Punti di Vista.

di Dhialya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Punto di vista 0 - Sguardo Generale. ***
Capitolo 2: *** Punto di vista l - Sguardo Passato. ***
Capitolo 3: *** Punto di vista passato. ***
Capitolo 4: *** Punto di vista ll - Sguardo Presente. ***
Capitolo 5: *** Punto di vista presente. ***
Capitolo 6: *** Punto di vista lll - Sguardo Futuro. ***
Capitolo 7: *** Punto di vista futuro. ***



Capitolo 1
*** Punto di vista 0 - Sguardo Generale. ***


Punti di vista.




Punto di vista 0 – Sguardo Generale.



Se ripensava a come aveva trascorso l'infanzia, a come ad ogni passo immaginava il suo futuro, si rendeva conto che acquisendo man mano informazioni circa il mondo reale la sua visione per la vita si faceva sempre più distorta.

E lontana.

E illusoria.

Perché le sembrava che ogni volta si trovasse davanti un cammino sempre più invalicabile e lontano, qualcosa che invece di darle la spinta per andare avanti la incatenava, come una forza che non riusciva a superare e che la distruggeva.
Dopotutto, lei era, durante quelle sue fantasie, solo una bambina: ora che arrivava all'età dei grandi quanti anni sarebbero passati?
Tanti, per lei sembrava qualcosa di astratto, non riusciva a capacitarsene.

Da piccolina non immaginava nemmeno com'era veramente il mondo reale, quello degli adulti, delle persone sconosciute che potevano fare tutto quello che volevano.
Non sapeva delle difficoltà che avrebbe dovuto affrontare verso gli altri e - nemmeno se l'era immaginato, ma così era stato - soprattutto verso se stessa.
Pensava che avrebbe avuto una vita normale, un'adolescenza normale e poi un futuro normale: i primi amori, qualcuno che s'interessava a lei, le amiche con cui uscire e andare a confidarsi, un lavoro – quello che le era sempre piaciuto - spensieratezza.

Era stata solo un'illusa, a credere di poter vivere normalmente.
Una sciocca che si ritrovava a fare i conti con problemi che aveva sempre negato e che, ora, le stavano scoppiando dentro.

La vita aveva avuto sapori diversi in base a come l'aveva guardata.

Probabilmente sempre al contrario.




























Mini-raccolta - già completa, quindi niente rischio di sospensioni - di quattro mini-flashfic molto introspettive e nonsense.
Ho bisogno di buttare ciò che provo, penso e sento.
Grazie della lettura.
Un po' a pezzi, Dhi.

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Capitolo 2
*** Punto di vista l - Sguardo Passato. ***



Punto di vista l – Sguardo - al - Passato.



Quando faceva le elementari immaginava la vita in modo semplice – quasi sciocco e sconclusionato, se ci ripensava bene, in un modo che non avrebbe potuto stare in piedi per più di qualche ora.

Ora si dava della stupida: aveva davvero creduto che tutto sarebbe stato così facile?

Perché non vedeva – o non voleva vedere, troppo presa nei suoi mondi di favole? – sui volti degli altri i segni della fatica, il nascondere cose per cui lei era ancora troppo piccola per poterne venire a conoscenza.
Continuava a sognare senza la minima idea di ciò che l'aspettava, senza essere preparata, senza un minimo d'idea per ciò che si sarebbe trovata davanti.

Era tutto così semplicemente e perfettamente bello.

Ed il distacco, quello strappo irreparabile che non riusciva a lasciarsi alle spalle, poi, brusco.

Brusco, bruciante, e cicatrizzato male nel corso del tempo.

Soprattutto cicatrizzato male, per come le pesava sulle spalle.

Le veniva da ridere, da ridere di scherno – ma non ci riusciva, troppo concentrata a guardare fuori dalla finestra e rimuginare sulla sua vita.

