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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Stelle guizzanti *** Capitolo 2: *** Stelle vigliacche *** Capitolo 3: *** Stella del mattino *** Capitolo 4: *** Stella della sera *** Capitolo 5: *** Rosso come... un'anima *** Capitolo 6: *** La vecchia, la stella, la bambina ***
Il luminoso volto delle stelle si nasconde di nuovo al cospetto della bella Luna,
allorché questa, piena, risplende maggiormente
su tutta la Terra.
La melodiosa voce della vecchia risuonava profonda nella stanza, rimbombava sulle pareti spoglie della sua umile casetta di fango e paglia come un’eco incantatrice e magica, quasi solenne, capace di stregare la fantasia della piccola Nàkia.
“Ancora nonna Lene, ti prego cantami un’altra volta le stelle” la implorava con quella sua vocina a cui nessuno riusciva a opporsi. Nonostante la tenera età, il carattere della bambina era già ben delineato, ostinata e indomabile riusciva spesso a esasperare i suoi cari e la povera donna. Del resto la vecchia Selene, o nonna Lene come la chiamavano tutti affettuosamente, con l’aumentare dell’età non aveva perduto il suo fascino agli occhi della gente. Essa era portatrice di segreti e storie sempre nuovi e incredibili, una manna per tutti i bambini del piccolo villaggio di Keruit e una manna per Nakia, in assoluto la più fedele discepola di Lene, pronta sempre ad ascoltarla e a fare tesoro di ogni sua parola.
“Piccola mia, per oggi basta così” cercò di opporsi stancamente “Ti ho raccontato già altre volte del cielo e ti ho cantato innumerevoli poesie sulle sue bellezze. Davvero non ne hai abbastanza? La vecchia Lene ora è tanto stanca…” ma la stessa Selene si accorgeva di quanto fossero inutili le sue resistenze: i due bellissimi occhietti viola della bimba brillavano ancora per la poesia appena ascoltata, ma non per questo si ritenevano soddisfatti; ci sono così tante cose da imparare a 5 anni che non è concesso riposarsi e fare pause, tantomeno agli insegnanti! Nakia continuava a fissare l’anziana donna, trepidante e in silenzio, completamente non curante delle parole appena pronunciate da nonna Lene: non le avrebbe permesso di andarsene sul più bello.
Passò qualche momento, entrambe si fissavano, sfidandosi in un duello invisibile di cui non erano quasi consapevoli, un duello tra gli occhi profondi e chiari di una vecchia donna, che avevano ormai visto tutto ciò che c’era da vedere ed erano per questo appagati, e quelli brillanti e vivi di una ragazzina, che ancora non sapevano cosa avrebbero dovuto vedere prima di ritenersi soddisfatti.
La chiarissima, calda luce del primo pomeriggio filtrava appena nella minuscola finestra e illuminava le mani della vecchia. Poi una delle due perse.
“Anima cara, sai quanto ti voglio bene. E va bene ti racconterò un’ultima cosa, ma poi andrai a casa. Mamma e papà saranno in pensiero e non è bene che i bambini facciano preoccupare i genitori perdendo tempo da una povera vecchia”. Cedette così al ricatto degli occhi di Nakia e cominciò a raccontare di quando da giovane, nelle notti d’estate, si sedeva in riva la mare con le altre fanciulle del tìaso, ad ascoltare le placide onde che si infrangevano sui granelli inerti e a declamare le poesie della fondatrice del loro gruppo, e in quell’oscurità rischiarata solo dagli astri e dalla Luna, passavano le ore a contare le stelle guizzanti, come le chiamavano loro, facendo a gara a chi ne vedeva di più.
“Stelle strane” diceva Selene ”secondo molte non erano neanche stelle vere. Era questione di un momento riuscire a vederle: un attimo prima non c’erano e un attimo dopo erano è già sparite. Il tempo di un istante e tutto finiva in una piccola scia luminosa, rosseggiante, come se il cielo fosse di ferro e qualcuno con una spada affilata lo graffiasse, provocando scintille e guizzi.”
Il racconto era già finito, stavolta Nakia doveva davvero andare a casa, peccato, sperava in un bel mito, in una grande leggenda con eroi e misteri, invece la nonna se ne era uscita con quella improbabile storia delle stelle guizzanti. Che cosa strana, lei non le aveva mai viste, forse lì in Egitto non c’erano, o forse non passava tempo sufficiente a guardare il cielo per accorgersene, del resto se duravano un attimo ci voleva poco a perderle di vista.
Salutò Lene con un bacio sulla guancia e le portò il latte che era in cucina per permetterle di cenare senza alzarsi, Nakia sapeva che Selene era molto anziana e si stancava presto. Viveva da sola da tanti anni, solo i bambini del villaggio si prendevano cura di lei, era il loro idolo e lei era un po’ la nonna di tutti, voleva loro un gran bene e aveva sempre qualcosa da insegnare loro: “in tanti anni che sono in questo mondo dovrò pur aver imparato qualcosa, e se ho imparato io, potete farlo anche voi”. Un sapere diverso, particolare, che non assomigliava alla tradizione e ai miti che conoscevano tutti: nonna Lene parlava di esperienze e avventure, leggende di eroi di quel lontano paese chiamato Ellade, in cui un tempo c’erano tante piccole città in cui tutti decidevano come se ognuno fosse un re. Queste stranezze non erano troppo apprezzate dai genitori, che preferivano educare i propri figli secondo la tradizione dei loro padri anche se i tempi ormai stavano cambiando, ma per i bambini del villaggio e per la loro grande curiosità non c’era niente di più eccitante.
“Grazie cara” fece Selene carezzandole la testolina bruna “ora và pure, ci vediamo domani. E salutami tanto i tuoi cari, gli dei li benedicano.” La piccola rispose con un grande sorriso, chiuse la porta dietro di sé e corse via in strada zompettando allegra: aveva una nuova favola da raccontare ai suoi amici e un’altra scusa per passare anche quella notte a guardare il cielo: trovare le stelle guizzanti.
Piccola nota: questo è il primo brevissimissimo capitolo, un po' semi introduttivo del racconto che spero di riuscire a finire^^, ho una passione per i nomi parlanti perciò vi dico subito che Nakia, che è davvero un nome egiziano, è l'equivalente latino di invicta (ognuno è libero di trarre le conclusioni che vuole sul personaggio...), Selene ovviamente è un nome greco e vuol dire, diciamo Luna. Nakia a tratti rappresenta un po' me, col suo amore per le stelle e altre caratteristiche che amo e che odio e di cui, beh, verrete a conoscenza col tempo ;).
Uno spoiler-non spoiler: tranquilli, Nakia non rimarrà a 5 anni per tutto la storia ;). La poesia all'inizio è un'ode della poetessa di Lesbo, Saffo, che io adoro, con tanto di traduzione personale (speriamo bene XD) purtroppo non sono riuscita a mettere tutti i segni diacritici che servivano ma Saffo è così musicale che va bene anche così ;)
Cercherò di pubblicare non meno di una volta ogni due settimane, scuola permettendo, spero vi piaccia e soprattutto che mi aiutiate con le vostre recensioni :)
Rieccomi
con il secondo
capitolo della mia storia. Avete notato i titoli? Non era premeditato
ma quando
il secondo di fila mi è venuto con "stelle..." ho iniziato a
pensare
seriamente di includerle nel nome di ogni capitolo ^^ ,devo prima
capire se può
funzionare però...
Comunque,
la
storia ha vissuto un radicale (più o meno) stravolgimento,
di cui voi però non
saprete mai nulla (uha, uha, uha) quindi il cambiamento di trama non vi
causerà
alcun problema, e poi c'era solo un capitolo... certo, non conoscerete
Femi e
Tale ma potrei sempre creare dei capitoli extra... hmm...
perchè no?
Ma
tornando a noi: la
nostra Nakia è cresciuta, così come il suo amore
per il cielo, che condivide
tutti i giorni con una persona speciale di cui leggerete proprio qui,
una
persona con il ruolo di coprotagonista e magari anche altro...
Prossimo
aggiornamento,
causa stravolgimento trama (ho solo un altro capitolo già
pronto XD dopo tutti i miei cambiamenti) e scuola
(siamo a fine maggio dopotutto...) tra due settimane: buona lettura e
se vi piace,
avete suggerimenti, domande o critiche (sempre ben accette) recensite :)
“Aѱαπυρύκπτοισι
ϕάεννον
είδος”
mormorava, “ma
perché nascondono il volto?”.
Erano
passati 13 anni da quel giorno e i melodiosi
endecasillabi cantati da nonna Lene ancora risuonavano nella sua testa.
Crescendo era diventata sempre più curiosa e ostinata, non
si arrendeva, doveva
trovare una soluzione alla sua domanda. Non poteva bastarle un semplice
motivo
poetico: la Luna rappresenta l’amata che è
così bella da offuscare le altre
ragazze; oppure una spiegazione scientifica: la Luna è
più luminosa delle
stelle quindi quando le sono vicino si notano poco e sembra che
scompaiano.
No,
le stelle di Saffo “si
nascondono. Può giocare a nascondino una stella? Si
può vergognare perché la
Luna è più grande di lei e più bella?
Le
stelle possono pensare,
hanno un’anima?” pensava.
“Se così fosse sarebbero ben poco fiere: nella
migliore delle ipotesi si nascondono dietro a chi è
più grande per essere
protette altrimenti potrei addirittura credere che hanno paura e si
nascondono
per non essere viste.”
“Che
stelle vigliacche …” si
lasciò sfuggire ad alta voce.
“Come?”
fece Manes “a che
altro stai pensando adesso? Ti sei fermata di colpo”.
“Scusami.
Stavo riflettendo.
Sai, è da quando ho sentito questa poesia per la prima volta
che… mi chiedo…
prometti di non ridere?”
“Ma
sì, tranquilla, ormai non
mi stupisco più delle tue assurde domande sulla
vita”.
“Non
sono assurde domande
sulla vita” lo bacchettò scherzando “
non ti farebbe male stare un po’ a
riflettere di tanto in tanto, riusciresti a capire molte più
cose. E poi come
ho detto non sono domande sulla vita ma sul cielo, le stelle: dovresti
saperlo ormai. Saffo dice che le
stelle << nascondono il volto luminoso >>,
beh, che mi dici?”
“Perché,
che dovrei dire?”
“Hai
capito benissimo: che
vuol dire secondo te che le stelle << nascondono il volto
luminoso >>
davanti alla Luna?”
“Intendi
dire metaforicamente?
Credo che significhi che la Luna è così bella che
davanti a lei le altre
luminosità del cielo notturno svaniscono
…”
Sospirò:
non era questa la
risposta che voleva da Manes, sperava in qualcosa di più
profondo, un po’ come
le sue riflessioni sull’anima delle stelle o sulla loro
codardia … lo sapeva
simile a lei come carattere: era proprio delusa da quella mancanza di
immaginazione.
Stava
per interromperlo ma
ecco che lui se ne uscì dicendo:
“Però
credo anche che quelle
stelle potrebbero essere… sì insomma: avere delle
qualità positive. Prendi la
Luna: lei è grande e luminosa e che fa? Se ne sta in mezzo
alle stelline,
sicura e tranquilla che è molto più bella di
loro. Non è un comportamento
onorevole, per questo le stelle si nascondono: per non
vederla… perché non la
sopportano, sono stelle arrabbiate, sdegnate…
o
almeno la penso così!”
concluse con un sorriso.
Nakia
era senza parole: in 13
anni di riflessioni sulle stelle vigliacche non aveva mai pensato che
la vera
vigliacca potesse essere la Luna, la Luna che se la prende con i
più piccoli,
che li sdegna al punto di spingerli ad andarsene per odio nei suoi
confronti.
Guardò Manes con i suoi occhi viola, gonfi di stupore. Le
aveva aperto tutto un
altro mondo, con poche parole, ancora una volta.
Era
sempre così: lei aveva
un’immagine, si teneva tutto dentro per giorni, mesi o come
in questo caso
anni, e la sviluppava, la trasformava in pensiero,
riflessione… poi quando la
credeva pronta la rivelava a quelle due o tre persone che amava davvero
e
puntualmente si trovava a bocca aperta: usciva sempre un altro pensiero
diverso
dal suo con il quale fare i conti. Non che la cosa le dispiacesse
più di tanto:
il suo animo un po’ malinconico era sempre pronto ad
accogliere e incoraggiare
nuove riflessioni, soprattutto sul cielo stellato, avido di sapere la
verità.
“Quindi
sarebbe la luna la
vigliacca…” disse quasi a bassa voce
”non ci avevo mai pensato.
Quindi
secondo te le stelle…
hanno un’anima?”
“Beh,
suppongo di sì, se
possono pensare e provare emozioni dovrebbero averla, ma stiamo
parlando di una
poesia: non è detto che sia davvero così, le
stelle non possono andare via,
lasciando il cielo scoperto, sono immobili no? Come dicono gli
scritti”.
Fece
una pausa un po’
imbarazzato: Nakia lo fissava con quel suo sguardo scettico come a
significare:
ma devo dirti proprio tutto io? È ovvio che non sono
immobili, gli antichi
scritti sono antichi e basta, niente più che favole. Manes
sospirò, sapeva di
non aver detto una cosa troppo intelligente agli occhi della ragazza,
non se lo
aspettava da lui dopo tutte le loro lezioni.
“Lo
so che pensi il contrario,
ti piace credere che tutto il firmamento abbia un’anima, che
sia vivo, si muova,
lo trovi così speciale per questo. Lo so bene che non
riuscirei ad allontanarti
dall’amore che provi per lui, però ti avverto di
non uscirtene in giro con
frasi del tipo << le stelle sono offese dalla Luna ogni
volta che è
piena >> e soprattutto sul fatto che abbiano
un’anima: non penso che
otterresti molto successo” concluse con un sorrisetto.
“Questo
lo so, ecco perchè
l’ho detto a te soltanto, neanche nonna Lene conosceva questo
mio pensiero”.
“Ah
già, dovevo capirlo che solo
quella donna avrebbe potuto insegnarti i versi di Saffo.
L’hai
più rivista?”
Nakia
restò immobile per un
istante, come in preda a un sogno, a un vortice di ricordi.
Aveva
più rivisto Lene?
Nonna
Lene?
“Non
temere piccola cara: ci rivedremo, abbi fiducia negli
dei del cielo”
Una
testolina bruna, poco convinta, annuì rassegnata, poi
alzò il viso: gli occhietti vispi, prima rivolti verso il
pavimento sabbioso di
quella che era una piccola, povera capanna, ma che per lei significava
gioia,
si alzarono, mostrandosi in tutto il loro vivissimo viola, lucidi e
gonfi di
quel pianto che la piccola cercava a stento di trattenere: voleva
mostrarsi
forte, incrollabile come le sue stelle.
“Io,
non
voglio…
dirti…a-addio”
Cercò
di dire con la voce il meno possibile rotta dai
singhiozzi che non riusciva più a fermare.
