la radura di niemar di Celebien (/viewuser.php?uid=485699)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il sogno ***
Capitolo 2: *** incontri ***
Capitolo 3: *** Fugacità di sguardi e parole ***
Capitolo 4: *** I preparativi ***
Capitolo 1 *** Il sogno ***
Capitolo primo: il sogno.
Fuoco e fiamme nell'oscurità, l'aria puzzava di bruciato, di morte e l'occhio si perdeva in mezzo al fumo rosso che sembrava rimpicciolire il campo visivo.
Paura, Rabbia, Tradimento, Passione, Felicità, Agonia tutte le emozioni che fanno parte di una vita si concentravano in quello scenario come se ogni minuto, secondo mandava in playback la storia di un'intera vita terrena o passata e lo scorrere di quel fiume incandescente di idee, parole, emozioni e pensieri dava forza e vigore.
Uno stridio di spade echeggiò nell'aria e lo scintillio di uno scontro di esse illuminò il volto di una giovane dagli occhi dorati e una chioma verde informe che le incorniciava il volto. Dall'altra parte il nulla, solo fiamme, urla disumane che sapevano di tuoni talmente potenti da far tremare la terra e una seconda spada dal colore nero lucente e una pietra antica come il mondo rossa, all'interno di cui si potevano intravedere custodite fiamme scoppiettanti ad ogni attacco. Salti, parate e affondi quella figura minuta sembrava una cavalletta o una ballerina che danzava in quell'inferno coordinata e decisa, come se non fosse intimidita da nulla, decisa a porre fine a una battaglia iniziata non si sa da chi né quando. Combatteva contro il nulla avanti a se se non quella stranissima spada. Ad un certo punto parole strane, parole Proibite provenirono dalla parte dell'avversario e lei, dagli occhi dorati, rimase impietrita nell'ascoltarle anche se consapevole di non doverlo fare perchè sapeva che quelle stesse parole avrebbero determinato la fine di ogni cosa: "Yerà isumpt'annà, yerà isumpt'anna" sentiva esploderle la testa, non doveva ascoltare non doveva. Cadde in ginocchio con la spada al suo fianco che si frantumò in mille pezzi, tenne le mani alle orecchie mentre quella cantilena mortale continuava indisturbata e più decisa: "Yerà isumpt'annà, yerà isumpt'annà, YERA' ISUMPT'ANNA'!" l'ultima arrivò come un tuono, alzò gli occhi e nel farlo incontrò un paio di occhi infuocati e il dolore dilagò per tutto il suo corpo facendola urlare di disperazione e senza riuscire a staccare lo sguardo da quei due occhi di fuoco che l'avevano imprigionata. "Ora, muori!" esclamò con calma decisione una voce grottesca proveniente da quella creatura indefinita e paurosa. La guerriera urlò, urlò come non aveva urlato mai, riuscì a liberare lo sguardo e a serrare gli occhi decisa a non abbassarsi a quel destino. Nelle fiamme, nel ringhio di quella creatura e nelle stesse urla della guerriera si fece strada una voce pacifica e sfocata ma che pian piano comincia a prendere consistenza e la chiamava: "Zanira, Zanira".. tutto si dissolse e la voce divenne chiara e reale. "Zanira svegliati, hai fatto solo un brutto sogno, devi svegliarti!"
Zanira spalancò gli occhi con il fiatone e tutto il corpo madido di sudore, percorso da spasmi e tremori, "era solo un sogno?" chiese cercando di calmare il respiro e i battiti
"si, il solito sogno, stai tranquilla" rispose una ragazza dal viso candido davanti a lei, capelli verdi lunghi e fluenti raccolti a un lato illuminati da riflessi dorati e un paio di occhi castani incorniciati di verde muschio. Le si sedette accanto e le accarezzò dolcemente i capelli, "te la senti di fare colazione" chiese con un sorriso,
"Si Alena, adesso arrivo dammi due minuti" rispose Zanira da una parte ancora incosciente
"d'accordo sorellina, ti aspetto di là!" rispose Alena stringendole la mano e uscendo calma dalla stanza. Zanira rimase qualche istante seduta sul suo letto con il respiro ancora lievemente irregolare; era lieta di sapere che ciò che era accaduto era stato solo frutto del suo inconscio, che non era accaduto veramente e volle assaporare la consapevolezza di ciò girando lo sguardo tutt'intorno e si rincuorò del fatto che non vi fosse né puzza di bruciato né fiamme intorno a lei, ma soprattutto che non vi fossero gli occhi rossi di quella creatura infernale. Nonostante si fosse calmata sentiva dentro di se che quel sogno che la attanagliava da mesi non era semplicemente qualcosa di irreale, lo sentiva troppo vero come un ricordo o peggio ancora una premonizione.
"Ma che dico? E' impossibile che sia un ricordo o una premonizione solamente per il fatto che non so maneggiare nemmeno il coltello da cucina, figuriamoci una spada" pensò dentro di se e facendosi scappare un lieve sorriso. Un respiro profondo e si alzò dal letto dirigendosi verso il grande specchio posto in fondo alla sua stanza grande ma semplice, come semplice in fin dei conti era la vita di Zanira. Si mise davanti allo specchio e rimase a guardare il suo riflesso: corpo minuto dalla colorazione rosa pallido come se si trattasse di una rosa appena sbocciata, coperto da una bianca camicia da notte lunga fin sopra il ginocchio che nascondeva la vita stretta e un piccolo seno. Solitamente non si dilettava nel contemplare la sua figura, non era vanitosa né narcisista ma qualcosa dentro di se la spinse a compiere quel gesto. Volle capire se era veramente lei la fanciulla guerriera del sogno dagli occhi dorati e pieni di odio, rabbia e disperazione e quei capelli corti e scompigliati. Si rivelò un altro volto; sereno di una giovane ragazza dagli occhi del color della terra e dai capelli si verdi, ma lunghi e fluenti che scendevano lisci dal capo per andare a formare numerose ed eleganti onde color smeraldo.
"No, quella ragazza non posso essere io, il colore degli occhi è totalmente diverso, lo sguardo stesso non sembra affatto il mio.. no, sicuramente la mia mente si diverte a mescolare dettagli di persone diverse e sconosciute tra qui io stessa creandone una nuova. Si, sicuramente è così!"
"Zanira, allora vieni?" squillò la voce di Alena da fuori la stanza,
"Si, arrivo!" rispose sussultando minimamente perchè concentrata in quel suo ragionamento. Di corsa legò i capelli alla meno peggio e raggiunse la stanza appena fuori la sua. Una sala abbastanza grande, punto centrale dell'intera casa dove era concentrata la cucina formata da un grande focolare; al centro dell'intera stanza si trovava un grande tavolo di legno scuro circondato da quattro sedie e ognuna di esse, tranne una, era apparecchiata per la colazione. da tre finestre in tre lati della stanza entrava la luce calda e accogliente del sole e si potevano intravedere lì fuori estesi campi verdi e fiorati, pieni di vita e vigore.
Alena stava finendo di apparecchiare la tavola ponendo un vaso al centro di essa pieno di fiori di campo appena colti. "Come al solito sei la maga della casa" Disse Zanira alla sorella con un sorriso mentre si sedeva a tavola appoggiando i gomiti e il mento fra le mani. "Non dimenticare che sono anche la maga della cucina, mentre tu sei una frana a partire da come conci quei poveri capelli e da come ti poni a tavola" disse con ironia scostando le braccia di Zanira dalla tavola "perchè non sciogli quei capelli e non valorizzi un po' di più la tua figura? Cerchi di essere più femminile, insomma"
Come al solito Zanira non poteva sopportare la predica mattutina della sorella e alzò gli occhi al cielo con il solito sorriso perchè in fondo sapeva che Alena aveva ragione, non era più una bambina ed era arrivato il momento di far uscire la donna che era in lei; il problema di Zanira era solamente uno: era troppo pigra anche per cambiare modi di fare e di vestire da un momento all'altro, non amava i cambiamenti e Alena non poteva fare altro che accettarla per quello che era, ma sapeva che un giorno la sua amata sorella sarebbe cambiata, l'essere femminile sarebbe esploso e Zanira avrebbe trovato la sua strada. "Come non detto" rispose Alena scuotendo la testa e versando nella ciotola della sorella del latte da una caraffa scura. Proveniva un profumo dolce che risvegliò lo stomaco di Zanira che rimase sconcertata per qualche secondo, giusto il tempo che Alena versasse il latte nelle altre due scodelle e si sedesse di fronte a Zanira.
"Cos'altro hai inventato questa volta?" chiese con gli occhi che le brillavano e lo stomaco borbottante, impaziente di ricevere quel paradiso.
"Nuova ricetta, nulla di speciale: Latte con un po' di miele, una spruzzata di cannella e semi di vaniglia, ah ma non è mica finita qui" rispose Alena sorridente e soddisfatta; solo in quel momento Zanira si accorse che al centro della tavola, oltre al vaso pieno di fiori, si trovava un piatto coperto da un coperchio di legno scuro che non permetteva allo sguardo di poter vedere cosa contenesse. Alena esitò qualche istante fissando lo sguardo perso di Zanira e dilettandosi nel vedere come le sue prelibatezze la lasciassero senza parole; scoprì il contenuto ed entrambe furono investite dal profumo di una torta di media grandezza circolare la cui superficie era ammantata da fiori bianchi e profumati. Ai lati la torta sembrava incoronata... Zanira rimase davvero senza parole, ma riuscì a tornare in fretta con i piedi per terra, "ricetta nuova?" con gli occhi spalancati come la bocca e lo sguardo completamente perso in quella visione. Alena scoppiò a ridere mentre tagliava una piccola fetta e gli e la porgeva davanti: "crostata di biancospino, l'ho sperimentata questa mattina all'alba, pasta frolla farcita con una crema al miele e olio di biancospino, torna nel mondo dei vivi, assaggia e dimmi che ne pensi!"
Non se lo fece ripetere due volte e senza esitare diede il primo morso. "Allora?" chiese Alena impaziente, non ricevette risposta poiché Zanira era completamente immersa nei suoi sogni. Con gli occhi chiusi masticava lentamente e quasi si dimenticava di respirare, ciò significava che la torta era sicuramente di suo gradimento; a forza, quasi come se stesse male all'idea di dover deglutire quella prelibatezza mandò giù scendendo con i piedi per terra, aprì gli occhi e guardando intensamente la sorella, "Beato chi ti sposa sorella mia" esclamò quasi come se stesse per commuoversi. Alena scoppiò a ridere divertita dalla reazione e cominciò a mangiare.
"sai- esclamò ad un certo punto Zanira- comincio ad avere un po' paura di questo sogno ricorrente. Non riesco a capire perchè ogni notte mi capita di sognare sempre la stessa cosa". Alena non cambiò sguardo, rimase calma e dopo un sorso dalla scodella rispose: "su dai non ci pensare, era soltanto un sogno niente di reale non devi averne paura"
"si lo so, ma quello che mi sconvolge sono le sensazioni che provo. E' come se fossi davvero lì, riesco a sentire chiaramente il calore di quelle fiamme, l'odore di bruciato... percepisco la paura e la rabbia e quando.. quando quel mostro si fa avanti e pronuncia quelle strane parole; non so cosa vogliano dire né di che lingua si tratti ma so chiaramente che quelle parole significano male, fine di tutto e non appena le pronuncia, ogni volta la sensazione di dolore è reale, più che mai. Ed è come se ad ogni notte queste sensazioni diventino più pressanti e reali.. non so che pensare Alena, non lo so davvero."
Lo sguardo della sorella questa volta mutò divenendo preoccupato e cominciò a fuggire lo sguardo della sorella concentrandosi sulla tavola, vedere la Zanira in quelle condizioni la faceva stare male cercò quindi di calmare prima se stessa facendo un respiro profondo, alzò quindi gli occhi unendo il suo sguardo a quello della sorella: "Zanì, ma sei certa che la guerriera di cui tu parli sei veramente tu?" chiese quindi con fare talmente preoccupato da mettere a disagio Zanira che cominciò a stropicciarsi nervosamente le mani, "No, ci sono certi particolari che non corrispondono a me: la chioma per esempio, io porto i capelli lunghi mentre la guerriera del sogno li ha corti e tutti scompigliati"
"vabbè, non tocchiamo l'argomento capelli" esclamò Alena per sciogliere un po' la tensione che si era venuta a creare nella stanza, riuscirono entrambe a ridacchiare per un istante ma subito dopo Zanira riacquistò lo sguardo serio," poi gli occhi; quelli della guerriera sono diversi dai miei, sono.. dorati, come le sfumature fra i tuoi capelli mentre i miei sono castani normali.. e poi francamente mi riesce difficile credere che io possa maneggiare una spada da guerriero e possa combattere contro una creatura del genere, solo che sento di essere davvero io ma non so ancora il perché" entrambe rimasero in silenzio per qualche istante e bevvero sorsi di latte rimanendo con lo sguardo perso nel vuoto.
