Chiamami Sognatore

di Yajirushi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ferro ***
Capitolo 2: *** Bronzo ***



Capitolo 1
*** Ferro ***


Se la mia voce non dovesse raggiungere la gente, allora sarei ad un metro dalla vetta. Ma se la mia voce non dovesse raggiungere Te, allora sarebbe il momento di cominciare la mia scalata. << Shion.. >> Il vento soffiava sulle colline sparpagliando qua e là per le strade il profumo del pane caldo. Le stesse vie fangose erano ricoperte di un leggero strato di neve, quasi impercettibile. I fiocchi leggeri cadevano al suolo mischiandosi con la melma che il temporale di quella mattina aveva portato a galla dalla fogna cittadina. Adesso che la città aveva ampliato il proprio spazio, anche i consumi e le aperture di strutture erano aumentate. Era ancora primavera, ma già il caldo persistente e anomalo di quei giorni si faceva sentire. In ospedale c’erano stati molti arrivi di anziani disidratati o neonati altrettanto malridotti causa la siccità. Quella era stata la prima mattina di pioggia dopo mesi e mesi in cui la terra era rimasta all’asciutto. Sembrava quasi che le stagioni si confondessero, forse a causa del grande inquinamento derivato dalla costruzione di nuovi prototipi all’avanguardia di auto e all’ampliamento di industrie petrolifere. Quel paesaggio surreale, contemplato dalla cima della collina più a nord della città offriva uno spettacolo mozzafiato. La neve che esausta premeva sul fango si assottigliava fino a sparire per l’umidità, mentre il cielo tinto di vermiglio segnalava il coprifuoco. Adesso Lost Town non esisteva più. Adesso, neanche la No.6 manteneva il proprio nome. Quella tranquilla cittadina non aveva un appellativo; non esisteva un aggettivo che potesse ben identificarla. Ma agli abitanti bastava sapere che tutti avevano gli stessi diritti per essere soddisfatti. Dalla collina, non molto lontano dal rifugio per gli orfani di Karan, il ragazzo poteva osservare con attenzione i movimenti svelti e disinvolti di suo fratello che rincorreva i suo compagni. Nel piccolo giardino cui la struttura si affacciava, erano posti diversi giochi per i bambini costruiti con le sue mani. Sua madre aveva insistito così tanto, che alla fine Shion dovette rimboccarsi le maniche e mettersi all’opera in cambio di un buon salario, seppur non necessario. << Giona? Riri, dov’è Giona? >> L’aria era terribilmente calda. Il vento bollente scioglieva la neve di continuo senza mai fermarsi. Il sole tramontò qualche minuto prima del solito, e i bambini del rifugio dovettero accontentarsi di un’ultima canzone prima di rientrare. Shion scese la collina frenando di tanto in tanto con le suole, temendo una caduta disastrosa. Prima di rientrare si voltò ancora verso la collina per ammirare i raggi del sole ormai quasi del tutto oscurato. << Shion? Potresti riportarlo qui? >> Sua madre lo osservava abbozzando un sorriso che nascondeva un velo di preoccupazione. Il ragazzo annuì sorridendo a sua volta, infilandosi il capello per la seconda volta. Nel rifugio c’erano tre condizionatori, ognuno dei quali doveva restare in funzione fino alle cinque del pomeriggio, il momento del tramonto. Appena entrato, Shion dovette affondare il capo nelle spalle per non rischiare un torcicollo. Tornò all’esterno sbuffando. Recuperare suo fratello non lo infastidiva, anzi, il fatto che sua madre si fidasse tanto del suo aiuto lo rendeva fiero, ma quel piccolo arrivato da cinque anni non conosceva ancora il rispetto delle regole. << Giona? Torna dentro, c’è il coprifuoco! >> Una piccola figura gli stava dinanzi aggrappata ad un’asta di legno. << Solo un’altra volta! >> Shion si avvicinò allo scivolo per prendere il bimbo e spingervelo su, in modo da velocizzare le cose. << Adesso basta, però. >> Prese il bambino per mano. << Uffa.. >> Al suo rientro Shion trovò tutto pronto: il tavolo era imbandito e coperto di tovaglioli,bicchieri, piattini e posate azzurre, cestini di salatini, olive e quant’altro. Sul soffitto erano appesi palloncini colorati e bandierine rosse che i bambini tentavano di raggiungere sollevandosi sulle punte. << Su,su. È arrivato! >> i più grandi si alzarono rimanendo in silenzio davanti al tavolo, seri e ritti come colonne. In tutto, le bocche da sfamare in quella stanza dovevano essere una trentina. << Tanti auguri Giona!!! >> Karan spense le luci invitando i bambini a cantare qualcosa di carino per il più piccolo, mentre Shion corse in cucina per prendere il dolce tanto atteso. << Te lo sei ricordato, Shion?! >> Il bambino gli si aggrappò al collo baciandogli le guance. << E la torta tutta a me! >> Si alzò un urlo di protesta. << Scherzavo! >> Karan fece una linguaccia. Bastò poco per animare la serata: pochi palloncini, un paio di regali e tanta buona musica accompagnata da balli ben graditi. Ma che la festa finisse, prima o poi, era inevitabile. Alla sera nessuno era triste di non poter più festeggiare, soprattutto per il fatto che in quel rifugio, stando insieme ogni giorno, per i bambini era una festa continua. << Allora? Che mi dici? >> Giona sorrise ad occhi chiusi mentre il maggiore gli rimboccava la coperta di lino. << Lo adoro, Shion. Te ne regalerò uno uguale al tuo compleanno! >> La sua voce si affievoliva sempre più, interrotta da sbadigli