“Gli
addii non esistono” replicò con voce serena e
tranquillizzante la vecchia
“Tutto
ciò che sembra finire è un nuovo inizio, tutto
ciò che
se ne va, prima o poi ritorna. Così la piena del Nilo
sommerge il suolo e
sembra la fine per la terra, ma essa rinasce più forte di
prima grazie all’acqua,
così la Luna giorno dopo giorno sembra sparire, ma quando
scompare del tutto
ecco che ritorna e << risplende di nuovo piena su tutta
la Terra >>.
Io
e te ci rivedremo mia dolce Nakia, c’è un segreto
che deve
ancora essere svelato”
“Un
segreto sulle stelle?” chiese la piccola guardandola
speranzosa,
un po’ confortata dalle parole dell’anziana donna
“Sì,
un segreto che ti sarà svelato quando sarai pronta.
Ritornerai
da me un giorno, quando le stelle ti chiameranno”,
<< quando vorranno portarti via >>
pensò senza però dirlo.
“E
quando?”
“Dovrai
avere pazienza. Tu abbi fiducia, non dimenticare
quello che ti ho insegnato, crescendo capirai”.
Crescendo
capirai.
Stava
forse capendo? Non era
forse cresciuta abbastanza? Non passava giorno che non ci pensasse,
c’era un
che di misterioso nelle parole di Selene quella sera e lei ancora non
sapeva
cosa, anzi stava cominciando a dubitare perfino della loro
veridicità.
Tornò
alla realtà e a Manes,
che attendeva una risposta:
“No,
da quando abbiamo lasciato
Keruit non sono più tornata per vederla" fece una piccola
pausa.
"Sono
passati molti anni ma mi
piace pensare che sia ancora lì, al villaggio, seduta nella
sua stanza con il
latte vicino, circondata da bambini di tutte le età, pronti
a fare tesoro di
ogni più piccola parola che dice, che la assillano con
continue domande e richieste
e a cui lei dona sempre una carezza e una storia.
Ma
tornerò
un
giorno, e
nonna Selene mi dirà: ah, mia piccola Nakia, riconoscerei i
tuoi occhi viola
ovunque, sei diventata grande. Vieni, siediti accanto a me, ho
un’ultima storia
da raccontarti.”
Non
piangeva spesso, ma Manes
aveva visto che i suoi occhi si erano fatti più lucidi,
aveva amato quella
donna come una seconda madre, come fosse la vera nonna, e
più il tempo passava
più sentiva la sua mancanza.
La
fissava, non era sua
intenzione farle pensare a qualcosa che la rattristasse, non sopportava
di
vedere l’opaco velo grigio delle lacrime coprire quel viola:
non erano due
colori che stavano bene insieme, non se si trattava del viola di Nakia.
Sorrise,
e lei fece lo stesso,
era un momento di debolezza, nulla di più, presto i suoi
occhi avrebbero
ingoiato quel velo grigio, celando ogni traccia di
quell’istante di smarrimento
e insicurezza, e il suo viso sarebbe tornato a brillare del coraggio e
della fierezza
che la contraddistinguevano.
“Sono
sicuro che è ancora lì,
e ti aspetta. E magari un giorno me la presenterai, così
potrai dirle quanto
sia meno bravo di te ad ascoltare le sue storie”.
“Ah
ah, non è vero, sei un
ascoltatore modello, sapessi tutto il chiasso che facevano i bambini
nella
casetta di nonna Lene, tu in confronto sei perfetto davvero: non
interrompi,
non ti distrai, non ti agiti…”
Fece
una pausa, guardava di
nuovo nel vuoto, cercando di mettere a fuoco l’orizzonte, di
distinguere ciò
che c’era fra la striscia bruna della sabbia e
l’azzurro del cielo del primo pomeriggio.
Nulla,
riusciva solo a vedere
quella sorta di nebbia ondulata che fonde e allo stesso tempo separa i
due
colori nelle ore più calde del giorno, tutto intorno era
silenzioso, solo lei e
Manes, sul tetto di una casa vuota, ai margini di Tebe.
“Le piaceresti
sai? “
riprese “ ti adotterebbe subito come nipotino”.
“Promettimi
che quando sarò pronta a tornare da Lene, tu verrai con
me” il suo tono era
serio, quasi eccessivamente, certo per via del grande affetto e
rispetto che
Nakia provava per la donna ma c’era anche
dell’altro, Manes la conosceva troppo
bene per non intuirlo, e poi perché aveva detto
<< quando sarò
pronta >>? Cosa spaventava la ragazza dagli occhi viola?
“Ma
certo, te lo prometto”, disse reprimendo quei pensieri.
“Devo dire che
sono talmente tanti anni che mi
parli dei suoi insegnamenti, che sono proprio curioso di conoscerla di
persona,
e poi sai che non ti lascerei fare da sola un viaggio così
lungo.
È
un
periodo pericoloso per stare da soli”.
Nakia
cambiò di colpo espressione, abbandonando tutte le sue
fantasie e i suoi
ricordi per concentrarsi sulle ultime parole di Manes, allarmata:
“Che
intendi dire con questo?
Cosa
hai sentito a palazzo?” Lo interruppe prima che potesse
continuare. Accidenti,
forse non era il
caso di rivelarle adesso quello che oltretutto non avrebbe dovuto
sapere
neanche lui.
Dalla curiosità
di Nakia non si scappava,
sapeva che non era una frase buttata lì a caso e aveva
già indovinato qual’era
la fonte: ogni volta che si trattava di cose sentite a palazzo la
ragazza era
avida di sapere.
Avere
un amico altolocato si rivelava utile molte volte: Manes infatti non
era un
semplice frequentatore del palazzo reale, era l’unico figlio
del faraone.
Un
figlio di faraone nato in un piccolo
villaggio, lontano dalla capitale, negli anni difficili del dominio
persiano di
Achemene.
Non
era prudente per un giovane principe
andarsene in giro a declamare i propri nobili natali in quei tempi, per
questo
i suoi genitori avevano convenuto che restasse all’oscuro
della sua vera
identità, almeno finché la situazione non fosse
migliorata. Così nei primi anni
della sua vita era cresciuto in città come un semplice
bambino, ignaro delle
sue origini.
Per
loro non era stato facile mettere da parte
il proprio orgoglio e vivere da semplici sudditi, di un sovrano
straniero per
giunta, ma questo aveva consentito a Manes di trascorrere quegli anni
tra la
gente comune come un bambino comune. Ciò aveva segnato il
carattere del giovane
principe: anche una volta scoperta la verità, con l'ascesa
al trono del padre,
non era riuscito a sentirsi in nessun modo superiore ai suoi vecchi
amici, meno
di tutti a Nakia, anzi, spesso tra i due i ruoli si invertivano: la
maestrina
dagli occhi viola era sempre un passo avanti a lui.
Forse
erano stati proprio i suoi
insegnamenti dal sapore greco e filosofico a fargli dimenticare che un
giorno
avrebbe rappresentato gli dei in terra e guidato il popolo
d’Egitto, lo aveva
influenzato ed educato in questo senso al punto che ormai aveva smesso
di
prendere sul serio tutto ciò che gli veniva insegnato di
tradizionale dai suoi
precettori ufficiali.
Ciò
che diceva Nakia gli sembrava sempre
più sensato delle vecchie favole sul potere divino del
faraone, certo non fino
al punto da dubitare dell’esistenza degli dei e del valore
della figura di suo
padre, dopotutto neanche Nakia sembrava avere seri dubbi su questo
punto, però
sapeva anche molte altre cose e non esitava a mettere sempre in
discussione la
tradizione per capire la verità.
Manes
la vedeva come una sorta di meta,
doveva diventare come lei perché prima di diventare re
doveva riuscire ad avere
quelle qualità che Nakia possedeva in abbondanza. Sentiva
che era l’unica
persona che lo superava davvero, in determinazione, coraggio, sapere
… era
forse per questo che erano diventati amici? Il loro rapporto era una
sfida
continua? Non ne era sicuro, magari all’inizio era stato
così, ma poi aveva
smesso di tentare di superarla, l’avere al suo fianco
qualcuno migliore di lui
lo faceva restare coi piedi per terra, e poi adorava la sua compagnia,
stare
con lei, ad ascoltarla anche per ore…
Ore?
Ecco la scusa perfetta: era
tardi! Stava già per rassegnarsi a riferirle quelle poche
misteriose frasi che
aveva origliato, che si ricordò dei suoi doveri: le lezioni.
“Nakia,
si tratta di una
faccenda molto strana, che non conosco fino in fondo nemmeno io. Ora
è troppo
tardi per parlarne bene. Facciamo così: cercherò
di scoprire di più per la
prossima volta che ci incontriamo, ora devo proprio andare dai miei
maestri o
si insospettiranno”.
Era
lampante: se la stava
svignando di proposito con quattro frasi buttate a caso. Ma allo stesso
tempo
si fidava di lui e sapeva che se non le rivelava ora quello che sapeva,
era
perché non era davvero il momento opportuno. Dopotutto il
fatto del ritardo
poteva non essere completamente falso: un principe ha un sacco di
impegni e
doveri, quindi per questa volta si arrese subito, non che le andasse
molto a
genio dover aspettare qualche tempo prima di sapere questo segreto, ma
non
c’era altra scelta.
“D’accordo”
disse poco
convinta.
“Ci
rivedremo domani però e
voglio che tu mi dica tutto quello che sai. Voglio aiutarti se da come
ho
capito si tratta di una faccenda così seria …
perché è seria
non è vero?”
Annuì.
La guardò fisso con i
suoi occhi blu profondo: “ti prometto che non ti
nasconderò mai niente.
Domani
saprai tutto quello che
so”.
“Ci
vediamo domani alla
seconda ora della notte allora, ti aspetterò di nuovo
qui.”
Le
carezzò velocemente i capelli,
come avrebbe fatto un fratello affettuoso, e scappò via.
Nakia
guardò Manes che
scendeva agilmente dal tetto, continuò a seguirlo pensosa
con lo sguardo,
immobile, finché non divenne un puntino nero sulla lunga
strada principale
della città che cominciava alle sue spalle.
Non
avrebbe avuto problemi:
anche questa volta erano stati prudenti, avevano sfruttato le ore di
riposo
della giornata e nessuno li aveva visti insieme, e anche se fosse non
li
avrebbero riconosciuti scorgendoli da lontano sul tetto di una vecchia
casa. Ma
questa era normale routine, ormai non si preoccupava più da
tempo del fatto che
si venisse a sapere dei loro incontri: in tanti anni non era mai
successo,
figuriamoci se sarebbe venuto a galla quella volta.
No,
in realtà ciò che la preoccupava
erano le parole di Manes, quel fare sospetto e misterioso che aveva
turbato
l’ultima parte della loro conversazione, quel fantomatico
pericolo che sembrava
così serio e allo stesso tempo così assurdo. Cosa
mai poteva succedere ancora:
la pace era finalmente tornata in Egitto no? Dopo anni di dominazione
straniera
ora era stata restaurata la vecchia dinastia, suo padre finalmente
regnava: cosa
preoccupava Manes?
άστερες
μέν αμϕί
κάλαν
σελάνναν
“Datemi
una risposta:
che
significa?”
Lo
sguardo fisso verso il cielo, intento nell'impossibile impresa di
scorgere i misteriosi puntini splendendi che impreziosiscono e donano
luce allo scuro velo della notte. Ma ora era pieno giorno, ancora
presto per le stelle. Nakia però sentiva,
sapeva che loro erano sempre lì, anche quando non si
vedevano, e
per lei dunque
l’orario non faceva differenza. Ripensare alle stelle
l’aveva già riportata nel
suo mondo, nelle sue domande e nei suoi ragionamenti.
“Non
sarete mica offese perché vi ho dato delle vigliacche
vero?” pensava “dopotutto ho sempre detto che le
vigliacche erano le stelle della
poesia, non tutte quante, e poi ora credo che Manes abbia ragione: non
penso
più che siate delle codarde. Forse…
chissà, magari non l’ho mai pensato
davvero, magari era solo..”
non
sapeva fino a che punto credesse davvero in quello che
stava per mormorare:
“
…una riflessione inutile come tutte le altre. Tanto per
passare il tempo”.
Dopo
tutti quegli anni senza una risposta si sentiva più
sconfortata giorno dopo giorno, ma doveva andare avanti: non si poteva
vivere
di ricordi e fiabe per tutta la vita no? Eppure non riusciva a fare a
meno di
fantasticare e pensare alle stelle, sentiva come se… se
facessero parte di lei,
da sempre.
Fece
una pausa.
Aspirò
profondamente e si mise ad ascoltare il caldo vento di
Akhet che agitava i granelli di sabbia.
Salve, vi ho fatto attendere per questo capitoletto eh? direte: ma mi aspettavo almeno una lunghezza da Divina Commedia, invece è più corto del precedente! Sì, avete ragione, il fatto è che ho tagliato tutta una parte perchè come ho già accennato ho deciso di cambiare un po' la trama, però vi assicuro che mi ci sono impegnata ugualmente, tanto tempo.
Ma veniamo al capitolo in sè: Manes è il protagonista assoluto di queste righe, righe in cui accenno ad altri due personaggi e vi pongo un enigmatico scambio di battute fra i due. Il nostro principe sembra aver capito cosa vogliono dire: e voi? Se avete ipotesi sul significato delle loro parole fatemelo sapere che sono curiosa ^^ (mio fratello ad esempio si è rifiutato di pensarci...).
Allora buona lettura, spero vi piaccia e mi raccomando: recensite, spero di poter aggiornare tra una settimana stavolta.
capitolo3
3
“Quello
che mi dici è
grave”, la voce solenne anche se acuta del faraone era appena
percettibile
nell’ampio cortile colonnato del palazzo di Tebe
“Molto
grave” ripeté
con tono ancora più basso e severo.
“Se
si trattasse di semplici coincidenze o
superstizioni non avrei ardito scomodare la tua mente con delle
sciocche
favole, o mio re.
Purtroppo sta accadendo davvero”.
Un
uomo sulla
cinquantina seguiva il sovrano guardando con umiltà (o forse
rassegnazione?) il
pavimento di pietra bruna, rispettando l’andatura composta e
lenta di colui che
lo precedeva. Parlava dosando le sue parole conlucidità
ma anche lui
molto flebilmente: orecchie indiscrete non dovevano udire la loro
conversazione.
Eppure
le paia di orecchie
drizzate in quel momento non erano due come auspicato. Un
certo principe in
anticipo sulle sue lezioni, che si apprestava a fare quattro passi nel
giardino, a riflettere filosoficamente sotto il suo amato salice, aveva
scelto
quello stesso corridoio come strada: l’alto tetto e le grandi
colonne offrivano
riparo e fresco dal caldo umido del primo mattino.
Riconobbe
subito
l’andatura del padre e del suo visir Edfu, ma invece di
raggiungerli e
salutarli con garbo prima di proseguire per la sua strada, decise di
fermarsi a
fare qualcosa che non normalmente non avrebbemaifatto :
origliare.
