Aequor

di NoceAlVento
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La scalata ***
Capitolo 2: *** Phlebas il Fenicio ***
Capitolo 3: *** Ombre del futuro ***
Capitolo 4: *** Vento di tragedia ***



Capitolo 1
*** La scalata ***


Aequor

Aequor

 
 
Esulta grandemente, o figlia di Sion,
manda grida di gioia, o figlia di Gerusalemme!
Ecco, il tuo re viene a te; egli è giusto e porta salvezza,
umile e montato sopra un asino,
sopra un puledro d'asina.
(Zaccaria 9:9)
 



							

Premessa alla Nuova Edizione

 


* * *


Aequor è con ogni probabilità uno dei miei racconti più riusciti. Per quanto mi riguarda la vedo come un connubio di quanto può piacere maggiormente ad ambedue le fasce di pubblico in cui tendo a suddividere i lettori di fan fictions.

Da un lato non presenta una struttura eccessivamente complessa oppure una trama oltremodo contorta, e in buona misura funziona anche come storia autosufficiente – tanto più che al tempo del suo concepimento non vi era niente di nemmeno lontanamente simile al Ciclo del Conflitto Globale che avrebbe poi assorbito ogni mia energia in campo letterario nei successivi, ad oggi, quattro anni. Non è nemmeno lunga se raffrontata a quanto lo sono invece le altre componenti del Ciclo, che al momento in cui preparo la presente riedizione sono Triduum e Vox, entrambe estese due volte tanto, fatto che contribuiva a non trattenere i più indolenti.

Dall'altro lato però Aequor, come tutte le novelle della saga ma a un livello superiore, è densa di dialoghi profondi e digressioni al limite del poetico che appagano chi non sia interessato alla sola azione, che pure in minima parte è trattata nella sezione finale.

Come risultato finale Aequor da questo amalgama ha tratto ciò che era necessario per entrare a pieno diritto nei miei componimenti autografi che preferisco – unica opera derivata a farne parte, visto che le restanti sono originali. Ciononostante essa era ancora acerba in quanto a stile di scrittura, ed è per questo che ho deciso di revisionarla per poi pubblicarne la seconda versione – anzi, a essere precisi la terza, dal momento che ne esisteva una preliminare di nome James. Così, sospinto anche dal desiderio di rendere giustizia sul piano grafico al mio primo esperimento su EFP in HTML comprensibilmente vicino al disastroso, nasce in questo malinconico epilogo dell'agosto 2012 la Global Conflict Version di Aequor.

Rapida appendice: pur essendo questa pubblicazione suddivisa in quattro capitoli, è opportuno menzionare che in origine essa si trattava di una one shot, e di conseguenza chi desiderasse lasciare un commento è pregato di farlo in calce all'ultima parte, per attenersi all'intenzione originaria. Si tenga inoltre a mente che in Aequor i luoghi dell'universo pokémon sono citati con i nomi americani: a tale scopo è apposta a partire dal secondo capitolo una Legenda volta a tradurre tali nomenclature al lettore meno informato.


Con l'augurio di non annoiarvi,

Novecento

 

 

 

I

“La scalata”


* * *


Freddo.

L'uomo aprì gli occhi. Era sdraiato, scendeva una pioggia estiva e pesante e i suoi vestiti erano completamente fradici. Si mise a sedere sul fango, mentre continui rimbombi di tuono lo assordavano. Era in una qualche cittadina di campagna di notte, smarrito, senza alcuna idea su come ci fosse arrivato e con una strana sensazione di epilogo che lo intristiva.

Si guardò attorno. Era molto difficile distinguere qualcosa nell'oscurità, salvo per una singola luce. L'uomo si concentrò su di essa, cercando di ignorare le tenebre che lo circondavano e i rumori che lo stordivano. Il bagliore pallido si espanse: proveniva dall'interno di una caverna, e sembrava invitarlo ad entrare.

Non c'era alcuna ragione per farlo. D'altronde, non c'era nemmeno alcuna ragione per non farlo, e l'uomo seguì il suo istinto. A occhi più attenti, più che una grotta, quella roccia che aveva identificato era una sorta di tempio perso nei campi, quasi posto lì apposta per salvarlo.

All'interno non c'era illuminazione se non quel singolo baleno sferico, quell'unica ancora che pareva intenzionata a guidarlo. Il rumore della pioggia era del tutto scomparso, come se una porta virtuale si fosse richiusa dietro di lui; in compenso dei versi orribili echeggiavano nella grotta, e questo faceva tremare di terrore l'uomo. A ben porre attenzione a quel che dicevano, sembravano pronunciare parole in una lingua sconosciuta, che tuttavia suonavano al suo orecchio di una crudeltà infinita.

Si udì a un tratto una voce che sovrastava tutte le altre, quasi stesse parlando direttamente al cuore dell'uomo « Non temere. Non può uscire ».

« Non… può uscire? ». I terrificanti suoni si accentuarono.

« Seguimi » la luce proseguì poi lungo il corridoio fino a rischiarare quattro scale differenti. Lei scelse la via in fondo sulla destra, e la stanza tornò rapidamente immersa nell'oscurità. Temendo di trovarsi da solo con la bestia che viveva tra quelle mura, l'uomo si affrettò al piani inferiori.

I due, dopo quello che era a tutti gli effetti un labirinto, giunsero in un'ultima stanza: quadrata, con quattro pareti umide, e numerose gocce che piovevano dal soffitto. Il fulgore si accostò a uno dei tramezzi « Vieni al centro ».

L'uomo obbedì con rispetto, rischiando di scivolare sulla strada, ma infine completò il suo compito. Le urla del mostro che lo perseguitava erano alla loro massima intensità, fino a quasi togliergli l'udito. Con orrore, egli dovette constatare che dalle mura stava fuoriuscendo un demoniaco liquido scuro, e la stessa sala stava tremando come sotto effetto di un terremoto.

« Adesso basta! » ordinò la luce iniziando ad ingigantirsi fino a inondare l'intero ambiente in un magnifico lampo. Le voci emisero un ultimo, straziante grido di dolore mentre le ventate fulgide investivano la stanza, dopodiché si acquietarono in un silenzio sovrannaturale. Il tutto era durato non più di pochi secondi.

« Che cos'era? » l'uomo si sentì incomprensibilmente tranquillo e protetto. Avrebbe persino potuto addormentarsi senza problemi, cullato da quella dolce sensazione.

« Dà Hàak Loi'i » una silhouette nera compariva ora stagliata contro il chiarore che l'aveva salvato « Non hai nulla di cui aver paura. La luce vince sempre sulle tenebre ».

« Chi sei? ».

« Io sono il Guardiano del Tempo. Vivo qua da ere lontane per mantenere Dà Hàak Loi'i rinchiuso nel Santuario ».

« Nel Santuario… Dove siamo ora? ».

« Sei nel Santuario del Tempo, nell'Ardecia del nord ».

« Ardecia del nord… Mai sentita ».

« Probabilmente a voi è nota come Sinnoh. Io non sono della vostra epoca » spiegò il Guardiano « Ti trovi in un luogo che non subisce il defluire temporale da ormai quelli che per voi devono essere stati secoli, se ciò può avere un qualche valore ».

« E io come ci sono finito, qui? ».

« Sei qui per assolvere il tuo dovere ».

« Il mio… dovere? Non capisco ».

« Dà Hàak Loi'i è destinato a risvegliarsi ».

« Credevo che tu dovessi contenerlo ».

« Dà Hàak Loi'i è fuori dalle mie possibilità. Posso respingerlo, ma non posso condannarlo alla prigionia. Il suo potere è pareggiato solo dalle tre Entità Supreme che governano il mondo ».

« E io che cosa dovrei fare? » l'uomo si chinò sulle ginocchia, stremato e ansimante.

« Dovrai seguirmi in un viaggio ».

« Un viaggio? Io… Io sono sfinito ».

« Non un viaggio nello spazio. Mi seguirai attraverso le epoche ».

« Le epoche… Ma perché… Vuoi eliminare questo… mostro prima che fosse rinchiuso? ».

« Dà Hàak Loi'i è fuori dalle mie possibilità, come ho già spiegato. Ma non fuori dalle possibilità di altri. È destino che Egli venga sconfitto ».

Il silenzio si ruppe con una serie di otto accordi che parevano suonati da un carillon. Il terreno iniziò a tremare e la parete di fronte alla quale si trovava la luce che gli stava parlando iniziò a sollevarsi, lasciando filtrare a livello del pavimento quelli che a tutti gli effetti parevano raggi solari.

« Avremo dieci cicli a disposizione in istanti che non siano quello in cui il viaggio comincia. Dopodiché torneremo qui » il Guardiano iniziò a brillare con energia incredibile, abbagliando del tutto l'uomo « Il fato si realizzerà attraverso me e te. Dà Hàak Loi'i sarà vinto ».

 

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Capitolo 2
*** Phlebas il Fenicio ***


Legenda

Legenda


* * *


Nota: Aequor si svolge su due piani temporali differenti. Uno è ambientato nel periodo in cui i videogiochi Rosso, Blu, Verde e Giallo si stanno ancora svolgendo; l'altro è posizionato dopo i cambiamenti intercorsi che sono mostrati in Oro, Argento e Cristallo. Di conseguenza questa Legenda porrà l'accento anche su tali variazioni con la dicitura 13 a.p. – tredici anni prima – che li segnalerà al lettore.

 

Tilde (~): indica un ampio salto temporale (per i vuoti minori lascio semplicemente una riga bianca).

 

Celadon City: Azzurropoli.

Cerulean Cape: Miramare, tratto conclusivo del Percorso 25 sopra Celestopoli.

Cerulean City: Celestopoli.

Cinnabar Island: Isola Cannella.

Cycling Road: Pista Ciclabile.

Fuchsia City: Fucsiapoli.

Goldenrod City: Fiordoropoli.

Indigo Plateau: Altopiano Blu.

Mount Moon: Monte Luna.

Orange Islands: Isole Orange, nella mappa di Aequor situate a sud-est di Kanto.

Pallet Town: Biancavilla.

Pewter City: Plumbeopoli.

Power Plant: Centrale Elettrica abbandonata (13 a.p.) / Impianto Turbine (attualmente).

S.S. Anne: M/N Anna.

S.S. Aqua: M/N Acqua.

Saffron City: Zafferanopoli.

Sea Cottage: abitazione di Bill (13 a.p.) / residenza di suo nonno (attualmente).

Seafoam Islands: Isole Spumarine.

Silence Bridge: Ponte Silenzio, altro nome del Percorso 12 di Kanto.

Shamouti Island: Isola di Shamouti, isolotto centrale dell'arcipelago Orange.

Vermilion City: Aranciopoli.

Vermilion Harbor: Porto di Aranciopoli.

Victory Road: Via Vittoria.

Viridian Forest: Bosco Smeraldo.

 

Felina Ivy: Felina Ivy.

Samuel Oak: Samuel Oak.

 


II

“Phlebas il Fenicio”


* * *


Ogni regione ha le sue caratteristiche peculiari che la identificano precisamente e indiscutibilmente appena sono nominate. Prendiamo Johto ad esempio: è impossibile visualizzare la mappa generale senza accorgersi delle massicce montagne che la richiudono in una nicchia color castagna come a difenderla dagli impetuosi venti invernali. Certo, anche le macchie verdi degli alberi saltano all'occhio, ma l'effetto non è il medesimo.

E che dire di Hoenn, con il mare che non solo la accerchia ma vi si introduce nei meandri più impensabili, quasi la regione stessa fosse crepata e stesse giocoforza consentendo a rivoli cristallini di scorrere al suo interno per uniformare acqua e terra?

Quanto a Sinnoh, v'è davvero il bisogno di chiarire che cosa delizi maggiormente lo sguardo quando esso si posa su una sua carta geografica? Nemmeno il più superficiale dei viaggiatori può sottrarsi all'attonita meraviglia che la vista delle città più magnifiche in assoluto provoca nell'animo umano.

E Kanto? Kanto è tutto. Dalla punta del Cerulean Cape, dove sorge il quieto Sea Cottage con il suo panorama sull'oceano, fino a Cinnabar Island, la vetusta e un tempo vivace isola che ora è stata distrutta dalla furia devastante del vulcano che sotto di essa sonnecchiava, Kanto sembra riunire in sé tutte le caratteristiche del globo. È tecnologicamente avanzata – come dimenticare la Power Plant una volta trascurata e ora nuovamente operativa, oppure la Cycling Road? Non mancano formazioni rocciose di proporzioni maestose come la catena del Mount Moon e la Victory Road, senza dover citare le Seafoam Islands. È nondimeno verdeggiante: la Viridian Forest è forse annoverabile tra le più spettacolari zone boscherecce ammirabili, con i suoi folti alberi che quasi non permettono alla luce di filtrare e il suo terreno ricoperto d'erba e fiori che rinfresca al solo contatto con la pelle.

