Mercoledì ha nove lettere

di Noruwei
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rottura ***
Capitolo 2: *** Sulla pelle ***



Capitolo 1
*** Rottura ***


 

Titolo: Mercoledì ha nove lettere
Fandom: Originale > Romantico
Pairing: Slash
Genere: Romantico, Generale, Drammatico
Rating: Arancione
Chapper: 1/2
Summary: Sono sempre stati Leo e Fabrizio. Leo e Fabrizio sono gemelli, amici, coinquilini. Leo e Fabrizio si assomigliano un po', abbastanza da individuare quel legame di parentela. Leo - capelli neri spettinati, piercing, quello che ride sempre, non pensa mai, che ha una cotta per Brian Molko e odia il mercoledì – e Fabrizio – che scrive poesie sui quaderni, ossessionato dal numero nove e fan di Doctor Who.
Alle volte, però, vorrebbero essere solo Leo e Fabrizio.

 

 

 

Mercoledì ha nove lettere è una mia creazione, i personaggi
e il banner sono di mia proprietà.
Parla di incesto fra fratelli (boyxboy)
e accenna a tematiche delicate quali l'autolesionismo.
Né la trama né i personaggi s'ispirano alla realtà, Leo e Fabri appartengono esclusivamente alla mia immaginazione.
(Aggiungetemi su Twitter, se vi va, @Imapanda_H,
o cercatemi sul mio Ask! ♥ )

ps: Se plagiate vi spezzo le braccine.
With Love,
Chibi.



 

 

Mercoledì ha nove lettere
(e quattro sillabe)


 

PROLOGO

«Odio il mercoledì.»
Fabrizio ha nove anni, fa la quarta elementare e vorrebbe andare sull'altalena quando Leo sbuffa quella frase. La sbuffa davvero. Leo non dice mai le cose: le urla, le sbuffa, le sbotta, ma non le dice. Così, di punto in bianco Fabrizio sa che suo fratello odia il mercoledì.
Da parte sua non lo odia, ha un bel suono (mer-co-le-dì) e poi ha nove lettere e il nove è il suo numero preferito. Ha un debole per i numeri dispari Fabrizio.
«Che idiozia.» rotea gli occhi. «Non ha senso odiare un giorno.» dice, perché esattamente ciò che fa sempre Fabrizio. Lui dice, non perde mai il controllo. Lui è perfetto. O, forse, è solo un bambino di nove anni molto strano.
Fabrizio ama avere nove anni. Probabilmente quanto amerà un giorno averne diciannove. E poi ventinove. E poi trentanove. E poi quarantanove. E così via.
Leo sfiora con la punta dei piedi il terreno e l'altalena si ferma, alza gli occhi verdi sul fratello e sorride, mostrando una fessura fra i denti.
(Mamma ieri diceva di fargli mettere l'apparecchio, si ricorda Fabrizio. Non gli piace l'idea, quella fessura lui la trova carina.)
«Non è un'idiozia.» soffia, gli occhi luminosi. Alcune volte guardando il fratello a Fabrizio sembra di star guardando se stesso, una versione più minuta, più vivace, più fastidiosa e saltellante. No, in realtà Leo non gli assomiglia così tanto, se non per gli occhi. Ha il nasino un po' più all'insù – uguale a quello di Mamma – e ha quella voglia sul collo che lui non ha.
Fabrizio tace.
Un minuto. Due minuti. Tre minuti. Quattro. Cinque. Sei. Sette. Otto.
Nove minuti.
«Posso fare io un giro con l'altalena ora?» si lascia sfuggire. Leo ride.
È un mercoledì.

 

«Facciamo un patto.»

 

Stanno tornando a casa da scuola. Fabrizio detesta le medie, le detesta davvero, le ragazze che ti guardano dall'alto verso il basso, i professori – a parte quella di lettere, lei non è così male – e suo fratello gemello, lo stesso che ora ha gli occhi verso il cielo, verso le nuvole, e sbadiglia un «odio i mercoledì» passandosi le dita fra i capelli neri. «Sono una palla assurda.» aggiunge lamentoso, sfiorandosi l'orecchino.
Fabrizio vorrebbe dirgli di stare zitto e non scassare i coglioni, ma riesce solo a pensare come si è incazzato Papà quando Leo due giorni fa è tornato a casa con quella roba. A come Leo è poi corso da lui, piangendo, durante la notte, e al livido violaceo che aveva sulla guancia che a lui è toccato nascondere con il trucco quella mattina. Mamma e Papà quando erano usciti stavano litigando – non che quello fosse una novità.
Routine.
A Fabrizio piace quella parola, anche se non quanto mercoledì perché mercoledì ha nove lettere mentre routine solo sette.
Dà un calcio ad un sasso.
Non è vero che odia Leo.
Vorrebbe riuscire ad odiarlo. Odiare le sue manie di protagonismo, il suo gesticolare, quel suo modo di passarsi la mano fra i capelli, il suo egocentrismo, il suo sorriso.
Quella fessura fra i denti.
Leo.
L-e-o.
Sono tre lettere.
Tre è un divisore di nove.

 

«Non credo in queste cose.»
«Non ha importanza, idiota.»
Lui si arrende.

 

 

Ha tredici anni quando sente Lorenzo chiamare Leo «frocio». Fabrizio non ha idea di cosa voglia dire esattamente, ma dal modo in cui Lorenzo – quel coglione – sogghigna non deve essere un complimento. Ed è per questo che lo prende a pugni nel cortile della scuola.
Dieci minuti dopo è là, nell'ufficio della preside, sua madre che blatera qualcosa a proposito di quanto lui sia sempre stato un bambino buono e tranquillo. Lui resta in ostinato silenzio.
Sono un giorno di sospensione.
Non lo preoccupa più di tanto.
La preside sbotta che potrebbe rischiare la bocciatura. È una balla, lo sanno entrambi, ha una buona media e per essere bocciati alle medie lì ce ne vuole. Davvero.
All'uscita della presidenza c'è Leo ad aspettarlo, Mamma si è fermata a parlare con la preside. Leo lo fissa.
«Mi hanno detto com'è andata.» fa una smorfia, è serio. È strano vedere Leo serio. «Grazie.» mormora. Porta l'apparecchio, Mamma l'ha convinto ad incominciare a metterlo durante l'estate. È quello fisso e lui non lo sopporta, gliel'ha confidato due settimane fa.
Fabrizio alza gli occhi al cielo.
«Non importa. Sono tuo fratello.» È quello che fanno i fratelli di solito, no?
Leo ride, gli occhi veri di nuovo brillanti. Fabrizio odia vedere Leo triste. O ferito. O qualcosa che non vada dalla noia alla più totale eccitazione per un nuovo gioco della PlayStation.
«Fabri?»
«Sì?»
«Odio il mercoledì.»

 

«Okay.»
«Okay o okay-okay?»
«Okay-okay, per chi mi hai preso?»

 

Leo non bussa mai alla porta, lui la spalanca ed entra come se nulla fosse e si lascia cadere sul suo letto.
«Ma' e Pa' stanno litigando.» annuncia annoiato. «È perfino uscita fuori la parola divorzio.» spalanca gli occhi, fingendosi incredulo, e Fabrizio non riesce a trattenersi dal sorridere, non ha idea di come Leo riesca a fare ironia sulla loro pietosa situazione famigliare.
«Davvero?»
Leo annuisce e una porta al piano di sotto sbatte.
«Questo è Papà che se ne va.» fa la telecronaca, afferrando uno degli astucci abbandonati sulla scrivania «e questa-» delle urla «è Mamma incazzata nera.» Rotea gli occhi «Non sono nemmeno originali.»
«Idiota.» sbuffa Fabrizio.
Leo ha finalmente tolto l'apparecchio, deve mettere quello mobile, anche se sospetta che se lo dimentichi visto che la fessura sta ricominciando ad apparire. Ride, accovacciandosi su di lui, canticchiando una delle canzoni dei Placebo – l'ultimo gruppo per cui ha perso la testa.
S'interrompe ed esita.
«Secondo te divorzieranno un giorno?» mormora mentre la pioggia batte contro le finestre. Fabrizio non risponde e Leo si stringe ancora di più a lui, appoggiando la testa sul suo petto. «Che schifo, i mercoledì.» esala, prima di addormentarsi.

 

Gli prende la sigaretta fra le mani.
«Quindi... è una promessa?»

 

«Come sapevi dove trovarmi?»
Fabrizio sorride, rotea gli occhi. «Vieni sempre qui quando sei nervoso.» Intanto l'altalena cigola con dolcezza. Osserva suo fratello. Ha le lentiggini, non ci aveva mai fatto caso. È diverso di lui, più diverso di quando avevano nove anni. Leo ha quel che di languido che a lui manca, quel modo di piegare le labbra in un sorriso innocentemente malizioso che gli dà sui nervi.
Leo lo guarda.
«Pensi che Pa' tornerà?» fa, e si morde l'interno della guancia. Ha le cuffiette dell'I-pod alle orecchie, Brian Molko canta Just nineteen and sucker's dream, I guess I thought you had the flavour.
«Non ne ho idea.» Fabrizio scuote le spalle. «Forse è meglio così.»
Diciassette anni. Hanno diciassette anni. Lui ha optato per il liceo classico, ha un debole per le cose difficili, Leo è finito a fare l'artistico, a disegnare tratti di carboncino sui fogli guardandolo di sottecchi. Non vuole mai fargli vedere i suoi disegni, ma lui sa che ha talento.
Se dovesse associarli un colore Leo sarebbe l'azzurro, azzurro acquerello, aggraziato come una ninfa dell'acqua e pura poesia. Contraddittorio, capriccioso, solo Leo. Leoleoleo.
Ha un bel suono, pensa.
Si porta la sigaretta fra le labbra e aspira, lasciando che il veleno raggiunga i polmoni. Nella sua mente Mariangela lo sta guardando male e borbottando come al solito che finirà per ammazzarsi da solo, forse è quello che vuole. La verità è che Fabrizio è affascinato dall'autodistruzione, dalla poesia e dalla morte.
E da Leo.
Poi ritorna sulla Terra. «Facciamo un patto.» se ne esce Leo così, di punto in bianco.
Brian Molko canta Just nineteen and dreams obscene with six months off for bad behaviour.

