Nakia e Najma

di Achernar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stelle guizzanti ***
Capitolo 2: *** Stelle vigliacche ***
Capitolo 3: *** Stella del mattino ***
Capitolo 4: *** Stella della sera ***
Capitolo 5: *** Rosso come... un'anima ***
Capitolo 6: *** La vecchia, la stella, la bambina ***



Capitolo 1
*** Stelle guizzanti ***


1
 
“άστερες μέν αμϕί κάλαν σελάνναν                                                                                             
‘αѱαπυκρύπτοισι ϕάεννον είδος,
όπποτα πλήϑοισα μάλιστα λάμπη
γάν επι παίσαν.”

Il luminoso volto delle stelle
si nasconde di nuovo al cospetto della bella Luna,
allorché questa, piena, risplende maggiormente                                                                           
su tutta la Terra.

 


La melodiosa voce della vecchia risuonava profonda nella stanza, rimbombava sulle pareti spoglie della sua umile casetta di fango e paglia come un’eco incantatrice e magica, quasi solenne, capace di stregare la fantasia della piccola Nàkia.  

“Ancora nonna Lene, ti prego cantami un’altra volta le stelle” la implorava con quella sua vocina a cui nessuno riusciva a opporsi. Nonostante la tenera età, il carattere della bambina era già ben delineato, ostinata e indomabile riusciva spesso a esasperare i suoi cari e la povera donna.  Del resto la vecchia Selene, o nonna Lene come la chiamavano tutti affettuosamente, con l’aumentare dell’età non aveva perduto il suo fascino agli occhi della gente. Essa era portatrice di segreti e storie sempre nuovi e incredibili, una manna per tutti i bambini del piccolo villaggio di Keruit e una manna per Nakia, in assoluto la più fedele discepola di Lene, pronta sempre ad ascoltarla e a fare tesoro di ogni sua parola.

“Piccola mia, per oggi basta così” cercò di opporsi stancamente “Ti ho raccontato già altre volte del cielo e ti ho cantato innumerevoli poesie sulle sue bellezze. Davvero non ne hai abbastanza? La vecchia Lene ora è tanto stanca…” ma la stessa Selene si accorgeva di quanto fossero  inutili le sue resistenze: i due bellissimi occhietti viola della bimba brillavano ancora per la poesia appena ascoltata, ma non per questo si ritenevano soddisfatti; ci sono così tante cose da imparare a 5 anni che non è concesso riposarsi e fare pause, tantomeno agli insegnanti! Nakia continuava a fissare l’anziana donna, trepidante e in silenzio, completamente non curante delle parole appena pronunciate da nonna Lene: non le avrebbe permesso di andarsene sul più bello.
Passò qualche momento, entrambe si fissavano, sfidandosi in un duello invisibile di cui non erano quasi consapevoli, un duello tra gli occhi profondi e chiari di una vecchia donna, che avevano ormai visto tutto ciò che c’era da vedere ed erano per questo appagati, e quelli brillanti e vivi di una ragazzina, che ancora non sapevano cosa avrebbero dovuto vedere prima di ritenersi soddisfatti.

La chiarissima, calda luce del primo pomeriggio filtrava appena nella minuscola finestra e illuminava le mani della vecchia. Poi una delle due perse.

“Anima cara, sai quanto ti voglio bene. E va bene ti racconterò un’ultima cosa, ma poi andrai a casa. Mamma e papà saranno in pensiero e non è bene che i bambini facciano preoccupare i genitori perdendo tempo da una povera vecchia”. Cedette così al ricatto degli occhi di Nakia e cominciò a raccontare di quando da giovane, nelle notti d’estate, si sedeva in riva la mare con le altre fanciulle del tìaso, ad ascoltare le placide onde che si infrangevano sui granelli inerti e a declamare le poesie della fondatrice del loro gruppo, e in quell’oscurità rischiarata solo dagli astri e dalla Luna, passavano le ore a contare le stelle guizzanti, come le chiamavano loro, facendo a gara a chi ne vedeva di più.

“Stelle strane” diceva Selene ”secondo molte non erano neanche stelle vere. Era questione di un momento riuscire a vederle: un attimo prima non c’erano e un attimo dopo erano è già sparite. Il tempo di un istante e tutto finiva in una piccola scia luminosa, rosseggiante, come se il cielo fosse di ferro e qualcuno con una spada affilata lo graffiasse, provocando scintille e guizzi.”

Il racconto era già finito, stavolta Nakia doveva davvero andare a casa, peccato, sperava in un bel mito, in una grande leggenda con eroi e misteri, invece la nonna se ne era uscita con quella improbabile storia delle stelle guizzanti. Che cosa strana, lei non le aveva mai viste, forse lì in Egitto non c’erano, o forse non passava tempo sufficiente a guardare il cielo per accorgersene, del resto se duravano un attimo ci voleva poco a perderle di vista.
Salutò Lene con un bacio sulla guancia e le portò il latte che era in cucina per permetterle di cenare senza alzarsi, Nakia sapeva che Selene era molto anziana e si stancava presto. Viveva da sola da tanti anni, solo i bambini del villaggio si prendevano cura di lei, era il loro idolo e lei era un po’ la nonna di tutti, voleva loro un gran bene e aveva sempre qualcosa da insegnare loro: “in tanti anni che sono in questo mondo dovrò pur aver imparato qualcosa, e se ho imparato io, potete farlo anche voi”. Un sapere diverso, particolare, che non assomigliava alla tradizione e ai miti che conoscevano tutti: nonna Lene parlava di esperienze e avventure, leggende di eroi di quel lontano paese chiamato Ellade, in cui un tempo c’erano tante piccole città in cui tutti decidevano come se ognuno fosse un re. Queste stranezze non erano troppo apprezzate dai genitori, che preferivano educare i propri figli secondo la tradizione dei loro padri anche se i tempi ormai stavano cambiando, ma per i bambini del villaggio e per la loro grande curiosità non c’era niente di più eccitante.

“Grazie cara” fece Selene carezzandole la testolina bruna “ora và pure, ci vediamo domani. E salutami tanto i tuoi cari, gli dei li benedicano.” La piccola rispose con un grande sorriso, chiuse la porta dietro di sé e corse via in strada zompettando allegra: aveva una nuova favola da raccontare ai suoi amici e un’altra scusa per passare anche quella notte a guardare il cielo: trovare le stelle guizzanti.

 
 
 
 
 
Piccola nota: questo è il primo brevissimissimo capitolo, un po' semi introduttivo del racconto che spero di riuscire a finire^^, ho una passione per i nomi parlanti perciò vi dico subito che Nakia, che è davvero un nome egiziano, è l'equivalente latino di invicta (ognuno è libero di trarre le conclusioni che vuole sul personaggio...), Selene ovviamente è un nome greco e vuol dire, diciamo Luna. Nakia a tratti rappresenta un po' me, col suo amore per le stelle e altre caratteristiche che amo e che odio e di cui, beh, verrete a conoscenza col tempo ;). Uno spoiler-non spoiler: tranquilli, Nakia non rimarrà a 5 anni per tutto la storia ;). La poesia all'inizio è un'ode della poetessa di Lesbo, Saffo, che io adoro, con tanto di traduzione personale (speriamo bene XD) purtroppo non sono riuscita a mettere tutti i segni diacritici che servivano ma Saffo è così musicale che va bene anche così ;) Cercherò di pubblicare non meno di una volta ogni due settimane, scuola permettendo, spero vi piaccia e soprattutto che mi aiutiate con le vostre recensioni :)

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Capitolo 2
*** Stelle vigliacche ***


capitolo2

Rieccomi con il secondo capitolo della mia storia. Avete notato i titoli? Non era premeditato ma quando il secondo di fila mi è venuto con "stelle..." ho iniziato a pensare seriamente di includerle nel nome di ogni capitolo ^^ ,devo prima capire se può funzionare però...

Comunque,  la storia ha vissuto un radicale (più o meno) stravolgimento, di cui voi però non saprete mai nulla (uha, uha, uha) quindi il cambiamento di trama non vi causerà alcun problema, e poi c'era solo un capitolo... certo, non conoscerete Femi e Tale ma potrei sempre creare dei capitoli extra... hmm... perchè no? 

Ma tornando a noi: la nostra Nakia è cresciuta, così come il suo amore per il cielo, che condivide tutti i giorni con una persona speciale di cui leggerete proprio qui, una persona con il ruolo di coprotagonista e magari anche altro...

Prossimo aggiornamento, causa stravolgimento trama (ho solo un altro capitolo già pronto XD dopo tutti i miei cambiamenti) e scuola (siamo a fine maggio dopotutto...) tra due settimane: buona lettura e se vi piace, avete suggerimenti, domande o critiche (sempre ben accette) recensite :)
















2

 

“A'στερες μέν αμϕί κάλαν σελάνναν                                                                                              
‘α
ѱ απυρύκπτοισι ϕάεννον είδος,
όπποτα πλή
ϑοισα μάλιστα λάμπη
γάν επι παίσαν.”

 

“Aѱ απυρύκπτοισι ϕάεννον είδος” mormorava, “ma perché nascondono il volto?”.

Erano passati 13 anni da quel giorno e i melodiosi endecasillabi cantati da nonna Lene ancora risuonavano nella sua testa. Crescendo era diventata sempre più curiosa e ostinata, non si arrendeva, doveva trovare una soluzione alla sua domanda. Non poteva bastarle un semplice motivo poetico: la Luna rappresenta l’amata che è così bella da offuscare le altre ragazze; oppure una spiegazione scientifica: la Luna è più luminosa delle stelle quindi quando le sono vicino si notano poco e sembra che scompaiano.

No, le stelle di Saffo “si nascondono. Può giocare a nascondino una stella? Si può vergognare perché la Luna è più grande di lei e più bella?

Le stelle possono pensare, hanno un’anima?” pensava.

“Se così fosse sarebbero ben poco fiere: nella migliore delle ipotesi si nascondono dietro a chi è più grande per essere protette altrimenti potrei addirittura credere che hanno paura e si nascondono per non essere viste.”

“Che stelle vigliacche …” si lasciò sfuggire ad alta voce.

“Come?” fece Manes “a che altro stai pensando adesso? Ti sei fermata di colpo”.

“Scusami. Stavo riflettendo. Sai, è da quando ho sentito questa poesia per la prima volta che… mi chiedo… prometti di non ridere?”

“Ma sì, tranquilla, ormai non mi stupisco più delle tue assurde domande sulla vita”.

“Non sono assurde domande sulla vita” lo bacchettò scherzando “ non ti farebbe male stare un po’ a riflettere di tanto in tanto, riusciresti a capire molte più cose. E poi come ho detto non sono domande sulla vita ma sul cielo, le stelle: dovresti saperlo ormai. Saffo dice che le stelle << nascondono il volto luminoso >>, beh, che mi dici?”

“Perché, che dovrei dire?”

“Hai capito benissimo: che vuol dire secondo te che le stelle << nascondono il volto luminoso >> davanti alla Luna?”

“Intendi dire metaforicamente? Credo che significhi che la Luna è così bella che davanti a lei le altre luminosità del cielo notturno svaniscono …”

Sospirò: non era questa la risposta che voleva da Manes, sperava in qualcosa di più profondo, un po’ come le sue riflessioni sull’anima delle stelle o sulla loro codardia … lo sapeva simile a lei come carattere: era proprio delusa da quella mancanza di immaginazione.

Stava per interromperlo ma ecco che lui se ne uscì dicendo:

“Però credo anche che quelle stelle potrebbero essere… sì insomma: avere delle qualità positive. Prendi la Luna: lei è grande e luminosa e che fa? Se ne sta in mezzo alle stelline, sicura e tranquilla che è molto più bella di loro. Non è un comportamento onorevole, per questo le stelle si nascondono: per non vederla… perché non la sopportano, sono stelle arrabbiate, sdegnate…

o almeno la penso così!” concluse con un sorriso.

Nakia era senza parole: in 13 anni di riflessioni sulle stelle vigliacche non aveva mai pensato che la vera vigliacca potesse essere la Luna, la Luna che se la prende con i più piccoli, che li sdegna al punto di spingerli ad andarsene per odio nei suoi confronti. Guardò Manes con i suoi occhi viola, gonfi di stupore. Le aveva aperto tutto un altro mondo, con poche parole, ancora una volta.

Era sempre così: lei aveva un’immagine, si teneva tutto dentro per giorni, mesi o come in questo caso anni, e la sviluppava, la trasformava in pensiero, riflessione… poi quando la credeva pronta la rivelava a quelle due o tre persone che amava davvero e puntualmente si trovava a bocca aperta: usciva sempre un altro pensiero diverso dal suo con il quale fare i conti. Non che la cosa le dispiacesse più di tanto: il suo animo un po’ malinconico era sempre pronto ad accogliere e incoraggiare nuove riflessioni, soprattutto sul cielo stellato, avido di sapere la verità.

“Quindi sarebbe la luna la vigliacca…” disse quasi a bassa voce ”non ci avevo mai pensato.

Quindi secondo te le stelle… hanno un’anima?”

“Beh, suppongo di sì, se possono pensare e provare emozioni dovrebbero averla, ma stiamo parlando di una poesia: non è detto che sia davvero così, le stelle non possono andare via, lasciando il cielo scoperto, sono immobili no? Come dicono gli scritti”.

Fece una pausa un po’ imbarazzato: Nakia lo fissava con quel suo sguardo scettico come a significare: ma devo dirti proprio tutto io? È ovvio che non sono immobili, gli antichi scritti sono antichi e basta, niente più che favole. Manes sospirò, sapeva di non aver detto una cosa troppo intelligente agli occhi della ragazza, non se lo aspettava da lui dopo tutte le loro lezioni.

“Lo so che pensi il contrario, ti piace credere che tutto il firmamento abbia un’anima, che sia vivo, si muova, lo trovi così speciale per questo. Lo so bene che non riuscirei ad allontanarti dall’amore che provi per lui, però ti avverto di non uscirtene in giro con frasi del tipo << le stelle sono offese dalla Luna ogni volta che è piena >> e soprattutto sul fatto che abbiano un’anima: non penso che otterresti molto successo” concluse con un sorrisetto.

“Questo lo so, ecco perchè l’ho detto a te soltanto, neanche nonna Lene conosceva questo mio pensiero”.

“Ah già, dovevo capirlo che solo quella donna avrebbe potuto insegnarti i versi di Saffo.