E c'è il mare: a sud, per tutta un'intera metà della pianta, appena interrotta dall'esile linea di cemento della Cycling Road che sembra volersi celare per non importunare l'eccelsa distesa, si propaga un'incommensurabile superficie limpida a cui si accede dai porti – Vermilion City – e via più agevoli rive – Fuchsia City e Pallet Town.

E proprio sul mare il nostro racconto comincia.

 

Il venerdì è un giorno particolare. È il termine della settimana lavorativa, viene quindi spesso collegato all'ideale di riposo e, per analogia, di compimento, non solo di una fatica ma in un senso più lirico e collettivo. Può essere visto come un inverso del lunedì che invece, salvo rari casi, è la ripresa dell'impegno, il brusco risveglio dalla bonaccia delle quarantottore precedenti, la coscienza comune che rimangono ancora cinque giornate alle seguenti ferie. È quasi beffardo che la S.S. Aqua approdi in quei due giorni al porto di Vermilion City.

Per quanto poetico sia questo sincronismo, tuttavia, sono costretto dai miei doveri di scrittore a fare ritorno alla realtà e chiarire la reale situazione: ciò che intendo esporre non si avvia un venerdì, bensì un sabato. La S.S. Aqua era già attraccata il giorno prima alla banchina e quella sera sarebbe ripartita alla volta di Johto.

Il racconto si colloca di prima mattina, e il suo principio sono un uomo e un ragazzo che, camminando dal Silence Bridge, erano giunti dalla lontana Pewter City con un'intenzione ben precisa. Quale essa fosse, solo uno dei due lo sapeva.

« Ci siamo, papà? » domandò il giovane.

« Quasi, Larry. Là c'è il molo » rispose l'altro indicando la sagoma quasi gracile della S.S. Aqua stagliata nella luce del mattino.

« Perché abbiamo fatto il giro largo? Non facevamo prima a venire da Saffron o dalla Cycling Road? ».

« Ti dirò, preferisco l'orizzonte all'alba rispetto ai grattacieli che fanno ombra » replicò il padre sorridendo mentre nella mano destra stringeva con inusitato vigore un colorito bouquet di fiori. Non l'aveva acquistato lungo la via, al contrario era già partito con esso, il che lasciava supporre che vi fosse uno scopo ben preciso cui adibirlo.

« Ma io sono stanco morto! ».

« Pazienta, come ti ho detto quasi ci siamo–– eccoci, Vermilion è a qualche passo! ».

Le due figure, fino a quel momento rimaste le uniche in un paesaggio naturale pressoché incontaminato, si videro confrontate a svariate silhouettes illuminate, alcune più altre meno, dalla luce del sole. C'era chi andava di fretta in un frenetico tentativo di inseguire qualcosa o qualcuno, chi invece decideva di proseguire comodamente alla velocità preferita, chi si mostrava emozionato e chi non lasciava trasparire alcun sentimento che gli attraversasse l'anima, chi esibiva i visibili segni del tempo e chi appariva nell'inconsapevole fiore degli anni. Eppure tutti, non uno escluso, parevano gravitare intorno a un unico punto di riferimento, e quel punto era la S.S. Aqua.

Nonostante quello sembrasse un andirivieni talmente sostenuto da inibire l'arrivo alla nave prima che diversi rintocchi delle campane di Vermilion si facessero udire, l'uomo si era accorto subito che era certamente troppo presto: nessuno si sarebbe imbarcato con dodici ore di anticipo se non avesse avuto un motivo valido per farlo, motivo che quella gente pareva non avere e che invece aveva lui; ma lui non aveva alcuna intenzione di salire a bordo.

Attraversata in pochi minuti la strada sul lungomare della città e raggiunto infine il molo agognato, l'uomo si avvicinò al controllore, il quale, ancora sopito, si mostrò manifestamente sbalordito da quello strano individuo che gli si accostava.

« Desidera? » domandò ancora scosso dal risveglio.

« Vorrei salire sulla nave ».

A quelle parole il sorvegliante lo esaminò con un volto più esterrefatto che inquietato « Salire sulla nave? Ma signore, mancano diverse ore alla partenza, magari preferisce visitare Vermilion ».

« Veramente vorrei salire ora »

« Mi vuole spiegare almeno la ragione, visto che non ha neanche un bagaglio? ».

« Ho due biglietti. Non è sufficiente per imbarcarsi? ».

« Ma certamente, era per pura–– ».

« Voglio rilassarmi e mettermi comodo prima che tra neanche sei ore inizi l'assalto all'Aqua. Mi faccia salire, per piacere ».

« Nessun problema, signore. Favorisca la sua carta d'imbarco e quella di suo–– del ragazzo ».

« Ecco a lei. E qui ci sono i documenti » disse l'uomo estraendo dalla tasca varie carte.

« William Meyer… Benissimo, salite pure e godetevi il viaggio ».

« Grazie ». Il padre passò oltre e il figlio lo seguì a ruota. Il ponte si presentava come un'estesa passeggiata di legno sotto la quale l'acqua emetteva continuamente rumori di onde che si frangevano con le basi della passatoia. Da ciascun lato, dopo un breve tratto di mare, stavano due piattaforme cementate utili a raggiungere diverse pedane nei pressi delle quali attraccavano i motoscafi minori. Alla fine del ponte capitale si stagliava la S.S. Aqua, monumento al progresso nelle scienze di navigazione, che dondolava pacatamente sulla superficie liquida.

« Partiamo? » domandò confuso Larry « Non me l'avevi detto. E la mamma? La lasciamo a Pewter? E dove andiamo? ».

« Non partiamo » lo rassicurò William « Siamo qui per ben altro ». Detto ciò assaporò per un attimo l'aria che spirava verso il mare, poi si voltò e spiccò un salto verso la spianata di sinistra. Il ragazzo lo guardò basito; poi, comprendendo dallo sguardo del padre che lui voleva che lo seguisse, lo emulò e lo raggiunse.

William frattanto camminava a testa alta, con gli occhi fissi sullo stretto lembo di cemento sul quale stava proseguendo, le barche che sfilavano come in processione alla destra e un muretto di pietra alla sinistra.

Si trovavano all'incirca all'altezza del Silence Bridge che avevano percorso all'andata quando divenne visibile, stabile e fermo in totale armonia con l'ambiente circostante, un ponticello di ridotte dimensioni che si srotolava a ridosso delle onde.

« Quello non l'avevo visto quando siamo venuti » commentò Larry.

« Per forza » replicò William tenendo gli occhi puntati sulla costruzione « Siamo ben lontani in linea d'aria da questa zona. Era difficile vedere questo posto e tanto meno arrivarci ».

« Arrivarci? Abbiamo fatto questo viaggio per venire a vedere… quello? ».

« Ciò che dobbiamo fare non poteva essere fatto nel caos di Vermilion City. Senti la calma, la quiete che avvolge questo luogo ».

Era vero: il silenzio sarebbe stato eterno se non fosse stato per il rifrangersi dell'oceano e i versi di Pidgey che si libravano in cielo.

Eppure, Larry non poteva non chiedersi che cosa necessitasse un'atmosfera tanto mistica. Contemplò il padre salire sulla struttura lignea che crepitava sotto il suo peso. Il suono non infuse certo fiducia nel ragazzo, eppure con lo sguardo William sembrava incitarlo a salire mentre ormai lui era quasi giunto al bordo. Le onde sembravano assopirsi in corrispondenza del suo avanzare.

William sollevò la mano che aveva tenuto fino a quel momento il bouquet e la pose davanti al busto; i fiori lo sfioravano leggermente e, arrestando la scena su quel corpo immobile, sarebbe quasi sembrato che si fosse troncato sul punto di levarli in aria.

« Tra qualche giorno » esordì « tu compirai dieci anni ».

Larry non poté fare altro che annuire, tanto era ovvia l'asserzione.

« Direi che puoi conoscere la storia ».

Quelle parole lo incuriosirono « Storia? ».

« Tu sai che la S.S. Aqua non è stata la prima nave a passare per quel porto, no? ».

« Certo che lo so. Prima c'era la S.S. Anne ».

« Precisamente. E sai anche da quanto non c'è più? ».

« Uhm… No. È da quando sono nato che c'è l'Aqua, no? ».

« Sì » disse William « Tre anni prima che tu nascessi, l'Anne terminò la sua vita navale ».

Erano parole che sarebbero sembrate malinconiche nelle orecchie di chiunque altro, ma Larry non fu in grado di intenderle come tali.

 

~

 

In quel periodo la S.S. Anne approdava al porto di Vermilion City. Non bisogna concepirla come una S.S. Aqua meno avanzata, per niente: erano due navi su livelli agli antipodi e, nell'eventualità di un confronto diretto, l'Anne ne sarebbe uscita ovviamente vincitrice. Ogni anno Vermilion si riempiva di gente desiderosa di salire, di salutare i propri familiari o di accoglierli nuovamente a casa, oppure semplicemente di vedere quel monumento al mare partire verso mete sconosciute e scomparire nell'immensità dell'oceano. Quello che tuttavia non sapevano, nell'oscurità in cui spesso il passato è celato, era che l'Anne pochi giorni dopo sarebbe realmente scomparsa nell'immensità dell'oceano.

Inizieremo dunque sul ponte principale, dove alla partenza, mentre i primi sbuffi di vapore fuoriuscivano dai fumaioli, stava un uomo di ventisette anni. Indossava un consunto cappotto in pelle di cammello – spirava una gelida aria sulla nave – e fissava verso il basso. Allora il ponte principale era meno rovinato, ma conservava quell'aria di anzianità che manteneva ancora dopo oltre un decennio. Nessuno saliva, sarebbe stato da pazzi provare a farlo a pochi secondi dalla partenza definitiva; in compenso uno scendeva. Era un ragazzo di dieci anni circa vestito completamente di rosso, con un Pikachu appollaiato sopra il cappello e in mano qualcosa di simile a un disco; ciò che più impressionò James fu tuttavia quella determinazione totalizzante che sembrava avvolgerlo.

Appena la sirena della nave tuonò nella sua potenza il giovane si girò sconvolto ad ammirare la S.S. Anne che partiva. Mentre il transatlantico lasciava glorioso il porto in favore di nuove mete James fu in grado di scorgere, spostandosi leggermente verso la poppa, il ragazzo che osservava come estatico il mare sotto di lui, dove prima l'imbarcazione era attraccata. La rimpiangerà, commentò tra sé e sé.

« ––a eventi più pratici, continua quindi la tempesta di neve alle Orange Islands. Le intemperie affliggono il luogo da giorni e proprio in questo momento i professori Samuel Oak e Felina Ivy stanno pianificando una spedizione in elicottero a Shamouti per osservare meglio il–– ».

James si voltò alla sua destra: un anziano signore stava ascoltando la radio al Pokégear. Appena questi si accorse di essere osservato la spense e si avvicinò in ricerca di un possibile nuovo interlocutore. « Spero di non averla disturbata » esordì « Interessante l'inverno alle Orange in piena estate ».

« Senza dubbio. La nave non passa per di là? ».

« Solo tra qualche giorno. Dubito ci sarà ancora maltempo per quando arriviamo ».

« Speriamo » commentò James per tutta risposta. Frattanto dietro di lui si era formato un vociare convulso. Voltandosi vide che esso era opera di un gruppo di persone sulla trentina d'anni che, ironia della sorte, parlavano del medesimo argomento, anche se in maniera assai più appariscente.

« Che vergogna » osservò l'anziano « Capisco che a quell'età e in gruppo è difficile controllarsi, però un minimo di rispetto dovrebbero mantenerlo ».

« Penso di avere la loro età » commentò James.

L'altro lo guardò stranito, poi rise « Suvvia, va bene sentirsi giovani dentro, ma è ovvio che non è vero! ».

James avrebbe ribattuto se il Pokégear del suo interlocutore non avesse suonato annunciando una telefonata. Quello rispose e si allontanò, lasciando il giovane in un'amara e solitaria riflessione sulla sua situazione e su quanto un uomo vissuto come lui potesse apparire vecchio agli occhi altrui.

Non di tutti, è chiaro. I giovani, si sa, hanno sempre uno spirito d'osservazione superiore: non perché non abbiano ancora subito i problemi della vista, ma più probabilmente per una questione spirituale. Gli anziani, nella loro esperienza, sono convinti di aver già visto tutto. Non si preoccupano di mettere in dubbio le loro certezze, vista la loro statura morale sanno già che sono verità.