Avrebbe voluto fare la veterinaria, perché adorava gli animali e prendersi cura di loro; erano batuffoli di pelo che le smuovevano qualcosa dentro, con la loro dolcezza e inesperienza.
Un po' come lei: la sua coniglietta, la prima creatura affidatale, se ne rendeva conto con la maturità raggiunta durante la crescita, l'aveva accompagnata negli anni aiutandola a capire il senso di vita e a prendersi cura di qualcuno.

Forse era per quello che era sempre stata incline ad aiutare gli altri?

Quello era, in quei momenti, ciò che avrebbe voluto fare da grande, il sogno nel cassetto.

Il sogno dei sogni.

Non immaginava però che avrebbe dovuto studiare per tanti anni e soprattutto materie che avevano a che fare con i numeri, ambito che lei, davvero, faticava a capire: come se la sua mente non li processasse del tutto, come se fosse difettosa a fare tutti quei calcoli e applicare regole a qualcosa che non era concreto, davanti a lei, che non poteva toccare e studiare.

Forse erano processi troppo razionali e logici che però dovevano contenere qualcosa di più, che andava oltre, mentre la sua testa faticava a concentrarsi, vagando in più direzioni contemporaneamente.
Non a caso si era accorta che riusciva a leggere, ascoltare la musica, pensare  per qualche secondo a ciò che avrebbe dovuto fare e rispondere ad una persona contemporaneamente.
Non riuscendo a fare nessuna delle azioni sopracitate in modo completo, ovviamente, o dando priorità a qualcosa in particolare, però se la cavava.

Stupida, stupida ragazza, pensò mentre scuoteva la testa rassegnata.

Però era stato giusto.

Era giusto che una parte di vita fosse stata spensierata, leggera, con i timori dei bambini che ancora non conoscono tante cose.
Era giusto com'erano andati gli eventi, non sapendo come sarebbe continuata, la sua vita. Era giusto perché, per come stava vivendo da alcuni anni a quella parte, per com'era, per come pensava, il resto non le sarebbe stato per niente facile da affrontare.




































Ringrazio per la lettura e le recensioni al capitolo precedente.
Non ho niente da aggiungere in particolare.
Vi auguro una buona serata.
Dhi. <3

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Capitolo 3
*** Punto di vista passato. ***



Punto di vista passato.



Gioca con la palla.

La sfera rotonda rimbalza e lei si diverte a rilanciarla contro il muro non appena le si avvicina nuovamente ai piedi.
Un gioco continuo, un segreto tra lei e il pallone. Un circolo quasi vizioso e senza un'apparente fine.
Quello va contro il muro e torna indietro, e lei lo respinge contro la parete sapendo che tornerà da lei.

La bambina gioca da sola, persa nei suoi mondo fatati, gioca e non fa caso a ciò che le gira intorno.

È vulnerabile la bambina che gioca con la palla, per questo la mamma le dice sempre di non allontanarsi quando gioca con gli amichetti e di stare dentro il cortile se invece è sola.

La verità è che anche quando è sola non lo è mai realmente, per questo non capisce del tutto le parole della madre e il suo sguardo severo che pretende di essere ascoltato, o la sua voce agitata quando la chiama dalla finestra per sapere in che parte della via è; la bambina ha notato che la mamma diventa nervosa con lei se quando guarda giù non la vede, ma nei suoi ragionamenti di bimba innocente non capisce il motivo.
Pensa ai personaggi dei cartoni e si immagina che parlino con lei, crea situazioni di cui solo lei decide il corso e di cui solo ed esclusivamente lei è la protagonista.

Il pallone è bello ed è color blu oceano con sfumature azzurre, le piace così tanto che non lo presta a nessuno e per questo, avendolo da tanto tempo, rimbalza un po' male perché con il tempo si sta sgonfiando.
Papà le dice di tenerlo da conto e trattarlo bene se è il suo preferito perché non crede che ce ne sia un altro uguale.
Alla bambina piacciono anche altri palloni, ma i suoi genitori le dicono che ha già abbastanza giochi e per il momento può farne a meno di nuovi.