L’hai più rivista?”

Nakia restò immobile per un istante, come in preda a un sogno, a un vortice di ricordi.

Aveva più rivisto Lene?

Nonna Lene?

 

“Non temere piccola cara: ci rivedremo, abbi fiducia negli dei del cielo”

Una testolina bruna, poco convinta, annuì rassegnata, poi alzò il viso: gli occhietti vispi, prima rivolti verso il pavimento sabbioso di quella che era una piccola, povera capanna, ma che per lei significava gioia, si alzarono, mostrandosi in tutto il loro vivissimo viola, lucidi e gonfi di quel pianto che la piccola cercava a stento di trattenere: voleva mostrarsi forte, incrollabile come le sue stelle.

“Io,  non voglio… dirti…  a-addio”

Cercò di dire con la voce il meno possibile rotta dai singhiozzi che non riusciva più a fermare.

“Gli addii non esistono” replicò con voce serena e tranquillizzante la vecchia

“Tutto ciò che sembra finire è un nuovo inizio, tutto ciò che se ne va, prima o poi ritorna. Così la piena del Nilo sommerge il suolo e sembra la fine per la terra, ma essa rinasce più forte di prima grazie all’acqua, così la Luna giorno dopo giorno sembra sparire, ma quando scompare del tutto ecco che ritorna e << risplende di nuovo piena su tutta la Terra >>.

Io e te ci rivedremo mia dolce Nakia, c’è un segreto che deve ancora essere svelato”

“Un segreto sulle stelle?” chiese la piccola guardandola speranzosa, un po’ confortata dalle parole dell’anziana donna

“Sì, un segreto che ti sarà svelato quando sarai pronta.

Ritornerai da me un giorno, quando le stelle ti chiameranno”, << quando vorranno portarti via >> pensò senza però dirlo.

“E quando?”

“Dovrai avere pazienza. Tu abbi fiducia, non dimenticare quello che ti ho insegnato, crescendo capirai”.

 

Crescendo capirai.

Stava forse capendo? Non era forse cresciuta abbastanza? Non passava giorno che non ci pensasse, c’era un che di misterioso nelle parole di Selene quella sera e lei ancora non sapeva cosa, anzi stava cominciando a dubitare perfino della loro veridicità.

Tornò alla realtà e a Manes, che attendeva una risposta:

“No, da quando abbiamo lasciato Keruit non sono più tornata per vederla" fece una piccola pausa.

"Sono passati molti anni ma mi piace pensare che sia ancora lì, al villaggio, seduta nella sua stanza con il latte vicino, circondata da bambini di tutte le età, pronti a fare tesoro di ogni più piccola parola che dice, che la assillano con continue domande e richieste e a cui lei dona sempre una carezza e una storia.

 

Ma tornerò un giorno, e nonna Selene mi dirà: ah, mia piccola Nakia, riconoscerei i tuoi occhi viola ovunque, sei diventata grande. Vieni, siediti accanto a me, ho un’ultima storia da raccontarti.”

Non piangeva spesso, ma Manes aveva visto che i suoi occhi si erano fatti più lucidi, aveva amato quella donna come una seconda madre, come fosse la vera nonna, e più il tempo passava più sentiva la sua mancanza.

La fissava, non era sua intenzione farle pensare a qualcosa che la rattristasse, non sopportava di vedere l’opaco velo grigio delle lacrime coprire quel viola: non erano due colori che stavano bene insieme, non se si trattava del viola di Nakia.

Sorrise, e lei fece lo stesso, era un momento di debolezza, nulla di più, presto i suoi occhi avrebbero ingoiato quel velo grigio, celando ogni traccia di quell’istante di smarrimento e insicurezza, e il suo viso sarebbe tornato a brillare del coraggio e della fierezza che la contraddistinguevano.

“Sono sicuro che è ancora lì, e ti aspetta. E magari un giorno me la presenterai, così potrai dirle quanto sia meno bravo di te ad ascoltare le sue storie”.

“Ah ah, non è vero, sei un ascoltatore modello, sapessi tutto il chiasso che facevano i bambini nella casetta di nonna Lene, tu in confronto sei perfetto davvero: non interrompi, non ti distrai, non ti agiti…”

Fece una pausa, guardava di nuovo nel vuoto, cercando di mettere a fuoco l’orizzonte, di distinguere ciò che c’era fra la striscia bruna della sabbia e l’azzurro del cielo del primo pomeriggio.

Nulla, riusciva solo a vedere quella sorta di nebbia ondulata che fonde e allo stesso tempo separa i due colori nelle ore più calde del giorno, tutto intorno era silenzioso, solo lei e Manes, sul tetto di una casa vuota, ai margini di Tebe.

 “Le piaceresti sai? “ riprese “ ti adotterebbe subito come nipotino”.

“Promettimi che quando sarò pronta a tornare da Lene, tu verrai con me” il suo tono era serio, quasi eccessivamente, certo per via del grande affetto e rispetto che Nakia provava per la donna ma c’era anche dell’altro, Manes la conosceva troppo bene per non intuirlo, e poi perché aveva detto << quando sarò pronta >>? Cosa spaventava la ragazza dagli occhi viola?

“Ma certo, te lo prometto”, disse reprimendo quei pensieri.

 “Devo dire che sono talmente tanti anni che mi parli dei suoi insegnamenti, che sono proprio curioso di conoscerla di persona, e poi sai che non ti lascerei fare da sola un viaggio così lungo.

È un periodo pericoloso per stare da soli”.

Nakia cambiò di colpo espressione, abbandonando tutte le sue fantasie e i suoi ricordi per concentrarsi sulle ultime parole di Manes, allarmata:

“Che intendi dire con questo?

Cosa hai sentito a palazzo?” Lo interruppe prima che potesse continuare.  Accidenti, forse non era il caso di rivelarle adesso quello che oltretutto non avrebbe dovuto sapere neanche lui.

 Dalla curiosità di Nakia non si scappava, sapeva che non era una frase buttata lì a caso e aveva già indovinato qual’era la fonte: ogni volta che si trattava di cose sentite a palazzo la ragazza era avida di sapere.

Avere un amico altolocato si rivelava utile molte volte: Manes infatti non era un semplice frequentatore del palazzo reale, era l’unico figlio del faraone.

Un figlio di faraone nato in un piccolo villaggio, lontano dalla capitale, negli anni difficili del dominio persiano di Achemene.

Non era prudente per un giovane principe andarsene in giro a declamare i propri nobili natali in quei tempi, per questo i suoi genitori avevano convenuto che restasse all’oscuro della sua vera identità, almeno finché la situazione non fosse migliorata. Così nei primi anni della sua vita era cresciuto in città come un semplice bambino, ignaro delle sue origini.

Per loro non era stato facile mettere da parte il proprio orgoglio e vivere da semplici sudditi, di un sovrano straniero per giunta, ma questo aveva consentito a Manes di trascorrere quegli anni tra la gente comune come un bambino comune. Ciò aveva segnato il carattere del giovane principe: anche una volta scoperta la verità, con l'ascesa al trono del padre, non era riuscito a sentirsi in nessun modo superiore ai suoi vecchi amici, meno di tutti a Nakia, anzi, spesso tra i due i ruoli si invertivano: la maestrina dagli occhi viola era sempre un passo avanti a lui.

Forse erano stati proprio i suoi insegnamenti dal sapore greco e filosofico a fargli dimenticare che un giorno avrebbe rappresentato gli dei in terra e guidato il popolo d’Egitto, lo aveva influenzato ed educato in questo senso al punto che ormai aveva smesso di prendere sul serio tutto ciò che gli veniva insegnato di tradizionale dai suoi precettori ufficiali.

Ciò che diceva Nakia gli sembrava sempre più sensato delle vecchie favole sul potere divino del faraone, certo non fino al punto da dubitare dell’esistenza degli dei e del valore della figura di suo padre, dopotutto neanche Nakia sembrava avere seri dubbi su questo punto, però sapeva anche molte altre cose e non esitava a mettere sempre in discussione la tradizione per capire la verità.

Manes la vedeva come una sorta di meta, doveva diventare come lei perché prima di diventare re doveva riuscire ad avere quelle qualità che Nakia possedeva in abbondanza. Sentiva che era l’unica persona che lo superava davvero, in determinazione, coraggio, sapere … era forse per questo che erano diventati amici? Il loro rapporto era una sfida continua? Non ne era sicuro, magari all’inizio era stato così, ma poi aveva smesso di tentare di superarla, l’avere al suo fianco qualcuno migliore di lui lo faceva restare coi piedi per terra, e poi adorava la sua compagnia, stare con lei, ad ascoltarla anche per ore…

Ore? Ecco la scusa perfetta: era tardi! Stava già per rassegnarsi a riferirle quelle poche misteriose frasi che aveva origliato, che si ricordò dei suoi doveri: le lezioni.

“Nakia, si tratta di una faccenda molto strana, che non conosco fino in fondo nemmeno io. Ora è troppo tardi per parlarne bene. Facciamo così: cercherò di scoprire di più per la prossima volta che ci incontriamo, ora devo proprio andare dai miei maestri o si insospettiranno”.

Era lampante: se la stava svignando di proposito con quattro frasi buttate a caso. Ma allo stesso tempo si fidava di lui e sapeva che se non le rivelava ora quello che sapeva, era perché non era davvero il momento opportuno. Dopotutto il fatto del ritardo poteva non essere completamente falso: un principe ha un sacco di impegni e doveri, quindi per questa volta si arrese subito, non che le andasse molto a genio dover aspettare qualche tempo prima di sapere questo segreto, ma non c’era altra scelta.

“D’accordo” disse poco convinta.

“Ci rivedremo domani però e voglio che tu mi dica tutto quello che sai. Voglio aiutarti se da come ho capito si tratta di una faccenda così seria … perché è seria non è vero?”

Annuì. La guardò fisso con i suoi occhi blu profondo: “ti prometto che non ti nasconderò mai niente.

Domani saprai tutto quello che so”.

“Ci vediamo domani alla seconda ora della notte allora, ti aspetterò di nuovo qui.”

Le carezzò velocemente i capelli, come avrebbe fatto un fratello affettuoso, e scappò via.

 

Nakia guardò Manes che scendeva agilmente dal tetto, continuò a seguirlo pensosa con lo sguardo, immobile, finché non divenne un puntino nero sulla lunga strada principale della città che cominciava alle sue spalle.

Non avrebbe avuto problemi: anche questa volta erano stati prudenti, avevano sfruttato le ore di riposo della giornata e nessuno li aveva visti insieme, e anche se fosse non li avrebbero riconosciuti scorgendoli da lontano sul tetto di una vecchia casa. Ma questa era normale routine, ormai non si preoccupava più da tempo del fatto che si venisse a sapere dei loro incontri: in tanti anni non era mai successo, figuriamoci se sarebbe venuto a galla quella volta.

No, in realtà ciò che la preoccupava erano le parole di Manes, quel fare sospetto e misterioso che aveva turbato l’ultima parte della loro conversazione, quel fantomatico pericolo che sembrava così serio e allo stesso tempo così assurdo. Cosa mai poteva succedere ancora: la pace era finalmente tornata in Egitto no? Dopo anni di dominazione straniera ora era stata restaurata la vecchia dinastia, suo padre finalmente regnava: cosa preoccupava Manes?

 

άστερες μέν αμϕί κάλαν σελάνναν

 

“Datemi una risposta:

che significa?”

 

Lo sguardo fisso verso il cielo, intento nell'impossibile impresa di scorgere i misteriosi puntini splendendi che impreziosiscono e donano luce allo scuro velo della notte. Ma ora era pieno giorno, ancora presto per le stelle. Nakia però sentiva, sapeva che loro erano sempre lì, anche quando non si vedevano, e per lei dunque l’orario non faceva differenza. Ripensare alle stelle l’aveva già riportata nel suo mondo, nelle sue domande e nei suoi ragionamenti.

 

“Non sarete mica offese perché vi ho dato delle vigliacche vero?” pensava “dopotutto ho sempre detto che le vigliacche erano le stelle della poesia, non tutte quante, e poi ora credo che Manes abbia ragione: non penso più che siate delle codarde. Forse… chissà, magari non l’ho mai pensato davvero, magari era solo..”

non sapeva fino a che punto credesse davvero in quello che stava per mormorare:

“ …una riflessione inutile come tutte le altre. Tanto per passare il tempo”.

Dopo tutti quegli anni senza una risposta si sentiva più sconfortata giorno dopo giorno, ma doveva andare avanti: non si poteva vivere di ricordi e fiabe per tutta la vita no? Eppure non riusciva a fare a meno di fantasticare e pensare alle stelle, sentiva come se… se facessero parte di lei, da sempre.

 

Fece una pausa.

Aspirò profondamente e si mise ad ascoltare il caldo vento di Akhet che agitava i granelli di sabbia.

 

Chissà se le stelle avevano un’anima?

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Capitolo 3
*** Stella del mattino ***


Salve, vi ho fatto attendere per questo capitoletto eh? direte: ma mi aspettavo almeno una lunghezza da Divina Commedia, invece è più corto del precedente! Sì, avete ragione, il fatto è che ho tagliato tutta una parte perchè come ho già accennato ho deciso di cambiare un po' la trama, però vi assicuro che mi ci sono impegnata ugualmente, tanto tempo.
Ma veniamo al capitolo in sè: Manes è il protagonista assoluto di queste righe, righe in cui accenno ad altri due personaggi e vi pongo un enigmatico scambio di battute fra i due. Il nostro principe sembra aver capito cosa vogliono dire: e voi? Se avete ipotesi sul significato delle loro parole fatemelo sapere che sono curiosa ^^ (mio fratello ad esempio si è rifiutato di pensarci...).
Allora buona lettura, spero vi piaccia e mi raccomando: recensite, spero di poter aggiornare tra una settimana stavolta.








capitolo3

3

 

 




“Quello che mi dici è grave”, la voce solenne anche se acuta del faraone era appena percettibile nell’ampio cortile colonnato del palazzo di Tebe

“Molto grave” ripeté con tono ancora più basso e severo.  

“Se si trattasse di semplici coincidenze o superstizioni non avrei ardito scomodare la tua mente con delle sciocche favole, o mio re. 
Purtroppo sta accadendo davvero”.