Era strano infatti che parlassero di cose così importanti da
necessitare un
tono di voce basso, in un luogo diverso dalle stanze del faraone.
“Speravo
che dopo tutti
questi anni avesse dimenticato.
Che
si fosse
accontentata”proseguì
il re. “Quante
persone hai detto?”
“Otto,
o sire”
“La
giustizia…” mormorò
fra i denti il sovrano.“Ne
mancano quattro,
sai chi”
“Lo
immagino” fece il
visir cupo.
“Ma
non fallirò:
sono un dio, io sono Horus ormai, sono Aton il sole e non temo la notte
nè i
suoi signori!
Io
la ritroverò in tempo!”
La
voce di suo padre si
era infiammata all’improvviso: cosa stava succedendo? Chi
erano quegli 8? Chi
andava ritrovata?
<<
Domani saprai
tutto quello che so >>
Quante
erano più o
meno? 36 ore? Aveva 36 ore per scoprire i segreti di quella oscura
conversazione. 36 ore per scoprire la verità, o parte di
essa, e riferirla a
Nakia.
E
poi? Non
sapeva di quale
verità si trattasse, non ne aveva idea, ma sentiva il
pericolo e il mistero
delle parole del padre. Aveva
cercato di
dimenticare quella strana conversazione mattutina col visir ma era
bastato un
niente per farla tornare a galla parlando con la ragazza.
“Riflettiamo”
si disse.
“E'
accaduto un fatto
grave, di cui nessuno deve venire a conoscenza, altrimenti non si
spiegherebbe
tanta segretezza e affermazioni così allusive”
cercava di ricordare ogni
singola frase del discorso udito quella mattina
“Una
certa <<
Lei >> non ha dimenticato qualcosa, come invece
mio padre sperava.
Poi si è rivolto a Edfu e ha detto << quante
persone? >>. lui ha
risposto 8 e mio padre ha commentato << la
giustizia… >>. Forse
perché questi 8 non hanno rispettato la giustizia? Sono
abbastanza sicuro che
si tratti di un affare recente e inoltre sanno già chi
saranno i prossimi 4
bersagli e che saranno gli ultimi. <<
Non temo la
notte nè i suoi signori >>, <<
la ritroverò in tempo >>… forse
intende ritrovare questa lei per placare i signori della
notte? E
chi mai sarebbero?
Chi può temere un faraone? Poi
però ha detto anche
<< purtroppo lei non ha dimenticato >>.
Dunque << Lei
>> prova rancore? È malvagia?
Perché doveva accontentarsi?...”
Rimuginò
su quella
conversazione sibillina per buona parte delle 36 ore, non riuscendo mai
a
ricavarne una soluzione o un’ipotesi soddisfacente.
Sembravano, a suo parere,
frasi totalmente sconnesse tra loro, ma non legate a un avvenimento
così grave
all’apparenza: forse suo padre e il visir si erano parlati
usando un codice?
Era a quello che servivano i numeri? Ma
scartò anche
quell'idea: l'uso di un codice segreto non spiegava
assolutamente l'improvvisa
collera del padre.
C’era
una frase in
particolare poi, che mandava all’aria tutte le sue congetture
ogni volta che la
riesaminava: << speravo che dopo tutti questi anni avesse
dimenticato.
Che si fosse accontentata>>.
Non
riusciva a darle un
senso, non in rapporto all’intera conversazione. La sua
ipotesi più salda, o
forse sarebbe meglio dire meno incerta, era che la << Lei
>> che il
padre doveva ritrovare fosse la stessa che non aveva dimenticato. Ma
allora
perché quella da ritrovare sembrava fosse legata a qualcosa
di positivo e l’altra
a un che
di negativo?
Odiava
ammetterlo ma
non ci si raccapezzava più, era costretto a sottoporre il
problema a qualcun
altro per cavarci fuori una minima idea, e quel qualcun altro non
poteva essere
che lei.
“Dannazione!”
esclamò seccato
“Possibile
che da solo
non riesca mai a fare niente?!”
Odiava
dover dipendere
dagli altri, aveva un bel caratterino non c’è che
dire: orgoglioso, cocciuto,
determinato… anche se ormai non si sentiva più in
sfida con Nakia,l’idea
di doversi
affidare a lei per risolvere i suoi problemi non gli piaceva affatto.
Lui era
indipendente. Voleva dimostrarle di essere in grado di ragionare, di
essere scaltro, di essere come lei, la sua meta.
Si
calmò un
attimo. Era nella sua stanza, illuminato dalla luce rossa del tramonto
che
ormai giungeva alla fine, presto sarebbero sorte le stelle. No,
ecco cosa non
andava. Non era quello il posto giusto per pensare.
Si
precipitò lungo gli
immensi e scuri colonnati, corse fino alla parte più amena
del palazzo, salì le
lunghe rampe di scale, in fretta, come se la soluzione lo attendesse
lì e
stesse per fuggire, come il sole che proprio ora si trovava appena
sopra la
linea dell’orizzonte. Non sapeva neanche lui il motivo di
tutta quella fretta,
forse semplicemente aveva voglia di muoversi dopo tutto quel tempo
passato
seduto ad arrovellarsi.
La
luce rossa lo
avvolse all'improvviso, dopo tutto quel correre nella penombra.. Si
arrestò, sulla
soglia di un piccolo spazio aperto, un giardinetto di modeste
dimensioni,
soprattutto se rapportato a quelle degli altri cortili del palazzo,
quasi del
tutto spoglio: era il suo giardino, nessuno ci andava mai oltre a lui,
l'unico
a trovarlo bello e speciale nella sua semplicità. Un
grande salice era
proprio nel mezzo, con i suoi rami flosci che pendevano verso terra,
sempre più
giù a ogni anno che passava, da lì si godeva di
un grande, incredibile panorama
sul deserto. Il cortile infatti era all’estremità
dell’ala più esterna del
palazzo, quasi fuori città, ed era sopraelevato proprio come
i terrazzi delle
case di Tebe.
Ansimando
ancora un po’
per la corsa, Manes mutò improvvisamente stato e si
avviò a passi lenti, come
avesse paura di deturpare la pace di quel piccolo luogo, verso il
sottile
parapetto di mattoni rossi. Eccolo, il sole era di fronte a lui, che
dava gli
ultimi addii prima di sparire fino al mattino seguente, allungando la
sue calde
braccia verso tutte le creature della terra. Aton, che splende di luce
infinita
e inonda l'Egitto con il suo calore, donando la vita. Aton il disco
lucente,
Aton Ra, il dio sole.
Forse
era per questo che
aveva corso tanto, stava perdendo il suo appuntamento con il dio, con
il
creatore del mondo? Osservò
in silenzio il
disco rosso fuoco che emanava le sue ultime scintille, come un tizzone
che pian
piano si spegne ma è ancora in grado di illuminare chi gli
è intorno, e sa che
se ravvivato da un po’ di legna potrà rinascere a
nuova vita. Così il sole
sarebbe rinato il giorno dopo, riportando la gioia di vivere nei cuori
della
gente del paese.
<<
Tutte le creature del mondo sono nelle tue
mani,
proprio come tu le hai fatte.
Con il tuo sorgere, esse vivono.
Con il tuo tramontare, esse muoiono. >>
All'improvviso
gli erano venuti in mente i versi dell’inno ad
Aton di re Amenothep.
Lo
trovava buffo: con Nakia parlava della notte e
delle stelle e da solo del giorno e del sole. Decisamente non sapeva da
che
parte stare. Sorrise:
ma bisognava proprio scegliere?
In momenti
come questi capiva quanto amava la sua terra, quanto le fosse legato.
La amava
di notte, quando la calma e il silenzio avvolgono ogni cosa e solo la
flebile
luce degli astri permette di distinguere la propria mano dal resto
nell'oscurità; la amava di giorno, quando sotto i caldi
raggi di Aton la
vitalità e la bellezza dell’Egitto e dei
suoi abitanti erano più tangibili, quando udiva le grida
della gente nei giorni
di mercato e le risate dei bambini, quando sentiva lo stormire degli uccelli che volavano
in cerchio lungo le
sponde del Nilo.
Era
in momenti come questi che pensava al suo futuro,
anche se non riusciva a immaginarsi faraone.
Non ancora.
Rivolse
di nuovo il pensiero al misterioso scambio di
battute di quella mattina. No, se non riusciva a risolvere problemi
così
piccoli voleva dire che non era pronto. Strinse
gli occhi blu un po’ amaramente. Aton aveva
lasciato il cielo, rimanevano solo alcune nubi sparse qua e
là graffiate di rosa
e arancio.
Era
notte inoltrata quando finalmente decise di
alzarsi. Non che avesse ricavato molto anche da quelle ore passate
sotto il
vecchio salice, ma se non altro aveva pensato all’aria aperta. Si
era quasi rassegnato a dormirci su, aveva ancora
tempo prima del loro prossimo incontro, al limite, poteva
sempre
raccontarle semplicemente tutto ciò che aveva udito (per
paura di
alterarlo o
dimenticarlo lo aveva
addirittura scritto su un pezzo di papiro).
“Non
ti nasconderò mai niente, domani saprai tutto
quello che so”
"Per
quanto
poco possa essere..." mormorò deluso.
Stava
uscendo dal
giardino, si mise a pensare alle lezioni dell'indomani, per distrarsi
dalla
delusione personale di non aver cavato niente da una giornata intera di
lavoro
di meningi:
"Conosco
una certa
persona a cui piacerebbe l'argomento del giorno, filosofia pitagorica.
Con
tutti quei numeri, la loro simbologia..."
"Simbo,
logia...." ripetè lentamente. Un piccolo, timido sorriso
soddisfatto
cominciò pian piano a farsi spazio sul suo volto, facendosi
strada fra i due
angoli della bocca:
Salve,
per farmi
perdonare il vecchio ritardo pubblico un capitolo un po' più
lungo, l'ultimo
non è piaciuto troppo *lacrimuccia mentre guarda il numero
di visite* ma spero
che questo vada meglio, mi ci sono impegnata molto anche se
è un po' surreale.
Ebbene sì, la trama comincia a prendere una piega che
finalmente spiega il
genere "sovrannaturale" ma ovviamente non ancora del tutto, la
verità
sarà svelata un po' per volta... (spero che nel cercare di
celarla non sia
arrivata al punto che non si capisce niente XD).
Confermo
imperterrita i
titoli con la parola "stelle", ma stavolta c'entra davvero, non come
il cap.3 che più o meno ci stava... ma sì, magari
un po' tirato..., no: qui è
davvero la Stella della Sera al centro dell'attenzione. Non sapete di
cosa
parlo? Vi rovinerei la lettura con una spiegazione scientifica
sulla Stella della Sera, quindi vi rimando a piè
di pagina per le dovute note (in cui
finalmente mi decido anche a spiegare che vuol dire Akhet).
C'è anche un'altra
novità significativa nelle prossime righe: signore e
signori, accogliamo
l'altra protagonista della nostra storia, la bellissima, serafica,
adorabile
Najma!
Oh
mamma, e pensare che
non volevo neanche scrivere un'introduzione, chissà che noia
per chi legge...
vabbè comunque spero che la lettura sia piacevole, magari
perfino bella, e se vi
piace appunto, fatemelo sapere con una piccola recensione, mi aiuta
davvero a
capire cosa scrivere e modificare ^^
4
La giustizia, ecco cos’era quel numero. 8. Era il numero che
rappresentava la
giustizia!
Ora
aveva un punto da cui partire, qualcosa di certo
da riferire a Nakia e su cui poi basare le loro indagini.
Giustizia…
L’autore,
o più probabilmente l’autrice di quei misfatti
aveva certamente voluto mandare un messaggio al faraone ecco il
perché di quel
numero.
Giustizia…
Suo
padre aveva dunque compiuto ingiustizie? Si era
macchiato di delitti per meritarsi un avviso così chiaro da
una signora del
cielo?
Non
poteva crederci: il farone era la
giustizia, come poteva essersi comportato da criminale? E
ora veniva punito, tra breve altre 4 persone sarebbero state colpite.
12 in
totale.
Quel
numero però non gli faceva venire in mente nulla.
Forse
alle altre 4 sarebbe successo qualcosa solo se
il re non avesse rimediato al suo errore, ritrovando quella certa lei?
Ancora
una volta le domande tornarono ad affacciarsi
nella sua mente, affollandola di mille voci per nulla
all’unisono e tutte
rigorosamente discordanti: il mistero dell’8 era ormai stato
risolto, ne era
certo, ma questo non faceva che far nascere nuove domande e alimentare
nuove
congetture; di nuovo qualunque ragionamento e tentativo di venirne a
capo
sembrava tanto corretto quanto sbagliato.
Ora
basta però, era comunque riuscito a sistemare un
pezzo, piccolissimo, del puzzle di quell’enigmatica
conversazione, ora doveva
smetterla e concedersi un po’ di riposo, visto che era notte
fonda.
Mentre
si stava finalmente incamminando verso
l’interno del palazzo si voltò per dare
un’ultima occhiata al giardino e fu in
quel momento che all’improvviso lo vide.
Il
cielo color pece, ormai privo di luna e rischiarato
a sprazzi dalle microscopiche lucine delle stelle come tante lucciole
su un
telo buio, brillò per una frazione di secondo e subito dopo
fu attraversato da
una lunga coda rossastra, luminosissima ma allo stesso tempo tetra.
Un
guizzo, una scia luminosa. Un istante.
Quella
luce lo raggelò, lo lasciò sgomento e
inspiegabilmente
impaurito: era qualcosa di stranamente anomalo e percepì una
sensazione di pericolo
provenire da quella coda.
Velocissimo
il lampo aveva raggiunto terra. Udì un
rumore sordo, come di un tonfo, una caduta in lontananza. Qualunque
cosa fosse,
sembrava atterrato proprio all’interno delle mura del
palazzo.
Ma
davvero il rumore del tonfo era dovuto a qualcosa che
era atterrato?
Manes
aveva avuto una strana sensazione, era durato
tutto una frazione di secondo ma non era molto sicuro che qualcosa
fosse caduto
dal cielo in terra o che la luce si fosse mossa dall’alto
verso il basso,
nonostante quel rumore.
Aveva
piuttosto l’impressione che la scia fosse
partita dalla terra stessa, dal palazzo.
Senza
riflettere più di tanto si alzò e si
avviò a
passi veloci verso il luogo dell’accaduto, con sua grande
sorpresa si accorse
di starsi dirigendo verso gli appartamenti della famiglia reale. La sua
famiglia.
Aveva
un brutto presentimento. Preoccupato continuò ad
avanzare fra i corridoi deserti e silenziosi, affrettando il passo,
mosso
dall’istinto e dal flash che aveva in mente del luogo da cui
gli sembrava il
guizzo fosse partito.
Realizzò
presto qual’era il punto esatto.
Le
stanze di sua madre.