 

«Sì, lo è.»
Leo ride, si stringono la mano.
Il mercoledì è il loro giorno.
E ha nove lettere.
(E loro due non si lasceranno mai.)

 

 

 

-

 

 

I PARTE (Rottura)

Fabrizio decide che l'amore è strano quando Mariangela, la sua migliore amica e compagna di banco del liceo, gli dice di essere innamorata di lui. Ha le guance rosse e le tremano le gambe e lui non sa cosa dire.
L'università non è come si aspettava, ma se ne è innamorato subito, anche se sa che suo fratello ne odierebbe i muri grigi e l'indifferenza della gente. Apatia, a Fabrizio non dispiace l'apatia, Leo la odia. Quando si sente in imbarazzo la mente di Fabrizio incomincia a viaggiare, ad estraniarsi. È tutto così ridicolo.
Lui non è innamorato di Mariangela.
Sarebbe così scontato. Noioso. Poco drammatico.
Quando pensa ad «amore» gli viene in mente il modo di guardare di Leo il gelato al cioccolato o il suo modo di spiegargli un quadro, quella passione, quel fuoco che sembra animarlo.
Come sarebbe poi la loro vita insieme? Mamma adora Mariangela, tutti adorano Mariangela – anche lui, finirebbero per sposarsi e avere due figli, passerebbero la vita a scambiarsi dialoghi come «com'è andata la giornata, amore?» e a fingere che vada tutto bene.
«Oh» dice solo, intanto pensa che manca meno di una settimana al suo diciannovesimo compleanno.
Mariangela esita, è quasi tenera. «Quindi... per te è okay?»
Quella situazione è surreale.
Quindi perché sta facendo sì con la testa?
Mariangela sorride, sembra felice, e quando sente le sue labbra premere sulle sue Fabrizio non riesce a non irrigidirsi. Non gli piace essere toccato. Tutto sta andando troppo veloce.

Fabrizio adora il corso di poesia, è l'unico forse dove sta davvero attento, perché vuole. Il professore è simpatico, cosa rara per un'università, ha quel modo coinvolgente di parlare che riesce a prendere tutti.
A Fabrizio serve la poesia per stare bene.
La poesia ha quella simmetria, quella passione avvolgente, quel qualcosa. Se Leo è l'azzurro lui è il grigio. Grigio noia, grigio università, grigio della vita. Fabrizio ha un debole per la routine. Si alza sempre alla stessa ora, non va mai a letto tardi, s'impegna nello studio e odia le feste.
La poesia è l'unica cosa che riesca a farlo sentire vivo oltre a Leo.
Quando suona la campana, raccoglie le sue cose e le infila malamente nella borsa, caricandosela in spalle. Esce a passi veloci dall'aula, nella speranza di riuscire ad evitare Mariangela.
Strano.
Ci riesce.

Se Leo è l'azzurro e lui è il grigio Mariangela è verde. Verde speranza.
È ottimista, fisicamente carina e fa delle battute divertenti. È quel genere di persona di cui il genere di persona di Fabrizio finisce per innamorarsi. Forse lui è l'eccezione che conferma la regola, forse l'amore viene col tempo, forse è troppo confuso per rendersi conto di ciò che prova.
Un «boh» si forma nella sua mente. Vuole bene a Mariangela, hanno passato bei momenti insieme. Le giornate a guardarsi Doctor Who alla tv – quando Ten si è rigenerato si sono lamentati insieme, per poi perdere entrambi la testa per Matt Smith, le uscite al cinema a vedersi i vari film del momento, le verifiche copiate al liceo.
Mariangela è Mariangela.
Tutto qua.
Infila la chiave e la gira, per poi entrare nel suo appartamento, tutto è al suo posto. Perfettamente ordinato. S'infila sotto la doccia e una volta uscito lancia un'occhiata distratta al cellulare.
Un nuovo messaggio. Leo.
Un sorriso si disegna sulle sue labbra. Non fa nemmeno caso alla pessima grammatica di suo fratello.

Hola, brother! Qst fine settimana passo da te, ok? Nn ti faccio gli auguri in anticipo xkè porta sfiga ;D
Ps: ti voglio bene, stronzo.

Risponde solo con un «okay» ma sa che a Leo non importerà.
Perché se Mariangela è Mariangela allora Leo è Leo.

 

-

 

Leo odia il mercoledì e la mattina e soprattutto il mercoledì mattina. Se fosse per lui la scuola dovrebbe iniziare alle dieci.
E invece no, quando la luce viene accesa nella sua camera sono le sette e mezza.
«Ancora cinque minuti, Ma'» bofonchia, cercando di proteggersi col cuscino.
Riesce ad immaginarla roteare gli occhi «Matteo ti passa a prendere alle otto meno un quarto.» poi la porta sbatte.
Che rottura.
Leo ha perso un anno, tutti hanno dato la colpa al trauma del divorzio dei suoi genitori, la verità è che semplicemente non aveva voglia di studiare. L'unica cosa che lui vuole fare è disegnare e, al massimo, dipingere. Tutto il tempo.
E invece si alza, afferra la prima cosa che gli capita dall'armadio e si sistema il piercing nuovo studiandosi allo specchio. La cosa figa del liceo artistico è che son quasi tutti abbastanza sballati, dunque di solito non ce nessuno che ti scassa particolarmente i coglioni se ti vesti in un dato modo o altro.
Libertà d'espressione, Leo ama questo termine.
Quando Matteo suona per la terza volta il clacson sotto la sua finestra, la sfumatura leggermente incazzosa, sono le otto meno dieci e Leo si sta sistemando i capelli.
La scuola può aspettare.
«Sto arrivando. Non rompere tanto le palle, Matte!» urla, affacciandosi dalla finestra, e per un attimo pensa di essere Raperonzolo sulla torre.
Che pensiero idiota, ride.

Ci sono volte in cui Leo si sente così tremendamente solo e abbandonato e allora deve accendere la musica al massimo e cancellare tutto.
Smettere di pensare.
Leo è per le cose istintive, le stronzate, le risse nei bar (anche se è troppo magro e le prende sempre lui). Ne ha bisogno per sapere di essere ancora in quel mondo. Alle volte pensa che è tutto inutile, che tanto un giorno morirà e che nessuno saprà nemmeno della sua esistenza. Che tanto varrebbe buttarsi giù dal balcone.
Non lo fa mai.
Una volta ci ha provato, si è seduto sopra la sbarra e ha guardato di sotto. Non c'è riuscito. È sceso, ha preso un foglio da disegno ed ha cominciato a fare l'unica cosa che gli riesca bene.
Come idea, però, la tiene sempre nell'angolo nella mente.
Gli sono sempre piaciute le uscite in grande stile.

«Coglione.» lo apostrofa Matteo a pranzo. Ci sono anche Elisa e il fidanzato Filippo, oltre ai soliti casi persi con cui si ostina ad uscire. Forse perché è un po' caso perso anche lui.
Leo lo ignora, guarda il cellulare che vibra. Fabrizio ha risposto al suo messaggio.
Un semplice «okay» lampeggia sullo schermo, Leo scuote la testa.
«Hey, stronzetto, mi stai ascoltando?»
Leo alza gli occhi, sorride divertito. Non ha la più pallia idea di che cosa Matteo abbia parlato per tutto quel tempo.
«Stavo pensando di farmi le meches rosa.» informa innocente.
Matteo gli lancia una patatina. «Ti stavo chiedendo se ti andava di uscire questo fine settimana.» sbuffa, dando un morso al suo hamburger.
Leo scuote la testa.
«Non posso. Vado a Bologna a trovare mio fratello.»
Gli occhi di una delle amiche di Elisa s'illuminano. «Quello figo e misterioso?» cinguetta, sporgendosi in avanti. «Ma è fidanzato?»
Leo ride. Figo e misterioso? Fabrizio? No. Fabrizio non è figo e misterioso, Fabrizio è taciturno, comprensivo, una spalla, dolce, spesso sfuggente, affascinante. Quello è Fabrizio.
«Non ne ho idea.» ammette «è da un po' che non lo sento. Non penso, comunque. Cioè-» si morde il labbro. L'idea di Fabrizio – il suo Fabrizio – con una ragazza gli dà fastidio. Beve un sorso di coca-cola. «Credo che lo scoprirò solo una volta lì.»

Leo odia le materie scientifiche e odia la matematica. Lui vuole fare l'artista.
Scarabocchia sul quaderno: visi, occhi, braccia, gambe, oggetti. È tutto un gran casino nella sua testa. Immagini e colori.
Ma i numeri?
Non li capisce, i numeri.
Non hanno passione. Due più due fa quattro perché è così, non ci sono variabile, non c'è... vita. Arte. Sono solo cose.
A Leo piace la vita, fare stronzate, la musica a palla. Il sesso, anche. Tutto ciò che può farlo sentire – anche solo per pochi secondi – vivo.
Alza la mano per aria, sorride. «Posso andare in bagno?» azzarda, sbattendo le palpebre. La professoressa risponde con un infastidito cenno del capo, ma lui non ci fa caso, è già alla porta. Se la chiude alle spalle e si dirige ai bagni maschili. Si appoggia alla parete.
Annoiato, si sente così annoiato.
Sfila la lametta dalla tasca. Il suo polso è così dannatamente bianco, attraente, sembra quasi urlargli «rovinami, dipingimi di rosso, dammi colore». Le vecchie cicatrici sono ormai scomparse, hanno anche smesso di fargli male.
Il taglio è orizzontale, nemmeno profondo, abbastanza da fargli sfuggire un gemito di sorpresa. Serra le palpebre e inspira profondamente. Una goccia di rosso cade sulle piastrelle, la osserva ipnotizzato.
Il rosso è un colore così vivo.
Sorride.
Sta di nuovo bene.
È di nuovo vivo.

«Com'è andata scuola?» gli chiede Mamma quando rientra a casa. Sta cucinando gli spaghetti. È okay. Gli spaghetti sono okay.
Scuote le spalle.
«Come al solito.»
«Nulla di nuovo?»
«Nulla di nuovo.» urla mentre sta salendo le scale. Entra nella sua camera, chiudendosi la porta alle spalle.
Alza lo sguardo sul calendario.
Mancano tre giorni al suo compleanno. Tre giorni a Fabrizio.

 

-

 

Fabrizio esce dall'appartamento di fretta, il colletto della camicia stropicciato, è una cosa che succede di rado. In quei due giorni ha evitato accuratamente Mariangela, anche se incomincia a sentirsi un po' in colpa.
Scaccia quel pensiero quando entra in stazione e vede il treno fermarsi. Leo dovrebbe essere su quel treno. Si guarda in giro, cercando quegli occhi verdi impressi nella sua mente. Non gli darebbe mai buca, giusto? Non il giorno del suo – del loro – compleanno.
Gli vibra il cellulare.
È Mariangela.
Auguri :)
Lo ripone nella tasca infastidito, e poi lo vede. Quello stronzetto. È alto quasi quanto lui, sogghigna e ha una borsa a tracolla. Si fissano, è questione di un attimo perché si trovino a stringersi l'un l'altro in un abbraccio.
Sono di nuovo Leo e Fabrizio.
Leo ride, gli soffia sul collo, come un gattino «Mi sei mancato, stronzo.»
(E quello è il loro diciannovesimo compleanno.)

Leo e Fabrizio.
Ha un bel suono, è musicale, puro. LeoeFabrizio.
Quando la gente li guarda Fabrizio si chiede cosa vedano. Una coppia? Due amici? Si vede che sono fratelli? Sì, probabilmente sì.
Leo lo prende a braccetto, mentre camminano per Bologna, saltella da una parte all'altra, vuole vedere ogni cosa. Parla senza fermarsi mai, squittisce e fa foto con il cellulare, poi lo punta su di lui.
«Scordatelo.» cerca di ribellarsi, ma Leo ha quel modo di ridere e di pregarlo che Fabrizio finisce sempre per cedere.
«Daaaai.» lo apostrofa, facendo gli occhioni «è solo una foto!»
Quel giorno non fa eccezione.
Ma è okay, davvero.
«Fabri, che fai qua di solito? Com'è Bologna? Ti sei trovato la ragazza?» lo investe di domande «Cioè, non posso parlare solo io, lo sai. Non sono così egocentrico.» Ridono insieme perché sanno entrambi che non è vero, Leo è sul serio così egocentrico, ma non ha importanza.
Fabrizio racconta dell'università, di come sia favolosa Bologna di sera e accenna a Mariangela.
Quando arrivano all'appartamento Leo è stanco morto, ha il tempo di posare – lanciare – la borsa per terra prima di crollare sul divano.
Fabrizio si addormenta così, accarezzandogli i capelli, ripensando al bacio di Mariangela e chiedendosi che sapore abbiamo quelle di Leo.

«È finito il latte.»
«Non può essere. L'ho comprato due giorni fa.»
Leo sbuffa, spalancando di più il frigo, per fare in modo che lo veda anche lui. «Non c'è.» si lagna, la sua tazza di cereali ancora vuota.
«Terzo ripiano a destra.» rotea gli occhi Fabrizio e, ovviamente, ha ragione. Leo osserva la bottiglia con attenzione, poi fa le spallucce, rovesciandone una discreta quantità nella tazza.
«Stavo pensando» rotea il cucchiaio, intanto Fabrizio bofonchia un «perché, tu pensi?» a cui non fa caso «di finire il liceo qua.» Si mordicchia il labbro e Fabrizio scuote la testa.
«Leo, è il tuo ultimo anno. Non avrebbe senso.»
«Lo so. Era solo un'idea. Mi è venuto in mente, così.»
La verità è che Fabrizio vorrebbe tenere lì Leo per sempre, guardarlo disegnare su quel tavolo e lamentarsi per ogni stronzata. Ma sa che non è possibile e che non sarebbe il meglio per lui – per loro. Perché quando c'è Leo intorno l'unica cosa a cui riesce a pensare è a stringerlo contro di sé e a proteggerlo.
È più forte di lui.
«Comunque mentre tu stavi ancora dormendo ha chiamato Mariangela.» lo informa Leo, con una smorfia perché non l'ha mai sopportata Mariangela, lui, l'ha sempre vista come una rivale per l'affetto del fratello.
«E tu?» chiede Fabrizio, ha quasi paura di sentire la risposta.
Leo sorride, un sorriso un po' annoiato e un po' ferito.
«Le ho detto che non aveva possibilità.»
«Sei uno stronzo.»
Leo gli lancia un'occhiataccia. «Almeno io sono sincero.»

Fabrizio odia litigare con Leo perché loro due sono FabrizioeLeo tutto attaccato, senza spazi. Alza lo sguardo dalla televisione, Leo gli sta porgendo un biscotto, «Mi dispiace.» mormora, gli ci sono volute solo nove ore questa volta.
«Non importa.»
«Non so perché l'ho detto.» Leo scuote la testa «Quella cosa di prima, non che mi dispiace.» precisa in fretta.
È così carino.
Ed è per questo che Fabrizio non ha idea del perché fa quel che fa. È più forte di lui, curiosità. La sua mano si poggia sul collo di Leo, si fissano per una manciata di secondi ed entrambi sanno benissimo ciò che sta per succedere.
Le labbra di Leo sanno di burrocacao alla fragola. D'infanzia negata. Di un padre che non c'è mai stato. Di un bambino che va sull'altalena. Leoleoleo. Solo Leo.
Lo stesso Leo che ora ride e si appoggia a lui, come sempre. «Siamo due coglioni.»
«Probabile.» conviene, ma continua a baciarlo. Sulle labbra, sul collo, sul cuore. «Domani ce ne saremo già pentiti.»
Leo sorride e poi lo bacia.
«Non ha importanza.» Non ha importanza finché siamo noi due, vorrebbe dire.
«Se qualcuno dovesse saperlo-»
«Non succederà.»
Sono solo due ragazzi che si spogliano su un letto, baciandosi fino a consumarsi le labbra.
E non importa del mondo, della gente, di tutto.
Sono solo Leo e Fabrizio.
Per una volta davvero.

 

-

 

Quando Fabrizio apre gli occhi ha la testa di Leo sul petto, l'osserva qualche secondo mentre i ricordi della notte prima lo investano.
Le sue dita che slacciano i bottoni di quella camicia, le labbra di Leo sul suo cazzo, il calore, le parole sussurrate. Tutto. Il corpo di Leo contro il suo è nudo, è snello, agile, quello di un ragazzo di diciannove anni. L'angolo delle labbra si piega verso l'alto.
Fabrizio si lascia ricadere sul letto, le dita che scorrono fra i capelli del fratello. Ride. «Che stai facendo?» si lascia sfuggire.
Leo sporge il labbro inferiore «Ascolto il battito del tuo cuore.» e inarca un sopracciglio come se fosse ovvio. «Lo faccio da anni.» Da quando erano piccoli e lo lasciava dormire nel suo letto, capisce Fabrizio.
«E perché? Perché lo fai?»
Lo vede sorridere e incrociare le mani sotto il mento, sopra il suo stomaco. «Perché mi piace. Mi tranquillizza.»
Fabrizio scuote la testa.
«Vado a preparare la colazione.» borbotta.
«Fai le omelette!» gli urla dietro Leo e Fabrizio alza gli occhi al cielo.