 Un uomo sulla cinquantina seguiva il sovrano guardando con umiltà (o forse rassegnazione?) il pavimento di pietra bruna, rispettando l’andatura composta e lenta di colui che lo precedeva. Parlava dosando le sue parole con lucidità ma anche lui molto flebilmente: orecchie indiscrete non dovevano udire la loro conversazione.

Eppure le paia di orecchie drizzate in quel momento non erano due come auspicato.
Un certo principe in anticipo sulle sue lezioni, che si apprestava a fare quattro passi nel giardino, a riflettere filosoficamente sotto il suo amato salice, aveva scelto quello stesso corridoio come strada: l’alto tetto e le grandi colonne offrivano riparo e fresco dal caldo umido del primo mattino.

Riconobbe subito l’andatura del padre e del suo visir Edfu, ma invece di raggiungerli e salutarli con garbo prima di proseguire per la sua strada, decise di fermarsi a fare qualcosa che non normalmente non avrebbe mai fatto : origliare. Era strano infatti che parlassero di cose così importanti da necessitare un tono di voce basso, in un luogo diverso dalle stanze del faraone.

 

“Speravo che dopo tutti questi anni avesse dimenticato.

Che si fosse accontentata” proseguì il re. “Quante persone hai detto?”

“Otto, o sire”

“La giustizia…” mormorò fra i denti il sovrano.“Ne mancano quattro,

  sai chi”

“Lo immagino” fece il visir cupo.

“Ma non fallirò:  sono un dio, io sono Horus ormai, sono Aton il sole e non temo la notte nè i suoi signori! 

 Io la ritroverò in tempo!”

La voce di suo padre si era infiammata all’improvviso: cosa stava succedendo? Chi erano quegli 8? Chi andava ritrovata?

 

<< Domani saprai tutto quello che so >>

Quante erano più o meno? 36 ore? Aveva 36 ore per scoprire i segreti di quella oscura conversazione. 36 ore per scoprire la verità, o parte di essa, e riferirla a Nakia.

E poi?
Non sapeva di quale verità si trattasse, non ne aveva idea, ma sentiva il pericolo e il mistero delle parole del padre.
Aveva cercato di dimenticare quella strana conversazione mattutina col visir ma era bastato un niente per farla tornare a galla parlando con la ragazza.

“Riflettiamo” si disse.

“E' accaduto un fatto grave, di cui nessuno deve venire a conoscenza, altrimenti non si spiegherebbe tanta segretezza e affermazioni così allusive” cercava di ricordare ogni singola frase del discorso udito quella mattina

“Una certa << Lei  >> non ha dimenticato qualcosa, come invece mio padre sperava. Poi si è rivolto a Edfu e ha detto << quante persone? >>. lui ha risposto 8 e mio padre ha commentato << la giustizia… >>. Forse perché questi 8 non hanno rispettato la giustizia? Sono abbastanza sicuro che si tratti di un affare recente e inoltre sanno già chi saranno i prossimi 4 bersagli e che saranno gli ultimi.
<< Non temo la notte nè i suoi signori >>, << la ritroverò in tempo >>… forse intende ritrovare questa lei per placare i signori della notte? 
E chi mai sarebbero? Chi può temere un faraone? 
Poi però ha detto anche << purtroppo lei non ha dimenticato >>. Dunque << Lei >> prova rancore? È malvagia? Perché doveva accontentarsi?...”

 

Rimuginò su quella conversazione sibillina per buona parte delle 36 ore, non riuscendo mai a ricavarne una soluzione o un’ipotesi soddisfacente. Sembravano, a suo parere, frasi totalmente sconnesse tra loro, ma non legate a un avvenimento così grave all’apparenza: forse suo padre e il visir si erano parlati usando un codice? Era a quello che servivano i numeri?
Ma scartò anche quell'idea: l'uso di un codice segreto non spiegava assolutamente l'improvvisa collera del padre.

C’era una frase in particolare poi, che mandava all’aria tutte le sue congetture ogni volta che la riesaminava: << speravo che dopo tutti questi anni avesse dimenticato. Che si fosse accontentata >>.

Non riusciva a darle un senso, non in rapporto all’intera conversazione. La sua ipotesi più salda, o forse sarebbe meglio dire meno incerta, era che la << Lei >> che il padre doveva ritrovare fosse la stessa che non aveva dimenticato. Ma allora perché quella da ritrovare sembrava fosse legata a qualcosa di positivo e  l’altra a un che di negativo?

Odiava ammetterlo ma non ci si raccapezzava più, era costretto a sottoporre il problema a qualcun altro per cavarci fuori una minima idea, e quel qualcun altro non poteva essere che lei.

“Dannazione!” esclamò seccato

“Possibile che da solo non riesca mai a fare niente?!” 

Odiava dover dipendere dagli altri, aveva un bel caratterino non c’è che dire: orgoglioso, cocciuto, determinato… anche se ormai non si sentiva più in sfida con Nakia, l’idea di doversi affidare a lei per risolvere i suoi problemi non gli piaceva affatto. Lui era indipendente. Voleva dimostrarle di essere in grado di ragionare, di essere scaltro, di essere come lei, la sua meta.

 Si calmò un attimo. Era nella sua stanza, illuminato dalla luce rossa del tramonto che ormai giungeva alla fine, presto sarebbero sorte le stelle. 
No, ecco cosa non andava. Non era quello il posto giusto per pensare.

 

Si precipitò lungo gli immensi e scuri colonnati, corse fino alla parte più amena del palazzo, salì le lunghe rampe di scale, in fretta, come se la soluzione lo attendesse lì e stesse per fuggire, come il sole che proprio ora si trovava appena sopra la linea dell’orizzonte. Non sapeva neanche lui il motivo di tutta quella fretta, forse semplicemente aveva voglia di muoversi dopo tutto quel tempo passato seduto ad arrovellarsi.

 

La luce rossa lo avvolse all'improvviso, dopo tutto quel correre nella penombra..
Si arrestò, sulla soglia di un piccolo spazio aperto, un giardinetto di modeste dimensioni, soprattutto se rapportato a quelle degli altri cortili del palazzo, quasi del tutto spoglio: era il suo giardino, nessuno ci andava mai oltre a lui, l'unico a trovarlo bello e speciale nella sua semplicità. 
Un grande salice era proprio nel mezzo, con i suoi rami flosci che pendevano verso terra, sempre più giù a ogni anno che passava, da lì si godeva di un grande, incredibile panorama sul deserto. Il cortile infatti era all’estremità dell’ala più esterna del palazzo, quasi fuori città, ed era sopraelevato proprio come i terrazzi delle case di Tebe. 

Ansimando ancora un po’ per la corsa, Manes mutò improvvisamente stato e si avviò a passi lenti, come avesse paura di deturpare la pace di quel piccolo luogo, verso il sottile parapetto di mattoni rossi. Eccolo, il sole era di fronte a lui, che dava gli ultimi addii prima di sparire fino al mattino seguente, allungando la sue calde braccia verso tutte le creature della terra. Aton, che splende di luce infinita e inonda l'Egitto con il suo calore, donando la vita. Aton il disco lucente, Aton Ra, il dio sole.

Forse era per questo che aveva corso tanto, stava perdendo il suo appuntamento con il dio, con il creatore del mondo?
Osservò in silenzio il disco rosso fuoco che emanava le sue ultime scintille, come un tizzone che pian piano si spegne ma è ancora in grado di illuminare chi gli è intorno, e sa che se ravvivato da un po’ di legna potrà rinascere a nuova vita. Così il sole sarebbe rinato il giorno dopo, riportando la gioia di vivere nei cuori della gente del paese.

<< Tutte le creature del mondo sono nelle tue mani,
proprio come tu le hai fatte.
Con il tuo sorgere, esse vivono.
Con il tuo tramontare, esse muoiono. >>

All'improvviso gli erano venuti in mente i versi dell’inno ad Aton di re Amenothep.

Lo trovava buffo: con Nakia parlava della notte e delle stelle e da solo del giorno e del sole. Decisamente non sapeva da che parte stare. 
Sorrise: ma bisognava proprio scegliere? 
In momenti come questi capiva quanto amava la sua terra, quanto le fosse legato. La amava di notte, quando la calma e il silenzio avvolgono ogni cosa e solo la flebile luce degli astri permette di distinguere la propria mano dal resto nell'oscurità; la amava di giorno, quando sotto i caldi raggi di Aton  la vitalità e la bellezza dell’Egitto  e dei suoi abitanti erano più tangibili, quando udiva le grida della gente nei giorni di mercato e le risate dei bambini, quando sentiva lo stormire  degli uccelli che volavano in cerchio lungo le sponde del Nilo.

Era in momenti come questi che pensava al suo futuro, anche se non riusciva a immaginarsi faraone. 
Non ancora.

Rivolse di nuovo il pensiero al misterioso scambio di battute di quella mattina. No, se non riusciva a risolvere problemi così piccoli voleva dire che non era pronto.
Strinse gli occhi blu un po’ amaramente. Aton aveva lasciato il cielo, rimanevano solo alcune nubi sparse qua e là graffiate di rosa e arancio.

 
 

Era notte inoltrata quando finalmente decise di alzarsi. Non che avesse ricavato molto anche da quelle ore  passate sotto il vecchio salice, ma se non altro aveva pensato all’aria aperta.
Si era quasi rassegnato a dormirci su, aveva ancora tempo prima del loro prossimo incontro, al limite, poteva sempre  raccontarle semplicemente tutto ciò che aveva udito (per paura di alterarlo  o dimenticarlo lo aveva addirittura scritto su un pezzo di papiro).

“Non ti nasconderò mai niente, domani saprai tutto quello che so”

 "Per quanto poco possa essere..." mormorò deluso.

Stava uscendo dal giardino, si mise a pensare alle lezioni dell'indomani, per distrarsi dalla delusione personale di non aver cavato niente da una giornata intera di lavoro di meningi:

"Conosco una certa persona a cui piacerebbe l'argomento del giorno, filosofia pitagorica. Con tutti quei numeri, la loro simbologia..."

"Simbo, logia...." ripetè lentamente. Un piccolo, timido sorriso soddisfatto cominciò pian piano a farsi spazio sul suo volto, facendosi strada fra i due angoli della bocca:

 "Ma certo, come ho fatto a non pensarci?"

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Stella della sera ***


Capitolo 4

Salve, per farmi perdonare il vecchio ritardo pubblico un capitolo un po' più lungo, l'ultimo non è piaciuto troppo *lacrimuccia mentre guarda il numero di visite* ma spero che questo vada meglio, mi ci sono impegnata molto anche se è un po' surreale. Ebbene sì, la trama comincia a prendere una piega che finalmente spiega il genere "sovrannaturale" ma ovviamente non ancora del tutto, la verità sarà svelata un po' per volta... (spero che nel cercare di celarla non sia arrivata al punto che non si capisce niente XD).

Confermo imperterrita i titoli con la parola "stelle", ma stavolta c'entra davvero, non come il cap.3 che più o meno ci stava... ma sì, magari un po' tirato..., no: qui è davvero la Stella della Sera al centro dell'attenzione. Non sapete di cosa parlo? Vi rovinerei la lettura con una spiegazione scientifica  sulla Stella della Sera, quindi vi rimando a piè di pagina per le dovute note (in cui finalmente mi decido anche a spiegare che vuol dire Akhet). C'è anche un'altra novità significativa nelle prossime righe: signore e signori, accogliamo l'altra protagonista della nostra storia, la bellissima, serafica, adorabile Najma! 

Oh mamma, e pensare che non volevo neanche scrivere un'introduzione, chissà che noia per chi legge... vabbè comunque spero che la lettura sia piacevole, magari perfino bella, e se vi piace appunto, fatemelo sapere con una piccola recensione, mi aiuta davvero a capire cosa scrivere e modificare ^^





4

 

 

 

 
La giustizia, ecco cos’era quel numero. 8. Era il numero che rappresentava la giustizia!

Ora aveva un punto da cui partire, qualcosa di certo da riferire a Nakia e su cui poi basare le loro indagini.

Giustizia…

L’autore, o più probabilmente l’autrice di quei misfatti aveva certamente voluto mandare un messaggio al faraone ecco il perché di quel numero.

Giustizia…

Suo padre aveva dunque compiuto ingiustizie? Si era macchiato di delitti per meritarsi un avviso così chiaro da una signora del cielo?

Non poteva crederci: il farone era la giustizia, come poteva essersi comportato da criminale? E ora veniva punito, tra breve altre 4 persone sarebbero state colpite. 12 in totale.

Quel numero però non gli faceva venire in mente nulla.

Forse alle altre 4 sarebbe successo qualcosa solo se il re non avesse rimediato al suo errore, ritrovando quella certa lei?

Ancora una volta le domande tornarono ad affacciarsi nella sua mente, affollandola di mille voci per nulla all’unisono e tutte rigorosamente discordanti: il mistero dell’8 era ormai stato risolto, ne era certo, ma questo non faceva che far nascere nuove domande e alimentare nuove congetture; di nuovo qualunque ragionamento e tentativo di venirne a capo sembrava tanto corretto quanto sbagliato.

 

Ora basta però, era comunque riuscito a sistemare un pezzo, piccolissimo, del puzzle di quell’enigmatica conversazione, ora doveva smetterla e concedersi un po’ di riposo, visto che era notte fonda.

Mentre si stava finalmente incamminando verso l’interno del palazzo si voltò per dare un’ultima occhiata al giardino e fu in quel momento che all’improvviso lo vide.

 

Il cielo color pece, ormai privo di luna e rischiarato a sprazzi dalle microscopiche lucine delle stelle come tante lucciole su un telo buio, brillò per una frazione di secondo e subito dopo fu attraversato da una lunga coda rossastra, luminosissima ma allo stesso tempo tetra.

Un guizzo, una scia luminosa. Un istante.

Quella luce lo raggelò, lo lasciò sgomento e inspiegabilmente impaurito: era qualcosa di stranamente anomalo e percepì una sensazione di pericolo provenire da quella coda.

Velocissimo il lampo aveva raggiunto terra. Udì un rumore sordo, come di un tonfo, una caduta in lontananza. Qualunque cosa fosse, sembrava atterrato proprio all’interno delle mura del palazzo.

 

Ma davvero il rumore del tonfo era dovuto a qualcosa che era atterrato?

Manes aveva avuto una strana sensazione, era durato tutto una frazione di secondo ma non era molto sicuro che qualcosa fosse caduto dal cielo in terra o che la luce si fosse mossa dall’alto verso il basso, nonostante quel rumore.

Aveva piuttosto l’impressione che la scia fosse partita dalla terra stessa, dal palazzo.

 

Senza riflettere più di tanto si alzò e si avviò a passi veloci verso il luogo dell’accaduto, con sua grande sorpresa si accorse di starsi dirigendo verso gli appartamenti della famiglia reale. La sua famiglia.

Aveva un brutto presentimento. Preoccupato continuò ad avanzare fra i corridoi deserti e silenziosi, affrettando il passo, mosso dall’istinto e dal flash che aveva in mente del luogo da cui gli sembrava il guizzo fosse partito.

Realizzò presto qual’era il punto esatto.

Le stanze di sua madre.

 

Ormai correva, ansimando si precipitò sull’uscio ed entrò trafelato nella grande camera, e lì la vide.

I suoi occhi zaffiro si pietrificarono. Ecco cos’era quel tonfo.

 

 

Il torace snello si alzava e si abbassava regolarmente, saliva verso l’alto e poi riscendeva lentamente, con calma, seguendo il placido ritmo del respiro di chi gode il meritato riposo. La notte e i suoi sogni. Questo era stato ciò che Nakia aveva sperato prima di andare a dormire, i suoi ultimi pensieri. Sì, non aveva pensato di nuovo a Selene e alle stelle, era scossa ancora dalla brusca separazione di lei e Manes quel mattino e aveva passato la giornata a pensare cosa potesse mai essere successo, quali erano i pericoli che non rendevano il loro periodo “buono per stare da soli”,  non sapeva certo che anche il ragazzo era stato tormentato tutto il giorno dallo stesso interrogativo, con l’unica differenza che aveva degli indizi in più, dei mattoncini piccoli e fragili ma con cui poter incominciare a costruire le sue ipotesi.

Lei non ne aveva, aveva solo lo sguardo di Manes fisso in testa: quegli occhi blu profondo che si erano discostati dai suoi color ametista per l’attimo di una frase, che preoccupati si erano diretti lontano, oltre le dune di sabbia, forse alla ricerca di questo fantomatico pericolo, e si erano poi abbassati repentinamente prima di tornare a specchiarsi nei suoi: quale minaccia avevano visto? Un lampo di tensione li aveva attraversati, fulmineo, ma abbastanza intenso da farle capire la gravità della situazione, senza temere di sbagliare nel valutarla.

Aveva pensato, fatto congetture, costruito castelli di fantasiose idee, di assurde teorie. Del resto l’unica cosa che poteva fare era basarsi su quello sguardo e tenere presente tutto ciò che Manes avrebbe potuto temere, e soprattutto temere che accadesse a lei.

Temeva per lei, che pensiero dolce le era sembrato. Non ci aveva mai riflettuto più di tanto, era troppo presa dagli astri, troppo egoisticamente raccolta nelle sue riflessioni esistenziali sul cielo, nei suoi dialoghi mistici con le stelle, per accorgersi di quanto in realtà fosse egocentrica, superba perfino, no, ecco: saccente. E infatti non aveva molti amici, era un tipo un po’ solitario, sempre sulle sue, costantemente perso nel suo piccolo mondo di cui solo lei possedeva la chiave, chiave che prestava di rado e che non avrebbe mai donato a nessuno… o forse sì? A una persona… in effetti l’aveva già donata. Manes era sempre lì, a farle compagnia in quel suo universo parallelo, ad ascoltarla nonostante i suoi difetti, a prestarle attenzione, anche se magari gli argomenti di cui parlava non erano poi così interessanti e tendevano a ripetersi. Sì, era davvero un comportamento dolce.

Un timido sorriso affossò uno degli angoli della bocca nella guancia dorata. Possibile che riuscisse a riflettere anche mentre dormiva?

 

Notte fonda, il vento di Akhet ulula malinconico, un triste lamento che sembra voler richiamare anime disperate e raminghe nella cupa speranza di portarle via con sé in un posto migliore, o semplicemente diverso, offrendo loro l’opportunità di vagare proprio come lui, di paese in paese, senza sosta, senza speranza. Queste erano le favole che le nonne o le sorelle maggiori raccontavano per costringere i bambini ad andare a letto: il terribile Vento degli Spiriti, il rapitore delle anime.

Anche in quella notte apparentemente normalissima, Akhet aveva inviato il suo messaggero notturno preferito: un vento fresco, che trascinando con sé non anime o spiriti raminghi bensì granelli di sabbia rossa, foglie e batuffoli di polvere, li gettava con delicatezza contro gli usci delle case, i muri, le tende, compiendo placidamente il consueto giro della città deserta.

Bussò anche alla porta di Nakia, che sognava dolcemente nella sua piccola casa, avvolta in un leggero lenzuolo di lino.

Qui però si trasformò: divenne davvero il Vento degli Spiriti, ululò, bussò con insistenza e infine irruppe nella stanza spalancando la porta. Nakia si voltò verso l’uscio quasi scardinato ma non aveva neanche sussultato. Non aveva paura del vento di Akhet, non di questo vento.

 

Inaspettatamente al di là della soglia di casa non vide la stradina di ghiaia o le abitazioni dei suoi vicini, anche l’oscurità della notte era sparita: davanti a lei c’era una luce fortissima, pura e candida come il sole del primo mattino, che rende il cielo quasi bianco per quanto splende. Sentiva delle voci, strane voci di cui non avrebbe saputo identificare i proprietari: donne? Uomini? Bambini? Bambine? Erano … non sapeva bene come fossero, ma provava in lei una strana sensazione: ogni giorno provava sempre un senso di smarrimento ed era arrivata a convincersi che le mancasse qualcosa, e ora invece si sentiva… completa, quel qualcosa era lì, anche se non sapeva come. Sentiva anche di potersi fidare di quelle voci, le trasmettevano un senso di sicurezza, di pace. Ora le udiva più distintamente, erano almeno due, limpide e cristalline come rugiada, una più grave dell’altra, e discutevano, ma non capiva le parole. Poi tacquero, le parve che dalla grande luce, che ora aveva avvolto del tutto la stanza dandole l’impressione di stare fluttuando in un mare bianco, si muovessero delle figure, che si avvicinassero a lei. Si sentì felice, soprattutto nel vedersi avvicinare una delle due, più piccola, simile, per quanto riuscisse a capire, a lei. La felicità si interruppe per un attimo, un bagliore rosso si avvicinò alla figura più grande, in un istante si trasformò in una terza entità che si allontanò, avvicinandosi ad altre otto del tutto simili che Nakia prima non aveva notato. Si accorse poi all’improvviso che non aveva un corpo: era anche lei una strana figura, quasi una persona trasparente, ma molto meno luminosa delle altre che le stavano vicino. Non per questo però si spaventò. Si sentiva a suo agio, almeno fino a quando la presenza più piccola le stava vicino, non sapeva spiegarselo ma era rassicurante. Allungò una mano opalescente e la sfiorò. In quell’istante si sentì come se avesse trovato il pezzo mancante della sua persona, quello che la faceva sentire incompleta.

“Chi sei?” le disse.

La figura sorrise, si era fatta più nitida, ora era anche lei un corpo trasparente come Nakia, sebbene più luminoso. Le assomigliava davvero, la ragazza ebbe l’impressione di guardare il suo riflesso nel vetro.

Le prese le mani con affetto, dando a Nakia l’impressione di una vecchia amica che commossa riabbraccia una persona cara dopo una lunghissima lontananza. Sì, il tono con cui rispose era proprio commosso, affettuoso, eppure allo stesso tempo velato da rassegnazione e tristezza:

“Io sono Najma”.

Nakia si accorse all’improvviso che Najma aveva una caratteristica che la lasciò senza parole: due splendenti e vividi occhi viola, proprio come i suoi.

Guardare quel volto uguale al suo era come specchiarsi nell’acqua, nonostante continuasse a essere a suo agio la ragazza cominciò a sentirsi sempre più  stupita, incredula: tutto ciò era incredibile, nel vero senso della parola.

Najma si accorse subito della meraviglia dipinta sul volto di Nakia. I suoi occhi ametista erano fissi, pieni di dolcezza e nostalgia, in quelli dell’altra. Quanto avrebbe voluto rivelarle ogni cosa: la loro nascita, il mistero di quel colore viola, Selene, il profondo affetto che provava per lei… voleva aiutarla svelandole la verità, ma non poteva. Non era compito suo, sebbene avesse sperato e pregato perché lo fosse. Ma poteva ancora esserle d’aiuto, era lì per questo, aveva comunque ottenuto un piccolo ma importante ruolo nella commedia del destino.

 

“Io non permetterò che le accada del male. Non porterai via anche lei, come hai fatto con me”.

“Sai di non stare dicendo la verità. I patti che gli uomini decidono di stringere con me prescindono dalla mia volontà, non ne sono responsabile: né del tuo destino né di quello della ragazza.

Ormai il cerchio è stato tracciato, non si torna indietro, lo sai bene. L’accordo stretto con quell’uomo mi dà il diritto di richiamarla a me, mi impone di farlo.”

“No, tu puoi farne a meno. Come puoi accettarla e consegnare il potere nelle mani indegne di un uomo simile? Come puoi farlo a un simile prezzo?”

“Il prezzo da pagare è uguale per tutti, da sempre.”

“Ma questa volta non devi accettarlo, Espero*: io non te lo permetterò. Anche se hai preso me non porterete a termine quanto cominciato. C’è un modo per salvarla  e non  mi importa se richiede il sacrificio di altre 12 anime. Io non la abbandonerò!”

“A chi io ceda il potere mi è irrilevante, non mi riguarda. Che siano 12 anime o solo la sua, il patto va rispettato. Sarà il tempo a decidere la sorte dell’altra tua anima: se dovrà cessare di nascondersi o se continuerà a vivere in quel mondo”.

“Io però non me ne starò con te a guardare indifferente che il suo amaro destino giunga a compimento. Ho già agito in modo che potesse salvarsi: le ho fatto incontrare colei che dovrei odiare, la vecchia. E ora porterò a termine il compito che mi sono data: l’avvertirò, le dirò tutto, non la troveranno.

Nakia non morirà!”

La voce di Najma tremò per la violenza con cui aveva proferito quelle ultime parole. Le  sue abituali riflessività e saggezza erano venute meno per un attimo, avevano ceduto il posto alle emozioni e al ricordo. Era salda nella sua decisione, risoluta e pronta a qualunque cosa per salvare la ragazza dagli occhi viola.

“Tu non le dirai tutto!” ora Espero stava perdendo la pazienza, non tollerava domande e obiezioni: tutti dovevano seguire il proprio destino, il cammino già tracciato per loro da qualcun altro, non era possibile, non era lecito interferire e opporsi. “Puoi solo metterla in guardia su quale sia la sua sorte, solo questo ti concedo”.

 

Prima che Najma potesse pronunciarsi di nuovo, Nakia, in cui la curiosità aveva ormai vinto quello stupore che l’aveva lasciata attonita per un momento, le rivolse la parola

“Che cosa sei?”

Si sentiva un po’ in imbarazzo a fare una domanda del genere, davvero inusuale, ma voleva delle risposte: era tutto così strano, e di Najma si poteva fidare ciecamente, lo sentiva.

L’altra inclinò la testa luminescente di lato, con malinconia, continuava a tenerle salde le mani, non riusciva a credere che fossero insieme, di nuovo.

“Cosa ero, non posso dirtelo, lo scoprirai col tempo. Cosa invece sono ora, se è questo che ti preme sapere, invece posso rivelartelo. Ormai io sono…una stella.  Uno dei raggi della stella della sera”

“Espero!”

“Hmm” annuì la stella.

“Sei uno dei raggi di Espero?! È lei allora, quella figura maestosa dietro di te”

Najma annuì di nuovo. Nakia era sempre più incredula ma soddisfatta almeno di aver ottenuto una risposta, seppur così assurda.

“Vieni con me” le disse l’altra gravemente.

 

Nakia aprì gli occhi. Era nella sua casa, avvolta nel suo lenzuolo, tutto intorno a lei era buio e muto, perfettamente conforme a una tipica notte fonda. La porta era al suo posto come se il Vento degli Spiriti di Akhet non l’avesse mai toccata.

Aveva sognato, non c’era altra spiegazione. Era un po’ delusa.

Però, che sogno strano, pensava, riusciva ricordarsi nitidamente ogni particolare: il dialogo con Najma, le sue emozioni, le sue sensazioni, la luce, Espero.

Si alzò lentamente, non sapeva quanto tempo avesse dormito: poche ore? tutta la notte? ignorava infatti che ora fosse e quanto mancasse all’alba. Ma non aveva più sonno, dopo un sogno simile non sarebbe mai riuscita a riaddormentarsi. A passi  pesanti si avviò verso le piccole scale, le salì con lentezza, appoggiando la mano destra sul fresco muro; si sentiva come guidata da qualcosa, attirata verso la terrazza. Doveva vedere le stelle.

Eccola, proprio come si aspettava, Espero era lì, più luminosa che mai.

Nakia si mise a rimirarla, con l’animo di chi attende qualcosa.

“Vieni con me”

Una voce. La chiamavano. Era Najma! Non c’erano dubbi. Ma dov’era? Possibile che fosse davvero una stella, che la stesse chiamando uno dei raggi di Espero? Dunque non era stato solo un sogno… Nakia non riusciva a crederci e si convinse di aver avuto un’allucinazione, continuò a fissare l’astro nella speranza di chiarire i suoi dubbi.

 

Espero brillava, luccicava di una luce tremolante, emanando tanti minuscoli raggi che sembravano circondarla come una corona: si allungavano e si accorciavano impercettibilmente, in continuazione, rivaleggiando l’un l’altro in lunghezza per brevi istanti, riprendendo poi la posizione iniziale per far posto agli altri. Uno era un po’ più lungo dei suoi compagni, ma la ragazza non ci fece caso, le sembrava normale che i guizzi della stella avessero lunghezza irregolare. Il raggio però non tornò al punto di partenza dopo un istante, continuava ad allungarsi diventando sempre più visibile così luminoso contro il cielo buio.

Si stropicciò gli occhi, doveva essere sicura di cosa stesse succedendo, prima di cominciare a fantasticare e illudersi doveva avere la certezza che non fosse solo un’ impressione: aveva aspettato 13 anni un segno dalle stelle e ora… ora finalmente era arrivato.