Ormai
correva, ansimando si precipitò sull’uscio ed
entrò
trafelato nella grande camera, e lì la vide.
I
suoi occhi zaffiro si pietrificarono. Ecco cos’era
quel tonfo.
Il
torace snello si alzava e si abbassava
regolarmente, saliva verso l’alto e poi riscendeva
lentamente, con calma, seguendo
il placido ritmo del respiro di chi gode il meritato riposo. La notte e
i suoi
sogni. Questo era stato ciò che Nakia aveva sperato prima di
andare a dormire,
i suoi ultimi pensieri. Sì, non aveva pensato di nuovo a
Selene e alle stelle,
era scossa ancora dalla brusca separazione di lei e Manes quel mattino
e aveva
passato la giornata a pensare cosa potesse mai essere successo, quali
erano i
pericoli che non rendevano il loro periodo “buono
per stare da soli”, non
sapeva certo
che anche il ragazzo era stato tormentato tutto il giorno dallo stesso
interrogativo, con l’unica differenza che aveva degli indizi
in più, dei mattoncini
piccoli e fragili ma con cui poter incominciare a costruire le sue
ipotesi.
Lei
non ne aveva, aveva solo lo sguardo di Manes fisso
in testa: quegli occhi blu profondo che si erano discostati dai suoi
color
ametista per l’attimo di una frase, che preoccupati si erano
diretti lontano,
oltre le dune di sabbia, forse alla ricerca di questo fantomatico
pericolo, e
si erano poi abbassati repentinamente prima di tornare a specchiarsi
nei suoi:
quale minaccia avevano visto? Un lampo di tensione li aveva
attraversati,
fulmineo, ma abbastanza intenso da farle capire la gravità
della situazione,
senza temere di sbagliare nel valutarla.
Aveva
pensato, fatto congetture, costruito castelli di
fantasiose idee, di assurde teorie. Del resto l’unica cosa
che poteva fare era
basarsi su quello sguardo e tenere presente tutto ciò che
Manes avrebbe potuto
temere, e soprattutto temere che accadesse a lei.
Temeva
per lei, che pensiero dolce le era sembrato. Non
ci aveva mai riflettuto più di tanto, era troppo presa dagli
astri, troppo
egoisticamente raccolta nelle sue riflessioni esistenziali sul cielo,
nei suoi
dialoghi mistici con le stelle, per accorgersi di quanto in
realtà fosse
egocentrica, superba perfino, no, ecco: saccente. E infatti non aveva
molti
amici, era un tipo un po’ solitario, sempre sulle sue,
costantemente perso nel
suo piccolo mondo di cui solo lei possedeva la chiave, chiave che
prestava di
rado e che non avrebbe mai donato a nessuno… o forse
sì? A una persona… in
effetti l’aveva già donata. Manes era sempre
lì, a farle compagnia in quel suo universo
parallelo, ad ascoltarla nonostante i suoi difetti, a prestarle
attenzione,
anche se magari gli argomenti di cui parlava non erano poi
così interessanti e
tendevano a ripetersi. Sì, era davvero un comportamento
dolce.
Un
timido sorriso affossò uno degli angoli della bocca
nella guancia dorata. Possibile che riuscisse a riflettere anche mentre
dormiva?
Notte
fonda, il vento di Akhet ulula malinconico, un
triste lamento che sembra voler richiamare anime disperate e raminghe
nella
cupa speranza di portarle via con sé in un posto migliore, o
semplicemente
diverso, offrendo loro l’opportunità di vagare
proprio come lui, di paese in
paese, senza sosta, senza speranza. Queste erano le favole che le nonne
o le
sorelle maggiori raccontavano per costringere i bambini ad andare a
letto: il
terribile Vento degli Spiriti, il rapitore delle anime.
Anche
in quella notte apparentemente normalissima,
Akhet aveva inviato il suo messaggero notturno preferito: un vento
fresco, che
trascinando con sé non anime o spiriti raminghi
bensì granelli di sabbia rossa,
foglie e batuffoli di polvere, li gettava con delicatezza contro gli
usci delle
case, i muri, le tende, compiendo placidamente il consueto giro della
città
deserta.
Bussò
anche alla porta di Nakia, che sognava
dolcemente nella sua piccola casa, avvolta in un leggero lenzuolo di
lino.
Qui
però si trasformò: divenne davvero il Vento degli
Spiriti, ululò, bussò con insistenza e infine
irruppe nella stanza spalancando
la porta. Nakia si voltò verso l’uscio quasi
scardinato ma non aveva neanche
sussultato. Non aveva paura del vento di Akhet, non di questo
vento.
Inaspettatamente
al di là della soglia di casa non vide
la stradina di ghiaia o le abitazioni dei suoi vicini, anche
l’oscurità della
notte era sparita: davanti a lei c’era una luce fortissima,
pura e candida come
il sole del primo mattino, che rende il cielo quasi bianco per quanto
splende.
Sentiva delle voci, strane voci di cui non avrebbe saputo identificare
i proprietari:
donne? Uomini? Bambini? Bambine? Erano … non sapeva bene
come fossero, ma provava
in lei una strana sensazione: ogni giorno provava sempre un senso di
smarrimento ed era arrivata a convincersi che le mancasse qualcosa, e
ora invece
si sentiva… completa,
quel qualcosa
era lì, anche se non sapeva come. Sentiva anche di potersi
fidare di quelle
voci, le trasmettevano un senso di sicurezza, di pace. Ora le udiva
più
distintamente, erano almeno due, limpide e cristalline come rugiada,
una più
grave dell’altra, e discutevano, ma non capiva le parole. Poi
tacquero, le
parve che dalla grande luce, che ora aveva avvolto del tutto la stanza
dandole
l’impressione di stare fluttuando in un mare bianco, si
muovessero delle
figure, che si avvicinassero a lei. Si sentì felice,
soprattutto nel vedersi
avvicinare una delle due, più piccola, simile, per quanto
riuscisse a capire, a
lei. La felicità si interruppe per un attimo, un bagliore
rosso si avvicinò
alla figura più grande, in un istante si
trasformò in una terza entità che si
allontanò, avvicinandosi ad altre otto del tutto simili che
Nakia prima non
aveva notato. Si accorse poi all’improvviso che non aveva un
corpo: era anche
lei una strana figura, quasi una persona trasparente, ma molto meno
luminosa
delle altre che le stavano vicino. Non per questo però si
spaventò. Si sentiva
a suo agio, almeno fino a quando la presenza più piccola le
stava vicino, non
sapeva spiegarselo ma era rassicurante. Allungò una mano
opalescente e la
sfiorò. In quell’istante si sentì come
se avesse trovato il pezzo mancante
della sua persona, quello che la faceva sentire incompleta.
“Chi
sei?” le disse.
La
figura sorrise, si era fatta più nitida, ora era
anche lei un corpo trasparente come Nakia, sebbene più
luminoso. Le
assomigliava davvero, la ragazza ebbe l’impressione di
guardare il suo riflesso
nel vetro.
Le
prese le mani con affetto, dando a Nakia
l’impressione di una vecchia amica che commossa riabbraccia
una persona cara
dopo una lunghissima lontananza. Sì, il tono con cui rispose
era proprio
commosso, affettuoso, eppure allo stesso tempo velato da rassegnazione
e tristezza:
“Io
sono Najma”.
Nakia
si accorse all’improvviso che Najma aveva una
caratteristica che la lasciò senza parole: due splendenti e
vividi occhi viola,
proprio come i suoi.
Guardare
quel volto uguale al suo era come specchiarsi
nell’acqua, nonostante continuasse a essere a suo agio la
ragazza cominciò a
sentirsi sempre piùstupita,
incredula:
tutto ciò era incredibile, nel vero senso della parola.
Najma
si accorse subito della meraviglia dipinta sul
volto di Nakia. I suoi occhi ametista erano fissi, pieni di dolcezza e
nostalgia, in quelli dell’altra. Quanto avrebbe voluto
rivelarle ogni cosa: la
loro nascita, il mistero di quel colore viola, Selene, il profondo
affetto che
provava per lei… voleva aiutarla svelandole la
verità, ma non poteva. Non era
compito suo, sebbene avesse sperato e pregato perché lo
fosse. Ma poteva ancora
esserle d’aiuto, era lì per questo, aveva comunque
ottenuto un piccolo ma
importante ruolo nella commedia del destino.
“Io
non permetterò che
le accada del male. Non porterai via anche lei, come hai fatto con
me”.
“Sai
di non stare
dicendo la verità. I patti che gli uomini decidono di
stringere con me
prescindono dalla mia volontà, non ne sono responsabile:
né del tuo destino né
di quello della ragazza.
Ormai
il cerchio è
stato tracciato, non si torna indietro, lo sai bene.
L’accordo stretto con
quell’uomo mi dà il diritto di richiamarla a me,
mi impone di farlo.”
“No,
tu puoi
farne a
meno. Come puoi accettarla e consegnare il potere nelle mani indegne di
un uomo
simile? Come puoi farlo a un simile prezzo?”
“Il
prezzo da pagare è
uguale per tutti, da sempre.”
“Ma
questa volta non
devi accettarlo, Espero*: io non te lo permetterò. Anche se
hai preso me non
porterete a termine quanto cominciato. C’è un modo per salvarlae nonmi
importa se richiede il sacrificio di altre
12 anime. Io non la abbandonerò!”
“A
chi io ceda il
potere mi è irrilevante, non mi riguarda. Che siano 12 anime
o solo la sua, il
patto va rispettato. Sarà il tempo a decidere la sorte
dell’altra tua anima: se
dovrà cessare di nascondersi o se continuerà a
vivere in quel mondo”.
“Io
però non me ne starò
con te a guardare indifferente che il suo amaro destino giunga a
compimento. Ho
già agito in modo che potesse salvarsi: le ho fatto
incontrare colei che dovrei
odiare, la vecchia. E ora porterò a termine il compito che
mi sono data:
l’avvertirò, le dirò tutto, non la
troveranno.
Nakia
non morirà!”
La
voce di Najma tremò
per la violenza con cui aveva proferito quelle ultime parole. Le sue abituali
riflessività e saggezza erano
venute meno per un attimo, avevano ceduto il posto alle emozioni e al
ricordo.
Era salda nella sua decisione, risoluta e pronta a qualunque cosa per
salvare
la ragazza dagli occhi viola.
“Tu
non le dirai
tutto!” ora Espero stava perdendo la pazienza, non tollerava
domande e
obiezioni: tutti dovevano seguire il proprio destino, il cammino
già tracciato
per loro da qualcun altro, non era possibile, non era lecito
interferire e
opporsi. “Puoi solo metterla in guardia su quale sia la sua
sorte, solo questo
ti concedo”.
Prima
che Najma potesse pronunciarsi di nuovo, Nakia,
in cui la curiosità aveva ormai vinto quello stupore che
l’aveva lasciata
attonita per un momento, le rivolse la parola
“Che
cosa sei?”
Si
sentiva un po’ in imbarazzo a fare una domanda del
genere, davvero inusuale, ma voleva delle risposte: era tutto
così strano, e di
Najma si poteva fidare ciecamente, lo sentiva.
L’altra
inclinò la testa luminescente di lato, con
malinconia, continuava a tenerle salde le mani, non riusciva a credere
che
fossero insieme, di nuovo.
“Cosa
ero, non
posso dirtelo, lo scoprirai col tempo. Cosa invece sono
ora, se è questo che ti preme sapere, invece posso
rivelartelo.
Ormai io sono…una stella.Uno dei raggi
della stella della sera”
“Espero!”
“Hmm”
annuì la stella.
“Sei
uno dei raggi di Espero?! È lei allora, quella
figura maestosa dietro di te”
Najma
annuì di nuovo. Nakia era sempre più incredula
ma soddisfatta almeno di aver ottenuto una risposta, seppur
così assurda.
“Vieni
con me” le disse l’altra gravemente.
Nakia
aprì gli occhi. Era nella sua casa, avvolta nel
suo lenzuolo, tutto intorno a lei era buio e muto, perfettamente
conforme a una
tipica notte fonda. La porta era al suo posto come se il Vento degli
Spiriti di
Akhet non l’avesse mai toccata.
Aveva
sognato, non c’era altra spiegazione. Era un po’
delusa.
Però,
che sogno strano, pensava, riusciva ricordarsi
nitidamente ogni particolare: il dialogo con Najma, le sue emozioni, le
sue
sensazioni, la luce, Espero.
Si
alzò lentamente, non sapeva quanto tempo avesse
dormito: poche ore? tutta la notte? ignorava infatti che ora fosse e
quanto
mancasse all’alba. Ma non aveva più sonno, dopo un
sogno simile non sarebbe mai
riuscita a riaddormentarsi. A passipesanti si avviò verso le piccole scale, le
salì con lentezza,
appoggiando la mano destra sul fresco muro; si sentiva come guidata da
qualcosa, attirata verso la terrazza. Doveva vedere le stelle.
Eccola,
proprio come si aspettava, Espero era lì, più
luminosa che mai.
Nakia
si mise a rimirarla, con l’animo di chi attende
qualcosa.
“Vieni
con me”
Una
voce. La chiamavano. Era Najma! Non c’erano dubbi.
Ma dov’era? Possibile che fosse davvero una stella, che la
stesse chiamando uno
dei raggi di Espero? Dunque non era stato solo un sogno…
Nakia non riusciva a
crederci e si convinse di aver avuto un’allucinazione,
continuò a fissare
l’astro nella speranza di chiarire i suoi dubbi.
Espero
brillava, luccicava di una luce tremolante,
emanando tanti minuscoli raggi che sembravano circondarla come una
corona: si
allungavano e si accorciavano impercettibilmente, in continuazione,
rivaleggiando l’un l’altro in lunghezza per brevi
istanti, riprendendo poi la
posizione iniziale per far posto agli altri. Uno era un po’
più lungo dei suoi
compagni, ma la ragazza non ci fece caso, le sembrava normale che i
guizzi
della stella avessero lunghezza irregolare. Il raggio però
non tornò al punto
di partenza dopo un istante, continuava ad allungarsi diventando sempre
più
visibile così luminoso contro il cielo buio.
Si
stropicciò gli occhi, doveva essere sicura di cosa
stesse succedendo, prima di cominciare a fantasticare e illudersi
doveva avere
la certezza che non fosse solo un’ impressione: aveva
aspettato 13 anni un
segno dalle stelle e ora… ora finalmente era arrivato.
Le
provò tutte: pizzicotti, secondi passati con gli
occhi chiusi e poi riaperti, passeggiate nervose con la testa bassa per
poi
tornare a voltarsi verso il cielo: non era un’illusione.
Sì,
era lì! Si sentì finalmente felice, ma poi
cominciò a pensare che forse non ne aveva motivo, che stava
sbagliando
atteggiamento. Magari le stelle dovevano comunicarle qualcosa di
doloroso e in
tal caso gioire sarebbe stata l’ultima delle cose da fare.