Immagina di essere grande, di potersi prendere tutti i palloni che desidera e che la mamma non la sgridi se un giorno fa i capricci perché vuole continuare a vedere la televisione anche se è ora di cena.


-Si, sono la moglie.-


La palla prende dentro un pezzo di terreno un po' sollevato, così non torna da lei come sempre ma rotola verso il cancello che divide le proprietà private.

La bambina cammina per andare a prendere il pallone con un po' di disappunto per quella camminata improvvisa, e grazie al rimbalzo momentaneamente fermo sente la voce della mamma.


-Cosa gli è successo?-


La mamma sta parlando con qualcuno, ha la voce bassa e sembra agitata, però la bambina non capisce cosa sta dicendo o con chi sta parlando.

Afferrata la palla la bambina non sa se continuare a giocare o andare dalla mamma per capire cosa la sta agitando tanto.


-Quanto è grave?-


Chi è grave?

La bimba si preoccupa ed è curiosa di sapere, così torna dentro, in soggiorno, di corsa, per fare domande alla mamma e soddisfare i suoi perché.

-Mamma...?-

La donna si gira di scatto: ha il telefono in mano e il volto un po' più bianco del solito – la mamma ha sempre avuto una pelle bella bianca, ma in quel momento non le donava come gli altri giorni. Sembrava malata, alla bambina non piaceva come stava sua madre.

-R-Rachele!-

I suoi occhi di bambina vedono la donna inspirare profondamente e passarsi velocemente una mano sul volto, e poi rivolgersi alla persona dall'altra parte del telefono.

-Mi scuri un minuto- mormora, per poi avvicinarsi di qualche passo alla figlia.
La mamma ha gli occhi leggermente arrossati e lucidi, e un fazzoletto di carta spiegazzato nella mano libera.

-Hai pianto?-

La signora sta in silenzio qualche attimo a fissare sua figlia negli occhi, e poi si scioglie in un sorriso leggero – ad occhi più attenti sarebbe parso tremulo e stanco, se non tremendamente falso.

-No Rachele, è tutto a posto. Torna a giocare in cortile, va bene? Ti chiamo io per la cena.-

La bambina osserva la donna ed il sorriso che le rivolge ancora qualche attimo, pensierosa, poi si convince ed annuisce, voltandole le spalle.
Torna all'aperto e continua a giocare con la palla, da sola.
Ha in mente la faccia della mamma, ma lei le ha detto che va tutto bene e la mamma non dice mai le bugie. La sgrida qualche volta, ma non è una bugiarda.


-Arrivo in ospedale il prima possibile.-


Ed il tempo passerà, e dal pomeriggio inizierà ad arrivare il tramonto che annuncia la sera.

Poi sentirà il profumo del cibo che la mamma sta cucinando e arriverà il papà che le dirà di salire in casa per lavarsi le mani e mangiare.

Lei dirà di voler guardare la televisione, anche mentre mangia, ma i suoi genitori le prometteranno qualcosa in cambio se lascia perdere e li raggiunge a tavola. Magari una o due delle caramelle che le piacciono tanto e che mamma nasconde per non fargliele finire in poche ore.

Poi arriverà il buio, allora si cambierà per andare a letto e le racconteranno una favola - di cui non sentirà la fine perché ha già iniziato a sognare.

Si, andrà così.
Quella sera e le prossime a venire, per tanto tempo.

La bambina continua a giocare con la palla.














































Da quattro drabble ho aggiunto tre brevi shot un po' più articolate, una per “sguardo”, escluso quello generale, che hanno anche la funzione di ampliare il capitolo che le precede e a cui sono collegate.
Questa è la prima: volutamente ho usato un tipo di narrazione quasi da favola e non troppo articolato e variato, per tenere il pov sulla bambina. La fine è un po' triste, ma credo renda l'idea del “vivere senza aspettarsi le disgrazie”.
Grazie della lettura, alla prossima.
Dhi.

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Capitolo 4
*** Punto di vista ll - Sguardo Presente. ***



Punto di vista ll – Sguardo – al – Presente.



La sensazione del sole bruciante sulla pelle ancora bianca.
Una coperta d'azzurro che sembrava non finire mai.
Quell'aria particolare che si percepisce sottopelle e rende più leggeri senza un motivo particolare.

Estate.


Era bella l'estate, era bello il senso di libertà delle vacanze, era bello non doversi preoccupare degli  orari, di doversi coprire troppo per non sentirsi gelare o degli impegni.
Era bello non stare in mezzo alla calca, alle gente, dover essere obbligati a sentire brusii e discorsi di persone sconosciute subendosi spintoni e occhiate.
Era bello non sentire il tempo come un peso, non sentirlo scorrere fin troppo lento.

Era bello, particolare.

Era bello, si, davvero, lo credeva davvero; anche se lei amava l'inverno e l'autunno poiché calavano su di lei come uno strato di protezione.
L'accoglievano come se andasse incontro alle braccia di un padre che ti stringe al petto per poi non lasciarti andare più, che ti racconta favole e scaccia via i mostri che si annidano nel buio – o almeno, così dovrebbe essere.

I mostri sotto al letto.

Il buio che opprime.

Il silenzio di una stanza.


Era strano che lei, ragazza grande ormai da anni e consapevole che i mostri non esistono sicuramente nei mobili, tornasse ad avere paura durante la notte del silenzio e dello scuro che la circondava.
Quello stesso colore che l'aveva accolta, l'aveva protetta, l'aveva fatta vivere, tempo prima.
Che l'aveva circondata e tenuta nascosta da sguardi indiscreti, che l'aveva fatta sentire al sicuro come in un bozzolo fatto solo per lei e che lei, e lei soltanto, potesse capire.

Profondo.

Ignoto.

Iniziava a temerlo, nella sua testa si accavallavano sensazioni sgradevoli e sensi di allarme che le facevano tenere gli occhi aperti a forza.

Qualcosa non andava.

Qualcosa non andava più.

Come se gli avesse fatto un torto e fosse diventato minaccioso, con le ombre che avrebbero solo voluto ghermirla per poi non lasciarla andare più.
Temeva giusto il tempo prima di addormentarsi, quando ritrovandosi su un materasso ci si mette a ragionare, a pensare, ad ascoltare il ticchettio di un orologio.

Aveva paura.
Paura come una bambina.

Aveva paura del buio.

O forse temeva se stessa e quello era solo un modo in cui l'angoscia e l'ansia si manifestavano, colpendo qualcosa e rendendolo protagonista quando realmente non c'entrava.
O forse solo gli ormoni ormai decisamente impazziti di quel periodo mensile.

È strano ritrovarsi dopo anni ad avere paura della notte, della casa che non viene scossa da un rumore, delle stanze inabitate.
Paura di ciò che dietro i mobili o le porte potrebbe celarsi e nascondersi.

È strano.

È irrazionale.

È inspiegabile.

È presente e terribilmente pesante, poiché oltre ad essere rinnegata dal giorno, iniziava ad essere esiliata anche dalle braccia della notte che l'avevano stretta e alleggerita – come l'estate fa con le persone.
È brutto, brucia come una lama di tradimento conficcata nella schiena.

Ed è invivibile.

















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Capitolo 5
*** Punto di vista presente. ***



Punto di vista presente.



Toc.

La mosca si scontrò contro il vetro per l'ennesima volta, producendo un suono sordo e cupo come di qualcosa che si rompe.
Non sembrò avere conseguenze, però, e l'insetto continuò a provare a volare verso quella natura che vedeva al di fuori delle mura bianche che lo circondavano, ma che non riusciva a raggiungere.


