Sperare di Yumeji (/viewuser.php?uid=95601)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sperare ***
Capitolo 2: *** Aveva sperato ***
Capitolo 3: *** Sperare ancora..? ***
Capitolo 1 *** Sperare ***
I
personaggi non mi appartengono, sono di proprietà di
Tadatoshi Fujimaki.
Io non ci guadagno nulla, comunque...Godetevela!
Non ricordava molto bene, a dirla tutta per niente, del motivo per cui
fosse finito lì, in ospedale.
Da quello
che aveva potuto capire, captando frammenti di discorso qua e
là dai suoi genitori (i quali di fronte a lui
sembravano sempre a disagio nel tirar fuori l’argomento), e
origliando i discorsi di alcune infermiere pettegole, Takao era quasi
certo di essere stato coinvolto in un qualche incidente automobilistico
nei pressi della propria scuola.
Fortunatamente,
e questo era un parere comune apprezzato soprattutto dai medici, era
stato l’unico
studente e pedone a rimanere ferito.
“See…
Fortuna” aveva invece pensato il ragazzo con una
spessa nota di sarcasmo.
I
distinti signori con il camice bianco avevano poi aggiunto,
probabilmente per rassicurare i suoi genitori, i quali dopo
l’accaduto si erano rivelati una coppia di paranoici
apprensivi (prima di questo Takao non lo aveva mai neppure sospettato),
che fosse normale per un paziente aver bisogno di tempo per recuperare
dopo un trauma simile. Nemmeno l’amnesia di cui era affetto,
per quanto riguardava i momenti prima e durante quel tragico
avvenimento, doveva destare preoccupazioni, si trattava di un semplice
meccanismo di difesa del suo cervello. La mente aveva rimosso i
ricordi che ne avevano causato lo shock, per non essere costretta a
sopportare uno stress molto al di sopra delle sue capacità.
Il fatto
stava che, per quanto le analisi non avessero rivelato niente di serio,
anzi, il nulla più assoluto se non per le ferite causate
dall'impatto con l'asfalto, era ormai da settimane che Takao era
divenuto un occupante fisso di quel buco freddo e sterile.
Nei primi
giorni (doveva ammetterlo), non era stato poi cosi male, tra parenti e
amici venuti a fargli visita. Con il trascorre del tempo
però le visite si erano fatte sempre meno frequenti e una
sorda ed opprimente noia aveva cominciato ad assalirlo, attaccandolo
feroce e distruttiva.
Lui non
era il tipo da rimanersene fermo in un letto! Voleva andare a giocare a
basket, farsi un giro in bici e, chissà, magari trascinare
un risciò.
Tutto gli
sarebbe andato bene, gli bastava uscire da lì, era troppo
frustrante!
Solo una
cosa riusciva a portare un po’ di luce in quel suo mondo
fattosi cosi monotono e buio.
Lo
sguardo grigio-azzurro di Takao vagò sicuro per la sala
d’aspetto, certo di chi vi avrebbe trovato. Ignorò completamente l’ammasso confuso di gente e di voci indistinte, a lui interessava unicamente una persona.
Solamente
quella.
E
difatti, eccolo lì, seduto in attesa del suo turno. Puntuale
come lo era stato ogni giorno negli ultimi due mesi.
Passava
sempre a trovarlo subito dopo gli allenamenti con la squadra.
-
Shin-chan!- lo chiamò con voce squillante ed entusiasta, e
subito Midorima alzò lo sguardo, cercando il suo in mezzo a
tutta quella folla, un moto d'incertezza e confusione negli occhi
dalle ciglia lunghe, come ogni volta che il moro gli veniva incontro
per salutarlo.
- Se
vuole ora può andare… - lo avvicinò in
quel momento una giovane infermiera, distraendolo, e subito
l’ex miracolo si alzò dalla sua sedia,
ringraziandola con un leggero inchino.
Senza
neppure il bisogno che gli fosse indicata la strada
s’incamminò a passo sicuro, avvicinandosi a
Kazunari, il quale attese di averlo a fianco prima di proseguire. Avevano
percorso quei corridoi una cosi infinità di volte, in quel
poco tempo, da poter far il tragitto ad occhi chiusi.
- Secondo
me quella si è presa una bella cotta per te –
scherzò ridendo il moro, le braccia incrociate dietro la
testa e un sorriso beffardo ad incurvargli le labbra, ma ovviamente
Midorima non si abbassò a coglierne la provocazione,
limitandosi a sistemarsi gli occhiali sulla radice del naso, ostentando
una rigida indifferenza. “Il solito Shin-chan”
sospiro Takao divertito, vedendo un leggero color rosa imbarazzo tingergli le guance. Doveva aver pensato la stessa cosa.
