Two.

di funklou
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sydney. ***
Capitolo 2: *** Am I scared? ***
Capitolo 3: *** Dark green and light blue. ***
Capitolo 4: *** Sadness. ***
Capitolo 5: *** Unknown. ***
Capitolo 6: *** Some shit. ***
Capitolo 7: *** Luke is empty. ***
Capitolo 8: *** Evil is back. ***
Capitolo 9: *** Grey. ***
Capitolo 10: *** He was real. ***
Capitolo 11: *** A new friend. ***
Capitolo 12: *** We're Two, genius. ***
Capitolo 13: *** It was their bar. ***
Capitolo 14: *** Where is the world when you kiss me? ***
Capitolo 15: *** Wait, you're not okay. ***
Capitolo 16: *** Fire and water. ***
Capitolo 17: *** Michael/Luke/Calum/Avril!Drunk ***
Capitolo 18: *** Heroin doesn't kill us. ***
Capitolo 19: *** Good days, bad memories. ***
Capitolo 20: *** Wherever you are. ***
Capitolo 21: *** Sydney again. ***
Capitolo 22: *** Black. ***
Capitolo 23: *** I didn't want to leave you. ***
Capitolo 24: *** True. ***
Capitolo 25: *** No fault. ***



Capitolo 1
*** Sydney. ***


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A Susanna, perché riscoprire l'amicizia con lei
mi ha fatta sentire più viva.
-A
 
A Ilaria, per tutte le volte che
la sua amicizia mi ha salvata.
-M
 
 
 
 
Sydney.

Trasferirsi da Melbourne a Sydney non è per niente una cosa facile. Quando ti abitui ai viali alberati del centro, alle strade percorse dai tram e ai molti bar e negozi sparpagliati qua e là, è difficile sostituirli. Insomma, è risaputo che il clima sia decisamente migliore a Sydney, e che qui è tutto più rilassato ma, quando si porta una città nel cuore, non c'è più nulla da fare.
Lo sapeva bene Avril Mitchell, una sedicenne sul metro e sessanta, con le labbra sottili e rosee, gli occhi verdi, tendenti allo scuro, e i capelli lisci e lunghi, con le punte tinte di azzurro, il suo colore preferito. Si era trasferita nella città più popolosa dell'Australia sotto il volere della madre, per mantenere il suo lavoro. Ovviamente, aveva opposto resistenza, ma alla fine aveva ceduto. Aveva dovuto lasciare a Melbourne anche Jason, il suo fidanzato, e non c'era cosa più terribile di una relazione a distanza. 
Ma oggi era un giorno importante: oggi era il primo giorno di scuola. Quest'anno era allo Year 11, il penultimo. Spesso le era passata per la testa l'idea di abbandonare gli studi e andare a lavorare, non ne poteva più.
Si era preparata in meno di venti minuti: non amava truccarsi, le bastava rendersi presentabile per una giornata di scuola. Erano ormai le 7:45 e stava aspettando la sua adorata cugina nata e vissuta a Sydney, ed era l'unica persona che al momento conoscesse.
Sentì il clacson suonare e, dopo aver preso le chiavi di casa, uscì, vedendo già la Range Rover che l'aspettava e si avvicinò correndo.
"Vicky!" gridò non appena entrò nell'auto e l'abbracciò, quasi facendole perdere il respiro.
"Ehi, non riesco a respirare, Avril!" la rimproverò giocosamente.
"Scusa, è che mi sei mancata così tanto." Accennò uno sguardo dispiaciuto.
Vicky non poté che guardarla e sorriderle, rendendosi conto di quanto sua cugina le assomigliasse: erano entrambe bionde, stesso taglio di occhi, cambiava solo il colore azzurro.
"Mi sei mancata anche tu." e la macchina partì.
 
Si fermò solo dopo 10 minuti di viaggio, in un parcheggio in cui si affacciava una struttura enorme, nonché il Norwest Christian College. Dopo aver poggiato i piedi a terra, gli occhi di Avril guizzarono da una parte all'altra, osservando centimetro per centimetro la visuale che le si parava davanti. Era una struttura grande, perciò con molti studenti. 
Passarono pochi secondi e sentì una mano prenderle il braccio e portarla verso l'entrata dell'edificio.
"Ora ti faccio conoscere le mie amiche" affermò Vicky, decisa.
"Ok, ma potresti smetterla di torturarmi il braccio? Ce la faccio a camminare anche senza supporto" si lamentò la cugina.
Sbuffando, il suo ordine fu eseguito e, appena furono all'interno della scuola, camminarono verso il corridoio a sinistra, andando incontro ad alcune ragazze. 
"Ehi, ragazze, questa è Avril, la mia cuginetta!" prese ad urlare Vicky a mo' di annuncio con un tono fin troppo entusiasta.
Subito le guance della ragazza in questione si tinsero di un rosa più scuro.
"Non deve saperlo tutta la scuola, abbassa la voce!" Le tirò un leggero pugno sul braccio, provocando le risate delle tre ragazze di fronte a loro. Quando se ne accorse, Avril alzò lo sguardo su di loro.
"Oh, ehm... Io sono Avril, sua cugina, da come avrete capito." Lanciò un'occhiataccia alla ragazza di fianco, "Piacere." aggiunse.
"Ciao Avril, siamo contente di conoscerti! Vicky ha detto che sei una tipa simpatica. Io sono Alexia, e loro due Nicole e Marie." Con un gesto della mano le indicò e tutte e due le sorrisero, Avril ricambiò. Erano più alte di lei, senza dubbio, ed erano anche molto belle. In una sola parola: perfette. Ma erano simpatiche, e ciò la tranquillizzava.
"Questo è il tuo armadietto, poggia pure qui dentro i libri." Vicky le fece cenno e lei annuì, per poi fare come le era stato detto.
Il suono che indicava l'inizio delle lezioni sovrastò quella conversazione. Di rimando, Vicky tirò fuori dalla borsa due fogli e, dopo averli osservati, salutò le amiche e guidò la cugina verso un'aula.
"Ieri pomeriggio sono passata a ritirare i nostri orari, alla prima ora abbiamo scienze." sbuffò.
Avril non rispose ed entrò dopo di lei. Presero posto in ultima fila e aspettarono che il professore arrivasse. Dopo pochi istanti, dalla porta entrò un uomo snello e alto, capelli castani e un'aria assolutamente da stronzo.
"Buongiorno ragazzi." Aspettò che qualche studente ricambiasse il saluto e continuò, "Per chi non lo sapesse, sono il Professor Harvey, il vostro insegnante di scienze." Posò dei fogli sulla cattedra e si guardò intorno.
"Vicky," parlò Avril a bassa voce, "che cazzo vuole 'sto squilibrato?" scatenandole delle risate.
"Mitchell! Cos'ha da ridere?" la rimproverò il professore. 
"Oh, io..." e proprio in quel momento, la porta si spalancò di colpo e attirò l'attenzione di tutti gli studenti presenti in classe. Un ragazzo col cappello e un cappuccio sopra entrò nell'aula, tutti si irrigidirono. 
"Hemmings" scandì il professore con un tono che ad Avril sembrò quasi di disprezzo. "La stavo giusto cercando. Sempre in ritardo, eh?"
"E' in classe Calum?" chiese il ragazzo, senza dar peso alle parole dell'uomo. 
Questi sbuffò, come se quella scena fosse vista e rivista. "No" affermò e si sedette dietro alla cattedra. "Ha intenzione di restare lì o di entrare e seguire la lezione?"
Lui non rispose, con un gesto secco chiuse la porta e se ne andò. Tutta la classe era in silenzio. Avril, presa dalla situazione, domandò subito a Vicky chi fosse lo sconosciuto.
"E' meglio che tu non lo sappia. Davvero, Avril, stanne alla larga" le rispose con un tono serio.
"Perché ha fatto così?" chiese sempre più curiosa.
"Non lo so e non mi interessa. Questa scena si è vista tante di quelle volte..." sospirò Vicky, prendendo a sfogliare a caso le pagine del libro di scienze.
Intanto la lezione più noiosa di sempre era iniziata. Avril continuava a sbuffare, e ad un certo punto prese la matita e scrisse qualcosa sul banco della cugina.
 
Magari se pesto forte la testa contro il banco muoio.
 
Vicky cercò di trattenere una riasata e di ritornare a prestare attenzione alla lezione, con poco successo.
Ad un tratto la mano di Avril si alzò e chiese il permesso di andare in bagno. Si chiuse la porta alle spalle e iniziò ad andare alla cieca verso il bagno ma, quando svoltò verso destra, lo vide. Era lo stesso ragazzo di prima, affiancato da un altro più o meno alto come lui, apparentemente con i capelli tinti di...bianco e sparati all'aria con un ciuffo. Si era fermata ormai da cinque secondi per guardarli e loro, notandola, le posarono subito gli occhi addosso. 
Avril lo aveva capito, che quei due avessero qualcosa di così spaventoso. Con un solo sguardo, aveva percepito brividi per tutto il corpo, ma brividi di paura.
Distolse lo sguardo, si incamminò dalla parte opposta e trovò finalmente quel maledetto bagno. 
Chi erano, quei due? 
 
Il resto delle ore scolastiche passò molto lentamente. Avril trascorse solo due ore con Vicky, le altre con perfetti sconosciuti, ma nessuno le stava particolarmente antipatico, solo le stavano tutti indifferenti.

Finalmente era arrivata l'ora di tornare a casa e, non appena uscì da scuola, vide Vicky sorriderle e insieme si incamminarono verso l'auto, per poi salire.
"Allora? Come ti sembra?" chiese Vicky, mentre si ripassava il rossetto, guardandosi nello specchietto.
"Passabile, anche se mi sono annoiata a morte" rispose sbuffando.
"Cosa ti aspettavi? E' una scuola!" Entrambe risero e la macchina ripartì verso casa.
"Senti, ma se per stasera rimani da me?" interruppe Vicky il silenzio che si era formato durante il tragitto.
"Non credo sia un problema." Sorrise.
 
"Avril!" la chiamò Vicky dal bagno, "Puoi passarmi il mio pigiama?"
"Non ho voglia" borbottò Avril, sdraiata sul letto.
"Dai! Non voglio farmi vedere in questo stato!" insistette.
Avril si alzò, prese il pigiama e si avvicinò al bagno.
"Ok, apri."
Si sentì la maniglia abbassarsi e la porta si aprì.
"Da chi non volevi farti vedere? Sono tua cugina, stupida."
"Non sono abituata a farmi vedere con i capelli ricci. Preferisco piastrarmeli prima di uscire" si giustificò Vicky, prendendo il pigiama dalle mani di Avril, ma ormai sul volto di quest'ultima era comparso un sorriso malizioso.
"Non sono mica quel tipo tutto strano che ti piace, io. Non ti devi vergognare." Si appoggiò allo stipite della porta, aspettando una sua reazione che confermasse la sua tesi, ma ciò che vide fu un'espressione sconvolta della ragazza. Strabuzzò gli occhi senza dire niente per alcuni secondi, e poi sbottò.
"Avril, sei seria? Luke? Oh mio dio. Quello è un delinquente!"
"Ah, quel coso ha un nome. Comunque, a me sembra proprio che ti piaccia" ammiccò Avril, sicura di sè, allontanandosi dal bagno e buttandosi sul letto. Vide Vicky avvicinarsi a lei mentre le puntava un dito contro.
"Non mi piace! E' assurdo! Quel ragazzo ha ucciso il suo migliore amico e non sto scherzando" disse tutta seria, al contrario della cugina che iniziò a ridere. La guardò inizialmente scioccata, poi traumatizzata.
"Tu sei pazza." Prese a dirigersi verso il bagno, "Pazza."







 
Ehi people!
Okay, questa è la seconda ff in corso, però, quando mi fisso di fare una cosa, la devo fare, lol.
Quindi, eccomi qua con "Two". Sì, il nome è abbastanza strano, ma ha un significato.
Il capitolo è piuttosto corto, non so se riesca a far capire molto l'argomento. Questo è solo l'inizio, la storia vera e propria inizierà dal prossimo capitolo. 
Se vi va, lasciate una recensione (:
Ps: su twitter sono funklou
e alla storia contribuisce anche danswtr
Bye x

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Capitolo 2
*** Am I scared? ***


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Am I scared?

"L'hai chiusa la portiera?" chiese Vicky, dall'altra parte della macchina.
"Sì" le rispose, incamminandosi verso lei.
Insieme, attraversarono il cortile della scuola e Avril, girando il capo verso destra, notò il ragazzo misterioso, appoggiato al muro. Non poté non far caso che nessuno osasse avvicinarsi a lui. Tutti gli studenti sembravano evitarlo di proposito. Di fianco a lui, però, c'erano altri due ragazzi: quello a destra assomigliava allo stesso che aveva visto insieme a Luke nel corridoio, mentre quello a sinistra non l'aveva mai visto. Era moro, con i capelli tirati all'insù e non era né troppo alto, né troppo basso. Apparentemente, da lontano, le sembrava avesse origini asiatiche. 
Quella mattina, finalmente, ebbe l'opportunità di osservare meglio Luke Hemmings. Non aveva nessun cappuccio o cappello: si vedevano i suoi capelli biondi e alzati, i suoi occhi così azzurri che le sembrò per qualche istante di osservare il cielo sereno. Insomma, anche a distanza di kilometri, si poteva dire che fosse un australiano puro.
Si sentì poi uno sguardo truce addosso, così si girò verso la cugina, che la guardava con occhi fulminanti.
"Avril," la chiamò con tono serio "lo stavi guardando."
"Sì, ma che c'è di male? E' un fottutissimo ragazzo normale!" sbraitò Avril continuando a camminare verso l'entrata della scuola.
"Tu non sai la sua storia."
"E allora dimmela." 
Non aspettava altro.
Vicky la prese per il braccio e la portò in un posto più isolato, in modo che nessuno sentisse.
"Okay, se è questo ciò che vuoi. Se te lo sto dicendo, è perché non voglio che tu corra rischio. Luke Hemmings all'apparenza potrebbe sembrare un ragazzo come tanti, ma non lo è. Due anni fa girava per la scuola sempre con la sua 'banda', ovvero Calum Hood, Michael Clifford ed Ashton Irwin. Un giorno, quest'ultimo sparì. Così, dal nulla. Nessuno seppe più qualcosa. Ovviamente, tutti iniziarono a sospettare di Hemmings. Erano sempre stati dei tipi piuttosto strani. Nessuno gli credeva. Anzi, con i suoi atteggiamenti, non faceva altro che far ricadere la colpa su di lui. Purtroppo, la polizia non ha abbastanza prove per sbatterlo dentro, ma ormai lui ha smesso di smentire. Sta zitto, semplicemente. E chi tace acconsente, no? Quindi, per favore, Avril, stanne lontana. Non voglio che ti accada qualcosa."
Tutte queste parole entravano nella testa di Avril in modo disordinato. Stette zitta davanti a Vicky, ma in realtà, nella sua mente, si ripeteva che non fosse possibile. Un ragazzo della sua età non poteva uccidere qualcuno, per di più il suo migliore amico. Per nessuna ragione. Non si poteva dare la colpa a uno senza neanche avere delle prove. Ne era convinta. 
Osservò la cugina, ancora davanti a lei, con uno sguardo quasi arrabbiato. Ma Avril non voleva darle alcuna soddisfazione, così non disse niente e non annuì nemmeno. 
"Andiamo." la voce di Vicky spezzò quel silenzio. 
La giornata sarà molto lunga, pensò Avril.


Ultima ora: matematica.
La matematica le faceva schifo di principio. A peggiorare la situazione era il nervosismo dentro di lei, senza una ragione precisa. Forse era un miscuglio fra la noia del momento, il discorso di sua cugina di quella mattina o il ciclo. Cominciò a mordicchiare una penna presa dall'astuccio, ma una voce la interruppe. Quella strega della Bailey.
"Mitchell, si può sapere a che sta pensando?"
Avril alzò lo sguardo e guardò per la prima volta la professoressa. Cosa diavolo voleva ora? Doveva già subire una sua lezione.
"A niente" rispose dopo un po'.
"Beh, allora saprà dirmi di cosa stavo parlando fino a pochi secondi fa" la istigò con un tono malizioso. Vide che l'alunna non rispondeva, e così "Se non è interessa, può uscire dall'aula." continuò.
"Poteva dirlo prima" ammiccò, alzandosi dalla sedia.
Tutta la classe era rimasta ad osservare la scena.
"Bene, a quanto pare anche un giro in presidenza non le farà male." 
La ragazza sgranò gli occhi e se ne uscì dalla classe, sbattendo la porta.
Quella giornata faceva davvero schifo.

Aprì la porta della presidenza e restò ferma all'entrata.
"Buongiorno signorina." La voce di quell'uomo sulla cinquantina sembrava quasi amichevole. La invitò ad avanzare.
"Buongiorno" rispose cordialmente Avril, che iniziava ad avvicinarsi, fino a sedersi davanti alla cattedra.
"Chi la manda qui?"
"La Bailey" disse sbuffando e iniziando a toccarsi le punte azzurre dei capelli.
"Cos'ha combinato?"
"Secondo me, niente. Secondo la professoressa, le avrei risposto male, dicendole in poche parole che la sua lezione mi fa schifo." Sorrise falsamente, provocando una risata al preside.
"Che umorismo, signorina..." 
"Avril Mitchell." Lo aiutò lei.
"Mitchell. Beh, io direi che lei potrebbe passare un'oretta nell'aula punizione. Lei che dice?" 
"Cosa?" urlò Avril. "Sta scherzando? Per così poco?" Se prima era nervosa, ora era infuriata. Il preside sembrò non ascoltarla, mentre prese un foglietto sul quale stava scrivendo qualcosa. Lei rimase lì a guardarlo senza dire niente, e poco dopo le diede quel pezzo di carta. 
"Questo lo presenti alla professoressa che ci sarà quando entra in aula. Ora può andare."
Avril prese il foglietto, si alzò, facendo strisciare la sedia sul pavimento, senza degnare di uno sguardo l'uomo e chiuse la porta.
"Arrivederci anche a lei!" udì dire in modo ironico, quando ormai era già in corridoio.
Che se li metta in culo i saluti, pensò. Frequentava quella scuola da soli due giorni e già si ritrovava in presidenza, grandioso.
Tirò fuori dalla tasca il cellulare.

02/feb/2013 12:32
Non aspettarmi per andare a casa, devo restare in aula punizione. Ti spiegherò tutto più tardi. A x

Ripose il telefono e si diresse verso l'aula. Aprì poi la porta e vide una vecchia professoressa seduta che, probabilmente, stava correggendo qualche verifica.
"Buongiorno" disse svogliatamente e poggiò il foglietto sul banco. La vecchia, senza distogliere l'attenzione da ciò che stava facendo, lo firmò e Avril lo riprese. Si guardò intorno e decise di andarsi a sedere all'ultimo banco, così magari poteva stare un po' più in pace. 
Un'ora senza fare assolutamente niente. Che strazio. 
Un libro, ecco cosa ci voleva. 

Qualcuno dopo un paio di minuti entrò in classe, ma ad Avril sembrò non importare. Quando, però, sentì la presenza di una persona vicino a lei, alzò la testa e si trovò, per la prima volta, così vicina a Luke Hemmings. Questi sembrò guardarla quasi perplesso. 
Avril era impassibile.
"Questo è il mio posto." Il tono del ragazzo era serio, sembrava quasi rimproverarla.
"Da quando i posti sono di qualcuno?" rispose automaticamente Avril. 
"Hai la più pallida idea di chi sono?" 
"No" mentì Avril. In realtà, lo sapeva. Non nei dettagli, ma Vicky era stata chiara. 
"Bene, io sono Luke Hemmings e questo è il mio posto. Nessuno ti ha detto di starmi lontano, ché sono un tipo pericoloso? Ma okay, non m'importa e non ho voglia di stare qui a parlare con te."
"A me, invece, non sembri un tipo così pericoloso. Forse strano" affermò Avril, senza distogliere l'attenzione dal suo libro.
"Due." Si guardò intorno, in cerca di un banco libero.
"Due?"
"Due."
"Cosa significa?" Alzò lo sguardo e lo guardò confusa.
"Sinceramente? Nulla. Quando non so cosa rispondere, o quando non voglio rispondere, dico due." Scrollò le spalle, come se fosse la cosa più ovvia e si allontanò.
"Questo conferma la mia teoria, Hemmings." 
Lui si girò per squadrarla un'ultima volta e si andò a sedere dall'altra parte della stanza.
Avril per tutta l'ora fece finta che non fosse successo niente, ma dentro di sé continuava a pensare a quanto fosse strano quel ragazzo. 

I sessanta minuti erano terminati. 
Avril si alzò, raccolse tutte le sue cose sparse sul banco e le mise nella borsa. Uscì dall'aula, ma una mano fredda e con una presa davvero forte le afferrò il braccio, e in meno di un secondo fu sbattuta al muro. D'istinto chiuse gli occhi e, quando si rese conto di avere un respiro vicino al proprio viso, li riaprì, ritrovandosi, per la seconda volta in una sola giornata, Luke vicino. Ora Avril aveva davvero paura. Continuarono a guardarsi senza proferire parola per quelli che sembravano secoli.
"Mitchell" sputò con disprezzo.
"Come sai il mio cognome?" Chiese Avril con il petto che si abbassava e alzava velocemente.
"Conoscenze." 
"Lasciami" disse fredda.
"Hai per caso paura, ragazza coraggiosa?" Avril la sentiva, la malizia, tra quelle parole.
"No."
"Non si direbbe." Le accarezzò piano la guancia, mentre con l'altra mano le lasciava il braccio come gli era stato chiesto.
"Scommettiamo?" Se ne pentì subito. Scommettiamo? Ma cosa le era passato per la testa? 
"Scommettiamo." La guardò con un sorriso, come se sapesse tutto lui. Un sorriso che fece tremare ancora di più la ragazza. "Se domani riuscirai a passare la giornata con me e i miei amici senza scappare e senza avere paura di noi, farò qualsiasi cosa tu mi chiederai. Se invece perderai, sarai tu a fare ciò che voglio io." Prese ad accarezzare l'azzurro delle sue punte e continuò a puntare le sue iridi in quelle verdi di Avril, e "Accetti?" le chiese.
"Accetto" rispose, per poi deglutire rumorosamente.





Hei poeple!
Ecco a voi il secondo capitolo. Lo stesso giorno che ho pubblicato il primo, sono andata nelle storie popolari
e questa storia era al penultimo posto! Cioè, non ci posso credere. Vorrei ringraziare chiunque abbia
recensito o messo nei preferiti questa ff. Siamo già a 200 visualizzazioni in..due o tre giorni? Wow. Spero che continuiate a leggere!
Bye x

  il mio twitter: funklou
quello di Martina: danswtr

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Capitolo 3
*** Dark green and light blue. ***


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Dark green and light blue.

Luke, appena finita quella conversazione, lasciò lì inerme Avril. Senza dubbio, questa non sapeva cosa pensare. Aveva fatto la scelta giusta o era un totale sbaglio? D'altronde, voleva davvero sfidare Luke e dimostrargli di non avere paura, ma quando si era ritrovata con gli occhi incatenati ai suoi, non lo sapeva più nemmeno lei, se lo temesse o meno. 
Il ragazzo ormai era sparito da quel corridoio, e il cellulare di Avril prese a squillare. 
Merda, Vicky.
Prese il telefono e lo sbloccò, facendo partire automaticamente la chiamata.
"Pronto?" 
"Avril! Dove sei?"
"Sono ancora a scuola, puoi venirmi a prendere?" cercava di far nascondere dietro a quelle parole la normalità, come se non fosse accaduto niente. Non era mai stata una brava attrice, ma in questi casi doveva cimentarsi in quella parte.
"Ok, parto subito. Va tutto bene?" chiese Vicky, con un tono scettico.
"Certo. A dopo." 
Chiamata terminata.
Aveva le mani sudate e le gambe che potevano cederle da un momento all'altro.
E' tutto ok, continuava a ripetersi. 
Si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e iniziò a camminare, dirigendosi verso l'uscita della scuola, e proprio lì, su degli scalini, era seduto uno dei tre ragazzi che erano insieme a Luke quella mattina. Quello moro, precisamente. Sgranò gli occhi e si fermò di colpo.
Le coincidenze l'avevano presa di mira, sicuramente. 
Va tutto bene, sì.
Riprese ad avanzare facendo finta di nulla, e sentì uno sguardo bruciare su di lei. Avrebbe voluto guardarlo negli occhi e chiedergli se avesse voluto una foto. 
Un clacson bloccò i suoi pensieri. Era Vicky.
Si avvicinò alla macchina e si sistemò sul sedile, per poi chiudere la portiera, tutto rigorosamente senza guardare la cugina. Non che si sentisse in colpa, ma aveva disubbidito: non era stata lontana da Luke, anzi.
L'auto partì.
"Allora?" esordì Vicky.
Avril fece una faccia scombussolata.
"Che hai combinato?" la illuminò.
"Oh, certo. Ho risposto male alla professoressa, niente di che. Sta solo attraversando un periodo di menopausa, quella sclerata." Rise nervosamente.
"L'ho sempre detto anche io! Secondo me, tra qualche anno, dovremo andare a trovarla in un manicomio." E ora, risero entrambe.

"Eccoci qui, a domani" la salutò Vicky con un sorriso. 
"Okay, a domani splendore!" Scese dalla macchina ed entrò in casa.
Si chiuse la porta alle spalle e si accasciò sul divano. 
Fino alla fine di quella giornata, Avril continuò a ripensare al casino in cui si era messa. Restò per tutto il tempo in camera, sdraiata sul letto, e di certo non erano cose che faceva la vera Avril Mitchell. Così, decise di chiamare Jason, l'unico ragazzo che avesse mai amato così tanto. Non aveva bisogno di canzoni smielate per sentirsi bella, ci pensava già lui. C'era sempre per lei, in ogni ora del giorno, anche quella sera. Si parlarono per ore, raccontandosi di tutto, ma non accennò niente di Luke e dei suoi amici, non le sembrava il caso. Così, quella notte, Avril si addormentò felice.

"Avril, svegliati, per la miseria! Sono le 7:40!" Sua madre stava spalancando le finestre mentre cercava, invano, di svegliare la figlia troppo sbadata per ricordarsi di impostare la sveglia. Dopo altri dieci richiami, finalmente, si alzò dal letto con la bocca impastata dal sonno. Con gli occhi ancora socchiusi, aprì il guardaroba e prese dei vestiti a caso. 
"Chi se ne frega" farfugliò.
Si recò poi in bagno per lavarsi i denti e truccarsi leggermente. Si guardò allo specchio e fece una smorfia. Si faceva davvero schifo, quella mattina. Si pettinò i capelli lisci lasciandoli ricadere sulle spalle. Amava le sue punte azzurre.
"Muoviti! Vicky è già qua!" sua madre l'avvertì dal piano di sotto.
Avril indossò velocemente le scarpe e in un batter d'occhio era già davanti alla porta.
"Ciao mamma!"
"Ciao tesoro, buona scuola." 
Vicky era come sempre sorridente ad aspettarla. Ad Avril automaticamente spuntò un sorriso e salì sulla Range Rover.

"Io alla prima ho inglese. Tu?" domandò Avril.
"Matematica" rispose sbuffando. 
"Auguri, allora." Rise. "Oggi non ci vediamo neanche una volta?" 
"Credo di no. Va beh, ci si becca alle 14 fuori dalla scuola, okay?"
No. Avril doveva stare con Luke e i suoi amici, quel pomeriggio. Iniziò a crescere un'ansia assurda in lei e prese a fissare un punto indefinito di fianco alla cugina. 
"Pianeta Terra chiama Avril!" 
Avril sembrò riprendersi dal suo stato di catalessi e guardò sua cugina.
"Si, si. Scusa." Pensa, pensa, pensa. "Oggi mi accompagna a casa mia mamma, dopo abbiamo da fare." Era stata abbastanza convincente?
"Uhm, come vuoi. Ora sbrighiamoci, ho la strega alla prima ora!" 
"Hai ragione!" affermò ridendo.
Dopo essersi salutate, andarono entrambe nelle rispettive classi, ed Avril osservava ogni singolo volto che le si presentasse attorno, ma di Luke nessuna traccia. Forse, quel giorno non sarebbe venuto a scuola e ancora forse, la scommessa era annullata. 
Fece un lungo sospiro ed entrò in aula. Era ancora mezza vuota, era abbastanza in anticipo. 
Che tristezza questi muri grigi, pensò. Si sedette in un posto vuoto in ultima fila e sistemò un quaderno e una penna sul banco. Si accorse, dopo poco, che qualcuno la stesse osservando. O meglio, fissando. Automaticamente, si girò in direzione di quel qualcuno e il cuore perse un battito. Un ragazzo con cui Luke era l'altra mattina era lì, nella stessa aula di Avril, con le iridi puntate addosso a lei. 
Uno sciame di pensieri le stava trafiggendo completamente la testa. Pensava a quanto fosse bianca la sua pelle, a quanto i suoi capelli fossero strani, tinti di un biondo platino; quanto le sue labbra fossero rare, ma belle; a quanto il suo sguardo facesse paura, poiché non tralasciava nessuna emozione. E Avril si ritrovava a fare i conti con quegli occhi tanto inespressivi, ma un istante dopo sentì il cuore rimbombarle incessantemente contro il petto: quel ragazzo le aveva sorriso, ma non era un sorriso di felicità: era pieno di malizia. Smise di guardarlo, e solo in quel momento si accorse che la classe fosse ormai piena e che una professoressa fosse già davanti, seduta dietro alla cattedra. 
Loro non potevano farle paura, lei era sempre stata forte e coraggiosa. Doveva essere lei a vincere quella scommessa, ne era convinta.
I sessanta minuti passarono, così come le altre ore. Quando andò a mensa, controllò fra i volti della gente, ma non trovò né quello di Luke, né quello dei restanti due ragazzi. Meglio così.

La campanella dell'ultima ora era appena suonata. Avril era in preda all'agitazione e ne aveva tutti i diritti: tra poco avrebbe scoperto se la scommessa fosse ancora aperta o meno, e sperava davvero che Luke se ne fosse dimenticato. 
Ma non fu così.
Lui era lì.
Loro erano lì. 
Tutti e tre in macchina. La stavano aspettando.
Dal finestrino vide Luke farle un gesto con la mano, che significava di salire in auto. 
Niente paura, si ripeteva. Niente paura.
Si scambiò uno sguardo con il ragazzo alla guida e si avvicinò, per poi aprire lo sportello. Si sedette nel sedile posteriore di fianco al ragazzo che quella mattina la fissava, ma che al momento era intento a scrivere un messaggio. 
"Ciao Avril" esordì Luke con una voce che la fece tremare.
"C-ciao." Si sistemò meglio sul sedile. Si sentiva piccola, in quel momento.
Vide una testa girarsi in sua direzione e subito riconobbe quel viso.
"Calum." Le porse una mano.
"Avril." Gliela strinse. 
Calum si rigirò, guardando la strada e riprese a parlare.
"Sei nuova?"
"Sì" rispose, osservando fuori dal finestrino, per cercare di capire dove stessero andando.
Il silenzio che c'era le metteva una certa suggestione.
"Michael, non ti presenti?" chiese ad un certo punto il moro.
Avril era spaesata. Michael?
Come risposta si sentì solo un verso strozzato. La ragazza si girò per la prima volta a guardarlo, lo stesso fece lui.
Azzurro chiaro nel verde scuro.
E un altro sorriso bastardo comparve sulle sue labbra. Avril fece una smorfia e riguardò fuori dal finestrino.
"Dove stiamo andando?" chiese.
"Avril, per favore, stai zitta" disse, con un tono troppo calmo, Luke.
"Simpatico" sbottò ironica. Che maleducazione.
Vide dallo specchietto un'occhiata assassina di Luke e si maledisse da sola. Per il viaggio tutti e quattro non parlavano. Luke guidava, anche se non era convinta che avesse la patente, Calum aveva un paio di cuffie alle orecchie e Michael continuava ad usare il cellulare. 
Dopo un quarto d'ora, la vettura si fermò in un cortile enorme. Avril si guardava in giro e ciò che vedeva le sembrava più un castello che una casa: era enorme e sembrava di un'altra epoca. 
I tre, seguiti dalla ragazza, entrarono in quella struttura. Luke aspettò che entrasse anche lei e chiuse a chiave la porta. Deglutì spaventata. Probabilmente questa azione fu catturata anche dagli occhi di Luke, poiché la guardò ridendo.
"Tu hai paura" constatò, continuando a tenere quel sorriso che la infastidiva.
Avril prese coraggio e "No," rispose. "io non ho paura proprio di nessuno. Tanto meno di te, Hemmings" disse quel nome con una tale cattiveria che anche lui ne rimase sorpreso. 
Si guardarono negli occhi, come per cercare di intravedere l'uno le paure dell'altro. Entrambi, in quel momento, avevano le iridi piene di rabbia, e il compito dei due era di passare oltre quel velo di odio e scovare tutte le loro vulnerabilità. Era una sfida, forse. Ed Avril, di paure, negli occhi di Luke, ne vide eccome. 
"Sono finite le birre, Luke!" urlò Calum dalla cucina. Fu ciò che bastò per far distogliere lo sguardo ai due, che erano ancora davanti alla porta d'entrata. Nessuno aveva detto niente, solo sguardi. E proprio in quell'istante, l'iPhone di Avril cominciò a suonare. 
Lo chiamavano tempismo. 
Lo recuperò e, leggendo sullo schermo il nome Veronica, le si dipinse un sorriso in volto. Era una delle sue migliori amiche, le mancava tantissimo la sua voce.
Il ragazzo davanti a lei la guardò per un'ultima volta e se ne andò in un'altra stanza.
"Pronto?" 
"Ascoltami, Avril. Non sono qua per chiederti come stai o com'è Sydney. Ho una cosa da dirti, ed è importante. Sono ad un bar vicino a Melbourne, ma non sono sola. C'è anche Jason." Bum. Il cuore di Avril, al sentire quel nome, balzò. Pensò subito al peggio.
"E...?" la incitò a continuare.
"E sta baciando una ragazza che non sei te." 
Il telefono cadde a terra, così come la lacrima che aveva già percorso la sua guancia. Iniziò a piangere, appoggiandosi al muro, e non gliene fregava niente se di là ci fosse stato Luke con i suoi amici. In quel momento, in realtà, non gliene fregava niente di nessuno.
Provava compassione per se stessa. Lacrime, mani tremanti, trucco sbavato, un cuore spezzato. 
"Avril, stai piangendo." Non lo sapeva neanche Luke se quella fosse una domanda o una conferma a ciò che aveva visto. Era lì, vicino allo stipite della porta, ed Avril non lo aveva nemmeno sentito. 
"No" affermò questa, senza guardarlo. Si asciugò una lacrima che minacciava di scendere e "Va tutto bene. Ora devo andare a casa, però." Sistemò la ciocca che le impediva la visuale e la sistemò dietro l'orecchio. 
"A casa? Ora?" le chiese, confuso.
Sospirò. "A casa, ora. Ciao, Hemmings." E uscì da quella maledetta casa.
A Luke non fregava per niente di ciò che era successo ad Avril. L'unica cosa a cui pensava era che aveva perso la scommessa, e che ora si sarebbe divertito. Eccome.




Hei people!
Partendo dal presupposto che questo capitolo l'ho scritto quando ero in viaggio tornando a casa dalle vacanze e l'ho finito stanotte alle tre, ma okay, lol.
Sinceramente, rileggendolo, non mi piace per niente. Sono abbastanza pessimista e sminuisco sempre ciò che scrivo, ma mi sembra di essere sempre banale e troppo scontata.
Boh, fatemi sapere cosa ne pensate voi con una recensione, se vi va. 
AH, stavo dimenticando: siamo ottavi nei popolari, oh shiiiit. Vi amo.

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Capitolo 4
*** Sadness. ***


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Sadness.

Avril camminava. Camminava e basta perché, se le avessero chiesto di fare qualsiasi altra cosa, non ne sarebbe stata capace. Camminava con lo sguardo di quelle persone che si trovano ai bordi delle strade isolate, buie e silenziose. Quelle persone che sanno di non avere più niente, che vivono semplicemente perché sono nate. Avril, in quel momento, aveva tutto questo negli occhi. 
La vibrazione del cellulare la fece sussultare. Estrasse l'iPhone dalla tasca con quella poca forza che aveva e lesse il nome: Jason.

03/feb/2013 14:40
Ti chiamo. J

Solo leggendo quel messaggio, si sentì ancora di più sprofondare. Una spiegazione precisa non c'era, forse perché sapeva che non era più la stessa persona dietro a quel cellulare e, sotto a quel nome, non avrebbe più ricevuto messaggi in cui le ricordava la sua presenza. Sapeva bene, però, di non voler sentire più la sua voce, perché sarebbe stato tutto diverso. Avrebbe preferito di più ricordare quella voce mentre le sussurrava di essere l'unica ragazza al mondo, e non per darle spiegazioni di un fottuto bacio. Jason, evidentemente, capì, e per questo optò per un messaggio. La ragazza, dopo alcuni minuti, per la seconda volta, sentì il cellulare avvisarla di un nuovo messaggio e lo aprì.

03/feb/2013 14:42
Avril, so che è imperdonabile, ma almeno volevo spiegare. Il fatto è che io credo di non sentire più niente per te. Sei stata importante, sei importante, e se sono qui a dirtelo è perché andare avanti a bugie faceva male sia a me e sia a te. E non è tutto. Ecco, Sophie non è solo la mia migliore amica. Ecco, ehm... Io sono innamorato di lei. So che adesso ti sto distruggendo, ma non potevo continuare con le bugie.

Se prima l'aveva scaraventata a terra, ora l'aveva fatta sprofondare giù, nel buio, dove non c'è nessuno, dove sei solo, solo con te stesso. Ed era così che Avril voleva essere, ora.
Sola.
Perché se non aveva Jason, allora voleva restare senza nessuno. Troppi ecco in così poche righe, troppa distruzione in così poche parole.
Si sedette sul marciapiede, lanciando via l'iPhone e portandosi le mani sul viso. Singhiozzava per la strada, così, seduta tra i pezzi del suo cuore in frantumi, e non gliene importava dell'attenzione che le rivolgeva la gente che passava in bici, o in macchina. Non importava più. Quell'attenzione non era da parte di Jason. 
Aveva i capelli che le ricadevano sul volto, ed ora erano bagnati dalle lacrime. Sembrava una psicopatica riuscita a fuggire da un manicomio, e non le importava nemmeno questo.
Solo ora si rendeva conto di aver fatto lo sbaglio più grande della sua vita a rinchiudere tutte le sue certezze in una sola persona.
Guardava il tramonto e pensava che fosse il primo ad osservare senza Jason. Sembrava la reincarnazione della disperazione: aveva perso tutto ciò che avrebbe voluto tenere stretta a sé per sempre. 

Quella sera, Avril fu ritrovata solo alle 23 da sua madre che stava ritornando dal lavoro. Era sdraiata su una panchina, non lontana dal suo quartiere, quando le luci della macchina le puntarono contro. Subito la donna scese per raccogliere quel corpo freddo. Avril sembrava aver perso vita e pensava che sì, era vero, senza lui. Sua madre non le fece neanche una domanda. Si vedeva il nervosismo da come premeva le dita sul volante, da come ogni tanto lanciava occhiate al sedile posteriore, dove sedeva la sua Avril. Appena arrivate a casa, il silenzio iniziò ad essere invadente.
"Vuoi qualcosa?" chiese la madre e quasi sussurrava, come se avesse paura di farle male. 
"No." Fece un enorme sospiro che le si bloccò a metà. Stava per arrivare un'altra serie di pianti. "Vado in camera, voglio stare da sola." Le sorrise, ma gli occhi piangevano.
La donna che aveva davanti comprese la figlia e annuì sospirando. Era preoccupata.

Passò la notte sveglia, a fissare il soffitto con occhi diversi rispetto a quelli della ragazza che si era appena trasferita a Sydney. Quegli occhi, adesso, erano come quegli sgabuzzini colmi di oggetti inutili, dimenticati e pieni di polvere, che se apri la porta ricadono fuori, poiché compressi in uno spazio troppo piccolo. I suoi occhi erano colmi di tristezza, di rancore, di male. E allora apriva la porta, come per gli sgabuzzini e lasciava scendere le lacrime.
Era sempre stata quella che amava di più, ecco qual era il suo problema.
Questa era una nuova Avril: impaurita, ferita e di certo, da ora in poi, non si sarebbe più fidata di nessuno.
E chi se ne frega dei locali e della musica a tutto volume, dei tacchi, dei cocktail e delle sigarette: per la sua serata perfetta, sarebbe bastato Jason.

La sveglia suonò, ma lei era già sveglia. Il cuscino era bagnato. Era lì che aveva soffocato tutto il suo dolore. Si alzò dal letto e compì tutto il rituale che ogni mattina faceva. Mentre si pettinava i capelli, pensava che quella fosse la prima mattina che si svegliava senza Jason. Ormai tutto doveva essere senza Jason, e questa era una novità che bruciava. Scese al piano terra e vide sua madre prepararsi un tè caldo. Quando si accorse di lei, le sorrise. Anche Avril lo fece, ma probabilmente era il sorriso più falso che avesse mai fatto.
Nessuna domanda nemmeno quella mattina.
"Buona scuola." 
"Grazie, mamma." Le rispose.
Vicky era lì, non aveva suonato. Tutti avevano paura della fragilità di Avril, ora, e avevano paura anche di un semplice avvertimento di fare presto.
La ragazza entrò in macchina come sempre, ma si sentiva la diversità. 
"Ciao Avril" la salutò.
"Ciao." Nn altro sorriso forzato.
"Come stai?" chiese Vicky, mentre mise in moto.
Avril sembrò bloccarsi e continuava a fissare la strada. La verità era che stava terribilmente male, ma non voleva dirlo ad alta voce. Così rimase in silenzio.
"Senti, per qualunque cosa, io sono qui, per consolarti. Okay?" 
Non rispose neanche questa volta la cugina, si limitò ad annuire con la testa, senza staccare gli occhi da tutto ciò che passava al di fuori del finestrino. 

Quando arrivarono a scuola, Avril vide Luke e si ricordò di lui solo in quel momento. Il dolore aveva prevalso, annebbiando ogni cosa, persino lui e i suoi amici. Cominciò a camminare più velocemente, lasciando indietro Vicky, che stava parlando con le altre ragazze e non si accorse di nulla. 
Troppo tardi.
Appena svoltato a destra, Luke la trovò, seguito anche da Calum e Michael. Avril si sentì una mano sulla spalla e automaticamente si girò, ritrovandosi faccia a faccia con loro. 
Tre contro uno. 
Luke le sorrise cattivamente e "Avril" la chiamò.
La ragazza guardò prima Michael, Calum e poi posò gli occhi che tralasciavano tutto il panico sul biondo. Non trovò la forza di rispondere, così Luke continuò il suo discorso.
"Ieri te ne sei andata" le ricordò. "E lo sai cosa significa?" 
"No." Deglutì, restando inerme. 
"Che ho vinto io."
Lo disse con un modo trionfante e malizioso, facendo intendere ad Avril di averla in pugno.
Cazzo, la scommessa. 
Se ne era dimenticata. E quando pensi che peggio non possa andare, succede esattamente il contrario. Una sensazione di paura cominciò ad innescarsi in lei, pensando a quale punizione potesse farle fare il ragazzo misterioso.
"Te ne eri per caso dimenticata?" Lentamente la sua mano raggiunse il mento di Avril e il pollice prese ad accarezzarle la guancia. 
"No" mentì. "Ieri è successo un imprevisto, la scommessa dovrebbe essere annullata. Non vale così." stava cercando di convincerlo, restando apparentemente calma e indifferente a quella vicinanza e a quel contatto. Apparentemente.
Luke ritrasse la mano ed emise un misto tra una risata ed un verso, facendo intendere ad Avril che non era riuscita a convincerlo. Vide poi Michael sorridere e le salì il nervoso: quel ragazzo era seriamente odioso con quei suoi sorrisi da presa per il culo.
La campanella suonò proprio in quell'istante e i tre, dopo aver guardato per un'ultima volta la loro preda, si allontanarono. 
Avril sospirò sul posto, per poi dirigersi in classe. 

Erano passate quattro ore e non se ne rese neanche conto: non aveva ascoltato neanche una frase. E adesso era ora di pranzo. Di solito, le due cugine si aspettavano a vicenda fuori dalla mensa per entrare insieme, ma quel giorno, appena la bionda uscì dall'aula di biologia, vide Calum spuntare da destra e prenderla per mano. Sussultò, presa dallo spavento e cercò di ritrarsi a quella presa, ma niente da fare.
"Calum! Che cazzo stai facendo? Lasciami!" gridò, in preda alla rabbia mista alla paura per ciò che sarebbe successo.
"Per Dio, Avril, non urlare e calmati." 
La gente li guardava corrugando la fronte, poiché nessuno si avvicinava più a Calum da anni.
"Mi stai facendo male!" continuò a lamentarsi.
Calum, che stava ad un passo davanti a lei, si girò a guardarla per un secondo ed Avril sentì la presa alleggerirsi. Ne rimase abbastanza sorpresa, ma rimaneva lo stesso incazzata. 
Iniziarono a salire delle scale che alla ragazza erano sconosciute.
"Dove mi stai portando?"
La domanda era inevitabile.
Lui non rispose, Avril s'impaurì.
"Calum," lo richiamò. "per favore. Dove mi stai portando?" 
Ma ormai erano già arrivati. Ora si trovavano in un corridoio stretto, dove c'era solo una finestra con i vetri sporchi, il pavimento con qualche mattonella rotta e una porta. C'era Michael, affacciato a quella finestra, con una sigaretta tra le mani che, non appena sentì i passi dei due, si voltò.
Sempre lo stesso sorriso.
Buttò via il mozzicone, aprì l'unica porta presente e ci entrò. 
Il moro non aveva lasciato la mano di Avril, anzi, ora si faceva più stretta per condurre anche lei in quell'aula. Gli occhi della ragazza vagavano da tutte le parti, cercando qualcosa di familiare, ma niente. Pensò che quella fosse una vecchia classe, ormai non più usata: c'erano tre banchi, un armadio grigio e due finestre, una delle due rotta. E infine, su un banco, erano seduti Luke e Michael. Anche Calum si affrettò a sedersi vicino a loro, ma il primo si alzò dopo poco per raggiungere Avril, che al momento si ripeteva di non avere paura.
"Ci si rivede, piccola."
Era così vicino che poté accarezzarle una ciocca azzurra.
Ma le sue punte azzurre non andavano toccate. Nessuno poteva. Non le importava della paura. Non le importava nemmeno se l'avrebbe ammazzata, proprio in quel pomeriggio, in quella stanza dimentica. Se la sua vita era Jason, che senso aveva continuare a vivere, adesso?
"Non sono piccola, ho la tua età, stronzo. E non toccarmi i capelli." e ora fammi del male.
Voleva dirgliela, quella frase. Ma non ci riuscì.
Luke bloccò improvvisamente la sua mano, guardando con occhi spalancati la ragazza. Non c'era nessun rumore. Anche gli altri due erano in religioso silenzio.
"Sai cosa? Ho deciso la tua punizione" annunciò. "E c'è una parte a tuo vantaggio e una a tuo svantaggio. Quale vuoi sentire per prima?" le domandò con un sorriso strafottente. 
Ma Avril non parlò e anche Luke capì che non avrebbe concluso niente, così decise lui da dove iniziare.
"Okay, decido io. Quella a tuo svantaggio è che dovrai usare le tue belle mani davanti a noi tre."
Gliele prese lentamente e "Non sto qui a spiegarti per cosa. La parte a tuo vantaggio è che sarai tu a scegliere uno di noi." continuò, girandosi verso gli altri due per indicarli e poi ritornò a fissarla.
Avril ritrasse le mani e fece un passo indietro, sconvolta.
"Stai scherzando? Non lo farò mai!" chiuse le mani a pugno, altrimenti lo avrebbe preso a schiaffi e dopo avrebbe peggiorato la situazione.
"Dai, Avril. Questo è il minimo, avrei potuto anche scegliere una punizione peggiore. Mi stai dicendo che non hai mai fatto una sega?" le chiese, ma sembrava più una provocazione. 
Avril iniziò a pensare che l'aveva fatto solo con Jason, che lui era stato la prima volta in tutto, per lei. Mentre lui chissà da quante mani era stato toccato, a parte da quelle di Avril. E magari, anche ora il suo corpo stava appartenendo ad un'altra ragazza. Fu questo pensiero a convincerla, ché tanto non aveva nulla da perdere. Perlomeno, dopo l'avrebbero lasciata in pace.
Un senso di disgusto invase Avril, che fece una smorfia.
"Okay." fu tutto ciò che disse.
"Brava, piccola. Quindi, chi scegli?" 
Ci stava riflettendo sopra, quando pensò che Calum fosse quello meno odioso di tutti e tre. Si spostò dalla posizione in cui era, sotto gli occhi di tutti, e si avvicinò a Calum. Questi non disse niente, semplicemente si alzò dal banco e ci si appoggiò con la schiena, restando in piedi. Avril gli si avvicinò ancora di più. Ora erano a pochi centimetri di distanza.
La prima mossa fu di Calum. Le poggiò dietro alla schiena la mano, facendo diminuire ancora di più la distanza. Avril prese coraggio e gli appoggiò una mano tremante su petto.
Per le bugie di Jason.
Scese fino ad arrivare all'altezza dell'ombelico, arrivando al bottone dei jeans. 
Per l'amore falso di Jason.
Appoggiò la mano sul cavallo dei pantaloni e sentì Calum lasciare un verso smorzato nell'aria. Il ragazzo le si avvicinò all'orecchio e "Mi dispiace." le disse a bassa voce, con il respiro irregolare. Sentendo l'erezione di Calum, si ricordò che quello era il primo ragazzo che toccava dopo Jason.
Jason, Jason, Jason.
"Non posso farlo." Tolse la mano di scatto. Aveva il cuore che sbatteva forte contro il petto, le girava la testa e l'unica cosa che voleva fare era vomitare.



Hei people!
Ho pianto troppo scrivendo questo capitolo, ché qui dentro ci sono io. C'è tutto quello che ho passato, ogni singola cosa che trovate verso l'inizio fino a metà capitolo, l'ho provata sulla mia pelle. Persino i messaggi che ho inserito sono reali. Probabilmente vi avrò annoiati con le mie considerazioni. E' un capitolo piuttosto triste, però mi andava di scriverlo così. E boh, rivivere queste sensazioni per scriverle mi ha messo un po' di cattivo umore. Spero che vi piaccia e di non aver deluso nessuno.
Volevo ringraziare tutte le persone che hanno aggiunto la storia nei preferiti fino a farmi arrivare quarta nei popolari :) 
Un ringraziamento speciale a Martina che mi s(o)upporta sempre, che mi da consigli.
Vi voglio bene.

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Capitolo 5
*** Unknown. ***


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Unknown.

Indietreggiò, fin quando la sua schiena non incontrò il muro freddo della stanza. Si portò una mano al petto, iniziando a respirare affannosamente, sotto gli sguardi confusi dei tre ragazzi. Calum si avvicinò velocemente ad Avril, seguito a ruota da Michael.
"Soffri d'asma?" chiese quest'ultimo.
"Sono emetofobica." Riuscì a parlare con difficoltà dopo lunghi respiri.
Entrambi assunsero delle espressioni spaesate, non capendo evidentemente cosa significasse quel termine. Qualunque fobia fosse, la fecero stendere a terra. Calum le teneva la testa sulle gambe e le accarezzava i capelli, tentando di farla calmare.
"Ha paura di vomitare" esordì Luke, avvicinandosi anche lui, con un tono calmo, in una situazione che di calmo non aveva proprio niente.
"Wow" si lasciò scappare Michael. "Non sapevo dell'esistenza di questa fobia."
Calum sentì che Avril smise di tremare.
"Stai meglio?" domandò, guardandola negli occhi lucidi, che sembravano aver preso un colore più chiaro.
La ragazza annuì.
"Ogni quanto ti capitano queste crisi?" le asciugò con il pollice una lacrima.
"Spesso" rispose alla sua domanda con tutta tranquillità, ora.
Era vero. Avril aveva dei veri e propri attacchi di panico dovuti a questa strana fobia. Erano oltretutto ingiustificati, e non si risolvevano mai con effettivi conati. 
Dopo poco si sentì sollevare dal pavimento e si ritrovò tra le braccia del moro.
"Dove la portiamo?" interpellò i due.
"Non saprei." Michael si passò una mano tra i capelli: ci stava pensando.
"Due." 
Silenzio.
"Portatemi da mia cugina" si intromise in quella discussione Avril, che iniziava a sentirsi a disagio in braccio.
"Dov'è?" le chiese. Intanto aveva già cominciato ad incamminarsi verso il corridoio.
"Non lo so. In ogni caso, puoi lasciarmi? Non voglio passare davanti a tutti in braccio a te."
Era tornata la Avril di prima. Scontrosa, testarda, fredda. Era incazzata e si sentiva umiliata: non avrebbe più dimenticato ciò che le era stato imposto di fare. 
Calum non replicò e la lasciò.
Mentre camminava a fianco a lui, pensava che non si sarebbe più avvicinata, nemmeno lontanamente, a nessuno dei tre. Era troppo, per Avril. Era ferita e in quel momento, sotto lo sguardo di tutti e tre, si era sentita così indifesa, così sporca. Sotto la pressione della paura aveva accettato, ma ora, se ci ripensava, credeva di aver fatto una totale stronzata. Non se lo sarebbe perdonata per un po' di tempo.
Si girò indietro e si accorse della mancanza degli altri due, ma non fece domande. 
Cercando tra la gente il volto di Vicky, la vide. Fece un sospiro di sollievo e "Resta qui, vado da sola" disse.
"Oh... Ok." Pensò che Calum, quando faceva facce perplesse, fosse davvero buffo. 
Sorrise quasi invisibilmente e si diresse verso la cugina.
"Avril." Si sentì chiamare. Si voltò e delle braccia la avvolsero completamente. Non ricambiò l'abbraccio, ma in quei secondi percepì delle scuse mute. Scuse che, anche se non parlavano, si facevano sentire. 

"Allora dove cavolo sei stata?!" chiuse la portiera così forte da far muovere di alcuni centimetri la macchina. "Avevi promesso che oggi avremmo pranzato insieme e che avresti conosciuto Miriam!" la rimproverò.
"Lo so, scusa. La professoressa mi ha assegnato un progetto lunghissimo e gliel'ho dovuto consegnare entro oggi" mentì quasi sottovoce, mentre si rannicchiava sul sedile.
Vicky sbuffò e mise in moto.
"Fa niente, va" parlò più a se stessa che alla ragazza di fianco.

Erano le 23:20 ed Avril stava fissando la bacheca che era appesa in camera sua, posta al muro, sopra la scrivania. Solo due giorni fa era stracolma di foto con Jason, tutte con diverse facce, con sguardi felici. Ora la osservava e ciò che vedeva erano post-it pieni di numeri. Essi, in realtà, stavano a significare i minuti, le ore e i giorni da quando non sentiva più Jason. Probabilmente, qualsiasi persona avrebbe pensato che questa ragazza fosse una psicotica da rinchiudere in un centro psichiatrico, ma per Avril, che era dentro a questo casino, sembrava fosse soltanto un'alternativa al suicidio.
Prese il post-it, quello appeso a destra e lesse 16 ore. Sedici fottutissime ore che non piangeva. 
"Al diavolo" sussurrò, mentre stracciava quel foglietto giallo. Non poteva continuare a deprimersi, aveva ancora tutta la vita davanti. 
Quella sera, aveva deciso di uscire, di fumarsi qualche sigaretta per rilassarsi e, soprattutto, non ne poteva più di restare chiusa nella sua stanza, che ormai aveva preso un'odore soffocante di chiuso.
Prese il cappotto bianco e scese le scale lentamente, per evitare di farsi sentire da sua madre che attualmente era nella sua camera a leggere un libro.
Uscì di casa con passo felpato. Affondò le mani nella tasche, ma non faceva nemmeno tanto freddo. Le strade erano umide, alcune illuminate da dei lampioni, altre solo dal chiarore della luna. 
Arrivò in una zona abbastanza movimentata. Lesse l'insegna Movida di un locale apparentemente strapieno, dato che c'erano ragazzi anche fuori, tutti con un bicchiere in mano di qualche strano alcolico. Oltrepassò quella strada e vide un altro locale, una gelateria con vicino un parcheggio e più a destra un parco. Optò per questo, che le sembrava un posto tranquillo. 
Entrò e fu avvolta dal buio. Prese il cellulare per far luce, lo puntò in basso per vedere dove stesse mettendo i piedi. Il terreno era ricoperto da sassolini, e verso i lati invece si trasformava in un prato. A destra c'erano diversi alberi e qualche panchina, e solo alla fine del parco alcuni giochi. Pensò che quella non fosse un'area frequentata molto dai bambini, ma più che altro da brutta gente. 
Ciò che c'era intorno iniziò ad incuterle una certa paura. Sapeva di non essere sola, vedeva delle persone, che le risultavano agli occhi come ombre, dietro a degli alberi, alcune sulle panchine, altre sdraiate semplicemente. 
Avril si sedette sul prato, prese il pacchetto delle sue Lucky Strike e ne accese una. Non aveva il vizio del fumo, ma ogni tanto le piaceva accendersene una. Si perse tra i suoi pensieri, quando sentì una presenza sedersi di fianco a sé. Girò subito la testa in quella direzione e vide Luke.
"Luke?" chiese sorpresa.
"Sì, è il mio nome." Rise.
Non fa ridere.
"Che ci fai qua a quest'ora?"
Nessuna risposta.
Passò tra di loro un momento imbarazzante di silenzio, ma poi il biondo prese in mano la situazione.
"Vuoi venire là con i miei amici?" 
"Te lo scordi" affermò freddamente, buttando la sigaretta.
"Non usare questo tono con me, ragazzina."
Si stava arrabbiando.
Avril non rispose, aveva paura di dire qualcosa di sbagliato. Era certa, però, di non voler passare una serata tra quei pezzi di merda, dopo ciò che era successo.
"Dai, muoviti." Si alzò e afferrò la sua mano, facendo per alzarla, contro la sua volontà. Una volta in piedi, la prese per il braccio e cominciò a trascinarla.
"Hemmings! Lasciami, non voglio!"
Ma lui non l'ascoltava.
Arrivarono in una zona del parco se possibile più buia delle altre. Avril si guardò un attimo intorno e vide delle sagome nere, sedute alcune su due panchine, altre su una specie di gradino che faceva da rialzo ad una statua posta al centro.
Stavano parlando, ma quando la videro, calò il silenzio.
"L'ho trovata sul prato" spiegò Luke, prima di sedersi. Le prese la mano, tirandola verso il basso, intimandole di sedersi a fianco a lui. 
Lo fece. Si sentiva tremendamente a disagio sotto gli sguardi di quelle persone, tanto che si girò dall'altra parte. Il ragazzo prese una bottiglia di vino che era appoggiata per terra e fece un sorso. L'avvicinò al viso di Avril, chiedendole silenziosamente se ne volesse, ma lei scosse la testa. 
Udiva dei discorsi che lei non aveva mai sentito prima d'ora, discorsi che le sembravano arrivare da un'altra epoca. Capì di non c'entrare proprio un bel niente con quelle persone.
"Io la coca l'ho provata, ma mi fa schifo." Questa era sicuramente la voce di una femmina. Ne restò sorpresa, ma ciò che sentì dopo la lasciò ancora di più senza parole.
"Anche io l'ho provata, ma solo una volta." Perché quello era Calum. Quella voce apparteneva a lui. Alzò lo sguardo e lo vide, seduto più in là.
Si guardarono senza espressioni, senza emozioni.
"Passatemi l'erba" disse Luke. 
Un ragazzo si alzò e gliela porse in un sacchettino trasparente. 
"Che qualcuno mi faccia luce perché non vedo una cazzo." Calum si avvicinò con il cellulare e fece come era stato detto. L'altro iniziò a maneggiare con una sigaretta vuota, una cartina e "Porca merda! La carta filtro!" sbraitò.
"Ehi amico, stasera dovresti calmarti un po'."
"Tu stai zitto, ché stasera hai già rotto i coglioni." 
Dopo circa un quarto d'ora, il biondo aveva quasi terminato. Lei aveva osservato attentamente ogni suo gesto, rimanendo in religioso silenzio. Ad un certo punto, Luke si girò verso di lei e, con uno sguardo malizioso, leccò lentamente la cartina per chiuderla, e finire con un sorrisetto sul volto, vedendo la ragazza imbarazzarsi. Si accese la canna e un odore disgustoso invase le narici di Avril, che fece un'espressione schifata.
"Vuoi un tiro?" 
"No."
La canna intanto aveva già fatto il giro di tutti gli altri ragazzi seduti vicino, fino a quando dei fari che riuscivano ad illuminare tutto il parco non fecero irruzione. Quasi tutti si agitarono sul posto, alcuni si alzarono e si spostarono più in là.
"I pinguini" disse Calum.
Luke, che era girato, a sentire quelle parole fece uno scatto disumano. 
"I pinguini? Stai scherzando?! Cazzo!" Buttò immediatamente la canna in una siepe davanti. 
Avril aveva la tachicardia, sebbene non stesse capendo niente. I pinguini?
"Stai tranquilla e zitta, okay?" le ordinò Luke. E subito dopo si ritrovarono una torcia puntata in faccia. Il ragazzo di fianco a lei sospirò di sollievo, non capì nemmeno il motivo, ma ciò non la tranquillizzò. Non sentiva quasi più le gambe, le sembravano così deboli.
"Vediamo un po' chi abbiamo qui" irruppe una voce maschile.
Luke si alzò all'improvviso e "Buonasera" lo salutò. "Sono Hemmings." Sfoggiò un sorriso strafottente.
"Vecchie conoscenze, allora. Insomma, avete qualcosa?" Ripuntò la torcia su tutte le facce presenti.
"Ovvio che no. Solo una bottiglia di vino." La prese. "Vede?" 
"Mh, okay. Tu chi sei?" Guardò un altro ragazzo un po' più distante. 
"Clifford."
C'era anche lui.
"Carta d'identità?"
Senza fare storie, la estrasse dalla tasca e gliela diede.
"Un giorno passo qui, ma con i cani. E se vi trovo qualcosa, minchia, sono cazzi vostri."
Avril sbarrò gli occhi per il modo in cui aveva pronunciato quella frase. Non era abituata a queste cose, lei. E in quel momento era inerme, anche se voleva alzarsi e scappare. Era terrorizzata e continuava a maledirsi per essere andata lì, con loro.
"Abbiamo anche una donzella." E una luce l'accecò.
Non disse niente, non si mosse nemmeno di un centimetro.
"Si è aggiunta alla combriccola?" continuò il poliziotto.
"No, cioè..." Non riusciva nemmeno a parlare. 
"Lei è la mia ragazza, mi tiene d'occhio." 
Tutti puntarono gli occhi verso Luke, ma poi annuirono. Tutti, tranne Avril che rimase sconvolta. 
"Okay. Mi raccomando, ragazzi." Li scrutò ancora un po' e poi si diresse ancora verso la vettura. 
La ragazza fece un sospiro enorme e si mise una mano sul cuore.
"Dio santo, vi odio. Ho avuto una paura assurda e non c'entravo niente!" 
I fari della macchina si riaccesero.
"Mi sembra di stare in un film" esordì Luke, che era ancora in piedi e osservava la macchina andarsene. 
Quella frase spiazzò Avril, ma stette zitta. 
La situazione si era calmata, tutti stavano muti, presi dai loro pensieri. Si ritrovò a riflettere sul fatto di non aver più così tanta paura di Luke. Insomma, in quel momento, non temeva di essere assalita da lui o dai suoi amichetti; semplicemente nessuno parlava, e le stava bene così. Sapeva, però, di non dover abbassare la guardia. Non aveva dimenticato della penitenza subita, non aveva dimenticato i suoi sguardi pieni di rabbia, le sue frasi scontrose.
Luke Hemmings era un'incognita.









Hi people!
Sono tornata presto stavolta :) 
Ok, allora, come prima cosa vi dico che questo credo sia il capitolo più schifoso che io abbia mai scritto. Credo sia solo un...'capitolo di passaggio'? Sì, credo di sì, perché gli avvenimenti ci saranno nel prossimo.
Comunque, questa storia è seconda nei popolari, e io mi sto facendo un sacco di paranoie. Leggo tutti i giorni ff, e quelle sono vere ff, scritte bene. Questa non compete proprio per niente. Alcuni giorni mi passa anche per la testa di cancellarla. Boh, non voglio stare qui a fare compassione, ditemi solo cosa ne pensate voi.
Un ringraziamento speciale a FrenkloveJONAS che recensisce ogni capitolo e che mi supporta tutti i giorni!
Vi voglio bene, ricordatelo :)
Ps: ho inserito delle immagini a fine capitolo come mi era stato esplicitamente chiesto nelle recensioni, sono carine a fine capitolo lol

il mio twitter: funklou
quello di Martina: danswtr


E qui c'è il nostro Luke Hemmings:




Calum Hood:




MIchael Clifford:




E qui c'è anche la nostra Avril, che sarebbe una delle furchest twins :)

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Capitolo 6
*** Some shit. ***


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Some shit



Alcune volte pensare troppo può distruggere l'uomo.
Soprattutto la notte. 
Quando tutto è buio, e i pensieri si disperdono nell'oscurità, dove il silenzio sembra quasi un rumore continuo.
E Avril ha sempre avuto paura di pensare, prima di addormentarsi.
La sera, tornata dal parco, la sua paura si era trasformata in realtà, ritrovandosi dispersa tra un mucchio di pensieri banali, futili, seri, preoccupanti.
Ed era giunta ad una conclusione: confessare a Vicky tutto ciò che le era accaduto negli ultimi due giorni.
Si sentiva una codarda ad averle tenuto nascosto tutto e, per mettere a tacere i suoi sensi di colpa, decise di dire tutto a sua cugina.
 
Ore 7:45 del mattino: viaggio casa-scuola con Vicky.
Avril aveva un brutto aspetto, con due occhiaie piuttosto visibili, che circondavano un paio di occhi tristi. Si ripeteva: "Adesso tolgo le cuffie, mi giro e sputo la verità tutta d'un fiato, senza guardarla negli occhi. Magari mi viene più facile." e invece lasciava che le parole di Ed Sheeran in The A Team continuassero a rimbombarle nelle orecchie, senza nemmeno sentirle. 
Improvvisamente, estrasse le cuffie dalle orecchie, si girò di scatto verso Vicky e prese a guardarla.
"Si?" domandò questa.
E Avril restò in silenzio, un silenzio colmo di parole, tutte morte nella sua bocca.
"Tutto bene, Avril?"
"No" rispose così, automaticamente, senza nemmeno pensarci.
Vicky sospirò a lungo e "Quando Veronica mi ha raccontato ciò che era successo, ci sono rimasta malissimo. Quindi non oso immaginare come stia tu ora, se devo essere sincera" disse. Si tolse la cintura: erano arrivate.
La bionda fu sorpresa da quella frase, ma non ne fu contenta. Odiava fare compassione agli altri, ed aveva stabilito che, pur di non far pena alla gente, avrebbe mentito, fingendo di star bene.
Scesero dalla Range Rover e insieme si incamminarono verso le tre amiche di Vicky.
E, mentre camminavano, ad Avril fu chiesto dalla cugina se le mancasse tanto Jason. Lo fece quasi con un sussurro, in modo che nessun altro sentisse.
"Non tanto" mentì, per la millesima volta. E fu contenta che l'altra non controbatté.
 
La prima ora di quel venerdì mattina, le due cugine si ritrovarono a seguire la stessa lezione. Molto noiosa, ma poteva andare decisamente peggio. 
Letteratura inglese era ciò che spettava ad Avril alla seconda ora. In fin dei conti, non era così male, se solo Michael Clifford non fosse stato nella stessa classe. Quel ragazzo la intimoriva da morire, forse anche agli stessi livelli di Luke. 
Aveva preso posto al banco più lontano da suo: il solo pensiero di dover stare in quel quadrato di cemento con quel soggetto le faceva venire ansia e nausea.
Avril non dimenticava niente.
Michael la osservava. Aveva osservato ogni centimetro della sua pelle, ogni movimento, anche quelli più impercettibili. E lei lo sapeva bene. Pensava che lo stesse facendo per dispetto, per farla sentire a disagio, per farle paura. E forse, ci stava pure riuscendo. 
Quando la campanella suonò, decise di prendersi il suo tempo e i suoi spazi. Sapeva che, se fosse stata ancora per molto tra i corridoi, avrebbe sicuramente incontrato Luke, così le passò per la testa di riandare in quella vecchia classe, al piano superiore. Le sembrava una buona scelta, poiché, quando c'era stata, nessuno era passato di lì. Un posto tranquillo, insomma.
Si era guardata un po' attorno e aveva salito le scale, ritrovandosi davanti alla porta. 
La sua pelle bianca, i suoi occhi chiari e grandi.
C'era disordine, in quella stanza. E le finestre rotte sembravano sbarre di prigioni.
C'era Michael Clifford, appoggiato alla finestra, con una sigaretta perennemente accesa e gli occhi puntati su quelli di Avril.
Brutta scelta.
La ragazza indietreggiò d'istinto, con un'aria alquanto allarmata. 
"Avril" constatò.
E le prese a battere ancora più forte quello stupido organo. 
"Anche tu qui?" le domandò ma, vedendola allontanarsi ancora di più, "Non andare" aggiunse.
Quando lo vide camminare verso di lei, pensò di essere totalmente spacciata. Ormai i due erano troppo vicini per sfuggire. Michael lasciò uscire fuori dalla bocca il fumo della sigaretta che poco fa aveva lanciato fuori dalla finestra, provocando una smorfia ad Avril.
Non scappare, non guardarlo negli occhi, resta calma. 
Troppi comandi dettati disordinatamente, che la mandarono ancora di più in panico. 
Il giorno prima aveva detto di non aver più così tanta paura, ma ora doveva ricredersi.
Intanto Michael la prese per i fianchi e condusse entrambi vicino al muro. Sentiva il freddo contatto con la parete, sempre più percepibile, poiché lui continuava ad accorciare le distanze. Sentì il respiro leggero del ragazzo vicino al collo e rabbrividì. Le sue mani erano ancora ai fianchi di lei, il suo corpo completamente aderente al suo e ormai i loro respiri si stavano confondendo. 
Si sentì oppressa, quasi schiacciata. 
Il viso di Michael si spostò di poco e, dopo aver guardato negli occhi della sua preda, posò le labbra sulle sue. Avril sbarrò all'istante gli occhi. I pensieri le si erano bloccati, e poi avevano riniziato a girare troppo velocemente per la testa.
Era tutto sbagliato.
Imbarazzata, fece finire quell'insulso bacio, poggiando le mani sul petto di Michael e spingendolo via.
"Che stai facendo?!" lo rimproverò, ancora attaccata al muro.
E non aveva la minima idea di cosa pensare. La testa le pulsava, forse non voleva nemmeno pensare. Il ragazzo fece un altro passo indietro.
"Dai, vai" le ordinò, freddo, lasciando per la prima volta lo sguardo della ragazza.
Ma lei non capiva, restava solamente ferma e intimorita.
"Avril, porca puttana," si passò velocemente una mano tra i capelli biondi chiari. "ho detto che devi andartene!" urlò.
Balzò quasi dallo spavento e non se lo fece ripetere una sola altra volta. Si ricompose e oltrepassò Michael, uscendo dalla classe. 
Aveva le mani sudate e il respiro irregolare, quando andò incontro a Vicky.
Avril era strana, o meglio, diversa dalle altre persone. Era una di quelle ragazze chiuse, ma chiuse col lucchetto, per non far uscire la tristezza, l'odio, la rabbia, l'amore, la felicità, i pensieri, le parole. Lei aveva di tutto. Forse, la si poteva definire come un vulcano inesploso. Era una di quelle persone che stava accanto agli altri, ma non a se stessa. 
Per questo, appena vide Vicky, l'abbracciò.
Senza troppe cerimonie, senza spiegazioni. 
Lo stesso fece l'altra.
Senza chiedere motivazioni.
Restarono così per secondi intensi, non badando agli altri studenti. Avril aveva anche iniziato a singhiozzare, e Vicky le carezzava piano la schiena.
Mentre fissava la fine del corridoio, pensava che Sydney fosse la scelta sbagliata, che la felicità si fosse dimenticata di lei.
Col tempo aveva acquisito la capacità di apparire normale, mentre dentro stava cadendo a pezzi. Funzionava così bene che a volte le veniva da piangere, perché nessuno si accorgeva che aveva bisogno d'aiuto.
L'abbraccio s'interruppe.
"Grazie" mormorò.
"Vai in bagno a sciacquarti la faccia, su. Ci vediamo a mensa." Le sorrise.
 
Ascoltò il suo consiglio ma, quando stava per uscire, udì delle voci provenienti dal bagno accanto, ovvero quello dei maschi. Riconobbe subito la voce e fece marcia indietro, cercando di nascondersi.
"Mi manca" sentì dire sommessamente da Luke.
Un rumore provocato da un gesto violento riecheggiò nell'aria e una porta sbatté. 
"Lo so, cazzo. Manca anche a me, anche a Michael. Ma non serve reagire così, Luke." Questa, invece, era la voce di Calum. 
Avril rimase ferma e immobile nel bagno, fino a quando i passi dei due non si allontanarono, fino a scomparire. Poi uscì e ritornò a lezione.
Era più confusa che mai. Chi diavolo poteva provocare la mancanza di una persona a Luke Hemmings?
 
