He lives in my neighborhood

di Ily18
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** He lives in my neighborhood ***
Capitolo 2: *** Cambio di programma ***
Capitolo 3: *** Conoscendoci meglio ***
Capitolo 4: *** Il mattino seguente ***
Capitolo 5: *** Pomeriggio ***
Capitolo 6: *** sera ***
Capitolo 7: *** Rimpianti? No grazie! ***
Capitolo 8: *** Accettalo, Sara ***
Capitolo 9: *** Ricordi ***
Capitolo 10: *** Dirglielo, o non dirglielo, questo è il problema ***
Capitolo 11: *** Bella addormentata ***
Capitolo 12: *** Paure ***
Capitolo 13: *** Boccone amaro ***
Capitolo 14: *** Niente più sfumature ***
Capitolo 15: *** Messaggi ***
Capitolo 16: *** Cambiamento ***
Capitolo 17: *** Consigli ***
Capitolo 18: *** Toc-Toc ***
Capitolo 19: *** Prova a prenderlo ***
Capitolo 20: *** Epilogo - I live in his neighborhood ***



Capitolo 1
*** He lives in my neighborhood ***


A/N: Bene, vi volevo far capire un po' come questa storia è nata. Mentre guardavo una puntata della prima serie di Prison Break in Inglese, ho notato come una frase sia stata malamente tradotta in Italiano.
Vi spiego meglio, mentre Sara fà delle ricerche su Michael, viene beccata dall'infermiera Kate che le dà della pedinatrice.
Lei per scusarsi dice che non si capacita del fatto che uno come Michael, che vive nel suo stesso quartiere, possa essere finito in un carcere come Fox River.
Questa storia era nata come One-shot, ma convinta da un'amica mi è venuta voglia di continuarla; comunque sia, non ho ancora nuovi capitoli pronti, per ora. Cercherò di aggiornare appena possibile, oppure di lasciarla come One-shot.
E questa era la storia della fiction che state per leggere. Basta farfugliare, buona lettura!


Era uno degli Aprili più caldi degli ultimi anni, quando Sara decise che era ora di cambiare aria, di cercarsi un nuovo appartamento in una zona un po’ più rispettabile nel centro di Chicago.
Tutta la sua vita era ben impacchettata in un paio di scatoloni ben chiusi nel cofano della sua macchina che si era appena fermata di fronte a quella che ormai era la sua nuova casa.
Si soffermò a guardarla dal finestrino della sua auto. Era una modesta casa color crema, costruita su due piani e con una grande porta in legno dipinta con un colore chiaro che Sara non seppe definire.

“Abbastanza anonima” pensò la prima volta che la vide. Fu proprio per quell’impressione che ricevette, che decise di prenderla.

“Essere la figlia del governatore fa avere spesso gli occhi della gente addosso, è ora di un po’ di anonimato” pensò scendendo finalmente dalla sua auto. Si fermò ancora una volta a guardare la casa, poi si diresse verso il portabagagli. Lo aprì e poggiò a terra una delle tre scatole.

“Ha scelto davvero un brutto periodo per fare questi lavori pesanti” disse una voce maschile alle sue spalle che la fece girare di scatto.

Sara vide di fronte a sé un ragazzo coi capelli molto corti che indossava un abito beige, che sembrava molto costoso, e, soprattutto, che aveva gli occhi azzurri più belli che avesse mai visto.

“Sa com’è…cogli l’attimo! –disse imbarazzata cercando di suonare il più naturale possibile– era ora di agire, ho rimandato anche troppo!”.

“Beh, lasci che le dia una mano con questi scatoloni, - il ragazzo prese in mano le due scatole che sembravano più pesanti- anche se vedo che viaggia abbastanza leggera, si ferma qui per poco?” disse notando le poche scatole che Sara si portava dietro.

“No, a dire il vero mi stò trasferendo qui definitivamente…spero! –rise nervosa- ma sul serio, non si preoccupi per queste –indicò le scatole che il ragazzo teneva in mano- sono poche e abbastanza leggere e poi lei è vestito così…bene –scosse la testa quasi divertita nel vedere quanto bene fosse riduttivo- non vorrei sentirmi in colpa se si rovinasse l’abito”.

“La signora alla tintoria ne sarebbe entusiasta… -disse il ragazzo prontamente facendo ridere Sara di gusto– e mi darebbe una scusa in più per tornare a casa a cambiarmi –le sorrise- allora, dove gliele porto?” chiese.

“Oh, -Sara scosse la testa quasi sorpresa dalla domanda del ragazzo- a dire il vero è la casa qui di fronte” disse mentre saliva i pochi gradini di fronte alla porta.

“Sul serio? –chiese il ragazzo divertito- allora è lei la famosa vicina di casa di cui si parlava tanto in giro! Beh, io vivo nella casa di fianco a lei –indicò la casa a sinistra di quella di Sara- si senta pure libera di venire a chiedermi del sale quando vuole” disse camminandole dietro.

Entrambi risero divertiti, per questa strana coincidenza, mentre entravano in casa di Sara e poggiavano le scatole nel salotto.