«Non sono male.»
Fabrizio risponde con un cenno della testa.
Leo sbuffa. «Sul serio.» Ammutolisce, in attesa che Fabrizio dica qualcosa. Non lo fa. Se c'è una cosa che Leo odia di Fabrizio è che pensa troppo. Leo – tutto sommato – è una persona pratica. Se qualcosa ci fa felici, dov'è il problema? Lui ama Fabrizio ed è felice di amarlo, dal suo punto di vista non è un errore. E non gliene fotte un cazzo della legge italiana.
Fabrizio non è così. Fabrizio è rispettabile. Fabrizio è vissuto di apparenza per anni. Fabrizio insegue la perfezione e non capisce, non capisce che non ne ha bisogno perché ai suoi occhi lui è perfetto nella sua fottuta imperfezione.
Ed è per questo che quando dice «Questo- noi non siamo giusti, Leo.» non è stupito perché è una frase così da Fabrizio che sembra confezionata.
«Stronzate.»
«Tu non capisci, pensa a mamma.»
Quello è un colpo basso.
«C'è un'altra questione.» sospira.
Leo si sporge in avanti, poi sbotta, tagliente «Quale?»
C'è silenzio. A Leo viene quasi da ridere, la vita è strana, la natura umana stessa è strana, come si riesce a passare dalla felicità più pura alla rabbia più furente in meno di dieci minuti. Vorrebbe picchiare Fabrizio, dirgli che no, cazzo, non è un errore e poi coprirlo di botte.
Ma poi Fabrizio sorride, un sorriso triste, e lui capisce.
«Il tuo polso.»
Oh.

Ci sono volte in cui Leo si sente così scosso che vorrebbe solo prendere il carboncino e incominciare a disegnare, così, a caso, con gli occhi chiusi, lasciando la mano libera e di scorrere sul foglio.
«Potrei essere caduto e aver sbattuto contro uno spigolo.» Alza le spalle, si finge indifferente.
Fabrizio lo fissa, un sopracciglio inarcato. «Mi credi un idiota?»
Leo sorrise. «Scusa.» Infilza un pezzo di omelette, lo mastica lentamente «Hai ragione ad essere arrabbiato.»
«Non sono arrabbiato. Sono... preoccupato.» Fa una smorfia. «Perché? Dimmi solo il perché.»
Lo fissa.
Il perché.
Se lo chiede anche lui alle volte.
Il fatto è che gli piace, è come se il suo polso fosse la tela e quella lametta il pennello, nella sua testa ha senso. È un artista, vedere le cose come non lo fa nessuno è il suo scopo della vita. E poi c'è la noia, la noia di vivere.
Semplicemente la noia.
«Non ho più fame.» mente, si alza ed esce, ignorando la voce del fratello che chiama il suo nome.
È tutto okay, pensa. Tutto okay.

La prima verità è che non ha idea di come orientarsi a Bologna, non sa niente di niente ed è quindi una fortuna che Fabrizio gli afferri il braccio, bloccandolo. «Non fare il coglione.» lo sente mormorare.
Leo lo fissa, infastidito. «Non mi serve il tuo aiuto.» sbotta per poi serrare le labbra.
La seconda verità è che un po' ci sperava che riuscisse a raggiungerlo e a fermarlo perché fra le braccia di Fabrizio si sente al sicuro, come un bambino fra le braccia del papà (un padre che lui non ha mai avuto) solo che Fabrizio è Fabrizio ed è suo fratello.
«Mi dispiace.» sospira Fabrizio prima di stringerlo a sé. «Non volevo darti addosso, ma ero terrorizzato.»
La terza verità è che Leo ama la vita, è affascinato da lei, dalle emozioni, dal mondo.
Gli artisti sono gente strana, dopotutto.
La quarta verità è che quando Fabrizio gli poggia le labbra sulla fronte, lì, per strada, Leo lo ha già perdonato.
«Idiota.» borbotta invece, mordendosi il labbro e Fabrizio ride.
La quinta verità è che le omelette di Fabrizio fanno abbastanza schifo e la sesta è che gli piace il modo in cui tiene stretta la sua mano mentre s'incamminano di nuovo verso l'appartamento.
«Sto pensando di venire a stare un po' a casa.» gli rivela Fabrizio, distrattamente, e lui scuote la testa. «Non dovresti mollare l'università.», la settimana verità è che farebbe qualunque cosa per riaverlo intorno.
«Verrei per una settimana, magari il mese prossimo. Solo per...» sbuffa «tenerti d'occhio.»
Leo ride. «Ed oggi che faccio con il treno? Posso restare?»
Fabrizio gli risponde con un'occhiataccia. «Scordatelo, hai saltato anche troppi giorni di scuola.» Alza le spalle. «Controllerò su internet a che ora c'è il treno, intanto tu incomincia a preparare la valigia.»
L'ottava verità è che Leo è una persona terribilmente egoista a cui non frega proprio un cazzo del mondo e della morale. Ed è per questo che le sue labbra ora sono su quelle di suo fratello.

«Fabri.» gli sussurra lamentoso in un orecchio.
«Che vuoi?»

La nona verità è che forse si è innamorato della persona sbagliata, ma quel «sbagliata» alla fine è relativo.

(No?)

«Fai la doccia con me.»

 

-

 

«E continuò?»
Rido, è più forte di me. Il fatto è che noi esseri umani abbiamo questa dannata tendenza a complicare ogni fottuta cosa. Era continuata? Sì, per un po sì. Amavo Leo? No, ma una parte di me, quella oscura, quella che continuavo con tanta ossessività di nascondere, era perdutamente persa per lui. Ero consapevole di ciò che facevo?
Ora come ora vorrei dire di no, ma sarebbe una bugia.
Lo desideravo. Tutto quello. Il proibito.
Leo.
Mi piacerebbe citare Lolita, qualcosa tipo «Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti.» Era quello – quello – che rappresentava Leo per me? Un'ossessione? No, non solo. Leo non era la luce della mia vita, lui era la mia vita.
Lo so cosa sta pensando, dottoressa. Che sono malato. Che noi (io e lui) eravamo malati. No, è errato. Eravamo giovani, irruenti, innamorati persino. Ma malati? È malattia amare il proprio fratello? Se sì, ebbene, allora ero e sono malato.
Leoleoleoleoleoleoleoleoleo. Potrei andare avanti a ripeterlo all'infinito, riempire pagine e pagine con solo il suo nome.
Dov'è lui adesso?, mi chiede. Non lo so, da qualche parte, ai confini del mondo forse, spero sia felice ma, detto fra noi, ne dubito. Ci sono persone che non nascono per essere felici, noi due lo sappiamo. Siamo tutti destinati a vivere come miserabili, a mio parere. A distruggerci con le nostre stesse mani.
Non è patetico?
«Vada avanti.» mi dice ed io sorrido. Ne è sicura, dottoressa? Non sarebbe forse meglio fermarsi qua? Quando la storia ha ancora un lieto fine? Potrebbe far finta sia una favola, un vissero felice e contenti.
E invece no, le mie labbra si muovono da sole, mentre nella mie mente è dipinto un unico nome che si ripete all'infinito.
Leo.
Leo.
L-e-o. (Elle-e-o?)
Le-o. (Le ho?)
Forse semplicemente Leo. La elle in un elegante corsivo e la «e» un po' schiacciata. Leo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note finali:

Uso questo piccolo spazietto per ringraziare DI CUORE MeduraNoir per aver accettato di betare questa storia, è stata davvero fantafantastica. Semplicemente.
Per i personaggi di Fabri e Leo mi sono ispirata a questa foto, di cui mi sono innamorata a prima vista, tanto da finire per scriverci su (il che è una cosa abbastanza inquietante, a ben pensarci).
Una precisazione: la scena del risveglio e il dialogo «Cosa stai facendo» «Sto ascoltando il battito del tuo cuore» è ispirato ad una scena del film Cloud Atlas, che fra l'altro consiglio davvero a tutti perché è fantastico.
Non so se si è capito, ma faccio schifo con le NDA. Avrei un sacco di cose da dire, ma non ci riesco a esprimerne come vorrei nemmeno mezza.

 

 

With love,
Chibi.

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Capitolo 2
*** Sulla pelle ***


Titolo: Mercoledì ha nove lettere
Fandom: Originale > Romantico
Pairing: Slash
Genere: Romantico, Generale, Drammatico
Rating: Arancione
Chapper: 1/2
Summary: Sono sempre stati Leo e Fabrizio. Leo e Fabrizio sono gemelli, amici, coinquilini. Leo e Fabrizio si assomigliano un po', abbastanza da individuare quel legame di parentela. Leo - capelli neri spettinati, piercing, quello che ride sempre, non pensa mai, che ha una cotta per Brian Molko e odia il mercoledì – e Fabrizio – che scrive poesie sui quaderni, ossessionato dal numero nove e fan di Doctor Who.
Alle volte, però, vorrebbero essere solo Leo e Fabrizio.

 

 

Mercoledì ha nove lettere è una mia creazione, i personaggi
e il banner sono di mia proprietà.
Parla di incesto fra fratelli (boyxboy)
e accenna a tematiche delicate quali l'autolesionismo.
Né la trama né i personaggi s'ispirano alla realtà, Leo e Fabri appartengono esclusivamente alla mia immaginazione.
(Aggiungetemi su Twitter, se vi va, @Imapanda_H,
o cercatemi sul mio Ask! ♥ )

ps: Se plagiate vi spezzo le braccine.
With Love,
Chibi.