Ma lo sguardo incantato di un bambino di fronte a una farfalla, cosa si può dire a sé stesso? Cos'è quello strano animale che appare leggero come l'aria e può addirittura volare? Da dove viene? Come si è dipinto le ali a quel modo? I giovani sono sempre pronti a mettere in discussione le loro convinzioni, purché dall'altra parte il contesto culturale consenta loro di adattarvisi. Lui, James, non aveva mai perso quello sguardo da bambino, non l'aveva mai ceduto in favore di uno più smaliziato.

Forse questa è una delle ragioni per le quali, quando una delle figure che prima parlottavano gli si avvicinò, non cadde in errore come il passeggero prima aveva fatto attribuendogli più anni di quanti non ne avesse. Cosa ancora più straordinaria, si rivolse a lui con la seconda persona singolare « Ehi, quello là non ti ha disturbato, vero? ».

« No, no » rispose James. I suoi occhi fissavano quella sagoma che prima aveva visto in compagnia e che ora, isolata, appariva sotto una luce del tutto nuova, come spesso capita a chi quasi cela la propria vera natura in presenza di amici.

« È noioso, lo so » proseguì il ragazzo « È di Viridian, come me e alcuni amici qui sulla nave. Piacere, mi chiamo Bill ».

« James » rispose il giovane stringendogli la mano « Bella, Viridian City? ».

« Abbastanza. Però vorrei viaggiare. Ci sono tante belle città in Kanto… Pewter e Cerulean in particolare. Un giorno vorrei vivere lì ».

James si ritrovò a pensare al ragazzino che era uscito dall'Anne poche ore prima. Sapeva da dove veniva, l'aveva letto negli occhi. « Anche Pallet Town non dev'essere male ».

« Pallet? » commentò Bill « Sì, forse. Andy, laggiù, viene da Pallet. Non è troppo piccola? ».

« Forse è per questo che mi piace » replicò James « Sono nato a Celadon City ».

« Ah, Celadon! » esclamò Bill « Com'è? ».

« Troppo grande ».

Questa risposta scioccò il giovane. Non aveva mai pensato una città in termini di troppo grande, casomai al contrario. Avrebbe voluto chiedergli di più, ma udì una voce che lo chiamava « BILL! VIENI! ». Girandosi notò un biondo giovane che gli faceva cenno con la mano.

« Senti, Andy mi chiama… Tu ci sei alla festa di questa sera? È per la prima serata di crociera ».

« Penso di sì ».

« Allora casomai ci vediamo là, d'accordo? » disse, e senza attendere la risposta del suo interlocutore si allontanò, andando incontro al suo amico.

James si appoggiò nuovamente alla balaustrata e lì attese che il tempo trascorresse. Quando giunse il tramonto sul mare Vermilion era già lontana e Kanto appariva come una costa all'orizzonte. Ripensò a Celadon, a quanto gli sembrava enorme fino al giorno prima, e concluse che non era che un punto in quell'immensa distesa terracquea.

 

Sarebbe futile descrivere come il Laghetto, poetico nome d'arte del ristorante, accolse gradualmente gruppetto dietro gruppetto i passeggeri fino a raggiungere la situazione da cui intendo partire. È molto più elegante descriverlo quando era già gremito di gente, al punto che sarebbe stato difficile individuare un conoscente a un metro di distanza da sé. Erano persone diversissime, ma fondamentalmente era visibile un'unica massa. Disomogenea, ma sempre una massa.

La notte, all'esterno, è invece molto più varia. Uso il presente a indicare che anche noi, magari mentre siamo rilassati in casa nostra al chiarore lunare, dovremmo provare a concepirla in questo modo: stratificata. E così era fuori dalla S.S. Anne.

Al primo strato, quello più inferiore, le meraviglie del mare. Sotto alla distesa di acqua si trova un mondo pressoché infinito, denso di creature sconosciute, di rumori inquietanti e di splendide formazioni naturali quali le barriere coralline. Hoenn sotto questo punto di vista è particolarmente sviluppata, e certamente non trova paragoni in nessun'altra regione. Le bolle salgono e con loro viaggiamo verso il livello basilare.

Questo è sostanzialmente quanto è all'altezza della crosta terrestre, con tutto ciò che questa definizione comporta. Ma è della notte intesa come evento naturale, non artificiale, di cui parliamo, quindi possiamo immaginare il meraviglioso brusio delle onde che si formano e si distruggono, l'affascinante vita degli insetti notturni, immense distese di erba lontane chilometri dal caos cittadino e la dolce brezza che attraversa e arruffa i capelli.

Ma non è questo lo strato più fantastico: sopra di esso si estende l'Assoluto. È un mondo totalmente estraneo, le cui regole sfuggono alla comprensione e le cui proporzioni sono ignote. È il regno dell'incerto, per estensione quindi della vita vera, non quella programmata che propinano al livello sottostante, a Goldenrod: l'Universo.

James non era superficiale: per questo lo troviamo al secondo livello con il corpo, ma al terzo con la mente. I suoi pensieri erano annullati e ripresi, talvolta non contavano niente e talvolta assorbivano ogni sua capacità riflessiva. Bill, uscendo dal ristorante, lo trovò a guardare il mare nel buio appoggiato al mancorrente della balaustrata, con le luci della Cycling Road che all'orizzonte segnavano il divario tra i due estremi dell'oscurità totalizzante.

« Non perdere tempo con me. Goditi la festa » proruppe James.

Bill rimase attonito – non gli era parso di aver fatto alcun tipo di rumore –, poi trovò le parole per rispondere « Sei pazzo. Ti lascio da solo qua fuori? Guarda che è un quartiere malfamato ».

James sorrise, poi replicò « Non sono solo. La notte, il mare, Kanto sono qui a tenermi compagnia. Posso immaginare i pensieri di quella madre preoccupata per il figlio, là a Pallet. Sta andando verso Celadon, sai? Chissà se passerà davanti alla mia casa. Mi perdo spesso in queste riflessioni, per questo non sono mai solo ».

Bill non comprese granché di quanto James aveva detto. Decise pertanto di sorvolare come nulla fosse successo « Sei sicuro di non voler tornare dentro? ».

« Sì ».

« Allora starò io fuori » concluse.

« Non ne vale la pena » tentò di dissuaderlo James, ma Bill sembrava inflessibilmente granitico nella sua deliberazione.

« Mi devi ancora spiegare ciò che hai detto questa mattina ».

James sembrò per la prima volta disorientato « Come? ».

« Mi hai detto che Celadon era troppo grande ».

« Ah… Vedi, da piccolo ero sempre solo. Alle feste non andavo quasi mai, e se andavo restavo in un angolo a pensare alle mie idee. A Celadon erano tutti uguali. Non lo sembravano, lo erano e basta. Tutti desiderosi di intraprendere lo stesso lavoro dei loro genitori, pronti a criticare chi, come me, viveva nell'incertezza, non sapendo cosa sarebbe successo il giorno dopo. Capisci? Celadon era troppo monotona, non potevi svilupparci una tua autocoscienza perché la massa di edifici, di gente sempre uguale era tale da impedirtelo. Era troppo grande e io non riuscivo a viverci. Le case tutte identiche, un ricambio di folla continuo eppure sempre dello stesso genere, mai una difformità. Così ho iniziato a sviluppare una certa attitudine a cogliere quando una persona diversa, di rado, passava per quel calderone. Ero talmente abituato al medesimo tipo di cibo che anche un condimento diverso anche solo per provenienza mi appariva straordinario e facile da comprendere. Mi divertivo a carpire l'anima di questi individui, era il mio unico passatempo ».

Bill ascoltava totalmente ammutolito dalle parole dell'amico.

« Poi un giorno decisi di andarmene. Di viaggiare. Di scoprire cosa c'era al di fuori di quella città che mi aveva accolto per quasi vent'anni. Così viaggiai. Vidi Cerulean City, vidi Lavender Town, e via discorrendo ».

« Johto? ».

« No » replicò James « Johto non mi è mai piaciuta ».

« Trovi? Insomma, è pieno di attrazioni turistiche. Non ti sarebbe piaciuto vedere Goldenrod? ».

Il suo amico sembrò divertito « Goldenrod? La città grande due volte Celadon? Ma io che odio la gente che si amalgama eccessivamente cosa avrei trovato di interessante a Goldenrod? Neanche per idea, è l'ultimo posto che vorrei visitare in una regione già banale ».

« Sì, ma Cianwood? Ecruteak? Sono città bellissime, che cosa ci trovi di sbagliato? ».

« Non mi piacciono le città che hanno un senso unico. Cianwood è una gran bella città di mare, ma dipende da Olivine in una maniera impensabile per una qualsiasi città di Kanto. Ecruteak… Devo proprio parlarne? Una massa di nostalgici dediti solo al passato. Col passato non fai una vita, al massimo la puoi arricchire ».

Bill stette in silenzio non tanto perché le argomentazioni del suo amico fossero particolarmente convincenti quanto perché si chiedeva come sapesse tutte queste informazioni su Johto se mai c'era stato.

« Poi… Poi entrai in una città e me ne innamorai. Una cosa in particolare mi attirava. Non le persone, non le case, non le attrazioni, ma una sola cosa. Un'immensa macchina, un monumento al mare ».

« La S.S. Anne? » si stupì il suo interlocutore « Come mai ti è piaciuta tanto? ».

« Non ne ho idea » rispose James « Forse per la moltitudine di gente che vi saliva. Forse per il fatto che solcasse il mare e tornasse dopo un intero anno e per le fantastiche ipotesi su dove facesse scalo e quanti e quali orizzonti attraversasse. Forse per l'idea dell'infinito e del mistero. Comunque decisi che un giorno ci sarei andato anche io: proseguii nei miei viaggi con questo unico punto cardine. Nel frattempo la mia famiglia morì lentamente, uno a uno, per svariate cause, e mi ritrovai solo. Feci comunque fronte alle mie insicurezze, ai miei problemi e a frequenti presagi e incubi che mi perseguitavano e racimolai abbastanza soldi per salirci ».

Vedendo Bill che lo guardava e immaginando, nel buio, il suo volto rattristato, troncò sul nascere una possibile replica dell'amico « Mi spiace di averti rovinato la serata ».

« Ma ti pare? » ribatté lui « Non hai rovinato niente, anzi, è una storia molto interessante. Magari ti presento i miei amici, così la racconti anche a loro ».

« No, grazie. Credevo avessi capito che non sono il genere di persona a cui importa avere una folla di amici intorno ».

Bill rimase per un istante inebetito, poi decise di concludere la discussione, dal momento che anche James sembrava desiderarlo « In ogni caso sono nella cabina 123. Se volessi venire a trovarmi sei il benvenuto… ». Detto questo, si voltò e si allontanò. Riuscì, però, a udire un flebile grazie da parte del suo interlocutore, e sorrise.

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Capitolo 3
*** Ombre del futuro ***


Legenda

Legenda

 

* * *

 

Nota: Aequor si svolge su due piani temporali differenti. Uno è ambientato nel periodo in cui i videogiochi Rosso, Blu, Verde e Giallo si stanno ancora svolgendo; l'altro è posizionato dopo i cambiamenti intercorsi che sono mostrati in Oro, Argento e Cristallo. Di conseguenza questa Legenda porrà l'accento anche su tali variazioni con la dicitura 13 a.p. – tredici anni prima – che li segnalerà al lettore.

 

Tilde (~): indica un ampio salto temporale (per i vuoti minori lascio semplicemente una riga bianca).

 

Celadon City: Azzurropoli.

Cerulean Cape: Miramare, tratto conclusivo del Percorso 25 sopra Celestopoli.

Cerulean City: Celestopoli.

Cianwood City: Fiorlisopoli.

Cinnabar Island: Isola Cannella.

Cycling Road: Pista Ciclabile.

Ecruteak City: Amarantopoli.

Fuchsia City: Fucsiapoli.

Goldenrod City: Fiordoropoli.

Ice Path: Via Gelata.

Indigo Plateau: Altopiano Blu.

Mount Moon: Monte Luna.

Olivine City: Olivinopoli.

Orange Islands: Isole Orange, nella mappa di Aequor situate a sud-est di Kanto.

Pallet Town: Biancavilla.

Pewter City: Plumbeopoli.

Power Plant: Centrale Elettrica abbandonata (13 a.p.) / Impianto Turbine (attualmente).

S.S. Anne: M/N Anna.

S.S. Aqua: M/N Acqua.

Saffron City: Zafferanopoli.

Sea Cottage: abitazione di Bill (13 a.p.) / residenza di suo nonno (attualmente).