“Non per sembrarle inopportuno, ma se non vuole essere conosciuta nel quartiere come l’ultima arrivata, farebbe meglio a dirmi almeno il suo nome… forse non lo sa, ma sono tra gli abitanti più potenti qui…” disse fintamente intimidatorio facendo uno sguardo serio che voleva sembrare minaccioso.

“Ah beh, in tal caso non mi oppongo! -Sara sorrise divertita- Sono Sara e lei è il primo ad usare una scusa così bizzarra per chiedermi come mi chiamo” disse divertita mentre gli porgeva la mano.

“Beh Sara, spero che per bizzarro intenda in modo simpatico. –disse stringendole la mano- Quindi lei è Sara… una donna senza cognome…misteriosa, mi piace. –disse divertito- Beh, piacere, io sono Michael Scofield”

“Tancredi” disse Sara lasciando andare controvoglia la mano di Michael.

“Scusi?” chiese Michael confuso

“Tancredi, Sara Tancredi…e ti prego, diamoci del tu perché nel giro di dieci minuti in cui ci siamo dato del lei, mi sono sentita abbastanza avanti con gli anni” disse divertita, mentre Michael annuiva divertito a quella sua richiesta.

Dov’era finito il suo piano di rimanere anonima per un po’? Dopotutto era quello che l’aveva spinta a trasferirsi lì dove non conosceva nessuno e, soprattutto, nessuno conosceva lei. Certo far sapere a quel ragazzo, per lo più suo vicino di casa, che aveva a che fare col governatore non era stata una buona mossa, anche perché, ne era sicura, ora l’avrebbe riempita di domande.

“Tancredi? –chiese Michael con un’espressione curiosa- ti dispiace se ti faccio una domanda?”

“No…” mentì Sara. Sapeva che questo momento sarebbe arrivato, ma dopotutto lui non aveva colpa per essere un po’ curioso, l’unica da incolpare era lei e la sua maledetta bocca.

“Il tuo cognome… -disse Michael lentamente guardandola fissa negli occhi- per caso ha a che fare con l’Italia?”

“Ehm… -Sara lo guardò con uno sguardo che andava dal confuso allo spiazzato- credo di si…” disse infine scuotendo la testa, mentre un sorriso prendeva posto sul suo viso.

“Cosa ti fa sorridere in quel modo?” le chiese curioso.

“Uhm, niente –fece finta di sistemare qualcosa su un mobile di modo che lui non potesse vedere che ancora sorrideva per la piacevole sorpresa di quella domanda che non si aspettava- è solo che nessuno mi aveva mai chiesto una cosa del genere sul mio cognome… -si girò finalmente a guardarlo in faccia- a dire il vero, credo tu sia il primo!” disse scuotendo la testa ancora una volta, divertita.

Sara lo sentiva, quel ragazzo aveva qualcosa di strano rispetto a tutti gli altri che erano entrati e, rapidamente, usciti dalla sua vita senza lasciare altro che tristezza e solitudine. Con Michael era diverso, si conoscevano da soli dieci minuti, ma lei già si sentiva bene ad averlo intorno. Si disse che era stupido sentirsi così per qualcuno che non conosceva, ma era più forte di lei.

“Sarà che sono uno a cui piace distinguersi dalla massa. –le sorrise gentilmente- Posso chiederti cosa ti ha spinto a trasferirti qui?” le chiese delicatamente.

“Volevo cambiare aria, stare in un posto un po’ tranquillo” disse mettendosi una ciocca di capelli dietro le orecchie.

“Beh, direi che hai fatto la scelta giusta, a meno che lo sferruzzare delle anziane del quartiere non sia troppo rumoroso o stressante per te…” disse Michael con un’aria seria che fece sorridere Sara.

“Beh, sarò costretta a farci l’abitudine! –gli rispose ancora divertita dalla sua battuta- E invece cosa ci fa un ragazzo come te in un quartiere del genere?” chiese curiosa.

“Ho sempre vissuto qui con mia madre e mio fratello. –infilò le mani nelle tasche dei pantaloni- Da quando lui si è sposato e nostra madre è… -si prese un momento e prima di continuare prese un respiro profondo- …morta io sono rimasto qui… -la guardò negli occhi- anche perché mia madre non mi perdonerebbe mai se vendessi la casa!” aggiunse con un sorriso.

“Mi dispiace…” fu l’unica cosa che Sara riuscì a dire nel vedere lo sguardo ferito di Michael mentre parlava della madre. Gli mise una mano sul braccio per fargli capire che quel “mi dispiace” era veramente sentito e non una semplice frase di circostanza.
Michael la guardò ancora una volta negli occhi e le sorrise dolcemente.
Sara si ritrovò a sorridere imbarazzata nel sentirsi nuovamente i suoi occhi addosso e fu costretta a distogliere lo sguardo e fissare un punto non definito delle sue scarpe, tutto per paura che quegli occhi scavassero troppo a fondo e capissero quanto si sentiva bene in quel momento. Sola con Michael.
“Le farfalle nello stomaco? –si chiese Sara- questa sì che è bella! