Nothing else matters

di Fanny Lestrange
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rosso ***
Capitolo 2: *** Irritante ***
Capitolo 3: *** Impressione ***
Capitolo 4: *** Bianco ***



Capitolo 1
*** Rosso ***


Tutto qua, ti dicevi. Tutto finito. Guardavi cadere, uno dopo l’altro, i petali della rosa che Remus ti aveva regalato. Rossa, come la passione che fra voi due s’era spenta. Rossa, come il sangue che presto entrambi avreste versato. Rossa, come la tua ferita. Gli altri usavano colorare di nero la propria disperazione. La tua invece era rossa. Bruciava, urlava, uccideva. Faceva male ovunque. Pulsava, era costantemente accesa, era ossessiva. Rossa.
La rosa appassiva. Moriva lentamente. Come te. Buffo, proprio quando una nuova vita cresceva, di giorno in giorno, dentro di te. Ormai mancava poco. Ti domandavi che senso avesse mettere al mondo quel bambino. Scagliarlo con violenza in una realtà crudele, un teatro di guerra, un’arena insidiosa e fatale, senza che gli fosse stato chiesto il permesso. Un mondo che non aveva pietà di nessuno lo stava aspettando a fauci spalancate, pronto a divorarlo non appena vi si fosse timidamente affacciato. Un mondo che tu, solo poco tempo prima, avevi creduto di poter cambiare. Di poter migliorare.
Povera illusa. Ti eri scoperta in torto. Non solo ogni tua speranza era svanita, ti chiedevi in cosa avessi mai sperato. In cosa avessi creduto. Ogni tua certezza si era dissolta. Valeva la pena combattere per una giusta causa, senza dubbio. Ma che cosa era giusto? E che cosa sbagliato? Non ne eri più sicura. Avevi smarrito l’orientamento. Brancolavi nel buio. E nell’oscurità che ti avvolgeva, ti opprimeva da ogni parte, ti toglieva il respiro, riuscivi a scorgere solo i suoi occhi. Glaciali, penetranti. Quegli occhi che eri abituata a disprezzare, e che mai avresti creduto di poter contemplare. Quello sguardo in cui non avevi mai scorto altro che odio, arroganza e codardia, e in cui tutto avresti pensato di trovare, fuorché la dolcezza. Quello sguardo che ti eri sorpresa a desiderare. Erano i suoi occhi, ormai, la tua bussola; te ne avevano privata, e tu sapevi che, se non avessero più potuto guardarti, tu non avresti mai ritrovato la strada.
 
 
 
 
 
- No! Questo mai! Non vi rivelerò mai l’attuale rifugio dell’Ordine, potete scordarvelo!
 
 
Era iniziato tutto così, con il tuo ostinato rifiuto a cedere. Avevi puntato i piedi, ti eri trincerata in un guscio di testardaggine: avrebbero potuto sottoporti a qualunque tortura, tu non avresti parlato.
 
 
- Cambierai idea presto, sgualdrinella. Vedrai. - aveva sentenziato lei, la tua nuova carceriera, legandoti stretti i polsi l’uno all’altro.
 
 
- Io non credo. - avevi trovato, chissà come, il coraggio di ribattere. O forse non l’avevi nemmeno cercato, era merito della tua naturale sfrontatezza. Nemmeno ora che eri responsabile non di una, bensì due vite, riuscivi a tenere a freno la lingua. Eppure, avresti potuto almeno provarci. Per lui, se non altro. Per il tuo bambino.
 
Puntuale, lo schiaffo era arrivato. Non ti aveva colta di sorpresa: lo aspettavi. Tuttavia, se al dolore eri preparata, avevi sottovalutato l’umiliazione: bruciava anche di più.
 
 
- Taci. - ti aveva sussurrato lei, e tu eri rimasta a fissarla, riflettendo. Che cos’era, alla fine, un legame di sangue? Poteva, ciò che avrebbe dovuto essere garanzia d’amore, porre un limite all’odio? Ti avrebbe forse risparmiata solo perché eri la figlia di sua sorella, una reietta come te?
Tutt’altro. Si sarebbe accanita su di te con una violenza anche maggiore. D’altronde, se lei non ti considerava sua parente, tu avevi sempre fatto altrettanto. Dunque cos’era, realmente, ad unirvi? Il legame tra te e Remus, invece, era forte e concreto: era la creatura che sentivi crescere dentro, di giorno in giorno. Quel bambino di cui lui si era dimostrato così poco entusiasta.
Al ricordo ti eri impercettibilmente rabbuiata. Lei, ovviamente, se n’era accorta.
 
 
- Oh, non ti preoccupare. Ci divertiremo, noi due. - aveva aggiunto, con una risata agghiacciante.
- Lo sai? Mi piacciono i testardi. Riuscire a farli parlare dà molta più soddisfazione.
 
 
Il ghigno sul suo viso ti aveva messo i brividi. Sapevi che arma avrebbe usato. Sarebbe stato fin troppo facile. Bastava minacciare di far del male al bambino, non appena avesse scoperto della sua esistenza. E lo avrebbe scoperto, senza dubbio. Ma lui era uno, giusto? Mentre dall’Ordine dipendeva la salvezza dell’intero mondo magico.
 
 
- Ma ho deciso di essere clemente con te. Dopotutto sei pur sempre mia nipote. Voglio lasciarti qualche ora per riflettere. Sono certa che capirai che ti conviene dirmi subito quello che voglio sapere. In caso contrario, non mi lasci altra scelta.
 
 
Avresti scommesso che, se avessi confessato subito, ne sarebbe rimasta delusa. Dietro a quelle smancerie senza dubbio si celava l’impazienza di vendicarsi, di versare il tuo sangue sporco. Aspettava solo il momento opportuno. Come un predatore in agguato.
 
 
- Dimenticavo: questa la prendo io.
E ti aveva sfilato la bacchetta dalla veste con un sorriso.
- Tornerò più tardi. Addio, sgualdrinella.
 
 
Eri rimasta in silenzio ad ascoltare l’eco dei suoi passi che lentamente svanivano. Un fugace spiraglio di luce, lo stridore di un lucchetto che veniva serrato, poi più nulla.
 
 
Ecco fatto. Eri sola, ora. Completamente sola. Non era forse ciò che più di ogni altra cosa temevi, più ancora che di subire efferate torture? In quel caso, almeno, avresti potuto dimostrare il tuo coraggio, ammesso che di coraggio si trattasse.
La vista ti si era annebbiata e, guardandoti intorno, attraverso i tuoi occhi velati di lacrime, non avevi scorto altro che buio. Un buio totale, soffocante, in cui i contorni sparivano, la fisicità delle cose veniva come inghiottita. Cosa non avresti dato perché Remus potesse trovarsi lì con te.
 
Non ne avevi mai sentito così tanto la mancanza, eccetto forse quando ancora non ti era concesso di amarlo. Avevi lottato per difendere i tuoi sentimenti dai pregiudizi e dalla pubblica opinione, e avevi lottato per difendere lui dalla paura di sé stesso, di non poter darti ciò che meritavi. Questo era ciò che aveva addotto a pretesto quando si era sottratto alle tue instancabili dichiarazioni, che tu sulle prime avevi temuto fosse un espediente per dirti che no, non ti amava, e che tu non potevi farci nulla. Invece avevi scoperto che era vero: era solo atterrito da sé stesso, da quella che credeva la sua più intima e immutabile natura, dal male che avrebbe potuto farti, pur senza volerlo. Era anche grazie a te se aveva imparato ad accettarsi nella sua completezza; avevi scorto la bellezza in lui e gli avevi insegnato a tirarla fuori, a farla risplendere, dimostrandogli che anche lui era in grado di amare.
 
Eppure, quando gli avevi comunicato la grande notizia, trattenendo a stento un sorriso euforico, non avevo reagito come speravi. La trepidazione era sparita dal suo volto, raggelandosi in una maschera di angoscia e delusione vanamente camuffata. La tua risposta era arrivata di riflesso: il sorriso ti si era spento, mentre avvertivi, in un punto imprecisato dentro di te, qualcosa spezzarsi. I suoi tormenti erano tornati a galla. Le sue tendenze autodistruttive si erano nuovamente affacciate sulle fugace tranquillità delle vostre vite. Avresti dovuto immaginarlo. Sapevi che non sarebbe stato facile, che non le avreste mai completamente debellate, eppure ti eri illusa. Sapevi a cosa saresti andata incontro, eppure ti avevano colto ugualmente impreparata. Avevi abbassato la guardia. “Vigilanza costante!”, ti sembrava di udire ancora il mantra prediletto di Malocchio echeggiare nella tua mente, intorno a te, ovunque. Poco importa, ti eri risolta. Supereremo anche questa.
 
E invece no, sbagliavi di nuovo. Giorni di silenzi protratti, carichi di tensione, densi di cose non dette, che gravavano su di voi insostenibilmente. Incomprensioni, liti, perfino. Finché non era accaduto l’impensabile. Ti aveva abbandonata. Già, proprio così. Una sera non era rincasato, e ti aveva fatto sapere tramite amici che sarebbe stato meglio così, per entrambi. Che almeno non avrebbe corso il rischio di uccidere te e il bambino, sempre che non fosse nato come lui. Correre il rischio. Qui, in questo sintagma, era riassunto il suo maggior limite. Non era disposto a correre il rischio.
Era fuggito. Poteva rivoltarla quanto voleva, la sostanza restava quella: era scappato. Incapace di assumersi la responsabilità delle sue stesse azioni. Vile. Debole. Tuttavia non riuscivi a provare rancore nei suoi confronti, solo una pietà intrisa di delusione, di aspettative infrante. Lo credevi diverso. Migliore. Lo credevi un uomo, più di quanto avesse mai fatto lui.
 
Non era stato presente quando, durante l’ultima battaglia contro i Mangiamorte, ti avevano catturata; e non c’era ora, che giacevi immobile in un angolo del seminterrato, adibito a cella per l’occasione. Abbandonata. Inutile. Eppure pronta a tutto pur di salvare la vita all’Ordine.
 
 
Ma era poi vero? Era proprio di un atto di eroismo che avevano bisogno? Non saresti forse stata loro più utile da viva? Di lutti ne avevano subiti anche troppi.
In effetti, a ben pensarci, il ruolo di vittima sacrificale non ti si addiceva per nulla. Eri un Auror, dannazione! Avevi ricevuto un addestramento mirato alla lotta e alla sopravvivenza che molti non avrebbero sostenuto. Ti era stato insegnato a rialzarti anche dopo la più rovinosa caduta. Cavartela, in poche parole, era il tuo mestiere. Avevi preso il coraggio a due mani e deciso che perlomeno ci avresti provato.
 
 
Ti eri guardata di nuovo attorno. I tuoi occhi cominciavano ad abituarsi all’oscurità, e a distinguere con chiarezza le sagome che ti circondavano. C’erano parecchi mobili, vecchi e rosi dai tarli, addossati alla bell’e meglio contro i muri, alcuni manici di scopa spelacchiati e ammuffiti, innumerevoli fiale, contenenti chissà quali letali intrugli, impilate sugli scaffali alle pareti, e una gran quantità di obsoleti cimeli di famiglia (della loro famiglia, che non aveva nulla a che vedere con te... giusto?).
 
Ti eri alzata e, dapprima barcollante, poi con sempre maggior sicurezza, avevi mosso qualche passo avanti e indietro, perlustrando quella che aveva tutta l’aria di essere stata concepita come una cantina. Nel giro di poco avevi setacciato ogni metro quadro di pavimento e pareti, senza aver trovato nulla che assomigliasse a una via di fuga. Avevi anche provato, pur senza contarci troppo, a Smaterializzarti. Niente da fare, naturalmente. Non erano mica stupidi. Ti eri fermata e, cercando di mantenere la calma, avevi riflettuto sul da farsi.
 
 
Stavi giusto elaborando un’idea, quando avevi udito uno scatto secco, e la serratura aprirsi. La porta si era spalancata di colpo. Ti eri maledetta: concentrata com’eri, non avevi percepito i passi avvicinarsi.
Col cuore in gola, eri corsa, in un impeto di incontrollato terrore, a rifugiarti di nuovo nel tuo angolo inviolabile. Da lì, complice la penombra, senza farti notare avevi spostato lo sguardo sul tuo visitatore, e avevi appreso con stupore che non si trattava di Bellatrix, come ti aveva suggerito un istinto primordiale, lo stesso che ti aveva costretta ad andarti a rintanare atterrita contro il muro, bensì di Lucius.
Lui ancora non ti aveva individuata; attendeva che i suoi occhi si adattassero al buio e nel frattempo se ne stava fermo immobile, così tu avevi avuto tutto il tempo di studiarlo con attenzione.
 
Era alto e asciutto, quasi scheletrico; i lunghi capelli chiari gli ricadevano disordinatamente sulle spalle, mentre il volto era reso ancora più pallido dalla luce che filtrava debolmente attraverso lo spiraglio della porta, lasciata socchiusa.
 
 
Ti eri chiesta a cosa dovesse attribuirsi una così repentina sostituzione. Non potevi definirti sollevata, ma chiunque era preferibile a Bellatrix, questo era poco ma sicuro. Tuttavia, non eri certa di come ti avrebbe trattata Lucius. Ad essere sinceri, non potevi affermare di conoscerlo: sapevi che era il marito di Narcissa, l’altra tua cosiddetta zia, e che avevano un figlio. Ricordavi di esserti imbattuta in lui in un paio di incontri professionali, durante la tua carriera di Auror, durante i quali lui era sempre apparso in veste di aristocratico scostante e conservatore, e di aver appreso il suo passato da Malocchio, poiché i tuoi genitori non ne parlavano volentieri. E poi, naturalmente, vi eravate fronteggiati al Ministero, quasi due anni prima. Si era trattato della prima occasione in cui vi eravate trovati apertamente faccia a faccia, schierati in fazioni opposte: da allora in poi, nulla più si sarebbe potuto nascondere o negare. Era un punto di non ritorno. La guerra era stata dichiarata. Eppure, all’epoca non avevi fatto molto caso a lui; per te rappresentava solo uno dei tanti nemici da sconfiggere, solo uno fra i numerosi volti mascherati, nulla di più. E poi, il duello con Bellatrix e la morte di Sirius ti avevano tenuta fin troppo occupata.
Sapevi che tutti quelli presenti al Ministero, tranne lei, erano stati rinchiusi nuovamente ad Azkaban, e scarcerati da poco; dunque, avevi dedotto, doveva aver preso parte anche lui alla battaglia ingaggiata sui manici di scopa, nel cuore della notte, per condurre in salvo Harry Potter. Per il resto, eravate due perfetti sconosciuti.
 
 
Ti si era avvicinato, finalmente.
 
- Ah, eccoti qui. - aveva esclamato, fingendosi sorpreso.
 
La voce era roca, strascicata. Articolare le parole sembrava costargli uno sforzo immane.
 
- Ninfadora. - ti aveva apostrofata, scrutandoti attentamente.
 
Si era lasciato sfuggire un ghigno di scherno.
 
- Che nome ridicolo.
 
- E’ vero.
 
Dannazione, ma che ti era saltato in mente? Non era certo con l’umorismo che te lo saresti ingraziato. Ti eri morsa un labbro, frustrata. Tuttavia, ormai avevi iniziato: tanto valeva continuare.
 
- Che cosa? - ti aveva chiesto lui, perplesso.
 
- Ho detto che è vero. Ninfadora è un nome ridicolo. Non per nulla mi chiamano Tonks.
 
Di male in peggio. Avrebbe pensato che tu fossi una stupida che tentava pateticamente di assecondarlo per risparmiarsi un supplizio.
 
- Ragazzina, non ho alcuna voglia di scherzare, hai capito bene?
 
Ti aveva minacciata, ma a fatica. Stancamente. Pareva quasi che della sua antica arroganza non restasse che una debole ombra. C’era qualcosa, qualcosa di molto più ingombrante che gli impregnava la voce, qualcosa di assai difficile da nascondere. La paura. Già, doveva trattarsi proprio di quella; che cos’altro era capace di trasfigurare allo stesso modo gli uomini, eccetto, forse, l’amore?
 
 
- Certo. Mi scusi.
 
Da sfacciata ad ossequiosa. Se non altro ti eri evoluta.
 
- Così va meglio. Ora, voglio essere chiaro con te: tutto quello che ci serve sapere è il nascondiglio segreto dell’Ordine della Fenice, nulla di più. Al resto penseremo noi. Non è molto. Se acconsentirai, non appena ce l’avrai detto verrai liberata e potrai tornare dai tuoi. Non daremo loro alcun pretesto per sospettare di te: non lo verranno mai a sapere.
 
 
Avevi sospirato. Chissà quanto c’era di vero in quelle parole. Era un abile parlamentare, Lucius. Ora capivi l’inatteso scambio di consegne tra lui e Bellatrix. Voldemort - ormai ti eri abituata a formulare il suo nome, almeno mentalmente - stava giocando le sue carte migliori. C’era da aspettarselo.
 
 
- Rifletti bene, Ninfadora. Non ti conviene rinunciare. Anche perché, se tu fossi così disgraziata da rifiutarti, non esiteremmo a sbarazzarci di te.
 
 
Aveva ragione. L’offerta era allettante. Avrebbe accettato chiunque. Ma non tu. Non un Auror. Non un membro leale dell’Ordine della Fenice. E una futura madre.
Già. Se Lucius poteva avere messo in conto la tua fedeltà a Silente, e averla maledetta, ignorava un altrettanto importante fattore, che oltretutto giocava a suo favore. Senza dubbio convincerti sarebbe stato persino più semplice di quanto lui avesse osato sperare.
 
 
- Non devi darmi subito una risposta. - aveva precisato, muovendo un passo verso di te.
 
Da vicino, le tracce lasciategli dalla prigionia erano ancora più evidenti: occhiaie scure gli segnavano il volto, pallido e tirato, e ti era parso di scorgere due denti anneriti guastargli il sorriso. Tuttavia, non avevi potuto fare a meno di notare (e di ricordare) che doveva essere stato un uomo attraente; il suo profilo armonioso e quegli occhi grigi così enigmatici ne erano la prova.
 