La porta si aprì, e la ragazza buttò malamente la tracolla con dentro i libri sul letto e iniziò a togliersi le scarpe.
Un'altra giornata di obbligo finita.
Un'altra giornata vuota.
Da quel momento avrebbe potuto chiudersi in camera ed isolarsi da tutto il resto del mondo: tutto ciò che la urtava, tutto quello che sentiva lontano, le parole che cercavano di penetrare e che respingeva come se fossero veleno.

Si rendeva conto che, come tutto, aveva subito un cambiamento: sotto lo strato di vestiti per la maggiore larghi nascondeva un corpo che si stava formando, il viso aveva perso i tratti da bambina per quelli più decisi e maturi di ragazza in procinto di diventare donna.

Ma lei non voleva.

La crescita – dopo l'adolescenza – era un processo che non si sentiva pronta ad affrontare, forse perché non aveva ancora trovato cosa fare e il suo posto, quella motivazione che ti spinge a fare le cose perché vuoi e non perché devi.
Senza idee chiare su come regolare la sua vita da adulta avrebbe solo voluto fermare il tempo per concedersi la possibilità di poter pensare.
Sapeva che aveva una sola vita, e purtroppo che non si poteva riavvolgere in caso di scelte sbagliate.

Perché sarebbe dovuta andare allo sbando?

Alla cieca per poi molto probabilmente pentirsene?

Buttò alla rinfusa i vestiti della mattina sul letto, poi prese la tuta che teneva solitamente in casa per stare comoda e la indossò.
Notò la mosca camminare sul vetro e sbuffò, pensando a come poteva essere entrata dato che solitamente teneva tutto chiuso.
Era pure autunno, faceva anche più freddo.
Quella mosca come ci era arrivata li?

Ci penso dopo.

Scese, andò in bagno e legò i capelli, in cucina aprì il frigo e prese l'acqua – le piaceva fredda, qualsiasi stagione fosse.
Osservò il pranzo che sua madre le aveva lasciato e lo ignorò bellamente, poiché non appena ci posò sopra lo sguardo sentì che lo stomaco si chiudeva.
Tornò in camera e accese il computer, mentre stuzzicava un pacchetto di grissini che aveva li dalla sera prima nell'attesa del caricamento.

Sapeva già come sarebbe andata: sarebbe stata al pc fino a metà pomeriggio, poi le sarebbe venuto l'abbiocco per colpa della notte precedente in cui non riusciva ad addormentarsi a causa di un senso d'angoscia che sopraggiungeva insieme a pensieri come se ci fosse qualcuno in casa e che la osservava da dietro le tende.

Si sarebbe messa a dormire, perdendo gran parte del pomeriggio e lasciando indietro lo studio, poi sarebbe stata svegliata da sua madre per la cena – che avrebbe saltato e sostituendola ad un thé o una tisana verso mezzanotte.

Ormai era un circolo vizioso che andava avanti da qualche mese e che non riusciva a togliersi di dosso.
Il momento di addormentarsi, poi, la spezzava, perché a parte casi rari non aveva mai avuto problemi – più ne aveva a svegliarsi, per niente vogliosa di immettersi nel giorno e farsi vedere in società.

Ci provava, a pensare a qualcosa di positivo, aveva provato anche ad ascoltare la musica.

Niente.

Si rese conto che era in trappola, come la mosca che – dov'era finita? Non la sentiva più ronzare – non trovava la via d'uscita.

Il sonnellino pomeridiano.
Non riusciva a resistergli, come una tentazione, ben consapevole però che avrebbe fatto meglio a concentrarsi su altro.
Ad aprire un libro e leggere, o ancora meglio ad aprire un libro di scuola e rileggere le lezioni del giorno.

Chiuse gli occhi e rilassò il collo.

Ma era oblio, che l'accoglieva e le strappava ancora di più le energie, che la richiamava come una melodia incantata.
 Perché sapeva che del resto non gliene fregava più nulla.