L'atmosfera venne interrotta dalla porta d'ingresso della casa che si aprì improvvisamente e fecero l'ingresso un paio di stivali di quoio scuri di un uomo alto e grande vestito con una tuta da campagna e le mani consunte dal lavoro di una vita, il volto paffuto e arrossato dal sole e una chioma di capelli dorati impastricciati dal sudore.
"Padre!" esclamarono le due giovani e l'uomo si aprì in un sorriso smagliante, "eccole i miei gioielli. C'è posto a tavola per lo stomaco affamato di un grande papà?" disse chiudendo piano la porta e mettendosi a sedere, "Uh Alena, hai dato spazio di nuovo alla tua creatività culinaria" disse con gli occhi brillanti sulla crostata di biancospino. "Già, scusaci se non ti abbiamo aspettato per cominciare ma stavamo morendo di fame" rispose Alena
"Non vi preoccupate, avete fatto bene." disse il padre addentando un pezzo di crostata.
La mattinata procedette calma ma Zanira non era totalmente serena; passò tutta la giornata a ripensare a quel sogno e a cercare qualsiasi tipo di collegamento logico ma non riuscì ad arrivare a capo di nulla. Nemor, il padre delle due giovani era un uomo forte ma buono, dedito molto al lavoro dei campi e alla gestione della stalla della casa, composta da nient'altro che una mucca, due vecchi cavalli che grondavano di vita e vigore, con cui nei momenti di più quiete, lui e Zanira si divertivano a cavalcare nella distesa verde intorno a casa, Alena non si univa a loro poiché trovava più diletto nello starsene chiusa in cucina a sperimentare nuove ricette o con i piedi ben saldi sul terreno della distesa verde a cercare nuove erbe e fiori con cui dare vita alle sue creazioni culinarie. In un altro recinto sul retro dell'abitazione vi erano circa una decina di galline. Non godevano di una grande ricchezza, ma Nemor, Zanira e Alena vivevano sereni, non mancavano di nulla se non di qualcuno. La madre delle giovani, Carèn era scomparsa da pochi anni e non si sapeva nulla di lei, la si credeva ormai morta e la sua scomparsa lasciò un vuoto incolmabile all'interno della famiglia; ma dopo parecchio tempo s'instaurò un certo equilibrio che fino a quel periodo regnava in casa e faceva di quella piccola famiglia incompleta, un nido di serenità e benessere. Zanira e Alena non erano di razza umana, Nemor e Carèn erano infatti un uomo e un elfo innamorati l'uno dell'altra e diedero vita alle due fanciulle che ereditarono caratteri materni e paterni senza essere del tutto di razza umana e razza elfica: possedevano i capelli verdi ma Alena aveva i riflessi dorati della chioma del padre mentre Zanira ereditò gli occhi castani penetranti di Nemor e il suo carattere, mentre la chioma da Carèn. Entrambe però ereditarono le orecchie pure della madre tipiche di ogni elfo ed erano padrone di quella bellezza incontaminata e leggiadra di cui tutti nel villaggio poco distante da casa ne erano innamorati.
Nel primo pomeriggio l'aria in casa si fece torbida e stagnante e Zanira ebbe l'idea di addentrarsi bel boschetto appena sul retro della casa, pochi alberi che però facevano ombra ed era il punto più vicino alla pianura del vento, una distesa verde accarezzata perennemente dal vento che si espandeva poi nelle zone circostanti e nella stagione più calda dell'anno, quella porzione di terra appartenente a Zanira, offriva il miglior rifugio per ripararsi dal caldo. Si sedette sul terreno con la schiena poggiata al tronco di uno degli alberi e, assicurandosi che non vi fosse nessuno nelle vicinanze tirò fuori dalla sua veste una vecchia pipa che riempì con delle erbe secche e germogli di fiori, la accese e aspirò profondamente con gli occhi chiusi per godere di quel momento magico che poche volte aveva l'occasione di assaporare. Ovviamente non era concesso alle fanciulle di fumare, ma a Zanira non le importava se non il fatto di non volersi fare scoprire; anche se aveva un carattere tosto e deciso temeva il giudizio o la rabbia non tanto del padre quanto della sorella Alena che tentava in ogni modo di renderla più femminile e aggraziata possibile, quasi come se volesse prendere le vestigia della madre e quando l'occasione lo chiedeva, Zanira la accontentava mettendoci del suo meglio ma quando si trovava sola con nessun altro che se stessa, poteva lasciare libero il suo spirito ed essere pienamente se stessa, tutto ciò accadeva anche quando andava a cavallo: se si trattava delle passeggiate insieme a Nemor, Zanira era costretta a moderare il proprio impeto e quello del suo amato cavallo Amoret, ma quando erano soli, lei e il suo fidato amico si lasciavano andare a corse sfrenate, talmente tanto che gli zoccoli di Amoret sembrava non toccassero il suolo. Sognava di volare in groppa ad un drago dal manto rosso rubino, ma sapeva che ciò non sarebbe mai accaduto perché i dragi erano animali da guerra non semplici cavalli, difficili da domare ma in grado di poter offrire lealtà e protezione al cavaliere che ne diventava il compagno per la vita, uno solo come due anime gemelle, due metà dello stesso frutto. I suoi pensieri furono bruscamente interrotti dal suono della voce del padre che la chiamava; in fretta aspirò per l'ultima volta, nascose la pipa e strappando qualche foglia di menta che cresceva rigogliosa vicino al punto in cui era seduta lei, le portò alla bocca e cominciò a masticarle per coprire l'odore del fumo.
"Ah sei qui, ti stavo cercando come un matto" esclamò Nemor con il fiatone, "che succede padre?" chiese Zanira in preda all'ansia "ho bisogno che tu vada al negozio di Limor a Leonar, ho bisogno di una nuova falce per tagliare il grano, quella che ho è troppo vecchia e arruginita" Zanira sgranò gli occhi e assunse la tipica espressione che aveva ogni volta che non aveva intenzione di fare qualcosa, "Limor, quello che ha il negozio di armi e attrezzi per i campi? Che vive a Leonar?" il padre la guardò sgomento, "eh si, quale altro Limor conosci?" "Quindi il padre di Thomas?" chiese ancora lei nonostante conoscesse la risposta, "qual'è il problema?" chiese il padre preoccupato, "è che, padre non potete andarci voi? O Alena?" Nemor alzò un sopracciglio e si lasciò sbilanciarsi con la spalla verso un albero, "Primo: se avessi potuto non avrei chiesto il tuo aiuto ma ci avrei pensato da solo, inoltre per raggiungere Leonar a piedi ci vuole un giorno e mezzo visto che tua sorella non sa andare a cavallo mentre tu, con la guida sfrenata che hai, bada che ti ho vista quanto corri, impieghi la metà del tempo. Punto secondo, che problemi hai con quel ragazzo? Ti piace forse?" Nemor alle ultime parole non potè frenare un sorriso sghembo, "no, assolutamente no, anzi sono io che piaccio a lui, è troppo appiccicoso mi fa sentire in imbarazzo" involontariamente Zanira si sentì avvampare le guance e il padre scoppiò a ridere ma si ricompose subito: "figlia mia, questo è il vantaggio, anzi lo svantaggio di avere delle figlie così belle, è normale che tu gli piaccia ma cosa c'è di male? Cos'ha che non ti piace?" Zanira si alzò in piedi in preda a uno scatto di nervi tale che si dimenticò di avere in bocca le foglia di menta che inghiottì istintivamente, "non lo so che ha che non mi piace, non mi piace e basta. Non ci voglio andare" la sua sembrava quasi una supplica, "oh suvvia Zanira, non ti mangia mica e poi non è detto che stia in negozio, magari sarà da qualche parte. Per favore ho bisogno di quell'attrezzo, tanto per tua sfortuna lo incontrerai altre volte" attaccò un'altra volta a ridere pur sapendo che la figlia nutriva ben poca pazienza, dopo averlo fulminato con lo sguardo prese il passo verso la stalla. "Grazie piccola mia, anche io ti voglio bene" esclamò Nemor con ironia.
Zanira raggiunse lesta la stalla dove il suo Amoret la attendeva, le bastò che si guardassero negli occhi perchè il nervosismo si placasse; si avvicinò a lui con la mano tesa ad accarezzargli la fronte con la "stella" come la chiamava Zanira. Amoret infatti era uno splendido cavallo dal manto nero spezzato da una chiazza di pelo bianco a forma di goccia posta sulla fronte e la sua padrona dal primo momento in cui vide quel cavallo se ne innamorò. Non era un animale dal carattere facile e solo lei era in grado di domarlo, fu un caso che riuscì a trovarlo. Era poco più piccola e stava passeggiando come al solito nella pianura del vento nonostante il padre gli e l'avesse proibito perchè essendo una distesa verde senza la presenza di un solo albero, era un prulicare di pericoli anche nei periodi di quiete ma il carattere deciso della fanciulla la rendeva estremamente coraggiosa o se vogliamo essere più precisi ingenua, era convinta che non le sarebbe mai capitato nulla di male, fino a quel giorno: mentre camminava intravide la figura di due grossi uomini alle prese con Amoret che sbuffava dalle narici e si alzava ad impennata tentando di colpire i suoi avversari con i potenti zoccoli mentre questi, tentavano di domarlo con corde e colpi di frusta fino a quando non riuscì a liberarsi della loro presa e corse in direzione proprio di Zanira, che impaurita dalla ferocia negli occhi dell'animale cominciò ad indietreggiare fino ad inciampare contro un sasso dietro ai suoi piedi; il cavallo continuava la sua corsa ed era sempre più vicino, sempre più veloce e pronto a travolgerla.. ma non lo fece: all'ultimo momento esso puntò gli zoccoli contro il terreno e si fermò; Zanira che aveva chiuso gli occhi per la paura, non avvertendo più rumori né tantomeno dolore li riaprì e si stupì nel vedere che il cavallo con quella bizzarra macchia sulla fronte, aveva abbassato il capo e la osservava con i suoi occhi neri penetranti;
"si è fermato, si è fermato adesso lo sistemiamo noi insieme alla mocciosa ficcanaso" esclamò uno degli omacci che tentavano di sottomettere il cavallo, che avvertendo il pericolo fece in modo di far salire in groppa Zanira abbassandosi ad un'altezza tale da poterla fare salire sulla sua schiena. Senza replicare né farsi domande, la fanciulla salì in groppa ed in fretta il cavallo si rimise impiedi, fece un'impennata per buttare a terra i due uomini armati di pugnali che li avevano raggiunti, tanto da costringere Zanira a doversi reggere sulla sua criniera, quindi prese il galoppo ed entrambi abbandonarono la pianura del vento; nonostante la velocità Zanira assistette ad una scena tanto macabra quanto triste: sull'erba della pianura si trovava il corpo senza vita di un uomo ben vestito, al suo fianco l'erba era bagnata di un colore scuro che aveva tutta l'idea di essere sangue, Zanira capì che con molta probabilità quell'uomo era stato il suo padrone, un uomo benestante che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, attaccato alla sprovvista da due malviventi che, nel tentare di rapinarlo lo avevano ucciso e Amoret aveva tentato in tutti i modi di proteggerlo, o almeno di proteggerne il corpo. Rimase più sconvolta nell'osservare che quell'animale che non l'aveva mai vista, decise di abbandonare il suo padrone per andare in suo soccorso, se non l'avesse fatto probabilmente Zanira avrebbe fatto una brutta fine, gli doveva la vita.
La fanciulla stette qualche minuto in piena sintonia con Amoret, lo accarezzò, gli sussurrò qualche parola dolce e cominciò a prepararlo per la passeggiata, "mio caro amico, mi aspetta un difficile incontro, l'unico dettaglio positivo è che ci sei tu insieme a me" mentre parlava, recuperò da un cumulo di paglia una cassa di legno nera consunta dal tempo, la poggiò per terra accanto all'animale e ne estrasse un paio di pantaloni succinti che indossò sotto la veste, una canotta bianca insudiciata e una giacca di pelle nera anche quella reduce di molti anni di vita ed avventure. Si tolse l'ingombrante vestito con quella gonna e quella scollatura che tanto odiava ed indossò il resto della sua tenuta da viaggio, quella che indossava ogni volta che da sola, poteva cavalcare Amoret. Non sopportava dover cavalcare con quella gonna ingombrante, voleva essere libera almeno quando poteva. La canotta con una leggera scollatura la pose dentro il pantalone a vita alta e la fissò con due bratelle che spuntavano dallo stesso pantalone che indossò sulle spalle magre; dovette stringerle lievemente poiché si erano allentate o forse il suo corpo era dimagrito durante tutto il tempo in cui non indossò quei vestiti. Infine indossò la giacca in pelle abbottonandola per evitare che si vedessero le bratelle e allacciò ai piedi un paio di stivali comodi marroni. Finito di vestirsi, pose il vestito con le scarpe dentro il baule che nascose nuovamente sotto il cumulo di paglia e guardò finalmente il cavallo con un sorriso: "Sono pronta!" esclamò dandogli una pacca e Amoret di rimando, le diede un lieve spintone con il muso, Zanira sorrise e salì in groppa "andiamo dai, sgranchiamoci un po' gli zoccoli" un colpo di tacco per dargli lo slancio e Amoret partì a grande velocità verso la porta della stalla aperta e senza badare se ci fosse qualcuno intorno, insieme cavalcarono in direzione di Leonar. |
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Capitolo 2 *** incontri ***
Leonar era un piccolo villaggio poco distante dalla casa di
Zanira e alla velocità a cui era abituata ad andare insieme
al suo compagno di viaggio, la fanciulla era in grado di raggiungerla
in poco tempo. La vita a Leonar era molto semplice e gli abitanti erano
molto dediti al lavoro dei campi, possedevano infatti grandi
quantità di terreno a cui si dedicavano con grande ardore
mentre dal bosco che si levava nella parte posteriore del villaggio, in
direzione della casa di Zanira ricavavano legna, erbe selvatiche e
selvaggina; era una zona molto fertile e florida soprattutto per la
presenza del fiume Numereth che passava in mezzo dividendo il villaggio
in due parti comunicanti tramite un ponte. Nonostante la
produttività della zona e l'affabilità degli
abitanti con cui la famiglia di Zanira avevano avuto sempre ottimi
rapporti di amicizia, fin da quando Alena e Zanira erano delle bambine,
Nemor e Carèn decisero di andare a vivere per conto proprio
nella loro intimità non dimenticandosi ovviamente degli
amici, non mancavano infatti a nessuna delle feste che si tenevano
durante l'anno, nel villaggio dove lo stesso Nemor era cresciuto e
aveva vissuto. Limor era un bravo artigiano nella costruzione di
piccole armi e soprattutto strumenti da giardinaggio; le armi erano
solo una precauzione ed un modo per stabilire contatti con i paesi
vicini; per la stabilità del villaggio, gli abitanti
richiedevano dal famoso artigiano giusto qualche spada e qualche
pugnale per non abbassare mai troppo la guardia perchè per
il resto Leonar era uno dei villaggi più pacifici del mondo
conosciuto e raramente capitava che succedesse qualcosa di spiacevole.
A Zanira piaceva molto visitare il suo negozio perchè lo
trovava affascinante, soprattutto quando le capitava di vederlo
all'opera; di recente invece provava quasi timore ad andare da lui, da
quando il figlio Thomas, un ragazzetto alto, magro e con una strana
capigliatura scura in testa e un viso puntinato da numerose lentigini,
si era invaghito di lei ed ogni volta era un' impresa impossibile
riuscire a scrollarselo di dosso; avrebbe fatto a meno di andare da
Limor perchè sapeva che con grande probabilità
avrebbe incontrato Thomas dietro al bancone o davanti la porta
d'ingresso del negozio. Appena intravide l'ingresso del villaggio, per
evitare di combinare qualche guaio Zanira fece rallentare Amoret che
cominciò a sbuffare spazientito, gli diede una lieve pacca
fra le orecchie tese per calmarlo, "mi dispiace amico mio, ma non
possiamo correre dentro il villaggio; al ritorno mi farò
perdonare!"
Procedettero tranquilli ricambiando sorrisi e saluti degli abitanti che
la riconoscevano e continuando verso il negozio di Limor. Per la strada
rispondeva alle domande di circostanza che qualcuno di essi le faceva.
Per raggiungere la sua destinazione, Zanira doveva raggiungere l'altra
metà del villaggio, quindi proseguì in direzione
del piccolo ponte comunicante e fu quasi un'impresa riuscire a
percorrerlo poiché Amoret non aveva un ottimo rapporto con
l'acqua e, nonostante vi fosse il ponte, ogni volta che Zanira lo
portava a Leonar si indispettiva ed innervosiva alla vista dell'acqua
sotto i suoi zoccoli, "Dai Amoret andiamo, dobbiamo attraversare il
ponte stà tranquillo non ti succederà niente" il
cavallo cominciò a nitrire e sbuffare aria dal naso, era
estremamente nervoso e Zanira cominciò a preoccuparsi; ad un
certo punto entrambi sentirono un rumore proveniente dalla riva del
fiume, ai piedi del ponte e Amoret divenne ancora più
irrequieto ed impennò; Zanira era sul punto di andarsene
intimorita dalla situazione, soprattutto davanti all'agitazione del suo
amico e fu soltanto quando intravide una chioma scura che ebbe la
certezza che non c'era alcun pericolo, solo un ragazzetto troppo
appiccicoso. La paura si trasformò in irritazione: "Thomas,
ma che cosa ci fai lì?" chiese spazientita ma comunque
tranquillizzata che non fosse qualche malintenzionato, "Ciao Zanira non
facevo nulla, stavo pescando e appena ti ho sentita parlare con Amoret
ho abbandonato tutto e sono venuto a dirti ciao!" La fanciulla
rimanendo in groppa al cavallo alzò un sopracciglio e
sbuffò, "mi sembra che tu abbia detto anche più
di un semplice ciao!" sapeva che non doveva essere così
scortese ma non riusciva a tollerare quel ragazzo, lui nel frattempo
raggiunse l'altra parte del ponte e tentò di avvicinarsi a
lei con un sorriso timido nel volto arrossato, allungò la
mano per accarezzare Amoret che sbuffò rumorosamente dal
naso, senza badare alle redini che Zanira tentava di tirare per
rabbuonirlo, fece per impennare tanto che Thomas cadde a terra
spaventato, "ma che ha il tuo cavallo?" chiese con gli occhi sgranati,
"Non è molto socievole come sai, ma adesso non
capisco cosa gli stia prendendo, Amoret stà calmo,
è solo Thomas basta!" Zanira scese dalla sella, prese il
muso del suo caro amico tra le mani e lo costrinse ad abbassare la
testa fino a quando le loro fronti non si toccarono, con lo sguardo
Zanira tentò di calmarlo, di fondere la sua mente con quella
di Amoret che si calmò, il respiro si fece più
regolare e smise di smussare nervosamente la terra con gli
zoccoli come quando un toro si prepara all'attacco. "Che bel rapporto
avete" esclamò Thomas estasiato ma non tentando
più di avvicinarsi per evitare che l'animale si spazientisse
di nuovo. "si lo so, io sono l'unica in grado di capirlo e di stargli
accanto, tutti gli altri per lui sono ostili!" rispose Zanira senza
staccare gli occhi da quelli di Amoret "già, si vede
comunque, se non sono indiscreto come mai sei venuta qui? Hai bisogno
di qualcosa?" chiese il ragazzo rimanendo nella distanza di sicurezza,
solo allora Zanira gli volse lo sguardo facendolo arrossire, "si mi ha
mandata mio padre, devo andare al negozio del tuo perchè gli
occorre una falce nuova. Tuo padre c'è?" Thomas si
aprì in un grande sorriso e Zanira contò fino a
cento per evitare di sbuffare o di diventare nuovamente scortese,
"certo è al suo laboratorio dietro il negozio come sempre,
ti accompagno!" Zanira cominciò ad avviarsi verso l'altra
sponda del fiume tenendo ben salde le redini di Amoret che senza
opporre resistenza seguì i suoi passi, ma tradendo ancora
qualche accenno di irrequietezza a cui Zanira non sapeva dare
spiegazione, tranne che probabilmente neanche lui nutriva una grande
simpatia per Thomas e con quest'idea nella sua mente la fanciulla
sorrise divertita e dando ogni tanto una pacca all'amico in segno di
encomio e appoggio morale. Durante il breve cammino verso il negozio
Thomas non smise un attimo di parlare e Zanira, sull'orlo di una crisi
di nervi, si limitava ad annuire senza mai degnarlo di uno sguardo.
"Eccoci arrivati" esclamò ad un certo punto scorgendo la
figura di una piccola casa in legno nella cui facciata era affisso il
cartello di "Benvenuto nel mondo dell'acciaio di Limor" e ogni volta
che andava a trovarlo la fanciulla non riusciva a reprimere il sorriso
divertito difronte al cartello ma non soltanto perchè la
faceva ridere, ma perchè ricordava bene con quanto affetto
il padre di Thomas dimostrò la sua amicizia nei confronti
della sua famiglia quando scomparve Carèn. Di fronte
all'ingresso del negozio Zanira legò le redini di Amoret ad
un piccolo palo mentre il ragazzo fece il suo ingresso chiamando a gran
voce il padre, la ragazza si voltò e prima che riuscisse a
mettere piede nel negozio si trovò davanti alla figura di un
omaccione alto e ben piazzato, con un grembiule che una volta era stato
bianco e adesso si presentava lercio e sgualcito; Zanira
alzò gli occhi e scorse il viso annerito di un uomo che la
guardava con gli occhi di un padre e un espressione da finto serio che
subito si trasformò in un sorriso e in una grassa risata,
"Limor!!" esclamò la fanciulla gettandosi di scatto al collo
dell'uomo continuando a ridere come una bambina mentre per poco non
cadevano entrambi "Zanira attenta che non sono più un
giovincello e per di più così conciato ti
rimanderò a casa che sembrerai un pulcino cascato dentro il
comignolo di un camino, che cosa penserà tuo padre di me?"
rimise a terra la fanciulla che ancora rideva scrollandosi la polvere
nera da dosso, "che sei un grande come al solito. E poi hai visto come
sono conciata?" Rispose la ragazza facendo due passi indietro per
mostrarsi all'uomo che si mise a fissarla da capo a piedi con le mani
tese sui fianchi e un'aria pensosa, poi scoppiò a ridere
nuovamente " Zanira, piccola mia, sempre con questa fissazione di voler
somigliare ad un uomo, sai che con me il tuo segreto è al
sicuro, ma per quanto tempo credi ti sarà possibile
nascondere queste vesti e il fatto che le indossi a tua sorella Alena e
a tuo padre?" era visibilmente divertito e anche Zanira lo era quanto
lui: "Prima o poi Alena si darà per vinta e mi
lascerà vivere come meglio credo, ma per il momento
è meglio tacere. Come va la vita?" chiese lei adesso con le
mani sui fianchi, "bene, bene non mi lamento, ma che ci fai fuori vieni
dentro su, ho qualcosa da mostrarti" incuriosita Zanira
entrò nel negozio e si rallegrò del fatto che non
fosse cambiato nulla: la disposizione dei mobili che constavano di un
enorme bancone che si poteva scorgere entrando nella casa, di legno
scuro ma con la base di vetro trasparente. Le era sempre piaciuto quel
mobile perchè era come se il legno fosse stato scavato tanto
da ricavarne una stanzetta per piccoli oggettini di legno che ogni
tanto Thomas e Limor si dilettavano a costruire con gli scarti del
legno che utilizzavano per costruire armi e attrezzi da campo e li
ponevano lì dentro custoditi dal coperchio di vetro come
oggetti decorativi; tutt'intorno nelle pareti erano affissi vari
oggetti costruiti a mano, soprattutto falci, asce e coltelli e
alternati a quelli c'erano numerosi disegni splendidi di paesaggi o
uomini a lavoro nei campi. Erano l'unica cosa che Zanira apprezzava di
Thomas, il fatto che fosse un vero artista del disegno, come suo padre
dell'artigianato. Si soffermò ad osservarne uno in
particolare che non aveva mai visto prima di allora: un uomo corazzato
dal viso impavido e l'espressione seria in volto, puntava la spada
contro la gola di uno strano essere schiacciato a terra dal piede del
cavaliere e con le mani pelose e piene di artigli in segno di resa,
quasi come se implorasse pietà. Quel disegno le trasmise una
strana sensazione, come di terrore o angoscia e non sapeva se provare
pena per la bestia sottomessa o ammirazione per l'eroe che lo aveva
sconfitto e tentennava tra la decisione di risparmiarlo o dargli il
colpo di grazia, "Ti piace?" esclamò ad un tratto Thomas da
dietro le spalle della fanciulla che si girò di scatto con
gli occhi spalancati dallo stupore di non essersi accorta di lui, "si
è molto bello. Tutta opera della tua fantasia?" chiese
Zanira tentando di calmare il respiro; il ragazzo si mise al suo fianco
e si soffermò a guardare il disegno con uno sguardo serio in
volto, come se non riuscisse a staccargli gli occhi di dosso, talmente
era preso nella sua contemplazione che dimenticò per un
attimo di respirare e della fanciulla accanto a se che lo guardava
stralunata senza dire una parola. Per riportare il ragazzo nel mondo
terreno lo scuotè leggermente, lui scosse la testa, la
guardò per un momento ma si soffermò nuovamente
sul disegno ma psicologicamente presente; sorrise con fierezza,
"ovviamente" rispose senza staccargli gli occhi di dosso mentre Zanira
lo guardava ancora più confusa. La voce di Limor
arrivò come un sollievo e senza indugiare la ragazza
raggiunse il retro bottega senza dire nulla, come se volesse scappare
da quel contesto.