frenetici. << Sì, lo so. >> Prima di uscire dalla stanza osservò ancora suo fratello riposare stretto al suo nuovo orsacchiotto verde. << Shion? Hai finito di là? >> Il ragazzo sgusciò dalla stanza per raggiungere sua madre che si trovava in difficoltà per rimboccare le coperte a tutti quei bambini. << Domani dovrai fare delle consegne. >> Karan gli sorrise mentre dava la buona notte ad una piccola nuova arrivata. << Non posso lasciarti sola.. >> Karan sorrise: amava il modo in cui suo figlio si preoccupasse per lei. << Ci sono trenta bambini qui. Non sono sola. >> Prese una boccata d’aria. << E poi domani viene a farci visita il signor Rikiga. >> Sorrise. Shion scosse il capo battendosi una mano sulla fronte: << L’avevo scordato. Allora buona notte. >> Lasciò la stanza in silenzio, mentre sua madre canticchiava una ninna nanna ad un piccolo sventurato. Shion si trascinò in camera senza più un briciolo di forza nelle braccia. Tutta quella responsabilità doveva averlo reso più debole. Salì le scale aggrappato alla parete e subito corse in bagno per rinfrescarsi il viso. Osservandosi allo specchio si soffermò ad esaminare i capelli: vi passò una mano sorridendo, strizzando gli occhi dalla gioia. << Shion.. Karan ha detto di aiutarmi.. >> Sobbalzò uscendo in fretta. << Devi farti la doccia? >> Il bimbo annuì. Ryan era un bambino di circa sette anni, esile e chiaro di carnagione. Aveva i capelli quasi dello stesso colore di quelli di Shion, mentre i suoi occhi splendevano di un azzurro cielo che lasciava il maggiore sempre senza fiato. Shion lo prese per le braccia e lo posò nella doccia. Gli levò gli abiti e vi passò il sapone sulla pelle. << Non schizzare, Karan si arrabbia! >> Shion si levò la maglia fradicia di acqua e sapone. << Ma a me piace schizzare! >> << Sembra che io sia il tuo bersaglio preferito! >> Rise col bambino. Dopo un quarto d’ora Shion si regalò un po’ di riposo. Entrato in stanza scrutò i pochi mobili che l’arredavano, si avvicinò all’armadio e l’aprì con violenza. Si abbassò per spostare gli indumenti che lo riempivano e raccolse una piccole capsula dal fondo del mobile. Lasciò che il corpo si abbandonasse sul materasso per sollevare le braccia sulla testa e aprire la capsula. Mentre armeggiava col minuscolo contenitore, non riuscì ad accorgersi del lieve sorriso che gli si era stampato sul viso. “Ancora pochi mesi. Sarò da te. R.. C. M.” Quel breve messaggio risaliva a quattro anni prima, quando era passato solo un anno dalla distruzione delle mura che separavano la No.6 da Lost Town. Shion piegava e srotolava di continuo quel piccolo messaggio fra le mani, cercando di carpirne il vero significato. Quando, quattro anni prima, Cravatta gli aveva recapitato quel massaggio, il suo cuore non aveva più smesso di dargli tormento, salendogli in gola per ricordargli del suo passato. Allora aveva atteso pochi mesi affinchè Lui tornasse. Aveva aspettato un anno, ora avrebbe solo dovuto attendere altri tre mesi circa. Ma forse si era solo illuso. Dal giorno in cui ricevette quel messaggio erano passati cinque anni. Cinque interminabili anni. Anni di speranza e di esitazione, mesi carichi di aspirazioni e delusioni. Forse in quei “Pochi mesi” il suo corrispondente si era rifatto una vita. Forse si era fidanzato e ora viveva sereno in una nuova casa, con un lavoro da attore più che redditizio e magari aveva anche cancellato dalla memoria quella promessa, breve ma ricca di importanza. O almeno, importante per Shion. Il ragazzo non aveva mai pensato, neanche per un attimo, che gli fosse capitato qualcosa di inaspettato, una disgrazia magari. Shion non poteva immaginarlo ferito, né tanto meno Morto. Già.. morto. Saperlo morto sarebbe stato assurdo e impensabile. Ma erano passati cinque anni ormai.. Cosa poteva essergli successo? Shion avrebbe potuto cercarlo e magari anche con successo. Ma dopo? Tutto sarebbe tornato come prima? Il ragazzo ne dubitava. Nezumi l’avrebbe cercato di sicuro, se solo se la fosse sentita di incontrarlo. Ma adesso poco importava. Disperarsi era inutile. Aveva pianto solo tre volte in cinque anni, tre volte in cui le emozioni l’avevano sopraffatto e avevano rischiato di farlo annegare nella disperazione. Il fruscio delle foglie lo riportò alla realtà. << Tornerà. E se non vorrà più saperne di me, portò accontentarmi di averlo rivisto almeno per una volta. >> << Shion? >> Vide la chioma immacolata smuoversi. << SHION!!! >> Il ragazzo cadde dal letto battendo I gomiti sul marmo. << Accidenti ma che c’è?! Ahi..! >>. << Shion! Scusami! Ti prego scusa, scusa, scusa, scusa! >> Il ragazzo si risollevò tenendosi i gomiti. Sentì un brivido lungo la schiena. << Anya! Aspetta prima di urlare in quel modo! Vuoi farmi venire un infarto? >> La ragazza si inginocchiò. Il vestito rosso che indossava finì col riempirsi di polvere, ma incurante gli chiese ancora scusa promettendo di non urlare mai più. << Allora? Che è successo? >> La tredicenne si sollevò: << Ti ho portato dell’acqua! >> ‘Sei già un’adolescente ma sei ancora una bambina, sotto sotto..’ << Karan dice che devi fare delle consegne. Ah! E ha detto anche che asp- com’era? Oh: “Chi dorme non piglia pesci”! >> Shion lasciò la stanza seguito dalla ragazza per entrare in bagno. Mentre lavava i denti, Anya continuava a parlargli, incurante del fatto che avrebbe dovuto lasciarlo solo. << Sono le dieci e tu ancora dormivi! Ti sembrava il caso di prendertela così comoda? >> Shion arrossì lievemente. << L- le dieci?! E tu che ci fai ancora qui? >> La scacciò chiudendosi la porta alle spalle. Anya gli urlò da dentro alla porta: << Io aiuto Karan, tu no? >> E scese le scale. Quella mattina aveva riposato più del dovuto. Quando si sedette al tavolo con Anya e sua madre per far colazione si beò dell’insolito silenzio che aleggiava in cucina. << Rikiga sta accompagnando Giona: quel dormiglione si è svegliato solo alle nove! >> Karan sorrideva senza badare troppo al maggiore. << Tsk.. non parliamo di dormiglioni per favore.. >> Anya intinse dei biscotti nel latte tra una parola e l’altra. << Sssh! Non farglielo pesare. >> La ragazza annuì infastidita. << Conto sul tuo aiuto, Shion. C’è molto da far questa mattina. >> << Non c’è problema. Ma.. non mi sembra il caso che Anya salti la scuola per aiutarci.. >> << Non preoccuparti. Gliel’ho permesso solo per oggi che c’è davvero molto da fare. Vedrai che dopo una giornata di lavoro il suo unico desiderio sarà tornare a scuola! >> Anya protestò: << Giammai, Karan! >> L’aria si era rinfrescata grazie alla presenza di una nuvola passeggera. Notandone la densità e la consistenza, Shion poteva dedurne un improbabile rischio di precipitazioni. La giornata, dunque, sarebbe stata ottima per fare una passeggiata. La neve non calava più dal cielo a secchiate, mentre i raggi del sole raggiungevano a stento il terreno filtrando le nuvole di un bianco accecante. Sulla soglia della porta sua madre gli consegnò la busta di carta piena di pane e dolci. << Vanno recapitati al numero 80 sulla via del ponte.. signora Frost. >> Shion sorrise aprendo le braccia per accogliere quel peso. << A dopo. >> Era passata mezz’ora da quando quella peste l’aveva fatto cascare dal letto. Sollevò un gomito per assicurarsi di essere indenne, ma un grande livido violaceo circondava quel punto delicato. Avrebbe potuto tornare indietro in qualsiasi momento per rimproverarla ancora, per adirarsi per quella sua cattiva abitudine ancora troppo radicata in lei. “Magari da grande sarà una cantante..” A passo svelto percorse il tratto che lo divideva dalla strada principale per poi incontrare un bivio e svoltare alla sua sinistra. Lungo la strada, decine di piccole case indipendenti si erano col tempo trasformate in grandi ville bifamiliari o in palazzi a cinque piani, tutto solo per ospitare una maggior quantità di abitanti. Shion osservava lo scorrere di quelle immagini con nostalgia, come se quella felicità che sprizzava da ogni poro di quella città appartenesse a chiunque; a tutti, ma non a lui. Si sentì triste in un solo attimo, il tempo di chinare il capo per assaporare l’aroma di cannella che impregnava la carta. Qualcosa sembrava spingerlo oltre, era come se in quel momento le lacrime avessero voluto rigargli il volto senza avere una ragione. Quel momento di depressione apparente era una cosa consueta ormai da cinque anni. Di solito si sentiva giù ogni pomeriggio dopo pranzo, ma ultimamente gli capitava sempre più spesso di sentirsi ‘strano’, quasi.. disperato. “Disperato.. che ragione ho per sentirmi così?” << Op! Levati dalla strada, ragazzo! >> Senza accorgersene aveva rischiato di essere travolto da un’auto in corsa. Scosse il capo mordendosi il labbro. “Svegliati, Shion!” Il ponte era immenso: lo si poteva notare anche a distanza di chilometri grazie alle colonne altissime ricoperte di fili di rame e alla lampadine che ne segnavano il percorso. Shion si guardò bene dall’attraversare sulle strisce pedonali per non rischiare ancora. Adesso che ci pensava, non capiva perché egli stesso tenesse tanto alla propria vita. La villetta della donna si trovava in una stradicciola perpendicolare al ponte. Il ragazzo entrò in giardino grazie ad un anziano che forse conviveva con lei. << Consegne? >> Shion si chinò istintivamente per essere all’altezza dei suoi occhi. << Sì, per la signora Frost. >> L’anziano lo studiò con sguardo vigile, facendo roteare l’iride grigia di un solo occhio, mentre l’altro pareva assopito da tempo. << Al secondo piano. Il primo è il mio perciò sta’ attento a non sporcare il pavimento. >> Le scale all’interno della struttura erano rovinate dal tempo e forse anche dalle termiti, vista la struttura composta interamente di legno. Ad ogni passo, i gradini scricchiolanti sembravano voler cedere sotto il suo peso. Passò dalla prima rampa di scale alla seconda con molta fretta, temendo di sprofondare nel vuoto sotto di lui. Al secondo piano trovò un crocifisso sulla parete accanto alla porta vermiglia dell’appartamento. Sul campanello non c’erano nomi: forse erano stati semplicemente cancellati dal tempo. << Ragazzo vieni dentro! Fa fresco qui! Coraggio, su, su! >> Cascò su un divano in pelle bianca senza accorgersene. Prima che potesse premere il campanello una donna aveva spalancato la porta trascinandolo letteralmente dentro. << E’ tutto quello che ho chiesto? >> Shion non ebbe il tempo di guardarsi intorno per concentrare la sua attenzione sulla figura sprezzante davanti ai suoi occhi. In piedi di fronte a lui una donna robusta, un po’ bassa, vestita con un abito