Per
quanto nel pronto soccorso (che faceva anche da sala
d’attesa), vi fossero sempre una marea di cose da fare, quella
particolare infermiera, ogni qual volta vedesse anche solo
l’ombra di Midorima, riusciva a svincolarsi dai suoi impegni
o da qualsiasi altra cosa stesse facendo per correre ad occuparsi di
lui, per metterlo a suo agio e per fare la
“carina”. Regalandogli ogni mezzo secondo uno di
quei suoi stucchevoli sorrisetti da smorfiosetta, che ogni giorno
irritava sempre un poco di più Kazunari. Una ragazza simile
non poteva permettersi di importunare a quel modo il suo Shin-chan. Bastava lui ad infastidirlo!
- Il
lucky item di oggi?- domandò Takao posando lo sguardo su
ciò che Shintaro stringeva nella mano sinistra, il pupazzo
di un coniglietto bianco vestito da rock-star e con indosso anche un
paio di occhiali da sole.
Sotto il
braccio teneva però un altro oggetto.
Intanto,
nel parlare, avevano raggiunto la stanza del ragazzo, sulla cui soglia
era ben visibile una targhetta con il suo nome inciso sopra.
- Oha Asa
ha detto che oggi lo scorpione è al terzo posto e il suo
portafortuna è il pupazzo di un Beagle –
spiegò Midorima, già entrato nella camera,
prendendo posto su quella sedia, che ormai era diventata la sua,
proprio di fianco al letto.
-
Dovresti smetterla con tutti questi regali Shin-chan, o
finirò per venirne sommerso – commentò
invece Takao, non senza un sorriso tra il felice e
l’imbarazzato andando ad osservare i lucky item del suo
segno dei giorni precedenti. Erano stati tutti ammassati su di un
piccolo tavolino, ormai stracolmo, tanto da far sembrare un miracolo
che nulla fosse ancora caduto, gli oggetti si sormontavano
l’uno con l’altro in un equilibrio al quanto
precario.
L'occhio infine gli cadde sul peluche di un piccolo falco e il sorriso si
fece un poco triste, risaliva ad una settimana prima.
-
Takao…- lo chiamò Shintaro, facendolo voltare, il
suo tono si era fatto di colpo cupo,
- Si,
Shin-chan? – gli si avvicinò lui, sorridendo di
nuovo nel trovarlo con la testa china e lo sguardo basso, letteralmente
sfinito dopo una cosi lunga giornata di studio e allenamenti.
Pensando
che comunque, per quanto esausto fosse, venisse ogni giorno a fargli
vistia, Takao non poté non trovarlo incredibilmente tenero.
Un
aspetto di Midorima che solo recentemente aveva potuto apprezzare
e, spinto
da un vecchio e familiare istinto, Kazunari andò ad
avvolgere le spalle dell’amico con le proprie braccia,
cercando un abbraccio.
Ma, come
ogni volta prima di quella, non avvertì alcun calore
provenire da quel contatto, le sue dita si limitarono ad attraversare
il corpo di Midorima, incorporee e trasparenti, senza in
realtà sfiorarlo neppure.
-
… perché non ti svegli?- gli domandò
Shintaro, cercando e afferrando la mano di quel Takao vuoto, che occupava immobile un letto d’ospedale, attaccato a delle
macchine per il monitoraggio cardiaco.
Quel
ragazzo silenzioso, dagli occhi chiusi e il volto pallido,
più nulla sembrava spartire con il Takao che aveva
conosciuto.
Il suo
Takao.
- Io non
sono lì, Shin-chan – precisò difatti il
moro, proprio dietro di lui, consapevole però che, per
quanto glielo avesse ripetuto, per quanto gli avesse urlato, non
sarebbe stato udito. Ridotto ora a semplice spirito intangibile, privo
di alcuna materia in quel mondo.
Aveva
mentito.
Era vero
che i medici avevano detto che il suo corpo non aveva subito lesioni
gravi, ma dopo due mesi di coma, la preoccupazione che il colpo alla
testa gli avesse danneggiato irrimediabilmente qualche parte del
cervello sembrava essere divenuta certezza.
Abbastanza
perché i suoi genitori ricevessero le prime richieste da
parte dei dottori per staccargli la spina: “gli organi di
vostro figlio sono giovani e sani, salverebbero molte vite!”
dicevano; e Takao poteva vedere suo padre e sua madre esitare a poco a
poco di più su quella proposta.
Solamente
Midorima, che continuava a chiamare piano il suo nome, seduto proprio
lì, al suo fianco, sembrava ancora sperare in qualcosa.
Infondo,
solo qualcuno che è stato chiamato
“miracolo”, può credere che ne accadi
uno così facilmente.
Solo
qualcuno estremamente devoto all’astrologia, quasi fosse una
scienza assoluta, può pensare che nulla di tanto crudele
accada realmente.
Solo il
suo Shin-chan sperava, credeva ancora.
Ma anche
le sua speranza ormai si era ridotta ad un semplice filo di ragnatela.
-
Takao..- continuò Midorima appoggiando la fronte contro la
sua mano, avvertendola fredda contro la pelle.
Stanco ed
esausto, non ebbe più la forza di trattenere le lacrime,
bagnando di pianto le lenzuola.
Di
sottofondo c'era il battito lento e costante del cuore di Takao,
scandito dal suono breve e acuto del macchinario ospedaliero.
-
DUE MESI PRIMA –
“E
all’ultimo posto della classifica troviamo lo
Scorpione! Consiglio a tutti gli amici di questo segno di fare
particolarmente attenzione essendo per voi una giornata estremamente
sfortunata… E per oggi la vostra Oha Asa vi
saluta!”
“Particolare
attenzione..? Dovrò avvertire Takao “
pensò Shintaro finendo di consultare la sua astrologa di
fiducia, mentre intanto si dirigeva verso la scuola, forse aveva fatto
bene, per quel giorno, a non costringere l’amico a
trascinarlo in giro con il risciò.
---
Note Autore:
Mi odio da morire in questo momento ;P
È
la mia prima FF su Kuroko no Basket (quindi siate gentili xP ) e non so
nemmeno perché l’ho scritta su questi due!
No che mi dispiacciano come coppia, è solo che fino a due
giorni fa non aveva scritto mai nulla su di loro O.o
Comunque
vi ringrazio per aver letto questa mia FF , please commentate ^^
bye-bye,
e alla
prossima ;-)))
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Aveva sperato ***
Aveva
sperato, pregato con tutte le sue forze.
Aveva
creduto con tutto se stesso nell’impossibile,
perché era nella sua indole farlo.
Perché
era l’istinto a dirgli di non mollare, a supplicarlo di non
cedere.
Doveva
continuare ad avere fiducia in quella realtà solitamente fin
troppo crudele.
No, non poteva essere quello il
destino che dio aveva disegnato per lui, per loro!
Continuava ad urlare una voce nella sua testa, le parole disperate di
un bambino che non poteva accettare, non voleva accettare, la
verità che gli si parava davanti. Un pianto straziante e
continuo, colmo d’angoscia e spezzato solo da qualche accenno
di singhiozzo. Ormai le guance paffute del bimbo si erano irritate,
divenendo di un acceso rosato, corrose dalle lacrime. Lo sguardo
smeraldo iniettato di sangue e stanco, tremendamente stanco.
Eppure,
ancora non cedeva.
Per un
momento Midorima provò un’immensa pietà
per quel fanciullo, quel se stesso che riusciva a incontrare solo
lì, nel mondo onirico, ma fu solo per un momento. Subito
dopo tornò ad odiare la propria anima e quel ultimo
frammento di IO che non riusciva a far cadere.
Ormai
aveva smesso di lottare.
Tutte le
sue speranza, le sue preghiere, si erano dimostrate vane.
Era stato
folle per lui credere in un miracolo, doveva sapere, viste le
esperienze passate, che era solo un’altra parola priva di
fondamenta. Inutile come quello stesso soprannome che portava un tempo.
Distrutto.
Desiderava solo la disperazione.
Voleva
dimenticare quelle ore di fatica e le notti insonni. Quei ricordi
facevano male, ma non riusciva a cancellarli, a lasciarsi cadere preda
della più completa angoscia.
Qualcosa
glielo impediva: era quel stra-maledetto moccioso!
Finché
lui non avesse cessato di resistere, Midorima non avrebbe ottenuto
quella pace del vinto che tanto agognava. Ormai più non
sopportava quella sua parte infantile, tanto innocente e sognatrice (e
persino poco romantica), da credere nell’astrologia.
Quella
parte di lui che per un cosi lungo tempo aveva seguito ciecamente le
parole di un oroscopo, certo di guadagnarsi cosi i favori del cielo,
ora non la poteva sopportare. Desiderava distruggerla, pezzo dopo
pezzo, cosi come aveva fatto con tutti i lucky item che aveva
collezionato negli anni.
Avrebbe
preferito non fosse mai esistito.
Ma quel
bimbo, quell’ultimo frammento di IO, del vecchio e ottuso se
stesso, continuava ad esistere nel suo animo. Anche se gli si era
consumata la voce a furia di urlare (le sue grida erano ora divenute un
suono rauco e gutturale), di supplicarlo di non arrendersi, insisteva,
forte nella sua testardaggine infantile. Non dava cenno di voler
smettere, di tacere.
Non gli
dava un attimo di tregua neppure nella veglia, era presente in ogni
dove, rimaneva sempre un eco lontano.
Era
però nel sonno l’unico momento in cui Shintaro lo
poteva incontrare, affrontarlo faccia a faccia, e ogni volta si stupida
di trovarlo in uno stato tanto pietoso, deperito e coperto di ferite.
Non credeva che qualcuno ridotto in simili condizioni potesse avere
ancora una simile forza.
Era
evidente quanto fosse sul punto di crollare, talmente sfiancato da non
riuscire neppure più a reggersi in piedi su quelle gambe
pallide e magre e quelle ginocchia sbucciate; ma era come se ad ogni
istante i cui raggiungeva il punto critico, l’apice per cui
dopo esisteva solo la caduta e, infine, la resa, nuova energia lo
invadesse, dandogli abbastanza fiato perché potesse
affidargli una preghiera in più.
Nel
vederlo anche quella notte Midorima sorrise, era però un
sorriso mesto, privo di alcuna allegria. Non credeva di nascondere
dentro di se un animo tanto stupido ed egoista, la cosa non gli
piaceva, seppur dovesse riconoscerne la perseveranza.
Perché
quel moccioso non accettava semplicemente la realtà?
Perché
non la smetteva di piangere e semplicemente non se ne tornava in quel
buco piccolo e scuro del suo animo dove sempre era stato?
Doveva
stare zitto. Zitto. ZITTO!
-ZITTO! -
gli urlò contro, ma il bambino lo ignorò.
Furente
di rabbia Shintaro gli si gettò contro, afferrandolo per la
maglia troppo grande per lui (di un familiare colore aranciato),
sollevando da terra quel corpo esile e minuto.
- Ti
prego…- pronunciò per l’ennesima volta
l’IO infante, rispecchiando nel suo sguardo verde smeraldo,
lucido dalla lacrime, quello del medesimo coloro del se stesso quasi
adulto.
Ma se
nelle iridi del bambino si nascondevano speranze e sogni,
l’occhio tanto grande da sembrar poter abbracciare per intero
il cielo; quelli di colui che si affacciava alla età adulta
avevano invece perso la magnificenza del sogno, la bellezza
dell’ingenuità. Erano freddi, crudeli. Sferzavano
senza pietà quel fanciullo, odiato soltanto
perché ancora capace di fare ciò che per lui era
invece divenuto impossibile.
-
Zitto…- gli intimò ancora Midorima, invidioso,
geloso di quella speranza ormai persa.
Perché
non riusciva a farla tacere? Perché non farsene
semplicemente una ragione?
Sarebbe
stato cosi facile.
Takao non
c’era più.
Poteva accettarlo.
Tutti
quei giorni passati al suo fianco sperando, credendo che si svegliasse
erano stati inutili.
Era
una conseguenza che andava sopportata.
Non aveva
potuto nulla quando persino i genitori del ragazzo avevano deciso per
il trapianto degli organi. Certo, supplicandoli aveva ottenuto una
proroga di due settimane, ma cosa era servito? A nulla.
Ovviamente
Takao non si era risvegliato in quei quattordici giorni che aveva
ottenuto. Per quanto lo avesse chiamato ininterrottamente per tutto
quel tempo, arrivando a saltare persino scuola e allenamenti, ogni cosa si era rivelata vana.
Il giorno
seguente Takao sarebbe morto e i suoi organi trapiantati a persone che,
a quanto dicevano, ne avevano più bisogno di lui...
Ecco,
questo faticava ad accettarlo.
Perché
comportarsi come se Takao fosse già stato morto?
Perché fingere che quel cuore che ancora batteva si fosse
fermato?
Midorima
non era certo contrario alla donazione di organi, ma non poteva far a
meno di pensare che quello in realtà fosse un omicidio.
Sapeva di
non essere in grado di vedere la situazione obbiettivamente, la sua
logica gli diceva che la richiesta dei medici era del tutto legittima,
ora che il ragazzo destava in quello stato comatoso da più
di tre mesi*,
ma in realtà non era in grado di accettarlo.
Perché,
perché portarglielo via?
- Vi
prego, vi prego, non fatelo! Lui è… Lui
è Takao. Takao Kazunari, in idiota che perde sempre a morra
cinese, che mi fa irritare come pochi al mondo e che guida meglio di
molti il risciò. Non portatemelo via. Io… io sono
più scemo di lui e, quindi, ne ho bisogno. Non uccidetelo,
vi prego lasciatemelo - pianse il bambino e Shintaro con lui,
comprendendo finalmente le parole pronunciate da se steso, dal proprio
cuore.
Le grida
che udiva non stavano a simboleggiare l’ultima fiammella di
speranza rimasta viva in lui, essa in realtà si era spenta
da tempo; quello che urlava, il moccioso testardo sordo ai suoi
rimproveri, era la sua disperazione.
Midorima
lo capì solo in quel momento, quando nel suo inconscio
lasciò la presa sul bambino facendolo cadere a terra,
abbandonandolo in ginocchioni sul pavimento. All’improvviso
non vi era più alcuna differenza d’età
fra loro, entrambi bambini incapaci di affrontare qualcosa di cosi
orribile e crudele.
Il
frammento di IO pianse e urlò ancora e, finalmente, anche
Shintaro si lasciò andare in un pianto forsennato, -
Ridatemi Takao..- supplicarono assieme divenendo un'unica voce,
più nulla ora a dividerli. Tornarono ad essere una sola
identità.
[Una volta morta la speranza vi
è una sola cosa a cui gli uomini possono aggrapparsi:
la Forza della Disperazione;[…]
Piangi,
disperati e grida finché vuoi, perché questo
è il tuo sfogo. La tua unica forma di conforto. Non
dimenticare però, quando ti sarai svuotato di tutto quel
male che stagnate dimora in te, di sfruttare questa stessa forza per
riprenderti.
Poiché la forza della
disperazione non significa arrendersi alle intemperie
dell’esistenza, al contrario, è la testardaggine
di chi pur cadendo nel fango continua ad alzare gli occhi verso le
stelle.]
----
Avviso:
ci sarà un terzo capitolo (breve ma ci sarà).
Si, quei poveri sventurati che volevano certezze sul destino di Takao
avrenno il loro finale (mi sono lasciato convincere <.< )
Spero che vi sia piaciuta. è un semplice capitolo
introspettivo su Midorima, spero di non essere uscito troppo dal
persongaggio (ma dato che era sconvolto mi sono preso alcune
libertà ^___- )
*:
questo dato mi è stato fornito da una mia conoscente, ma
visto che tutto quello che sa sulla medicina l’ha imparato da
Grey’s Anatomy, non mi fiderei troppo <.<
…
Mi scuso se si tratta solo di una cavolata U___U .
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Sperare ancora..? ***
[Una volta compiuto tutto il
possibile, possiamo
solo affidarci al volere delle stelle.*]
Per anni aveva convissuto con il suo fantasma.
Per un tempo lunghissimo, che nel viverlo gli era parso eterno, era
rimasto legato a doppio filo a quell'ombra, a quella misera facciata
che più non era il suo Takao.
Spesso era arrivato ad odiare, a maledire se stesso per tutti quei
momenti in cui ne aveva desiderato il risveglio. Mai, neppure una
volta, aveva riflettuto sul prezzo che avrebbe dovuto pagare per la
realizzazione di quell'egoistica richiesta.
Infine, nel giorno della
sua morte, Kazunari aveva riaperto gli occhi, cosi come
sempre aveva immaginato Midorima nei suoi più rosei sogni.
Purtroppo, la vita era assai più crudele di una dolce
chimera dettata dal sonno. Per quanto un miracolo era avvenuto e il
ragazzo avesse salvato la propria vita destandosi finalmente dal coma,
nulla toglieva che un danno al cervello ci fosse veramente stato.
Autismo.
Il coma aveva portato il ragazzo a chiudersi in se stesso, a cadere in
un mondo tutto suo incapace di riconoscere le persone che gli stavano
attorno (amici o familiari che fossero), di interagire con loro. Come
se una bolla invisibile lo avvolgesse, tenendolo separato dal resto
dell'umanità, completamente isolato. Fortunatamente
possedeva ancora una certa autonomia che lo lasciava in grado di
occuparsi da solo della sua persona, le cose principali come mangiare,
pulirsi o vestirsi, erano azioni che ancora riusciva a compiere senza
bisogno di assistenza.
L’interazione con gli altri era il problema. Per quanto una
persona gli parlasse o gli stesse vicino, lui non sembrava percepirla.
Quel Takao che un tempo possedeva la capacità di scorgere
anche un uomo fantasma ora non avvertiva più neppure chi gli
stava di fronte.
A quel tempo Midorima si disperava chiedendosi perché quel
dio normalmente tanto menefreghista avesse deciso di porgere orecchio
proprio a quel desiderio.
Perché non aveva semplicemente ignorato le sue preghiere?
Era forse una sorta di punizione?
Shintaro si sentiva un verme, il senso di colpa lo attanagliava
ferendolo più volte come la lama affilata di un coltello, e
non tanto per Kazunari, il quale pareva non rendersi neppure conto di
essere al mondo, ma verso i suoi genitori, le vere vittime di tutta la
faccenda.
Già da qualche tempo i coniugi Takao si erano arresi
all'idea di perdere il figlio, ma quando esso era tornato a loro
svegliandosi dal proprio profondo sonno, per un momento, entrambi
sembravano aver ritrovato felicità e speranza in quel loro
piccolo miracolo.
Quegli istanti ebbero però vita breve.
Lo stato in cui versava il ragazzo era assai più
problematico di quanto non lo fosse il precedente e occuparsene
cercando di fornirgli tutte le cure adeguate si rivelò
difficile, estenuante per due persone che mai avevano preso in
considerazione la possibilità di cadere in una situazione
tanto tragica. Nonostante l’immenso amore che provavano per
il figlio non ebbero alternativa e, su consiglio dei medici (i quali
non lasciavano intendere molte possibilità di
miglioramento), fecero ricoverare Kazunari in un istituto di igiene
mentale. Lì, gli avrebbero fornito le giuste attenzioni e
tutto ciò di cui avesse avuto bisogno, o almeno cosi si
convinsero.
Sarebbe stato comunque molto di più di quanto avrebbero
potuto dargli loro.
Inizialmente, per vederlo, Shintaro era costretto ad accompagnare i
genitori del ragazzo nelle loro visite, non essendo un parente e
minorenne gli infermieri dell'istituto gli vietavano di incontrarlo, ma
alla lunga assistere alla riunione della famiglia Takao era divenuta
una scena straziante e insopportabile ai suoi occhi.
L'insensibilità di Kazunari di fronte ai suoi familiari,
alle lacrime perenni di sua madre e alla frustrazione (causata da un
senso d’inutilità), del padre, era qualcosa di
troppo crudele alla quale assistere. Ancor più struggente se
ci si accorgeva di quel velo di speranza che gli riempiva occhi, in
essi vi era sempre il muto desiderio che prima o poi Kazunari gli
accogliesse sorridendo, chiamandoli finalmente per nome,
riconoscendoli. Vedere come quella speranza venisse brutalmente
soppressa ad ogni nuova visita era un dolore angosciante.
Midorima non si sentiva partecipe di quella sofferenza, a confronto,
ciò che provava lui doveva apparire cosi vuoto, nullo, da
non dover neppur essere preso in considerazione.
Allo stesso modo però non sembrava pensarla il padre del
moro il quale, quando Shintaro compì i diciotto anni di
età (pur non avendo ancora raggiunto la completa
maturità), ottenne per lui una delega, in modo che potesse
far visita al figlio quando più desiderava. Midorima rimase
stupito da un simile gesto, ma ancora più dalle parole che,
insieme a quel dono, ricevette dall’uomo: "quando i loro
figli diventano adulti, i genitori, devono capire che è il
momento di farsi da parte... Per quanto Kazunari ci possa voler bene,
non siamo noi adesso le persone per lui più importanti." e
il suo sguardo era carico di sottointesi - impregnato com’era
di quell’immensa paura che assilla ogni genitore quando teme
per il futuro del proprio figlio -, l'espressione costantemente velata
da una profonda malinconia.
Shintaro capì che con quel gesto il signor Takao gli stava
facendo una richiesta: "Non abbandonare mio figlio, adesso
più che mai ha bisogno di te"; non essendo però
l'indole giapponese rivelare i propri veri sentimenti quelle parole
rimasero in sospeso, espresse solo dal volto sofferente di un padre che
si sentiva completamente inutile.
Da quel giorno, Midorima incontrava Kazunari ogni qual volta avesse un
momento libero. Aveva deciso di non deludere le aspettative di
quell’uomo, improvvisamente divenuto cosi vecchio e stanco in
quei pochi anni. In qualche modo si sentiva divenuto responsabile del
destino di Takao e per nulla al mondo lo avrebbe lasciato solo. Se era
stato veramente dio a realizzare il suo desiderio, riportandogli
indietro il ragazzo, allora lui avrebbe preso le proprie
responsabilità, occupandosene finché ne avesse
avuto bisogno, anche per il resto della vita.
Con il tempo Shintaro non aveva smesso di portargli dei regali e,
nonostante si fosse ripromesso di farla finita con gli oroscopi, ancora
continuava a collezionare i lucky item del giorno e seguiva
diligentemente i consigli della sua Ona Asa.
In quella data il portafortuna dello scorpione era un Tanuki, e nel
saperlo Midorima non aveva potuto evitarsi di sorridere, in un giorno
di non poi tanti anni prima quello stesso Tanuki era stato spettatore
della sua prima sconfitta con lo Shutokun, e l'inizio del suo
cambiamento come giocatore.
Da quel momento era partito un profondo esame di coscienza che l'aveva
spinto a far coppia con Takao, a stringere con lui un vero legame di
amicizia.
Sarebbe stato triste fare quel dono ad una persona che più
non serbava simili ricordi, ma si era rassegnato ad non riavere
più indietro il proprio compagno.
Gli avrebbe raccontato lui quegli avvenimenti, pur sapendo di non
essere ascoltato.
A passo sicuro Midorima si diresse nella stanza dell’amico,
ormai i muri dell’istituto gli erano divenuti familiari come
una seconda casa, abbastanza perché gli infermieri che
incontrò lungo il corridoio lo salutassero con
familiarità, quasi fosse un loro collega.
Fatto in realtà non molto lontano dalla realtà,
essendo divenuto da qualche tempo uno specializzando in medicina.
- Ciao Takao – lo salutò annunciandosi, varcando
lentamente la soglia della camera temendo altrimenti di spaventarlo nel
giungere all’improvviso, la statuetta del vecchio procione
stretta forte al petto sino a rendesi le nocche bianche. Un leggero
malessere aveva preso a torturagli la bocca della stomaco, rendendolo
teso e coprendogli la fronte di un leggero strato di sudore.
Come sempre il corvino non gli diede risposta, lo sguardo perso,
incantato ad osservare i granelli di polvere che danzavano di fronte a
lui. Gli ultimi raggi di un sole morente penetravano di sbieco nella
stanza, grazie alla larga finestra che occupava la parete di fronte
(protetta da inferiate), illuminando e facendo brillare di un intenso
color aranciato quelle piccole scorie di pelle morta.
- Come ti senti? – era sua abitudine fargli della domande,
cercando di imporgli una conversazione, ma l’altro
rimaneva tacito ed immobile nel suo mutismo, - Ti trovo bene
– menti avvicinandosi, sedendosi al suo fianco.
La camera in cui Kazunari aveva passato quei suoi ultimi anni di vita
non aveva a disposizione molto mobilio: una poltrona (in quel momento
occupata da Takao), una scrivania con sedia annessa (quella su cui era
solito prendere posto Midorima), e un letto; non vi era altro,
né alcuna decorazione, accessorio o gingillo inutile che
potesse dare un qualche indizio sul carattere della persona che
l’occupava.
Takao sembrava limitarsi ad aspettare, gli occhi completamente vuoti e
privi di vita, solitamente rimaneva seduto e attendeva, che cosa poi
nessuno l’aveva mai compreso. Forse semplicemente
l’arrivo di qualcuno in grado di rompere quella spessa
armatura di cui era ricoperto, estraendolo cosi finalmente da
quell’isolamento nel quale era piombato.
Questo era però il pensiero di Midorima, che sempre tendeva
a dare un tono quasi fiabesco (o comunque romantico), alla situazione,
quasi in realtà Takao fosse un principessa da salvare.
Era il suo metodo di difesa per non impazzire, per non cadere nella
depressione come era invece accaduto al padre del ragazzo che,
sentendosi un incapace nel prendersi cura del figlio, aveva finito con
il cadere nel vortice dell’alcool e degli psicofarmaci.
E al meno quell’idea gli faceva credere che Kazunari avesse
una qualche possibilità di essere liberato, risvegliato dal
malevolo incantesimo di cui era vittima.
- Oh… Si è fatto tardi –
commentò Shintaro guardando l’orologio, aveva
trascorso le ultime due ore a raccontare all’amico quegli
eventi che li avevano portati al terzo posto della Winter CUP.
Come un vecchietto si era perso nel viale dei ricordi, ritrovandosi a
rivangare, dopo tutto quel tempo, quelle memorie che più non
aveva toccato da quando aveva perso chi in quei momenti gli era stato
affianco. Il passato gli faceva male, poiché il presente gli
pareva cosi misero se messo a confronto, ma per una volta il suo cuore
non sembrò soffrirne. Anzi, la nostalgia si era di colpo
tramutata in un sentimento piacevole e poco importava se nessuno delle
sue parole avesse realmente raggiunto Takao. Lo aveva appena incontrato
(ma sta volta quello vero), nella sua mente.
Con divertimento aveva parlato di quei allenamenti estenuanti, in cui
avevano sviluppato la loro affinità e quella fiducia tipica
che si creava tra compagni di squadra (anche se a dire il vero la loro
l’aveva sempre considerata un po’ speciale), cosi
da creare un attacco invincibile con cui sfruttare le sue
abilità di tiratore e smorzarne il difetto del tempo - non
era semplice calcolare la traiettoria di simili lanci in una manciata
di secondi.
Ora una luna d’argento solcava una notte le cui nubi ne
occultavano a tratti lo splendore, e delle luci al neon illuminavano la
stanza.
- Quasi dimenticavo di darti questo – aggiunse Midorima
facendo per alzarsi dalla sedia, porgendogli allo stesso tempo il
Tanuki che aveva portato con se, glielo appoggio sulle gambe, in modo
che ne avvertisse la presenza, e subito Kazunari sembrò
provare nei suoi confronti un certo interesse.
Nel guardarlo il ragazzo dalle ciglia lunghe avverti una stretta al
cuore e un sorriso colmo di rammarico gli solcò le labbra,
per lo meno i suoi lucky item sembravano renderlo felice,
constatò, seppur consapevole che simili oggetti avevano vita
breve. Takao finiva sempre con il distruggerli.
– Bene… Ciao Takao – si
congedò prendendo la porta, dandogli le spalle mentre il
ragazzo esamina colmo di meraviglia quell’oggetto a lui
sconosciuto.
- Quando
uscirò di qui, ti va di allenarci un po' a basket, Shin-chan?-
Di colpo Midorima si bloccò sulla porta, il corpo rigido, la
mano ancora sulla maniglia, un senso di gelo gli aveva attraversato le
vene.
- Mi stai ascoltando
Shin-chan?.. Ehi, ma dopo tutto questo tempo ce l’hai ancora
il risciò? –
Con lo stomaco colmo di pietre Shintaro si voltò verso il
compagno e un altro sorriso gli si dipinse sul viso.
Takao non aveva pronunciato parola, rimaneva ancora fermo a giocare con
il procione che gli aveva regalato. Il cuore mente e la mente illude.
Nuovamente Shintaro fece per andarsene.
- Allora Shin-chan!..
Hai voglia di giocare un po’ a basket o no?
–
Perché creare simili bugie?.. Per sopravvivere, si rispose.
Il sorriso di Midorima si allargò mentre le lacrime gli
pungevano gli occhi, sta volta non cedette, e facendo forza su se
stesso si impose di rimanere a fissare la superficie della porta.
Non voltarti, non
voltarti, non voltarti, si ripeteva mentalmente come una
litania.
Girarsi e ammettere nuovamente che tutto fosse solo una menzogna faceva
troppo male.
Vedere per l'ennesima volta quell'espressione vuota, completamente
assente, incapace di percepirlo in alcun modo era qualcosa di troppo
terribile da sopportare. Non voleva scoprire come quella voce che aveva
udito altro non fosse se non il miraggio di un suo ricordo, evocato da
una mente pronta al collasso.
Allucinazioni uditive causate dalla stress.
Gliene aveva parlato una volta un suo professore, non erano poi cosi
rare per chi come lui era appena divenuto uno specializzando.
La mente tende a crearle quando si trova incapace di affrontare
ciò che gli si para di fronte.
Aveva commesso un errore. Ricordare il passato non era mai un bene. Il
suo cervello finiva con il trascinarsi dietro quelle crudeli illusioni,
le quali apparivano cosi reali da sembrare che bastasse allungare una
mano per afferrarle e renderle tali.
Forse proprio per questo se ne era volutamente scordato.
- Certo Takao, quando
uscirai di qui faremo tutto ciò che vorrai –
rispose al nulla.
Cosi da poterle rievocare.
Midorima pianse nel lasciare la stanza, ma nessuno parve accorgersene.
Nessuno vedeva la voragine oscura in cui il ragazzo rischiava di
perdersi.
Vedere Kazunari lo stava distruggendo, poco a poco, eppure non poteva
evitarsi di venirlo a trovare. Qualcosa in lui continuava a credere che
un giorno Takao, il SUO Takao, sarebbe tornato.
Nella parte più profondo di sé lo credeva ancora.
[Sperare é
nella natura dell'essere umano.
Qualcosa di radicato nel
suo animo che, per quanti tentativi si facciano, non ci si
può impedire di fare.
Siamo tutti condannati a
sperare sempre in un domani migliore, ad un futuro più
prospero, è il nostro modo di sopravvivere.
L’unico che conosciamo.]
---
*: Questa
frase non centra nulla con la storia, ma mi sembrava rispecchiasse a
pieno la natura di Midorima xP
E finalmente ho finito!
Ciò lavorato una vita, e ancora vorrei cambiarlo un altro
centinaio di volte, ma credo che per quanto m’impegni non
troverò mai qualcosa che mi soddisfi del tutto.
Il problema è che io non sono un grande esperto di storie
tristi (di solito le evito) e, quindi, mi sono trovato un po’
in difficoltà nel creare questo finale.
Spero di non avervi deluso e che, questo capitolo, sia degno delle
volte aspettative.
Come ultima cosa RINGRAZIO chi mi ha seguito fin qui, a Dihanabi e ad Elsa Maria che hanno
messo questa mia misera FF tra le preferite; a
G3nny-sama e a Lord Okita per
averla aggiunte tra le ricordate e a tutti quelli che hanno avuto il
coraggio di leggerla, DAAAAAAAAaaanke!!
Alla prossima (^3^)//
e Godetevela!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1986314
|