Seafoam Islands: Isole Spumarine.

Silence Bridge: Ponte Silenzio, altro nome del Percorso 12 di Kanto.

Shamouti Island: Isola di Shamouti, isolotto centrale dell'arcipelago Orange.

Vermilion City: Aranciopoli.

Vermilion Harbor: Porto di Aranciopoli.

Victory Road: Via Vittoria.

Viridian Forest: Bosco Smeraldo.

 

Felina Ivy: Felina Ivy.

Samuel Oak: Samuel Oak.

 

 

 

III

“Ombre del futuro”

 

* * *

 

La S.S. Anne viaggiava ormai a relativamente ridotta distanza dal fulcro della tempesta, le Orange Islands, e il mare stava iniziando a risentire di quella posizione: le onde iniziavano a incresparsi nonostante il maltempo fosse ancora lontano e non accennavano a calmarsi nuovamente.

Bill stava passeggiando sul ponte della nave illuminato da un'abbagliante alba estiva che proveniva da prora. Avanzò fino a portarsi proprio sul lato più brillante del transatlantico e si appoggiò all'elegante balaustra intarsiata. Aleggiava il più completo silenzio sull'imbarcazione, dal momento che i pochi passeggeri svegli rispettavano la rigida quiete, magari meditando sui loro problemi personali per cercare di dimenticarli nell'assoluto della natura. Mentre Bill era assorto in questa contemplazione estatica udì dei passi dietro di lui, sorprendentemente armonizzati con il ritmo delle onde marine.

« Già sveglio? » gli domandò una voce indolente, e non semplicemente estenuata dall'ora come si poteva supporre a non conoscerne l'origine.

« Buondì, Andy. Potrei chiederti lo stesso ».

« Sono andato a letto abbastanza presto ieri ».

« Gli altri fino a quando sono rimasti alla festa? ».

« Voci di corridoio mi dicono fino a l'una ».

Bill replicò con una smorfia di sorpresa « Hai voglia ».

« Anche tu dissidente, dunque ».

« A Vermilion non facciamo le ore piccole ».

« Figurarsi a Pallet » rise Andy « Poi per gestire il Berries For Two's l'ideale è svegliarsi a mezzodì ».

« Immagino ».

« Che facevi, allora? ».

« Riflettevo ».

« C'entra il tuo nuovo amico? ».

A essere sinceri Bill non ci aveva ancora pensato, ma quella frase lo riportò, se così si può dire, alla realtà « James? ».

« Lui. Perché non me lo presenti? ».

« Non vuole ».

« Un asociale, capisco » dopo aver subito un'occhiataccia dell'amico, Andy corresse il tiro « Introverso. Volevo dire introverso ».

« È che… Non so, ha qualcosa di strano ».

« Di che parla? ».

« Di viaggi, cose molto interessanti, non è quello il punto. È come se… Io parlo, però è come se lui sapesse già quello che sto per dire. È una sensazione strana ».

« Magari è un viaggiatore nel tempo ».

« Grazie per la battuta, ma non ho voglia di scherzare ».

« Ma io mica scherzavo ».

« Mi parli di viaggi nel tempo, scusa se salto a conclusioni sbagliate ».

« Guarda che non è così assurdo » replicò Andy punto nell'orgoglio « I viaggi nel tempo sono teoricamente possibili ».

« Lo so anche io che in avanti si può. Relatività e quant'altro. Il problema è tornare indietro, giusto? Quindi il tuo grande suggerimento non mi aiuta ».

« In realtà anche all'indietro si potrebbe. Prendi i tachioni, ad esempio ».

« Tachioni? ».

« Particelle di massa negativa che viaggiano a velocità superiori a quella della luce e quindi vedono il tempo a ritroso ».

« Massa negativa? Questo è barare » rise Bill.

« Non lo è. Se qualcuno potesse sfruttare i tachioni, ammesso che esistano, non avrebbe problemi a viaggiare nel tempo. Certo, è da vedere chi userebbe questa possibilità per prendere in giro gente su una nave » soggiunse ironico Andy.

Bill tornò a osservare il poetico oceano che ondeggiava di fronte a lui e il sole che brillava nel cielo mattutino, e tutto gli sembrò ininfluente.

 

La giornata trascorse in modo estremamente banale. James, essendosi attardato fuori dalla nave anche alcune ore dopo mezzanotte a godersi la prima notte in mare, aveva dormito profondamente fino all'ora di punta, quando si era svegliato e alzato per pranzare. Non aveva incontrato Bill se non al Laghetto e non avevano parlato: l'uno trascinato dagli amici, l'altro ancora memore della sera prima e perso nel suo ricordo.

La notte, però, trovò la lucidità mentale per uscire e fare una passeggiata sul ponte principale, a contemplare nuovamente la stratificazione tipica di quel momento del giorno. Paradossalmente, durante le fasi notturne si trovava più a suo agio che in quelle diurne: nessuno a guardarlo, non un'anima viva a commentare ciò che faceva o a indicarlo come quello scorbutico lì. La notte era il suo regno personale, e dentro le sue tenebre lui si nascondeva.

E fu proprio nel suo momento preferito che lo vide. Stava ammirando dalla balaustrata le onde che, in prossimità ormai delle Orange, si facevano sempre più evidenti. E, tra esse, non passò ai suoi occhi inosservato un piccolo ammasso, se tale lo possiamo definire, di schiuma: qualcosa sembrava affiorare dall'acqua. A giudicare dalla quantità di bolle prodotte, qualcosa di grosso.

Mentre lo stava fissando, il corpo estraneo sembrò rallentare: era pressoché improbabile l'ipotesi che stesse indietreggiando, e non meno illogico che la nave avesse aumentato la velocità in piena notte e con una visuale pessima. A rigor di logica sarebbe dovuto anzi essere il corpo a proseguire. Ciò ovviamente se avesse avuto una velocità costante: se fosse stato un essere vivente il discorso cambiava.

James iniziò a spostarsi verso sinistra, nella direzione della poppa, per tentare di seguire quella sorta di incerta creatura che seguiva l’Anne. Si fermò alla parte posteriore dell’imbarcazione e si affacciò oltre il decorato parapetto della crociera, dal quale era visibile in lontananza Cinnabar Island, ormai quasi completamente sopita. Abbassò lo sguardo: lì quel corpo stava, quasi attaccato alla parte inferiore dello scafo. E seguiva la nave.

Il cuore iniziò a palpitare in modo incontrollato nel torace di James. Lo vedeva chiaramente, quella creatura le andava dietro! Era impossibile sbagliarsi, sembrava stare per uscire dall'acqua. Che cosa poteva fare? Doveva chiamare qualcuno?

« Si sente bene, signore? ».

Il giovane si voltò. Un marinaio in bianco, dallo sguardo visibilmente assonnato, era fermo a qualche metro da lui « Ha bisogno di aiuto? ».

Tentando di riprendere il controllo di sé James parlava, affannato, ancora a scatti.

« Si calmi signore. Riprenda fiato e si prenda tutto il tempo che le serve ».

Senza attendere James si voltò nuovamente verso il mare. Il marinaio d'istinto si accostò a lui, temendo dovesse rimettere. Entrambi si ritrovarono a fissare le onde, e nient'altro.

« Chiamo qualcuno che la assista? ».

James era ancora scosso e faticò ad alzare la testa « No… Non si preoccupi, torni pure alla timoneria… ».

« Allora la lascio. Se avesse ulteriori problemi non esiti a chiamare un membro dell'equipaggio, mi raccomando ».

Il marinaio si allontanò definitivamente, lasciando un giovane ventisettenne nella più completa mutezza interiore, incapace di distinguere la realtà da ciò che pensava di aver visto.

La notte, nel frattempo, si faceva sentire sempre maggiormente anche sulla S.S. Anne. Quando il marinaio arrivò alla timoneria sembrava quasi non ricordare cosa dovesse fare, esausto com'era. Poi in un lampo di memoria parlò « Virare a dritta ».

Il timoniere, un robusto uomo sulla cinquantina, annuì quasi avesse previsto l'indicazione e, con un gesto che lasciava trasparire tutta la sua stanchezza, eseguì. « Sempre le Orange? » soggiunse con voce assonnata.

« Ti aspettavi si muovessero? ».

« È una settimana che va avanti. Mi aspettavo che almeno calasse ».

« Se lo aspettavano tutti » il marinaio si sedette su un piccolo sgabello, cercando di rilassarsi come poteva.

« E cos'è andato storto? ».

« Tutto. Credevano fosse una corrente nordica deviata, e invece la tempesta continua. Brancolano nel buio ».

« Che Dio ci assista ».

« Che Dio ci assista » concordò il navigante rialzandosi e dirigendosi verso l'uscita « Ah, a proposito, quaggiù c'era un nottambulo con la nausea. Io… Insomma, se senti rumori manda giù qualcuno ».

Solo in quel momento, mentre varcava la porta spalancata, si rese conto, a scoppio ritardato, delle enigmatiche parole di quello strano personaggio. Torni pure alla timoneria, aveva detto. Non si ricordava di averla menzionata nel loro dialogo.

Ma forse lo sfinimento giocava davvero brutti scherzi. Diede un rapido sguardo all'orologio da polso: undici meno dieci, ancora mezz'ora al cambio. Sospirò, si stropicciò gli occhi e proseguì nel suo cammino.

 

La nave, proseguendo a una velocità di ventidue nodi con oltre un migliaio di viaggiatori a bordo, era ormai nei pressi delle Orange Islands. I fumaioli continuavano a rigettare sbuffi di vapore fuori dai loro tubi e l'imbarcazione falciava l'acqua con decisione, senza esitare neanche un attimo, con una sicurezza che avrebbe infuso speranza in chiunque: l'Anne procedeva, incurante di ciò che accadeva nel resto del globo terracqueo.

Nonostante la deviazione di rotta effettuata la sera precedente, il mare, il cielo e l'aria stessa portavano i segni tangibili della vicinanza al cataclisma, conferendo alla scena delle proporzioni solenni e maestose.

A prora, spostandosi leggermente a sinistra, era possibile osservare la quasi calcolata perfezione con cui all'orizzonte si stagliavano le nere nuvole che stazionavano sopra Shamouti: non una cura armoniosa e serena ma un'inquietante cumulo congesto che al solo vederlo infondeva insieme terrore per il rischio corso e speranza alla coscienza di avere evitato un possibile disastro. Non era possibile scorgere cosa stesse accadendo alle Orange Islands dal momento che l'imbarcazione era ancora troppo lontana, ciononostante anche la più materialista, razionale e scettica delle persone a bordo avrebbe avvertito l'alone innaturale che le avvolgeva.

Lo spazio rimanente del cielo che sovrastava l'Anne era coperto da stratocumuli dal colore grigio-biancastro, interrotti solo da sporadiche vene di luce che li facevano somigliare a un rompicapo incastrato malamente. I raggi di sole erano particolari: non fasci che penetravano le nuvole illuminando il livello sottostante, bensì spessi fili brillanti che percorrevano in modo apparentemente casuale la cappa e senza i quali l'intera atmosfera sarebbe sembrata solamente un semplice nembostrato, la consueta nube da temporale.

L'aria era pesante: seppur non umida e priva di nebbia, conferiva alla nave un senso di isolamento totale, soffocando virtualmente i passeggeri del transatlantico che avevano avuto il coraggio di uscire; a ciò si aggiungeva un vento pungente eppur non freddo che, spirando verso sud partendo dal Mt. Moon, faceva rabbrividire qualsiasi zona del corpo sfiorasse.

Quanto al mare, quello era il peggiore di tutti. Le onde si erano fatte notevolmente più alte e rapide e, benché la stabilità del transatlantico non ne risentisse ancora, qualsivoglia viaggiatore avrebbe potuto notare che la loro intensità andava incrementandosi. A un occhio più accurato non sarebbe sfuggito che l'epicentro dal quale apparivano diramarsi coincideva proprio con lo stesso luogo sul quale troneggiavano i cumuli cui avevo accennato prima: Shamouti Island. Il risultato era quello che si osserverebbe in qualsiasi mare mediterraneo sotto l'influsso del grecale, ma visto dalla nave e con le onde che apparivano procedere secondo uno schema di cerchi concentrici faceva tutt'altro effetto.

 

Tornato in cabina appena dopo l'incontro con il marinaio, James aveva speso diverse ore notturne a scrivere. Lo calmava fin da quando era un ragazzo stendere su carta i suoi problemi, le sue preoccupazioni e i suoi presentimenti; anche le decisioni le incideva con la penna come rito che ne confermasse la certezza. I fogli erano il suo psicologo personale.