Il retrobottega si trovava al di là di una tenda che fungeva
da porta. Era un vero e proprio laboratorio, pieno di strumenti di ogni
tipo alcuni sconosciuti da Zanira; c'era un grande focolaio acceso che
faceva di quel luogo un posto estremamente caldo accompagnato
dall'odore acre di bruciato della legna utilizzata per alimentare la
fornace e le pareti avevano acquisito un colore nero della cenere a cui
Limor era ormai abituato, c'era una piccola finestra ad un lato della
stanza aperta ma l'ambiente era saturo di fumo e cenere e quasi non si
riuscivano a distinguere i contorni degli oggetti all'interno della
stanza. Quello caratterizzava il mondo di Limor mentre a
Zanira provocò un senso di stordimento e nausea;
sentì d'improvviso la pressione del fumo addosso a se come
se le mura della stanza le si stessero stringendo attorno facendole
mancare l'ossigeno, sarà stato lo stordimento ma, nonostante
non vi fosse la presenza di fiamme intorno a lei lo scenario si
presentava simile a quello del sogno con la puzza di bruciato e il
caldo asfissiante. Cominciò a barcollare e se non vi fossero
state le braccia di Thomas che la sorressero sarebbe caduta per terra:
"Zanira! Zanira ti senti bene?" non riusciva nemmeno a distinguere il
suono della voce, se fosse Limor o Thomas a parlare, sentiva solo che
le girava la testa e i rumori sembravano echi lontani, la sua vista
cominciò ad annebbiarsi finché non fu buio.
Increduli di quello che stava accadendo, Limor e Thomas portarono di
peso la fanciulla fuori dal negozio, in un punto in cui le arrivasse
aria pura e mentre l'artigiano cercava di chiamarla per farla
rinvenire, il figlio corse dentro a prendere dell'acqua fresca con cui
le bagnarono delicatamente il viso. Nel frattempo Zanira sembrava
caduta nell'oblio del solito sogno sempre più reale e sempre
più spaventoso. Questa volta non sembrava essere una
guerriera ma era lei nei vestiti con cui aveva lasciato casa sua poche
ore prima, con gli stessi capelli raccolti alla menopeggio e senza un
briciolo di coraggio anzi, una tremenda paura la ossessionava, un senso
di confusione dominato dalle fiamme in cui sembrava essere caduta,
rumori spaventosi echeggiavano in quello spazio sconosciuto e senza
contorni definiti di nulla se non delle fiamme ardenti. Un ruggito
della creatura che ormai era in grado di riconoscere la fece
indietreggiare fino ad inciampare all'indietro e urlava, urlava con
quanta voce aveva in gola ma non riusciva a sentire nulla se non quel
grugnito raccapricciante; prima che potesse scorgere una strana figura
davanti a se, come se migliaia di fiamme si fossero unite a formare una
creatura indescrivibile, Zanira fu bruscamente riportata al mondo.
Riuscì finalmente a sentire le proprie urla e quando
riaprì gli occhi si accorse di essere nuovamente a Leonar,
fra le braccia dell'artigiano che la stringeva forte e la guardava con
occhi sgranati colmi di preoccupazione; accanto a lui c'era Thomas con
le guance rigate dalle lacrime che teneva con una mano tremante una
pezza umida; "Zanira, stai bene?" chiese con voce tremante Limor
lasciando che la ragazza si mettesse seduta e godesse dell'aria fresca,
forse non avrebbe dovuto alzare lo sguardo avanti a sé
perché si trovò di fronte a una marea di persone
che la guardavano chi stupito, chi spaventato o preoccupato e
Zanira venne colta da un senso di imbarazzo che Thomas comprese
all'istante e rassicurò tutti che stesse bene e che ognuno
continuasse ciò che stava facendo prima della vicenda, gli e
ne fu grata. "Non so cosa sia accaduto di preciso, appena sono entrata
in laboratorio mi è venuto un capogiro forse per il fumo e
il caldo e poi credo di essere caduta." disse con voce tremante, "E'
colpa mia e di quella finestra troppo piccola, troverò il
tempo e le risorse per costruire un laboratorio degno del suo nome,
mi dispiace tanto piccola mia -rispose Limor accarezzandole
il volto con fare paterno- ma ad un certo punto hai cominciato a
urlare, non capivamo cosa ti stesse accadendo, era come se fossi
bloccata in un altro mondo e ci hai fatto prendere una gran paura" alle
ultime parole Limor strinse ancora più forte la fanciulla
fin quasi a farle male, come se non avesse alcuna intenzione di
lasciarla tornare nel mondo oscuro, quando si accorse che la presa era
troppo stretta si calmò e la lasciò respirare di
nuovo, Zanira si tirò su definitivamente e
stropicciò gli occhi con le mani mentre emise un respiro
profondo, "Ho fatto un incubo, mi dispiace di avervi fatto preoccupare,
è da un po' che faccio sogni strani però adesso
sto bene!" rispose lei sforzandosi di sorridere ma sapeva di non essere
convincente né per se stessa e né per gli altri,
"Forse è meglio che chiami il dottore e ti faccia visitare,
Thomas.." Limor venne interrotto dalla mano della ragazza che si
strinse sul suo braccio, "no vi prego, non ce n'è bisogno
sto bene; il fumo mi avrà un po' stordita, vedrete che dopo
essermi sciacquata la faccia tornerà tutto normale. Non
scomodate il dottore per una sciocchezza simile" lo guardava con occhi
imploranti, non che avesse paura dei dottori ma nutriva poca fiducia in
loro e nelle loro maniere di visitare e di intervenire, Limor la
guardava preoccupato "ne sei sicura?" chiese guardandola profondamente
"si, stai tranquillo. -si alzò continuando a parlare- vi
prometto che se avrò di questi malesseri o disturbi
andrò a farmi visitare!" L'uomo tenne l'espressione
seria e cercò per una manciata di minuti di farla
ragionare ma sapeva che c'era poco da fare con la testa dura di Zanira,
si limitò quindi a sospirare e ad invitarla a rimanere fuori
per evitare di sentirsi nuovamente male all'interno del negozio.
"Limor, non avevi qualcosa da mostrarmi?" chiese ad un certo punto la
mezzelfo e l'uomo si ricordò subito, "Certo hai ragione, il
tuo malore me ne ha fatto completamente dimenticare. Vado a prenderlo!"
Zanira rimase ad aspettare l'artigiano mentre Thomas le teneva
compagnia stando seduto accanto a lei a torturarsi di continuo le mani
visibilmente sudate, particolare che fece rabbrividire la mezzelfo
quando se ne accorse. "Questo fine settimana c'è la festa
del grano, tu ci verrai?" chiese ad un certo punto il ragazzo, Zanira
aveva tutta l'intenzione di mentirgli ma sapeva che era del tutto
impossibile, viste le dimensioni del villaggio non avrebbe avuto il
modo di potersi nascondere e far finta che non avesse partecipato, "si,
come al solito verrò insieme a mio padre e a mia sorella."
si limitò a rispondere e Thomas come preso da un lampo di
coraggio incalzò con un'altra domanda, "e hai qualcuno con
cui ballerai tutta la sera?" aveva gli occhi che gli brillavano come
gemme, Zanira sfuggiva il suo sguardo e questa volta la menzogna fu
inevitabile, "si, si ce l'ho" il sorriso scomparve dal viso del ragazzo
e gli occhi si spensero come quando si getta acqua ad un incendio,
"davvero?" chiese deluso dalla risposta e per fortuna di Zanira in quel
momento Limor uscì dal negozio con uno strano oggetto,
pretesto più che buono per terminare l'imbarazzante
conversazione. L'uomo nel frattempo non mascherava la soddisfazione per
l'oggetto che stava per mostrare alla giovane mezzelfo. "Guardalo
attentamente e dimmi che ne pensi" esclamò tendendole una
specie di tubo di legno color caramello decorato da numerose incisioni
che davano un effetto straordinario, esso possedeva ad un lato un
laccio con cui era possibile indossare a tracolla quello strano oggetto
di cui Zanira non comprese l'utilità. "E' interessante, ma
non capisco cosa sia" esclamò stralunata e il sorriso di
Limor si allargò come se sperasse in quella risposta,
riprese fra le mani lo strano oggetto e se lo rigirò tra le
mani fin quando non si soffermò su un punto ben definito. "
questa è un'arma mia cara, inventata dal sottoscritto che
può passare inosservata ed essere utilizzata al momento del
bisogno. Se schiacci in questo punto, ehm devo chiederti di spostarti
perchè non vorrei farti male -la ragazza ubbidì
senza replicare- esso si trasforma in un arco" mentre faceva la sua
descrizione, l'uomo premette sul punto che aveva indicato e si
attivò nello strano oggetto un meccanismo, il tubo si
aprì alle due estremità e ne uscirono due strati
di legno, l'uno più sottile del precedente mentre il laccio
per trasportare l'oggetto a tracolla si trasformò nella
corda da tiro per le frecce; a quella visione Zanira rimase
esterrefatta e incredula "Limor, è stupefacente ma come hai
fatto a ideare una cosa simile? Quale congegno c'è che lo fa
funzionare?" chiese curiosa prendendo dalle mani dell'artigiano lo
strumento e studiandolo attentamente rigirandoselo nelle mani "Segreto
del mestiere mia cara, sai credo che non lo metterò in
vendita, è il mio capolavoro in assoluto e non voglio che
esca dal mio negozio se non fosse strettamente necessario e soltanto se
si troverà nelle mani di una persona in grado veramente di
poterlo portare con se!" Zanira gli e lo restituì con aria
solenne e affascinata, "custodiscilo gelosamente allora" gli disse
quando egli riprese fra le mani il prezioso oggetto e quasi si commosse
ma non volle sciogliersi in piagnistei di commozione, tirò
su col naso e cambiò argomento, "Comunque fra una cosa e
l'altra non ti ho chiesto il motivo della visita. Hai bisogno di
qualcosa?" solo in quel momento la mezzelfo tornò con i
piedi per terra e si ricordò perché fosse
arrivata fino a Leonar: "si, mio padre ha bisogno di una falce nuova
per tagliare il grano, l'ultima è diventata ormai
inutilizzabile!" Limor scoppiò in una grassa risata e scosse
la testa non riuscendo a fermarsi, tanto che coinvolse anche Zanira che
rimase in bilico tra il divertimento e lo sconcerto, "Oh vecchio Nemor,
gran testone! L'ultima volta che l'ho visto ho cercato con tutto me
stesso di convincerlo a cambiare quell'arnese ma è
indomabile e impossibile da far ragionare tanto quanto te, avete un
carattere così simile!" Zanira cominciò a ridere
con più convinzione alle ultime parole dell'uomo, "lo
considero un complimento?" chiese divertita, "certo tuo padre possiede
tante virtù: è un uomo forte, è
coraggioso, un gran lavoratore che ama la sua famiglia e gli amici;
soprattutto dopo la scomparsa di tua madre non si è buttato
giù nemmeno un attimo ma ha fatto di tutto per reagire al
meglio, per far in modo che tu e tua sorella non mancaste di tutto
quello di cui avevate bisogno.. e il risultato ce l'abbiamo davanti ai
nostri occhi: due splendide fanciulle piene di vita, coraggiose,
generose. Infine pensa sempre che la tua testardaggine si trasforma in
determinatezza ed è questo che ti permetterà di
diventare qualcuno!" la risata della mezzelfo si trasformò
in un sorriso pieno di dolcezza "rischi di farmi commuovere, ti
avverto!" esclamò ironicamente, "va bene basta, bando alle
ciance e alle commozioni, vado a prenderti quello di cui hai bisogno"
esclamò avviandosi verso l'ingresso del negozio e Zanira per
evitare di rimanere nuovamente da sola con Thomas decise di seguirlo ma
venne ostacolata dall'artigiano, "dove credi di andare? Aspettami qui
fuori, non vorrei che ti sentissi nuovamente male come prima!" la
fanciulla non oppose resistenza e obbedì a malincuore
tentando di non volgere mai lo sguardo verso il ragazzo che
tentò tuttavia di riprendere la conversazione abbandonata in
precedenza senza avere tuttavia l'attenzione adeguata dalla fanciulla;
poco dopo Limor uscì nuovamente dal negozio con un fagotto
fra le mani di carta legato con dello spago, "e quella sarebbe la
falce?" chiese divertita Zanira da come l'uomo l'aveva imbacuccata
"l'ho chiusa in modo che non potesse farti male durante il viaggio di
ritorno a casa, non è un giocattolo e basta sfiorare appena
la lama per provocarsi dolorosi e profondi tagli!", Zanira
scoppiò a ridere " Ok, ok basta ho recepito il messaggio!
Quanto ti devo?" chiese portando la mano nella tasca dell'abito che
indossava, "stà tranquilla, dì a tuo padre che
può pagarmi questo fine settimana quando ci vedremo alla
festa del grano, adesso torna a casa tranquilla!" La mezzelfo prese il
fagotto fra le mani, abbracciò calorosamente Limor e
salutò Thomas normalmente, "ci vediamo presto" disse e
raggiunse Amoret che la stava aspettando ancora legato e impaziente di
rivederla. Sciolse il nodo, salì in groppa e si diresse
verso l'uscita dal villaggio per far ritorno a casa.
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Capitolo 3 *** Fugacità di sguardi e parole ***
Capitolo terzo: fugacità di sguardi e parole.
Prima di raggiungere il ponte si ritrovò ad un incrocio: a
sinistra sarebbe andata verso il versante opposto del villaggio e
sarebbe tornata direttamente a casa mentre a destra avrebbe trovato
poco distante una taverna dove Nemor era solito fermarsi ogni volta che
faceva visita a Leonar per un motivo o un altro. Decise di girare a
destra e fermarsi un po' a mangiare qualcosa. La taverna si presentava
come una casa non tanto grande in legno con il tetto di tegole e divisa
in due piani in cui sotto fungeva da taverna mentre al piano superiore
era luogo di ristoro per viandanti e forestieri che cercavano un posto
dove passare una notte o più. Il cartello riportava il nome
del locale ormai quasi indistinguibile perchè corroso dal
tempo ma anche se con qualche difficoltà si poteva leggere
"la taverna del sole" chiamata così perchè al suo
interno si consumava la birra migliore di Leonar e dei villaggi
circostanti, il cui colore ricordava quello del sole e vigeva una
diceria da parecchio tempo legata a quella bevanda: coloro che la
bevevano per la prima volta, se tenevano gli occhi aperti e fissi sul
colore dorato di quella birra interrotto dai pochi centimetri
di schiuma bianca, avevano la sensazione di trovarsi in un luogo
sperduto senza identità a guardare un paesaggio sormontato
da una fitta nebbia bianca ed illuminato dai primi raggi del sole.
Zanira era stata da sempre attratta da quella vecchia storia, essendo
una ragazza raziocinante era convinta che per poter credere a qualcosa
dovesse viverla personalmente e per questo ogni volta che accompagnava
il padre a Leonar e prima di rincasare si fermavano lì e
Nemor ordinava quel nettare d'oro provando la solita sensazione, Zanira
faceva la scettica e diceva che avrebbe creduto a quella sciocca storia
solamente se l'avesse mai provata sulla sua pelle, "Allora non ci
crederai mai!" rispondeva sempre il padre, "non permetterò
mai che una delle mie fanciulle beva birra da un boccale come un
omaccio!" e trincava un altro sorso, poggiava il boccale sul tavolo, si
asciugava i baffi e ridendo dell'espressione accigliata della figlia le
dava un buffetto sulla guancia sorridendo.
Era finalmnente arrivata la possibilità per Zanira di
assaggiare la famosa bevanda ed eccitata come una bambina scese da
cavallo e lo condusse in una piccola stalla di proprietà del
locale, si diresse infine verso l'ingresso. Appena entrata la sua
figura non passò inosservata, un mucchio di persone sedute
ai tavoli la guardarono chi con espressione incuriosita chi invece con
occhi indiscreti tanto che la mezzelfo fu colta da un attacco di
imbarazzo ma senza far caso a tutti quegli sguardi si diresse verso
l'unico tavolo libero in fondo alla stanza che grondava di fumo , puzza
di alcool e sudore che prendevano alla gola. L'ambiente era inoltre
poco illuminato da qualche candelabro nero macchiato in ogni parte
dalla cera sciolta delle candele che emanavano una luce tenue e
soffocata dal fumo delle pipe e dei sigari. Zanira si guardò
intorno fino a scorgere una figura a lei familiare dietro il bancone
cui si diresse sorridente; arrivata si sedette su uno sgabello e
battè due colpi sul banco con il palmo della mano aperto
attirando l'attenzione di un uomo grande e grosso alto il doppio di
lei, si girò e spuntò il viso pieno e baffuto
dagli zigomi vivacemente rosati dall'alcool e dal caldo del locale, con
gli occhi scuri incorniciati da un paio di occhiali sottili e folti
sopracciglia nere come i capelli scompigliati. L'uomo la
guardò prima incredulo e successivamente sorrise gioioso
come un bambino: "Zanira!" esclamò poggiando accanto a se
due caraffe colme di birra per evitare che gli cascassero, nel
frattempo la mezzelfo fece un cenno di saluto con la testa continuando
a sorridere, "Sefron, contento di vedermi?" "E scherzi? Certo che sono
contento di vederti, da quanto tempo. E tuo padre, Alena sono qui con
te?" chiese eccitato come un bambino, poi squadrò la figura
della giovane abbigliata quasi come un sicario, "Credo di potermi
rispodere da solo!" esclamò l'uomo soffocando una risata
"Hai ragione, no, sono venuta qui da sola, mi ha mandato mio padre per
procurarmi da Limor una falce nuova, stavo per tornare a casa quando mi
è venuto in mente questo vecchio posto e sono passata a
farti un saluto e a sorseggiare una fresca birra fatta in casa!" Sefron
scoppiò a ridere divertito, "Birra? E da quando ti sei
appassionata alla birra?" le chiese "diciamo da un po', sai che sono
sempre stata scettica riguardo la bubbola dell'alba di montagna che si
riesce a scorgere bevendo il primo sorso della tua famosa bionda ed
eccomi qua, pronta a provare il brivido della perdita di una scommessa
oppure della vittoria, allora? Mi accontenti?" gli chiese lei con un
sorriso; Sefron la guardò con un espressione che solitamente
un grande fa ad un bambino quando commette qualche sciocchezza e si
portò le mani ai fianchi, "Tuo padre è al
corrente di ciò?" Zanira pensò a quanto le
convenisse dire la verità, arrivò al punto di
credere che era meglio mascherare un po' le cose: "Ovviamente"
mentì ma il barista era un ottimo osservatore e molto astuto
e non demorse, "ed è al corrente anche di quella?" le chiese
puntando con il dito la punta della pipa che sporgeva appena dalla
casacca che la fanciulla portava appesa al fianco destro, adesso si che
si sentiva in trappola: "E va bene, mio padre non sa nulla e non deve,
lo sai com'è si preoccupa troppo diventando asfissiante!"
rispose scocciata "Beh se si preoccupa è per il tuo bene.
Bere ogni tanto ci può stare ma fumare fa seriamente male
Zanira, poi oddio una fanciulla che fuma e beve non si è mai
vista!" esclamò Sefron scuotendo la testa, "c'è
sempre una prima volta. Non gli e lo dirai vero? Ti prego, ti supplico"
l'uomo non seppe resistere allo sguardo pietoso della fanciulla,
mugugnò qualcosa fra se e invitò la ragazza ad
andarsi a sedere al tavolino dove stava precedentemente e lei contenta
di averla avuta vinta si diresse verso il luogo e attese l'arrivo del
boccale di birra con quattro dita di schiuma bianca mentre il resto era
oro. Sefron indugiò qualche istante ma alla fine le
mollò il boccale ma non disse alla fanciulla che
ciò che avrebbe bevuto sarebbe stata una delle meno forti
birre che avesse mai prodotto nella sua cantina. Lei non se ne
curò, guardò attentamente la bevanda come se
contemplasse qualcosa che vedeva per la prima e unica volta, prese tra
le mani il boccale e tenendo gli occhi aperti diede il primo sorso. Fu
come se in quell'istante ella non fosse lì in quella taverna
puzzolente di fumo e vestiti lerci, ma in quel paesaggio stralunato
dove tutto era oro sfocato da una nebbia fitta proprio come si presenta
l'alba sulle punte delle colline più alte o in cima ad una
montagna; bello fresco e pacifico il paesaggio che le si era posto agli
occhi nel tempo di un singolo sorso, non appena la freschezza della
birra fu scesa dall'esofago della fanciulla ella ripiombò
nella realtà della taverna la cui luce era praticamente
inesistente, la temperatura quasi asfissiante come l'aria che si
respirava impregnata di fumo, fu come se l'avessero buttata di peso in
una bacinella di acqua bollente tanto che senza pensarci due volte si
tolse la giacca scoprendo le spalle nude per via della canotta
smanicata ed il petto, il tutto non la fece passare inosservata ma in
quel momento non si preoccupò minimamente degli sguardi poco
opportuni di certe figure sedute a quei tavoli, scuotè la
testa, prese la pipa, la riempì ma si rese conto
sfortunatamente di non avere con se un fiammifero con cui accenderla.
Si girò intorno con l'intenzione di chiedere a qualcuno
delle persone sedute ai tavoli di farle accendere quando d'improvviso
sentì schioccare un fiammifero appena acceso, si
voltò ed ebbe un sussulto poiché senza che se ne
fosse accorta, un tipo sospetto le si era seduto di fronte; portava un
mantello nero con il cappuccio sollevato che gli copriva il volto, di
lui erano visibili solo le labbra e le mani, una delle quali le tese il
fiammifero acceso che anche se titubante, Zanira accettò.
"Una giovane mezzelfo, vestita da uomo, che tracanna birra e fuma da
una pipa, che roba insolita!" esclamò con ironia senza
togliersi il cappuccio, "Non si faccia di tutta l'erba un fascio, anche
se sono una fanciulla questo non significa che non possa comportarmi da
uomo ogni tanto. Sarei più felice di colloquiare tuttavia
con qualcuno di cui potessi vedere il volto, se non vi dispiace" l'uomo
sorrise e in quel momento arrivò Sefron con alcuni boccali
di birra destinati a qualche tavolo più in fondo, egli
rimase un po' perplesso nel vederla in compagnia di quello sconosciuto,
"tutto bene?" chiese rivolto a Zanira, "si Sefron è tutto a
posto, puoi stare tranquillo. A proposito credo proprio di aver perso
la scommessa" rispose lei alzando il boccale ancora pieno per tre
quarti; lo sconosciuto senza capire cosa intendesse dire la fanciulla,
la guardò da sotto il cappuccio un po' stralunato, senza
farci più caso inclinò lievemente la testa in
direzione del locandiere, "buon uomo portereste anche a me un boccale
di birra? Doppio malto per favore" il locandiere lo guardò
ancora perplesso, "arriva subito" rispose dopo pochi istanti. L'uomo
nel frattempo si voltò nuovamente verso Zanira e nonostante
gli occhi fossero invisibili lei li sentiva puntati addosso e il fatto
che non potesse vederli la indispettiva da morire, "Dunque? Posso
chiedervi di mostrarmi il vostro volto o è talmente
inguardabile che vi vergognate a mostrarlo?" chiese con finta ironia
sorseggiando dal boccale, l'uomo fece una breve e secca risata, "siete
molto decisa e fredda, mi piacete! Ebbene obbedisco" rispose lo
sconosciuto continuando a ridere, quindi scattò la testa
all'indietro per scoprire il proprio volto tenendo le braccia conserte
sul petto largo; un volto cui Zanira rimase impressionata, come se
davanti a lei fosse capitata la creatura più bella della sua
vita: i capelli erano portati lunghi all'altezza delle spalle ed erano
di un castano molto penetrante, gli occhi avevano un qualcosa di
affascinante e travolgente, dalla forma lievemente a cerbiatto al
colore verde muschio; portava una barba incolta poco lunga ed era
vestito con abiti di pelle molto semplici tra cui il mantello che ne
aveva mascherato la bellezza. Zanira pensò subito di essersi
rimangiata le parole della battuta che fece poco prima e rimase con gli
occhi spalancati mentre il giovane sconosciuto le rivolse un sorriso
sghembo. "Decidi tu, secondo te dovrei nascondere il mio volto
perchè sono troppo brutto?" la sua mente avrebbe esclamato
"Assolutamente no, semmai dovreste coprirvi per la troppa bellezza che
sminuisce la figura di qualsiasi altro uomo" ma decise di non farlo:
"Non penso di essere in grado di dare un giudizio" fu ciò
che disse e lo sconosciuto si mise a ridere divertito, "come sarebbe a
dire? Sei una donna, se non sei in grado tu di dare giudizio riguardo
la bellezza di un uomo chi potrebbe?" Zanira era in preda all'imbarazzo
e non sapeva cosa rispondere, tentava di sfuggire lo sguardo dello
sconosciuto per evitare di rimanervi imprigionata "Va bene forse ti ho
sopravvalutata, in fondo sei ancora una ragazzina e dovresti giocare
con le bambole di pezza invece di bere e fumare, tipetta curiosa!" fu
come se le fosse arrivato uno schiaffo morale addosso come un macigno
di pietra, Zanira sgranò gli occhi ed ebbe la voglia matta
di rovesciargli addosso la birra dal boccale che teneva con mano
leggermente tremante un po' per la rabbia ed un po' per l'agitazione,
alla fine si alzò semplicemente in piedi pronta per prendere
la via per la porta d'ingresso, "si vede proprio che non sapete avere a
che fare con una donna, pure se siete... quel che siete non avete alcun
diritto di darmi della ragazzina scema, anche perchè la
parte dello svezzamento è passata da un pezzo! Adesso se non
vi dispiace.. " ebbe il tempo di girarsi di spalle che si
sentì afferrare dal polso e girandosi di scatto vide l'uomo
impiedi ad un passo da lei, non si era accorta minimamente che si fosse
alzato ed ebbe un sussulto di paura chiaramente leggibile nei suoi
occhi, ma anche la sensazione che se non si fosse tenuta da qualche
parte le gambe le avrebbero ceduto e sarebbe caduta come un sacco di
patate sul pavimento lercio. Quando lo sconosciuto se ne accorse
mollò la presa, stava per scusarsi ma venne interrotto dalla
fanciulla che scorse minimamente tra i capelli un paio di orecchie
appuntite: "ma voi siete un elfo!" esclamò sgranando gli
occhi mentre il tipo le rivolse di nuovo un sorriso sghembo questa
volta alzando un sopracciglio; "sei un'acuta osservatrice eh, la cosa
ti stupisce?" disse nuovamente divertito facendole segno di risedersi
al tavolo, Zanira rimase un po' perplessa prima di decidere di
risedersi di fronte a lui, "Beh un po' si, non si vedono mai degli elfi
da queste parti. Cosa vi ha spinto a venire a Leonar? E potreste
cortesemente smettere di darmi del tu o devo per forza abbandonarvi a
questo tavolo davanti ad una marmaglia di omaccioni che la prenderanno
in giro per il resto del tempo che rimarrà qui dentro?"