Riprese il controllo
di sé e aspettò. Il sottile raggio ora era
davvero lungo, sembrava una stella
cadente, ma molto più lenta nel precipitare. Nakia
capì che era Najma e che le
stava indicando un percorso.
“Magari
mi vuole portare da nonna Lene, forse è
finalmente giunto il momento”
La
situazione era davvero surreale e vagamente
inquietante, ma Nakia non poteva fare a meno di sentirsi trepidante e
in preda
a una sorta di frenetica impazienza, si sentiva proprio una bambina, la
stessa
bambina che anni prima a Keruit era conosciuta per essere la persona
più
ostinata e pedante del villaggio, di cui nessuno avrebbe mai potuto
liberarsi
se non soddisfacendone la curiosità.
Trovarsi
in mezzo a un’avventura simile la emozionava
ma poi si ricordò delle parole di Najma, pronunciate in modo
così triste e
malinconico: stando a quei toni le stelle dovevano davvero rivelarle
qualcosa
di doloroso, non c’era proprio nulla da festeggiare.
“Stupida” sussurrò a sé
stessa.
Il
filamento luminoso ormai era così vicino al suolo
che si poteva capire quale direzione volesse indicare. Nakia
constatò non senza
preoccupazione qual’era: il palazzo reale.
“Manes”
sussurrò fra l’angoscia e la sorpresa.
Scese
di corsa le scale di legno, prese un mantello
scuro per ripararsi dal vento e corse via a più non posso
verso le mura del
palazzo. La sua casa era piuttosto lontana da quel luogo ma questo non
l’avrebbe fermata di certo: aveva un brutto presentimento
ormai, Manes non
doveva entrare in questa storia se davvero poteva rivelarsi pericolosa.
Ansimava
mentre a passi grandi e veloci percorreva le
strette stradine della Tebe di periferia, mentre a ogni vicolo e a ogni
angolo
rischiava di perdere l’equilibrio talmente svoltava
velocemente. Non sapeva che
anche stavolta Manes aveva compiuto i suoi stessi gesti, correndo a
perdifiato
per i corridoi della sua casa fino alle stanze di sua madre.
Correva,
e mentre correva e il vento le tagliava il
viso come una lama affilata pensava, pensava a perché
correva così tanto, a
perché si sentisse così preoccupata di colpo e
apparentemente senza motivo, a
perché fra tutte le centinaia di persone che abitavano il
palazzo dovesse
accadere una qualche disgrazia proprio a Manes, a perché
Najma aveva deciso di
apparirle proprio quella sera e di indicarle proprio quel luogo e in
ultimo
pensava a una cosa fondamentale seppur puramente pratica: come avrebbe
fatto a
entrare nel palazzo? Gridando alle guardie che uno dei raggi di Espero
le aveva
detto di farsi un giro per le stanze della reggia? Che il figlio del
faraone e
lei si incontravano tutti i giorni e semplicemente aveva deciso di
venire a
trovarlo? Sì, proprio delle belle idee, occorreva un piano o
almeno uno
straccio di immaginazione per inventarsi una scusa plausibile, se solo
Manes
fosse stato lì con lei…
Mentre
pensava e correva, imboccò finalmente la strada
principale, una via lunga e ampia che portava diretti alla residenza
del
sovrano.
Rallentò
il passo, aveva il fiatone per la lunga corsa
notturna e dovette fermarsi un attimo e appoggiarsi a un muro per
riprendersi.
Prendendo grandi boccate d’aria fredda alzò gli
occhi al cielo, niente, per una
volta che sperava che le stelle la ignorassero erano lì, o
meglio, lei era lì:
Najma indicava proprio il palazzo, non c’erano dubbi, ma
perché, perché proprio
lì? Sospirò tra lo sconforto e la rassegnazione,
e si avviò a passi pesanti
verso le mura.
Non
sapeva che fare adesso: doveva entrare, di questo
era assolutamente certa, ma allo stesso tempo non aveva idea del come:
pochi
passi e si sarebbe ritrovata nella zona sorvegliata antistante alle
varie cinte
di mura e ci sarebbe voluto un miracolo per nasconderla.
Ma
se la necessità aguzza l’ingegno, il pensiero che
Manes potesse essere in pericolo era così terribile che
prese la sua decisione.
Dando sfogo a tutta la sua agilità, stabilì di
improvvisarsi ladra e cominciò a
salire abilmente lungo la parete di una delle ultime case della
città prima del
palazzo. Quando, non senza fatica, raggiunse finalmente il tetto, ai
suoi occhi
si presentò la reggia in tutta la sua mole: vista
dall’alto faceva certamente
un altro effetto, in quel momento realizzò chi era davvero
la persona che stava
cercando di aiutare, il figlio del faraone. Sì, come se le
importasse qualcosa:
il loro rapporto, la loro complicità veniva prima di tutto,
poi c’erano i
titoli e il resto, e sapeva che lo stesso valeva per lui, lui che era
stato
così dolce da preoccuparsi per lei, e lei che ora voleva e
doveva assolutamente
ricambiare, di qualunque cosa si trattasse.
Tre
cinte di mura, un ampio cortile, un grande
ingresso principale, probabilmente numerosi ingressi secondari, ma
soprattutto
guardie ovunque, a dozzine. Non era pratica di certe cose ma le
sembrò comunque
insolito, tutto sommato era un periodo di pace per l’Egitto,
che motivo aveva
il farone per accerchiarsi così di soldati? Maledizione,
come se non fosse
stato già abbastanza difficile da sé.
Continuò a osservare la scena per lunghi
secondi, ponderando diverse possibilità: sgattaiolare di
nascosto, avvolta nel
suo mantello e nel buio della notte, da un tetto all’altro,
fino all’angolo
meno sorvegliato della reggia e poi infiltrarsi, oppure farsi passare
per una
domestica o chissà cos’altro e cercare di
ingannare le guardie, addirittura
attendere l’alba per approfittare del momento in cui il
faraone porgeva i suoi
saluti al sole e in cui tutti erano distratti per intrufolarsi dentro.
Ma non
poteva attendere, doveva entrare adesso, quando glielo aveva detto
Najma. La
fortuna per un attimo fu dalla sua, le dozzine di guardie si erano
inspiegabilmente
come dileguate. Bene, si calò velocemente giù dal
tetto e corse più silenziosamente
che potè fino alla prima cinta di mura, attese
nell’ombra se veniva qualcuno e
quando il luogo intorno a lei sembrò sufficientemente
deserto si precipitò a
ridosso delle mura, col cuore in gola e le mani che sudavano freddo. Le
scavalcò faticosamente, noncurante delle escoriazioni sulle
gambe e i gomiti
che lo strusciare, a causa della fretta e dell’ansia, contro
le ruvide pareti le
provocavano, si calò dall’altro lato, fece un
piccolo balzo e fu dall’altra
parte, le gambe le tremavano per l’emozione e le dita
formicolavano, ma non
poteva permettersi di perdere la coscienza di sé, doveva
agire rapidamente e
lucidamente se voleva riuscire; miracolosamente scavalcò
senza essere notata
anche le altre due cinte, da qui in poi pensò, anche se
l’avessero trovata
poteva sempre dire di essere una residente della reggia, certo fornire
un nome
plausibile e dare una spiegazione per tutte quelle abrasioni e i
capelli ormai identici
a una criniera per quanto arruffati dal vento e dalla corsa, sarebbe
stato più
difficile.
Tirò
un sospiro di sollievo e si accasciò un attimo
alla parete, solo un attimo, un secondo di tregua, si sentiva davvero
esausta. Ansimava
ancora quando poco dopo si costrinse a rialzarsi: non poteva concedersi
pause
proprio ora. Najma ora sembrava dirigersi verso un’ala
particolare del palazzo,
le sembrò strano che nessuno si fosse ancora accorto di
quella presenza così
insolita nel cielo, forse la vedeva solo lei. Si rese poi finalmente
conto di grida,
che si erano susseguite incessanti da quando si era avvicinata al
perimetro
della reggia: urla, rumori, lamenti incessanti che sembravano
provenienti dl
luogo indicato da Najma.
Era
preoccupata ma doveva farsi forza e mantenersi
lucida, senza farsi agitare da quegli strilli, avanzò
velocemente fino all’ingresso
addossandosi a una delle enormi colonne del portico per celarsi alla
vista
delle guardie. Inaspettatamente nemmeno il portone era sorvegliato:
doveva
davvero essere successo qualcosa di grave per lasciare incustodito
anche l’ingresso
del palazzo, la causa delle grida, che non accennavano a smettere, era
davvero
importante. Ora che si era avvicinata le udiva più
distintamente, sembravano
lamenti e pianti disperati di donne, si udivano anche passi frenetici
come di
corse affannate, richiami. Non era il momento di indugiare, bisognava
approfittare della situazione: Nakia entrò cautamente
all’interno delle mura,
lì al chiuso vedere Najma era impossibile perciò
la ragazza decise di lasciarsi
guidare dalle voci e dal clamore, si sistemò anche, per
quanto poté: se l’avessero
trovata, un aspetto presentabile avrebbe reso più credibile
qualunque scusa inventata
sulla sua persona. A passi cadenzati e non privi di agitazione si
avvicinò via
via all’ala del palazzo da cui avevano origine le grida,
riusciva già a
distinguere qualche parola, più si avvicinava più
si accorgeva del grande via
vai di gente diretta in quel luogo, correvano tutti e tutti avevano
un’espressione
addolorata e angosciata, inutile dire che questo non la
sollevò affatto. Una di
quelle persone la urtò nella fretta e per poco Nakia non
cadde:
“Sbrigati!”
fece quello, “è morto uno della famiglia
reale e tu te ne stai qui a gingillarti per i corridoi: datti una
mossa!” e
scappò via senza neanche scusarsi.
Morto?
Quella parola le gelò il sangue, sbiancò
completamente e cominciò a sudare freddo, non sapeva se il
suo cuore volesse
cominciare a battere a mille o fermarsi. L’angoscia e lo
sconforto la presero
di colpo. Come morto? Chi era
morto? Nella
famiglia del faraone erano solo in tre: era molto alta la
possibilità che… no,
non osava neanche pensare o fare ipotesi, un’unica parola
rimbombava nella sua
mente: corri. Obbedì a quanto detto dall’individuo
di prima, si affrettò e si
precipitò nella direzione in cui era sparito. Non sapeva
cosa sperare: che
fosse morto il faraone? La madre di Manes? Come era brutto sperare
nella morte
degli altri… no, non voleva sentirla quella parola: morte.
Perché proprio morte?
C’entrava qualcosa Najma, Espero? Ma non aveva tempo per fare
congetture,
doveva trovarlo, vederlo, sapere che stava bene, che era vivo. Vivo.
Sì questa
parola le piaceva, voleva che fosse quella la parola giusta, doveva
esserlo.
Se
invece che farsi prendere dall’angoscia e dai suoi
pensieri, Nakia avesse ascoltato le conversazioni dei vari servi che
facevano
avanti e indietro per i corridoi, e che sapevano già
cos’era successo,
probabilmente si sarebbe tranquillizzata.
Ma
ora correva ancora: ma quanto era grande quel
maledetto palazzo? Il cuore era bloccato in gola da tempo ormai, i suoi
occhi viola
si erano come spenti, erano vuoti se non per quelle lacrime di cui
erano gonfi,
pronte a versarsi a ogni momento.
Le
grida di dolore, i pianti delle prefiche erano chiarissimi,
perfettamente udibili: era ormai arrivata; voltò un angolo e
senza neanche
rendersi conto di avere qualcuno davanti a sé, ne
urtò violentemente la schiena.
Cadde a terra, ma non le importava minimamente, stava già
rialzandosi pronta a
ripartire come una furia senza neanche scusarsi, quando i suoi occhi
viola sollevandosi
ne incrociarono un altro paio di un colore che conoscevano benissimo:
blu
scuro.
La
figura si era voltata di scatto non appena la
ragazza l’aveva colpita, era un ragazzo, un giovane uomo, dai
capelli
scurissimi e le mani forti. Il dolore che provava in quel momento
cedette il
passo per un istante alla meraviglia quando incrociò lo
sguardo di lei:
“Nakia?”
“che diavolo fa…?” non ebbe il tempo di
finire la sua frase che la ragazza gli si gettò al collo,
abbracciandolo con
forza. Singhiozzava: “Manes”.
Note:
Come
vi sembra? Spero
che il capitolo vi sia piaciuto ^^ ma ora cominciamo con le note:
Allora,
partiamo dai
termini egizi, Akhet è la prima delle tre stagioni dell'anno
egiziano, più o
meno coincide con la fine della nostra estate e l'autunno
(settembre-dicembre)
ed era il periodo in cui il Nilo straripava rendendo fertili i campi
( mi
piaceva l'aria un po' malinconica dell'autunno e il pensiero della
rinascita
con l'inondazione del Nilo, che volete farci...)
Najma
è un altro nome
parlante (anche Manes in realtà lo è ma visto che
non l'ho scelto per il suo
significato, che tralaltro non mi piace neppure tanto, ma
perchè mi ispirava,
credo sia inutile riportarlo) anzi direi che più parlante di
così non si è
banali ma di più, sì avete capito bene, Najma
vuol dire proprio
"stella", se Nakia conoscesse l'arabo avrebbe potuto fare a meno di
chiederle "cosa sei" XD, vabbè.
E
passiamo alla mia
parte preferita, sono una pazza patita di astronomia, che volete farci
(ma del
resto si era capito no? tutte quelle stelle...). Espero è
uno dei nomi greci
per Venere (c'erano anche i nomi egiziani ma visto che Selene ha
educato Nakia
alla maniera greca ho pensato fosse meglio Espero che
Ouaiti); lo so che
venere è un pianeta e non una stella ma nel tempo della
storia non si sapeva
(si scoprì da lì a poco però) anzi,
visto quanto era luminoso, quel corpo
celeste aveva ricevuto nei secoli precedenti ben due nomi. Espero,
ossia stella
della sera (che si dice espèra) e Fosforo , ossia stella del
mattino (da phos,
photòs: luce), la stessa cosa valeva per gli egizi che la
chiamavano Ouaiti a
notte fonda e Tio Moutri vicino al mattino. A me
però piaceva in versione
stella, insomma: due nomi sono meglio di uno, e nel mio universo
parallelo
fatto di buchi bianchi, supernove, e piramidi Espero è una
stella, Venere
dimenticatevelo. Eppoi che sovrannaturale sarebbe se fosse dogmatico no?
Credo
di aver detto
tutto, scusate la mia notoria prolissità e ci vediamo fra
una settimana per il
capitolo 5, grazie per essere passati ^^
Mi
scuso con tutti per
i due giorni di ritardo, i dialoghi non sono il mio forte e questo
capitolo ha
richiesto più tempo del previsto ... d'accordo lo ammetto:
è stata soprattutto
colpa dei festeggiamenti pr la fine della scuola (mercoledì)
che
mi hanno
"costretta" fuori casa in questi giorni, ma non mi sono dimenticata
di voi (pochi) affezionati lettori, ho promesso che finirò
la
storia e lo farò
^^, portate pazienza che stiamo entrando nel vivo (ecco
perchè
ho cambiato il tipo di titolo, ormai abbiamo chiuso una parentesi):
questo e i prossimi due
capitoli sono fondamentali perchè si rivelerà
finalmente
tutta la trama (o
quasi tutta...)