Si svegliò verso le nove di mattina, vinto dagli incubi del sonno. Quando, vestendosi, uscì, lo investì una luce del tutto nuova per lui. Chiunque avrebbe visto in quel cielo grigio solo un pretesto per arrabbiarsi, ma anche una breve serenità nel mezzo del buio che lo aveva avvolto in quei due giorni scarsi sull'Anne gli pareva meravigliosa.

Si avvicinò all'elegante parapetto dell'imbarcazione e guardò la distesa acquea con gli occhi che brillavano. Nonostante le onde iniziassero a diventare sempre più inquietanti avvertì una sorta di calma liberatoria in quel momento. Davanti a lui si stagliava un monumento della natura a se stessa: le Seafoam Islands.

« Cosa guardi? » gli domandò una voce alle spalle. Subito dopo una figura ben conosciuta si avvicinò alla balaustrata e vi si appoggiò.

« Scusa se ieri non ti ho salutato, ero ancora stanco ».

« Ma non ti devi scusare » esclamò Bill interrompendolo « Tutti hanno giornate in cui si sta meglio da soli. È capitato anche a me ogni tanto ».

« Grazie per la comprensione » rispose sorridendo James.

Il vento di cui ho parlato prima aveva momentaneamente ceduto il passo a una leggera brezza, di quelle che d'estate rinfrescano entrando dalla finestra. Contemplare il cielo con tale aria è una delle sensazioni più uniche al mondo e, trovandosi anche in un ambiente evocativo e dalle immense sfaccettature emotive, né James né Bill intendevano sprecarne nemmeno un secondo.

« Cosa guardi? » ripeté l'amico a un tratto, forse per interrompere definitivamente il silenzio durato un giorno tra lui e il suo nuovo compagno di viaggio.

James per tutta risposta allungò la mano davanti a lui e puntò l'indice verso le isolette di fronte alla parte sinistra del piano diametrale dello scafo dell'Anne « Le Seafoam ».

« Cosa sono? Colline? ».

« Devi guardare oltre l'apparenza. Come pretendi di vedere il reale assetto del mondo altrimenti? » replicò James senza alcuna amarezza, con un tono che aveva più un sapore paterno « Sono due isole gemelle. La particolarità è che sotto si estende un'enorme caverna di ghiaccio e acqua che le collega articolandosi su cinque livelli successivi, tutti sotterranei. Estremamente affascinante ».

« Continuo a non vedere cosa ci sia di straordinario » rispose Bill « Una caverna di ghiaccio. Anche a Johto c'è l'Ice Path ».

« No » lo interruppe James « Non è la stessa cosa. Immagina un attimo Kanto, focalizza sulla sua pianta generale, dalla punta del Mt. Moon al vulcano di Cinnabar Island. È una regione assolutamente immensa, di estensione e varietà impressionanti. Pensi con quella cartina di avere un campione di tutto il conosciuto, di tutto lo scoperto a portata dell’occhio. Hai mai provato a tenere il mondo in mano? ».

« Ti seguo… Credo ».

« Eppure tutto quello che vedi non è tutto quello che esiste! » proseguì visibilmente preso dal discorso James « C'è altro, un'altra dimensione che non vedi e che c'è, potrebbe anche essere a pochi passi da te, ma tu non l'hai in mano, non importa se ti fosse persino di fronte, non puoi averla in un solo foglio senza sconvolgere il senso stesso di quel pezzo di carta! Su di esso tu vedi due colline alte meno della Cycling Road e non sembrano niente, c'è altro, non devi concentrarti su di esse, non ce n'è ragione. Ma sotto quei due schizzi sulla mappa si estendono cinque piani di dimensioni invidiabili che rendono l'estensione totale delle Seafoam superiore anche al Mt. Moon che tu però vedi lì, stagliato sul foglio che troneggia su qualsivoglia altra formazione artificiale e naturale! ».

Bill era silenzioso a guardarlo nei suoi occhi azzurri. Se prima aveva ancora pensato di ribattere, con le sue parole James aveva abbattuto, una dopo l'altra, ogni sua possibile replica. Era in sua balia.

« E ti accorgi, così, d'un tratto, che la tua cartina, la tua amata cartina con cui pensavi di avere il mondo stretto alle tue mani, è menzognera, non dice tutto. E non perché non voglia, ma perché non può! L'uomo non è in grado di controllare ogni aspetto della natura, è ben oltre la sua portata! Mi fanno ridere quelli che cercano di opporsi a questa evidenza: quelli che cercano di schematizzare il mondo dicendo cosa fare, quando farla, in che modo farla e cosa invece non azzardarsi neanche a pensare. Quelli che cercano di ridurre arti geniali come la scrittura o la pittura a qualche lezione accademica e tre o quattro direttive sul da farsi e il da non farsi. O anche solo quelli che pensano di sapere la geografia perché sanno dove si trova Saffron City! È tutto parte della stessa matassa di idiozie, tutto il frutto della mente malata e ossessionata dalla minuziosità che per la prima volta ha tentato di stabilire il divario tra romanzo giallo e poliziesco, o tra cubismo sintetico e analitico, dando origine ai pregiudizi che ovviamente ne conseguono! Sono ovviamente opere diverse, ma una suddivisione di lavori dovrebbe avvenire solo quando se ne richiede sul serio una necessità, perché senza tale divisione si rischierebbe di trarre in inganno particolari gusti: se un lettore volesse leggere un romanzo d'avventura dargli un saggio teorico ovviamente sarebbe un errore. Ma delle opere con differenze così ridicole richiedevano sul serio una ripartizione del genere per essere maggiormente comprensibili? L'arte non può essere ridotta in questi termini perché l'arte è una forma estremamente soggettiva di esprimersi e non può essere del tutto afferrata neanche dalle menti eccelse. La natura allo stesso modo sfugge alla concezione umana per una mole immane di motivi, e in primis perché l'uomo stesso ne è parte, anche se talvolta ci rifiutiamo di ammetterlo! Chi sei tu per decidere che l’universo è finito, o che un racconto è brutto? Sembrano situazioni distanti, ma non lo sono! ».

Dopo quest'ultimo, conclusivo accordo, James terminò di suonare le bizzarre e al contempo affascinanti note della sua mente. Bill era ancora in stato confusionale, e non bisogna pensare che ciò fosse causato dal fatto che il discorso del suo amico aveva saltato dalle Seafoam Islands al rapporto umano con la natura. Il suo disorientamento era dovuto al modo in cui quell'uomo della sua età appoggiato al parapetto a un passo da lui aveva messo in discussione con successo alcuni dei suoi più grandi capisaldi.

Cercò di recuperare il dialogo spostandolo su un piano razionale, risultando però inevitabilmente stupido a se stesso « Stasera ci sei a cena? ».

« Sì. Però credevo di averti già spiegato che non mi piace stare con troppa gente, non mi sento a mio agio » rispose James.

« Non ci saranno i miei amici. Sono stanchi. Le ore piccole… Mi hanno detto che cenano al caffè » replicò Bill « Non mi va di mangiare da solo la sera in un posto come il Laghetto ».

« Con queste premesse direi che non posso rifiutare » disse James sorridendo « Vienimi a trovare in cabina questa sera, sono alla 353, sul ponte Primavera ».

Bill fece un cenno di assenso e sorrise a sua volta. Entrambi ripresero a guardare l'oceano che sembrava lentamente scorrere verso la loro sinistra mentre l'Anne avanzava, e il vento gelido di quella mattina tornò a soffiare.

 

Il ponte Primavera non era altro che il secondo dei tre piani dell'Anne dedicato alle cabine dei passeggeri, pur essendo il pianterreno di fatto un ulteriore quarto. Il Primavera era in poche parole un corridoio che percorreva longitudinalmente quasi l'intera nave e la cui larghezza era tale da renderlo perfettamente agibile anche con l'invidiabile mole di gente che vi passava quotidianamente; si affacciava per i primi due lati opposti su un'interminabile serie di alloggi.

Per i secondi due la cosa si complica ulteriormente: se un lato era infatti collegato direttamente all’esterno, l’altro conduceva a un esteso soggiorno coperto dove una piccola orchestra suonava regolarmente e tramite il quale si accedeva a uno scalone di proporzioni ciclopiche che collegava tutti e quattro i ponti: il suddetto Primavera, il pianterreno Estate, il primo Autunno e, ultimo e quasi integralmente all'aperto, l'Inverno. Non vi è ragione di descrivere i restanti due ancora non affrontati in quanto, per assetto generale, ricordavano molto da vicino il ponte Primavera: l'unica differenza degna di nota riguarda l'Inverno, nel quale lo spazio occupato normalmente dalla sala degli strumentisti era invece destinato a un caffè, le Orchidee, più adatto per pasti rapidi rispetto al ristorante.

Il racconto riprende sul Primavera, dove si ritirò James dopo pranzo al fine di perdersi in una totalizzante riflessione sugli ultimi avvenimenti. Seduto alla scrivania, con la penna in mano, i suoi pensieri volavano dal discorso a Bill all'avvistamento e, più in generale, del profondo senso di solitudine che in quei due giorni o poco più sembrava attanagliarlo considerevolmente di più rispetto al solito.

Poteva essere che quello strano corpo fosse stata una falsa percezione, che all'esterno, là sotto, a due centimetri dalla carena dell'Anne non ci fosse stato niente? Suonava poco realistico. Passò dunque a esaminare che cosa poteva aver causato quella massa di schiuma: da escludere subito, infatti, che quel biancheggiare fosse lì per qualche assurda instabilità della corrente marina. L'ipotesi più ovvia era che si trattasse di un pokémon, eppure non ce n'era uno in quei mari che potesse corrispondere a ciò che aveva visto.

L'increspatura dell'oceano che ricordava era infatti sì ridotta, ma James non riteneva che rappresentasse le reali dimensioni del corpo che la causava: era fuori discussione che un pokémon di quelle relativamente ridotte fattezze potesse raggiungere la velocità di un transatlantico a mare liscio. No, c'era altro, quella era solo la punta dell'iceberg: il corpo estraneo era in gran parte sott'acqua, e lui non aveva potuto vederlo per il buio.

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Capitolo 4
*** Vento di tragedia ***


Legenda

Legenda

 

* * *

 

Nota: Aequor si svolge su due piani temporali differenti. Uno è ambientato nel periodo in cui i videogiochi Rosso, Blu, Verde e Giallo si stanno ancora svolgendo; l'altro è posizionato dopo i cambiamenti intercorsi che sono mostrati in Oro, Argento e Cristallo. Di conseguenza questa Legenda porrà l'accento anche su tali variazioni con la dicitura 13 a.p. – tredici anni prima – che li segnalerà al lettore.

 

Tilde (~): indica un ampio salto temporale (per i vuoti minori lascio semplicemente una riga bianca).

 

Celadon City: Azzurropoli.

Cerulean Cape: Miramare, tratto conclusivo del Percorso 25 sopra Celestopoli.

Cerulean City: Celestopoli.

Cianwood City: Fiorlisopoli.

Cinnabar Island: Isola Cannella.

Cycling Road: Pista Ciclabile.

Ecruteak City: Amarantopoli.

Fuchsia City: Fucsiapoli.

Goldenrod City: Fiordoropoli.

Ice Path: Via Gelata.

Indigo Plateau: Altopiano Blu.

Mount Moon: Monte Luna.

Olivine City: Olivinopoli.

Orange Islands: Isole Orange, nella mappa di Aequor situate a sud-est di Kanto.

Pallet Town: Biancavilla.

Pewter City: Plumbeopoli.

Power Plant: Centrale Elettrica abbandonata (13 a.p.) / Impianto Turbine (attualmente).

S.S. Anne: M/N Anna.

S.S. Aqua: M/N Acqua.

Saffron City: Zafferanopoli.

Sea Cottage: abitazione di Bill (13 a.p.) / residenza di suo nonno (attualmente).

Seafoam Islands: Isole Spumarine.

Silence Bridge: Ponte Silenzio, altro nome del Percorso 12 di Kanto.

Shamouti Island: Isola di Shamouti, isolotto centrale dell'arcipelago Orange.

Vermilion City: Aranciopoli.

Vermilion Harbor: Porto di Aranciopoli.

Victory Road: Via Vittoria.

Viridian Forest: Bosco Smeraldo.

 

Felina Ivy: Felina Ivy.

Samuel Oak: Samuel Oak.