morbido su fianchi e sul seno, l’osservava strizzando gli occhi in un sorriso continuo con le labbra. << Allora? >> Mise scherzosamente le mani sui fianchi facendo ricadere due ciocche nere sulle spalle. << Oh sì certo.. >> La donna sollevò le spalle. << Visto che sei arrivato così in fretta ti meriti un premio! >> Gli strappò la busta di mano fuggendo in cucina. In quel breve lasso di tempo il ragazzo osservò l’ambiente circostante: un soggiorno piccolo ma ben arredato con mobili in legno, un tavolino di vetro e dei vasi colmi di fiori finti, tende dorate e una sola grande finestra alle spalle del divano. << Ecco qua! Se rifiuti la prendo come un’offesa! >> Poggiò un vassoio –o forse scaraventò- sul tavolino. Shion scrutò tutto quello che conteneva: da piccoli dolci a fette di torta e salatini. Afferrò una fetta di torta e si risedette di fronte alla donna che nel frattempo si gustava un dolcetto seduta su una piccola poltrona bianca. << Allora lavori con tua madre? >> Shion annuì cercando di evitare il suo sguardo. << Io stimo moltissimo Karan, sai? Insomma.. so che gestisce un rifugio e che lavora in un panificio.. deve essere dura. >> Il ragazzo rispose seccamente che no, non era affatto dura. << Non può essere poi così dura col mio aiuto, signora. >> La donna rimase per un po’ in silenzio. << Sei davvero un così grande lavoratore? >> << Aiuto mia madre quanto basta. >> Posò un tovagliolo sul tavolo. << Posso chiederti se posso donare qualcosa al rifugio? Ho la casa piena di mobili inutilizzati e vecchi giochi dei miei figli. >> << Certo! Tutto può essere utile! >> La donna si sollevò per sistemarsi l’abito. << Oh! Posso darti qualcosa subito! >> Allora fece un cenno con la mano destra sorridendo raggiante come la prima volta, si voltò urlando un ‘torno subito’ e richiuse la porta d’ingresso alle sue spalle. Passarono diversi minuti da quando la signora Frost l’aveva lasciato solo in casa. Nessuno in città avrebbe mai lasciato la casa ad uno sconosciuto, specialmente se così giovane e poco affidabile: probabilmente la donna non temeva dei furti poiché non possedeva nulla di tanto prezioso. Dopo dieci minuti, Shion si trovò riverso sul pavimento, braccato da sacchi di plastica nera e corde robuste. Aveva udito un gran fracasso provenire dall’esterno, quando d’un tratto un dolore lancinante allo stomaco lo mise in guardia. Sentì un ronzio nelle orecchie, affilò lo sguardo mordendosi il labbro per il dolore. Qualcuno lo stava picchiando con qualcosa di robusto, avrebbe azzardato un bastone, mentre su di lui calavano il silenzio, il buio.. la paura. Erano le dieci di sera. Karan non si dava pace ormai da otto interminabili ore per cercare suo figlio disperso per la città. Rikiga l’aveva accompagnata per le strade del centro e della periferia: insieme avevano cercato in lungo e in largo il ragazzo. Prima, però, si assicurarono che Shion non si fosse intrattenuto dalla signora Frost tanto a lungo da aver dimenticato di avere un lavoro da svolgere al rifugio. Rikiga non si lasciò prendere dal panico all’ingresso dell’abitazione: suonò il campanello irrompendo nell’appartamento senza dare una spiegazione plausibile alla padrona di casa. quella donna robusta e ben vestita sembrava avere un’aria distrutta. Al primo cenno di Karan, si lasciò cadere sul suo divano in preda a fori mal di testa. Aveva supplicato Rikiga di non urlare, aveva chiesto gentilmente alla madre di Shion di aiutarla a rialzarsi. << Shion?! E’ venuto qui oggi.. l-lei sa dov’è? Cos’ha detto prima di andare se n-non è ancora qui? >> Karan tremava sempre più ad ogni parola pronunciata con inquietudine. << Non .. io non posso parlarne con nessuno.. ci uccideranno tutti..! Lui.. non.. >> << Cos’è che non puoi dire?! Parla! C’è la mamma di un ragazzo che forse ha bisogno di aiuto qui! Parla, maledizione! >> Rikiga aveva preso la donna per le braccia scuotendola con violenza avanti e indietro, come se si ritrovasse tra le mani una bambola di pezza. << So solo che l’hanno preso per ucciderlo!!! >> L’uomo spalancò gli occhi, mentre quelli di Karan si inondarono di lacrime. << Hanno detto che lo ammazzeranno domattina per passare un po’ il tempo in questa città monotona e noiosa … >> Rikiga udì un tonfo alle sue spalle: Karan era piombata sul pavimento battendo fortemente le ginocchia senza neanche sentire dolore. << .. Hanno detto anche che non avrei dovuto riferirlo a nessuno per non mettere in pericolo anche i miei figli e … Mi dispiace.. Ma che avrei dovuto fare? >> Anche la donna affogò nel pianto. Rikiga dovette farsi forza per non mostrare quanta paura si celava nel suo sguardo mentre trascinava fuori dalla villa la madre del giovane in preda ad una crisi di nervi. Portarla al rifugio in quelle condizioni avrebbe spaventato i bambini più piccoli e avrebbe fatto preoccupare i più grandi; perciò se ne fece carico portandola sottobraccio fino al ponte. Dopo la mezzanotte Karan era ancora sveglia: sentiva freddo, ma non osava asciugarsi il volto ancora solcato di lacrime. Mentre fissava un punto impreciso sull’asfalto, pronunciò qualche parola incomprensibile. << I figli non si toccano... >> <>

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Capitolo 2
*** Bronzo ***


Non possiamo prevedere ogni cosa, nelle nostra vita.