 
- Ti concederò ancora del tempo. - aveva seguitato, riscuotendoti.
- Domani tornerò e mi comunicherai la tua decisione. Ricorda che l’Oscuro Signore sa essere capace di grande riconoscenza, ma la sua ira non conosce limiti.
 
 
Come doveva essere vero, avevi pensato. Lo si percepiva chiaramente dal tono con cui Lucius aveva pronunciato le sue ultime parole: lui doveva saperne qualcosa, e sembrava quasi che avesse voluto metterti in guardia, per evitare che commettessi i suoi stessi errori. Assurdo, ovviamente. Del tutto inverosimile.
 
Avevi annuito, rassegnata, e lui era parso soddisfatto. Si era allontanato a grandi passi, poi, sulla soglia, si era voltato indietro, come se si fosse accorto di aver tralasciato qualcosa.
 
- Mi raccomando, Ninfadora. Non cedere alla tentazione di un inutile atto d’eroismo. Non potresti scegliere strada più sbagliata.
 
 
Di nuovo, ti aveva assalito l’inspiegabile sensazione che, con quelle parole, lui avesse voluto proteggerti. Guardandolo uscire e richiudere a chiave la porta dello scantinato, non riuscivi a capacitarti della tua stupidità. Sapevi benissimo che Lucius desiderava solo evitare per sé un’ennesima, crudele punizione del suo signore. Che ragione poteva avere per interessarsi a te, sua indegna nipote (ammesso che ti considerasse tale)? Sudicia Mezzosangue, eternamente fedele al loro peggior nemico. “Ragazzina”, ti aveva chiamata. In un contesto diverso gliel’avresti senz’altro fatta pagare. Chi si credeva di essere? Si vedeva anche da lontano che tremava al solo pensiero del suo padrone, e non era difficile intuire che nemmeno come marito e come padre quel vigliacco aveva avuto successo. Era un fallito, sotto tutti i punti di vista. Mai come ora te ne rendevi conto. E tu lo odiavi. Giusto?
 
 
 
 
 
Nome autore: Fanny Lestrange
Titolo: Nothing else matters
Personaggi/pairing: Lucius Malfoy, Ninfadora Tonks, Bellatrix Lestrange; Lucius/Ninfadora
Prompt: Fiore
Rating: Giallo
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico
Note/Avvertimenti: leggero OOC
NdA:
Il titolo è, ovviamente, ispirato alla canzone dei Metallica (grazie a Merlina97 per avermela fatta scoprire), che oltretutto mi sembra si adatti anche bene al contesto della storia. L’uso della seconda persona singolare invece mi ha affascinato nel libro “Le affinità alchemiche” di Gaia Coltorti (che, ehm, è stata sempre Merlina a consigliarmi...), e non vedevo l’ora di cimentarmi anch’io con questa tecnica. Grazie a Rowan936 per il contest e, be’, a chiunque vorrà lasciare una recensione! ;)
 

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Capitolo 2
*** Irritante ***


Irritante. Era così che avevi definito, mentalmente, la ragazza. Ninfadora - anzi, Tonks - era decisamente irritante.
Avevi trovato patetico quel vano tentativo di addolcirti, di indurti all’umorismo, ammesso che di questo si fosse trattato. Era difficile capirlo. Avevi finito per considerarlo un eccesso di sfacciataggine, ma non avevi avuto voglia di punirla. Sarebbe stato inutile: era un membro dell’Ordine, un Auror, un’irriducibile. Non ne valeva la pena. Eppure, qualcosa ti suggeriva che forse, dopotutto, non era nemmeno così. Forse l’eccesso, da parte sua, era stato di goffaggine. Forse aveva semplicemente la lingua più veloce del pensiero. Poteva essere. In tal caso, ti appariva ancora più patetica. Infantile, come quel rintanarsi in un angolo al tuo arrivo.
Ti infastidiva, soprattutto perché, di fronte alla sua aria indifesa, avevi provato un improvviso e inspiegabile istinto di protezione. Appena il tempo di riconoscerlo, e lo avevi prepotentemente soffocato. Ma stavamo scherzando? Tu che ti facevi vincere dalla compassione? Tu, il braccio destro del Signore Oscuro? Ad essere sinceri, ora come ora, casomai la pezza da piedi... Ma questa era un’altra faccenda.
 
Ad ogni modo, non potevi - e non volevi - permetterlo. Dunque le avevi sciorinato i soliti avvertimenti, che in teoria avrebbero dovuto suonare intimidatori, le minacce, le richieste e infine la promessa di libertà. Ci avevi talmente fatto il callo che non avevi nemmeno avuto bisogno di istruzioni. Lui, comunque, non sarebbe stato in grado di fornirtele, essendo lontano, in cerca di chissà cosa. Non era coinvolto, almeno per il momento. Non appena avevi notato lo sguardo eccitato di Bellatrix, infatti, avevi compreso che sotto doveva esserci qualcosa, e, pur dopo molte fatiche, eri riuscito ad estorcerle la notizia. Subito ti era apparso chiaro che tua cognata non era la candidata ideale, così impulsiva e collerica, per quel compito così delicato. Si erano visti i risultati che aveva ottenuto con i Paciock. Piegare un adepto di Silente - impavido per definizione - richiedeva pazienza, calma e tattica. Essendo Bellatrix completamente sprovvista dei primi due, questo faceva sì che anche il terzo requisito diventasse inutile.
Nulla da fare, dovevi occupartene tu. L’allettante prospettiva di rientrare nelle grazie dell’Oscuro Signore ti aveva sostenuto contro tua cognata, che pure ambiva allo stesso. Ma nel tuo caso era diverso: poteva trasformarsi in una questione di sopravvivenza. L’avevi finalmente persuasa fingendo di confessare che Lui stesso ti aveva affidato l’incarico (in caso foste riusciti a catturare qualcuno) prima di partire. A ben guardare, dunque, era una responsabilità che ti eri assunto del tutto spontaneamente, il che equivaleva a rischiare grosso.
 
Non t’illudevi di aver convinto la ragazza: come avresti potuto, quando nemmeno tu credevi a una sola parola di quanto andavi dicendo? “La sua ira non conosce limiti...” Lui non conosceva nemmeno l’accaduto, se per questo. Ed era assai più probabile che essa si abbattesse su di te, per aver preso l’iniziativa, o per aver fallito. O entrambe le cose.
Dovevi impegnarti di più. Sì, dovevi fare di meglio, come ai vecchi tempi. Dannazione, avevi ingannato l’intero Wizengamot sulla tua innocenza! Chi sarebbe stato più abile di te ad inventare frottole e a spacciarle per vere, tanto da rischiare di convincersene lui stesso?
Avevi deciso che ti saresti mostrato tollerante, solidale, quasi, con lei. Avresti sfruttato l’effetto sorpresa. Quelli come lei, lo sapevi, dietro l’aria da agnellino spaurito celavano una tenacia logorante; erano preparati, e soprattutto disposti, a sopportare stoicamente le torture più efferate, in nome della loro fedeltà all’Ordine, ma non a venire trattati con indulgenza e pietà. No, quello decisamente non se lo aspettavano. Sulle prime avrebbe manifestato una certa diffidenza, più che comprensibile; ma tu avresti perseverato. Avresti finto disillusione nella tua stessa causa, frustrazione, impotenza, paura... Tutte cose, in effetti, piuttosto vere. Se tu fossi stato un bravo attore, e soprattutto se non avessi perso di vista il sottile confine tra menzogna e realtà, tra inganni di cui avresti dovuto persuaderla e particolari che avresti fatto meglio a tenere per te, avreste persino potuto instaurare un rapporto di complicità. Suonava assurdo, certo. Ma alternative non ce n’erano.
 
 
Il giorno seguente eri tornato da lei. In tutta sincerità, eri preparato al peggio. Prevedevi che sarebbero occorsi giorni solo perché ti prendesse sul serio, e di tempo ne avevi poco, in quanto il Signore Oscuro sarebbe potuto tornare da un momento all’altro. In sostanza, non ti facevi illusioni.
Così, quando la ragazza aveva dichiarato la resa, sulle prime non te ne eri capacitato.
 
 
- Sì, lo so cosa sei venuto a chiedermi. - ti aveva preceduto, arrogante.
 
Fin qui, tutto come avevi previsto. Era perfino passata a darti del tu, segno inequivocabile che aveva ritrovato la sua baldanza.
 
- Non c’è bisogno che tu aggiunga altro. Accetto la tua offerta.
 
Come, accettava la tua offerta? Così presto? Dov’era finita la sua incrollabile lealtà? Non sarebbe stato necessario alcuno sforzo da parte tua? Eri tanto desideroso di mostrare la tua scaltrezza che ora questa prematura vittoria ti appariva quasi immeritata. E poi, c’era davvero da crederle? Probabilmente sì, avevi dedotto. Se mentiva, lo avresti scoperto presto. Inoltre, ti sembrava di scorgere con una certa chiarezza, nel suo sguardo, un’ombra di profondo dolore. Senza dubbio era una scelta che doveva costarle uno sforzo indicibile; il che implicava che avesse una ragione più che valida. Aveva sacrificato i suoi compagni... per cosa? O per chi?
 
 
- Bene. Ero sicuro che avresti preso la decisione giusta, alla fine. Confesso però che temevo di dover attendere molto di più. Che cos’è che ti ha fatta risolvere?
 