 

 

 

IV

“Vento di tragedia”

 

* * *

 

La sera non fu come la mattina: fu molto, molto peggio. Il tempo cambiò radicalmente mentre James, stremato dai suoi pensieri, si era addormentato. Gli stratocumuli delle ore diurne avevano lasciato il posto a inquietanti cumulonembi neri come la pece che coprivano il cielo nella sua totalità, rendendolo invisibile. Con il passare del tempo era iniziato un rovescio temporalesco che si stava abbattendo senza pietà su ogni lembo di terra e di mare con pesanti gocce piovane.

L'oceano aveva preso una forma pienamente tempestosa e le onde, combinate con le correnti marine, iniziavano già a provocare un leggero dondolio nell'Anne. Anche il colore dell'acqua era mutato: dalla calma distesa celeste che si poteva ammirare fino al giorno prima, aveva preso dei connotati plumbei interrotti solo dal bianco ribollire della schiuma.

Il vento sferzava il viso di quei pochi, coraggiosi viaggiatori che uscivano temporaneamente all'aperto sfidando le intemperie e l'odore della salsedine aveva preso il posto di quel fresco profumo estivo che avvolgeva il transatlantico nei giorni precedenti. Stormi di Pidgey, tentando di dominare questa condizione, volavano in ogni dove ricercando un anfratto in cui ripararsi.

Lucenti lampi scaturivano dalle nuvole schiarendo sporadicamente quello che era un crepuscolo buio, e il boato assordante dei tuoni li seguiva scatenando l'insicurezza negli animi.

E là, a sinistra, esattamente all'altezza della metà del ponte Estate, a qualche miglio in linea d'aria, era il centro della catastrofe oceanica: le Orange Islands. Queste erano diventate praticamente impossibili da scorgere a causa della massa di nubi che le avvolgeva, rendendo visibile unicamente dei semplici stracci di terra in balia delle onde. E il cumulo più evidente stazionava proprio al centro: dov’era Shamouti Island, sempre che non fosse già stata spazzata via dalle perturbazioni.

Era l'inferno, e l'Anne ci era finita in mezzo.

 

James fu svegliato da un rumore secco: qualcosa batteva sulla porta. Quando riprese lucidità comprese che si trattava di una persona che bussava. Si alzò e aprì: davanti a lui era Bill, con un fradicio impermeabile indosso.

« Dio mio, che è successo? » domandò James facendosi da parte « Entra, presto! ».

Bill oltrepassò l'uscio e, appena fu totalmente dentro, si tolse il cappotto e lo appese all'appendiabiti « Là fuori è il caos ».

« Ho notato. Che succede? ».

« Le Orange ».

A quelle parole James sembrò vagamente scosso « Non è ancora finito? ». Ripensava a quando ne aveva parlato con l'anziano signore il giorno della partenza. Dubito ci sarà maltempo per quando arriviamo, aveva detto. Chissà cosa pensava in quel momento.

« Pare di no ».

« E si sa che cosa sta succedendo laggiù? ».

« Di certo non io » replicò Bill infilando una mano sotto il maglione ed estraendone un Pokégear « Contavo di sentire qualcosa da qui ».

« Sì, dai, accendilo ».

La radio impiegò qualche secondo a sintonizzarsi sul giusto canale; poi, dopo qualche vocio confuso, iniziò a ricevere il segnale senza problemi, e James riconobbe lo stesso cronista di pochi giorni prima.

« ––lluvioni torrenziali affliggono da questo tardo pomeriggio l'intera penisola senza eccezioni. Alcune città costiere, tra cui Fuchsia City e Goldenrod City, sono state già evacuate a favore di luoghi dell'entroterra a causa dei pesanti maremoti che vi si sono abbattuti, e altre operazioni di salvataggio sono in–– ».

« Maremoti » ripeté James « Non il momento migliore per trovarsi su una nave ».

« Aspetta, dicono altro ».

« ––ci giungono nel frattempo informazioni circa le recenti partenze di allenatori di pokémon anche giovani in direzione delle Orange Islands, epicentro ipotetico del disastro–– ».

« Il mondo è impazzito » commentò Bill incredulo « Abbiamo dei ragazzini a due passi dall'apocalisse ».

Il suo amico, nel frattempo, continuava a seguire la cronaca.

« ––di seguito un elenco delle città attualmente in stato di evacuazione: Vermilion City, Cianwood City, Olivine City, Pallet Town–– ».

« Dannazione, non prende più » inveì scoraggiato Bill.

James era statico. All'udire della città di Pallet si era definitivamente ammutolito.

« Tutto bene? ».

« Lui è là ».

Bill rimase stupito da quella frase apparentemente sconnessa « Lui è là? Lui chi e dove? ».

« Alla nostra partenza, qualche minuto prima che salpassimo, è sceso dalla nave un ragazzo sui dieci anni con una MN in mano » disse James « Ora è là a Shamouti, ne sono sicuro ».

« Come fai a saperlo? ».

« È complesso da spiegare » replicò James « Ma lo so ». Poi si allontanò in direzione del bagno della cabina « Mi cambio e mangiamo, direi ».

« Uh? Ah sì » rispose sovrappensiero Bill. In realtà non aveva neanche fatto caso a quello che il suo amico aveva detto. La sua mente ancora si arrovellava sullo stesso quesito da minuti: com'era possibile che il suo compagno di viaggio sapesse che cosa faceva un ragazzo a miglia di distanza se l'aveva visto una volta nella vita?

 

Paradossalmente, nel ristorante del ponte Estate vi era meno gente del solito, nonostante gli esterni fossero giocoforza inagibili. Il temporale, infatti, aveva scoraggiato diversi passeggeri che avevano inizialmente optato per una cena al pianterreno, preferendo a esso le Orchidee in quanto il caffè era direttamente collegato con l'elegante scalone, particolare che consentiva a tutti coloro che alloggiavano in qualunque piano superiore a quello di passeggiata di raggiungerlo senza sfidare il tempo che imperversava.

Come risultato coloro che in quella fatidica sera erano al Laghetto si dividevano in tre gruppi: coloro che alloggiavano al pianterreno e per i quali dunque andare al caffè sarebbe risultato controproducente; coloro che non avevano pensato, nonostante la loro posizione nella nave, di andare ai ponti superiori; e coloro che ci avevano pensato e che si erano rifiutati di andarci.

Strano a dirsi, James e Bill appartenevano alla terza categoria: il secondo aveva infatti in un primo momento avuto l'idea di salire per la gradinata, ma il primo si era fermamente opposto esponendo una serie di ragionamenti secondo i quali le Orchidee erano il luogo meno evocativo di tutta l'Anne e andarci sarebbe significato sprecare una serata così carica di sfaccettature come quella tempestosa che stavano vivendo.

« Ma poi » disse Bill tra un morso e l’altro « le Seafoam ti sono piaciute? ».

« Difficile. Non ci sono mai stato » James sembrò incurante dei pensieri che quell'affermazione poteva suscitare nel suo amico.

Questi, per l’appunto, fu chiaramente sorpreso nel sentire quella risposta « Mi prendi in giro? ».

« No » replicò imperterrito James « Non ci sono mai stato ».

« Sei fuori? Prima mi hai fatto un discorso tanto ispirato… Il ghiaccio, i cinque livelli… Che vuol dire non ci sono mai stato? ». Pochi secondi prima che il suo amico riprendesse a parlare, Bill avrebbe giurato di aver sentito un ci siamo sottovoce.

James, nel frattempo, aveva cambiato leggermente posizione sulla sedia per sentirsi più comodo « È molto semplice in realtà. Tempo fa ho incontrato un allenatore di pokémon, mentre viaggiavo per Kanto, un'estate a Vermilion. Era poco più giovane di me, a occhio e croce direi che adesso dovrebbe avere circa venticinque anni. Il suo nome era Lance. Lui era stato alle Seafoam ».

« Fermo, tu hai incontrato Lance? Il campione di pokémon Lance, il più grande allenatore esistente? ».

« Non mi è sembrato così spettacolare a vederlo ».

« E ti ha parlato delle Seafoam? » domandò Bill « Credevo che uno come te preferisse vedere i paesaggi di persona anziché ascoltarli dalla bocca di altri ».

« Non me l'ha esattamente raccontato » rispose James « L'ho visto nei suoi occhi ».

A quell'affermazione Bill non ebbe più dubbi: il suo amico si stava prendendo gioco di lui « Non fa ridere ».

« Ma è vero » ribatté James « È quello che è successo ».

« Con quale mistico potere avresti visto qualcosa negli occhi di Lance? ».

« Devi sapere » iniziò lui « che esiste un gruppo di persone che rimane più impressionato dai paesaggi. Per un periodo della mia vita ho egocentricamente creduto di essere uno dei pochi a esserne parte: in realtà esso è molto più esteso di quanto tu possa pensare. Quando questa gente vede un paesaggio particolarmente evocativo, esso rimane impresso in lei anche a distanza di anni. Queste persone lo ricordano spesso nella memoria, lo vedono nei sogni e in un certo senso lo portano con sé ».

« E oltre a far parte di questa specie di élite saresti in grado di sfruttare questa particolarità a tuo vantaggio… vedendo questi paesaggi nei loro occhi? ».

« Non ho idea di cosa abbia causato in me questa anomalia » replicò James « Forse è dovuto al fatto che sono restato per molto tempo in un posto dove la gente era sempre tutta uguale, può darsi che ciò abbia acuito il mio senso di osservazione portandomi a distinguere questo tipo di gente dal resto del mondo. Non esiste una spiegazione scientifica per quello che mi capita quando incontro questi individui. Guardandoli direttamente riesco a carpire loro quei vasti panorami: foreste impenetrabili, orizzonti infiniti, caverne intricate o distese di nuvole nel cielo che forse non potrò raggiungere mai ».

« Continua a sembrarmi assurdo » commentò scettico Bill.

« Non è tutto. Mi capita, in questo modo, di vedere–– » James si interruppe. Sembrava vagliare pensieroso decine di possibilità differenti, ognuna con i suoi possibili sbocchi nell'avvenire. Finalmente riprese « Mi capita di vedere il futuro ».

A quelle parole Bill si rimise con la schiena retta, riprendendosi dalla posizione quasi sdraiata in cui era arrivato silenziosamente lungo il discorso che aveva ascoltato.

« Non è una cosa che capita spesso » proseguì tenendo gli occhi al tavolo, come se pensasse ad altro « Però… Talvolta quando guardo qualcuno… vedo cose impossibili per il momento in cui appaiono ».

« Tu–– » si fermò, come se non riuscisse ad andare avanti. Poi trovò la forza di continuare, sconfiggendo la propria eccessiva razionalità e assumendo che ciò che il suo amico diceva poteva essere verità « Mi stai dicendo che vedi il futuro? ».

Non vi fu risposta se non un appena accennato gesto del capo.

Bill poteva essere distratto, ma non era uno sprovveduto « Hai visto le Orange negli occhi di quel ragazzo ».

James sorrise amaramente « Mi chiedevo quando te ne saresti accorto. È così che ho saputo che lui sarebbe andato lì. E lui è a Shamouti questa notte ».

« A Shamouti? » domandò incredulo Bill. Non era possibile che il suo amico avesse avuto una svista, ormai si era fatto un'idea precisa di lui, e non era tipo da sbagliare « Hai detto esattamente a Shamouti? Non nei dintorni? ».

« No. Sull'isola. Nel centro del disastro. In effetti è curioso, un semplice allenatore di dieci anni ha fatto più dei grandi maestri che popolano questo mondo ».

Bill però non ascoltava, si era fermato a riflettere su un'altra cosa che sul momento gli era sfuggita e che, in realtà, era un'ovvia derivazione della dichiarazione del compagno di viaggio. Tutti gli strani atteggiamenti che aveva notato in James in quel periodo, il fatto che fosse traumatizzato a tratti durante quella giornata, le sue fatiche nel rintracciarlo la sera precedente: tutto assumeva una forma ben delineata. « James, dimmi la verità. Hai visto qualcosa che ci riguarda negli occhi di qualcuno qui a bordo? ».

D'improvviso uno scossone rovinoso stravolse il Laghetto e fece trasalire i viaggiatori. Un fragore di piatti infranti risuonò nel salone assordando per pochi istanti tutti i presenti, lasciando poi di nuovo il posto al loro vociare.

Bill lanciò una breve occhiata mista di dubbio e rimprovero a James, poi corse oltre la porta in vetro del ristorante e si guardò attorno: per quanto concerneva quella parte il ponte Estate sembrava intatto. Il danno doveva aver colpito direttamente prora, poppa oppure l’altro lato della nave. Non ebbe tuttavia bisogno di correre da un fianco all'altro dell'Anne, la soluzione si palesò in poco tempo: dalla parte posteriore del transatlantico, in mezzo al diluvio, si stava innalzando una ridotta tromba d'acqua.

James giunse da lui in quell'istante.