 

 

Mercoledì ha nove lettere
(e quattro sillabe)

 

 

 

II PARTE (Sulla pelle)

Fabrizio respira piano, l'altro ragazzo fra le sue braccia. Riesce a sentire il suo odore. Leo sa di mare, di sale, di azzurro.
L'ultima volta che si sono visti. Quant'è passato? Due mesi?
«Fai la doccia con me.»
Che idiozia, che idioti (loro). Eppure in quel momento non aveva esitato più di tanto ad aprire l'acqua calda (Leo odiava la doccia fredda, se l'acqua non era bollente non riusciva mai a farla) e aveva passato il pomeriggio a baciarne ogni neo sul collo. Uno per uno.
Leo aveva la pelle candida, color del latte, quel tipo di pelle che ti fa venir voglia di strofinarci sopra il naso. Fabrizio l'aveva fatto, con delicatezza, per poi assaggiarla piano con la lingua.
Ora l'osserva.
Leo bofonchia qualcosa nel sonno, poi crolla di nuovo addormentato. Fabrizio sospira.
L'aveva aiutato a fare i bagagli, anche se lui aveva detto che non ce n'era bisogno, che avrebbe messo tutto alla rinfusa come sempre. Poi l'aveva trascinato alla stazione, fermando il motorino nel parcheggio e prima che potesse protestare Leo l'aveva baciato sulla guancia, come se fosse stato la sua fottuta fidanzata.
«Ciao.» Un sussurro.
Un sorriso si era delineato sulle labbra di Fabrizio. «Ciao.» Si erano guardati per una manciata di secondi.
«Mi mancherai.»
Fabrizio l'aveva osservato salire sul treno da lontano, il borsone con la roba sulla spalla. Si era voltato un'ultima volta sul primo gradino della scaletta, ignorando gli spintoni della folla.
Solo loro due. (LeoeFabrizio)
Gli era bastato muovere le labbra, ma Fabrizio aveva capito.
Ti amo.
«Anch'io.» L'aveva mormorato al vento prima di voltarsi e alzare il cavalletto della moto.

E ora è Natale. Natale. Natale e a lui sembra che siano passati solo pochi giorni dall'ultima volta che loro due sono stati insieme, le dita intrecciate. Non ha idea di come sia successo. Era da anni che non facevano un Natale come si deve, in famiglia, e poi improvvisamente Mamma se n'era uscita con quella storia. Lui, lei, il nuovo tizio con cui si sta frequentando. E Leo.
Picchietta piano contro il suo fianco, il sorriso da ragazzino. «A cosa pensi, Fabri?» sussurra. Alla penombra della stanza Fabrizio riesce quasi a vedergli le lentiggini.
«A cosa penserebbero Mamma e Simone se mi trovassero qui.» mente, rapido, baciandogli la punta del naso, per poi scendere con dolcezza.
«Gli diremo.» Gemito. «che-» Occhiataccia «ho ancora paura di dormire.» Gemito. «Da solo.»
Fabrizio adora quel rossore delicato che si sparge sulle guance del fratello. Adora baciarlo (i nei, le cicatrici, l'incavo del collo, tutto), sentire la sua pelle sotto la propria, amarlo.
È un amore sensuale, il loro, che si basa su un castello di bugie, nato e cresciuto nelle notti senza stelle.

Leo gli dà il suo regalo in anticipo, il pacchetto è morbido, non esageratamente grande, di carta argentata.
Fabrizio lo apre con delicatezza. È una sciarpa. È-
«Blu Tardis.» sogghigna Leo «Ho girato tutta Torino per trovarla». Esita, un sorriso imbarazzato. «Volevo... volevo che fosse perfetta.» Inclina la testa di lato, facendo le fusa come un gattino. «Ti piace?»
Fabrizio sbatte le palpebre. È splendida, pensa, invece riesce solo a dire, incredulo «Hai iniziato a guardare Doctor Who? God.»
Leo gli lancia addosso il cuscino.

«Ti odio.» esala teatralmente.
Fabrizio rotea gli occhi. «Sei un pessimo bugiardo.»
Poi lo bacia.

 

-

 

Un tatuaggio. Leo vuole farsi un tatuaggio.
Saltella per via Roma, l'espressione eccitata di un bambino, gli scarponcini che affondano nella neve. Quella mattina si è alzato, l'ha guardato con noncuranza e poi ha fatto: «Fabri, voglio farmi un tatuaggio.»
Così. Di punto in bianco.
«Ma ne sei proprio sicuro? Pensa a quando sarai vecchio.» aveva cercato di dissuaderlo, alla fine era stato costretto ad arrendersi di fronte alla cocciutaggine del suo gemello. «Cosa vuoi tatuarti comunque?» dice, con un sorriso accondiscendente, evitando per un soffio una palla di neve.
Leo lo guarda, sicuro.
«L'infinito, l'universo, noi due. Così che ogni volta che mi guarderò la spalla penserò a te, a oggi, ricorderò che amare fa male, ma che a me non importa nulla, che la sofferenza e il dolore sono ciò che mi fanno sentire più vivo.» Gli sorride, quella fessura fra i denti di quand'era bambino. «Tu mi fai sentire vivo, Fabri. Tu sei il mio universo.»
«Non ho mai sentito qualcosa di più idiota e melenso.» sbuffa Fabrizio e Leo fa le spallucce e riprende a saltellare, incurante.

«Cazzo se brucia.» geme, massaggiandosi il braccio.
Il negozio del tatuatore è piccolo, un po' augusto, ma pieno di clienti. Probabilmente è il migliore della città. 
Leo non scherzava.
Si è tatuato sul serio l'universo.
Anche se per tutto il lavoro non ha fatto altro che urlare istericamente che gli faceva male appena l'ago gli sfiorava la pelle.
Fabrizio scuote la testa. «Tu sei tutto matto.»
Un sogghigno si distende sulle labbra di Leo.
«La cosa figa dell'essere matti è che si vedono cose che agli altri sfuggono.» E allora Fabrizio pensa che non importa se suo fratello è un completo idiota, per quanto svitato, finché è suo. Suosuosuosuosuo.
In realtà lo è sempre stato, sono sempre dipesi l'uno dall'altro, senza nemmeno rendersene conto. Fabrizio una vita senza Leo non riesce nemmeno ad immaginarla, senza i suoi «Mi ami? Ma quanto mi ami, Fabri?», le sue stronzate, il suo tono petulante, le sue matite che grattano i fogli. Lui.
(Loro.)

«Se torniamo troppo presto rischiamo di trovare Simo e la Mamma che pomiciano.» si lamenta Leo, con uno sguardo terrorizzato. «Alla loro età!»
Scoppiano a ridere, insieme, Leo alza lo sguardo, lasciandosi cadere su una delle panchine di Piazza Castello.
«A dir la verità sono un po' felice per lei. È bello che abbia finalmente trovato la felicità, dopo...» tutto ciò che ha passato. Dopo Papà.
Fabrizio lo abbraccia, da dietro, in mezzo alla strada. «Non pensarci.» mormora, piano, Leo lo ignora.
«Sai, quando Mamma se n'è uscita con questa storia del Natale in famiglia ho pensato immediatamente che ci sarebbe stato anche Papà. Pensavo che si fosse pentito, che- Che idiozia, vero? Alle volte penso che sia colpa mia se...»
«Non è stata colpa tua, nemmeno di Mamma. Non è stata colpa di nessuno, se non sua..»
«Balle, Fabri. Lo facevo sempre incazzare.» sbuffa Leo, si sforza di non piangere, guarda ostinatamente il marciapiede. «Mi chiedo come lo stia passando lui il Natale. Probabilmente attaccato alla bottiglia.»
Fabrizio scuote la testa. «Piantala.» Stronzate, vorrebbe dire, tutte stronzate, invece si limita a tenergli la mano, a stringerla.
«Magari è morto e Mamma non c'ha detto nulla.» continua Leo, ignorandolo. «Sai, sarei andato al suo funerale e avrei anche pianto, ecco. Era un gran bastardo, vero? Un grandissimo fottuto bastardo. Però...» Però gli volevi bene, continua Fabrizio nella sua testa. In realtà l'aveva sempre sospettato che sotto sotto quelle piccole bravate giovanili, le cazzate di Leo, avessero come unico obiettivo attirare l'attenzione di Papà.
«Perché stiamo parlando di lui?» sibila Fabrizio, perché devi rovinare questa giornata, Leo? Perché non riesci a farne a meno, si risponde da solo. È quello a fare di suo fratello un'artista. Il dolore, la sofferenza, l'amore.
L'arte.
Leo sorride, quel sorriso un po' malinconico, poi si rianima e gli occhi si riaccendono. Lo afferra per il polso, trascinandolo verso il primo bar di fronte. «Andiamo a prenderci una cioccolata calda!» urla.
Un artista schizzato, pensa Fabrizio, e per la prima volta nella sua vita si sofferma a pensare che, forse, sotto quei modi così apparentemente superficiali Leo è la persona più sensibile che abbia mai conosciuto.
E che lo ama.
Oh, lo ama.
In quel modo pazzo e senza senso, come Leo. Come loro due insieme.