Dovevi assolutamente accertarti di poterti fidare di lei.
La ragazza aveva alzato le spalle, come se non ritenesse di doverti delle spiegazioni.
 
- Non ho altra scelta, giusto? Nessuno desidera morire. E nemmeno venire torturato, ad essere sinceri.
 
Avevi inarcato le sopracciglia, scettico. No, decisamente non reggeva. Poteva darsi che tu l’avessi sempre sopravvalutata, certo, ma era assai più probabile che volesse tenerti nascosta la sua reale motivazione.
 
- Ma davvero? Vorresti farmi credere che dei tuoi compagni non te ne importa nulla? - l’avevi incalzata.
 
- Mi hai detto tu stesso che non lo verranno mai a sapere.
 
Furba, la ragazza. Oh, sì. Ma non ti saresti lasciato abbindolare.
 
- Nessuno scrupolo per la tua immacolata coscienza di Auror?
 
Forse, se l’avessi provocata, si sarebbe tradita.
 
- No. Sarò comunque molto più utile a loro da viva.
 
Avevi incassato il colpo, mentre lei ti guardava con aria di sfida. Stava guadagnando terreno.
 
Sospirando, ti eri accovacciato, così da trovarti alla sua stessa altezza - era ancora rannicchiata nel suo angolo.
 
- Non me la racconti giusta, ragazzina. Questa storia non mi convince.
 
Le avevi afferrato il mento con una mano e l’avevi costretta a fissarti, mentre con l’altra impugnavi saldamente la bacchetta nella tasca della veste.
Lentamente, ti eri insinuato nelle sue iridi scure, forzando di volta in volta la resistenza che ti opponeva e superando le labili barriere che tentava di ergere a difesa del suo inconscio. Ti eri stupito delle sue scarse capacità di Occlumante; d’altronde, tu sapevi rivelarti, all’occorrenza, un Legilimens piuttosto abile.
Ti eri dunque fatto strada nei suoi ricordi, che ti sfilavano davanti uno dopo l’altro, a tinte vivide, passandoli in rassegna. L’avevi vista dapprima guardarsi attorno, smarrita, nel buio della cella; poi combattere strenuamente contro di voi, solo il giorno prima, incurante della morsa in cui la stavate stringendo, accerchiandola; infine discutere con il lupo mannaro, che, se non sbagliavi, era suo marito. Stavano in piedi e si fronteggiavano, lei gesticolando con furia disperata, lui a testa bassa, mormorando qualcosa e schermendosi con le mani. Gli occhi della ragazza sembravano umidi; quelli di lui, dietro la maschera di durezza, tradivano una tristezza infinita. Non eri riuscito a comprendere le loro parole perché, proprio in quel momento, lei, con un poderoso sforzo, ti aveva fatto arretrare. Tuttavia, avevi la sensazione che non ce ne sarebbe stato bisogno.
Prima di venire definitivamente scaraventato fuori dalla sua mente, avevi fatto in tempo a scorgerla in lacrime, rannicchiata su sé stessa, con il viso nascosto fra le mani. Biascicava parole, la voce rotta di pianto, e tu ne avevi colto alcuni brandelli.
- Che cosa faccio ora? Che cosa faccio?... Dimmi... Dimmelo tu come lo cresco, un bambino da sola...
 
E d’improvviso ogni cosa ti era apparsa chiara. Ma certo. Un bambino. Questo spiegava tutto. Come avevi potuto essere così sciocco da non pensarci prima? Era la sua creatura che voleva proteggere a qualunque costo, non sé stessa.
 
Ti eri accorto del suo sguardo su di te. Era incredula, per essere riuscita a respingerti, e atterrita. Aveva capito che ora sapevi. Si aspettava che la allontanassi con disprezzo. Anche tu te lo aspettavi, in effetti. Invece non l’avevi fatto. La presa con cui ancora le tenevi stretto il viso si era allentata a poco a poco, la tua mano era rimasta lì, sospesa a mezz’aria, titubante, e aveva finito con l’accarezzarle i capelli.
 
- Quant’è che se n’è andato? - ti eri sentito chiederle, come se la voce non ti appartenesse più.
 
- Due settimane.
 
La ferita era ancora aperta. Il dolore doveva essere talmente acuto da obnubilarla completamente, al punto che non si era nemmeno accorta del tuo cambio d’atteggiamento.
 
Poi, ecco, ora ti fissava, oscillante tra lo stupore, la diffidenza e lo sdegno. L’avevi ignorata. Quello sguardo ti metteva a disagio. Ti costringeva a guardarti dentro, a scandagliarti l’anima, e la vista non era piacevole. La odiavi, per questo. Pure, ora dovevi assolutamente continuare a parlarle. Il legame di fiducia, ricordavi? Era quello che stavi cercando di instaurare, no? Certo, soprattutto ora che, come avevi scoperto, non ce n’era più bisogno.
 
 
- Ti prego, non dire a nessuno ciò che hai visto. Ti do la mia parola che ti dirò tutto quello che vorrai sapere, ma non fargli del male!
 
- Bene. Comincia allora col dirmi se qualcun altro ne è al corrente.
 
Di nuovo, ti aveva guardato senza capire. Perché non le chiedevi il rifugio segreto dell’Ordine? Già, perché non lo facevi?
 
- Hai sentito bene. Su, dimmi: chi altri lo sa?
 
- A parte me e Remus, alcuni amici dell’Ordine...
 
- C’è la possibilità che arrivi alle orecchie del Signore Oscuro?
 
- No, non credo. Ma a te cosa interessa? Che c’entra questo con il rifugio segreto dell’Ordine?
 
La sua insolenza è intatta, avevi constatato. Davvero irritante.
 
- Rispondi e basta. Qualcuno dei vostri amichetti potrebbe averlo rivelato, anche inconsapevolmente, ad esempio lasciandosi leggere la mente da uno di noi? - avevi continuato, risoluto.
 
- Che differenza fa? Tanto glielo dirai tu stesso a breve...
 
E’ vero, avevi pensato. Potrei farlo. Dovrei farlo.
 
- No, non glielo dirò.
 
- Cosa? E perché?
 
- Ragazzina, pretendi di insegnarmi il mio mestiere? Mi sembra di averti già detto di stare al tuo posto.
 
E, per sottolineare meglio il concetto, ti eri alzato in piedi.
 
- Senti, se può servire a liberarmi, ad accelerare il tutto, io parlo anche subito, hai capito? Guarda, si trovano sempre...
 
Ti eri precipitato a tapparle la bocca con una mano. Per poco non ti scappava da ridere. Che situazione grottesca. Un capovolgimento di ruoli. Grandioso.
 
- Ti ho detto che non lo voglio sapere! Non più. Non è un conflitto ad armi pari. Tu vuoi parlare per salvare la vita a tuo figlio, non perché ti abbiamo persuasa. E’ gioco sporco, e da parte mia sarebbe vergognoso approfittarne.
 
La verità è che non avresti proprio dovuto dirle, quelle cose. Non era da te avere compassione di una Sanguesporco e del suo bambino, che avrebbe anche potuto essere una bestia. Non era così che ti saresti riguadagnato la fiducia del Signore Oscuro. Cominciavi a pensare di meritare il modo in cui Lui ti trattava. Non eri più lo stesso. Ma, in fondo, era poi così sbagliato?
 
Quando ti eri sentito sicuro, le avevi tolto la mano dalla bocca.
 
- E da quando tu ti preoccupi di non giocare sporco, Malfoy?
 
Ti scherniva, la ragazza. La detestavi. Non avresti dovuto mostrarti così indulgente.
 
- Ascoltami bene, Ninfadora. Te lo ripeto, non ti riguardano i criteri in base ai quali prendo le mie decisioni. Ho i miei motivi se decido di tenere nascosto qualcosa al mio Signore. Ho i miei motivi se rifiuto di assecondarlo, credimi. Non sa nemmeno che tu sei qui.
 
Ti eri subito morso la lingua. Stranamente, però, lei pareva essersi tranquillizzata.
 
- Davvero? Cioè... Mi stai coprendo?
 
Ecco, l’aveva detto. La stavi coprendo?
 
- Diciamo di sì. Non chiedermi altro, però. Ti basti sapere che non parlerò a nessuno.
 
Aveva annuito, lentamente. Stentava a fidarsi di te. In effetti, perché avrebbe dovuto?
 
- Senti, voglio essere chiaro con te. Quasi nessuno di noi è ancora legato al Signore Oscuro dall’antica fedeltà. Ci soggioga con la paura, le minacce, le torture. I ricatti. Ho delle buone ragioni per sperare che fallisca. Non ti starei dicendo queste cose se volessi ingannarti, non credi?
 
Aveva annuito di nuovo, questa volta con più convinzione.
 
- Bene. Tornerò domani. Manderò qualcuno a portarti del cibo.
 
Le avevi voltato le spalle e te n’eri andato, senza darle il tempo di replicare.
 
