aveva sentito per la prima volta solo pochi giorni prima, proprio quando quello sconosciuto gli aveva parlato del viaggio.
“Bien.”, annuì Francis senza perdere il sorriso,”Hai domande particolari, Matthew?”
Domande? Non gli avevano risposto a un solo interrogativo, perché avrebbe dovuto chiedergli altro? No, non ci avrebbe ritentato, almeno non ora.
“No…”, scosse il capo per poi tornare a rivolgere i suoi occhi viola fuori dall’oblò. Il primo giorno era stato tentate di saltare giù da quella nave, continuava a ripetersi che era ancora in tempo per tornare dalla sua gente, dalla sua famiglia, ora si era rassegnato.
“Ti piacerà…”, mormorò il francese che nel frattempo si era alzato per avvicinarsi nuovamente alla porta. Gli sarebbe piaciuta? Questo il bambino non lo sapeva. Per ora aveva una conoscenza ben limitata della terra dove erano diretti. L’unica cosa che sapeva era che l’eleganza e lo sfarzo vi regnavano sovrani, o almeno questo gli aveva raccontato il rappresentante francese che sembrava non poco entusiasta di poter tornare a casa.
Matthew non rispose, si limitò ad annuire senza troppa convinzione e a respingere quei lacrimoni che minacciavano di rigare quelle guanciotte non più rosee. Non voleva andare in quel posto. Voleva tornare a casa sua, ma aveva paura anche solo di pronunciare quel desiderio. Cosa gli avrebbero fatto se si fosse rifiutato di seguirli? Gli avrebbero negato per sempre di vedere il suo fratellone?
La porta si chiuse, questo voleva dire che Francis l’aveva lasciato nuovamente solo.
Lui non poteva capire l’angoscia che in quel momento opprimeva il piccolino. Lui, ormai adulto, non era a conoscenza delle esigenze del bambino che difficilmente di sarebbe abituato alla sua nuova vita.
Forse nel vederlo in difficoltà gli avrebbe rivelato uno di quei segreti che la piccola nazione bramava così tanto? Dopotutto ci sperava.
Speranza vana o meno non gli rimaneva altro.

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Capitolo 3
*** Paura ***


Non ci misero molto a raggiungere il locale scelto dal rappresentante francese. Come aveva previsto Matthew, si trattava di un posto piuttosto appariscente, quasi elegante, e doveva essere di moda dato l’alto numero di clienti che vi erano in quel momento, soprattutto giovani.
Francis si soffermò a parlare con un cameriere che subito condusse le due nazioni in un salottino privato, era meglio rimanere in tranquillità.
Sedendosi al tavolino, Matt, prese a sfogliare il menù nella speranza di trovare i suoi amati pancake. Un’aria crucciata si dipinse sul suo viso e non si accorse dello sguardo che il francese gli stava rivolgendo, sembrava pensieroso.
“Anche da piccolo avevi spesso quell’espressione.”, commentò il biondo attirando così l’attenzione del rappresentante canadese che si trovò a sbarrare gli occhi violetti.
“Come?”
“Quando ti concentravi. In effetti non sei cambiato tanto…”
Matthew non seppe se sorprendersi per quel commento improvviso o rimanere deluso per il fatto che il francese lo stesse considerando al pari di un bambino, cosa che in realtà non era ormai da diversi anni.
“Non è vero…”, mormorò in propria difesa abbassando lo sguardo.
“Oui oui, ti conosco bene.”
In realtà avrebbe avuto molto da ridire a riguardo: Francis conosceva il bambino che aveva portato con sé in Francia, che aveva cresciuto e a cui, una volta adolescente, aveva detto addio senza uno straccio di spiegazione; il Matthew con il quale si trovava a parlare in quel momento poteva anche assomigliare a quel piccoletto indifeso, ma era completamente cambiato in molti aspetti.
“Non è vero…”, ripetè il canadese con un’aria decisa che fece comparire un’espressione sorpresa sul volto del più grande, probabilmente non l’aveva mai visto insistere tanto su una questione.
“Matthew…”, cominciò col suo particolare accento che solitamente rendeva la sua pronuncia più divertente del dovuto, ma in quel momento Canada non aveva la minima voglia di ridere.
“Niente.”, borbottò deluso e amareggiato in modo da troncare sul nascere una sua qualsiasi domanda o spiegazione, sapeva, o almeno credeva, che Francis non aveva ancora capito il motivo per il quale stesse prendendo tanto seriamente quel discorso che all’apparenza, o ad occhio estraneo, poteva sembrare di poca importanza. Ma non per lui.
Fortunatamente ci pensò il cameriere a rendere quell’atmosfera meno tesa, anche se involontariamente, difatti si presentò con un block notes in mano per poter prendere le loro ordinazioni: il canadese, che in quel momento chiuse il menù che non aveva nemmeno sfogliato completamente, chiese i pancake completamente ricoperti di sciroppo d’acero, per il quale aveva una grande passione; il francese invece ordinò un cappuccio con un croissant alla crema.
Una volta che il cameriere se ne fu andato Matthew prese a guardare fuori dalla finestra. In realtà aveva sperato in un’uscita piacevole e non si era minimamente aspettato una svolta del genere. Anche se in parte era stata colpa sua… O del tutto?
Tornando a posare lo sguardo violaceo sulla figura del suo accompagnatore, Matt, si sentì dispiaciuto, Francis era stato gentile con lui e non aveva voluto offenderlo con quelle parole, non intenzionalmente.
“Mi dispiace.”, mormorò riprendendo la sua aria timida e remissiva. Dove era finita quella decisione di poco prima? Semplicemente si era reso conto di aver sbagliato, non si era comportato nel modo giusto e aveva finito per fare l’antipatico.
“Non preoccuparti.”, ma sul viso del francese era comparso un sorriso dolce, uno di quelli che un tempo gli mostrava per tirarlo su di morale o per dargli coraggio. Forse era vero, non era cambiato completamente, diversamente non si sarebbe sentito rincuorato solo per questo. Dopotutto era lo stesso bambino che molti anni prima viveva ancora in territorio francese al suo fianco.