Le provò tutte: pizzicotti, secondi passati con gli occhi chiusi e poi riaperti, passeggiate nervose con la testa bassa per poi tornare a voltarsi verso il cielo: non era un’illusione.

Sì, era lì! Si sentì finalmente felice, ma poi cominciò a pensare che forse non ne aveva motivo, che stava sbagliando atteggiamento. Magari le stelle dovevano comunicarle qualcosa di doloroso e in tal caso gioire sarebbe stata l’ultima delle cose da fare. Riprese il controllo di sé e aspettò. Il sottile raggio ora era davvero lungo, sembrava una stella cadente, ma molto più lenta nel precipitare. Nakia capì che era Najma e che le stava indicando un percorso.

“Magari mi vuole portare da nonna Lene, forse è finalmente giunto il momento”

La situazione era davvero surreale e vagamente inquietante, ma Nakia non poteva fare a meno di sentirsi trepidante e in preda a una sorta di frenetica impazienza, si sentiva proprio una bambina, la stessa bambina che anni prima a Keruit era conosciuta per essere la persona più ostinata e pedante del villaggio, di cui nessuno avrebbe mai potuto liberarsi se non soddisfacendone la curiosità.

Trovarsi in mezzo a un’avventura simile la emozionava ma poi si ricordò delle parole di Najma, pronunciate in modo così triste e malinconico: stando a quei toni le stelle dovevano davvero rivelarle qualcosa di doloroso, non c’era proprio nulla da festeggiare. “Stupida” sussurrò a sé stessa.

Il filamento luminoso ormai era così vicino al suolo che si poteva capire quale direzione volesse indicare. Nakia constatò non senza preoccupazione qual’era: il palazzo reale.

“Manes” sussurrò fra l’angoscia e la sorpresa.

Scese di corsa le scale di legno, prese un mantello scuro per ripararsi dal vento e corse via a più non posso verso le mura del palazzo. La sua casa era piuttosto lontana da quel luogo ma questo non l’avrebbe fermata di certo: aveva un brutto presentimento ormai, Manes non doveva entrare in questa storia se davvero poteva rivelarsi pericolosa.

Ansimava mentre a passi grandi e veloci percorreva le strette stradine della Tebe di periferia, mentre a ogni vicolo e a ogni angolo rischiava di perdere l’equilibrio talmente svoltava velocemente. Non sapeva che anche stavolta Manes aveva compiuto i suoi stessi gesti, correndo a perdifiato per i corridoi della sua casa fino alle stanze di sua madre.

Correva, e mentre correva e il vento le tagliava il viso come una lama affilata pensava, pensava a perché correva così tanto, a perché si sentisse così preoccupata di colpo e apparentemente senza motivo, a perché fra tutte le centinaia di persone che abitavano il palazzo dovesse accadere una qualche disgrazia proprio a Manes, a perché Najma aveva deciso di apparirle proprio quella sera e di indicarle proprio quel luogo e in ultimo pensava a una cosa fondamentale seppur puramente pratica: come avrebbe fatto a entrare nel palazzo? Gridando alle guardie che uno dei raggi di Espero le aveva detto di farsi un giro per le stanze della reggia? Che il figlio del faraone e lei si incontravano tutti i giorni e semplicemente aveva deciso di venire a trovarlo? Sì, proprio delle belle idee, occorreva un piano o almeno uno straccio di immaginazione per inventarsi una scusa plausibile, se solo Manes fosse stato lì con lei…

Mentre pensava e correva, imboccò finalmente la strada principale, una via lunga e ampia che portava diretti alla residenza del sovrano.

Rallentò il passo, aveva il fiatone per la lunga corsa notturna e dovette fermarsi un attimo e appoggiarsi a un muro per riprendersi. Prendendo grandi boccate d’aria fredda alzò gli occhi al cielo, niente, per una volta che sperava che le stelle la ignorassero erano lì, o meglio, lei era lì: Najma indicava proprio il palazzo, non c’erano dubbi, ma perché, perché proprio lì? Sospirò tra lo sconforto e la rassegnazione, e si avviò a passi pesanti verso le mura.

Non sapeva che fare adesso: doveva entrare, di questo era assolutamente certa, ma allo stesso tempo non aveva idea del come: pochi passi e si sarebbe ritrovata nella zona sorvegliata antistante alle varie cinte di mura e ci sarebbe voluto un miracolo per nasconderla.

Ma se la necessità aguzza l’ingegno, il pensiero che Manes potesse essere in pericolo era così terribile che prese la sua decisione. Dando sfogo a tutta la sua agilità, stabilì di improvvisarsi ladra e cominciò a salire abilmente lungo la parete di una delle ultime case della città prima del palazzo. Quando, non senza fatica, raggiunse finalmente il tetto, ai suoi occhi si presentò la reggia in tutta la sua mole: vista dall’alto faceva certamente un altro effetto, in quel momento realizzò chi era davvero la persona che stava cercando di aiutare, il figlio del faraone. Sì, come se le importasse qualcosa: il loro rapporto, la loro complicità veniva prima di tutto, poi c’erano i titoli e il resto, e sapeva che lo stesso valeva per lui, lui che era stato così dolce da preoccuparsi per lei, e lei che ora voleva e doveva assolutamente ricambiare, di qualunque cosa si trattasse.

 

Tre cinte di mura, un ampio cortile, un grande ingresso principale, probabilmente numerosi ingressi secondari, ma soprattutto guardie ovunque, a dozzine. Non era pratica di certe cose ma le sembrò comunque insolito, tutto sommato era un periodo di pace per l’Egitto, che motivo aveva il farone per accerchiarsi così di soldati? Maledizione, come se non fosse stato già abbastanza difficile da sé. Continuò a osservare la scena per lunghi secondi, ponderando diverse possibilità: sgattaiolare di nascosto, avvolta nel suo mantello e nel buio della notte, da un tetto all’altro, fino all’angolo meno sorvegliato della reggia e poi infiltrarsi, oppure farsi passare per una domestica o chissà cos’altro e cercare di ingannare le guardie, addirittura attendere l’alba per approfittare del momento in cui il faraone porgeva i suoi saluti al sole e in cui tutti erano distratti per intrufolarsi dentro. Ma non poteva attendere, doveva entrare adesso, quando glielo aveva detto Najma. La fortuna per un attimo fu dalla sua, le dozzine di guardie si erano inspiegabilmente come dileguate. Bene, si calò velocemente giù dal tetto e corse più silenziosamente che potè fino alla prima cinta di mura, attese nell’ombra se veniva qualcuno e quando il luogo intorno a lei sembrò sufficientemente deserto si precipitò a ridosso delle mura, col cuore in gola e le mani che sudavano freddo. Le scavalcò faticosamente, noncurante delle escoriazioni sulle gambe e i gomiti che lo strusciare, a causa della fretta e dell’ansia, contro le ruvide pareti le provocavano, si calò dall’altro lato, fece un piccolo balzo e fu dall’altra parte, le gambe le tremavano per l’emozione e le dita formicolavano, ma non poteva permettersi di perdere la coscienza di sé, doveva agire rapidamente e lucidamente se voleva riuscire; miracolosamente scavalcò senza essere notata anche le altre due cinte, da qui in poi pensò, anche se l’avessero trovata poteva sempre dire di essere una residente della reggia, certo fornire un nome plausibile e dare una spiegazione per tutte quelle abrasioni e i capelli ormai identici a una criniera per quanto arruffati dal vento e dalla corsa, sarebbe stato più difficile.

Tirò un sospiro di sollievo e si accasciò un attimo alla parete, solo un attimo, un secondo di tregua, si sentiva davvero esausta. Ansimava ancora quando poco dopo si costrinse a rialzarsi: non poteva concedersi pause proprio ora. Najma ora sembrava dirigersi verso un’ala particolare del palazzo, le sembrò strano che nessuno si fosse ancora accorto di quella presenza così insolita nel cielo, forse la vedeva solo lei. Si rese poi finalmente conto di grida, che si erano susseguite incessanti da quando si era avvicinata al perimetro della reggia: urla, rumori, lamenti incessanti che sembravano provenienti dl luogo indicato da Najma.

Era preoccupata ma doveva farsi forza e mantenersi lucida, senza farsi agitare da quegli strilli, avanzò velocemente fino all’ingresso addossandosi a una delle enormi colonne del portico per celarsi alla vista delle guardie. Inaspettatamente nemmeno il portone era sorvegliato: doveva davvero essere successo qualcosa di grave per lasciare incustodito anche l’ingresso del palazzo, la causa delle grida, che non accennavano a smettere, era davvero importante. Ora che si era avvicinata le udiva più distintamente, sembravano lamenti e pianti disperati di donne, si udivano anche passi frenetici come di corse affannate, richiami. Non era il momento di indugiare, bisognava approfittare della situazione: Nakia entrò cautamente all’interno delle mura, lì al chiuso vedere Najma era impossibile perciò la ragazza decise di lasciarsi guidare dalle voci e dal clamore, si sistemò anche, per quanto poté: se l’avessero trovata, un aspetto presentabile avrebbe reso più credibile qualunque scusa inventata sulla sua persona. A passi cadenzati e non privi di agitazione si avvicinò via via all’ala del palazzo da cui avevano origine le grida, riusciva già a distinguere qualche parola, più si avvicinava più si accorgeva del grande via vai di gente diretta in quel luogo, correvano tutti e tutti avevano un’espressione addolorata e angosciata, inutile dire che questo non la sollevò affatto. Una di quelle persone la urtò nella fretta e per poco Nakia non cadde:

“Sbrigati!” fece quello, “è morto uno della famiglia reale e tu te ne stai qui a gingillarti per i corridoi: datti una mossa!” e scappò via senza neanche scusarsi.

 

Morto? Quella parola le gelò il sangue, sbiancò completamente e cominciò a sudare freddo, non sapeva se il suo cuore volesse cominciare a battere a mille o fermarsi. L’angoscia e lo sconforto la presero di colpo. Come morto? Chi era morto? Nella famiglia del faraone erano solo in tre: era molto alta la possibilità che… no, non osava neanche pensare o fare ipotesi, un’unica parola rimbombava nella sua mente: corri. Obbedì a quanto detto dall’individuo di prima, si affrettò e si precipitò nella direzione in cui era sparito. Non sapeva cosa sperare: che fosse morto il faraone? La madre di Manes? Come era brutto sperare nella morte degli altri… no, non voleva sentirla quella parola: morte. Perché proprio morte? C’entrava qualcosa Najma, Espero? Ma non aveva tempo per fare congetture, doveva trovarlo, vederlo, sapere che stava bene, che era vivo. Vivo. Sì questa parola le piaceva, voleva che fosse quella la parola giusta, doveva esserlo.

Se invece che farsi prendere dall’angoscia e dai suoi pensieri, Nakia avesse ascoltato le conversazioni dei vari servi che facevano avanti e indietro per i corridoi, e che sapevano già cos’era successo, probabilmente si sarebbe tranquillizzata.

Ma ora correva ancora: ma quanto era grande quel maledetto palazzo? Il cuore era bloccato in gola da tempo ormai, i suoi occhi viola si erano come spenti, erano vuoti se non per quelle lacrime di cui erano gonfi, pronte a versarsi a ogni momento.

Le grida di dolore, i pianti delle prefiche erano chiarissimi, perfettamente udibili: era ormai arrivata; voltò un angolo e senza neanche rendersi conto di avere qualcuno davanti a sé, ne urtò violentemente la schiena. Cadde a terra, ma non le importava minimamente, stava già rialzandosi pronta a ripartire come una furia senza neanche scusarsi, quando i suoi occhi viola sollevandosi ne incrociarono un altro paio di un colore che conoscevano benissimo: blu scuro.

La figura si era voltata di scatto non appena la ragazza l’aveva colpita, era un ragazzo, un giovane uomo, dai capelli scurissimi e le mani forti. Il dolore che provava in quel momento cedette il passo per un istante alla meraviglia quando incrociò lo sguardo di lei:

“Nakia?” “che diavolo fa…?” non ebbe il tempo di finire la sua frase che la ragazza gli si gettò al collo, abbracciandolo con forza. Singhiozzava: “Manes”.








 

Note:

Come vi sembra? Spero che il capitolo vi sia piaciuto ^^ ma ora cominciamo con le note:

Allora, partiamo dai termini egizi, Akhet è la prima delle tre stagioni dell'anno egiziano, più o meno coincide con la fine della nostra estate e l'autunno (settembre-dicembre) ed era il periodo in cui il Nilo straripava rendendo fertili i campi  ( mi piaceva l'aria un po' malinconica dell'autunno e il pensiero della rinascita con l'inondazione del Nilo, che volete farci...)

Najma è un altro nome parlante (anche Manes in realtà lo è ma visto che non l'ho scelto per il suo significato, che tralaltro non mi piace neppure tanto, ma perchè mi ispirava, credo sia inutile riportarlo) anzi direi che più parlante di così non si è banali ma di più, sì avete capito bene, Najma vuol dire proprio "stella", se Nakia conoscesse l'arabo avrebbe potuto fare a meno di chiederle "cosa sei" XD, vabbè.

E passiamo alla mia parte preferita, sono una pazza patita di astronomia, che volete farci (ma del resto si era capito no? tutte quelle stelle...). Espero è uno dei nomi greci per Venere (c'erano anche i nomi egiziani ma visto che Selene ha educato Nakia alla maniera greca ho pensato fosse  meglio Espero che Ouaiti); lo so che venere è un pianeta e non una stella ma nel tempo della storia non si sapeva (si scoprì da lì a poco però) anzi, visto quanto era luminoso, quel corpo celeste aveva ricevuto nei secoli precedenti ben due nomi. Espero, ossia stella della sera (che si dice espèra) e Fosforo , ossia stella del mattino (da phos, photòs: luce), la stessa cosa valeva per gli egizi che la chiamavano Ouaiti a notte fonda e Tio Moutri vicino al mattino. A me però piaceva in versione stella, insomma: due nomi sono meglio di uno, e nel mio universo parallelo fatto di buchi bianchi, supernove, e piramidi Espero è una stella, Venere dimenticatevelo. Eppoi che sovrannaturale sarebbe se fosse dogmatico no?