 
 
Non avevi cercato di trovare le ragioni di ciò che avevi fatto: non sarebbe servito. Semplicemente, non appena ti era stata sbattuta in faccia la verità, l’immagine di lei, sola e in attesa di un figlio forse nemmeno sano, ti aveva risvegliato nell’animo un istinto sopito da tempo, atavico, quello della pietà. Detestavi ammetterlo, ma era così. Ti era venuto da pensare a Narcissa; a che ne sarebbe stato di lei e Draco se per una qualche ragione tu li avessi abbandonati. Lei, la ragazza, non era alla vostra altezza e non lo sarebbe mai stata, certo. Ma era una creatura viva, abitava questo mondo proprio come te, soffriva come te, forse anche più: avevi toccato con mano la sua fragilità. Sua e del suo bambino. E non te ne saresti dimenticato facilmente.
Non eri riuscito a chiudere gli occhi di fronte al dolore della tua ennesima vittima; e ora non avevi scampo, dovevi proteggerla, o il suo spettro non ti avrebbe dato pace. Ti eri fidato di lei a tal punto che non avevi esitato a confessarle ciò che non eri mai riuscito a dire nemmeno a te stesso: che eri letteralmente terrorizzato dal tuo Signore e speravi con tutta l’anima che morisse, così da lasciarvi liberi.
E poi (questa era forse l’ammissione più cara che ti fosse mai costata) c’era qualcosa, in lei, che ti attraeva. Qualcosa che Narcissa sembrava avere smarrito da tempo. All’inizio non eri riuscito a darle un nome, poi, pian piano, avevi capito di cosa si trattava: era la sensazione che lei avesse bisogno di te. Il desiderio irrefrenabile di proteggerla. La vulnerabilità, nelle donne, ti aveva sempre affascinato, soprattutto nelle vittime, che parevano quasi invitarti a possederle (pure, sia chiaro, non ti eri mai abbassato a violentare una tua prigioniera); ma con Narcissa, fin dall’inizio, era stato diverso.
Lei differiva da ogni altra donna che avessi mai conosciuto; fosse merito della sua grazia innata, della sua bellezza fresca e inviolata, della grandezza d’animo che, in lei, si combinava così bene con l’orgoglio e la dignità che il suo stato di strega Purosangue esigeva, o della sua ingenua innocenza che così spesso ti aveva fatto sorridere, non lo sapevi. Avevi avuto l’impressione che, se tutte queste peculiarità le avesse possedute un’altra donna, non sarebbe stato lo stesso. Non sarebbe stata lei. Ti piaceva chiamare incantesimo il modo in cui ti aveva, involontariamente, legato a sé.
Era stato allora che, per la prima volta, avevi percepito quella sensazione. La consapevolezza che qualcuno di più debole e inesperto aveva bisogno di te, il dovere di prenderti cura di una creatura indifesa, l’opportunità di esserne responsabile. Quella prospettiva ti aveva scaldato il cuore, e, a ben vedere, forse era stato proprio quello a farti innamorare di lei.
 
Poi, a poco a poco, un po’ perché lei sembrava aver imparato a cavarsela nel mondo, un po’ perché la monotonia della vita coniugale a lungo andare ti stava sfiancando, l’incanto si era spezzato. Invece, quando era nato Draco, quel sentimento era tornato a farsi strada in te, e per un po’ sembrava che tu e Narcissa aveste trovato un nuovo, di gran lunga migliore equilibrio. Infine, c’erano stati gli avvenimenti recenti, che avevano messo a dura prova entrambi; la paura vi aveva costretti ad ergere muri di diffidenza e rancore fra di voi, tanto che ora comunicavate a stento. Lei non pareva avere più alcun bisogno o desiderio di te, ed era questo, più di tutto, a rattristarti. Si era allontanata, insuperbita e chiusa in un guscio di freddezza che, per quanto dettato dalle circostanze, tu non riuscivi a comprendere né ad accettare.
 
E adesso, dopo tanto tempo, eri tornato a sentire quella chiamata, e le avresti risposto. Anche se proveniva da una ragazza infantile e piagnucolona, una Sanguesporco, un fanatico membro dell’Ordine. E anche se tutto questo era decisamente irritante.
 

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Capitolo 3
*** Impressione ***


- Tu... Da quanto tempo sei qui? - avevi farfugliato, la voce ancora impastata di sonno.
 
Il caso aveva voluto che, dopo due giorni di prigionia, tu fossi finalmente riuscita a riposare un po’, e che al tuo risveglio avessi trovato lui lì, acquattato nell’ombra, poco distante da te. Più grande ancora dello spavento era stata la sorpresa.
 
- Sono appena arrivato. Stavo aspettando che ti svegliassi.
 
Perché allora avevi la sensazione che i suoi occhi dicessero: “ti ho guardata dormire per ore”?
Avevi scosso con decisione la testa. Un’impressione, solo un’impressione. Ti eri sollevata a sedere.
 
- Tieni. Mangia, ne hai bisogno.
 
Ti aveva porto una scodella con una pagnotta, alcuni biscotti e una fetta di formaggio. L’avevi accettata senza remore, nonostante ti sentissi vagamente trattata alla stregua di cane. Avevi troppa fame.
 
Lui si era seduto lì accanto, a guardarti. Ti metteva a disagio (perché diamine non se ne andava e ti lasciava in pace?), ma per un po’ eri rimasta in silenzio.
 
- Ci sono novità? - ti eri poi fatta avanti.
 
Buffo, come fossi tu a interrogare lui. Che, però, ti lasciava fare, e questo era ancora più singolare.
 
- No. Il Signore Oscuro è via, al momento. Potrebbe tornare fra due mesi oppure oggi stesso. Dobbiamo tenerci pronti. - ti aveva risposto, fissandoti con i suoi inconfondibili occhi grigi.
L’intensità di quello sguardo ti aveva colpita, al punto che avevi abbassato il tuo. Ne eri rimasta ipnotizzata, così come dalla sua voce, fattasi più calda e viva, che ti ammoniva di stare in guardia, usando però la prima persona plurale. Ti era piaciuto quel “noi” sottinteso. Non osavi nemmeno formulare quel pensiero, eppure, inconsciamente, l’idea che quel pronome implicava ti aveva come infiammata dentro.
 
Faticavi ancora a fidarti di lui, e una parte di te era convinta che fosse tutta una trappola ordita collettivamente. Poteva benissimo darsi che Voldemort fosse lontano, ma il resto ti sembrava una colossale messa in scena.
Eppure. Eppure lo sconcerto e la pietà che avevi scorto sul suo viso ti erano parsi autentici, così come quell’ultima, inattesa confessione. Voldemort non gli avrebbe mai ordinato di riferire una versione dei fatti così pericolosamente vicina alla realtà: il rischio di compromettersi sarebbe stato troppo alto. Dunque doveva essere vero: ti stava coprendo. Ma a quale fine? Perché, lui che si era sempre e solo curato di salvare la propria pelle, avrebbe ora dovuto impietosirsi di fronte a te? Forse la rivelazione del bambino l’aveva mosso a compassione? Già, doveva essere così.
Forse era arrivato al capolinea delle proprie scelleratezze. Forse la sua anima era talmente satura di crudeltà che, anche volendo, lo spazio per un’altra mancava. Sciocchezze, certo, però ti era sempre piaciuto pensare che esistesse un limite alle azioni malvagie, oltre il quale un uomo si ritrovava impossibilitato a compierne altre. L’unico che sembrava non possederlo era Voldemort, anche se, a ben guardare, di umano in lui rimaneva ben poco. Lucius doveva aver raggiunto quel confine invalicabile. Ora c’era solo da augurarsi che sarebbe durata.
 
 
- Pronti a cosa? Cioè, cosa hai intenzione di fare quando tornerà?
 
Suonava così strana e fuori luogo quella complicità fra voi... Ti ci saresti mai abituata?
 
- Non lo so. Devi avere pazienza. E’ una situazione complicata.
 
A tuo giudizio, era lui a complicarsela. Ti sarebbe bastato che, almeno con te, fosse chiaro e la smettesse di fuggire da sé stesso. Non c’erano dubbi che fosse dilaniato da un notevole conflitto interiore, anche se tentava di nasconderlo. Morivi dalla voglia di porgli un’unica, semplicissima domanda: avrebbe continuato a proteggerti oppure no?
 
- Lucius...
 
Era la prima volta che lo chiamavi per nome. Prima di allora non ti ci eri mai soffermata, ma aveva un bel suono: dolce e solenne al tempo stesso. Senza una ragione precisa, eri arrossita. Fortunatamente lui teneva lo sguardo basso.
 
- Ascolta, io... Ci sono troppe cose che non mi sono chiare. Ho bisogno di sapere. Ho bisogno di sapere se mi stai davvero proteggendo e se continuerai a farlo, se posso fidarmi di te o hai intenzione di consegnarmi, se...
 
Non eri riuscita a proseguire perché lui si era avvicinato e ti aveva posato un dito sulle labbra, invitandoti al silenzio. Credevi che avresti perso la pazienza, invece avevi perso il controllo e ti eri lasciata abbracciare. Abbracciare, sì. Da lui. Lucius. E - udite, udite - ti era persino piaciuto.
Da tempo anelavi un petto su cui posare la testa e abbandonarti al pianto, come finalmente ora ti era concesso fare. E lui non si era irrigidito o riscosso, durante quel tuo improvviso sfogo; tutt’altro, ti aveva assecondata, continuando a tenerti stretta e accarezzandoti i capelli con una dolcezza di cui mai l’avresti creduto capace.
 