Così passò quella giornata scolastica.
Durante il viaggio di ritorno, stranamente, nessuna delle due cugine parlava. Vicky era sempre stata la ragazza solare, con la battuta pronta, e questo cambiamento improvviso faceva un po' male ad Avril. Iniziava a sospettare che magari avesse scoperto tutta la questione su Luke, Calum e Michael. 
Stava letteralmente impazzendo tra Jason, loro tre, Vicky. Così sbottò.
"Devo dirti una cosa" esordì, torturandosi le mani.
L'altra si girò, distogliendo lo sguardo per un attimo dalla strada e la incitò a continuare.
"Una cosa abbastanza seria" specificò.
Lasciò passare alcuni secondi e cominciò.
"Ho parlato con Luke Hemmings. No, cioè, in realtà anche con gli altri suoi due amici. E lo so che tu ora starai per arrabbiarti, dicendomi che mi sono messa in un casino, ma non serve dirmelo, perché lo so già." Si morse il labbro quando la cugina fermò di colpo la macchina.
Porca puttana, sono finita.
Ora tutte e due si stavano guardando. Vicky la guardava scioccata, Avril preoccupata.
"E' per questo che oggi piangevi?" 
"Sì. Anzi, non proprio. Michael mi ha baciata e poi mi ha urlato contro."
Questo non dovevo dirlo.
"Oh mio dio." Dire che era sconvolta era dir poco.
"Già." Avril sospirò.
"L'unica cosa che ti avevo chiesto di fare, non l'hai fatta. Non ti capisco, davvero." Si passò nervosamente una mano fra i capelli lunghi e "Sei nella merda" affermò.
Avril si sarebbe aspettata una reazione diversa. Avrebbe preferito gli schiamazzi della cugina, invece si era sentita solo dire di essere nei casini. 
Nel frattempo la macchina era ripartita.
"Ti hanno fatto qualcosa di male?" la interrogò.
Ci pensò su e optò per un "No". E si sentì davvero male in quel momento. Capì di essere sola, che per uscire da quella merda avrebbe dovuto affidarsi solo a se stessa. Vicky probabilmente adesso la considerava un caso perso, e avrebbe dunque dovuto ritrovarsi da sola.
La suoneria di un cellulare si propagò nella Range Rover.
Il messaggio, da un numero sconosciuto, andava dritto al punto.
 
"Hai fatto bene a mentire, piccola Avril. Non ti credevo così intelligente."
 
Ogni muscolo della ragazza aveva subito un'istantanea paralisi. Aveva gli occhi puntati sullo schermo e le mani che reggevano il telefono erano completamente tremanti. 
Si girò a guardare la cugina e per fortuna era ancora intenta a guidare.
Decise di rispondere.
 
"Chi sei?" digitò.
 
Bloccò lo schermo e tenne quell'aggeggio ancora tra le mani, aspettando una risposta con ansia.
 
"Due."






 

Hei people!

Ok, ok. Avete il diritto di decapitarmi. Avevo detto che avrei aggiornato prima, ma non l'ho fatto. Il problema è che ho davvero troppi compiti da fare lol
Anywayyyyyy. Nelle recensioni mi scrivete in molte che avreste voluto anche Ashton nella ff. Lo so, perdonatemi!
Ah, ho preso una frase che c'è nel capitolo da Tumblr, ora sinceramente non ricordo neanche quale fosse, l'ho scritto alle quattro di notte, scusate lmao
Voglio ringraziare tutte le bellissime 60 personcine che hanno messo la storia nelle seguite e le 44 meraviglie nelle preferite. Che poi il primo capitolo ha raggiunto le 1000 visualizzazioni!
Voi non lo sapete, ma io vi voglio proprio tanto bene. 
E voi, lettori fantasma, fatevi sentire con una recensione, così ho più opinioni e saprei dove migliorare :)
Detto questo, vi saluto. 


E congratulazioni a Zayn e Perrie!
Ok, questo non c'entrava niente, scusatemi lol

Bye!

il mio twitter: funklou
quello di Martina: danswtr
(che mi manca dato che è in vacanza cc)

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Capitolo 7
*** Luke is empty. ***


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Luke is empty.

Sentì uno strano formicolio alle gambe.
Si girò così veloce da far muovere tutti i capelli e lo vide.

Luke.
Stava sorridendo, lo poteva vedere, nonostante la lontananza che continuava ad aumentare. La macchina era ferma, parcheggiata in un prato a destra della strada. Aveva il braccio fuori dal finestrino e in mano teneva una sigaretta accesa. 
Si rivoltò ed era consapevole di avere paura. Di non stare per niente bene, di stare per avere una delle sue crisi. Così si ritrovò a pensare che avrebbe dovuto calmarsi, che avrebbe dovuto respirare profondamente, che tutto sarebbe andato bene. Era terribile essere a conoscenza del fatto che si stesse consolando da sola. Non sua cugina, non qualcun altro. Se stessa. Strinse forte gli occhi e una lacrima cadde rapidamente sui suoi pantaloni. Si portò una mano al petto e disse: "Non voglio vomitare." e cominciò a dimenarsi sul sedile. 
La testa di Vicky scattò in sua direzione e sembrava che fosse sconvolta. Ovviamente non era a conoscenza della sua emetofobia.
"Avril, che stai dicendo? Cos'hai?" le chiese ansiosa. Ma lei sentiva solo il forte battito del cuore. 
Attraversò la strada principale e svoltò a sinistra, la via di casa sua. Quando la Range Rover si era ormai fermata davanti all'abitazione, era ancora in uno stato di panico. Vicky si slacciò in un nano secondo la cintura con mani frettolose e tremanti, scese dalla macchina e, subito dopo, aveva già aperto anche la sua portiera. Alle lacrime si erano aggiunti veri e propri singhiozzi. 
"Non voglio vomitare!" continuava a ripetere. 
"E non vomiterai, Avril. Tranquilla. Ora si sistema tutto." Le accarezzò la guancia, più scombussolata che mai.
Vicky non aveva idea di cosa stesse succedendo e non si azzardò a fare mosse false. Aspettò soltanto che Avril si calmasse. E dopo poco lo fece. Smise di piangere e il respiro ritornò regolare. Prese un fazzoletto dalla borsa, si asciugò le lacrime e si decise a scendere dalla macchina.
"Stai bene?" domandò premurosa Vicky, mentre si faceva più indietro per lasciar scendere la cugina.
"Sì." Mise una ciocca di capelli dietro l'orecchio e prese la borsa. "Scusa."
"No, tranquilla. Mi hai fatta solo prendere un colpo. Posso restare da te?"
Esitò un po' in quegli istanti di silenzio e "Okay" acconsentì.

"A che gusto lo vuoi lo yogurt?" urlò per farsi sentire. Aprì il frigo e "C'è al cioccolato, alla fragola..." scostò qualche bottiglia, "Gli altri li ho finiti io" ridacchiò.
"Va bene alla fragola." Sentì dire dal soggiorno.
Prese gli yogurt, due cucchiai e attraversò la cucina per andare nell'altra stanza. 
"Noi dobbiamo dirci molto, signorina." Vicky cominciò a mangiare il suo yogurt e nel frattempo osservava Avril come per ispezionarla.
"Si?"
"Si."
"Sono emetofobica." Prese un'altra cucchiaiata e "Ho paura di vomitare" aggiunse.
"Ah" si stupì "Da quando?"
"Non lo so precisamente."
"Mmh. Mi hai fatto prendere un bello spavento, cazzo! Ehi, aspetta, io non volevo parlare di questo, però."
"E di cosa?" 
"Di quei tre deficienti." 
Bene, tutto ciò di cui in realtà non voleva parlare. E un irruente male di pancia la travolse: ansia. Quei ragazzi erano la sua rovina, il suo vicolo cieco. 
"Mmh."
"Insomma, perché? Perché ti sei avvicinata a loro? A me mettono una certa suggestione" affermò.
"E' successo per caso. Mi sono scontrata con Luke, tutto qui" le rispose come se niente fosse. Come se fosse sempre stata una ragazza superficiale, come se tutto ciò non la muovesse neanche di un centimetro, come se fosse indifferente a quel casino, facendolo passare per una normalità.
"E come sono?" Posò il contenitore dello yogurt ormai finito a terra e si sistemò meglio sul divano per ascoltare attentamente la ragazza.
"Uhm..." ci pensò su. E in quell'istante decise che essere sincera sarebbe stata la cosa giusta da fare.
"Calum è un tipo a posto. Sembra quasi gentile e premuroso. Gli altri due un po' meno: Michael ha atteggiamenti davvero strani, credo sia bipolare. Alcune volte è calmo e silenzioso, appare quasi come chiuso in una bolla tutta sua. Non so se rendo l'idea. Ha il suo mondo, e quando ne esce è piuttosto cattivo. Poi c'è Luke, che è quello che più mi incute paura. Mi fa paura perché si nasconde col suo fare misterioso..." aggrottò la fronte per riuscire a concentrarsi e "Non saprei. Penso di essere un oggetto senza valore per lui. Anzi, un po' tutte le persone lo sono, a dir la verità" aggiunse infine.
Vicky la stava osservando, catturando ogni sua parola, ogni sua espressione e poi si girò a guardare la televisione.
"Okay" commentò. "Che tipi strani." 
"Già." 
Sapeva che Vicky fosse più che diffidente. Era convinta che Luke avesse ucciso il suo migliore amico e non si smuoveva da quella convinzione. 
Ma la convinzione è una cosa brutta.

Verso le 22:15 la porta si aprì e fece comparsa Isabella, la madre di Avril.
"Ciao mamma!" 
"Ciao Isabella" la salutarono entrambe con un sorriso.
Anche lei ricambiò il saluto.
"Allora? Come sta tua madre, Vicky?" Iniziò a sistemare qualcosa in cucina. Maniaca dell'ordine.
"Bene, ha detto che ti saluta." 
"Ah, anche io! Ora scusate, ragazze, ma sono davvero stanca. Vado a dormire. Buonanotte." 
I passi sulle scale si confusero con le parole proventi dalla televisione.
"Buonanotte."

Alle 23 anche le due cugine andarono a dormire nella piazza e mezza di Avril.
Ma lei non riusciva affatto. Continuava a girarsi nel letto, a cercare una posizione comoda, a sotterrare quei pensieri che uccidevano. 
Erano le due di notte quando iniziò a piangere silenziosamente. Fissava incessantemente il muro come se da tutto ciò dipendesse la sua vita. 
"Jason?" il sussurro di Vicky fece eco nella testa di Avril. Un sussurro tagliente.
"Sì." Lasciò sfuggire un singhiozzo. "Mi manca da morire." percepì due braccia intorno al corpo.
"Non ci sentiamo da giorni..." lasciò la frase in sospeso "e la cosa triste è che è triste solo per me." e l'abbraccio si fece più stretto, mentre una mano accarezzava la pelle febbricitante della schiena. Rimasero così fino a quando la tensione del corpo di Avril non si allentò e Vicky non allentò la stretta del suo abbraccio, pur restando aggrappata a lei. 

Avril si svegliò e si accorse di essere sola con la coperta aggrovigliata, immersa nella fioca luce grigia del primo mattino. L'aria nella stanza era fredda e umida, leggermente stantia.
Si alzò in piedi a fatica con gli arti indolenziti. Scese al piano inferiore e trovò il viso allegro della cugina che spalmava la marmellata su una fetta biscottata.
"Buongiorno dormigliona!" 
"Buongiorno." La voce di chi si è appena svegliato fece ridacchiare Vicky. La cugina le sorrise e si avvicinò, aprendo una scatola di cereali. 
"Oggi è sabato" esordì.
Avril la osservò perplessa "E...?"
"E andiamo a divertirci stasera." Mise su un ghigno.
"Nel duemilaecredici" ribatté l'altra quando ebbe finito di prepararsi la colazione.
"Ma questo posto dicono sia molto alla moda. Si chiama...uhm. Ah, si. Black And Gold! Solo il nome ti fa pensare a qualcosa di figo. No?" Sembrava davvero eccitata solo all'idea. Avril poteva immaginare le scene che apparivano nella testa di Vicky: tavoli che quasi brillavano, musica alta che rimbombava nel petto, masse di corpi che si muovevano a caso. Immaginava anche di avere una faccia schifata al momento, siccome la cugina si affrettò subito a convincerla.
"Dai, Avril! Hai bisogno di un po' di divertimento!" fece il labbruccio.
"Sei una rompipalle." 
"Questo è un sì?" incrociò la dita.
"Non lo so" sospirò.
"Chiamo io tua madre, spiego tutto, ho anche un vestito per te! Verranno anche Alexia e Nicole." 
Il sorriso che in quel momento aveva Vicky le diede la spinta per accettare. Un po' di distrazione non le avrebbe fatto per niente male, ma era una ragazza con diversi gusti rispetto alle altre adolescenti. Preferiva di gran lunga passare la serata seduta su un letto, con la schiena poggiata al muro, la luce della abat-jour che illuminava parzialmente la camera e un libro in mano. Questo era il paradiso per Avril. Perché i libri non la giudicavano. Non si arrabbiavano, non picchiavano, non si lamentavano e c'erano sempre quando volevi. Altro che tutta quella gente stupida in discoteca.

In ogni caso, dopo un pomeriggio passato ad oziare, le 22 erano già arrivate. 
Avril era davanti allo specchio da ormai venti minuti ad osservare la persona che non era. Vicky l'aveva trasformata: indossava un vestito di chiffon color perla rosa, senza spalline, che le arrivava qualche centimetro sopra le ginocchia e lasciava nuda la schiena. La scollatura a cuore le risaltava il seno e proprio per questo non si sentiva a suo agio. Per fortuna, aveva lasciato decidere a lei come truccarsi. 
Vicky la chiamò e col suo tacco 12 cercò di scendere il più normale possibile le scale per raggiungere la cugina senza sembrare un bradipo incinto.
Lei la accolse con un sorriso da "stasera ce li hai tutti ai tuoi piedi" e così "Non fare commenti" Avril la ammonì. 
"Okay, okay" ridacchiò, "andiamo a divertirci!"

Il viaggio durò non più di quindici minuti. Quando la macchina trovò finalmente un parcheggio libero, Vicky spense il motore ed entrambe scesero dalla Range Rover. Il tacco di Avril venne a contatto con l'asfalto umido e si diressero verso l'entrata. La fila che c'era si dissolse quasi subito e, sotto l'occhio vigile del boy guard, entrarono in quella discoteca. 
Avril lanciò uno sguardo incerto a Vicky, che le sorrise per rassicurarla. 
Ma lei non era per niente sicura. Odiava se stessa, il suo corpo, le sue gambe, le braccia; tutto. Eppure, tutti avrebbero detto che fosse perfetta, ma si vedeva sempre sotto uno sguardo critico. Per questo, quando avanzò e la musica si fece più viva, si sentì più a disagio che mai. Si morse il labbro e dovette attraversare il centro della pista, dove la musica alta sovrastava ogni tipo di conversazione che avveniva. Grazie alla gente così appiccicata, riuscì a non cadere su quei tacchi odiosi e arrivò in un angolo più tranquillo. 
Con la coda dell'occhio, intravide il bancone del bar e si avvicinò, per poi sedersi su una sedia piuttosto alta. Osservò la pista in cerca di Vicky che sembrava essere scomparsa, ma nessun viso assomigliava al suo.
"Vuoi qualcosa da bere, dolcezza?" la voce squillante di un ragazzo arrivò ovattata e si girò, guardandolo per qualche istante con uno sguardo perso. Lui attese.
"Qualcosa di leggero" ordinò, ritornando alla sua ispezione, dopo che il ragazzo le sorrise.
Però, ce n'era uno, di viso, che conosceva, ora che osservava meglio. Dio, sì, quella era Sophie, la ragione per cui Jason aveva lasciato Avril. Ma c'era qualcosa di comico in quella situazione: quella puttana stava ispezionando la bocca di un altro ragazzo che, chiaramente, non era Jason.
"Ecco a te, bellezza." Prese il bicchiere con un gesto veloce e diede un solo sorso. Immediatamente, prese anche il cellulare in mano e aprì la fotocamera. Inquadrò la scena e, proprio quando stava per scattare, si fermò di colpo. Sbarrò gli occhi. 
"Calum" disse, quasi senza rendersene conto. 
La situazione era degenerata ancora di più. 
La fidanzata del suo ex con il migliore amico del ragazzo che la terrorizzava: combinazione perfetta.
Riposò il cellulare e si rimise a bere il suo drink che, onestamente, non sapeva neanche cosa avesse dentro. Scosse la testa e diede le spalle a quella scena disgustosa. 
"Ehi Avril." 
Sussultò per quel saluto inaspettato e metà del drink finì a terra.
"Che ci fai da queste parti?"
"Porca puttana, Calum. Mi hai spaventata a morte. Pensavo fossi là." Poggiò il bicchiere sul bancone e lo guardò.
"Scusa, non era mia intenzione." Comparve uno sguardo divertito sul suo volto e ordinò un Cuba Libre.
Subito l'umore di Avril calò con quella presenza vicina.
"Allora? Con chi sei qui?" Perché diavolo le parlava come se fossero amici di infanzia?
"Mia cugina" gli rispose e Calum annuì, prendendo il suo bicchiere.
"Quella che stavi baciando è la ragazza per cui il mio ragazzo mi ha lasciata." Rise amaramente con lo stomaco sottosopra. 
"Wow. Beh, mi dispiace." 
"Anche a me." Scrollò le spalle. "Ma gli altri?"
"Sono solo. Luke e Michael rifiutano di entrare in queste discoteche affollate." Gesticolò mentre si spiegava. Avril avrebbe voluto alzarsi da quella sedia ormai appiccicata alle sue cosce, ma non lo fece. Non era per niente confortante la presenza di Calum, però.
"Capisco." Guardò da un'altra parte.
"Hai paura?" le chiese.
"Di cosa?" 
"Di loro." Il tono ovvio di lui la infastidì parecchio. Forse solo la domanda le diede fastidio. Improvvisamente la musica, le frasi spezzate che le arrivavano all'udito e tutto il resto si annullò, come se avesse dovuto per forza rispondere a quella domanda. O magari, tutto ciò si chiama paura, Avril? Deglutì.
E nel frattempo Calum non aveva ricevuto nessuna risposta e trasse da solo le conclusioni.
"Non devi averne." 
"Non ne ho" ribatté, cercando di essere sicura. Troppo sicura.
"Luke non è pericoloso. Luke non è stupido, anzi, è molto intelligente. Tuttavia è egoico, egocentrico, fissato sul suo aspetto, attaccato a cose superficiali, insicuro. E' dipendente da se stesso e vive del suo io. Spesso sembra vuoto, amorale, umorale, tendente all'apatico, qualche giorno. Soffre e riesce a trovare la felicità solo grazie... Va beh, ha manie di protagonismo e non riesce a costruirsi un rapporto umano stabile e duraturo. A eccezione di me e Michael, s'intende" ridacchiò, "Ma tutto sommato, è okay." 
"Minchia." L'espressione di Avril era palesemente stupita. Luke era così tante cose, non lo conosceva per niente. Non che avesse avuto modo di venirne a conoscenza, ovvio. Nonostante questo, pensò che, per nascondere tutto ciò che era, dovesse avere proprio una spessa corazza. E chissà quanto gli pesava.
"Lo so, nessuno lo conosce bene. Vuoi la descrizione dettagliata anche di Michael?" sogghignò.
"Michael mi ha baciata" affermò automaticamente. Parlava senza pensare, parlava ascoltando la musica attenuata. Non aveva più controllo di niente.
"Oh." Era sconcertato. "Questo è un po' inaspettato." Si alzò dalla sedia e "Non dirlo a Luke, in ogni caso" le suggerì.
Avril assunse un'espressione scombussolata. "E perché?" gli chiese, ma Calum si allontanò, lasciandole solo uno sguardo furbo.
La ragazza sbuffò. Si alzò anche lei, non prima di aver lasciato qualche moneta sul bancone e andò alla ricerca di Vicky.

La trovò solo dopo una mezz'ora piena, in compagnia di Alexia e Nicole. Una decina di ragazzi le si era avvicinata, ma aveva liquidato tutti con un'espressione schifata.
"Dove sei stata tutto il tempo? Mi sono annoiata da morire!" esclamò Avril spazientita, tenendo per mano la cugina per riuscire ad uscire da quel locale. Quando mise piede fuori, le sembrò di essere in un'altra dimensione. Tutto così tranquillo e pacifico. L'aria era umida e la temperatura piuttosto bassa, sicuramente nel giro di qualche minuto sarebbe iniziato a piovere.
"Sono io che non trovavo te!" si difese Vicky.
"Sì, okay, ora vai a prendere la macchina. Ti aspetto qui." 
L'altra annuì e fece come le era stato detto. Avril stava tremando dal freddo con quel vestito, avvertiva il battere i denti e la pelle d'oca. Sfregò le mani tra di loro per riscaldarle, ma al contempo una voce la fece sobbalzare.
"Rosa? Ma dai." 
La riconosceva perfettamente, e non a caso il cuore prese ad accelerare. Girò il capo verso destra e avvistò Luke spuntare dall'angolo del Black And Gold.
"Cosa?" gli domandò, guardando verso il parcheggio, sperando che Vicky arrivasse in quel preciso momento.
"Il vestito." Lo indicò con un gesto non curante della testa. "Non ti si addice il rosa." e si appoggiò con un fianco al muro.
"Grazie?" Fece una smorfia.
Dio, che gentilezza. 
Intanto il rumore dei pneumatici di una macchina si faceva sempre più vicino a loro due e Avril ringraziò mentalmente la cugina per il suo atto di salvataggio. 
"Sono venuto a prendere Calum. L'hai visto in giro?" Si avvicinò lentamente sorridendole beffardo. Alzò la mano, cercando contatto con la guancia di lei, ma prima che fosse troppo tardi, fece un passo indietro e "Sì, era al bar prima" gli rispose, andando verso la Range Rover con una tachicardia e delle mani che non volevano stare ferme.
 




 

Hei people!
Mi era stato chiesto di scrivere un capitolo più lungo, ma non so se ci sono riuscita, credo proprio di no. 
Credo sia la prima volta che aggiorno così presto! O forse sembra a me passato poco tempo lol.
In ogni caso, cosa ne pensate di questo capitolo? Ho cercato di far emergere un po' la personalità di Luke, in modo da capirci un po' meglio.
Che bello, alcune lettrici fantasma si sono fatte vive! Continuate a farvi sentire, mi fa sempre piacere sapere cosa pensate :)
Ah, avrei un'altra domanda: a voi piacerebbe se comparisse un punto di vista di Luke?
E come sempre, ringrazio chi ha recensito, chi ha messo la storia nelle preferite o nelle seguite. "Two." è prima fra i popolari! 
Ok, ora scappo. Vi voglio bene!

*rullo di tamburi* è torntata la mia amata consigliera! 


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Capitolo 8
*** Evil is back. ***


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Evil is back.



Quando Avril infilò la chiave nella toppa di casa era ormai mezzanotte passata. Posato il piede sulla mattonella bianca del pavimento, accese la luce e si tolse velocemente i tacchi per evitare di far rumore. A passi leggeri si diresse verso la sua camera, circondata dal silenzio. Si tolse con negligenza il vestito e indossò il suo pigiama, per poi buttarsi goffamente sul letto. Il suo programma era quello di dormire. Dormire e basta. Dimenticare ciò che aveva attorno e far finta di lasciarsi tutto alle spalle con qualche ora di sonno. 
Quella serata aveva portato con sé troppi avvenimenti che Avril non riusciva nemmeno ad esaminare. Chi se lo aspettava di vedere Sophie baciare Calum? Avrebbe potuto dirlo a Jason e vendicarsi, ma non aveva le prove. E poi, come si fa a ricavare la propria felicità infliggendo del male agli altri? Avril proprio non lo sapeva. 
Nel buio della stanza si illuminò lo schermo del cellulare. Un orario un po' insolito, pensò.
Recuperò il telefono e comparve, per la seconda volta, un numero sconosciuto. 

06/feb/2013 00:33
Due. 

L'espressione non le cambiò per alcuni secondi, restando così, ferma, resa immobile da una sola parola. Questa situazione iniziava ad essere davvero assurda, era impossibile da gestire. Il problema che le si presentava ora era: rispondere o non rispondere? 
Forse, era tempo di accantonare le troppe paranoie e agire d'impulso.

06/feb/2013 00:37
Luke?

Digitò un po' incerta, nonostante fosse sicura che il mittente era lui. Si girò nel letto tra il suo piumone caldo, presa dall'ansia.

06/feb/2013 00:38
Proprio io, piccola x

Una vampata di calore la travolse, per poi mutarsi in piccoli brividi. Il rapido battito cardiaco la fece sentire fin troppo stupida, ricordandosi che quello era solo un messaggio, niente di più. Un messaggio da Luke Hemmings, però. E quando pensava a lui, non poteva che connetterlo ad un senso di paura ed ansia. 

06/feb/2013 00:40
Perché "due"?

06/feb/2013 00:42
Non sapevo come iniziare la conversazione. Non ti piace come parola?

Quando lesse il messaggio non capì se fosse serio o se la stesse prendendo per il culo. E non aveva nemmeno capito se fosse una domanda seria, quella. Di una cosa era certa: quel ragazzo aveva delle strane cose nel cervello. Strani pensieri, strane idee, strani modi di essere. E ci pensò sopra, ritrovandosi a supporre che strano fosse davvero una bella parola.
Decise così di non rispondere, poiché non aveva la minima idea di cosa dire. Posò il cellulare sul comodino, voleva solo riposare, ora.
Un pensiero a Luke, uno a Jason, e poi il sonno.


Per Avril, la domenica era passata tra compiti noiosissimi di scienze, serie televisive, libri e niente di più eccitante.
Era trascorsa una sola settimana da quando aveva iniziato a frequentare il Norwest Christian College, e già odiava andarci. 
Mentre quel lunedì era seduta sul sedile della macchina di Vicky per andare a scuola, voleva essere da tutt'altra parte e, più la distanza diminuiva da quel posto che tanto disprezzava, più sperava che la macchina facesse marcia indietro. Ma non lo fece, perché si trovò in pochi minuti nel parcheggio.
"Abbiamo scienze alla prima ora." bofonchiò Vicky, dopo aver salutato da lontano le tre ragazze che aveva fatto conoscere ad Avril il primo giorno.
Ma la cugina lo sapeva, eccome se lo sapeva, ed era proprio questo il problema. Un'ora di scienze stava a significare un'ora con Luke.
"Già" si limitò a dire con un tono sconfortato.
"Ci conviene sbrigarci, Harvey non ci perdonerebbe un ritardo."
Detto questo, salirono velocemente le scale e a passi svelti entrarono in classe. Senza pensarci troppo, occuparono i posti in ultima fila. Una volta preso posto, Avril cominciò a valutare la situazione: la maggior parte degli studenti era già presente, ma lui non c'era.
"Tutto bene?" le chiese ad un tratto Vicky. "Sembri un po' persa."
"No, è tutto okay" la rassicurò con un sorriso che lasciava intravedere parzialmente tutta la sua preoccupazione. Per questo, la cugina annuì poco convinta, per poi fermare lo sguardo su qualcosa, o meglio, qualcuno.
Avril lo notò e, seguendo la stessa direzione, puntò gli occhi su un Calum Hood e un Luke Hemmings che attraversavano la classe con uno sguardo impassibile. Presto entrò in classe anche il professore Harvey, con la solita faccia da bastardo.
"Wow, quale onore Hemmings e Hood! Come mai avete deciso di arrivare in orario ad una mia lezione? A cosa devo tutto ciò?" chiese ironicamente lo stronzo. 
Calum si limitò a sbuffare, Luke restò indifferente.
Dopo aver scritto qualcosa sul registro, cominciò a parlare di cose provenienti da Marte, per Avril, mentre questa decise che dare uno sguardo a quei due non avrebbe creato nessun problema. Entrambi erano nella fila davanti, a destra, rispetto a lei. 
Li osservò, concedendosi un pensiero diverso da quelli dei giorni scorsi: Calum e Luke erano davvero belli. Indiscutibilmente belli. 
E non riusciva a capacitarsi del fatto che Luke avesse sempre un'espressione controllata. Se fosse stato felice o triste, Avril non l'avrebbe mai capito.
Distolse lo sguardo, capendo forse che prendere appunti riguardo a ciò che stava dicendo il professore le sarebbe servito a studiare per il prossimo compito.
Quasi al termine della lezione, il cellulare le vibrò in tasca. Tentando di non farsi vedere, lo prese e aprì il messaggio.

07/feb/2013 08:48 
Cosa pensi quando mi guardi?

Oh cazzo, l'aveva vista. Luke non parlava, ma vedeva. Non passava niente inosservato, a lui. 
Avril, appena letta quella domanda, alzò la testa per accertarsi del mittente di quel messaggio, ma non trovò contatto visivo con lui, e nemmeno con Calum.

07/feb/2013 08:50
Niente in particolare.

Gli rispose, senza sapere neanche lei la risposta giusta. Osservò attentamente in sua direzione e poi lo vide alle prese con il cellulare. 
A quanto pare, Luke non degnava nessuno di anche un solo sguardo. Era una persona fin troppo chiusa, che riusciva a contenere le sue emozioni, che esisteva per se stessa. Non c'era nessuno, per lui. Solo Calum e Michael.

07/feb/2013 08:51
Ci vediamo sempre nella stessa aula quando finisce la lezione? Devo parlarti.

Doveva parlarle. Bastava questo, ad Avril, per farle capire che non sarebbe successo niente di buono. Andare in quell'aula all'ultimo piano significava andare nella casa del diavolo. Sarebbe stata così tanto masochista da accettare, accecata dalla paura? A quanto pare, sì.

07/feb/2013 08:52
Va bene.

Giocava a fare il freddo? Allora lei sarebbe stata il ghiaccio. 
Chissà lui cosa ricavava da tutta questa freddezza, da questa sua indifferenza. Avril se lo chiedeva spesso, ma ancora non aveva risposta. 
La campanella suonò.
"Ci vediamo fuori da scuola, okay?" Vicky le sorrise. 
Annuì e uscì dalla classe, diretta verso il suo armadietto, per posare i libri di scienze. Attraversò il corridoio, ancora affollato, e salì le scale. In quel posto non era cambiato niente dalla prima volta che ci mise piede. Il disordine, il silenzio, il senso di abbandono erano ancora lì, come se nessuno ci fosse mai passato. 
Con la gola secca entrò lentamente e intravide Luke all'istante seduto sul banco con il viso rivolto alla finestra. I passi di Avril sembravano essere l'unico rumore presente. Con lo sguardo puntato ancora chissà dove, le fece segno di avvicinarsi. Obbedì e si incamminò verso di lui, sedendosi un po' più distante.
Anche lei si mise a fissare un punto indefinito dal vetro rotto della finestra, aspettando che Luke proferisse parola. Passarono così due minuti, nel silenzio più ingombrante di sempre.
"Perché non hai scelto me, Avril?" cominciò lui con tono serio, ma calmo.
Lei si stupì, disorientata. Lo aveva già detto che quel ragazzo aveva strane cose in testa, ma non pensava che riuscisse a fare certi ragionamenti silenziosamente, per poi porgere strane domande, aspettandosi che una persona capisse.
"Cosa intendi?" gli chiese infatti, perplessa.
"Perché non hai scelto me, durante la tua punizione?"
Questa domanda portò via con sé ogni singola parola ad Avril. Si zittì completamente, immersa tra i ricordi di quel giorno. Ci sono cose che, da quanto fanno male, le si accantonano via, sperando di dimenticarle, fingendo, per quanto si possa, di non ricordarle. Ma poi riemergono, e ti pugnalano alle spalle.
"Hai paura?" continuò lui, girandosi, per la prima volta, verso la ragazza. 
Avril scorse un sorrisetto sulle sue labbra, che "No." la fece incitare a dire.
Luke scese dal banco, le si avvicinò e le si posizionò davanti. 
"Perché hai baciato Michael?" proseguì il suo interrogatorio che la continuava a far rimanere a bocca aperta.
"E' lui che ha baciato me, ma io l'ho respinto" trovò il coraggio di affermare con un filo di voce. La troppa vicinanza peggiorava anche le cose e ormai deglutiva a vuoto. 
Le distanziò le gambe ancora penzolanti dal banco e ci si posizionò in mezzo. 
"Sono sicuro di baciare meglio di lui" asserì guardandole le labbra e sorridendo con malizia.
In quella stanza, Avril iniziava ad avere caldo e sentiva che non c'era più spazio per nessuno. Una scarica di sensazioni si irradiò per tutto il suo corpo. Si sentiva quasi più leggera quel momento, e un senso di stranezza la invase. Avril si sentiva strana in quel momento, come se Luke avesse sprigionato un po' di lui e avesse lasciato che lo prendesse lei. Come se da quel momento, qualcosa fosse cambiato per sempre. Quando Luke annullò ancora di più la distanza fra le loro labbra, poteva sentire il respiro caldo di lui, e in quegli attimi pensò che, se la avesse baciata, non l'avrebbe fermato.
Ma lui non lo fece.
A meno di due millimetri, si allontanò, lasciando disperdere una piccola risata.
"E sono anche sicuro che, al contrario di Michael, non mi avresti respinto" ghignò, camminando verso la porta. Se ne andò lasciando Avril piena di umiliazione, rabbia, tristezza. Perché in fondo, quella era la presentazione della sua vita: essere presa in giro e poi essere abbandonata. Sempre così.
Luke Hemmings era arrivato per rovinare.
Con una lacrima che minacciava di cadere, uscì anche lei dall'aula e ritornò a lezione. Un po' in ritardo, ma ci ritornò.
Durante l'ora di letteratura pensò ad un piano per vendicarsi, ma durante quella di matematica capì di non potercela fare, siccome non lo conosceva per niente, e di conseguenza non sapeva i suoi punti deboli. Dannazione.
Mentre la professoressa era intenta a scrivere alla lavagna qualche formula incomprensibile, Avril faceva i conti con la rabbia repressa provocata dal ricordo di ciò che era successo la stessa mattina. Stringeva forte la sfortunata penna che aveva in mano, per evitare di sfogarsi in qualche altro modo. Come poteva Luke trattarla in quel modo? La faceva sentire inferiore come mai nessuno aveva fatto prima. Aveva come un potere di far sentire male le persone e, a quanto pare, funzionava anche con lei.
L'ora, finalmente, finì.
"Ma come, è già passata un'ora?" domandò retoricamente la Bailey. "Va beh, ragazzi, studiate a casa quello che abbiamo fatto oggi."
Avril recuperò tutti i suoi libri e si inoltrò fra tutti gli studenti che, come lei, non vedevano l'ora di uscire da scuola. Scendendo le scale, intravide anche Calum, che le sorrise, facendo comparire un sorriso spontaneo anche a lei. Calum era okay.
Arrivata sulla soglia si fermò. La borsa le cadde, il sorriso si spense.
Jason le apparì quasi come un fantasma. Come un'allucinazione. 
Tutto intorno smise di vivere. Ora c'era lei, e c'era anche lui. C'erano loro. 
Avril non si sentiva più il corpo, tutto era in un'altra dimensione. Aveva voglia di piangere, ma si limitò a chiedergli: "Che ci fai qui?" come per rimproverarlo.
"Torno" rispose semplicemente. 
Con quella affermazione, gli occhi lucidi diventarono singhiozzi. Jason si affrettò ad avvicinarsi, ma subito lo allontanò. 
Il male va allontanato.
"Per favore, Jason. Resta lì" parlò tra le lacrime, con voce spezzata. 
Qualche studente passava e li squadrava, ma lei non li vedeva nemmeno.
"Ho capito che ho sbagliato"  tentò lui con fare dispiaciuto, eppure Avril non cedeva.
"Jason, vattene. Non puoi tornare ora, dopo avermi fatto crollare il mondo addosso." Lo guardò con occhi imploranti, perché la sola presenza di lui le faceva male. Era come fare un passo e mettere piede in mezzo al dolore provato quel giorno in cui se n'era andato.
"Non mi vuoi? Guardami e dimmi che non mi vuoi!" Ormai Jason stava urlando. Senza rendersene conto stava attirando la attenzione di tutti.
"Non ce la farei mai a pensare di non volerti nella mia vita. Ma quando piangevo, credevo che fosse il momento giusto per diventare forti e rinunciare alle persone che mi fanno del male. E ora vorrei che tu non fossi qui." 
"Avril, non voglio che qualcuno prenda il mio posto."
"Nessuno prenderà il tuo posto e, anche se lo prenderà, non sarà mai come te, e io non mi dimenticherò mai di te." Non c'era frase più sincera di quella. Ci sono persone che ti marcano, che lasciano il segno. Brutto o bello che sia. E anche se proverai a dimenticarle, fallirai, perché loro sono arrivate per restare, restare anche semplicemente nella tua testa, tatuate sul cuore. La verità era questa, ed era quasi inaccettabile per Avril, che era la prima volta che lo ammetteva a se stessa, a Jason.
"E' triste ugualmente."
"Più che triste."
"Tanto o io o te prima o dopo ci ricerchiamo. Giorni, settimane, mesi o anni. Lo so" affermò sicuro, cercando ancora un contatto con Avril che si ostinava ad allontanarsi. L'ultima cosa che voleva era essere toccata da lui.
"Penso che questa sia l'ultima volta; tornare o risentirci ci farà solo peggio, perché vale a dire che tutto tornerà come sempre e credimi che sono sincera quando dico che da una parte sarà brutto per entrambi. Abbiamo avuto il nostro momento, ed è questo che conta. Penso sia inutile pensarmi ancora. Penso sia inutile cercarmi. Penso sia inutile essere qui. Alla fine era quello che volevi. Prima o poi ti scorderai di me." Detto questo, fece un ultimo passo indietro, si girò e trovò Vicky non molto distante che osservava la scena. La raggiunse e si avviò verso la Range Rover, e successivamente sentì uno "Stronzo!" gridato dalla cugina. 
Ad Avril sembrava così tutto irreale, ed ora, seduta in macchina di fianco a Vicky, cercava di rendersi conto di tutto l'accaduto. Jason era lì, era tornato, e lo aveva lasciato andare. Avrebbe voluto perdonarlo, comprenderlo, ma era stanca della tristezza. Per quanto facesse male, era orgogliosa della sua scelta. Ce l'aveva fatta: per la prima volta, in tutta la sua vita, era riuscita a rinunciare ad una persona che amava, ma che al contempo le aveva portato dolore. 
Per questo, quando, uscendo dal parcheggio del Norwest Christian College, Jason la chiamò a squarciagola come ultimo tentativo, lei già non lo sentiva più.  
L'implorazione di Jason non la sentì, ma vide. Li vide dal finestrino tutti e tre, Michael, Calum e anche Luke, che facevano da spettatori alla scena. 




 

Hei people!

Sono stata davanti ad un pc dalle 15:30 fino alle 2:40 di notte. Ok, in realtà ho anche mangiato, cantato, twittato, ecc. Però ci ho messo così tanto perché avevo mille cose in testa. Come potete vedere, non è neanche più lungo degli altri.
Comunque, eccomi qua con l'ottavo capitolo! Lo so, non ho messo il pov di Luke, perché ho deciso di tenerlo nel mistero ancora per un po'. Nel frattempo, colpo di scena: Jason è tornato. Come vi è sembrato?
Ah, come vi ho detto nei primi capitoli, alcune conversazioni mi sono accadute realmente, quindi se le prendete e le inserite da qualche parte, potreste avvisarmi? L'altro giorno ho letto una ff in cui ho trovato una mia frase e mi è preso un piccolo infarto lol. Non per altro, ma perché per me sono importanti, ed è abbastanza strano trovare in giro pezzi di frase che gente importante mi ha detto. 
Scusatemi se non ho risposto alle recensioni del penultimo capitolo, non ho avuto tempo, ma probabilmente in questi giorni risponderò!
Ultima cosa: sapete cosa mi sono dimenticata di dirvi? Sono arrivata all'ottavo capitolo e non mi sono ancora presentata. Quindi, mi chiamo Annalisa, ho quindici anni e abito in Lombardia. Ok, che cosa imbarazzante, meglio che vada.
Fatevi sentire con una recensione se volete! E grazie per tutto, siete carinissime. Vi voglio bene :)

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quello di Martina: danswtr



Ecco a voi i due bad boy lol




Here you are Luke Hemmings :)




E come ultima cosa, volevo postare questo frammento di conversazione
per dedicare il capitolo ad una persona speciale, che spero capirà.


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Capitolo 9
*** Grey. ***


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Grey.


Grigio.
Questo era Luke Hemmings: grigio. Spento. Un'indecisione tra il bianco e il nero: un passo dalla fine, un passo dalla salvezza. Appeso ad un filo, senza nemmeno la voglia di sforzarsi per cercare la felicità. A Luke sembrava di vedere tutto grigio, quasi a rallentatore. Vedeva le persone così lontane, che ogni tanto si sentiva uno spettatore della scena, senza rendersi conto di essere lì, di star vivendo. Se ne stava sempre in silenzio, captando ogni singolo dettaglio. Dettagli nelle persone, nelle espressioni facciali, nei toni delle voci, nei gesti, nei sorrisi. In tutto.
Apatia.
Questo era ciò che provava Luke Hemmings il più delle volte. Il niente. Era come un macchinario spento, ma forse non desideroso di essere messo in funzione. Era stato troppo male per trovare un equilibrio stabile, ed ora non sapeva se stesse bene o male. E avrebbe voluto semplicemente tagliare corto e rispondere "Sto" alla domanda "Come stai?", ma lui non stava neanche. Luke era il niente, era vuoto. Dentro sentiva solo di avere un cuore di pietra, ricoperto di crepe, dalle quali non riuscivano a filtrare emozioni. Aveva guardato negli occhi le persone, ma non ci aveva trovavo assolutamente nulla. Per questo, Luke aveva smesso: la gente non aveva senso. Tutti erano troppo superficiali, li vedeva più come anime schizzate messe lì per caso.
Luke Hemmings era rincorso ogni giorno da una voglia di evadere che talvolta diventava insopportabile. Evadere da quel mondo monotono, da quel posto in cui non c'era spazio per la sua indifferenza. Perciò, doveva colorare la sua esistenza con sentimenti che avrebbe voluto respingere, ma non gli rimaneva che l'odio quando tutto finisce. Eppure questo odio aveva anche effetti indesiderati: spesso, diventava triste senza una motivazione valida, anche solo fissando un punto della sua grande stanza, circondato dal grigio e dal silenzio; pure quando gli arrivavano in lontananza le voci ovattate provenienti dal marciapiede fuori di casa. Ma non gli importava più di tanto.
Luke era così. Era diverso, e credeva di essere il giusto nello sbagliato. 
Ora stava osservando Avril che con le lacrime agli occhi discuteva animatamente con un ragazzo mai visto prima di allora e, come sempre, non si lasciava sfuggire nessun dettaglio. Esaminava la scena, ma quasi gli faceva male. Era come se quel posto si fosse riempito del dolore che Avril sprigionava con quelle parole rivolte al ragazzo sconosciuto, e non riusciva più a guardare attentamente. Ne era sicuro: tutto ciò lo stava sentendo solo lui in mezzo a tutti quegli studenti. Perché Luke era la definizione contraria di superficiale, e ciò che stava accadendo gli arrivava ampliato di più volte. La sofferenza di Avril era come toccabile, come concreta. 
Adesso la ragazza stava salendo in macchina e, con lo sguardo fuori dal finestrino, aveva guardato nei suoi occhi. Luke sussultò perché, per la prima volta dopo due anni, aveva trovato qualcosa negli occhi di una persona: dolore. 
"Minchia, devono aver litigato pesante" esordì Michael dopo che la Range Rover uscì dal parcheggio.
"Già. Chissà chi è quel tipo" gli rispose Calum che, come gli altri due, aveva ancora lo sguardo fisso su quel povero ragazzo che si teneva le mani sul viso. 
"A me non va nemmeno di saperlo" intervenne il biondo. I due si strinsero nelle spalle. 
"Stasera andiamo al Gens?" propose Calum, senza troppo entusiasmo. Ormai avevano passato così tante sere in quel locale che stava diventando una cosa fin troppo monotona.
"Secondo me, lì, stasera non riesco a vendere niente" si oppose Luke.
"Dio mio, pensi sempre a vendere la roba. Divertiti per una sera!" Calum era sempre stato contrario allo stile di vita dell'amico, che spacciava eroina ormai da un anno, proprio per procurarsi la sua dose. Da parecchio tempo si era arreso. Lo trovava quasi patetico, ma poi lo vedeva con quel viso che hanno solo i bucomani in preda alla tristezza. Solo in quei momenti riusciva a dare un senso a Luke Hemmings. 
"Sto quasi a rota, Cal" lo ammonì Luke. Stare a rota significava sostanzialmente andare in astinenza per la droga, e questa era la sua maggior paura. Forse l'unica paura. 
L'altro non rispose, sapendo già di non poter ribattere a questa sua affermazione. Si alzarono dal gradino su cui erano seduti e cominciarono ad avanzare verso il cancello del parcheggio privato del College. Ovviamente, senza nessuno intorno. Ormai era quasi una tradizione. Se Calum, Michael e Luke erano nei paraggi, puntualmente, nessuno lo era più. Non ci facevano più caso. Anzi, se qualcuno fosse stato a meno di due metri di distanza, ci sarebbe stato stupore tra loro. 
"Alle dieci davanti a casa mia?" chiese Luke, quando ognuno era pronto ad inoltrarsi nella strada per la propria casa.
Michael e Calum annuirono e presero direzioni diverse.
Camminando sul marciapiede, rigorosamente a testa bassa, Luke fu preso da uno dei suoi attacchi di tristezza.
Porca troia, ora addirittura anche mentre osservo il marciapiede, pensò ironico.
Prese una sigaretta dal pacchetto e se la accese, sperando che quella strana tristezza lo lasciasse in pace, e un po' per alleviare quegli spasmi che attaccavano il suo corpo, dovuti all'astinenza. Gli sembrava ogni volta di essere nel libro 'Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino' con tutta quella droga di mezzo. 
C'è gente che inizia a drogarsi per sentirsi più grande e c'è Luke che lo fa per togliere il grigio dalla vita. Perché si, Luke Hemmings era morto ormai da due anni, quando Ashton se ne andò. Era una morte che lo aveva anestetizzato, che non se ne andava, che continuava ad essere prolungata dai ricordi. Aveva scoperto così il significato della mancanza di una persona, rendendosi conto che, ogni volta che aveva detto "Mi manchi" a qualcuno, era stata una totale stronzata. Perché quando gli mancava Ashton, sentiva l'anima lacerarsi dagli abbracci mancati, dalle risate mancate; e Dio, quanto era bella la sua risata. Non lo diceva perché era suo amico, ma perché era davvero un suono che metteva allegria. Non avrebbe trovato più nessun altro con quella risata. Ed era incazzato con la vita, perché Ash non c'era più, ma il mondo continuava. 
Era morto due volte quando, arrivato a scuola, sentì delle voci sparse per tutti i corridoi. 
Luke Hemmings aveva ucciso Ashton Irwin.
Come poteva uccidere una parte di se stesso?
Inizialmente se la prese da morire. Ma da morire letteralmente. Che un giorno pensò di togliersi la vita e raggiungere il suo migliore amico, ma Calum lo fece riflettere. La sua tristezza si tramutò in rabbia silenziosa, che col tempo aveva preso un colore grigio, con qualche tratto di indifferenza. E Luke aveva ancora quella rabbia addosso, quell'odio verso il genere umano. Ecco, lui era un misantropo quando non cadeva nella totale indifferenza. 
Lasciò apparire un sorriso amaro sulle sue labbra, pensando a cosa avrebbe pensato il suo migliore amico se lo avesse visto in quello stato. 
Arrivò davanti a casa sua e, appena aprì la porta, trovò Ben e Jack, i suoi fratelli, a guardare la tv. Non si accorsero nemmeno del suo arrivo, e così si ritirò, come d'abitudine, nella sua stanza. Chiuse la porta a chiave, per evitare che il suo mondo si mischiasse con quello monotono e insignificante. Non voleva perdere tempo: le sue mani stavano continuando a tremare. Prese il cucchiaio che nascondeva sotto a dei libri nel suo cassetto e cercò anche la bustina in cui c'era il quartino di eroina. La mise sul cucchiaio, la riscaldò con l'accendino e con un po' di acqua la aiutò a sciogliersi. Non c'era più tempo. Prese la siringa e fece aspirare il tutto. Nonostante le vene che chiedevano pietà, si piantò l'ago nella vena dell'avambraccio. E nel compiere questo gesto, sentì di star facendo la cosa giusta. Posò la siringa sul comodino, immediatamente perse la percezione di ogni cosa e si sdraiò cautamente sul letto. 
Il grigio prese colore, nonostante tutto fosse un po' sfocato. Era così che voleva essere, per sempre. Si sentiva leggero, quasi senza anima. Poté pensare questo solo ancora per poco, perché dopo alcuni minuti cadde in un sonno profondo. 
Eccolo lì, Luke Hemmings, che allungava un passo verso il nero.

Le dieci di sera erano arrivate. Osservò l'ago otturato della sua siringa e decise che l'avrebbe buttata in qualche posto al Gens. 
La cena si era svolta in religioso silenzio, perché la famiglia Hemmings non aveva più niente da dirsi. La madre era sull'orlo della disperazione. Ma è meglio reagire disperandosi, piuttosto che col deprimersi. Il capo famiglia era da mesi che aveva alzato bandiera bianca, lasciando crescere un senso di menefreghismo. Ben e Jack osservavano spesso il fratello, così diverso da loro, ma non si avvicinavano più di tanto. Avevano quasi timore di lui, era un essere strano per loro. L'unica che lottava ancora era Liz, sua madre. Era una donna tosta e testarda, capace di far di tutto per il figlio. Voleva salvarlo, ma non sapeva ancora come. Per ora, si limitava a setacciargli la camera, senza mai guardare sotto ai libri nel cassetto; a cercare nei suoi gesti dei movimenti sospetti, a imporre degli orari, dei divieti. Ma tutto ciò non serviva a Luke.
Passò parecchi minuti davanti allo specchio, a sistemarsi i capelli, ancora un po' stanco a causa dell'eroina che aveva in corpo. Nonostante tutto, a Luke piaceva uscire in ordine e avere gli occhi puntati su di lui. Lo ammetteva anche: aveva manie di protagonismo, anche con i suoi amici. Sapeva di essere bello.
Uscì di casa, ritrovandosi davanti Michael e Calum che lo salutavano. Salirono sulla macchina di Luke, diretti verso il Gens. In realtà, non aveva nemmeno la patente, ma se ne fregava altamente. Lo avevano scoperto solo una volta.
Il Gens era uno di quei postacci dimenticati da Dio che odoravano di alcool, fumo e droga. Non c'era molto casino, la musica era alta, sì, ma la gente se ne stava più calma, rispetto al solito. La maggior parte era seduta ai tavoli a fumare o drogarsi, senza il minimo contegno. Era un luogo in cui Calum, Luke e Michael si sentivano bene. Erano nel 'nero', così lo avrebbe definito Luke, e ciò li faceva capire che non erano così, che erano ancora salvabili, perché erano grigi, loro. 
Una volta arrivati, presero subito posto al loro solito tavolo in fondo. 
"Cosa prendete?" chiese Michael appena si sedette.
"A me non va niente, stasera" rifiutò Calum, che al momento guardava i corpi in movimento al centro della pista. 
Michael annuì, indirizzando poi lo sguardo verso Luke. Questi lo squadrò, per poi scuotere la testa, facendo capire di non voler niente. L'altro recuperò dalla tasca il pacchetto di sigarette per accendersene una, sempre con gli occhi puntati sull'amico.
Calum si ritrovò ad assistere come ad una sfida: i due ragazzi sembravano davvero incazzati.
"Beh?" cominciò Michael, lasciando uscire il fumo dalla bocca. 
In tutta risposta, scrollò le spalle, con un sorriso bastardo sul volto.
"Qual è il tuo problema?" continuò.
Luke capì di star spingendo l'amico al limite, così "Ti piace Avril, vero?" gli domandò. 
Vide Michael rimanere nella stessa posizione per alcuni secondi, senza accennare un gesto di approvazione o negazione. Ma lo sapeva già, conosceva ogni sua mossa: era troppo simile a lui.
"Forse" si decise a dare una risposta. "Anche a te, non è così?" lo sfidò.
Luke rise piano, per poi "Sei fuori strada" affermare. 
A lui non piaceva Avril, c'era qualcosa di più complesso sotto. Credeva quasi di odiarla. Quella ragazza aveva, senza saperlo, smosso la sua convinzione, ovvero che tutte le persone fossero superficiali. Non aveva idea di come agire, facendo scattare così l'odio. Era l'unico sentimento che Luke conoscesse da due anni a questa parte. Gli veniva così naturale che solo adesso, seduto al tavolo del Gens, se ne rendeva conto. Nutriva odio per Avril, ma voleva anche farle assaporare, standole vicino, quel senso di stranezza, di tristezza, di astio, che anche lui stesso provava. Perché lo sapeva: Avril credeva di essere forte, credeva non ci fossero altre tonalità di nero. Invece c'era il grigio, e voleva farglielo scoprire.
Ma, in ogni caso, non voleva che Michael si avvicinasse a lei. Ormai era sotto sua proprietà.
Michael lo guardò male solo un'altra volta, perché poi Luke si alzò, congedandoli con un "Vado a cercare Daniel." 
Daniel era lo spacciatore capo che gli affidava eroina da vendere. Il patto era questo: doveva vendere il più possibile e, infine, la roba rimasta se la sarebbe presa lui, insieme al 30% del guadagno. A Luke andava più che bene, anche se Daniel era un gran pezzo di merda. A lui non toccava il lavoro sporco e non rischiava nemmeno di essere preso dagli sbirri, siccome tutto ciò era svolto da Luke.
Cercò di passare nelle zone in cui il casino diminuiva per raggiungere prima la seconda entrata del locale. Spinse la porta e, uscendo, avvistò subito Daniel, sdraiato su un muretto, con il viso rivolto verso il cielo stellato.
La musica da lì fuori arrivava ovattata, e la temperatura era scesa di colpo. 
Fece qualche passo verso l'altro e "Daniel" cercò di attirare la sua attenzione. 
"Hemmings" fece una sorta di saluto, con gli occhi ancora puntati sul cielo. "Pensavo che non saresti più venuto." 
"E invece, eccomi qua. Hai la roba da darmi?" gli chiese schietto. Non amava conversare con quel tipo: come aveva detto, era un pezzo di merda. E il sorriso strafottente che comparve sul suo viso ne fu la conferma. 
"Vedo che vai dritto al punto" sogghignò. "Comunque, tieni." Alzò di poco il bacino per recuperare meglio dalla tasca un piccolo sacchetto trasparente, che Luke prese. 
"Vedi di fare buoni affari con questa. È roba buona" gli intimò.
Luke fece una smorfia, senza neanche annuire. Daniel lo irritava, così come tutto il resto. Daniel era un perdente, secondo le sue considerazioni. A trent'anni non era ancora riuscito a trovare la felicità in altre cose, se non in quelle illegali. Alla sua età non aveva famiglia, nemmeno un lavoro, escludendo lo spacciatore. Luke, ogni volta che lo vedeva, prometteva a se stesso che non sarebbe mai finito così.
Si girò, dopo aver intascato il sacchetto, e rientrò nel Gens. Voleva sbrigarsi a vendere la merce, poiché quella sera era piuttosto svogliato e stanco. 
Gli occhi furono puntati all'istante su di lui: tutti conoscevano Luke Hemmings ma, soprattutto, tutti erano a conoscenza del fatto che avesse eroina eccezionale. Quando lo vedevano entrare dalla porta secondaria voleva dire solo una cosa: eroina pronta da vendere. Per questo, non gli ci volle molto a sbarazzarsi del suo compito, al contrario di come aveva pensato quel pomeriggio. Lasciando però l'ultimo quartino per se stesso. Una volta tornato al tavolo, Michael e Calum erano ancora lì, che stavano conversando.
"E poi è pure simpatica!" sentì dire da Calum appena riprese posto.
"Chi è simpatica?" domandò, inserendosi nel discorso.
Inizialmente lo squadrarono, giusto due secondi per rendersi conto della sua presenza, ma poi "Oh... Nessuno" disse il moro con voce falsamente indifferente.
Cosa che non lo convinse.
"Dai, dimmelo! Chi?" insisté. 
"Nessuno, davvero. Hai venduto la roba?" tentò di cambiare discorso. Ma quando Luke voleva sapere una cosa, doveva saperla e basta. 
"Con me non funziona" lo ammonì.
"Stavamo parlando della biondina" Calum si arrese e gli rispose, roteando gli occhi. 
Luke rimase un po' stupito e cercò contatto visivo con Michael, che non tardò ad arrivare. A quanto pare, il suo amico aveva una cotta per Avril e questo non gli andava per niente giù. Voleva che quella ragazza fosse soltanto un suo caso. Considerava Michael come suo fratello, perciò non si sarebbe mai permesso di fargli del male. Ma, in quel momento, si sentiva davvero frustrato. Distolse quindi lo sguardo e decise di rimanere in silenzio. Un silenzio che fece da protagonista per i restanti minuti che passarono al Gens. 
"Andiamo?" propose, vista la tensione e i troppi dettagli che stava captando con tutta quella gente presente. 
"Andiamo." 

Quella notte, Luke tornò a casa verso l'una. Persino all'interno della sua camera faceva freddo, ma era un dettaglio a cui non fece molto caso. 
Aprì il cassetto a posò la droga sotto ai soliti libri e si coricò sul letto, restando a fissare il muro bianco. Quel muro gli piaceva molto, e lo sapeva: era una cosa da pazzi pensare ciò. Però gli piaceva, e il bianco, il colore che associava all'apatia, gli dava un senso di tranquillità. 
Il problema era che, se Luke fissava qualcosa, stava sicuramente martoriando la sua mente di pensieri. Infatti non passò molto tempo che prese il cellulare, intenzionato a scrivere ad Avril. In un certo senso, si divertiva parecchio a mandarle messaggi. Aveva un potere enorme su quella ragazza, e questo lo sapeva benissimo. Il fatto che lei lo nascondesse e mostrasse di non aver paura lo istigava non poco. 

07/feb/2013 01:07
Dormi?

le inviò il messaggio senza pensarci troppo. Infondo, Luke non aveva la minima idea di come iniziare una conversazione. Quindi metteva lì una parola a caso e funzionava anche. 
Nell'aspettare una risposta, si tolse i pantaloni e si mise sotto le coperte. Stava per addormentarsi, ma poi una vibrazione si fece sentire alla sua destra.

07/feb/2013 01:19 
No.

Avril era ancora sveglia a quell'ora, eppure domani sarebbe dovuta andare a scuola. Chissà perché non dormiva ancora... Magari era una ragazzaccia notturna che frequentava discoteche.

07/feb/2013 01:21
Come mai ancora sveglia?

07/feb/2013 01:24
Non riesco a prendere sonno. Tu?

Luke non aveva voglia di dare una risposta sensata. Aveva anche un sonno tremendo, che era quasi un miracolo che riuscisse a tenere gli occhi aperti e per di più la luce dello schermo gli dava fastidio.

07/feb/2013 01:26
Due.

Se Avril avesse risposto o meno, Luke non lo avrebbe scoperto quella notte, perché dopo quel messaggio inviato crollò nel sonno, dimenticandosi perfino di iniettarsi la sua dose notturna.



 



Hei people!

Ho deciso di farvi una sorpresa e inserire il pov di Luke senza avvisarvi lol 
Eccolo qua, il nostro Luke Hemmings. Probabilmente le lettrici pensavano che fosse completamente diverso, però io me lo sono immaginato così. E sinceramente, non saprei nemmeno descriverlo in altri modi, perché ho scritto basandomi su come sono io. Così, vi voglio chiedere se vi piace o se vi fa schifo questa sua personalità e in tal caso vi chiederei di dirmi anche come ve lo immaginavate.
Mi voglio scusare siccome in questo capitolo non è successo molto, ma volevo più che altro descrivere Luke.
Comunque, la scuola è iniziata e io, che vado in un liceo di merda in cui ci fanno studiare come bestie torturate, sto cercando di attuare un piano per trovare il tempo in cui scrivere. Ma ok, non preoccupatevi, i capitoli arriveranno lo stesso lol
Ieri ho notato che questa ff è nelle seguite di 101 persone e posso dire una cosa? Le mie lettrici sono le migliori. Mi scrivete cose bellissime anche su twitter, lo apprezzo tantissimo, aw. 
Dopo tutto questo grigio, vado. Al prossimo capitolo! x

il mio twitter: funklou
quello di Martina: danswtr



Luke




Michael




Calum




Luke, Calum, Michael e... Ashton.

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Capitolo 10
*** He was real. ***


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He was real.


Immaginatevi alzarvi alle 7 del mattino di martedì, dover abbandonare il vostro caldo letto, dover sopportare il freddo di febbraio e dover restare per ore in un ambiente pieno di facce irritanti. Come sarebbe il vostro umore?
Una merda, scommetto.
Per questo, Luke, appena aprì gli occhi, si stiracchiò e cominciò ad odiare la vita. Perennemente in ritardo, con gli occhi torturati dal sonno, il corpo abbandonato agli spasmi. Un quartino di eroina nella tasca destra dei jeans, un cucchiaio nello zaino su una spalla sola, un cappello di lana sui capelli biondi con una cresta disordinata: Luke era pronto a sopportare un'altra giornata al Norwest Christian College.
Arrivato nel parcheggio con Michael e Calum, si diresse presso il suo solito muretto grigio, dove nessuno si era mai avvicinato, e mai lo avrebbe fatto. Michael era silenzioso, quella mattina: probabilmente non aveva dimenticato quella discussione avvenuta al Gens. A Luke non stava bene così, ma era troppo scazzato per intraprendere una discussione. 
Tutti e tre si sedettero e Michael accese la sua sigaretta mattiniera. 
Riuscirono a passare non più di tre minuti che fece la sua comparsa Avril, con la sua espressione seria e concentrata, immersa in una conversazione con la cugina.
Una sola cosa passò nella testa di Luke: la voglia di parlarle.
Una sola ragazza, capace di catturare l'attenzione dei tre ragazzi meno raccomandabili della scuola. 

Avril's pov.

Aveva voglia di piangere, eppure annuiva a continuava a prolungare la conversazione.
Aveva voglia di tornare a Melbourne, eppure non aveva preparato nessuna valigia e continuava a vivere nella stessa casa.
Aveva voglia di restare nel suo letto, eppure continuava a camminare verso il College.
Come può una persona essere felice così?
"Se vuoi posso passarti le soluzioni di fisica, io ho già fatto lo stesso compito!" Il treno di pensieri di Avril fu fermato da Vicky, che manteneva sempre il suo sorriso vivo.
"Ti ringrazierei fino a domani se davvero lo facessi" accettò con un tono esausto. La cugina tirò fuori dalla borsa un foglio con diversi numeri stampati e glielo diede. Nel frattempo, Avril si guardò intorno, giusto per incontrare gli occhi di Luke, Calum e Michael. 
Dannazione. 
Cercò di far finta di niente e spronò Vicky ad accelerare il passo, riuscendo ad entrare dalla porta principale in minor tempo. 
Entrambe lasciarono i libri nei propri armadietti, incamminandosi poi al piano superiore, dirette in classi diverse. 
"Odio il martedì" si lamentò, sbuffando, Vicky. "Non abbiamo neanche una lezione in comune."
"Lo so. Lo odio anche io" l'assecondò l'altra, con gli occhi puntati verso il basso. 
"Dai, Avril. Fammi un sorriso! Non puoi restare depressa così per sempre." Le accarezzò la guancia con fare protettivo e un po' di pietà negli occhi. Pietà che Avril odiava. 
In risposta, annuì e basta, con già delle lacrime che chiedevano di uscire. Quando qualcuno provava a confortarla, Avril aveva una strana reazione: voleva solamente piangere di più.
Si salutarono e Vicky andò nell'aula in fondo al corridoio, mentre lei prese a camminare dalla parte opposta tra alcuni studenti rimasti a chiacchierare con pigne di libri fra le mani. 
Prima che potesse posare la mano sulla maniglia, qualcuno le afferrò rudemente il polso. Le palpitazioni le raggiunsero il cuore e la travolse una paura di chi potesse essere la persona dietro a lei. Cercò di scansare la presa, ma sembrava proprio non funzionare. Girò lentamente il capo e il cielo sereno le si riversò contro. Quegli occhi, quell'espressione per sempre apatica, quella mano fredda, quel pozzo di stranezza intorno, pronto ad ingoiarli. 
"Luke." Nna constatazione.
"Andiamo via." Una richiesta. 
Con la bocca serrata, Avril si fece trasportare da Luke fuori dalla scuola.
Voleva scappare, lo giura, ma al contempo voleva restare. Cos'era, una sorta di masochismo?
Lasciò che il suo sguardo vagasse tra i lineamenti perfetti del ragazzo, per capire le sue intenzioni, per capire Luke Hemmings. 
Arrivarono al prato che si estendeva dietro la scuola. Non c'era più nessun studente, ormai le lezioni erano iniziate. Il silenzio, solo questo c'era. Luke lasciò la presa, si sdraiò sull'erba, con le mani poste sotto la testa e gli occhi chiusi. Avril era sconcertata, incapace di fare o dire qualsiasi cosa. Così, optò per il sedersi a gambe incrociate, lasciando la giusta distanza tra lei e il ragazzo. 
Iniziò a guardarsi le punte azzurre dei suoi capelli. Doveva andare a tagliarsi i capelli, stavano diventando troppo lunghi per i suoi gusti, e voleva...
"La vuoi una sigaretta?" le chiese Luke. Smise di pensare per alcuni secondi, fissando un qualcosa, senza nemmeno rendersene conto.
"No" gli rispose infine. Certo che aveva delle strane strategie per incominciare un discorso.
Lui si strinse nelle spalle e prese ugualmente una sigaretta per se stesso. 
"Non so perché sono qui" incominciò Avril, circondandosi le ginocchia con le braccia.
Probabilmente nemmeno Luke lo sapeva, perché se ne restò in silenzio, aspirando dalla sua sigaretta. 
Iniziava ad innervosirsi, quella situazione era uno schifo. Per questo, "L'hai ucciso tu?" gli chiese la prima cosa che le passò per la testa. Sapeva che avrebbe capito il centro della questione, sapeva anche di aver fatto la domanda troppo direttamente, perché Luke aprì gli occhi di scatto. 
In quel momento, Avril aveva paura. Paura di lui, paura di se stessa, delle sue domande. 
Il tempo passava, e finalmente "No" riuscì Luke a dare una risposta. 
"Lo sapevo." Senza accorgersene, fece un sospiro. Aveva ragione, l'aveva da sempre saputo. Per quanto strano Luke potesse sembrare, non sarebbe mai stato capace di uccidere.
Luke la guardò confuso, Avril scosse la testa, come per dire "Niente".
"Era lui che ti mancava, quel giorno in bagno?" Era terrorizzata dal fatto di diventare troppo invadente, di star toccando un punto dolente, ma Luke "Sì, ma non so come tu faccia a saperlo" le rispose, subito dopo aver buttato fuori il fumo. Il suo tono di voce sembrava esser calmo, sicuramente una copertura. 
"Ero lì per caso" si giustificò allora.
Avril si sentiva in paradiso. Luke si stava confidando con lei, le stava regalando pezzi della sua vita, e ciò bastava per renderla felice. 
La conversazione apparentemente terminò, ma le sensazioni non cessarono. Avril non sapeva cosa lui avesse in mente, cose stesse provando, le importava solamente di quei piccoli segreti raccontati. Non sapeva il motivo, ma erano lì, come bisognosi di spazio e tempo, come se la presenza di uno non influenzasse sullo spazio dell'altro e riuscissero a bilanciarsi.
Avril stava bene.
Cinque minuti passarono in questo modo, e le venne in mente di approfondire l'argomento.
"Com'era lui?" gli domandò infatti. 
Lo sguardo del biondo si perse tra gli alberi del prato, i filetti d'erba, la struttura bianca del College e tutto ciò che c'era intorno.
"Reale" affermò poi, girandosi verso Avril, che rimase perplessa.
"Non capisco."
"Ashton era reale. Sono due anni che non me ne rendo conto, perché mi sembra di non ricordare più questo particolare importante." Distolse lo sguardo, solo per abbassarlo e iniziare a strappare fili d'erba. "Ho sempre dato per scontato la sua presenza, è questo ciò che fa male." 
Avril avrebbe voluto iniziare a piangere, proprio in quel momento; avrebbe voluto rimediare, fare qualcosa, invece "E come persona, com'era?" gli porse un'altra domanda. 
Vide Luke sorridere, e si sentì per qualche istante sollevata da terra.
"Ashton era tante cose: come prima cosa, un completo idiota. Aveva una strana fissazione coi pony, aveva magliette, appunto, con su quelli. Rideva in ogni situazione, con quella sua risata contagiosa, così vera, che metteva un'allegria assurda. Era un amico, il migliore. Andava in giro convinto con quei suoi capelli biondi perennemente piastrati, per i quali lo sfottevo, ma in realtà li invidiavo da morire. Ashton era felice. Era spensierato, sbadato: una volta gli avevo raccomandato di portarmi il motorino nel parcheggio della scuola, ma in quel parcheggio non ci arrivò mai, e da quel momento non ebbi più un motorino. Viveva per la sua batteria. Però non saprei nemmeno descrivertelo alla perfezione, perché non ci sono mai riuscito nemmeno nella mia testa." Sospirò profondamente e si mise a sedere, sistemandosi la cresta. 
Ad Avril non uscivano parole dalla bocca. Restava così e basta. Non aveva intenzione di aggiungere o chiedere altro alle parole di Luke, non ne avrebbe avuto il diritto. Si sentiva catapultata in una relazione che non era la sua, dove c'erano ricordi sporchi di dolore. Guardava l'espressione impassibile di lui e sapeva, dentro di lei, che fosse tutta una finzione. E non capiva. Perché nascondere il dolore? 
"Dio mio, Luke, ma dove..." Entrambi si girarono nella direzione da cui proveniva la voce, e videro Calum arrivare, giusto per fermarsi appena li mise a fuoco.
"Ehi" Luke lo salutò, ma l'altro aveva un'espressione alquanto confusa e sorpresa. Avril gli sorrise.
"Scusate, vado" cercò di rimediare, ma "No, no. Stavo per venire a cercarti" affermò il biondo, non prima di aver lanciato uno sguardo ad Avril, che li guardò attraversare il cortile della scuola, diretti chissà dove.
Esser lasciata da sola in sé non era confortante, ma in fondo era lo stesso contenta. Sentiva di aver fatto un passo avanti con Luke, di esser riuscita a farlo uscire per qualche istante da quel mondo che si era creato. E quello che era avvenuto le sembrava esser stato il discorso più interessante della sua vita. In un certo senso, aveva conosciuto il motivo principale dell'oscurità di Luke: Ashton. Se l'era immaginato esattamente così. Ne era sicura, le sarebbe piaciuto da morire conoscerlo.
In tutto questo, però, non si era accorta di aver appena saltato la prima ora di lezione e di esser sparita nel nulla. Nessuno se ne sarebbe accorto, così aspettò l'arrivo delle 9:00 per alzarsi dal prato e dirigersi verso l'entrata. Camminando per i corridoi, si accorse di aver sostituito la negatività che Jason le aveva lasciato con i piccoli attimi di felicità che Luke le aveva appena regalato. In quel momento, non seppe se fosse stata una cosa positiva. 
Le due ore seguenti passarono lisce, per fortuna. Sembrava essere una bella giornata. L'ora di pranzo era arrivata, ed Avril aspettava che Vicky la raggiungesse poco prima dell'entrata della mensa. In pochi minuti, la cugina fece la sua comparsa ed entrarono.
La solita fila per ogni cosa: vassoi, posate, bicchieri, cibo. 
Si guardavano intorno in cerca di un posto, notando che Alexia, con il resto delle amiche di Vicky, si stesse sbracciando per far segno di avvicinarsi. Avril le sorrise, dirigendosi in sua direzione, seguita da Vicky. Posò il vassoio, salutando tutte le ragazze e prese posto. 
Odiava quel cibo: lo ammetteva, era viziata sotto questo aspetto. Mangiava solo quello che le piaceva, ovvero pochissime cose, quindi aver davanti un piatto di pasta (cruda, fredda e di brutto aspetto) non la entusiasmava molto. 
Le altre stavano parlando del compito di geometria avvenuto quella mattina, mentre Avril era alle prese con un po' di insalata (con troppo aceto). Quel giorno, l'aula mensa le sembrava davvero troppo silenziosa. Alzò il capo, osservando gli altri, rendendosi conto di avere quattro tavoli più in là quello di Luke, Calum e Michael. 
Loro tre a mensa? Non era mai capitato. 
Appena posò gli occhi su quel tavolo, non poté che incontrare lo sguardo di Michael, dritto e freddo. 
E' strano come la paura possa essere provocata da un paio di semplici occhi chiari. Si mosse sul posto, dopo aver distolto lo sguardo, in suggestione. Saper di avere gli occhi di Michael Clifford puntati addosso non era per niente una bella sensazione. Cominciò a ristuzzicare la sua dannata insalata, cercando di stare attenta ai discorsi delle ragazze, ma quello sguardo era troppo potente. Perché per ogni volta che voleva accertarsi che la stesse ancora guardando, lui era sempre lì. 
Quando Vicky propose di alzarsi, Avril sospirò di gioia, pensando che quei 30 minuti fossero stati i peggiori in assoluto. Cosa quel Clifford volesse da lei, ancora non lo sapeva.
"Manca ancora un quarto d'ora, usciamo e andiamo sulle scale di emergenza?" chiese una delle ragazze. 
Tutte annuirono convinte, già dirette verso l'uscita. L'aria fredda provocò la pelle d'oca ad Avril, il cortile mezzo vuoto le si parò davanti. Si sedettero sulle scale, e la prima cosa che fece fu estrarre il cellulare dalla borsa. Automaticamente, le cadde l'occhio sulla conversazione con Luke, pronta a rileggere i messaggi che si erano scambiati. Ormai li sapeva a memoria.
"Non fare l'asociale, Avril. Dammi qua quel telefono" la rimproverò Vicky, che si sporse in avanti per levarle dalle mani quell'aggeggio, ma l'altra fu veloce a ritrarlo.
"Non faccio l'asociale" le rispose a tono, rimettendo il cellulare in borsa. Se avesse scoperto le loro conversazioni, avrebbe potuto considerarsi morta. 
Vicky la squadrò, per poi ritornare a perdersi nei suoi pensieri. Le altre parlavano, ma le due cugine sembravano vivere in mondi diversi. Non c'erano più per nessuno.
"...Vicky? Avril?" le altre le richiamarono. 
Avril uscì dal suo stato di trance, un po' persa e "Torniamo in classe?" chiese. 
Aveva notato quanto Vicky fosse sospettosa di ogni sua mossa, ma soprattutto di quanto fosse preoccupata, e questo la infastidiva troppo. Avril era nata per essere libera. 
Non ci vollero più di cinque minuti per ritrovarsi ancora tra quei corridoi del Norwest Christian College. Ora era da sola, poiché aveva corsi diversi dalle altre. Avril passava e la gente le dedicava occhiate che sembravano più che diffidenti, siccome l'avevano ormai classificata come l'amica dei tre ragazzi pericolosi della scuola. Ma a lei in realtà non importava nemmeno.
In fondo al corridoio, spedito come un razzo, Michael Clifford stava avanzando senza guardare in faccia a nessuno, con un'aria che di tranquillo non aveva proprio nulla. Passò al suo fianco e tutti gli studenti si spostarono, tranne Avril. Continuò a camminare velocemente fino a sparire ma, non appena la ragazza si girò, un'altra scena le si presentò davanti. Eccolo lì, anche Luke, che passo dopo passo le si avvicinava sempre di più. 
In realtà non stava capendo meno del niente.
E un po' l'ansia la stava assalendo.
Solo quando si accorse che Luke non avesse intenzione di cambiare direzione, ma di dirigersi dritto verso lei, capì. Voleva lei.
Infatti, quando ormai pochi centimetri li distanziavano, Avril fu scaraventa al muro. Luke non la guardava negli occhi.
Le palpebre le si sbarrarono, quel gesto inaspettato la fece rimanere di stucco. Se prima c'erano non più di cinque studenti, ora tutti si erano dileguati il prima possibile. 
Un dolore le si irradiò per la spina dorsale, un flashback le tornò in mente: stessa scena vissuta giorni fa, fuori dall'aula punizione. Probabilmente, però, in quel momento, il dolore psicologico fu più forte. Luke le posò le mani sulle spalle, bloccandogliele con forza. Il respiro di Avril era affannoso, che peggiorò quando Luke "Mi fai incazzare." le ringhiò contro. 
Non osava rispondere, non osava nemmeno cercare di capire la motivazione di tutto questo. Era paralizzata. Lo sguardo preoccupato, il petto che si alzava e abbassava irregolarmente, il cuore che le esplodeva. 
Un pugno di Luke aveva sbattuto violentemente contro il muro, a mezzo centimetro dalla testa di Avril. Questa sobbalzò, ma non le rimaneva che restare inerme e aspettare che si calmasse. 
Eppure, tra tutta quella tensione, il gesto che Luke poco dopo fece sembrava arrivare dall'altro mondo. Perché quando avvicinò il volto al suo, scatenandole mille sfumature di paura, non le fece male. Le distanze si annullarono, e il suo labbro fu catturato dai denti di Luke, che stringevano forte. Avril sussultò, ma lui non lasciò la presa, anzi, sostituì i denti con le labbra, succhiandole il labbro inferiore. Gli posò, senza nemmeno accorgersene, le mani sulle sue braccia. Ora la stranezza si faceva viva. Ma a lui bastarono solamente quei pochi secondi, ché si staccò, facendo un passo all'indietro. Finalmente, le regalò un primo sguardo, che non la fece rassicurare, perché la vedeva la rabbia, dentro quell'azzurro, dentro quell'espressione seria. Non poté non notare il pugno chiuso di Luke, le imprecazioni morte in bocca, la voglia repressa di prendere a botte il primo che gli fosse capitato davanti. Per questo, nonostante il labbro le bruciasse, non tentò neanche di preoccuparsi se le stesse uscendo del sangue. 
Luke portò lo sguardo altrove, girando la testa verso un'altra direzione, con una mano immersa con disperazione tra i capelli. Schiodò quella postazione davanti ad Avril e decise, con passo felpato, di andarsene. 
Odiava ammetterlo, ma tutto ciò aveva una conseguenza troppo negativa su Avril. Odiava ammettere di star piangendo, di esser triste per esser stata lasciata lì così, di esser stata presa di mira senza una valida motivazione. Un attimo prima Luke si confidava quasi con lei, e quello dopo la sbatteva al muro con un'assurda furia. Avril non capiva.








Hei people!

Oh mio dio, chiedo perdono. Mi presento così, dopo una ventina di giorni, con un capitolo cortissimo, mi dispiace tantissimo. Sono andata a Londra, può essere una scusa? In realtà, se il capitolo è corto, è perché non volevo peggiorare la situazione e pubblicare domani, così ho messo quello che avevo pronto. Però io scriverei tutto il giorno, per questo 'sto capitolo l'ho scritto a pezzi ogni sera verso le undici dopo aver finito di studiare. ((insane, i know))
Però avete visto, no? E' comparso Ashton, io amo troppo questo personaggio e non so nemmeno perché. 
Risponderò a tutte le recensioni del nono capitolo :)
Sono le 23:30, sto crollando, non sto neanche cosa sto dicendo, ma okaay, vado. Scusatemi per gli errori che troverete.
Ps: aiuto, il primo capitolo è arrivato a 2000 visualizzazioni. VI AMO, ciao. 
Recensite se vi va :)

Ah, mi sono dimenticata ogni volta di dirvi che questo è il mio ask, qui potete chiedermi ogni cosa che volete riguardo sia alla storia sia a qualsiasi altra cosa lol
http://ask.fm/AnnalisaSanna

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Capitolo 11
*** A new friend. ***


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A new friend.

La solitudine. 
Ecco di cosa aveva paura Avril Mitchell. Se c'era una cosa che non avrebbe mai ammesso, era proprio questo: l'esser sola. Anche solo pensarlo, di tanto in tanto, la turbava fino allo star male. Dirlo a voce, a qualcuno, non le passava neanche per l'anticamera del cervello. In fondo, se una persona non è circondata da nessuno, è solo sua la colpa. Ci sono persone che si creano gli stacchi dalla realtà, dalla vita sociale, dalle persone, anche inconsciamente, proprio per trovarsi meglio con se stesse. Avril era una di quelle: stava allontanando Vicky, senza cattiveria, ma lo stava facendo, e non si avvicinava di proposito alle sue compagne di classe. Ma ora, lasciata lì, in quel corridoio in cui regnava il silenzio totale, la solitudine si faceva viva. La sentiva nell'aria, la stava respirando, la stava soffocando. E non perché fosse davvero sola, ma perché a lasciarla era stato Luke Hemmings. Ed aveva paura, un'angosciante paura. Non erano sensazioni giuste, quelle. Non erano programmate, non erano calcolate, non erano previste. 
Una lacrima le stava percorrendo la guancia, e non desiderava altro che si asciugasse all'istante, perché significava solo non aver capito che non bisogna affezionarsi alle persone, ché tutti se ne vanno. Una lezione semplice che, dopo sedici anni, Avril non aveva ancora imparato. 
A quel punto, non le importava più di far la bella figura con i professori, presentarsi alle lezioni, fare felici altri. Voleva andarsene, ritornare a Melbourne, l'unica via di fuga nel nulla che la circondava. Ma non poteva, perché non puoi scappare dalla tua ombra, da quello che sei, da quello che provi. Per il momento, si limitò ad asciugarsi quelle stronze di lacrime con la manica della sua enorme felpa, a rialzarsi in tutti i sensi e a camminare, fino a trovare la porta di un vecchio sgabuzzino al primo piano, di fianco ad alcuni armadietti mai usati. La dovette aprire con forza, bloccata com'era, e provocare un rumore sommesso. All'interno non trovò niente di eclatante, solo vecchi oggetti utilizzati dalle bidelle e qualche sedia rotta. Lasciò che la borsa toccasse il pavimento sporco e si sedette con la schiena poggiata al muro pieno di crepe. 
Continuava a pensare che avrebbe voluto che finisse tutto così, che nessuno si fosse ricordato di lei. Ma mentiva, mentiva a se stessa, spudoratamente. In realtà, se lo ripeteva come un tormentone, ma solo perché, in un angolino della testa, voleva metter giù tutto il peggio per alleviare la delusione nel caso qualcuno non si fosse davvero dimenticato di lei. Dannata psicologia inversa.
Avril restò in quello sgabuzzino per ore, nel buio, aspettandosi di trovare la tristezza, invece si annoiava e basta. Non sapeva più nemmeno l'orario e ormai sapeva a memoria ogni particolare di quella stanzetta, e ne aveva abbastanza. Si alzò, quindi, da quelle mattonelle fredde e, poggiando la mano sulla maniglia, si accorse che dall'altra parte ci fosse già qualcuno a tirare in sua direzione. Lasciò la presa e Calum per poco non le si catapultò contro.
"Oddio, scusa!" urlò in preda allo spavento il ragazzo mentre cercava di assestarsi. "E' che ti stavo cercando."
"Mi stavi cercando?"
"Sì, ma non eri da nessuna parte. Quindi, credo che se non ti avessi trovata qua, avrei perso tutte le speranze" spiegò con un fare imbarazzato, uscendo dallo sgabuzzino e facendole segno di seguirlo.
"E perché mi cercavi?" domandò allora Avril, che rivedere la luce dopo tutti quei minuti le faceva male agli occhi.
"Usciamo da qui e ne parliamo, okay?"
"Va bene," gli concesse. "ma che ore sono?"
"Le due e dieci, più o meno." 
Wow, le sembrava di esser stata lì dentro giornate intere, invece erano passate soltanto due ore. Che concezione del tempo.
Camminava fianco a fianco con Calum, l'unica persona che probabilmente non avrebbe rifiutato in quel momento, e l'unica che l'aveva cercata. Forse, era arrivato un nuovo amico.
Scesero le scale ed Avril percepiva la sua mano scontrarsi con quella di lui, sentendosi ogni volta bene. 
Il parcheggio era vuoto, così lo attraversarono velocemente, ritrovandosi poi all'uscita. Si aspettò che Calum si fermasse, ma invece non allentò il passo e non smise di camminare.
"Dove vai?" gli chiese, appunto.
"Ti accompagno a casa, se vuoi" le comunicò, un po' esitante, ansioso di una conferma. Conferma che trovò quando Avril gli sorrise.
"Allora..." cominciò lui. "Mi è sembrato di capire che tu e Luke siate in sintonia."
Certo, perché non ci aveva pensato prima? Voleva parlarle di Luke, magari farle tornare in mente l'episodio nei corridoi... Altro che accompagnarla a casa.
"Sintonia non credo proprio" ribatté a tono, come infastidita. 
Calum staccò gli occhi dalla strada, solo per guardarla confuso. 
"Stamattina non sembrava."
"Appunto, stamattina."
Il moro sbuffò, come se fosse ormai già previsto che qualcosa dovesse andare storto. Come non detto, "Cos'ha già combinato?" le domandò. 
Ma Avril non aveva voglia di spiegare e non l'avrebbe fatto. Scosse la testa, lasciando che quei ricordi se ne andassero e fece segno a Calum di lasciar stare. Piuttosto, "Sembra sempre incazzato, serio e triste." gli fece presente.
"Lo so, volevo parlarti proprio di questo. Volevo metterti sull'attenti, perché Luke non è come tutti i ragazzi. Devi comportarti in modi diversi, con lui."
"Diverso vuol dire che è sempre depresso?" fece Avril ironicamente. Sentirsi dire che Luke era diverso le dava parecchio fastidio. Ché lo sapeva anche lei, eccome, ma sicuramente avrebbe deciso lei che comportamento assumere. Dio, quanti casini portava con sé Luke Hemmings.
"E' la troppa merda che ti cade addosso quando sei da solo che porta a non avere la forza di sorridere veramente, nemmeno quando di motivi ce ne sarebbero. Si appende a quei fili o a quelle galere che ha costruito intorno a sé, per cercare di farsi meno male senza sapere che, una volta che inizia ad avere prigioni, è già morto dentro. Non si tratta di mancanza di coraggio, ma..." Si fermò, forse per prendere fiato, forse per trovare le parole giuste. "Ma proprio mancanza di forza. Uno ci prova e ci riprova se necessario a liberarsi, ma quelle delusioni, quel male, quel passato sarà sempre troppo forte" tentò Calum di spiegarle, senza sapere che, sinceramente, Avril non sapeva se avesse capito bene o meno. Sta di fatto che, dopo Calum, nessuno parlò più. E ignorò le chiamate e i messaggi di Vicky, a cui aveva dato buca e di cui aveva evitato il passaggio per tornare a casa. Perché fu trascinata nel mondo deserto e spento di Luke, e non sapeva il motivo, ma voleva restarci. Magari non per sempre, ma per quanto bastasse a rianimarlo.
Le macchine passavano velocemente di fianco a loro, le persone camminavano distratte e affrettate, incuranti di loro due. E a loro stava bene così.
Avere Calum così vicino era come avere una sorgente di positività vicino, tanto che, quando arrivarono davanti alla casa di Avril, questa non voleva che quella sorgente si spegnesse, ragion per cui "Resti?" gli chiese, senza pensarci due volte. 
E allo stesso modo, Calum annuì. Non volevano ammetterlo, ma lo dimostravano: volevano conoscersi, trovare le radici di loro stessi, potersi fidare l'uno dell'altra, semplicemente perché ne avevano bisogno.
Lui le sorrise, come preso da un'ondata di felicità. 
"Ti porto in un posto" affermò sicura. Senza obiezioni, Calum lasciò prendersi per mano e farsi trasportare dalla ragazza. Camminarono sull'asfalto per non più di dieci secondi, e a destra si aprirono davanti alla loro vista delle scale di pietra, che salivano una piccola collina, contornate da dei cespugli. 
Ad Avril si illuminarono gli occhi. Amava quel posto, l'aveva scoperto solo tre giorni fa. 
Salirono sui gradini a passi veloci, per poi ammirare quello che per lei assomigliava ad uno squarcio di paradiso: una distesa di prato verde, con qualche panchina posta qua e là, schiere di alberi ma, sopratutto, un enorme sasso. Spostato più verso destra, ricoperto di scritte indelebili, ed era dove Avril stava puntando gli occhi. 
Avanzò verso esso, seguita da Calum, che non aveva accennato parola fino a quel momento. Allora si andò a sedere proprio sopra lì, con lo sguardo rivolto verso il panorama.
"Vieni qua" gli ordinò, picchiettando la mano alla sua sinistra, e lui non se lo fece ripetere due volte.
"Wow" commentò, stupito dalla visuale.
"E' il punto più alto della città" gli spiegò con una punta di fierezza. "Da qui posso vedere tutto." 
"Mi piace."
E come poteva non piacergli? Avril si sentiva come circondata da una nuova dimensione più tranquilla, dove l'unico rumore era il cinguettio degli uccelli, e più spensierata, dove di problemi non c'erano più. E, a dirla tutta, le piaceva perché si immaginava un po' così il mondo di Luke.
Ed ebbe paura.
"Anche a me. Amo la tranquillità, soprattutto." 
"Credo che questa sia l'unica cosa che conosco di te" commentò Calum, finendo con una risatina che la fece sorridere. Non ci aveva mai pensato.
"E cosa vorresti sapere?" domandò allora. 
"Non so, dimmi tu." 
"No, inizia tu." 
"Io?" alzò la voce di un'ottava, probabilmente preso alla sprovvista da quella richiesta. Ed Avril non aveva pensato neanche a questo, ma non conosceva assolutamente niente di Calum. Ed era curiosa.
"No, guarda, io." Alzò gli occhi al cielo. 
Calum sbuffò, per poi "Okay" concederle. "Ma non ho idea di cosa dire. Fatti bastare che sono metà kiwi e metà scozzese e amo cantare. E Katy Perry. E i cuccioli di cani, quanto possono essere belli?" domandò retorico, tutto eccitato, facendo ridere Avril, che "Non conoscevo questo tuo lato tenero, Hood! E sinceramente pensavo che fossi asiatico" disse.
"Immaginavo." La guardò male. "Ora tocca a te."
"Ma nemmeno io so cosa dire!" sbuffò. "Sono qui da poco, prima abitavo a Melbourne. Sono figlia unica, amo l'azzurro e tutto ciò di questo colore, il mare d'inverno, gli occhi; odio la scuola. La odio davvero." 
"Certo che sei strana."
"E amo anche la stranezza."
"Luke è strano, anche." E improvvisamente la sensazione di leggerezza venne meno. I ricordi di quella mattina si fecero vivi, ormai indelebili. Perché, diavolo, Luke doveva essere in ogni frase, in ogni pensiero, in ogni posto? 
Di nuovo la stessa paura.
E le uscì solo un "Lo so", sussurrato a bassa voce, capace di lasciare tracce di terrore. Terrore che Calum captò, e che gli fece fare qualcosa che Avril non aveva ancora inserito nella sua vita. Si spostò di poco, giusto per riuscir meglio a circondarle il collo caldo con le su braccia fredde e abbracciarla come se fosse stata il suo peluche preferito, come qualcosa di importante, qualcosa che non avrebbe voluto che scappasse, ma che restasse lì, immerso nel suo profumo che Avril percepì immediatamente. Inizialmente spalancò gli occhi, ma poi sorrise, nonostante fosse tutta rossa in viso. 
Semplice, Avril si reputava una persona da non abbracciare. 
Successivamente, si rilassò e, quando ci fece l'abitudine, Calum si staccò. 
"Sai una cosa, Avril? Credo di volerti bene."
Le voleva bene. Uno dei pezzi di ghiaccio creatosi tempo fa sul suo cuore si sciolse e si sentì più viva. Le voleva bene. Sorrise.
"Anche io." 
"Ed è per questo che prima ti ho detto di stare attenta con Luke. Conosco lui, e ora posso dire di conoscere anche te, e so che uno dei due si farà male" parlò serio e poi abbassò lo sguardo, probabilmente soffermandosi a leggere una delle scritte impresse su quel sasso. 
Ma ad Avril quelle parole passarono inosservate per la testa, come prive di senso, perché aveva la voce della paura che le sovrastava con delle urla. 
E queste urla dicevano solo una frase: ormai ti piace.
Sussultò, perché per la prima volta pensò seriamente a quella frase. 
"Ok" accettò le sue suppliche, a cui non aveva dato nemmeno peso. Cos'era, una Vicky due la vendetta?
"Credo che ora mia mamma mi starà cercando, forse è meglio che vada." Scese dal sasso, così come fece Avril. Scesero da quella collina che, senza saperlo, era ormai diventata il loro posto. Si fermarono davanti alla casa della ragazza, vicinissima, e rimase sconcertata quando, prima che Calum se ne andasse, le schioccò un veloce ma tenero bacio sulla guancia. 
Le voleva bene. 

Quel pomeriggio, Avril non fece altro che perdersi nella matematica, nel caos tra le calcolatrici, libri, Luke Hemmings, bicchieri ormai vuoti...
Luke Hemmings. Ecco.
Le aveva incasinato completamente la testa. L'aveva sbattuta al muro, le aveva morso, succhiato il labbro, l'aveva guardata. E non sapeva più cosa aspettarsi. 
Le squillò il cellulare, forse per la trentesima volta. Vicky.
Decise allora di rispondere.
"Pronto?" 
"Porca puttana, Avril, e santo di quel Dio, che Sant'Agostino ti fulmini da lass..."
"Ferma, ferma!" la interruppe urlando, sovrastando le sue imprecazioni. Finalmente, smise anche l'altra di parlare e calò il silenzio, che diede spazio ad uno "Scusa" di Avril.
"Ho avuto paura" le confessò dopo essersi calmata. "Perché non rispondevi?"
Merda, merda, merda. Perché non rispondeva, eh?
"Stavo dormendo" mise lì la prima cosa che le venne in mente, mentre chiudeva l'ultimo libro rimasto aperto. 
"Ok. Ne riparleremo domani, ora devo andare" le disse sbrigativa. Avril sentì un rumore di chiavi girare nella serratura, e poi il monotono tu-tu-tu.
Posò il cellulare sul tavolo, dirigendosi in cucina, trovando la faccia stanca di sua madre che buttava la pasta nell'acqua.
"Mà, stasera non mangio." Le si avvicinò per posarle un bacio sulla guancia. "Sono stanca, credo andrò a dormire." 
E, dopo mille obiezioni della madre, riuscì a convincerla e a svincolare verso camera sua. Finalmente, ogni pensiero poteva essere messo a tacere.

Una settimana era passata così. 
Aveva chiarito con Vicky e continuava a scambiarsi parole con Calum, ad andare al sasso anche solo per riposarsi, a camminare tra i corridoi sotto lo sguardo critico degli studenti, ad avere lo sguardo vigile di Michael addosso, e l'indifferenza di Luke.
Jason le mancava.
Ma forse le mancava quell'abitudine di amarsi, di alzarsi e trovare il suo buongiorno, di leggere quei messaggi stupidi, ma allo stesso tempo significanti. In fondo, le mancava semplicemente il passato. E ciò che le rimaneva era solo lo schema dell'abitudine di appartenersi. Ed era questo che la fotteva, perché si era troppo abituata alla situazione di loro due per uscirne illesa. 
Ma ora c'era un altro problema.
Quel giorno di fine febbraio, tra tutte le facce assenti di studenti addormentati, trovò la sua, quella di Luke. L'aveva ignorata per sette dannatissimi giorni e, in quel momento, ricevere quell'occhiata, le sembrava surreale. Ma più di tutto, le sembrava surreale vederlo avvicinarsi, non a qualche comune studente, ma a lei.
"Ciao." e, quando sentì quella voce penetrarle nelle orecchie, lo stomaco rispose con una serie di capriole incontrollabili. 
La stessa voce che le aveva detto di essere incazzata con lei. La stessa che le aveva raccontato di Ashton.
"Ciao" ricambiò il saluto, atona. 
"Devo chiederti una cosa." Sguardo abbassato, maglia scura con la scritta gialla dei Nirvana, pantaloni stretti e neri, cappello di lana che lasciava uscire fuori il ciuffo biondo. Avril si perdeva dietro a questi dettagli e non poteva che pensare che fosse bellissimo.
Incrociò le braccia al petto, facendogli capire che sarebbe stata lì ad ascoltarlo. 
"Vorrei che stasera venissi con me e gli altri in un posto." 
"Scherzi?" 
Cosa? Una settimana colma di indifferenza, l'episodio di quella mattina, e ora le chiede di uscire? 
"No, perché dovrei?" rispose, seriamente perplesso, facendo spalancare gli occhi ad Avril. O lei aveva ingigantito la faccenda, oppure lui aveva perso la memoria. Però ora come ora, nello stesso corridoio, davanti a quegli occhi azzurri e apatici, tutto sembrava azzerarsi, e si fece strada ogni tipo di emozione. 
Con la voce più bassa, a tratti quasi impercettibile "E tu perché vuoi che venga?" gli chiese. 
E allora lui alzò lo sguardo, facendo tremare ogni parte di Avril e "Così" le diede come risposta. 
All'inizio del corridoio, Avril intravide Vicky, probabilmente in cerca lei. Si allontanò immediatamente da Luke, con sguardo preoccupato, e lo lasciò lì, andando incontro a Vicky.
Che fosse stata una vigliacca, questo lo sapeva, ma in confronto a ciò che aveva fatto lui, non era niente. Eppure, quando si girò indietro per guardarlo un'ultima volta, Luke la stava guardando. Con una faccia impassibile, ma la stava guardando.
Voleva evitare di parlargli in presenza della cugina, non voleva più creare casini. Ma lo sapeva, quella discussione non era finita.


Era già tornata da scuola Avril quando iniziò a sentire il senso di colpa che piano piano la stava aggredendo. Seduta sul suo letto, con un libro in mano, la schiena poggiata al muro, e di fianco l'unica cosa che sembrava attirarle l'attenzione: quello stupido cellulare. Lo fissava costantemente, indecisa, come se fosse una battaglia con se stessa. 
16:04.
Fece ciò che avrebbe cambiato, senza saperlo ancora, tutta la situazione. Prese il cellulare e con più decisione di prima iniziò a scrivere.

16/feb/2013 16:05
Va bene per stasera.

Dopo una lunga lite con se stessa, questo era il risultato. Sarebbe uscita con Luke e gli altri. Forse per il senso di colpa, forse perché in ogni caso ci sarebbe stato anche Calum, forse perché voleva e basta. 




Hei people!
Credo sia passata solo una settimana, ho recuperato il mio enorme ritardo.
Allora, a dirla tutta, ho scritto velocemente questo capitolo perché non vedo l'ora di scrivere il dodicesimo, che sarà il mio preferito. Sono tipo tutta esaltata. Io e l'altra scrittrice eravamo in classe e prima che iniziasse la lezione ci è venuta un'idea che personalmente amo da morire, perché c'entra con Ashton, che è il mio 'preferito' e mi manca un bel po' in questa storia.
Però ok, parlando di questo capitolo, sono le 17:31 e non so quando lo pubblicherò perché sto aspettando la foto che dovrei inserire a fine capitolo riguardante il sasso lol
Nel frattempo, a me è piaciuto portare avanti l'amicizia tra Calum e Avril. Spero piaccia anche a voi :)
E poi, come avete letto, Luke e Avril dovrebbero uscire insieme. Che cosa accadrà mai? Lo scoprirete nella prossima puntata. Ok, così sembra proprio un film a puntate, scusate lmao
Vado. 
E vi voglio bene.

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quello di Martina: danswtr

E questo è il mio ask, dove potete chiedermi tutto.
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Bye x 
 


Luke




Calum ((è la dolcezza))




Eccoli insieme :)




E questo è il posto del sasso. E' la strada che Calum e Avril percorrono prima di svoltare a destra, dove ci sono quei cespugli che nascondono le scale. E' tipo il 'posto segreto' che hanno l'altra scrittrice e la sua migliore amica, mi piaceva inserirlo in Two :)

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Capitolo 12
*** We're Two, genius. ***


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We're Two, genius.

Non c'era rimedio all'ansia che Avril aveva quel tardo pomeriggio. 
Non era riuscita a stare seduta per più di dieci secondi, a seguire un programma televisivo per più di tre parole e a svolgere più di due esercizi di inglese. Aveva mangiato forse due foglie di insalata e poi era corsa su in camera a cercare un qualunque vestito fosse adatto per uscire. E il problema era che non aveva trovato niente. 
"Sono nella merda," lanciò all'aria una maglia. "nella merda più totale." 
Si buttò a peso morto sul letto, disperata. Non ne poteva più. Avrebbe dovuto semplicemente reprimere il suo senso di colpa e restare a casa senza nessun Luke Hemmings intorno, e invece no. Si ritrovava alle nove di sera distrutta, abbattuta e ansiosa.
Il cellulare si illuminò e arrivò un messaggio sotto il nome di Luke. 

16/feb/2013 21:04
Passo tra mezz'ora.

Mezz'ora. Mezz'ora?! Si alzò con uno scatto felino, facendo scricchiolare il letto e immerse la faccia nell'armadio.
Prendo la prima cosa che mi capita, pensò.
E le capitò sotto mano un semplice paio di jeans e una maglietta non molto scollata.
Entrò nelle sue adorate vans nere, sistemò i capelli con qualche spazzolata e sorrise soffermandosi per un istante a guardare l'azzurro delle sue punte.
Un filo di matita nera, un po' di mascara sulle ciglia ed era pronta. Più che un'uscita, sembrava che dovesse andare a fare jogging, ma non le importava. 
Afferrò il cellulare, 21:26. 
Scese le scale, spense tutte le luci, ricordandosi ogni predicazione di sua madre per quanto riguarda il risparmio energetico e, quando si chiuse la porta alle spalle, la macchina di Luke si poteva già intravedere alla fine della via. 
Ansia, paura, rimorso.
Solo quando si fermò davanti a lei e aprì dall'interno la portiera per farle segno di salire, Avril si rilassò. Perché quella sera Luke sembrava più sereno del solito, quasi felice, senza più quella pellicola di indifferenza verso il genere umano.
Salì su quell'auto e venne accolta da un "Ciao", che ricambiò subito. Poi sentì il suo sguardo rimanere fisso su di lei e "Che c'è?" sbottò a disagio.
"Mi aspettavo dei vestiti diversi, niente di che." Alzò le spalle mentre masticava nervosamente una cicca. "Ma mi piacciono."
"Grazie" rispose con un imbarazzo percepibile da tutte le parti, torturandosi le mani sudate. 
Era nella stessa macchina in cui era Luke Hemmings, era diretta nello stesso posto (ancora sconosciuto) in cui era diretto Luke Hemmings e le parole scambiate non erano con una qualunque persona, ma con Luke Hemmings.
Luke iniziò a guidare ed Avril poggiò la testa al finestrino, osservando qualunque cosa le capitasse sotto gli occhi, cercando di trascurare il più possibile quella presenza troppo vicina. Niente musica, solo il respiro di loro due. Non voleva che iniziasse a parlare, non voleva discutere con lui, e infatti non lo fece, fino a quando non arrivarono in un piccolo parcheggio. Avril non fece quasi in tempo a leggere il neon Gens, che Luke "Siamo arrivati, scendi" le disse. Allora aprì la portiera in sincronia con lui, e quasi fianco a fianco si avvicinarono all'entrata del locale. 
Avril voleva entrare e trovare subito Calum ma, quando entrò, vide solo tanti tavoli sparpagliati, luci accecanti di tutti i colori, ma non molti ragazzi che vagavano per il posto. Grazie a Dio. 
Che razza di posto era quello? Seriamente Luke aveva il coraggio di frequentarlo? Si guardò un po' intorno e sentì la voce di Luke, bassa, quasi impercepibile, che le imponeva di seguirlo, fino ad arrivare ad un tavolo più in fondo rispetto agli altri. Si sedettero proprio lì, dove la luce era più scura, a tratti inesistente, la situazione in generale più calma e la musica più ovattata. Quando si ritrovò ad avere di fronte a sé quegli occhi così azzurri, l'unica cosa che riuscì a chiedere fu: "Gli altri non ci sono?"
"Arrivano più tardi. Di solito veniamo in questo posto verso le 23, è ancora presto."
Annuì debolmente, forse perché si aspettava di incontrare Calum subito. 
"Cosa prendi?" Luke cambiò discorso, mentre sfogliava una vecchia lista contenente nomi di cocktail di tutti i tipi.
"Non saprei, tu prendi qualcosa?"
"Due." continuò la sua lettura tranquillamente, quando "Credo che tu mi debba spiegare cosa significhi questa risposta."
"Non credo che tu voglia davvero saperlo."
"Io credo di sì."



20 settembre 2010
Luke quel pomeriggio aveva ricevuto il solito messaggio di Ashton. Il solito "Ci troviamo al bronx", il loro punto di incontro, quello che stava a metà strada per entrambi. Non era nemmeno un vero e proprio bronx, solo un campo di basket all'aperto, malandato, senza più un canestro. Il muro grigio, ricoperto di graffiti di tutti i colori, il cancello arrugginito attorno, qualche pianta che tentava di crescerci dentro. E non appena Luke ci si avvicinò, lo vide. Seduto sulla panchina ormai sverniciata di quel verde spento, con le cuffie alle orecchie, l'aria rilassata, una felpa a ripararlo dal freddo e quei pantaloni che erano un po' ciò che lo caratterizzavano, stretti e corti, lasciandogli le caviglie scoperte. 
Luke sorrise, e in quel momento Ashton si accorse di lui. Si tolse così le cuffie, alzandosi e andandogli incontro.
"Ehi" lo salutò con quel suo tono allegro. Ashton era sempre così, felice, spensierato. Sembrava vivere in un mondo protetto dalla tristezza. L'attimo dopo che Luke sentiva il suo saluto, era come se venisse trasportato in questo mondo, dove c'erano solo loro due. 
"Ehi Ash." E Luke ormai ai problemi non ci pensava più.
Iniziarono a camminare per le vie di Sydney, raccontandosi dalle cose più stupide a quelle più serie, diretti verso quello che era come la loro seconda casa: il bar delle quattro strade, chiamato così dai due da anni, poiché era situato vicino ad una rotonda a quattro uscite. 
"Ciao Billy!" salutarono entrambi il proprietario quando entrarono, che li accolse con un sorriso. Era come un loro secondo padre, e probabilmente anche lui vedeva i due ragazzi come suoi figli, tanto che cercava sempre di convincerli a non bere troppo.
"Il solito?" chiese Billy, mentre Luke ed Ashton si sedevano al tavolo in fondo a destra, di fronte alla televisione.
Annuirono e in televisione partì una canzone dei Green Day. Ashton tirò fuori dal suo zaino un libro e "Devi studiare anche oggi?" gli domandò Luke, alzando gli occhi. 
"Anche tu dovresti farlo" lo mise a tacere l'altro.
"In realtà, ora dovreste andare tutti e due a ritirare le scorte di bottiglie che sono appena arrivate e metterle nella stanzetta qua dietro" Billy arrivò con i loro bicchieri.
"Ancora?! Questo è sfruttamento minorile!" si lamentò allora Luke.
"Io ora non ho tempo, non vorrete mica che il mio bar vada in rovina." Si girò indicando i clienti che continuavano ad entrare con una smorfia supplicante.
I due ragazzi infine si arresero, Ashton posò il libro sul tavolo e andarono verso la porta nel retro, quella che utilizzava solo il personale. Loro non lavoravano lì, e non erano mai passati per quell'entrata. Ma ora, uscendo da quella parte, si ritrovarono  in un vicolo spento, buio, senza nulla, ed il furgone che forniva il bar era l'unica cosa presente. Cominciarono a mano a mano a tirar giù le bottiglie e, quando ebbero finito, il camioncino ripartì.
"Mi piace questo posto" affermò Luke dopo essersi guardato intorno.
"Ti piace?" chiese conferma di ciò che aveva appena sentito, ché sembrava quasi assurdo.
"Sì." Si infilò una mano nei capelli per sistemarseli e passò lo sguardo tra le scritte sul muro che aveva davanti, mentre Ashton sospirò e con le mani in tasca rientrò nel bar.
Luke non rimase molto lì. Seguì l'amico, andandosi a risedere al tavolo, pronto a passare un pomeriggio come tutti gli altri. 

Alle sette di sera era abitudine lasciare il bar delle quattro strade e rintanarsi nelle proprie case per cenare, per poi ovviamente uscire anche con Calum e Michael.
Ma quella sera, Ashton aveva proposto a Luke di rimanere a casa sua e concedersi una serata tutta per loro. E questi aveva accettato, a patto che fossero usciti ad un certo punto della serata per prendere una boccata d'aria.
"Ma tu hai ancora la mia maglia dei betty boop!" gli fece notare Luke, aprendo il suo armadio durante la sua perlustrazione della camera di Ashton.
"Ma tu me l'hai regalata un anno fa!" gli urlò dal bagno Ash che si stava piastrando da almeno venti minuti i capelli. 
"Sei un bugiardo." lo accusò quando aprì la porta. "E sei troppo fissato con quei capelli, un giorno o l'altro ti ritroverai pelato." 
In risposta fece solo un verso lamentoso, alzando gli occhi e spegnendo la piastra. "Ho finito, va bene?"
"E allora smettila di toccarti quei santissimi capelli." Gli si avvicinò e lo prese per il braccio, trascinandolo fuori a forza.
"Sei stressante."
"Anche tu." Luke prese velocemente il cappotto, uno zaino e aprì la porta, per poi richiuderla soltanto dopo essersi rassicurato che Ashton fosse già uscito.
E, mentre scendevano le scale di casa Irwin, a Luke venne un'idea.
"E se tornassimo a Due?"
...Un'idea che forse aveva avuto in mente tutto il pomeriggio.
Ashton lo guardò storto, per poi "Due?" chiedergli. 
"Due, il vicolo di oggi." 
"E perché dovremmo ritornarci? E soprattutto, perché lo chiami Due?" indagò scettico sulle strane intenzioni dell'amico, e non si rese conto che, nonostante fossero strane, stavano percorrendo esattamente le stesse vie per raggiungere quel posto.
Luke rise piano, perché lui sì che se ne era reso conto e "Perché non saprei, e perché c'è una scritta enorme con quel numero, e mi va di chiamarlo così" lo informò.
Probabilmente arreso, Ashton sbuffò e infilò le mani fredde nelle tasche. 
Dopo esser sbucati fuori da qualche via dimenticata, riuscirono a intravedere l'inizio di quel vicolo che sembrava essere stato così tanto vissuto da esser stato poi lasciato lì a marcire. Perché era tutto fuorché frequentato, con quei muri quasi cadenti, colorati da scritte e disegni. Sacchetti, bottiglie, sigarette spente a terra. Quel 'Due' quasi alla fine, quello che attirava fin troppo Luke. E proprio lui credeva di voler rimanere lì per sempre. 
Era ancora un ragazzino, uno di quelli che credono di odiare la vita per qualche lite con la madre prima di uscire, per la pioggia di sabato, per delusioni sparse qua e là. Ma ne era convinto: nessuno sentiva ciò che provava, e stare da solo era l'unico anestetico più potente. Perciò, quel posto era il suo posto. Insonorizzato, staccato dalla vita, animato solo dalla presenza di Ashton.
Si inoltrò nel vicolo, fermandosi proprio davanti a quel numero. Si tolse lo zaino dalle spalle, lo posò a terra e ne tirò fuori una bomboletta spray. 
"Cosa vorresti fare?" cercò l'altro di capire, sempre più perplesso dagli atteggiamenti di Luke. Quest'ultimo agitò la bomboletta e iniziò a scrivere. Il muro catturò la vernice nera e, parola dopo parola, comparve una scritta non molto distante dal Due, e neanche molto grande.
All primes are odd except two, which is the oddest of all
Tutti i primi sono dispari tranne 2, che è il più strano di tutti

Sorrise soddisfatto del suo lavoro, lasciando un Ashton, piuttosto disorientato, al suo fianco.
"Non capisco" affermò poi. 
Luke roteò gli occhi e "Come non detto. Studi tutto il giorno tutti i giorni e non ti applichi in queste cose" lo rimproverò, rimettendo la bomboletta nello zaino. "Il due siamo noi, genio. Siamo noi i più strani, i più diversi. Siamo due, siamo noi due" gli spiegò.
"Mi stai dicendo che ora abbiamo una scritta nostra su un muro?"
"Più o meno." 
"Questo posto inizia a piacermi." 

Le giornate passavano e loro non passavano mai. Si rifugiavano quando volevano in quel vicolo, o meglio, nel vicolo, anche solo per parlare. 
Quel pomeriggio erano usciti dal retro del bar delle quattro strade, Luke aveva una bottiglia di coca cola in mano e Ashton, poggiato al muro, continuava ad insistere sul fatto che il nuovo gioco della playstation di Michael fosse troppo figo. Quando stava ancora parlando, una donna abbastanza giovane uscì dalla porta del retro vicino a loro e "Sapete per caso dov'è un tabaccaio?" domandò. "Billy mi ha detto di uscire da qui, così avrei fatto prima." 
Per un istante Luke guardò Ashton, poi posò lo sguardo al muro che aveva di fronte e sul suo viso comparve un sorriso divertito.
"Due" le rispose, per poi scoppiare a ridere. Una risata che coinvolse anche l'amico. 
Entrambi ridevano, tranne la signora che stava ancora lì sull'entrata, con un'espressione in viso che diceva solo "Siete psicopatici" e questo li faceva ridere ancora di più. 
La donna poi scomparve, dopo un'occhiata più che preoccupata e finalmente i due si placarono.
"Due?" chiese ancora con un sorriso demente in faccia.
"E' la prima cosa che ho letto e l'ho detta" spiegò Luke.
Ashton scosse la testa, facendogli intendere quanto fosse stupido e "Rientriamo, dai" affermò.
Rientrarono nella visuale di Billy, che stava dietro al bancone del bar, che sembrava indaffarato tra i mille caffè da preparare. 
"Avete visto la nuova scritta sul muro di fuori?" domandò ai due ragazzi quando si sedettero al solito tavolo.
Sguardi complici, sorrisi sghembi e "Due" risposero contemporaneamente.  




Quando finì di raccontare tutto ciò ad Avril, Luke sorrise, prendendo poi un sorso della sua birra. Ed Avril era ancora lì, con ogni parola uscita dalla bocca di lui impressa nella testa. 










Hei people!
Ormai questo spazio autrice è diventato lo spazio delle scuse. Sono stata assente per due settimane, e non vi potrei dire qualcosa come "esco troppo con i miei amici, non ho molta ispirazione, non ho molta voglia", ma la causa è solamente la scuola. Non credo di avere qualche materia sufficiente, nonostante i miei interi pomeriggi passati a studiare, quindi sono molto giù di morale, ma ok, amo scrivere, quindi eccomi qui. 
Eccola qui la spiegazione di quello strano 'due'. Mi starete prendono per rincoglionita, però la mia mente va a pensare a queste cose, perciò 'sto capitolo è abbastanza strano. Ma se siete arrivate a leggere fino al capitolo 12 vuol dire che mi assecondate lol 
Voi, lettrici fantasma, fatevi sentire con una recensione :)
Al prossimo capitolo, love ya

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Capitolo 13
*** It was their bar. ***


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It was their bar.

Per la millesima volta, Avril si trovò affacciata sul disastro della vita di Luke e ci rimase incastrata dentro. Solo quando lo sentiva parlare del suo dolore, riusciva a dare un senso a Luke Hemmings. Ci aveva pensato spesso ad Ashton, che fosse gran parte della sua vita, ma di certo non tutta. 
Ed ora poteva percepire il dolore scorrergli nelle vene senza trovare una via d'uscita, rimanendo bloccato dentro di lui. Non c'era traccia di lacrime nei suoi occhi, la posizione composta, un bicchiere in mano e lo sguardo rivolto verso Calum e a Michael, che adesso si stavano avvicinando sempre di più a loro.
Avril sorrise a Calum, che ricambiò, andandosi a sedere proprio di fianco a lei. Successivamente la sua attenzione fu catturata dalla presenza di Michael, che lasciò occhiate in giro, silenzioso e inspiegabile come al solito. Occupò il posto di fianco a Luke, ma senza nemmeno accennare un saluto.
"C'era Emily fuori, all'entrata. Ci ha trattenuti per mezz'ora" cominciò la conversazione Calum, sbuffando, mentre si toglieva la giacca.
Luke spalancò gli occhi e "Cosa ci fa qui?" chiese.
"Non ne ho idea, ha solo detto che le andava di fare un giro qui." 
Avril aveva perso il filo della conversazione, non capendo niente. Girò la testa verso Calum, assumendo un'espressione confusa.
"Emily era la ragazza di Ashton" le spiegò velocemente. Annuì e lasciò i due continuare la loro discussione, soffermandosi sul ragazzo che Luke aveva di fianco. Michael non aveva perso il vizio di fissare qualsiasi cosa, oggetto e soprattutto persona si trovasse davanti. Era piuttosto snervante, ed ora si trattava solo di una questione di personale vittoria, così si mise anche lei a fissarlo. Puntò le iridi verdi in quelle azzurre chiare, enormi, profonde di lui. Probabilmente non ce ne sarebbe più uscita. Ma nessuno dei due aveva intenzione di dar fine a quella lotta. 
Finì solo quando "...E allora le ho detto di non venire al nostro tavolo perché ci saresti stato anche tu, ma ehi, aspetta" Calum osservò Avril, Michael e quel conflitto assurdo che si stava svolgendo a loro insaputa "Cosa stanno facendo?" domandò.
Fu Michael a cedere, solo per rispondere "Niente" al moro.
Avril poggiò bruscamente la schiena alla sedia e incrociò le braccia. Non sapere cosa passasse per la testa alle persone la urtava troppo, e decifrare i pensieri di Michael era decisamente impossibile. Lo sguardo le cadde improvvisamente su Luke, e l'espressione rilassata che aveva quando le raccontava di Ashton era stata sostituita da due occhi socchiusi come due fessure e dalla mandibola contratta. Sussultò, perché era la stessa espressione che aveva visto quando la sbatté contro il muro nei corridoi. 
Si fece sempre più piccola sulla sua sedia, iniziando a pensare che, in realtà, quelli erano i ragazzi che inizialmente temeva. Se l'era per caso dimenticato?
"Oggi, comunque, mi ha ridato il compito di storia e ho preso una A. Non dovreste essere tutti così acidi, piuttosto brindiamo a questi miei successi" Calum cercò di sdrammatizzare la situazione con una delle sue uscite, provocando dei sorrisi sui volti degli altri tre. Il suo braccio andò a circondare le spalle di Avril, che cambiò immediatamente umore, perché per la prima volta da quando li aveva conosciuti, si sentì un po' partecipe della loro strana, quasi proibita amicizia. Calum stava raccontando dei fatti che gli erano accaduti, ma li stava raccontando anche in sua presenza. 
Si sentì ancora meglio quando "Io e Michael invece siamo stati buttati fuori dalla classe perché siamo stati accusati di star interrompendo la lezione, quando in realtà erano quei coglioni di Butler e Deyes a parlare" affermò Luke scuotendo la testa. 
Ora Avril era una di loro.
La musica in sottofondo non si fermava, i ragazzi continuavano a parlare e anche Michael ogni tanto accennava qualche parola. Lei optava più per il silenzio, amava ascoltare tutto ciò che avevano da dirsi. Ma se ne era accorta: Ashton non rientrava mai in uno degli argomenti. Non lo sapeva esattamente perché, ma un po' le dispiaceva. Voleva sapere sempre di più su di lui.
"Stasera non c'è Daniel?" intervenne Michael. Luke spalancò una seconda volta gli occhi, alzò lentamente lo sguardo in sua direzione, serissimo in volto. Poi passò a squadrare Avril, che si congelò. La musica sembrava essersi abbassata per dare spazio ad una tensione che lei non capiva. Quando anche Michael spostò lo sguardo sulla biondina, si portò una mano sulla bocca, come essersi accorto di aver parlato troppo. 
"Ok, io propongo di tornare a casa" Calum cercava sempre di sviare le conversazioni dispiacevoli, ma ormai Avril si stava già chiedendo chi potesse essere Daniel.
Luke spostò la sedia all'indietro, provocando un rumore fastidioso e si alzò rapidamente, assecondando il moro e "Vi serve un passaggio?" chiese più per cortesia. 
Lo stesso fecero anche gli altri.
"No, siamo qui con le moto." 
"Ok, allora io porto a casa Avril" e questa si sentì un po' più importante, nonostante tutto.
Raggiunsero l'uscita, e quando furono nel parcheggio, Calum le si avvicinò e l'abbracciò.
"Fai la brava" le disse dolcemente.
"E tu vedi di tornare a casa tutto intero." Risero insieme, per poi separarsi. 
Salutò Michael solo con un accenno della testa ed entrò in macchina insieme a Luke.
"Per che ora devi tornare stasera?" la sua voce sembrava l'unica cosa che riuscisse a farle rendere davvero conto che tutto ciò era realtà, stava succedendo davvero. Si sentiva così stordita, lì, in una piccola macchina, con la presenza di Luke.
"Mia mamma è al lavoro, non credo di avere un orario" rispose solo dopo alcuni secondi, per avere il tempo di mettere assieme i pochi pensieri che aveva in testa. Perché sì, quando le era vicino, la sua mente sembrava svuotarsi del tutto. 
Luke sistemò lo specchietto della macchina, accese il motore e i fari illuminarono parte del parcheggio.
"Allora resti con me" esordì, sempre col suo tono calmo, tirando giù il finestrino e poggiandoci il braccio. 
Avril rabbrividì all'istante. Restare con lui, respirare la sua stessa aria e occupare il suo stesso spazio le metteva solo ansia. 
"Con te? Dove?" C'erano tracce di terrore in ogni singola parola pronunciata. Si girò a guardarlo. Il corpo rilassato sul sedile, le mani delicate sul volante, lo sguardo fisso sulla strada che alternava da destra a sinistra ad ogni stop. Paurosamente bello.
"Andiamo da Billy."
Da Billy. Avril se lo ripeté in testa altre tre volte, quel nome non le era nuovo. Stette in un silenzio colmo di pensieri, per poi illuminarsi. Billy, il tizio del bar delle quattro strade di cui Luke aveva parlato! L'idea la terrorizzava quanto la rendeva eccitata. Il posto che le aveva descritto, quello frequentato con Ashton, le sembrava così lontano, irraggiungibile, immaginario, di un altro mondo, tanto che ora che Luke stava guidando per andarci, le sembrava a dir poco strano.
Luke guidò per soli altri cinque minuti e la macchina si fermò a pochi metri dall'entrata del bar. Il posto era esattamente come se lo era immaginato. Anche camminare verso la porta d'ingresso la fece sentire così strana, perché l'unica cosa a cui riusciva a pensare era che, proprio dove lei ora stava camminando, ci era passato anche Ashton. Quando mise piede lì dentro, riuscì ad immaginarsi ogni singolo pomeriggio consumato dentro a quel bar dai due amici, a loro due seduti all'ultimo tavolo in fondo, ai saluti che si scambiavano con Billy appena varcata la soglia. 
E mentre tutto questo flusso di pensieri le passò per la testa, "Ehi Billy!" sentì pronunciare dal ragazzo che aveva di fianco. 
E poi il silenzio.
Alzò lo sguardo e vide un signore con un accenno di barba dietro al bancone, ora immobile. Sbatté gli occhi più volte, ma niente da fare, il tizio appariva come una statua. Capì che fosse un uomo e non un qualcosa di immobilizzato quando "Luke?" chiese con uno stupore percepibile. Posò finalmente il bicchiere che al momento stava pulendo con uno straccio e uscì da quell'area ristretta, andando dritto verso Luke e lo abbracciò. 
Avril, che capì, si allontanò un po' dai due, giusto per gustarsi meglio la scena.
Luke Hemmings che abbracciava un essere umano. Roba da pazzi.
La situazione le era abbastanza chiara: Luke sicuramente non frequentava più quel bar da quando Ashton non c'era più.
Quando l'abbraccio finì, "Cosa ci fai qui? E che fine hai fatto? Oddio, sei pure altissimo. Sei anche più alto di me ora" uscì questo accumulo di parole dalla bocca dell'uomo. 
Non passarono neanche due secondi che girò la testa e incontrò gli occhi di Avril, alla quale si tinsero le guance di rosso.
"Ah! Ora capisco tutto." capire tutto cosa? "Non me la presenti?" 
Luke assunse un'espressione indecifrabile, una che Avril non aveva mai visto comparire sul suo volto e gli fece un segno con la mano, facendogli capire che avrebbe spiegato tutto dopo.
Prese nella sua mano quella di Avril e "Noi ci sediamo là" disse e indicò l'ultimo tavolo. "Non scomodarti per venire a prenderci delle prenotazioni, siamo a posto così."
Billy annuì e sorrise.
Avril sentiva bruciare la propria pelle con quel contatto così insignificante, non poteva che far caso a quanto la mano di Luke fosse calda e liscia. Sussultò quando sentì il pollice accarezzarle piano la mano mentre si dirigevano verso il tavolo. Poi il contatto finì, si sedettero ed Avril si sentì così fredda. 
Gli occhi le guizzavano da ogni parte, pensando solo "Qui ci si sarà seduto anche Ashton" oppure "Qui avrà appoggiato i sui libri dopo la scuola" e tante altre constatazioni simili.
La tv trasmetteva i risultati della partita di rugby di quel pomeriggio, e a lei sembravano interessare particolarmente, pur di non guardare quelle iridi azzurre. Sentiva i suoi occhi puntati addosso e, per chissà quale motivo, riusciva a sentirsi più vulnerabile di quanto solitamente fosse, a sgretolarsi lentamente sotto il suo sguardo. 
Pensava che la serata sarebbe continuata in un silenzio imbarazzante, fino a quando "Perché proprio azzurro?" udì chiedere. Creò finalmente un contatto visivo col ragazzo che aveva davanti da almeno cinque lunghissimi minuti e lo vide indicare le sue punte dei capelli con un gesto noncurante della testa.
"Chi è Daniel?" rispose con un'altra domanda, ma poi se ne pentì subito.
Infatti, "Due" ottenne come risposta. Sbuffò.
"E' il mio colore preferito" spiegò intimidita, arrendendosi e accavallando le gambe sotto al tavolo. 
"Allora se il tuo colore preferito fosse stato il verde, viola o il grigio te li saresti tinti così?" rise piano. Avril sentì il cuore accartocciarsi su se stesso al suono della sua risata, così fottutamente bella, limpida e soprattutto giusta. Perché era giusto che Luke ridesse, che fosse felice, che vivesse realmente. Era ciò che inconsciamente voleva.
Si riscosse da quel momento di catalessi e "Non lo so, può darsi. Ma non credo sia un problema, perché odio quei colori" affermò.
"A me il grigio piace." Alzò le spalle.
 Lei non capì quella frase, ma mise da parte la sua perplessità e ogni sua domanda al riguardo. Luke era strano e ormai ci stava facendo l'abitudine.
"Sai, Avril, voglio ricominciare da capo con te," incominciò improvvisamente "tu e Calum sembrate andare così d'accordo. Anche io lo vorrei."
Avril smise per qualche istante di respirare. Era il vero Luke Hemmings quello che aveva davanti? Spalancò gli occhi, tossendo un paio di volte, forse per sovrastare il casino che il suo cuore stava facendo sbattendo contro il suo petto. Calò il silenzio, non aveva idea di cosa dire. 
Le labbra gli si curvarono, mostrando il sorriso che, secondo Avril, era il più bello al mondo. Come se fosse stato contagioso, anche lei gli regalò un sorriso e "Okay" disse. 
In un certo senso, le stava chiedendo di diventare amici. In un primo momento, Avril pensò di aver accettato per il semplice fatto che farsi amiche le persone che ci fanno paura è la migliore precauzione per non andare incontro a pericolose situazioni con esse. Ma si sa, l'unica persona a cui possiamo mentire siamo noi stessi, e così, per una buona volta, lasciò far passare il pensiero che volesse diventare sua amica e basta. Niente scuse, niente bugie: voleva conoscerlo fino in fondo e trovare qualcosa di bello in lui.
"Okay, bene." Si passò una mano tra i capelli "Quindi credo sia giunto il momento di smetterla di evitarci per i corridoi, di..." non fece in tempo a finire la frase.
"Di sbattermi contro al muro senza alcuna motivazione?" lo interruppe. 
"Sì, beh, anche quello." Alzò gli occhi al cielo.
Avril scosse la testa, sapeva che non si sarebbe scusato molto facilmente, anche se avrebbe voluto che lo facesse. O almeno avrebbe voluto sentire anche una stupida motivazione, ma non voleva sforzare quel sottile, o meglio, sottilissimo filo che li legava.
"Comunque, restando in tema, dovresti davvero smetterla di girare per i corridoi con quella bionda." 
"Ma quella è mia cugina! Cos'hai contro di lei?"
"Non saprei, non mi ispira molta simpatia" rispose con una nota di menefreghismo, che a chiunque avrebbe dato fastidio, ma non ad Avril, che continuava a parlargli soprattutto per questo suo modo di essere.
"Nemmeno tu ispiri simpatia a prima vista" replicò con un falso sorriso, che fece ridere Luke.
"Due" rispose poi, facendo spallucce e poggiando le braccia sul tavolo che li divideva. 
Quel 'due', detto così, in quel posto che era un po' la sua casa, sembrava rimbombare in ogni parte del bar. La scritta sul muro era così vicina che Avril avrebbe voluto correre fuori, uscendo dalla porta del personale, intrufolarsi in quel vicolo e respirare i ricordi lasciati da Ashton e Luke.  
A pensare ciò, probabilmente, era entrata in uno stato di trance, siccome "Andiamo?" sentì chiedere da Luke. Sbatté un paio di volte gli occhi, lo guardò e annuì. 
Entrambi si alzarono e, passando di fianco a Billy, lo salutarono. Dopo un'ultima pacca sulla spalla, uscirono dal bar, diretti verso la macchina.
Sembrava così surrealmente reale. Erano entrati come due persone con niente in comune, diffidenti l'uno con l'altra, legati da niente, ed erano usciti dalla stessa porta come due persone diverse. Avril credeva quasi di aver appena messo insieme i mattoni per creare un'amicizia priva di paura e astio. 
"Che ore sono?" domandò quando salirono sulla macchina.
"Mezzanotte e un quarto, più o meno." Accese la radio e mise in moto. 
"Ma non ti allacci mai la cintura, tu?" lo interrogò girandosi in sua direzione ed esplorando, come un'ora fa, quel profilo senza imperfezioni. A quel punto non le importava più nemmeno della risposta, ma solo di catturare ogni suo movimento nel rispondere.
"Qualche volta sì." La osservò anche lui e successivamente riprese a controllare la strada.
Avril si chiedeva come Luke conoscesse ogni strada di Sydney, ma non glielo avrebbe mai chiesto. 
Dopo massimo 15 minuti, erano già nel viale della ragazza. Quando scesero, Luke accese una sigaretta, ed Avril dedusse, quindi, che volesse restare ancora un po' con lei. Salì i tre gradini che la accompagnavano alla porta e ci si appoggiò contro, lui si sedette sulla piccola scala. Osservava qualcosa di indefinito davanti a lui mentre buttava fuori il fumo dalla bocca.
Avril si limitava ad osservarlo, cercando di rendersi conto che Luke Hemmings era seriamente seduto davanti alla porta di casa sua. Inconcepibile. Vicky l'avrebbe sparata in una tempia, le avrebbe legato una corda alla caviglia per poi attaccarla ad una macchina e infine l'avrebbe trascinata per tutta la città. 
Rise tra sé e sé per i pensieri senza senso che stava facendo e Luke picchiettò la mano di fianco a lui per farle segno di sedersi. Rispose alla sua richiesta e si sedette sul marmo freddo, facendo scontrare per sbaglio le loro ginocchia. Imbarazzata, girò lo sguardo da qualche altra parte, ma una nuvola di fumo le oscurò la vista: Luke la stava guardando. E stava anche ridendo piano. 
Allora Avril concesse a se stessa un'occhiata veloce verso quella meraviglia, perché Luke Hemmings che rideva era uno spettacolo, che oltretutto doveva anche essere a pagamento, poiché per essere lì dov'erano, aveva dovuto passarne così tante. Quella occhiata, però, non durò poi così poco. Il cuore le poteva scoppiare da un momento all'altro, lo sentiva.
"A cosa stai pensando?" le chiese, senza smettere di guardarla.
"Io, uhm, niente." Gesticolò agitata "Tu?"
"A te e Calum." Spense la sigaretta schiacciandola per terra "Come avete fatto a diventare così amici?"
"E' un tipo a posto, è simpatico con me."
"Quindi siete definitivamente amici?" le domandò concentrando ogni sua attenzione su Avril, che ora non riusciva a capire tutta quella insistenza e curiosità.
"Beh, credo di s-sì" riuscì ad articolare. Non si poteva essere sicuri di se stessi, o di ogni cosa, quando Luke ti scrutava con quell'azzurro negli occhi.
"E tra amici fate anche questo?" Alzò il braccio e posizionò la mano sulla coscia di Avril. Il contrasto tra caldo e freddo le provocò un'infinità di brividi. Si guardarono, Luke col sorriso sghembo, la mano che accarezzava lentamente la pelle coperta dai jeans. "Rispondi." 
Trattenne il fiato sin da quando il contatto incominciò e "No" diede come risposta, per poi far uscire un grosso respiro. Le palpitazioni erano chiare e forti, le mani erano impossessate da un leggero tremore, le gambe così deboli non le sentiva più. Che diavolo aveva in mente di fare?
"Allora posso fidarmi di Calum." Sorrise soddisfatto. "Di Michael non lo so ancora." Tolse la mano dalla sua coscia, alzandosi poi dal gradino.
Lo guardava andarsene quando ancora sentiva lo strano bruciore che quel contatto le aveva procurato, e voleva urlargli contro, chiedergli spiegazioni di tutto ciò, ma non riusciva. 
Luke era già in macchina, girava le chiavi per partire.






Hei people!
Ecco a voi un capitolo tutto Lavril, siccome non avevo accennato molto di loro nel dodici. Luke è terribilmente strano, imprevedibile, incazzato, sereno. E' Luke e basta. Mi dispiace se vi sto facendo morire articolando questo personaggio, mi sa che sto facendo rincoglionire un po' di gente lol. Nei capitoli che scriverò dopo questo Luke sarà molto più presente, saranno un po' più tragici. Ormai mi conoscete, non posso scrivere senza mettere tragicità un po' di qua, un po' di là. Mi odierete.
Però, va beh, vi devo assolutamente ringraziare, perché tutti i capitoli sono arrivati a 1000 visualizzazioni, la ff è seguita da 150 persone, abbiamo superato le 200 recensioni, siamo primi nei popolari. Non posso amarvi più di così.
Spero che vi piaccia ciò che scrivo e che continuiate e recensire, soprattutto voi, lettori fantasma lol
Bye x

 
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Capitolo 14
*** Where is the world when you kiss me? ***


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Where is the world when you kiss me?

Quella mattina, Avril si era ritrovata ad osservare allo specchio la sua immagine riflessa. Due cerchi tendenti al nero ad incorniciare gli occhi verdi e opachi, lo sguardo stanco, i capelli lisci come la seta con delle punte azzurre da ritingere. Improvvisamente, Avril si stava rendendo conto del cambiamento. Si stava lasciando andare ai ricordi che aveva di Melbourne, agli amici lasciati, a Jason. Era stata strappata dalla sua città e dalla sua vita, ed ora viveva perlopiù di mancanze lasciate durante il suo trasferimento. Ripensava alla scuola che frequentava, ai marciapiedi meno affollati su cui camminava, ai discorsi insensati con Jason, alle sue amiche con cui trascorreva i sabati, ma che ora si erano completamente dimenticate di lei.
Spalancò gli occhi.
Perché, al rimuginare di quei ricordi, le immagini di Calum e Luke si fecero spazio, proprio di fianco, quasi a soppiantarle. Li stava sostituendo. Stava sostituendo gli amici vecchi, lontani, ormai sbiaditi con Calum. E Jason... Le mancò quasi il respiro. E Jason lo stava sostituendo con Luke. 
Era decisamente assurdo. Ma allora, come poteva spiegare quel miscuglio di emozioni che Luke le procurava anche solo parlando, osservando il modo in cui le sue labbra verbalizzavano? Non poteva spiegarlo, non voleva. 
Si riguardò, riguardò la nuova Avril, e racchiuse i capelli in una coda alta. Era pronta, aveva compiuto le stesse esatte azioni meccaniche di giorni precedenti. 
Quella mattina, però, mentre entrava in macchina di Vicky, ci entrava con il corpo invaso da una strana sensazione, che circolava dentro di lei dalla sera prima. Una sensazione quasi indefinita, anonima, inspiegabile, dimenticata, accantonata. Essa sembrava quasi risvegliare Avril, che non si era resa conto, fino a quella mattina, davanti allo specchio, di essere rimasta spenta proprio dal giorno in cui fece le valigie per Sydney. 
Quella sensazione, se avesse dovuto avere un nome, sarebbe stato felicità.

Vicky stava parlando della nuova professoressa di musica mentre camminava fianco a fianco con Avril. Questa ascoltava attentamente ciò che la cugina aveva da dirle, e ogni tanto commentava.
"Ci ha fatto fare delle strane espressioni facciali, per poi farci trattenere il respiro, e poi passare a dei versi ambigui. Ero piuttosto impaurita" affermò e scoppiò in una risata che coinvolse anche Avril. 
Era di buon umore, quel giorno, solo grazie alla serata trascorsa con Luke. Si ricordava ogni particolare, ogni tocco, ogni sguardo, ogni risata. Ma non lo avrebbe mai ammesso, se non a se stessa, che lo stesso ragazzo che fino a poco tempo era la sua maggiore paura, ora era legato alla sua felicità. 
Quando girò la testa, forse più per abitudine, verso il muretto isolato, lo vide. O meglio, li vide, perché prima diede la sua attenzione a Luke, e successivamente si accorse di Michael e Calum. 
Luke le rivolse un sorriso, uno tutto per lei, e non poté che sentirsi in paradiso. Allora anche lui ricordava. Aveva un'insensata paura che fosse l'unica a ricordare i momenti passati insieme, che fossero solo immagini costruite e messe insieme da lei stessa, perché sembravano troppo belle per essere reali. 
Riuscì solo a dedicare un sorriso generale e sbrigativo: Vicky la stava praticamente trascinando dentro la scuola. 
"Almeno non davanti a me" si lamentò e alzò gli occhi al cielo.
"Volevo solo salutarli" si giustificò l'altra, continuando ad andare verso l'armadietto, convinta di dover recuperare i libri della prima ora.
"Li saluterai dopo, siccome hai lezione con Michael e Luke." 
"Wow, come siamo acid... Aspetta, cosa?" si allarmò. Da quando aveva lezione con entrambi? 
Ci pensò su, ricordandosi che Luke aveva sempre saltato la prima ora di quel giorno. Nel frattempo, Vcky le mise sotto gli occhi il foglio con gli orari, indicando la casellina della prima ora con a fianco educazione fisica. Avril rimase a fissare quelle due parole per almeno una manciata di secondi, per poi "Da quando in questa scuola si fa educazione fisica?" chiedere infuriata. 
"Da quando hanno assunto un professore di supplenza. Sostituisce Stevens, che ora deve essere operato alla gamba." 
Ma Avril odiava educazione fisica con tutta se stessa. Soprattutto se avrebbe condiviso l'ora con Luke e Michael. Imbarazzante. 
"Ma non ho nemmeno i vestiti e le scarpe da cambiarmi" usò un tono disperato, facendo ridacchiare la cugina. 
"Non ti preoccupare, le vans e i leggins che indossi andranno più che bene." Chiuse l'armadietto e posò un veloce bacio sulla guancia di Avril "Divertiti, io vado a subirmi un'interessantissima ora di storia." 
Si salutarono e la bionda, proprio in quel momento, si rese conto di non sapere neanche dove la palestra fosse. Si guardò intorno, i corridoi quasi deserti, la voglia di cercare una bidella era sotto terra.
E ora?
L'unica cosa che le veniva in mente era uscire, andare al muretto e pregare Luke di accompagnarla. Erano quasi le 8:05, sperava solo di trovarlo ancora lì. Quando fece retromarcia, uscendo dalla scuola, le uscì un sospiro di sollievo: era ancora seduto con le ginocchia portate al petto, il braccio disteso e una sigaretta tra l'indice e il medio. Aveva paura di dargli fastidio, ma non aveva altra scelta. Finalmente anche Luke la vide che stava arrivando proprio in sua direzione e gli si dipinse la confusione in faccia.
"Avril?" domandò infatti, quando fu più vicina.
"Alla prima ora, cioè adesso, abbiamo educazione fisica. Ed io, beh, ahm... Non ho idea di dove sia la palestra. Mi chiedevo, mi chiedo, ecco, se ti va di accompagnarmi" si fermò e avvampò di colpo, "Sempre se non hai niente da fare, voglio dire" puntualizzò. Le costava tantissimo far uscire quelle parole dalla bocca, così imbarazzata. Il battito non ci pensava nemmeno a regolarizzarsi.
Luke la guardò dall'alto verso il basso, dal basso verso l'altro, poi buttò a terra la sigaretta.
"Okay." Si alzò lentamente e passò una mano tra i capelli "Non ricordavo nemmeno di avere educazione fisica." 
"Neanche io." Una sensazione di sollievo si irradiò per tutto il corpo: aveva accettato.
Luke aveva iniziato a fare i primi passi per attraversare il cortile quando mise un braccio intorno alle spalle di Avril. Ghignò appena lei sussultò vistosamente a quella mossa, diventando forse più rossa di prima. 
Scesero delle scale e percorsero un tratto sotterraneo che Avril non aveva mai visto. Faceva un freddo cane. Un gruppo di studenti andava nel senso opposto al loro, ma si fermarono non appena nella loro visuale apparve Luke Hemmings e li fecero passare. Avril si girò a guardarli, sentendo sempre quel braccio dietro di lei, e li vide riprendere a camminare. 
Pazzesco, pensò, l'effetto che Luke aveva.
Risalirono delle scale e finalmente raggiunsero la palestra. Era molto più grande rispetto a quella che c'era nella scuola a Melbourne, più fredda, ma più illuminata dalla luce che le enormi vetrate non riuscivano a coprire del tutto. Seduti sulle gradinate c'erano tutti i loro compagni, compreso Michael, che probabilmente stavano aspettando il professore. Si accorsero subito di loro, girandosi e osservandoli con occhi critici e stupiti. 
Avril desiderava che si aprisse un burrone sotto di lei. Non fecero nemmeno in tempo a raggiungere gli altri sulle gradinate che fece comparsa il professore.
"Buongiorno, ragazzi." Avanzò velocemente dopo che posò il registro sul tavolo. 
In pochi risposero, ma non ci diede peso e "Sbrighiamoci, siamo già in ritardo. Oggi dobbiamo già formare le squadre di calcio, a fine trimestre ci sarà il campionato tra le scuole" continuò questo suo monologo. 
Luke tolse finalmente il braccio dalla ragazza e andò a recuperare un pallone dallo sgabuzzino. Avril aveva ancora qualche occhio puntato su di lei, ma non le importava più. Ora ciò che le suscitava più disagio erano le parole pronunciate da quell'uomo che non le andava proprio a genio. Calcio, aveva detto? E chi cazzo sapeva giocarci? 
Anche la parte femminile della classe stava sbuffando mentre si alzava svogliata dalle gradinate e raggiungeva il campo. 
"Bene, dividiamo velocemente le squadre. Voi di qua, voi di là." Fece qualche gesto sbrigativo con le mani, che Avril ovviamente non capì "Le regole, poi, le sapete. E' tutto chiaro? Io vi osserverò, dopodiché dirò le mie considerazioni." e andò a sedersi alla cattedra.
Avril era ancora lì, disorientata. Lanciò uno sguardo disperato a Luke, che rise leggermente scuotendo la testa. Si tolse la felpa, restando con una maglia a maniche corte e puntò la palla al centro del campo, aspettando che gli altri si dividessero i ruoli. Le fece segno di avvicinarsi, e lei ubbidì. 
"Ora io calcio la palla, tu cerca di bloccarla e lanciarla a qualcuno che non sia della squadra avversaria. Ok?" sussurrò piano al suo orecchio.
Avril rabbrividì, in preda all'euforia per quel tentativo illegale di Luke. Voleva aiutarla, pur a costo di far perdere la propria squadra. 
Annuì proprio sul fischio di inizio partita. In un secondo, la palla fu calciata e Avril la bloccò con dei riflessi che non sapeva neppure di avere. Si guardò intorno, e la prima persona che vide fu quella a cui la passò. 
Si guardarono: sguardi complici, sorrisi furbi. 
L'azione si prolungò, la palla andò a finire dall'altra parte del campo, e Luke prese ad inseguirla con dei movimenti decisi e sicuri, tentando di difendere la sua porta. Si scontrò contro Michael, i loro piedi continuavano a scontrarsi, la palla restava incastrata nei loro movimenti. Ma Avril, osservando la scena, lo sapeva. Sapeva che quello non fosse solo uno scontro per riuscire ad avere una stupida palla, sotto c'era molto di più. 
Poi Luke, con agilità, girò su se stesso, sempre tenendo sotto piede l'oggetto tanto bramato e riuscì con un calcio a mandarla nell'altro campo. 
Avril, semplicemente, stava immobile al margine del campo, quasi sulla linea di rimessa e non poteva proprio staccare gli occhi da Luke. I muscoli che si contraevano ad ogni azione, i capelli più in disordine del solito, il viso segnato da una concentrazione spaventosa. Aveva bisogno di respirare. 
Una palla, poi, arrivò proprio vicino a lei e non sapeva cosa fare. Tirò un calcio a caso, passandola agli avversari. Luke la guardò e "Almeno hai ricambiato il favore!" urlò per farsi sentire dall'altra parte del campo. 
Solo poco dopo alluse alla palla che le aveva regalato a inizio partita, e rise tra sé e sé per la sua incapacità. Cercò di muoversi con movimenti scoordinati, giusto per far credere al professore di star facendo realmente qualcosa. Guardava Michael e dio mio, anche lui era molto agile, nonostante continuasse e toccarsi e ritoccarsi il ciuffo. Ma poi c'era Luke, che si sballottava da ogni parte e che continuava a rincorrere quella stupida sfera di cuoio. Segnò un goal, poi un altro e il professore fischiò.
"Tutti qua!" ordinò.
Avril si guardò intorno, vedendo tutti piuttosto sudati e ansimanti, rendendosi conto di non aver faticato per niente. E di non aver fatto nulla.
"Molto bene, ragazzi. Sono soddisfatto, vedo che siete stati molto coinvolti. Beh, non proprio tutti..." Puntò lo sguardo su Avril, che sorrise falsamente. "Ma tutto sommato, è andata bene. Potete andare a cambiarvi."
La classe annuì, ma prima "Tu e tu! Qua" quel professore sclerato indicò sia Luke sia Avril. I due si guardarono, forse un po' impauriti per ciò che avrebbero sentito di lì a poco.
"Non voglio più vedere quei giochetti di squadra. Ognuno giochi per sé, e non mi interessa se la tua fidanzata non è capace, imparerà. Ma non di sicuro imbrogliando." 
Avril sbiancò subito per quel nomignolo con cui era stata definita, e in secondo luogo per essere stata scoperta con le mani nel sacco. Luke, invece, rise. 
"Okay, scusi" disse, senza nemmeno correggerlo e riprese la sua felpa.
Avril non riusciva neanche a scusarsi, annuendo e basta, pronta ad uscire dalla palestra. Quando si allontanarono, "Sei brava a calcio, eh" la prese in giro giocosamente, meritandosi uno schiaffo sulla spalla.
"Non sono dotata per questo sport, non posso farci nulla. E adesso vorrei solo sparire per questa abominevole figura di merda."
"La prossima volta non se ne ricorderà, tranquilla." 
In realtà, non le interessava più, perché vederlo così sudato, così ansimante le annebbiava completamente la ragione.
Uscirono dalla palestra prima degli altri compagni, siccome non avevano portato il ricambio e ripercorsero il corridoio sotterraneo. Avevano lezioni diverse ora, ed Avril non sapeva cosa dire per salutarlo, quando salutarlo, cosa fare: non era ancora abituata ad un amico come Luke Hemmings. Ma il problema scomparve quando, arrivati in cima alle scale, "Tu vai pure in classe, io vado in bagno. Ci vediamo!" questi l'avvisò. 
"Ah, okay. Ci vediamo, allora." 
Si sorrisero come se fosse la prima volta, come se quegli occhi avessero ancora bisogno di esplorarsi. Poi Luke scomparve dietro al muro di mattonelle bianche e suonò la campanella che segnava l'inizio della seconda ora. 