Magari quello che oggi ci sembra favorevole, domani si trasformerà nella nostra rovina.
Ma forse siamo nati proprio per sperimentarlo : così come ad ogni mattino segue la notte,
così ad ogni gioia della vita, segue il dolore.
Dio, perché il tuo sguardo mi evita?



La casa era piombata nel silenzio, mentre una bolla d’aria calda vi si era abbattuta con persistenza. Per poter sentire un po’ di fresco, Nezumi fu costretto a riempire la vasca da bagno per ben tre volte in un giorno, con la speranza che almeno un po’ d’acqua fresca non potesse che fargli del bene. Era tutto tranquillo nella nuova casa: dopo la distruzione della No.6, il nuovo direttore del vecchio teatro di Lost Town aveva insistito talmente tante volte con quella sua offerta che l’attore fu costretto ad accettare, e anche parecchio volentieri. Quella struttura riservata al suo utilizzo personale doveva misurare all’incirca cento metri quadri, più che sufficienti alla vita serena di un uomo solo. Di sicuro la stanza che l’aveva più colpito sin dal primo giorno era la cucina: nonostante fosse la stanza più piccola, accoglieva perfettamente un tavolo enorme al centro, un camino nell’angolo a fianco della porta d’ingresso e due divani appoggiati alle preti posti ad angolo.  Al mattino percorreva il corridoio che dalla stanza da letto lo conduceva al bagno e alla cucina e subito dopo faceva una ricca colazione a base di latte caldo, cereali e biscotti. Adesso che in città si era affermato come ottimo attore, i proprietari di vari teatri tentavano di convincerlo a lavorare nella proprie strutture, invano. <<  Guadagno già abbastanza lavorando per questo direttore. Non saprei proprio che farmene di tutti quei soldi! >> Di solito era così che rifiutava i vari ingaggi. Il signor Mako gli aveva più volte domandato il perché di tale ostinazione, ma mai aveva ottenuto una risposta. Tanto valeva rassegnarsi che lui, il suo datore di lavoro, non avrebbe mai saputo il vero motivo di tanta stupidità. “Sembra che i soldi non facciano per lui!”
Quella mattina il sole già alto nel cielo illuminava i mobili della camera filtrando le pesanti tende color oro fino ad accecare il padrone di casa, che appena sedutosi sul materasso, si stropicciava gli occhi tra uno sbadiglio e l’altro. La giornata si presentava al meglio: niente lavoro, niente appuntamenti, niente rogne… niente di niente. Bastò poco a ricordargli quanto noiosa in realtà fosse la sua vita. Senza il lavoro e le rogne, sapeva a cosa andava realmente incontro: Depressione totale. Ma forse una soluzione c’era. Avrebbe letto un bel libro comodo sulla sua poltrona, avrebbe ordinato qualcosa di buono da sgranocchiare per l’ora di pranzo come faceva di solito, sarebbe uscito per fare una passeggiata al parco distante pochi isolati e sarebbe tornato a casa ripiombato sotto le coperte. “Ah.. un ratto si arrangia come può..vero?” Seduto al tavolo soffiava in una tazza colma di liquido bollente. Sollevò lo sguardo fissando un punto indefinito di fronte a sé, un punto in cui mai avrebbe voluto soffermarsi: il muso grigio di un piccolo topo-robot. Rimase in silenzio per qualche istante, studiando l’anatomia di quell’essere che egli stesso aveva creato anni prima. Allungò una mano per sottrargli una piccola capsula rossa dalle zampette. Ne estrasse un piccolo messaggio risalente a quattro anni prima: “Lo farò.” Di fronte a quelle parole non riuscì a batter ciglio. Avrebbe potuto piangere, sorridere, urlare… riflettere. Ma gli ingranaggi della sua mente sembrarono immobilizzati, quasi in tilt; non riusciva a pensare a nulla, proprio a nulla. Ormai non ricordava un nome a cui associare quel messaggio, né voleva ricordarlo. Per lui da cinque anni era cominciato un nuovo capitolo della sua vita, aveva voltato pagina una volta per tutte… aveva scelto di fare la cosa migliore per Entrambi. Scegliere di illuderlo non era stato facile, prendersi realmente gioco di lui, era sembrato impossibile. Ma doveva farlo se voleva lasciarlo libero di vivere la vita che si meritava, Lui, Shion, l’unico capace di farlo piangere su questa Terra. Adesso che quella piccola promessa non era stata mantenuta, adesso che erano passati quattro anni da quella bugia.. forse adesso anche Lui avrebbe finalmente voltato pagina. E avrebbe cominciato realmente a Vivere.