Se qualcuno fosse entrato in quel momento e avesse giudicato assurda la scena che gli si parava davanti, gli avresti dato ragione. Tutto ciò, per una mente razionale, era assurdo. Ma la tua mente non agiva in modo razionale, adesso. E a te sembrava che nulla fosse mai stato più vero di voi due insieme. Un’impressione, un fermo immagine che avresti voluto far durare all’infinito. Non importava chi fosse lui e chi fossi tu, cosa aveste fatto in passato e quel che ne sarebbe stato di voi in futuro; esisteva solo il presente. Il qui e l’ora. Eravate due creature vive, ed eravate abbracciati. Tutto il resto non contava.
 
Quando ti aveva dato un bacio, ti era quasi dispiaciuto per quell’incantesimo che si spezzava. Quasi.
Ti aveva cercata con discrezione ma tenacemente, quasi volesse darti il tempo di scoprirlo e conoscerlo, ma comunque deciso ad aspettarti. Si capivano tante cose dal modo in cui ti baciava. Era chiaro che ti desiderava, ma anche che temeva di sopraffarti.
 
Ci aveva visto giusto. A un tratto, infatti, avevi avuto la fugace eppure vivida sensazione che lui ti pretendesse. Era durata solo pochi istanti, ma era stato sufficiente perché tu ti sentissi indifesa, violata. Alla sua mercé.
L’avevi respinto brutalmente. Il tuo gesto però non pareva averlo sorpreso. Forse, dopotutto, si aspettava un ripensamento.
 
- Scusami... - avevi mormorato.
- E’ che... E’difficile, per me, potermi fidare proprio di te. Soprattutto in una circostanza come questa.
 
Era stato in silenzio per un po’, assorto. L’espressione sul suo viso era indecifrabile.
 
- Va bene. - si era risolto alla fine.
- Hai ragione. Leggimi la mente.
 
- Mi prendi in giro?
 
- Tutt’altro. Così non avrai più dubbi.
 
Non senza esitazione, avevi afferrato la bacchetta - la sua - che ti stava porgendo, e lo avevi guardato dritto negli occhi.
 
- Legilimens.
 
Non ricordavi di esserti mai inoltrata nell’inconscio di qualcuno che non opponesse resistenza. Era sconvolgente. Le immagini si affollavano, sembravano venirti incontro, al punto che non avevi nemmeno il tempo di osservarle una per una. Avresti potuto avere accesso a qualunque suo ricordo tu avessi voluto, compresi i più antichi o segreti.
Ma non t’interessava. Ti era bastato vederlo torturato senza pietà da Voldemort, poi discutere con la cognata ed estorcerle la notizia della tua cattura, infine assumersi il compito di farti parlare. Dunque non mentiva, non era una trappola. Qualcosa in te rivendicava di averlo sempre saputo.
Il resto veniva da sé. Non c’era bisogno di testare con un incantesimo che la pietà nei suoi occhi era autentica.
 
Gli avevi sorriso, commossa e un po’ a disagio.
 
- Non so bene cosa dovrei dire...
 
- Non dire nulla, allora.
 
E di nuovo ti aveva baciata. Questa volta non ti eri fatta pregare, e gli avevi risposto con passione, finalmente sicura di poterti fidare.
Non era poco. Aveva dell’eccezionale, come tutto quello che stava accadendo fra voi. Ma non te ne preoccupavi. Avevi l’impressione che, a voler indagare le cause di un evento all’apparenza inspiegabile, si restasse inevitabilmente delusi. Una risposta soddisfacente non la si sarebbe mai ottenuta, nemmeno con la magia, ma nel frattempo il prodigio s’annullava. Cosa tiene accese le stelle? Perché si vive e cosa c’è dopo la morte? Come nasce l’amore? Non lo sapevi e non volevi saperlo. Erano misteri irrisolti, ed era giusto che rimanessero tali.
Esattamente come il legame che ora univa voi due. Che fosse di natura sincera era tutto quanto sapevi. Da dove traesse origine, perché, se sarebbe durato, a cosa vi avrebbe condotti... te ne fregavi.
 
Da qualche parte, nella tua mente, si era affacciata, non richiesta, l’immagine di Remus. L’avevi scacciata con decisione. No. Non ora. Era tuo marito, sì. E il padre di tuo figlio. Ma era davvero degno di questo nome un padre che abbandonava il suo bambino prima ancora che nascesse? E poi lui, ora, lì con te non c’era. Lucius ti teneva abbracciata e, con ogni probabilità, ti stava anche salvando la vita. Remus non c’era. Una ragione più che valida per tenerlo lontano anche dai tuoi pensieri.
 
 
Dopo un po’ vi eravate separati, ancora ansimanti.
 
- Tu lo sai che potrei essere tuo padre, vero? - ti aveva sussurrato, prendendoti il viso fra le mani.
 
- No, non c’è pericolo. Non vi somigliate per nulla. - avevi ironizzato.
 
E per la prima volta l’avevi sentito ridere, pur sommessamente. Ne eri rimasta incantata.
Poi eri tornata seria, di colpo.
 
- Però mi hanno detto che mio padre è stato di recente ucciso dai vostri. Potresti anche essere stato tu, per quel che ne so...
 
- No. Ne sono sicuro. Credo sia stata Bellatrix.
 
Era sorprendente con quale rapidità si fosse preoccupato di negare.
 
- Ah, Bellatrix. Di’, non è che è divenuta un po’ il vostro capro espiatorio? Che di qualsiasi omicidio veniate accusati, “è stata Bellatrix”?
 
Non aveva saputo cosa risponderti. Riconoscevi di avere delle uscite, a volte, che nemmeno tu stessa avresti saputo come interpretare, ma eri fatta così. Spesso, ad esempio, mascheravi il dolore con una comicità un po’ fuori luogo. Come appunto ora.
 
- Ninfadora, senti...
 
- Tonks. Chiamami Tonks.
 
Ti aveva scoccato un’occhiata fintamente stizzita.
 
- D’accordo. Tonks, allora. Devi capire che, nella situazione in cui ci troviamo, le vittime sono e saranno all’ordine del giorno. Finché Lui rimarrà al potere.
 
Quella patetica spiegazione ti aveva deluso al punto che, per un attimo, avevi creduto di trovarti di fronte il Lucius di una volta. Il vero Lucius. O no?
 
- Secondo te perché lo stiamo combattendo? - avevi ribattuto, offesa e turbata dalla sua cinica rassegnazione.
 
Buffo, come solo due giorni prima ti sarebbe invece parsa del tutto nella norma.
 
Lui era scoppiato a ridere. Ma era una risata amara, senza gioia. Una risata cattiva.
 
- Credi davvero che non desideriamo la stessa cosa anche noi?
 
- Be’...
 
- Ti giuro che in sono pochi, tra i Mangiamorte, a non volerlo vedere morto. Semplicemente, per noi è più complicato metterci contro di lui. Sembra assurdo, ma è così. Combatterlo è un privilegio che ci viene negato e che, talvolta, vi invidio.
 
Avevi sempre intuito che fossero un branco di vigliacchi in cerca di un protettore, a cui si vincolavano non per lealtà ma per opportunismo, e che Voldemort, in tempi difficili, com’era prevedibile, se li tenesse stretti terrorizzandoli. Tuttavia, sentirlo ammettere era un’altra cosa. Una spiazzante soddisfazione.
 
- Unitevi a noi, allora.
 
Di nuovo, la risata sarcastica.
 
- Fosse facile... Ci ucciderebbe.
 
- Credi che io non rischi ogni giorno la morte? Ma almeno so di farlo per una giusta causa.
 
La famigerata giusta causa. A pensarci ora, ti viene da sorridere della tua strenua ortodossia.
 
- Lo so. Ma io non sono te... - aveva mormorato, con una smorfia che, supponevi, avrebbe voluto somigliare ad un sorriso.
 
La sua franchezza ti aveva toccato. Gli avevi dato un altro bacio e, in quel momento, forse per la prima volta da quando lo conoscevi, avevi provato una sincera stima nei suoi confronti.
 
- E se non corressi pericolo? Lo faresti? - avevi incalzato.
 
Ti stava troppo a cuore quella discussione per lasciarla cadere.
Aveva sospirato.
 
- I se non portano da nessuna parte. Mi è a dir poco difficile immaginare la mia vita senza la sua ombra che incombe. Comunque non penso. Abbiamo mentalità e ideali troppo diversi, inconciliabili. Ad accomunarci sarebbe solo il desiderio della sua morte. Un po’ poco, non credi? E comunque ormai non avrebbe più senso.
 
- Ormai? Quanto pensi che durerà ancora?
 
- Non lo so. Nessuno può dirlo. Ma trovo assai improbabile, per non dire impossibile, che a sconfiggerlo possa essere quel ragazzino in cui riponete così tante speranze...
 
- Tu sottovaluti Harry.
 
- Tu sottovaluti l’Oscuro Signore. Ed è un errore che hanno commesso in molti.
 
- Secondo me comunque dovresti prenderla in considerazione come idea. Devi solo trovare il coraggio di...
 
- Adesso la smetti con queste stupidaggini, va bene? - era sbottato, facendoti trasalire.
- Non ne ho la minima intenzione. Mi sembra sia già abbastanza quello che sto facendo per te adesso.
 