La giornata, tutto sommato, era passata velocemente. Ora stava scendendo le scale per dirigersi verso la macchina di Vicky, ma proprio in quell'istante due mani le coprirono gli occhi, facendo diventare tutto buio. Si spaventò immediatamente, irrigidendosi al contatto e fermandosi.
"Indovina chi sono!" disse l'anonimo che aveva le mani freddissime. Ma quell'accento e quella voce erano inconfondibili.
"Calum, sei un coglione! Mi hai spaventata a morte!" Gli tolse le mani dal proprio viso e si girò per guardarlo con una finta rabbia. 
Lui, forse come una scusa, la abbracciò senza pensarci due volte, mentre rideva di gusto.
"Scusami, ma è stato troppo divertente!" Sciolse l'abbraccio e le pizzicò dolcemente la guancia. 
Avril sbuffò, alzando gli occhi al cielo, ma mantenendo il sorriso. 
"Non sbuffare con me, signorina. Lei deve raccontarmi un po' ciò che è accaduto stamattina con Luke, vi ho visti dalla finestra del terzo piano mentre vi coalizzavate a calcio!" assunse un tono che andava dall'inquietante al perverso, facendole alzare, per la seconda volta, gli occhi.
"Mi sento osservata così, però. Non c'è in corso nulla, Cal. Non devo raccontarti niente, se non che ora devo proprio andare." Indicò la macchina che ormai aveva già il motore acceso.
"Se lo dici tu..." 
"Ma a parte questo, dov'è ora?"
Era strano come Luke sparisse senza lasciare tracce. Si era rintanato in bagno, per poi dissolversi. Non lo aveva visto nei corridoi, nemmeno a mensa. 
Appena fece quella domanda, Calum stranamente si accigliò e abbasso lo sguardo. 
"Non lo so. Tua cugina ti sta aspettando, ti conviene andare" le consigliò. Ma c'era qualcosa di strano, di così evidentemente strano, che chiunque se ne sarebbe accorto. Calum aveva sviato il discorso, e doveva ringraziare solo che Vicky avesse davvero una faccia incazzata, altrimenti gli avrebbe fatto il terzo grado.
"Uhm, non sei per niente convincente" gli disse infatti "Ma ora devo proprio andare, ciao!" Gli diede un bacio sulla guancia, poi corse letteralmente verso la Range Rover.
Quando aprì la portiera, uno dei soliti discorsi di rimprovero uscì dalla bocca di Vicky, ma Avril non stava ascoltando una sola parola. Anche se la cugina non ricevette neanche una risposta, concluse il tutto con un sorriso, perché anche se Vicky le sbraitava addosso, in fin dei conti era solo per la sua salute. Lo sapeva, Avril, che la cugina si sentiva un po' come sua madre, che doveva essere come una protezione, che in fondo le voleva bene.

Quel pomeriggio lo aveva passato quasi interamente seduta sul sasso vicino a casa sua, dal quale poteva osservare tutta la città. Sua madre, poi, si era affacciata alla finestra, avvertendola della cena pronta. Allora rientrò in casa svelta, cenando davanti alla donna che quasi non riconosceva più. Sua madre era spenta, svuotata. La vedeva tutti i giorni impegnata a pulire, a mettere in ordine, a cucinare. Ogni tanto, soprattutto la sera, la scorgeva anche a fermarsi a guardare il vuoto, come se dovesse bloccare la realtà che aveva intorno, per fare un riassunto della situazione. 
Quando poi "Tuo padre non ha chiamato neanche questa settimana" affermò posando il bicchiere mezzo pieno sul tavolo, Avril sapeva quanto le fossero costate quelle parole, quanto le fosse costato concretizzare in una frase il pensiero che la stava turbando sempre di più.
Allora, la figlia sorrise.
"Non fa niente, possiamo restare anche da sole, noi" la rassicurò. Doveva essere il contrario, sì, ma Avril sentiva il bisogno di confortare la madre vedendola così debole. Suo padre aveva un'altra famiglia a cui pensare, di certo non si sarebbe ricordato facilmente di loro. Aveva smesso di pensarlo e cercarlo quando capì che non avrebbe avuto senso tenere ad una persona che l'aveva abbandonata, ma a sua madre questa mancanza sembrava essere il principale motivo per cui smetterla di sorridere. Si sentiva così in colpa Avril per averla lasciata sola il più delle volte mentre si rintanava nella sua camera, sola nelle sue ansie, preoccupazioni, incertezze.
"Hai ragione" le risposte continuando a mangiare. Eppure era percepibile la sua insicurezza in ciò che aveva appena detto.
La cena, nonostante tutto, continuò con in sottofondo la voce di un presentatore televisivo, qualche parola strappata, qualche commento. 
Ma non bastava.
Così, quella sera, Avril uscì di casa, intenzionata a comprare, in tutti i sensi, la felicità di sua madre. Voleva trovare un negozio di dischi per la città, così che il giorno dopo, alla luce del sole, avrebbe potuto comprare il cd dei Beatles, il gruppo preferito della donna. Ricorda quando ancora le loro canzoni echeggiavano per tutta la vecchia casa di Melbourne, per quasi tutta la durata del giorno. Era davvero una patita e sfegatata fan. Poi, col trasferimento, il cd è andato perso, e niente più Beatles. 
Voleva farle riavere quel cd, che non aveva solo un significato materiale: era un nuovo inizio, o meglio, un continuo della vita ordinaria che vivevano prima di partire per Sydney.
Così, col suo giubbotto nero in pelle a ripararla dal freddo, camminava su un marciapiede ricoperto da foglie il gialle. Il vento le soffiava addosso senza freni, sembrava quasi che volesse strapparle il vestiti. Si strinse più forte nel cappotto, come se quello fosse l'unico modo per non essere spazzata via dalla sera. 
Evitava le scorciatoie cupe, quelle in cui i suoi occhi verdi sarebbero stati l'unico disturbo all'oscurità, mettevano una certa inquietudine. Si ritrovò in una strada vicina al centro, con schiere di negozi, tutti spenti e chiusi, ma con i prodotti sempre esposti. La maggior parte erano negozi di vestiti, ma ad Avril non interessavano. Cercava solo quello di dischi. Alcune coppie passeggiavano tranquillamente, immerse nei loro pensieri, incuranti di lei.
Poi, un suono proveniente dalla sua tasca fece eco per quella via silenziosa. Si ricordò solo in quel momento di essere proprietaria di un cellulare, così lo recuperò.

17/feb/2013 21:37
Ciao Avril! Cosa stai facendo?  
Cal x

Fissò perplessa lo schermo, mentre una folata di vento spostò inavvertitamente un ciuffo di capelli fino a coprirle la visuale. Tirò dietro l'orecchio la ciocca, pensando a dove volesse arrivare Calum con quella domanda. Che poi, da quando le inviava messaggi?

17/feb/2013 21:39
Ehi Calum, sto facendo un giro in centro. Perché? x

Riprese a camminare, stando attenta ad ogni singolo negozio, ma sembrava proprio sconsiderata la musica, qui. Passarono non più di due minuti che dovette sbloccare il telefono.

17/feb/2013 21:41
Noi siamo al parco, avevamo pensato di chiederti di aggiungerti a noi. Sei già nei paraggi, non puoi dire di no! 

Avril ci pensò su. Ripensò al parco, a quella sera in cui sapeva solo il nome di Luke, ai fari della polizia puntati su di lei, ai discorsi sulle droghe pensanti, alle persone sbagliate a cui era stata vicina. Poteva fidarsi? Doveva farlo, nonostante tutto. Doveva dimostrare a Calum di non temerli più, di poter instaurare una vera amicizia.
Poi pensò a quel "Noi", scritto a inizio frase, che le fece spuntare un sorriso. "Noi" voleva dire anche Luke, voleva dire rivedere i suoi occhi. E non poteva perdersi quell'azzurro che rimandava al cielo in un pomeriggio caldo d'estate.

17/feb/2013 21:44
Ok, mi hai convinta. Dammi 5 minuti, potrei anche perdermi.

E, inconsciamente, stava mettendo un'altra volta da parte sua madre. Avril era fottutamente condizionabile.
Fece dietrofront, prendendo a camminare nel senso opposto, cercando di ricordarsi le strade che aveva percorso qualche settimana fa per raggiungere il parco. Il vento ora sembrava essersi calmato, dando pace ai suoi capelli che fino a pochi minuti fa sembravano essere impossessati. Era come se, quella in cui stava andando, fosse la giusta direzione. 
Si fece una mappa mentale di quella che doveva essere la zona centrale della città e, sbagliando almeno due volte il vicolo in cui girare, trovò finalmente l'insegna 'Movida' della scorsa volta. Non era cambiato niente: sempre pieno, sempre movimentato, sempre assordante. L'oltrepassò. 
Finalmente intravide la sua destinazione e attraversò la strada. Estrasse il cellulare dalla tasca, premette un tasto a caso facendo luce: stavolta il buio non l'avrebbe fregata. La luminosità era comunque limitata, forse era per questo motivo che quel parco continuasse ad essere uno dei loro luoghi preferiti. Le sue vans calpestavano i piccoli sassi, producendo un rumore minimo, ma che riusciva comunque a far voltare molte teste in sue direzione.
Quasi non fece in tempo a fare più di quattro passi che udì qualcuno venirle incontro sbracciandosi.
"Qui!" urlò Calum. 
Riuscì a scorgerlo in mezzo a tutto quel buio, dirigendosi verso lui.
"Ehi" lo salutò appena furono abbastanza vicini.
"Meno male che sei venuta, mi stavo annoiando un po'. Vieni, andiamo dagli altri." l'accolse con quel suo tono allegro, spensierato, a volte serio misto all'ironia. Insomma, c'erano mille sfumature dei toni usati da quel moro. Perennemente attivo e sorridente. 
"Okay, ti seguo." 
La condusse in fondo al parco, vicino ad una piazzetta circondata da delle panchine. E su quelle, aumentando i passi, vide subito la felpa blu scuro di Luke. 
Aveva già la tachicardia.
Eccolo lì il mare in tempesta, quell'azzurro che sembrava brillare nell'oscurità. Incontrò subito i suoi occhi, forse più stanchi rispetto al solito. Non se ne curò più di tanto, poiché quella stanchezza, in ogni caso, le stava sorridendo. 
Successivamente, notò anche Michael, che si stava facendo i suoi benedetti affari, facendo l'analisi della sua sigaretta. Scrollò le spalle, quel ragazzo era sempre assopito nei suoi pensieri, a quanto pare così profondi, e non aveva neanche la briga di farsi conoscere. Così, Avril usava la tecnica del 'chi se ne frega'.
Anche altri ragazzi sedevano non lontano da loro, alcuni che rollavano beatamente canne, altri occupati a passarsi bottiglie di alcolici sconosciuti, non prima dei due sorsi concessi ad ognuno.
Ma non importa, con lei c'erano Luke e Calum.
Quest'ultimo posò la mano dietro la schiena di Avril per diminuire la distanza con il biondo e per invitarla a sedersi, ma Luke la precedette, alzandosi. Avril si sentì quasi sovrastata da quell'altezza così prominente.
"Io ed Avril andiamo a farci un giro, torniamo presto" comunicò, sorprendendo la ragazza in questione. 
Calum le lanciò uno sguardo di intesa, sentendosi ancora di più persa. Ma non aveva importanza, perché incastrata nella sua mano, c'era quella di Luke. Questa volta, però, era più fredda, più indecisa nella presa, come se avesse perso vita.
"Tutto ok?" fu lui a toglierle le parole di bocca, mentre si allontanavano dalla compagnia e si immergevano nel buio. 
"Sì, tu?" chiese con una preoccupazione che si era promessa mentalmente di nascondere, invano.
"Due" la voce sommessa, bassa, come a voler sfuggire alle orecchie degli altri. 
Avril stette in silenzio, un silenzio che copriva l'ansia e la preoccupazione che non volevano smettere di invaderla. 
Poi Luke si diresse verso il prato e "Sediamoci qui" disse.
"Qui?" 
"Sì." 
Fu coerente con le sue parole e si sedette sull'erba umida del parco, illuminata solo da un lampione in lontananza, che poteva spegnersi a momenti. Lui le prese la mano, tirandola giù, così anche Avril prese posto di fianco a lui. 
Luke, quella sera, era strano. Strano nel biascicare parole, strano nei movimenti estremamente lenti. Avril ora lo guardava come si guarda un'espressione di matematica incomprensibile e irrisolvibile. Eppure, non riusciva ad andare oltre al pensiero che fosse irrimediabilmente bellissimo. 
"Non guardarmi così" parlò Luke, riscuotendola. Le guance riuscirono a colorarsi di un leggero rosso, nonostante la temperatura bassa e il vento che non aveva intenzione di smettere di soffiare. Avril voleva assecondarlo, lo giura, ma quando anche Luke si girò e puntò le iridi nelle sue, fu come se qualsiasi discorso avvenuto precedentemente si fosse cancellato. Come se ogni cosa intorno a loro si fosse dissolta e il vento avesse smesso di essere così tanto incazzato. Non aveva idea di che espressione avesse assunto in quel momento, di dove fosse: sapeva solo che guardare quell'azzurro fu come affogare nell'oceano più limpido, profondo e mosso. Poi quell'azzurro si spostò sulle labbra di Avril, ignara di tutto e delle sue intenzioni. 
Allora Luke stravolse ogni sua più cupa immaginazione, rendendola reale. Rese la distanza tra i due insignificante, avvicinandosi sempre di più. Avril deglutì, pensando che quello non poteva essere davvero ambientato nella realtà.
Voleva baciarla?
L'oceano sparì, Luke chiuse gli occhi, inclinò la testa e non diede il tempo alla ragazza di realizzare che posò le labbra sulle sue. Avril non chiuse gli occhi, non ordinò al suo cervello il comando di farlo, non lo fece. Non pensò: ogni cosa, pensiero, persona, ambiente si azzerò. Ciò che sentiva erano solo quelle labbra premute sulle sue. Luke dopo secondi, ma che secondi proprio non sembravano, fece finire il contatto, e tutto iniziò a riprendere colore. La guardò negli occhi, ed Avril vide quella parte di vita che le mancava da sempre, la vedeva riflessa in ogni cosa. 
Ma non ne avevano abbastanza.
Lui le posò una mano dietro la testa, accarezzandole con un gesto spontaneo i capelli biondi. L'azione si ripeté, si riavvicinò e le labbra si riunirono. Non ne avevano abbastanza. Si appartenevano, ora. Avril sentì Luke chiederle accesso, e non glielo negò. Le loro lingue si incontrarono e cominciarono a saettare, facendo mille acrobazie l'una sull'altra, perlustrandosi come se si fossero mancate per troppo tempo.
Avril non pensava più a Daniel, quello sconosciuto, a Vicky, al cd dei Beatles per sua madre, a suo padre, a Melbourne. Non pensò a niente, se non al sapore di sigarette o al profumo che la felpa di Luke le stava inebriando le narici. 
Glielo stava urlando, con la passione con cui lo stava baciando, che baci così neanche Jason gliene aveva mai dati. 





 

Hei people!
Eheh, questa volta ho aggiornato dopo una settimana. Questo capitolo è un po' più lungo rispetto agli altri, e doveva anche contenere un accenno alla stranezza di Michael, siccome mi avete detto che sta diventando fin troppo inquietante, ma non faccio in tempo, devo andare a studiare i Promessi Sposi. Allegria.
Eccolo qui il loro primo bacio, spero di aver reso un po' l'idea della situazione. Da come avete capito, sono fissata con gli occhi di Luke, li amo così tanto, omg. Che poi io sono curiosissima di sapere come ve le immaginate voi le scene, perché io ovviamente immagino tutto nella mia palestra, nel parco della mia città... 
Devo ringraziare Martina, quella che contribuisce alla storia, perché è lei che ha creato il banner di questa storia ed è lei che risolve i miei dubbi riguardo a "Two." 
E mi chiedevo, ma voi, se Ashton è morto, vi siete mai chieste come?
Ok, vaaaado, i Promessi Sposi mi stanno bestemmiando contro.
Bye, ily <3


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Capitolo 15
*** Wait, you're not okay. ***


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Wait, you're not okay.

Non era stato un bacio mancato come quel giorno nella classe abbandonata, quello. Non era stato nemmeno come quello rubato nei corridoi. Luke l'aveva baciata, per davvero, questa volta. Sentiva di poter alzarsi e correre per tutto il parco senza una vera meta, di iniziare a gridare o di cominciare a saltare, lì, proprio sotto lo sguardo di Luke. Invece, Avril restava ferma, incantata dalla sua espressione apatica, con il battito del cuore non ancora del tutto regolarizzato. 
"Wow." commentò Luke, cercando probabilmente il pacchetto di sigarette nelle tasche.
"Wow cosa?" chiese prontamente, quasi lasciando solamente pochi istanti dall'affermazione. Voleva sentirlo parlare, odiava il silenzio dopo i baci.
"Niente, baci bene." trovato il pacchetto, estrasse una sigaretta e la tenne ferma tra le labbra mentre recuperava l'accendino.
Avril, imbarazzata, stette in silenzio, godendosi nel frattempo i gesti di Luke. Accese la sigaretta e fece un primo tiro. Il suo sguardo era di sfondo: osservava qualcosa attorno a sé, nonostante il buio che li circondava. Forse non si rendeva nemmeno conto di star posando lo sguardo su ciò che c'era intorno. 
Avril, invece, dedicava tutta la sua attenzione al ragazzo in questione. Pensava a quanto fosse bello e, automaticamente, non riusciva a capacitarsi del fatto che avesse baciato proprio lei.
Piccole nuvole di fumo si distinguevano nel buio, il suono dei grilli echeggiava per tutto il parco, così come il cuore di Avril nel suo corpo. 
"Ho voglia di parlare." sbottò improvvisamente lui, osservando la sua sigaretta quasi finita.
Avril sussultò per quel silenzio interrotto da una frase così strana. Aggrottò le sopracciglia e "Di cosa?" gli domandò.
"Secondo te, perché i muri sono grigi?"
E questo parere richiesto non fece che far aumentare la confusione di Avril. Perché gli importava di quale colore fossero i muri? E soprattutto, perché ci stava pensando? 
"Io non lo so, ma perché?"
"Il grigio è un gran casino, cazzo. I muri sono grigi e non possono parlare, i muri non servono a niente: non possono spostarsi, possono solo ascoltare senza poter intervenire; i muri sono passivi, sono spenti." 
Sembrava davvero assorto da quell'argomento, come se lo turbasse sul serio. Con molte probabilità, se qualcun altro avesse detto ciò, Avril sarebbe scoppiata a ridere. Ma era Luke, e Luke non era mai scontato. 
"I muri non sono tutti grigi, però."
"Appunto, perché tu grigia non lo sei proprio, ad esempio."
Avril spalancò gli occhi. Il libro che Luke Hemmings era, e che era rimasto fino a quel momento chiuso, si aprì di botto. 
Luke era il grigio.
Lei no. Lei era quel colore che serviva a far cambiare tonalità al grigio, a dargli colore, a dargli vita.
"E questa cosa mi fa' paura." continuò, "Però c'è qualcosa che mi impedisce di scappare da te." 
Quelli che susseguirono furono secondi pieni di incertezze, paure, nuove scoperte, nuove sensazioni, nuovi aspetti di Luke. 
Avril stava quasi infilzandosi le unghie nella carne delle sue mani nascoste dalle tasche. Le aveva detto di non poter andarsene da lei: parole che, messe insieme, riuscivano a formare la frase più bella che le avessero mai detto. 
Le aveva confidato di avere anche paura, ma quella l'avrebbe eliminata sicuramente.
Poi Luke si alzò, buttò a terra il mozzicone e "Okay, ho finito. Torniamo dagli altri." biascicò. 
Avril annuì e lo imitò. Camminando schiacciava foglie secche, producendo rumore che si abbinava a quello dei grilli che non si stancavano mai. 
Gli altri erano ancora lì. Calum le sorrise non appena la vide arrivare affiancata da Luke e la invitò a sedersi sulla panchina dov'era lui.
Sotto lo sguardo di tutti, attraversò la piazzetta, giungendo al moro.
"Sei tornata finalmente, eh." la salutò così, scompigliandole i capelli. 
"Ciao, Calum." lo apostrofò con un giocoso rimprovero. 
Luke si sedette proprio di fianco a loro due, abbandonandosi completamente allo schienale della panchina. Avril si girò e lo trovò a fissare un lampione e, poteva scommetterci, si sarebbe addormentato di lì a poco. 
"Stasera è stanco..." le spiegò Calum.
"Ho notato. Come mai? Ha fatto qualcosa di faticoso?" 
Il moro fece un sorriso amaro, passandosi una mano tra i capelli. Avril aveva studiato che il passarsi la mano tra i capelli era un gesto emotivo, che stava ad indicare l'ansia o il disagio presente in una persona. 
Non poteva andare tutto bene, c'era qualcosa sotto. Qualcosa ricollegabile al fatto accaduto fuori scuola: Calum non le aveva spiegato dove fosse sparito Luke, evitando il discorso.
"Non ha fatto niente. E' stanco e basta." 
"Dimmelo." Avril tremava di rabbia. Sentiva il sangue pulsare in ogni parte del corpo, il calore irradiarsi contrastante con la pelle fredda. 
"Appunto, diglielo, Cal." una terza voce si aggiunse a quella strana conversazione. Calum si voltò e lo fulminò con uno sguardo truce.
Michael.
Sapeva anche lui.
L'odio che provava nei suoi confronti si moltiplicò, così come il tremore per la rabbia. Ormai tutti i ragazzi presenti erano assorti da quella discussione: canne sospese tra le mani, bottiglie non arrivate alle labbra, battiti di ciglia rallentati.
"Tu stanne fuori." gli intimò Calum.
Luke ormai non apparteneva più a questo mondo: aveva chiuso definitivamente gli occhi e si era abbandonato al sonno, non sentiva più niente. 
Per un attimo Avril desiderò essere al suo posto.
Una risata cattiva si sparse per la piazzetta e "Certo, amico." affermò Michael con un tono che aveva una punta di sarcasmo, perversione e cattiveria. 
Rabbrividì. Il frastuono di un pugno tirato contro la panchina su cui erano seduti echeggiò per il parco. Avril sussultò, con i battiti in preda a sovrastarsi uno sull'altro. Guardò Calum, era stato lui. Lo vide in possesso di una maschera di rabbia che non aveva mai utilizzato prima di allora: gli occhi chiusi a due fessure, dai quali era possibile intravedere tutto l'odio; il respiro irregolare, la vena sporgente sul collo. 
Deglutì. 
La paura cosparsa nel sangue.
"Stronzo." disse a denti stretti il moro un secondo prima di alzarsi "Andiamo, Avril. Portiamo a casa anche Luke."
Lei obbedì senza troppe cerimonie. Sotto gli occhi attenti di tutti, si alzò in contemporanea con Calum e aiutarono Luke a fare lo stesso. 
"Luke, è tardi." cercò lui di svegliarlo, tirandogli piano qualche schiaffo sulla guancia destra "Ce ne dobbiamo andare."
E finalmente aprì gli occhi, che al buio prendevano delle tonalità sempre più blu. Non era completamente lucido, ma Calum riuscì lo stesso a farlo alzare dalla panchina, a mettere il suo braccio dietro al proprio collo per fargli mantenere un equilibrio stabile. Luke era in grado di camminare, Avril lo vedeva, ma era abbastanza scoordinato nei movimenti, ancora non del tutto sveglio. Li seguì in religioso silenzio, arrivando al cancello del parco, dove finalmente il mondo riniziava a prendere colore.
"Vieni con noi?" le chiese mentre continuava a sostenere Luke, facendo la parte dell'amico responsabile. 
Ed Avril si ritrovò a dire un "Sì." che non era stato pensato, come se si fosse trovato già nella sua bocca. 
Camminarono davvero poco, forse due minuti, ed erano già a casa Hemmings. Era di medie dimensioni, con due piani e due balconi per due delle finestre che si affacciavano sul giardino. Il colore bianco panna risaltava col buio del viale, illuminato solo dal chiarore della luna. Nessuna luce era accesa, probabilmente tutti dormivano.
Calum frugò nella tasca della giacca di pelle del biondo e ne estrasse un paio di chiavi. Aprì il piccolo cancello che divideva il marciapiede dal giardino ed entrò, lasciandolo spalancato per lasciare l'accesso ad Avril. Quest'ultima lo accostò, non del tutto chiudendolo e vide il moro imprecare contro la serratura della porta principale.
"Non vedo un cazzo." lo sentì lamentarsi "Avril, vieni qua ad aiutarmi."
Immediatamente gli fu vicino, gli prese le chiavi dalle mani e le inserì nella serratura.
Casa Hemmings.
Le girò all'interno, sentendo quel famigliare rumore.
Casa Hemmings, cazzo.
Calum le rimise in tasca, abbassò la maniglia ed aprì la porta, rivelando l'interno della casa. Premette l'interruttore e la luce illuminò il salotto. Entrarono all'interno e Avril non sapeva nemmeno se Luke riconoscesse il posto in cui viveva. Le pareti bianche, tutti i mobili rigorosamente in legno, ogni oggetto al proprio posto e... Silenzio. Solo silenzio.
"Saliamo le scale, lo portiamo in camera." 
Ad Avril era sempre piaciuto l'odore che le arrivava alle narici appartenente alle case di altri. Ognuno era diverso dall'altro, ognuno era un profumo nuovo da scoprire. E quello di casa Hemmings era concentrato, sapeva di Luke. Sapeva di Luke e le sue felpe grandi e morbide.
Sorrise tra sé e sé.
Intanto Calum saliva le scale con il biondo, anche quelle in legno, che portavano al piano superiore. Arrivato in cima, anche Avril li raggiunse e si spaventò a morte quando una donna sulla cinquantina le si presentò di fianco dal nulla. Lanciò un piccolo grido in preda alla paura, attirando l'attenzione del moro che "Non si preoccupi, torni a dormire." rassicurò quella donna. 
Avril la guardava: i capelli biondi in disordine, gli occhi stropicciati dal sonno, una vestaglia bianca addosso. Doveva essere rimasta sveglia tutta la notte. Il suo sguardo si rattristò e "Grazie." disse a Calum, per poi dare un'ultima occhiata a Luke, passando successivamente ad Avril. 
Abbassò lo sguardo e scomparve alla fine del corridoio, entrando in una camera.
"Chi era?" bisbigliò la ragazza.
"Liz, la madre di Luke." le rispose lui, concentrato a portare Luke nella stanza a sinistra. 
Provò un senso di pena: era rimasta sveglia ad aspettare il figlio, e sembrava davvero aver perso le forze per combattere. Ma combattere per cosa?
I due entrarono nella stanza, e lei li seguì. Non accesero nemmeno la luce ed Avril doveva quasi indovinare dove mettere i piedi.
"Sei a casa, Luke. Puoi dormire." sussurrò Calum, lasciando che l'amico si sdraiasse sul letto. 
"Grazie." era anche più basso di un sussurro, quello uscito dalle labbra di Luke, rimasto in silenzio fino a quel momento. 
Calum sorrise e "Andiamo." disse rivolto ad Avril. 
Quest'ultima era rimasta sconcertata da quella scena, aveva il cuore pieno di emozioni. Quel 'grazie' bisbigliato da Luke sotto voce, a malapena percepibile, le era rimasto impresso. Era come se avesse dovuto sentirlo solo Calum, come se le barriere fossero abbattute solo tra loro due. 
Eppure c'era anche lei.
Scesero le scale facendo il minor rumore possibile, ed Avril si sentiva come una ladra in piena notte. Uscirono dalla casa, ripercorsero tutto il tragitto al contrario per arrivare al parco, senza dire una parola.
"Sarei più sicuro ad accompagnarti a casa."
"No, tranquillo. Ci vogliono pochi minuti da qui a casa." affermò scuotendo la testa.
Calum assunse un'espressione triste, ma sapeva di non poter ribattere. Si abbracciarono senza preavviso, ed Avril sentiva le sue scuse trapassarle la pelle. Voleva dirle qualcosa, ma non poteva. L'aveva capito.
Quando l'abbraccio finì, i due si divisero, imboccando strade diverse.


Luke's pov 

La prima cosa che Luke sentì, appena si svegliò, fu il dolore al petto. Come se avesse cinquanta aghi conficcati nel cuore. Aprì gli occhi e la luce che filtrava dalle persiane gli diede alla testa. Gli pulsava in un modo assurdo, sentiva come se lo stessero prendendo a martellate sul cranio. Distese i muscoli delle gambe, per assicurarsi che ci fossero ancora. Aveva la bocca piena di saliva, provava a deglutire e non riusciva. Si alzò lentamente, rendendosi conto solo in quel momento di essere vestito come la sera precedente.
"Merda." imprecò quando si ricordò tutto.
Il giorno prima si era chiuso nel bagno della scuola, pronto a spararsi un quartino di eroina nel braccio. Dalla fretta di essere scoperto, però, si dimenticò degli avvisi di Daniel: avrebbe dovuto filtrare più volte la roba, perché era una polvere particolarmente impura. 
Si ricordava solo di quanto l'eroina lo devastò. L'impatto era stato fortissimo, aveva il corpo quasi in fiamme. Aveva visto una serie di flash nella testa, poi si era sentito pesante. E il suono di una campanella gli arrivò distante.
Quella mattina il corpo non se lo sentiva più. Andò in bagno con gli occhi ancora socchiusi. Si sciacquò la faccia almeno tre volte, giusto per rendersi conto di star vivendo. E proprio in quell'istante, sentì la sensazione di due labbra poggiate sulle proprie. 
Labbra che erano di Avril.
Mise a fuoco anche quel ricordo e si guardò allo specchio: sembrava che combattesse contro se stesso. Perché quel bacio, in realtà, era esattamente questo che gli aveva fatto fare: Luke contro Luke. Eppure, aveva avuto voglia di baciarla, di sentirla per davvero. Era stato soprattutto l'effetto dell'eroina che gli circolava nel sangue a spingerlo a compiere quel gesto, perché Luke aveva i sentimenti congelati. Allora una fottuta droga li bruciava, li scioglieva e macchiava il grigio con colori vivi. Ed era lì che viveva. 
Non voleva pensarci, non era giusto. Questo era per le persone comuni, quelle che Luke detestava ed ignorava. Aveva paura di star diventando uno di loro, e non se lo sarebbe perdonato. 
Comunque, quella mattina, ci riuscì lo stesso ad uscire di casa con le sue stesse gambe. Salutò con un gesto sbrigativo della testa i fratelli che erano intenti a far colazione intorno al tavolo e si diresse verso la scuola. Lasciò a casa la sua siringa, quella da cui non si separava mai, perché quella volta aveva davvero esagerato. Si sentiva il braccio sinistro paralizzato. 
Camminò con estrema lentezza, evitando di passare vicino alle vie che portavano al vicolo del Due. Così lo chiamava.
Non era solito farsi tutta quella strada a piedi, ma quel giorno ne sentiva il bisogno. Credeva fermamente che sarebbe morto entro una settimana. Si rese conto troppo tardi di essere arrivato al Norwest Christian College alle 8:15. 
Nel parcheggio e davanti alla scuola non c'era più nessuno. Andò a sedersi sul muretto, avrebbe aspettato la seconda ora. Non gli importava. 
Ma dopo una decina di minuti, un rumore di scarpe sull'asfalto si fece sempre più vicino. Allora Luke alzò gli occhi e vide Michael avanzare proprio verso di lui, con la faccia impassibile. Pensava che volesse solamente sedersi di fianco e fumarsi una sigaretta insieme a lui, ma quando gli fu a due metri di distanza "Ho bisogno di parlarti." esordì.
Non era un 'devo parlarti', ma un bisogno di parlare. Luke lo guardò, incitandolo a continuare. Aveva il freddo negli occhi. 
"Non sento niente." non abbassò lo sguardo, rimase lì davanti inerme. 
Luke lo osservava come se in realtà non avesse davanti nessuno.
"Spiegati."
"Ci sono momenti in cui faccio delle cose senza rendermene quasi conto. Faccio e non penso. Faccio e non sento niente. Potrei anche uccidere a sangue freddo e non sentire niente, Luke." 
Il labbro gli tremò, Luke lo vide. Si sistemò meglio sul muretto, radunando le sue idee. Si sentì strano e giusto allo stesso tempo, perché Michael era come lui, e le cose che diceva non lo scandalizzavano. Provenivano da quel mondo che adorava, che bramava, che desiderava restasse per sempre in lui. Fatto di cose grigie e strane.
"E ho baciato Avril per questo motivo, tempo fa, nell'aula all'ultimo piano. Non ero in me." ora il suo sguardo si abbassò e Luke non poté più vedere l'azzurro chiarissimo dei suoi grandi occhi. Sentì come se una spada gli si conficcasse nel petto e cominciasse a scavare il cuore, perché significava solo che Michael non avesse finito. Doveva dire qualcosa in più, qualcosa per il quale era lì davanti a lui in quel momento. Pensò al peggio.
"Continua." 
Lo vide deglutire pesantemente.
"Ieri sera, quando eri mezzo addormentato, stavo per rivelare ad Avril la tua tossicodipendenza. Al momento, mi era sembrata la cosa più giusta da fare, e mentre lo stavo per fare, non stavo provando assolutamente nulla. Calum mi ha fermato, ma io lo so... So che glielo avrei detto se solo non ci fosse stato lui. E mi sento una merda, sono qui per questo, per scusarmi." finì il discorso con la voce quasi rotta e il fiato corto. 
Avril non doveva sapere.
Luke sentiva scintille di rabbia scoppiettargli dentro, ma non fece niente. Mantenne uno sguardo duro, cercando la sincerità negli occhi di Michael, e la vide. 
Allora "Da quanto va avanti tutto questo?" gli chiese.
"Da quando Ashton è morto." e Luke sentì chiaramente la spada che affondava più in profondità. "Prima, però, non mi succedeva spesso. Solo ultimamente, mi sembra di star perdendo la ragione." si passò velocemente una mano sul viso con fare disperato.
"Perché forse ti manca."
"Manca a te."
Il biondo gli indicò il posto di fianco a sé sul muretto, incitandolo a sedersi. Gli porse il pacchetto di sigarette, Michael non rifiutò. 
Stettero lì a fumare in silenzio, fino a quando la campanella suonò. 
Mancava a tutti e due.

In ogni caso, alla seconda ora Luke era già in classe. Il suo banco era quello in fondo, quello di sempre. Si era dimenticato i libri, a malapena aveva una penna e una matita. Non gli importava della scuola e non ci aveva mai provato a stare attento ad una lezione, perché sapeva già in partenza di finire con un fallimento. In più, odiava ogni singolo professore. E ne aveva tutte le ragioni. 
Una mano chiusa a pugno gli sorreggeva la testa che sentiva pesante come non mai. Calum, al banco di fianco al suo, gli posò una mano sulla schiena e lo scosse un po'.
"Non addormentarti." bisbigliò piano "O finirai un'altra volta in presidenza." 
"Non mi sto addormentando." lo rassicurò. E in parte mentiva. 
Calum sbuffò e il prof li guardò male. Luke stava alzando la mano per mostrargli il dito medio, ma il moro lo fermò, alzando gli occhi al cielo.
"Sei il solito, Luke."

Finalmente l'ora passò. Uscì subito dalla classe, spalancando la porta ed uscendo senza nemmeno un 'arrivederci'. Calum lo seguiva senza pensarci, come se fosse normale e scontato. A Luke prudevano le braccia e le gambe. Voleva scorticarsi in quel preciso istante.
"Tutto bene?" chiese il moro aggrottando la fronte, aumentando sempre di più il passo per raggiungerlo.
Uno studente andò, senza intenzione, a sbattere contro il petto di Luke. Questi iniziò a sbraitargli contro. 
"Che cazzo fai, coglione?! Guarda dove vai!" urlò, prendendolo per il colletto della maglia. 
Lo sfortunato ragazzo aveva una faccia a dir poco terrorizzata, così Calum si mise tra i due, cercando di dividerli.
"Basta, Luke! Che cazzo ti succede?!"
Allora Luke "No, vaffanculo!" gridò in preda ad una crisi di astinenza dalla sua fottuta dose. Si grattò nervosamente le braccia, lasciò lo studente e prese a camminare per il corridoio.
Calum lo seguì fino a quando uscì nel giardino del College. 
"Okay, adesso ci calmiamo."
"No che non mi calmo." si appoggiò al muro della scuola e intrufolò le dita fra i capelli.
Stava a rota, un'altra volta. Non aveva assunto la sua dose mattiniera, aveva cercato di evitare di farlo, ed ora non aveva neanche la sua siringa con sé.
"Non puoi continuare così." Calum lo ammonì "Devi smetterla una volta per tutte." 
"Lo so." 
L'amico gli mise una mano sulla spalla e lo guardò dritto negli occhi. Erano faccia a faccia, e con quegli sguardi sembravano scambiarsi mille parole. Poi Luke, come se avesse finito di sentire quelle raccomandazioni mute, annuì.
"Okay, bene, credo sia meglio che tu vada a casa." 
"Mi prude tutto, dio mio." 
E in quel momento si sentirono dei leggeri passi dietro a loro.
Calum tolse la mano dalla spalla di Luke, si girò e puntò gli occhi nella stessa direzione in cui li puntò il biondo. 
Avril.


Avril's pov

Avril era tutta la mattina in cerca di Calum per avere notizie di Luke. Era preoccupata del suo comportamento, ma non avrebbe mai avuto il coraggio di chiedergli direttamente cosa diavolo stesse succedendo. 
Non appena uscì nel giardino, nel quale gli studenti non potevano sostare durante le ore di lezione, intravide due sagome vicino al muro non lontano da lei. Li riconobbe subito.
Voleva fare dietrofront, ma quella scena la incuriosiva troppo. Avanzando, le sembrava sempre di più che Calum stesse discutendo con Luke, ma non urlavano. Stavano solo zitti, guardandosi. Si scambiarono solo due parole, e poi la videro. 
Le puntarono gli occhi spaventati addosso, ed Avril si sentì inadatta. La prima cosa che notò  fu il velo di sudore che ricopriva il viso di Luke, nonostante la bassa temperatura. 
"A-Avril." 
Fu Calum a parlare. Lo guardò di sfuggita, perché gli occhi non riuscivano a staccarsi dal ragazzo biondo che aveva davanti. 
Pallido. Nervoso. Stanco.
Lo vide muoversi sul posto e poi grattarsi il braccio sinistro. Quasi come se volesse conficcarsi le unghie nella pelle. Guardò le braccia tutte rosse, scoperte dalle maniche arrotolate della felpa, e guardò Luke. Lo vide agitarsi e le salì un groppo alla gola. Perché quello che Luke aveva era solo collegabile all'aspetto di un fottuto bucomane.
"Tu non stai bene." sembrava parlare più con se stessa, rendendosi conto di essere l'unica, forse, a non esserne a conoscenza. "Dammi il braccio." ordinò, con gli occhi già inumiditi da una consapevolezza amara, impossibile da mandare giù, che sembrava soffocarla in quel momento. La consapevolezza di essere lei la sola colpevole, perché non era riuscita a tirare le somme più in fretta. Era arrivata in ritardo, come sempre.





Hei people!
Eccomi qui, dopo quasi due settimane.
Non ho molto da dire su questo capitolo, in realtà. Questo è solo il secondo pov di Luke che ho inserito, se non ricordo male. Piano piano sta uscendo ciò che lui è realmente, il casino in cui vive, il mondo a cui aspira. Non so voi, ma a me questo capitolo sembra davvero tanto grigio. Sono proprio una scrittrice grigia. Anzi, scrittrice è una parola graaande lol
Comunque, tutto ciò che è legato ad Ashton si verrà a sapere, Two è ancora tutta da sviluppare per bene!
Va bene, okay, vado via. Oggi nevica e fa' freddo ed è tipo tutto triste.
Però vi voglio bene.
E vi ringrazio tanto tanto taanto.
Recensite, se vi va! See you soon :)


il mio twitter: funklou
quello di Martina: danswtr

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Capitolo 16
*** Fire and water. ***


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Fire and water

"Dammi il braccio, Luke." ripeté Avril, avvicinandosi sempre di più. Lui, al contrario, tirò giù le maniche della felpa. 
"Avril..." parlò Calum al suo posto, con una voce triste, quasi sconfitta. Ma lei non poteva lasciar perdere un'altra volta. Fece un ultimo passo, più incerto rispetto agli altri, ritrovandosi a pochi centimetri di distanza. Gli esaminò ogni sintomo di paura negli occhi, e sentiva di star buttando giù tutti i mattoni che costituivano il loro strano rapporto. Avril, sempre più intimorita delle sue azioni, iniziò a far salire la manica sinistra di Luke, e questi le lasciò fare, guardandola fissa con occhi apatici. Non appena gli toccò il polso, percepì il freddo. Scoperto anche l'avambraccio, ciò che si notava subito erano i tre buchi, anche se non erano freschi. 
Non ebbe il coraggio di continuare quella tortura, così gli lasciò il braccio di scatto, come se fosse stata punta. Respirava affannosamente, con il petto che si alzava e si abbassava velocemente. 
Non poteva essere vero.
"Tu sei un drogato." affermò, come se fosse l'insulto più pesante al mondo. 
Gli occhi le si appannarono, colmi di lacrime. Luke ebbe un altro spasmo.
"Avril, penso che..." intervenne Calum. 
"Tu non devi pensare proprio niente!" lo interruppe lei. 
Fece un passo indietro. Le gambe e le mani erano un tremolio unico.
"È assurdo..." disse tra sé e sé. Poi alzò di nuovo lo sguardo, e volle cercare conferma nei suoi occhi. 
Improvvisamente quel suo azzurro era diventato un cielo tempestoso con fulmini e tuoni. 
"Dì qualcosa, Luke. Per favore."
Le lacrime si trasformarono in singhiozzi.
"È così."
Boom, il muro era stato demolito. 
Avril pianse ancora di più quando cominciò a sentire quella famigliare sensazione di dover vomitare. Iniziò ad aver seriamente paura, portandosi una mano al petto. I due ragazzi le si avvicinarono scandalizzati, ma poi realizzarono, riportando alla mente l'episodio accaduto tempo fa nell'aula vecchia della scuola.
Luke le posò le mani sulle spalle e "Guardami, Avril. È tutto okay." cercò di tranquillizzarla. 
Ma Avril sentiva solo crescere il panico dentro di lei e non riusciva a calmarsi, nonostante
continuasse a ripetersi mentalmente: "non vomiterai."
"Appoggiamola al muro." consigliò Calum, e così Luke fece. 
Col respiro irregolare alzò lo sguardo per incontrare quello del ragazzo che aveva davanti e quando "Non vomiterai." pronunciò, sentì come se quelle parole, dette da lui, fossero molto più convincenti rispetto a quelle che continuava a ripetersi nella mente. 
Prolungò un respiro, facendolo piano piano diventare sempre più regolare. Quando però Luke le prese la sua mano e la accarezzò piano col pollice, si ritrasse subito al tocco. Lui la guardò stralunato, con ancora il viso imperlato di sudore ghiacciato.
"No, Luke." proferì tristemente a voce bassa. 
Avril era solo sconvolta. La delusione era ciò che prevaleva in lei, insieme alla rabbia e alla paura. Perché sì, sapere di avere davanti un drogato le incuteva a dir poco terrore. Non importava che fosse Luke. 
Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, continuando ad osservare quanto si fosse distrutto a sua insaputa. 
Gli guardò le mani: tendenti al viola, con le vene pronunciate. Rabbrividì, capendo quanto quel ragazzo stesse male. Nello stesso momento Luke ebbe un altro spasmo.
"Come stai?" gli chiese.
"Sto bene." ma la voce gli tremò. 
Avril sentiva ogni colpa caricata sulla propria schiena, rendendola sempre più pesante, sempre più difficile da sopportare. E non era riuscita ad accorgersene prima. 
Ricominciò a piangere sotto gli occhi dei due, distrutta da tutta quella nuova situazione, che si era aperta come una voragine, inghiottendola alla sprovvista. 
Ma proprio quando Calum stava per ribadire le sue scuse, la porta di emergenza che si apriva sul giardino si spalancò, rivelando la figura di un bidello. Tutti e tre si girarono al rumore di quel suono. 
"Porca troia." imprecò Luke quando lo vide avvicinarsi.
"Cosa state facendo voi tre?" domandò con fare accusatorio. 
"Ce ne stavamo giusto andando in classe." tentò Calum, facendo comparire un finto sorriso in volto. Poi prese Avril per mano e "Vero?" chiese.
"Sì, sì." 
Il bidello storse il naso. "Tornateci subito, o sarò costretto a segnalarvi al preside." ordinò minaccioso, per poi richiudere la porta e scomparire tra i corridoi.
Avril sospirò: era esausta. Ritrasse la mano da quella di Calum e si asciugò le lacrime con la manica della felpa.
"Non può stare qui, deve assumere la sua dose o non starà bene." l'avvertì Calum, rivolgendosi a Luke. Lei diede un'altra occhiata a quest'ultimo, percependo il bruciore che quella novità le procurava. Non poteva accettare che si drogasse, non voleva. Sentire quelle parole pronunciate dal moro era come ricevere diecimila pugni nello stomaco, non riuscendo più ad alzarsi. Allora, a quel punto annuì soltanto.
Era arrivata in ritardo, non poteva fare niente. 
"Cosa fai, vieni con noi? Io e lui qui non ci stiamo. Ora lo porto a casa, potrebbe anche peggiorare." parlò come se la presenza del biondo fosse nulla, come se non potesse realmente sentire i loro discorsi. Ma era lì, erano lì, ed era tutto così assurdo. 
"Non potete andarvene senza avvisare."
"È quello che facciamo da tre anni, questo è l'ultimo dei problemi." 
Avril sapeva di essersi immersa in un gran casino. Voleva ancora aiutare Luke, ma in quel momento lo stava, in poche parole, accompagnando a iniettarsi eroina nel braccio. 
Nonostante tutto, accettò. Corsero per attraversare il giardino e per uscire furtivamente dal cancello e rallentarono quando ormai erano per la strada. 
Era folle. Luke si drogava: questa era la sola frase che rimbombava nella testa di Avril. Doveva salvarlo, e non sapeva come. 
Camminarono come se fossero tre vecchi amici di infanzia per le vie alberate, uno di fianco all'altro, con le mani tra le tasche, le teste abbassate e diversi tipi di pensieri in testa. Quando poi arrivarono, Luke aprì cancello, porta e corse sulle scale per arrivare in camera. Avril lo seguì col cuore pesante e pieno di rimorso, fino ad arrivare nella sua stanza. Lo vide alzare i libri in un cassetto e buttarli da ogni parte, recuperando una siringa, una bustina, un accendino, un cucchiaio e un elastico, posando il tutto sul letto.
Calum era proprio sullo stipite della porta, con le braccia incrociate e lo sguardo spento. A quel punto, Avril non ci vide più. 
"Non puoi ridurti così!" urlò, quando Luke aveva già ormai in mano la siringa. Gli si precipitò addosso, strappandogliela dalla mano. Provò una sensazione di dominio sul mondo, in quella frazione di secondo: era la prima volta che teneva in mano quell'oggetto. 
Subito Luke le strinse forte il polso.
"Lasciala. Lasciala subito, Avril."
Ma lei non ne era intenzionata. Anzi, la strinse di più fra le dita, come se tutto dipendesse da essa.
Anche Calum si fece avanti, restando comunque più distante.
"Dagli la siringa, Avril."
La ragazza era accecata dall'adrenalina, dalla rabbia mescolata alla paura e "Se ti buchi, mi pianto l'ago nella vene." affermò con durezza.
"Non dire cazzate, ragiona. E lascia la presa." l'ennesimo spasmo attraversò il corpo di Luke. Questo le bastò per alleviare la forza con cui impugnava la siringa, e in un solo secondo l'altro se ne appropriò. Calum, velocissimo, la prese da dietro, allontanandola dal ragazzo che si stava uccidendo con le sue stesse mani.
Le lacrime le rigavano le guance, così come Luke stava rigando la sua vita. 
"Bucati e non mi rivedrai più." lo ricattò. All'istante i loro occhi si incontrarono, come se fossero stati chiamati. Si osservarono per un tempo indeterminato, ed Avril ringraziò Calum che la stesse tenendo, perché sentiva di poter cadere sulle proprie ginocchia da un momento all'altro. 
"Vattene." le disse. 
Avril udì chiaramente i pezzi del suo cuore infrangersi, taglienti come lame appuntite sporche di dolore. Chiuse gli occhi due, tre volte. Trattenne il respiro per qualche secondo. Poi abbassò lo sguardo, spinse via Calum ed uscì da quella maledetta casa.
Sei convinto di avere sempre di più, giorno dopo giorno, e invece quello che ti ritrovi è sempre meno. Perdi tutto. In un anno, in un mese, o in un secondo, con una sola frase, o con una sola parola. Ma non importa a nessuno se hai l'anima tagliata a fettucce, non importa a nessuno perché sono tutti troppo sbadati per accorgersene. E così, Avril, veniva macchiata un'altra volta dalla sofferenza. 
Non appena uscì sul viale, sentì una mano afferrarle il braccio, facendola voltare, incontrando il colore nocciola delle iridi di Calum. 
"Lasciami." ordinò autoritaria.
"Come puoi salvare una persona andandotene?" 
La voce rotta dal pianto non le consentì di dare una risposta sensata, forse perché in realtà non c'era. Allora Calum intrecciò la mano nella sua, conducendola un'altra volta nell'abitazione e percepì il calore sciogliere tutto il ghiaccio formatosi dentro di lei. La fece sedere sul divano nel salotto di casa Hemmings, come se fosse di sua proprietà e le portò un bicchiere d'acqua, che Avril non esitò ad accettare. Aveva smesso di tremare e di piangere, regolarizzando anche il respiro. Vide Calum afferrare il telecomando e la tv si accese su uno stupido programma che nessuno avrebbe mai seguito. Poi si sedette di fianco ad Avril, allungando un po' le gambe, e lei lo imitò. Sentì un braccio cingerle il fianco e una mano che la accarezzava lentamente. Sorrise per quel gesto, rendendosi conto di quanto Calum fosse forte a sopportare la realtà e a confortarla in una situazione così drammatica. 
Luke era al piano superiore ad infilarsi un fottuto ago nel braccio mentre lei era semplicemente lì, aspettando che continuasse a rovinarsi la vita. Il moro le asciugò una lacrima della quale non si era nemmeno accorta, e poi cercò solo di soffocare la tristezza col sonno.

Quel giorno Avril dormì fino al tardo pomeriggio. Si svegliò solo quando non sentì più la presenza di Calum a fianco, annullando tutto il calore. Un brivido le percorse tutta la spina dorsale e, quando aprì gli occhi, fu invasa dalla preoccupazione.
Aveva dormito in una casa che non era la sua, e chissà se i genitori di Luke l'avessero vista.
Vide il moro sparire in una stanza e poi riapparire con un paio di pantaloni della tuta. Avril si mise a sedere e "Come sta?" si informò subito. 
"Ora vado a vedere, mi sono appena svegliato anche io." sbadigliò e si stropicciò gli occhi stanchi e salì le scale. 
Avril, impotente, rimase lì inerme. Le sembrava di essere in un film, dove tutto andava sempre più precipitando. Poi la voce ovattata di Calum le arrivò bassa, quasi inesistente, ma si alzò e raggiunse il piano superiore. Varcò la soglia della porta e indirizzò tutta la sua attenzione a Luke, che in quel momento era avvolto sotto le coperte. Voleva sorridere a quella vista così improbabile, ma non poteva: era tutto uno schifo, in realtà. E non c'erano spazi per i sorrisi.
"Mi ha detto di chiamarti." spiegò l'altro "Ed io ora vado, ci vediamo domani a scuola!" 
Entrambi lo salutarono e, quando furono rimasti soli, Avril si sentì in imbarazzo, stando lì in piedi.
"Volevo chiederti un favore." Luke si mise a sedere, e solo in quel momento poté notare che fosse a petto nudo. Dio, era bellissimo con i capelli scompigliati, gli occhi lucidi di stanchezza e il petto scoperto. Si alzò dal letto e con un'estrema lentezza le si avvicinò. 
"Dimmi." deglutì, spaventata dalle mosse di lui. Ogni passo che faceva, sperava che si fermasse.
"Volevo chiederti" la inchiodò alla porta, posando le mani vicino alle spalle, senza smettere un secondo di far fondere l'azzurro col verde "di non parlare a nessuno di tutto ciò che hai visto."
Non ebbe il coraggio di rispondere, ma avrebbe tenuto il segreto anche se non glielo avesse chiesto esplicitamente. Passò lo sguardo sui bicipiti di Luke, poi lo guardò negli occhi, col respiro pensante. Erano vicinissimi. Quando ormai le loro fronti stavano per scontrarsi, il cellulare di Avril suonò. Sobbalzò, come se fosse stata riportata sul pianeta Terra solo in quel momento. 
Luke sbuffò, tolse le mani dalla porta e lasciò rispondere alla ragazza. Questa tornò a inspirare aria e non più il respiro di lui, prendendo il cellulare e rispondendo.
Mamma.
"Pronto, Avril?"
Sensi di colpa.
"Mamma?"
Luke si allontanò, riandandosi a sedere sul letto, cercando probabilmente la sua maglietta.
"Tutto bene? Dove sei?" 
Il cd dei Beatles.
"Io... Sì, tutto bene. Sono a..." si guardò intorno, "A casa di una mia compagna di classe."
Luke rise.
"Vicky mi ha detto che non c'eri all'uscita della scuola. Ci siamo un po' preoccupate." la sentì armeggiare con le pentole "Però devo chiederti di tornare a casa, stasera c'è papà a cena." 
Per poco non le cadde il cellulare dalla mano. Suo padre? Lo stesso uomo che aveva abbandonata lei e sua madre per un'altra famiglia? Non poteva essere vero. 
"Io non vengo." 
"Avril..." la delusione nel suo nome pronunciato "Per favore. Ti chiedo solo questo, non complicare la situazione."
Avril sbuffò, si passò una mano fra i capelli, appoggiandosi completamente alla porta. Guardò Luke indossare una maglia nera ed aderente, che vagava nel suo sguardo per cercare di captare quanti più segnali per capire di cosa stesse parlando.
Non voleva vedere suo padre. Preferiva che quell'abbandono rimanesse chiuso con un lucchetto in una stanza piena di ricordi. Avrebbe voluto anche disperdere quella chiave nel posto più lontano al mondo.
"Ok, arrivo."
...Ma da quel mondo non era riuscita a scappare in tempo. 
Voleva mettersi da parte e lasciare spazio alla felicità di sua madre, per una buona volta. Infatti sentì un sospiro di sollievo, che la fece sorridere.
"Grazie."
"Ti voglio bene."
"Anche io, torna presto."
Chiamata terminata.
Avril osservò per altri secondi lo schermo nero del cellulare, per poi riporlo in tasca. Scosse la testa, rendendosi conto di aver davvero accettato. Aveva paura dell'effetto che avrebbe provato rivedendo l'uomo che l'aveva cresciuta, ed era anche rabbiosa per ciò che le aveva fatto passare. Paura e rabbia, se mescolate insieme, non portavano mai a qualcosa di buono.
"Devo andare." annunciò, riaprendo la porta.
"Dove vai?"
"A casa."
Luke annuì, ed Avril non aspettò oltre ad uscire da quell'abitazione, così silenziosa da fare inquietudine, come se nessuno ci avesse mai vissuto. 

Quando arrivò davanti alla sua casa, sperò soltanto che il tempo si fermasse. Entrare significava solo riaprire una di quelle porte del passato, che Avril chiuse così saldamente che non avrebbe mai creduto che potessero riaprirsi un giorno. 
Non era pronta per vedere suo padre. Ma doveva farlo per sua madre: era questo ciò che continuava a ribadire nella sua testa.
Per sua madre.
Abbassò lentamente la maniglia, impiegando i secondi più mostruosi della sua vita. Non appena entrò, sentì subito delle voci provenienti dalla cucina. La prima cosa che notò fu la risata di sua madre, così bella e rara ultimamente. E poi la sua voce. Le venne immediatamente l'impulso di urlare, di dimenarsi per scacciare via tutte quelle sensazioni contrastanti, e invece si limitò a seguire quelle voci. Entrò in cucina, attirando a sé le due teste. Smise di respirare quando, dopo ben due anni, rivide le iridi verdi di suo padre.
"Ciao." esordì lui, ma Avril si ammutolì. 
Aveva qualche capello bianco in più, l'aria allegra, rilassata. Le sorrise, e non ricambiò. Prese posto a tavola, sotto lo sguardo attento dei due. 
"Tutto bene?" cominciò la madre.
Avril annuì, tenendo gli occhi bassi. La cena era già in tavola e tutto era già apparecchiato: la stavano aspettando. Ma non sapeva nemmeno che cosa ci facesse lì, con quell'uomo davanti, dopo tutto questo tempo. Non lo considerava più neanche suo padre, non se lo meritava. Era Derek, ora. Derek e basta. 
"Beh, ora che sei arrivata, direi che possiamo cominciare a mangiare." 
Non capiva come quella donna potesse essere così felice in presenza dell'uomo che l'aveva distrutta, e questo le dava i nervi. 
Servì le porzioni a tutti e tre, e quando iniziarono a mangiare, "Allora, Avril, vedo che sei cresciuta parecchio." incalzò Derek. 
La figlia smise di mangiare per alcuni secondi, per poi "Già." concedergli. 
Lui sorrise ancora, Avril strinse forte la forchetta. 
"Ti trovi bene qui?" continuò la sua stupida e finta sfilza di domande. 
Respirò profondamente, cercando di calmarsi e di non deludere sua mamma. "Direi di sì."
"Mi fa' piacere! E la scuola?"
Esaminò l'espressione di sua madre, trovandola piuttosto ansiosa di ciò che sarebbe uscito dalle labbra di sua figlia. 
Doveva farlo per lei.
"Anche quella va bene." asserì, per poi mettere un altro boccone in bocca.
Derek emise un verso di soddisfazione, e poi lo vide scambiarsi uno sguardo con la madre. Seriamente, stava cercando di trattenersi. Era nervosa, troppo nervosa per la leggerezza con cui le parlava. Stava solo facendo finta di niente, come se fossero un padre ed una figlia normali, come se non si fossero per davvero ignorati per almeno due anni. Era incredibile che faccia avesse.
"Avril è una brava studentessa." confermò sua madre. 
"Anche se non la vedo da molto, me lo ricordo." 
Avril voleva dire che in realtà non era affatto una studentessa modello, che i suoi voti arrivavano massimo al sette, se le andava bene. Voleva dire che la nuova scuola le faceva schifo, che non aveva più voglia di andare a scuola, ma li lasciò parlare. 
"Sai un cosa?" esordì sorridente lui "Dovresti conoscere il figlio di Anne, anche a lui piace studiare!" 
Avril sputò nel bicchiere l'acqua che aveva appena bevuto. Anne, la sua nuova compagna, la loro rovina. I due spalancarono gli occhi, sconvolti dalla sua reazione. 
L'ultima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata proprio quella di incontrare il suo nuovo 'figlio'. Sembrava così assurdo.
"Avril!" la rimproverò la madre. 
Avril abbassò la testa, sentendosi gli occhi già lucidi. Era come se l'avesse abbandonata una seconda volta, con quella frase. Non voleva fare una delle sue scenate davanti a loro, per questo indietreggiò con la sedia e si alzò.
"Scusate." disse, per poi quasi scappare di sopra. 
Chiuse la porta e ci si appoggiò, scivolando poi su di essa, adagiandosi a terra. Si portò le mani fra i capelli con fare disperato, rimanendo sola tra i suoi singhiozzi. Sentiva una ferita aperta che bruciava, che faceva fuoriuscire troppi ricordi da assimilare. Non era pronta per rifare i conti con l'abbandono di suo padre. 
Non era nemmeno pronta per farli con la scoperta della tossicodipendenza di Luke, troppo assurda. Era come se ora vivesse in un mondo tutto nuovo, un mondo a cui non poteva abituarsi a vivere. 
Avril si addormentò così, scossa dal tremore, avvolta solo da silenzio. Il silenzio più sovrastante di sempre.

La mattina seguente una suoneria fin troppo fastidiosa svegliò di soprassalto Avril. Dovette passare un po' per capire che si trovasse ancora lì, seduta a terra con la schiena poggiata alla porta. Percepì una fitta al collo, provocandole un gemito sommesso. Dio, come aveva dormito da schifo. 
Aprì di poco gli occhi, ricordandosi solo ora che il cellulare stesse ancora suonando. Rispose.
"Avril!"
"Oh... Vicky." richiuse gli occhi.
"Sono quasi le sette e mezza, non ti eri ancora svegliata?"
"..."
"Avril? Sei sveglia?"
"No, però ti rispondo." ritornò ancora sul pianeta, ma restando lo stesso disorientata.
Sentì Vicky ridere e "Ok, ok, mi sa che oggi entriamo alla seconda ora, mh? Alzati e preparati." dire.
"Ok, a dopo." 
Si alzò indecisa da terra, sentendosi le guance secche dalle lacrime mai asciugate, la testa pulsare e le mani... Le mani non se le sentiva più da quanto aveva freddo. Si preparò con svogliatezza, senza mai sfiorare il suo sguardo allo specchio. Scendendo le scale e passando di fianco alla cucina non poté che rianimare le immagini della sera precedente, chiedersi cosa avessero fatto dopo che lei si era rintanata nella sua camera e se avesse fatto la cosa giusta. La testa le pesava già troppo, non aveva voglia di peggiorare ancora di più. 
Uscì di casa e, non appena salì sulla macchina di Vicky, questa le iniziò a porre domande su domande, cercando di capire la sua assenza del giorno precedente fuori dalla scuola. Avril fece la vaga ma, dopo vari giri di parole, le scappò il nome di Luke, che fece sospirare le cugina. Alla fine, comunque, non la prese tanto male. 
Quella mattina, però, Avril aveva l'umore sotto i piedi, a causa di tutte le novità assimilate come pugni nello stomaco. E soprattutto, alla seconda ora doveva subire una lezione di Harvey, lo stronzo di scienze; e oltretutto ci sarebbero stati anche Luke e Calum, senza avere idea di come affrontarli.
Si diresse nella sua classe con Vicky, vedendo che, come sempre, alcuni studenti, che stavano cambiando classe, la guardavano storto, alcune volte addirittura indicandola. Parlare con Luke aveva il prezzo di essere squadrata, ma questo era il minimo. 
Si sedette al suo posto, seguita da Vicky al banco di fianco. I loro compagni arrivarono dopo una manciata di minuti, reduci di una lezione con la professoressa di matematica, nell'aula multimediale al piano di sotto. Aveva anche fatto bene a saltare la prima ora. 
Mise il libro sul banco, posandoci sopra la testa: non reggeva più la stanchezza. Le sembrava di aver affrontato la terza guerra mondiale per almeno trecento volte. Vicky, invece, svolgeva i compiti per l'ora dopo. La solita. 
Quando anche il professore fece la sua entrata, i banchi di Calum e Luke erano vuoti, poteva vederlo anche mantenendo la faccia spiaccicata sul libro di scienze. Sospirò, pensando a cosa avessero potuto combinare ancora.
"Oggi interroghiamo." iniziò Harvey, attirando tutta l'attenzione degli studenti che pregavano ognuno il loro dio. 
La questione, al contrario, non toccò per niente Avril, che si era accoccolata su quella superficie scomoda. 
"Vediamo un po'..." fece una serie di strani e assurdi calcoli, tirando poi fuori due nomi a caso. 
L'interrogazione cominciò, e gli sfortunati non se la stavano cavando per niente. Stava quasi per addormentarsi quando "Un minuto, ragazzi." il silenzio calò, e tutti le puntarono gli occhi addosso. Alzò allora il capo, scoprendo che tutta quella sceneggiata fosse dedicata a lei. Arrossì violentemente.
"Magari anche Mitchell vuole farvi compagnia, così da non annoiarsi troppo, eh?" annunciò rivolgendosi ai due interrogati. 
"Prof, io non ho studiato." si torturò le mani per il troppo imbarazzo.
Allo stesso tempo, dal corridoio si sentirono due voci imprecare. La maniglia si alzò ed abbassò circa sette volte, poi Calum per poco non cadde dentro la classe. I compagni si ammutolirono.
"Ehm, buongiorno." avanzò verso il suo posto in terza fila.
"Cazzo di porta..." borbottò Luke una volta riuscito ad entrare anche lui, lanciano un'occhiata ad Avril.
Ad Harvey sembrò uscire il fumo dalle orecchie, ad Avril il cuore dal petto. 
"Hood ed Hemmings, le brutte abitudini vedo che non muoiono mai. Siete incredibili, non so più come fare con voi due. La lezione inizia alle nove, perché voi dovreste avere il privilegio di presentarvi dopo un quarto d'ora?" e la lista di rimproveri continuò, quando in realtà a nessuno fregava. 
Avril si perse ad osservare Luke, che sembrava avesse un mantello sul quale scivolavano tutte le parole di Harvey. Si accasciò sulla sedia, scivolando più giù ed assumendo un atteggiamento menefreghista. 
Calum, invece, prese il libro e poggiò la testa sulla mano. 
Il professore intraprese la sua interrogazione, dimenticandosi di aver chiamato Avril prima che entrassero i due ragazzi. 
"Che fortuna." le disse Vicky, e lei annuì. Le avevano fatto scampare un 3 assicurato. 
Comunque, era davvero strano vedere Luke all'interno del Norwest Christian College dopo averlo assistito nelle condizioni pietose del giorno prima. Non capiva come facesse ad essersi ripreso così presto, ad essere così assurdamente bello nonostante tutto. 
Ma in ogni caso doveva smetterla di guardarlo, perché sapeva che Luke riuscisse a captare ogni singola mossa della gente. Cercò allora di concentrarsi sulle pagine che avrebbe dovuto studiare per quella lezione, ovviamente con scarsi risultati, a causa di quell'indifferenza appartenente a Luke, che riusciva a spiccare tra tutti i suoi compagni. 
Il resto dell'ora lo passò a lanciare qualche sguardo a Luke, era inevitabile. Eppure lo trovò sempre con lo sguardo impassibile, puntato su un qualcosa di indefinibile davanti a lui. Sbatteva di tanto in tanto le ciglia, si leccava con un gesto automatico il labbro superiore, si passava una mano tra i capelli per sistemarseli meglio: tutte azioni catturate da Avril, mettendosi nei panni di una maniaca. Sentiva il cuore accelerare e calmarsi in tempi così brevi, sentendosi una completa stupida. 
Diede un'ultima sbirciata a Luke, che quel giorno sembrava non esserci per nessuno. Calum prima di uscire dall'aula le si avvicinò per stamparle un veloce bacio sulla guancia e "Ciao!" la salutò, sparendo poi dalla sua visuale per raggiungere il biondo.

Anche Avril era assente durante le lezioni. L'immagine di suo padre e quella di Luke mentre era in astinenza le occupavano totalmente la mente. Aveva rifiutato tutto il cibo della mensa, per paura di vomitarlo da un momento all'altro. Quando anche Vicky finì di mangiare, uscirono da quell'immensa aula, ma che ormai era vuota, seguite anche dalle amiche della cugina. Non ebbe il tempo di pensare a come occupare gli ultimi dieci minuti rimanenti che vide una folla schiacciata nel corridoio che continuava a spostarsi. Incuriosita, si avvicinò anche lei, sentendo già un brutto presentimento.
"Non avvicinarti troppo." le raccomandò Vicky.
Ma Avril si fece spazio tra tutti quegli studenti compressi e urlanti incitazioni, per poi ritrovarsi davanti una scena che la avrebbe sicuramente fatta vomitare se avesse mangiato a mensa. Luke era posizionato sopra ad un ragazzo che non aveva mai visto prima, e proprio in quel momento gli sganciò un pugno sullo zigomo destro. Quello gemette, dimenandosi, ma rimanendo bloccato dalle ginocchia dell'altro.
"Ashton non lo devi nemmeno nominare!" un altro pugno raggiunse il viso del ragazzo "Hai capito, testa di cazzo?!" 
Avril sussultò per quel tono carico di rabbia di cui Luke si era impossessato. Non riusciva a capire più niente, e le prudevano le mani da quanto avrebbe voluto fermarlo. Qualcuno la spingeva per avere una visuale migliore, ma ad Avril non importava, perché Luke le faceva davvero paura. Sobbalzò un'altra volta mentre il biondo si alzò e con una forza inaudibile gli tirò un calcio al fianco. 
"No!" urlò quando Luke aveva già caricato un secondo calcio. Questi di fermò e parve riscuotersi dalla rabbia, facendo ricadere il suo sguardo in quello di lei. Sembrava un animale inferocito. 
Tutti smisero di incitare violenze ed improvvisamente divennero spettatori di quello strano spettacolo. Guardavano Avril-Luke-Avril-Luke, aspettandosi che qualcosa accadesse. Avril si stava corrodendo con quegli occhi azzurri che incatenavano i suoi, fino a quando vide il biondo fare cenno a qualcosa, o meglio qualcuno dietro di lei, facendo intendere di portarla via. Poi sentì qualcuno prenderla dalle spalle e tirarla indietro. Si dimenò, scalciando a destra e a sinistra, ma quelle braccia erano troppo possenti. Più cercava di andargli incontro e più quegli occhi diventavano lontani. 
"Fermati, Luke!" urlò a squarciagola, ma questi sparì dietro la folla, eppure lo sentì quel "Ashton non si nomina." detto più a bassa voce. 
"Lascialo fare, non è in sé in questi casi." 
Avril smise di dimenarsi. 
Quella voce. Si girò di scatto ed ogni suo dubbio fu accertato: Michael. Trasalì e fece un passo indietro per aumentare la distanza.
"C-cosa..."
"Non riandare là o sono costretto a prenderti in braccio e spostarti di peso." 
La sua espressione, quella volta, era diversa rispetto alle altre. Era più consapevole, meno assente, meno inquietante. Sembrava solo preoccupato. Voleva sapere solo cos'era successo, chi aveva infamato su Ashton, ma c'era un qualcosa negli occhi di Michael che la faceva rimanere calma, che non le permetteva di scappare e tornare da Luke. Allora Michael si rilassò, ed Avril rimase lì, a guardare la gente che si azzuffava per vedere meglio le botte che Luke non riusciva a risparmiarsi. Vide anche Vicky che si dirigeva verso lei, preoccupatissima. La prese per la mano, facendola staccare sempre di più dal ragazzo che si era imposta di non abbandonare, senza rendersi conto che, in realtà, fosse proprio lui a starlo facendo. 
"Che cazzo ti salta in mente, Avril?!" sbraitò uno dei tanti rimproveri che susseguirono poi.

Quelle ore di scuola sembravano interminabili. Era finalmente la sesta, ed Avril aveva la testa che sarebbe potuta scoppiare in quel preciso istante. Sentiva un peso nel petto, segno che la preoccupazione per l'accaduto nei corridoi non si volesse alleviare. Fu l'ultima ad uscire da quella maledetta classe, con un passo piuttosto lento a causa della pigna di libri nella borsa. Sbuffò. Voleva rinchiudersi in camera sua per tutto il pomeriggio e dormire, dormire e dormire. 
Camminando con lo sguardo basso non notò la figura che padroneggiava l'uscita del corridoio per accedere alle scale. Anzi, quasi ci finì addosso. Si bloccò quando vide un paio di scarpe e, quando automaticamente alzò la testa, Luke Hemmings fu ciò che vide.
Si fece strada la solita sensazione di qualcosa che le divorasse l'intero stomaco, rendendola incapace di fare qualsiasi cosa.
"Avril." uno strano sorriso gli apparve sulle labbra.
Lei trasalì e pensò al peggio. "Che ci fai qua?" chiese spaventata.
E da lì in poi fu il caos.
Luke le strinse forte il braccio e la strattonò, portandola nella prima classe che trovò più vicino. Chiuse la porta così forte da sovrastare il battito cardiaco di Avril, che si stava piano piano sgretolando sotto il suo tocco. Una volta chiusa, ci sbatté la ragazza contro e fece combaciare i loro corpi.
Avril non riusciva a ragionare in quei momenti, incassava le sue azioni solo dopo lunghi secondi. Aveva gli occhi sgranati, il corpo debole, tenuto in piedi solo grazie a quello di Luke.
"E quindi ora devi dirmi anche ciò che devo e non devo fare?!" gridò così forte che sentì la sua voce rimbombarle nel petto. Era praticamente bloccata, compressa tra il ragazzo e la porta.
Non doveva piangere.
Luke diminuì le distanze fra loro, se possibile e "È ora di finirla, Avril." disse più a bassa voce, poggiando la fronte sulla sua, proprio come la scorsa sera.
E mentre Avril credeva che l'avrebbe uccisa, Luke posò le labbra sulle sue. Fu un bacio sentito, esigente, bisognoso. Le sostenne il mento con la mano, ed Avril poggiò una mano sulla sua nuca. Mille guerre furono combattute nel suo stomaco, mille pensieri si sovrastarono nella sua testa. Sentì di nuovo il sapore delle sue labbra, e sapeva di esistere, si sentiva viva. Capì di essere il suo antidoto, in quel momento. 
Acqua che spegneva fuoco, colori che accendevano il grigio.





Hei people!
Cioè, gente: una settimana. Solo una settimana, sto migliorando!
Eccomi qui, con l'ennesimo capitolo. Solitamente i miei erano lunghi tipo 16 KB, mentre questo è di ben 35 KB, uau. Anyway, qui si può notare quanto Luke sia in contrasto con se stesso, con la sua decisione troppo complicata da prendere: colori o grigio? 
Avril, quella povera disgraziata, si ritrova sempre il cuore in frantumi. Da come avrete capito, ci sta mettendo l'anima per salvare Luke, però sembra un'impresa impossibile. Dipende tutto dalla sua determinazione, da quanto ci tiene realmente a quel ragazzo che non avrebbe mai pensato fosse così difficile. 
E poi Michael che diventa più semplice, a tratti quasi come una persona normale. Sta facendo anche lui i suoi progressi.
Io ora vado, perché è tardi e non so quante di voi avranno voglia di leggere. Se vi va, recensite. Mi fa sempre piacere leggere ciò che pensate, e se volete potete mandarmi delle vostre supposizioni sulla morte di Ashton!
Ringrazio tutti, come sempre e domani, appena posso, rispondo a tutte le vostre recensioni che amo taanto.
Bye <3


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Capitolo 17
*** Michael/Luke/Calum/Avril!Drunk ***


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Michael/Luke/Calum/Avril!Drunk

"Non puoi comandarmi." asserì Luke quando il baciò finì, affondando lo sguardo nel suo, più serio che mai.
Iniziò a toccare i fianchi di Avril, che stette in silenzio sotto il suo tocco e poggiò una mano sul collo del ragazzo. Avevano bisogno di sentirsi e di toccarsi, era evidente. 
"Hai capito?" continuò lui, per poi catturare ancora una volta le sue labbra. 
Avril continua a pensare che avrebbe dovuto smetterla di pensare al fatto che Luke fosse davvero lì, che quelle labbra fossero così morbide, che quelle mani fossero posate sui propri fianchi. Quella stanza stava iniziando ad essere troppo calda, troppo piccola, troppo opprimente. 
"No." gli rispose, perché era una ragazza determinata, lei. Non poteva lasciarlo andare. 
Luke assottigliò gli occhi, aumentò la presa, insinuando poi una mano sotto la felpa. Avril tremò, forse per la sorpresa, forse per la paura. 
"Nessuno mi disubbidisce, io faccio quello che voglio." affermò bisbigliando vicinissimo al suo orecchio, facendo scontrare ancora di più il suo corpo a quello di Avril. Quest'ultima era bloccata, non riusciva a fare niente. Sentiva solo la sua voce bassa, i loro respiri affannosi e le mani di Luke che vagavano ovunque. 
A quel punto, non trovò le parole da pronunciare, troppo presa dalla situazione. Sentì i denti di Luke afferrarle il labbro inferiore e gemette. 
Allora al ragazzo si formò un ghigno sul viso e "Stasera." esordì e si fermò per lasciarle un ultimo bacio umido sul collo "Vieni con me al Gens." 
Avril rimase sorpresa per quella iniziativa, ma non trovò il coraggio di ribattere. Anzi, si ritrovò ad annuire, facendogli comparire un'espressione soddisfatta. Distolse lo sguardo e lo abbassò: aveva visto fin troppo azzurro, per quel giorno. Luke non l'aveva mai guardata per così tanto tempo, e un po' si sentì vulnerabile, più incerta sul compito che si era affidata da sola, e più... Grigia. 
Poi il biondo si scostò, lasciandole lo spazio necessario per scansarsi da quella posizione. Senza proferir parola aprì la porta ed uscirono da quella classe che lei non aveva nemmeno notato, perché tutto, all'improvviso, era diventato solo Luke. Si inoltrarono tra i corridoi e sperò solo che nessuno li vedesse. Però, dietro le vetrate della porta principale, la sagoma di una Vicky fin troppo spazientita se ne stava fuori dalla scuola.
Avril si insultò almeno dieci volte nella testa. Come aveva potuto dimenticarsi di lei? E soprattutto, non era in una buona posiziona, poiché a pochi centimetri da lei aveva Luke Hemmings. 
Si irrigidì subito e, quando Luke la precedette ed aprì la porta, voleva solamente diventare invisibile. Vicky, al suono della maniglia che si abbassava, si girò di scatto e lo sguardo che dedicò al biondo non era per niente amichevole. Ma quell'occhiata peggiorò quando vide che al suo fianco ci fosse proprio Avril. 
"Avril?" chiese confusa "Ti stavo aspettando da almeno dieci minuti." disse e si soffermò su Luke. Questi la guardava impassibile e "Luke." si presentò porgendole una mano. 
Vicky osservò quella mano con disgusto e non ci pensò neanche un secondo di stringergliela. Il ragazzo alzò le spalle e "Mestruata." bisbigliò a bassa voce tra sé e sé.
Avril si passò una mano sulla fronte, perché quel quadretto non era affatto previsto, non voleva che ci fosse tutta quella tensione tra i due. Pregò quindi che quel bisbiglio non arrivasse alle orecchie di Vicky, ma ogni sua speranza fu distrutta quando la vide assottigliare gli occhi e stringere i pugni.
"Andiamo, Vicky..." 
"No!" urlò facendola sobbalzare "Tu! Devi lasciare stare mia cugina, ti è chiaro?" 
Ma Luke sogghignò e "Puoi venire anche tu con noi stasera." affermò.
"Dove? E ancora vuol dire 'anche'?" spalancò gli occhi.
Avril rimase lì, spettatrice della scena, come se avesse i piedi inchiodati al pavimento. Aveva il cuore con un battito impazzito, perché sua cugina solo in quel momento scoprì la vera relazione che aveva con Luke, che sicuramente immaginava più distaccata. Abbassò così gli occhi quando "Stasera Avril verrà con noi in un locale, e se vuoi sei invitata." pronunciò il biondo.
Vicky rivolse, questa volta, tutte le attenzioni alla cugina, poi scosse la testa. 
"Hai fatto tutto ciò che ti avevo detto di non fare, Avril."
"Lo so, ma lui non è come credi. Ti sei fatta un'idea sbagliata." Avril sentiva il petto pesante, perché dietro a quelle parole c'erano finte verità. Luke era uno spacciatore, un drogato, ma soprattutto un ragazzo segnato dalle mancanze. E si sentiva in dovere di difendere e proteggere quella nuova scoperta, perché quel ragazzo era una vera e propria trovata.
Entrambi le puntarono gli occhi addosso: Vicky con l'espressione scioccata, Luke soddisfatta.
"Senti, torniamo a casa." sbottò la cugina, girandosi e scendendo le scale furiosa. 
"Penso di sentirmi in colpa."
"Io no."
Quella fu l'ultima conversazione, poi Avril gli diede le spalle e raggiunse la Range Rover. Esitò prima di aprire la portiera, prese un respiro profondo ed entrò nella macchina. Non riuscì a rivolgere lo sguardo a Vicky, semplicemente perché sentiva la coscienza così sporca. La vide solo inserire le chiavi, girarle e poggiare le mani al volante con un nervosismo che non faceva altro che accrescerle il senso di colpa. È vero: aveva disubbidito, ma era palese la situazione, ed era sicura che la cugina sapesse già tutto. E non capiva a cosa fosse dovuta tutta quella rabbia.
Il protagonista di quel tragitto fu solo un silenzio pesante, colmo di rabbia e parole taciute. Quando arrivarono nel viale di casa Hemmings, Avril non ce la fece più, così si lasciò andare ad un "Mi dispiace." 
Ma Vicky non distolse le iridi dalla strada. "Non fa niente." mentì spudoratamente. 
Ad Avril venne solo un'assurda voglia di piangere, perché odiava mentire, disubbidire e deludere le persone. Però chiuse la portiera e, dopo essersi girata un'ultima volta verso la Range Rover, entrò in casa.
Ed è qui che si ricordò di cosa avesse dovuto sopportare tra quelle mura. Perché appoggiata alla porta della cucina c'era proprio sua madre, che probabilmente non aspettava nient'altro che il suo ritorno. Era pallida, spettinata, col viso stanco e con due occhiaie che spegnevano quegli occhi lucidi. Allora Avril si arrese, lasciando così che le lacrime scendessero sulle sue guance rosse per il freddo. Anche sua madre stava soffrendo e lo poteva vedere. Si avvicinò alla donna e si abbracciarono così forte, illudendosi di poter risanare da sole tutte le ferite. Sentì una mano accarezzarle la schiena e un singhiozzo sfuggito, facendole capire che ormai erano in due a piangere. Quell'abbraccio significava molto per entrambe: sapevano che, qualunque cosa fosse successa, alla fine sarebbero sempre tornare l'una dall'altra, perché erano i pilastri di loro stesse. 
Avril percepì finalmente di essere entrata nella propria casa, e non più in un luogo qualsiasi. 
Quando sciolsero quell'abbraccio, si guardarono e allo stesso momento "Scusa." pronunciarono. Scoppiarono in una timida risata, asciugandosi le lacrime. 
"È andato via." parlò la madre, senza aver bisogno di esplicitare.
"Ho solo bisogno di sapere il motivo per il quale era qua."
"Ha detto che voleva vedere come ce la cavavamo, se era tutto a posto, ed è pur sempre tuo padre."
Padre. Avril sentiva una rabbia non appena veniva pronunciata quella parola. Aveva smesso di esserlo quando si era creato una nuova famiglia, quando aveva rinnegato l'amore paterno, dimenticandosi di chi fosse realmente la sua, di famiglia. 
Fece una smorfia, ma non ebbe da ridire niente, altrimenti sapeva che quella discussione si sarebbe prolungata per il verso sbagliato.
"Come vuoi, ma ora vado a studiare. Stasera devo uscire." 
"Mi sono persa qualcosa?" le chiese con un po' di malizia nel tono.
"Tante cose, in realtà." le rispose quando ormai era sull'ultimo gradino della scale. 

Avril si era decisa finalmente di studiare scienze, perché non voleva farsi trovare impreparata una seconda volta. Quel giorno non poteva neanche andare al sasso per il troppo freddo.
Sbuffò tra i libri, ne aveva abbastanza di quella stupida materia. Scese al piano di sotto per prendersi un bicchiere di acqua, non trovando sua madre, poiché probabilmente si era addormentata. Prese il cellulare e notò esserci un messaggio ricevuto alle 16:33. 

19/02/2013 16:33
Scendi alle 22. 

Era Luke, l'avrebbe riconosciuto anche se non avesse salvato il suo nome nel telefono. Smise di bere e poggiò il bicchiere sul tavolo, cercando di placare tutta quella strana angoscia. Ogni giorno si ritrovava a fare a cazzotti con se stessa: era così impegnativo salvare Luke che si continuava a chiedere come potesse andare avanti in quel modo, doveva riguardare la lista dei motivi per il quale non l'aveva ancora lasciato. Ma Avril non sapeva andarsene. Luke era forse l'unica persona che avrebbe seguito in ogni posto, era l'unica persona che non si sarebbe mai stancata di guardare, perché, diamine, le piaceva. Eppure il pensiero di Melbourne, di Jason, della vecchia vita che conduceva, della droga che Luke si iniettava e le liti che si prolungavano con Vicky portava a riflettere su una cosa sola: ne valeva davvero la pena? 

19/02/2013 16:36
Va bene.

Digitò veloce, forse per aver paura di cambiare idea. Era la risposta alla domanda che le martoriava la testa.

Così le ore passarono velocemente, più di quanto si aspettasse. Luke sarebbe arrivato tra una decina di minuti, ed Avril continuava a passare davanti allo specchio del bagno. Più si guardava e più diventava insicura. Fu quasi sollevata dal quel clacson che suonò, in modo da non far aumentare quei complessi che le facevano quasi girare la testa. Recuperò la borsa, il cellulare e, dopo aver spento tutte le luci, uscì di casa. Salì in macchina rapidamente per non far sostare Luke ancora di più e sentì subito l'aria condizionata che la riscaldava.
"Ciao." esordì lui, come al solito freddo e distaccato.
Avril lo osservò dalla testa ai piedi e "Ciao." ricambiò sorridendo, rendendosi conto di quanta bellezza avesse davanti. 
"Non è venuta allora la tua amica." constatò mentre fece partire la macchina.
"Non è facile da convincere, e crede che tu abbia ucciso Ashton." 
Luke incassò quella frase in silenzio, con lo sguardo concentrato e fisso sulla strada. Avril si sentì schifosamente in colpa.
"Scusa." cercò invano di rimediare, ma lui non si spostò di un solo centimetro, mantenendo lo stesso sguardo impassibile. 
Le faceva male vedere il dolore che provava scorrergli dentro senza esternare niente, le faceva male soprattutto perché quelle parole erano uscite dalla sua bocca.
La serata era iniziata decisamente male. 
Comunque, nel giro di pochi minuti si ritrovarono nel parcheggio buio del Gens. Nell'esatto momento in cui scesero dalla macchina, Michael e Calum stavano parcheggiando i loro motorini vicino all'entrata. Avril e Luke li raggiunsero taciturni, ma quando la ragazza vide Calum togliersi il casco e sorriderle, non poté che ricambiare e avvicinarsi a lui. Gli schioccò un bacio sulla guancia e il moro rise.
"Chi si rivede!" 
"Ma se ci siamo visti oggi a scuola!" disse lei mantenendo quel sorriso amichevole. Calum si finse offeso e scese dalla moto.
Avril si girò e guardò Michael che aveva appena parcheggiato e non seppe cosa fare. Quella mattina l'aveva trattenuta e l'aveva fatta incazzare da morire, ma in fondo aveva agito per il suo bene.
"Ehi." esordì lui, accennando un timido sorriso. 
A quel punto non poteva starsene lì impalata, così "Ciao." lo salutò anche lei. 
Sentì poi un braccio scontrarsi con il suo e vide Luke passarle di fianco. Aveva forse cercato di attirare la sua attenzione per metter fine a quella piccola conversazione avvenuta con Michael? Rimase basita. Decise comunque di seguirlo, entrando finalmente nel locale. 
Disprezzava quel posto ai massimi livelli, faceva esteticamente schifo. I tavoli sembravano messi lì a caso, la gente che ballava era davvero poca, poiché tutti se ne stavano a sbronzarsi al proprio tavolo, e la luce era quasi inesistente. Ma, come l'altra volta, il tavolo a cui si andarono a sedere rimaneva sempre uno dei più appartati e più bui. Avril fece attenzione a non inciampare da nessuna parte, mentre Calum dietro di lei se la rideva. 
Finalmente riuscì a prendere posto, e il moro la affiancò, facendo si che Luke e Michael stessero di fronte a loro.
"Ho sete!" si lamentò il moro, iniziando a chiamare il cameriere. 
In un batter d'occhio fu già lì.
"Buonasera ragazzi, ditemi tutto."
"Un qualcosa di forte, scegli tu, mi fido!" ordinò per primo.
Il cameriere annuì e poi guardò Avril. Quest'ultima si aspettava che prendesse le ordinazioni su un foglio, e invece memorizzava tutto. Quel posto non smetteva di stupirla.
"Non saprei... Quello che prende lui." indicò Calum. 
Luke poi prese un Cuba Libre e Michael andò sul classico, ordinando una birra. 
"Non prendertela con me se quello che ci porterà farà schifo." asserì Calum quando il cameriere se ne andò.
"Almeno se ci ubriachiamo lo facciamo insieme." scherzò Avril, rendendosi conto solo dopo del doppio senso che aveva involontariamente detto. Non passò inosservato agli altri tre che sogghignarono, facendole andare in fiamme le guance.
"Non intendevo quello!" 
"Pervertita!" la schernì il moro.
"Uffa, non si può più dire niente." 
Tra un discorso e l'altro, il ragazzo delle ordinazioni arrivò con i loro alcolici e li congedò poi con un sorriso.
Avril assaggiò quel liquido trasparente e sentì la gola bruciare, così tanto da farla tossire. 
"Stai bene?" intervenne Luke che sembrava quasi preoccupato. 
"Sì, ma questo coso è davvero forte!"
"Credo sia l'Invisibile." affermò Calum che beveva tranquillamente lo stesso alcolico. "È forte, avrà sui 30 gradi." 
Avril diede un altro sorso e storse un'altra volta la bocca. Sentiva il liquido scenderle dentro e bruciare, quell'Invisibile probabilmente se l'avesse bevuto tutto l'avrebbe devastata.
"Dammi qua." ordinò Luke, poggiando il suo Cuba Libre. Avril glielo passò facendolo scivolare sul tavolo e, quando ne bevve un sorso, "Minchia!" imprecò, impressionato anche lui. "Se vuoi ti lascio il mio, tanto ora devo andare un secondo via." 
Avril si stupì per quella gentilezza nascosta dietro ad un semplice gesto. E poi, il fatto che potesse bere dallo stesso suo bicchiere, la rendeva più propensa ad accettare. Allora fece un cenno con la testa, e Luke glielo porse.
"Vado un attimo da Daniel." annunciò guardando Calum e Michael. Si alzò e Avril lo seguì con lo sguardo, vedendolo uscire da una porta secondaria. 
Quel nome Daniel le mise un'ansia assurda. Sorseggiò l'alcolico di Luke, che era decisamente meglio del suo, e osservò Calum. Ora che aveva scoperto della sua tossicodipendenza poteva permettersi di venire a conoscenza di questa persona, in fondo cosa poteva esserci di peggio?
"Calum," lo chiamò "chi è questo Daniel?" 
Michael quasi sputò la birra nel bicchiere, facendo sobbalzare Avril.
"Sa già tutto, tranquillo." gli disse Calum, e l'altro si rilassò. "E comunque è tipo lo spacciatore capo, consegna droga da vendere a Luke." 
La ragazze sentì le stesse sensazione provate quando scoprì che Luke si bucava. Il fatto era che non riusciva davvero a farsene una ragione, ed ogni volta che si accennava quell'argomento percepiva una fitta al cuore. 
Avril riprese il suo bicchiere e fece almeno tre sorsi: quel bruciore era meglio delle fitte. 
"Deve vendere anche stasera?" chiese.
"Mi sa di no, altrimenti sarebbe già uscito prima." fu Michael a parlare, quella volta. Si scontrò con quelle iridi chiarissime, trovandole più serene e tranquille rispetto al solito.
Ma poi le sentì, le note di quella canzone. Le sentì come pallottole piantate nella carne, forte come il rumore dei ricordi che cadevano sul pavimento. 

This place is so empty, my thoughts are so tempting. I don't know how it got so bad. Sometimes it's so crazy that nothing can save me, but it's the only thing that I have.

Questo posto è così vuoto, i miei pensieri così tentanti. Non so come può essere andata così male. A volte è così strano che nulla può salvarmi, ma è l’unica cosa che ho.

Ad ogni parola beveva nervosamente l'alcolico che ormai era finito. Sentiva di star congelando e allo stesso tempo sudando, sentiva il bruciore pervaderla, la testa che pulsava e non gliene fregava niente. Calum la guardava un po' stranito, così come Michael.

If you believe it's in my soul, I'd say all the words that I know just to see if it would show that I'm trying to let you know that I'm better off on my own. 
On my own.


Se tu ci credi è nella mia anima, ho detto tutte le parole che so solo per vedere se avessero mostrato che sto provando a farti capire che sto meglio da solo.
Da solo.


E quel da solo, così calcato e isolato le fece sbattere sul tavolo il bicchiere. Quella sera, Pieces dei Sum 41 proprio non le andò giù. Si portò una mano sulla fronte: stava impazzendo con quelle fottute parole che picchiavano ferocemente. Le stavano entrando sotto pelle, doveva respirare e inspirare. Quelle parole distruggevano ogni sua intenzione, e stava provando a convincersi che non fossero vere. Non stava meglio da sola, Avril doveva affiancare e sostenere Luke. Non era vero nemmeno che Luke non la salvasse: potevano salvarsi a vicenda. 
Le voci, da quel momento, le arrivarono distanti, tutte tranne quella della canzone, che sembrava urlare di lasciar perdere Luke. 
"Voglio un altro bicchiere." disse decisa, ma prontamente Calum scosse la testa, mimando un 'no'.
"Ne ho bisogno." affermò con un tono che non voleva lasciar trasparire repliche.
"Sei già brilla, Avril, ho detto di no."
Avril sbuffò, non riusciva più a soffocare quelle note maledette.
Quel 'da solo', che echeggiava da tutte le parti, la mandava fuori di testa. 
"Ma stai bene?" le chiese il moro, vedendola così scossa.
"Non credo." 
E la canzone finì.
"Questa merda non ti ha fatto bene... Sta arrivando Luke, forse è meglio che ti porti a casa."
Ed Avril non ebbe nemmeno il tempo di replicare, perché una ragazza, con un viso familiare, si avvicinò al loro tavolo e "Ciao!" trillò.
I tre seduti si guardarono confusi.
"Ancora da queste parti?" domandò con una punta di fastidio che ad Avril non passò inosservata. Vide poi Luke avvicinarsi a loro, ma fermarsi a pochi metri di distanza non appena realizzò che ci fosse anche quella ragazza. Rimase a fissarla fermo sul posto, ed Avril non seppe davvero cosa ci fosse in corso in quel momento.
La ragazza non rispose nemmeno a Calum, si girò e osservò Luke con uno sguardo che Avril non seppe decifrare. La vide, però, la tempesta in pieno svolgimento negli occhi del biondo, la vide trapassargli in quelle iridi azzurre e solo in quel momento ricordò. Quella ragazza, come le aveva spiegato giorni fa Calum, era la ex fidanzata di Ashton. 
"Ci si rivede, Lukey." 
Le comparve un sorriso malizioso che fece inviare una fitta al petto di Avril che sembrava simile a quelle ricevute durante Pieces. 
"Non chiamarmi così." ringhiò Luke.
Quella scoppiò in un'irritante risata e "Tempo fa non ti dava fastidio, però." ribatté prontamente.
"Hai detto bene: tempo fa. Fammi un favore, se non sei venuta qui per qualcosa di serio, vattene."
Quelle parole erano state sputate così freddamente che fecero gelare Avril, nonostante non stesse parlando con lei. Non sapeva perché tra quei due circolasse tanto odio, eppure nemmeno a lei stava simpatica quella ragazza.
"In realtà..." iniziò lei, interrotta poi bruscamente da un Luke frettoloso.
"In realtà cosa?"
"In realtà ci sono delle cosa che potrei dirti." 
"E dimmele, allora."
Sorrise beffardamente e "Pare che i genitori di Ashton abbiano divorziato, e che il nuovo compagno di sua madre sia stato visto qui a Sydney." affermò.
Luke trasalì e fermò per un attimo ogni cellula del suo corpo.
"Cazzate." 
"Come vuoi, mi sono solo sentita in dovere di dirtelo." alzò le spalle e li congedò con un: "Divertitevi.", guardando prima Luke e poi Avril.
Calò il silenzio e Luke si andò a sedere di fianco a Michael. 
"Da quanto era qua?" 
"Un secondo prima che arrivassi tu." parlò Michael con un tono calmo, nettamente in contrasto con quello duro di Luke. 
Avril non sapeva cosa avesse fatto con Daniel fuori dal locale e non riusciva a spiegarsi molte cose, come ad esempio l'astio che lo univa a quella ragazza. Era solo confusa.
"Un altro giro?" propose Luke a mo' di annuncio e tutti e tre annuirono.

La serata era continuata discretamente bene tra un sorso e l'altro e discorsi senza un vero filo logico. Nessuno di loro era completamente lucido, però perlomeno Avril aveva messo da parte ogni tipo di dubbio e preoccupazione. Erano appena usciti dal Gens e, con la poca coscienza che li restava, decisero di andare a piedi a casa di Michael, quella più vicina. Calum continuava a ridere per le guance velate di un rosso accennato sulle guance di Avril a causa dell'alcol, Michael invece per Luke che, avendo perso i riflessi, si era andato a scontrare contro una ringhiera. Avril rise per tutta la durata di quel tragitto, si sentiva spensierata e come se potesse fare tutto senza andare incontro a delle conseguenze. 
"Ragazzi, mi sa che la mia casa era quella che abbiamo passato un paio di minuti fa." disse Michael, provocando ancora le risate di tutti. Fecero dietrofront e finalmente riuscirono ad arrivare all'abitazione. Avril vedeva ma non si accorgeva. Guardava le mura di quella casa, ma dopo un secondo quelle immagini se le dimenticava. Michael ci mise un'eternità ad aprire la porta e, quando portò a termine quell'impresa, la prima a fare il suo ingresso fu Avril, che inciampò sul basso gradino. Calum la prese da dietro per i fianchi, riuscendola a sollevare per evitare una garantita caduta. Quando tutti furono dentro, Michael richiuse la porta e andò a prendersi un bicchiere d'acqua. 
Avril osservava i quadri di quella casa che la attiravano particolarmente: vedeva varie facce con diverse espressioni, dipinte tutte con colori accesi; alcune mettevano un'assurda inquietudine. La sua attenzione per quei quadri poi svanì del tutto quando sentì due mani cingerle i fianchi. Si girò di scatto verso la figura che aveva di fianco, scoprendo che fosse proprio un Luke ubriaco fradicio, molto più di lei. Le posò la testa sulla spalla e ad Avril venne spontaneo sorridere.
"Ho sonno." soffiò lui, facendola rabbrividire. Attaccò le labbra al suo collo e risero entrambi per un motivo sconosciuto. Avril si sentiva bene, bene e basta. Sapeva che Luke, se non avesse bevuto, non sarebbe stato così tranquillo e spensierato. Si ritrovò a pensare che avrebbero dovuto ubriacarsi più spesso, anche se un po' le dispiaceva, perché il giorno dopo non avrebbe ricordato la maggior parte delle cose accadute.
"Vi voglio bene!" urlò Calum dopo essersi fiondato sul divano, seguito subito dopo da Michael che "E io vi amo!" gridò.
Luke si staccò da Avril, prendendole la mano e tirandola verso quel divano che non era nitido per niente. Era solo sicura che fosse davvero enorme, abbastanza spazioso. Affondò anche lui nei cuscini, facendo di conseguenza cadere anche la ragazza addosso a lui. Scoppiarono in una fragorosa risata ed Avril chiuse automaticamente gli occhi quando percepì il calore del corpo di Luke a contatto col suo. Gli appoggiò la testa che iniziava a pesarle sul petto, sentendo poi una mano del ragazzo intrufolarsi nei suoi capelli accarezzandoli. 
Giurò di poter morire in quell'occasione. Non c'era niente, nella sua testa, che avesse un lato negativo. Non c'era niente, con Luke Hemmings a fianco, che potesse mancarle. 
"Luke?" la chiamò sussurrando.
"Mh?"
"Perché stavi picchiando quel ragazzo, oggi?"
"Non mi piace quando la gente butta merda su Ashton." rispose lui con la voce sommessa per il sonno.
Le ultime cose che vide furono le iridi chiare di Luke rivolte perso il soffitto, a fissare qualcosa di indefinito e poi il buio. 
Si addormentarono così Avril, Luke, Michael e Calum, su un divano bianco che governava l'intero salotto, con la luce accesa e i corpi avvinghiati tra loro. E non c'era cosa più bella perché, nonostante la perdita di Ashton e problemi sparsi ovunque, quei ragazzi si sarebbero ritrovati ancora insieme, ancora uniti, in una sera di fine febbraio, sbronzi da far schifo e menefreghisti del mondo esterno. 

Da quell'episodio passò circa una settimana, eppure Calum si divertiva a ribadire com'era avvenuta una caduta di Avril di quella sera, facendola imbarazzare ogni volta. Il risveglio del mattino seguente era stato traumatico, erano arrivati a scuola in ritardo e con un mal di testa terribile. Dovettero poi subire le lamentele del signor Clifford che li aveva trovati collassati sul proprio divano, aumentando l'emicrania dei ragazzi. Il giorno stesso tornarono, senza Avril, a prendere l'auto e i motori al Gens, poiché la ragazza era dovuta stare in punizione per i due giorni seguenti per non aver avvisato la madre. 
Nonostante questo, non poteva dire che la situazione stesse andando male. Stava andando e basta. Ovviamente, Luke non si era più comportato come quella sera, però non la ignorava nemmeno. Non parlava molto, si limitava a dire il necessario e ad osservare la gente che aveva intorno. Ad Avril piaceva scrutarlo nei suoi più piccoli e nascosti gesti, le piaceva anche ricordare le sue mani tra i suoi capelli e suoi suoi fianchi. 
Aveva anche instaurato una sorta di rapporto con Michael, con il quale scambiava due chiacchiere tra i corridoi. 
Con Vicky, invece, si faceva finta di niente e si andava avanti così. Non ne avevano più parlato, si limitavano a parlare il necessario. Ad Avril quell'assenza importava più di quanto credesse, ma non avrebbe di sicuro tentato un'altra volta di chiederle perdono.

Quel giorno era andata a scuola di malavoglia, e il suo umore peggiorò quando Calum le disse che quel giorno Luke non ci sarebbe stato. Allora il moro si era proposto di andare a casa sua per studiare insieme. 
Così tornarono a casa insieme e andarono direttamente al sasso. Salirono le scale della collinetta e si sedettero sul prato, tirando fuori il libro per gli esercizi di matematica.
"Io non ho capito tipo niente di questa argomento." esordì Calum mentre osservava quella lista di incomprensibili esercizi.
"Se avessi il mio stesso professore probabilmente capiresti anche di meno."
"Mh, probabile..." fece vago lui "Fai prima te, che poi io cerco di capirci qualcosa."
Avril annuì e cominciò con i suoi calcoli: non era mai stata brava in matematica, però qualcosa di base la sapeva. 
Dopo pochi minuti posò la penna e passò il quaderno a Calum.
"Vai, piccolo genio. Cerca di capirci qualcosa." riutilizzò le sue stesse parole con fare ironico e facendolo sbuffare. 
Restò ad osservare quei numeri in silenzio per chissà quanto tempo, per poi uscirsene con un "Non ci capirò mai niente!" chiuse il quaderno e di sdraiò sul prato.
Avril lo guardò con sguardo omicida.
"Non puoi arrenderti così!" 
"Zitta e rilassati anche tu." la schernì lui tenendo gli occhi chiusi e il viso rilassato. Vedendo che non avrebbe mai ubbidito, le afferrò il braccio e la fece stendere di fianco a sé.
"Ma tu sei completamente pazzo." affermò quando ormai lo aveva accontentato. Restò ad osservare le nuvole che quel giorno caratterizzavano il cielo di Sydney, che un po' rispecchiavano il suo umore. Tirava un venticello che non era poi così fastidioso, eppure le sue labbra erano visibilmente viola. Girò la testa verso Calum, trovandolo così in pace con se stesso, con molte probabilità si sarebbe addormentato di lì a poco.
In realtà si chiedeva spesso che cosa avesse mai a che fare con un tipo come Luke, se anche lui era legato molto ad Ashton, se pativa tanto la sua assenza.
"Cal," attirò la sua attenzione "ma a te, manca tanto Ashton?"
Calum aprì gli occhi e si scontrò anche lui con le nuvole di Sydney. Spostò il capo in modo da guardare Avril negli occhi, facendole attendere una risposta. La fissò ancora un po' prima di "Tanto." confessarle.
Forse Avril non aveva mai visto Calum così serio.
"Ma dov'è ora?"
"In un cimitero in America, non so precisamente dove. È stata un'idea dei suoi."
Sentiva di star venendo a conoscenza di qualcosa che aspettava di sapere da davvero troppo tempo. Ashton era sempre stato un punto interrogativo, per lei.
"E dove sono i suoi genitori?"
Calum scrollò le spalle.
"Si sono trasferiti a Melbourne subito dopo la sua morte."
Melbourne. Solo al sentir pronunciare quella parola Avril sobbalzò: la sua città. 
Annuì e decise che avrebbe anche potuto indagare più avanti sulla morte di Ashton, magari chiedendo proprio direttamente a Luke. Le bastava così.
Eppure c'era qualcosa, lo sentiva, che non quadrava o che almeno stava irrimediabilmente omettendo.







Hei people!
Sto diventando più o meno puntuale!
Mi scuso in partenza per gli errori, sono di fretta perché devo andare a studiare scienze.
Mi sembra di aver fornito anche troppe informazioni che sicuramente molte di voi tralasceranno: non fatelo. Perché se notate una frase, capite già tutto. Prestiate attenzione!
Comunque, questi ragazzi ubriachi mi fanno morire. E' come se, con questo capitolo, abbia fatto evadere quelle personalità monotone per uscire un po' dagli schemi lol 
Credo che il comportamento di Calum faccia prendere bene le persone quando leggono. Boh, a me fa' questo effetto :)
E Avril indecisa, tormentata da Pieces, da Melbourne... 
E Michael che cresce e si strappa via la maschera.
E Luke che fa' la persona quasi normale. 
Penso che non mi staccherò mai da questi personaggi, aiuto.
Ora vado, però. Ho le mani troppo gelide per poter scrivere altre parole cc
Alle recensioni rispondo domani!
Al prossimo capitolo <3


 

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Capitolo 18
*** Heroin doesn't kill us. ***


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Heroin doesn't kill us.

I giorni a scuola non passavano mai. 
Avril aveva questa sorta di odio verso la scuola che la mandava in bestia. Quando a metà lezione iniziava ad annoiarsi sul serio, cominciava automaticamente anche ad innervosirsi e a continuare a cambiare posizione su quella scomoda sedia. Non ne poteva più. Ed è per questo che, quando suonò la campanella che segnava l'ora di pranzo, trillò un "Arrivederci!" alla classe ed uscì da quella gabbia odiosa. 
Quel mercoledì Vicky non era presente a scuola, così come non c'era stata il giorno prima, per via di una febbre improvvisa. 
Allo stesso momento, vide passare nell'altro corridoio parallelo Calum, seguito da Michael e Luke. Stava parlando di un qualcosa che non riusciva a capire, ma decise comunque di interromperlo.
"Ciao." li salutò con un sorriso, e gli altri ricambiarono con un sufficiente entusiasmo. 
"Andate a mensa?"
Calum si girò per scrutare le facce degli altri due, cercando forse una risposta di comune accordo.
"Per oggi sì, dai." affermò ed Avril gli sorrise.
Sotto lo sguardo sbalordito di tutti, entrarono in quell'aula enorme e si misero infila col proprio vassoio. Il vociare degli studenti era immediatamente diminuito, facendo sentire la ragazza in suggestione. Prese soltanto un piatto di pasta rigorosamente bianca, perché solo il guardare quel sugo le faceva rivoltare lo stomaco. Davanti a lei aveva Michael, che aveva un vassoio decisamente più pieno del suo, il quale si guardò attorno in cerca di un tavolo libero. Quando lo avvistò, si diresse verso esso e così Avril lo seguì. Si sedettero vicini, aspettando che anche Luke e Calum arrivassero.
Non era spiacevole la presenza di Michael: era il più delle volte silenzioso, con una maschera di freddezza che soltanto con loro toglieva, sorrideva piano, con compostezza. Tutto sommato era okay, e a quanto pare aveva anche chiarito tutto con Calum. Però c'erano anche giornate in cui non c'era. La maschera si dimenticava di toglierla, e passava tra i corridoi a fissare la gente con uno sguardo che, probabilmente lui non se ne rendeva conto, era a dir poco inquietante. Per fortuna, ultimamente lo faceva raramente.
"Ma mangi solo questo, tu?" le chiese distrattamente mentre iniziava a mangiare. 
Lei alzò le spalle e presero posto anche gli altri due, sedendosi goffamente.
"In questa mensa non si fanno mai i cazzi propri." sbottò Calum, accorgendosi di tutti gli occhi puntati sul loro tavolo. 
In effetti non era piacevole stare al centro dell'attenzione, ma Avril non si sarebbe mai lamentata a voce.
"Se te ne sei accorto solo ora, wow, complimenti." lo prese in giro Luke, guadagnandosi un leggero pugno sulla spalla. 
Luke alzò lo sguardo per dare un'occhiata ad Avril, e questa si rese conto solo in quel momento di starlo fissando da troppo tempo. Gli comparve un ghigno di chi la sa lunga, provocandole un rossore alle guance. 
C'erano così tante persone, in quella mensa, eppure Avril ne vedeva solo una. C'erano così tanti occhi puntati su di lei, eppure lei ne vedeva solo due, due occhi azzurrissimi.
All'insaputa di tutti, Avril e Luke si guardavano. E solo chi lo conosceva bene, sapeva che Luke non guardava mai nessuno negli occhi. 
Iniziarono a mangiare, nonostante tutti quegli occhi puntati, perché in fondo non gliene fregava niente. A fine pasto, si alzarono, già con le sigarette tra le mani per fumare nel cortile. Calum le porse il pacchetto, ma Avril rifiutò. Aveva fumato solo poche volte, quando era davvero nervosa.
"Okay." disse solo il moro, accendendosi la sua. 
"Io vado, ci vediamo durante le lezioni." annunciò Luke che, senza aspettare qualcuno che lo salutasse, rientrò in mensa ed uscì sul corridoio.
Allora Avril lo guardò andare via, sfuggirle come aveva sempre fatto. Osservò prima Michael, poi Calum.
"Come potete lasciarlo andare? Si sta ammazzando, e voi lo lasciate morire. Questo vuol dire che lo state ammazzando anche voi." 
E non potete lasciar che un altro vostro amico muoia.
Avril avrebbe voluto dirla, quella frase. Ma si morse la lingua e non lo fece.
Calum diventò serissimo e "Non vuole farsi aiutare. Ci abbiamo provato, l'abbiamo anche chiuso in casa, abbiamo fatto di tutto." sputò con una freddezza assurda. "Noi non lo stiamo ammazzando." concluse, mettendoci quanta più convinzione per riuscire a far credere quelle parole a se stesso. 
Avril lo sapeva, ma non disse niente, anche Calum era stanco. Si limitò a graffiarlo con lo sguardo, poi se ne andò. Se ne andò correndo, come se fosse una gara a chi arrivava per primo, a chi si salvava per primo. Corse, salì le scale due a due solo per Luke Hemmings. Entrò nel bagno dei maschi: silenzio. Si accovacciò a terra per riuscire a intravedere i suoi piedi, erano nel terzo, ma con tutto il corpo a terra.
"Vattene, Avril." biascicò, facendole salire il cuore in gola. L'aveva sentita.
"Fammi entrare. Anzi, ora io entro, non mi dai il permesso tu." osservava la porta bianca con l'indecisione negli occhi e nelle parole. Ci appoggiò la mano sopra.
"Io ora entro." ripeté a bassa voce, per farsi sentire da se stessa.
E quando la aprì, vide Luke rannicchiato su se stesso, appoggiato all'angolo del bagno. Ai suoi piedi c'era il necessario per ammazzarsi.
Solo Avril sapeva cosa aveva dentro.
Sentiva mani che le strappavano fegato, polmoni, cuore. Le sentiva davvero. Eppure, non pianse. Ricacciò dentro le lacrime, spostò la siringa e il cucchiaio e si sedette vicino a Luke. Luke che ora teneva la testa all'indietro, con la bocca semichiusa e una mano sul braccio. Lei scostò questa mano e guardò il buco ancora fresco, e lui non protestava nemmeno. Ma Avril avrebbe voluto che lo facesse, che si alzasse e dicesse: "Andiamo dagli altri." con un tono squillante, che la insultasse, che facesse qualsiasi altra cosa diversa dallo stare così. Luke era mezzo di qua e mezzo di là, e lei si rese conto di non poter fare realmente qualcosa. Non lo si può fermare, un bucomane.
Probabilmente, in quel minuscolo bagno, Luke le sembrava un morto. Con le occhiaie, il pallore, le labbra screpolate. E forse era per questo che proprio non ce la fece, sfogandosi con un pianto appena sentito, anche se avrebbe voluto urlare fino a gola secca. 
Luke era vigile, teneva gli occhi mezzi aperti.
"Un giorno ci rimani secco, io lo so." 
Avril non voleva più lasciare Luke Hemmings. Voleva far parte della sua vita, ma per farne parte, doveva esserci, una vita.
"Non piangere." farfugliò lui con una voce flebile, appena udibile. 
"Non frega un cazzo, a te, se piango o no. Non ci sei, non le vedi, le persone. La devi smettere, Luke, la devi smettere con l'ero." Avril parlava spinta dalla disperazione, con parole inciampate tra i singhiozzi. 
Faceva freddo, in quel bagno. Il pavimento era sporco, lurido, con le mattonelle spaccate. Ma per un attimo, Avril pensò che quel freddo lo cacciava fuori dalla sua anima.
Luke si scompose un po', forse la botta era andata leggermente via. Però era davvero pallido, di un pallido che faceva paura. 
"Lo so, io la devo smettere." 
E si sporse in avanti, con la poca forza che gli restava, e baciò Avril.
Le sue labbra non sapevano di niente. Quel bacio era contaminato dal freddo, dalla paura, dal grigio. Era un fottuto bacio in cui era rimasta incastrata tutta la disperazione, tutta la stanchezza nel volersi salvare. Forse erano le mattonelle gelate, ma Avril il pavimento sotto di lei non se lo sentì più. Luke le trasmetteva sempre lo stesso miscuglio di emozioni, che le stringeva lo stomaco, che faceva venire voglia di piangere ancora di più e allo stesso tempo sorridere fino al mal di faccia. Ti faceva sentire, Luke. 
Quando il bacio finì, Avril gli tirò giù con cautela la manica della felpa, raccolse tutta quella merda da terra e gliela mise nello zaino. 
"Ce ne andiamo a casa, okay?" gli disse, trovando il suo consenso. 
Luke si alzò con una lentezza inaudita, le gambe gli tremavano, ma Avril non disse niente. 
Spalancò la porta e i raggi che entravano dalla finestra li accecarono. Pensava che fosse proprio così: lei la luce, con accanto Luke, non l'avrebbe mai vista. Sarebbe morta insieme a lui ma, d'altronde, quella luce le provocava solo fastidio, l'accecava. Non le serviva.
Camminarono a passo svelto per i corridoi. La campanella era suonata da chissà quanto tempo, e loro nemmeno se n'erano accorti. Non c'era nessuno in giro, così riuscirono ad uscire tranquillamente dalla porta d'emergenza che s'affacciava sul giardino. Corsero, scavalcarono. Era tutto una merda. 
"Andiamo a casa mia." esordì Avril "Non c'è nessuno, tanto." 

Il viale di casa Mitchell era sempre silenzioso. Passavano macchine in continuazione ma, oltre al rumore dei pneumatici sull'asfalto, non si sentiva niente. Entrarono in casa senza dire niente, chiusi in loro stessi.
Questo era il grigio vero.
"Mi siedo, Avril. Sto male." la informò e si lasciò andare sul divano del salotto, buttando a terra il suo zaino. 
Avril soffriva.
Tutto dentro di lei urlava.
Ma prese un fazzoletto, lo bagnò e andò ad alzare la manica della felpa di Luke, scoprendo il braccio. Gli passò sul buco quel fazzoletto e lui la fissò.
"Che fai?"
"Non lo so, non mi piace vedere il sangue incrostarsi, diventare come la ruggine."
Luke non rispose, lasciò che facesse quello che si sentiva di fare. Però le sorrise, e anche se Avril non trovasse niente di divertente in quello, ricambiò.
Erano proprio un casino.
"Vuoi qualcosa?" gli domandò. 
Luke scosse la testa, ma lei comunque si alzò per andare a recuperare una coperta. Aveva le labbra viola. Lo coprì e vide la sua espressione perplessa, per poi tramutarsi in una un po' più rilassata. 
"Perché ti fai nei bagni della scuola, se poi stai così?" le uscì spontaneamente dalla bocca. 
Luke si strinse nelle spalle e "A casa non posso, mia mamma mi sta addosso. Mi va di farlo lì." proferì con calma. 
"Io non voglio che tu lo faccia più."
"Ma tu non mi conosci nemmeno, Avril. Con me ci si arrende subito."
Questo era stato l'ennesimo colpo che aiutò solo a far spaccare di più la crepa che si era formata in Avril. Faceva male, bruciava. Eppure "Appunto, tutti si sono arresi con te, io no." affermò. 
"Due." disse lui, tirandole giù il braccio e lasciandola sedere accanto a sé. La coprì facendola stare con lui sotto la coperta e Dio solo sapeva il macello che il cuore di Avril stava facendo. 
Sentiva il corpo di Luke attaccato al suo e non riusciva a concentrarsi su qualsiasi altra cosa. Luke era freddo, più freddo di lei. Però le passò un braccio intorno al collo e le avvicinò il viso sul proprio petto. Era troppo, per Avril, che percepiva il suo battito cardiaco. Era regolare, al contrario di quello della ragazza. Poi la mano di Luke andò ad accarezzarle lentamente la schiena, provocandole così tanti brividi da arrendersi, da smetterla di irrigidirsi per nasconderli, e lasciare che anche lui li vedesse.
Era tra le braccia di un drogato, di questo ne era consapevole. E non poteva dire di fregarsene, perché non era vero, però si sentiva paralizzata. Non poteva muoversi da lì. 
Infatti, Luke ed Avril si addormentarono proprio così, su quel divano, a cercare di infondersi più coraggio possibile.

Forse Avril fu svegliata dai rumori dei passi sulle scale, o forse dalla suoneria del cellulare che non voleva proprio cessare. Aprì di botto gli occhi e presa dal panico iniziò a scuotere il ragazzo che aveva di fianco. Luke strizzò gli occhi almeno tre volte, Avril si alzò di scatto.
"Alzati, sta entrando mia mamma. Alzati!"
Gli tolse la coperta e Luke, facendo peso sulle braccia, si alzò anche lui dal divano. 
"Seguimi, scendiamo dalla finestra." 
Lui non aprì bocca.
Camminarono velocemente fino ad arrivare nella sua camera. Aprì la finestra, percependo il vento sbatterle contro il viso. Non ci diede peso e si sedette sul davanzale, per poi girarsi verso il biondo.
"Salta." ordinò.
Luke la guardò un po' stranito, ma la affiancò e saltò anche prima di lei. Quando furono per strada, Avril rispose a quella fottuta telefonata.
"Pronto?" 
"Avril! Dove cazzo sei? Dove cazzo siete? Dio, dimmi dov'è Luke!"
Tutta quell'agitazione le mise ansia. Sentiva la gola secca.
"Io-io... Cioè, noi, noi siamo fuori casa mia. Vieni qua, Calum, vieni qua. Ne abbiamo bisogno." 
Non sapeva di cosa realmente avessero bisogno, da Calum. Però lui non rispose, attaccò la chiamata. 

E quel rumore di passi che sfregavano velocemente sull'asfalto la fece sentire subito meglio. L'avevano aspettato seduti, con la schiena poggiata al muro di casa sua, in modo che sua madre non potesse accorgersi di loro. 
Si alzò immediatamente, gli corse incontro, gli buttò le braccia al collo.
"Ehi, ehi. Va tutto bene." le accarezzò dolcemente la schiena e le diede un bacio tra i capelli. "Ora andiamo da Luke, sistemiamo tutto. Potevi chiamarmi prima, però. Ma non fa niente."
Allora lo lasciò, e lui si diresse verso quel ragazzo biondo che ora lo fissava. E quello sguardo sembrava urlare solo uno "scusa". 
"Come ti senti?" gli chiese subito, abbassandosi alla sua altezza, piegandosi sulle ginocchia.
"Io sto bene. Sto bene, sì." 
"Adesso andiamo al sasso, lì ci si sente davvero bene."
Si girò e guardò dal basso Avril. Si sorrisero: da quel giorno non sarebbe più stato solo il loro posto, ma anche quello di Luke.
Si mise in piedi, afferrò una mano al biondo e lo aiutò a tirarsi su. Salirono quelle famose scale, per poi sedersi proprio a fianco al sasso, poggiandoci la schiena. Era freddo, faceva anche un po' male, ma nessuno dei tre sembrò accorgersene. 
Stavano lì, a contemplare il panorama di tutta la città che avevano davanti. 
"Voglio smettere." esordì Luke.
"E allora smettila da oggi. Smettila di morire, smettiamola insieme. Torniamo ad essere noi, ad essere quelli che eravamo anche con Ashton." disse Calum con una speranza coperta, soffocata dalla tristezza. 
Avril non c'entrava proprio un cazzo con quel discorso, quindi stette zitta. 
Dopo quelli che sembrarono anni, "Io inizio da oggi. Lo giuro." affermò Luke determinato. 
Lei non lo sapeva perché, ma Calum non si dimostrò così entusiasta, rimase impassibile. Forse l'aveva detto troppe volte.
I loro pensieri, in quel silenzio, scivolavano nella sera. Il sole stava tramontando, ed Avril poté giurare di aver sentito un singhiozzo provenire da Luke. Si girò lentamente, lo guardò senza farsi scoprire, si stava passando il polso coperto dalla felpa sugli occhi. 
Luke Hemmings stava piangendo. 
E quelle lacrime le sembrarono tutto il veleno che gli usciva fino a bagnargli le guance, tutta la droga che lo stava ammazzando. 

Era vero. Luke iniziò la sua disintossicazione la sera stessa. C'erano Calum e Michael, con lui.
Il giorno dopo, a scuola, all'appello mancavano sia Luke, sia Michael.
Voleva smettere sul serio.
Calum, nei corridoi, le raccontò di quanto Luke stesse impazzendo, di quanto vomitò anche l'anima, di quanto il corpo gli prudesse. 
Avril non lo sapeva più cosa le stava succedendo. Piangeva, rideva, piangeva, rideva. Stava impazzendo anche lei, con lui. 
Così, non appena l'ultima campanella suonò, tra tutte le facce cercò quella di Calum. Si presero per mano, come se dovessero andare in battaglia, preparandosi al peggio. 
Le disse che i genitori di Luke ne erano al corrente, magari anche da tanto tempo, e che avevano deciso di aiutarlo anche loro. 
Suonarono il citofono, qualcuno aprì il cancelletto. Spinsero piano la porta di casa Hemmings, e subito vennero inghiottiti dal profumo di quello che la madre di Luke stava cucinando.
"Permesso." disse educatamente Avril, mentre il moro si fiondò subito sulle scale, accennando appena un "Buongiorno!" alla donna in cucina. 
"Ciao ragazzi." li accolse lei, soffermandosi di più sulla ragazza. 
Il moro sparì al piano di sopra, Avril si avvicinò e le porse la mano.
"Avril." si presentò.
"Liz." si asciugò la mano sul grembiule e gliela strinse, abbozzando un sorriso che fece rabbuiare Avril. Un broncio sarebbe stato sicuramente meno triste di quel sorriso. "Sei un'amica di mio figlio?"
"Uhm, si."
"Allora vai da lui, su." e mise su un altro sorriso, questo forse più convincente.
Avril fece proprio così. Salì le scale, spinse la maniglia ed aprì la porta. 
Michael
Michael era seduto su una piccola sedia, la sigaretta tra l'indice e il medio. La maschera s'era dimenticato di toglierla, quel giorno.
Calum.
Calum gli era a fianco. Aveva così tanta voglia di piangere che il labbro inferiore gli tremava. Accarezzava la fronte delicatamente al biondo.
E poi Luke, cristo santo.
Luke era completamente andato. Era sudato dalla testa ai piedi, aveva la pelle rossa, le caviglie quasi scorticate. Le occhiaie, le labbra screpolate, il pallore, quelli erano rimasti. Non stava fermo, si dimenava. Bestemmiava, ogni tanto urlava, poi piangeva. 
"C'è Avril." comunicò Calum col tono di voce basso.
Lui si bloccò, alzò la testa per verificare se fosse davvero vero, e si rimise sdraiato. Si sentì trapassare l'anima, con quegli occhi azzurri. 
Luke gli era entrato sotto pelle.
"Chiedile se può venire qua, ché io non posso. Non ce le ho più le gambe."
Avril si sentì di botto viva, sorrise come una deficiente. Non lasciò che Calum glielo chiedesse, perché aveva sentito bene. Si avvicinò a quel letto zuppo di sudore e Luke, senza neanche rifletterci, l'abbracciò. Si stava facendo abbracciare da un tossico, stava piano piano diventando un'ancora. Le sue braccia erano congelate, si chiedeva se ci passasse il sangue lì. 
Poi Luke si scansò e "Devo vomitare." annunciò.
Con un movimento automatico, Michael si alzò, gli porse una bacinella e aspettò che il biondo finisse. Avril si era girata, perché lei e il vomito non andavano proprio d'accordo. Calum le strinse la mano, lui lo sapeva. 
Aspettarono tutti e tre lì, con gli occhi puntati su Luke, fino a quando non si addormentò.
"Voi, se volete, potete anche andare. Ci sto io con lui." parlò Michael.
Scossero la testa, intenzionati a restare. 
"Se vado mi faccio del male." rifiutò Avril. 
Luke continuava ad avere degli spasmi incredibili, che le facevano battere il cuore a mille. Non poteva non guardarlo, e diamine, era bello anche così. 
Sei completamente fottuta se pensi che una persona sia bella anche mentre sta a rota.
Calum, nel frattempo, alzò tutti i libri nel cassetto, recuperando tutte le siringhe, i cucchiai, gli accendini, per poi buttarli, nel caso a Luke fosse venuta voglia di ricascarci. Michael aprì la finestra e buttò il mozzicone della sigaretta. Luke iniziò ad urlare nel sonno e Avril si tappò le orecchie, quando in realtà avrebbe dovuto tapparsi il cuore, ché l'amore per quel ragazzo le stava filtrando dentro come una delle peggiori droghe. 

Stettero lì quasi tutta la giornata. Avril tornò a casa solo la sera, dopo dieci chiamate della madre, che sembrava davvero incazzata.
Sbatté il bicchiere sul tavolo con tutta la rabbia che le circolava nel corpo e "Mi ha chiamato il preside, oggi!" urlò.
Avril trasalì all'istante, perché aveva visto sua mamma arrabbiata, ma mai in quel modo.
"Ha detto che il tuo rendimento scolastico è uno dei peggiori, e che per ben due volte ti sei allontana dalla scuola senza nessuna giustificazione." continuò gridando.
Avril non riusciva davvero a parlare. Voleva difendersi, ma non sapeva come ribattere, perché non poteva. Aveva ragione e basta. Si sentì una nullità, una delusione, pensava di iniziare a piangere lì sul posto. La voce di sua madre le entrava dentro il petto, glielo faceva vibrare, e gli entrava anche nella testa, provocandole dei giramenti.
"Dimmi cosa vai a fare quando te ne vai dalla scuola e con chi vai. Stai prendendo una brutta strada?" 
Respirò a fondo e "Non faccio niente, non ci viene nessuno con me." le rispose tenendo gli occhi bassi.
Sua madre diede un pugno sulla superficie del tavolo, facendolo vibrare. Anche Avril sobbalzò.
"Ti mando a Melbourne con tuo padre, se continui così. Ti ci mando davvero." affermò così decisa che la figlia rialzò lo sguardo. 
"No." 
"Non sei ancora maggiorenne, decido io per te. Forse tuo padre ha ragione, forse dovresti conoscere il figlio della sua compagna. Vorrei che tu assomigliassi a lui, anche solo poco." ora sua madre si era calmata. Usava un tono tranquillo, ma stanco. Probabilmente fu questo a ferire Avril. 
Avril era quella persona, e non poteva assomigliare ad un'altra.
Questo sua madre non lo accettava. 
Strinse i denti, sospirò, se ne andò in camera. 
Non fa niente. 

Non ci voleva andare a Melbourne. Aveva cancellato tutte le facce con cui doveva fare i conti prima di trasferirsi. Non le voleva nemmeno ricordare, voleva far finta che non fossero mai esistite. Faceva meno male così. 
Si rigirò nel letto così tante volte che nel cuore della notte si stancò. Rimase finalmente immobile, cercando di far diventare fumo tutte quelle facce che pensava si fosse lasciata alle spalle. Ma si sbagliava.

La mattina si svegliò col solo pensiero di star accanto a Luke. Vederlo in quelle condizioni la buttava giù, le appesantiva ogni sua buona intenzione. Le sembrava debole, innocuo: una figura così contrastante rispetto a quando lo aveva conosciuto, che poteva apparire anche cattivo. Non aveva più paura di lui, ora. 
Andò lo stesso a scuola, stando però da sola. Mancavano Vicky, Calum, Michael e Luke. Mancava tutti, e si sentiva. L'ora di scienze, solitamente movimentata, le era scivolata addosso come niente. Harvey non gridò neanche una volta, e Avril avrebbe preferito sentire tutti quei rimproveri verso Luke, piuttosto che quel silenzio.
Ma lui non c'era.

Come il giorno prima, a fine lezioni, si diresse verso casa Hemmings. Faceva così freddo che si ricordava di avere due mani solo perché le facevano un male cane. Suonò il citofono, le aprirono dopo neanche tre secondi. Quando entrò in casa provò una piacevole sensazione, avvolta dal caldo. Calum l'accolse sorridente, le diede un piccolo bacio sulla guancia e "Oggi sta meglio, credo." le disse.
Avril accennò un sorriso, ma quando salì in camera di Luke, lo vide sdraiato a pancia in su, con gli occhi spalancati. Non sapeva perché, ma quella scena le metteva angoscia. 
Gli si avvicinò, si sedette proprio di fianco al letto. Luke batté più volte gli occhi, probabilmente gli bruciavano.
"Ehi, Avril." biascicò a stento, per poi chiudere definitivamente quelle iridi azzurre. 
Avril sentì qualcosa salirle in gola e rimanere lì, bloccandole le parole. 
Luke non soffriva più, ma era spento.
"In realtà non lo so perché vieni qui, sai? Non sai quasi niente di me. Però mi va bene. E ora ho un po' di fame, non ce l'avevo da due giorni. Mi sa che mi fai bene, Avril. Mi sa di sì." Luke ormai articolava gli argomenti a caso, senza rendersene nemmeno conto. Sembrava abbastanza pazzo. 
Avril intanto aveva spalancato gli occhi. Magari non doveva farle così tanto effetto quella frase, eppure l'aveva fatta tremare. Aveva sentito un secondo pezzo di ghiaccio, attaccato al suo cuore da troppo tempo, spaccarsi e sciogliersi. 
Gli faceva bene.
"Io allora vado a prendergli da mangiare, mh?" intervenne Calum, che era rimasto vicino allo stipite della porta con uno stupido sorriso.
"No, ci ho già pensato io." Michael sbucò dalla porta all'improvviso con in mano pacchetti di patatine, pop corn, tavolette di cioccolato e mille altre cose. 
Tutti lo guardarono, lui sorrise. 
Si abbuffarono di tutte quelle schifezze per tutto il pomeriggio. Anche Luke aveva assaggiato qualcosa, ma stando comunque nel suo letto. Continuava a grattarsi in ogni parte del corpo, con una foga che ad Avril metteva i brividi.
"Ma non ti fai male?" gli aveva chiesto.
Lui aveva scrollato le spalle e "No." aveva risposto.
Poi si passava la mano tra i capelli biondi e disordinati, sudava come se fosse in una sauna e ogni tanto se ne stava completamente immobile. In quei casi faceva un po' paura.
Il suo cellulare continuava a squillare incessantemente, era Daniel che sicuramente era infuriato. Allora Avril glielo spense definitivamente.
"Stasera voglio uscire." esordì Luke.
Calum corrugò le sopracciglia. "Sei pazzo?" 
"Perché? Non esco di casa da giorni." 
"Non stai per niente bene, non puoi uscire stasera." affermò il moro autoritario. 
"Voglio andare a ballare." ribatté l'altro deciso, sedendosi.
Calum emise un verso di disapprovazione, facendolo sbuffare.
"Per favore, andiamoci." ritentò.
"Ma se non ti reggi quasi sulle gambe." questa volta fu Avril a parlare. Se ne pentì subito.
Infatti Luke le lanciò un'occhiata e "Te l'ho già detto, Avril. Tu non mi comandi." ribadì.
Lei si chiuse in se stessa, ferita da quella cattiveria. Anche se il biondo stava male, non era di certo diventato un'altra persona. Restava lo stesso stronzo.
"Non trattarla così, è qui per te mentre tu stai lì a cercare di sopravvivere." la voce di Michael echeggiò per quella stanza, seguita poi dal silenzio. 
"Ma vaffanculo. Che vogliate o no, io stasera a ballare ci vado."







Hei people!
Sei giorni. Sei. Direi che sì, sono diventata definitivamente puntuale lol
Questo capitolo mi fa un po' schifo. Forse un po' tanto. E' abbastanza lungo e non ho avuto tempo di controllare gli errori, perdonatemi.
Qui si vede quanto l'eroina abbia distrutto e dio mio, sarà davvero difficile farlo uscire completamente. 
Però lui ed Avril si sono avvicinati, rispetto a prima. Nel senso, non sono indifferenti. E' un passo avanti, probabilmente anche più di uno. Calum e Michael sono i pilastri che lo reggono, e io pagherei per avere qualcuno nella vita reale che si sforzasse così tanto per reggermi! Credo che Luke sia fortunato sotto questo punto di vista. 
Raga sono le undici, pubblico sempre tardi. Mi dispiace, faccio schifo negli orari.
Quindi smetto di blaterare e pubblico lol ciao bellezze! 
ily xx



E questo è il posto del sasso :)


 

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Capitolo 19
*** Good days, bad memories. ***


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Good days, bad memories.

Un tornado non lo si può fermare. 
E Luke Hemmings, se si puntava su una cosa, poteva davvero sembrare così determinato da far paura. 
"Ma come fanno certe idee a venirti in mente?" lo interrogò Calum, sempre più spazientito. 
Luke lo guardò con uno sguardo truce per secondi infiniti, ed Avril ringraziò di non essere stata al posto del moro, perché si sarebbe lentamente corrosa incontrando quelle iridi che quasi non riconosceva più. 
"Sono stanco di stare qui." affermò alzandosi dal letto a andando ad aprire l'armadio. 
Michael e Calum gli furono subito vicino.
"Ma dove cazzo vuoi andare?" gli chiese rabbioso Michael. 
Luke si girò, lo guardò. Ma l'altro non sembrava intimidito per niente. Avril poté giurare che l'avrebbe ammazzato di lì a poco. Chiuse la mano a pugno, le nocche gli diventarono bianche. Si morse il labbro e gli occhi li fece diventare due fessure. Avril non poteva permettere tutto questo, e così "No!" quasi urlò "Non fa niente, va bene. Andiamo dove vuoi, però ora ti calmi. E ovviamente verremo con te." 
Attirò subito l'attenzione di tutti i presenti. Michael e Calum la osservavano come se fosse stata una pazza, come se avesse appena ucciso qualcuno. E forse un po' era davvero così. Luke, invece, la esaminava come se davanti a lui non ci fosse stata davvero una persona. Impassibile.
Si tolse poi la maglia in silenzio, con un movimento rapido ed esperto. Si sbottonò i pantaloni con nonchalance e li fece ricadere a terra. Avril aveva esaminato ogni suo minimo movimento, sentendosi subito la gola secca. Diventò paonazza in viso e "Vado a prendermi un bicchiere d'acqua, mh?" disse e uscì con passo svelto dalla stanza. 
Si sentiva ancora il viso in fiamme, ma per fortuna di sotto non c'era nessuno. Si versò un bicchiere d'acqua, poi due. Udiva voci lontane provenire da sopra, facendola sentire in colpa. Stavano litigando e solo grazie a lei. Perché avrebbe potuto tacere e lasciare che Luke si sfogasse su Michael, invece di intervenire. Se ne stava quasi pentendo: Calum e Michael ora ce l'avrebbero avuta con lei per il resto dei suoi giorni. 
Poi udì la porta sbattere e alcuni passi sulle scale. Calum le lanciò un'occhiata incazzata, che non fece altro che farle aumentare il senso di colpa. Avrebbe voluto urlare uno "scusa", ma quel silenzio pensante la bloccava. 
Luke si era cambiato: ora indossava una maglia nera con delle scritte bianche indecifrabili, una semplice felpa scura e dei jeans che gli fasciavano le gambe divinamente. E forse avrebbe dovuto smettere di fissarlo, ma era proprio inevitabile. Aprirono la porta, sempre con un religioso silenzio, e uscirono. Fu Michael a mettersi alla guida nella macchina sul viale. Avril si sedette sui sedili dietro, Calum anche, siccome Luke affiancò Michael. 
La situazione era imbarazzante. 
Poi sentì un peso sulla spalla, e con cautela si girò, intenerendosi per quella vista: Calum le si era poggiato addosso, chiudendo gli occhi. 
"Sei tanto incazzato?" gli sussurrò piano, in modo che solo lui sentisse. 
"Un po', ma non mi va di parlarne ora." 
Avril annuì, spostando la sua attenzione sullo specchietto laterale. Da lì si intravedeva parzialmente Luke, e osservandolo meglio si rese conto che la sua situazione non fosse del tutto migliorata. Il viso era ancora pallido, segnato da evidenti cerchi scuri intorno agli occhi, ed aveva la stessa aria stanca. Avrebbe decisamente dovuto lasciarlo riposare nel suo letto.
La macchina si fermò dopo circa 15 minuti, ritrovandosi in un parcheggio che era familiare ad Avril. Respirò un'aria umida e fredda, facendole ricoprire la pelle di piccoli brividi. Michael chiuse la macchina, e insieme si diressero verso la discoteca. Solo quando lesse l'insegna Black And Gold, riuscì a collegarlo al posto a cui era stata tempo fa con Vicky. 
Il locale sembrava dover esplodere da un momento all'altro e quasi la porta tremava al ritmo della musica. Entrarono sotto lo sguardo di un buttafuori enorme e subito Avril venne stordita da una canzone house troppo alta, troppo movimentata, che si impossessava del suo cuore e glielo faceva rimbombare nel petto col suo stesso ritmo. Era piuttosto buio, con luci soprattutto blu. 
Sentì una mano incastrarsi con la sua, spaventandosi immediatamente. Si rilassò solo quando capì che fosse solo Calum e "Tranquilla, sono io. Non voglio che ti perda." le disse all'orecchio, cercando di sovrastare la musica. 
Avril gli sorrise, e poi tra tutto quel casino cercò gli altri. Fortunatamente erano non molto più avanti di loro e riuscirono a raggiungerli dando qualche spinta. Sentiva la mano di Calum stringersi più forte alla sua, e in qualche modo si sentiva protetta anche solo con quel contatto. 
Quella da proteggere, però, quella sera, era un'altra, di persona.
Luke era sudato esattamente come i giorni prima, ed Avril ne era preoccupata. 
Quella sera, non si sarebbe divertita. Sarebbe solo stata al suo fianco, l'avrebbe controllato e nient'altro. 
Vide Michael poggiare una mano dietro la schiena di Luke e spingerlo in una zona meno affollata, così decise di seguirli insieme al moro. 
Quel piccolo angolo che erano riusciti a trovare era meno illuminato, ma più tranquillo e silenzioso.
"Stai bene?" le venne da chiedere a Luke di spontaneo. 
"Sì, vi preoccupare troppo, ve l'ho detto." rispose lui con un tono tagliente e infastidito.
Luke era scontroso e nervoso, forse più del solito, e questo non faceva che ferire la ragazza che cercava di farlo stare bene. 
"Lascialo stare." le consigliò Calum con un bisbiglio che solo lei sentì. 
Le loro mani erano ancora intrecciate, e Luke sembrava proprio puntare il suo sguardo su quelle. D'istinto, Avril strinse di più la presa. La sua mano stava quasi sudando da tutto quel nervosismo. Calum la guardò perplesso e gliela accarezzò col pollice, nello stesso momento in cui Luke le lanciò un'occhiata rabbiosa. 
"Vado a prendere da bere." Calum spezzò quel silenzio ansioso e le lasciò la mano. Se ne andò, sparendo tra la folla, ma non prima di non averle dedicato un ultimo sguardo. 
"Qual è il tuo problema?" sbottò lei.
"Vado con Cal." interruppe Michael, dileguandosi pure lui.
"Io non ho nessun cazzo di problema." fece Luke, appoggiandosi al muro e mettendo le mani nelle tasche. Si guardava intorno, evitando di proposito Avril e questa la mandava in bestia.
"Non è vero." e questo le uscì proprio acido e cattivo, senza farlo apposta. Se ne pentì immediatamente.
Luke parve risvegliarsi e finalmente la guardò.
"Cosa vuoi da me, Avril?" sputò con freddezza.
"Non cambiare discorso, cazzo!"
Luke le afferrò il braccio e con un gesto secco la fece scontrare contro il proprio corpo. I battiti che il cuore di Avril lasciava non erano nemmeno contabili. I loro visi erano vicinissimi, i loro occhi immersi in una miscela di verde e azzurro.
"Smettila di avvicinarti a Calum." 
Lo disse diretto, schietto, a denti stretti e come un sussurro, capace di cospargere paura. 
Avril deglutì a vuoto.
Non voleva tremare, non davanti a Luke.
"Sei geloso."
"Non lo so, ma se vi vedo ancora così penso che andrò fuori di testa."
Occhi che si incontrano, labbra che fremono, respiri che si fondono. 
E solo quando Luke le lasciò il braccio per poggiarle una mano sulla guancia e le loro labbra si erano quasi incontrate, Avril si rese conto che quella a tremare non era lei.
"Stai tremando." constatò piano, alternando lo sguardo tra i suoi occhi e le sue labbra "Stai bene?" 
Luke non rispose. Puntava solo le sue iridi in quelle della ragazza, perdendo ogni emozione. 
Un muro, il grigio, l'apatia.
Avril indietreggiò un po' e Luke prese a grattarsi con la stessa foga di qualche ora prima. Grattava braccia, collo, come se fosse stato appena punto da miliardi di zanzare.
"Che succede?" chiese spaventata. 
Luke si sedette, strisciando la schiena contro il muro.
"La rota." bofonchiò.
Avril si guardò intorno per cercare Calum e Michael, ma senza successo. Nessuno si accorgeva si accorgeva di loro, occupati a ballare e a bere.
Il panico.
Si abbassò anche lei e gli passò una mano tra i capelli.
"Tutto bene?" 
"Ho freddo. Mi fa male..." e la voce gli si mozzò dal dolore, facendogli spalancare gli occhi. Posò una mano sul ginocchio, se lo strinse e "...Tutto." finì la frase. 
Avril si chiedeva perché una persona dovesse soffrire se non assumeva una fottuta dose di eroina. Era assurdo. 
Luke si morse il labbro come un dannato alle prese col dolore propagato per tutto il corpo, ed Avril gli tolse la mano che teneva sul ginocchio per stringerla nella sua. Era gelata. E Luke sudava, sudava freddo. 
"Dobbiamo solo riuscire ad uscire da qui, okay? La porta secondaria è vicina, Luke." 
"Ho freddo." continuava a dire lui, senza ascoltarla.
Le gambe gli tremavano come se fossero stati trenta gradi sotto zero. E Luke iniziò a piangere. Qualche lacrime gli cadde sulle guance, ma Avril fu sempre pronta a catturargliele. Era agitata, in preda all'ansia e al panico.
"Perché piangi ora?" domandò ingenuamente, sembrando una bambina di dieci anni spaventata.
E Luke iniziò a piangere assomigliando ad un disperato, scosso tra un singhiozzo e l'altro. 
Avril non poteva gestirlo, non era così forte. 
"Resta qua, io vado a chiamare gli altri. Ma ti prego, non muoverti."
Lui non diede alcuna risposta, si mise solo le mani sugli occhi. Avril si alzò e andò verso quell'ammasso di persone. Spingeva, insultava, urlava. Cercava quel maledetto bancone. 
La musica le annebbiava i sensi, ma per fortuna dopo alcuni minuti di ricerche li vide. Si catapultò sul posto e iniziò a gridare: "Luke sta a rota, questo ci muore qua!" e mentre parlava, senza accorgersene, cominciò anche lei a incepparsi tra i singhiozzi. 
Sarebbe stato sempre così. Piangeva uno e piangeva anche l'altra. Fondevano emozioni, dolori. Fondevano l'uno con l'altra. 
Calum si alzò facendo cadere in dietro la sedia e senza pensare a nulla corse in soccorso di Luke, seguito da Michael. Davanti ad Avril rimanevano solo i due bicchieri sul bancone quasi vuoti e abbandonati dai due ragazzi, una sedia capovolta a terra e infiniti occhi puntati addosso. Se ne vergognò un casino. Andò anche lei a infiltrarsi nella mischia, forse questa volta con più calma, per raggiungerli. Ma ora Luke era in buone mani. 
"Metadone, metadone!" sentì gridare da Calum anche a distanza di qualche metro. Non aveva idea di cosa fosse, ma l'importante era che gli facesse bene. 
Avril non la guardò, quella scena. Aprì la porta secondaria e uscì dalla discoteca, respirando a fondo l'aria fresca di quella sera. Era tutta colpa sua, era stata proprio lei a non impedire questo. Probabilmente, non pensava che la situazione fosse così disperata. Luke doveva stare a casa, doveva vedere intorno a se soltanto delle mura, doveva trattenere il respiro e smetterla di vivere per tutti i giorni che gli sarebbero serviti per uscirne. Doveva sopportare tutto con il grigio che aveva. 
La porta poi si aprì, rivelando Luke sostenuto da Calum e Michael. Avril abbassò la testa, come se le avessero appena detto di essere la colpevole. 
"Andiamo a casa." disse Calum.
"Tieni." Michael le lanciò le chiavi e lei le prese al volo. 
Fecero il giro esterno della discoteca e, quando arrivarono al parcheggio, Avril aprì la macchina. Si girò e vide Luke con un'espressione contratta dal dolore. Aprì la portiera dietro per facilitare Luke a salire, e Michael e Calum lo fecero sedere. 
"Vai tu davanti." asserì il moro. 
Avril annuì ed eseguì l'ordine. Quando l'auto partì tra il buio, si ricordò di sua madre. Si batté una mano sulla fronte e "Porca puttana!" imprecò, attirando facce sconcertate.
Prese velocemente il cellulare e compose il numero. Passarono solo due squilli.
"Pronto?" parlò in preda all'ansia.
"Avril! Dove sei finita?" sbraitò sua madre, facendola preoccupare ancora di più.
"Sto tornando a casa. Io... Scusa."
"È tutta la giornata che non torni a casa. Quando arrivi, facciamo i conti."
"Mam-"
Non fece in tempo a replicare che il tu-tu-tu le arrivò alle orecchie. Ripose il cellulare in tasca, sbuffando e accasciandosi al sedile. Gli altri, dopo alcune occhiate, avevano ricominciato a farsi i loro fatti. 
"Ti porto a casa, quindi?" chiese Michael, distogliendo lo sguardo dalla strada per pochissimi istanti.
"Sì."
I restanti dieci minuti passarono in un silenzio tombale, interrotto solo da alcune indicazioni di Avril per la strada. Quest'ultima tirò quasi un sospiro di sollievo quando intravide le mura di casa sua. Stava soffocando.
Non cercò gli occhi di Calum, quando scese dalla macchina. Mormorò solo un "grazie" ed entrò in casa. 
Aprì la porta e incontrò il buio. Si scorgeva solo una fioca luce provenire dal salotto. Con passo felpato lo raggiunse e, quando varcò la soglia, vide sua madre addormentata e stesa sul divano. Sorrise tristemente, per poi spegnerle la luce. Si era addormentata aspettandola: cosa c'era di più triste? 
Salì le scale con le palpebre pesanti, consapevole di essere una delusione totale.