l'elfo le si avvicinò tanto da provocare in Zanira uno
strano movimento nello stomaco e tutt'ad un tratto si sentì
avvampare le guance, "se ti dicessi il motivo per cui sono qui ti
dovrei uccidere e credo che nessuno di questi omaccioni oserebbe
parlare male di me -notando l'espressione preoccupata che si
disegnò sul volto della fanciulla, l'elfo la
rassicurò subito,- stà tranquilla stavo
scherzando, comunque la stessa domanda potrei fartela io e ti do del tu
perchè ti ripeto che sei soltanto una ragazzina, anche molto
simpatica e carina!" in quel momento arrivò il locandiere
con la birra che l'elfo sconosciuto aveva ordinato poco prima e
sentendo le ultime parole lanciò uno sguardo serio e
intimidatorio a quello strano tipo; "grazie, gentilissimo"
esclamò intanto quello prendendo il boccale di birra ma
ricevendo come risposta quella cattiva occhiata, tuttavia non se la
prese a male, "ma è tuo padre per caso?" chiese alla
fanciulla mentre lei per distrarsi dalla situazione prese un sorso di
birra, "no ma è un amico del mio, mi ha vista nascere quindi
posso quasi considerarlo un padre" l'elfo sorrise e bevve pure lui dal
boccale, dopo essersi pulito il labbro con il palmo riprese a parlare:
"molto protettivo per essere un amico di famiglia" questa volta sorrise
anche lei, "beh in effetti non sono altro che una ragazzina che
è stata puntata da un tipo sospetto di cui non conosce
nemmeno il nome, sfiderei chiunque a non preoccuparsi"
tentava di contenere l'emozione, "bella risposta comunque perdonami,
sono stato poco cordiale a non essermi ancora presentato, il mio nome
è Elmones" l'elfo le tese la mano e lei gli rivolse la sua
timorosa ed ebbe l'effetto di una scossa elettrica quando le loro mani
si sfiorarono, il cuore cominciò a batterle all'impazzata e
sentiva ancora presente quello strano movimento nello
stomaco. "Zanira" Desiderò che quel contatto
seppur semplice non finisse; invece l'atmosfera fu bruscamente
interrotta dalla voce di Sefron, "Zanira guarda che manca poco al
tramonto, non devi fare ritorno a casa?" le chiese con un espressione e
un tono del tutto autoritari. La mezzelfo guardò da una
finestra alla sua sinistra e si accorse che in effetti il cielo si
stava dipingendo dei colori del tramonto, staccò a
malincuore la presa dalla mano di Elmones e si alzò in
piedi, "scusate adesso devo andare!" l'elfo si alzò dalla
sedia, le prese una mano e gli e la baciò guardandola dritta
negli occhi, "E' stato un piacere , spero di rivederti presto, tipetta
curiosa!" Zanira sentiva le ginocchia cederle e fece la cattiva figura
di barcollare lievemente mentre l'elfo la guardava divertito; la
mezzelfo riuscì tuttavia a mantenere uno sguardo fermo e
serio per il cattivo soprannome che le fu dato dall'affascinante elfo,
dopo averlo fulminato con lo sguardo si staccò dalla sua
presa e senza dire più nulla fuggì del tutto
dalla locanda, passò dal bancone per salutare Sefron e
pagargli la birra e corse via volgendo all'elfo un ultimo sguardo; si
accorse che lui la stava guardando con quei suoi occhi verde muschio e
non appena i loro sguardi s'incrociarono le fece un cenno di saluto che
lei non ricambiò anche se avrebbe voluto. Uscita dalla
locanda senza esitazione, la mezzelfo raggiunse Amoret nella stalla e
insieme galopparono a tutta velocità verso casa; per tutto
il tragitto Zanira pensò a quel suo strano ma particolare ed
unico incontro che fece quella sera ancora con quelle stesse sensazioni
che la fecero sorridere.
Arrivò che era già buio e dalle finestre della
casa proveniva la luce delle candele accese e s'intravedevano le figure
di Alena e Nemor che si muovevano caoticamente; Zanira nonostante fosse
ancora presa dall'avventura si rese conto che si era trattenuta troppo
a Leonar, fece un sospiro e percorse il viale che faceva da ingresso
nel terreno dell'abitazione e i due familiari sentendo il rumore degli
zoccoli si lanciarono fuori; Nemor sembrava fuori di se mentre Alena
fece un sospiro di sollievo portandosi una mano sul petto e tenendo il
braccio del padre per calmarlo con l'altra. "Zanira ma che cosa ti
è venuto in mente?! -chiese Nemor cercando di contenersi-
sei stata fuori tutto il giorno per procurarti niente di meno che una
falce e io ti ho aspettata qui perdendo un'intera giornata di lavoro ai
campi oltre che preoccuparmi. Vuoi darmi una spiegazione ragazzina? E
dove hai preso questi vestiti? Che fine hanno fatto i tuoi?" in quel
momento la mezzelfo non sapeva cosa dire, scese da cavallo, prese dalla
tasca laterale rispetto alla sella il pacco improvvisato in cui c'era
la falce, diede ad Amoret una pacca cosicché quello potesse
avviarsi nella stalla e stette per qualche istante con lo sguardo fisso
a terra, poi pose il pacco fra le mani del padre, "scusate" disse
stralunata e l'atteggiamento strano preoccupò entrambi i
familiari che scordarono immediatamente quanto era accaduto, "E'
successo qualcosa?" chiese Alena visibilmente preoccupata, "no,
cioè è successo tutto e non è successo
niente!" adesso sul volto della mezzelfo si era disegnato uno strano
sorriso che non tranquillizzò tuttavia né il
padre né Alena "Che significa tutto e niente? Zanira parla,
cos'è successo?" la mezzelfo si diresse verso la stella con
ancora quel sorriso "non è successo... nulla non
preoccupatevi e scusate per il ritardo!" padre e figlia si guardarono
negli occhi cercando risposta uno nell'altra ma essa non giunse, non
poterono far altro che stringersi nelle spalle ed entrare in casa.
Zanira nel frattempo accompagnò Amoreth, gli diede da bere,
da mangiare e mentre l'animale si riposava, silenziosamente la
fanciulla riprendeva le sue solite sembianze, amareggiata per aver
fatto preoccupare la sua famiglia e soprattutto che il suo segreto,
almeno in parte, era stato svelato. Diede una pacca ad Amoreth in segno
di buonanotte e tornò in casa silenziosamente, tentando di
assumere un'espressione normale. La serata procedette con una
tranquillità che non era solita, nella stanza si sentivano
solo il rumore delle posate sui piatti e i respiri dei familiari seduti
attorno alla tavola apparecchiata alla meno peggio per accogliere la
cena e Zanira stette tutto il tempo a fissare il piatto senza toccare
cibo; guardava un punto indefinito concentrata nei suoi pensieri
totalmente immersi negli occhi dello sconosciuto con cui aveva
scambiato quei pochi attimi che bastarono a folgorarla e lasciarle
quella strana sensazione di pugno nello stomaco che in certi momenti le
impediva quasi di respirare, una sensazione dolorosa e allo stesso
tempo piacevole e sconosciuta; sperava di rincontrare il misterioso
Elmones. E mentre Zanira tornava indietro nel tempo con la mente e con
il cuore (oltre che con le farfalle nello stomaco) Nemor ed Alena non
capivano se vi fosse da preoccuparsi seriamente per l'atteggiamento
strano della fanciulla che non aveva assunto mai fino a quella sera, si
scambiavano delle occhiate incredule ogni tanto sempre più
sconvolti mentre Zanira ignara di tutto continuava a sognare e non
appena il padre si alzò da tavola, come se fosse scattata in
lei una molla, si alzò dalla sedia e si diresse a passo
spedito verso la camera da letto, "Ma Zanira dove vai? Non aiuti tua
sorella a sistemare tutto?" chiese Nemor al limite della sua
sopportazione, "padre lasciamola stare stasera, domani mattina con
tutta calma proverò a parlarle io. Per stasera
penserò a tutto io non preoccupatevi!" Nemor convinto per
metà dalle parole della figlia fece un respiro profondo e
prese da un ripiano un panno bianco, "dai per stasera ti aiuto io; tu
lavi ed io asciugo. Roba da matti!" Alena fece un sorriso poco convinto
e cominciò a strofinare i piatti mentre il padre
cominciò a lamentarsi come non mai, "La colpa è
mia, per forza perchè sono un padre troppo buono,
figuriamoci se in un'altra casa accadesse tutto ciò!" Dopo
circa dieci minuti di lamentele senza sosta, Alena sbuffò
energicamente e rispose con tono scocciato, "Papà se hai
intenzione di continuare a lamentarti per tutto il tempo sappi, che non
ho alcuna intenzione di sentirti quindi lascia stare e continua a
borbottare nella tua stanza!" Nemor sgranò gli occhi
incredulo dalle parole che udì, "ecco adesso oltre alla
squinternata che torna ad un orario indecente, non tocca cibo e se ne
va senza sistemare la cucina me ne ritrovo un'altra che mi da pure del
tu, stiamo messi proprio bene. Se le cose stanno così questo
vecchio si ritira nelle sue stanze a borbottare da solo come un pazzo,
buonanotte!" posò con poco garbo il panno sul tavolo e
rumorosamente lasciò la stanza per raggiungere la propria
camera continuando a borbottare qualcosa di incomprensibile, Alena
accumulò quanta più pazienza riuscì e
ricominciò a lavare i piatti con tutta l'intenzione di
volersi ritirare anche lei nel calore delle coperte a contatto soltanto
con i sogni e senza sorelle stralunate e padri borbottanti a riempirle
la testa di pensieri.
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Capitolo 4 *** I preparativi ***
Capitolo Quarto
I preparativi
I due giorni che precedevano il finesettimana in cui si sarebbe svolta
la festa del grano passarono in fretta, i ritmi ripresero tranquilli
come se quella sera non fosse successo nulla e soprattutto Zanira
tornò con i piedi per terra ricominciando le faccende solite
di casa aiutando il padre e la sorella, ma ogni qualvolta si ritrovava
da sola con se stessa, tutti i pensieri erano rivolti a lui, il
misterioso Elmonet dalle orecchie a punta e quel senso dell'umorismo
che si abbinava con tutto il resto come gli accordi di uno strumento
musicale messi insieme a creare una melodia decisa e bellissima come se
quelle note fossero state create per stare insieme in quegli accordi e
per quel singolo pezzo; il pensiero e le fantasticherie furono utili a
Zanira per allontanare i ricordi dagli strani sogni che sembrarono
darle tregua per quel lasso di tempo, quasi come se avessero
abbandonato il suo corpo nel momento in cui la sua mente venne occupata
da tutto il resto e Zanira stava bene. Forse era arrivato davvero il
momento che Alena aveva sempre sognato per la sorella, finalmente la
piccola mezz'elfo dai capelli verdi e gli occhi color cioccolato stava
cambiando trasformandosi nella donna che prima o poi sarebbe diventata
senza accorgersene mentre Alena capì tutto fin dall'inizio e
se i suoi erano semplici sospetti, essi si concretizzavano in idee pure
e certezze ogni volta che incrociava lo sguardo della sorella o che la
osservava nei momenti in cui si metteva a sognare ad occhi aperti con
un sorriso sciocco sulle labbra, ma decise di tenere le sue certezze
per se fino a quando non sarebbe arrivato il momento giusto. La mattina
di quel sabato, il giorno della festa paesana, Alena come al solito si
alzò presto per cominciare le faccende di casa tra cui
preparare la colazione, Zanira solitamente il sabato e la domenica si
alzava più tardi del solito e nonostante il padre e la
sorella l'avessero richiamata più e più volte
c'era poco fa fare, come se il finesettimana il suo cervello staccasse
la spina e decidesse autonomamente di prendersi più tempo
del solito per riposare, finché quindi tutti persero le
speranze di poterle togliere quel vizio; tuttavia quella mattina quando
Alena aprì gli occhi e guardò accanto a se
trovrò il letto vuoto. Rimase interdetta per pochi istanti
fino a quando si convinse che magari avesse fatto tardi lei, ma
perchè nessuno era venuto a svegliarla? Girò lo
sguardo verso la finestra e dalla tendina di lino bianca tesa proveniva
la lieve luce dell'alba, Alena si strofinò gli occhi
convinta che stesse sognando ma rendendosi conto che non era
così e che veramente accanto a lei non vi fosse nessuno fece
uno sbadiglio e scese dal letto barcollando lievemente
poichè era ancora presa dal sonno.