Si alzò dal letto pigramente, chiuse la porta della camera e spense la luce, avvicinandosi poi alla finestra ed aprendola.
Sperava di aver reso la fuga dell'animale più facile, in quel modo, anche perché molto probabilmente era stata colpa sua se si era svegliata.

Alla fine le cose erano andate come si era immaginata, e dal quel momento non avrebbe poi potuto combinare molto - a suo detto.

Attese qualche minuto, in cui il ronzio era cessato, ed iniziò ad infastidirsi per quella perdita di tempo, poi avvertì il suono vicino all'orecchio fino che sfumò, diventando sempre più lontano e meno udibile; capì che la mosca era uscita definitivamente dalla sua stanza.
Era tornata a girovagare libera, sospinta dalle correnti d'aria e cacciata dai gatti, all'aperto e senza barriere contro cui scontrarsi.

Qualcuno avrebbe aperto una finestra da cui poter scappare anche per lei?













































Ringrazio per la lettura, preferiti e le recensioni, sempre ben accette.
Alla prossima, Dhi.

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Capitolo 6
*** Punto di vista lll - Sguardo Futuro. ***




Punto di vista lll – Sguardo – al – Futuro.


Sarebbe andato tutto bene.

Era un mantra che si stava ripetendo da... da quanto?
Quanto tempo era passato?
Anni, credeva.
Ormai erano passati anni - tre anni - da quella rovinosa caduta.
Un po' si era ripresa, lo doveva ammettere. Anche se a volte i fantasmi tornavano non facevano più male come prima; come se incontrasse vecchi amici e non ombre di qualcosa che sentiva vicino e lontano al tempo stesso.
Le facevano compagnia, le ricordavano quei giorni e... tutto ciò che aveva perso, tutto ciò che grazie a quello aveva ritrovato – e trovato.

Era strano come quella fosse stata prima una dannazione e poi quasi – quasi – una benedizione.

Aveva un po' più chiaro cosa avrebbe voluto fare: avvocato, probabilmente.
Aveva almeno la convinzione di voler fare l'università, e un minimo d'idea su quale, tra i tanti indirizzi, decidere di studiare.
La scelta era stata ardua però, perché c'erano effettivamente tante cose, tanti spunti che la incuriosivano e le sarebbero piaciuti. Erano nascosti, annidati come scarafaggi sotto la polvere dei ricordi, però erano rimasti.

E si era sorpresa di ripescarli, quasi per caso, riportando a galla tutte le memorie ad essi collegati.

Era stato strano, era come se le si posasse sulla pelle lo strato di una vita passata che non le apparteneva.
Che non era più suo, che aveva cancellato, per rinascere.

Il sogno da bambina di voler diventare veterinaria era stato spolverato anche lui: ironia della sorte, durante la terza media aveva saputo tramite dei test che era allergica alla maggior parte del pelo degli animali.
Oltre ad alcuni tra i suoi frutti preferiti – come le ciliege e le mele – e la frutta secca – aveva dovuto dire addio al gelato al pistacchio e alla nocciola. La soia no, al cibo cinese non avrebbe detto addio.
Non anche a quello.
Non se lo sarebbe permessa – pur giocando e rischiando, lo sapeva.

I pezzi venivano staccati definitivamente e mandati in frantumi.

Tante piccole cose che le negavano la possibilità di essere serena e felice.

Ma lei lo voleva essere, felice, voleva provare davvero a vedere come andava avanti la vita.

E lo aveva scoperto piano piano, con un pizzico di aiuto esterno e tanta, tanta voglia di ricominciare che aveva provato in tutti i modi a tirare fuori.
Quella voglia che spesso tornava a sparire, sotto il peso di tutto ciò che la circondava e che l'aspettava.
Sarebbe andato tutto bene.
Se lo sarebbe ridiceva spesso, come un incoraggiamento a se stessa, come se parlasse rivolta ad un'amica.

