Los Angeles 2004

di Neal C_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ottobre 2004 ***
Capitolo 2: *** Complicazioni ***
Capitolo 3: *** E dopo le punizioni la resa... ***
Capitolo 4: *** Concerti e fughe rocambolesche ***
Capitolo 5: *** Figli, che calamità... ***
Capitolo 6: *** Sorprese ***



Capitolo 1
*** Ottobre 2004 ***


Los Angeles 2004


WARNING: Questa Fanfiction è collegata ad un’altra “Pinole Valley 1989-1990” e ne è il seguito.
In linea di massima si dovrebbe poter leggere tranquillamente anche da sola e per qualunque chiarimento potete sempre chiedere. Comunque se vi incuriosisce e volete saperne di più su Virginia Foster e la sua benedetta adolescenza, potete sempre farci un salto.

Ottobre 2004

Finalmente casa.
Torno da un viaggio in macchina quasi avvilente su queste benedette autostrade californiane dove avrò rischiato la vita almeno un paio di volte e un qualunque vigile mi avrebbe multato perché “ostacolavo la circolazione”; non ci posso fare niente, non ce la faccio ad andare a centoventi all’ora come tutti quei pazzi che si scapicollano in autostrada solo perché “l’autostrada è l’autostrada, babe, mica un’insulsa stradina di città”.
A San Francisco ho lasciato i miei colleghi che discutevano su quanto potesse essere affascinante il processo di metastasi delle cellule epiteliali ma, per quanto possa essere interessante io ho ribadito che il week-end sarei tornata a LA, costi quel che costi.
è il compleanno di Ronnie e io voglio esserci.
Purtroppo ogni anno, in Ottobre, cominciano una serie di conferenze e corsi di aggiornamento per la prevenzione del cancro al seno e alle ovaie e io non posso mancare: è il mio lavoro.
Per due anni consecutivi sono mancata al compleanno di mio figlio, il secondo, Ronnie James.
Si, esatto, come Ronnie James Dio.
Non ne parliamo che è meglio altrimenti appena arrivo a casa finirò per litigare con mio marito.
Diciamo che sono abbastanza nervosa per incazzarmi per queste scemenze.
D’altra parte non avrei mai immaginato di perdere il mio tempo in coda, per prendere l’uscita dell’autostrada. Maledetto traffico cittadino.
Un’altra cosa che mi premeva era di arrivare in tempo per prendere Alice da scuola.
Almeno per la mia prima figlia sono riuscita a scegliere io il nome, evitando che si chiamasse come qualche altra rockstar che infesta casa nostra.
Diciamo che non sono una che si smentisce.
Non ascoltavo musica a diciott’anni e non ne ascolto nemmeno adesso che ne ho trentaquattro.
Tranne qualche concerto per pianoforte e per violino di Bach, la “pastorale” di Beethoven, la “Rapsodia in Blue” di Gershwin o qualche sinfonia di Mozart e Mahler.
Insomma si contano sulle dita della mano.
Tra l’altro la cosa pericolosa di Juls, mio marito, è che con la sua passione per il rock e il blues comincia a contagiare anche Alice.
Va bene, forse “contagiare” è un po’ troppo terroristico come termine ma in fondo siamo in tempi di guerra, “esportiamo la democrazia” e del terrorismo sentiamo parlare almeno sei volte al giorno su quattro servizi giornalistici diversi*. Insomma và di moda.

Mi scappa un sorriso.
Se penso a cosa non ha fatto Juls per convincermi a non votare Bush.
Non che io avessi le idee chiare per carità. Ma Al Gore* insomma non mi stavano particolarmente simpatici nessuno dei due. Forse avrei preferito non votare, ecco la verità.
Uno è un farabutto, l’altro non è molto meglio, anzi è anche più incapace.
Ma su una cosa aveva ragione mio marito (miracolo!): questa storia dell’esportazione della democrazia è vergognosa, è un insulto all’intelligenza dell’americano.
Meglio che torno a concentrarmi sulla strada altrimenti mancherò la traversa della scuola di Alice.

Non amo Los Angeles. Non è una bella città, è piena di cemento, incasinata come non mai, e seguire il traffico è a dir poco stressante.
Per non parlare di insegne, luci colorate, cartelloni pubblicitari elettronici che la rendono una specie di circo ambulante. Alcune strade sono squallide, specie nel centro, e non brilla per la pulizia.
Quando mi ci sono trasferita, praticamente quindici anni fa, appena diciottenne non ci facevo caso.
Era una metropoli, più grande di Berlino, la mia città di origine,  mastodontica rispetto a Rodeo e Berkeley, dove ho fatto il mio ultimo anno di liceo.
Quello che mi interessava era fare l’università, laurearmi in medicina all’UCLA*, specializzarmi nella cura del cancro al seno e alle ovaie e aprire uno studio di ginecologia privato.
All’epoca l’appartamento era davvero un buco, un monolocale con angolo cottura e un bagno, al centro della città, anzi a poche strade dall’università.
E a me stava bene così.
Poi tutto è diventato più complicato, con l’arrivo di Alice.

Avevo detto che non avrei fatto un figlio a vent’anni neanche morta ammazzata.
Beh, mi sbagliavo.
A ventun’anni ero già incinta e stavo sostenendo degli esami infernali.
Fortunatamente Alice l’ho partorita ad Agosto, mese in cui l’università chiude i battenti.
Poi Ronnie tre anni dopo.
Io e Juls ci siamo sposati proprio nel luglio del ’93 un mese prima che arrivasse Alice.
Ricordo la faccia di mio padre: era verde.
Non di rabbia altrimenti certo non mi avrebbe finanziato: alla fine è grazie a lui che adesso abitiamo in una casa da sogno nella periferia-bene di LA, con giardino, posto auto, spaziosa con tutte le comodità possibili ed immaginabili.
Credo fosse terrorizzato, probabilmente anche più di me e Juls.
I miei sono stati molto pazienti i primi anni.
C’è stato un periodo in cui mi sono praticamente dimenticata della mia famiglia, di Franz, il mio fratellino, che cresceva dando loro non so quanti grattacapi, persino di Frank e il figlio, Dominic, con cui tutt’ora i miei sono in ottimi rapporti.
Io e Frank non ci siamo mai chiariti veramente.
Tutt’oggi evitiamo di parlarne, lui forse per imbarazzo, io per non metterlo in difficoltà:

questo disagio è nato con una mia ragazzata, quindici anni fa, quando lo accusai di farsi mia madre che allora portava in grembo Franz.
Come posso aver pensato che mia madre, al settimo mese, andasse a letto con qualcuno non lo so.
Adesso sono abbastanza scettica, ma preferisco non tirare in ballo il discorso, ai pranzi di famiglia.
Uff, sono successe anche troppe cose.
E adesso devo affrontare il tornado-Alice che cresce sempre di più e io non riesco a starle dietro.
Una settimana fa, prima di partire, si era fissata con una canzone che ascoltava continuamente, in modo quasi ossessivo.
Sentivo per la casa la vocetta di uno sbarbatello che non faceva altro che ripetere “What’s my age again? What’s my age again*?” e mi dicevo fra me e me che non me ne fregava un bel niente di quanti anni avesse, purché stesse zitto e buono.
Alle volte, anzi, è quasi piacevole uscire da quella casa perché tutta quella musica diventa un incubo.
Ho chiesto tante volte a mia figlia, forse un po’ ironica, che cosa ci sia che non va nel silenzio, ma lei si è sempre limitata a scuotere la testa, scrollare le spalle, e qualche volta faceva pure l’offesa quando coglieva la mia presa in giro

Fermo davanti alla  John Marshal High School.
Quest’auto non è molto riconoscibile, è una semplice Citroen Xara Picasso, una come tante, ma solo io arrivo così in ritardo quindi non mi pongo il problema.
Il cortile della scuola è quasi semivuoto, i ragazzi saranno usciti da più di mezz’ora e non mi è difficile riconoscere la figuretta di mia figlia e della sua amichetta Charlotte, sedute sul muretto del cortile che chiacchierano, probabilmente di qualche nuovo cantante o attore, o di quello e quell’altro musical che danno al Pantages Theatre* .
Busso per attirare la loro attenzione e mi aspetto che Alice saluti l’amica e mi raggiunga di corsa.
Il copione è praticamente il solito, però stavolta non gira così.
Alice apre la portiera e si infila insieme all’amica sul sedile posteriore.

“Ciao, mamma!”
“Ciao Charlotte, come va?
Tesoro, com’è andata questa settimana senza di me?”
“Salve, signora Foster.”
“Mamma, come al solito e forse meglio perché abbiamo mangiato cinese per due giorni.”
“Grazie cara, troppo gentile.
Cinese?! A casa papà mi sente!”

A proposito perché quella benedetta ragazza mi chiama ancora “signora Foster”?!
Ci conosciamo da almeno cinque anni! E ogni volta che sparisco per un po’ mi fa questa storia!
Ogni dannato giorno io passo a prendere Alice e, ogni volta che devono studiare insieme, scarrozzo anche lei. Possibile che questa ragazza ancora non si sia imparata a chiamarmi Virginia e a darmi del tu?! Ho trentaquattro anni, cristo, non settantaquattro.

“Ma che fai, Charlotte, mi chiami per cognome?
Io sono sempre Virginia, honey, anche se non ci vediamo da una settimana!”

Eccola che arrossisce, lei e quelle guancie paffute. Che differenza abissale con mia figlia.
Ovviamente Alice mi assomiglia parecchio, anche troppo.
è un’acciuga che non ha nemmeno una prima ed è un po’ pallida.
Fortunatamente ha preso da Juls i folti capelli scuri che ha, le labbra che non sono due sottilette come le mie, ha un garbato nasino e un’altezza che si rispetti.
Poi ci sono i miei occhi verdi.
Direi che è stata piuttosto fortunata, anche perché Ronnie è un po’ tappo, come me.
E ovviamente sono adorabili, meravigliosi, ma io sono di parte.

“Si, scusi...cioè, scusa, Vig, hai ragione. ”
“Ecco brava così andiamo molto meglio.”
“E chiamami Charlie che Charlotte è orribile, fa troppo Sex&City!”
“Beh, a me piace Sex&City!”
“Ah...ok...”

Ecco una delle tipiche gaffe che ogni tanto fa Charlotte o Charlie, come diavolo vuole.
Per lei ciò che non è nero è bianco, ha solo grandi sicurezze, idoli meravigliosi che poi vengono dimenticati per fare posto a nuovi dei, i cui poster tappezzano le pareti di camera sua e da poco tempo anche di camera di mia figlia. Almeno lei si limitava alle fotografie, ma ultimamente mi sa che si sta facendo influenzare un po’ troppo.
Poi ovviamente veste sempre di nero, con borchie, catene, anfibi, calze a rete, roba di pelle.
Tutti io li trovo. Non solo la mia gioventù è stata costellata di gente simile ma anche la mia vecchiaia lo deve essere.
Bene, adesso mi sto ufficialmente lamentando.

“Mamma, possiamo passare da Larry?”
“Amore, cosa devi fare da Larry?”
“E dai!!! TipregoTipregoTipregoTiprego!”
“Prima dimmi che cosa hai ordinato e poi ne parliamo...”
“Ho ordinato un nuovo CD dei Nirvana e...”
“Alice, grazie a tuo padre e alla sua scelleratezza, abbiamo la discografia intera dei Nirvana, è anche originale!”
“Ma mamma, quella è su vinile! Io voglio i Cd altrimenti come faccio a metterle sull’Ipod e a passarle a Charlie.”
“L’Ipod?! Ma non abbiamo detto –nienteIpod- prima dei quindici anni?!”
“Me l’ha preso papà.”
“...”

Va bene, appena arrivo a casa devo fare una storia a Juls che non finisce più:
Ok, le ha fatto mangiare cinese.
Ok, le ha comprato quella benedetta maglietta dei Led Zeppelin che lei desiderava e che adesso indossa fiera, alla faccia mia, spendendo buoni quarantadue dollari per quella schifezza, con un finto autografo sopra.
Ma l’Ipod no.
Adesso mia figlia si deve rimbambire anche mentre va a scuola, con quella stupida musica nelle orecchie?!
Ma quante volte avrò detto che le vibrazioni possono essere cancerogene?!
è lo stesso discorso del cellulare nelle tasche!
Ho in cura un caso di cancro alle ovaie per questa scemenza! Non è uno scherzo!

“Allora mamma, Larry?”
“No, amore, sono stanca, prima andiamo a casa, poi litigo con tuo padre e poi vediamo questo fatto di Larry, va bene?”
“No! E dai! Tipreeeeegooo!!!”
“Alice, per piacere.”
“Che palle che sei mamma.”
“Modera le parole e i toni.”
“Aehm...scusate...”

Con la vocina fioca fioca anche Charlie si unisce alla tipica conversazione fra la mamma-rompipalle che sarei io, e la figlia-esosa-pretenziosa che sarebbe lei.

Voglio proprio vedere che dirà, viste le sue scarse capacità diplomatiche.

“Calma, Lys ok? Magari facciamo un’altra volta ok?”
“Uff...”
“Piuttosto, Vig, sarebbe un problema mettere un po’ di musica? Io mi sento male in macchina se non canto.”

Annuisco, alzando gli occhi al cielo.
Ovviamente la sceglieranno loro la musica.
Charlie si porta sempre appresso un vecchio walkman e un porta-cd stracolmo a cui attingiamo ogni volta che andiamo in macchina.
Alcune volte le scongiuro di mettere qualcosa di tranquillo, perché non ce la faccio a sopportare anche l’urlo di chissà quale cantante rock, loro idolo.
Mi porgono un disco, non lo guardo nemmeno e lo infilo dentro.
Improvvisamente ne esce lo strimpellare di una chitarra elettrica che esplode nelle mie orecchie.
MEIN GOTT, IL VOLUME!!!
Quando finalmente metto a tacere quell’inferno, abbassando lo stereo, ecco che quelle due cominciano a battere le mani e a strillare, tutte eccitate:

Don't want to be an American idiot.
Don't want a nation under the new media
And can you hear the sound of hysteria?
The subliminal mind fuck America.

La violenza di queste parole mi colpisce come il gong.
Aspetta aspetta... fuck?
Non voglio schifezze sboccate nella mia macchina, nel mio stereo!
E mia figlia la sta pure cantando, insieme a quell’altra lì!

Welcome to a new kind of tension.
All across the alienation.
Everything isn't meant to be okay.
Television dreams of tomorrow.
We're not the ones who're meant to follow.
For that's enough to argue

E poi è terribilmente ripetitivo. Sembrano sempre i soliti quattro accordi!
Certo le parole sembrano proprio adattarsi a questa America.
Sarà stata appena scritta. Sarà uno dei biondini che piacciono tanto a Charlie.
Che danno quella ragazza, ogni settimana uno nuovo?!

Well maybe I'm the faggot America.
I'm not a part of a redneck agenda.
Now
everybody do the propaganda.
And sing along in the age of paranoia

Ne ho abbastanza.
Spengo lo stereo lasciando allibita mia figlia e la sua amichetta che mi guardano come se fossi un’eretica.
Adesso, cominceranno le urla di protesta, come da copione.

“Mamma! Perché hai spento?!?! Rimetti subito!!!”
“Amore, è una schifezza. È una roba rumorosa, violenta, probabilmente scritta da qualche pazzo scatenato, un satanista, e anche un maleducato che non conosce altro che le parolacce.
magari è anche analfabeta! Non c’è bisogno di saper suonare per fare una cosa del genere!
Scommetto che tuo padre saprebbe rifartela tutta al piano, alla chitarra o anche al basso.”
“Ma se ha appena iniziato a studiarlo!”
“Appunto, una roba per dementi, per celenterati, per cogli...”

E qua mi blocco.
Mi stava scappando un bel “coglioni” che avrebbe mandato in visibilio le due ragazze.
Speriamo che non se ne accorgano.
Dopo tutto il discorsetto che ho fatto su quell’idiota lì che urlava volgarità nel suo microfono ci manca solo questo...

“Mamma, stavi dicendo coglioni!
Anche tu dici un sacco di parolacce, e papà mi ha raccontato che eri peggio di un carrettiere quando vi siete conosciuti!”

Mio marito è un uomo morto. Tra l’altro non è affatto vero!
è stata colpa sua e dei suoi amichetti se io sono diventata una specie di ragazzaccio di strada.
Credo che  l’anno scolastico 1989-1990 sia stato il periodo più sboccato della mia vita.
Ho continuato ad usare espressioni più o meno turpi per i due anni successivi, poi pian piano, ho perso questa pessima abitudine.
Ma adesso devo immediatamente smentire questa ragazzina impudente che prima o poi finirà per farmi perdere la pazienza. Tra l’altro ha un gusto per la polemica che non è né mio né di Juls.
Beh, forse un po’ è mio, ma  io non sono così...così, ecco.

“Ragazzina, non mi interessa quello che dice papà, quello che ho fatto da giovane e blablabla.
Con Charlie e con i tuoi amichetti puoi dire tutte le volgarità che vuoi, ma con me devi essere assolutamente ineccepibile, perché sono tua madre e per questo non sopporterò schifezze come la...COSA che abbiamo sentito prima.”
“Non è una schifezza!”
“Oh, immagino sia una grande opera musicale invece.”
“Sono i Green Day!”
“Mah, chi saranno al confronto Keith Jarret, Miles Davis e Charlie Parker*? Gli ultimi arrivati!
Invece i Green Davis o come diamine si chiamano, sono dei grandi classici.”

“Green Day, non Davis!”

 

Con la coda nell’occhio vedo che mia figlia comincia a scaldarsi.
In questo è un po’ simile al padre. Le manca il mio sarcasmo ma quando afferra l’ironia  comincia ad innervosirsi. Tra l’altro so che non dovrei provocarla, perché questo potrebbe portarmi un sacco di guai ma sinceramente non mi interessa.
Fino ad adesso l’ho sempre avuta vinta io.
Anche quando faceva la sostenuta e litigavamo furiosamente, poi lei veniva sempre a scusarsi, prometteva di non aggredirmi più, di essere meno impulsiva la prossima volta e pensare prima di parlare. Poi puntualmente si dimenticava la famosa promessa ed eravamo punto e a capo.
Uff, io non sono mai stata così complicata!

È proprio vero che tra l’insoddisfazione e la pigrizia i ragazzi di oggi diventano insopportabili!
E le richieste! Continue richieste!
Cristo santo, se non avevo qualcosa me la guadagnavo, a modo mio, studiando come una pazza, chiedendo ai miei amici e, una volta all’università, cercavo sempre un lavoro per avere un mio stipendio.
Invece no. Ormai ho capito la strategia.
Alice viene da me, controlla se sono di buon umore e poi mi espone la sua richiesta.
La prima volta, la seconda volta, la terza volta.
Poi aspetta che io sparisca dalla circolazione e va subito a chiedere al papà.
E in quel caso non c’è nemmeno bisogno di una prima volta.
Così è stato per il cellulare, il buco alle orecchie, il computer, la cartella nuova quando la vecchia era in ottimo stato, il monopattino, l’altalena in giardino quattro anni fa, e la piscinetta di gomma, sei anni fa.
Non parliamo dei Cd. Per quello ha perso anche l’abitudine di chiedere.
Tanto qualunque cosa porti a casa, poi bussa da suo padre, che in genere sta là a strimpellare qualcosa o a leggere tesi di alunni piene di note, chiavi di violino, di basso e cose simili, entra e si intrattengono davanti ad uno stereo Bose che ci è costato un patrimonio, ad ascoltare il nuovo cd.
Nessuno ha preso la mia passione per la lettura.

Forse Ronnie ma è troppo presto per dirlo.
Il pediatra si è complimentato con me perché il bambino legge molto più di quanto non facciano altri alla sua età. Ama le storie di Roal Dahl alla follia, se le faceva leggere prima di andare a letto e oggi le divora, rileggendo più volte gli stessi titoli.

 
“Aehm...Vig?”
“Si, Charlie?”
“Non mi sento molto bene.”
“Vuoi che apra il finestrino?”
“Si, per favore. Non è che si può rimettere un po’ di musica?”
“Non quella schifezza di prima.”
“Beh, posso farti sentire una cosa più...tranquilla.”
“Ecco, brava...”
“Però è sempre quello il Cd.”
“Ah...proviamo...altrimenti tolgo tutto, eh.”
“Grazie. Traccia 11.”

Reinserisco quel benedetto Cd e mi soffermo  per un attimo a guardare la copertina nera, con una mano bianca che regge una chiave rossa, in bianco il nome del gruppo, questi “Green Day” e in rosso il titolo dell’album, “American Idiot”.

Poi prende l’avvio una chitarra acustica che pizzica una specie di litania e subito attacca una voce leggermente roca, dolce per essere quella di un uomo.

Summer has come and passed,
the innocent can never last,

Wake me up when September ends.
Like my father’s come to pass,
seven years has gone so fast,

Wake me up when September ends

Tra l’altro non mi è completamente sconosciuta questa voce.
Eppure io non conosco assolutamente nessun cantante di persona, tanto meno una rockstar che protesta contro il mondo.
Non so cosa mi ricordi ma sarò io che sono completamente stonata.
Dove l’avrò sentita? Magari questi tizi hanno scritto qualche altra canzone famosa o cosa?

“Mamma, è verde!”
“Cosa...? Oddio, si.”
“Che accidenti stavi pensando?! Ma guarda la strada piuttosto!”
“Tesoro, tu hai altri cd di questi Green Day?”
“No. In realtà me li ha fatti conoscere Charlie, una settimana fa.”

Una settimana per impararsi un cd a memoria.
Mia figlia fa progressi non c’è che dire.
Eppure io sento che qualcosa di questa voce mi è familiare.
E non mi viene in mente, dannazione.

“Uhm...sono americani, giusto?”
“Si, vengono da una cittadina sperduta della California, Berkeley, se non sbaglio.
Lys, abbassi un po’ il finestrino?”
“Berkeley?”
“Charlie, mamma è vissuta a Berkeley per un anno.”
“Non esattamente a Berkeley, tesoro, a Rodeo.”
“Ecco, infatti, anche loro vengono da lì!”
“I Green Day?”
“Eh, si. Adesso mi pare che stiano qui a Los Angeles, da qualche parte.”
“Uhm. E come li hai scoperti?”
“Beh, li stanno trasmettendo su tutte le radio. E poi mia sorella è innamorata del cantante!”
“Ah si?”
“Si, continua a parlare e a straparlare del suo Billie, di quanto sia bravo, di quanto sia bello, colleziona le interviste, i dischi, registra i programmi televisivi, sa tutto su quando si terranno tour, concerti, eventi e cose del genere. Se l’è attaccato sul frigo, Billie, perché le dia il buongiorno tutte le mattine, quando prende il latte per i cereali.”
“Capisco. E anche tu sei innamorata di lui?”
“No, a me piace Mike!”
“Chi?”
“Il bassista.”

Billie, il cantante.
Mike, il bassista.
Vivevano a Rodeo, Berkeley, in California.
Coincidenze?

“Mike come?”
“Mike Dirnt. E poi c’è Tré, Tré Cool.”
“Hai detto Dirnt?! Proprio così?! D-I-R-N-T?!”
“Beh, si.”
“E per caso fa Pritchard di cognome?!”
“Beh, in realtà non lo so...mia sorella forse lo saprebbe.”
“E il tuo Billie ha per secondo nome Joe e fa di cognome Armstrong?”
“Si, proprio lui! Lo conosci?”
“Anche meglio di quanto pensi.”

Sono gli Sweet Children.
Non ci posso credere.
Quei coglioni ce l’hanno fatta.



Note

* Siamo nel 2004, tre anni dopo l’attentato alle Twin Towers, le torri gemelle, in piena amministrazione Bush che porta avanti la sua campagna contro il terrorismo e sostiene che è dovere dell’America “esportare” la democrazia in paesi come l’Afghanistan o l’Iraq, invaso nel 2003, per “liberarlo” da Saddam Hussein, considerato un pericoloso dittatore in combutta con Al Quaeda e Bin Laden. Il pretesto per l’invasione è stata la falsa notizia che Saddam Hussein nascondesse in Iraq armi di distruzione di massa. 


* Il 2003 è stato l’anno delle presidenziali in America a cui si sono presentati George W. Bush, candidato dei repubblicani e Al Gore, candidato dei democratici. Inutile dire che ha vinto Bush e i risultati disastrosi si sono visti <.<

* University of California, famosa università californiana a Los Angeles

* Canzone dei Blink 182 “What’s my age again”

 

* Teatro di Los Angeles, famoso per i musical.

 

* Keith Jarret, Miles Davis e Charlie Parker: Personaggi che hanno fatto la storia del Jazz.
Jarret al piano, Davis con la tromba e Parker al sassofono.


Angolo dell’autrice

Buondì a tutti, vecchi conoscenti e nuovi arrivati.
Mentre stavo scrivendo l’ultimo chappy di “Pinole Valley 1989-1990” non facevo che pensare a questa scena. So che può apparire un po’ scontata, letta così, ma assume tutto un altro significato se inserita nel contesto della fic precedente. O almeno spero xD
Per intenderci non ho intenzione di scrivere una quindicina di capitoli o qualcosa del genere, non ho in cantiere una vera e propria storia. Solo non riuscivo a togliermela da testa e non riuscivo a non pensare “Ma se all’alba dei loro trentacinque anni, tutti quanti adulti, vaccinati e realizzati si ritrovassero?”.
Poi magari si trasformerà in un’occasione per scrivere una “family fiction”, come le chiamo io, una di quelle fic in cui si descrive la vita quotidiana delle rockstar in questione, che sono davvero poche eppure sono il mio genere preferito in questo fandom.

Ebbene si, mi sto cimentando ù.ù

Dunque vediamo un po’ come gira...brutta cosa la nostalgia...bisogna saper lasciare andare i propri personaggi...
+ dice mentre il cervelluzzo comincia a farsi tutti i film mentali di questo mondo adesso che ha una nuova storiella
Et donc, people, alla prossima, fatemi sapé che ne pensate!

Misa

P.s  scusatemi, si lo so, nelle mie fic ricorre spesso “American Idiot”(come ad esempio nella One-shot: Bullet in a Bible, Overture ) ma stavolta non è colpa mia se la prima canzone del Cd “American Idiot” è quella omonima.
Per quanto riguarda “Wake me up when September ends” l’ho scelta perché è la più “tranquilla” dell’album e la voce di BJ si distingue abbastanza bene perché possa fare al caso mio xD.

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Capitolo 2
*** Complicazioni ***



Complicazioni



Sono appena venuta a conoscenza di un dettaglio tutt’altro che trascurabile: Charlie rimarrà ospite da
noi per almeno una settimana perché i suoi genitori sono dovuti partire per l’Europa, con grande urgenza.
Pare che in famiglia ci siano stati parecchi problemi di salute, e adesso una loro vecchia parente dovrà sostenere una gravosa operazione al fegato.
Charlie è figlia di emigrati spagnoli, gente davvero sfortunata, aggiungerei visto che la madre di lei ha gravi problemi di cirrosi epatica e il padre comincia a manifestare frequenti crisi di Alzhaimer.
Forse una settimana non gli basterà nemmeno per risolvere questo genere di problemi e quando hanno dovuto sistemare le figlie, Alice si è subito offerta di ospitare l’amica e ovviamente Juls ha subito acconsentito.
Eppure io avrei preferito un po’ di calma in casa, specie per il compleanno di Ronnie.
Ovviamente mio marito non ha organizzato un bel niente, ci mancherebbe altro che pensasse a qualcosa che non sia la sua musica.
Quello che è preoccupante è che è stata Alice a prendere in mano la situazione.
Ha chiamato l’Hard Rock Caffè e ha organizzato la festa del fratellino in ogni dettaglio.
Ci farà spendere un accidente! Perfino il padre ha storto il naso quando mia figlia gli ha comunicato a chi avrebbe dovuto aprire il suo conto in banca.
è stato inutile tentare di spiegare a Alice che un locale di rock underground è completamente diverso da una firma di invenzione americana che specula sulla così detta musica “rock”, che è una manovra commerciale con tanto di gadget, e non so che altro.
Sinceramente l’unica cosa che so è che lì una bibita ti costa dai cinque dollari in su ed è una cosa vergognosa.
Dove andavo io, al Rod*, la cosa più costosa era il famoso Burrito e veniva tipo quattro dollari, ma era un piatto completo con fagioli arrostiti!
Tra l’altro pare che vada di moda farla lì quindi Ronnie è stato ben contento di sbandierare al mondo intero che la sua festa si faceva là e si è fatto tanti di quei pianti per convincere Juls.
Mio marito, che ha sempre avuto l’aria del duro ma in realtà vale quanto il ripieno dei bastoncini Findus, alla fine ha acconsentito e quindi non c’è stato nulla da fare.
Un altro motivo per litigare.
Ecco, non sono io la stronza che ha sempre qualcosa da ridire, sono anche loro che fanno certe idiozie allucinanti!

E alla fine abbiamo discusso sul serio e gli ho rivomitato addosso sempre le stesse raccomandazioni:

-I bambini devono mangiare sano! So che lui ama sperimentare nuove cucine ma non voglio che i miei ragazzi diventino come quelle botti che vedo girare in giro per Los Angeles, l’emblema del ragazzino americano obeso, non lo accetto!
- Che metta una buona parola con Alice, per amor del cielo!
Non può ordinare da Larry un Cd a settimana, se non al giorno. Deve darci un taglio, anche perché abbiamo tanta di quella musica che potremmo buttarla!
- Poteva avvertirmi di questa storia di Charlotte!
In fondo vivo anche io in quella casa e mi sarebbe piaciuto...non so...anche solo un sms, tanto per sapere chi mi mettevo in casa, per sapere che dovevo fare la spesa per cinque e non per quattro, che dovevo tirare fuori nuove lenzuola per la ragazza, quando sarei arrivata e tutte queste scemenze varie che sono tutto tranne che scontate!
Però tanto il signor compositore vive nel mondo dei sogni, quindi tanti saluti!
- Come gli è venuto in mente di far organizzare ad Alice la festa per Ronnie?!
Lui sapeva che lei avrebbe scelto una schifezza, di moda e tutto quello che vuole, ma una schifezza!
Insomma, la sua ingenuità è a dir poco disarmante, si comporta come si comportava a diciott’anni...come un coglione!
Se non fosse stato per me probabilmente non ci saremmo nemmeno messi insieme, non saremmo partiti insieme per LA, non saremmo andati a vivere insieme, non avremmo avuto due figli, uno più incasinato dell’altro, e adesso io vivrei più tranquilla i miei trentaquattro anni, magari appena sposata, in dolce attesa, ma avrei avuto alle spalle quindici anni della mia vita da passare da single o da fidanzata, con tranquillità, per realizzarmi e poi, in ultimo pensare alla famiglia!
- Quella benedetta maglietta dei Led Zeppelin. È orribile, è terrificante, di una qualità pessima e costa anche quaranta e passa dollari. È roba da buttare. Cosa c’è di difficile da capire?!
A me sembra un concetto chiarissimo anche ad un bambino di tre anni.
Ma è chiaro che un bambino di tre anni sarebbe più intelligente di mio marito in questo frangente.
-L’Ipod. Questa è la cosa più grave nel lungo elenco della settimana.
Quante volte ho parlato degli effetti devastanti delle vibrazioni, perennemente nelle orecchie?!
E pensare che mi aveva anche appoggiato quando ho dovuto tirare in ballo il discorso per fermare l’entusiasmo di Alice che non faceva altro che parlarne, che lo voleva assolutamente e che prometteva anche di uccidere per averlo.
Lui aveva sostenuto che la musica era bella quando si espandeva nell’ambiente, non doveva essere rinchiusa in due cuffiette, anzi doveva essere suonata dal vivo quando è possibile oppure ascoltata tutti insieme, possibilmente in un posto dove l’acustica meritava.
A parte la sua spiegazione, molto poetica ma un tantino deboluccia, speravo di aver trovato un valido alleato. In fondo con me la scusa di mia figlia era che “tanto io non ne capivo un acca, non ascoltavo musica, ero insensibile a queste cose e quindi non valeva la pena di parlarne”.
Se invece il padre avanzava rimostranze di questo tipo magari si riuscivano a contenere i danni e a sfatare questo mito.
E anche questa le era andata bene. Adesso aveva il suo stupido Ipod e adesso mi chiedevo se dovevo o no sequestrarglielo o prendere misure pesanti.
L’idea di punire i miei figli mi disgusta quasi e non saprei nemmeno come fare.
Però forse questo aiuterebbe a moderarne le pretese.

*****************


Alla fine sono riuscita a preparare una cena per cinque.
è impressionante quanto io sia incompetente in cucina quando penso a mia madre.
Lei sapeva cucinare praticamente qualunque cosa, era una donna dalle mille risorse e molte volte ha cercato di convincermi ad assisterla per imparare qualcosa di buono e io l’ho sempre sfuggita come la peste. Adesso non posso che rimpiangere quelle comode lezioni in casa.
Non posso dire di essere un disastro in cucina: So cucinare la carne, il pesce, anche se odio pulirlo, la carne, le verdure bollite e qualche fritto, le minestre, anche se quelle non sono difficili, basta prendere le verdure surgelate, e qualche piatto speciale come gli involtini di carne, le creapes ripiene di prosciutto e formaggio filante, le patate fritte o al forno e qualche innocuo dolce al limone o alle mele.

Però mia madre raggiungeva dei livelli notevoli ad esempio con la peperonata o le barchette di melanzane ripiene che io brucio sempre, il gateau di patate e il suo strudel è il migliore che io abbia mai assaggiato e non perché lo ha fatto lei!
Insomma oggi mi ero limitata a fare una grossa insalata verde con pezzetti di pollo tagliati, germogli di soia, cetrioli, pezzetti di pane abbrustoliti, peperoni crudi, qualche pomodoro anche se ormai sono fuori stagione e un brodo di pollo con crostini e cubetti di formaggio.
Anche perché sono le uniche cose che ho trovato in frigo e nel surgelatore e tutto, tranne le verdure, risalgono alla mia ultima spesa, quindi circa una settimana fa.
Ovviamente Juls sa fare a malapena i toast della colazione e le scrumbles eggs.
Non voglio immaginare quante schifezze hanno ordinato in mia assenza.
Li chiamo a cena e come al solito non arriva nessuno.
Solo Ronnie fa capolino dalla porta, quasi timidamente, stropicciandosi gli occhi con le manine, e sbadigliando.

“Amore! Come sta il mio piccolino? Tra qualche ora facciamo dieci anni, eh?”
“Mamma...non ti ho sentito arrivare.”
“Tesoro, io invece ero venuta per salutarti ma tu stavi dormendo e non ti ho voluto svegliare.
Ma hai dormito poco stanotte?”
“No. È che ho fatto un incubo.”
“Che film avete visto ieri?”
“Beh, Alice ha insistito per vedere quell’horror, non mi ricordo come si chiami...”
“AVETE VISTO UN HORROR?!?!?!”
“Mamma, non urlare, mi frastorni.”
“E PAPA’ DOV’ERA MENTRE VOI...tesoro! dove hai imparato questa bella parolina nuova?”
“L’ha detta la maestra in classe e mi è piaciuta. Stavamo leggendo Diario di una schiappa.”
“è una parola da grandi. Si vede che stai proprio crescendo.”
“Già.”
“Ma dove sono tutti?! Perché non scendono, dannazione?!
A CEEEEENAAAA!!! ORAAA, SUBIIITOOO, ADEEEESSOOOO!!!”

Finalmente spunta mia figlia con quella benedetta ragazza della sua amica che ridacchiano fra loro come due sceme.
Bene, è il momento di rompere quest’idillio perché sto per arrabbiarmi mooolto con la mia primogenita.

“Alice, avete visto un horror e Ronnie non ha dormito, per caso?
O forse l’uccellino mi ha informata male?!”
“Chi te l’ha... Ronnie sei uno schifoso bugiardo! Avevi giurato che non avresti detto niente alla mamma!”
“Ma io non gliel’ho detto! Gli ho solo detto che avevo avuto un incubo!”
“Non è vero! Lo sai che chi infrange le promesse merita di morire sotto un tram?!”
“Alice, per piacere, smettila di dire sciocchezze e mettiti seduta a tavola.
Abbiamo parecchi conti in sospeso io e te ma adesso è ora di cena e sono sicura che Charlie è molto affamata, non è così?”
“Io...non c’è problema, posso aspettare...davvero.”
“Certo cara.
Ma cristo santo, dov’è papà?! È in stato catatonico?!
JULIAN!!! LA CEEENA!!!

Ah, Ronnie tesoro, quando ci si riferisce ad una donna si dice –le- non –gli-.”
“Cosa?”
“LE ho solo detto che avevo avuto un incubo. Non –gli-.”
“Uff, ok, tanto è la stessa cosa.”
“Non proprio, amore.”

Finalmente Juls arriva, in canotta, pantaloni di tela, stravecchi e ciabatte di peluche.
Se non controllassi quello che si mette la mattina probabilmente adotterebbe questa come tenuta stabile per il lavoro.
Certo, un insegnante al conservatorio non deve mettersi in tailleur, ma in questo stato è impresentabile anche a casa.
Tra l’altro io faccio una specie di guerra perché non si metta mai le canotte che io odio.
Trovo che siano terribilmente volgari indossate da un uomo e le accetto solo sotto una camicia, aperta o chiusa che sia.

“Buonasera, orso solitario. Sciopero della fame oggi oppure ci onora della sua presenza?”
“Amore, che bello vedere che non sei cambiata per niente né in una settimana di assenza né in quindici anni di presenza.”
“Juls, ci siamo visti circa tre ore fa, ti annunzio.”
“No, là ero a colloquio con una belva feroce non con mia moglie.”
“Capisco. Bene, adesso che ho riunito tutto lo zoo magari potremmo mangiare visto che sto morendo di fame.”
“Ai suoi ordini, capitano.”

Tutto il senso dell’umorismo di Julian consiste nel trattarmi come un generale nazista scambiando occhiate divertite e complici con mia figlia. E, quando vuole irritarmi, ci riesce molto bene.
Cerco di ignorare mio figlio che fa colare il brodo di pollo sulla tovaglia, ma quando comincia anche a gettarselo addosso, alzo gli occhi al cielo, spazientita e sbotto:

“Mein Gott, Ronnie! Ti ho appena fatto i complimenti perché stai per diventare grande!
E tu che fai? Ti sbrodoli come un bambinetto di tre anni?!”
“Ma non è colpa mia! è il brodo!”

Vedo mio figlio che cerca di pulire con il tovagliolo zuppo di brodo i pantaloni contribuendo ad allargare la macchia scura sui jeans.
Alla fine mi alzo bruscamente e prendo Ronnie per il polso trascinandolo in cucina.
Gli tolgo i pantaloni, gli indico le scale che portano al piano di sopra e latro:

“Vai a metterti una tuta e poi torna a tavola. Svelto!”

Mio figlio non se lo fa ripetere due volte. Grazie al cielo scompare dalla mia vista, anche perché stasera non ho proprio pazienza per stare anche appresso a lui.
Ho sempre trovato ridicole quelle donne che giurano di non aver mai odiato i propri figli, nemmeno per un momento. È un’idiozia.
Ci sono momenti in cui li ami alla follia e altri in cui vorresti strozzarli.
Non per questo voglio loro meno bene e soprattutto non ho bisogno di dimostrarlo a nessuno.
Prendo una bacinella e ci lascio a bagno i pantaloni sperando che la macchia si schiarisca.
Poi metterò tutto in lavatrice, compresi i panni di una settimana perché scommetto che è ancora tutto nel cesto senza che nessuno lo abbia toccato.

Quando torno di là vedo lo sguardo di mia figlia illuminarsi anche se non come vorrei.
Posso leggere la sua espressione: vuole qualcosa.
Vuole qualcosa da me e non vede l’ora di parlarne.
La sola idea mi fa venire voglia di annunciare un malore e andarmi a chiudere in camera.
Affrontiamo anche questa, forza e coraggio!

“Mamma, perché te ne sei andata? È almeno una settimana che non ti vediamo!
Non scappare!”
“Tuo fratello è un imbranato, alle volte.”
“Già, che disastro. Mammina, ti voglio bene!”
“Alice, c’è qualcosa che devi dirmi?”
“Uhm...volevo solo chiederti una cosetta piccola piccola.”
“Lo immaginavo.”
“Allora è si?!”
“Ehi, frena, ragazza, sputa il rospo e poi vediamo.”
“Ah...sai...Charlie aveva preso dei biglietti.”
“Che biglietti?”
“Dei biglietti per un concerto.”
“Mhm...ottimo. Un altro musical?”
“No, in realtà...insomma mamma, ti prego, io ci tengo tantissimissimissimissimo!”
“Cribbio, Alice, ti dispiacerebbe completare almeno una frase e farmi capire cosa vuoi?!”

“Charlie ha preso i biglietti per il concerto dei Green Day di venerdì prossimo.
è alle otto e mezza, credo. Possiamo andarci?”
“Cosa?”

Oddio, spero di non aver capito bene.
Gli Sweet Child...cioè voglio dire i Green Day fanno un concerto e mia figlia vuole andarci?!
Ma è pazza?! Ma si rende conto che è troppo piccola per una cosa del genere?
Tra l’altro Armstrong e Pritchard che fanno un concerto...brrrr, non ci voglio nemmeno pensare!
Sarà frequentato da gente terrificante, magari ragazzacci che si divertono a fare disordine, a scatenare risse, ad infastidire gli altri partecipanti.
Gente con pettinature stravaganti, armadi con giacche di pelle e borchie, con catene che gli spuntano anche dal culo, davanti a un palco con casse che sputano fuori centinaia di decibel di musica rumorosa e fastidiosa,mentre tutti sono troppo presi a saltare, ballare, sbattersi e spintonare la gente per accorgersi che stanno travolgendo e magari calpestando delle ragazzine.

“Allora, mamma, ti prego, possiamo?!”
“Assolutamente no.”
“Perché no?”
“Perché siete troppo piccole per andare da sole.”
“Mamma, non ci andiamo da sole! Ci andiamo con Mercedes!”
“E chi è?”
“è la sorella di Charlie. E poi ci sarà anche Jordan, il suo ragazzo.”

In pratica sono sole e abbandonate a loro stesse!
Questa Mercedes non avrà più di vent’anni e certo vorrà starsene in pace con il suo ragazzo, altro che badare a delle bambinette che giocano a fare le diciottenni.
E in più...di tutte le stupide band di spostati su questo pianeta proprio gli Sweet Children dovevano capitarmi alla veneranda età di trentaquattro anni?!
Sweet Children, o come si fanno chiamare ora, i Green Day: non me lo imparerò mai.


“Scusami, Charlie, ma non mi fido abbastanza di tua sorella per lasciarvi andare a questo concerto.
D’altra parte i tuoi genitori ti hanno affidata a noi, quindi sarebbe saggio se anche tu rimanessi...diciamo al sicuro. Non è così Juls?”
“Di chi è il concerto?”
“è un piacere vedere che stavi seguendo la conversazione.
Tua figlia mi ha appena chiesto di poter andare al concerto di questi Green Day.”
“Uhm...aspetta sono quelli che hai appeso in camera, Lys?”
“Si, sono loro!”

Mia figlia ha un poster degli Sweet Ch...Green Day, cristo santo, Green Day!
Non ci posso credere...
Cosa ho fatto nella mia vita precedente per meritare una cosa del genere?
è il destino che si è accanito contro di me?!
Vivevo la mia vita tranquilla e adesso il passato ritorna a galla.
Che incubo.

“Vig, hai capito? Sono gli Sweet Children!”
“Si, Juls, lo so.”
“Wow, mi piacerebbe accompagnarle! E dovresti venire anche tu! Non ti va di salutare Bi...”
“No, assolutamente no. E poi tu devi essere a New York per quel festival, dimentichi?”
“Si lo so. Ma secondo me dovresti andarci. Pensa quanto sarebbe contento di rivederti Mi...”
“Possiamo cambiare argomento, per piacere?”

Improvvisamente la voce indagatrice di mia figlia si fa sentire, mentre i suoi occhi, chiari come i miei, mi studiano sospettosi: sento puzza di guai.


“Chi sono gli Sweet Children?”
“Un vecchio gruppo della mia epoca.”

“E cosa c’entrano i Green Day?”
“...”
“Papà?”
“Amore, adesso hanno semplicemente cambiato nome.
Io e la mamma li abbiamo conosciuti quando eravamo ancora tutti ragazzi. Eravamo amici.
Beh, in parte è grazie a loro che ci conosciamo.
Vig, lo sai che Al non suona più con loro?
Quattordici anni fa, quando ho sentito per l’ultima volta Billie, diceva che Al li aveva mollati per iscriversi all’università. Era incazzato nero.”
“Va bene Julian, adesso possiamo anche...”
“Si, scusa, ma mi sono totalmente dimenticato di dirtelo allora e mi è tornato in mente solo ora.”

“Non importa, basta che...”
“Mamma! Ma voi li conoscevate di persona?! Che figo!!!”
“Signora Fos...cioè, Vig, sul serio?! Oddio, che forza! E ce li presentate?!?!”
“Mamma, adesso devi venire anche tu! Magari ci faranno salire sul palco, ci faranno un autografo e ci inviteranno a cena! E parlerete dei vecchi tempi, e si metteranno a strimpellare con una vecchia chitarra acustica e noi canteremo tutti in coro e...”
“ADESSO BASTA!!!”

Ne ho abbastanza.
Ma perché mio marito non si sta mai zitto nemmeno un secondo?!
E mia figlia, poi, è impazzita come se le avessi rivelato che io e i Green Day siamo amici di infanzia! Li ho frequentati per un anno! Un anno di merda per giunta!
Non ho nessun piacere nel ricordare quello che mi è successo allora aldilà delle cazzate che si dicono tipo “gli ultimi anni di liceo sono gli anni più belli della tua vita”.


“Alice Foster, ascoltami bene. Tu non andrai da nessuna parte né tanto meno la tua amica che è sotto la mia responsabilità!Quel che è passato è passato. Con i Green Day non ci sentiamo da quindici anni e così come loro si sono dimenticati di me anch’io vorrei dimenticarmi di loro, quindi basta con queste storie. Sono stata chiara, Juls?”


Finalmente mi godo il silenzio, quasi con una specie di sollievo.
Basta, non voglio più essere coinvolta in questa storia.
Ho sempre detestato le rimpatriate, non perché sia asociale, ben inteso, ma cosa avremmo da dirci? Non avevamo niente in comune quando avevamo diciott’anni e niente probabilmente abbiamo nemmeno ora, a trenta e passa anni.
Tra l’altro adesso loro sono delle rockstar, cosa a cui aspiravano fin da bambini, e io sono un medico, come mi ero prefissa il primo giorno che ho varcato la soglia della facoltà di medicina all’UCLA.
Insomma, stiamo bene dove stiamo, belli, soddisfatti e con la pancia piena. Che ci manca?

“Scusate, ma dov’è Ronnie?”


***************


Il mio primogenito, Ronald James Foster, è rimasto piegato sul water a vomitare brodo di pollo per almeno dieci minuti buoni, prima di alzarsi, con un alito pestilenziale e le lacrime agli occhi, mentre accusava forti dolori di pancia.
Mi ci è voluta più di un’ora per farlo addormentare, dopo averlo messo a letto, al caldo, dopo avergli misurato la febbre per scoprire che non ne aveva, dopo avergli fatto bere una camomilla e avergli letto un brano di “il GGG” di Roal Dahl, tanto per cambiare.

Sono distrutta e vorrei infilarmi direttamente a letto ma mi costringo a dirigermi verso camera delle ragazze, almeno per dare loro la buona notte e controllare che Charlotte si sia sistemata bene.
La porta è socchiusa e, all’interno della camera si sentono le voci delle due ragazze, una abbattuta e l’altra concitata.
Non amo fare la spia ma non posso fare a meno di ascoltare un attimo, sulla porta, prima di annunciarmi:

-Che scassa cazzo mia madre.
-Si, parecchio.
-Che si fa?
-Boh, io un’idea ce l’avrei.
-E dilla, no?
-Ho tre biglietti no? Uno per te, uno per me e l’altro l’avevo promesso a Jamie.
Devo ancora vedere se lui può.
Venerdì andiamo sotto casa di Jordan e ci facciamo portare in macchina da loro.
E poi se non ci possono riportare prendiamo un taxi.
-E che cazzo dico a mia madre?
-Boh, che andiamo a mangiare da Jamie.
-Uhm...dici che funziona?
-Se anche se ne accorge che può farci? Sarai già al concerto e lei, se anche venisse, non ti troverebbe mai in mezzo a quel casino.
-Ok, è andat...

Non riesco a trattenermi oltre. Ho sentito abbastanza.

Ma per ora ho intenzione di fare buon viso a cattivo gioco. Vediamo che fanno...

“Ragazze, mi raccomando non fate troppo tardi.
Charlie, a te tutto bene? Hai lenzuola, asciugamani, pantofole? Tutto?”
“Aehm...si, certo Vig, grazie e buona notte.”
“Buona notte anche a te, cara.
Alice, allora per il fatto di Larry ne parliamo domani?”
“Si, ok, ma’, notte.”

Prima di voltarmi indietro non posso fare a meno di osservare la parete di fronte al letto di mia figlia. C’è attaccato un nuovo poster con uno sfondo bianco e una mano che regge una granata.
Al centro c’è un uomo sulla trentina con i capelli scuri e gli occhi verdi a palla, bistrati, in camicia a maniche corte, nera e abbottonata fin sopra, con tanto di cravattino rosso, pantaloni neri, cintura borchiata, due braccia ricoperte di tatuaggi, un accenno di barba rasato male.
A destra un altro, stessa età, la mascella pronunciata, i lineamenti duri, squadrati, i capelli pieni di gel, con le punte biondo-platino, in canotta bianca, pantaloni neri, cintura con catena sul fianco, due spalle enormi, muscoli gonfiati dalla palestra, anche lui pieno zeppo di tatuaggi, e due occhi azzurri chiaro anche troppo noti.
A sinistra ce n’è un terzo, decisamente inquietante con quegli occhi chiari spiritati e ovviamente truccati di nero, l’immancabile gel nei capelli di un castano indefinito, l’unico in giacca, camicia nera e cravatta bianca, portati con tanto di cintura borchiata e scarpe bianche dal gusto dubbio. Ha un po’ di pancetta, un paio di bacchette in mano, le orecchie a sventola, è anche lui largo di spalle e se ha tatuaggi non posso verificarlo dalla foto.
Quest’ultimo deve essere un nuovo acquisto. Gli altri due non sono cambiati per nulla.
Ho visto abbastanza per oggi.

“Buona notte, tesoro.”



Note


* Rod’s Hickory Pit, locale in zona Berkeley dove hanno lavorato per un periodo prima Ollie Armstrong e poi BJ e Mike. (v.d Settembre: Trave di fuoco, Pinole Valley 1989-1990)



Angolo dell’autrice

Ma che carina Vig mammina eh?! Adorabile come un serpente a sonagli!
Eppure ce lo si poteva immaginare che ne usciva una così xD
E poi con la figlia che si ritrova un po’ di severità è d’obbligo anche perché Juls si sta dimostrando il celenterato che era ghghghghgh
Scommetto che vi starete chiedendo come le è venuto di sposarselo...e che vi devo dire!
Sono cose che succedono e non ce ne si pente mai abbastanza, poi però passa quel momento nero e si scopre che la loro storia funziona meglio di quanto si possa immaginare dai pensieri neri di Vig.
D’altro canto voglio vedervi di ritorno da sei ore di macchina, non perché ci voglia così tanto da Los Angeles e San Francisco, ma con tutto il traffico che ha trovato sta parecchio girata la nostra Virginia xD
è d’obbligo una brevissima spiegazione sulla questione “Concerto a Los Angeles”:

a parte le mie limitate risorse, essendo io senza rete, quando ho cercato di informarmi sui tour del 2004 dei GD in America, da un Internet Point di passaggio, non ho trovato un bel niente quindi queste sequenze saranno lasciate alla mia immaginazione, anche se cercherò di prendere a modello i concerti recenti xD
anticipo che nel prossimo capitolo probabilmente ci sarà una panoramica dei retroscena, un po’ abbozzata, su modello di “Bullet in a Bible”... lettori/lettrici avvisati/e...
Come vedete sia capitoli che note sono meno chilometrici fortunatamente xD
Mi scuso in anticipo se non ho potuto rispondere alle recensioni a “Pinole Valley 1989-1990” ma il mio, all’internet point, è stato solo un passaggio per postare, altrimenti finivo per cancellare tutto e rifarlo da capo, poi scocciarmi e lasciar perdere il progetto.
Quindi tenetevelo così com’è e tanti saluti.
Consiglio come colonna sonora “Patty Smith, Horses” e “Lou Reed, Take a Walk on the Wild Side”, divini!
Sayonara,

Misa


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Capitolo 3
*** E dopo le punizioni la resa... ***



E dopo le punizioni la resa...



La festa di Ronnie è stata un successone.
O almeno così ha decretato mia figlia.Io l’ho solo trovata di una noia mortale, il cibo faceva schifo e fortunatamente noi genitori stavamo seduti ai tavoli fuori*, su delle scomode panche di legno certo, ma almeno non stavamo dentro, al buio, con schermi dovunque, vecchi strumenti polverosi alle pareti, teche che conservano ipotetici tesori della storia del rock, e ovviamente la musica che ti frastorna.
Forse l’unica cosa buona è che Ronnie è stato tanto contento che non se ne voleva più andare.
Con i suoi compagni hanno ballato come scatenati musica che per me non è neanche lontanamente ballabile, hanno urlato come pazzi cantando canzoni a me totalmente sconosciute, qualcuno si è comprato la maglietta, qualcuno il portachiavi, qualcun'altra la catenina o il braccialetto, un orrido coso di metallo e di cuoio che non merita di essere chiamato bracciale.
E poi sono arrivati pacchi, pacchetti, pacchettini, qualche pacchettone, inclusa una magliettona bianca XL su cui tutti i compagni hanno scritto qualcosa per Ronnie, una dedica, un disegnino, la firma, roba del genere.
Non pensavo che mio figlio fosse così popolare a scuola. Lui non racconta mai niente, al massimo mi dice cosa hanno studiato. Poi ho scoperto perché.
Mi è bastato leggere una dedica sulla famosa maglietta, sotto il disegno un po’ stortino di un draghetto:


Happy Birthday Ronnie!!! By Sarah
P.s Sorry for the crappy picture, I’m not so good as you’re.
Your dragons are the best!

Sembra che Ronald sia particolarmente bravo a disegnare.
Mi pare che una delle sue insegnanti me lo abbia anche accennato, ma ho fatto presto a dimenticarmelo, anche perché era un periodo un po’ infernale allo studio e stavo avendo un sacco di problemi con un paziente di cui non starò a raccontare.

I bambini avevano anche riunito tutti i disegni che aveva fatto, ne avevano fatto un cartellone che Ronnie aveva insistito per appendere al muro perché chiunque entrasse potesse vederlo.
Poi ovviamente ho chiesto di averlo perché non avevo nessuna intenzione di lasciarlo a questi dell’Hard Rock.
A parte alcuni disegni di animali fantastici, mostri, draghi, unicorni, ragni giganti e cose del genere, fatti tra l’altro con semplicità ma con un’attenzione ai particolari che non mi aspettavo, c’erano anche facce, piccoli ritratti a mo’ di fumetto e molte, moltissime caricature di professori, altri compagni, personaggi dei fumetti come Topolino o di cartoni animati come i Pokemon e simili.
Non sono mai riuscita a seguire tutti questi ritrovati televisivi che adesso vanno tanto di moda, sono sulle cartelle di tutti i bambini e ragazzini, sui portapenne, i quaderni, i diari, gomme, temperini e via dicendo.
E adesso mi spiego anche perché non trovo mai carta bianca per la stampante!
Ma perché quel benedetto ragazzo non mi ha detto niente?!
Gli compravo un blocco apposito, delle belle matite, dei bei pastelli!
A differenza di mia figlia che ha una faccia di bronzo allucinante e il sorriso sempre pronto in viso, Ronald chiede davvero poche cose e, quando può, non chiede affatto.
Ma quando si impunta su qualcosa la deve avere ed in effetti è anche per questo che ho lasciato correre a proposito di questa festa.
Se Ronnie l’ha chiesto con così tanta partecipazione vuol dire che ci teneva davvero.
In ogni caso sono contenta che si sia divertito e che i suoi compagni e amichetti vari siano stati così carini con lui.
Io lo vedo sempre come uno timido, temo sempre che non riesca ad integrarsi.
Ma sarà che non mi assomiglia un granché in questo.
Chi ha sofferto nel vero senso della parola è stato Julian.
Ci ha indubbiamente provato.
Si è seduto con me al tavolo, con un paio di altri tizi, i genitori di un certo Christian;

ha cercato di seguire la conversazione prima sulla scuola e sugli insegnanti, sull’attività imprenditoriale del marito di lei, poi sul noioso hobby del golf di lui, poi ad un certo punto l’ho visto guardarmi disperato, prossimo al suicidio.
Io naturalmente in qualità di madre del festeggiato ho dovuto vagabondare fra i tavoli, ricevere i complimenti di tutti per quanto era carina la festa, mio figlio che è un tesoro, che lavoro faccio, mio marito cosa sta componendo di bello, come ci troviamo con la nuova linea telefonica che abbiamo messo da poco, dove mando mio figlio a fare nuoto, quanti anni ha mia figlia ecc ecc.
Dopo il terzo tavolo ho visto che Juls cominciava a distrarsi, a battere per terra il piede nervosamente, a tirare fuori un’aria seccata e allora mi son detta che era il caso di allontanarlo prima che si lasciasse scappare qualcosa di maleducato e volgare come gli capita quando qualcosa lo esaspera.
L’ho mandato a controllare la torta e dopodiché l’ho spedito a casa chiedendogli di tornare verso le cinque quando sarebbe stato il momento della torta, almeno per fare qualche foto o mostrare un po’ partecipazione per il suo figlio minore.
Tra l’altro non posso nemmeno dargli torto: questa gente è davvero noiosa.
Se non si parla dei figli, si parla di stupidi hobby che vanno di moda, dei posti di villeggiatura, in genere villaggi turistici della Florida o della California che sono particolarmente “in” in quel periodo.

Nessuno ha mai qualcosa da dire su qualche viaggio oltre America, pare che non mettano il naso fuori di casa, tranne che per schiattarsi su una spiaggia e abbrustolirsi al sole quando ne hanno la possibilità.
Non hanno particolari interessi letterari o artistici, io non ne ho musicali, non escono se non per andare a cena in posti lussuosi, e sinceramente io non amo andare a cena fuori, non vanno molto né a cinema né a teatro e io, che non ne ho il tempo e vorrei qualcuno che mi consigliasse un bel film, non sono riuscita a trovarlo.
E poi non ti fanno parlare.
Partono a ruota libera e non considerano che tu possa avere qualcosa da dire.

Alla fine mi sono limitata a commenti monosillabici e ad un sorriso smagliante che fortunatamente è ancora abbastanza bianco e dritto per essere piacevole e incoraggiante.

Dopo un paio d’ore ho cominciato a preoccuparmi.
Mia figlia e la sua amica non si vedevano da un pezzo in giro.
All’inizio pensavo che si sarebbero occupate loro dell’animazione per i bambini e poi ho scoperto che mia figlia aveva provveduto anche a questo.
Aveva ingaggiato un animatore!
Come è semplice la vita quando hai un portafoglio a disposizione vero?!
Alice è davvero spaventosa!
Potrebbe tranquillamente fare l’organizzatrice di eventi o intrattenere pubbliche relazioni, in un futuro prossimo: è di una vivacità che ti sfinisce, si occupa di ogni cosa, ha capacità organizzative che io mi sogno, sa parlare con le persone e ha abbastanza carisma per convincerle (ad esempio con il padre, anche se non ci vuole chissà quale talento per convincere Juls) e bisogna conoscere le sue strategie per combatterla e soprattutto mantenersi intransigenti per averla vinta.

Infine è capricciosa e ha le manie di controllo, più o meno come me alla sua età, anche se io ero decisamente meno sfacciata e non ero una tipa così mondana, anzi non lo ero affatto.
Insomma, per farla breve, mi sono scusata con una certa Henrietta Wellington, madre di Matthew Wellington, ragazzino terribile e scatenato come nessuno, e mi sono allontanata chiedendo in giro di mia figlia.
Alice si fa sempre notare quando può e soprattutto deve conoscere immediatamente tutti, almeno di vista e si assicura che gli altri conoscano lei.
Non mi stupirei se divenisse una di quelle reginette del liceo, e probabilmente lo sarebbe già se alla High School non ce ne fossero di più stupide, oche e mondane di lei.
Quindi mi ha lasciata un po’ perplessa il fatto che nessuno l’avesse vista da una buona mezz’ora.
Mi sono detta:

Calma, Vig, niente panico. Devono essere in questo locale; se fossero uscite le avresti viste, ti sarebbero passate davanti, visto che tu stavi seduta a qualche metro dalla porta.

Ho girato tutto il piano, passando fra bambini urlanti, bambini che sghignazzavano, che cantavano, che correvano, che si agitavano in tutte le maniere possibile.
Sono quasi stata travolta da un gruppetto che giocava al gioco della sedia o qualcosa del genere.
C’erano una ventina di sedie al centro della stanza e quando si fermava la musica tutti i bambini dovevano sedersi di corsa perché chi rimaneva in piedi veniva eliminato.
Io per poco non inciampavo in uno di questi bambinetti. Mi sono presa uno spavento memorabile.
Dopo aver setacciato il primo piano sono salita al secondo, un po’ preoccupata perché questo non lo avevamo prenotato e quindi poteva esserci chiunque, magari insieme alle mie ragazze.
E infatti eccole lì, al bancone che si spintonano, muovono il bacino a tempo di musica, che ridono e ogni tanto buttano giù un sorso di birra da un bicchiere di cinquanta cl.
Un momento...birra?!?!
Le osservo per un attimo, disorientata.
Siamo in un locale, un locale anche abbastanza conosciuto.
Mia figlia ha tredici anni e la sua amica quattordici.
Stanno bevendo beatamente un litro di birra davanti agli occhi di una signorina piena di piercing, un po’ grassottella, con una quarta, una maglietta dell’Hard Rock con i brillantini, i jeans, le Converse, e il grembiule nero che la identifica come cameriera o ragazza portavivande.
Io scrivo al proprietario di questa baracca e li denuncio!!!
Mi avvicino incazzata come una bestia e punzecchio la spalla di mia figlia con un dito.
Quando si gira posso vedere il suo sorriso scomparire e gli occhi farsi allarmati:

“Mamma...”
“Ragazzina, fuori di qui immediatamente.”
“Scusa mamma, ma che male c’è? Non ci hanno detto nient...”
“HO DETTO FUORI!!! ORAAA!!!”

Afferro il bicchiere della sua amica che si è prudentemente fatta indietro e mi sporgo oltre il bancone, appollaiandomi su uno degli sgabelli.
Quindi verso la birra nel lavello, davanti agli occhi stravolti della ragazza-vivandiera davanti a me. Lascio il bicchiere nel lavello e mi giro a guardare mia figlia con occhi truci.

“ASPETTATEMI LAGGIU’ TUTTE E DUE E GUAI A VOI SE NON VI TROVO, CHIARO?!?!”

Non osano dire una parola mentre la ragazza dietro il bancone mi guarda in parte disorientata e in parte quasi colpevole.
Mi rivolgo direttamente a lei, fissandola in quei suoi occhi scuri, da bestia in gabbia e le latro contro, stizzita:


“Veniamo a noi, carina, come ti viene in mente di servire a due minorenni dell’alcool?!
Scriverò al proprietario di questo locale e sono sicuro che non gradirà la storiella che avrò da raccontargli!”
“Si...signora, ha ragione, mi perdoni, i-io...”
“TU COSA?
CRISTO SANTO, TI SEMBRAVANO DICIOTTENNI QUELLE DUE NANETTE CON LA FACCIA PIENA DI BRUFOLI?!
VUOI PRENDERMI PER IL CULO?!”
“N-no...assolutamente...non pensavo...”
“Appunto! Non pensavi! Se sei solita non pensare ventiquattrore su ventiquattro questi non sono cazzi miei, ma vedi di pensare la prossima volta che ti ritrovi davanti due stupide adolescenti che ti chiedono dell’alcool perché, se mai dovessi ritrovare mia figlia con due boccali pieni di birra altro che scrivere! Ti prenderei a schiaffi...anzi ti farei il culo per bene, tanto da lasciarti agonizzante per terra, così ci capiamo meglio?!
Hai afferrato il concetto?!”
“Si, signora. Mi perdoni...”
“Certo che no, carina. Io intanto scrivo.
Tu prendi un foglio, adesso e annotami nome e cognome.”
“La prego, posso chiederle di non...”
“Di non fare il tuo nome? E che te lo sto chiedendo a fare, allora?
Certo non voglio ingaggiarti come animatrice per le mie serate in famiglia!
Sbrigati!”

Tra un po’ mi scoppia in lacrime.
Dio, quanto sono fragili le ragazze di oggi!
Si vede davvero che questo non è un locale underground di quelli seri.
Altrimenti questa ragazza avrebbe una grinta e una spina dorsale invece di comportarsi come un mollusco qualunque.
Eccola che si fa piccola piccola, apre un cassetto e ne tira fuori una bella penna rosa di Hello Kitty, poi annota su uno dei post-it nome e cognome e infine me lo porge.
Nel frattempo io sorseggio la birra che prima era di mia figlia, prendo il foglietto e me lo ficco in tasca.

“Grazie tante, ragazzina. A mai più rivederci, spero.”
“Però...certo che avrebbe anche potuto non insultarmi...capisco la rabbia e il risentimento...”
“Oh, capisce lei! No, cocca di mamma, non capisci un cazzo.
Si, ho usato tante parolacce, e sai perché? Perché così magari il messaggio arriva a quella testa vuota che hai. A proposito di offese, che dici di levarti quelle fottute cuffiette dalle orecchie eh?!
Sarebbe educato sentire la musica sparata al massimo volume mentre qualcuno ti parla?!
Tzé, e adesso non venirmi a parlare di buona educazione altrimenti alla scuola di galateo ti ci rimando a calci!”

Credo di averla traumatizzata per il resto della suo vita.
Mi giro e mi dirigo verso le scale da cui sento uno scalpiccio affrettato di passi.
Probabilmente sono quelle due cretinetti che hanno ascoltato tutto.
Eh si, anche la mamma dice parolacce! Specie quando si trova davanti, una stupida cameriera menefreghista.
Punto uno: come l’è saltato in testa di offrire birra a quelle due?!
Punto due: è praticamente un quarto d’ora che le strillo addosso e lei continua a tenere le cuffie nelle orecchie?!
Punto tre: si permette anche di darmi lezioni di buona educazione, mentre continua a fregarsene di quello che dico, tant’è vero che non ha ancora tolto quei dannati auricolari dall’orecchio?!
Do una rapida occhiata dietro di me e la osservo asciugarsi le lacrime che le stanno sciogliendo il trucco nero.
Si, vai in bagno a farti un bel pianto: non c’è niente da fare, solo così imparano.

Quando scendo giù trovo Alice con aria pentita che si tormenta le unghie e Charlie, rossa come un pomodoro e imbarazzata come non mai, che non osa guardarmi mentre le raggiungo, ancora furiosa.
Mia figlia si alza con aria quasi melodrammatica e mi fa, con tono morbido e affettato:

“Mamma, scusami, davvero. È che quella tizia si stava facendo un bicchierino e ce l’ha offerto.
Noi le abbiamo detto che non bevevamo ma lei ha scrollato le spalle e con aria complice ha detto che tanto nessuno lo avrebbe saputo, non l’avremmo nemmeno pagato e che le avremmo fatto un piacere perché voleva compagnia mentre beveva.
Comunque è la prima volta, davvero. E non ci piace nemmeno tanto, vero Charlie?”
“...”

Quell’altra ha il buon gusto di stare zitta.
Vorrei tanto riderle in faccia. Non so chi è peggio se lei o io, ad inventare scuse.
La cosa bella è che nonostante le scemenze che dice, tutti le credono sempre, la compiangono, guardano la sua espressione pentita, gli occhi dolci, l’aria da vittima e da madonnina incoronata e si sciolgono. Ma con me non funziona, carina.

“Alice, per piacere risparmiami queste scene pietose.
Piuttosto dammi una buona ragione per non confinarvi in casa entrambe per il resto della settimana...”
“No, mamma, ti preeeego! È davvero la prima volta! Non l’avevo mai provata, giuro!
E non lo farò più! Neanche a diciott’anni!”
“Tecnicamente sarebbero i ventun´anni per gli alcolici*, ma non mi interessa.
E ti chiedi anche perché non mi fidavo di mandarvi a quello stupido concerto!
Bene, allora è deciso. Tutti a casa per una settimana, sono sicura che saprete divertirvi benissimo da sole, in due, senza signorine che tentino di corrompervi.
E non vi chiudo immediatamente in camera solo perché non voglio rovinare il compleanno di Ronnie!”

Vedo le loro facce incupirsi, mia figlia che stringe i pugni per la rabbia e la frustrazione e mi guarda talmente male che se potesse mi ucciderebbe.
L’amica ha il buon gusto di non alzare lo sguardo e non farmi vedere quanto è incazzata con me perché non ci si incazza con i genitori della tua migliore amica.
Ma che ragazzina beneducata, non c’è che dire.
Ecco, è perfetto.
Adesso ho mandato in fumo tutti i loro progetti di andare al concerto.
Avevo già in programma di chiamare Keira Charleston e dirle del progetto di evasione di suoi figlio Jamie.
Adesso non dovrò fare niente di tutto questo perché la mia adorabile figliola e la sua amichetta sono confinate in casa fino a nuovo ordine.

Direi che posso dormire sonni tranquilli, da stanotte fino al prossimo week-end.


Siamo finalmente tornati a casa.
Le due ragazze si sono chiuse in camera e hanno messo la musica al massimo volume.
Non devo nemmeno indovinare cosa stanno ascoltando.

She’s a rebel, she’s a saint,

She’s the salt of the earth,

And she’s dangerous.
She’s a rebel, vigilante,

Missing link of the brink,
of distruction.


Che incubo.
Per un attimo mi chiedo perché mai quei due hanno continuato su quella via.
Chiunque sarebbe morto di fame dopo pochi giorni, e invece quelli no!
Dovevano continuare ad ammorbare il mondo con quella roba!
Probabilmente sono in missione per conto di Dio e nessuno riesce a fermarli.
Non che suoni male, come musica, anzi, a modo suo è anche melodica, ma è ripetitiva, con quella batteria rumorosa e...
beh, i testi di Billie sono migliorati, indubbiamente.
L’ultima volta che li ho sentiti suonavano canzonette d’amore che facevano sorridere tanto erano infantili.
E forse anche Mike-biondo-platino ha imparato a impugnare un basso come un basso e non come una chitarra.
Adesso devo solo sperare che Ronnie non abbia mangiato niente che mi rovini anche questa serata.
L’idea di stargli di nuovo vicino mentre vomita mi fa venire voglia di attaccarmi anch’io alla tazza.
E invece lo trovo beato, in camera sua, che contempla le pareti con il suo cartellone in mano, eccitatissimo, mentre misura a occhio dove metterlo.

“Tesoro, come va la pancia? Tutto bene?
Mica hai mangiato la torta?”
“Solo una fettina.”
“Amore, ti avevo detto niente. E se poi stai male?”
“Mhm...mamma, e se lo mettessi lì?”
“Lì dove, amore?”
“Di fronte alla scrivania!”
“Tesoro, non credo entri.”
“Non è vero! Ci entra!”
“Ma è il punto più stretto della stanza!”
“Si, ma ci entra!”

Quasi a voler dimostrare la sua teoria, si avvicina frettolosamente alla scrivania, e sale prima sulla sedia e poi sullo scrittoio, facendomi trattenere il fiato.
Oddio, la finestra è aperta!
Cristo santo...stai attento, Ronald, ti prego!
Non voglio muovermi perché un qualunque movimento sbagliato potrebbe distrarlo e fargli perdere l’equilibrio.
Lui si allunga fino al muro e ci fa aderire il cartellone puntellandolo con le mani.
Entra perfettamente, forse un po’ sacrificato, ma entra benone.
Lo vedo sorridere, soddisfatto:

“Visto?”
“Va bene, adesso per piacere, Ronald, puoi scendere da lì?
E vorrei che lo facessi piano, con cautela e con la massima attenzione...”
“Mamma, puoi prendere il martello e i chiodi? Lo attacchiamo lì!”
“No, amore ci vuole un pannello di sughero, lo andiamo a comprare e lo montiamo, d’accordo?”
“Si, ok, ma allora andiamo adesso?”
“Amore, adesso i negozi sono chiusi.”
“Allora ci andiamo domani?”
“Domani c’è scuola.”
“Nel pomeriggio?”
“Poi vediamo, tesoro...ADESSO VUOI SCENDERE DA QUELLA FOTTU...aehm...”

Devo prendere il respiro.
Piano, piano, mi sto lasciando andare;
mio figlio ha appena compiuto dieci anni e non è il caso che impari questa nuova parolina.
Dio, ho bisogno di un trattamento anti-stress.

“Per piacere, Ronald, scendi da lì. Subito!”
“Ok.”
“Ecco, piano, mi raccomando, movimenti lenti, attenzione a dove metti i piedi e guarda bene dove appoggi le mani.”

E mio figlio scende tranquillamente, così come è salito e quando finalmente mette i piedi per terra posso tirare un sospiro di sollievo.
Lui mi guarda, stranito e continua a sventolarmi il cartellone davanti.
Me lo passa e mi invita a guardarlo. Comincia a mostrarmi tutti i suoi disegni, quando li ha fatti, per chi li ha fatti, da dove li ha copiati, da cosa ha preso ispirazione.
Alla fine appoggio il cartellone sullo scrittoio e lo abbraccio.
Lo sento fare un attimo di resistenza, come se non fosse una cosa abbastanza da uomini abbracciare la propria madre ma poi si lascia andare e mi sussurra:


“Mamma, ti voglio bene.”
“Anche io, amore, ma la prossima volta, prima di salire sulla scrivania controlla che la finestra sia chiusa. Chiaro?”
“Ok.”

******************

Questa settimana passa abbastanza liscia.
Il giorno dopo la festa, un lunedì, i ragazzi vanno a scuola e io avverto che verrò in studio nel pomeriggio. Tanto oggi non dovrei avere appuntamenti.
Aiuto Julian a farsi la valigia.
Dovrà andare a New York per fare la sua parte al Festival del Blues e dovrà presentare un suo studente che pare sia un promettente trombettista.
Mi ha confidato che spera di trovargli un posto come si deve perché è un ragazzo che merita ed è sicuramente più talentuoso di molti altri, perfino tra gli insegnanti.
Insomma, più che in qualità di musicista, a questo festival ci va in vesti di manager.
Ho dovuto insistere a tutti i costi perché mettesse in valigia anche un abito da sera.
Può sempre servire e poi non può vivere di camicie.
Tra l’altro lui non è più un ragazzino e non può continuare ad indossare quelle camicione improbabili, modello gonnellino scozzese.
è un insegnante, diamine! Non un barbone!
Quando glielo ho detto lui mi ha dato della vecchia e ha ironicamente indicato i miei capelli.
Ebbene confesso: sono una di quelle che ha trent’anni cominciano già ad avere i capelli bianchi.

Quando Juls me li ha fatti notare la prima volta sono rimasta davvero sconvolta.
è stato terrificante almeno come può esserlo guardarsi allo specchio e intravedere le prime rughe sul viso.
Sono anche andata da una specialista ma ha detto che non si può fare granché e che a quarant’anni ne sarò piena.
Per diversi mesi il parrucchiere è praticamente diventato il mio migliore amico.
Ci passavo almeno due volte al mese per ritoccare, fare colpi di sole, colorare, provare una tinta più chiara, una più scura, una cosa a dir poco stressante visto che il colore doveva riuscire naturale e tutte queste storie qua.
Tra l’altro non era neppure facile perché i miei capelli sono cresciuti parecchio dall’ultima volta che li ho tagliati e mi arrivavano alle scapole, lisci come spaghetti e di un rossastro, un po’ carota, che è stato davvero complicato riprodurre.

Poi mi sono seccata.
Sono andata dal suddetto parrucchiere e li ho accorciati definitivamente, con una taglio corto alla Audrie Hepburn. Quindi li ho tinti di bianco.
Adesso non sono più angosciata dalla venuta dei capelli bianchi, il colore è uniforme, sono assolutamente semplicissimi da lavare, la tintura posso farla anche in casa e vivo tranquilla e felice come non mai.
Ovviamente chiunque mi guardi mi da almeno quarant’anni, ma non me ne importa niente.
E poi ho l’abitudine di dargli una forma asimmetrica, un po’ sbarazzina, che rende il tutto meno pesante a vedersi: uso una crema-gel che profuma di fragola che è un piacere.

Le reazioni in famiglia sono state abbastanza neutre e diverse:

Alice ha storto il naso per una settimana, ma visto che avevo un’aria esotica di quelle che la affascinano tanto, ha finito per apprezzarlo, a modo suo.
Ronnie non si è fatto né in qua né in là, e si è limitato a commentare il tutto con un “oh, sembri più vecchia.”
Mio marito mi ha preso in giro per un pezzo dicendo che era stato truffato, che lui aveva sposato una giovane e bella ragazza e il parrucchiere invece gli rimandava indietro una nonnetta con l’artrosi.
Inutile dire che l’ho minacciato di disperdere la sua amata collezione di vinili se avesse anche solo osato accennare la cosa in pubblico.

Per almeno cinque giorni sono stata in pace con me stessa e il resto del mondo.
Juls è partito e non torna prima di sabato pomeriggio.
Alice e Charlie si sono calmate un pochettino e mia figlia, in particolare, non ha più avanzato pretese di sorta. Anzi, credo che quel famoso Cd dei Nirvana stia ancora a marcire da Larry.
Prima o poi quello chiamerà a casa e io finirò per annullare l’ordine come ho fatto tante volte, inutilmente, perché poi mia figlia ha trovato un modo per presentarsi al negozio a pagare e prelevare.
Ronald è rimasto solare per tutta la settimana, ancora troppo contento per la sua festa.

Quel ragazzino mi da un sacco di soddisfazioni e lo amo per questo.
Mi fa sentire una buona madre, tutto sommato.
Siamo andati a comprare il pannello per camera sua, e lo abbiamo montato con il cartellone sopra.
Una sua amichetta, il cui padre aveva fatto una sorta di servizio fotografico di tutta la festa, ha portato a scuola un album pieno zeppo, tutti si sono divertiti a sfogliarlo poi lo hanno firmato e lo hanno regalato a Ronnie.
Una bellissima iniziativa di questo Christopher Moore.
Devo chiamarlo e ringraziarlo mille volte.

L’unica macchia è che oggi è venerdì, anzi, precisamente sono le sette e un quarto.
Non ho avuto sentore che ci fosse del movimento fra le due ragazze ma certo non si lasceranno sfuggire l’occasione per tentare la fuga.
E si, perché il concerto è alle otto e mezza.
In ogni caso non ce la farebbero, ci vogliono almeno tre quarti d´ora di macchina da qui al Griffith Park.*
figuriamoci a piedi!
Quello che mi lascia un po’ perplessa è che il disco che avevano messo è finito da un pezzo, è passato almeno un quarto d’ora e ancora non l’hanno rimesso da capo. Un miracolo!
Mi godo il silenzio e mi dico che sarebbe il caso di chiamare la famiglia a tavola.
Mi appunto mentalmente che alle nove e mezza devo andare a prendere Ronald che cena da un amichetto.
Adesso ci facciamo una bella cenetta fra donne, poi le metto a vedere un film ed esco.
Passo davanti a camera loro e faccio per bussare, ma la porta è semi aperta.
Dentro la stanza è vuota.
Osservo allucinata il casino che c’è dentro.
Hanno vuotato gli armadi e la roba è ammonticchiata sui letti, sul pavimento, vestiti esposti sulla scrivania, trucchi sparsi sul tavolino davanti allo specchio.
E pensare che ho sempre guardato storto mia figlia quando si truccava.
Ha tredici anni, diamine! Ne ha di tempo per essere grande!
Ma il dettaglio fondamentale è che la stanza è vuota.
Le due ragazze devono essere uscite in qualche modo.
Mi do una manata in fronte.

Come ho potuto essere così stupida!
La scala antincendio che Juls ha voluto far impiantare sul balconcino del bagnetto, accanto a camera loro! Possibile che sapessero dov’erano le chiavi delle porte di emergenza?!
Ma perché a me...


Metto il primo impermeabile che mi capita a tiro e mi fiondo in macchina.
Da quanto saranno uscite?! Fin dove saranno arrivate?! Come saranno andate e da chi si saranno fatte accompagnare?
Mentre aspetto al semaforo, metto l’auricolare per il cellulare e mi dico che è il caso di provare.
Probabilmente non mi risponderanno nemmeno, ma devo provare.
Compongo il numero di Alice e sento il telefono squillare.
Uno, due, tre, quattro, cinque...rispondi, cazzo, rispondi!
Finalmente sento il telefono che attacca:

“Mamma, lasciaci in pace. Stiamo andando al concerto.”
“Alice, dove siete? Tornate a casa I-M-M-E-D-I-A-T-A-M-E-N-T-E!”
“No.”

Sento una gran confusione, più voci che si sovrappongono, qualche urlo, qualche risata, la comunicazione non prende bene, la linea comincia a vibrare, a fare strani scherzi.
Questo non fa che agitarmi ancora di più ma devo stare calma e concentrami sul volante altrimenti qua facciamo un bel incidente.

“Alice, ti prego, rispondimi, con chi siete?!”
“bzzz...con...macchina...bzzzz...Merce...ss...bzzz...Jor...dan...bzzzz”
“Oddio, per piacere scendete immediatamente, al primo crocevia!
VI PROIBISCO DI ANDARE! SCENDETE DA QUELLA CAZZO DI MACCHINA!!!”
“N...bzzz...no...no....i...bzzz..vo...am...andar...al concerto”
“Alice...”
“bzzz...cooon...certoo...”
“E VA BENE, VI CI PORTO IO A QUESTO CAZZO DI CONCERTO!
SCENDETE SUBITO!!!”
“N...o...Jord...an...dice che...”

Non riesco a capire cosa stia dicendo Jordan perché cade la linea.
Non so cosa fare. Una parte di me vorrebbe mettersi a urlare, un’altra vorrebbe andarsi a schiantare da qualche parte.
Calma, Vig, le recupererai prima che vadano a quel concerto.
Poi se proprio vorranno ci andremo insieme, ma le recupererai ad ogni costo.
BIP.
Squilla il cellulare.

Un messaggio ricevuto.


Vediamoci su Foutain Ave, incrocio con Sanbon Ave*.
Poi al concerto. Niente scherzi.

Sembra una lettera minatoria ma il messaggio mi fa sorridere.
Non sono mai stata così felice di cedere ad un capriccio di mia figlia.
E andiamo a questo benedetto concerto...se succede qualcosa farò la pazza.


Note

* Purtroppo non so se l’Hard Rock Caffè di Los Angeles abbia o meno i tavoli fuori, ma vista la necessità, se così non fosse mi prendo una licenza d’autore. Diciamo che ho più o meno preso a modello quello di Roma, che mi pare ce li abbia, ma potrei anche sbagliarmi.

* GLOSSARIO: Happy Birthday Ronnie!!! By Sarah
P.s Sorry for the crappy picture, I’m not so good as you’re.
Your dragons are the best!
- Buon compleanno Ronnie! Da Sarah
P.s Scusa per il disegno schifoso, Non sono brava come te. I tuoi draghi sono i migliori!-
Ho controllato su WordReference, dovrebbe funzionare ;)


* Negli Stati Uniti la maturità ai diciotto è un dato relativo.
Infatti a diciotto anni si acquista il diritto di voto, a ventuno il diritto di bere alcolici, a sedici la possibilità di prendere la patente.

* Grande parco di Los Angeles. Non conoscendo le arene di Los Angeles e siccome si trovano solo stupidi stadi per il basketball ho dovuto ricorrere ad un piccolo espediente xD
Quindi per il concerto e´ stato messo su un palco con tutto cio´ che ne deriva e cosi´ ho potuto ispirarmi al National Bowl del Milton keyness dove e´ stato girato "bullet in a bible". LICENZA D´AUTORE!


* Non conosco LA per sapere con certezza che questa strada non è pedonale, non è a senso unico, se ci si può circolare liberamente in auto e altri dettagli del genere. Però da Google Map ho potuto constatare che è nei pressi del Griffith e mi pareva fattibile, quindi, ladies and gentilmen, consideratela pure un’altra delle numerose licenze che mi prendo u.u

Angolo dell’autrice

Ma quante incognite in questo capitolo! Uff...spero che sia uscito bene.
Anche se mi lascia un po’ perplessa la parte finale, quella in cui Vig si arrende e sembra ormai rassegnata all’idea che le deve accompagnare ste’ due piccole pesti.

Qualcuno potrebbe anche trovare patologica l’ansia di Virginia eppure, dopo aver studiato mia madre per diverso tempo, ho realizzato che davvero entra in uno stato di angoscia che fa impressione. Mah, sarà la maternità! E poi non dimenticate che lei c’ha sempre queste manie di controllo che ogni tanto le prendono (devo dire che questo dettaglio mi piace sempre di più, e pensare che all’inizio mi sono ispirata anche un po’ ad un film di quest’anno, “i ragazzi stanno bene”, molto carino, ve lo consiglio xD).
Comunque, anche questa è andata, adesso dovrò organizzare i retroscena xD
La cosa si farà un po’ inverosimile ma ripeto che ho voglia di dare sfogo alla fantasia quindi...
mwahahhahahah!!!
Aspettatevi di tutto xD
Well, sisters and brothers, see ya!

Misa

COLONNA SONORA: Rolling Stones raccolta “Jump Back from ’71 to ‘93”;
David Bowie “China Girl, Blue Jeans, Space Oddity, Life on Mars, Let’s Dance, Ashes to ashes, Jean Jene, Let’s spend the night together, Heroes”

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Capitolo 4
*** Concerti e fughe rocambolesche ***



Concerti e fughe rocambolesche

 

Ho dovuto raccogliere quelle due piccole arpie scalmanate e portarle ad un dannatissimo concerto pieno zeppo di gentaglia schifosa, con musica schifosa, dove si respirava un’aria schifosa...insomma il trionfo dello schifo!
Ma non è stato certo quello che mi è bruciato di più.
Quello che mi ha messo di cattivo umore ancor prima di arrivare al Griffith , è stata la telefonata che ho dovuto fare ai genitori di quel Paul, per chiedere se potevano ospitare Ronnie per la notte.

Certo non potevo lasciare le ragazze lì e tornare a prenderlo alle nove e mezza.
E sicuramente questa roba non sarebbe finita prima delle dieci e mezza-undici e presentarsi a quell’ora a casa di qualcuno, senza avvertire è l’apoteosi della maleducazione.

Anche perché io mi assicuro sempre che Ronald vada a letto alle dieci ed ero certa che i Moore facessero lo stesso quindi avrei rischiato di sconvolgere le loro abitudini, senza nemmeno poi conoscerli così bene.
Decisamente lasciare da loro Ronnie era la cosa migliore perché da queste parti si usa e quindi è meno di disturbo che venirlo a prendere a notte fonda.
Insomma ho dovuto guardare in rubrica e digitare il numero di casa Moore.
Ha fatto un paio di squilli e poi ha risposto una voce maschile, bassa, calda e garbata, quasi affascinante, a modo suo:

 

“Pronto, casa Moore, chi parla?”
“Buona sera, sono Virginia Foster, la madre di Ronald.”
“Oh, salve, Virginia, come sta?”
“Tutto bene grazie. Purtroppo mi trovo in una situazione un po’ complicata.
è troppo disturbo se le chiedo un favore?”
“Ci mancherebbe! La ascolto.”
“Sono costretta ad accompagnare mia figlia ad un concerto e temo che non riuscirò a liberarmi prima delle undici.”
“Capisco. Vede, Virginia, questo è un problema, perché in genere Paul va a dormire verso le dieci.”
“Ha ragione. Mi dispiace, davvero non so che dirle. Questa notizia mi ha preso alla sprovvista e...”
“Sarebbe molto più semplice se Ronnie rimanesse a dormire da noi.”
“Cosa?”
“Ronnie, suo figlio Ronald. Si fa chiamare così giusto?”
“Ah si...infatti...le sono infinitamente grata...non osavo chiedere...”
“Ma si figuri! In camera di Paul c’è un altro letto, lo sistemeremo lì, e per il pigiama, mio figlio sarà felice di prestargli qualcosa. I nostri ragazzi vanno molto d’accordo.”
“Magnifico. La ringrazio. Mi ricorda come si chiama?”
“Christopher, Christopher Moore.”
“Oh, ma lei non è il padre di Sarah?”
“Sa, Sarah e Paul sono gemelli.”
“Oh...allora devo aver parlato con sua moglie alla festa.”
“Si, io purtroppo avevo un impegno di lavoro per il giorno dopo e quindi...lei mi capisce.”
“Certo, certo. Comunque volevo ringraziarla per quell’album di fotografie che Sarah ha regalato a Ronnie. È stato un pensiero delizioso.”
“Quale album?”
“Ma quello con il servizio fotografico della festa!”
“Io non ho fatto nessun servizio.”
“Ma come, l’ho visto con i miei occhi!”
“Virginia, si starà sbagliando, mi avrà confuso con qualcun altro.”
“Oddio...è possibile?! Io...mi scusi...un attimo”

Ho dovuto concentrare la mia attenzione su un tizio che stava parcheggiando e ostruiva la strada.


“SI VUOLE LEVARE DAI COGLIONI?!?! DEVE AVERE A SUA DISPOSIZIONE L’INTERA STRADA PER PARCHEGGIARE?!?!?!

Mein Gott...”
“Virginia?
Tutto bene?”
“Si, mi perdoni, Christopher, la ringrazio ancora.
Spero che non le sia di troppo disturbo.”
“Nessun disturbo.
Può venirlo a prendere verso le dieci e mezza. Le è comodo?”
“Certamente. A rivederla.”
“A domani.”

Dio, chefiguradimerda, chefiguradimerda, chefiguradimerda!!!

Scommetto che ha sentito tutto attraverso il telefono!

E poi ero certa, quasi al cento per cento che quell’album era opera di un certo Christopher Moore! Non lo aveva portato Sarah Moore?
Per un attimo ho cercato di ricordare quel poco che mio figlio ha sempre cercato di raccontarmi e che io ho ascoltato con un orecchio si e uno no, sempre intenta a fare qualche altra cosa, a pensare ad altre cento incombenze.
Poi mi sono rassegnata e mi sono detta che prima finiva questa serata meglio era.

****************


Sono le undici e mezza.

Spero con tutta me stessa che questa roba stia per finire.
Essendo noi arrivati giusto in tempo per il concerto, abbiamo trovato gente che probabilmente era accampata lì da giorni, con le buste della spesa, gli avanzi del pranzo e della cena, qualche coperta, borsoni da viaggio, felpe, maglie nere piene di scritte che inneggiavano al gruppo e al nuovo album, American Idiot.
Già esistono i gadget di questa roba?!
Pensavo che fosse un tour per promuoverlo questo benedetto album!
Quando l’ho fatto notare a mia figlia ha alzato gli occhi al cielo e mi ha spiegato che i Green Day erano già conosciutissimi, perché tutte le radio americane già trasmettevano, da un mese a questa parte,  le due hit dell’album nuovo, almeno due volte al giorno.
Bene, e allora perché diamine li chiamano tour promozionali?!
Mah... al giorno d’oggi la gente non conosce più il significato delle parole, le usano a casaccio.
è seguito un bello scambio di freddure fra me ed Alice:

“Mamma, secondo te cosa si fa ai concerti?”

“Si ascolta la musica.”
“Sei un genio, non c’è che dire. A parte questo? Che ci si va a fare ad un concerto?”
“Non saprei, io qui non ci sarei mai venuta, per esempio”
“Oddio, prova a fare uno sforzo di immaginazione no?!”
“Non so...a sbavare appresso ai cantanti?”
“Ah ah ah, molto divertente, davvero...”
“Vedi anche io sono una tipa giovane. Mi immedesimo bene nel ruolo.”
“Mamma...hai vinto, ok? Sei contenta? Adesso puoi anche smetterla, grazie.”
“Come? Ci ho anche azzeccato?”
“No! Ai concerti si va anche per cantare, per saltare, per ballare!
E come fai a cantare se non conosci le canzoni?
Ecco perché! Promuovere o no, nessuno si diverte veramente ad un concerto se non sa nemmeno mezza canzone!”

Devo dire che il ragionamento di mia figlia non faceva una piega anche se non ci sarei mai arrivata da sola. D’altronde, fossi stata veramente sola non sarei nemmeno qui e quindi anche il mio, di ragionamento, è sacrosanto.

E poi dopo un po’ di attesa, tra gli applausi, gli urletti vari dei fan incalliti, sono comparsi i Green Day con botti, fuochi artificiali, luci varie che illuminavano strategicamente alcuni punti del palcoscenico, sugli schermi apparivano le loro immagini ingrandite ad arte, probabilmente per farli apparire fotogenici o qualcosa del genere.
Una breve presentazione di Armstrong e via, tanto comunque non si capiva un bel niente con il casino che facevano questi sotto il palco.
Hanno attaccato con i soliti quattro accordi, pestati quanto bastava per farmi fare un salto, la prima volta che li ho sentiti in quella dannatissima macchina.
Tra l’altro Alice non faceva altro che infilarsi di qua e di là, tentando di avanzare, più vicina possibile al palco, cosa che mi rendeva abbastanza difficile tenere lei e la sua amica sotto controllo.
Ho dovuto spintonare senza chiedere scusa, sgattaiolare tra la gente, nascondermi per non rischiare un pugno in faccia. Ho dovuto alzare la mano, come gli altri, saltare per non farmi notare troppo e, cosa più tremenda di tutte, ho visto alcuni del servizio d’ordine, non so se poliziotti o semplici addetti alla sicurezza allo stadio, guardarmi divertiti, additandomi come uno strano animale ridicolo.  Forse non tanto per l’età quanto per i pinocchietti di Jeans, i mocassini blu e la maglia a righe bianche e blu, stile marinaretto, che mi facevano sembrare una uscita da una rivista di moda per famiglie e bambini.
Ebbene, non sono vestita di nero, non ho catene, non ho metalli vari in faccia, al collo, ai polsi, alle caviglie, non ho vistosi tatuaggi da nessuna parte, anzi non ne ho affatto a dire la verità, però ho i capelli bianchi! Se li facciano bastare!
Bene, a parte questo, adesso che mi sento abbastanza stonata per me possiamo anche andare.
Dopo tre ore e passa di show il tutto sembra terminare finalmente con grandi fuochi artificiali che accolgo come fossero la mia salvezza.
Si ritirano, se ne vanno, si profondono in grandi saluti, baci appassionati di Armstrong fra le urla generali, e poi finalmente scompaiono.
Adesso devo solo guadagnare la via di casa, tranquillamente, anche se qua nessuno sembra intenzionato a sfollare. Sono tutti ubriachi di musica, qualcuno di birra, qualcun altro è talmente flippato che probabilmente non si addormenterebbe nemmeno con un sonnifero.
Ma non sono cazzi miei, adesso voglio andare a casa, la mia casetta bella;
mi farò una tisana, magari un bagno caldo, mi appunterò sul frigo l’indirizzo di quel Christopher Moore e proverò allo specchio ciò che devo dire domattina...

“Alice? Charlie dov’è Alice?!”

“Io...non lo so! Era qui! Vicino a me!”
“cristo santo…ALICE! ALICE EDWARDS!!! ALICE!!!”

Ma dove si è cacciata quella stupida!!!

Vuole farmi morire di paura?! Magari di crepacuore davanti a questa gente?!?!
Se la trovo la rinchiudo per almeno un mese, le vacanze da quella sua amica, Martha, se le può anche scordare, basta con tutti i suoi cd o i suoi stupidi capricci, le sequestrerò immediatamente questo disco deleterio, assolutamente diseducativo, che tra l’altro mi sta procurando più guai che in tutta la mia vita!!!
Inutile dire che mi faccio largo fra la folla, la cerco disperatamente con gli occhi, per poco non prendo a schiaffi almeno tre persone che sembrano assomigliarle un sacco, mi scuso per l’aggressione per ben tre volte e poi ricomincio a cercarla.
E nel frattempo urlo il suo nome ai quattro venti e non ricevo risposta.
Non posso perdere mia figlia in questa maniera, non esiste...non posso...

MIA FIGLIA, PORCA PUTTANA, DOV’E’ MIA FIGLIA!!!!!!!!!!!!
E poi la vedo.
Quella stronzetta sta oltrepassando le transenne, indisturbata. È abbastanza sottile e piccola da passare inosservata, poi vestita di nero, si confonde con l’ambiente che è una bellezza.
Mi precipito verso di lei ma è già sparita dietro le quinte.
Merda, e adesso come la recupero?!

“ Mi scusi, signorina, si allontani, oltre queste barriere non può andare.”

“Senta, là dentro c’è mia figlia...”
“Sua figlia? Impossibile, signora, oltre le transenne c’è il campus, la sala luci, la sala registrazioni, e poi gli alloggi dei musicisti. È assolutamente vietato l’accesso a fan e affini. Sa, dopo il concerto i musicisti devono riposare.”
“Non me ne frega niente dei musicisti e non sono una fan. Io voglio solo indietro mia figlia!”
“Signora, non insista oltre con questa scusa, se qualcuno fosse passato lo avrei visto!”
“Per piacere, vuole controllare un po’ meglio?! Rivoglio indietro mia figlia!”
“Signora, se insiste ancora dovrò allontanarla.”
“Ma è sordo, è stupido o cosa?! MIA FIGLIA, CAZZO, TIRI FUORI MIA FIGLIA DA LI’ !”

Quello si fa avanti e cerca di sospingermi indietro, sbuffando spazientito.

Bene, allora sono rassegnata, vorrà dire che dovrò crearti parecchi problemi compare, ma te la sei cercata...

“MA COSA FA?!?!?! COME OSA METTERMI LE MANI ADDOSSO?!?!?!??!

AIUUUUUUUTOOOOO!!! UN BRUUUUTOOO!!! QUEST’UOMO MI MOLESTAAAA!!!
AAAAAAH!!! AIUUUUTOOO!!!”

Attiro l’attenzione prima di un piccolo gruppo, poi pian piano sempre più persone sembrano girarsi e seguire la mia vicenda. Io ovviamente continuo a urlare contro quel poveretto, più stonato che mai.

Cominciano a farsi avanti un paio di omaccioni dall’aria arcigna e finalmente li vedo farsi avanti, minacciosi, mentre ruggiscono: “ma che fa? Giù le mani dalla signora! Ma come si permette?!?!”.
Questi due sono la mia salvezza.
Si avventano contro il tizio della sorveglianza che non ha nemmeno il tempo per pronunciare verbo.
Nel frattempo io striscio oltre le transenne, fuggendo dal casino allucinante che ho creato.
Gente che si agita, si spintona, il povero sorvegliante che viene preso per la maglietta e strattonato di qua e di là, sembra che tutti vogliano fargli la pelle e nessuno si accorge che la signora molestata se la sta filando.

Adesso l’unica cosa che mi preme è trovare mia figlia. Subito!

****************

 

[Alice’s POV]

Ce l’ho fatta. Sono dentro. Sono vestita di nero.

Hanno spinto le luci e il sorvegliante è troppo impegnato a vedersela con mia madre per fare caso a me.
Mi arrampico oltre le transenne, pian piano, come una specie di scarafaggio, mentre le luci sono spente sotto il palco. Se continuo così non dovrebbero notarmi prima di arrivare dentro.
Non so esattamente cosa ci sia lì, dietro tutti questi sbarramenti, ma prima o poi troverò degli edifici, delle tende, dei camper, qualcosa, insomma!
E infatti è così. C’è un grosso spiazzo asfaltato su cui sono parcheggiate diverse macchine, qualche camper, e  sono stati allestiti dei capannoni enormi, simili a vere e proprie case, attrezzi, estintori, scale di metallo, strumenti musicali, scatoloni di cartone, cavi e tubi che corrono per terra.
E ogni tanto un po’ di gente porta via questa o codesta o quella cosa, tra un veicolo e l’altro sono appostati uomini della sicurezza, con giubbotti arancioni catarifrangenti che mi sanno di minaccioso.
Come faccio a non farmi beccare?
Posso provare a strisciare lungo i camper ma sono tutti colorati, con i marchi degli sponsor e poi sono illuminati da luci rivelatrici.
Ok, bad idea.
Improvvisamente sembra esserci del movimento là fuori.
Vedo la sorveglianza agitarsi, gli sguardi di tutti puntarsi su un tizio che cammina frettolosamente con le sue gambe lunghe.

“Mr Dirnt, che succede? Dove va? Le serve qualcosa?”

“Si, il mio cellulare. Non trovo più quel cazzo di cellulare.”
“ha cercato nel suo alloggio? In quelli del signor Armstrong o del signor Wright?”
“No, l’ho portato su, prima di entrare sul palco perchè quella rompipalle di mia moglie mi ha chiamato proprio in quel momento. Io ODIO rispondere a telefono, parlare con chiunque prima di uno show. Anastasia lo sapeva...”
“Capisco, Mr Dirnt, possiamo cercarlo. Ha provato a chiamarlo?”
“Ovviamente l’ho spento.”
“Certo.”
“Maledizione, Sarah* e le sue stupide ansie isteriche…”
“Chiedo in giro. Potrebbero averlo trovato.”
“Uhm...probabilmente sono l’unico qui che usi un cellulare Nokia in bianco e nero.
Non mi chieda che modello è, ci manca solo questo.”
“Certo che no, torno subito.”

Vorrei saltare di gioia. Chissà se si ricorderà della mamma!

Altrimenti pazienza. Anche solo un autografo mi va bene.
Aspetto che la guarda di servizio si allontani forse per dare disposizioni ad altri e ne approfitto per uscire dal ombra e farmi avanti, timidamente.
Mike Dirnt, nel frattempo, sembra voltarsi per andare verso la scala di ferro che porta al retropalco.

“Mike! Mike Dirnt!”


Lo vedo girarsi stranito, giustamente aggiungo, per poi osservarmi da capo a piedi, mentre riconosco rughe di stanchezza e preoccupazione su quella fronte così alta.

Si fa avanti, con il passo dondolante di chi è persino stanco di stare in piedi:

 

“Piccola, che ci fai qua dentro?
Non è posto questo per i fan. Lo spettacolo è finito.”
“Aehm...si, lo so. Scusami, se...insomma sarai stanco dopo...mi faresti un autografo?”
“Tu non dovresti stare qui.”
“Si, ma...”
“Sei sola? Non hai genitori, qualcuno?”
“Beh, non è che sia proprio piccola eh!”
“Comunque non è bene girare a quest’ora di notte e poi qui è...”
“Proibito ai fan. Lo so. Ma, ti prego, me lo fai un autografo?!”
“Cristo...”
“Tipregotipregotipregotipregoooo!”

Sembra rassegnarsi, incrociando le braccia al petto e abbassando il capo, in attesa.

Io infilo la mano nella borsetta di tela, piena di spille che porto sempre con me e ne caccio fuori una penna e un pezzo di carta, uno scontrino. È tutto quello che ho, quindi si accontentasse!
Lui si avvicina al camper e si appoggia alla parete per firmare in fretta quel pezzo di carta.
Poi, rovistando trovo anche un pennarello e mi viene subito un’idea.

“Lo faresti anche sulla maglietta? Con questo?”

“Tua madre dov’è?”
“Lei si ricorda di te.”
“Cosa?”
“Mia madre è Virginia Foster, ti ricordi?”
“Virginia Foster? Mai sentita.”
“Come no? E dai prova a ricordaree!”
“Non me la ricordo affatto.”
“Uhm...1989, Vig e...Juls, si così si chiama papà.”
“Vig? Oddio...Vig hai detto? Forse...ma sarebbe davvero strano.”
“No, è così! Io sono la figlia, Alice Foster! Anzi, mi scrivi una dedica?”
“Senti, piccola, io sono stanco morto e tu non dovresti essere qui, quindi adesso chiamo qualcuno del servizio di sicurezza che ti riporterà a casa, o qualcosa del genere.”
“No, ti prego! Non puoi non ricordarti!!!”
“ALICE!!!”

Oddio. Questa è mamma.

Sicuro come la morte.

******************


[Vig’s POV]


È là, quella stupida.
Vicino al camper e vicino ad un tizio che...le sta toccando la maglietta!
Mi precipito lì sul posto, e vedo il tizio fare tre passi indietro, impressionato.
E finalmente riesco a riconoscerlo, Mike un po’ meno biondo-platino di come lo ricordavo, ma è sempre lui, invecchiato di quindici anni.
Lui sembra non avermi riconosciuto.
Anche perché si ricorda una stupida ragazzina, bassa, rossa di capelli, con la pelle chiara e lentigginosa. Una che forse un tempo non si sarebbe mai dipinta i capelli.

“Aehm...ciao Mike.”

“Io ti ho già visto.”
“ Beh, si. Diciamo che mi regalasti un’orrenda puzzolente camicia a quadri, ti vomitai sui jeans, e ti cacciai dal bagno, terribilmente incazzata con il resto del mondo, durante la mia festa di addio. Stiamo parlando di quindici anni fa, non pretendo che tu ricordi.”
“Oh, si. Virginia. Quella Virginia.”
“Già.”

Silenzio, con non poco imbarazzo.

Lo sapevo io che mi mettevo in una situazione scomodissima.
Non smetterò mai di ripeterlo: non avevamo niente in comune a diciotto anni, come possiamo averci qualcosa ora a trenta quattro?!
Lui si schiarisce la voce, quasi come se volesse dire qualcosa ma poi sembra ripensarci.
Sembriamo due deficienti, mentre mia figlia ci guarda piena di aspettative.

“Beh, allora come stai? Vedo che il gruppo va alla grande...e avete anche cambiato nome.”

“Oh, si e tu...ti sei tinta i capelli.”
“Si, ormai erano bianchi e mi dava fastidio l’effetto sale e carota.”
“Sale e pepe?”
“Quando mai ho avuto i capelli scuri?!”
“Si, infatti.
Scusami, davvero sono stanco morto e vorr...”
“MIKE, MA CHE CAZZO DI FINE HAI FATTO?!”

Non ho bisogno di indovinare chi è ad apostrofare così il povero Mike-biondo-platino.

Billie Joe ha sempre avuto un talento per queste uscite sempre fini ed è un piacere sapere che non è cambiato in quindici anni della nostra vita.
Tra l’altro dove sta uno sta l’altro quindi sembrerebbe quasi strano trovarli da soli.
Eccolo che compare, baldanzoso come un galletto, sempre star e protagonista sopra e fuori dal palco.

“Ma che diavolo succede? Mi scusi, lei, signora, chi è?

E tu, ragazzina, che ci fai qui?
Qualcuno mi vuole spiegare che cazzo succede qui?!”
“Calma, Armstrong, niente di personale, ero solo venuta a recuperare questa stupida scalmanata.
Ce ne andiamo subito.”
“Billie, te la ricordi Virginia?”
“Chi?”
“Armstrong, Coleridge non ti dice niente?”
“Morto e sepolto quindici anni fa.”
“Se era un modo per dirmi che sono vecchia, grazie mille.”
“Virginia...For...Foz...Fox...”
“Foster?”
“Si! Quella?”
“Si”
“Quella che non ha capito fino all’ultimo che stavamo sgraffignando un amplificatore?
Quella che mi ha fatto combinare un casino con quell’altra...Jenny credo.
Quella a cui ho dovuto spiegare in dettaglio la mia cacciata dalla High School perché troppo stupida per capirlo? Senza offesa.”
“Figurati. Si, quella.”
“Ah. Ciao.

È un po’ che non ci si vede.”

Mike nel frattempo si gingilla fra un piede e l’altro, mentre si guarda intorno, quasi sperasse che arrivi qualcuno a cacciarci via.

Deve essere a pezzi. Pensavo fosse abituato alla vita da rockstar.
Immagino sia stressante almeno quanto un animale da circo.
Non sceglierei mai una vita simile, aldilà del mio interesse per la musica.

“Mike, tutto bene?”

“Eh? Si...Scusa Virginia, io ti saluto.
 Si...Mi vado a stendere, ok?
 Ciao, ragazzina.”
“Ok, ciao. ”
“Ciaaao Miike! E comunque mi chiamo Alice!”

Lo guardiamo allontanarsi sempre barcollante.

Non posso evitare di interpellare Billie con lo sguardo che mette alla prova il mio labiale.
Si è sempre un po’ mangiato le parole, anche se è decisamente migliorato da questo punto di vista.
Spalanca gli occhi, circospetto e mi sillaba:   Women...got it*?
Sbuffo, per niente impressionata dallo spirito e lui fa finta di niente mettendosi le mani in tasca e riprendendo normalmente a conversare:


“E chi è questa qui?”
“Billie, è mia figlia.”
“Uh...tua figlia eh? Grandetta. Ci siamo sposati giovani eh?”
“Non me ne parlare. E tu?”
“Oh, anche io ho i miei pargoli e se potessi ti presenterei mia moglie ma ora...”
“Si, ho capito. Comunque è stato bello.”
“Ti do il mio numero, vuoi? Potremmo vederci, magari nel week-end, che ne dici?”
“Io...forse è meglio di n...”
“SI!”
“Alice, per piacere! Non voglio rovinare i tuoi programmi...”
“No, tranquilla, al massimo conoscerai la mia famiglia. Un pranzo insieme ci starebbe...”
“Ah, ok. Si, sarebbe carino.”
“Allora dove lo appunto il numero?”

Mi frugo in tasca mentre osservo mia figlia che gli porge adorante una penna, trattenendosi a stento dal saltare di gioia. Ne tiro fuori un foglio con la lista della spesa e glielo porgo, lui appunta il numero e me lo ridà.


“Vi faccio riaccompagnare fuori, ok? Ci penso io. Dirò che vi aspettavo e cazzate varie...boh, voi fidatevi, ok? Ci si sente.”

“Ok, a presto allora.”
“Ehi aspetta me lo fai un autografo sulla maglietta?!”
“Questo week-end, ok? Te lo prometto.”
“Grazie!”

Adesso voglio casa mia.

Voglio dormirci sopra perché più rincoglionita di così non posso essere.

****************



Note


* Mike, uscito dal divorzio con Anastasia del 1999,  nel 2004 sposa Sarah e divorzia lo stesso anno.

Un genio il ragazzo, nevvero?

*GLOSSARIO: Women...got it?  -Donne...capito?-


Angolo dell’autrice


Accipicchia, da quanto tempo lo tenevo nel cassette, indecisa se pubblicarlo.

Anche perché potrebbe essere il famoso passo più lungo della gamba.
è abbastanza irrealistica la scena del “superamento transenne”, si me ne rendo conto <.<
Però l’ho immaginata così e non è servita a un bel niente tutta la ragionevolezza di questo mondo.
Mi prendo un po’ di libertà in questa seconda fic perché ormai padroneggio i miei personaggi e sento che posso permettermelo! *_*

Detto questo, anticipo che i tempi di pubblicazione si allungheranno un po’ e non penso di riuscire e a postare una volta  a settimana come mio solito.
Speramm’  ‘buono!
Mille ringraziamenti a chi ancora sbircia, legge e commenta queste pagine!
Byeeeee

Misa

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Capitolo 5
*** Figli, che calamità... ***



Figli, che calamità…


[Vig's POV]


La mattina dopo il concerto sono arrivata puntuale a casa Moore.
Ci mancava solo che facessi tardi e, allora, non avrei avuto più il coraggio di presentarmi.
Ovviamente questo vuol dire che mi sono svegliata verso le sette e mezza, di sabato per essere in macchina intorno alle otto e avviarmi verso Mt. Washington*.
Devo dire che, superate le zone limitrofe, parecchio trafficate, sono passata attraverso lunghi vialoni alberati, ho girato intorno al Cypress Park e mi ci è voluta una mezz’oretta solo per quello, figuriamoci da casa mia fino a Washington Hills.
Non che sia lontano dal centro, da Downtown* e tutto il resto, anzi è abbastanza ben collegato dalla metropolitana; ma andarci in macchina è un suicidio.
Tutti i sabati mattina, io vado a fare la spesa per tutta la settimana e certo non posso mancare oggi solo perché devo andare a prendere mio figlio in uno dei quartieri nord di questa benedetta città!
Ho lasciato a casa Alice e Charlie che dormivano della grossa.
Ieri sera hanno fatto tardi, eccitate com’erano per l’avventura del concerto e, quando mi sono alzata verso le tre e mezza per andare in  bagno ho visto ancora la luce accesa in camera loro.
Inutile dire che sono piombata in camera, facendo una storia e pretendendo che spegnessero la luce e si mettessero a dormire.
Un tempo il sabato era un giorno di scuola, giorno leggero certo, con qualche corso in meno e qualche ora di piscina o palestra in più, ma pur sempre un giorno di scuola.
Va bene, adesso è meglio che mi zittisco, mi sembro mia nonna.
Forse avrei dovuto chiamare Julian per sapere quando torna.
Non so quante volte gli avrà detto che non siamo più ragazzini che girano, vivendo alla giornata, dormendo fuori casa, mangiando fuori e rimanendo lontani da casa per settimane.
Invece non sono mai riuscita a fargli capire che è padre, ha due figli che forse dovrebbe seguire un po’, che dovrebbe tornare meno tardi la sera, esserci di più in giornata e non partire in continuazione per concerti e tournè con il suo gruppo Jazz, quando non è impegnato con il lavoro.
In realtà è da parecchio che non vedo Julian impegnarsi seriamente.
Non so che insegnante sia, non ho mai assistito ad una sua lezione e probabilmente non ci capirei niente. Però sospetto che in questo periodo lui non stia dedicando nemmeno un briciolo del suo tempo all’insegnamento!
Ogni tanto chiamano a casa due dei suoi studenti preferiti che lui segue molto, Charles Harrison, il promettente trombettista che ha presentato al Festival del Blues,  e Fanny Madison.

Lei in particolare è davvero una ragazza deliziosa, un po’ timida con una vocina fioca fioca e delle mani sottili  e affusolate che però scorrono sulla tastiera del piano ad una velocità impressionante.
Juls mi dice sempre che anche lei ha molto talento anche se non ha abbastanza carattere per mettersi in gioco.  Fa musica da pianobar in qualche locale e così spreca il suo talento mentre cerca inutilmente di vincere il concorso per insegnante al conservatorio.
Ha praticamente la mia età e certo non può continuare con questi lavori precari.
Ultimamente però nemmeno loro hanno visto più mio marito e l’uomo fantasma non si è  degnato nemmeno di comparire in famiglia.
Dovrò fargli l’ennesima ramanzina sui ruoli e compagnia cantando.
Come se io mi divertissi, invece.

Ho bussato alla porta di casa Moore, guardandomi intorno e gettando l’occhio sul giardino, perfettamente curato;  non una foglia fuori posto, i vasetti di ciclamini curatissimi erano disseminati per il giardini, su un paio di pareti,  rampicanti fioriti quali glicine e buganville  davano un aspetto idilliaco anche al portellone del garage. C’era anche un piccolo gazebo con qualche pino, attorniato da pigne e aghi di pino caduti.
Non sembrava affatto una casa di famiglia, iper incasinata, con mille impicci e abbandonata a sé stessa nell’anarchia più totale dopo tentativi esasperati dei proprietari di mantenerla presentabile.
Per un momento mi sono seriamente vergognata pensando alle erbacce che infestano il mio prato.

Appena arrivo a casa metto Alice a tagliare l’erba!


Stavo osservando lo steccato dipinto di fresco che mi si è aperta la porta davanti, di colpo.
Inutile dire che mi sono girata, presa di sorpresa e ho incontrato lo sguardo di un uomo che mi sorrideva, cortese.
Era alto, decisamente più di me e poco più di Julian, biondissimo, quasi svedese, probabilmente trentacinquenne ma sembrava molto più giovane di me.
Chiunque l’avrebbe scambiato per mio figlio.
Biondo con gli occhi azzurri, un classico.

Niente di speciale
Poi ha aperto la bocca, ha cominciato a parlare e mi ha semplicemente affascinata:

“Salve, sono Christopher Moore. Come posso aiutarla?”
“Oh…Io…Virginia Foster…molto piacere, davvero.”
“Virginia! L’aspettavamo! I ragazzi hanno fatto colazione giusto mezz’ora fa.
Venga dentro, che ci dovrebbe essere del caffè ancora caldo.”
“Grazie no, molto gentile…ma pensavo di prendere Ronnie e…”
“Va molto di fretta?”
“No, in realtà…”
“E allora mi permetto di insistere. Vuole farmi compagnia mentre prendo il caffè?”
“Ok…certamente…grazie.”

Una voce calda, un po’ bassa, avvolgente che ti rapisce con la sua compostezza e la sua cortesia, senza un minimo di freddezza, ostilità…

Non saprei nemmeno bene come spiegare.
Chiamatelo il cinguettio di un usignolo, il canto di una sirena, il pizzicare di un’arpa.
è qualcosa che ti da sicurezza, una calma assoluta eppure che mi metteva terribilmente in imbarazzo; sono abituata a prendere tutti di petto e i miei colleghi, scherzosamente, ogni tanto mi chiamano  “la Virago” almeno quanto la mia famiglia mi accusa di essere un “generalen nazisten”.
Con lui non mi riusciva, mi sentivo strana, non sapevo come trattarlo, cosa dire, per paura di sembrare stupida.
Ho finito per seguirlo, guardandomi intorno, impressionata e ammirata davanti agli scaffali di vetro all’ingresso, su cui stavano perfettamente allineati e ordinati centinaia di libri, al design minimal del salotto in bianco e nero con dei piccoli particolari che lo vivacizzavano, come un dipinto rosso o un portacenere di ambra, tutto immacolato, ordinato fino alla nausea come la pagina patinata di un giornale di moda-casa.
Era tutto troppo perfetto, tutto stranamente  “finto”,  montato, curato fino all’ultimo particolare.
Non deve essergli sfuggito il mio sguardo spaesato e incredulo davanti a quell’atmosfera da casa delle bambole.

Ha sorriso, divertito,  e mi ha invitato a sedere con un gesto:

“è mia moglie. Lei tiene molto a questi aspetti estetici.  Ha studiato alla UCLA Design Media Arts ed è proprietaria di parecchie gallerie qui in città e qualcuna in California, ma siamo in rapida espansione.
Collaboriamo con un’azienda spagnola, Mobles 114* e di recente abbiamo ricevuto una proposta dalla Coop Himmerblau*, una famosa azienda viennese…
Prende zucchero nel caffè? ”
“Si, grazie. Quindi lei e sua moglie lavorate insieme?”

“Diciamo che io lavoro per l’azienda di mia moglie, si.
Mi occupo di Pubbliche Relazioni.
Biscotti?”
“No, grazie.
Ma il Design è anche una sua passione, immagino.”
“Mah, in realtà, ne capisco poco. Diciamo che è sono gli affari che ci hanno unito, non certo la passione per il Design.”
“Oh, capisco. Mio marito è pianista e insegna al conservatorio e sicuramente non condividiamo la passione per la musica. In realtà non saprei nemmeno dirle cosa ci ha unito.”

Ha riso di gusto alla mia battuta mentre ne approfittavo per prendere un sorso di caffè, dopo averci aggiunto ben tre cucchiaini di zucchero.
Ebbene si, amo lo zucchero, e poi il caffè è talmente allungato che non zuccherato è davvero imbevibile.
Sui Mug blu notte* è raffigurata una piuma stilizzata e sotto un marchio in piccolo “CODEART©”, quello di sua moglie, probabilmente.

Per un attimo mi sono ricordata di Ronnie, della spesa, del pranzo che avrei dovuto preparare, di Juls che dovevo chiamare ma non avevo nessuna voglia di alzarmi da quel tavolo, di salutare e di tornare alla mia vita.
Mi sentivo in un altro universo mentre ascoltavo  la sua risata che gli illuminava il viso e una simpatica fossetta faceva capolino su una guancia.
Che persona adorabile.

“Comunque suo figlio è davvero un ragazzo in gamba.

Era da giorni che non vedevo Paul così allegro e anche Sarah lo ha trovato simpatico.
Ieri non faceva che vantarsi del ritratto che lui le ha fatto. Ha talento quel ragazzo.
E quando gli ho chiesto se voleva disegnare mobili sa che mi ha risposto?
‘Che palle i mobili! E poi mi tocca usare il righello e mi scoccio ’.
Non ho potuto fare a meno di ridere e ritrovarmi perfettamente con lui!”

Ha ripreso a ridere mentre si versava un altro po’ di caffè e lo zuccherava prima di prenderne un sorso e continuare a parlare.
Dal canto mio io continuavo a guardarlo, consapevole di avere un’espressione idiota, spaesata, mentre la sensazione di straniamento continuava a confondermi.

“Ma lo sa che mi ha ricordato molto lei? Anche lei tira fuori delle belle rispostine, come quella di ieri sera.”


Oddio no. Lo sapevo che lo aveva sentito.

Stupidastupidastupida…e scostumata!

“ Mi dispiace per un attimo mi ero dimenticata che era in ascolto. ”
“Ma le pare! È risaputo, al volante si perde la ragione e si bestemmia come turchi.
Dovrebbe vedere che belli spettacoli do io, imbottigliato nel traffico di Downtown!”

Nonostante tutto continuavo ad arrossire, mio malgrado, voltandomi altrove e cercando di non darlo  a vedere troppo, mi portavo alla bocca la tazza ormai vuota come se volessi bere ogni singola goccia di quel caffè e mangiarmi anche la tazza.

“Posso offrirle un altro po’ di caffè?”
“Mamma! Uffi, sei già qui?!”

A interrompere quella situazione per me sempre più imbarazzante ci pensa il grido deluso di Ronald che scende di corsa le scale che portano al piano di sopra e mi osserva seccato, come se  fossi la peggiore scocciatrice del mondo.

“Ronnie! Come stai, caro? Dormito bene? Ti è piaciuto stare a casa del signor Moore?”
“Christopher. Semplicemente Christopher.”
“Si. Io e Paul ci siamo divertiti un sacco, signor Moore!

Ma dov’è? PAUL!!! SCENDIII!!!”

“Shshshshsh!”

Cerco di zittire Ronald che sta chiamando a squarciagola l’amichetto facendo troppo casino per i miei gusti.  Già sono passata per sboccata e maleducata ci manca solo l’appellativo di “incapace di crescere i figli” e sono a posto.

Dopo un po’ compare una figuretta più sottile di mio figlio, biondissimo tanto che sembra avere un caschetto di paglia in testa, e gli occhi verde-azzurri.
Somiglia molto al padre però sembra alto almeno quanto Ronnie, quindi un po’ bassino.
Probabilmente, una volta adolescente, si allungherà.

 

“Mamma, Paul può venire a casa mia?”
“Amore, non oggi. Facciamo in settimana, così lasciamo un po’ tranquillo anche il sign…Christopher.”
“Ma le pare, Virginia.
Quando vuole io sono sempre disponibile per portare Paul e per venirlo a prendere.
E mi piacerebbe rivedere anche lei.
Paul, saluta la signora Foster.”
“Buongiorno, signora.”
“Ciao, caro, buongiorno.
Christopher, io da parte di mia mi sdebiterò invitandola a pranzo domani mattina.
Verrebbe con la famiglia al completo?”
“Io, Paul e Sarah verremo sicuramente. Sarà un piacere.”
“Sua moglie deve lavorare? Altrimenti se preferisce rimandiamo alla settimana prossima”
“No! Mamma, domani!”
“Ronnie, per piacere.”
“In realtà non è un bel periodo per mia moglie…domani andrà benissimo.”
“Allora vi aspetto tutti a mezzogiorno a casa mia. L’indirizzo è…”
“Ce l’ho io, signora Foster.
Ronnie, ci vediamo domani!”
“Ok! Porta lo scheletro del dinosauro che finiamo di montarlo!”
“Ok!”

Ho salutato, ringraziato per il caffè e alla fine io e Ronnie ci siamo infilati in macchina e ce ne siamo andati. Mentre ripercorrevo gli stessi parchi  e gli stessi giardini di appena un ora prima Ronald mi raccontava entusiasta tutto quello che aveva fatto da Paul, di quanto Sarah fosse simpatica e carina, del suo disegno, del dinosauro che stavano costruendo e del loro progetto di diventare paleontologi insieme per studiare i dinosauri e poi clonarli come gli OGM.
Non so dove avesse sentito parlare degli OGM ma la cosa doveva averlo entusiasmato parecchio perché diceva che gli sarebbe tanto piaciuto vedere un dinosauro vivo.
Forse avrei dovuto spiegargli che OGM e cloni sono due cose diverse e che, a  riportarli in vita ci aveva già provato John Hammond con Jurassic Park* e aveva combinato un casino bestiale, nel vero senso della parola.
Ma ancora una volta ho prestato un solo orecchio a quello che mi diceva mio figlio e stavolta avevo una buona ragione: non sapevo perché ma Christopher Moore mi aveva incantato.

*******************

[Alice’s  POV]

Stamattina il cellulare di mamma mi ha buttato giù dal letto alle undici e mezza.
E che cavolo, ieri abbiamo fatto le tre di notte! Contavo di dormire almeno fino alla mezza!
Dio, è stato fantastico, da sballo, un vero sogno; non svegliatemi!
E invece mamma ha infranto tutte le mie speranze a ritorno dal concerto, in macchina:

 

“Oddio, mamma, hai visto che figo?! Ci ha praticamente invitati a pranzo!”
“Alice, diamoci un taglio, ok?”
“Allora quando li vediamo? Perché non li invitiamo domenica a casa nostra?”
“Alice, per piacere…”
“Secondo te verranno anche la moglie e i figli?  Quanti anni hanno, l’età di Ronnie, eh, Charlie?”
“Boh…si…”
“Alice! Cribbio, ascoltami per un secondo!”
“…”
“Non ho nessuna intenzione di richiamare Billie.
Non ci vedremo più, è stato un caso eccezionale.
Noi abbiamo la nostra vita, lui la sua ed è anche cento volte più incasinata.
Si dimenticherà in fretta, con tutto quello che avrà da fare, figuriamoci se può perdere tempo con vecchie conoscenze del liceo. ”
“Ma mamma…!”
“Adesso basta, ho mal di testa, sono stata costretta ad ascoltare musica pessima e rintronante quindi  vorrei un attimo di tranquillità!”

 

Quindi mamma non alzerà mai il telefono per chiamarlo e questo non lo posso permettere!
Vorrei poterlo contattare  io…

Ho discusso tutta la notte con  Charlie sul da farsi, almeno finché mamma non è venuta a rompere i coglioni. Non avevo nemmeno tutto questo sonno!
Mi sono rigirata nel letto per venti minuti buoni prima di addormentarmi.

Come dicevo, stamattina ha squillato il telefono della mamma e non sono arrivata in tempo per rispondere: una chiamata persa, JennyCell.
Zia Jenny è praticamente la migliore amica della mamma.
Si sentono poco ma passiamo sempre le vacanze insieme, a Natale lei è da noi con la sua compagna, Nicole. Nicki è esattamente il contrario di Zia Jenny.

È tranquilla, riservata, ride poco ma sorride, molto dolce, discreta e sembra una di quelle fragili e delicate.
Zia Jenny, invece, è davvero un maschiaccio.

Va in giro con delle vecchie tute e salopette di jeans piene di macchie d’olio, sotto magliettone da lavoro, in genere bianche, con qualche slogan dipinto sulla schiena;  non cambia quasi mai.
Se proprio deve, ci mette sopra una giacca impermeabile di quelle ultima generazione in goretex e simili.
Mentre la mamma si è tagliata i capelli lei se li è fatti crescere e sfoggia sempre una coda di dreadlock scurissimi che fanno a pugni con la sua pelle pallida; si è giustificata dicendo che così non doveva lavarli poi così spesso. La mamma stava per picchiarla!
Lei e Nicole vorrebbero sposarsi. Nicki ne ha parlato spesso con la mamma, chiedendosi se non era il caso di spostarsi, magari in Massachussets o in Europa*, ma chiaramente Jenny non ne vuole sapere di abbandonare Los Angeles.
Tra l’altro mamma le ha ricordato che la California riguardo i diritti civili sta molto meglio di altri stati dell’America e  dell’Europa e le ha suggerito di pazientare un altro po’.
L’unico che ancora ha qualche problema con lei è papà.
Ogni tanto sembra un po’ teso, specie quando rimangono soli o quando la conversazione langue.
In altri casi papà semplicemente si defila per andarsi a chiudere in una stanza, a comporre e a scribacchiare, astraendosi dal mondo.
Non ho mai capito quale fosse il problema fra i due, sembrano sentirsi a disagio ogni volta che si scambiano due parole.
Dovrò farla richiamare da mamma.

Ormai il telefono mi ha svegliato e quindi mi sono alzata per mettere il latte sul fuoco e fare il caffè quando  mi balza in testa un’idea diabolica.
Là, sul tavolo della cucina c’è il cellulare di mia madre.
In camera mia, gelosamente custodito nel cassetto del mio comodino, c’è lo scontrino con su annotato il numero di cellulare di Billie Joe Armstrong.
Uno più uno…
Lascio il fuoco con il latte sopra e mi fiondo in camera.  Charlie sta ancora dormicchiando.
A lei forse servirà anche il caffè per svegliarsi ma io sono decisamente elettrizzata.
Guardo l’orologio a parete: è mezzogiorno meno un quarto.
Caccio fuori quel benedetto biglietto e digito il numero sul cellulare di mamma.
Oddio…squilla…rispondirispondirispondiiiiiii…!

“Pronto, parla Billie Joe Armstrong.
 Chi è?”

Ci metto un istante a rispondere.
Mi sembra troppo bello per essere vero.
Prendo un respiro mentre quello ripete, stancamente la presentazione.

“Ciao!”
“Chi cazzo è?
 Chi è che parla?!”
“Si, scusa, hai ragione… Sono Alice Foster!”
“…”
“Sono quella di ieri notte, la figlia di Virginia.”
“Ah, ecco.
Ragazzina, potevi dirlo prima, no?”
“si, scusa, hai ragione…
 Senti…”
“Cosa?”
“Verreste domani per una pizza, a pranzo?”
“Aspetta…domani è domenica?”
“Si.”

Forza, dici di si!
Ok, fin’ora è andata abbastanza bene.
Non ha chiesto della mamma.
NON deve chiedere della mamma!

“Allora si può fare.
Ma a l’una, che prima abbiamo le prove.
Ma la mamma non c’è?”
“Si…cioè…”
“Mi ci fai parlare così magari…”
“NO! Cioè…sta sotto la doccia!”
“Ah…”
“Noi stiamo al 3083 di Maxwell Street.”
“E dove sta?”
“Aehm…hai presente la Hyperion Ave?”
“No”
“V Sunset blvd?”
“Uhm…si forse si…”
“Bene, cerchi l’incrocio con Hyperion Ave e giri…poi al Rowena Reservoir chiedi!”
“Cristo, che casino.”
“Dai, in auto se non c’è traffico non ci metti più di dieci minuti!”
“Vabbè, mi affiderò al GPS.”

C’è un attimo di silenzio e io vorrei poter tirare un sospiro di sollievo.
Ho superato la prova. Verranno!
Aspetta, non è ancora finita…
Calma, Alice, poi potrai saltare di gioia quanto vuoi ma adesso, calma e sangue freddo!

“Allora è sicuro?
Mi vuoi far chiamare dalla mamma per confermare?”
“No, no, è sicuro!
Vi aspettiamo!”
“Va bene.
Allora siamo io, mia moglie, i miei due figli, Mike e sua moglie e Tré con la figlia…
è la tua domenica vero?
Si, mi ricordavo bene*.”
“La mia cosa?”
“Niente.
Allora a domani.”
“Grande! Ciao!”
“Ciao”

Oddio, ho fatto un casino. Adesso saremo in dodici domani a pranzo.
Come cazzo faccio a dirlo a mamma?!
Potremmo fare una bella grigliata in giardino oppure ordinare le pizze o cinese e fare un picnic in giardino! Tanto il giardino è grande.
Ok, non possiamo ordinare cinese perché a mamma fa schifo.
Magari potrei chiedere a papà se mi da una mano a tenere la mamma fuori di casa fino a l’una…
Dio, chefacciochefacciochefaaaaaccio?!?!?!

“Ehi, ch’è sta puzza?”

CAZZO! IL LATTE!
Lascio basita Charlie che si strofina gli occhi assonnati mentre mi fiondo in cucina e spengo i fornelli. Ok, basta! Niente caffè e latte!
Poi sento dei passi e un agitarsi di chiavi.

“ALICE! VIENI! ORA! MI SERVE AIUTO CON LA SPESA!!!!”

Ovviamente sono scattata sull’attenti.
Ho aiutato a scaricare la macchina mentre mio fratello gironzolava portando le cose più inutili, dalla carta igienica, al sacchetto dei biscotti, mentre a me affibbiavano i detersivi, le patate, le bustone di frutta e verdura.
E poi mi è toccato mettere la tavola, aiutare mamma a pelare le patate, controllare la cottura del riso e tagliare i pomodori.

“Mamma! Dovrò pur studiare! E che cavolo!”
“Va bene, amore, puoi andare…”
“Ma che vuoi preparare?”
“Il gateau di patate”
“Per pranzo?”
“No, per domani.”

Mi blocco, inorridita.
Mia madre sta affettando le cipolle sul tagliere e sembra assolutamente tranquilla, serafica, mentre mi si sono rizzati i peli sulla nuca.
E LEI CHE CAZZO NE SA CHE VIENE GENTE A PRANZO?!?!

“P-perché?”
“Perché cosa?”
“Mamma, perché prepari il gateau per domani?! Chi viene domani?!”
“Oh, si… vengono a pranzo Christopher Moore e i due figli, Paul e Sarah.”
“COSA?!”
“Qual è il problema, tesoro?”
“è che…non voglio poppanti per casa!”
“Non dire sciocchezze.
Sarà una cosa molto carina.”
“E se…ordinassimo delle pizze?!”
“Amore, è proprio per evitare questo che sto preparando il gateau, non ti pare?”
“Ma…magari non basta.”

Mia madre si gira, guardandomi stranita e poi fa uno di quei suoi sorrisetti ironici.
Irritante. Accidenti a te, mamma, poi vediamo che faccia farai domani!

“Alice, siamo otto persone.
Ti ho fatto sbucciare praticamente quattro chili di patate.
Non dobbiamo nutrire una squadra di giocatori di rugby e io sono anche a dieta.
Non credo che qualcuno morirà di fame, no?”

Non so cosa dire.
Mi limito ad andare di là, alla ricerca di Charlie, con il disperato bisogno di approntare un piano di salvataggio. Ci mancavano quei rompicoglioni dei Moore!
E adesso che cazzo faccio?

****************

Note

* Quartiere residenziale di Los Angeles, a nord del centro della città, molto verde,

* Quartiere molto centrale di LA, aria metropolitana e distretto di affari, sede del Civic Center con parecchi edifici governativi, del Financial Center, ma anche di un centro artistico e culturale come Bunker Hill o di Chinatown e Little Tokio (quartiere giapponese). 

* Non me le sono inventate, esistono, non sono molto informata in proposito ma mi bastano le loro referenze ù.ù
 

* Questo blu per interderci  

* In Jurassic Park,  un romanzo di Chrichton da cui è stato tratto l’omonimo e famoso film di Spielberg,  John Hammond, un ricco imprenditore, investe in un parco divertimenti che ricrei il mondo dei dinosauri, clonando i geni che sono stati scoperti dai fossili e dai ritrovamenti e facendo così nascere diversi esemplari di dinosauri e piante del giurassico.
 
* In Massachussets il matrimonio gay è legale dal 2003. 
   In California è stato legalizzato il 15 maggio 2008.
  Il matrimonio gay è stato poi dichiarato illegale il 6 Novembre 2008 con un referendum che approvava la Proposition 8 ma la legge della messa al bando è stata dichiarata incostituzionale il 12 agosto 2010 e da allora la pronuncia giudiziale è sospesa. (FONTE WIKI)

* Tré ha divorziato da Claudia nel 2003. Ramona è nata nel 1995.
Frankito invece nel 2001, quindi è troppo piccolo, ma almeno lei, avrà il diritto di stare un po’ con suo padre, no? ;)


Angolo dell'autrice

Ohilà!
Si, lo so cosa non vi convince; Christopher Moore, right?
Vi sembra troppo perfetto, troppo bello, troppo aggiustatino, una moglie che fa design ed è una fissata con l’ordine, l’arte e l’eleganza, la casa da rivista patinata, lui sempre con quei sorrisi a trentadue denti ecc...
Ebbene, ricordate che questo è il punto di vista di Vig che vi parla e quindi è un giudizio un po’ di parte e poi vi assicuro che la cosa si normalizzerà.
è lei che è rimasta molto colpita da questo personaggio non perché sia strano ma perché è una di quelle persone che ti trasmettono serenità e che ti dovrebbero far sentire a tuo agio, uno di quelli con cui è piacevole chiacchierare tipo un bel vicino o un simpatico collega di lavoro.
E lei che è abituata ad aggredire la gente con spirito da amazzone si trova spiazzata, ecco tutto.
Capita che ci siano persone che ci stupiscono xD
Quanto al resto, io l’ho trovato molto divertente, un po’ improbabile, ma in fondo mi concedo anche questa, và!
Accidenti, mi sto rammollendo con l’età  ;o
Bieeeeen, alla prossima! *_*

Misa
 
p.s come al solito perdonate il ritardo ma il tempo intra anno è poco <.<

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Capitolo 6
*** Sorprese ***


Sorprese


[POV Alice]


Qualche anno fa mia madre, borbottando come suo solito, mi aveva caldamente raccomandato di non rivolgermi mai a Zia Jenny, qualunque cosa dovessi chiedere, se non in caso di emergenza, in caso di straordinaria emergenza.  Quanto avrei voluto ascoltarla!
Non potevo farcela da sola ad organizzare un pranzo per quindici persone.
 Ero terribilmente demoralizzata all’idea che tutto poteva andare a puttane e non volevo assolutamente annullare.
È la mia grande occasione per conoscere i Green Day, avevo pensato,  deve funzionare!
O comunque la farò funzionare io.
Insomma, per farla breve, mi serviva un alleato potente e papà non solo non era in grado ma non era nemmeno in casa anche se sarebbe dovuto rientrare ieri sera.
Come niente si sarà andato a sbronzare con i suoi studenti e colleghi da qualche parte, intenti ad ascoltare un po’ di musica da pianobar. Non gli ho nemmeno lasciato un messaggio per avvertirlo del casino che ho combinato.
Papà è decisamente assente e non sarebbe capace di organizzare nemmeno un vassoio di tartine, figuriamoci un pranzo per quindici persone.
Allora ho chiamato Jenny.
Era in officina e trafficava con un tubo di scappamento di una vecchia Audi, e mi ha subito passato Nicole.  Mi sono sentita più tranquilla;  in fondo Nicki è il tipo remissivo, gentile, mai audace, una grande ascoltatrice e molto più saggia della Zia Jenny.
Proprio ora aveva deciso di vivere una vita spericolata?!
E io, trovandola un’idea geniale ho subito pensato di accettare.

“Potremmo organizzarlo da me!”
“Da te?”
“Beh, al mio piccolo agriturismo, a sud di West Hollywood.
Qualche strada più avanti rispetto a V Sunset Boulevard.”
“Praticamente vicino casa!”
“Già.  Al pranzo ci pensa il mio servizio di catering, il posto lo preparo io e…”
“Cosa?”
“Senti, Jenny mi sta facendo strani segni…”
“Quali segni? Pronto?! Nicki?! ”
“Nicki, amore, molla il telefo…ecco…
  Lys, è un problema se invito qualcuno?
Mi è venuta un’idea.”
“Non lo so, Zia…”
“Non ti preoccupare cocchina, lascia fare a Zia. Ho tutto già in mente, devo fare qualche telefonata ed è fatta. Ultima cosa: hai il numero di telefono di Billie?”
“Chi? Cioè, si!”
“Mandalo via messaggio. Stasera ti chiamo e ti faccio sapere.
Ciao.”

Mi ha sbattuto il telefono in faccia, fin troppo frettolosamente.
A quel punto avrei dovuto sospettare qualcosa, ma io, da brava idiota, mi sono rilassata pensando alla fortuna che mi era capitata visto che così tutti i problemi di organizzazione se li era accollati Jenny e sono andata serenamente a vedermi un film con mamma, un thriller che passano in tv tratto da Grisham, forse.
Checché ne dica mia madre io non ho affatto le sue manie di controllo.
Io non mi agito per un nonnulla.  Perché dovrei?
Era tutto assolutamente sotto controllo.
Stamani poi mi sono svegliata alle sei del mattino, agitata come non mai.
Ho tentato di riaddormentarmi per un’ora buona, ho bighellonato in giro, acceso la tv, cercato lo jogurt in frigo ma era finito, dato la pappa al gatto della vicina (quella donna bisbetica lo lascia morire di stenti, è così carino!) , osservato l’orologio ossessivamente fino alle nove del mattino.
Ho avuto un’illuminazione mentre facevo la terza mano di solitario, totalmente rincoglionita.
Cazzo! Zia Jenny non mi aveva fatto sapere più niente!
Ho tentato di rintracciarla sul cellulare ma era irraggiungibile e così anche Nicki.
Non so nulla. Se ha organizzato tutto a dovere, se ha fatto la spia con mamma, se ha dato appuntamento a Billie, lo ha rapito e adesso sono su un isola del Pacifico a spassarsela alle mie spalle. Sto per andare nel panico.
Improvvisamente  compare sulla soglia della cucina Charlie, mezza assonnata, con i capelli dritti in testa, e l’andatura dondolante.  Il sonno più che riposarla sembra ridurla come una strega, tutta sfatta e con le occhiaie.
“Mbuondgioornmoo…”
Biascica qualcosa ma io non ci faccio caso, mentre metto il caffè sul fuoco e giro il fornelletto a gas. Ci metterà un po’ a cuocere, dovremmo cambiare cucina. Mai che la mamma si decida a fare una spesa che valga la pena di fare.
Poi suona la porta e per poco non mi prendo un infarto.
Chi diavolo sarà alle dieci meno un quarto di mattina?!
Mi sono lanciata verso la porta, mentre Charlie si ritraeva terrorizzata,  facendo un salto indietro per non essere travolta dalla mia furia.
Ho spalancato l’uscio con gli occhi sbarrati come in una scena da film horror e ho visto comparirmi davanti un tizio in jeans e maglietta, con un cappellino da baseball che mi fissava decisamente stranito, con un grosso pacco di carta in mano.
Ho salutato imbarazzata e lui ha annuito perplesso, avrà risposto al saluto o forse non avrà capito neanche una sillaba di quel che ho detto.
Si è schiarito la voce, facendo un passo avanti e tendendomi il pacco con un sorriso amichevole buttato lì, all’ultimo momento. Stringeva le labbra in maniera un po’ equivoca come se si stesse trattenendo a stento dal ridere.
“Avete ordinato una torta alla ricotta?”
“Cosa?”
“C’è in casa la Signora Foster?”
“No”
“Questa è la torta che aveva ordinato ieri nel pomeriggio.”
“Oh, grazie.”
“Tutto pagato.”
Ho afferrato la torta e stupidamente ho fatto un cenno a Charlie perché me la prendesse di mano e la appoggiasse in cucina. E stranamente ha inteso tutto così sono rimasta a fissare il tizio fuori alla porta, mister cappellino da baseball,  sui vent’anni, un neo che fa tanto chich sul mento e i capelli medio corti con un ciuffo tenuto alla ben e meglio con il gel o che so io.
Quello che non si leva dalla porta di casa mia, CHE DEVO FARE?!?!
“Aehm… scusa ma… che vuoi?”
Mi sento tremendamente stupida ma non ho un minuto da perdere. Sono già le dieci e mia madre, o Zia Jenny, o Billie, o chiunque altro potrebbero arrivare da un momento all’altro.
Quello sbuffa scocciato e incredulo come se fossi all’oscuro di un dettaglio fondamentale.
“La mancia, scema.”
LA MANCIA?!?!?! Devo dargli anche la mancia?! Non ho parole. Ma quanto sono sfacciati da uno a dieci i facchini qui a Los Angeles?!
Arrossisco come una ragazzina al suo primo appuntamento o come una ragazzina che ha appena fatto una figura di merda colossale, per essere più precisi.
Bofonchio qualcosa e richiamo Charlie ma stavolta non capisce. Peccato, mi ci stavo quasi abituando. Da stamattina è di quanto più simile ad un cane abbia mai avuto, almeno fino ad ora.
Gli sibilo un “stai con lui” e mi fiondo in camera ad attingere dal mio borsellino di pelle.
Mi dico che un dollaro andrà bene anche se in realtà non ne ho idea.
Lui lo intasca senza fare tante domande, con una smorfia e mi confida con un sorrisetto irritante
“tu sei tutta matta”
“Grazie tante”
Gli sbatto la porta in faccia e vorrei tanto rimettermi a letto, sparire e non pensare più a niente.
Poi sento un ribollire e un improvviso rumore di schizzo. La cucina è un disastro, il caffè è per terra, sulle pareti, sugli armadietti, sui fornelli, dovunque!
Spengo il fornello rabbiosa e afferro una spugna, per poco non mi scotto contro il metallo della macchinetta, mezza rovesciata sul ripiano di marmo. Che casino.
Poi la porta, quell’odioso campanello che suona come il cinguettio di un canarino.
Lascio andare la spugna nel lavandino, grondante di sapone marsiglia e acqua tiepida e mi precipito ad aprire.
“Buongiorno carina!”
Oddio no… dimmi che non è vero.
La vicina, una vecchiettina innocua che ha seppellito quattro mariti e ha chiesto gli alimenti ad altri due, con quattro o cinque figli dispersi per il mondo, mi sta fissando con i suoi fondi di bottiglia spessi come il copertone di una jeep.
Potrei morire.
“Amorino, uccellino,  ciccina, piccolina, come va? Quanto tempo eh, canarino?”
“Buongiorno, Mrs Phinnigans”
“Delfinetta di zia, ho finito lo zucchero!”
“Si certo, arriva.”
Ritorno con il nostro imbarazzante barattolo a forma di zuppa Campbell.
Questo di sicuro lo ha scelto mio padre.
“Ecco a lei…”
“Cucciolottina, angiolotta, piccipiiicci, ho finito anche la farina!”
Mi inchiodo sul posto con un sospiro. Devo stare calma.
Improvviso uno dei miei migliori sorrisi a trentadue denti (e farei bene a godermelo perché tra poco mi toccherà portare l’apparecchio, orrore) e annuisco con tranquillità, simulata con la freddezza di un’attrice di Hollywood.
“Certo che si, un attimo.”
“Grazie, cicciottina, nipotina bella ”
Afferro il barattolo della farina e per poco non rischio di romperlo ma mi sbilancio quanto basta per rovesciarne metà sulle piastrelle della cucina, sul caffè.
Stando attenta ad evitare la macchia che si allarga a vista d’occhio nella mia cucina lancio un’occhiata disperata a Charlie che… non c’è!  Dove cazzo è la gente quando ho bisogno di lei?!
Ma quando torno dalla vicina quella per poco non mi strappa la farina di mano aggiungendo sempre più zuccherosa e stridula:
“Confettino,  principessina,  anima mia, avete per caso del lievito? ”
“SIGNORA NON ABBIAMO PIU’ NIENTE ADESSO SI LEVI DAI CO…” 
annaspo e per poco non mi strozzo mentre lo sguardo di Mrs Phinnigans si fa quasi tetro e mi lancia un avvertimento di fuoco. Prendo un bel respiro e finisco, tossendo appena un pochino.
“Purtr…ooppo queesto èè tuuuto…”
“Oh cioccolatino non importa. Grazie tante, verrà uno splendido dolce. Ve ne porterò una fetta.
Vedo che ne avete bisogno visto che ne ordinate in pasticceria” commenta velenosa indicando la confezione di carta che un quarto d’ora fa aveva lasciato quel tizio.
“Bene, pinguinetta” lancia uno sguardo eloquente al mio pigiama  “io mi levo dai co...co…come si è fatto tardi! Salutami la mammiiina!”  Trilla allegra la strega.
Furente richiudo la porta mentre penso allo schifo che mi aspetta in cucina.
Mi precipito nello sgabuzzino delle scope e con stracci, acqua e detersivo per pavimenti riesco a venirne a capo. L’orologio con le ciliegie appeso al muro mi sbeffeggia, segnando quasi le undici e dieci. Mi sono persino macchiata il pigiama. Che giornata di merda.
DING DONG
Osservo, sfinita, Charlie che scende allegramente dalle scale andando ad aprire con tranquillità e stoicismo. Ed eccola che emette un urletto di contentezza.
Mi catapulto fuori dalla cucina in pigiama e atterro a qualche metro da Billie Joe Armstrong che mi sorride amichevole e, dopo un momento di stupore e perplessità torna a sorridere con una bella fila di denti… non proprio bianchi ma ci si accontenta.
“Alice, giusto?”
“Si infatti. ciao. siete arrivati presto.”
“Non direi. Sono quasi le undici e mezza. E dobbiamo ancora passare a prendere Jenny, Nicki, Rod, Ned, Stephen, Mike, Tre, Matt, Steave, Fred…”
Lo osservo mentre enumera una serie di nomi a me totalmente sconosciuti, appoggiandosi alla maniglia della porta come se gli costasse fatica stare in piedi.
“Ok ok ok, frena… pensare…ho bisogno di pensare”
“Andiamo, questa cosa l’hai organizzata tu, ragazzina.”
“NO! Nononono, io volevo soltanto un autografo!”
“Dai, ci sarà da divertirsi. Non vuoi conoscere il passato di tua madre? Sarà esilarante”
Uno scintillio negli occhi ed è fatta.
Per un attimo penso davvero che questa sia la cosa più sensata da fare.
Sul serio.
“Ok. Adesso che ne dici di levare quel pigiamino che è tanto carino e tenero e metterti qualcosa addosso?”
Oddio! Avevo il pigiama con i pinguinetti!
CHE FIGURA!!!
 

Fatto sta che,  una doccia frenetica, rischiando una frattura grave sul pavimento scivoloso del bagno, compaio in salotto, vestita in jeans rossi  a zampa e top bianco con Charlie al mio fianco, in jeans scuri e lunga magliettina nera con le borchie intorno al collo.
Quei tre sono spaparanzati sui divani e noto che si sono serviti da soli, almeno a giudicare dai tre bicchieroni di birra ghiacciata in cui galleggiano dei cubetti agonizzanti e mezzi sciolti.
Non commento e dopo aver cacciato tutto nella mia fedele sacca di pelle indiana impugno le chiavi e la busta della torta alla ricotta.
“Ragazzi , che faccio con quest’affare?
Lo presentiamo a tavola?”
A dissuadermi è la consapevolezza che è quasi a metà.
Se la sono sbafata.  In neanche un’ora. Che roba.
“Squisita, i miei complimenti al cuoco”  ironizza Tré, ridacchiando furbescamente.
Decido che è il caso di andarla a mettere in frigo e lasciarla lì per quello che regge.
Finalmente usciamo di casa e io sto cuocendo dalla curiosità di vedere le loro macchine.
E scopro che hanno affittato un furgoncino per almeno dieci persone.
Mentre Mike riscalda il motore sento BIllie gridare come un cowboy al galoppo e penso che la cosa mi è decisamente sfuggita da mano.


 ************************



[POV Vig]

Ero profondamente incazzata con mio marito, stavolta più del solito.
Quel cretino di Jules non rispondeva  al cellulare e neppure la sua preziosa allieva.
In ufficio il telefono squillava, gli avevo lasciato almeno dieci messaggi sulla segreteria telefonica (peccato che gli insegnanti di conservatorio non abbiano una segretaria) per non parlare delle centinaia di mail di avvertimento che probabilmente a quest’ora infestavano la casella del suo Blackberry.
Mi rassegno a riporre il cellulare in borsa mentre entro in farmacia per prendere le vitamine.
Non devono mai mancare a casa mia. Ai bambini preferisco darle sotto forma di alimenti ma siccome non mangio frutta ogni tanto sento il bisogno di integratori alimentari.
Saluto il farmacista, Paolo, con un sorriso stanco e lui mi consiglia l’ennesimo rimedio omeopatico che rifiuto gentilmente.
Non che non mi fidi dell’omeopatia ma non voglio avere altri rimedi “pseudo-medicinali” appresso. La mia borsa è già abbastanza congestionata e confusionaria senza bisogno delle capsule di arnika 200.
Proprio mentre do un’occhiata ad un nuovo idratante “naturale” e aspetto che Paolo risorga dal retrobottega mi arriva una chiamata di Jenny.
“Vig!”
“Ehi”
Esco dal negozio per cercare un punto dove prenda la linea ma continuo a non sentire quello che lei mi urla nelle orecchie.
“…iam…ven…do…rende…t”
“Come?”
“stia…a…ve…a…preen…de…ti”
“Jenny, non ti sento!”
“STIAMO VENENDO A PRENDERTI!”
Urla qualcuno dal finestrino di un enorme furgone.
Mi giro, allarmata e incredula.
è là, che mi saluta dal finestrino, mentre Billie è saltato giù da quel coso enorme, uno di quei furgoncini blu d’affitto che avrebbero potuto contenere una scolaresca in gita.
Le ruote sono mezze sgonfie e hanno un’aria decisamente poco sicura.
Davanti a me Billie Joe Armstrong in maglietta a righine sottili sul grigio e una giacca di pelle nera si avvicina fino ad abbracciarmi calorosamente.
“Ehi Prof”
“Armstrong, ti dispiacerebbe informarmi di quello che sta succedendo?
Sai com’è avrei ospiti a pranzo, io.”
“Ospiti? Ce li abbiamo tutti noi gli ospiti. Salta su che sto morendo di fame.”
Mi indica il furgoncino dove una folla di gente chiacchiera allegra; visi familiari fra l’altro.
“Billie non sto capendo, chi è tutta questa gente?”
Mi avvicino sospettosa, osservando attentamente i visi oltre i vetri che ridono e ammiccano fra loro.
Poi una donna si gira verso di me e, dopo l’iniziale sorpresa sopraggiunge la gioia.
“Oddio… ma tu sei Meggy!”
“Vig, da quanto tempo!” sento la sua voce attutita dal vetro del finestrino.
Senza più indugio mi infilo nel furgoncino e vengo investita dai saluti di almeno una decina di persone.
Le osservo meravigliata mentre il passato si trasfigura in presente, davanti ai miei occhi sbalordita.
Margaret Morgan*, la mia amica di una vita, con i suoi riccioli castani, un tempo diligentemente cotonati, oggi ripassati con il ferro e la frangetta piastrata, color biondo paglia.
Sempre e incessantemente alla moda, a qualunque età.
Accanto a lei è seduto un uomo, in giacca e camicia bianca con iniziali ricamate sul taschino che spuntano fuori prepotenti, in blu scuro e l’aria da manager affermato con tanto di occhialetti.
“Vig, ti ricordi di George?”
Non ci posso credere! Il fidanzatino di Los Angeles*. Non mi dire.
“parlo con il signor Morgan?” scherzo con tono solenne scatenando le risa dei due coniugi.
Evidentemente ci ho azzeccato.
“E Sabina?”
Sabina Ramirez*, altra nostra amica storica, mi saluta entusiasta qualche fila di sedili più dietro.
“ Sab! Oddio ragazzi che bello rivedervi tutti!”
Sento Armstrong tossire in maniera teatrale ed evidente e intravedo sul suo volto di profilo un sorrisone sornione.
“Vuoi dei ringraziamenti, Armstrong?”
“Mi offri anche una cena?” e mi strappa ancora una volta un sorriso.

Mentre la strada intorno a noi scorre monotona e grigia, mi guardo intorno tendendo l’orecchio alle conversazioni nel pulmino e osservando le mie vecchie conoscenze.
Ogni tanto scambio un commento con Mike biondo-platino.
Mi fa piacere vederlo più rilassato, almeno non mi crolla dal sonno.
in ultima fila sono stati relegati i bambini. Ronnie sembra trovarsi bene con una bambinetta dall’aria esuberante con lunghi capelli castani, raccolti in una treccia disordinata e sembra starle mostrando alcuni  suoi disegni dal blocco che porta sempre con se.
Accanto ad Alice e Charlie ci sono due ragazzine appena più grandi, forse due diciottenni dall’aria spocchiosa. Eppure pare che abbiano trovato un punto di accordo, forse sulla musica, fatto sta che stanno discutendo amabilmente se sia più bello un certo Mark Hoppus o un certo Gerard Way* o che so io. L’importante è che si capiscano loro.
Tra l’altro una è la bella copia di Meggy da giovane.
“Ma quella che vedo è la tua progenie, Meg?”
“Sylvia è mia figlia, Corinne è la cuginetta che è in vacanza da noi. È parigina.”
Lo dice con un’aria chioccia e orgogliosa. Quella donna non cambierà mai.
Sempre all’ultimo grido ed ogni occasione è buona per sbattertelo sotto gli occhi.
Lancio un’occhiata ironica a Mike-biondo-platino che risponde divertito, con una smorfia finto-scioccata.
Un paio di sedili dietro vedo Fred, il buon vecchio Fred, mio autista preferito al tempo della squatter house tra la West 7th e Peralta Street*.
Era così dolce e bambino, lo comandavo facilmente a bacchetta ma era un tesoro.
Con lui non sono mai arrivata in ritardo a scuola.
Lo vedo mentre gioca al nintendo in una sfida a supermario con un ragazzino di dieci anni, il volto paffuto e i capelli scuri, dalla corporatura robusta nonostante la sua giovane età.
E poi ancora una donna che li guarda divertiti mentre lancia un’occhiata materna ad un secondo bambino di appena sei anni che protesta sulle sue gambe, anche lui interessato a quella infernale macchina per videogioco-dipendenti.
A distrarlo interviene un tizio dall’aria tremendamente inquietante con i capelli verdastri, insozzati di gel fino al midollo e gli occhi spiritati. Anche lui abbondante di corporatura, con le sue espressioni scimmiesche imbastisce un circo di boccacce che mandano in visibilio il bambinetto facendo ridere anche la madre che nasconde a malapena sotto le mezze maniche i tatuaggi colorati.
Ho un bruttissimo presentimento.
“Ehi Mike”
“Si, si, stiamo arrivando” mi rimbecca Billie sbrigativo.
“Non stavo parlando con te Armstrong. Ci sono un po’ di personaggi che non conosco.”
“Di Fred ti ricordi spero.”
“Avevi dubbi?”
Ancora una volta Billie si intromette, provocatorio:
“Sta parlando di mia moglie. Lei è Adie. E vicino a Fred e Tre ci sono Joey e Jake, i miei figli.”  
Wow, la famiglia al completo. Tutti con un’adorabile aria punk, una faccia da campagnolo bifolco e abitudini decisamente poco educative in fatto di pedagogia classica.
Complimenti, Armstrong, hai colpito ancora.
“Adorabili”
“Sapevo che avresti apprezzato”
“Non mi aspettavo niente di meno da te.”
“Ma se ti eri dimenticata della nostra esistenza fino alla settimana scorsa!”
E anche qua non ha tutti i torti. Quasi quasi sono pentita.
“Non conosci Tre?”
“Il vostro nuovo batterista. È francese o è semplicemente un cazzone?”
Vedo i due vecchi amici storici scambiarsi uno sguardo furbesco, trattengono il riso in maniera evidente.
“Naturalmente te lo presenteremo” sogghigna Billie mentre sterza violentemente facendoci sobbalzare tutti.
Siamo davanti al cancello dell’agriturismo di Nicole. At last.

Sono sconvolta ed estasiata.
Intanto non sapevo che l’agriturismo di Nicki fosse così bello.
è un piccolo paradiso bucolico.
Prato ovunque, dei vigneti e persino tre gazebi, due invasi dall’edera e uno adornato da una buganvilla violacea rigogliosa che fa molto romantico.
Non manca dietro la casa un’enorme piscina olimpionica e una piscinetta per i più piccoli.
La casa patronale è un carinissimo cottage di tre piani che ospita circa sei –sette stanze per piano e poi ci sono una quindicina di dependance nel giardino-ortobotanico che  da un tocco di esotico e selvaggio ai dintorni.
Sembra davvero un agriturismo di quelli italiani che vedi sulle foto delle riviste di viaggi.
Per noi sono stante organizzate tavole e tavole di legno con apposite banche e, a far da cornice un servizio di catering assolutamente professionale che arrostisce bistecche, hamburger e hot dog caldi sul momento su enormi braciole. Sembra attendano solo noi.
Si intravedono spiedini, verdure alla griglia, patate fritte a volontà persino il pane e olio sulla griglia, poi servito con burro e salmone.
Mi guardo intorno instupidita mentre mi vengono incontro nostri vecchi compagni di scuola i cui nomi avevo dimenticato da un pezzo, ragazzi che ho visto da qualche parte e che non riesco minimamente a ricordare.
Man mano che vado avanti è tutto un “Ciao, ti ricordi di me?”, “Vig!” , “Virginia, come va?”.
Potrei avere un tracollo.
Rivedo Matt che si era subito alleato con me per i turni di pulizia alla squatter e adesso ha aperto un locale notturno, Patricia che adesso lavora in uno strip club e ha sposato il capo del locale, persino Rod, mansueto e silenzioso come sempre, ha aperto un’agenzia di viaggi ed è specializzato nell’organizzazione di trasporti per festival del Jazz e mega concerti rock*.
Eppure fra le tante facce che ricordo non c’è Jason*.
Chissà, forse non sono riusciti a recuperarlo.
Un pensiero mi assilla con sempre maggiore insistenza.
Sono assalita da domande sulla mia famiglia e tutti non fanno che chiedere:
“Dov’è Jules?”
Insomma dove cazzo è mio marito?


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COLONNA SONORA: 
Gioacchino Rossini, il barbiere di Siviglia (La Scala di Milano , 1998)
All by myself/ Dominated love sleave  live 1994
Green day – Live in Rock am Ring 2013 #rar #oneofthebestconcertliveinstreamingdespitethenewtrilogy  à getting used to it u.u
Green Day : MTV  jaded in Chicago

Note

* Margarita Morgan e Sabina Ramirez, per la prima volta nominate in Pinole Valley High School 1989-1990  
Settembre: trave di fuoco.
 

* Il fidanzato di Meggy compare come cameo in Pinole Valley High School 1989-1990  
Novembre: fracasso d’ inferno.

*rispettivamente cantante e bassista dei Blink-182 e cantante e chitarrista dei My Chemical Romance

* Fred, nominato per la prima volta in Pinole Valley High School 1989-1990  
16 Febbraio 1990.

*Rod compare per la prima volta in Pinole Valley High School 1989-1990  
Ottobre: Post-test d’ingresso 
mentre Patricia e Matt compaiono in Pinole Valley High School 1989-1990  
Febbraio: trasferimenti e pulizie di primavera

*Jason compare per la prima volta in Pinole Valley High School 1989-1990  
Febbraio: trasferimenti e pulizie di primavera
ed è anche il Jason di J.A.R
“Il titolo è l'acronimo di "Jason Andrew Relva", un amico del bassista della band, Mike Dirnt. Jason Relva morì all'età di 19 anni il 18 aprile1992, in seguito ad un incidente stradale. Mike Dirnt scrisse questa canzone in memoria del suo amico scomparso ed essa parla di come si deve vivere la vita al massimo facendo le nostre scelte personali senza farsi condizionare da quelle degli altri.” [WIKI]


Angolo dell'autrice


Eccomi, in mostruoso ritardo di almeno un anno.
Non ho scusanti a parte la vita reale che pretende tutta la mia attenzione di recente ma adesso, finiti esami universitari e fatto una specie di progetto dei capitoli successivi, giuro che la porterò a termine.
Perché tutto sommato la amo e la mia fedeltà va al mitico trio di Berkeley.
Che notte il 5 giugno a Roma. Mai un concerto così bello.
Non perderò tempo con i Disclaimer. Tanto li sapete.
Così come non spenderò una parola a parlare di Adie e della famiglia Armstrong al completo.
E sappiate che è bellissimo riscrivere questa storia.
A presto, spero,

Neal C.,
alias Misa

p.s si lo so, è cortino, abbiate pietà, è un nuovo inizio!

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