Meravigliosa e strana. Matthew non avrebbe saputo trovare aggettivi migliori per quel territorio ancora sconosciuto che per la prima volta si mostrava ai suoi giovani occhi. La Francia era tanto diversa da quelle praterie dove era nato e cresciuto al fianco di suo fratello e degli indigeni. Grandi “tende” fatte di mattoni costeggiavano le trafficate strade e la cosa strana era che avevano molti piani, come fosse possibile non l’aveva ancora capito.
Inoltre vi erano genti vestite in modo molto diverso: alcune persone con addosso dei semplici stracci e altre vestiti sfarzosi, proprio come quelli che gli aveva procurato quel ragazzo che l’aveva portato in quel luogo.
Delle nuvole grigie ricoprivano il cielo e infinite gocce cadevano su quella città donandole un’aria malinconica.
Per quanto fosse bella non riusciva proprio a sentirsi a suo agio, quel posto non gli apparteneva… Né il luogo né le sue genti.
“Ti piace?”, domandò una voce alle sue spalle. Francis, come i suoi accompagnatori, sembrava più che felice di essere tornato a casa, nonostante sembrasse visibilmente indolenzito per i giorni in mare appena terminati.
Gli piaceva? Non particolarmente, ma si. Non lo amava né l’adorava, ma non nutriva alcun disgusto particolare per quel luogo, anzi…
“Oui…”, ormai si era abituato a rispondere in francese, seppure non conoscesse ancora bene la lingua iniziava ad imparare qualche parola e il più grande sembrava entusiasta dei suoi piccoli progressi.
“Resterai a bocca aperta quando vedrai Versailles! E’ bellissima!”
In realtà il francese aveva definito ‘Bellissima’ ogni singolo aspetto della Francia, gli aveva descritto il tutto così dettagliatamente che a Matthew sembrava di conoscerla da anni.
Socchiudendo gli occhi si concentrò sul rumore degli zoccoli dei cavalli che trascinavano la lussuosa carrozza sul quale si trovavano. Non aveva mai visto nulla del genere, quando si trovava ancora con la sua tribù andava a cavallo con suo fratello, mai gli era capitato di vedere nulla del genere… Probabilmente una volta tornato a casa ne avrebbe portata una alla sua gente.
Ma ci sarebbe mai tornato? Avrebbe mai rivisto quelle grandi praterie dove correva con suo fratello? Avrebbe mai rivisto i cavalli correre liberi per quelle terre selvagge? E le aquile dominare il cielo?
In lontananza vide avvicinarsi una grande cancellata dietro la quale vi era un grande edificio, quello che doveva essere il palazzo reale. Francis gliene aveva parlato molto, soprattutto dei numerosi nobili che lo abitavano, anche se in realtà il piccolo si ricordava i nomi di ben pochi di loro, erano complicati.
Durante quegli ultimi giorni avevano parlato molto, anche se in realtà non era riuscito ad ottenere delle risposte riguardo a ciò che lo preoccupava realmente. Non sapeva che fine avesse fatto il fratello, non aveva la minima idea di quando sarebbe tornato a casa.
“Francis…”, decise di approfittare del momento. Lì dentro c’erano solo loro due e nessuno li avrebbe sentiti.
“Oui, Matthew?”, domandò il francese facendosi curioso. In realtà era la prima volta che si rivolgeva a lui spontaneamente.
“Potrò portare con me una carrozza quando tornerò a casa?”, gli chiese tutto d’un fiato.
Il sorriso svanì dal viso del ragazzo che, affrettandosi a distogliere lo sguardo, si fece pensieroso. Che non sapesse cosa dirgli? Che non fosse a conoscenza della sua sorte?
“Matthew…”, cominciò tornando a posare su di lui gli occhi azzurri, ora malinconici come il cielo che si estendeva sopra la capitale francese,”Certo che potrai portarne una con te. Te ne procurerò una e anche una nave tanto grande da poterla trasportare.”
Per quanto il giovane canadese fosse felice di poter ascoltare quelle parole, in cuor suo sapeva che non era realmente così. Il francese gli aveva detto una menzogna per non rattristarlo… O forse per tenerlo a bada? Per non farlo ribellare?
“Così la potrà vedere anche Alfred!”, esultò cercando di essere fiducioso. Doveva credere in lui, doveva fidarsi della sua parola, dopotutto l’aveva trattato bene fin da subito, no? Mai si era mostrato scontroso nei suoi confronti e, anzi, era sempre stato gentile e disponibile.
“Oui, a Alfred.”, il francese finse di rivolgere lo sguardo fuori dal finestrino per terminare quel discorso. Il silenzio prese a dominare l’interno della carrozza e non una sola parola aleggiò nell’aria prima dell’arrivo. Solo gli zoccoli e il rumore della pioggia raggiungeva le orecchie del bambino che ora si immaginava di trovarsi nella sua tenda a dormire stretto al fratello, proprio come quando fuori vi era il temporale e entrambi si cercavano per scampare alla paura.

 

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