Perché no, non aspettava più la morte in un modo che sembrava molto serenità, no, non la vedeva più come la sua salvezza.
Non in quel momento, non mentre stava riprovando a camminare, come una bambina che muove i primi passi.

Sarebbe andato tutto bene.









































Penultimo capitolo di questa raccolta.
Spero vi sia stato di gradimento e vi ringrazio per la lettura.
Alla prossima, Dhi.

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Capitolo 7
*** Punto di vista futuro. ***




Punto di vista futuro.



Andava tutto bene.

La sveglia era suonata quando avrebbe dovuto farlo, il clima era fresco – adorava il fresco, il freddo, il ghiaccio, e tutto ciò che si dissociava dal caldo e dallo svestirsi.
Si era vestita e preparata e aveva chiuso la borsa a tracolla con i libri, senza particolari intoppi. La colazione no, non la faceva mai, anche se da sempre la sgridavano perché dicevano che era importante per cominciare la giornata.
Aveva sempre quel peso allo stomaco che la fame la faceva passare.

Era pronta per uscire ed andare a prendere l'autobus.
Però, la lametta nel cassetto che le arrivò agli occhi quando prese il pettine per sistemarsi ancora – per l'ennesima volta – i capelli, catturò la sua attenzione.
Non aveva tempo.
Poi avrebbe sporcato gli abiti che si era appena messa per andare in università.
Che poi, a seguire le lezioni, ci voleva andare?
Forse non era quella la domanda.
Forse la riposta stava nel quesito, ma lei, a continuare gli studi, aveva da sempre voluto farlo?

Continuava ad osservare l'oggetto, il quale scavava un bivio di sensazioni che si espandeva dentro di se, confondendola.
Sapeva che farsi male non era giusto, che ne era dipendente, che era da malati.
Che nessuno avrebbe dovuto mai, per nessun motivo, saperlo.
Non l'avrebbero capita.
Ma non poteva farne a meno, non poteva lasciar li perché, in quel modo, riusciva a scaricare tutto ciò che a voce non riusciva a fare, tutto ciò che la faceva stare male, che era per lei insopportabile.
Gli errori.
Le colpe.
Le parole sbagliate.
I fallimenti.
La rabbia.
Era diventata, quella lametta, come qualcuno con cui sfogarsi in modo silenzioso e che non poteva, in nessun modo, dirti qualcosa.
C'era lei, solo lei.
C'erano le lame e c'erano le incisioni lasciate sulla pelle.
C'era il sangue che uscendo era come se l'alleggerisse un po'.
Momentaneamente.






“Ehi, oggi non c'eri in università, come mai? Stasera gli altri volevano uscire, rispondi se vuoi venire.”

“Un malessere passeggero. Ci sono, dimmi ora e dove.”

“Solito posto, solita ora. Sicura di non volerti riposare?”

“Sto bene. A dopo.”



Il cellulare.
Era stato quel maledetto aggeggio ad averla svegliata, squillando e vibrando alla recezione del messaggio, nel bel mezzo del pomeriggio.
Perché non l'aveva spento? Ah già, perché da spento la sveglia non suonava.
Che fregatura.


Alla fine non era più uscita per andare a seguire le lezioni, ma si era rifugiata in camera, nel letto.
Si era sottratta al giorno prima che fosse troppo tardi, era rientrata a letto conscia di star escludendo, in quel modo, tutto il mondo che altrimenti l'avrebbe circondata come sempre, se fosse uscita. La luce, la gente, le parole, i mezzi, il rumore...
Tante cose, troppe cose.

Si alzò e decise di farsi una doccia, per rilassarsi ed uscire dallo stato do torpore in cui era caduta, ed iniziare così a decidere cosa mettersi per la sera e tirarsi avanti con i tempi.
L'acqua.
Ecco si, l'acqua era un'altra cosa che faceva scivolare via di poco i problemi.
Le goccioline cadevano sulla pelle e cadevano verso il basso, ed era come se nel loro percorso potessero trascinarsi dietro ogni più piccolo pensiero, ogni dolore, ogni fastidio.
Purificazione.