<< Ehi! Nezumi! Aprimi, Nezumi! So che sei lì! >> fece un passo verso la porta d’ingresso per aprirla. << Eh? Perché mi disturbi a quest’ora? Non ho mica insultato tua madre.  >> La donna dai cortissimi capelli biondi  tremava ancora per l’affanno e la fatica di una corsa sfrenata dal centro del paese alla periferia. << Fammi entrare. >> Nezumi avrebbe voluto ricacciarla per la sua maledetta presunzione, ma poi dovette frenarsi. << Fammi entrare, Per favore. >> La sua voce si era fatta più bassa. Nezumi spalancò la porta facendola accomodare sul divano per poi sedervisi di fronte.  << Allora? Cosa ti porta qui, Inukashi? >> Attese una risposta per ben cinque minuti. L’ inukashi accavallò le gambe poggiando i gomiti sulle ginocchia, lasciò cadere il capo sulle mani nascondendo la piccola tortura cui sottoponeva le labbra. Dopo una lunga pausa, cominciò a parlare. << Riguarda Shion. >> La donna notò del liquido sul pavimento. Due parole erano bastate per far raggelare i muscoli del ragazzo che sorseggiava ancora un po’ di latte. << Non ricordo nessuno che abbia quel nome. >> Distese le gambe per rilassarle. L’inukashi insisteva: << E’ importante… altrimenti non avrei sprecato il mio tempo per farti una visita! >> Si drizzò a sedere cercando lo sguardo dell’altro, nascosto da una ciocca di capelli blu. << Non lo conosco. Perciò non venire a scocciarmi già al mattino. >> Si alzò facendo un gesto con la mano per farsi comprendere meglio: era meglio per la donna se avesse lasciato l’appartamento, e in fretta. Lei si sollevò stringendo i pugni. << Non te l’hanno ancora detto? Beh, chi sene frega se non l’hanno fatto! Poi non venire a piangere da me quando lo saprai! Io non volevo essere la prima a dirtelo solo che  Rikiga ha insistito! Tsk.. >> Lo raggiunse alla porta già spalancata. << Credevo quel ragazzo ti stesse più a cuore.  >> Nezumi carpì ogni parola pronunciata con un velo di malinconia. La porta si richiuse con un rumore quasi impercettibile. Steso sul divano, Nezumi non riuscì ad evitare di perdersi nei ricordi. Mille ferite gli riaprirono il cuore,  mentre un fuoco interno gli ardeva in gola. “Quei tempi sono finiti. In realtà… dispiace anche a me, Inukashi.”
Non riusciva a comprendere il perché di quell’atteggiamento da perfetto idiota. Insomma.. si era sempre comportato da idiota, cinico e a volte anche da strafottente. Ma adesso perché.. perché doveva far finta di nulla? Quel ragazzo non gli importava davvero più? Improbabile. l’inukashi non poteva credere che Shion, l’unico che un tempo era riuscito a fargli abbassare la guardia, l’unico che era riuscito a renderlo debole e fragile, ora non gli importasse più. Forse lei non lo aveva conosciuto abbastanza per conoscerlo bene, ma pur non essendo un genio, Inikashi aveva compreso l’importanza che entrambi attribuivano all’altro. Ma allora perché? Il motivo non riusciva proprio a capirlo. Se adesso sua madre fosse ancora in vita, lontana dalla sua casa, lei avrebbe fatto di tutto per ritrovarla. O almeno avrebbe desiderato sapere quanto bella fosse diventata la sua vita, quanto stesse bene e fosse felice anche senza di Lei. << Credevo ti stesse più a cuore, Nezumi. Ma infondo è meglio così. È meglio così… perché non dovrai soffrire quanto ho sofferto io. >> << Inukashi! >> La donna si voltò sorridendo. << Nezumi! >> Si morse un labbro. << Gliel’hai detto? Come ha reagito? >> Rikiga sembrava distrutto: gli tremavano le mani, le labbra, la voce. Forse avrebbe pianto da un momento all’altro, ma l’Inukashi preferì fissare la strada per non accorgersene. << Volevo dirglielo… ma non sono in grado di affrontarlo come si deve. Diglielo tu! >> Gli diede le spalle riprendendo a correre. Era arrabbiata con se stessa per aver rinunciato. Era arrabbiata con se stessa perché era una codarda. Era arrabbiata con se stessa… perché stava piangendo.
Rikiga non aveva altra scelta: riferirgli la notizia spettava unicamente a lui. Prima di farlo, però, si diresse in un bar lì vicino per distendere i nervi. Si accomodò ad un piccolo tavolo, prese un giornale tra le mani, lo scrutò per bene, lesse i titoli dei vari articoli con noncuranza finchè non lo scaraventò sulla superficie liscia del tavolo con violenza. “Trovato!” << Il signore desidera? >> Prima di parlare tossì asciugandosi qualche lacrima. << Una camomilla, grazie. >> La cameriera gli sorrise amichevolmente. Nell’attesa, Rikiga provò a riflettere su quello che davvero lo legava al ragazzo: all’inizio gli era interessato solo per essere il figlio di Karan, gli voleva bene perché le somigliava e perché in qualche modo lo faceva sentire bene. Ma col tempo si era affezionato sempre più a quel viso d’angelo, a quella innocenza e a quell’incredibile intelligenza che lo caratterizzavano. Probabilmente l’avrebbe amato come un figlio, anche se con Karan non avesse avuto nulla a che fare. << Ecco. >> La cameriera lo riscosse dai suoi pensieri. Rikiga fu felice di scoprire un biglietto sotto la tazza con su scritto l’augurio di una buona giornata.