« CHE STA SUCCEDENDO? » si vide domandato con vigore.

« Non ne ho idea. Non vedo tutto, scorgo frammenti ».

Nel frattempo l'imbarcazione iniziò ad arrestarsi per limitare i danni: inutilmente, in considerazione del fatto che il vortice si esaurì dopo pochi secondi. I due compagni di viaggio accorsero in direzione del posto dove prima il gorgo roteava, e rimasero spiazzati. Si era venuta a sviluppare un'apertura di smodate dimensioni che percorreva tutto il piroscafo: il mulinello aveva fatto breccia al suo interno e se fosse stato leggermente più centrato avrebbe trafitto la chiglia provocando l'immediato inabissarsi del bastimento. Per fortuna la falla aveva mancato la trave portante e quindi l'affondamento non sarebbe avvenuto in tempi così brevi da impedire il salvataggio dei passeggeri. Ciononostante la nave sarebbe colata a picco, e non vi era alcun modo per impedirlo.

Da dietro la zona di prua uscì il capitano dell'Anne. Probabilmente non si accorse sul momento di essere l'oratore dal quale ogni singolo essere umano trasportato dall'imbarcazione attendeva rassicurazioni, in caso contrario forse avrebbe avuto un aspetto più nervoso. Ciononostante sembrò in qualche modo rendersi conto che qualsiasi cosa avesse detto avrebbe avuto un effetto decisivo e forse permanente sulle azioni di tutti coloro che erano usciti dal Laghetto, dalle Orchidee o dalle loro cabine per appurare cosa stesse accadendo, e fu cauto nelle parole « Abbiamo subito alcuni danni alla zona poppiera della nave. Vi invitiamo a recarvi ordinatamente alle scialuppe di salvataggio per abbandonare la nave. Personale dell'equipaggio sarà disposto a ogni ingresso alle barche per garantire che siano sufficienti per tutti ».

Nel frattempo Bill e James si erano accostati al parapetto della nave, dal quale osservavano, puntando leggermente verso nordovest, diverse ulteriori trombe d'acqua che si levavano al cielo e scomparivano una dietro l'altra. « Dobbiamo andarcene » commentò il secondo.

Il suo amico lo guardò stranito e, in un certo senso, irato. Mentre tutti i passeggeri scendevano in fretta in direzione delle scialuppe, gli domandò sarcasticamente « Davvero? Sai, non me n'ero accorto, tra l’Anne che affonda e tutto! ». Poi la sua voce assunse un tono afflitto e a tratti spezzato, e i suoi occhi apparvero diventare lucidi « Perché? Perché non me l'hai detto? Avremmo potuto fare qualcosa… Avremmo… ». Non seppe come andare avanti.

In breve la massa umana li amalgamò a essa, e Bill si ritrovò a fissare il suo migliore amico che si allontanava inesorabilmente.

Avrebbe voluto dire centinaia di cose, spiegargli che non era stata sua intenzione accusarlo così violentemente, che effettivamente non avrebbero potuto fare nulla di significativo, che avrebbe compreso eventuali motivazioni se gliele avesse spiegate. Ma tutto ciò che seppe fare fu guardare il transatlantico che portava a compimento il suo viaggio verso la fine, e l'incontrollata calca che drammaticamente lo favoriva.

 

Bill si trovava su una scialuppa di salvataggio con Andy, che non aveva più visto dalla giornata precedente. Il mezzo di trasporto accoglieva gradualmente un numero sempre maggiore di persone, attendendo lo stato di pienezza totale al quale sarebbe stato autorizzato a scendere.

« Dove sei stato oggi? » domandò quest'ultimo « Mi spiace di averti piantato proprio l'ultimo giorno. Non stavo bene ».

Bill sembrò essere risvegliato mediante quelle parole da uno stato di quiescenza « Eh? Ah, sì, non ti preoccupare ».

« A cosa pensi? ».

« A James. Non riesco a non pensare a come male l'ho trattato durante i nostri ultimi minuti ».

« Tanto vi rivedrete a Vermilion. Vedrai che vi chiarirete ».

« Lo spero » commentò amareggiato Bill, inserendo le mani nelle tasche della giacca e rimembrando come James lo faceva con il suo giaccone di cammello il primo giorno che si erano visti. Sospirò tristemente.

« Tranquillo, vedrai che–– » Andy si interruppe. Il suo amico aveva estratto dal piccolo scompartimento destro del suo vestito un foglietto ancora prima di infilare del tutto l'altra mano nel suo gemello sinistro.

La carta era ripiegata in quattro parti. Bill la aprì e lesse ciò che una penna a sfera aveva impresso forse anche diverse ore prima.

 

Raggiungimi appena puoi in sala macchine.

 

« Cosa c'è scritto? » domandò incuriosito Andy.

Il suo compagno di viaggio non rispose, limitandosi ad alzarsi in piedi. Scavalcò la balaustrata del transatlantico e si gettò di corsa verso il salone.

 

La S.S. Anne deserta infuse in Bill un immenso abbattimento: il pensare a come solo la sera prima il Laghetto fosse stato ricolmo di gente lo rendeva in qualche modo nostalgico anche a distanza di poche ore. Quanto ai piani superiori, non intendeva neanche pensarci o avrebbe pianto inevitabilmente. Il transatlantico più bello di Kanto e Johto si avviava verso la sua inesorabile colata a picco e perfino la cupa eco prodotta dai suoi passi sulla pavimentazione che lo specchiava nei suoi fini motivi mosaicati sembrava scandire uno di seguito all'altro i secondi che mancavano alla fine.

Scese per le scale consuetamente vietate ai passeggeri del bastimento, quelle che dal ristorante conducevano ai locali sotterranei. La sezione inferiore era in pesantissimo contrasto con quella superiore: i marmi pregiati che avevano accompagnato Bill in quei fatidici tre giorni lasciavano spazio a metallo a tratti ossidato, e le sfavillanti luci del lampadario nella sala da ballo erano rimpiazzate da precarie lampadine a incandescenza. Perfino l'aria appariva diversa: se infatti sul ponte Estate aveva quella fragranza tipica delle coste esotiche di Hoenn, in quel tetro ambiente aveva di particolare unicamente la polvere che si insidiava in essa.

Una volta scesi ci si trovava di fronte un bivio: una via portava alla stiva, l'altra alla sala macchine. Ovviamente sarebbe scontato specificare verso quale delle due si incamminò Bill.

Alla fine di quella sorta di traforo vi era un enorme ambiente ricolmo di camini ferrei inscuriti dal tempo e dal carbone, e un'aria forse ancor meno respirabile di quella che aveva assaporato Bill all'inizio. Le bocche per il fuoco si dislocavano secondo due logiche: una fila circondava la sala interamente, l'altra invece formava una sorta di scudo a un ciclopico pilastro centrale.

E lì, appoggiato alla parete opposta all'entrata, leggermente spostato in modo da vedere oltre la colonna metallica, stava il suo migliore amico. Il suo corpo gli apparve insolitamente affusolato e deteriorato, come se si fosse sottoposto a mesi di digiuno, e ciononostante elegante e fiero come lo aveva sempre visto « Sapevo che avresti messo prima la mano nella tasca destra ».

Bill iniziò a camminare nel locale. Era di dimensioni colossali e attraversava quasi tutta la nave, mentre la stiva occupava probabilmente solo una relativamente piccola frazione del transatlantico ed era destinata a custodire essenzialmente il cibo: questa ipotesi era supportata dal fatto che la via destra conduceva a essa, e il bivio si trovava esattamente sotto il Laghetto, di per sé posto nella parte anteriore della nave; in altre parole il magazzino aveva a disposizione uno spazio ristretto delimitato dalle pareti interne della carena – ristretto se rapportato alla grandezza effettiva della nave, nei fatti ovviamente più che sufficiente a soddisfare le necessità alimentari dei viaggiatori.

« Volevo chiederti scusa per oggi. Non ti ho trattato da amico ».

« Non ti preoccupare » rispose James « Posso capire ».

« Ora faremo meglio a sbrigarci, però. Rischiamo di perdere le ultime scialuppe e di rimanere qui ».

James abbassò il capo « Ancora non hai capito ».

Bill sembrò perplesso per questa domanda, ma aveva compreso il suo significato sibillino: non voleva uscire.

Come previsto, infatti, il suo compagno di viaggio proseguì « Io non ho intenzione di scendere. È destino che io muoia qui ».

A quelle parole Bill sembrò scaldarsi, parve quasi che un fuoco si fosse acceso in un animo che fino a quel momento era stato anche troppo silenzioso « Che vuol dire destino? Il destino è il pretesto che alcuni uomini hanno trovato per addossare ad altri la responsabilità dei propri fallimenti! Se tu sei determinato, se credi veramente in qualcosa, non c'è destino che tenga! Sei tu che decidi! ».

« Non credevo che fossi così bravo nel fare discorsi così ispirati » rispose James con un enigmatico sorriso, come fosse divertito.

« Mi stai prendendo in giro? ».

« Dammi retta, vai via il prima possibile da qui. Le scialuppe ci sono, salvati finché puoi ».

« Neanche per idea. Sorvolando sul fatto che visti i danni limitati ci vorrà almeno qualche ora prima che l'Anne s'inabissi e che prima di partire effettuano sempre un controll–– ».

« Non ne avranno il tempo. Salvati finché ne hai la possibilità e di’ loro di sganciare le ultime barche prima che sia troppo tardi ».

Bill però non sembrò neanche ascoltare l'avvertimento del suo amico « ––lasciami finire. Dicevo, sei tu che mi hai invitato qui o sbaglio? ».

« Sapevo che volevi parlarmi. Non volevo lasciarti con rimpianti quando non ci fossi stato più ».

« Ti ho già detto che controlleranno prima di andarsene. Finché sei da solo puoi nasconderti, ma se ci sono io posso fare in modo che ci trovino. E tu non affonderai, puoi scommetterci. Non sono così ingenuo come cred–– ».

« Continui a non ascoltare » lo interruppe James « e di conseguenza continui a non afferrare ».

« E allora spiegami una buona volta che cosa sta succedendo ».

James però non aveva prestato attenzione a quelle parole e aveva gettato uno sguardo al proprio orologio borbottando un non lo convincerò mai.

« Ehi, mi ascolti? ».

« Vai all'oblò » disse James, nuovamente senza badare a ciò che dicesse il suo amico.

In un primo momento Bill parve non comprendere, più colpito dal tono imperativo che dal reale significato della frase. Poi, lentamente, si avviò verso un piccolo foro circolare tamponato da una lastra di vetro situato alla destra della via per la quale era entrato.

All'esterno erano visibili proprio le Orange Islands, sebbene a fatica in quanto erano spostate più verso ovest – Bill fu costretto a posizionare il proprio capo quasi parallelamente alla finestrella per averne una buona visuale – e, soprattutto, la sala motori era situata per parte sopra e per parte sott'acqua, e bisognava attendere che la forza di un'onda si fosse esaurita per osservare l'orizzonte senza la patina confusionaria dell'acqua. La pioggia, cessata sopra l'Anne, sembrava essersi ricondotta alla sua origine: i cumulonembi sopra Shamouti tuonavano e la ricoprivano. Bill avrebbe giurato di aver scorto della neve, se solo l'isola non fosse stata tanto lontana. Tuttavia, esclusa la scena di stile cinematografico e qualche scialuppa che si calava e che si allontanava – se ne vedevano molte, segno che forse anche l'ultima era in dirittura di partenza – non vi era granché da osservare.

« È finita ».

Bill si voltò di scatto e vide il suo amico in piedi dal lato opposto del locale, stagliato nella sua perfezione davanti ai macchinari.

« Che stai dice–– ».

Non terminò. Un brusco boato rimbombò nella stanza. Il pilastro centrale si frantumò lasciando lo spazio a un turbine oceanico più grande del precedente che si levò verso l'alto. Il transatlantico, non potendo reggere una falla di quelle dimensioni, si divise in due, e alcuni pezzi del soffitto della parte in cui si trovava iniziavano a crollare, segno che la chiglia, la trave portante dell'intero bastimento, era ormai in macerie. L'Anne sarebbe collassata da un momento all'altro, non c'era modo di evitarlo.

E d'improvviso capì ciò che per tutta la sua permanenza nella sala macchine James aveva tentato di fargli capire: lui sapeva che la nave sarebbe stata distrutta. Aveva solo voluto impedire che anche lui ne finisse schiacciato.

Nuovi scossoni costrinsero Bill ad appoggiarsi alla parete metallica della fila esterna di camini mentre ammirava quel vorticoso turbine che stava demolendo il più bel transatlantico del mondo. E sobbalzò: all'interno del liquido salino si stava delineando un'ombra. Lentamente il ciclone si dissolse, liberando la più grandiosa creatura che avesse mai visto.