Avevi abbassato lo sguardo, sebbene fossi convinta di avere ragione. Era dunque un atto di misericordia l’essere salvata da lui, non un tuo diritto? Non sapevi cosa pensare. Era seguito un silenzio imbarazzato e protratto più del necessario.
 
 
- Scusami... - era stato lui a romperlo per primo.
- Hai ragione, scusami. Non volevo dire così.
 
Avevi fatto la sostenuta.
 
- Se l’hai detto vuol dire che in quel momento lo pensavi...
 
- Può darsi. Ma non devi dare troppo peso a ciò che la gente dice quando è arrabbiata.
 
- Se è arrabbiata diventa disinibita. E se è disinibita dice la verità.
 
Aveva sospirato.
 
- A volte. Ma non sempre. Vieni qui.
 
Senza farti pregare, eri tornata a raggomitolarti tra le sue braccia. Ti sentivi così protetta, accanto a lui... Al sicuro.
 
- Quello che sto facendo per te non è abbastanza, è il minimo. Non potrei mai sopportare che ti facessero del male. Ma non puoi pretendere che ora io abbia pietà di tutti allo stesso modo...
 
Ti sembrava di parlare con un bambino cocciuto e presuntuoso, che non avrebbe mai capito. O meglio, che non voleva capire.
 
- Io non me ne faccio nulla della tua pietà! - eri esplosa.
- Io voglio rispetto. La pietà non porta a nulla di buono. Umilia. Io non ho mai avuto compassione dei miei cari, o dei più deboli, ma dei miei nemici. Di quelli come te.
 
Si era rabbuiato. Ma ormai era troppo tardi, dovevi continuare.
 
- Non riesco a sopportare l’idea di aver fatto la differenza, per te, solo perché sono giovane, o carina, o ingenua... Insomma, il tuo trastullo. Se devi fare questa grazia a me, e poi tornare ad essere quello che sei sempre stato, allora piuttosto consegnami, o uccidimi, se vuoi...
 
Ecco, l’avevi detto. Non lo volevi davvero, ovviamente. Intendevi metterlo alla prova. Avevi atteso, trepidante. Speravi con tutto il cuore che si scagionasse, professando che il suo affetto per te era sincero, promettendo che sarebbe cambiato... Eri consapevole di aver messo a repentaglio quel vostro legame speciale, appena nato, ma era il prezzo che eri disposta a pagare per la verità.
Lui si era fatto attendere. Era senza dubbio meno impulsivo di te, abituato a misurare con cura le parole, le azioni... Un degno stratega. E ora, evidentemente, voleva evitare passi falsi. La capacità di fingere con maestria era un’altra sua prerogativa. Ma ora non gli stavi chiedendo di fingere, anche se fosse stato per compiacerti. Desideravi solo che fosse sincero.
 
Quando finalmente aveva parlato, lo aveva fatto con estrema e manifesta difficoltà. Ma proprio per questo avevi creduto a ogni sua singola parola.
 
- Ho torturato ragazze ben più giovani di te. Ne ho uccise di molto più belle, senza scrupoli. Ho consegnato donne incinte al mio Signore perché le violentasse. Ho fatto tutto questo e anche di più. Vuoi sapere se ne vado fiero? Nient’affatto. Ero troppo accecato dall’ambizione, dall’odio, o da chissà cos’altro, per avere... rispetto di loro. Se avessi l’onestà di giudicarmi, ti direi che mi faccio schifo. Se fossi un’ipocrita (cosa che in effetti sono), ti direi che ne ho abbastanza e voglio cambiare. Ma voglio essere realista con te. E perciò ti dico che probabilmente lo rifarei. Tu non hai nulla di speciale, se proprio ci tieni a saperlo. Ma c’è qualcosa, in te, che mi ispira soggezione, e mi obbliga a portarti rispetto... A coprirti, a cercare di salvarti... Qualunque cosa. Anche cambiare, se è questo che mi chiedi. Ma non voglio crearti illusioni. Sono troppo vecchio e vile per mettermi in discussione. Finirei comunque per fare ciò che ho sempre fatto, perché non ho altra scelta. Non l’ho mai avuta. Per questo prego che tu non mi chieda mai niente... Perché ti deluderei, ti farei ancora più pietà. Mi auguro con tutta l’anima che invece tu decida di farti bastare il presente. E di accettarmi così, per quanto disgusto possa infonderti.
 
 
Non c’era stato bisogno di aggiungere altro. Avevi sbagliato a giudicarlo un fallito. L’ammettere di esserlo era già un passo avanti. Non intendevi giustificarlo; semplicemente, avevi appurato che in lui c’era del buono, e che quel buono era autentico. Per ora ti accontentavi, e, anzi, ti ritenevi fortunata. In futuro, nessuno sapeva cosa sarebbe accaduto; ma, di certo, una scintilla, un germoglio in lui era nato, spontaneamente o grazie al tuo innesto, pur se roso dal tarlo della rassegnazione e della paura. C’era solo da aspettare che crescesse. Ma tu non avevi fretta.
 
Lo avevi abbracciato, silenziosamente, ed eravate rimasti così a lungo. Uniti e dimentichi del mondo. Che poi in fondo erano la stessa cosa. Di strano c’è che, allora, ti era sembrato che foste rimasti immobili per ore; adesso, ripensandoci, azzarderesti non più di una manciata di secondi. Un istante. Un’impressione.
 

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Capitolo 4
*** Bianco ***


Tre settimane era durato quel vostro idillio (se di idillio è corretto parlare). Tre settimane di baci proibiti nel buio del sotterraneo, che era stato promosso da prigione a rifugio, di lunghe discussioni che vi portavano innumerevoli domande e nessuna risposta, di litigate furiose che terminavano regolarmente  in abbracci riconciliatori e disperati, di promesse sussurrate, di lacrime amare e colpe confessate, di rimorsi sciolti in pianti purificatori. Di scettiche speranze e silenzi loquaci.
E sempre, in ogni momento, percepivate allungarsi su di voi l’ombra del pericolo. Vi tallonava, non vi mollava un attimo. Vi perseguitava con l’accanimento e la costanza di uno spirito maligno. Anche quando sedevate l’uno accanto all’altra, abbracciati, con la sensazione che nulla avrebbe potuto scalfire quella vostra quiete, ma che, al contrario, insieme avreste affrontato il mondo, essa rimaneva lì, quiescente, sepolta in qualche remoto angolo del vostro inconscio ma comunque viva e pulsante.
Il pensiero dei Mangiamorte, dell’Ordine, della guerra, della caccia a Potter - in poche parole, della realtà che c’era ad attendervi fuori da quella cella - vi assillava senza tregua; ma, più di tutto, era lo spettro di Lui, del Signore Oscuro, o, come lo chiamava lei, il “gran bastardo” (essendo il suo nome tabù), a tormentarvi. La sua presenza riusciva ad incombere su di voi anche se con ogni probabilità si trovava dall’altra parte del mondo. Poteva tornare in ogni momento. Poteva sorprendervi. Poteva - ciò che più temevi - uccidere lei e torturare te fino a farti perdere la ragione, fino a renderti inconsapevole, innocuo ma comunque servizievole. Utile. E allora che senso avrebbero avuto il vostro incontro, l’intera tua vita?
 
Lei si dimostrava assai più padrona di sé stessa, in questo contesto. Diversamente da te, l’idea della morte non la atterriva, come se, sfuggendole spesso, ci si fosse abituata, né mai la sfiorava il timore che la sua esistenza, tutto ciò che aveva fatto su questa terra sarebbero stati infruttuosi. Era convinta che l’uguaglianza tra gli uomini - maghi o Babbani che fossero - e il rispetto della vita fossero cause più che degne per cui battersi, e che l’impegno e il coraggio di chi le difendeva non sarebbero mai andati perduti. Era fiduciosa nel futuro, anche se questo si sarebbe compiuto dopo la sua morte. Anzi, sapeva che essa era necessaria affinché la giustizia trionfasse e il mondo diventasse migliore, e questo la faceva sentire tranquilla, le infondeva un senso di pace e serenità. Era un’idealista, un’ingenua e un’illusa. Lo pensavi affettuosamente, ma era così. Crescendo, forse, sarebbe cambiata e avrebbe imparato a scendere a compromessi con la vita; sempre che avesse avuto il tempo di crescere, certo... Eppure, una parte di te sperava che si sarebbe mantenuta sempre così, che la sua freschezza e la sua innocenza si sarebbero preservate intatte, perché non avresti tollerato di vedere le sue speranze scontrarsi con la crudezza della realtà e infrangersi miseramente... Forse, davvero l’unico modo per evitarlo era che i suoi sogni morissero con lei.
 