 

-

 

Fabrizio rimane a Torino per tre giorni, per tre giorni sgattaiola nella notte nella stanza di Leo, per tre giorni lo copre di baci e carezze. È come essere di nuovo completo. Perché c'è Leo e loro due sono insieme.
Mariangela lo chiama la sera del secondo giorno, vuole sapere come sta. Hanno fatto pace, Fabrizio non sa quanto Mariangela sappia o abbia intuito, ma la ragazza evita di parlarne. Sono di nuovo amici, come sempre. Gli dice, ma c'è una punta di freddezza nella sua voce: «Salutami tua madre.» Di Leo non fa cenno.
E, forse, è meglio così, che Mariangela faccia finta di non sapere, evitare lo scandalo. Vivere nell'ombra, di secondi rubati.
Il quarto giorno prepara la valigia, Simone lo accompagna in macchina fino alla stazione.
«Prenditi cura della Mamma.» gli dice prima di scendere e Simone lo guarda un po' stupito. Leo invece scende, lo vuole guardare fino alla fine, non vuole perdere nemmeno un minuto del loro tempo assieme.
Sembra un déjà-vu, solo che i ruoli sono invertiti.
«Stavo pensando di andare in Francia.» fa Leo, a bruciapelo, il treno non è ancora arrivato. «Un mio amico ha un cugino che potrebbe affittarmi un appartamento.»
Fabrizio lo guarda, una punta d'incredulità. «Tu non sai una parola di francese.»
«Imparerò.» sbuffa Leo, poi si morde il labbro, abbassando la voce perché Simone non possa sentire. «Sai che non ti chiederei mai di abbandonare gli studi per me, ma... in estate, magari. Ad agosto, quando mi sarò sistemato, tu-»
Il treno è arrivato, Fabrizio sente (sa, come solo un fratello gemello può sapere) che Leo non gli ha detto tutto. E che non c'è più tempo.
Lo abbraccia. «Ci penserò.» promette.

Leo viene promosso, lo chiama al cellulare. Non riesce quasi a crederci. Sogghigna, tenendosi con una mano stretta a Matteo (lo stesso che grida infuriato di sottofondo «Mollami, coglione!») e con l'altra il cellulare pressato all'orecchio: «Promosso, Fabri! Mi hanno promosso!» cinguetta, ancora incredulo.
«Probabilmente perché non ne potevano più di averti fra le palle.» ribatte, razionale, il fratello e Leo alza le spalle, senza sforzarsi di negare. «Può darsi.» ammette, ridendo. «Ora devo andare!» urla, chiudendo la chiamata.
Leo gli scrive di tanto in tanto, e-mail di non più di cinque righe, frizzanti, così... Leo. Gli scrive quando parte per la Francia, che l'appartamento è piccolo, ma ha una vista splendida sulla città, si lamenta dei suoi coinquilini, dei piatti da lavare, dice che i francesi sono tutti degli snob. Si sta facendo insegnare il francese, Fabrizio lo capisce perché alcune frasi sono scritte in lingua, per lo più imprecazioni. Lui, il francese, non lo conosce, quindi per decifrare quelle e-mail è costretto a usare Google Traduttore.
Non ci vuole molto perché l'e-mail tendano a tardare, il tono diventi più distante, più indifferente. Ha incominciato a lavorare come cameriere in un bar, come sta la mamma? L'aveva più sentita? Ora però doveva andare, iniziava il suo turno. Ti chiamo più tardi.
Ovviamente poi non lo chiama.

Non ci vuole un genio per capire che ha un'amante, lì, in Francia. Fabrizio se lo sogna di notte, immagina di ucciderlo, che tenga suo fratello rinchiuso in una torre, ma sa che sono tutte cazzate e che probabilmente Leo sta benissimo là dov'è. Con quel tizio che lui non ha nemmeno mai visto.
Poi arriva la chiamata.

(«Fabri, Fabri, sei tu? Ho bisogno di te.» e dopo «Sono Papà.»
Fabrizio vorrebbe solo dire che, no, lui non è suo padre.)

Non sapeva chi chiamare, gli dice, lo ringrazia per avergli pagato la cauzione. È dispiaciuto, sul serio, è-
«Sono passati quattro anni.» lo interrompe Fabrizio. «Quattro fottuti anni.»
Papà lo fissa. Sembra invecchiato. I capelli si sono fatti più bianchi e le rughe più profonde. Fabrizio se lo ricorda come un bell'uomo, i vestiti eleganti, sempre stirati, e il sorriso di chi sa come ottenere ciò che vuole. «Avevo promesso a vostra madre che non vi avrei mai più toccato. Te e Leo.» Si sporge in avanti, dopo aver ordinato con uno sguardo fugace un Martini. «Come sta lui?»
Fabrizio irrigidisce la mascella.
«Sta bene, credo.» si sforza a dire. «È in Francia, lavora in un bar come cameriere. L'ultima volta che l'ho sentito sembrava felice.»
Papà lo guarda, per un secondo pensa che sappia. Sappia tutto. Ma l'idea è così ridicola che- «E tu, Fabri, come stai? Hai l'aria di uno a cui hanno spezzato il cuore.»
« È così evidente?» ammette. Ma ora sto meglio, vorrebbe dire, solo che sarebbe una bugia.
«Donne, eh?»
(No, Papà, Leo. Solo Leo. Leoleoleo. Te lo ricordi Leo, vero? Occhi verdi, ti faceva sempre incazzare. Sembrava quasi che ci trovasse gusto e forse era così. Lo odiavi. Ti faceva perdere la pazienza e tu finivi per picchiarlo, poi hai incominciato a prendertela anche con Mamma perché lo difendeva. Hai incominciato a bere e ti arrabbiavi per ogni minima cosa. Con me no, mai, io ero quello tranquillo, quello pacato, sapevo quando stare zitto. Quando tu ne sei andato mi sono preso io cura di loro, di Leo e la Mamma.)
Ora lo guarda, sbadiglia. «Si sistemerà tutto, vedrai.» Gli fai l'occhiolino, sono fiero di te, significa.
«Non sono stato un buon padre.» ride, è il terzo bicchiere di fila. Fabrizio non risponde, sa quand'è meglio tacere. L'ha sempre saputo.
Fabrizio si alza, pensa ad andarsene e mollarlo lì, ubriaco. Gli afferra il braccio. «Digli che gli ho voluto bene.» dice nel delirio.
È un po' sbronzo anche Fabrizio, forse.

 

-

 

Si sveglia nel suo letto, fa per sbadigliare quando la sua gamba ne sfiora una estranea. Si sente un coglione. Gli gira un po' la testa. Stesa a fianco a lui c'è una ragazza.
La osserva qualche secondo. Ha la pelle chiara, bianca come il latte, le ciglia lunghe e i capelli biondi cotonati che arrivano alle spalle. Apre gli occhi.
Verdi.
Sono quasi come quelli di Leo, pensa. Un poco più chiari, negli occhi di Leo si può vedere l'infinito, quelli della ragazza sono sul verde foresta. È il verde sbagliato, anche se simile. Forse, nell'ubriachezza, l'aveva scelta per gli occhi.
Fabrizio sospira, una punta di fastidio. «E tu chi cazzo sei?» bofonchia, prima di crollare di nuovo sul materasso.
La ragazza si issa a sedere, lo fissa con un sopracciglio inarcato. «Esmeralda.» Un nome inventato sul momento, capisce Fabrizio. Probabilmente lo cambiava ogni notte, a seconda del letto in cui si svegliava. Una puttana.
Fantastico. Davvero fantastico.
«Levati dalle palle, Esmeralda.»
«Da ubriaco sei molto più simpatico.» Ha un accento straniero, nota. In realtà è bella, di una bellezza un po' esotica, svagata, lunatica. La bellezza può essere lunatica? Fabrizio non lo sa. A Leo sarebbe piaciuta, l'avrebbe trovata degna di un personaggio di un libro.
Alla fine si arrende.
«Ti faccio le omelette.» sospira. «Tu dormi ancora un po', se vuoi.»
La ragazza, che non può avere più di sedici anni, gli sorride deliziata. Dopotutto ha vinto.

«Senti un po', Esmeralda, ma tu quanti anni hai?»
«Venti.»
«Come no, e io sono Mago Merlino.»
«Ti ci vedo, con la barba bianca e tutto il resto.»
Fabrizio rotea gli occhi e smette di fare domande.

Alle undici di mattina Esmeralda è sempre lì, Fabrizio si chiede come mai non l'ha ancora cacciata. Forse perché prova un po' pena per lei. O forse perché sente di aver trovato un'anima affine.
«Senti un po', tizio.» lo apostrofa, seduta svogliatamente sul suo divano. Ha lo sguardo curioso di una bimba. «Qual è la tua, di tragica storia?»
«Tragica storia?» ripete Fabrizio, sbattendo le palpebre.
Esmeralda sogghigna, con un gesto elegante della mano. «Tutti hanno una tragica storia, zuccherino. Lei com'era? Bella?»
Fabrizio la fissa.
«Bellissima.» si arrende.
«Ma non ti amava.» continua la ragazza per lui per lui, incrociando le gambe.
«Al contrario. Mi amava. Ed io amavo lei, ma ci sono persone che non sono capaci di amare, per quanto si sforzino. Se n'è andata, scomparsa piano, come l'orizzonte. Ora è in Francia.»
Gli era quasi venuto da dire lui, ma si era corretto appena in tempo.
«Ed è felice?»
«Penso che non sarà mai felice. O che lo sarà soffrendo.»
«Te la sei scelta proprio strana, zuccherino.» Esmeralda lo fissa, poi ammicca. «Perché non te la vai a riprendere?»
Si sta sul serio lasciando dare consigli d'amore da una che per mestiere fa la puttana?
«È un po' complicato.»
«Però tu l'ami ancora.»
«Già.» mormora, poi scuote la testa. «Quanto ti devo per la notte?»