A scuola, i professori sembravano sempre più agitati. Sempre più scontrosi, più severi. Un qualcosa che mandava in bestia Avril.
Quel giorno, quando Harvey entrò in classe, c'era una certa tensione. 
"Avete visto Hemmings, Hood o Clifford?" domandò alla classe mentre poggiava una valigetta piena di fogli e libri. 
Nessuno rispose, ognuno si faceva i fatti propri. Tranne Avril, che storse il muso. Nessuno dei tre c'era, quella mattina. E la gente la squadrava e bisbigliava, facendole abbassare lo sguardo. Solo una cosa la fece sorridere: quando suonò la campanella dell'ultima ora, fuori dalla scuola c'era proprio Calum. E stava aspettando lei. Quando vedeva il moro, aveva questa voglia di gettargli le braccia al collo e stringerlo fino a stritolarlo; di sorridergli, sorridergli per tutto il giorno, senza un vero motivo. 
Ma non quel giorno, perché la notte prima non era stata solo un'immaginazione. 
Calum la guardò scendere le scale tra tutti quegli studenti e avvicinarsi, senza una particolare emozione dipinta sul volto.
"Ciao."
"Ciao." 
"Che ci fai qui, tu?" domandò Avril.
"Luke oggi sta bene, ho pensato di lasciarlo solo con Michael per venirti a prendere." alzò le spalle e iniziarono ad incamminarsi.
"Luke sta bene, quindi?"
"Sì, ieri era il terzo giorno, quello più terribile. Secondo i miei calcoli, oggi dovrebbe avere una crisi solo di notte. Vuoi andare da lui?" 
Avril annuì, puntando i suoi occhi sull'asfalto. Allora girarono a sinistra, diretti verso il ragazzo. Lei aveva voglia di parlargli, raccontargli qualsiasi cosa le venisse in mente, ma non poteva. E quei silenzi, quegli sguardi colmi di parole e quelle frasi non dette la convinsero a parlare.
"Senti, Calum. Mi dispiace. Mi dispiace per ieri, avrei dovuto impedirgli di uscire."
"Già, avresti dovuto. Ma ormai è andata così, cosa ci puoi fare? Ti ho già perdonata."
Si guardarono e si sorrisero. Avril sospirò più serena, perché ricevere un sorriso da Calum era l'unica cosa che riuscisse a raggiungere l'apice della felicità. Perché a Calum sorridevano anche gli occhi, che si assottigliavano leggermente, lasciando intravedere quel colore nocciola così semplice e al contempo così raro. Calum era bello. Ché se in una persona semplice riesci a trovare tutti quegli aspetti introvabili, quei gesti insoliti, quegli atteggiamenti ineguagliabili, allora deve essere proprio speciale. E infatti lo era: Calum era atipico, impareggiabile, irripetibile.
Entrarono in casa Hemmings senza nemmeno avvisare e, quando Avril aprì la porta, si ritrovò davanti la copia quasi esatta di Luke, solo un po' più alta. E questa copia stava per indossare una giacca, stava per infilare le chiavi nella tasca e probabilmente per aprire la porta, ma lei lo precedette. Aggrottarono entrambi la fronte.
"E tu saresti...?"
Il modo di parlare era esattamente quello di Luke: stessa bocca, stessi denti. 
"Avril, un'amica di Luke."
"Jack, fratello di Luke." fece lui con fare sbrigativo, per poi sistemarsi e "Ora devo scappare, ho un esame all'università. Ciao ragazzi!" disse.
Avril e Calum si spostarono per farlo passare dalla porta ed entrarono finalmente in casa. E mentre salivano le scale, Avril era ancora sbigottita da quel ragazzo. Non sapeva nemmeno che Luke avesse dei fratelli. Forse non sapeva proprio niente di lui. 
Entrati in camera, videro Luke e Michael giocare alla play. 
"Ciao belli!" li salutò Calum sdraiandosi a peso morto sul letto. Avril lo seguì, ma tenendosi comunque abbastanza distante, perché Luke era stato chiaro la sera prima. 
"Ciao Avril." le parlò proprio il biondo, girandosi un attimo e tralasciando per poco lo schermo su cui era in corso una partita di FIFA. 
Allora era vero: Luke stava davvero meglio. Da quando le riservava tutta quell'attenzione? Avrebbe voluto sorridere, ma proprio non ce la fece, presa dalla sorpresa di quel saluto. 
"Ciao." si limitò a dire, e lui si rigirò.
"Oggi Calum e Michael mi hanno permesso di uscire, ma solo questo pomeriggio." affermò lui palesemente contento "Se vuoi puoi venire con noi." 
Ciò che le venne spontaneo di fare fu spalancare gli occhi e guardare prima uno, poi l'altro. Calum si strinse nelle spalle e "Te l'ho già spiegato oggi." si giustificò. 

E quel pomeriggio uscirono tutti e quattro insieme per le vie di Sydney, senza mai perdersi di vista, come se fossero stati legati da un filo invisibile. E, in modo astratto, quel filo un nome ce lo aveva pure: amicizia.
Camminarono per un po', tra qualche risata e il fumo delle sigarette, fino a quando un negozio non attirò l'attenzione di Avril: un negozio di cd. Si appiccicò alla vetrina, in cerca del regalo per sua madre, e quando lo trovò si precipitò dentro. Intimò agli altri di aspettarla fuori e, quando uscì, era soddisfatta del suo acquisto. Finalmente aveva ritrovato il cd dei Beatles, finalmente avrebbe fatto qualcosa di buono per sua madre. 
Da quel momento, Luke iniziò a continuare a lamentarsi, perché lui voleva andare in un negozio il cui nome era Inferno Giallo
"Cosa sarebbe questo posto?" gli chiese allora Michael. 
Luke gli lanciò una strana occhiata, e Michael sembrò ricambiarla. Avril era semplicemente perplessa. 
"Sapete dov'è un parrucchiere vicino? Io voglio ritingermi i capelli, mi fanno schifo." esordì lei, provocando degli sbuffi dai ragazzi. 
"Okay, va bene, vengo io con te." le concesse il moro "Michael, tu accompagna Luke in quello strano negozio, ci ritroviamo qui, mh?" 
E con quell'accordo, si divisero per circa un'ora. Ed Avril, quel giorno, per la prima volta, dal parrucchiere ci uscì con un colore diverso dal suo solito azzurro. Quella volta, l'azzurro lo sostituì con un fucsia, sfumato con del blu nelle ciocche sotto. Erano colori che non si era mai sognata di tingere, eppure aveva voluto tentare. E ciò che la sorprese fu proprio il fatto che quei colori le piacessero da morire. Nuova vita, nuovi colori. 
Cambiarsi, ripristinarsi. 
Avril era l'insieme dei colori che alimentava il grigio di Luke, e probabilmente l'azzurro ormai era finito, perché Avril, stanca. lo era davvero. Ma si era rimessa in gioco, era già pronta per combattere un'altra guerra. 
Calum storse il muso, perché - parole sue - quei colori proprio non gli piacevano. Ma lei se ne infischiava altamente. 
Quando tornarono al posto di ritrovo, Avril e Luke si osservavano attentamente. 
"Cos'è quel coso?" chiese schietta indicando le sue labbra.
"E cos'è quel colore?" ribatté lui puntando il dito sui suoi capelli. 
Michael e Calum stavano di sicuro trattenendo le risate: Avril e Luke sembravano come se si fossero visti per la prima volta.
"A me piace. Piuttosto, dimmi tu che cosa ti sei fatto lì."
"Questo coso è un semplice piercing. Non ti piace?"
"Sei un pazzo."
Non rispose alla sua domanda perché non voleva dargliela vinta. Le piaceva quel piercing, eccome se le piaceva. Pensò quasi che fosse ancora più attraente. Quando sorrideva, poi, riusciva ad attirare ancora di più l'attenzione sulle sue labbra. Un punto sicuramente a sfavore per Avril. 
Luke le fece una linguaccia e "Torniamo a casa, dai." proferì.

Avril non voleva che arrivasse la sera. La spaventava da morire, ché sera voleva dire che dopo ci sarebbe stata la notte, e per notte s'intendeva solo un'altra crisi. Calum era stato chiaro, ed era stupido basarsi su dei calcoli fatti, eppure non riusciva a stare tranquilla. E la sera, nonostante tutto, era dovuta arrivare.
Michael e Calum erano di sotto per mangiare qualcosa, e Luke ed Avril erano rimasti in camera. Quando parlavi di cibo al biondo, assumeva un colore così pallido da lasciar perdere. E la voglia di mangiare era passata ormai anche ad Avril.
Aveva inviato un messaggio a sua madre spiegandole la sua assenza, inventando un'amica immaginaria da cui stava. Alla fine, poi, aveva anche aggiunto che aveva una sorpresa per lei. Non era il massimo e lo sapeva, ma era sicuramente meglio che sparire senza lasciare nessun avviso. 
Luke si alzò e andò ad aprire la finestra. 
"Ho caldo."
Una folata di vento entrò nella stanza, provocando ad Avril dei brividi. 
"Come fai ad avere caldo?" gli chiese infatti, ma lui sembrò non sentirla e si rimise a letto. 
"Vieni qua." le ordinò, picchiettando la mano sulle lenzuola del letto. Non aveva nessun ghigno in viso, nessuna cattiveria, nessuna stanchezza. Era semplicemente normale.
Avril si sedette di fianco a lui, ancora tremante per il freddo che si intrufolava nella stanza.
"Stai bene?" gli domandò, forse per la millesima volta quella sera. 
Luke sbuffò, ma annuì lo stesso. 
"Tu, piuttosto? È preoccupata tua madre?" 
"No, non credo. Non mi ha ancora chiamata." 
Luke prese a fissare il soffitto cadendo in catalessi. Era piuttosto silenzioso.
"Io, comunque, non ci credo che stai bene." Avril diedi voce ai suoi pensieri, consapevole che non si sarebbe arrabbiato. Perché Luke aveva dei momenti in cui avrebbe spaccato il mondo, ed altri il cui non avrebbe fatto male neanche ad una formica, come se gli avessero sottratto tutte le energie.
Alzò le spalle e "È solo un giorno in cui Ashton si sente proprio che non c'è." affermò, incrociando le braccia sotto la testa. 
Ed Avril davvero non riuscì a contenersi. Gli si sdraiò a fianco, poggiò la testa sul suo petto e cercò di abbracciarlo, circondandogli il bacino col braccio. Luke con quel contatto chiuse gli occhi e le accarezzò lentamente i capelli con le punte di un colore diverso. 
E solo in quel momento, Avril riuscì a smettere di tremare. Stava bene, così. Stava bene con Luke.
Eppure, c'era un qualcosa che le ronzava in testa, un pensiero che le sembrava quasi proibito da esprimere, da quanto era assurdo. 
"Senti, Luke..." iniziò incerta.
"Mh?"
"Ashton com'è che se n'è andato?" 
Luke fermò quel movimento lento che consisteva nell'intrufolare la mano tra i capelli e toglierla dopo alcuni istanti, e aprì gli occhi. Avril alzò la testa per osservarlo meglio, impaurita di aver fatto la domanda sbagliata. E Luke sembrava davvero che avesse davanti una carrellata di ricordi. 

13 aprile 2011.
Luke se lo era sempre chiesto perché le vacanze di Pasqua dovessero durare così poco tempo. Avrebbe voluto rintanarsi in casa e giocare con la sua nuova play station, senza dover fare assolutamente niente di impegnativo per tutto il giorno. 
Però, quel 13 aprile, i suoi piani furono stravolti da un ragazzo poco più alto di lui, dai capelli biondi e piastrati, gli occhi verdi e un sorriso a cui non si poteva di certo dire no. E così, si ritrovò col suo migliore amico e i suoi genitori e contemplare ogni immagine che passava veloce dal finestrino, solo per raggiungere il lago. A Luke i laghi non piacevano un granché. Ashton, invece, ne era affascinato. Ogni tanto, inventava storie su storie riguardanti essi: raccontava che ci fossero dei cadaveri appoggiato ai fondali dei laghi, perché la gente spesso ci cadeva direttamente in macchina, e nessuno li poteva più trovare. Luke rideva alle cazzate che Ashton diceva, però, nonostante tutto, gli aveva promesso che durante le vacanze pasquali sarebbero andati insieme. E infatti, ora si trovavano proprio sulle rive, in cerca di un parcheggio. 
"C'è un sole che spacca le pietre!" 
"Appunto, si muore di caldo. Io entro subito." annunciò Luke quando arrivarono sulla piccola spiaggia. 
"Vengo con te." 
Lasciarono gli zaini vicino ai genitori di Ashton, si svestirono e corsero velocemente fino a quando l'acqua non arrivò loro all'altezza delle caviglie. 
"Porca puttana, ma è gelata!" si lamentò Luke, tornando subito indietro. 
Strizzò gli occhi, accecato dal sole, per riuscire meglio a vedere Ashton.
"Non fare la femminuccia!" rise quest'ultimo, avanzando nell'acqua.
"Ma stai zitto, hai la pelle d'oca." lo rimbeccò Luke, sedendosi a riva. 
Si girò indietro e vide i genitori di Ashton sistemare i vestiti che avevano abbandonato e fece una smorfia. Odiava quei due. 
Riportò l'attenzione sul suo migliore amico, che al momento era immerso nell'acqua che lo inghiottiva fino al petto.
"Dopo un po' ti abitui!" tentò di convincerlo, urlando per farsi sentire. 
Luke scosse la testa, e l'altro la immerse nell'acqua gelida per alcuni secondi, per poi riemergere con i capelli completamente zuppi.
Luke si sdraiò al sole e Ashton piano piano ritornò a riva. Quando lo raggiunse, lo sovrastò con la sua ombra e si strizzò i capelli sul suo corpo. Luke spalancò gli occhi e "Sei coglione?!" gridò, alzandosi di scatto.
"Due!" 
E presero a rincorrersi come due bambini: Ashton continuava a prendere dell'acqua e schizzargliela addosso, ma quando Luke riuscì ad inchiodarlo alla sabbia, iniziò a tirargli pizzicotti per tutto il corpo.
"Mi fai male!" si lamentò, ma all'altro si formò soltanto un ghigno sul viso
E continuarono questa battaglia fino quando entrambi non furono sfiniti, accasciandosi per terra, con i corpi rivolti al sole. 
Il lago non aveva vita. Era silenzioso, non aveva odore. Era in continua lotta con Luke, che si sforzava per cogliere ogni sua singola e piccola onda. 
Ruotò la testa di lato e osservò Ashton. 
Il lago era esattamente il loro opposto: erano rumorosi, esposti al mondo. Avevano un legame che a nessuno poteva risultare irrilevante. Eppure, solo loro sapevano cos'erano. 
Luke non subiva Ashton, Luke lo amava consumando ogni briciola del suo essere. Ovviamente, non era l'amore che univa gli innamorati: era quell'amore che conferma le persone, che le fa sentire vive, protette e sicure. Quello che ti occupa i pomeriggi, che ti stampa un sorriso sulle labbra, quello che Luke non avrebbe più provato, senza Ashton. Era quell'amore che colorava.
Luke gli avrebbe dato di tutto. Luke si sarebbe sgretolato pur di mantenere vivo ciò che li legava. Perché lui lo sapeva, nonostante i suoi 15 anni, che quel rapporto fosse un qualcosa di speciale.
L'altro si voltò, lo guardò pure lui. Si sorrisero: anche Ashton lo sapeva.

La madre di Ashton li chiamò da lontano per pranzare, e loro si affrettarono a raggiungerla.
Il pomeriggio, tutto sommato, passò tranquillamente. Giocarono a calcio, risero fino alle lacrime e poi ricominciarono a schizzarsi.  Luke recuperò un sasso e lo lanciò nel lago, cercando di farlo rimbalzare, ma senza successi. Sbuffò e si risdraiò a pochi centimetri dall'acqua. Ashton gli camminò di fianco e "Vado a farmi un ultimo bagno." lo avvisò.
"Poi mi spiegherai come fai a non morire di freddo."
Ashton rise e, se solo Luke avesse saputo che quella sarebbe stata la sua ultima risata, se la sarebbe goduta, l'avrebbe registrata e l'avrebbe messa in ripetizione all'infinito.
Sentì i piedi di Ashton entrare in acqua e chiuse gli occhi. Passarono pochi minuti e cercò ancora di fare a gara con il lago, ma ogni volta lo batteva. 
Ma quella volta, cazzo, non avrebbe dovuto batterlo.
Perché dentro c'era Ashton, ed Ashton si sarebbe dovuto sentire.
Sgranò gli occhi, si alzò di scatto e cercò quegli occhi verdi da ogni parte. Gridò il suo nome, lo gridò fino alla gola secca. Si buttò anche lui in acqua, e quella volta se ne fregò del gelo. Il cuore gli sbatteva contro il petto come a volerne uscire mentre cercava quel corpo. Andò in apnea e, quando riuscì a percepire qualcosa sotto il suo tocco, cercò in tutti i modi di portarlo a galla. Luke si muoveva, scalciava, urlava. 
Ma gli occhi di Ashton erano chiusi.
Non appena raggiunse la riva, davanti a lui vide le facce sconvolte dei genitori del suo migliore amico e alcune persone radunate, incredule anche loro. Lasciò il corpo sulla spiaggia e cadde a terra in ginocchio. Gridava il suo nome, ogni tanto la voce gli si incrinava, spezzata dai singhiozzi. Qualcuno chiamava un'ambulanza, qualcuno piangeva. 
Qualcuno si dipingeva di grigio. 

Quella fu l'ultima volta che Luke lo vide. Glielo portarono via in una barella, perché nessuno sapeva che gli stavano staccando una metà. E lui provò ad urlarlo, ma le grida della madre di Ashton erano più forti delle sue. Gli disse di non andare con lui in ambulanza, di averle ucciso un figlio.
Luke si ammutolì. Quando muore una persona la senti di più di quando era viva, la senti che ti entra dentro, senti il suo ricordo che ti si incastra nelle costole. Urli perché non sai cosa ha provato quando è morta, o se ha sofferto, se si è resa conto di star realmente per smettere di vivere. 
Gli proibirono di andarlo a trovare all'ospedale, e Luke la notte non dormì più. 
E poi il giorno decisivo cadde il 16 aprile. Glielo dissero così, come se avesse avuto un cuore di pietra: Ashton era morto. Vedi le labbra che si muovono e dicono proprio quella parola. Quella che mette fine a tutto. E tu lo percepisci il niente che ti si insinua dentro, che ti cattura e senti di avere solo quello. Il niente. Perdi tutto. 
Quella sera, Luke distrusse ogni cosa. Tirava calci e pugni alle porte, alle finestre. Si tagliò la mano destra e pianse ancora di più, perché quel sangue non era niente in confronto alla morte. 
Calum e Michael ci provarono a stargli accanto, ma quando una persona muore, non le senti, le persone. Non senti niente. L'unica voce che vuoi sentire è proprio quella che sei destinato a dimenticare.
Ti ghiacci, smetti di funzionare, perché una metà non ce l'hai più. E non puoi fare altro che disperarti, ché quella metà si è persa e non ritornerà mai. 








Hei people!

Ieri sera mi ero spaccata il culo per riuscire a pubblicare e, proprio mentre ero alla fine, il mio pc si è spento, Tralascio tutte le mie imprecazione ché forse è meglio.
Comunque, eccomi qui con un altro stupidissimo capitolo! *voce di Leonardo Decarli* 
No, okay, devo dirvi che fa un po' male scrivere come sono andate le vicende. So che aspettavate da troppo tempo questo flashback, e io ve l'ho scritto. Ovviamente non è terminato, ci sarà un altro flashback o forse due. 
Ricordatevi solo che dove ci sono io ci sono anche i ma. Quindi...
Passando alla parte iniziale, Luke ed Avril stanno iniziando ad instaurare un legame tutto loro, fatto di colori mischiati male, di lacrime, di sorrisi, di sguardi. Io penso che sia un legame forte, anche se loro non se ne rendono conto.
Ma non lo si può battere il legame che ha con Calum. Credo di averlo descritto abbastanza bene, perché io questo ragazzo kiwi lo vedo proprio così. 
Poi vabbè, come non potevo non mettere il nuovo piercing di Luke? A me piace da morire, e credo che gli si addica bene in questa storia lol.
Dal prossimo capitolo ci saranno dei cambiamenti, e io lo so già che mi odierete, uff.
Vorrei ringraziare tutte voi per ogni singola recensione che mi avete lasciato, per ogni minimo interessamento, anche solo per aver letto tra le mie righe. 

Come vedete ho inserito un nuovo banner. Vi piace di più questo o quello che avevo prima?


Luke e il suo nuovo piercing, omg
 



Luke ed Ashton



Calum, Luke e Michael



E boh, questa gif mi fa un po' annegare nelle lacrime.
 

il mio twitter: funklou
quello di Martina: danswtr

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Capitolo 20
*** Wherever you are. ***


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Wherever you are.

C'è chi copre la tristezza improvvisando sorrisi cuciti e chi se ne frega e resta fermo senza prendersi la briga di fingere. Sta zitto e osserva la gente che gli sta attorno, guardando quante persone sarebbe potuto essere, e invece si ritrova ad essere solo se stesso.
E Luke faceva parte di quest'ultimo gruppo.
Quella sera, Avril lo aveva capito bene. Perché, una volta smesso di parlare, entrambi si ritrovarono abbracciati, lasciando che le lacrime solcassero le loro guance. Se li sarebbe presi lei tutti i ricordi e tutto il dolore, pur di metter fine alla sofferenza di Luke. Solo ora capiva quanto potesse pesare per lui quella morte, perché Ashton c'era ancora. Ashton era nella testa di Luke, nella sua coscienza, nei suoi ricordi, nelle sue lacrime.
Luke viveva di Ashton, nonostante non ci fosse più.
"Fa male." continuava a dire, avvolto dalle braccia di Avril. "Fa male perché lui stava affogando e non ha nemmeno avuto il tempo di chiedermi aiuto. E io non sono arrivato in tempo, Avril. Non mi ha lasciato, sono io che ho lasciato lui. Sono io." e un singhiozzo più prepotente irruppe in quella stanza. 
Avril gli prese il viso ormai completamente bagnato tra le mani e "Guardami." gli ordinò.
Luke aprì quel cielo tempestoso e fece incrociare le loro iridi. E ad Avril morirono le parole in bocca a quella vista, ché tanta disperazione concentrata in soli due occhi non l'aveva mai vista. Respirò profondamente e "Non è colpa tua, okay? Doveva andare così." gli disse.
Tirò su col naso, cercando di controllare le lacrime, perché non potevano salvarsi se uno dei due non avesse tenuto duro. 
Luke tacque, mantenendo lo sguardo fisso su di lei. Fu a quel punto che Avril lo baciò, senza pensarci nemmeno. Voleva dimostrargli che lei era davvero lì per lui, pronta a sorreggere entrambi. Era lì e non se ne sarebbe andata. E Luke probabilmente avrebbe accettato questa promessa, perché il bacio venne ricambiato. E nessuno, tranne lei, Calum e Michael, avrebbe mai saputo quanto questa cosa fosse importante: non capitava tutti i giorni che Luke Hemmings si fidasse di una persona, che accettasse di essere salvato.
Ai macchinari non funzionanti non interessa di essere riparati. Al grigio non importa di diventare bianco. Stanno lì inermi e basta, avvolti dall'apatia che non sembra nemmeno muoverli un po'. Accettano le cose così come vengono e, se le cose vanno per il verso sbagliato, non importa del male che dovranno subire. Lo subiranno in silenzio, perché l'energia e l'interesse di salvarsi non sanno neanche cosa siano.
Avril sorrise nel bacio, per poi staccarsi.
"Mi fa strano quel coso." affermò, riferendosi al piercing.
Luke trovò la forza di ridere e "Però ti piace." la rimbeccò. 
Lei alzò le spalle, cercando di nascondere tutta la serenità che quella risata le aveva messo. Non poteva ammettere a se stessa di dipendere così tanto da una persona.
Sciolsero quell'abbraccio troppo contaminato di sofferenze e Luke tornò a guardare il soffitto, con ancora tracce di lacrime sul viso.
Ed Avril, a guardarlo così, in quella stanza, in quel letto, avvolta dal silenzio, aveva solo una domanda che le impossessava la testa.
"Cosa siamo io e te, Luke?" 
Luke sembrò rifletterci. "Non mi va di definirci. Qualunque cosa siamo, a me sta bene così. Non mi va di etichettarci, perché sembrerebbe come sminuirci. Mi piace pensare di essere qualcosa di indefinibile." 
E, proprio mentre Avril stava per ribattere, la porta si aprì, rivelando Michael con ancora in mano un panino. Aggrottò le sopracciglia alla vista di Avril e Luke nello stesso letto e i due ragazzi lo guardarono, aspettando che dicesse qualcosa.
"Ahm..." guardò il panino che teneva in mano "Volevo chiedervi di venire a mangiare qualcosa, ma okay, torno giù."
Chiuse la porta ancora imbarazzato e Luke scoppiò a ridere.
"Non ridere, chissà cosa stava pensando!" gli diede un leggero schiaffo sulla spalla e lui la guardò con un mezzo sorriso.  
Avril era così abituata a scannerizzare ogni suo sorriso che se ne rendeva conto quando il ragazzo aveva qualcosa che non andava. Lo capiva anche affogando in quei suoi pozzi d'acqua, lo capiva dai suoi movimenti più veloci. E lo sapeva, sapeva che stesse per avere un'altra crisi. E infatti, dopo cinque minuti trascorsi in silenzio, sentì Luke muoversi e sedersi di scatto nel letto. Si portò una mano al polpaccio e iniziò ad imprecare.
"Calum, Michael!" gridò lei col cuore in gola mentre si alzava dal letto.
I due furono subito in camera. Calum gli mise in mano alcune pillole, che prontamente Luke mandò giù. Michael gli passò un bicchiere d'acqua, che bevve in un solo sorso.
Avril se ne stava appoggiata al muro, perché lei, queste cose, aveva paura di gestirle. Aveva le palpitazioni solo guardando Luke contorcersi sul letto.
"Cazzo, i muscoli!" 
"Adesso passa, Luke, adesso passa." Calum lo affiancò, si sedette vicino e aspettò che si calmasse. 
Ma il biondo, di calmarsi, proprio non ne voleva sapere. Si mise le mani intorno alle ginocchia e iniziò a dondolarsi su stesso. Era grondante di sudore e probabilmente Avril non si sarebbe più scordata la sua espressione segnata dal dolore. Iniziò anche a respirare affannosamente e lei desiderò vivamente di non essere lì. Stava morendo insieme a lui, sentiva ciò che provava sulla sua pelle. Si accovacciò anche lei a terra, e Michael parve accorgersene. 
"Stai bene?" le chiese, abbassandosi pure lui. 
Ma Avril sentiva solo quel respiro affannoso che faceva eco per tutta la stanza. Voleva che Luke smettesse di respirare così. Voleva che smettesse perché faceva male, le mandava a puttane la testa. Si portò le mani alle orecchie, Michael le strinse il braccio e "Ora si calma, va bene?" cercò di rassicurarla. 
Poi Avril si alzò, lasciando Michael perplesso, e fece il giro della stanza, per poi andarsi a sedere dall'altra parte del letto. Intrecciò la sua mano in quella di Luke, attirando la sua attenzione. Si guardarono ancora, stravolti come sempre.
"Non puoi neanche immaginare quanto male fa." proferì lui sottovoce, con il petto che si alzava ed abbassava velocemente.
"Non lo voglio sapere." 
"Chiudi la finestra, Cal." ordinò Luke, ma continuando a puntare le iridi in quelle della ragazza.
Calum lo fece.
"Ma tu avevi caldo." Affermò Avril.
"Ma tu stai tremando."
Ed Avril si ritrovò a sorridere, così come Calum e Michael perché, nonostante Luke stesse in quelle condizioni, si preoccupava per lei.

Due ore passarono così, ed ormai era l'una di notte.  Nessuno si azzardava ad accendere la luce di quella stanza, nemmeno la madre di Luke quando tornò dal lavoro. Avril chiese a Calum se in casa di Luke vivessero altre persone, e lui le rispose che sì, c'era un padre, che non tornava quasi mai, ed altri due fratelli, ma che entrambi alloggiavano perlopiù al college. Tutto questo glielo disse mentre il biondo dormiva, completamente risucchiato dalle coperte. 
Avril non si staccò da lui nemmeno un secondo.
"Io e Michael andiamo giù, potremmo addormentarci sul divano. Lo lascio a te, ma appena succede qualcosa, puoi chiamarci e saremo qui immediatamente. Okay?" 
Avril annuì e li vide sparire nel corridoio. Si intrufolò anche lei sotto le coperte e si accoccolò contro il petto di Luke. Aveva un respiro regolare e solo questo le bastava per stare tranquilla, riuscendo anche ad addormentarsi.

La situazione precipitò verso le 3:20 di quella stessa notte.
Avril fu svegliata da un verso quasi trattenuto da Luke, ed anche se la stanza era completamente buia, lo vide agitarsi e mordersi forte il labbro. Ciò che la spaventò fu forse il sangue che macchiava i suoi denti solitamente bianchissimi e "Che cazzo fai? Smettila, Luke!" disse sommessamente, anche se avrebbe voluto urlare.
Luke smise come gli era stato ordinato, si tolse la maglia e rimase con una semplice canottiera. Si girò su un fianco per guardarla. La abbracciò forte ed Avril incastrò una mano tra quei capelli bagnati. 
Luke tremava così insistentemente che faceva fremere anche lei.
Ed Avril aveva paura.
Luke era completamente fradicio di sudore freddo, ma non si sarebbe mai staccata da lui. E in un secondo si impossessò delle labbra di Avril, che trasalì, poiché non se lo aspettava in quel momento. Il sapore metallico del sangue si mischiava con ogni paura che li assaliva, con ogni assillo, preoccupazione, tormento. E Avril glielo voleva dire che, anche se non ce l'avessero fatta, avrebbero perso insieme.
Le labbra si dischiusero quasi spontaneamente, e il bacio divenne più coinvolgente: non volevano fuggire l'uno dall'altra, ma solo rincorrersi. Non potevano fuggire, non quando tutto ciò che c'era bisogno era che restassero e che si confermassero. Luke le sfiorò il viso, ed  Avril non pensava a quello che sarebbe successo dopo, si isolò completamente. Pensò a quelle labbra morbide, a quel piercing che si scontrava contro la sua pelle, a quella lingua calda che cercava continuamente la sua. 
E, in qualche modo, Luke parve calmarsi.
I loro corpi sembravano formarne uno solo, e Avril penso che, se quello fosse stato il modo per calmarlo, lo avrebbe fatto ogni volta e con piacere.

La notte continuò più o meno così. Provarono a dormire ancora un po', ma Luke si agitava all'improvviso, iniziava a respirare a fatica e a grattarsi furiosamente le caviglie. Le caviglie, cazzo. E quelle se le scorticava quasi. E Avril allora lo baciava e stringeva quel corpo tremolante fra le sue braccia, coperto solo da una canottiera bianca e un paio di boxer. 
Ma non avrebbe mai chiamato Calum e Michael: voleva che Luke dipendesse completamente da lei, sentiva di poterlo fare.

Al mattino, non appena Avril aprì gli occhi, trovò accanto a sé un Luke addormentato. Aveva i capelli scompigliati e la bocca socchiusa. Il suo corpo era freddo, eppure sembrava star bene. Sorrise debolmente e cercò di alzarsi cautamente per non svegliare il ragazzo che, dopo una notte insonne, era riuscito finalmente a prendere sonno. 
Luke mugugnò ed Avril scese dal letto. Attraversò il corridoio e scese al piano di sotto, trovando Calum seduto sul bancone della cucina con in mano una tazza di latte, e non molto più in là Michael disteso sul divano che "Non c'è niente alle sette del mattino in tv." si lamentò sbuffando.
"Buongiorno." salutò lei non appena fu sulla soglia della porta.
Calum le dedicò un sorriso raggiante e "Buongiorno a te, Avril." disse.
"Ciao bionda!" sentì dire dall'altra parte della stanza. 
Storse il muso per quel nomignolo, ma non ci diede molto peso.
"Dormito bene?" domandò il moro, sorseggiando dalla tazza.
Avril lo guardò accigliata, facendogli capire che sarebbe stato meglio non parlarne nemmeno. 
"Ti avevo detto di chiamarmi."
"Fa niente, ora sta dormendo." 
Calum sbuffò.
"Io vado a scuola, provo a non addormentarmi sul banco. Tu ci vieni?" continuò lei.
Il moro esitò per alcuni istanti, alzò le spalle e "Non lo so." le rispose.
Avril annuì. "Okay, allora ci si vede oggi, forse. Vai a controllare Luke, mh? Ciao Cal." gli si avvicinò, gli lasciò un bacio sulla guancia e si avviò verso la porta.
"Ciao Michael!" parlò più ad alta voce per farsi sentire e, non appena le venne ricambiato il saluto, si chiuse alle spalle la porta.
Avril si strinse nella sua felpa: il vento al mattino ti colpisce così forte da farti irrigidire il corpo ed è fastidioso, perché non è mite, è totalmente ghiacciato e ti si insinua quasi sotto pelle. 
Con le gote rosse si diresse verso casa sua, consapevole che quella mattina ci sarebbe stata Vicky ad accompagnarla a scuola. Forse le avrebbe detto tutto, un giorno.
Camminò in un silenzio rilassato, interrotto solo da poche macchine che sfrecciavano, guidate da lavoratori che tentavano di arrivare in orario.
Ma ogni sua certezza, ogni sua corazza ed ogni sua previsione furono abbattute davanti ai suoi occhi quando, messo piede in casa di fronte all'entrata c'erano due valige. E ad Avril salì una voglia di urlare che le si bloccò in gola. Deglutì, strinse le mani in due pugni perché non voleva che tremassero. Si pietrificò completamente. Non le guardò più, quelle valige.
Non le guardò perché sapeva per chi fossero. Sapeva dove erano destinate e odiava quella destinazione.
La odiava perché era la stessa sua.
Sbatté la porta e corse su per le scale, ignorando le grida di sua madre che le era arrivata appresso. Corse veloce, si immaginava di scappare da quella città. Entrò in camera sua e chiuse la porta con ferocia. Si buttò sul letto, premette il viso contro il cuscino e tirò così tanti pugni da perderne il conto. Urlava e la sua voce veniva catturata dalla stoffa che subiva tutto.
Lei non voleva andarsene a Melbourne.
E' come quando senti di essere sulla strada giusta e, mentre la stai percorrendo, te la sbarrano e sei costretta a tornare indietro. Ma se te ne stai andando vuol dire che non vuoi stare lì, non vuoi tornare indietro, non vuoi mettere i piedi in un qualcosa che odi proprio perché sei stata costretta a lasciare con forza in passato. 
Ti abitui involontariamente a quello che la gente ti piazza davanti e hanno anche il coraggio di distruggere quell'abitudine.
"Non starai là tutta la vita, Avril." udì sua madre dire da dietro la porta.
"Perché mi fai questo?" biascicò tra i singhiozzi.
La sentì prendere un lungo respiro e "Dove sei stata stanotte?" le domandò, affievolendo la voce.
Avril non le rispose. Si limitò a un "Vai via." e si girò su un fianco. 
Non seppe quanto tempo sua madre restò lì, dietro la porta. Ma da quella stanza non ci uscì per tutto il giorno. Si addormentò piangendo e si risvegliò col cuore a mille per almeno quattro volte.
E forse non piangeva per il fatto che dovesse tornare a Melbourne, ma perché dovesse lasciare Sydney.
Lasciare le vie del centro, quelle in cui nessuno la conosceva. Lasciare la sensazione di poter fare quello che si vuole, di essere se stessa. Lasciare Calum. Lasciare Michael.
Lasciare Luke.

Non andò a scuola, non mangiò a pranzo, non mangiò a cena. Verso sera sua madre si ripresentò fuori dalla sua stanza, Avril sbuffò. 
"Se mi apri possiamo parlarne civilmente."
E la figlia stava combattendo con se stessa, perché la voce della donna era stanca e preoccupata. Si morse il labbro, quasi forte come Luke aveva fatto la notte. Scese piano dal letto, sentendosi le gambe quasi cederle. Fece girare le chiavi nella serratura e nell'esatto momento sua madre l'abbracciò.
Sapeva che, finendo tra quella braccia, sarebbe finita anche a Melbourne.
"Lo sai che vorrei che tu restassi con me, ma so quello che faccio e so che ti farebbe bene." 
Avril osservava il corridoio che aveva davanti a sé, con il viso nell'incavo del collo della madre. 
"Non voglio rivedere papà, non voglio lasciare ciò che ho qua." 
Staccò l'abbraccio e "L'ho chiamato." annunciò. "Ha detto che è felice di averti lì per un po' e che ti darà i tuoi spazi." 
"Non hai idea di..."
"Sì che ne ho idea, Avril. Ho idea di quello che ti sto facendo fare, ma so che, andando là, ritroverai te stessa." 
Avril scosse la testa, perché era consapevole che sua madre stesse dicendo frasi caso. Non sapeva proprio niente, lei. Non sapeva cosa realmente stesse lasciando a Sydney. Ma quegli occhi lucidi e quelle braccia materne le avrebbero sempre fatto dire di sì, contro ogni sua volontà.
"Per quanto tempo... Per quanto tempo dovrò stare lì?"
"Non lo so, per ora." 
Abbassò la testa e "Ci penserò." affermò.
"Non puoi pensarci, stanotte parti." 
Alzò lo sguardo, esaminò il suo viso per confermare se ciò che aveva sentito fosse vero. E quando vide la donna in preda all'ansia per ciò che Avril avrebbe detto di lì a poco, capì che no, non era uno scherzo. 
"L'indirizzo, i biglietti e tutto te li ho già preparati. Vieni qui, dai, mi dispiace." e l'abbracciò ancora, l'abbracciò come se se ne dovesse andare per tutta una vita. E questo faceva paura da morire ad Avril.
Doveva andare contro se stessa solo per sua madre. Doveva farlo, non era un prendere o lasciare, era un prendere e basta.
Quando il contatto finì, prima che Avril se ne tornasse in camera, la donna la richiamò e "Mi piacciono." disse indicando i capelli.
E due sorrisi amari spuntarono sulle loro labbra.

Partì alla mezzanotte dello stesso giorno. Partì senza pensare a quello che avrebbe lasciato dietro di sé, altrimenti sarebbe tornata subito indietro. Guardava le case che si sfumavano dai finestrini e si immaginò che tutto potesse fermarsi, che quel treno potesse bloccarsi, in modo che potesse uscire e tornare a casa. 
"Questo non è quello che voglio." disse a se stessa. 
Non avvisò nemmeno Calum, Luke o Michael prima di partire. Le avrebbe fatto troppo male. 
E l'ansia di condividere la stessa casa di coloro che più odiava stava iniziando a farsi sentire. Sai che ti stai imbattendo in qualcosa che non vuoi e non puoi ripensarci. Sai che stai mettendo il piede in campo nemico e sei spacciata.
Chiuse gli occhi, cercò di non pensarci. 
Ma non riusciva. Non poteva non pensare al fatto che avrebbe rivisto Jason, o chiunque altro conoscesse a Melbourne. Sapeva che avrebbe avuto in casa un ragazzo sconosciuto, un padre che detestava e una donna che, anche se non aveva mai visto, sapeva di odiare. 

Le ore di viaggio, alla fine, furono circa 8. Arrivò alla stazione centrale di Melbourne che era ormai mattina, e una fila di taxi era già pronta davanti ad Avril. 
Diede il foglietto con su l'indirizzo al tassista non appena salì sulla macchina e, dopo aver sistemato le valigie, partì.
Avril aveva un peso nel petto. Avril stava andando controcorrente.
Guardava la sua Melbourne come si guardano gli oggetti vecchi: con un po' di malinconia e tristezza, con fretta e paura perché hai timore che essi portino ricordi che bruciano. 
Aveva le mani congelate e non riusciva a tenerle ferme. 
Pensava a Luke. Lo stava lasciando e senza preavviso, esattamente come Ashton.
Osservò quelle vie che conosceva a memoria, quei grattacieli abnormi, quelle infinite case attaccate. Passò vicino anche alla strada di casa sua, e a quel punto dovette proprio abbasare lo sguardo.
Poi la macchina si fermò. Parcheggiò in un viale isolato, silenzioso: le ricordò quello suo di Sydney. Scese dall'auto, pagò l'uomo e questi l'aiutò con le valige. 
"Buona giornata!" la congedò.
"Anche a lei."
Si trascinò fino alla staccionata della casa che aveva davanti, che era piuttosto ampia. Anzi, era davvero bella.
Premette il campanello, quello con su il cognome Mitchell. Storse il muso, aspettando che qualcuno venisse ad aprirle. Qualcuno che avrebbe odiato indipendentemente da chi fosse stato.
La porta si aprì dopo alcuni minuti, e davanti a sé trovò un ragazzo abbastanza alto, dai capelli biondo scuro, mossi nel ciuffo e tenuti fermi da una bandana arrotolata.
"Tu devi essere Avril!" trillò il ragazzo.
"Già, però possiamo anche fare così: io non ti parlo, tu non mi parli. Okay?" 
Forse questo le era uscito davvero acido. Forse non voleva nemmeno, eppure quello era sicuramente il 'nuovo figlio' che l'aveva sostituita. Il figlio modello, quello che suo padre lodava tanto.
Lui si intristì un po' e "Ma io sono Ashton." le provò a dire.
Quel nome la fece un po' trasalire.
"Ma a me non frega. Davvero, Ashton, non vorrei essere nemmeno qui. Fammi entrare, va." 
Ashton scoppiò a ridere, ma si spostò dall'entrata. Avril entrò in quello che doveva essere il salotto e "Le lasci fuori, quelle lì?" le chiese, sempre con un fare divertito.
"Non mi importa." decretò lei, sedendosi a peso morto sul divano.
"Stanca?"
"Molto." 
"Avrei dovuto mostrarti la tua stanza, però." 
"E' uguale, non fa niente. Ce l'hai un bicchiere d'acqua?"
"No, qui si muore disidratati." 
Avril lo guardò, alzando un sopracciglio. Lui, prima serio, scoppiò di nuovo a ridere. 
"Ovvio che ce l'ho!" disse poi, versandoglielo.
Quel tizio, Avril lo trovava tra il fastidioso e il ridicolo. Però almeno non era uno con il muso. Le porse il bicchiere e finalmente bevve. Poi le si sedette di fronte e la fissò.
Avril se ne fregò.
"Non c'è nessuno in casa?" gli domandò.
"No, sono tutti al lavoro."
"E tu non sei a scuola?" 
"Ci posso andare quando voglio." 
Okay, questo ragazzo era seriamente strano. Aveva anche una voce strana, un atteggiamento strano, una risata strana e degli occhi verde strano. 
"Va bene, ora lasciami un po' da sola." lo liquidò così, chiudendo gli occhi e riposandosi un po'.
E lui rise ancora, come se davanti a lui avesse avuto il film più divertente di sempre. Non era dispiacevole la sua risata, eppure Avril era così nervosa che non l'avrebbe mai ammesso.
Ashton finalmente si alzò e se ne andò in qualche parte della casa che ad Avril non importava minimamente. 

Si svegliò solo quando sentì vibrare il cellulare nella sua tasca. Mugugnò e imprecò appena percepì una fitta al collo, che fino a quel momento aveva tenuto in una posizione sicuramente scomoda.
Socchiuse gli occhi e prese in mano il cellulare, per poi rispondere alla chiamata.
"Tu! Dove sei?" 
La voce di Calum le arrivò quasi accusatoria, come un pugno nello stomaco.
"Se te lo dicessi non ci crederesti nemmeno."
"Dimmelo." 
Schietto, incazzato, pretendente.
"A Melborune." si morse un'unghia, respirò a fondo.
Silenzio.
"Stai scherzando, stai scherzando."  
E lei voleva davvero che fosse così, che fosse uno scherzo. Ma il divano su cui era seduta di certo non era il suo; quelle pareti non erano le sue, nemmeno quel profumo che invadeva la stanza non era quello di casa sua.
"No." 
"Che cazzo ci fai lì, allora?"
"Mi ha costretta mia mamma, ma io non-" si fermò, poiché sentì delle voci provenire dall'altra stanza.
"Non?" 
"Ascoltami, ti richiamo dopo e ti spiego tutto. Dimmi solo che sta bene." 
E Calum non rispondeva, e il suo cuore ora sì, che ce lo aveva a mille. 
"Dimmelo, Cal." lo spronò con gli occhi lucidi. C'era un qualcosa che le stava divorando lo stomaco, lo sentiva.
"Non posso." affermò dopo tutti quei secondi colmi d'ansia. 
Lo sentì sospirare e proprio non ce la fece. Chiuse la chiamata e si alzò dal divano. Raggiunse la stanza dalla quale provenivano le voci e, non appena varcò la soglia, una donna la salutò calorosamente.
"Ciao Avril, finalmente ti sei svegliata!" 
Avril avrebbe voluto risponderle: "Ma chi ti conosce?", eppure si limitò a sorriderle imbarazzata. Aveva questa cosa nello stomaco che non le faceva avere la forza per risponderle a tono. Ashton era seduto a tavola che mangiava un piatto di pasta e le sorrideva divertito. Lo guardò perplesso e "Vado in camera, comunque." disse.
La donna fece un verso di delusione, proprio come i bambini piccoli.
"Non puoi saltare la cena!"
"Non ho fame, davvero." 
E a quel punto Ashton si alzò, le passò di fianco e uscì dalla cucina.
"Ti mostro la stanza." le comunicò, sotto lo sguardo truce della madre.
Avril non disse niente, lo seguì e basta. Salirono le scale, arrivando ad un corridoio lunghissimo, sul quale si affacciavano almeno dieci camere. Ashton la portò nella penultima, le aprì la porta e "Eccola qui." annunciò. Avril ci entrò lentamente, stupendosi quando all'interno ci trovò le sue valige.
"Ma..."
Lui si strinse nelle spalle. "Altrimenti le avresti lasciate lì fuori per tutta la notte." 
La ragazza si sedette sul letto, guardandosi intorno.
"Allora io vado, e non ti dico di chiamarmi per qualunque cosa vuoi perché sono davvero uno sfaticato." rise ancora, ed Avril ne fu contagiata.
Non era mica a posto quel ragazzo.
Poi chiuse la porta e se ne andò, lasciandola sola tra le sue malinconie. Si sdraiò su quel letto che sapeva di nuovo, un profumo che non si avvicinava neanche lontanamente a quello vissuto di Luke. 
Luke.
Luke che probabilmente ora si stava contorcendo per un crampo ad una gamba, e stava urlando, e si stava chiedendo dove diavole lei fosse. 
Prese il cellulare, per poi trovare sullo schermo una quindicina di chiamate senza risposta: metà appartenevano a sua madre, e l'altra a Calum. Decise di chiamare quest'ultimo, almeno avrebbe placato il senso di vuoto che le si stava irradiando dentro.
"Pronto?" rispose subito.
"Calum."
"Dio, finalmente..."
"Lo so, mi dispiace, davvero."
"Allora? Che ci fai lì?"
"Mia mamma crede che io abbia bisogno di rimettermi in riga, così mi ha spedita a Melbourne, a casa di mio padre, che ha un figlio che a quanto pare eccelle in tutto. Ma a me sembra solo un tizio sbadato che ride sempre." gli spiegò. 
"Oh..." fu tutto quello che a Calum uscì di bocca.
Forse era proprio così. Forse quella situazione, da quanto era drastica, non si poteva nemmeno descrivere.
"Senti, Luke sta tanto male?" cambiò discorso, perché era proprio questo il problema principale.
"Vomita da questo pomeriggio, io non lo so. Ma non mangia, quindi che cazzo butta fuori?" chiese retoricamente esasperato.
Quella sembrava una tortura, ad Avril. Voleva essere lì, voleva tenergli la testa mentre vomitava l'anima, voleva stringerlo la notte mentre si svegliava dal dolore, voleva baciarlo e staccarlo dal mondo. E non poteva. 
900km la stavano uccidendo.
Le stavano chiaramente dicendo che non poteva salvarlo, in quel momento.
"Quando torni?" le domandò, siccome non ricevette alcuna risposta dalla ragazza.
"Non tra molto." rispose decisa. Era una totale follia e lo sapeva. Ma, per Luke, avrebbe fatto anche altro. 
"Uhm, okay. Lo spero. Luke ha chiesto di te, appena si è svegliato. Anche Michael, pensa un po'. E poi lo sa, manchi anche a me." concluse più insicuro.
Avril sorrise a quella dichiarazione, anche se lui non l'avrebbe mai vista.
"Anche tu, Cal." 
"Bene, vado a tenere d'occhio Luke. Torna presto, eh." 
E detto questo la chiamata terminò. 
Terminò come ogni pensiero di Avril, che si rannicchiò sotto le coperte e chiuse gli occhi, cercando di addormentarsi il prima possibile. 

Si svegliò una decina di volte, quella notte. Ed ogni volta l'incubo peggiore era quello di ritrovarsi in una stanza che non era la sua. Verso mezzanotte sentì chiaramente la voce di suo padre che era tornato a casa dal lavoro, e in quel momento cercò invano di tapparsi le orecchie col cuscino.
Quella notte era persino più brutta di quella passata insonne con Luke. 

Quando al mattino si svegliò, non gliene fregò niente che ci fosse la luce al posto del buio. Perché non sarebbe uscita da quel letto neanche morta. 
Qualcuno verso le dieci si presentò dietro la sua porta. E, non appena udì la voce, capì che quel qualcuno fosse un Ashton che voleva che assaggiasse dei cereali che lui reputava buonissimi.
"Sei pazzo, lasciami stare." biascicò Avril con la faccia spiaccicata sul cuscino e gli occhi ancora chiusi.
"Okay, però te li lascio qua fuori. Quindi, se per caso uscissi dalla stanza, magari non schiacciarmeli, così me li mangio io fingendo che mi dispiaccia il fatto che tu non li abbia mangiati." rise e se ne andò.
Forse Avril aveva capito che persona fosse, Ashton. Sperò che fosse una di quelle che sorridono per non far uscire neanche un po' di dolore che nascondono dentro di loro. Ci sperò così tanto che se ne era proprio convinta, perché una persona così solare non era umanamente possibile che esistesse. 
Luke, probabilmente, se avesse conosciuto questo tizio, gli avrebbe sputato in un occhio, perché non avrebbe mai capito il suo stato perennemente macchiato dal grigio.
Erano a due poli opposti.
Desiderò tanto che quello a camminare in quella stanza fosse Luke e non Ashton. Lo desiderò davvero.
Ma sapeva che, ovunque fosse, sarebbero stati vicini, lei e Luke. 
Se lo erano promessi involontariamente la notte prima.






Hei people!
Mi piace il fatto che iniziate a chiedermi: "Aggiorni stasera o stanotte?" lol.
Sono l'autrice di EFP più disorganizzata, e mi amate proprio per questo. No, anzi, ora avrete smesso di amarmi per questo capitolo. E a me tremano quasi le gambe, non sto scherzando, per il personaggio che ho inserito. Ho paura e non so perché.
Mi sa che soffro con Avril, o forse con Luke. 
Boh, ma questo non c'entra. C'entra che Luke ed Avril ora sono legati da questa sorta di mancanze che non si sa più come spezzare. 
Sono contaminati. 
Mi piace questa parola.
Sono contaminati nonostante 900km, perché Avril, Luke se lo sente addosso. E lui chiede di Avril. 
E poi c'è questo ragazzo: Ashton. Io... Non lo so, non ne voglio parlare. Che autrice strana che sono, lo so. Preferirei che a parlare foste voi.
Quindi ora me ne vado così, e vi ringrazio.
Ciao belle!


il mio twitter: funklou
quello di Martina: danswtr

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Capitolo 21
*** Sydney again. ***


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Sydney again.

Le mani impossessate dal freddo, le maniche della felpa che arrivano a coprire la metà delle dita, le scritte indecifrabili sulle maglie nere. I pantaloni scuri e stretti, le scarpe con vari buchi che spaccano il tessuto nero e consumato. La pelle chiara, le labbra rosee e screpolate, corrucciate quasi sempre in giù, e i denti bianchi che le divideva ultimamente saltuariamente. La voce ferma, controllata, che fa' trasparire quasi la tranquillità, con il compito di coprire l'inferno all'interno. Il profumo appena percepibile appiccicato alla pelle, l'aria da duro che si cosparge intorno. Gli occhi azzurrissimi, un mare in tempesta che lotta con l'oceano calmo, tutto coperto da un velo di apatia. I capelli biondi alzati, alcuni ciuffi che giocano a fare i ribelli cambiando direzioni. Le spalle larghe, il torace che si alza e si abbassa calmissimo. L'odore di dolore, indifferenza, colpevolezza. Ferite aperte, somiglianti a squarci dai quali filtrano ricordi, invisibili agli occhi delle persone e per questo mai curate. Le fossette ai lati della bocca, voragini nel grigio. Le sopracciglia che si alzano al sentire parole sconosciute, la fronte che si corruga per la confusione.
C'erano tante cose che ad Avril mancavano di Luke. E queste facevano parte di una lista che non avrebbe mai finito. 
Richiuse gli occhi e sospirò. Poi afferrò il cellulare e chiamò Calum. Lo chiamò quattro, cinque volte. Nessuno rispondeva. Si alzò dal letto e tirò un calcio al muro, mugugnò per il dolore, non solo fisico. Si sedette sul pavimento, si prese la testa fra le mani. 
Avril stava uscendo fuori di testa.
Allora si rialzò, si sedette ancora sul letto. Chiamò un'altra volta Calum, e un'altra volta non ricevette alcuna risposta. 
Questo fu quello che fece fino a sera. 
Scese al piano di sotto e si accomodò a tavola. Non guardò nessuno negli occhi, nemmeno suo padre, che poteva vedere che non le staccava gli occhi nemmeno per un secondo. 
Le faceva strano stare in quella casa. 
La donna quella sera non c'era, era fuori con le amiche. Ashton si faceva gli affari suoi, cenava tranquillamente. Suo padre, invece, "Allora, vi siete conosciuti, voi due?" chiese ad entrambi.
Avril fremette di rabbia. Il suo piede si alzava e abbassava sul pavimento in un movimento estremamente nervoso. 
"Mh, sì..." rispose vago Ashton, per poi continuare a mangiare con lo sguardo annoiato. 
"Bene!" trillò l'uomo. "Avril, tu domani dovresti tornare a scuola." 
Avril alzò di scatto la testa in sua direzione e lo guardò per la prima volta. Era ansia, quella cosa che aveva nella pancia. 
"Ti accompagna Ashton." proseguì.
"Ma hai deciso tutto tu!" lo rimbeccò il ragazzo, ma senza cattiveria nelle parole. Anzi, aveva quel sorriso stampato in faccia che Avril proprio non digeriva. 
"Okay." disse infine lei, mettendoci quanta più freddezza potesse. Strisciò la sedia sul pavimento e si alzò, prendendo il suo piatto e posandolo nel lavandino. 
"Ho finito, vado su in camera." annunciò.
Suo padre la esaminò, riportò lo sguardo sul piatto che aveva davanti ed annuì.

La sera era una merda. 
Chiamate senza risposte, mani che tremavano, il freddo dentro, lacrime che bagnavano guance.
Questo era la sera.
Ed Avril aveva paura, perché ciò che sentiva lei lo sentiva pure Luke. C'era qualcosa che non andava. Lo chiamavano sesto senso. 
Riprese il cellulare, digitò per la millesima volta il tasto 'chiama' di fianco al nome di Calum. 
Lo stomaco le si attorcigliava in un nodo strettissimo, che la fece piangere ancora e ancora. Buttò il cellulare sul comodino e restò inerme sul letto della sua nuova camera. 
La consapevolezza che qualcosa non stesse andando bene e l'impossibilità di fare qualcosa: un mix micidiale. 
Smise di piangere, si girò su un fianco e piantò le iridi verdi al muro che aveva davanti. Si immaginò Luke a terra, grondante di sudore, con la faccia verdognola. Lo vide davvero. Allora chiuse gli occhi, e non sentì il bussare alla sua porta. 
"Ciao!" 
Ashton e la sua voce squillante. Sussultò per quella visita inaspettata, ma non aveva voglia di averlo vicino. Non rispose. 
Ashton chiuse la porta, avanzò e si sedette per terra, di fianco al letto.
Allora aveva davvero questa mania di posizionarsi davanti alle persone e stare in silenzio, pensò Avril.
"Non voglio parlare, Ashton."
"Chi hai lasciato a Sydney?" 
E a questa domanda Avril si girò dall'altra parte e prese a fissarlo.
"Io devo tornare là, tu non capisci. Io devo ritornarci." gli disse con fare calmo, in contrasto con la disperazione che aveva dentro. 
Ashton ricambiò lo sguardo, ma stette in silenzio. 
"Domani faccio finta di portarti a scuola, andiamo a farci un giro." annunciò dopo alcuni secondi. 
Avril rimase spiazzata. Alzò un sopracciglio e il ragazzo rise. 
"Sei serio? Ma tu non ci vai mai a scuola?"
"Lascia stare, che ti frega?" 
Il fatto era che Ashton diceva frasi cattive con un tono amichevole. Poteva mandarti a fanculo ridendo, e tu non potevi prendertela. Per questo, Avril gli sorrise. 
"Va bene, ma questo non significa che tu mi stia simpatico."
Ashton alzò le mani in segno di non colpevolezza e nell'istante esatto il cellulare di Avril iniziò a squillare. Lei fece uno scatto inumano, si precipitò a prendere quell'aggeggio elettronico e premette il tasto verde. Doveva essere risultata proprio una pazza psicopatica, perché Ashton aveva un'espressione tra lo spaventato e il divertito.
"Pronto?!" quasi urlò.
Istanti che sembravano anni. Anni scanditi dall'ansia che stava a poco a poco ammazzando Avril.
"Ce l'hanno preso." sentenziò Calum, tutto d'un fiato.
Avril trattenne il respiro, sentiva il cuore sbattere sempre più lentamente contro la gabbia toracica.
"Cosa vuol dire che l'hanno preso?"
"Vuol dire che i suoi genitori l'hanno chiuso in una clinica di drogati, se si può chiamare così."
Avril iniziò un pianto isterico. Era come se tutta la disperazione le stesse uscendo di botto in quel momento, con quelle lacrime, con quei gemiti misti ai singhiozzi. 
"Non possono!" urlò. 
Ashton era ancora seduto davanti a lei ed in faccia aveva quegli occhi spalancati che dovevano proprio rispecchiare lo stato d'animo della ragazza.
Avril odiò quegli occhi. 
Anzi, si alzò proprio dal letto, lasciando il cellulare e andò a sedersi vicino ad Ashton per iniziare a tirargli dei pugno sul petto. A lui non facevano male ed Avril lo sapeva. E questo la mandava ancora di più in bestia. Lo odiava, in quel momento. Lo odiava soprattutto perché le fermò le mani, stringendole con le sue e le abbassò le braccia, giusto per intrappolarla in un abbraccio. 
Ad Avril gli abbracci le facevano strano. Le mettevano disagio.
Ma giurò che quello di Ashton riuscì a farla smettere di urlare. Le sue braccia erano forti e il suo corpo caldo. Ci si trovò benissimo, stretta a lui. Le lacrime le scendevano copiose sul viso, ma erano ormai silenziose e si infrangevano sulla felpa di Ashton. Non aveva idea di cosa quest'ultimo stesse pensando, però le andava bene così. 
"Me l'hanno portato via..." sussurrò pianissimo, con lo sguardo perso nel vuoto. Era esattamente quello, ciò che si ritrovava davanti: il vuoto. Perché tutto ciò che si distingueva dal nulla erano solo gli occhi azzurri di Luke.
Ashton le accarezzò la schiena e "Chi?" chiese.
Avril si rese conto solo in quel momento di aver parlato. Non si era sentita. Non sentiva più niente di se stessa. Perché, senza Luke, lei non c'era. 
Chiuse gli occhi, un'altra lacrima le solcò la guancia. "Luke." 
Buttò fuori quel nome con tutto il dolore incastrato tra quelle lettere. Tremò, al sentirlo. Così come tremò Ashton.
Si abbracciarono per chissà quanto tempo, e poi il ragazzo si staccò e la guardò. E lei quelli occhi aveva deciso di detestarli. Le facevano paura, la facevano sentire rispecchiata e lei odiava vedersi distrutta. 
"Va meglio?"
Lei non diede alcuna risposta. Ashton si mise in piedi, le afferrò una mano e la tirò su.
"Ci sono sempre, se vuoi." disse e se ne andò dalla stanza. 
Quella sarebbe stata la seconda notte insonne, per Avril. 
Avril che era riuscita a sentire ancora di più la lontananza di Luke, e che non riusciva a non pensare a cosa fosse andato incontro entrando in quella clinica. Avril che aveva paura che Luke si sentisse solo, un po' come lei. Avril che sentiva una corda, nella quale risiedeva tutto il legame che c'entra tra lei e Luke, che continuava a tirarsi sempre di più. E non poteva spezzarsi. Non poteva. 
Avril che si rivedeva negli occhi verdi di Ashton, e ancora non ne sapeva il motivo.

Erano le sette del mattino e una mano le scuoteva incessantemente il braccio. Mugugnò qualcosa e aprì di poco gli occhi. 
C'era Ashton in piedi, di fianco al suo letto, ed aveva in mano i suoi fottuti cereali. 
"Alzati, pigrona. Devi andare a scuola."
"A scuola non ci andiamo e tu lo sai." lo schernì lei, girandosi dall'altra parte. 
Ashton rise e successivamente la ragazza sentì sollevarsi dal letto, e in un istante si ritrovò sospesa in aria. 
Rabbia.
"Lasciami giù!" gridò, in preda ad una crisi di nervi. La testa le girava da matti.
"Non urlare, cretina, sono le sette del mattino." affermò Ashton, facendole posare i piedi a terra. 
"Ti odio."
"E questi sono i cereali di cui ti parlavo, se..."
"Sì sì, so tutta la storiella, ora vattene." lo interruppe Avril, schiacciandogli sul petto la scatola.
Ashton si zittì, ma proseguì nella sua monotona risata. Le dedicò un ultimo sguardo ed uscì dalla camera.
Avril si cambiò vestiti dopo tre giorni di agonia. 
C'era qualcosa all'altezza della gola che le impediva di farle venire voglia di mangiare. Perché, in realtà, un po' di fame ce l'aveva. Però, quel qualcosa la buttava giù in un modo assurdo. Le veniva quasi voglia di vomitare, ovvero la peggior cosa che possa capitare ad un'emetofobica. Uscì anche lei dalla camera e cercò il bagno. Si fece una doccia veloce, si lavò i denti, si pettinò e non si guardò mai allo specchio. Le veniva ansia solo a pensare di vedersi riflessa.
Scese al piano di sotto, dove Ashton stava facendo colazione. Quando la vide, le sorrise.
"Come fai ad essere sempre così?" indagò. 
Lui fece spallucce, probabilmente senza capire nemmeno la domanda, ed Avril mangiò tre biscotti, tutto in silenzio. 
Quel giorno, Avril non vedeva più Luke nella sua testa, ma se lo sentiva addosso. Sentiva il suo profumo appiccicato alla sua pelle, quello mischiato al detersivo che si impadroniva delle sue felpe e a quello che emanava quando si muoveva, quando alzava il collo, quando si passava una mano nei suoi ciuffi biondi. 
Avril chiuse le palpebre e il labbro le tremò.
"Cazzo, ho a che fare con una ragazza in preda ad una crisi depressiva." sbottò Ashton, sempre col suo sorriso, quello che copriva le brutte frasi.
Si alzò dal tavolo e la abbracciò, come se fosse stata la cosa più normale al mondo. 
Lei non pianse.
"Brava." le disse piano Ashton e se ne andò a prendere una giacca. 
Avril era rimasta semplicemente stregata da quel suo tocco.
"Andiamo?" domandò il ragazzo.
E quello fu il primo giorno in cui Avril uscì da quella maledetta casa. Ed era la prima volta che, dopo aver abbandonato Melbourne, ci rimetteva piede, andandola a visitare per tutte le vie che anni prima percorreva sempre, di giorno o di sera, con le sue amiche o con Jason.
La stretta alla gola le era ritornata. Quelle strade le mettevano tristezza.
"Voglio tornare a casa." esordì.
Ashton posò la tazza ancora mezza piena di cioccolata calda e sbuffò.
Erano in quel bar da massimo dieci minuti.
"Sei pesante, ragazzina."
Avril lo fulminò con lo sguardo e continuò a guardare fuori dalla vetrata la via su cui mesi fa camminava tutti i giorni per andare a scuola. 
"Fa niente." disse lei.
"Ma che hai, ché sei sempre così scorbutica?" le chiese, tirandosi indietro e facendo scontrare la schiena contro la sedia.
"Non mi rompere." lo ammonì Avril.
Ashton sbuffò un'altra volta.
"Dovresti solo ringraziarmi: se non fosse stato per me, ora saresti a scuola."
Avril alzò le spalle, era triste. Luke le mancava troppo. Si sentiva fottutamente debole, senza lui.
Ashton si alzò dopo aver finito la sua cioccolata e uscirono dal bar. Fecero alcuni giri per Melbourne e poi "Torniamo a casa?" propose lui.
Avril annuì, senza capire come potesse lui chiamare casa quell'inferno.
Era l'una di pomeriggio e la madre di Ashton era in casa, purtroppo. Quando Avril aprì la porta, se la ritrovò in salotto mentre guardava la tv. Alzò gli occhi al cielo.
"Ciao cari!" accolse i due ragazzi con un sorriso schifoso. 
"Ciao."
"Ehi, mamma."
E poi entrambi salirono le scale, diretti verso camere diverse. 

Passarono due giorni così: camera, pranzo, cena, silenzi, sguardi. Sguardi perché suo padre sapeva che sarebbe dovuta andare a scuola ed Avril non voleva. Ma non le diceva nulla, anche se era a conoscenza che entro una settimana dal suo arrivo l'avrebbe costretta ad andarci. 
Il cellulare le suonò: Calum.
"Pronto?"
"Ciao, Avril."
Era bello sentire la voce di Calum. Quel suo accento strano le piaceva. 
"Come stai?" gli chiese, sapendo già la risposta. 
E infatti, "Una merda, tu?"
"Una merda." gli fece eco. "Luke?"
Sentì un sospiro.
"Niente. Sta chiuso lì, forse tra due settimane esce. Il fatto è che ci era ricascato e si era fatto una pera a nostra insaputa. L'abbiamo lasciato da solo un attimo e non ha resistito. Ma l'importante è che ora si rimetta in sesto in quella clinica." 
Calum parlò così tranquillamente che Avril pensava scherzasse. La bocca con molte probabilità ce l'aveva spalancata.
Luke ci era cascato un'altra volta, in questo merdoso circolo della droga.
Avril odiava l'eroina e ora stava odiando anche Luke. Lo voleva picchiare, in quel momento.
"Non ci posso credere." sbottò poi infine.
Non piangere, si ripeteva dentro di sé. 
"Già. Ma è tutto sotto controllo, ora. Non ti preoccupare." cercò di consolarla, perché Calum riconosceva la voce di Avril quando stava per piangere. Ed Avril questo lo sapeva, ed è per questa ragione che cercò di calmarsi.
"Devo tornare lì. Me lo devo venire a prendere." affermò con una sicurezza che non era di certo della Avril di quell'ultimo periodo.
"Mi manchi, deficiente."
Lui rispose questo. 
Se lo immaginava sul letto di casa sua, stretto nel suo maglione e il suo beanie. Se lo immaginava col cellulare in mano e un sorriso imbarazzato dopo quella frase, preoccupato della sua risposta. Cazzo, quanto gli voleva bene. 
"Mi manchi anche tu, Cal."
Lo sentì ridere piano e "Oggi a scuola i professori erano agitatissimi. Ho pensato a te, a quanto te ne saresti innervosita." le disse. 
"Meno male che non c'ero, allora! Però, wow, sei andato a scuola." rifletté da sola.
"Già, ora che Luke non è qui, non ho nient'altro da fare." 
In effetti era vero. Tutto ciò che occupava loro le giornate era prendersi cura di lui, e forse per questo Calum ne sentiva molto la mancanza. Sospirò sconfortata.
"Va bene, Avril. Volevo solo sentirti. Vado a farmi una partita a FIFA, chiamami quando vuoi." 
"Va bene, allora ci sentiamo." 
Stava per chiudere la chiamata, quando "Ah, e Avril...?"
"Si?"
"Ti voglio bene, okay? Non te lo devi dimenticare. Non ora."
Avril quel "non ora" non l'aveva capito. Però, "Okay, te ne voglio anche io." rispose, per poi dar fine alla chiamata.

Ne passarono altri tre, di giorni così. E al terzo, Avril scese giù in salotto, perché in casa non c'era nessuno: Ashton, finalmente, si era deciso ad andare a scuola. Accese la tv, si sedette sul divano e cercò di immaginare che quella fosse casa sua, o magari quella di Luke. Qualsiasi casa fuorché quella di Ashton. Non che questi le stesse antipatico, è che non le andava bene convivere con una persona così viva e solare, quando lei era esattamente il contrario. Ed è per questo che, quando sentì le chiavi girare nella toppa, "Porca troia." imprecò, portando gli occhi al cielo.
"Ciao anche a te." esordì lui, togliendosi la giacca e andandola ad appendere. 
Avril seguì ogni sua mossa.
Lo vide andare in cucina e prepararsi un panino. Poi diede ogni sua attenzione alla tv che aveva davanti e cercò di dimenticarsi del ragazzo che, proprio in quel momento, si sedette di fianco a lei. Emise un verso di fastidio, ma Ashton parve non curarsene, procedendo coi morsi al suo stramaledetto panino. 
"Come te li fai, quelli?"
Una serie di parolacce passò per la testa di Avril. 
"Quelli cosa?" domandò, senza mai distogliere lo sguardo dallo schermo.
"I capelli, non il colore, intendo. Cioè, te li piastri tu in quel modo?"
"Ma li piastravo da un lato fino a tre mesi fa, ora sono rimasti così." 
Non voleva nemmeno chiedergli la motivazione di quella domanda, perché, sinceramente nemmeno le interessava. 
"Mi piacciono." commentò infine lui, dopo aver deglutito.
Avril voleva dirgli che non glielo aveva chiesto se gli piacessero o meno i suoi capelli, però non disse niente. Si alzò dal divano, gli passò davanti, pronta a salire le scale. 
"Luke..." parlò ancora Ashton. Sembrò fermarsi, ma poi continuò la frase. "Luke, come sta?" 
Ad Avril traballò l'anima. Quella proprio non se l'aspettava. Si fermò sul primo gradino della scala e si voltò. Gli guardò quegli occhi che tanto odiava e in quell'istante le venne una voglia matta di urlare. Non lo sapeva, il perché. 
"Non lo so." sbottò poi. 
Non gli chiese nemmeno quella volta il motivo delle sue fottute domande. La continuava a guardare e lei decise di girarsi ed andarsene. 
Quegli occhi avevano qualcosa che aveva anche lei, e questo le metteva angoscia e paura. 
Eviti di guardarti allo specchio e poi ti ritrovi negli occhi della gente. Non le andava bene, questo specchio verde chiaro.

La sera era sempre la parte più brutta della giornata. Le mancanze ti investono e ti sbriciolano velocemente. 
900 km.
Non poteva davvero crederci. Era così lontano. 
Ogni tanto doveva subirsi queste crisi che la spezzavano. Si immaginò Luke e le sue cadute di astinenza. Pensò che, se la rota fosse stata tanto brutta, allora quelle sue crisi ci si avvicinavano. E, come sempre, si ritrovava a contaminarsi con Luke. 
Stava incominciando ad impazzire e lo sapeva bene. Si alzò di scatto dalla scrivania e la sedia fece un rumore tremendo. Iniziò a racchettare vestiti dall'armadio e li gettò con ferocia nella valigia. Ci mise tutto ciò che aveva portato con sé da Sydney. Cominciò a camminare velocemente per la stanza, perché non poteva stare ferma, non quando aveva da fare così tanti km. 
"Ashton!" urlò a squarciagola. Non sapeva in quale parte della casa fosse, ma sperò che la sentisse. "Viene un attimo, Ashton." lo chiamò ancora. 
Lui aprì la porta della camera dopo circa 30 secondi. Aveva una bandana a arrotolata tra i capelli, una maglietta a maniche corte e dei pantaloni aderenti. Si chiese come facesse a non aver freddo.
Perché Avril stava tremando, soprattutto nelle mani.
"Ascoltami, mi devi aiutare." cominciò, accompagnata dalle lacrime che avevano appena iniziato a scendere. "Devo tornare a Sydney, ho un ragazzo che amo fino a far schifo chiuso in un centro di intossicazione. Lui le astinenze le supera solo con me. Non lo posso lasciare da solo, lo devo andare a prendere." Il labbro le tremava e per questo ogni tanto la voce le si abbassava. Non riusciva a stare ferma con le mani e Dio solo sa quanto avrebbe voluto smettere di piangere davanti ad Ashton. "E tu mi ci devi accompagnare." concluse.
Ashton aveva una faccia impassibile e la bocca semiaperta. La guardava come si guarda la scena di un film che ti prende totalmente. Ci furono istanti di silenzio, e poi lui disse solo: "Cazzo." 
Avril capì davvero quanto la situazione fosse anormale grazie a quell'imprecazione. Sapeva che fosse drastica, ma non aveva mai pensato ad un altro lato: era insolita. Non tutti i diciassettenni erano drogati e non tutti si ritrovavano a fare i conti con la rota. Anzi, probabilmente non sapevano neanche cosa fosse. E nemmeno lei lo sapeva, prima che conoscesse Luke. 
"Cazzo?"
"Sì, insomma... Oh mio dio. Non lo so."
"È strano e lo so, cristo santo. Ma tu mi ci devi accompagnare perché io non ce la faccio più." Avril lo stava seriamente implorando e non se ne vergognava neanche un po'. 
Lo vide mordersi il labbro, indeciso, e passarsi le dita tra il ciuffo mosso. 
"Come cazzo faccio, io, ad accompagnarti?" 
"Che ne so, se siamo in due, ci perdiamo in due. Dobbiamo prendere un taxi, farci accompagnare alla stazione e comprare un biglietto per il treno, perché io ce l'ho già per il ritorno. Dalla stazione poi io so la strada. Per favore." 
Ashton respirò a fondo per secondi lunghissimi, ed Avril aveva l'ansia che si espandeva in ogni molecola del suo corpo.
Ashton se ne andò. Poi ritornò, diede un pugno ad una porta e
"Spegni il telefono, va." sbottò alla fine, con fare arreso. 
Avril corse letteralmente ad abbracciarlo, agganciandogli le braccia un po' più sopra al bacino, perché Ashton era quasi alto come Luke. 
Si ritornava a Sydney. 
Si ritornava da Luke. 
Si ritornava a salvarsi. 

Cercarono per venti minuti il modo per ricercare un taxi e, dopo troppi tentativi, ci riuscirono e diedero l'indirizzo. Parlarono a bassa voce tutto il tempo e questo metteva un po' di ansia ad Avril: aveva paura che si scoprisse tutto. 
Alle dieci di sera i loro cellulari erano spenti, nessuno dei due era più rintracciabile.
Avril chiuse prima una valigia e poi l'altra, e successivamente le gettarono dalla finestra.
"Chi me lo ha fatto fare..." continuava a ripetere Ashton.
Si diressero poi al piano di sotto e "Noi usciamo un secondo, torniamo presto." annunciarono alla donna. 
Lei assunse un'espressione un po' perplessa, ma poi li salutò. 
Andarono a recuperare le valigie e svoltarono nella via parallela, quella che avevano dato al tassista per non farsi scoprire. 
Il taxi era già là. Un uomo barbuto scese dall'auto e, nell'esatto momento in cui chiese la destinazione, Avril ed Ashton si guardarono. Entrambi cercarono conferma nei loro occhi, ma ancora non sapevano che non l'avrebbero mai trovata, perché tutti e due riflettevano le stesse paure. 
Il tizio, dopo aver sistemato le valigie, partì. I due ragazzi erano entrambi seduti nei sedili posteriori, ed Avril osservava le vie di Melbourne dal finestrino. Quella era la seconda volta che l'abbandonava.

Il taxi si fermò davanti alla stazione. 
"Cristo." imprecava continuamente Ashton. 
Avril non lo sapeva il perché. Ashton era nervoso, lo vedeva dalla mano che continuava ad aprire e chiudere, per poi portarla tra i capelli. Entrambi erano terrorizzati, ma si diressero verso l'ufficio nel quale si vendevano i biglietti. Comprarono quello per Ashton e scesero nel sottopassaggio. Era buio pesto.
"Senti, perché non parli a me, invece di cristonare di continuo?" sputò acida Avril. Non aveva mai visto Ashton così.
Ma lui non rispose e salirono le scale. La stazione era enorme, il soffitto era pazzesco, ondulato e con quel colore che tendeva al giallo scuro. Ci era stata tante volte, ma ogni volta la apprezzava. 
Raggiunsero il binario sette, e il treno era già lì. Avril ed Ashton avevano smesso di parlare, così la ragazza fece per conto suo, non preoccupandosi di lui. Salì e, dopo aver sorpassato due vagoni pieni, ne trovò uno con due posti liberi. Si fermò, posò la valigia e si sedette. Ashton arrivò dopo poco e fece anche lui così. 
Il treno partì. 

Sentiva di star facendo qualcosa di grande. E se i rischi erano proporzionali alla grandezza, allora quei due stavano combinando qualcosa di altamente rischioso. Eppure le ore di viaggio passavano e stavano continuando ad andare incontro ai rischi. Avril aveva paura. Non solo per tutta quella situazione, ma anche per Ashton. Muoveva le gambe nervosamente, si mangiava le unghie e ogni tanto lo sentiva prendere respiri profondissimi. 
Poi Avril si addormentò, e solo dopo un'ora e mezza aprì gli occhi.
Ed Ashton era ancora in quello stato pietoso.
"Ashton." lo chiamò con la voce di chi si è appena svegliato.
Lui sembrò non sentirla. Oppure la ignorava.
"Ashton." ritentò.
Questa volta, il ragazzo si girò, la guardò di sfuggita ed Avril vide che i suoi occhi erano rossi e lucidi. Non conosceva bene Ashton, quindi non aveva idea di come gestirlo.
"Io non lo so perché stai così, però se ti va puoi dirmelo."
E lui rimase impassibile. Sembrò non esserci. Poi intrufolò le mani nei capelli, chiuse gli occhi e poggiò la testa contro il finestrino. Rimase lì così per molto tempo, ed Avril lo continuò ad osservare, aspettando che accadesse qualcosa. 
"Mi dispiace." disse lei.
"Per cosa?" 
"Di averti trascinato a Sydney con me, e ora stai così. Non volevo farti star male." 
Ashton si lasciò andare sull'ampio sedile in pelle, e rimase in quella posizione fino alla fine del viaggio. Avril si addormentò un'altra volta, e così nessuno parlò più.

La voce elettronica maschile che avvisava l'arrivo si sentì alle 8:30 del mattino. Scesero dal treno e faceva un freddo tremendo. Presero due scale automobili e si diressero all'uscita della stazione.
Era felice e impaurita allo stesso tempo. Ora che era davvero a Sydney, non sapeva cosa fare. Doveva nascondersi per non farsi vedere da sua madre e da qualsiasi altra persona che fosse in contatto con quest'ultima. 
"Vuoi fare colazione?" domandò Avril.
"Non ho fame." replicò lui. "Dove andiamo?"
Avril ci pensò su. "Non lo so." 
"Che cosa vuol dire che non lo sai?" 
"Che non lo so, cazzo. Fammici pensare. Okay, possiamo andare da lui. Lo devo chiamare. Sì, ci possiamo andare." decretò Avril nervosa, ansiosa e impaurita. 
Ashton si mise una mano sugli occhi con fare disperato. Poi arrivò un taxi, Avril diede l'indirizzo, caricarono le valigie e partirono.
C'era il suo cuore a fare eco in quella macchina, che sembrava in preda ad un infarto. Sentiva di avere la coscienza sporca nella città giusta.
E poi c'era Ashton, che pareva avere un attacco di panico da un momento all'altro. Allora Avril fece come aveva fatto con Luke mentre stava a rota, e gli prese la mano e la strinse nella sua. Ashton mise fine ai suoi movimenti ansiosi, si girò e le puntò quelle odiose iridi negli occhi. Avril sembrò avere un qualcosa che si avvicinava ad uno spasmo e ritirò la mano. 

Il taxi fece capolinea ad Harrington Street, ovvero la strada di fianco al parco con cui era stata con gli altri. Scesero, pagarono il tassista e cominciarono a camminare. Era mattino presto, quindi non c'era quasi nessuno in giro, e questo le metteva un po' più di sicurezza.
"Cristo." sbottò un'altra volta Ashton, quando passarono davanti al parco. "Cristo santo." e si fermò sul marciapiede.
"Puoi dirmi che ti prende?" chiese Avril sconcertata. Ashton iniziava seriamente a preoccuparla, così si fermò anche lei. 
"Non credo." le rispose lui tra il disperato e il terrorizzato.
"Okay, va bene, stiamo calmi. Ce la fai a camminare fino a Dailey Street?"
"Sì."
"Bene."
E riniziarono a camminare. Poi, mentre la ragazza osservava il cartello Dailey St, si fermò di botto e "Come facevi, tu, a sapere dove si trovasse questa strada?" domandò.
Ashton rimase sconcertato per alcuni istanti e "Non lo sapevo, infatti. Ho detto di sì perché sto bene e posso andare ovunque." spiegò.
Avril arricciò il naso e lasciò perdere. "Okay. Dobbiamo lasciare queste valigie da qualche parte e cercare di capire dove sta quella stramaledetta clinica.
"Sì, ma non possiamo vagare per le strade, ti vedranno." 
"Cazzo, Ashton, mi metti ansia." scoppiò Avril. Stava per esaurirsi, non aveva la situazione sotto controllo e lei odiava sentirsi così.
"No, Dio santo, sei tu che la metti a me!" inveì Ashton ad alta voce.
Una donna che passava per la parte opposta della strada si girò a guardarli.
Avril era furiosa.
"Per la cronaca, non sono io quella che continuava a lamentarsi a bassa voce! E Non urlarmi contro!" gli sbraitò addosso e buttò a terra la valigia. Odiava quando la gente le alzava la voce. 
"Cristo, Avril! Non ci voglio stare qua, e non so nemmeno perché ci sto. Me ne vado." 
"E allora vattene!" 
Avril aveva una gran voglia di tirargli uno schiaffo, ma strinse un pugno e cercò di calmarsi.
"Fanculo." esclamò infine Ashton, prima di voltarsi e incamminarsi dalla parte opposta.
Fece tre lunghi respiri e contò fino a dieci. Poi prese la valigia e accese il cellulare, mentre riprendeva a camminare. Decise di chiamare Calum. E lui non rispose. Richiamò e dopo alcuni secondi finalmente rispose.
"Avril?"
"Calum."
"Sono a scuola, Avril. Cosa c'è?" parlò a bassa voce. Probabilmente era nei bagni della scuola.
"Sono qui, puoi uscire?"
"Cosa? Cosa vuol dire che sei qui?" domandò il moro, questa volta alzando il tono.
Avril sbuffò.
"Cal, per favore. Esci in qualche modo e basta." disse, ormai stanca di tutte le sue pretese, di Ashton, di ogni cosa.
Chiuse la chiamata e iniziò a dirigersi verso la scuola.

L'aveva già visto, il Norwest Christian College, così vuoto e silenzioso. Però, quel giorno, le faceva quasi male. Quell'odiosa struttura era stata spettatrice del loro inizio. Era essa che conteneva i loro primi sguardi, i loro primi incontri e le prime parole scambiate. 
Lì dentro c'erano lei e Luke. 
C'era anche la paura di Avril, quella che le infliggevano gli occhi di Luke. C'era il periodo iniziale, quello che faceva schifo, quello in cui non poteva sapere che sarebbe diventato ancora più complicato col passare del tempo.
Poi una sagoma, in lontananza, scavalcò il cancello e si mise a correre. 
Calum. 
Non si preoccupò della valigia. Iniziò anche lei a corrergli incontro e, solo quando furono vicini, si abbracciarono. Calum stringeva fortissimo, e tutto l'odore di Melbourne venne cancellato da Avril.
"Mi sei mancato." sussurrò lei, con la testa nell'incavo del suo collo.
"Pensavo non tornassi più." 
"Smettila, non è vero. Lo sapevi bene." lo rimbeccò Avril, subito dopo che sciolsero l'abbraccio. "Sono scappata... E non da sola." disse infine.
Calum corrugò la fronte e "E con chi?" chiese.
"Con Ashton, il figlio della compagna di mio padre. Ma abbiamo litigato e se n'è andato. Ora non so dov'è ed è tutto un casino. E voglio sapere dov'è rinchiuso Luke." buttò tutto fuori, forse per sfogarsi, o forse per dar voce ad ogni sua preoccupazione e passarla a Calum.
"Senti, ora ce ne andiamo da qui e proviamo ad entrare a casa di Luke. Magari lì troviamo qualcosa che possa darci qualche indicazione sulla clinica." 
E, detto questo, salirono sul motorino di Calum e guidarono verso casa Hemmings.

Erano le dieci e mezza del mattino e faceva un freddo cane.
Calum spostò un vaso posto sul davanzale e recuperò un mazzo di chiavi. Aprì la porta tranquillamente. Entrarono in casa, trovando solo il silenzio.
Profumo di Luke ovunque.
"Cerca da qualche parte." le suggerì Calum.
Allora Avril cominciò a guardarsi intorno, in cerca di qualche documento o qualsiasi altra cosa che sarebbe potuta servire. Vide Calum che apriva cassetti e ante, così lo imitò.
"Non c'è un cazzo qui." si lamentò il moro, che aveva in mano tre fogli diversi. 
Avril diede un'altra occhiata intorno e si accorse di un comodino in salotto pieno di buste, fermacarte e post-it. Si avvicinò e iniziò a perlustrare, fermandosi solo quando lesse Luke Hemmings. Ora le mani le iniziavano a tremare. 
"Centri Multidisciplinari Integrati... Disturbi comportamentali di tipo ossessivo compulsivo... Calum! Cazzo..." biascicò con già la vista appannata. "Ribellione del sistema nervoso centrale..."
Calum poi le fu di fianco.
"Cosa cazzo è questo?! Somministrata buprenorfina e lofexidina?!" strillò Avril, in preda ad una crisi. Teneva i fogli così forte che li stropicciò.
Calum glieli prese e "Calmati, Avril." disse. 
"No! Questi sono pazzi, Luke non è un fottuto psicotico!" 
"Ascoltami, ascoltami. E' un drogato, ha le sue ricadute, i suoi problemi. Noi la chiamiamo rota, loro con i loro termini. E' lo stesso." tentò di spiegarle.
Allora Avril si calmò e si sedette sul divano.
"Non ce la faccio più, Cal. Non ce la faccio più."
Calum la raggiunse e prese posto di fianco a lei. "Non è vero, ce la puoi fare. Anzi, ce la possiamo fare." la consolò, accarezzandole dolcemente i capelli. 
"Non lo so."
"Lo so io, però. Ora bisogna prima cercare quel tipo che ti sei portata dietro e poi indagheremo su dov'è Luke. Mi sembra fattibile."
Lo guardò negli occhi e trovò quella sicurezza che Ashton non era stato in grado di darle.
Si poteva fare.

Uscirono di casa che erano le 11:00.
Calum andò a casa a fare qualche ricerca su quella fottuta clinica, ed Avril si aggirò per Sydney alla ricerca di Ashton.
Non poteva essere andato molto lontano, perché non poteva conoscere le strade. E, se sei almeno un po' intelligente, non ti viene in mente di allontanarti dal centro.
Allora Avril lo cercò per tutte le vie più vicine, ma a mezzogiorno non aveva ancora trovato alcune traccia di lui. Così, si fermò per poco a metter sotto i denti qualcosa, in un bar vicino. Si ricordò, poi, di rispegnere il cellulare, cercando di far finta di ogni singola chiamata persa. Quando intravedeva una macchina che assomigliasse anche di poco a quella di sua madre, subito si affrettava a cambiare direzione, e solo allora il suo cuore riprendeva a battere regolarmente. 

Poi arrivarono le due di pomeriggio ed Avril era stanca. Aveva quasi smesso di camminare, fermandosi su ogni panchina. Decise di entrare nel parco, quello di Luke, Michael e Calum. Sembrava sempre tranquillo, nonostante i drogati. Perlomeno di facevano gli affari propri. 
Mentre avanzava, però, lo vide.
Era seduto proprio sulla panchina che occupavano i tre ragazzi. Li vedeva sempre lì, alla sera. Ed era per questo che, non appena era entrata, aveva guardato in quella direzione.
Solo che quella volta c'era Ashton. 
Gli si avvicinò e restò a guardarlo: aveva uno sguardo assorto, come se stesse esaminando qualcuno, ma non c'era nessuno. E aveva questi occhi che la riflettevano, contornati da un rossore. Aveva proprio una brutta cera.
"Ehi." esordì Avril.
Lui si girò e la guardò, ma senza dire nulla.
"Mi dispiace. Ho reagito così perché sono nervosa e tutto è una merda. Non sapevo cosa fare e odio quando la gente mi urla contro. Non volevo, davvero." 
Le sembrò di parlare troppo velocemente e si sentì una stupida. 
"Okay." 
"Okay?"
"Sì, è okay. Ti scuso, perché anche io ero nervoso e non ti ho trattata poi così bene." affermò, alzandosi dalla panchina.
La lasciò un po' interdetta. "Beh, va bene. Ma dove vai?"
"Dove vai tu." 
Successivamente, uscirono dal parco ed Avril aveva intenzione di andare a casa di Calum, per avvisare di aver trovato Ashton, e anche perché, effettivamente, non sapeva dove stare.
"Comunque, non mi sembra che tu stia bene." osservò Avril, continuando a percorrere il marciapiede.
Ci fu una pausa di silenzio di almeno cinque minuti e, quando pensò che Ashton non avesse più intenzione di aprire bocca, "Sono nervoso, in effetti." confessò.
"Me ne parlerai, un giorno?"
"Sì, penso di sì." 
Poi Ashton si ammutolì e restò così fino a quando non arrivarono a casa Hood.
"Oh mio dio." disse. "Oh mio... E' questa la casa?"
"Ti senti bene? Sì, è questa."
Avril pensava che Ashton, da un momento all'altro, avrebbe avuto un infarto. Non respirava più regolarmente, e quasi le ricordò Luke.
"Non penso di... Poter entrare." sentenziò infine, con gli occhi puntati sulla porta.
"Ma che ti prende? Senti, mi stai facendo preoccupare."
Ashton non parlò. 
Avril andò ad aprire la porta e lui le rimase di fianco, spostato un po' più indietro. Chiuse gli occhi e li riaprì più volte, sempre lentamente. 
C'era Calum, in quella casa. Ma ce n'era anche un'altra, di persona.
E questa era Luke.
C'era Luke e, nell'attimo in cui si voltò per il rumore della porta che si apriva, non guardò Avril.
Guardava Ashton. 








Hei people! 
Nali is back, yep. Mi sento parecchio diligente, perché ormai sono sempre puntuale, lmao.
Questo è il capitolo più lungo di tutta la storia, ma non potevo fermarmi, perché volevo che finisse in questo modo.
Veniamo al dunque: all'inizio mi sembrava proprio un capitolo depresso. Avril disperata, Avril che sta per uscire fuori di testa. E quando ricorda ogni cosa di Luke, mi fa un po' di pena. E allora entra in scena Ashton, che la consola a modo suo. 
Anche lui ha una doppia personalità: allegro/nervoso. Ma la accompagna lo stesso a Sydney.
Sydney.
Un ritorno voluto ma, come ogni comune mortale, anche Avril ha una coscienza, e lei ce l'ha completamente sporca. Sydney sembra diversa, senza Luke. Si sente. E c'è bisogno di Calum, per mettere ogni pezzo a posto. Io li amo, quei due. Li amo troppo. 
Volevo dirvi che arriverà anche il trailer di questa storia.
E che non manca molto alla fine di Two.
Il banner è sparito, okay. Tornerà presto ahah.
Quindi, niente, come sempre vi ringrazio. Spero non smettiate di recensire e ora credo di poter andarmene :)
Ciao belle xx

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quello di Martina: danswtr

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Capitolo 22
*** Black. ***


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Black.

Avril guardò prima Ashton, poi Luke. 
Rimase esattamente lì, sull'uscio della porta. 
Luke stava passando davanti all'entrata, distante forse tre metri. Si fermò. Si portò le mani in viso, a mo' di preghiera, ricoprendo naso e bocca. Aveva le pupille spalancate. Cominciò a retrocedere lentamente, andando a sbattere contro il mobile del salotto. 
Calum, invece, era inerme. 
Sembrava che il mondo si fosse fermato. 
Avril non capiva, ma aveva quello stupido organo che batteva fortissimo. Si girò verso Ashton, e lo vide con la bocca semiaperta e lo sguardo che poteva sembrare terrorizzato e allo stesso tempo sorpreso. 
Allora capì. Era lui. 
Le si mozzò il fiato. Fece un passo all'indietro, come a volersi distanziare da lui. Voleva parlare, ma non ci riusciva. Riguardò Luke, e lo vide seduto a terra, con una mano sul petto, e una sul pavimento, come se si stesse reggendo solo con quella. Fissava il pavimento. Iniziò a respirare sonoramente, e lo fece fino a che non deglutì. 
Avril voleva avvicinarsi, ma ne era troppo spaventata. Fece scorrere lo sguardo tra il biondo e Calum, e quest'ultimo era nella stessa identica posizione di prima.
Poi Luke si alzò, senza dire una parola, e andò in cucina, che era collegata al salotto. Lo potevano vedere tutti. Aprì l'anta dell'armadietto con una ferocia inaudita, ed essa sbatté contro al muro. Prese un bicchiere, ed Avril temette che si infrangesse nella sua mano. Lo sbatté sul tavolo, fortissimo. Prese la bottiglia e rovesciò l'acqua all'interno fino a che non traboccasse. La bevve tutta in pochi sorsi, poi lanciò a terra il bicchiere, lasciando che tutti i pezzi di vetro si espandessero per il pavimento. 

Luke's pov
Pezzi di vetro ovunque, identici a quelli del suo cuore. Vedeva queste lame di ghiaccio cadere sulle piastrelle, quelle che fino a pochi secondi fa ricoprivano il suo cuore ghiacciato, quelle che facevano da scudo, poiché lo ricoprivano. 
Spalancò gli occhi, vide sul pavimento due anni vissuti inciampando su un qualcosa che non era mai successa. 
"Oh mio dio." 
Questo fu tutto quello che Avril disse. Solo questo, prima che Luke desse un pugno alla porta della cucina, sulla quale si formò un solco.
Avril si portò una mano sulla bocca.
Qualcosa dentro di lui stava bruciando. 
Poi vide Calum sedersi a terra, con le ginocchia piegate e la testa bassa. Tra le mani stringeva dei ciuffi di capelli. 
"Io..." disse Ashton. Ma poi si fermò, deglutì e non finì la frase.
Quella voce quasi non la sentì. Ritornò in salotto, col fuoco che procedeva a carbonizzare ogni suo organo. Un rumore echeggiò per la casa: aveva dato un calcio al divano. Non aveva sentito dolore, perché quello al suo interno lo annullava.
Avril assomigliava ad una piccola foglia tremante. In quel momento, aveva paura di Luke e lui non riuscì a fermarsi. 
Si vide passare per quelle iridi azzurre gli anni che aveva vissuto, cercando di non annegare tra le mancanze, mantenendosi a galla solo grazie a Michael e a Calum. Ne era uscito sfinito, ed ora, in una mattina di marzo, una bufera gli si era riversata contro. 
Stava dando di matto. 
Aveva gli occhi pieni di lacrime e le mani tremanti. Era fuori di sé. 
Poi emise un verso, forse di sfogo, forse di rabbia. Andò vicino al muro, ci poggiò la fronte e le mani, che erano chiuse a pugni. 
Piangeva. 
Restò così. Cercava di pensare e non riusciva: un tornado di pensieri gli stava sbattendo ferocemente nella testa, facendogli venire un mal di testa tremendo.
Dopo un po', cominciò a battere quei pugni sul muro, come a volersi liberare del mostro che gli si era insinuato dentro. Voleva spaccare quelle pareti. Voleva far del male a qualcuno. Voleva urlare. 
Vide con la coda dell'occhio Ashton avanzare in casa. "Posso spiegare, Luke." 
Parlò a bassa voce ma, a causa del silenzio che regnava in quella casa, si era udito benissimo.
Luke emise un gemito, al sentire quella voce. Faceva male. Faceva conficcare lame nel petto. Il fuoco bruciava tantissimo, ora. Gli prudevano le mani, sentiva di non essere la stessa persona. 
Questo non poteva essere vero. Chiudeva ed apriva gli occhi, ma quella sagoma era ancora lì. Tutto intorno a lui girava.
Smise di tirare pugni. Si girò e gli puntò di nuovo gli occhi addosso. Stettero a guardarsi per minuti, mentre Calum non si smuoveva nemmeno di un centimetro dal pavimento. 
Quel verde. 
Sperò che prendesse fuoco anche Ashton, insieme a lui. Solo per fargli sentire che cosa si provasse ad essere, anche per un solo secondo, Luke Hemmings.
"Non mi devi spiegare proprio un cazzo." affermò, mettendoci così tanta freddezza. Sentiva il battito rallentare, e poi si accorse di star trattenendo il respiro. 
"E' un fottuto scherzo?" chiese ironicamente. "Cosa diavolo è tutto questo?" 
Aveva paura di se stesso, paura di ciò che stava vedendo, di dov'era. Era scioccato. Il dolore, che aveva provato vedendolo allontanarsi con l'ambulanza, era ritornato. Lo sentiva insidiarsi dentro di lui, scorrergli nelle vene e bruciare. E, non appena iniziò con grandi falcate a dirigersi verso Ashton, Avril si spostò velocemente, andando verso Calum, ma senza distogliere gli occhi dai due. Aveva il terrore negli occhi e Luke l'aveva visto. Ma non poteva fermarsi. 
Un tornado non lo si può fermare.
Ma un tornado di fuoco?
Fece quello che le mani gli fecero fare. Tirò indietro il braccio, giusto per caricare più forza, e un pugno raggiunse il viso del ragazzo che sperava fosse solo una sua immaginazione.
Si sentì un verso smorzato provenire da Avril, poi solo il silenzio. 
Guardò la sua mano e no, non era solo una stupida allucinazione. C'era sangue, sulle sue dita. Ed Ashton era caduto a terra, tenendosi una mano sul setto nasale. 
Luke aveva voglia di distruggere. Voleva mostrargli una piccola parte della sofferenza che aveva patito per lui, in quei due anni. Ma un pugno non ripaga il grigio. Un pugno non ripaga le lacrime, l'eroina, l'apatia, gli sguardo vuoti, i cuori spenti. 
Gli saltò quasi addosso, spingendogli la schiena contro le piastrelle fredde. Gli sganciò un altro pugno, forse più forte del primo. Non lo sentiva, non lo capiva: il fuoco annullava tutto. 
Nel frattempo, piangeva. Piangeva come non faceva dal 16 aprile. 
Ashton cercò di ribellarsi, tentando di alzarsi, ma Luke strinse forte la sua maglia e lo strattonò.
"Dimmi cosa cazzo sta succedendo!" irruppe urlando, sentendo in bocca il sapore salato delle lacrime. 
"Calmati, Luke! Se continui lo ammazzi!" intervenne Avril. 
Luke fece come se nessuno avesse parlato. Il suo palmo si schiantò contro la guancia di Ashton, e quest'ultimo gli strinse forte le braccia, per poi farlo scendere dal suo corpo e gettare anche lui a terra. Luke emise un gemito di dolore, si morse il labbro, sentendolo spaccarsi. 
Il braccio. 
Il braccio era forse il suo punto più debole, perché lì ci aveva piantato chissà quanti aghi. La fitta di dolore non andava via. Chiuse gli occhi, li strinse fortissimo. Ashton si era fermato e si era allontanato immediatamente da lui, strisciando sul pavimento. Entrambi avevano i respiri accelerati, che si diffondevano per tutto il salotto. 
"Merda." imprecò, portandosi una mano sul braccio, che sentiva pulsare come non mai. 
Aprì gli occhi, e poté vedere Ashton che lo guardava con le pupille spalancate, e la faccia a contatto con le piastrelle. Lui non poteva sapere niente. 
"Luke..."
Questo era Calum. Si girò per la prima volta a guardarlo: ancora seduto, rannicchiato su se stesso, gli occhi colmi di lacrime e l'espressione sconvolta. Avril si era postata di fianco a lui, e gli stringeva la mano in una presa salda.
"Sto bene." affermò, guardandolo negli occhi. 
Sofferenza che si mischiava ad altra sofferenza. Si erano rotti. E i loro pezzi erano sparsi da ogni parte. Calum non poteva recuperare quelli di Luke, e Luke non poteva cercare quelli di Calum. Erano finiti, quei due, quel pomeriggio di marzo. 
Sapeva, Luke, che non sarebbero bastati i cerotti, questa volta. Non sarebbe bastato nemmeno Calum, nemmeno Michael. Questa volta, i cocci si erano triplicati. 
Calum scosse la testa, poi abbassò lo sguardo sulle sue scarpe. Allora Luke riportò la sua attenzione ad Ashton, sperando che il fuoco dentro di lui si spegnesse. Ma non lo fece. Era un casino, Luke Hemmings, disteso su quel pavimento freddo, con le fiamme che incendiavano, le fitte al braccio, gli occhi pieni di rabbia. Perché, il primo meccanismo che scatta alle persone, quando non sanno cosa provare, è l'odio. L'odio che evade, che annienta, che ti spinge verso il nero.
Luke non era più grigio.
Luke era nero.
Piantò i pugni a terra e raggiunse Ashton, strisciando, per quanto riuscisse. L'altro si mosse velocemente, alzandosi di scatto per sfuggirgli. Ma anche Luke si alzò. Gli conficcò le unghie nelle spalle, e lo sbatté contro al muro. 
Non lo sapeva, cosa stava facendo. Non lo voleva nemmeno sapere. 
"Tu sei morto." ringhiò a denti stretti. 
Ashton aveva un'espressione contratta dal dolore, ma "Non lo sono." ribatté. 
Luke si allontanò con uno scatto felino. La realtà iniziò a dipingersi davanti a lui proprio in quel momento. Ashton era vivo. Infilò le mani tra i capelli e cadde in ginocchio, di fronte a quello che era il suo migliore amico. Poi sentì una mano poggiarsi leggera sulla sua spalla, e avrebbe scommesso su qualunque cosa che fosse quella di Calum. Luke si sollevò e, senza pensarci per nemmeno un istante, abbracciò il moro. Non aveva mai ricevuto un abbraccio così forte. Sentiva come se, in quel momento, Calum gli stesse dicendo: "Tieni, ti ho ritrovato un pezzo di tutto quello che ti si è distrutto dentro". Lo strinse, come non aveva mai fatto con nessuno. Il maglione di Calum strusciava contro il suo collo, e il fuoco cominciò a raffreddarsi. 
"Mi dispiace." gli disse, e il biondo annuì.
"Dispiace anche a me." 
Si staccarono così, dopo che Calum gli accarezzò la schiena. Ma Luke, nonostante questo, non stava bene. Luke non stava. Non sentiva di star realmente vivendo quegli attimi, forse aveva creato un distacco con ciò che lo circondava. 
"Me ne vado." annunciò, con una voce flebile, non sicuro di ciò che era, nel caso fosse stato davvero qualcosa. 
Attraversò la stanza e "Aspetta, Luke." Avril lo implorò.
E lui, calpestando ogni suo pezzo, se ne uscì. 
Qualcosa mi sa che lo era. Freddo. Consumato. Rotto. Svuotato. Inerte. Nero. Ed ora si sarebbe dovuto accettare così.
Camminava, senza aver timore di essere visto. Lui non c'era. Ed anche se quei dottori della clinica l'avessero trovato, non si sarebbe ribellato. Fino ad un'ora fa stava correndo con l'adrenalina sparata a mille, ed ora non sarebbe più scappato. Forse, questa volta, non ce l'avrebbe più davvero fatta. E non gli sarebbe più bastata una dose di eroina, perché non aveva più interesse nel trovare i colori. 
Luke Hemmings non avrebbe più avuto un inizio. 
Andò dove le gambe lo portarono, passando per vie e strade che sembravano ricoperti da strati di ricordi. E si ritrovò proprio lì, nel vicolo di Due. Era tutto diverso, ora, quel posto. Esso era stato dilaniato dalla morte di Ashton, e adesso cominciava a perdere tutta la mostruosità che aveva assorbito. 
Luke osservava quelle mura grigie, nascoste al mondo, e non poteva far altro che lasciare che il nero lo divorasse. 
Ci sono cose che ti segnano. Ci sono croste che si formano, e cicatrici che non se ne andranno. Proprio come quel due, scritto da lui stesso anni prima. Ci poggiò la mano sopra, come per accarezzarlo, e un treno di ricordi lo investì senza pietà. Si ricordò di quando andò con Ashton e gli altri insieme al parco. Ridevano, correvano, erano semplicemente spensierati. E Luke prese una storta, sentendo un dolore lancinante alla caviglia, impedendogli di camminare. Allora Ashton lo portò fino a casa, al buio, con il suo braccio attorno al collo. "Come lo dirai ai tuoi di esserti slogato una caviglia giocando a nascondino a quindici anni?" gli aveva chiesto. E Luke gli fece promettere di non dirlo a nessuno, e quello sarebbe stato uno dei tanti loro segreti. Luke era al sicuro, con lui. Ed ora, non era nemmeno al sicuro con se stesso.
Il muro era freddo, ma era anche vivo. Proprio come Luke. E quella scritta, così vicina, faceva male. Perché, fino a quel momento, si era ritrovato rotto, con un pezzo mancante, con una sola metà, che gli avevano rubato quel 13 aprile. Adesso, così, senza preavviso, gli riavevano attaccato quella metà, con fili e circuiti sbagliati. Era stata ricucita troppo velocemente, di botto, nel momento in cui Ashton aveva aperto la porta. Il problema era che ora ce l'aveva, e non poteva più staccarsela. 
Eppure, non erano più in due. 
Era solo uno, era solo Luke. 
Fissò ancora quella scritta, cercando di reprimere il disastro che c'era dentro di lui. Ci sono avvenimenti che ti spaventano, che sono così assurdi ed inaspettati che la nostra mente rifiuta di assimilare, e questo provoca un trauma. Ecco, cos'era Luke Hemmings: traumatizzato.
Aveva creduto a tutto, si era lasciato soffocare da un qualcosa che non era nemmeno accaduto. Cristo, Ashton era vivo. Non riusciva a realizzarlo e, quando ci provava, una serie di immagini gli passavano per la testa, creandogli solo più confusione. 
Si sedette a terra, sull'asfalto lurido e umido. Iniziò a piovere piano, o forse era lui che non sentiva forte la pioggia. Puntava le iridi azzurre sul muro, e non faceva una piega. Lo osservava e basta, sperando che ogni sentimento lo abbandonasse. 
Spento. 
Voleva essere spento. Per sempre. 
Ma poi udì dei passi e, non appena si voltò, Calum apparve all'inizio del vicolo, che camminava tra la pioggia. 
"Dovresti tornare a casa, sta piovendo." esordì il moro, mentre avanzava verso di lui.
"Anche tu dovresti." lo rimbeccò l'altro, senza mai distogliere gli occhi dal Due. 
"Non dovresti più venire qua." 
Ma lo sapeva bene. Non doveva andare lì, non doveva sporcare tutti quei ricordi invadendo con la sua presenza, che consisteva solo nella tristezza. Avrebbe dovuto far finta di niente, mettere allo scuro quel vicolo di tutto quello che era successo poco fa in quella casa, e fingere che tutto fosse come prima. 
E invece no. 
Luke ci era riandato, l'aveva invaso, perché quella era la sua fottuta casa. Ashton era ancora la sua casa, non aveva mai smesso di esserlo. E questo faceva male, questo squarciava le cicatrici che in quei due anni si erano create dentro di lui. L'aveva abbandonato, ma Luke era rimasto. 
Gli occhi cominciarono a pizzicare, la vista ad annebbiarsi. Si portò una mano sul viso e "Andiamo a casa, Luke. Andiamocene." disse Calum, prendendolo per il polso.
E Luke avrebbe voluto distruggersi da solo, in quel momento. Perché l'unica casa che aveva, sapeva benissimo quale fosse.
Pioggia che si mischia alle lacrime, battiti scanditi dalla paura di ricordare, occhi che ritornano, scritte che non se ne sono mai andate. 

Quando tornarono, la casa di Calum era vuota. Erano completamente inzuppati, quindi si fecero a turno una doccia calda. Poi si sdraiarono sul letto di Calum, quello a due piazze, e ascoltarono il rumore della pioggia incessante. La stanza era poco illuminata ma, non appena Luke incontrava gli occhi del moro, giurava di vedere una tristezza infinita. Odiava vedere gli occhi tristi della gente. 
"Hai chiamato Michael?" interruppe quel silenzio.
"Sì, ha detto che stasera sarebbe venuto. Non ha fatto una piega. Ho paura." gli confessò Calum, con un sussurro.
Luke si girò e osservò il profilo del suo viso. "Di cosa?"
L'altro inspirò ed espirò profondamente. "Di quello che tutto questo ci farà." 
"Anche io ne ho."
"Era vivo... Ashton era vivo."
Luke sapeva che Calum stesse parlando più con se stesso, che con lui. Sentiva la novità di quella notizia inceppata nel suo tono di voce, vedeva la sofferenza in quegli occhi color nocciola. 
Luke non disse niente. Restò a consumare il soffitto con gli occhi, avvolto nella penombra. Anche Calum sembrava non volerne parlare più, perché forse quella situazione stava gravando su entrambi nello stesso modo. Forse, quello che sentiva lui era esattamente ciò che anche Calum era costretto a sopportare sulla sua stessa pelle. 
E probabilmente non si sbagliava, poiché quella stanza era troppo colma di dolore, pensieri che uccidevano e urli repressi, per essere di una sola persona. 
"Ti staranno cercando?" gli chiese Calum.
"Chi?"
"I medici, quelli della clinica." 
"Ahm, penso proprio di sì. Anche la mia famiglia, credo." rispose, con la voce abbattuta. 
Si era cacciato in una situazione troppo rischiosa, e di questo ne era a conoscenza. Ma non poteva restare ancora di più in quel posto. Lo facevano sentire un pazzo, uno squilibrato. E Luke li odiava. 
Calum sospirò, e l'altro sapeva già che volesse significare come un rimprovero. 
"Mi dispiace, Cal, ma tu non sai cosa mi facevano fare, lì dentro." 
"Ma almeno avresti potuto lasciare una volta per tutte l'eroina." 
Non voleva arrabbiarsi con Calum, ma quella frase proprio non la digerì.
"Non mi sto più drogando, cazzo. Sto bene, ora. Non ho bisogno di un centro di disintossicazione." affermò, forse con un tono troppo duro. 
Ma lui era fatto così. Salvarsi grazie alle persone lo faceva sentire debole, più di quanto lo fosse in quel giorno. 
Lo vide scuotere la testa, in segno di disfatta. E gli venne una gran voglia di abbracciarlo. Poi sentirono la porta aprirsi, ed entrambi sperarono che non fossero i genitori di Calum. Quando poi videro Michael varcare la soglia della camera, Luke avrebbe dovuto sentirsi sollevato. E invece accadde tutto il contrario, perché Michael aveva una faccia che non avrebbe dimenticato neanche in una prossima epoca. La pelle era ancora più chiara del solito, le labbra piegate quasi impercettibilmente all'ingiù, e gli occhi erano la cosa più spaventosa. Così tristi, spenti, che lasciavano trapassare ogni tipo di sofferenza. 
Non lo salutarono, non si salutarono. Era rimasto lì per alcuni secondi, poi si avvicinò al letto e si sdraiò di fianco a Luke. E questi poté sentire il corpo che era un blocco unico, di ghiaccio, freddissimo e bagnato. 
"Michael..." disse Calum.
Ma tutto ciò che si sentì, in quella stanza, fu un singhiozzo.
Erano loro tre. Così come lo erano stati da quando Ashton se n'era andato. Sdraiati su quel letto, circondati da mura che erano le uniche spettatrici del burrone di dolore in cui stavano scivolando. 
Alla fine si ritrovavano sempre loro, a fare i conti con quella che era la realtà. 
Passarono la notte così, senza più pronunciare una parola. Luke ci aveva provato, a dormire. E lo aveva fatto per mezz'ora, ma poi si era svegliato col cuore a mille, la fronte sudata e il respiro accelerato. Non ricordava nemmeno cosa avesse sognato. Guardò Calum, e lo vide addormentato, con un'espressione in viso che non rispecchiava per niente tranquillità. Successivamente, osservò Michael che, come lui, era un'anima sofferente, vagante per la notte. Era sveglio e impassibile: qualcosa di veramente inquietante. Chiuse gli occhi, immaginandosi che quella non fosse la realtà.

Quando Calum si svegliò, Luke era fuori in balcone, con una sigaretta tra le dita, a contemplare la città. Sentì la portafinestra aprirsi e "Buongiorno." bofonchiò.
"Ehi." lo salutò Luke, girandosi a guardarlo distrattamente. 
Calum sbadigliò e si stiracchiò. "Notte insonne, immagino."
"Già." lo assecondò, per poi aspirare il fumo. 
"Mi sa che non sei l'unico." 
"Cosa?"
"Avril mi ha appena chiamato, mi ha svegliato lei. Sembrava piuttosto scossa, non ha dormito nemmeno lei. Penso che dovresti parlarle."
Gli si bloccarono le parole in bocca. Buttò il mozzicone dal balcone e si passò una mano tra i capelli. Ultimamente, quando si parlava di quella ragazza, una strana sensazione cominciava ad innescarsi in lui. Qualcosa che non aveva mai provato: un misto di battiti accelerati, mani che sudano, e stomaco in subbuglio. 
Questo non gli piaceva per niente. Ne era totalmente spaventato.
Ed ora, se ci pensava, l'aveva trattata come se tutte queste sensazioni non le avesse mai provate. 
"Va beh, Luke, di sotto c'è mia mamma. Torna dentro, ché qui fa un freddo cane." 
E, detto questo, Calum rientrò nella stanza, lasciandolo perso nei suoi pensieri. E questi suoi pensieri portavano solo ad una persona.
Poi scese di sotto, sentendo già la madre di Calum urlargli contro, pronta già a chiamare Liz. 

Avril's pov
Non appena erano usciti dalla casa di Calum, Avril aveva chiamato Vicky, la prima persona che le era venuta in mente. Avril le raccontò di Ashton, questo suo ipotetico fratellastro, ma non le spiegò più di tanto. Era arrivata subito al dunque, chiedendole un posto dove stare con Ashton. E, al contrario di come avesse pensato, Vicky si dimostrò entusiasta di questa sua richiesta, e felice di risentire la sua voce. Le chiese di non dire niente a nessuno, perché con sua mamma doveva parlarci solo lei. Vicky sapeva che Avril fosse stata a Sydney, di conseguenza anche la zia di quest'ultima ne era a conoscenza. Ma chiese di mantenere il silenzio, e avrebbe spiegato tutto più avanti. 
Non appena suonò il campanello, Vicky spalancò la porta e la strinse tra le sua braccia. Avril sembrò un po' titubante nel ricambiare, ma poco dopo si staccarono. Successivamente, Vicky osservò il ragazzo che stava dietro di lei, e si portò una mano sulla bocca.
"Ma tu eri..."
"Morto." l'aiutò Avril. "Ti spiego tutto, se ci fai entrare."
Vicky si spostò dall'entrata per farli passare. Lo fece senza mai staccare gli occhi da Ashton. 
"Oh mio dio." la sentì dire a bassa voce, mentre chiudeva la porta. 
"C'è qualcuno in casa?" domandò Avril, andandosi a sedere sul divano, seguita a ruota da Ashton. 
"No, lo sai, mia mamma è quasi sempre al lavoro. Ma, ti prego, raccontami tutto." 
Avril guardò Ashton: il sangue secco ancora sul viso, i capelli in disordine, le labbra serrate, il viso con un'espressione che non lasciava passare nessuna emozione.
"Forse è lui che dovrebbe spiegare qualcosa a me." affermò, attirando l'attenzione del diretto interessato. Le piantò quelle iridi verdi nelle sue, e solo in quel momento capì cosa c'era di così uguale in esse. Avevano sofferto per la stessa persona, e nemmeno potevano immaginarselo.
Aveva vissuto nella casa della persona che aveva ridotto Luke ciò che era ora. E questo, davvero, non riusciva a saperlo assimilare. 
Non sapeva cosa provare. Le veniva voglia di allontanarsi da Ashton, ma poi pensava che ci dovesse essere per forza una motivazione di tutto ciò.
"Ma comunque," riprese il discorso "Ashton sarebbe il mio fratellastro. La stessa persona che credevi che fosse stata uccisa da Luke. Credo che tu debba delle scuse sia a me, sia a lui. Cazzo, è assurdo." 
Poi vide l'espressione sorpresa di Ashton, che lasciava intendere anche paura. 
"Sì, perché tu non lo sai, ma Luke è stato accusato da tutti di essere stato lui ad ucciderti. La gente non ci parla più, con lui. Non parla più neanche con Michael o Calum. Passano tra i corridoi e tutti si spostano, perché ne hanno fottutamente paura. È cambiato tutto, da quando non ci sei. E Luke ha passato le pene dell'inferno, per te. Cazzo, dove sei stato fino ad ora? Dove sei stato quando Luke si piantava in vena le peggiori dosi di eroina? E quando sbatteva i pugni sulle porte perché gli mancavi? Eh? Dimmelo tu, perché sto combattendo una lotta che non ho nemmeno iniziato io. Ma tu stesso, Ashton." 
Sentiva il sangue pulsare nella vena del collo, il tono di voce che si alzava, proporzionalmente alla rabbia che aveva nel corpo. 
Vicky aveva la bocca spalancata, e quegli occhi che sembravano avessero visto un fantasma. Ashton, invece, deglutiva a vuoto.
"Eroina?" chiese, titubante. 
Avril annuì, e lui "Cristo." imprecò sottovoce, portandosi le mani in viso. 
"Beh? Allora?" lo esortò, ormai su un punto di crisi nervosa. 
"Lo spiegherò a lui." annunciò infine. 
Ed Avril avrebbe voluto prendere una sedia dalla cucina e lanciargliela addosso. Poi si ricordava che, nonostante tutto, era quello il ragazzo che faceva vivere Luke. Lei non poteva fare niente, perché sapeva l'importanza vitale che aveva per lui, anche se, poco prima, era stato proprio Luke a picchiarlo. 
"Beh, allora esci e vallo a cercare. Penso che abbia sofferto già abbastanza." 
Ashton si passò le mani sui pantaloni in un gesto nervoso, poi sospirò. Avril li vide, quegli occhi lucidi. E il cuore iniziò a farle male. 
"Senti, scusa. Non volevo essere così dura, però è stato brutto vedere Luke in quelle condizioni." provò a scusarsi, spinta dai sensi di colpa. 
Ma Ashton abbassò lo sguardo, scosse la testa e "Lascia stare." le consigliò, con voce arrendevole.
Avril si lasciò andare sul divano. Espirò, inspirò e chiuse gli occhi. Voleva che tutta quell'agitazione dentro di lei si estinguesse. Ma il fatto era che, diamine, Luke l'aveva ferita. Voleva nasconderlo a se stessa, perché era da egoisti star male, quando in corso c'era una situazione più drastica. Però, quando picchiava Ashton, e lei lo esortava a smettere, o quando lo chiamava per non farlo andare via, lui faceva come se lei non fosse mai esistita. Avril l'aveva notato. 
Non sapeva nemmeno perché fosse in quella casa, a dir la verità. E, vederlo lì, che stava bene, l'aveva scombussolata. 
Avrebbe voluto dirgli di aver viaggiato km e km solo per lui.
Avrebbe voluto dirgli dei pianti a notte fonda.
E forse avrebbe dovuto anche dirgli dell'amore insano che provava. 

Nessuno parlò più. Passarono la fine della giornata in silenzio, con Ashton sdraiato sul divano, Avril nella camera di Vicky, e quest'ultima che provava a studiare. 
Era ormai ora di dormire, quando arrivò la madre di Vicky. Sentirono delle urla e, scendendo velocemente al piano di sotto, trovarono Ashton intento a spiegare la situazione. 
"Mamma, calma, Ashton è un mio amico." intervenne Vicky. 
La madre si girò, rossa in viso, e venne attirata da Avril.
"Oh santo cielo, e tu cosa ci fai qua?"
Avril deglutì. "Sono tornata a Sydney."
"Beh, questo l'avevo capito. Tua madre non mi aveva avvisata che saresti tornata oggi." disse, esaminandola attentamente. 
Avril guardò prima Ashton, poi la donna. "Già, non l'ho avvisata nemmeno io."
E la madre, da rossa in viso, sbiancò improvvisamente. "Che cosa vuol dire?" 
"Ti prego, non dire niente a mia mamma. Giuro, le spiegherò ogni cosa, la chiamerò domani." la supplicò, con una certa ansia nelle parole.
Si aspettava che scoppiasse proprio in quel momento, e invece "Oddio, tesoro! Hai viaggiato da sola? Stai bene? È successo qualcosa?" fece questa serie di domande, posando la borsa a terra e andando ad accarezzarle la guancia.
"Io... No, ho viaggiato anche con lui." ed indicò Ashton "Sto bene, non è successo nulla di grave. Domani sistemerò tutto."
Vide una gran pena nelle iridi di sua zia, quando pronunciò quel "Oh". Cercò di nascondere lo schifo che le aveva provocato quella esclamazione.
"Va bene, non dirò niente. Ma adesso andate a dormire, è tardi." 
Avril annuì e guardò Ashton. Si parlarono con gli occhi, così troppo simili, e lui si alzò dal divano.
"Spero non sia una fuga d'amore." continuò la donna. "C'è una stanza per gli ospiti, cercate di dormire in camere separate, voi due." indicò Ashton ed Avril.
I due diventarono paonazzi, e a Vicky spuntò un'espressione di puro divertimento. 

Alla fine, Ashton passò la notte due camere distante da quella delle due cugine, e queste dormirono insieme, abbracciate, come se ogni lite non fosse mai esistita. Non piace ad Avril, a dir la verità, il fare finta di nulla. Avevano conti in sospeso eppure, ora come ora, non avrebbe avuto la voglia di intraprendere una discussione. L'abbracciava e ad Avril andava bene così, sentendosi un po' meno sola. Non chiuse occhio e non poteva sapere che, gli stessi pensieri che la stavano turbando, erano infilati anche nella testa di un'altra persona, che in quel momento era intenta ad osservare il soffitto, coi suoi fari azzurrissimi. 

Al mattino, quando Avril si svegliò, Vicky non c'era più nel letto. Allora si alzò, andò a controllare la camera di Ashton, e nemmeno lui era presente. Scese le scale, per poi trovare entrambi seduti al tavolo, con davanti una tazza di caffè.
"Buongiorno." l'accolse Vicky.
"Giorno." biascicò, ancora mezza addormentata.
Ashton le fece un cenno con la testa, in segno di saluto. La prima cosa che Avril pensò fu questa: sembra un barbone. Aveva i capelli ricci arruffati, gli occhi stanchi e forzatamente aperti, l'aria di uno che non dorme da giorni. 
Prese un bicchiere di succo e nel frattempo "Dovresti sistemarti almeno un pochino." gli consigliò. 
Lui optò per il silenzio, portandosi alla bocca la tazza di caffè.
"Non parla da quando si è alzato." la informò la cugina. 
Avril bevve il succo e, prima di salire ancora in camera, "Andiamo da Calum, tra poco." gli comunicò. 
E se ne andò di sopra, a cercare di sistemarsi. Telefonò anche a Calum, mettendolo al corrente delle condizioni pietose in cui era, e gli disse che sarebbe arrivata tra poco. 
Passarono una manciata di minuti e scese al piano di sotto, trovando solo Vicky.
"Comunque... Grazie." esordì. 
"Di niente, spero che tutto si sistemerà." le rispose, con un sorriso rassicurante. 
Aprì la porta, vedendo Ashton già fuori dal cancello, che la stava aspettando. 
"Spero gli darai delle spiegazioni, oggi." proferì duramente. 
E quella fu l'ultima frase detta, prima di incamminarsi verso casa Hood.

Suonò il campanello, e Calum fu colui che comparve all'entrata. 
Era forse la reincarnazione della tristezza, quel ragazzo? Nessun sorriso, nessun segno di serenità sul viso. 
"Ehi." le disse solo. 
Ma lei si aggrappò al suo collo, soltanto per pochi attimi, giusto per risentire il suo profumo.
Entrò in casa, seguita da Ashton, e vide una signora, che in quel momento stava spolverando i mobili. 
"Permesso." 
La donna si girò e, dopo un primo momento di confusione, le sorrise.
"Ciao, ragazzina. Come ti chiami?" le chiese, fermandosi nelle sue pulizie.
"Avril, un'amica di suo figlio."
"Va bene, ora andiamo di là, ciao mà." la congedò con un pizzico di rimprovero.
Lei rise e si rimise a spolverare. Intanto, gli altri andarono nella stanza di fianco, dove c'era una televisione che mandava in onda uno stupido Talk Show. 
Calum non guardava Ashton, forse non ne aveva il coraggio. 
"Dov'è Luke?" domandò Avril.
"Di sopra, c'è anche Michael."
E, proprio mentre finì di pronunciare la frase, dall'inizio delle scale si vide passare Michael per il corridoio. 
"Vado un attimo su. Arrivo." annunciò Avril. 
Guardò poi Ashton, intimandogli con lo sguardo di parlargli. O, almeno, spiegargli qualcosa.
Salì, quindi, ritrovandosi in un corridoio che non aveva mai visto. Andò a sinistra, il lato in cui aveva visto Michael dirigersi. Aprì la prima porta, notando il ragazzo sdraiato sul letto. 
"Michael." lo chiamò.
Lui restò con la faccia piantata nel cuscino. "E' di sotto?" chiese, e Avril a malapena capì cosa diavolo avesse detto.
Si sedette anche lei, e il materasso si inclinò maggiormente.
"Sì. Non scendi?" 
"No." 
Avril sbuffò. Ora avrebbe dovuto convincerlo, e proprio non ne aveva voglia. Assottigliò lo sguardo, e l'osservò meglio. C'era qualcosa di diverso nei suoi capelli. Forse era il buio, ma non li vedeva più tutti chiari. Spontaneamente, intrufolò una mano tra i suoi ciuffi e "Che hai fatto ai capelli?" lo interrogò. 
Eppure, il ragazzo non ebbe neanche il tempo per rispondere, perché qualcuno spalancò ancora di più la porta. La fioca luce proveniente dal corridoio le faceva credere che quello fosse Luke, ma non ne era sicura. Quando poi quel qualcuno iniziò ad avvicinarsi, ne fu certa. 
"Cosa ci fai qui?" sputò con cattiveria.
Le conficcò le iridi, forse col colore più chiaro presente in quella stanza, nelle sue. Le salì il cuore in gola, seriamente impaurita. Luke le strinse il polso nella sua mano e la fece uscire dalla camera, conducendola davanti ad un'altra porta. L'aprì senza troppe cerimonie, trascinando Avril dentro. Non appena spinse giù la maniglia, sbatté la ragazza contro la porta e sembrava scaverle l'anima. Avril si sentiva proprio così. Spoglia, nuda, osservata.
"Cosa ti prende, Luke?" inveì, cercando di non annientarsi da sola mantenendo il contatto visivo.
"Cosa prende a te, vorresti dire! Cosa stavi facendo?!" sbraitò. 
La schiena di Avril si scontrò un'altra volta con la superficie fredda. Un rumore echeggiò per la stanza, così come la sua rabbia si diramò per il suo corpo.
"Io proprio niente! Stavo solo chiedendo a Michael di scendere, ché c'è di sotto Ashton. Dio santo, potresti smetterla di fare il pazzo?" 
Luke lasciò la presa al suo polso, ed una sua mano andò a posizionarsi di fianco al viso della ragazza. 
"Ashton è qui?" questa volta parlò più a bassa voce, così paurosamente vicino al suo viso. 
Tanto che Avril ebbe solo il coraggio di annuire con la testa.
"Mh. E tu perché eri a chiamare Michael e non me?" 
Questo era il tono da stronzo ed Avril lo conosceva bene.
"E tu perché sei qui e non nella clinica?" ribatté con la stessa cattiveria usata da lui. 
Luke rise amaramente. "E tu perché sei a Sydney e non a Melbourne?"
Avril aprì la bocca per parlare, ma non le uscì niente. Non pensava che Luke sapesse della sua fuga. 
Il sorriso del ragazzo si aprì ancora di più. "Ecco, appunto. Siamo scappati entrambi. E credo per la stessa ragione." 
E, pronunciata l'ultima parola, Avril poté sentire le labbra di Luke impossessarsi delle sue. Le chiese quasi immediatamente l'accesso, e lei glielo diede. C'erano così tante cose, in mezzo a quel bacio, che ad Avril alcune sfuggivano. C'era paura, nostalgia, rabbia, dolore e, soprattutto, nero.  Lasciò calmarlo per un po', perché anche a lei mancavano quelle sue labbra morbide e tiepide, che creavano una dipendenza assurda. E sentirlo così vicino, dopo tutto quel tempo, la fece stare di nuovo bene. Era come se, mentre si baciavano, venisse posta una barriera tra loro e il mondo esterno. Solo in quel momento potevano davvero iniziare a vivere senza la paura di perdersi. Perché quei due avevano un legame fondato sulle partenze e sui ritorni ma, puntualmente, arrivavano sempre allo stesso arrivo.
Si staccò e riprese fiato. "Ashton... Devi andare da Ashton." soffiò sulle sue labbra. 
"Dopo." sussurrò Luke, stampandole un altro bacio.
"Adesso." la sua voce suonò dura, più di quanto volesse. 
Luke abbassò la testa e "Non lo voglio vedere." spiegò.
"Ti è mancato per così tanto tempo, ed ora che c'è lo lasci andare?" 
La mano di Luke sbatté contro il legno della porta, Avril trasalì. Emise un gemito di rabbia, e lei capì che non avrebbe più dovuto dire niente.
"Non dirmi così, non hai idea di cosa si provi! Chi cazzo me lo dice che sia la stessa persona di due anni fa? Chi cazzo mi dice di essergli mancato tanto quanto lui è mancato a me? Ci sono cose che non so, e che ho troppa paura per chiedere. Sono scioccato, Avril. Mi sembra di star vivendo un sogno che probabilmente sembra più un incubo. Ho finito di lottare, non ne ho più voglia." 
Avril lo lasciò sfogare. Vederlo così schifosamente abbattuto buttava giù anche lei, la faceva sentire così piccola. Gli prese il viso tra le mani, gli alzò la testa e lo ribaciò.
Son qua io, Luke.
Son qua io e ci rimango per un bel po'.

Luke la chiuse tra le sue braccia, una sorta di casa costruita intorno a lei. Le veniva voglia di scoppiare a ridere, quando l'abbracciava. Le saliva un'euforia fuori dai limiti.
"Vai giù, dai. Ho lasciato Calum da solo con Ashton."
Lui sbuffò. "Ma dove l'hai trovato?"
"E' il mio fratellastro, è figlio della stronza con cui sta ora mio padre. Vive a Melbourne, ora." 
Luke si portò al petto la mano che non era poggiata alla porta, ed Avril gli sentì buttar fuori un respiro lunghissimo. 
"Ehi, su. Tranquillo." provò a consolarlo, terrorizzata da quello che il biondo provava in quel momento.
"Mi sento morire. Senti qua." le prese la mano e gliela poggiò sulla parte sinistra del petto.
Avril udì dei battiti forti, che si rincorrevano l'un l'altro, come se stessero facendo gara a chi sbatteva più forte contro la gabbia toracica. "Ho paura."
"Non devi. E' la stessa persona di anni fa, è il tuo migliore amico." ritrasse la sua mano, ma Luke fu pronto a riprenderla.
"Ascoltami, Avril." e lei non l'aveva mai visto così serio. "Non sta battendo così forte solo per Ashton. Lo sta facendo anche perché ci sei tu, qui con me." 
La gola le si seccò. Era sicura che ora il suo cuore stesse battendo con un ritmo tre volte triplicato rispetto a quello di Luke. Le mani le sudavano.
"Io..." 
"No, aspetta." la bloccò. "Devo chiederti scusa."
Avril aggrottò la fronte. "Per cosa?"
"Per la scommessa." 
Felicità. Sorpresa. Amore incondizionato.
Le labbra le si incrinarono all'insù, mostrando il sorriso più sincero che avesse mai regalato a qualcuno. Pensava che l'avesse anche dimenticato, quell'episodio. Pensava che fosse rimasto dentro solo di lei. E, invece, si era addirittura scusato.
"E' passato un po' di tempo, eh. Ma ti perdono." 
Luke rise. Aveva un migliore amico ipoteticamente morto al piano di sotto, dei medici che lo cercavano, una vita segnata dall'eroina. Eppure, Luke rise. 
"Andiamo giù, dai." 
Quando scesero, trovarono Calum abbracciato ad Ashton. Sembravano una cosa sola. Luke le strinse di più la mano, alla vista di quella scena. 
"Li denunceremo, Ash. Li denunceremo." stava dicendo Calum.








Hei people!
Ok, allora, parto col dirvi che alle recensioni risponderò tutte domani, perché non ho avuto tempo. Però le leggo tutte, e ci tenevo a dirvi che mi rendete sempre felice, lol. E comunque, non ho molto tempo, perché devo andare a fare matematica, ma avevo promesso di essere puntuale, quindi eccomi. 
Avevo sempre avuto paura di pubblicare questo capitolo, perché è come il succo della storia, in cui è concentrato tutto l'argomento su cui si basa Two.
Luke, ovviamente, ha reagito come ha reagito perché non poteva di sicuro accoglierlo con un abbraccio. 
Calum sembra quello che sa ragionare meglio in questa situazione, mentre Michael proprio pare esser stato prese in pieno da questo ritorno.
Avril, poi, è incazzata anche lei con Ashton, perché non se lo aspettava. Però, come vedete, riesce a cambiare velocissimamente in presenza di Luke. E Luke che si scusa con lei per una cosa fatta mesi fa credo sia una cosa che lascia capire molte cose.
Ah, il trailer sta arrivando, mi spiace metterci così tanto, però è un po' lungo.
Me ne vado così, ringraziandovi per tutto. E dicendovi che mi si era cancellato tutto, e quindi potete capire quanto tranquilla io sia in questo momento, lol
Ciao belle :)


il mio twitter: funklou
quello di Martina: danswtr

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Capitolo 23
*** I didn't want to leave you. ***


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I didn't want to leave you.

Luke stringeva forte la mano di Avril, come se fosse stata l'unica ancora a cui aggrapparsi. Sentì una sensazione di nostalgia divorarlo velocemente, ed era una delle cose peggiori che avesse mai provato. Faceva stare male. Le gambe erano deboli, pensava quasi di non poter continuare a scendere le scale. 
Calum ci stava proprio bene tra quelle braccia. Ashton piangeva silenziosamente, e il moro si univa a lui. 
Luke si fermò. Avril gli strinse a sua volta la mano, come a certificare la sua presenza. Poi i due si staccarono e Luke si sentì due paia di occhi addosso. In particolare, aveva quegli occhi verdi incastrati nei suoi, e proprio non poteva lasciarli. Rivede ogni cosa, dentro a quel verde. Rivide loro due, prima di quel 13 aprile, e la fottuta sensazione iniziava quasi a mozzargli il fiato. 
"Ehi, Luke." iniziò Calum, asciugandosi gli occhi con la manica della felpa. "St-stavo... Niente, come stai?" 
Luke respirò a fondo, e l'aria gli si bloccò dentro. Fece finta di nulla, deglutì a vuoto, percependo il battito del cuore rallentare. Poi Ashton abbassò lo sguardo, e Luke poté riprendere fiato. 
"Bene. Tu?" 
Finì di scendere le scale, con la mano sudata ancora intrecciata in quella della ragazza. Non aveva più voglia di picchiare Ashton. Voleva solo prendersi a pugni da solo, perché quel veleno insinuato dentro di sé, che sprigionava nostalgia, era davvero fastidioso. 
"Sto bene anche io." replicò Calum, nonostante Luke continuasse a guardare solo ed esclusivamente Ashton, il quale aveva rialzato lo sguardo, giusto per distruggerlo ancora di più. "Dovresti sapere alcune cose, credo." 
Ma Luke aveva paura, e forse non voleva saperle. Eppure, annuì con la testa e aspettò che Ashton cominciasse. Quest'ultimo aprì la bocca, ma le parole non gli uscirono. Allora si andò a sedere sul divano, e quasi si poteva sentire il suo cuore col battito accelerato. Anche Calum si sedette di fianco a lui, allora si accomodarono anche Luke ed Avril.

6 marzo 2011. 
Ashton non aveva per niente voglia di andare a scuola, quel giorno. Se solo non fosse stato per Emily, che l'aveva quasi minacciato, se ne sarebbe stato tutto il giorno sul letto, o al massimo avrebbe suonato la sua adorata batteria. 
Probabilmente era troppo buono. Gli piaceva vedere le labbra della gente stendersi in un sorriso sincero, lo faceva sentire bene con se stesso, e questo era molto più importante della sua felicità.
Aveva quindici anni e uno spirito allegro inimitabile. Andava tutto bene, perché non sentiva la mancanza di assolutamente nulla. Anzi, non capiva i visi tristi dei suoi compagni, in fondo si trattava solo di vivere e prendere la vita così come veniva. Amava sentirsi bene con se stesso, così cercava di prendersi cura del suo aspetto fisico, partendo sempre dai suoi capelli. Luke l'avrebbe sfottuto per il resto dei suoi giorni, ormai lo sapeva, ma non gli importava niente. 
Non si sforzava a ridere, perché Ashton era semplicemente felice. C'era solo una cosa che risultava nero su bianco in quel periodo: l'atteggiamento di Emily. Ma non lo odiava. Odiava solo alzarsi per andare a scuola, tutto qua. Eppure, era un ottimo studente. 
Gli venne voglia di tornare indietro e far finta di non essere mai arrivato al cancello quando, prontamente, Emily sbucò fuori dal parcheggio del Norwest Christian College. 
Quella ragazza era una forza della natura. 
"Amore!" lo salutò, col sorriso a trentadue denti. 
Gli lasciò un bacio sulle labbra, piuttosto sbrigativo, e questo bastava ad Ashton che "Ehi." l'accolse. 
Un battito di ciglia, occhi che si cercano, labbra su labbra, una sola frazione di tempo ed eccoli lì, i vuoti che vengono colmati. 
"Luke prima ti stava cercando, ha detto che il prossimo motorino glielo devi comprare te." gli comunicò Emily, serrando poi la bocca per reprimere una risata. 
"E' ancora fissato con quella storia? Dio mio! Ora dov'è?"
Circa cinque giorni fa, Luke gli aveva raccomandato di parcheggiargli il motorino a scuola, siccome Ashton doveva avere un mezzo per andare a lezione di batteria. Eppure, quando uscì, il motorino era scomparso. E Luke probabilmente non si era mai arrabbiato così tanto come quella volta. 
"Penso sia nel giardino con gli altri. Ora, però, devo andare. Ricordi? Ho l'esame di spagnolo." 
"Sì. Allora ci vediamo più tardi. Okay?" 
Emily gli regalò un ultimo sorriso, prima di abbracciarlo e sistemarsi meglio la borsa.
"In bocca al lupo!" le gridò, quando ormai era quasi giunta all'entrata. 
Si diresse, allora, verso il giardino, intravedendo già quelli che erano i tre suoi migliori amici. 
Luke stava immancabilmente copiando i compiti da Calum, quando Ashton "Io dico che questo anno non lo passi." esordì, facendolo trasalire. 
Luke alzò la testa dal libro e lo fulminò, con in sottofondo le risate di Calum e Michael.
"Gliel'ho detto anche io." intervenne Michael. 
"Ma stai zitto, tu! Ché non hai nemmeno la decenza di copiare." lo ammonì Ashton, scoppiando in una delle sue solite risate. 
Michael sbuffò. Forse, l'unico che si salvava, era Calum. O almeno, portava i compiti stracolmi di errori, eppure li portava. 
Ashton scosse la testa, strappò dalle mani di Luke il libro di economia e l'altro "Ash, non fare lo stronzo!" lo rimproverò. 
"Andiamo, deficiente, ti passo il mio libro se ti chiama per correggere gli esercizi."
E l'espressione di Luke, prima dura e arrabbiata, si estese in un sorriso. Era questo, quello che andava bene ad Ashton. 
"Comunque, rivoglio il mio motorino, sia chiaro." 
"Sì, sì. Andiamo in classe, ora." lo liquidò, alzando gli occhi al cielo.