Pareva, dai suoi discorsi, trapelare la concezione di un ordine superiore delle cose, divino, quasi, e questo forse spiegava la cieca fede che nutriva nella vittoria del Bene sul Male. Ne parlava, almeno nei primi tempi, come di due concetti astratti e assoluti, che faticavi ad associare, rispettivamente, all’Ordine della Fenice e a voi Mangiamorte. Anche da parte loro venivano commessi omicidi ingiustificati ed atti estremi, fanatici; e anche dietro alle vostre maschere si poteva celare dell’umanità. Lei, all’inizio, era parsa scettica e sorpresa da quell’insolita prospettiva.
“Non sono tutti come te...” obiettava, riferendosi ai Mangiamorte, allusione che tu però fingevi di non cogliere.
“Per fortuna” ribattevi, e poi vi abbandonavate a una di quelle risate che, a prima vista, potevano sembrare inopportune, ma a cui voi non sapevate rinunciare, poiché rappresentavano la vostra capacità, rara e preziosa, di sdrammatizzare anche nelle situazioni che meno ne offrivano l’occasione.
 
Pian piano, però, lei aveva imparato a ridimensionare i suoi orizzonti e a mitigare le sue vedute, accettando l’idea che persino l’odio più violento nasconde un’origine, una motivazione, in qualche modo connessa con l’amore. Un amore che spesso è venuto a mancare.
E tu avevi ammirato e invidiato la sua speranza tenace, il suo ottimismo incrollabile, che ti avevano riportato alla memoria la tua giovinezza, ugualmente costellata da dogmi inconfutabili e ugualmente influenzata da due grandi centri gravitazionali, che solo avevano nomi diversi - Purosangue e feccia - ma che funzionavano esattamente allo stesso modo: nell’uno si personificava la ragione, nell’altro il torto. Avevi ricominciato, pur con molta fatica, a credere in qualcosa - non ti ricordavi più come si faceva - e ti eri sentito rinascere.
 
 
Poi, le tre settimane erano trascorse, e, così com’era iniziato, l’idillio era finito. Di colpo, e senza alcun preavviso. Proprio come avevi previsto e scongiurato.
Un giorno, infatti, erano giunti inaspettatamente dei Ghermidori che sostenevano di aver catturato Potter e i suoi amichetti. Era vero. L’avevate avuto fra le mani e ve l’eravate lasciato sfuggire, insieme agli altri prigionieri. La cosa peggiore, comunque, era che avevi lasciato fuggire anche lei.
Ma cos’altro avresti potuto fare? Diversamente, avresti destato sospetti. Già avevi tremato, poiché lei, all’inizio, sembrava non capacitarsi di quanto stesse accadendo: si guardava intorno, disorientata e accecata dalla luce del sole che non vedeva da tanto tempo, ostentando un’aria atterrita che ti aveva fatto sussultare. Ma aveva ripreso presto il controllo di sé, e, con una bacchetta passatele dai ragazzini, aveva persino iniziato a duellare contro di voi. Non avevi potuto fare a meno di ammirarne i nervi saldi e l’indomabile coraggio che riusciva, sempre e comunque, a dimostrare.
Avevi notato, però, che finché stavate combattendo, per evitare di tradirsi, non ti aveva mai guardato negli occhi. Solo quando, a battaglia ormai conclusa, si era ricongiunta ai suoi compagni e si accingeva a Smaterializzarsi insieme a loro, aveva ceduto: un istante, e i vostri sguardi si erano incontrati. Il suo, improvvisamente smarrito, e il tuo...
Com’era, il tuo? Come l’avevi guardata per l’ultima volta? Come le avevi dato il tuo addio? Non ricordi, ma con ogni probabilità eri rimasto impassibile, inchiodato sul posto, sopraffatto dalla paura e dal dolore. Di questo sì che ti eri pentito, più che di tutte le altre tue nefandezze. In ogni caso, non saresti riuscito a convogliare tutto ciò che avevi da dirle in un semplice sguardo; c’erano sfumature, sfaccettature del vostro rapporto che non eri capace di esprimere nemmeno a parole. Avresti voluto dirle che ti sarebbe mancata, che desideravi rimanesse, che ti dispiaceva avesse sofferto a causa tua, che le eri grato per averti fatto sentire nuovamente vivo, nuovamente un uomo... E molto altro ancora.
Avevi sempre saputo che un giorno avresti dovuto lasciarla andare, ma, in qualche modo, avevi fatto sì che quell’idea se ne restasse sopita per molto tempo, resa inoffensiva dalle tue caparbie illusioni; e ora che eri chiamato ad affrontare la realtà, non ti capacitavi di quanto facesse male. E di quanto tu fossi stato stupido a sottovalutarla.
Cosa credevi, che sarebbe rimasta nel sotterraneo per sempre? E del bambino che ne sarebbe stato, eh? Era già una fortuna che foste riusciti a nascondervi così a lungo, e, a ben pensarci, quasi una benedizione che Potter l’avesse portata via con sé. Avevi ormai esaurito le scuse (proprio tu!), e non sapevi più che pretesto addurre per non essere ancora venuto a conoscenza del rifugio segreto dell’Ordine, quando Bellatrix, puntualmente, te lo chiedeva... Tergiversavi, sostenevi che fosse una confessione difficile da estorcere, ma che il tuo piano stesse funzionando, ancora un po’ di pazienza e avrebbe parlato...
Ovviamente, manco a dirlo, dovevi tutto all’assenza del Signore Oscuro. Se lui avesse presieduto all’operazione, va da sé che il vostro amore (amore? Ti eri quasi dimenticato, circondato com’eri da odio, morte e indifferenza, che cosa questo vocabolo significasse) non avrebbe mai nemmeno avuto modo di nascere. Com’era naturale, Lui si era adirato, e non poco, per quell’opportunità che vi era stata offerta su un piatto d’argento, e che vi eravate lasciati scappare. La sua ira e l’entità dei castighi a cui vi sottoponeva crescevano di pari passo con il numero di occasioni in cui Potter riusciva a sfuggirgli. Questa volta vi aveva requisito le bacchette (dopo torture ancora più violente del solito) e segregati nel tuo (?) maniero, proibendovi perentoriamente di uscirne.
Ma, e ancora faticavi a crederci, non aveva ritenuto necessario leggervi la mente. Una buona stella, dunque, insieme a un certo sforzo da parte tua, avevano fatto sì che non fosse venuto a sapere di voi due. Una ragione più che sufficiente per considerarti fortunato.
 
 
Davanti a te c’è una rosa. Una rosa bianca. L’hai colta per regalarla a Narcissa. Un gesto da opportunista, direbbero in molti. La supplica di un cane che, non essendo riuscito a realizzare il suo sogno di libertà, se ne torna, mesto e con la coda fra le zampe, dall’odiato padrone, nell’unico posto in cui ancora potrà essere accolto. Ma tu sai che non è così.
Lei - Ninfadora, anzi, Tonks - ti ha lasciato molte verità e ancora più domande, alle quali, pian piano, stai cercando di trovare risposte. Non è semplice, ma anche tu, ora, hai recuperato un pizzico di fiducia nel domani. Sai che ce la potrai fare. Una cosa, di sicuro, l’hai capita: ciò per cui più le sei grato è quella stessa speranza che tanto le rimproveravi. L’avevi smarrita, e lei te l’ha fatta intravedere di nuovo. Ti ha riportato alla memoria il significato di numerose parole: credere, ascoltare, combattere, aspettare, capire, amare. Soprattutto amare. Ne avevi nostalgia. Pur senza che te ne accorgessi, ti mancava disperatamente qualcuno da amare. E ora che lei se n’è andata, non vuoi dimenticare di nuovo cosa significhi voler bene a qualcuno. Al contrario, vuoi continuare a farlo. E puoi, perché c’è la tua famiglia, e ha bisogno di te. Lei è al sicuro adesso, tra i suoi. Draco e Narcissa invece no; ma ci sarai tu con loro. Ci sarai tu a credere insieme a loro che le cose potranno cambiare, ad ascoltarli, a combattere per loro, ad aspettarli, a provare a capirli. Ad amarli. Perché non vuoi che nulla di quanto lei ti ha insegnato vada perduto. Non sai se il suo passaggio su questa terra sarà ricordato; di certo, non vuoi che il suo passaggio nella tua vita sia stato vano. Già sta pian piano, e contro la tua volontà, assumendo i contorni di un evento onirico, fantasioso, allegorico; quasi come se avessi immaginato, o sognato tutto, e di lei non ti rimanesse che un’immagine astratta, sbiadita, emblematica dell’innocenza e dell’autenticità della giovinezza. Una personificazione, ecco.
Poco importa, dunque, se ciò che provavi per tua moglie al momento di sposarla sia tutt’altra cosa rispetto all’affetto maturo, temprato dagli eventi e commosso di adesso; lei e Draco hanno bisogno di te, e tu ci sarai per loro.
 
Eppure, la purezza e il candore di quella rosa - bianca, come il vuoto che ha lasciato dentro di te - ti ricorderanno per sempre lei, e lei sola. Lei che era troppo generosa per questo mondo, e che il mondo, invidioso, si è portato via. Lei che era troppo ingenua, un’illusa, e a cui gli eventi alla fine hanno dato ragione. Lei che era una guerriera dall’animo nobile, pronta a sacrificare la vita per rendere il mondo “un posto migliore”, e che è stata esaudita. Lei che forse non ha reso migliore il mondo, ma che senz’altro ha reso migliore te. Lei, che ti ha insegnato la differenza tra la pietà e il rispetto. Lei, che ti ha portato la pace mentre fuori infuriava la tempesta. Lei, che credeva nel qui e nell’ora. E che nient’altro importasse.
 

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