Raggiunse la cucina ancora in camicia da notte per controllare se vi
fosse movimento e si stupì del fatto che invece nella stanza
regnasse una calma assoluta come se si trattasse di una mattina
qualsiasi, "Ma dove si sarà cacciata?" si chiedeva sempre
più sconvolta, riprese la via della camera da letto per
cambiarsi e sciacquarsi il viso promettendosi che ci avrebbe pensato
dopo. Il sole stava cominciando a salire nel cielo dipingendo
l'orizzonte di calde sfumature rosse tendenti all'arancio mentre il blu
della notte pian piano lasciava il posto al celeste limpido del cielo
mattutino; veniva un fresco venticello che scostava dolcemente l'erba
dei campi circostanti come se una grande ed invisibile mano vi passasse
sopra accarezzandoli delicatamente. Alena rimaneva ammaliata e
sconvolta ogni volta che si soffermava ad ammirare quel paesaggio e
rimase più sconvolta quando finalmente trovò
Zanira: stava seduta di spalle rispetto a lei con le ginocchia portate
contro il petto e la testa poggiata su di esse, i capelli smeraldini
sciolti si alzavano e ondeggiavano ad ogni soffio di vento; era persa
nei suoi pensieri guardando intensamente davanti a se, talmente
concentrata nell'osservare nulla di definito, da non accorgersi della
sorella che le venne incontro senza fare troppo rumore e si sedette
accanto a lei poggiando la testa sulla mano aperta e le dita in mezzo
ai capelli e la guardò con un sopracciglio alzato e un
sorriso di chi sapeva a priori cosa stesse succedendo ma aveva voglia
di udire conferme. Zanira sussultò quando si accorse della
figura seduta accanto a lei e si portò di riflesso la mano
sul petto mentre Alena scoppiò in una fragorosa
risata, "Alena sei impazzita? vuoi farmi prendere un infarto?!" chiese
con il fiato grosso e gli occhi spalancati, la sorella smise di ridere
e senza staccare gli occhi da quelli dell'altra rispose, "tu ti decidi
a dirmi cosa ti è successo? Non rispondere "nulla", capisco
che non è vero solo dal fatto che tu di sabato ti sia
svegliata all'alba quando normalmente i tuoi occhi si aprono ad ora di
pranzo sentendo l'odore del cibo dalla cucina, così come i
petali di un fiore si aprono avvertendo i raggi del sole di prima
mattina!" Zanira rimase interdetta a guardare la sorella che non le
toglieva lo sguardo da dosso né accennava a voler cambiare
espressione, non riuscendo a sostenerla voltò il capo verso
la campagna, rimase di nuovo incantata su qualcosa di indefinito e
senza che se ne accorgesse sorrise spensierata dimenticandosi
nuovamente della persona accanto a se, "visto? Lo stai facendo di
nuovo!"
"Cosa?" chiese zanira come se fosse cascata dalle nuvole, "T'incanti a
guardare chissà cosa e fai quel sorriso sciocco!" questa
volta fu Zanira a scoppiare a ridere, si alzò da terra ma
chinò la schiena a schioccare un bacio nella guancia della
sorella, quindi canticchiando una canzoncina inventata si
avviò verso casa lasciando Alena lì da sola che
guardava la sorella non sapendo se alzarsi e seguirla per farsi
raccontare ciò che voleva sapere o lasciarla andare e
sorridere della chiara novità che si stava presentando.
La mattinata fu abbastanza intensa per tutti i componenti della piccola
famiglia; Nemor passò gran parte del tempo nei campi a
raccogliere, innaffiare e seminare sotto il sole caldo; Zanira raccolse
le uova nel recinto delle galline e passò del tempo nella
stalla a mungere le mucche di latte fresco ma tra una pausa e l'altra
ritagliava un po' di tempo al suo Amoret che nutrì come suo
solito e portò fuori a sgranchire le zampe ma non ebbe il
tempo di cavalcare poiché il lavoro intenso di quella
mattina era totalmente riservato alla serata: durante la festa del
raccolto infatti, era tradizione che tutti gli abitanti dei villaggi
vicini protassero qualcosa dalla loro casa come grano, farina, olio e
pietanze di ogni genere accompagnati ovviamente da scorte di vino e
birra per poter festeggiare tutti insieme ma soprattutto per rendere
grazie del raccolto e augurarsi il buon esito per l'annata successiva.
Dei tre componenti della famiglia forse Alena era quella che gioiva di
più per l'arrivo della festa perché poteva dare
svago alla sua arte culinaria e alla fantasia smisurata non tanto per
ricevere i complimenti dalla gente ma per sentirsi bene con se stessa,
era felice infatti solo se stava a contatto con le sue erbe e i suoi
strumenti da cucina. Nemor e Zanira si affidavano esclusivamente a lei
e non provavano nemmeno a chiederle se avesse bisogno di aiuto
perché ricevevano sempre un no categorico; la cucina era il
mondo di Alena soltanto, gli altri potevano rendersi utili portandole
tutto ciò che le occorreva, dalle verdure alla carne e
quant'altro tranne gli odori a cui pensava esclusivamente lei
perdendosi anche per ore nel bosco per cercare erbe particolari e
saporite, funghi, tartufi e senza stancarsi mai minimamente di stare a
contatto con la natura.
Il raccolto venne portato nella grande cucina insieme al latte e alle
uova, tutto era pronto per essere preparato ma mancava l'elemento
essenziale, ovvero la cuoca; Alena sembrava scomparsa nel nulla e sia
Nemor che Zanira rimasero sconcertati nel non vederla tornare dal bosco
"le sarà mica successo qualcosa?" chiese l'uomo preoccupato,
"non credo, vado a cercarla!" rispose Zanira e senza esitare
uscì da casa. Percorse inizialmente il perimetro
dell'abitazione e quando fu certa che Alena non si trovasse nei
dintorni dell'abitazione s'inoltrò nella piccola foresta che
cominciava dal retro della casa. Gli alberi erano altissimi e
così rigogliosi che la terra in cui si trovavano era
scarsamente illuminata dai raggi del sole che tentavano di penetrare
quegli ostacoli naturali dall'effetto sorprendente di grande
importanza, che trasmettevano solennità, fascino e paura al
tempo stesso. Tutt'intorno non si sentiva nessun rumore se non quello
delle foglie degli alberi accarezzate dal vento e il rumore di qualche
animale che si aggirava di qua e di la in direzione della tana, quel
particolare silenzio non faceva che incrementare la preoccupazione di
Zanira che non aveva alcuna idea di dove Alena si potesse trovare.
Inizialmente si avventurò cauta con passi lenti,
apparentemente calmi e tentando di non fare alcun rumore quasi in segno
di rispetto nei confronti dello scenario che le si presentava di fronte
ma man a mano che si addentrava nel cuore della foresta e non aveva
notizie sulla sorella, quel poco di calma che stava appesa ad un filo
svanì e Zanira cominciava a piombare nella preoccupazione
tanto che non si preoccupò più di non far rumore
e i passi lenti e leggeri divennero veloci e pesanti, il respiro
affannoso e d'un tratto come se non fosse riuscita a controllarsi,
cominciò ad urlare, "Alena, Alena dove sei? Rispondi.
Alena!" non ricevette risposta e la mente della giovane mezz'elfo fu
invasa da innumerevoli pensieri che si accavallavano senza un ordine
preciso facendola entrare di più nel panico ed aumentandole
il passo, cadde per terra in mezzo al muschio inciampando in una radice
sporgente di un albero secolare a cui non aveva fatto caso,
urlò nuovamente il nome della sorella e come se si stesse
abbandonando a se stessa rimase seduta per terra, portò le
ginocchia verso il petto abbracciandole e scoppiò a piangere
disperata, "dove sei finita Alena?" si chiese rassegnata e con i
peggiori pensieri nella mente; ad un certo punto si soffermò
colpita da uno strano rumore proveniente dal fondo della foresta, come
il sussurro di qualcosa di incomprensibile, senza esitazione Zanira
riprese il passo con il cuore in gola sperando che se si trattasse di
Alena non fosse ferita, in fin di vita o nelle mani di qualche essere.
Una luce fioca colpì la sua vista, alcuni raggi azzurrini e
argentati si facevano spazio tra le fronde poco più avanti
rispetto alla mezz'elfo che sentiva salire il sangue alla testa; stava
accadendo qualcosa lì in fondo, Zanira trattenne il respiro,
fece attenzione a non far alcun rumore, si chinò per terra e
con le mani vagava per il terreno alla ricerca di qualche oggetto che
potesse usare come arma per difendersi o attaccare qualsiasi creatura
mostruosa si celasse dietro quei cespugli. trovò un ramo
d'albero abbastanza robusto, sentiva colare il sudore freddo dalla
fronte e il cuore batteva all'impazzata senza tradire nemmeno un
momento di quiete come se volesse sfuggire dalla gabbia toracica della
fanciulla e volesse andare via da lì. La voce era
più nitida ma non si capiva cosa la creatura stesse dicendo,
sembrava una lingua antica forse, oppure semlicemente sconosciuta e i
bagliori di luce erano più forti ad ogni passo strisciato
che Zanira percorreva con l'arma in pugno accanto a se. Si
trovò davanti al cespuglio che nascondeva la creatura,
rimise i piedi saldamente sul terreno ma rimase china poiché
se si fosse alzata completamente le fronde non l'avrebbero coperta del
tutto e qualsiasi creatura si nascondeva lì dietro avrebbe
potuto reagire in maniera sconosciuta e spregiudicata, era pronta con
l'arma in pugno, stava per allungare la mano verso il verde quando
sentì la voce della creatura sconosciuta parlare la stessa
lingua di Zanira e ciò le permise anche di riconoscerla:
"Bene, sei a posto puoi andare adesso, anirétima!" attimo di
silenzio, un rumore lieve di qualcosa che si alzava dal letto di foglie
cadute e dal cespuglio spuntò la figura di un cucciolo di
cerbiatto che sfrecciò a tutta velocità e si
dissolse nel nulla coperto dalla vegetazione, non curante dello sguardo
stupito di Zanira che rimase incredula davanti alla scena, soprattutto
quando si accorse che la creatura che tanto l'aveva spaventata e che
aveva intenzione di colpire, era Alena che spuntò dalle
stesse fronde ma per lo spavento cadde indietro abbandonando
inconsciamente un cesto pieno di funghi ed erbe nel terreno, "Zanira
-esclamò con gli occhi sgranati e la pelle bianca come il
marmo- ma sei impazzita? Cosa ci fai con quell'arnese in mano? Gettalo
immediatamente!" si guardarono stravolte entrambe, con il fiato grosso
e gli occhi spalancati. come se si fosse d'un tratto ripresa, Zanira
mollò finalmente il ramo e riprese a respirare con
regolarità, "Spiegami tu cos'hai fatto tutto questo tempo?
E' da molto che manchi da casa, ancora c'è tutto da
preparare e non vedendoti arrivare ci siamo preoccupati e mi sono
addentrata qui per venirti a cercare, poi ho sentito quella strana
voce, ho visto una luce fioca e presa dal panico mi sono gettata a
terra e ho cercato qualsiasi oggetto potessi scagliare contro la -fece
un attimo di silenzio e con la mano aperta indicò la
sorella- mostruosa creatura che si stava nascondendo e stava combinando
chissà quale diavoleria, mi ero armata con la speranza che
non fossi finita nelle mani di chissà cosa e che cosa
succede?! vedo sbucare un cerbiatto da un cespuglio e mi accorgo che la
voce del mostro è niente di meno che quella di mia sorella!"
Alena, anche lei ormai calma guardò la sorella in silenzio e
scoppiò a ridere, "come sei dolce sorellina quando ti
preoccupi per me" ironicamente cominciò a sbattere le ciglia
velocemente facendo innervosire Zanira che sfuggì lo sguardo
stizzita e ricominciò a parlare: " ah smettila, dimmi
piuttosto, che cosa stavi facendo? Che dicevi?" a quella domanda il
sorriso di Alena scomparve dal suo viso e abbassò lo
sguardo, "non so di che parli, io stavo cercando funghi ed erbe , poi
mi sono trovata di fronte a quel cucciolo ferito quasi a morte al
fianco e l'ho curato tutto qui!" "Che l'hai curato non ci sono dubbi,
il punto è come ci sei riuscita. Alena dimmi la
verità: sei mica una strega e non me l'hai mai detto?"
adesso Alena volse lo sguardo alla sorella sconvolta "Ma che stai
dicendo? -esclamò- io non sono niente, soltanto una
mezz'elfo come te, non so niente di magia o arti curative, tu piuttosto
sei stata strana, non mi sono accorta minimamente della tua presenza ed
eri a pochi centimetri di distanza da me, armata e pronta a colpire!"