Credo di aver detto tutto, scusate la mia notoria prolissità e ci vediamo fra una settimana per il capitolo 5, grazie per essere passati ^^

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Capitolo 5
*** Rosso come... un'anima ***


Rosso come... un'anima

Mi scuso con tutti per i due giorni di ritardo, i dialoghi non sono il mio forte e questo capitolo ha richiesto più tempo del previsto ... d'accordo lo ammetto: è stata soprattutto colpa dei festeggiamenti pr la fine della scuola (mercoledì) che mi hanno "costretta" fuori casa in questi giorni, ma non mi sono dimenticata di voi (pochi) affezionati lettori, ho promesso che finirò la storia e lo farò ^^, portate pazienza che stiamo entrando nel vivo (ecco perchè ho cambiato il tipo di titolo, ormai abbiamo chiuso una parentesi): questo e i prossimi due capitoli sono fondamentali perchè si rivelerà finalmente tutta la trama (o quasi tutta...)

Buona lettura

 

5

 

 

 

Era da tanto, troppo tempo che quel viola teneva segregate come in una prigione le lacrime, simbolo di debolezza, simbolo di… umanità, ora che un’emozione così forte aveva distratto il loro carceriere, le gocce piccole e luminose ne approfittarono e tutte insieme, copiose per i tanti anni in cui si erano accumulate, si riversavano sulle guance ambrate.

 

Il mento poggiato fra la spalla e il cuore del ragazzo, i capelli arruffati appiccicati al volto umido e le mani che continuavano a stringere la sua schiena, con le punte delle dita che formicolavano. Aveva avuto paura, un sentimento che aveva sempre cercato di celare, di vincere. Tanta paura. E ora finalmente non c’era più motivo di temere: le sue mani, la sua testa, lo stavano toccando: toccavano lui in carne e ossa. Un dolce sorriso si dipinse per un istante sulle labbra della giovane: Manes stava bene.

 

La sua mano si mosse quasi da sola, come alimentata da volontà propria, dall’affetto che provava per la ragazza, dal rifiuto di vederla piangere, soffrire, di vederla in quello stato, era una volontà fortissima che vinse per un attimo anche il dolore della perdita della madre, così recente, e se ne stupì lui per primo. Le dita si spostarono sulla testa bruna china su di lui, carezzarono con la dolcezza di un padre i ricci color mogano. La sua sofferenza poteva aspettare, per il lutto c’era sempre tempo, tutto ciò che contava ora era lei.

“Shh… tranquilla…” “Cosa c’è?” le disse con il tono più rassicurante che poté, cercando di non far tremare la propria voce, ancora scossa per i lamenti di pochi minuti prima, e di soffocare in gola i singhiozzi almeno un altro po’. Ora doveva apparire forte, per lei.

 

La sua voce la riportò alla realtà: Nakia si rese di colpo conto di cosa stesse facendo, si allontanò di scatto dal petto di Manes, strusciò rapidamente i dorsi graffiati delle mani contro le iridi ametista per asciugarsi e cancellare ogni segno di quel momento di debolezza in cui si era lasciata trasportare troppo dalle sue emozioni. Che stava facendo? La madre di Manes era morta, era lei che doveva consolarlo, non il contrario. Per quanto essere stretta a lui le facesse…piacere.

“Scusa” mormorò mortificata, mentre le guance si tingevano di un lieve colore rosso.

 

“E’ tutto a posto” fece lui piatto. Nakia però si sentiva in colpa ora che alzando lo sguardo aveva visto meglio quei suoi occhi blu umidi e arrossati per il pianto recente, si sentiva di non aver rispettato il suo lutto e pertanto respinse subito il pensiero di sorridere per averlo visto sano e salvo.

“Vieni con me”, Manes sembrò capire che lei doveva parlargli, gli doveva delle spiegazioni e per quanto non fosse nello stato d’animo più adatto sapeva che loro due si sarebbero confidati qualunque cosa ed era dunque suo dovere ascoltarla. Le prese la mano e la condusse in un posto il più isolato e ameno possibile, così da parlare in tutta tranquillità, in privato, lontani da quel trambusto e andirivieni di gente che affollava le stanze dell’ormai ex grande sposa reale. La portò nel suo giardino.

I due si sedettero sul muretto di mattoni rossicci, il cielo cominciava a passare dal color pece al bianco sporco: l’alba si stava avvicinando.

Manes temeva di non riuscire ad articolare subito un discorso compiuto, una frase per intero senza essere interrotto da singhiozzi o lacrime, non voleva mostrarsi a lei in quello stato, parole spezzate e frasi rotte non erano il modo migliore per tenere una conversazione, così lasciò che fosse Nakia ad aprire bocca. Voleva sentire la sua voce, sapeva che lo avrebbe tranquillizzato, che gli avrebbe fatto comprendere che lei gli era vicino, sempre, che lo capiva.

E infatti la ragazza prese la parola quasi subito, quel silenzio innaturale fra i due la turbava, vedere Manes con lo sguardo fisso nel vuoto e gli occhi lucidi che cercavano ostinatamente di trattenere il pianto era uno spettacolo che le faceva male, non le venne in mente nulla di originale da dirgli ma forse se pronunciate con sentimento anche le solite frasi di circostanza avrebbero poteva confortarlo; gli poggiò una mano sulla spalla e chinando il capo verso di lui sussurrò mestamente

“Mi dispiace”

Lui sorrise con amarezza, si passò il dorso della mano sul volto come aveva fatto Nakia prima, ma stavolta per prevenire la caduta di eventuali lacrime: si rifiutava di piangere ancora, dopotutto era inutile, ciò non avrebbe riportato indietro sua madre.

“Io…” cercò di assumere un tono più razionale possibile, distaccato quasi, le due parole della ragazza erano bastate a dargli un po’ di forza, tanta quanto bastava per metterla al corrente dei fatti.

Io  l’ho vista; era lì, a terra, caduta sul pavimento…” Nakia lo guardava tristemente, aspettava che continuasse, desiderosa di sapere.

“Avevo sentito un tonfo, proprio da qui, per quello mi ero precipitato nelle stanze …di mia madre, ero sicuro che il rumore provenisse da lì. Mi sono precipitato ma lei… era già… Madre!” un piccolo singhiozzo sfuggì al suo controllo e troncò la frase a metà, ma riprese subito la narrazione

“C’era qualcosa di strano nel suo corpo, in quella stanza. Era come se lei fosse… vuota: sembrava fatta di pietra, un sasso, spenta, senz’anima… certo, era ovvio: era morta dopotutto”

”… morta…” sussurrò

”Ma anche i corpi morti mantengono un minimo di umanità, di… vita quasi, forse per i ricordi legati a quella persona, che la fanno sembrare ancora dotata di un’anima a chi la guarda. Lei no invece, in nessuno dei miei ricordi quel corpo è essere presente, per terra c’era una statua, una statua identica a mia madre ma non lei in persona, non il suo corpo privo di vita”

“Non sono riuscito a riconoscerlo, era gelido, freddo più di qualunque altro morto abbia mai visto, più lo guardo e più non riconosco in lei la donna che mi è stata madre, eppure deve per forza essere lei e io, io non ho trovato, non ho voluto neanche avere la forza di guardarla negli occhi, negli occhi sbarrati che erano rivolti alla finestra, che fissavano…le stelle”.

 

Nakia lo aveva ascoltato con attenzione, era stato un racconto breve e lucido, Manes diceva di non essere stato abbastanza forte eppure lei non riusciva a credere che avesse appena parlato della morte di sua madre, avvenuta da poche ore, con un tono così distaccato, era forte più di quanto credesse e non se ne rendeva conto.

Però c’erano dei particolari che la incuriosivano, o meglio la lasciavano interdetta: il tonfo, il corpo simile a una statua, le stelle. Si maledisse per la sua mancanza di tatto ma non poteva fare a meno di chiederglielo, doveva fargli delle domande su tutto questo, in fondo da lei poteva aspettarselo no?

 

“Che intendi quando dici di aver sentito un tonfo?”

Manes non era proprio seccato dalla richiesta, l’aveva prevista, solo l’immaginava formulata diversamente, magari meno diretta…

 

“In realtà sarei io a doverti chiedere spiegazioni. Ma so che non puoi fare a meno di fare domande quanto ti si racconta qualcosa.

Ricordi che stamattina ti dissi di un pericolo che ci minacciava?” Nakia annuì, un po’ imbarazzata per aver fatto la figura della curiosa anche in una situazione simile

“Prima che ci incontrassimo avevo sentito mio padre ed Edfu che ne parlavano, il loro discorso era così assurdo… doveva per forza avere dei significati nascosti così ho passato tutto il pomeriggio, la sera, quasi tutta la notte a riflettere su quelle parole.” La ragazza dagli occhi viola annuì ancora ma stavolta come a volergli dire “ vieni al sodo”: era molto interessata a tutto ciò ma non riusciva a capire cosa c’entrasse con la sua domanda

“Sto solo spiegandoti il motivo per cui mi trovavo qui quando ho sentito il tonfo: stavo pensando” disse lui come se le avesse letto nel pensiero

“ Normalmente non mi precipiterei sul posto ogni volta che sento un rumore di una caduta ma poco fa è successa una cosa molto strana, inquietante. Stavo andandomene da questo giardino quando voltandomi ho visto il cielo prima brillare per un istante e poi essere attraversato da una scia rossa, sottilissima, poi ho udito il tonfo. Anche se… sono sempre più convinto che il lampo sia partito da qui, dal palazzo, e non il contrario, non si spiegherebbe infatti perché mia madre è caduta a terra, perché è chiaro che è caduta, la sua posizione non lasciava dubbi…mi chiedo se… il guizzo rosso sia partito proprio da quella stanza…da lei…”

 

“Hai detto rosso?” le era all’improvviso tornata in mente la sua visione: lei che si avvicinava a Najma e una luce rossa, un bagliore, che aveva per un istante interrotto il suo stato di felicità e che tramutatosi in luce bianca si era affiancato ad Espero assieme ad altre otto figure del tutto simili..

Manes annuì, stupito che Nakia non chiedesse delucidazioni sulla conversazione di suo padre e del visir o sul guizzo misterioso ma solo sul colore: era come se lei sapesse già di cosa si trattava. Tacque, stavolta era lui a volere delucidazioni.

“Scusa, non avrei dovuto precipitarmi qui, ma avevo paura ti fosse successo qualcosa… io sapevo che stanotte sarebbe accaduto qualche cosa di brutto qui a palazzo, lo sentivo, e infatti la regina ci ha lasciato, una persona così vicina a te… avevo fatto bene a preoccuparmi.

Vedi, sono qui perché mi ha avvertito… una stella, mi ha detto di seguirla con un tono triste e rassegnato che mi ha fatto temere il peggio…”

Manes la guardava esterrefatto, sapeva che Nakia parlava spesso con le stelle ma che queste poi le rispondessero… il dolore lo aveva reso comunque più apatico e questo gli impedì di obbiettare che la ragazza stesse sragionando o avesse avuto delle allucinazioni.

Lei non si scompose minimamente vedendo quelle iridi blu impregnate di scetticismo e incredulità, lo aveva previsto, se neppure Manes era pronto a crederle completamente la questione doveva essere davvero assurda. Alzò lo sguardo verso il cielo, alla ricerca di due cose: la forza per continuare a raccontare la sua visione notturna e la prova di tutto ciò, Najma.

L’alba si stava avvicinando ma Espero, o meglio Fosforo, era ancora visibile, così come lo era il più lungo dei suoi raggi, dagli occhi ametista. Sperava solo con tutto il cuore che anche il ragazzo potesse vederlo, che non fosse percettibile solo a lei a cui gli occhi viola, colore del cielo notturno, avevano dato un legame così forte con le stelle. Però anche Manes aveva le iridi blu, un blu profondo e scurissimo, anche lui era legato al firmamento dalla nascita e Nakia si chiedeva spesso il motivo per cui i due avessero questa caratteristica, il blu li accomunava: ora era più fiduciosa, sicuramente anche il ragazzo poteva vedere Najma.

Scostò la mano da quella di Manes, che aveva stretto durante il suo racconto, e la alzò con calma, cercando di mostrarsi il più possibile lucida e sicura di sé, stese il dito indicando la porzione di cielo alle spalle del principe, dove il suo sguardo era ancora fisso

“Eccola lì. Najma” disse placidamente

Manes si voltò con lentezza, alquanto dubbioso, ma appena trovò il punto individuato dall’indice restò a bocca aperta: lì in alto c’era Fosforo e dalla stella più luminosa del firmamento si protendeva una finissima scia luminosa rivolta proprio verso la reggia.

“Quella è Fosforo ma Najma è il suo raggio, me lo ha detto lei, mi ha guidato fin qui: vedi che indica proprio il palazzo?”

Il ragazzo annuì basito.

 

“Ma che vuol dire che te lo ha detto lei? Insomma come fa ad averti parlato?”

 

“Questo non lo so, ero convinta di dormire quando stanotte il Vento degli Spiriti ha spalancato la mia porta e quando ho aperto gli occhi tutto intorno a me era bianco, luminosissimo. Vedevo delle figure, una più grande, Espero, e una identica a me, Najma. Quando ci siamo toccate mi sono sentita come se avessi trovato l’altra metà di me stessa,  il pezzo che dico sempre manca alla mia anima. Mi sono sentita inspiegabilmente… completa.

Najma era felice come me ma allo stesso tempo malinconica. Sembrava conoscere qualcosa di triste riguardo il futuro e di conoscere già anche me, mi ha detto di non potermi rivelare chi era stata ma solo chi era adesso, uno dei raggi di Espero appunto”

Nakia aveva avuto davvero una visione, chissà qual’era il motivo per cui le stelle le avevano parlato, chissà perché… ma non fece in tempo a porsi un’altra domanda perché la ragazza aveva ripreso il discorso

“C’erano anche altre otto figure dietro ad Espero, più piccole.

Ti ho chiesto informazioni sul rosso perché prima che arrivasse una nona presenza, identica a quelle otto, c’è stato un lampo rosso che mi ha riempito il cuore di angoscia e dolore, spazzando via la felicità per un attimo”

Fece una pausa, come per preparare Manes a quanto stava per dire, consapevole che si trattava di una rivelazione piuttosto forte.

Lui la fissava trepidante

“Ebbene Manes, io credo che la nona entità sia l’anima di tua madre”

 

“Che cosa?”