E si sentiva un po' più leggera e lucida, e forse un po' meno in colpa per quello che si faceva, dopo la doccia, e sicura di se stessa e determinata, come l'acqua avesse lavato via tutto ciò che di più sbagliato e stonato trovava mentre scivolava leggera a terra segnando la pelle di disegni invisibili.

Guardò l'ora e sorrise mesta, senza entusiasmo, circondando un polso con la mano e passando il pollice su segni, a sfiorare le cicatrici.
Le avevano chiesto cosa si fosse fatta, una volta, e da quel momento aveva cambiato zona: d'estate non andavano bene le braccia, rimanevano troppo scoperte.
 Zone più coperte anche durante la bella stagione invece erano meno sospettabili.

E andava tutto bene, perché lei riusciva a far stare in equilibrio tutta quella massa informe che era la sua vita e l'accumulo di pensieri che scoppiava nella testa premendo per uscire.


Si dilettò in casa, in attesa dell'ora per iniziare a prepararsi: pulì il bagno, si fece un the caldo, lesse un po' e ascoltò la musica senza prestarci però troppa attenzione.
All'ora in cui sarebbero passati a prenderla, come sempre, era pronta e stava chiudendo la porta di casa.
Sul volto un sorriso.

Tutto andava bene.


E sapeva che sarebbero andati in un locale, il solito locare: avrebbe bevuto qualcosa, chiacchierato e scherzato, ridendo in compagnia e ascoltando gli altri parlare.
Poi magari sarebbero andati a ballare – e lei sarebbe stata in disparte sui divanetti perché no, ballare non la entusiasmava, però le faceva piacere andare in discoteca con gli amici – e sarebbero stati a parlare da qualche parte fino a notte fonda, perché era sabato e ci si divertiva.
E si sarebbe dimenticata delle cicatrici che si era fatta e della testa che scoppiava senza esplodere davvero e in modo definitivo.
Si sarebbe divertita sentendosi leggera per un po' e assieme ai suoi amici.

Completamente sola in mezzo a un gruppo di persone.

Ma andava tutto bene.


Quando sarebbe rientrata si sarebbe tolta i tacchi con un sospiro di sollievo e avrebbe posato malamente la borsa sul tavolino nell'ingresso, e avrebbe sciolto i capelli che aveva raccolto – perché si li raccoglieva a coda, perché le avevano detto che le dava un aria più matura e avrebbe potuto far vedere gli orecchini che aveva –.
Si sarebbe sistemata per andare a letto e si sarebbe probabilmente addormentata quasi subito ripensando alla serata e al significato che aveva avuto per lei.
E intanto avrebbe ripassato mentalmente cosa avrebbe dovuto fare il giorno dopo, soprattutto riguardo gli studi e gli esami che avrebbe dovuto presto dare.


Stava andando tutto bene.

E non avrebbe fatto caso alla lametta lasciata sul mobiletto, per quell'arco di tempo.
E sperava che prima o poi l'arco di tempo si sarebbe allungato sempre di più.


Raggiunse la macchina e aprì la portiera del passeggero.
-Ciao!-

Sarebbe andato tutto bene.








































































Fine della raccolta, una fine volutamente così, né in bene né in male assoluti.
L'autolesionismo non mi è nuovo come argomento, questo per dire che non lo descrivo con leggerezza, ma volutamente come un fenomeno che riquadra e fa parte della vita della protagonista. Tale protagonista, spera di avere e trovare un giorno quel "motivo" per farne a meno.
Io spero vi sia piaciuta, questa e le altre storie. Vi ringrazio per la lettura e di essere arrivati fino a qui. Ringrazio per le recensioni, i preferiti e grazie per aver letto queste parole.
I nuovi pareri sono sempre ben accetti.
Love you all.
Dhi. <3

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