Nezumi era ancora immerso nella vasca. Dopo la breve chiacchierata con l’inukashi aveva sentito un forte bisogno di fare un bagno. “Ma che diavolo pensi di fare? Perché fai finta di niente? Chissà cosa gli è successo…”  Il ragazzo si sollevò uscendo dalla stanza senza neanche rivestirsi. Sembrava non rendersi conto di quello che lo circondava: non sentiva più alcun rumore, non vedeva più nulla che potesse essere importante, non percepiva il fresco della superficie del pavimento, il caldo dell’aria costretta in quel corridoio lungo e stretto. Mentre camminava lasciava una scia d’acqua sulle mattonelle, ma neanche il rumore dell’acqua sembrò attirare la sua attenzione. Bagnò un tappeto, un libro, un topo finto che scorrazzava per la casa.. ma continuò comunque a camminare verso la stanza da letto. Si lasciò cadere sul materasso, ricordando quante volte aveva sognato di riabbracciare Shion, di parlargli, di baciarlo.. di farlo suo proprio su quel letto. Affondò il volto nel cuscino che, in quel momento, sembrava quasi fungere da spugna, mentre il campanello suonava ad intervalli regolari e snervanti. Nezumi avrebbe voluto che quel momento di abbandono ai ricordi fosse interminabile, avrebbe desiderato tornare indietro nel tempo e fare scelte diverse, a partire dalla scelta di allontanarsi dal ragazzo albino. Era stato uno stupido a lasciarlo così, senza una spiegazione, ma in cuor suo sapeva di non essere pronto a vivere una vita ‘normale’ al suo fianco. “Inadatto…”
Il campanello continuava a disturbarlo. Quello che fin ora gli era sembrato il fastidioso ronzio era davvero il suono assordante del suo campanello. Sobbalzò sgranando gli occhi: com’era arrivato fin lì senza nulla addosso? “Devo essere impazzito.” Si stropicciò gli occhi rivestendosi in tutta fretta. Aprendo la porta non rimase sorpreso nel ritrovare dinanzi a sé la figura seriosa di Rikiga, fasciato in una abito nero piuttosto elegante. << Non serve che mi intrattenga a lungo, Nezumi. Shion è morto. tutto qui. Sono venuto solo per dirti questo. Finalmente adesso sarà più felice, lassù con gli angeli… >> La calma con cui pronunciava quelle parole sembrava qualcosa di sovrumano. Lui che l’aveva amato sin dal primo istante come un figlio, lui che gli aveva donato vestiti e l’aveva trattato col dovuto rispetto, adesso sembrava un essere freddo, impenetrabile. Nezumi percepì quella notizia come una folata di vento: Morto. Shion non c’era più. Cosa poteva esserci di più stupido in questo? il ragazzo si accasciò al pavimento in silenzio, come addormentato. Ci volle un’intera giornata affinchè riuscisse a risollevare le palpebre.
Il letto era spostato leggermente verso la porta. C’era qualcuno, di fronte a lui, qualcuno vestito di bianco, forse.. un angelo? Nezumi si sollevò sui gomiti per osservare meglio. Man mano che la luce aumentava nella stanza, così aumentava il suo senso di percezione visiva. << Solo un giramento di testa, niente di più. Adesso deve riposare. >> La porta si richiuse e Nezumi si lasciò cadere su quel materasso caldo e umido, mentre la leggera coperta che lo copriva emanava un profumo dolce, così confortante, così… familiare. Karan scese le scale con estrema lentezza. Ad ogni passo, i muscoli delle gambe si rifiutavano di proseguire: se fosse dipeso da loro, adesso si sarebbero voltate per tornare in quella stanza occupata dall’ospite arrivato all’improvviso. Karan non aveva mai visto quel ragazzo. Per molti anni aveva cercato di immaginarlo davanti a sé servendosi delle descrizioni talmente dettagliate di suo figlio, che a vederlo sembrava quasi identico alle sue aspettative. Shion ne aveva parlato spesso, ma sempre malvolentieri. Sua madre si era accorta del male che questo gli provocava, e per questo aveva deciso di non spingerlo a parlare contro la sua volontà. Ma un giorno d’estate, davanti ad un paesaggio di tramonto, Shion sembrò aprirsi per un attimo a sua madre. Le parlò di quanto era piacevole trascorrere il tempo con quel ragazzo pieno di coraggio e tante buone qualità, le spiegò quanto aveva appreso sul mondo semplicemente standogli vicino e anche quanto spazio gli avesse inconsapevolmente riservato nel suo cuore. E proprio allora, dopo tre anni che non lo vedeva, quello spazio non colmato gli provocava un dolore lancinante al petto, tanto da fargli tremare anche le gambe. Allora Karan non sapeva come fare per farlo sentire meglio. Shion le aveva vietato di cercare quel ragazzo sparito chissà dove, raccontandole della loro piccola promessa, del loro legame che mai si sarebbe spezzato. Ma adesso, mentre la donna percorreva la scalinata a ritroso, non poteva che accollarsi la colpa di quell’illusione che aveva perseguitato il suo bambino, perché sì, Shion era sempre stato il suo bambino e sempre lo sarebbe rimasto. E lei, donna estremamente fragile, non riusciva a perdonarsi quella perdita. Shion era morto senza provare dolore, o almeno così le avevano riferito i medici. La morte è sempre morte in ogni caso, con o senza dolore non è questo che fa la differenza. Il punto era che una parte di sé non c’era più. Di Shion non potevano rimanere che un vivido ricordo, una fotografia appesa su una lapide, il compito di recargli fiori freschi ogni giorno per non farlo sentire mai solo, ovunque egli fosse. Rikiga aveva tentato più volte di consolarla, di spegnere