Buona
lettura
5
Era
da tanto, troppo
tempo che quel viola teneva segregate come in una prigione le lacrime,
simbolo
di debolezza, simbolo di… umanità, ora che
un’emozione così forte aveva
distratto il loro carceriere, le gocce piccole e luminose ne
approfittarono e
tutte insieme, copiose per i tanti anni in cui si erano accumulate, si
riversavano sulle guance ambrate.
Il
mento poggiato fra
la spalla e il cuore del ragazzo, i capelli arruffati appiccicati al
volto
umido e le mani che continuavano a stringere la sua schiena, con le
punte delle
dita che formicolavano. Aveva avuto paura, un sentimento che aveva
sempre
cercato di celare, di vincere. Tanta paura. E ora finalmente non
c’era più
motivo di temere: le sue mani, la sua testa, lo stavano toccando:
toccavano lui
in carne e ossa. Un dolce sorriso si dipinse per un istante sulle
labbra della
giovane: Manes stava bene.
La
sua mano si mosse quasi
da sola, come alimentata da volontà propria,
dall’affetto che provava per la
ragazza, dal rifiuto di vederla piangere, soffrire, di vederla in
quello stato,
era una volontà fortissima che vinse per un attimo anche il
dolore della
perdita della madre, così recente, e se ne stupì
lui per primo. Le dita si
spostarono sulla testa bruna china su di lui, carezzarono con la
dolcezza di un
padre i ricci color mogano. La sua sofferenza poteva aspettare, per il
lutto
c’era sempre tempo, tutto ciò che contava ora era
lei.
“Shh…
tranquilla…”
“Cosa c’è?” le disse con il
tono più rassicurante che poté, cercando di non
far
tremare la propria voce, ancora scossa per i lamenti di pochi minuti
prima, e di
soffocare in gola i singhiozzi almeno un altro po’. Ora
doveva apparire forte,
per lei.
La
sua voce la riportò
alla realtà: Nakia si rese di colpo conto di cosa stesse
facendo, si allontanò
di scatto dal petto di Manes, strusciò rapidamente i dorsi
graffiati delle mani
contro le iridi ametista per asciugarsi e cancellare ogni segno di quel
momento
di debolezza in cui si era lasciata trasportare troppo dalle sue
emozioni. Che
stava facendo? La madre di Manes era morta, era lei che doveva
consolarlo, non
il contrario. Per quanto essere stretta a lui le
facesse…piacere.
“Scusa”
mormorò
mortificata, mentre le guance si tingevano di un lieve colore rosso.
“E’
tutto a posto” fece
lui piatto. Nakia però si sentiva in colpa ora che alzando
lo sguardo aveva
visto meglio quei suoi occhi blu umidi e arrossati per il pianto
recente, si
sentiva di non aver rispettato il suo lutto e pertanto respinse subito
il
pensiero di sorridere per averlo visto sano e salvo.
“Vieni
con me”, Manes
sembrò capire che lei doveva parlargli, gli doveva delle
spiegazioni e per
quanto non fosse nello stato d’animo più adatto
sapeva che loro due si
sarebbero confidati qualunque cosa ed era dunque suo dovere ascoltarla.
Le
prese la mano e la condusse in un posto il più isolato e
ameno possibile, così
da parlare in tutta tranquillità, in privato, lontani da
quel trambusto e
andirivieni di gente che affollava le stanze dell’ormai ex
grande sposa reale.
La portò nel suo giardino.
I
due si sedettero sul
muretto di mattoni rossicci, il cielo cominciava a passare dal color
pece al
bianco sporco: l’alba si stava avvicinando.
Manes
temeva di non
riuscire ad articolare subito un discorso compiuto, una frase per
intero senza
essere interrotto da singhiozzi o lacrime, non voleva mostrarsi a lei
in quello
stato, parole spezzate e frasi rotte non erano il modo migliore per
tenere una
conversazione, così lasciò che fosse Nakia ad
aprire bocca. Voleva sentire la
sua voce, sapeva che lo avrebbe tranquillizzato, che gli avrebbe fatto
comprendere che lei gli era vicino, sempre, che lo capiva.
E
infatti la ragazza
prese la parola quasi subito, quel silenzio innaturale fra i due la
turbava,
vedere Manes con lo sguardo fisso nel vuoto e gli occhi lucidi che
cercavano ostinatamente
di trattenere il pianto era uno spettacolo che le faceva male, non le
venne in
mente nulla di originale da dirgli ma forse se pronunciate con
sentimento anche
le solite frasi di circostanza avrebbero poteva confortarlo; gli
poggiò una
mano sulla spalla e chinando il capo verso di lui sussurrò
mestamente
“Mi
dispiace”
Lui
sorrise con
amarezza, si passò il dorso della mano sul volto come aveva
fatto Nakia prima,
ma stavolta per prevenire la caduta di eventuali lacrime: si rifiutava
di
piangere ancora, dopotutto era inutile, ciò non avrebbe
riportato indietro sua
madre.
“Io…”
cercò di assumere
un tono più razionale possibile, distaccato quasi, le due
parole della ragazza
erano bastate a dargli un po’ di forza, tanta quanto bastava
per metterla al
corrente dei fatti.
“Iol’ho vista; era
lì, a terra, caduta sul
pavimento…” Nakia lo guardava tristemente,
aspettava che continuasse,
desiderosa di sapere.
“Avevo
sentito un
tonfo, proprio da qui, per quello mi ero precipitato nelle stanze
…di mia
madre, ero sicuro che il rumore provenisse da lì. Mi sono
precipitato ma lei…
era già… Madre!” un piccolo singhiozzo
sfuggì al suo controllo e troncò la
frase a metà, ma riprese subito la narrazione
“C’era
qualcosa di
strano nel suo corpo, in quella stanza. Era come se lei
fosse… vuota: sembrava
fatta di pietra, un sasso, spenta, senz’anima…
certo, era ovvio: era morta
dopotutto”
”…
morta…” sussurrò
”Ma
anche i corpi morti
mantengono un minimo di umanità, di… vita quasi,
forse per i ricordi legati a
quella persona, che la fanno sembrare ancora dotata di
un’anima a chi la
guarda. Lei no invece, in nessuno dei miei ricordi quel corpo
è essere
presente, per terra c’era una statua, una statua identica a
mia madre ma non
lei in persona, non il suo corpo privo di vita”
“Non
sono riuscito a
riconoscerlo, era gelido, freddo più di qualunque altro
morto abbia mai visto,
più lo guardo e più non riconosco in lei la donna
che mi è stata madre, eppure
deve per forza essere lei e io, io non ho trovato, non ho voluto
neanche avere la
forza di guardarla negli occhi, negli occhi sbarrati che erano rivolti
alla
finestra, che fissavano…le stelle”.
Nakia
lo aveva
ascoltato con attenzione, era stato un racconto breve e lucido, Manes
diceva di
non essere stato abbastanza forte eppure lei non riusciva a credere che
avesse
appena parlato della morte di sua madre, avvenuta da poche ore, con un
tono così
distaccato, era forte più di quanto credesse e non se ne
rendeva conto.
Però
c’erano dei
particolari che la incuriosivano, o meglio la lasciavano interdetta: il
tonfo,
il corpo simile a una statua, le stelle. Si maledisse per la sua
mancanza di
tatto ma non poteva fare a meno di chiederglielo, doveva fargli delle
domande
su tutto questo, in fondo da lei poteva aspettarselo no?
“Che
intendi quando
dici di aver sentito un tonfo?”
Manes
non era proprio
seccato dalla richiesta, l’aveva prevista, solo
l’immaginava formulata
diversamente, magari meno diretta…
“In
realtà sarei io a
doverti chiedere spiegazioni. Ma so che non puoi fare a meno di fare
domande
quanto ti si racconta qualcosa.
Ricordi
che stamattina
ti dissi di un pericolo che ci minacciava?” Nakia
annuì, un po’ imbarazzata per
aver fatto la figura della curiosa anche in una situazione simile
“Prima
che ci
incontrassimo avevo sentito mio padre ed Edfu che ne parlavano, il loro
discorso era così assurdo… doveva per forza avere
dei significati nascosti così
ho passato tutto il pomeriggio, la sera, quasi tutta la notte a
riflettere su
quelle parole.” La ragazza dagli occhi viola annuì
ancora ma stavolta come a
volergli dire “ vieni al sodo”: era molto
interessata a tutto ciò ma non
riusciva a capire cosa c’entrasse con la sua domanda
“Sto
solo spiegandoti
il motivo per cui mi trovavo qui quando ho sentito il tonfo: stavo
pensando”
disse lui come se le avesse letto nel pensiero
“
Normalmente non mi
precipiterei sul posto ogni volta che sento un rumore di una caduta ma
poco fa
è successa una cosa molto strana, inquietante. Stavo
andandomene da questo
giardino quando voltandomi ho visto il cielo prima brillare per un
istante e
poi essere attraversato da una scia rossa, sottilissima, poi ho udito
il tonfo.
Anche se… sono sempre più convinto che il lampo
sia partito da qui, dal
palazzo, e non il contrario, non si spiegherebbe infatti
perché mia madre è
caduta a terra, perché è chiaro che è
caduta, la sua posizione non lasciava
dubbi…mi chiedo se… il guizzo rosso sia partito
proprio da quella stanza…da
lei…”
“Hai
detto rosso?” le
era all’improvviso tornata in mente la sua visione: lei che
si avvicinava a
Najma e una luce rossa, un bagliore, che aveva per un istante
interrotto il suo
stato di felicità e che tramutatosi in luce bianca si era
affiancato ad Espero
assieme ad altre otto figure del tutto simili..
Manes
annuì, stupito
che Nakia non chiedesse delucidazioni sulla conversazione di suo padre
e del visir
o sul guizzo misterioso ma solo sul colore: era come se lei sapesse
già di cosa
si trattava. Tacque, stavolta era lui a volere delucidazioni.
“Scusa,
non avrei
dovuto precipitarmi qui, ma avevo paura ti fosse successo
qualcosa… io sapevo
che stanotte sarebbe accaduto qualche cosa di brutto qui a palazzo, lo
sentivo,
e infatti la regina ci ha lasciato, una persona così vicina
a te… avevo fatto
bene a preoccuparmi.
Vedi,
sono qui perché
mi ha avvertito… una stella, mi ha detto di seguirla con un
tono triste e
rassegnato che mi ha fatto temere il peggio…”
Manes
la guardava
esterrefatto, sapeva che Nakia parlava spesso con le stelle ma che
queste poi
le rispondessero… il dolore lo aveva reso comunque
più apatico e questo gli
impedì di obbiettare che la ragazza stesse sragionando o
avesse avuto delle
allucinazioni.
Lei
non si scompose
minimamente vedendo quelle iridi blu impregnate di scetticismo e
incredulità,
lo aveva previsto, se neppure Manes era pronto a crederle completamente
la
questione doveva essere davvero assurda. Alzò lo sguardo
verso il cielo, alla
ricerca di due cose: la forza per continuare a raccontare la sua
visione
notturna e la prova di tutto ciò, Najma.
L’alba
si stava
avvicinando ma Espero, o meglio Fosforo, era ancora visibile,
così come lo era il
più lungo dei suoi raggi, dagli occhi ametista. Sperava solo
con tutto il cuore
che anche il ragazzo potesse vederlo, che non fosse percettibile solo a
lei a
cui gli occhi viola, colore del cielo notturno, avevano dato un legame
così
forte con le stelle. Però anche Manes aveva le iridi blu, un
blu profondo e
scurissimo, anche lui era legato al firmamento dalla nascita e Nakia si
chiedeva spesso il motivo per cui i due avessero questa caratteristica,
il blu
li accomunava: ora era più fiduciosa, sicuramente anche il
ragazzo poteva
vedere Najma.
Scostò
la mano da
quella di Manes, che aveva stretto durante il suo racconto, e la
alzò con calma,
cercando di mostrarsi il più possibile lucida e sicura di
sé, stese il dito
indicando la porzione di cielo alle spalle del principe, dove il suo
sguardo
era ancora fisso
“Eccola
lì. Najma”
disse placidamente
Manes
si voltò con lentezza,
alquanto dubbioso, ma appena trovò il punto individuato
dall’indice restò a
bocca aperta: lì in alto c’era Fosforo e dalla
stella più luminosa del
firmamento si protendeva una finissima scia luminosa rivolta proprio
verso la
reggia.
“Quella
è Fosforo ma
Najma è il suo raggio, me lo ha detto lei, mi ha guidato fin
qui: vedi che
indica proprio il palazzo?”
Il
ragazzo annuì
basito.
“Ma
che vuol dire che
te lo ha detto lei? Insomma come fa ad averti parlato?”
“Questo
non lo so, ero
convinta di dormire quando stanotte il Vento degli Spiriti ha
spalancato la mia
porta e quando ho aperto gli occhi tutto intorno a me era bianco,
luminosissimo.
Vedevo delle figure, una più grande, Espero, e una identica
a me, Najma. Quando
ci siamo toccate mi sono sentita come se avessi trovato
l’altra metà di me
stessa,il pezzo
che dico sempre manca
alla mia anima. Mi sono sentita inspiegabilmente… completa.
Najma
era felice come
me ma allo stesso tempo malinconica. Sembrava conoscere qualcosa di
triste
riguardo il futuro e di conoscere già anche me, mi ha detto
di non potermi
rivelare chi era stata ma solo chi era adesso, uno dei raggi di Espero
appunto”
Nakia
aveva avuto davvero
una visione, chissà qual’era il motivo per cui le
stelle le avevano parlato,
chissà perché… ma non fece in tempo a
porsi un’altra domanda perché la ragazza
aveva ripreso il discorso
“C’erano
anche altre
otto figure dietro ad Espero, più piccole.
Ti
ho chiesto
informazioni sul rosso perché prima che arrivasse una nona
presenza, identica a
quelle otto, c’è stato un lampo rosso che mi ha
riempito il cuore di angoscia e
dolore, spazzando via la felicità per un attimo”
Fece
una pausa, come
per preparare Manes a quanto stava per dire, consapevole che si
trattava di una
rivelazione piuttosto forte.
Lui
la fissava
trepidante
“Ebbene
Manes, io credo
che la nona entità sia l’anima di tua
madre”
“Che
cosa?”
“Pensaci:
la grande
sposa reale è nella sua stanza, a un certo punto si volta e
guarda il cielo,
guarda Espero. La stella brilla per un istante, poi l’anima
della regina lascia
il suo corpo e sotto forma di guizzo rosso raggiunge l’astro
della sera dove si
unisce ad altre otto entità del tutto uguali, altre otto
anime. Il corpo ormai
vuoto cade sul pavimento con un tonfo sordo, tu lo senti e preoccupato
per via
della luce di poco prima, accorri e la vedi ormai morta in terra.