 

“Pensaci: la grande sposa reale è nella sua stanza, a un certo punto si volta e guarda il cielo, guarda Espero. La stella brilla per un istante, poi l’anima della regina lascia il suo corpo e sotto forma di guizzo rosso raggiunge l’astro della sera dove si unisce ad altre otto entità del tutto uguali, altre otto anime. Il corpo ormai vuoto cade sul pavimento con un tonfo sordo, tu lo senti e preoccupato per via della luce di poco prima, accorri e la vedi ormai morta in terra. Questo spiega lo strano aspetto del corpo, simile a una statua, completamente svuotato, spiega perché sua maestà guardava le stelle e infine spiega anche il guizzo rosso”

Manes non sapeva se provare ammirazione per la ragazza, che aveva dedotto tutto ciò in pochi attimi, o sentirsi in qualche modo ferito vista l’analitica freddezza con cui aveva condotto il breve ragionamento, dopotutto non stava parlando della morte di una donna qualunque ma di sua madre, nonché della consorte del faraone.

Però non poté fare a meno di lasciarsi trasportare da quei ragionamenti

“Otto entità… Stamattina mio padre ed Edfu parlavano proprio di otto persone cui era accaduto qualcosa, ricordo il dialogo a memoria ormai:

“Quello che mi dici è grave” “Molto grave”

“Purtroppo sta accadendo davvero”

 “Speravo che dopo tutti questi anni avesse dimenticato.

che si fosse accontentata”  “Quante persone hai detto?”

“Otto, o sire”

“La giustizia…”

“Ne mancano quattro”” Sai chi”

“Lo immagino”

“Ma non fallirò:  sono un dio, io sono Horus ormai, sono Aton il sole: non temo la notte nè i suoi signori! 

La ritroverò in tempo!”

 

“Era Espero che doveva accontentarsi e dimenticare, ma non è successo e si è accanita su otto persone, nove con la regina. Quindi ora ne mancano tre.

E poi otto è…”

 

“…la giustizia” la anticipò Manes

 

“Esatto, significa che il faraone ha compiuto qualche infamia nei confronti della stella e deve ritrovare qualcosa, qualcuno per placare la collera di Espero!”

Gli occhi di entrambi brillavano, quel gioco di deduzioni e ragionamenti eccitava la loro immaginazione e la loro logica e riuscì perfino a fargli dimenticare del lutto recentissimo e della drammaticità della situazione. Ormai il mistero non era più tale: se ragionavano insieme potevano farcela.

 

“Espero si è vendicata su qualcuno così vicino a te… mi chiedo se fra le ultime tre persone rimaste da colpire non ci sia…”

“Anche io?” fece Manes con una certa indifferenza

 

“Non dirlo neanche per idea, non era questo che volevo che volevo dire: tu non c’entri niente, non sei certo tu ad aver oltraggiato Espero”

 

“Hai paura di guardare in faccia la realtà. Dovresti sapere che la colpa dei padri ricade sui figli, e poi non sapendo di quale offesa si tratti potrei averla compiuta anche io inconsapevolmente”

 

“Non credo verresti punito tu al posto del faraone, ma tanto non sta a noi decidere chi verrà punito, ormai la stella vuole giustizia e se non tentiamo di scoprire qualcosa in più sul motivo non riusciremo a salvare i tre individui rimasti” il suo tono non ammetteva repliche

 

 “D’accordo, per ora direi che abbiamo due piste: cercare informazioni sulle tredici vittime o sulla colpa da loro commessa”

 

“Per ora l’unica vittima a noi nota è la regina, questo ci porta a pensare che anche le altre dodici frequentino l’ambiente della corte… hai sentito di morti sospette di recente?”

 

“No, mi sembra ovvio che in caso contrario te lo avrei detto… forse qualcuno tenta di nasconderle”

 

“Sì, potrebbe essere. Magari lo sesso faraone ha cercato di celarle…”

 

“Sospetti del faraone Nakia?” fece Manes con un tono tra l’ironico e il rimprovero

 

“Non lo so, è troppo presto per sospettare ma anche la Luce dell’Egitto potrebbe nascondere qualcosa… dopotutto dal dialogo sembra che sia lui ad aver offeso maggiormente Espero. Forse… tu potresti provare a fargli delle domande…”

 

“Hmmm” annuì debolmente “come vuoi. Dopotutto si tratta di salvare tre vite, o meglio tre anime”

 

“Però preferirei che tu lo facessi senza rivelargli della nostra conversazione e delle nostre ipotesi sulla morte della sua consorte…sai…”

 

“Sì, sì, capisco” sorrise “ preferisci che mio padre non sappia ancora di te o che possa essere offeso da simili supposizioni, se non ritenerle assurde…”

Nakia annuì, le aveva letto nel pensiero ancora una volta.

Angolo delle elemosine (XD):

Allora che mi dite? Lo scambio di battute è pessimo o almeno passabile? Manes e Nakia hanno un atteggiamento coerente o sembrano sette-otto persone diverse? Eravate riusciti ad arrivare a conclusioni simili alla luce degli altri capitoli o vi eravate fatti qualche altra idea? Ditemi tutto che sono troppo curiosa, una piccola recensione mi farebbe davvero felice e mi aiuterebbe un sacco, anche le critiche vanno benissimo purchè costruttive, ma se non so cosa pensate della storia non potrò mai migliorarmi e scrivere capitoli che vi appassionino davvero, purtroppo ho ricevuto pochissimi commenti e non riesco a immedesimarmi troppo nel lettore così non so come comportarmi, vi chiedo solo una piccola rece...

 

Vabbè dopo questa patetica supplica passo ai ringraziamenti: ringrazio la mia amica Valerydell95 che oltretutto non sa neanche il mio nome su EFP e penso neanche  che sto pubblicando la storia di cui le ho parlato a scuola (è l'unica persona che conosco a cui ho raccontato di Manes e Nakia) : grazie Vale per i tuoi complimenti e per avermi ascoltata ^^
Ringrazio anche Il giardino dei misteri, che ha recensito (unica) ogni singolo capitolo e continua a seguirmi, grazie davvero per tutti i complimenti e l'incoraggiamento, ogni volta che leggo i tuoi commenti mi viene voglia di scrivere.

E poi ringrazio te, ignoto lettore, che stai leggendo queste righe abbastanza inutili (spero dopo aver letto anche gli altri quattro capitoli) e spero che anche a te sia venuta voglia di scrivere... magari una recensione... no, basta richieste!
Spero la lettura sia stata di vostro gradimento, ci vediamo (si spera) tra una settimana.

Piccolo spoiler: ritroveremo uno di questi due personaggi Selene o il Faraone, si accettano scommesse XD

AVVISO: ve ne sarete già accorti ma per un motivo o per l’altro questa storia non è stata più aggiornata, sicuramente gran parte della colpa, magari tutta, è mia, è vero ho avuto meno tempo del previsto ma mi sono anche lasciata trasportare dalla pigrizia e quindi il cap. 6 non è arrivato dopo una settimana né tantomeno dopo due. Mi scuso con tutti i lettori però vi garantisco che sto facendo il possibile per rimediare, attualmente il capitolo è in fase di stesura (finalmente) e spero di riuscire a completarlo presto. Grazie a tutti per la pazienza e per aver letto la mia storia, spero continuerete a seguirla nonostante i miei aggiornamenti saltuari, ciao ^^

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Capitolo 6
*** La vecchia, la stella, la bambina ***


cap 6

Ok, da dove comincio? Sono in ginocchio sui ceci a chiedere perdono per le mie malefatte e la mia pigrizia, il cielo, o Espero (ops, spoiler...) mi fulminino...

Aspetta un momento...niente urla, niente vasi tirati, niente istinti omicidi nell’aria... feeuh, grazie.. -.-

In un modo o nell’altro questo benedetto capitolo 6 è venuto alla luce, l’idea c’era già, ho dovuto fare delle pause tra un flashback e l’altro ma una volta cominciato sono andata avanti abbastanza rapida, il problema è stato cominciare...-.-

Comunque, ritroviamo uno dei personaggi che vi avevo anticipato: Selene.

Ci racconterà la sua vita e gran parte dei misteri che la avvolgono, sono abbastanza soddisfatta di come è venuto il capitolo, nel complesso mi piace molto il taglio a flashback, quindi fatemi sapere com’è, altrimenti significa che non so proprio giudicare da sola ciò che scrivo... non è proprio il più lungo ma è abbastanza sostanzioso, per farmi perdonare ^^, siate clementi e come sempre,

buona lettura!

 

 

 

6

 

 

 

Quella notte non riusciva a dormire, e sapeva il motivo, era sciocco cercare di lottare contro i propri pensieri, non avrebbe mai potuto prendere sonno: era il momento.

Tredici anni, erano passati tredici anni da quel giorno e ora non si poteva più rimandare, il cerchio doveva chiudersi.

Sospirò, si alzò con fatica dal suo giaciglio e si avviò verso l’uscio di casa.

Sapeva perché le stelle non l’avevano ancora chiamata a sé nonostante la veneranda età, aveva un conto in sospeso con loro, un conto che sarebbe stato saldato presto. Ma a quale prezzo?

“Ritornerai da me un giorno, quando le stelle ti chiameranno”

“Quando vorranno portarti via” disse.

Il cuore della vecchia Selene era colmo d’angoscia e paura, di pentimento e rimorso, di colpa. Sentimenti con cui aveva imparato a convivere fin dalla sua giovinezza, ma che ora si rivelavano davvero troppo gravosi per un povero, vecchio cuore, affaticato da anni e anni di riti terribili.

Come aveva potuto farlo? Aveva promesso a sé stessa che una volta lasciato il tìaso non avrebbe più invocato il terribile nome di Espero, che non avrebbe più sacrificato vite innocenti per la bramosia di potere dei mortali, eppure, diciotto anni fa l’aveva fatto. Di nuovo.

Qual’era stata la prima volta? Era ancora viva Cleida, anzi era stata proprio lei a condurla in quella spiaggia, a Lesbo, tanti anni prima.

 

Cleida, Selene non faceva altro che sentir ripetere questo nome da mattina a sera, le fanciulle del tiaso avevano una vera e propria venerazione per lei, del resto era la figlia della fondatrice del loro gruppo, eppure strane voci circolavano su quella donna dai capelli rossi.

Cleida non era mai sola, almeno non in pubblico, e si circondava di ragazze misteriose che non partecipavano alle attività regolari del tiaso come lei e le altre. Avevano tutte gli occhi chiarissimi, quasi argentei, e portavano al collo una sottilissima catenina, così fine da sembrare un filo, i cui anelli erano di diversi tipi di metallo, oro, argento, bronzo. Salvo che al seguito di Cleida, non apparivano mai in pubblico, secondo le chiacchiere era perché dormivano di giorno e la notte praticavano strani culti insieme alla donna. Selene non aveva mai prestato troppo ascolto ai pettegolezzi, a suo avviso erano semplicemente ragazze un po’ particolari, così un giorno aveva provato a conversare con loro e aveva trovato piacevole la loro compagnia, i loro modi erano amabili, e discorrevano non eleganza di numerosi τόποι, per quanto fossero particolarmente ferrate nel parlare di astronomia e cercassero di riportare a quell’argomento ogni conversazione. Non era certo un disagio per Selene, anche lei amava molto quella scienza e non essendo facile trovare ragazze come lei, aveva colto l’occasione per parlare un po’ della sua passione. Durante tutto il dialogo, incentrato in particolar modo sulle stelle e sulla loro influenza sulla vita umana, Cleida non le aveva mai staccato gli occhi di dosso.

Quella sera ricevette un messaggio da una di quelle ragazze. Si sorprese subito di vedersela davanti mentre saliva le scale per raggiungere la sua stanza. Come mai era sola? Dov’erano le sue compagne e Cleida? Prima che potesse aprire bocca però, la ragazza le rivolse la parola:

“Salute, Selene.

Mi manda la nostra signora Cleida. È rimasta colpita dal tuo spirito durante la conversazione di prima e desidera parlarti a quattr’occhi, sulla spiaggia fuori città, alla luce delle stelle.

 Seguimi”.

 Selene ebbe l’impressione che la sua interlocutrice avesse calcato la parola stelle e luce con un tono misteriosamente malizioso, complice. Tuttavia non poteva rifiutare un invito della sacerdotessa di Afrodite e annuì con garbo:

“Se la nostra amabile Cleida vuole parlarmi ciò non può che rendermi lieta. Indicami la via, non voglio farla attendere”

Le due si incamminarono in silenzio, nell’aria ormai notturna riecheggiavano solo il gracidare sommesso delle rane e il canto ridondante dei grilli, persino i loro passi erano ammantati di silenzio. Eppure la mente di Selene era agitata da dubbi e presentimenti infausti, la ragazza era da sempre abituata a fidarsi del suo istinto e questo le stava chiaramente dicendo di non andare, di fermarsi e tornare indietro, che non c’era nulla di buono per lei sulla spiaggia.

<< Ma che mi prende? Non è la prima volta che esco di notte in riva al mare, lo facciamo spesso per le cerimonie sacre. Perché stavolta dovrebbe essere diverso?

Che vuol dire che Cleida è rimasta colpita dal mio spirito? Intendeva il modo di comportarsi ... o proprio l’anima? >>

Il tragitto era breve ma senza la sua guida, la giovane  non sarebbe riuscita a distinguere nell’oscurità la sagoma solitaria  della donna dai capelli rossi fra le insenature e le anse dei lidi.

La figura di Cleida si stanziava maestosa davanti a lei, avvolta nel buio e in un pesante mantello blu scuro, i capelli al vento, completamente sciolti in tutta la loro lunghezza, e la sottilissima catena di tre diversi metalli le arrivava quasi ai piedi, luccicando alla luce della luna come la schiuma delle onde che si infrangevano placide sulla sabbia umida e fredda.

Quando si voltò, Selene vide che la ragazza era già sparita, certo, la donna dai capelli rossi aveva detto di volerle parlare “a quattr’occhi”...

Anche stavolta non riuscì a fiatare per prima, stava già esordendo con un “eccomi” o qualcosa di simile, che Cleida aprì bocca:

“Guarda in alto” e alzò la testa per invitarla a fare altrettanto

Selene alzò la testa e i suoi occhi si illuminarono della luce di migliaia di stelle di diversa grandezza e colore, uno spettacolo che l’aveva sempre lasciata a bocca aperta, e anche stavolta la sensazione che provò fu la stessa.

“Cosa vedi?”