Era di dimensioni esorbitanti e le forme ricordavano una sorta di combinazione tra un drago, un plesiosauro e un semplice uccello. La sua pelle era primariamente argentea, tuttavia faceva eccezione l'addome che assumeva una colorazione cerulea. La bocca somigliava in realtà a un becco, eppure era dotata di denti sulla mascella inferiore. Aveva inoltre un collo lungo ed esile e un corpo liscio e aerodinamico, nonostante la schiena fosse scandita da celesti sporgenze simili a punte che caratterizzavano anche la sezione terminale della coda, sebbene in quella zona fossero appena due in contrapposizione alle ben più numerose sul dorso. Una nota finale la meritano gli arti anteriori: se infatti era ovvio che fossero ali era altrettanto evidente che verso la fine assumevano più i connotati di mani.

La creatura si guardò rapidamente attorno, poi fissò Bill negli occhi, come a scusarsi, e produsse un melodioso verso. Bill rimase frastornato per qualche secondo, salvo poi realizzare che se non si fosse affrettato sarebbe annegato con l'Anne. Prima di riprendere la via verso il Laghetto gettò uno sguardo verso l'altra metà del transatlantico: questa era ormai troppo inclinata perché potesse vedere James. Imboccò la strada e si ritrovò in breve tempo in cima. Corse alla balaustrata della nave e vide, proprio sotto, la scialuppa di Andy. E ora?

« Salta! » esclamò il suo amico.

« Che? » domandò stranito Bill voltandosi per trovare qualche via d'uscita « Sei pazzo, così mi schianto sull'acqua? Sto qui e aspetto di andare sotto per saltare al momento giusto! ».

« Ma sei fuori di testa? Verrai trascinato dal risucchio! ».

« Non vedo altre soluzioni! Tu, piuttosto, scappa finché puoi! » replicò Bill, pur sapendo che era impossibile sfuggire alla forza del gorgo generato dall'affondamento di una mole tanto grande di materia. Intanto la sua metà si inclinava a vista d'occhio e a breve il parapetto, e il giovane con esso, sarebbe stato al livello dell'oceano. Chiuse gli occhi e ripensò a James, alla sua fine, alle lacrime che gli scendevano a ricordarlo, e si consolò: sarebbe finito insieme al suo amico, si sarebbero riuniti. Strinse sempre più le palpebre e cercò di non pensare al gelo dell'acqua, per quanto possibile.

Poi, proprio mentre attendeva l'impatto, udì di nuovo quel canto melodioso. Riaprì a fatica gli occhi: la sua parte di bastimento era ferma, sbilanciata ben oltre il suo baricentro, eppure non cadeva; stava contemplando un mare insolitamente calmo, come se non fosse successo niente. Alzò la testa e vide la creatura che aveva distrutto l'imbarcazione ferma sopra di lui.

La stava trattenendo con la sua psiche. Gli stava salvando la vita.

« Salta » udì Bill, e non seppe neppure lui se fosse stato quel pokémon a dirlo, oppure se l'avesse immaginato. In ogni caso non si fece ripetere una seconda volta l'ordine: balzò verso il mare e nuotò con energia. Non appena fu arrivato alla barca, i passeggeri iniziarono a remare il più velocemente possibile.

La creatura si voltò verso le Orange Islands. « Devo andare » commentò malinconicamente, e dopo un attimo di preparazione, partì in volo alla volta di Shamouti, mentre la nave terminava la collisione con l'oceano. E, mentre quella specie di drago raggiungeva la sua massima velocità, Bill avrebbe giurato di sentire l'armonioso suono di prima in chiave alterata, come fosse stato un lamento.

« Per fortuna non eri sulla parte sinistra » osservò Andy « Mi sa che quel pokémon non ti avrebbe salvato ».

« Non è stato un caso » replicò Bill sorridendo dolorosamente. Poi si fermò a riflettere. Aveva detto sinistra?

E gli tornò alla mente quella misteriosa frase che James gli aveva rivolto come benvenuto: sapevo che avresti messo prima la mano nella tasca destra.

C’era solo da provare. Così fece, e scoprì che aveva visto giusto: all'interno della cavità stava un foglio umido, ma ancora decifrabile, perfetto gemello di quello che aveva letto neanche mezz'ora prima.

 

Caro Bill,

se stai leggendo queste righe immagino che l'Anne sia ormai morta. Voglio prima di ogni cosa farti capire che la mia decisione di non svelartelo non è stata dettata da cattiveria, bensì dal mio desiderio evitarti inutili rammarichi negli anni a venire: ogni cosa che ho visto si è sempre avverata qualsiasi cosa abbia tentato di fare, e ti assicuro che l'ho imparato in prima persona subendo la morte di tutti i miei cari. Ciò che non volevo è che, spiegandotelo, tu avessi cercato di cambiare il futuro per poi inesorabilmente fallire e addossarti la falsa colpa di non aver salvato questo meraviglioso transatlantico. Ti ho già spiegato che la natura sfugge al nostro controllo e ho la certezza che tu, dopo questa sera infernale, l'abbia afferrato appieno.

Non è stato facile neanche per me rinunciare a oppormi e terminare ciò che ho iniziato trent'anni fa, trent'anni che a pensarli sembrano novanta. Combattere per tutto questo tempo nella speranza di costruirmi una vita e poi vedere ogni mio sforzo spazzato via da qualcosa di impossibile da fermare fa male, non puoi forse neanche immaginare quanto. Ma è l'andamento delle correnti, e per quanto chiunque possa dire il contrario dobbiamo adeguarci.

 

Con la speranza che capirai,

James.

 

Bill, ormai in lacrime, non trovò le forze per pensare qualcosa. Riuscì solo a guardare, nel cielo limpido e il mare liscio, il relitto di una nave che portava via con sé la persona migliore che avesse mai incontrato.

 

~

 

Quando il racconto terminò, il ragazzo aveva gli occhi lucidi.

« Siamo qui per onorare la morte di James » disse William.

« Non morì nessun altro nella tragedia? » domandò Larry.

« No. Si salvarono tutti. È quasi paradossale che solo una persona così speciale sia morta mentre un sacco di altra gente anche molto meno meritevole di me o di te si sia salvata senza problemi. Suppongo che sia la vita: non esiste la giustizia laddove non ci sono potenti, e quindi i potenti non sono soggetti alla giustizia. In ogni caso, penso siamo gli unici a sapere della morte di James ».

Dopo queste parole, l'uomo sollevò il bouquet di fiori e lo lanciò nel mare. Il suo affondare nelle piccole onde sembrava quasi innaturale. I fiori si inabissavano come fosse stato destino per loro.

« Papà, tu come sai questa storia? ».

« Vedi » rispose William « ai tempi ero ancora giovane. Non ero ancora sposato con tua madre, in realtà la conobbi poco dopo la tragedia, al Vermilion Harbor ».

« Eri un passeggero? » domandò il ragazzo.

« Io sì, lei no. Ci incontrammo perché lei era una reporter venuta a intervistare per l'accaduto » rispose l'uomo sorridendo.

Larry tornò a guardare l'Aqua, e rifletté su come gli pareva piccola dopo aver sentito di quell'enorme transatlantico che tre anni prima della sua nascita aveva solcato l'oceano. Una carica di nostalgia lo assalì, nonostante non ve ne fosse un reale motivo.

« Meglio andare » riprese William « Dovremo fare una piccola deviazione per non ripassare dallo stesso controllore. Conosco una scorciatoia che però funziona solo dal basso verso l'alto e–– mi senti? ».

Il ragazzo, fino a quel momento perso nel guardare l'orizzonte, sembrò risvegliarsi « Ora arrivo. Tu vai avanti ».

« Capisco. Attento a non cadere in acqua ».

Larry pensò ancora una volta alla storia che il padre gli aveva raccontato. Avrebbe mai guardato le cose con la stessa luce? No, era impossibile, non poteva buttare al vento la lezione che James aveva impartito a Bill. Forse la morale era che bisogna assaporare ogni secondo della vita, perché da un istante all'altro si potrebbe perdere ogni cosa.

Ma anche Bill doveva aver imparato ad apprezzare ogni secondo, come avrebbe dovuto fare finché James era ancora con lui. È sbalorditivo constatare come un solo uomo possa cambiare una vita. Forse davvero non c'era una sola morale, ed erano solo piccole lezioni di vita da assimilare.

Larry si voltò: il padre non c'era più, ma sapeva che aveva preso la strada a destra visto che l'altra portava al Vermilion Harbor.

Stava per incamminarsi quando notò, sulla via, un piccolo foglio di carta sbiadita, dall'aspetto vecchio e rovinato, forse da acqua. Lo prese in mano: era caduto a suo padre, probabilmente. Lo aprì, facendo attenzione a non rovinarlo. Le prime righe erano ormai illeggibili; ma le ultime, staccate dal corpo del testo, erano invece perfette.

 

Con la speranza che capirai,

James.

 

 

 

 

Dietro la storia

 

* * *

 

La prima cosa che ho deciso di fare quando ho scritto James nella prima stesura è stato ambientarlo durante The Power of One. Intendiamoci: veniva comodo avere già una zona dove provocare l'affondamento dell'Anne e una causa scatenante; ciononostante i riferimenti originari erano davvero pochi: si parlava di un fantomatico inverno alle Orange all'inizio del racconto e Lugia distruggeva il transatlantico. Non c'è da stupirsi se un mio amico fu stranito allo scoprire che l'ambientazione corrispondeva a TPoO.

Così, con l'avvento della seconda pubblicazione, decisi di rendere la locazione più evidente: i riferimenti sono disseminati durante la prima parte e si acuiscono fortemente durante la seconda parte, specie nella descrizione del disastro delle Orange. Anche le corrispondenze tra storia-film erano ovvie: la spedizione di Oak e Ivy in elicottero è riproposta in maniera pressoché identica da TPoO. Solo che in questo modo si veniva a creare un'incongruenza già presente nella prima e ancora più pesante nella seconda stesura: l'avventura è basata sull'Anne dei giochi, e l'apparizione di Red ne era la dimostrazione. Di più, nell'anime il transatlantico affonda nell'EP015 a seguito dell'attacco del Team Rocket e nell'EP016 Ash e i suoi amici ne escono; TPoO è invece logicamente posto dopo il primo film, che inizia e conclude idealmente la prima serie, e quindi l'Anne al tempo del cataclisma non poteva esistere. Come tappare questa falla?

Così ho concluso creando un universo parallelo a quello dell'anime, quello che prende luogo nei giochi. In questo modo è possibile spiegare la diversa organizzazione degli eventi che derivano dal cataclisma – la differente posizione di emersione di Lugia o la corsa alle Orange degli allenatori che rimanda leggermente al primo film – e contemporaneamente spiegare perché la nave ci fosse ancora.

La scelta di Lugia come distruttore dell'imbarcazione, in ogni caso, non è stata assunta subito come certa: prima di prendere la decisione definitiva, infatti, ho passato al vaglio diversi pokémon. Lugia si è dimostrato il più indicato non solo per dimensioni e habitat, ma anche per una particolarità: le sue originarie descrizioni del Pokédex. Non tutte, una: quella di Silver afferma infatti che […] Si dice che sia stato visto in una notte di tempesta”. Un'altra presentazione interessante era rappresentata da Crystal, che spiegava che “Ha un'incredibile capacità di far acquietare le tempeste […]”. Inutile dire che queste entries calzavano a pennello con ciò che Aequor racconta, quindi perché no?

Un'ultima specificazione riguarda i luoghi: non tutti i posti citati in questa storia sono infatti riscontrabili nei videogiochi della serie in cui Kanto appare. Oltre all'ovvia Anne, i cui svariati interni – costituiti da quattro ponti nonché stiva e sala macchine – sono del tutto inventati e non rispecchiano quasi per niente la reale costituzione della nave, ispirandosi più ad altre imbarcazioni reali e cinematografiche, un esempio di luogo totalmente di fantasia è rappresentato dall'estensione del Vermilion Harbor: questa infatti è abbozzata nella rinnovata mappa di FireRed e LeafGreen e totalmente assente nei quattro originali. I più arguti noteranno che William e suo figlio sono saltati sulla piattaforma di sinistra, ovvero quella che nei videogiochi ospita il famigerato camion: tale mezzo di trasporto non è stato neanche pensato nella mia storia, quindi non ponetevi neanche il problema di chiedervi dove sia finito.

 

Con l'augurio di non aver annoiato nessuno,

Novecento

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