Questo spiega
lo strano aspetto del corpo, simile a una statua, completamente
svuotato,
spiega perché sua maestà guardava le stelle e
infine spiega anche il guizzo
rosso”
Manes
non sapeva se
provare ammirazione per la ragazza, che aveva dedotto tutto
ciò in pochi
attimi, o sentirsi in qualche modo ferito vista l’analitica
freddezza con cui
aveva condotto il breve ragionamento, dopotutto non stava parlando
della morte
di una donna qualunque ma di sua madre, nonché della
consorte del faraone.
Però
non poté fare a
meno di lasciarsi trasportare da quei ragionamenti
“Otto
entità…
Stamattina mio padre ed Edfu parlavano proprio di otto persone cui era
accaduto
qualcosa, ricordo il dialogo a memoria ormai:
“Quello
che mi dici è
grave” “Molto grave”
“Purtroppo
sta
accadendo davvero”
“Speravo che dopo
tutti questi anni avesse
dimenticato.
che
si fosse
accontentata”
“Quante persone hai detto?”
“Otto,
o sire”
“La
giustizia…”
“Ne
mancano quattro””
Sai chi”
“Lo
immagino”
“Ma
non fallirò:
sono un dio, io sono Horus ormai, sono Aton il sole: non temo la notte
nè i
suoi signori!
La
ritroverò in tempo!”
“Era
Espero che doveva
accontentarsi e dimenticare, ma non è successo e si
è accanita su otto persone,
nove con la regina. Quindi ora ne mancano tre.
E
poi otto è…”
“…la
giustizia” la
anticipò Manes
“Esatto,
significa che
il faraone ha compiuto qualche infamia nei confronti della stella e
deve
ritrovare qualcosa, qualcuno per placare la collera di
Espero!”
Gli
occhi di entrambi
brillavano, quel gioco di deduzioni e ragionamenti eccitava la loro
immaginazione
e la loro logica e riuscì perfino a fargli dimenticare del
lutto recentissimo e
della drammaticità della situazione. Ormai il mistero non
era più tale: se
ragionavano insieme potevano farcela.
“Espero
si è vendicata
su qualcuno così vicino a te… mi chiedo se fra le
ultime tre persone rimaste da
colpire non ci sia…”
“Anche
io?” fece Manes con
una certa indifferenza
“Non
dirlo neanche per
idea, non era questo che volevo che volevo dire: tu non
c’entri niente, non sei
certo tu ad aver oltraggiato Espero”
“Hai
paura di guardare
in faccia la realtà. Dovresti sapere che la colpa dei padri
ricade sui figli, e
poi non sapendo di quale offesa si tratti potrei averla compiuta anche
io
inconsapevolmente”
“Non
credo verresti
punito tu al posto del faraone, ma tanto non sta a noi decidere chi
verrà
punito, ormai la stella vuole giustizia e se non tentiamo di scoprire
qualcosa
in più sul motivo non riusciremo a salvare i tre individui
rimasti” il suo tono
non ammetteva repliche
“D’accordo,
per ora direi che abbiamo due
piste: cercare informazioni sulle tredici vittime o sulla colpa da loro
commessa”
“Per
ora l’unica
vittima a noi nota è la regina, questo ci porta a pensare
che anche le altre
dodici frequentino l’ambiente della corte… hai
sentito di morti sospette di
recente?”
“No,
mi sembra ovvio
che in caso contrario te lo avrei detto… forse qualcuno
tenta di nasconderle”
“Sì,
potrebbe essere. Magari
lo sesso faraone ha cercato di celarle…”
“Sospetti
del faraone Nakia?”
fece Manes con un tono tra l’ironico e il rimprovero
“Non
lo so, è troppo
presto per sospettare ma anche la Luce dell’Egitto potrebbe
nascondere qualcosa…
dopotutto dal dialogo sembra che sia lui ad aver offeso maggiormente
Espero. Forse…
tu potresti provare a fargli delle domande…”
“Hmmm”
annuì debolmente
“come vuoi. Dopotutto si tratta di salvare tre vite, o meglio
tre anime”
“Però
preferirei che tu
lo facessi senza rivelargli della nostra conversazione e delle nostre
ipotesi
sulla morte della sua consorte…sai…”
“Sì,
sì, capisco”
sorrise “ preferisci che mio padre non sappia ancora di te o
che possa essere
offeso da simili supposizioni, se non ritenerle
assurde…”
Nakia
annuì, le aveva
letto nel pensiero ancora una volta.
Angolo
delle elemosine
(XD):
Allora
che mi dite? Lo
scambio di battute è pessimo o almeno passabile? Manes e
Nakia hanno un
atteggiamento coerente o sembrano sette-otto persone diverse? Eravate
riusciti
ad arrivare a conclusioni simili alla luce degli altri capitoli o vi
eravate
fatti qualche altra idea? Ditemi tutto che sono troppo curiosa, una
piccola
recensione mi farebbe davvero felice e mi aiuterebbe un sacco, anche le
critiche vanno benissimo purchè costruttive, ma se non so
cosa pensate della
storia non potrò mai migliorarmi e scrivere capitoli che vi
appassionino
davvero, purtroppo ho ricevuto pochissimi commenti e non riesco a
immedesimarmi
troppo nel lettore così non so come comportarmi, vi chiedo
solo una piccola
rece...
Vabbè
dopo questa patetica supplica passo ai
ringraziamenti: ringrazio la mia amica Valerydell95 che
oltretutto non sa
neanche il mio nome su EFP e penso neanche che sto
pubblicando la storia
di cui le ho parlato a scuola (è l'unica persona che conosco
a cui ho
raccontato di Manes e Nakia) : grazie Vale per i tuoi complimenti e per
avermi
ascoltata ^^
Ringrazio anche Il
giardino dei misteri, che ha recensito
(unica) ogni singolo capitolo e continua a seguirmi, grazie davvero per
tutti i
complimenti e l'incoraggiamento, ogni volta che leggo i tuoi commenti
mi viene
voglia di scrivere.
E
poi ringrazio te, ignoto lettore, che stai leggendo
queste righe abbastanza inutili (spero dopo aver letto anche gli altri
quattro capitoli)
e spero che anche a te sia venuta voglia di scrivere... magari una
recensione... no, basta richieste!
Spero la lettura sia stata di vostro gradimento, ci vediamo (si spera)
tra una
settimana.
Piccolo
spoiler: ritroveremo uno di questi due
personaggi Selene o il Faraone, si accettano scommesse XD
AVVISO:
ve ne sarete
già accorti ma per un motivo o per l’altro questa
storia non è stata più
aggiornata, sicuramente gran parte della colpa, magari tutta,
è mia, è vero ho
avuto meno tempo del previsto ma mi sono anche lasciata trasportare
dalla
pigrizia e quindi il cap. 6 non è arrivato dopo una
settimana né tantomeno dopo
due. Mi scuso con tutti i lettori però vi garantisco che sto
facendo il possibile
per rimediare, attualmente il capitolo è in fase di stesura
(finalmente) e
spero di riuscire a completarlo presto. Grazie a tutti per la pazienza
e per
aver letto la mia storia, spero continuerete a seguirla nonostante i
miei aggiornamenti
saltuari, ciao ^^
Capitolo 6 *** La vecchia, la stella, la bambina ***
cap 6
Ok,
da dove comincio? Sono in ginocchio sui ceci a chiedere perdono per le
mie
malefatte e la mia pigrizia, il cielo, o Espero (ops,
spoiler...) mi fulminino...
Aspetta
un momento...niente urla, niente vasi tirati, niente
istinti omicidi nell’aria... feeuh,
grazie.. -.-
In
un modo o nell’altro questo benedetto capitolo 6 è
venuto
alla luce, l’idea c’era già, ho dovuto
fare delle pause tra un flashback e
l’altro ma una volta cominciato sono andata avanti abbastanza
rapida, il
problema è stato cominciare...-.-‘
Comunque,
ritroviamo uno dei personaggi che vi avevo
anticipato: Selene.
Ci
racconterà la sua vita e gran parte dei misteri che la
avvolgono, sono abbastanza soddisfatta di come è venuto il
capitolo, nel
complesso mi piace molto il taglio a flashback, quindi fatemi sapere
com’è,
altrimenti significa che non so proprio giudicare da sola
ciò che scrivo... non
è proprio il più lungo ma è abbastanza
sostanzioso, per farmi perdonare ^^,
siate clementi e come sempre,
buona
lettura!
6
Quella
notte
non riusciva a dormire, e sapeva il motivo, era sciocco cercare di
lottare
contro i propri pensieri, non avrebbe mai potuto prendere sonno: era il
momento.
Tredici
anni, erano passati tredici anni da quel giorno e ora
non si poteva più rimandare, il cerchio doveva chiudersi.
Sospirò,
si alzò con fatica dal suo giaciglio e si avviò
verso l’uscio di casa.
Sapeva
perché le stelle non l’avevano ancora chiamata a
sé
nonostante la veneranda età, aveva un conto in sospeso con
loro, un conto che
sarebbe stato saldato presto. Ma a quale prezzo?
“Ritornerai
da me un giorno, quando le stelle ti chiameranno”
“Quando
vorranno portarti via” disse.
Il
cuore della vecchia Selene era colmo d’angoscia e paura,
di pentimento e rimorso, di colpa. Sentimenti con cui aveva imparato a
convivere fin dalla sua giovinezza, ma che ora si rivelavano davvero
troppo
gravosi per un povero, vecchio cuore, affaticato da anni e anni di riti
terribili.
Come
aveva potuto farlo? Aveva promesso a sé stessa che una
volta lasciato il tìaso non avrebbe più invocato
il terribile nome di Espero,
che non avrebbe più sacrificato vite innocenti per la
bramosia di potere dei
mortali, eppure, diciotto anni fa l’aveva fatto. Di nuovo.
Qual’era
stata la prima volta? Era ancora viva Cleida, anzi
era stata proprio lei a condurla in quella spiaggia, a Lesbo, tanti
anni prima.
Cleida,
Selene non faceva altro che sentir ripetere questo
nome da mattina a sera, le fanciulle del tiaso
avevano una vera e propria venerazione per lei, del resto era la figlia
della
fondatrice del loro gruppo, eppure strane voci circolavano su quella
donna dai
capelli rossi.
Cleida
non era mai sola, almeno non in pubblico, e si
circondava di ragazze misteriose che non partecipavano alle
attività regolari
del tiaso come lei e le
altre. Avevano tutte gli
occhi chiarissimi, quasi argentei, e portavano al collo una
sottilissima
catenina, così fine da sembrare un filo, i cui anelli erano
di diversi tipi di
metallo, oro, argento, bronzo. Salvo che al seguito di Cleida, non
apparivano
mai in pubblico, secondo le chiacchiere era perché dormivano
di giorno e la
notte praticavano strani culti insieme alla donna. Selene non aveva mai
prestato troppo ascolto ai pettegolezzi, a suo avviso erano
semplicemente
ragazze un po’ particolari, così un giorno aveva
provato a conversare con loro
e aveva trovato piacevole la loro compagnia, i loro modi erano amabili,
e
discorrevano non eleganza di numerosi τόποι,
per quanto fossero particolarmente ferrate nel parlare di astronomia e
cercassero di riportare a quell’argomento ogni conversazione.
Non era certo un
disagio per Selene, anche lei amava molto quella scienza e non essendo
facile
trovare ragazze come lei, aveva colto l’occasione per parlare
un po’ della sua
passione. Durante tutto il dialogo, incentrato in particolar modo sulle
stelle
e sulla loro influenza sulla vita umana, Cleida non le aveva mai
staccato gli
occhi di dosso.
Quella
sera ricevette un messaggio da una di quelle ragazze.
Si sorprese subito di vedersela davanti mentre saliva le scale per
raggiungere
la sua stanza. Come mai era sola? Dov’erano le sue compagne e
Cleida? Prima che
potesse aprire bocca però, la ragazza le rivolse la parola:
“Salute,
Selene.
Mi
manda la nostra signora Cleida. È rimasta colpita dal tuo
spirito durante la conversazione di prima e desidera parlarti a
quattr’occhi,
sulla spiaggia fuori città, alla luce delle stelle.
Seguimi”.
Selene
ebbe l’impressione che la sua interlocutrice
avesse calcato la parola stelle e luce con un tono misteriosamente
malizioso,
complice. Tuttavia non poteva rifiutare un invito della sacerdotessa di
Afrodite e annuì con garbo:
“Se
la nostra amabile Cleida vuole parlarmi ciò non
può che
rendermi lieta. Indicami la via, non voglio farla attendere”
Le
due si incamminarono in silenzio, nell’aria ormai notturna
riecheggiavano solo il gracidare sommesso delle rane e il canto
ridondante dei
grilli, persino i loro passi erano ammantati di silenzio. Eppure la
mente di
Selene era agitata da dubbi e presentimenti infausti, la ragazza era da
sempre
abituata a fidarsi del suo istinto e questo le stava chiaramente
dicendo di non
andare, di fermarsi e tornare indietro, che non c’era nulla
di buono per lei
sulla spiaggia.
<<
Ma che mi prende? Non è la prima volta che esco di
notte in riva al mare, lo facciamo spesso per le cerimonie sacre.
Perché
stavolta dovrebbe essere diverso?
Che
vuol dire che Cleida è rimasta colpita dal mio spirito?
Intendeva il modo di comportarsi ... o proprio
l’anima? >>
Il
tragitto era breve ma senza la sua guida, la giovane
non sarebbe riuscita a distinguere nell’oscurità
la sagoma solitaria
della donna dai capelli rossi fra le insenature e le anse dei
lidi.
La
figura di Cleida si stanziava maestosa davanti a lei,
avvolta nel buio e in un pesante mantello blu scuro, i capelli al
vento, completamente
sciolti in tutta la loro lunghezza, e la sottilissima catena di tre
diversi
metalli le arrivava quasi ai piedi, luccicando alla luce della luna
come la
schiuma delle onde che si infrangevano placide sulla sabbia umida e
fredda.
Quando
si voltò, Selene vide che la ragazza era già
sparita,
certo, la donna dai capelli rossi aveva detto di volerle parlare
“a
quattr’occhi”...
Anche
stavolta non riuscì a fiatare per prima, stava
già
esordendo con un “eccomi” o qualcosa di simile, che
Cleida aprì bocca:
“Guarda
in alto” e alzò la testa per invitarla a fare
altrettanto
Selene
alzò la testa e i suoi occhi si illuminarono della
luce di migliaia di stelle di diversa grandezza e colore, uno
spettacolo che
l’aveva sempre lasciata a bocca aperta, e anche stavolta la
sensazione che
provò fu la stessa.
“Cosa
vedi?”