“Armonia” rispose la giovane rivolgendo un sorriso al cielo

“E poi?” la incoraggiò Cleida, anche lei gli occhi fissi alle stelle

“Perfezione, felicità, luce...magia” continuò Selene

“Non sai quanto tu abbia ragione”

La ragazza abbassò un attimo lo sguardo per fissare la sua interlocutrice, cosa aveva voluto dire con quella frase appena  sussurrata?

“Riguardo... cosa ?”

La donna non aveva mai distolto gli occhi dalla volta celeste

“L’ultima parola che hai detto...magia. Sì, non immagini quanto tu abbia ragione.”

Forse fu solo un’impressione di Selene, ma una stella aveva brillato per un istante, Cleida sorrideva compiaciuta di quel segno

“Sai quante persone avrebbero risposto come te alla mia domanda? Poche, molto, molto poche. Avrebbero detto questo: << stelle >> e forse dopo avrebbero aggiunto << luminose, belle, lontane... >> tu no. Hai detto che vedi armonia. Anche in questo non sai quanto hai ragione. Le stelle sono armonia, le stelle danno armonia, a chi trova il coraggio di chiederla loro. Tu hai questo coraggio, Selene?”

La donna ora abbassò gli occhi, il verde giada di lei incontrò il chiarissimo acquamarina della ragazza, la maggiore era seria, poté notare una scintilla di speranza, di fiducia, un incitamento a parlare col cuore, nei suoi occhi, l’inquietante consapevolezza di sapere già la risposta della più piccola.

 

 

“Come riluce la grande Espero stanotte”

Cleida si rivolse a Selene con un sorriso complice

“Ti senti pronta?”

“Sì”rispose alla sacerdotessa.

La ragazza, ormai diventata una giovane donna, prese la lunga catenina che pendeva dal suo collo e la avvolse intorno alle mani formando una rete. Gli anelli preziosi scintillavano ai raggi di luna, ma soprattutto ai raggi della Stella della Sera, forgiati apposta per catturarne la luminosa immagine.

Un uomo era in disparte, seguiva la cerimonia con sguardo scettico eppure speranzoso. Sarà stato scettico per la giovane età di Selene, o per la mal fiducia nei confronti dei poteri delle stelle?

Selene non se ne curò e pensò solo alla luce, una fortissima luce bianca seguita da un lampo rosso, sì, era così che doveva andare, l’aveva visto molte altre volte, aveva assistito molte altre volte al sacrificio di anime e più volte aveva ammirato splendere Espero e riversare sui mortali la sua forza, rispondere al loro richiamo, alla loro disperata richiesta di aiuto.

<< Ancora, esaudiscici ancora divina stella, astro della sera. Dona armonia a chi è nel caos, luce a chi è nell’ombra, felicità a chi è afflitto, ricchezza agli indigenti >> ripetè mentalmente

“Potere a chi lo brama!” esclamò a voce alta e potente fissando il cielo con sguardo penetrante.

 

Fu come se i suoi occhi si fondessero con la luce della stella, i cui minuscoli raggi si muovevano furiosamente, divenne abbagliante, le mani di Selene rilucevano, Cleida aveva fatto un passo indietro e osservava con sguardo fiducioso ma vigile, pronta ad intervenire nel caso la più giovane non si fosse dimostrata ancora all’altezza.

I capelli mori, completamente sciolti,  della giovane donna ondeggiarono alle sue spalle, eppure non c’era vento e lei era rimasta immobile. D’improvviso la catenina prese a riflettere i raggi di luce della stella con più forza. Dalle sue mani si propagò per una attimo un’aura rossa, inquietante eppure affascinante.

Un bagliore della durata di un istante illuminò il cielo come fosse giorno, poi si udì un tonfo, nello stesso momento in cui una scia rossa, un guizzo rubino, attraversò il cielo.

Il sangue dell’uomo si gelò nelle sue vene nel vedere il corpo impietrito della sua offerta riverso per terra. Senza vita.

 

Era stato così che era cominciato tutto. A diciotto anni aveva recitato la sua prima preghiera a Espero, dopo essere entrata nella “setta” a quattordici. In quattro anni aveva assistito a ogni sorta di rito, di invocazione alle stelle e in particolar modo all’Astro della Sera. Lei e le ragazza fungevano da intermediarie, sfruttavano il potere della loro συμπαθία col firmamento, manifestata nei loro occhi chiari e brillanti, per realizzare i desideri dei mortali, le loro ambizioni.

Le avevano spiegato che era un grande regalo fatto loro da Espero, che abbassandosi a guardare il mondo dei mortali si impietosiva per le loro sciagure e offriva loro un patto per porre fine alle disgrazie.

Patto.

Questa parola era la chiave di ogni cosa. Di tutte gli orribili sacrifici e voti fatti per la stella. Diciotto anni di potere, non ostacolato da nessun nemico o fattore esterno, in cambio di un’anima, potere assoluto e perpetuo in cambio dell’anima di due gemelle. E lei lo aveva permesso, aveva anzi aiutato tutto ciò, era la ragazza che più  di ogni altra aveva un profondo legame col cielo e per questo Cleida l’aveva indicata come colei che avrebbe dovuto prendere il suo posto quando le stelle avrebbero chiamato anche lei. Per questo era stata educata, per questo era stata cresciuta all’interno del gruppo a stretto contatto con la donna dai capelli rossi, la quale le aveva rivelato i suoi segreti e tutte le formule e le invocazioni adatte a ogni tipo di rito. Il primo, aveva ancora quindici anni quando diresse il primo rito, rivolto a una stella minore per un mortale che desiderava fortuna e gloria in battaglia. Espero era l’unica stella a cui solo Cleida osava rivolgersi, tutte le altre si inchinavano alla potenza dell’astro intimorite dalla sua luce, e facevano bene, perché il grande potere di Espero poteva essere trasformato per gli uomini solo da poche elette, e Cleida era l’unica fra loro a poterlo fare, l’unica finché non arrivò lei, Selene.

 

Sospirò di nuovo, ripensare a quei tristi avvenimenti le riempiva la testa di immagini spaventose, tutti quei volti senza vita, vuoti di luce e di anima, sembravano invocare Espero anche loro, reclamando vendetta. E poi, fra tutti, un corpicino, una faccina piccola, di una bambina che aveva molto meno di un anno di età, dagli occhi di un viola acceso e profondo, brillanti di vita e intelligenza, che l’avevano guardata compassionevoli diciotto anni prima, << mi fai pena >> poteva leggere in quelle iridi ancora a distanza di tanto tempo ogni volta che l’immagine si ripresentava alla sua memoria. L’uomo che l’aveva portata alla donna ormai già avanti negli anni, sapeva molte cose su questo genere di rituali, aveva trovato l’anima in grado di garantirgli un potere immenso e forte, un potere che gli spettava comunque, di diritto, ma per cui non aveva il coraggio di lottare

 

“Donna” la apostrofò un giovane uomo, il viso sprezzante e fiero ma gli occhi corvini, rapaci. Non le ispirarono fiducia e sicurezza.

“Cosa desideri?” aveva risposto uscendo dalla sua capanna, ormai si era ritirata in un paese lontano già da anni, sperando di dimenticare così il suo passato e allontanare i demoni che agitavano la sua coscienza.

“Sto cercando Selene, vecchia, sei tu?”

“Sì giovane, cosa vuoi da me?”

“Ho una richiesta da farti...”

 

Sul tavolo della piccola cucina giaceva un fagotto, Lene inorridì constatando il suo contenuto, scostato un lembo di tessuto da uno degli angoli dell’involto, una piccola manina si affacciò e le strinse il dito.

“No, non farai una cosa simile” esclamò quasi con tono di domanda

“Infatti io non farò nulla, sarai tu che lo farai per me”

“Non puoi chiedere tanto, è solo una bambina, ha l’intera vita davanti a sé..” la piccola emise un lieve gemito

“Guardala negli occhi, lei e sua sorella sono quelle che cercavo da tempo, il loro potere sarà immenso” le iridi di lui brillarono pericolosamente di brama, un guizzo quasi assassino le attraversò, infuocato.

Anche Lene era meravigliata dal viola intenso degli occhi della piccola, il colore sacro a Espero più di ogni altro blu, eppure fece un passo indietro scuotendo la testa

“Ragiona, ciò che chiedi ti spetterebbe comunque, puoi lottare per averlo, il tuo popolo ti seguirà, riuscirai nel tuo intento anche sen..” non fu interrotta dalle parole dell’uomo ma dai suoi occhi taglienti, ridotti a fessure, si rese conto che non era abituato a essere contraddetto e tantomeno corretto

“Ci vorrebbe troppo tempo, mio figlio non deve crescere come un miserabile, deve vivere nel luogo che gli spetta per nascita, deve poter trascorrere un’infanzia lieta e spensierata senza il ricordo terribile di guerre civili e campi di battaglia insanguinati di morte, io lo faccio per lui!

Donna, vecchia, te lo chiedo, no, te lo ordino per l’ultima volta: intercedi per me, stringi per me il patto con la stella!”

A quel punto Selene si sentì sprofondare, avrebbe voluto sacrificarsi lei e donare la sua anima alla stella che aveva servito per tanti anni, ma non poteva, non aveva mai avuto una sorella, tantomeno una gemella, e l’individuo che aveva davanti non si sarebbe accontentato di qualche anno, lui voleva un potere che durasse nel tempo, che potesse passare solido e inattaccabile a suo figlio, e ai figli di lui, alla sua discendenza negli anni a venire. Sarebbe tornato dopo diciotto anni per portare a termine il rito e lei non avrebbe potuto fare a meno di sacrificare con orrore un’altra vita.

 

Le terribili parole del rito più potente che poteva officiare risuonarono nella mente dell’anziana donna, parole il cui vero significato era nascosto agli occhi di tutti se non a quelli di poche elette:

 

Ѐσπερε πάντα φέρης όσαφαίνολις εσκέδασΑύος,  

Espero tu riporti tutto ciò che la luminosa alba ha disperso,


φέρης
όιν, φέρης αίγα, φέρης απύ μάτερι παίδα.

riporti la pecora, riporti la capra, porti via la fanciulla dalla madre.


un ricordo sbiadito solo all’apparenza, presto sarebbe giunto il momento in cui sarebbe stato necessario ripeterlo. Ma con quale coraggio? Con quale forza avrebbe potuto uccidere colei che amava di più al mondo? Doveva trovare un’altra soluzione, non aveva intenzione di rivangare il passato, ormai Espero era solo un ricordo e lei voleva che continuasse ad esserlo.

Poteva sperare che la ragazza non fosse stata trovata in questi diciotto anni da quell’orribile uomo, in questo caso altre dodici anime avrebbero dovuto lasciare questo mondo, e Selene ne aveva già viste partire nove, dopotutto per lei era un prezzo che poteva essere pagato per salvare l’unica anima che le interessava ancora, sperava con tutto il cuore che la decima, l’undicesima e soprattutto la dodicesima stella guizzante comparissero a squarciare l’immobilità del cielo notturno prima di vedersi davanti la giovane dagli occhi viola, condannata già alla nascita per colpa sua.

In quel caso disperato avrebbe dovuto fare ricorso a tutta la sua forza d’animo per implorare la stella di prendere un’altra anima, altre dieci, cento, anche la sua, pur di risparmiarla, tutto dipendeva dalla forza d’animo della ragazza, dal suo legame col cielo. Avrebbe sopportato un contatto con la stella della sera? Era abbastanza forte per riuscirci? Si era adoperata cinque anni perché ciò fosse possibile, ma negli ultimi tredici era stata costretta a lasciarla, poteva solo pregare che avesse continuato a coltivare il suo amore per il firmamento, il suo legame naturale con gli astri, in tutto questo tempo. Era fiduciosa nelle capacità della ragazza per fortuna, la conosceva bene, meglio di quanto lei potesse credere.

Il momento in cui si sarebbero riviste si avvicinava, nostalgia ammantò i pensieri di nonna Lene, sospirò ripensando a tanti anni prima, a una bambina allegra e mai sazia di sentirla parlare, intelligente e forte, ostinata e fiera, dai capelli indomabili e gli occhi ametista

 

“Chissà come sei adesso, giovane donna. 

  Mia piccola Nakia”.

 

 

 

 

Note:

Dunque, buona estate a tutti, pensare che ho iniziato questa storia due mesi fa e non l’ho ancora finita... scusate ç.ç, ma sta prendendo una piega particolare credo, che ne dite, vi piace? R&R please (anche solo per accusare l’autrice di stare scrivendo una marea di assurdità e metterci pure un sacco di tempo...)

BtW, cominciamo con le note:

Cleida è la figlia di Saffo, viene nominata in diversi frammenti in cui la madre ne elogia la bellezza e altre qualità, l’ho descritta come sacerdotessa di Afrodite e “direttrice” del tiaso perché ho pensato che avrebbe potuto ereditare le funzioni della poetessa, che nel mio mondo, come già detto di buchi bianchi e piramidi, non è estranea ai riti di Espero, tanto che le poesie le ha scritte lei! Poi vedrete...

Τόποι: vuol dire argomenti ma anche temi veri e propri, avete mai sentito l’espressione “è un topos letterario?” i due innamorati che lottano per stare insieme ad esempio sono un clichè, un topos letterario

Συμπαθία: non sono riuscita a trovare un equivalente italiano adeguato così ho lasciato il termine greco, è un po’ diverso da simpatia, vuol dire proprio soffrire insieme, provare gli stessi sentimenti, essere in sintonia, ecco, forse questa era la parola che più ci si avvicinava per la sfumatura che volevo dare.

 

Credo si capisca bene chi sono tutti i personaggi che appaiono nel capitolo:la neonata, l’uomo, la ragazza... li ritroveremo anche nel prossimo, che spero non debba farvi attendere tanto come questo, dopotutto il sette è un numero fortunato no? Speriamo sia anche pieno di buona volontà e me la trasmetta... sono troppo pigra... -.-

Vi imploro ancora una volta, ma senza sacrificare anime a Espero XD, R&R, read and review, fatemi sapere le vostre impressioni, un grazie e un grosso bacio a il giardino dei misteri che continua a recensire, sei dolcissima ^^, e se vi piace il filone storico passate da lei che oltre ad essere una brava scrittrice di romantico ha iniziato un’affascinante storia nell’antica Roma.

Al prossimo capitolo (niente date che tanto so che non le rispetterei...) ^^

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