"E questo cosa vorrebbe dire? Ho reagito per difendermi da qualsiasi
cosa vi fosse!" vi fu un momento di silenzio tra le due che
inizialmente si guardarono negli occhi, dopo abbassarono entrambe lo
sguardo, "Beh lasciao perdere, meglio tornare a casa prima che
papà cominci a preoccuparsi seriamente!" disse Alena
alzadosi in piedi e recuperando il cesto; tese la mano alla sorella per
aiutarla ad alzarsi e dopo essersi date un veloce abbraccio ripresero
insieme la via di casa.
Nemor nel frattempo aveva atteso in casa le due figlie che non
arrivavano ed ogni minuto che passava aumentava la sua preoccupazione,
il battito del cuore sembrava non voler rallentare e la fronte era
imperlata di sudore freddo che tamponava con un vecchio straccio di
tanto in tanto, quando sentiva che gli provocava un fastidioso
solletico sulle tempie, allora si asciugava la fronte con la mano
tremante mentre l'altra stava serrata sull'ascia da giardinaggio che
Zanira gli aveva procurato da Leonar poco tempo prima; era combattuto
tra il voler andare a cercare le figlie o confidare nella speranza e
rimanere ad aspettare in casa. La paura di cui era vittima in quel
momento aveva un fondamento ed esso lo trovava nel passato,in quegli
anni prima, quando la moglie Carèn scomparve nel nulla
proprio nella stessa maniera e l'idea che potesse accadere la stessa
cosa in quel momento con Zanira e Alena balenò come una
secchiata d'acqua gelida: Nemor si alzò quindi di scatto e
senza più pensare a niente aprì la porta
d'ingresso della casa con ancora l'arma in pugno, pronto ad andare
personalmente alla ricerca delle due figlie e fu sorpreso e
meravigliato nel trovarsele davanti appena fuori dalla porta, Zanira
con il vestito completamente lercio di foglie secche e fango mentre
Alena era candida come sempre tranne per la capigliatura appena
rovinata e portava in braccio il cesto pieno. Ebbero tutti e tre un
sussulto quando si ritrovarono gli uni difronte agli altri e Nemor
pochi istanti dopo gettò per terra l'ascia e
abbracciò entrambe le ragazze quasi in lacrime mentre le due
per poco non venivano stritolate dalla forte presa dell'uomo, "Non vi
azzardate più, avete capito?" chiese lui mentre non si era
ancora sciolto dall'abbraccio, "scusaci papà, non
accadrà più" si divisero finalmente e l'uomo
rimase a guardarle entrambe sorridente, si soffermò poi
sullo stato di Zanira e rimase perplesso, "figlia mia ma cos'hai
combinato? Hai combattuto contro un cinghiale forse?" Zanira
scoppiò a ridere, "in quel caso non sarei nemmeno tornata a
casa, comunque nulla mi sono buttata per terra per... è una
storia lunga e siamo in un grande ritardo!" non sapeva cosa rispondere,
ecco perchè aveva sviato l'argomento e fu un bene
perchè tutti tornarono nel mondo presente, "accidendi
è vero, bene Zanira, visto che tu sei quella che ha
più bisogno in questo momento di una sistemata,
và a farti il bagno, -esclamò Alena prendendo un
tono autoritario- io nel frattempo comincio a preparare e tu
papà non so, potresti preparare il carro e quando Zanira
avrà finito di fare il bagno le darai il cambio, io
sarò l'ultima!" nessuno dei componenti della famiglia
osò contraddire il piano di Alena, quindi tutti e tre si
divisero per compiere ognuno il proprio dovere.
Il tramonto giunse svelto e ai primi raggi arancioni la
piccola famiglia era pronta per partire poichè tutto era
pronto nonostante il contrattempo; Nemor che poche volte come quella lo
si poteva vedere elegantemente vestito, pettinato e sbarbato lasciando
tuttavia i baffoni sul viso paffuto, indossava un paio di pantaloni
marroni, una casacca di pelle verde muschio molto scura, una giacca in
tessuto anch'essa marrone come i pantaloni ed un fazzoletto al collo
bianco con decorazioni floreali verdi come si usavano a quel tempo fra
gli uomini e gli davano un aspetto da vero gentil uomo. Mentre finiva
di sistemare il carro per poter partire, nella camera delle fanciulle
si ultimavano i preparativi ma non si respirava un'atmosfera di vera e
propria pace poiché le due sorelle erano in preda ad un
litigio. Alena era pronta: indossava un abito lungo di lino misto a
cotone bianco con una scollatura a barca che mostrava leggermente le
spalle, era un abito attillato che ricadeva lento fino a nascondere i
piedi, i bordi erano cuciti con fili d'oro, in fondo alla vita portava
una striscia abbordata anche quella con fili d'oro e le maniche lunghe
finivano in un nastrino sottile che fungeva da anello sulle dita medie.
Per tutto il giorno aveva portato i capelli legati in due lunghe trecce
che quando sciolse si liberarono in fluenti onde verde smeraldo e per
incorniciare il viso prese due ciocche, una per ogni lato del viso, le
intrecciò e se le portò dietro la testa per
poterle legare; aveva un aspetto radioso. Non si poteva dire lo stesso
di Zanira: aveva deciso di rimanere sobria come se non vi fosse alcuna
festa; aveva indosso un abito di una semplicità assoluta,
uno di quelli che indossava nelle occasioni quotidiane come quando
andava in paese a fare compere insieme alla sorella o al padre e i
capelli legati alla menopeggio, il tutto fece innervosire Alena ma non
che Zanira si divertisse a vederla in quello stato, solo che non amava
lo sfarzo, gli abiti come quello che indossava la sorella le
davano già molto fastidio perché si sentiva
oppressa, non era libera infatti di potersi muovere come voleva, eppure
Alena non voleva saperne nulla e se da tempo l'aveva convinta a
vestirsi come una giovincella, sarebbe stata capace di farla apparire
come la fanciulla che era. "Togliti quel vestito, Zanira e fallo
subito!" esclamò mettendosi davanti a lei con una mano sul
fianco e l'altra a puntare l'indice contro la sorella, "ma insomma non
vuoi sistemarti neanche adesso che hai trovato qualcuno che
t'interessa?" chiese ad un certo punto: Zanira mutò
espressione, alzò lo sguardo da terra che aveva tenuto tutto
il tempo con aria viziata e guardava la sorella con gli occhi sgranati
"suvvia non guardarmi in quel modo; è da tempo che l'ho
capito" "no Alena ti sbagli, non m'interessa nessuno!"
esclamò frettolosamente tanto che riuscì per
miracolo a terminare la frase, Alena nel frattempo non le dava
più retta, decisa si abbassò e da sotto il letto
tirò fuori un baule di legno scuro , "Che cosa fai?" chiese
Zanira, "ti concio come una vera donna!" esclamò la sorella
senza rivolgerle lo sguardo: aprì il baule e
cominciò a cercare frettolosamente qualcosa fino a quando
non esultò e lentamente tirò fuori un abito al di
sopra di ogni aspettativa, di una bellezza incomprensibile. Zanira lo
riconobbe nonostante fossero passati molti anni, "questo
è..." non riusciva a continuare tanta era la
sorpresa, "si, è l'abito della mamma, dai indossalo!" Alena
gli e lo avvicinò ma Zanira si alzò di scatto e
si allontanò dalle braccia della sorella, "No, non puoi
dirmi questo, era di nostra madre non abbiamo il diritto di prenderlo e
indossarlo!" si voltò rivolgendole le spalle e
portò le braccia incrociate sul petto, "Oh smettila Zanira,
che bene gli fa stare rinchiuso in questo baule a prendere polvere e
logorarsi con il tempo? Non penso che la mamma avrebbe qualcosa da
ridire anzi... lo avrei indossato io se non fossì
così formosa, tu hai un fisico più esile di lei,
sei perfetta per questo abito, hai preso del tutto da lei." Zanira si
voltò di scatto, "sei ignobile, come puoi pensare di
indossare questo vestito?! E a nostro padre non pensi? Se vedesse me o
te indossare qualcosa di simile non ce lo perdonerebbe mai,
diventerebbe cieco dalla furia!"
"Ma perché mai dovrebbe?" Alena non riusciva a capire,
"Perché gli ricorderemmo troppo lei e credo che anche noi la
ricorderemmo con troppa enfasi. Non posso, davvero andrò
così come sono adesso, va più che bene!" Alena
guardava quel vestito con un immenso trasporto, scuotè le
spalle e lo rimise nel baule da dove lo aveva preso, "Se è
questo ciò che vuoi" disse sospirando e lasciò
cadere il coperchio del baule che emise un forte rumore echeggiante. Le
due stavano per andare quando Alena ripartì alla carica
cercando un pretesto per far cambiare idea alla sorella senza che lei
se ne accorgesse, "Certo che, stavo pensando" disse sull'uscio della
camera, "cosa?" chiese Zanira ormai tranquillizzata, "Che se il tuo
misterioso cavaliere stasera fosse alla festa e tu lo incontrassi, ti
vedrebbe vestita normalmente nonostante tu stia partecipando ad una
festa, credo nonostante la mia modesta esperienza, che gli uomini
apprezzino molto essere sorpresi dalle donne!" Zanira si
fermò di scatto e Alena fece altrettanto fissandola
assiduamente, "Ma sei incredibile!" esclamò ad un certo
punto zanira slacciandosi in fretta e furia i lacci del corpetto del
semplice vestito; "ti odio!" disse mentre sul viso di Alena apparve un
sorriso di soddisfazione per aver colto due piccioni con una fava, "
prendo il vestito!" disse tutta eccitata tirando nuovamente fuori
l'abito.
Zanira lo indossò aiutata dalla sorella e sembrava che fosse
stato cucito su di lei, le stava perfetto. Era un abito molto lungo che
portava uno strascico dietro, era di seta di un colore rosso molto
scuro ma lungo la gonna e in tre punti ben definiti della striscia che
abbracciava la vita sul fronte dell'abito, si dipartivano dei veli di
tulle bianca che ricadevano dolcemente per terra dando l'idea che la
figura minuta della ragazza dall'abito rosso e bianco fosse immersa in
una grande nuvola; sul retro era la stessa cosa tranne per il fatto che
in un punto del fondoschiena si dipartiva un unico velo che faceva da
strascico per alcuni centimetri per terra. Il petto era costituito da
un corpetto anch'esso rosso scuro ma che sul seno riprendeva il tessuto
dei veli della gonna e ne faceva una fascia intrecciata
cosicché il vestito fosse privo di spalline o maniche ma il
tutto era compensato da un mantello che arrivava fino a metà
gonna e le copriva le spalle. Era un incanto e quando entrambe le
sorelle si misero davanti allo specchio non poterono credere ai loro
occhi. "Oddio Zanira, sei splendida!" esclamò Alena con le
lacrime agli occhi "Già, non sembro nemmeno io"
esclamò lei emozionata quanto la sorella. "manca soltanto un
dettaglio: l'acconciatura!" "Ma non abbiamo tempo, è tardi!"
Esclamò preoccupata per il tempo che passava,
"Stà tranquilla faremo in fretta! Non possiamo proprio
fermarci così dopo un passo del genere!" Alena
obbligò Zanira di sedersi su una sedia e in meno di due
minuti le improvvisò un'acconciatura portando alcune ciocche
di capelli raccolte e lasciandone altre libere sulle spalle insieme ad
un piccolo ricciolo verde che si era creato in quel momento sulla
fronte e ricadeva leggero in mezzo al viso. Adesso erano veramente
pronte a partire!
Nemor nel frattempo rimase sul carretto in attesa che le giovani si
degnassero di uscire da casa ma era in procinto di perdere la pazienza;
quando si convinse ad entrare in casa per capire quale problema vi
fosse fu interrotto dalla presenza delle due figlie che stavano
percorrendo l'uscio della casa; un abbaglio lo investì come
un fiume in piena nel vedere Zanira indossare quell'abito, il suo
pensiero ricadde immediatamente su Carèn e il senso di
tristezza fu inevitabile. Le due si avviarono in fretta verso il carro
e non poterono fare a meno di notare. "Scusaci padre per aver tardato
tanto ma abbiamo avuto un piccolo problema di preparazioni e.. tutto
bene?" chiese Alena senza pensare, ma Zanira sapeva. "Scusami
papà, sapevo che non avrei dovuto indossare quest'abito e
sono mortificata. -scese dal carro- scusate ma io non
parteciperò a questa festa; torno in casa andate senza di
me!" Nemor la bloccò afferrandole un polso, "No Zanira,
aspetta! -la lasciò immediatamente dopo che la giovane gli
rivolse lo sguardo- stai benissimo così, non badare a me
quest'abito mi ricorda moltissimo vostra madre ma in fondo, me la
ricordate moltissimo voi due ogni giorno. Siete così simili
a lei, soprattuto tu Zanira. Tienilo indosso e vieni alla festa!" aveva
le lacrime agli occhi e l'istinto di piangere, ma reprimerlo gli faceva
bruciare gli occhi e la gola; riuscì comunque a rivolgere un
dolce sorriso alla figlia che sorrise e dopo un sospiro salì
nuovamente sul carro, abbracciò il padre che le si sedette
accanto. Nemor tirò su col naso, prese in mano le briglie e
fece partire i cavalli in direzione di Leonar.
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