"Hai sentito di Emily con Hemmings?" sentì dire, passando per il corridoio. 
Se c'era una cosa odiosa di quella scuola, erano proprio le voci che circolavano tra quei corridoi. Mai vere, mai confermate. 
Ormai, Ashton ci aveva fatto l'abitudine. Ci si adatta. Si fa finta di niente. Però, odiava il fatto che alcune persone pensassero che lui fosse quello debole, quello tradito e quello troppo buono per lasciare Emily. 
Conosceva Emily, e conosceva anche Luke. Erano stati insieme mesi fa, questo lo sapeva, ma poteva anche scommetterci: non c'era più niente, tra loro. 
Continuò comunque a camminare, dirigendosi verso la classe della sua ragazza. Attese lì, con la schiena contro il muro. Poi Emily uscì, più allegra che mai e "Emy!" la chiamò Ashton. 
Lei si girò di scatto. Aggrottò la fronte, presa alla sprovvista da quella visita. Ma poi si rilassò e, alzandosi sulle punte, gli regalò il secondo bacio della giornata. 
"Ho preso una A nell'esame di spagnolo!" annunciò. 
Ed Ashton rimase sconcertato. A nello scritto di spagnolo? Probabilmente, in quella scuola, era la prima volta che qualcuno prendesse il massimo dei voti in spagnolo. 
"Come diavolo hai fatto? Ti sei mangiata un libro di spagnolo?" 
Lei esplose in una risata fintissima, così schifosamente preoccupante, quasi da contorcerti le interiora. Diventò paonazza. 
"Emily?" 
"Sì?"
"Tutto bene?" 
Lei deglutì vistosamente e "Certo." gli rispose. "Era facile, ieri ho studiato tutto il pomeriggio." 
Ashton, con ancora un'espressione confusa dipinta sul viso, si ritrovò ad annuire. "Beh, allora brava." le concesse, accompagnando la frase con un mezzo sorriso. "Andiamo a mensa con gli altri?" 
Emily annuì, ma Ashton lo vide. Un decimo di secondo, così corto ma così importante. Vide la sua ragazza voltarsi e cercare qualcosa all'interno della classe, che forse non avrebbe mai trovato. Cercò gli occhi di qualcuno, ma in quell'aula, l'unica persona presente era il prof Harvey. 
Sentì un brivido attraversagli il corpo. Strinse forte la mano di Emily nella sua e fece finta di nulla, combattendo contro se stesso per reprimere quegli occhi in cerca di qualcuno che non fosse lui. 
Andarono a mensa e si sedettero con Luke, Michael, Calum e alcuni ragazzi della squadra di nuoto. La verità era che Ashton aveva paura di stare da solo con lei, perché odiava imbattersi con la tristezza. E sapeva bene che, sotto a tutto quello, ci potesse essere solo qualcosa di terribilmente triste. 

Passarono tre, o forse quattro giorni. Non li aveva contati, Ashton. Ma più ne passavano, e più la sensazione che qualcosa non andasse bene aumentava. Cercava di nascondere il suo turbamento dietro ai suoi sorrisi, ma Luke era troppo attento per non accorgersene. 
Quando quel giorno arrivò a scuola, infatti, Luke non accennò nemmeno una volta la questione del motorino. Semplicemente, appoggiato al muro della scuola, con un cappello di lana in testa che copriva i capelli biondi e piastrati in avanti, Luke Hemmings lo guardava. Anzi, più precisamente, gli esaminava l'anima. Ed Ashton si sentì come se gli avessero appena fatto una lastra, e il suo migliore amico avesse in mano tutti i risultati. Tremò solo al pensiero perché, quei risultati, non li aveva neanche lui. 
"Ashton." 
Aveva colto una specie di severità, dentro al suo nome. Iniziava ad odiarlo, pronunciato in quel modo.
"Ciao." e non mise su nessun tipo di sorriso. 
Aveva perso in partenza, con Luke. Ti leggeva, ti privava di ogni tua corazza.
"Stai bene?" 
Era andato subito al punto.
Si guardarono senza fiatare. Si guardarono e si parlarono attraverso quegli occhi. "Emily." sputò Luke. 
Aveva capito subito. Non poteva non capire, uno come lui. Esclamò quel nome sottolineando il fastidio che quella ragazza gli procurava: dopo essersi lasciati, avevano creato un insano rapporto, basato prevalentemente sull'odio. Luke gli diceva di stare attento, perché sosteneva che Emily amasse per convenzione, per la paura di rimanere sola, per lo scopo di innescare gelosia nelle persone e, in questo caso, in lui.
Ashton annuì.
L'altro scosse la testa e "Cos'ha fatto?" domandò. 
"Non lo so, è questo il problema. E' strana, pericolosamente strana. Va bene a scuola, sì, ma sembra sempre tesa."
Luke sembrò pensarci su. "Ne avete parlato?" 
Ma, proprio appena finì di pronunciare la frase, Michael apparve di fianco a loro. "Parlare di cosa?" si mischiò nella conversazione. 
"Due." fu pronto Ashton a rispondere. 
Zaino su una sola spalla, capelli disordinati e insoliti, occhi di ghiaccio e sempre distaccati. 
Michael Clifford era davvero un amico strano. Strano ma okay perché, con la sua stranezza, si stava bene. 
"Niente, Emily fa la misteriosa e qui abbiamo un esemplare maschio che sopporta pene d'amore." spiegò Luke, facendo ridere Ashton.
"Io non soffro pene d'amore." gli diede un leggero pugno sul braccio e "Che potenza, porca miseria!" lo prese in giro. 
"Okay, voi due siete un caso perso. Ma, comunque, ho visto che Emily ha preso il massimo dei voti in ogni esame. Secondo me, quella ragazza, già dall'anno prossimo, la prenderanno in una università." disse Michael, passandosi poi una mano sulla sua frangia lunga, che accarezzava il viso fino ad arrivare sulla guancia.
"Wow." 
"Il massimo dei voti? Va bene che è intelligente, ma questa cosa è assurda." commentò Ashton che, come stava facendo ormai da giorni, cercava di placare la sua preoccupazione. 
"Avrà studiato bene." intervenne Michael. "Però ora è meglio se entriamo in classe, altrimenti Ashton sclera per un ritardo." 
Il diretto interessato lo guardò malissimo. "Ehi! Non è vero! E' solo che mia madre poi mi fa la predica." 
Michael e Luke risero, e insieme entrarono a scuola, seguiti poi da un Calum che correva per raggiungerli.
Quel giorno, l'unica ad arrivare tardi a scuola, fu Emily.

Le ore di lezione, bene o male, passarono. Bene o male perché, dopo la quarta ora, Luke fu interrogato ed Ashton dovette impegnarsi per suggerirgli ogni cosa, ma senza farsi scoprire. Non sembrava, ma era un'impresa alquanto complessa. "Grazie! Oggi, al bar delle quattro strade, ti offro una Coca Cola. O, se vuoi, anche tre." gli aveva detto. Allora Ashton aveva riso, perché in quel bar loro avevano gratis ogni cosa. 
Emily, invece, era arrivata in ritardo di minimo trentacinque minuti alla prima lezione, mentre all'ultima era uscita e non era più tornata.
Ashton, alle 14:59, era un filo teso. Mancava un minuto e poi sarebbe andato a cercarla in ogni parte della scuola. Era ora di affrontare la realtà, era ora di smetterla di nascondere i problemi. 
La campanella suonò. Il suo cuore prese a battere fortissimo. 
"Allora oggi al bronx?" gli chiese Luke.
Lui deglutì ed annuì. L'altro gli lanciò uno sguardo interrogativo, ma Ashton scosse la testa, facendogli capire che non avesse niente. 
Sguardi, cenni del capo, sfioramenti. Questi erano Luke ed Ashton. Così stretti da non sapersi più staccare. 
Salutò Michael e Calum, uscì per primo dalla classe, spalancando velocemente la porta. Nel corridoio c'erano solo cinque persone, ma sapeva che tra poco sarebbe stato quasi soffocante. Si affrettò, quindi, a cercarla con lo sguardo in ogni spazio. Andò al piano superiore, poi a quello ancora più su. Entrò nei bagni, negli sgabuzzini. Andò in segreteria a chiedere se Emily fosse già uscita da scuola. La signora gli disse che no, era ancora nella struttura. Allora sì, che le mani di Ashton iniziarono a sudare. 
Ritornò al piano di sotto, diede un'occhiata veloce nelle varie classi. Niente. Emily sembrava sparita. 
Uscì dalla porta principale e si sedette sulle scale. 
Aspettò. Osservava le gocce di pioggia che cadevano prepotentemente e che si infrangevano sul suolo. Il vento che gli scompigliava i capelli, il freddo che gli si insinuava sotto pelle.
Erano passati circa venti minuti, quando udì dei passi. Una camminata leggera. Una che assomigliava senza dubbio a quella della ragazza. Si girò e vide Emily con ancora una pigna di libri in mano, lo sguardo assente e una sola maglia a coprirla dalla tempesta. 
"Emily." la chiamò, serio.
E ad Emily caddero i libri dalle mani, e la bocca le si schiuse, così come gli occhi si spalancarono. 
"Non hai freddo?" 
E lei non parlò neanche questa volta. Ashton si alzò, le raccolse i libri e "Cosa stavi facendo?" continuò ad interrogarla. 
Emily gesticolò, partì con un "I-io..." ma si bloccò. Lasciò che le braccia le cadessero lungo i fianchi.
Ashton sentiva il freddo dentro di lui. Nella testa gli passavano così tante cose, che non riusciva ad ascoltarne nemmeno una. 
"Cosa sta succedendo? Ti prego, Emy, parla. Di' qualcosa. Mi spaventi."
Ed era vero, perché Ashton era totalmente impaurito. Amava la felicità, lui. Cosa diavolo era quell'ansia che gli stava divorando lo stomaco? Probabilmente il cuore, andando di questo passo, gli sarebbe salito in gola. 
"Non sta succedendo niente, Ash. Sto tornando a casa..." diede come risposta lei.
Teneva lo sguardo basso. Era una cosa spaventosa. "Alza gli occhi, mentre mi parli. E una studentessa non va a casa alle 15:35, cazzo." 
Ed ecco che la paura si trasforma in rabbia. 
"Avevo un esame da-"
Ashton le prese il mento tra l'indice e il pollice della mano e lo fece scattare verso l'alto, in modo che Emily lo guardasse dritto negli occhi. Lei trasalì e smise di parlare. 
"Non è vero." disse lui. 
Non era vero perché Emily non era capace di mentire quando guardava negli occhi una persona. E lei aveva smesso di parlare. 
Ashton era un blocco unico, in quel momento. Tremava, eppure aveva ancora la forza di restare duro con lei.
"Dimmi cosa cazzo stai facendo in questi giorni! Mi eviti il più possibile, sembri impaurita quando mi vedi e Dio mio, fai cose stranissime!" 
Forse, Ashton stava urlando. Forse, aveva perso, per la prima volta, il controllo. E tutta la sua serenità, che tanto lo caratterizzava, era stata sostituita con questa miscela di rabbia e paura.
"Cosa stavi combinando l'altro giorno, dopo l'esame di spagnolo? Perché stavi guardando quel coglione di Harvey, prima di venire via con me?!" 
Una frazione di secondo. Lo stesso battito di ciglia, le stesse labbra che rimangono serrate, gli stessi occhi che si incastrano gli uni negli altri. 
"Perché ci scopo!" urlò lei. 
Poi portò le mani alla bocca, se la tappò forte, come se avesse paura di ciò che ne era uscito. Gli occhi le si ingrandirono spropositatamente. 
I libri che poco prima Ashton teneva in mano caddero, per la seconda volta, a terra. Ashton non aveva più fiato, dopo tutte quelle frasi sconnesse che aveva gridato. Deglutì, e la gola risultò completamente secca. Fece un passo indietro, finendo nella zona non riparata dal tetto della scuola. La gocce si impossessavano dei suoi vestiti, li inzuppavano, li scurivano.
Sembrava apparentemente calmo. Ma non aveva smesso neanche per un secondo di guardare negli occhi di Emily. 
"Dovevo... Dovevo passare assolutamente questi esami, Ash. Lo sai bene. E io... Non lo so." parlava flebilmente, quasi sussurrando. 
Poi puntò lo sguardo a terra, incastrò le mani nei capelli. 
Ed Ashton era ancora lì, ormai fradicio. 
"Non dire una sola altra parola." le intimò, più severo che mai. 
Era freddo sia fuori che dentro. 
"Mi dispiace." gli disse Emily, dirigendosi verso di lui. 
Gli circondò il busto con le mani, e lui non ricambiò. Restò inerme per poco, poi le prese il braccio e la scostò. 
"Puttana." le disse, quasi bisbigliando. 
Fece un altro passo indietro, poi cominciò a camminare sul serio, ad attraversare il parcheggio del Norwest Christian College e ad andarsene. 
Aveva dentro di sé troppe cose per assimilarle tutte. Li sentiva, i pezzi del suo cuore, che vagavano all'interno, conficcandosi da ogni parte. Si fermò sul marciapiede e vomitò anche l'anima. Restò piegato per qualche secondo, poi si rialzò, si pulì la bocca con la manica della felpa e continuò a camminare. Non la smise finché non arrivò alla porta di casa sua. Entrò, lasciando orme di acqua ad ogni passo. E, prima di salire le scale, sua madre comparve alla sua destra. Gli corse incontro, vedendolo in quello stato, ma poi si fermò. 
Una mano sulla bocca, occhi sbarrati, viso preoccupato.
"Dio mio, Ashton! Che è successo?!" 
Ma lui cominciò a salire le scale, lasciandosi indietro la donna allarmata.
"Ashton! E' stato Luke?!"
Si voltò, la guardò e la rabbia iniziò ad accecarlo. Detestava sua madre quando metteva in mezzo Luke. In tutte le cose.
Tirò un pugno al muro del corridoio, sentendo poi un dolore lancinante. Entrò in camera sua e sbatté la porta. Si buttò sul letto, strinse forte i denti e riuscì a reprimere le urla. 
Voleva urlare, prendere a calci qualsiasi cosa. Invece, Ashton Irwin, preso alla sprovvista dal dolore, pianse. 
Si immaginò il corpo esile di Emily, sotto a quello robusto e orrendamente prepotente di Hervey, e percepì un altro conato salirgli in gola. 
Dimenticò quante volte vomitò, quello schifo giorno. Cercò di dimenticare anche le scene che irrompevano nella sua testa, ma sembravano indelebili. Non riusciva a credere come potesse un adulto impossessarsi del corpo di una quindicenne. E lo sconvolgeva di più il fatto che quella quindicenne fosse proprio la sua ragazza. Come poteva mandare a puttane la sua dignità per delle ottime valutazioni? 
Restò così, sul suo letto, con lo sguardo perso nel vuoto, dei vestiti inzuppati, la mente annebbiata dalle immagini, accompagnate dal rumore della pioggia che sbatteva sulla sua finestra. 
Mandò un messaggio a Luke, gli disse che il giorno dopo non sarebbe potuto venire a scuola, e si scusava per non essersi presentato al bronx. Lasciò cadere il cellulare sul pavimento, raggiunse il bagno e si fece una doccia calda. 
Il problema era che, anche a fine giornata, il profumo di Emily era ancora inchiodato sulla sua pelle. 

Ashton non si presentò a scuola, il giorno dopo. Così come non si presentò il giorno dopo, e quello dopo ancora. Stava semplicemente in camera, con addosso un pantalone della tuta e una maglia stralarga. Anche i suoi capelli avevano perso importanza, e questo era davvero assurdo. Il terzo giorno, però, sentiva davvero il bisogno di dirlo a qualcuno. Prese il cellulare, fece scorrere i nomi della rubrica e arrivò fino alla L. Premette il tasto verde e, dopo un primo squillò, riattaccò.
Non poteva.
Non sapeva come dirlo.
Non poteva distruggere ancora di più la dignità di Emily. 
Sospirò, si passò velocemente una mano tra i capelli e decise.
Sua madre. Lei andava bene. 
Allora scese le scale e andò alla ricerca della donna. La trovò in salotto, mentre metteva a posto dei fogli nei cassetti.
"Mamma."
La voce gli uscì rauca. Non parlava più da tre giorni. 
Lei sussultò un po', lasciò i fogli e spalancò gli occhi alla vista di suo figlio. Ed Ashton non voleva nemmeno immaginare che aspetto avesse in quel momento.
"Buongiorno, Ash. Tutto bene?" si avvicinò a lui, probabilmente per poggiargli una mano sulla fronte e valutare la febbre. Ma Ashton fece un passo indietro e "Devo dirti una cosa." annunciò.
"Beh, allora dimmi." 
Lasciò passare alcuni secondi. "Emily... Oddio, non so davvero come dirtelo."
"Ti prego, dimmi che non ti ha tradito con Luke."
"Mamma! Smettila, Luke non deve c'entrare in ogni cosa." la rimproverò. 
"Okay, però va' avanti."
Ashton stava pensando a troppi modi per dirglielo, ma nessuno sembrava andare bene. 
"Lei-lei, come posso dirtelo? Si vende per dei bei voti." concluse infine. 
Sua madre rimase immobile. 
"Ashton, lo sai bene che non mi piace quando la gente scherza con me. Per favore fai il serio."
"Perché dovrei mentirti su una cosa del genere? Con che scopo?"
Ed Ashton avrebbe davvero voluto che quello fosse tutto uno scherzo. Avrebbe voluto rivederla fuori dal cancello della scuola, per accoglierlo con un bacio. Ora, invece, non avrebbe più toccato nemmeno un suo centimetro di pelle senza provare schifo. 
Sua madre parve paralizzarsi. Aprì bocca, poi la richiuse. Delle emozioni scombinate tra loro sembrarono attraversarle il viso.
"Questo vuol dire che Emily fa una cosa simile al prostituirsi?" 
Ashton annuì piano. Forse non l'aveva neanche notato, sua mamma, quel cenno di capo. Eppure, buttò le sue braccia intorno al suo corpo, strinse suo figlio, ed Ashton pensò che forse qualcuno avesse sentito un minimo del suo dolore. Ma non trovò poi così tanto conforto, in quell'abbraccio. Ormai, il dolore ce l'aveva insinuato dentro.
"Domani ci devo andare lo stesso, a scuola. Non posso saltare altre lezioni." le disse.
Lei annuì, gli sistemò i capelli ed Ashton se ne andò in camera, con un peso meno ingombrante da nascondere.

Era giovedì ed Ashton, come aveva detto, si presentò a scuola. Davanti al cancello, però, Emily non c'era più. Sentì un vuoto farsi spazio dentro di lui, e cercò in tutti i modi di reprimerlo quando incontrò Michael. 
"Ashton! Finalmente!" esclamò, andandogli incontro.
"Ciao." 
Lo abbracciò, perché quelle cose che sentiva attorno a sé erano sicuramente braccia. Non ricambiò, ma era sicuro che Michael non se ne sarebbe nemmeno accorto.
"Si sente quando non ci sei." continuò, "Ci si abbassano le medie in qualsiasi materia."
Questa cosa, invece, doveva far sicuramente ridere. Un sorriso sarebbe dovuto andar bene, allora.
Ormai, Ashton ragionava così. Insensibile ad ogni cosa, se non alla tristezza che lo consumava notte e giorno. Non sentiva più niente. 
Arrivò anche Calum, che lo salutò a sua volta calorosamente ed entrarono in classe. 
Luke arrivò con una mezz'ora di ritardo, più o meno, e questo era più che normale. Si cercarono con gli occhi e, nel frattempo, dentro ad Ashton si azionarono le istruzioni per i movimenti da compiere per non far scoprire niente.
Allora, gli sorrise. Poi si sistemò il ciuffo e ritornò al suo quaderno. Sembrò aver compiuto tutto correttamente, perché anche Luke gli sorrise.

Verso la fine della terza ora, qualcuno bussò alla porta. Ashton stava leggendo la regola di matematica che gli era appena stata spiegata, quando sentì il suo nome. Alzò lo sguardo, trovando degli occhi puntati su di lui.
"Cosa?"
"Potresti venire nell'ufficio del preside?"
Oh. Questo era imprevisto. Ashton si alzò, un po' incerto per quello a cui sarebbe andato incontro. Un po' incerto anche perché sentiva che Emily c'entrasse sicuramente qualcosa. Prima di uscire dalla classe, però, cercò un'altra volta quegli occhi azzurri. 
Luke lo stava già guardando. Gli bastarono quegli occhi sicuri, per uscire e seguire il bidello.
Lo condusse fino ad una stanza in cui non era mai stato. Poi, se ne andò, ed Ashton rimase da solo, perso nelle sue incertezze. Poggiò la mano sulla maniglia, la strinse e fece un respiro profondo. Quando, però, aprì la porta, ciò che trovò davanti lo rese ancora più incerto. Perché in quell'ufficio non c'era solo il preside ma, di fronte a lui, seduti su due poltrone, i suoi genitori lo stavano aspettando. 
"Cosa ci fate voi qua?" esordì con fare accusatorio. 
"Può accomodarsi, Irwin." parlò una voce che stava dietro alla scrivania. 
Ashton si voltò, osservò il preside e fece come gli era stato detto. Si sedette di fianco a sua madre, immaginando già che tipo di discorso sarebbe potuto avvenire di lì a poco. 
"Ho convocato te e i tuoi genitori per un piccolo incidente di percorso, come saprete bene."
"Tanto piccolo non mi pare." intervenne Ashton. 
"Ash, per favore." lo richiamò la madre. 
Ma Ashton avrebbe voluto continuare a parlare, a dire la sua, a far uscire quella rabbia repressa. Però, stette zitto e restò a fissare il preside, che quasi lo stava graffiando con lo sguardo.
"Stavo dicendo, ho una proposta da farvi. Il Norwest Christian College è una scuola prestigiosa, piuttosto famosa e con una delle migliori reputazioni. Non mi sembra il caso, quindi, rovinare tutto per una piccola questione. Potremmo, come dire, stipulare un patto. Cosa ne dite?"
Ashton guardò sconvolto i suoi genitori. Avevano sentito le stesse cose? 
"Che tipo di patto?" domandò suo padre.
"Beh, vostro figlio è uno dei nostri migliori allievi e pensiamo che possa costruirsi un buon futuro. Per questo, abbiamo contattato l'Haileybury College, con cui siamo in stretti rapporti. E' una scuola privata, sì, ma ci siamo già organizzati su tutto. Avrete le vostre spese coperte, e in più vostro figlio potrà dormire nella sua propria casa, e non direttamente al college. Ah, dimenticavo: potrà anche non frequantare ogni singolo giorno le lezioni. Basta che si presenterà ad ogni giorno di verifica." spiegò il signore, utilizzando sempre più un tono persuasivo.
Ormai, Ashton aveva smesso di far aumentare la rabbia dentro di lui, perché quest'uomo stava degenerando. Gli stava implicitamente proponendo di allontanarsi da quella scuola per evitare che la questione si diffondesse e rovinasse gli affari. Era molto più che assurdo. Ma era molto più orrendo che sua madre "Dove si troverebbe?" gli avesse chiesto. 
Allora Ashton tirò indietro la sedia e si alzò. Camminò fino alla porta e, mentre stava per varcare la soglia, "A Melbourne." udì.



La stanza era silenziosa.
La voce di Ashton sembrava ancora rimbombare tra quelle mura. 
Ashton osservò le mani intrecciate di Luke ed Avril, e vide che le nocche di lui erano bianche. Voleva guardarlo in faccia, ma aveva la testa abbassata. Sentì un singhiozzo irrompere nella stanza, e lo percepì come un pugno nello stomaco.
Luke stava piangendo, per la millesima volta, per lui.
Avril gli passò una mano tra i capelli e "Ehi..." gli sussurrò.
"Quindi, tu mi hai lasciato per una fottuta scuola? Per colpa di una fottuta puttana?" 
Ciò che stava uccidendo Ashton era la disperazione che Luke incastrava in ogni parola. Ci vide tutta la sofferenza che aveva patito per colpa sua, che piano piano si stava diringendo verso di lui e che lo stava contaminando.
Le persone dovevano ricordarselo che erano una cosa unica, loro due. E se Luke stava male, quel dolore se lo prendeva un po' anche Ashton.
"No. Inizialmente, i miei erano contrari a questo trasloco. Anche perché, per una cosa di così poco valore, non aveva senso. Tu lo sai come sono, io non avrei detto niente in qualunque caso. Il fatto è che, dopo l'episodio del lago, mia mamma è andata fuori di testa. La sentivo urlare nei corridoi dell'ospedale, diceva che doveva trovare una soluzione per allontanarmi da te. E questa soluzione, evidentemente, era mandarmi a Melbourne. Aveva collegato le due proposte, e il risultato è stato questo." 
E, senza accorgersene, anche Ashton aveva iniziato a piangere. Aveva il respiro irregolare e le mani erano un tremolio unico. Si ricordò che quella era la prima conversazione vera e proprio che facesse con Luke, dopo essersene andato da Sydney. Si ricordò di ogni cosa, di ogni emozione provata in quel periodo. Si sentì di nuovo giù, si sentì come se fosse proprio in quel momento sul treno diretto a Melbourne.
"Perché non me l'hai detto, quel giorno? Perché hai attaccato la chiamata?" gli domandò, inceppando le parole, con le lacrime che gli scorrevano sul viso. "Non ci saremmo mai arrivati a questo punto. Sono morto chissà quante volte senza te, Ashton."
"Non me ne sarei mai andato di mia spontanea volontà, cazzo. Non avrei mai voluto farti del male. Me ne sarei fatto anche io, così." 
Luke alzò lo sguardo e lo conficcò in quello di Ashton.
Lacrime che si aggiungevano a lacrime, sofferenze che si mischiavano a sofferenze, mancanze che venivano incontro ad altre mancanze, pezzi di cuore che rivenivano individualizzati, un tempo persi.
Ashton sentì il cuore impazzire, alla vista di quell'azzurro acquoso.
"Per quanto tempo sei stato in ospedale?"
"Circa venti giorni, di cui due in coma."
"Porca troia." lo sentì imprecare a bassa voce, passandosi poi le mani sul viso. "Credevo di averti ucciso."
"Non avresti dovuto darti delle colpe non tue. Mi ero spinto troppo a largo ed ora non ricordo nemmeno ciò che successe dopo." 
"Mi dispiace." disse Avril, intromettendosi in quella conversazione. "Mi dispiace per...per la storia Emily, ecco." 
Ashton scosse la testa, come a dirle: "Non fa niente."
Ora, infatti, non faceva davvero più niente. Era solo una cicatrice.
Poi una suoneria si espanse per la stanza, ed Ashton sentì una vibrazione provenire dalla sua tasca. Estrasse il cellulare, osservò lo schermo e il nome 'Mamma' gli fece tornare in mente il casino in cui si era cimentato. Doveva tornare a Melbourne, doveva trovare una spiegazione plausibile per quella sua fuga.
Stava per premere il tasto verde quando "Ashton." sentì il suo nome, pronunciato da una voce che conosceva bene. 
Alzò di scatto la testa, e ciò che vide fu Michael seduto sul secondo gradino delle scale. Probabilmente era lì da quando aveva iniziato a parlare. La prima cosa che notò furono i suoi capelli: sparati all'aria, con del bianco ai lati ed una cresta nera. Era cresciuto. I lineamenti erano diversi, gli occhi più impenetrabili e anche il suo modo di vestire era differente. Si esaminarono entrambi per secondi interminabili.
Poi Michael si alzò e scese le scale. Camminò in sua direzione, e ciò che fece fu la stessa cosa del giorno in cui tornò a scuola dopo alcune assenze a causa del suo stato pietoso. Quella volta, l'abbraccio lo sentì. Forse perché Michael lo stava stringendo davvero forte, come se non avesse più voluto perderlo. Come se fosse bastata una volta, ed ora aveva una paura insana che potesse accadere di nuovo. Come ad avere la conferma di star tenendo tra le braccia il vero Ashton, e non più quello frammentato dei ricordi.







Hei people!
Allora, come prima cosa: il trailer è finito, è già su youtube. Il problema è che si vede solo dal pc, e non da altri dispositivi come cellulari. Dio, sta cosa mi manda in bestia. Se qualcuno di voi ha idea di come risolvere questo problema, potrebbe contattarmi? Grazie :)
Comunque, tornando alla storia. Non so che idee vi eravate fatte voi, ma ecco come sono andati i fatti. Non c'è molto da commentare, perché la tristezza di Ashton e ciò che gli è stato imposto è commentabile da solo. Inizialmente, però, i suoi genitori non era d'accordo con la proposta. E' stato più il fatto del lago, a convincerli. A convincere soprattutto la madre. Lei sostiene molto del fatto che Emily tradisca suo figlio con Luke, e che Luke sia un ragazzo che Ashton non debba frequentare, in quanto è una cattiva influenza. Come avevo detto in un altro capitolo, tra Luke ed Emily e tra Luke e la mamma di Ash non c'era un buon rapporto. E questo capitolo spiega bene il perché.
E poi, alla fine, penso che il gesto di Michael abbia una grande importanza. Perché abbracciarlo significa mettere via ogni sofferenza patita e accettare il suo ritorno, nonostante tutto. 
Luke, però, se ne rimane lì. E qui c'è da capire se lo lascerà tornare a Melbourne o se imiterà ciò che ha fatto Michael. 
Lo scoprirete.
Prima di andare, però, saluto Veronica che,come dice lei, è la mia più grande fan lol quindi, beh, ti ringrazio :)
E, ovviamente, devo ringraziare anche tutte voi, che leggete, che recensite, che non so più cosa fate ma okay, vi voglio davvero bene.
AH, mi stavo dimenticando di dirvi una cosa. Spesso, mi chiedono se, siccome questa storia tratta 'accuratamente' di droga, mi droghi anche io. Quindi, ve lo scrivo qua: no, non mi drogo. Anche perché ho solo quindici anni, non vorrei uccidermi così presto lol
Ciao belle, ora mi metto a leggere tutte le recensioni del 22simo capitolo <3
In ogni caso, questo è il trailer, non so se lo vedrete: 
http://www.youtube.com/watch?v=NE35nheHyZY

il mio twitter: funklou
quello di Martina: danswtr

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Capitolo 24
*** True. ***


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True.

Aveva dei piccoli mostriciattoli che si aggiravano per lo stomaco, mentre guardava Michael ed Ashton. Non volle nasconderli, non quella volta. Infatti, Luke non smise di piangere.
Vedere quell'abbraccio gli fece male, forse perché mancava solo lui, effettivamente. Ma le cicatrici più profonde sono quelle più lente a guarire. E Luke si sentì così nero, in quel momento, che dovette abbassare le palpebre ed immaginarsi di essere in qualsiasi posto, fuorché nel salotto di Calum. 
"Mi sei mancato." disse Ashton.
Non si sentì nessuna risposta da parte di Michael, se non il cellulare che riprese a squillare. Poi percepì una mano posarsi sulla coscia e, quando riaprì gli occhi, Calum lo stava fissando con fare preoccupato. Luke non ebbe modo di esprimere emozioni tramite quei suoi pozzi azzurri, sapeva di avere un viso impassibile. 
Probabilmente, solo Ashton sarebbe stato in grado di decifrarlo. 
Ashton rispose alla chiamata. Urlò, si arrabbiò, mise su la sua solita faccia da incazzato e strinse forte la mano in un pugno. 
Se lo ricordava esattamente così. Non era cambiato per niente, nei suoi modi di fare. Erano cambiati solo i capelli, adesso ricci, e si era alzato, sì, ma ora Luke era più alto di lui. Questa cosa era buffa, perché due anni fa non lo avrebbe raggiunto nemmeno alzandosi in piedi. 
"Devo tornare a Sydney." annunciò, dopo aver terminato la chiamata. 
Gli occhi di Luke, Avril, Michael e di Calum erano puntati su di lui. Luke sentì chiaramente qualcosa scricchiolare dentro di lui. E allora lo capì: non voleva toccarlo, o parlargli, ma non voleva neanche che se ne andasse. 
Michael allungò un braccio, ma subito lo rifece cadere lungo il fianco e abbassò la testa. A Luke non sfuggì quel particolare. 
"Adesso?" gli chiese Calum. 
"Sono scappato da Sydney senza dire niente, quindi credo di sì. E credo anche che Avril debba venire con me." 
"No."
Quel 'no' uscì forse troppo forte, a Luke. Forse troppo ansioso, affrettato, ma non se ne pentì. Non potevano togliergli anche Avril, non ora che costruiva gran parte della sua base d'appoggio per non cadere del tutto nel nero, per non essere inghiottito. 
Sentiva lo sguardo di Avril bruciargli addosso. 
"Okay. Mia madre mi ha organizzato tutto il viaggio di ritorno, parto stanotte." disse Ashton.
"Tornerai?" domandò Calum. 
Ashton guardò per terra, passò una mano tremante tra i capelli e "Non ha senso, fin quando non tornerà anche lui." gli rispose.
Non fece nome, lasciò tutto sottinteso. Poi Ashton si girò, e diede loro le spalle. Camminò fino alla porta, e Luke contò i passi. Ne fece sette. Si fermò un'ultima volta e "Lo dici ancora?" chiese a Luke. 
"Cosa?"
"Due."
"Sì."
Poi Ashton se ne andò.
No. Non fa niente, Ash. Richiudi la porta, torna indietro. Posso far finta di non averli vissuti, questi due anni. E non fa niente se mi rubavi le magliette che più ti piacevano nel mio armadio, se mi hai perso il motorino, se tardavi agli appuntamenti al bronx. Non fa niente anche se mi hai spento mentre ti portavano via con l'ambulanza, se mi sono piantato il primo ago nelle vene pensando a te, se non so più vivere una vita non dimezzata. Non fa niente, ma adesso smettila di continuare a camminare in avanti, torna indietro. Non mi escono le parole, lo giuro, ma capiscimi
Seguì i suoi passi ininterrotti dal vetro scoperto della finestra e, ad ogni falcata, le immagini del lago si facevano sempre più nitide. 
Lo stava perdendo di nuovo.
Eppure, aveva il corpo atrofizzato. Non riusciva a muoversi, congelato dalla paura di perdonare e soffocare i ricordi del dolore. Non riusciva a parlare, spaventato dalla voglia di chiedere di restare. 
Restare. Un verbo che Luke aveva bandito da troppo tempo. Faceva paura, metteva i brividi. Restare è un compito difficile per l'uomo, che spesso non si riesce a superare. E, quando si perde, la gente se ne va via trascinando dietro di sé decisamente troppa dose di mancanze. La gente non sa restare. E Luke non sa andarsene, non sa andarsene mai. Lui sta lì, aspetta che qualcuno si accorga di lui, e in ogni caso gli andrà bene. Il problema non arriva quando la gente gli si attacca, ma quando lo abbandona. Gli portano via pezzi di se stesso, e lui si ritrova a brandelli. Alla sera, Luke è impegnato a contarsi. 
E, da quando Ashton è tornato, i pezzi da contare sono sempre meno.
Tornare. Questo verbo, invece, è una novità. Luke non l'aveva mai provato, ma faceva piuttosto male anche questo. 
Avril lo abbracciò. Non lo faceva spesso, quel gesto di circondarlo con le sue esili braccia. Automaticamente, anche lui ricambiò. 
"Mi dispiace." gli confessò flebilmente. 
Immerse il viso tra i suoi capelli, che profumavano di shampoo, e restò con gli occhi aperti, intento ad osservare qualcosa davanti a sé.
Avril gli accarezzò la schiena, e Luke si fece sfuggire qualche lacrima. Lacrime che sapevano un'altra volta di Ashton, che testimoniavano il male che aveva dentro, che straripava da tempo. 

Era sera. Il tempo scorreva troppo velocemente, scandito dall'ansia di doversi lasciare. Era per questo che Luke stringeva forte a sé Avril, che sembrava esser così piccola e minuta. Coi capelli biondi sparsi per il cuscino, il respiro leggero, il viso rilassato.
Avril era bella. 
Luke era impegnato ad accarezzarle la schiena bianca e liscia, con un movimento lento e delicato, quasi ipnotizzante. Avril incastrava la sua mano nei capelli di Luke, la estraeva e poi ricominciava. Ogni tanto, quando si soffermava di più a guardarlo negli occhi, gli lasciava dei dolci baci sulle labbra, e lui sorrideva timidamente. 
Erano belli, Luke ed Avril. 
Isolati dal resto del mondo, in una camera che non era loro, quei due riuscivano a raccogliere tutti i problemi e a metterli da parte. 
"Mi piacciono i tuoi occhi." gli confessò Avril, dopo tutto quel tempo speso a contemplarli. 
Luke, come risposta, intrecciò la mano nella sua. 
Sentiva quel familiare fastidio allo stomaco, che non faceva più paura, se tra le sue braccia c'era Avril. Nonostante fosse totalmente nero, schiacciato dal male, e nonostante fosse scappato dalla clinica, Luke sentiva di essere giusto, nel posto giusto.
"Non andartene anche tu." le disse a bassa voce, con un sussurro debole, udibile solo dalla ragazza. 
Avril non rispose. Si strinse solo di più a lui. E a Luke iniziò a martellare il cuore nel petto, a sentire il sangue pulsare nelle vene, a respirare più velocemente. 
"Avril..." la chiamò con una voce colma di terrore. "Non farlo." 
Le spostò il ciuffo dietro l'orecchio, le prese il viso tra le mani ed esaminò quel volto così fine, ed al contempo sofferente.
"Mia madre mi starà cercando ovunque, tu lo sai." 
Al suo interno, delle mani scavavano buchi che probabilmente nessuno avrebbe più colmano. 
Allora Luke cominciò a sfiorarla con le dita, centimetro per centimetro, per scoprire un corpo che forse non avrebbe più avuto l'occasione di toccare. Lo faceva con passione, non aggressione. Lo faceva con paura, terrore, come se Avril gli stesse sfuggendo proprio in quegli attimi.
Le baciò le labbra, il collo, le clavicole, ogni porzione di pelle visibile. E, in quel momento, si accorse di aver avuto davanti un qualcosa che aveva sempre desiderato, ma che non si era mai preso. 
Strinse la maglia di Avril ai bordi, poi puntò lo sguardo nel suo. La vide impassibile, forse concentrata nel non distaccarsi dal mondo. Luke le sorrise, mostrando le fossette, e lei sembrò più rilassata. La privò della maglia, e continuò a baciarla, ad accarezzarla, ad amarla tramite quei piccoli gesti. Andò alla ricerca del bottone dei jeans che Avril stava indossando e, mentre le loro lingue si rincorrevano, glieli sfilò.
Avril aveva la pelle d'oca, Luke lo poteva vedere. Era come se si distruggesse sotto al suo tocco, come se la pelle, al contatto con la sua, si ricoprisse di tanti brividi. Eppure, lui sentiva il suo corpo bruciare, ardere solo per lei. 
Successivamente, Luke le prese le mani e le condusse alla fine della sua maglia, per aiutarla a sbloccarsi. Avril, tremante, gliela sfilò lentamente. 
"Rilassati." le disse, catturando il suo labbro inferiore. 
Luke sentiva di star facendo qualcosa di maledettamente grande, in quel momento. Qualcosa che li avrebbe rivoluzionati, che avrebbe spazzato via un po' del calcare attaccato al suo cuore. Sentiva l'importanza di quella sera, l'importanza che Avril aveva nella sua vita.
Non l'avrebbe sbattuta al muro, non l'avrebbe guardata male, non l'avrebbe odiata con le parole, questa volta. Quello era il passato. 
Luke ci avrebbe fatto l'amore, con Avril. 

La notte stessa, Luke non stava bene con se stesso, con il mondo, con Ashton. Si alzò dal letto, avvertendo il freddo delle piastrelle a contatto coi piedi. Osservò Avril, così bella e serena con gli occhi chiusi, avvolta da un lenzuolo bianco. 
Con addosso solo i boxer, attraversò la camera, arrivò al comodino e, dopo aver preso una sigaretta e l'accendino, uscì sul balcone. Non percepì più di tanto il vento che si scontrò su di lui, perché tutta l'ansia che aveva in corpo lo rendeva incandescente. Aveva una matta voglia di bucarsi, di iniettarsi l'ultimo quartino di eroina, ma aveva imparato a controllarsi, e a reprimere la voglia con il fumo. Cominciò ad aspirare dal filtro, contemplando il panorama che aveva davanti.
La città, di notte, può quasi sembrare rilassante. Vedeva macchine passare ogni due minuti, e si chiedeva da chi fossero dirette le persone al volante. Probabilmente anche lui ora sarebbe dovuto essere una di quelle, con il piede sull'acceleratore, a riprendersi ciò che non avrebbe più avuto il coraggio di rinunciare.
Fece un ultimo tiro, e il mozzicone volò giù dal balcone. Osservò tutto il suo tragitto, e in quel momento capì. Non era tutto andato perso. 
Rientrò in camera frettolosamente, camminò sul pavimento gelato, inciampando sul lenzuolo per terra, ed accese la luce. Si vestì e si avvicinò ad Avril. Pose una mano sulla sua spalla e "Avril." cercò di svegliarla.
La scosse un po', e lei emise dei mugoli di protesta.
"Avril, svegliati, dobbiamo andare all'aeroporto." 
Si mosse lentamente, ed aprì gli occhi con la stessa lentezza. Con le palpebre ancora socchiuse e la voce roca dal sonno, "Cosa stai dicendo?" gli chiese.
"Andiamo a prendere Ashton."
Avril si passò una mano sugli occhi, infastidita dalla luce e si stiracchiò. 
"In che valigia hai i vestiti?" le domandò poi, allontanandosi dal letto.
"Quella blu. Ma lascia stare, faccio io." 
Avril si stava per alzare, quando "No, resta lì. Te li porto io." si oppose Luke. 
Lei si arrese, rimanendo sul letto, e Luke frugò nella valigia. Trovò una camicia scozzese, un paio di leggins e decise che poteva andare bene. "Stai bene, comunque?"
Luke non si era mai preoccupato di informarsi sulle condizioni delle ragazze con cui aveva fatto sesso. Eppure, con Avril era diverso. Lo sentiva. Sentiva il legame che li univa, ora più che mai, e non poteva di certo più far finta di non vederlo. Ed è per questo che non avrebbe più voluto farle male. Nemmeno fisicamente. 
Avril arrossì leggermente. "Sì, sto bene. Solo qualche piccolo dolore, niente di che. Ma ci sarei riuscita a prendere i vestiti!" gli disse, senza usare un tono cattivo. Anzi, sembrava addirittura felice. 
Lui sorrise, a vederla così imbarazzata. "Era la prima volta, vero?" 
"Luke!" lo rimproverò per la domanda troppo diretta e, mentre iniziò a mettersi i vestiti, "Comunque, sì." gli confessò. 
E Luke diventò assurdamente felice, perché Avril era completamente sua. Non l'aveva divisa con nessuno, lei si era dedicata solo a lui. Era sua, di sua proprietà, e scoprì che non c'era niente di più bello di questa sensazione di possessione. Aveva Avril, e sentiva di avere tutto. 
Luke sorrise a trentadue denti, le si avvicinò e le fece una carezza sulla guancia sinistra. Poi se ne andò, lasciandola vestirsi, ed entrò nella stanza di Calum. Non accese la luce, consapevole del fatto che avrebbe accecato il suo amico, e tentò di svegliarlo alla stessa maniera che aveva usato con Avril. Calum aprì gli occhi dopo qualche secondo. Sembrava quasi ubriaco. 
"Andiamo all'aeroporto. Sbrigati, prima che Ashton prenda il volo."
Il moro lo guardò perplesso, girandosi dall'altra parte. Luke, spazientito, andò ad accendere la luce e gli strappò via le coperte. 
"Ma sei coglione?! Che razza di ore sono?" sbraitò, e Luke effettivamente non sapeva nemmeno che ore fossero state in quel momento. 
Calum si rannicchiò in posizione fetale, probabilmente infreddolito, siccome il suo abbigliamento consisteva solo di un paio di boxer. Luke guardò l'orologio e "E' l'una ed Ashton sicuramente non è ancora partito. Ti prego, Cal, svegliati o vado da solo."
Alla fine, riuscì ad alzarsi, a prendere qualche maglia con gli occhi socchiusi, e il biondo ne fu soddisfatto. 
Dopo di che, si avvicinò alla stanza di Michael, aprì la porta e si appoggiò allo stipite con la mano. Trovò solo il buio. 
"Michael."
Nessuna risposta. 
"Michael, andiamo, so che sei già sveglio." sbuffò e chiuse gli occhi per ricollegare tutto ciò che aveva in mente. "Siamo ancora in tempo. Mi dispiace non essermene accorto subito."
Sentì il materasso scricchiolare, segno che Michael si fosse alzato. 
"Cinque minuti e sono giù." lo avvisò Michael, che si stava già infilando una felpa.
Luke si lasciò andare ad un respiro di sollievo, e scese al piano di sotto. Avril era già lì, che beveva un bicchiere di succo. Aveva i capelli raccolti, il viso stanco, ed era irrimediabilmente bellissima. Gli sembrava così esile e fragile che aveva paura di toccarla con le sue mani.
"Già pronta?" 
Lei si voltò e gli regalò un piccolo sorriso. "Ho fatto piuttosto in fretta." 
Luke si diresse verso Avril e le stampò un lieve bacio sulle labbra.
"Abbiamo un aeroporto da raggiungere, lasciate stare questi spettacoli!" li interruppe Calum, che stava scendendo le scale, seguito da Michael. 
Luke rise, Avril avvampò. 
"Non urlare, idiota, ci sono i tuoi che dormono." lo rimbeccò il biondo, mentre prendeva per mano Avril. 
Vide Calum alzare gli occhi al cielo ed aprire la porta. E poi, si fermò. Come pietrificato, Calum osservava qualcosa davanti a sé. 
A Luke iniziarono a sudare le mani. Raggiunse anche lui la porta, spostò il moro e davanti a sé trovò una Derbi. Illuminata solo da un lampione e dalla luce lunare, una Derbi, precisamente una Black Devil R Ltd, era parcheggiata davanti al giardino di Calum. 
Ashton aveva mantenuto la sua promessa. Con due anni di ritardo, Ashton l'aveva fatto. 
Luke scese le scale in pietra, attraversò il giardino ed accarezzò la moto. Si sentì male. Luke l'aveva picchiato, non l'aveva consolato dopo ciò che gli aveva raccontato di Emily, e lui gli aveva regalato una moto. 
Quella Derbi, così insignificante per qualsiasi altra persona, per loro due era ciò che collegava il 13 aprile a quella notte. Avevano rimesso insieme i pezzi, avevano creato un ponte, che ricollegava il vuoto che si era creato in quei due anni. 
Gli altri gli arrivarono dietro e "E' bella." commentò Michael. 
"Già, ma ora penso che dovremmo sbrigarci." intervenne Calum, che uscì in strada e guardava Luke, aspettando che lo seguisse. "Luke, faremo tardi."
Ma probabilmente era già troppo tardi perché, oltre ad un lampione, la strada ora era illuminata anche da dei fari di un'Audi, che sembrava proprio diretta verso di loro. Si fermò davanti alla casa, la portiera si aprì velocemente ed eccola lì Liz, più preoccupata che mai, che scendeva dalla macchina. 
"Luke!" urlò a squarciagola, non curante dell'ora della notte. "Luke, avevo denunciato la tua scomparsa anche alla polizia!" 
Luke, alla vista di sua madre così fuori di sé, cominciò a deglutire a vuoto. E non perché ora si sarebbe dovuto subire le sue grida, ma perché non avrebbe fatto in tempo a rivedere Ashton. 
"I medici mi hanno chiamata, perché eri scappato. Ti hanno cercato in tutta la clinica, ed io ho avuto davvero paura! Cosa diavolo hai in quella testa?!"
Non disse niente, aspettò che lei si calmasse. Ma Liz si avvicinò, portò indietro la mano e gli diede uno schiaffo sulla guancia. Luke ne rimase sconvolto, perché nessuno l'aveva mai picchiato. Sentì la sua pelle bruciare, ma non si scompose. Sua madre, dopo quel gesto, restò inerme. Anche gli altri lo erano. 
C'era solo silenzio, prima che "E' tornato Ashton." Luke dicesse. 
Ne susseguirono altri, di secondi colmi di silenzio. "E' tornato chi?" domandò la donna, sconvolta. 
"Ashton. Non era morto, si è solo trasferito a Melbourne. E' tornato, ma se ne andrà se tu non mi lasci andare."
Liz rimase a bocca aperta. "Io-io credevo che... Okay, okay. E' assurdo. Vi porto io, ovunque voi stiate andando." 
"Non c'è tempo da perdere." proferì autoritario Luke.
Lei annuì, e tutti aprirono le portiere per salire in auto. Liz schiacciò l'acceleratore, come se stesse combattendo una lotta contro il tempo. 
"Dove?" 
"Kingsford Smith, l'aeroporto."

Quel posto era enorme. Erano al terminal 2, situato nel settore nord-est dell'aeroporto. Luke correva col fiatone e col cuore che sembrava impazzire. Si guardava intorno, superava la gente e aveva una strana voglia di piangere. Aveva quasi rischiato di inciampare su una valigia e di prendere botte da un signore a cui era andato addosso. Ma Luke correva, senza sapere esattamente dove stesse andando. Cercava quella chioma bionda e ormai riccia, quegli occhi verdi e quel viso, stampato nella mente. 
Guardò l'ora da un orologio enorme. 01:33. L'ansia lo stava decisamente divorando. Riprese a correre con le gambe che non sentiva più e, soffermandosi a guardare i tabelloni degli arrivi e delle partenze, vide che il volo per Melbourne ci sarebbe stato all'una e quaranta. 
Ashton, quindi, aveva già fatto il check-in, ed ora sarebbe dovuto essere in coda. 
Passò di fianco ai duty-free shop, un'infinità di negozi che avrebbero dovuto intrattenere i viaggiatori in attesa del volo. Ashton non poteva essere lì. Allora Luke non si fermò e, leggendo tutti i cartelli che gli indicavano i gate, arrivò agli imbarchi. C'erano troppe file, troppi numeri, troppi bagagli a mano. Lesse ogni numero di gate, ma non aveva idea di quale fosse quello di Ashton.
Il boarding time si avvicinava sempre di più. Attraversò le code di persone che aspettavano di uscire e raggiungere il proprio aereo, si guardò intorno e vide una fila di passeggeri che in quel momento stava cominciando ad imbarcarsi. L'orario ormai era quello, quindi tra tutta quella gente poteva esserci Ashton. 
Allora cominciò ad accelerare il passo, tenendo d'occhio quel punto e, man mano che si avvicinava, intravedeva sempre di più una testa bionda. 
Era Ashton. Era Ashton e stava osservando il suo biglietto. Era Ashton e Luke urlò il suo nome. Si girò, così come si voltarono altre venti persone. Lasciò cadere a terra il suo zaino, uscì dalla fila e prese a camminare incontro a Luke. Luke, che gli buttò le braccia dietro la schiena e se lo strinse a sé. Luke, che lasciò sfogare la sua voglia di piangere. Quelle braccia, strette intorno a sé, avevano cicatrizzato tutto. Teneva gli occhi chiusi, perché aveva paura che, aprendoli, si fosse trovato da qualche altra parte. Ma quello non era un sogno. E Luke non avrebbe voluto essere in nessun altro posto, se non quello. Se non nelle braccia di Ashton. 
La gente intorno a loro li guardava, forse scandalizzata, forse intenerita. E a loro non fregava niente, perché adesso erano loro due
Non più solo uno, non più solo Luke.
Era come se qualcuno avesse ripassato con un'altra bomboletta spray quella scritta sul muro, come se Luke non avesse mai conosciuto il grigio o il nero.
C'era il bianco, c'era Ashton. E quel ragazzo era tutto ciò di cui avesse mai avuto bisogno.
Poi Ashton si staccò, mise la mano in tasca e gli porse una chiave. 
"Sapevo che saresti venuto. Questa è per la moto. Un po' in ritardo, lo so, ma alla fine ce l'ho fatta."
Luke strinse la chiave nella sua mano. "Basta andarsene."
Ashton lo guardò negli occhi e "Devo tornare a Melbourne. Mia mamma è davvero impazzita."
Luke trasalì a quella frase, impaurito dall'essere abbandonato. Poi dei passi affrettati li raggiunsero e, voltandosi, vide Michael, Calum e Avril correre verso di loro. 
"Ti abbiamo rincorso da quando sei sceso dalla macchina. Dio, sto morendo." si lamentò Calum. 
Si fermò per riprendere fiato, quando Michael andò da Ashton e lo abbracciò per la seconda volta. Luke fece un passo indietro, consapevole del fatto che Ashton non fosse una mancanza patita solo da lui. Poi toccò a Calum, che lo accolse anche lui tra le sue braccia. 
"Ultima chiamata per il signor Irwin."
La voce proveniente da un microfono fece riscuotere Ashton, che "Devo andare, ragazzi." comunicò amaramente. 
Avril gli si avvicinò e gli lasciò un innocente bacio sulla guancia. "Sei proprio un idiota, però ti voglio bene. Vai, e prova a tranquillizzare tua madre." 
Ashton le sorrise, poi guardò Luke. Stava per andarsene, quando "Aspetta, Ash." lo fermò, gli prese la mano e gli diede la chiave.
L'altro aggrottò confuso la fronte. 
"Così sarai costretto a tornare, per darmela. Le promesse si mantengono, anche se risalgono al 2011. Perché tu tornerai, vero?"
"Vero."
Poi una signora gli visionò la carta d'identità e il biglietto, ed Ashton poco dopo uscì, pronto per salire sull'aereo.







Ciao.

Questo era l'ultimo capitolo, poi domenicà pubblicherò l'epilogo. E' abbastanza straziante e strano, perché mi sono così tanto affezionata a questi personaggi che ora mi sembra proprio di abbandonarli. 
Ma, in ogni caso, siamo arrivati al capitolo 24. Come avrete notato, è più corto degli altri, ma ciò che c'era da raccontare l'ho scritto, quindi non mi sembrava il caso di ampliare. 
Volevo avvertirvi su una cosa: l'epilogo c'è e non è da sottovalutare. Ormai mi conoscete, e sapete che sono una sadica (cit. che ho letto su twitter da una lettrice lol). So, non pensate che questa sia la fine. Perché non lo è e nel finale vero e proprio so già che piangerò come una dannata su ciò che io stessa scriverò.
Poi, parlando del capitolo... Ovviamente, non sono potuta andare nei dettagli tra Luke ed Avril perché questa ff è a rating arancione e sinceramente non mi andava di cambiarlo in rosso perché quasi metà della mia classe legge Two ed è molto imbarazzante. ((compagne che state leggendo, scusatemi))
E come finale abbiamo il ritorno di Luke, che si accorge di non essere troppo in ritardo per perdonare. E penso che la moto che Ashton gli fa trovare sotto casa sia forse la seconda cosa più significativa della storia, dopo la scritta sul muro nel vicolo. 
Vi lascio tranquille con questa sottospecie di fine.
Io tranquilla non lo sarò proprio.
Ps: è tornato il banner. 
Ps2: il trailer non lo posso rendere visibile ai cellulare, perché dovrei chiedere alla casa discografica i diritti della canzone e sticazzi. Poi, la scrittura di questo capitolo è venuta in grassetto, l'ho cambiata cinque volte e viene sempre così, quindi vabbè, vuol dire che resterà in nero lmao
Vado. Saluto Alessandra (e la ringrazio anche per tutto il supporto) e il #team5sexos! A domenica :) 
Nali
 

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Capitolo 25
*** No fault. ***


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No fault.

02/02/2014
E' domenica. E' domenica e a Sydney non c'è niente da fare. O almeno, non c'è più niente da fare. Sono seduta sul prato del solito parco, con un giornale aperto sulla quarta pagina. Il parco è silenzioso, oggi. Calum sta calciando una palla contro il muro, soffocato da scritte su scritte. Distolgo lo sguardo dalle pagine riciclate, e guardo il movimento monotono e continuo del moro. La palla rimbalza e torna indietro, Calum dà un ultimo calcio, poi si gira. Sta osservando Michael, disteso sul prato, con una sigaretta tra le labbra, un braccio sotto la testa e i capelli scompigliati dal vento, che agita anche i fili d'erba. 
Il parco è anche deserto, oggi. Lascia spazio al silenzio, che sembra urlare, rimbombare e diffondersi tra gli alberi, le panchine e tra quei giochi che non hanno mai conosciuto le grida allegre dei bambini. Ritorno al mio giornale, leggo il titolo in neretto che spicca. 

«Scandalo al Norwest Christian College: arrestati dirigente scolastico e insegnante. Episodi di pedofilia e sfruttamento minorile si fanno risentire a Sydney.»
Non è una novità. E' scandalo ormai da settimane, qui. La gente, all'inizio, non voleva nemmeno crederci. Siamo stati noi a dire la nostra, a crearci giustizia da soli. Alla fine, siamo sempre vuoti. Non abbiamo niente. Mia madre aveva fatto fatica ad assimilare la notizia e a prender per vero il racconto di quei giorni in cui Luke era la mia priorità. In un primo momento, aveva preso in considerazione il fatto di tornarsene a Melbourne, un'altra volta. Forse, poi, aveva capito che non avrebbe avuto senso. Troppe cose, da un po' di tempo, non ce l'hanno più. Non puoi scappare dai posti, quando quelli ti hanno assorbito, e tra essi ci sono tracce di te. 
Emily, invece, si è trasferita. Probabilmente ha fatto anche bene, perché ci sono luoghi che non puoi sentire tuoi fino in fondo.
Sfoglio un'altra pagina, e questa recita esattamente queste parole: 
«Ultimo buco fatale per il ventunenne di Hurstville: seconda morte in un mese.»
Scorrendo poi tra le colonne, le righe stampate riportano: "E' stato trovato Frank Nolan nel bagno di casa sua dalla sorella che, dopo un primo momento di shock, si è affrettata a chiamare l'ambulanza. Niente da fare per Nolan, che è deceduto per overdose durante la corsa all'ospedale. Il caso sembra ripetersi: già due settimane fa, il diciassettenne Luke Hemmings era stato sorpreso dalla fidanzatina entrare overdose, esalando il suo ultimo respiro, proprio davanti alla giovane, che aveva provato a chiamare i soccorsi, invano. [...]"
Chiudo il giornale e lo poso a terra. Leggere il suo nome tra gli articoli mi fa ancora tremare. Fa male e fa salire il cuore in gola, come se Luke, quando mi accorgo della sua inesistenza, morisse ogni volta. Ma non mi sentirò mai in colpa, perché io, di colpe, non ne ho mai avute. 
La gente si sceglie la propria strada. E Luke l'aveva scelta da tempo, la sua, trovando un ostacolo. E quell'ostacolo ero proprio io. Io, che avrei rischiato anche la mia vita per continuare a fargli vivere la sua. Perché Luke meritava di vivere, e probabilmente di questo non se ne era mai reso conto. 
Questo, io lo so, vuol dire solo perdere: avevo iniziato una battaglia per salvarlo, e non l'ho vinta. Il grigio mi ha uccisa. Il grigio mi ha travolta, e non sono stata in grado di respingerlo col bianco. L'intermedio che vince sul bene. 
Il fatto è che non sono riuscita a salvare nemmeno me stessa. Perché, quando una persona muore, si ferma tutto. Ed io mi sono fermata nell'esatto momento in cui, suonato il campanello di casa Hemmings, nessuno venne ad aprirmi. Forse avevo già capito, forse lo negavo a me stessa. Allora avevo salito le scale, avevo controllato parecchie camere, fino ad arrivare nello stanzino che, in quella casa, nessuno prendeva in considerazione. C'era solo un divano, un armadio, e vari oggetti vecchi e di poco valore. Luke era steso a terra, con una siringa piantata nel braccio. La sua ultima siringa. Aveva una mano sul collo, aveva capito di star soffocando. Aveva gli occhi ribaltati all'indietro, e un colorito bluastro che non avevo mai visto da nessuno. Mi venne da vomitare. I soccorsi arrivarono dopo una decina di minuti, ma io non avevo più nessuna speranza. Me lo sentivo. Me lo sentivo perché io e Luke, ormai, eravamo la stessa persona, e quel pomeriggio mi sentivo solo me stessa. Solo io, al centro del nulla. Urlavano di somministrare endovena del Narcan, ed io non avevo la minima idea di che cosa fosse. Poi me lo dissero, o almeno, lo affermarono e basta: decesso per asfissia. Mi sentii male. Iniziai a tossire e mi portano via in ambulanza. Luke non c'era più. 
Io non lo so che cosa si prova quando si muore per overdose. Seduta al centro di questo parco, testimone del nostro primo bacio, mi chiedo se Luke abbia sofferto, se abbia pensato, in quel decimo di secondo prima di morire, di uccidere anche me, andandosene. 
E' passato quasi un anno da quando Ashton è tornato. La sua casa è proprio la villetta di fianco alla mia, e ogni sera lo sento esercitarsi con la sua batteria. Ha lasciato a Melbourne sua madre, ed ora vive solo col padre, che sembra meno pressante. Ora la scritta all primes are odd except two, which is the oddest of all è impressa nella sua pelle, precisamente sul braccio. Dice di sentirsi meglio, con quel tatuaggio. Dice di sentirlo di più, così. 
La cosa bizzarra è che stava andando tutto bene. Poteva avere tutto, Luke. Perché tutto era tornato alla normalità. La mattina si andanva a scuola, ogni tanto si scavalcava il cancello e si saltavano le lezioni. Ashton e Luke avevano ricominciato ad aspettarsi al Bronx, a scambiarsi i vestiti, a prendersi in giro. Ashton l'aveva addirittura convinto a riprendere a studiare, a diminuire le sigarette, ad andare piano sulla moto. La sera, poi, il Gens era la nostra seconda casa. E chi arrivava ultimo doveva pagare a tutti da bere, ma a me veniva da ridere, perché alla fine Luke pagava lo stesso al posto mio. Ci piaceva pensare che quello fosse il vero bene, che fosse quella la vera felicità. 
Che poi, Luke ci era pure riuscito, a dire di amarmi. Così, mentre Vicky era seduta di fianco a lui sul letto, ed io ero in piedi, davanti all'armadio di casa mia. Vicky mi stava consigliando di indossare la felpa che mi aveva regalato lei pochi giorni prima, e lui restò in silenzio a guardarmi fin quando non mi disse quelle due parole che probabilmente aveva in mente da quando s'era svegliato. Credo che quello sia stato uno dei miei giorni preferiti.
E' assurdo, comunque. Luke è stato due anni in balia del grigio, incapace di smaltire un abbandono, quando poi, in fin dei conti, è stato lui a lasciare Ashton.
L'altro giorno l'ho sentito dire di aver abbandonato la scuola. Non lo potevo sapere, perché anche io, il giorno dopo la morte di Luke, mi sono ritirata. Mia mamma non ha osato aprir bocca. Credo che Luke, lasciandomi, abbia contaminato un po' tutti. 
Calum e Michael ora si stanno abbracciando, lo fanno spesso dal funerale. Invece, io, non appena ero entrata in chiesa, avevo deciso di non salutare in questo modo Luke, perché forse non lo saluterò mai. Quella mattina, per la prima volta, ho visto la famiglia Hemmings al completo. Nessuno parlava. C'era solo il rimbombo della voce del prete, e dei singhiozzi che si diffondevano per la chiesa. Vedere quella bara, al centro, era la mia sconfitta. Così me ne andai.
"Le chiavi della moto gliele abbiamo messe nella bara" mi avevano rassicurato. 
Ed io avevo annuito soddisfatta, perché sapevo quanto Luke avrebbe voluto continuare ad essere in due, nonostante fosse sotterrato metri sottoterra. Il problema, adesso, è che sono io stessa ad essere da sola. 
Michael ora mi sta guardando, e nemmeno me ne sono accorta subito, perché lui non è Luke, e quello che c'è nei suoi occhi non è quell'azzurro intenso sul quale amavo contare le tonalità. Michael si sta anche avvicinando. 
"Stai bene?" mi chiede. 
Rispondo di sì, perché io non ho colpe. Questo è quello che Luke voleva, era ciò che voleva raggiungere, continuando a portare con sé in tasca il suo quartino di eroina. Luke ultimamente era strano, ma non sciupato. Non era come le prime volte, che sembrava morire da un momento all'altro. Aveva solo perso la voglia di uscire e divertirsi, e questo mi sembrava quasi positivo. E' stato anche bravo a nascondersi, a fuggire da se stesso, a fuggire da me. 
A me Luke piace ricordarlo così, con lo sguardo presente ma sospeso nel vuoto, con l'odore di fumo sulla pelle, le mani al volante di una macchina che non avrebbe potuto neanche guidare, o in sella alla sua Derbi, mentre sfreccia tra le sue amate vie di Sydney. 
L'altro pomeriggio ero sul pullman, diretta al cimitero. Tenevo gli occhi fissi sulla strada, al di fuori del finestrino. E una moto era proprio ferma al semaforo, di fianco a me. Mi era sembrato lui. Allora ho iniziato a picchiare le mani sul finestrino che mi separava da lui, e urlavo così forte il suo nome che una signora anziana mi aveva chiesto se stavo bene, se avevo perso il pullman sul quale magari sarei dovuta salire una volta scesa da questo. Risposi che no, avevo già perso troppo. Poi il ragazzo si girò, mi guardò sconcertato e ripartì. Quello non era Luke e io non l'avrei mai accettato. 
"Tra poco noi andiamo da Ashton, vieni anche tu?" mi domanda Michael, sedendosi di fianco a me.
Michael si salva. Lui ha Vicky, e un po' mi ricorda me stessa quando ero davvero convinta di essere un'ancora per Luke. Mi sento quasi soffocare, se ci penso sul serio mentre li guardo.
Calum riprende a calciare la palla, e quasi mi fa paura. Sembra sempre inconsapevole di ciò che fa. 
"Resterò qui" rispondo, e nel frattempo strappo dei fili d'erba. 
Il fatto è che, quando penso a Luke, non mi sento. Ho qualcosa che non va. C'è qualcosa che non ho. E vorrei urlarglielo, ma lui non mi sentirebbe. I morti non sentono. Sono morti e basta. Non è che ritorneranno, un giorno o l'altro, come Ashton. 
Luke non tornerà più. Tutto resterà fermo. 
Prendo un respiro profondo e mi mordo il labbro. Merda, io non voglio piangere. Non voglio più piangere per Luke, lui non se lo merita. Gli ho dato tutto, e lui non si è preso niente. Non lo perdonerò mai. Nemmeno tra dieci o venti anni, nemmeno quando avrò una famiglia. Perché Luke mi ha segnata, l'ha fatto con il ferro rovente. Anzi, spero che mi veda, spero che veda tutto il marcio che ho dentro. Voglio che capisca che mi ha abbandonata, che ce l'avremmo potuta fare insieme. Invece lui ha scelto la via più facile, è ciò che ha sempre fatto. Se n'è andato, trascinando via anche me, lasciandomi sospesa in una miscela di vuoti e malinconia. Se n'è andato ed ha abbattuto ogni colonna che mi reggeva. Io lo so che non tornerò la stessa che ero prima di perderlo. Lo so perché le mie punte non sono più tinte, perché al sasso non ci vado più, perché l'azzurro mi disgusta. Solo ora capisco cosa diamine ha provato Luke quando Ashton se ne andò.
Probabilmente non guarirò mai. Mi dicono che reprimere la sofferenza non mi faccia bene. Invece, ho deciso: non ci saranno più lacrime sulle mie guance per causa sua. Mi dicono anche che ripetermi di non avere colpe mi aiuterà a convincermene davvero. Io lo faccio spesso.
E' strano. Questa cosa mi mozza il fiato. Durante il giorno vivo col pensiero che lui non ci sia più, ma solo alla sera lo realizzo sul serio.
Poi, venerdì, passando per il suo viale, ho notato che la sua casa ha un enorme cartellone sulla porta con scritto vendesi. Questo mi fa male. Mi stanno portando via un pezzo di noi due, delle nostre tracce, ed io ho sempre meno posti in cui riporre i nostri ricordi. Che poi, alla fine, al vicolo del Due, mi ci ha portata Ashton. Era completamente diverso da come me l'ero immaginato. Ma riuscivo a sentire Luke da ogni parte, era come se l'avesse infestato, quel posto. Decisi che non ci sarei più andata, lì. 
Michael si accende l'ennesima sigaretta, si alza e, prima di uscire dal parco, osserva la panchina sulla quale si sedeva sempre Luke. Stringe la mano in un pugno e se ne va. Calum abbandona la sua palla e, dopo avermi lanciato l'ennesimo sguardo apatico, oltrepassa anche lui il cancello. 
Sono consapevoli di dovermi lasciar stare in questi momenti, ma in realtà lo so, lo fanno perché associano la mia figura a quella di Luke. Erano abituati a vederci sempre insieme e adesso, come io ogni volta mi rendo conto della sua morte quando leggo il suo nome, loro ne prendono coscienza quando mi guardano. Di fianco a me non c'è più nessuno. Io sono sola.
Reprimo le lacrime e riprendo il mio libro. Su queste pagine, c'è scritto di me e Luke. Io e lui, ora, siamo raccontati tra delle righe. Dal primo all'ultimo giorno, ogni parola, gesto, sguardo, sono racchiusi qui dentro. Penso che sia giusto così. Ma ventiquattro capitoli non saranno mai abbastanza. Io, senza Luke, non sarò mai abbastanza. 
Altro che due, altro che uno. Qui s'è annullato tutto, qui non c'è più nessuno
Quanto a me, io resterò a Sydney. Non posso scappare dal suono della sua risata, dai suoi occhi con l'oceano dentro, dalla sua espressione quando raccontava qualcosa di serio, o da qualsiasi altro dettaglio che ho salvato nella mia testa. Da alcuni dettagli proprio non si può scappare. Ti rimangono incastrati dentro, e alcune volte sono così ingombranti da far male. Allora ho deciso di scriverli da qualche parte. Avevo bisogno di imprimere inchiustro su carta, di raccontare ciò che mi sta consumando giorno dopo giorno, di raccontare la nostra storia, quella di me e Luke.
Osservo la panchina su cui Luke non c'è e non ci sarà più, e chiudo il libro. Da quando Luke ed Ashton si erano ritrovati, non ci scrivevo più sopra, ma non servirà più, ora. Non c'è più niente da dire, lui non c'è più.
Resterò a Sydney anche perché non ho paura di risentire il suo profumo, di guardare la sua ombra, di toccare ciò che gli apparteneva, di ritrovarlo nei posti che erano diventati parte di lui.
Perché io, di colpe, non ne avrò mai.



Ciao e scusatemi.
Io, solo... Scusatemi. Spero solo che questa fine non vi abbia fatto tanto male quanto l'ha fatto a me. So che molto probabilmente non ve lo sareste aspettate questo finale, o forse sì, ma nella mia mente avevo ormai questo schema. Finire bene Two sarebbe stata proprio una cosa strana per me, che sono abituata a scrivere principalmente della tristezza.
E' chiaro che Avril non sarà mai in pace con se stessa, fino a quando non avrà avuto la certezza che non è stata colpa sua. Per ora, si limiterà solo ad andare in giro con la sua corazza, a ripetersi di non avere colpe, ad odiare Luke per averlo amato troppo. Io me lo ripeto: doveva andare così.
Appena pubblicherò questo epilogo, andrò a cliccare su 'completa' e mi sembrerà la fine di una parte della mia vita. Ho iniziato questa storia quando avevo all'incirca quattordici anni, ora ne ho quindici e mi sembra passato davvero troppo tempo. 
Spero solo che vi rimarrà qualcosa di Two. Io vi ho raccontato della mia concezione di due, del grigio che avevo dentro, dei posti della mia città. Ci sono davvero cresciuta, con questa ff. Ricordo quando nei primi capitoli scrivevo pensando ad una persona che mi aveva abbandonata così, lasciandomi a me stessa. Scrivevo per averla più vicina, per spargere in giro tutto il grigio che mi aveva attaccato, ed ora ho imparato a bastarmi. Scrivendo, ho capito molte cose e adesso sono più in pace con me stessa. 
Volevo ringraziare tutte voi perché, se ho continuato la storia, è solo grazie alle lettrici. Probabilmente non vi ringrazierò mai abbastanza. Volevo dirvi che vi voglio bene, anche se non vi conosco di persona. Siete state importanti a realizzare tutto questo, a realizzare Two. Grazie anche a Martina, creatrice del banner, del trailer e sostenitrice della sottoscritta.
Come all'inizio del primo capitolo avevo detto, dedico questa ff a Susanna e ad Ilaria. Ma ho deciso che Two è da dedicare anche a Gaetano e a Francesco. Gae era un diciassettenne delle mie parti, morto la notte del 6 giugno 2010, lasciando Francesco, il suo migliore amico.
Non so se scriverò altre storie, ma penso di sì, perché io e la scrittura non credo che potremmo mai abbandonarci. 
Scusate se mi sono dilungata, è che non vorrei lasciare tutto questo così. Però devo, quindi vi saluto per l'ultima volta. 
Two finisce qua, ciao belle. 
Grazie ancora :)


VI LASCIO DISPERARVI UN PO' PER LA FINE, PERO' POI POTETE TRANQUILLIZZARVI PENSANDO CHE STO SCRIVENDO UN'ALTRA STORIA -> http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2662958&i=1
 
Ps: su twitter ho cambiato nick, ora sono funklou


Se non l'avete ancora visto, questo è il trailer di Two: http://www.youtube.com/watch?v=NE35nheHyZY



Questa è Avril, nel parco.



E questo è il bronx, il ritrovo di Ashton e Luke. 


E poi mi sembrava giusto finire Two con questa foto, per ricordarli così.



-Nali.

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