quella disperazione che le aveva fatto a pezzi l’anima e il corpo. Karan si era torturata come un’autolesionista, si era procurata ferite sugli avambracci solo per poter provare una minima parte di dolore che era spettata al suo bambino. Gli ospiti del rifugio erano stati allontanati settimana e accolti nel rifugio per cani randagi dell’Inukashi per qualche settimana, il tempo previsto perché Karan si fosse rassegnata a quell’idea. Perché in fondo era di questo che si trattava: Rassegnazione. Karan credeva che mai si sarebbe arresa, urlava che non avrebbe mai potuto dimenticare quanto radiosa era stata la sua vita fino a quel momento e quanto oscure sarebbero diventate d’ora in poi le sue giornate. << Karan, adesso però non piangere.. >> Rikiga mostrava una tranquillità invidiabile. Eppure Karan era convinta che anche lui stesse soffrendo. << S- sai, Rikiga.. non immagini quanto io ti invidi.. >> L’uomo annuì lentamente: << Lo so, Karan. Lo so. >>
Nel pomeriggio il rifugio fu letteralmente preso d’assalto da amici e parenti del ragazzo. Ognuno di essi portava con sé un piccolo dono, per la maggior parte fiori e piccoli profumi per il corpo. << Avrà una degna sepoltura. Condoglianze, figlia mia. >> Sua madre tentava di consolare Karan, perfettamente in preda ad una crisi di pianto. Il corpo di Shion era conservato in chiesa, posto in una elegante bara in legno di ciliegio, vestito accuratamente con abiti eleganti ma non visibili perché completamente ricoperti di fiori bianchi e rosa. Il funerale si sarebbe celebrato nei giorni successivi, e intanto gran parte degli abitanti della città si riunivano nello stesso dolore per la morte di colui che li aveva salvati dall’ignoranza e dall’incoscienza che per anni li aveva resi schiavi. Alle cinque del pomeriggio, tutti i parenti si erano riuniti in soggiorno attorno ad un piccolo tavolo per pregare, mentre Karan aveva insistito di poter vedere Nezumi, ancora confinato nella stanza di suo figlio. << Voglio salire. Ti prego, fammi salire. >> Rikiga si piazzò sulle scale. << Non posso lasciarti passare se prima non ne sei convinta. >> Karan annuì. << Prometto che non piangerò. >> Nella stanza da letto, Nezumi aveva provveduto ad aprire le tende e a mettersi comodo sul materasso. Quando aveva preso fra le mani il cuscino su cui ore prima poggiava inconsapevole, aveva riconosciuto il Suo profumo. Non poteva negarlo, quel profumo inebriante non l’avrebbe mai scordato anche dopo secoli. Ripensò più volte alle parole di quel bugiardo. Come si era permesso di dire una simile sciocchezza? “Shion non può morire così. Shion NON è morto. io l’avrei… io avrei..” Il ragazzo sobbalzò sotto le coperte. Karan entrò nella stanza con le fattezze di un fantasma: il suo passo era impercettibile, i suo movimenti lenti quasi inquietanti. Nezumi osservò per qualche istante i suoi abiti scuri. Quando la donna si sedette accanto a lui sul materasso, i loro sguardi si incontrarono. I grandi occhi marroni di lei s’incastrarono a quelli bluastri e penetranti di lui. Si fissarono per minuti interi senza parlare, finchè Nezumi abbassò lo sguardo. Sostenere quello carico di determinazione di Karan sembrava un’impresa impossibile.  << Dimmelo.. Shion.. non è morto. >> Il ragazzo tremò a quelle parole. << Io non ti conosco, davvero.. ma promettimi che lo porterai sempre nel tuo cuore.. dimmi che per te lui non è mai morto.. io.. ti prego. >> Karan continuava a parlare imperterrita. << Lui non ti ha mai dimenticato. Lui.. non avrebbe mai dimenticato. Perciò tu non ha il diritto di farlo. >> Quando si sollevò, il ragazzo la prese per un polso stringendolo con violenza. << … Come? Come sarebbe.. morto? >> Karan si strinse nelle spalle.  << Malviventi. Il coprifuoco serve ad evitare tutto questo.. Shion.. si era intrattenuto da quella donna e.. non so cosa sia davvero successo tre giorni fa.. ma dopo averla minacciata, i malviventi  hanno rapito mio figlio e l’hanno ammazzato per divertimento. È stata una bambina a ritrovarlo, due giorni fa. Era… >> Respirò profondamente. << ..Era steso sul parabrezza di un’auto, riverso.. il petto che colava.. sembra sia morto senza provare dolore fisico: solo due pallottole al cuore. >> Nezumi osservò quegli occhi marroni a lungo. Il suo sguardo era così simile a quello di Shion… solo, così..vuoto. karan si asciugò in fretta una lacrima traditrice. << Shion non è morto. >> La donna annuì come per ringraziarlo. << Sì,io.. lo so. >> mentre camminava verso la porta, quella voce la richiamò ancora una volta: << Forse non mi sono spiegato bene. Shion NON E’ MORTO. Shion è qui, non ha mai abbandonato questa Terra, né tantomeno è con gli angeli in paradiso in questo momento. Shion è.. Shion  è VIVO! >> Karan fece un passo indietro, non riuscendo a nascondere ulteriormente una lacrima. << Sono una stupida.. non dovrei dirtelo ma.. Nezumi, accetta la realtà. >> Il ragazzo, ora in piedi di fronte a lei, la prese per le spalle in una stretta violenta, cominciando a scuoterla senza una ragione. << Basta! >> Trattenne il fiato per un momento. << SE I MORTI NON PARLANO, ALLORA PERCHE’ CONTINUO A SENTIRE LA SUA VOCE?! >> Urlò stringendo i denti, mentre una lacrima solcava anche il suo viso marmoreo.

   “Shion…  dimmi la verità o c’è il rischio che io diventi pazzo..”

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