Finisce per darle un po' più di quanto previsto.
Il fatto è che sa riconoscere una ragazza-madre quando la vede.

 

-

 

«Fabri?»
«Leo? Non c'era il tuo nome su display.»
«Sto... usando il cell di un amico.»
«Ah.»
«Ce l'hai con me?»
«No.»
«Sono stato impegnato.»
«Perché hai chiamato, Leo?»
Click.

«Scusa, non c'era campo.»
«Okay.»
«Ti ho chiamato perché volevo sentire la tua voce.»
«Per quello c'è la segreteria telefonica.»
Click.

«Mi hai chiuso il cellulare in faccia.»
Click.

«Fabri, cazzo!»
Click.

«Mi hanno diagnosticato un tumore allo stomaco.»
Click.

«...cosa?»
«Ora ti decidi a rispondere, fantastico.»
«Da quanto lo sapevi?»
«Da un po'.»
«Mamma?»
«Da un po' anche lei. La prossima settimana ci sarà l'intervento, volevo- volevo che tu lo sapessi perché capissi. Non ho mai smesso di pensare a te.»
Click.

«Vengo a prenderti.»
Click.

 

 

-

 

 

 

III PARTE (Bisogno)

Esmeralda aveva preso a fermarsi lì, al suo appartamento, quasi ogni mercoledì mattina. Perché c'è il mercato, diceva, e si trovava in zona. Secondo Fabrizio solo perché così poteva mangiare a sbafo dal suo frigorifero.
«Ti vedo giù, Zuccherino. Più giù del solito, intendo.» sbadiglia, un'occhiata noncurante. Qualche giorno fa gli aveva detto che stava scrivendo un libro. Fabrizio l'aveva guardata, perplesso.
«Di che parlerà?»
«Della vita, Zuccherino. Dell'amore, del dolore, della libertà.» Aveva ammiccato.
Sono amici, o almeno Fabrizio lo crede. Non saprebbe definire bene il suo rapporto con Esmeralda. Qualche volta sono finiti di nuovo a letto insieme ma quello che c'è fra loro non ha nulla a che fare con l'amore, è solo sesso. Piacevole, alle volte eccitante, sesso.
Per questo Fabrizio non esita più di tanto. «Ha chiamato.»
«Lei?»
«Esme-»
«Yeah?»
Fabrizio sospira. «Ti ho mentito. Non è una lei, è un lui.»
Esmeralda lo fissa per qualche secondo, poi sogghigna. «L'avevo sempre sospettato che tu fossi un po' finocchio, Zuccherino.»
«Fottiti.»
La ragazza ride, divertita. «È una proposta?»
Fabrizio si domanda se continuerebbe a essere così tranquilla se sapesse che lui è anche suo fratello.
«Quindi? Che t'ha detto?»
Mi hanno diagnosticato un tumore allo stomaco.
La prossima settimana ci sarà l'intervento.
Non ho mai smesso di pensare a te.
«Nulla d'importante.» Pausa. «Esme, qual è la tua di tragica storia?» Improvvisamente gli sembra la cosa giusta da fare.

«Oh, sapevo che un giorno me l'avresti chiesto.» Sorride, allegra. Poi inizia. A Fabrizio più che una storia di vita sembra una favola. Sua madre era una zingara, suo padre non l'aveva mai conosciuto, era finita per crescere in un circo.
«Non ci credo manco se mi paghi.»
«Vuoi che continui o no?»
«Che palle.»
«Sta' zitto.»
Lei era l'equilibrista. Avevano incominciato a chiamarla “Esmeralda” per via degli occhi che, pareva, sembrassero smeraldi.
«Secondo me sono più verde foresta.»
«Infilati in bocca un biscotto e taci.»
Poi era successo. Si era innamorata. Lui era l'apprendista del mago. Era rimasta incinta, lui aveva rifiutato di prendersi cura del bambino e lei era stata costretta a mollare il circo perché il direttore diceva che un'equilibrista con il pancione non s'era mai vista né in cielo né in terra.
Ora aveva due mesi.
«A me sembrano tutte cazzate.»
«Perché tu sei un musone deficiente, non per altro.»

Aveva posato una sua mano sul suo seno. «Ti va?» gli sussurra nell'orecchio. Fabrizio sente subito il sangue affluire al di sotto.
«Non lo so.»
«Guarda che puoi farlo, eh. Non è un problema se pensi a lui mentre stai con me.»
«Io-»
«Questa è l'ultima volta che ci vediamo, vero?»
Fabrizio esita, poi annuisce. «Domani... domani lo raggiungo in Francia.»
La giovane muove leggermente il bacino, una mano gli massaggia la coscia. Fabrizio non ce la fa più, la desidera, quel desiderio incontrollabile e lussurioso che lo fa impazzire. Esmeralda – God, non le ha mai nemmeno chiesto il suo vero nome – gli morde il lobo dell'orecchio, piano, come a voler tatuargli la sua essenza. Lui geme, un po' di dolore, un po' di eccitazione.
«Io non so se-» cerca di dire, la ragazza gli colpisce con leggerezza il fianco. «Sta' zitto, Zuccherino. È solo una scopata, okay?» Lo fissa, con quegli occhi così verdi. «Rilassati.»
E Fabrizio vorrebbe dirle grazie. Grazie per esserci stata, per averlo aiutato ad alzarsi, per avergli dato quella mano di cui lui aveva bisogno. Vorrebbe dirle che la ama, si accorge con stupore che sarebbe la verità. Lui ama Esmeralda, la ama con quell'impetuosità a lui sconosciuta, diverso da come ama Leo. La ama in un modo carnale, possessivo, così terribilmente umano.
Esmeralda sta toccando con le dita il suo glande. Sorride.
Fabrizio inspira.
Sta per perdere il controllo, la guarda per dirlo, ma capisce che lei lo sa già e che non le importa.
È a cavalcioni su di lui. La osserva un'ultima volta, le gote arrossate, i capelli biondi scompigliati, il seno nudo.
Poi socchiude gli occhi, eiaculando nella sua mano.

«Cos'è?»
«Il mio numero, idiota.»
«Sul- sul serio?»
«No, per finta.»
«Mi mancherai.»
«Anche tu. Mi piaceva un sacco il tuo frigo.»
«Scroccona di merda.»

Si erano lasciati così, col sorriso sulle labbra e la sicurezza che non si sarebbero mai più rivisti.

 

-

 

Fabrizio per la Francia prende l'aereo. Vola in seconda classe, guarda fuori dal finestrino e cerca di convincersi che vada tutto bene. Il che è, ovviamente, una stronzata colossale.
Però rivedrà Leo.
Leo.
All'atterraggio cerca il suo volto fra la folla. Lo trova, c'è anche Mamma. Ed è allora che si accorge di odiarlo, solo che non riesce a odiarlo-odiarlo perché lo odia perché lo ama. Nel senso che in quel momento vuole spaccargli il naso e poi baciarlo fino a fargli sanguinare le labbra. Solo che c'è Mamma, quindi non può fare nessuna delle due cose.
Mamma lo abbraccia. «Oh, Fabri.» sospira sulla sua spalla. Fabrizio guarda Leo che gli restituisce lo sguardo, ma poi Leo sorride – quel sorriso con quella fessura in mezzo – e Fabrizio si dimentica di odiarlo.
L'odio, come l'amore, è un sentimento così strano, pensa. Lui ama Esmeralda (o, meglio: saprebbe amarla), ma non ha esitato un secondo a scaricarla quando ne ha avuta l'occasione. Forse ci sono persone che non sono fatte per stare insieme o che lo sono ma non è destino che lo siano.
Fabrizio alza la mano (è all'altezza del cuore) nello stesso momento di Leo. Si guardano, i loro polpastrelli si sfiorano. È come se non fosse cambiato nulla. Come se quei sei mesi di purgatorio non fossero mai esistiti. Sono di nuovo FabrizioeLeo tutto attaccato.
Leo arrossisce. «Mi sei mancato, Fabri.» e Fabrizio sente che è la verità.
Mi hanno diagnosticato un tumore allo stomaco.
La prossima settimana ci sarà l'intervento.
Non ho mai smesso di pensare a te.
«Anche tu mi sei mancato.»
Mi hanno diagnosticato un tumore allo stomaco.
Mi hanno diagnosticato un tumore allo stomaco.
Mi hanno diagnosticato un tumore allo stomaco.
Mi hanno diagnosticato un tumore allo stomaco.
Mi hanno diagnosticato un tumore allo stomaco.

Dormiranno nello stesso letto perché Leo ha lasciato il suo a Mamma, dunque loro due devono occupare quello degli “ospiti”. Perché all'inizio erano cinque, spiega Leo, poi uno dei ragazzi se n'era andato per motivi suoi, dunque era avanzato quel letto.
Fabrizio pensa che il ragazzo che se n'è andato se lo scopava.
Per dormire resta in boxer, Leo indugia un secondo di troppo con lo sguardo, Fabrizio sa cosa sta pensando (l'ha pensato anche lui). S'infila nelle coperte mentre Leo si cambia.
«Quand'è l'intervento?» chiede, sforzandosi di continuare a guardare il muro.
«Mercoledì.» (Dopodomani. Così presto?)
Lo dice un po' cantilenando, come se non fosse davvero importante, poi si sdraia accanto a lui. «Spengo la luce?» mormora, Fabrizio sente il suo respiro solleticargli l'orecchio. Annuisce.