“Armonia”
rispose la giovane rivolgendo un sorriso al cielo
“E
poi?” la incoraggiò Cleida, anche lei gli occhi
fissi alle
stelle
La
ragazza abbassò un attimo lo sguardo per fissare la sua
interlocutrice, cosa aveva voluto dire con quella frase
appena
sussurrata?
“Riguardo...
cosa ?”
La
donna non aveva mai distolto gli occhi dalla volta celeste
“L’ultima
parola che hai detto...magia. Sì, non immagini
quanto tu abbia ragione.”
Forse
fu solo un’impressione di Selene, ma una stella aveva
brillato per un istante, Cleida sorrideva compiaciuta di quel segno
“Sai
quante persone avrebbero risposto come te alla mia
domanda? Poche, molto, molto poche. Avrebbero detto questo:
<< stelle
>> e forse dopo avrebbero aggiunto <<
luminose, belle, lontane...
>> tu no. Hai detto che vedi armonia. Anche in questo non
sai quanto hai
ragione. Le stelle sono armonia, le stelle danno armonia, a chi trova
il
coraggio di chiederla loro. Tu hai questo coraggio, Selene?”
La
donna ora abbassò gli occhi, il verde giada di lei
incontrò il chiarissimo acquamarina della ragazza, la
maggiore era seria, poté
notare una scintilla di speranza, di fiducia, un incitamento a parlare
col
cuore, nei suoi occhi, l’inquietante consapevolezza di sapere
già la risposta
della più piccola.
“Come
riluce la grande Espero stanotte”
Cleida
si rivolse a Selene con un sorriso complice
“Ti
senti pronta?”
“Sì”rispose
alla sacerdotessa.
La
ragazza, ormai diventata una giovane donna, prese la lunga
catenina che pendeva dal suo collo e la avvolse intorno alle mani
formando una
rete. Gli anelli preziosi scintillavano ai raggi di luna, ma
soprattutto ai
raggi della Stella della Sera, forgiati apposta per catturarne la
luminosa
immagine.
Un
uomo era in disparte, seguiva la cerimonia con sguardo
scettico eppure speranzoso. Sarà stato scettico per la
giovane età di Selene, o
per la mal fiducia nei confronti dei poteri delle stelle?
Selene
non se ne curò e pensò solo alla luce, una
fortissima
luce bianca seguita da un lampo rosso, sì, era
così che doveva andare, l’aveva
visto molte altre volte, aveva assistito molte altre volte al
sacrificio di anime
e più volte aveva ammirato splendere Espero e riversare sui
mortali la sua
forza, rispondere al loro richiamo, alla loro disperata richiesta di
aiuto.
<<
Ancora, esaudiscici ancora divina stella, astro
della sera. Dona armonia a chi è nel caos, luce a chi
è nell’ombra, felicità a
chi è afflitto, ricchezza agli indigenti >> ripetè
mentalmente
“Potere
a chi lo brama!” esclamò a voce alta e potente
fissando il cielo con sguardo penetrante.
Fu
come se i suoi occhi si fondessero con la luce della stella,
i cui minuscoli raggi si muovevano furiosamente, divenne abbagliante,
le mani
di Selene rilucevano, Cleida aveva fatto un passo indietro e osservava
con
sguardo fiducioso ma vigile, pronta ad intervenire nel caso la
più giovane non
si fosse dimostrata ancora all’altezza.
I
capelli mori, completamente sciolti, della giovane
donna ondeggiarono alle sue spalle, eppure non c’era vento e
lei era rimasta
immobile. D’improvviso la catenina prese a riflettere i raggi
di luce della stella
con più forza. Dalle sue mani si propagò per una
attimo un’aura rossa,
inquietante eppure affascinante.
Un
bagliore della durata di un istante illuminò il cielo come
fosse giorno, poi si udì un tonfo, nello stesso momento in
cui una scia rossa,
un guizzo rubino, attraversò il cielo.
Il
sangue dell’uomo si gelò nelle sue vene nel vedere
il
corpo impietrito della sua offerta riverso per terra. Senza vita.
Era
stato così che era cominciato tutto. A diciotto anni
aveva recitato la sua prima preghiera a Espero, dopo essere entrata
nella
“setta” a quattordici. In quattro anni aveva
assistito a ogni sorta di rito, di
invocazione alle stelle e in particolar modo all’Astro della
Sera. Lei e le
ragazza fungevano da intermediarie, sfruttavano il potere della loro συμπαθία
col
firmamento, manifestata nei loro occhi chiari e brillanti, per
realizzare i
desideri dei mortali, le loro ambizioni.
Le
avevano spiegato che era un grande regalo fatto loro da
Espero, che abbassandosi a guardare il mondo dei mortali si impietosiva
per le
loro sciagure e offriva loro un patto per porre fine alle disgrazie.
Patto.
Questa
parola era la chiave di ogni cosa. Di tutte gli
orribili sacrifici e voti fatti per la stella. Diciotto anni di potere,
non
ostacolato da nessun nemico o fattore esterno, in cambio di
un’anima, potere
assoluto e perpetuo in cambio dell’anima di due gemelle. E
lei lo aveva
permesso, aveva anzi aiutato tutto ciò, era la ragazza che
più di ogni
altra aveva un profondo legame col cielo e per questo Cleida
l’aveva indicata
come colei che avrebbe dovuto prendere il suo posto quando le stelle
avrebbero
chiamato anche lei. Per questo era stata educata, per questo era stata
cresciuta all’interno del gruppo a stretto contatto con la
donna dai capelli
rossi, la quale le aveva rivelato i suoi segreti e tutte le formule e
le
invocazioni adatte a ogni tipo di rito. Il primo, aveva ancora quindici
anni
quando diresse il primo rito, rivolto a una stella minore per un
mortale che
desiderava fortuna e gloria in battaglia. Espero era l’unica
stella a cui solo
Cleida osava rivolgersi, tutte le altre si inchinavano alla potenza
dell’astro
intimorite dalla sua luce, e facevano bene, perché il grande
potere di Espero
poteva essere trasformato per gli uomini solo da poche elette, e Cleida
era
l’unica fra loro a poterlo fare, l’unica
finché non arrivò lei, Selene.
Sospirò
di nuovo, ripensare a quei tristi avvenimenti le
riempiva la testa di immagini spaventose, tutti quei volti senza vita,
vuoti di
luce e di anima, sembravano invocare Espero anche loro, reclamando
vendetta. E
poi, fra tutti, un corpicino, una faccina piccola, di una bambina che
aveva molto
meno di un anno di età, dagli occhi di un viola acceso e
profondo, brillanti di
vita e intelligenza, che l’avevano guardata compassionevoli
diciotto anni
prima, << mi fai pena >> poteva leggere in
quelle iridi ancora a
distanza di tanto tempo ogni volta che l’immagine si
ripresentava alla sua
memoria. L’uomo che l’aveva portata alla donna
ormai già avanti negli anni,
sapeva molte cose su questo genere di rituali, aveva trovato
l’anima in grado
di garantirgli un potere immenso e forte, un potere che gli spettava
comunque,
di diritto, ma per cui non aveva il coraggio di lottare
“Donna”
la apostrofò un giovane uomo, il viso sprezzante e
fiero ma gli occhi corvini, rapaci. Non le ispirarono fiducia e
sicurezza.
“Cosa
desideri?” aveva risposto uscendo dalla sua capanna,
ormai si era ritirata in un paese lontano già da anni,
sperando di dimenticare
così il suo passato e allontanare i demoni che agitavano la
sua coscienza.
“Sto
cercando Selene, vecchia, sei tu?”
“Sì
giovane, cosa vuoi da me?”
“Ho
una richiesta da farti...”
Sul
tavolo della piccola cucina giaceva un fagotto, Lene
inorridì constatando il suo contenuto, scostato un lembo di
tessuto da uno
degli angoli dell’involto, una piccola manina si
affacciò e le strinse il dito.
“No,
non farai una cosa simile” esclamò quasi con tono
di
domanda
“Infatti
io non farò nulla, sarai tu che lo farai per me”
“Non
puoi chiedere tanto, è solo una bambina, ha
l’intera
vita davanti a sé..” la piccola emise un lieve
gemito
“Guardala
negli occhi, lei e sua sorella sono quelle che
cercavo da tempo, il loro potere sarà immenso” le
iridi di lui brillarono
pericolosamente di brama, un guizzo quasi assassino le
attraversò, infuocato.
Anche
Lene era meravigliata dal viola intenso degli occhi
della piccola, il colore sacro a Espero più di ogni altro
blu, eppure fece un
passo indietro scuotendo la testa
“Ragiona,
ciò che chiedi ti spetterebbe comunque, puoi
lottare per averlo, il tuo popolo ti seguirà, riuscirai nel
tuo intento anche
sen..” non fu interrotta dalle parole dell’uomo ma
dai suoi occhi taglienti,
ridotti a fessure, si rese conto che non era abituato a essere
contraddetto e
tantomeno corretto
“Ci
vorrebbe troppo tempo, mio figlio non deve crescere come
un miserabile, deve vivere nel luogo che gli spetta per nascita, deve
poter
trascorrere un’infanzia lieta e spensierata senza il ricordo
terribile di
guerre civili e campi di battaglia insanguinati di morte, io
lo faccio per lui!
Donna,
vecchia, te lo chiedo, no, te lo ordino per l’ultima
volta: intercedi per me, stringi per me il patto con la
stella!”
A
quel punto Selene si sentì sprofondare, avrebbe voluto
sacrificarsi lei e donare la sua anima alla stella che aveva servito
per tanti
anni, ma non poteva, non aveva mai avuto una sorella, tantomeno una
gemella, e
l’individuo che aveva davanti non si sarebbe accontentato di
qualche anno, lui
voleva un potere che durasse nel tempo, che potesse passare solido e
inattaccabile a suo figlio, e ai figli di lui, alla sua discendenza
negli anni
a venire. Sarebbe tornato dopo diciotto anni per portare a termine il
rito e
lei non avrebbe potuto fare a meno di sacrificare con orrore
un’altra vita.
Le
terribili parole del rito più potente che poteva officiare
risuonarono nella mente dell’anziana donna, parole il cui
vero significato era
nascosto agli occhi di tutti se non a quelli di poche elette:
Ѐσπερεπάνταφέρηςόσαφαίνολιςεσκέδασ’Αύος,
Espero
tu riporti tutto ciò che la luminosa alba ha
disperso,
φέρηςόιν, φέρης
αίγα, φέρηςαπύμάτεριπαίδα.
riporti
la pecora, riporti la capra, porti
via la fanciulla dalla madre.
un
ricordo sbiadito solo all’apparenza, presto sarebbe giunto
il momento in cui sarebbe stato necessario ripeterlo. Ma con quale
coraggio?
Con quale forza avrebbe potuto uccidere colei che amava di
più al mondo? Doveva
trovare un’altra soluzione, non aveva intenzione di rivangare
il passato, ormai
Espero era solo un ricordo e lei voleva che continuasse ad esserlo.
Poteva
sperare che la ragazza non fosse stata trovata in
questi diciotto anni da quell’orribile uomo, in questo caso
altre dodici anime
avrebbero dovuto lasciare questo mondo, e Selene ne aveva
già viste partire
nove, dopotutto per lei era un prezzo che poteva essere pagato per
salvare
l’unica anima che le interessava ancora, sperava con tutto il
cuore che la
decima, l’undicesima e soprattutto la dodicesima stella
guizzante comparissero
a squarciare l’immobilità del cielo notturno prima
di vedersi davanti la
giovane dagli occhi viola, condannata già alla nascita per
colpa sua.
In
quel caso disperato avrebbe dovuto fare ricorso a tutta la
sua forza d’animo per implorare la stella di prendere
un’altra anima, altre
dieci, cento, anche la sua, pur di risparmiarla, tutto dipendeva dalla
forza
d’animo della ragazza, dal suo legame col cielo. Avrebbe
sopportato un contatto
con la stella della sera? Era abbastanza forte per riuscirci? Si era
adoperata
cinque anni perché ciò fosse possibile, ma negli
ultimi tredici era stata
costretta a lasciarla, poteva solo pregare che avesse continuato a
coltivare il
suo amore per il firmamento, il suo legame naturale con gli astri, in
tutto
questo tempo. Era fiduciosa nelle capacità della ragazza per
fortuna, la
conosceva bene, meglio di quanto lei potesse credere.
Il
momento in cui si sarebbero riviste si avvicinava,
nostalgia ammantò i pensieri di nonna Lene,
sospirò ripensando a tanti anni
prima, a una bambina allegra e mai sazia di sentirla parlare,
intelligente e
forte, ostinata e fiera, dai capelli indomabili e gli occhi ametista
“Chissà
come sei adesso, giovane donna.
Mia piccola Nakia”.
Note:
Dunque,
buona estate a tutti, pensare che ho iniziato questa
storia due mesi fa e non l’ho ancora finita... scusate ç.ç,
ma sta prendendo una piega particolare credo, che ne dite, vi piace? R&Rplease (anche solo per
accusare l’autrice di stare scrivendo una marea di
assurdità e metterci pure un
sacco di tempo...)
BtW,
cominciamo con le note:
Cleida
è
la figlia di Saffo, viene nominata in diversi frammenti in cui la madre
ne
elogia la bellezza e altre qualità, l’ho descritta
come sacerdotessa di
Afrodite e “direttrice” del tiaso
perché ho pensato
che avrebbe potuto ereditare le funzioni della poetessa, che nel mio
mondo,
come già detto di buchi bianchi e piramidi, non è
estranea ai riti di Espero,
tanto che le poesie le ha scritte lei! Poi vedrete...
Τόποι:
vuol dire argomenti ma anche temi veri e propri, avete mai
sentito l’espressione “è un topos
letterario?” i due innamorati che lottano per
stare insieme ad esempio sono un clichè,
un topos
letterario
Συμπαθία:
non sono riuscita a trovare un equivalente italiano adeguato
così ho lasciato
il termine greco, è un po’ diverso da simpatia,
vuol dire proprio soffrire
insieme, provare gli stessi sentimenti, essere in sintonia, ecco, forse
questa
era la parola che più ci si avvicinava per la sfumatura che
volevo dare.
Credo
si capisca bene chi sono tutti i personaggi che
appaiono nel capitolo:la neonata, l’uomo, la ragazza... li
ritroveremo anche
nel prossimo, che spero non debba farvi attendere tanto come questo,
dopotutto
il sette è un numero fortunato no? Speriamo sia anche pieno
di buona volontà e
me la trasmetta... sono troppo pigra... -.-‘
Vi
imploro ancora una volta, ma senza sacrificare anime a
Espero XD, R&R,
read
and review, fatemi
sapere le vostre impressioni, un
grazie e un grosso bacio a il giardino dei misteri che continua a
recensire,
sei dolcissima ^^, e se vi piace il filone storico passate da lei che
oltre ad
essere una brava scrittrice di romantico ha iniziato
un’affascinante storia
nell’antica Roma.
Al
prossimo capitolo (niente date che tanto so che non le
rispetterei...) ^^