«Okay.»
«Sicuro di non voler leggere qualcosa? Per me non è un problema.»
«Sono sicuro.»
Silenzio.
«Ce l'hai con me?»
«No.»
«Bugiardo»
«Leo, voglio dormire. Non ci riesco se tu continui a- Cazzo.»
Deglutisce.

«Non lo faccio apposta. È che starti così vicino mi fa... è imbarazzante.» Eccitare, lo faceva eccitare. God. «Vuoi che vada sul divano?» gli chiede, piano, Leo. C'è una punta di sincero imbarazzo nella sua voce.
Fabrizio ci pensa su. In realtà anche lui è un po' eccitato.
«No, resta.»
Le labbra di Leo sulle sue sanno di miele.
Gli sono mancate così tanto.

 

 

 

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EPILOGO (Due anni e mezzo dopo)

«Pronto, chi è?»
«Secondo te, Zuccherino?»
«Oh. My. God.»
Leo gli si aggrappa al braccio, improvvisamente attento. «È lei? Ma lei-lei?»
«Chi c'è con te? Oddio, è lui? Ma lui-lui?»
Fabrizio rotea gli occhi. In realtà non ci può credere, è da quando... da quando l'ha lasciata a Bologna che non ha sentito Esmeralda ed ora lo chiama così, di punto in bianco, quasi tre anni dopo.
In quello gli ricordava molto Leo.
«Sì, lei-lei e lui-lui.» sbuffa. Lei-lei, lui-lui e Leo-Leo. Un casino, insomma.
Leo. «Dille che la amo a prescindere.»
«Digli che sono aperta alle cose a tre.»
Fabrizio sbuffa, arrossisce un po'.
«Esme!»
«Che c'è?»
Quella era la conversazione al telefono più strana che Fabrizio avesse mai avuto. 

«Non ci credo che tu mi abbia chiamato dopo tutto 'sto tempo.»
«Ti devo chiedere un favore. Niente soldi, tranquillo. Solo... entra nella prima libreria che trovi.» Poi: «Fatto?»
«Sìsì, fatto.»
«Ecco, bravo. Ora chiedi di Granelli di sabbia di Shea Kafka e guarda la seconda pagina.» e il click che indicava la chiusura della chiamata.
Fabrizio guarda perplesso Leo, che solleva le spalle, quasi a dire “è amica tua, eh”. Si rivolge al librario. «Sto cercando Granelli di sabbia.» dice, per poi precisare «Di Shea Kafka.»

Non è un libro troppo spesso, non deve avere più di trecento pagine.
Lo sfoglia fino a pagina due.
 

A Demian, mio figlio, che ora ha solo due anni e mezzo, ma che so che sarà un grande uomo.
A Leo, che mi ha guidato senza saperlo nella stesura di questo libro in un modo talmente reale che mi sembra quasi di conoscerlo.
A Fabrizio, lo zuccherino, perché mi ha insegnato che l'amore c'è sempre, basta sapere dove guardare e per i nostri mercoledì passati insieme.
Ad Alessandro.
Perché “la cosa figa dell'essere matti è che si vedono cose che agli altri sfuggono.

 

«Non posso crederci.» bofonchia Fabrizio, una punta d'incredulità nella voce. «Ci ha dedicato il suo libro!»
Poi, senza pensarci, bacia Leo, prima che possa dire qualcosa come «Che figata! Nessuno mi aveva mai dedicato un libro!» Lì, davanti a tutti. Qualcuno urla «Froci!» di sottofondo, ma non importa perché quello è un mercoledì e il mercoledì ha nove lettere (e quattro sillabe.)
E loro due sono insieme, uniti.
LeoeFabrizio.
Tutto attaccato.

«Ti odio.» sbuffa Leo, però sorride. Non è mai stato bravo a mentire, pensa Fabrizio.
«Anch'io.»
Le loro dita sono finalmente intrecciate.
Fabrizio alza lo sguardo verso il cielo di Bologna. È azzurro, senza nuvole. Socchiude gli occhi e sorride a sua volta.
Qualcuno sta ascoltando i Placebo a tutto volume.
Brian Molko canta Just nineteen and dreams obscene with six months off for bad behaviour.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note finali:

Approfitto dell'occasione per ringraziare nuovamente Med per aver accettato di betarmi questa storia che, devo ammettere, ci ho messo a scriverla più di quanto avessi programmato in origine.
Il fatto è che, ad essere sincera, mi sento un po' triste ora. Avrei voluto scrivere di più su Esme (questo personaggio un po' strambo, che sembra quasi venire da un altro mondo), su Leo, su Fabrizio però alla fine non importa perché so che ormai sono un po' parte di me.
Immagino che ora vi starete chiedendo “dov'è l'angst?”, in realtà la risposta è semplice: mi sono data una regolata. Il dialogo finale del primo capitolo sarebbe da collocarsi nella seconda parte prima della telefonata con Leo, potete interpretarlo come preferite: un dialogo fra sé e sé, una seduta vera o un sogno.
L'idea originale (seppur con molti punti in comune – es: Esme) era un po' diversa, molto più angst, ma sono finita per tralasciarla perché... perché non mi sembrava giusto proprio nei confronti dei personaggi. Probabilmente non troveranno mai la felicità (ma esiste, poi, la felicità? O è solo un'idea? Mah), ma mi piace pensare che in quel prologo Fabrizio e Leo abbiano trovato qualcosa di meglio: l'equilibrio. Magari la loro relazione morirà con loro, magari si molleranno, magari finirà nel dramma, ma tutto ciò non è importante nella storia perché quello che volevo raccontare non era una storia drammatica “perché sì”. Ho lasciato volutamente molti interrogativi come “chi è Alessandro?” “E il tumore?” “Esmeralda ha detto la verità sul circo?” ecc.ecc.
Sul personaggio di Esmeralda mi piacerebbe scrivere ancora qualcosa, magari un giorno, ma per ora è solo un'idea. Su Leo... sì, l'operazione è andata a buon fine, nel caso non si fosse capito dal prologo. L'intervento di cui si parla è quello di chirurgia (personalmente io ho guardato questo sito) e cito: “Chirurgia: quando il tumore non è ancora in stadio avanzato, è la terapia di prima scelta. Gli interventi più utilizzati sono la gastrectomia totale (rimozione di tutto lo stomaco) o, se il tumore interessa solo questa zona, la resezione della prima porzione dell'organo (gastrectomia parziale), che però determina dei disturbi postoperatori (anoressia, bruciore dietro lo sterno). La rimozione della milza deve essere limitata ai casi con evidente interessamento di quest'organo o dei suoi linfonodi. Esiste anche un intervento chiamato gastrectomia allargata, che si attua se il tumore invade esofago, colon, pancreas, milza o fegato, e consiste nell'asportare dei pezzi da tutti questi organi, con asportazione anche dei linfonodi.
Ho voluto far evolvere il rapporto di Leo e Fabrizio, anche se molti – magari – la troveranno una involuzione. Vorrei cercare di spiegare anche qua il mio punto di vista.
L'idea me l'ha fatta venire in mente la mia Beta (Sia Santificata). Il problema era sorto per il termine “cazzo” usato nel primo capitolo, che pareva troppo... volgare(?) per l'amore di Fabrizio e Leo. Quella è stata l'unica cosa che non ho modificato fra i suoi consigli perché era stata messa lì volutamente. In questo capitolo ho mostrato più volte come Fabrizio si lasciasse andare, prima con Esme poi con Leo, usando anche termini osè. Perché? Perché volevo ficcare una scena di sesso random? Neh, non credo di essere il tipo. La mia intenzione era di rendere questa storia d'amore un po' stramba più terrena, meno “anime gemelle”, dove è la passione umana a governare Fabrizio, alla fine, spingendolo anche a perdonare Leo. Il fatto è che, come ammette a se stesso anche Fabrizio nel primo capitolo, il loro non era amore, ma ossessione (vagamente “romanticizzata” dalla sottoscritta, ecco). Ho voluto ridimensionare Leo ai suoi occhi, renderli entrambi più umani e dediti agli errori, non so però se ci sono riuscita – quindi se mi odierete per aver incasinato tutto quando non era necessario non vi biasimerò.
Però in realtà credo che Leo e Fabrizio siano più vicini al concetto di “anime gemelle” di quanto pensassi all'inizio. Boh.
Anyway, non credo che vi libererete di me così facilmente, presto tornerò a infestare la sezione delle Originali, lo prometto (perché sembra una minaccia?). Ho diversi progetti in testa, ora come ora, ma nessuna certezza. Chi lo sa.
Sto scrivendo delle note lunghissime, ma è che sento di avere tante cose da dire e non so se sono pronta a mettere la parola “fine” a Mercoledì ha nove lettere. Però non posso continuare a parlare quindi:
Ultimi ringraziamenti per tutti quelli che hanno recensito la storia (ho ADORATO poter leggere i vostri pareri e considerazioni) e inserito la storia fra le preferite/ricordate/seguite. Anche solo a quelli che sono arrivati fin qui, leggendo persino queste note sconclusionate – nel caso avete tutta la mia ammirazione. Spero di non aver deluso nessuno e che vi abbia fatto (almeno un poco) affezionare a questa storia.

 

 

With love,
Chibi.

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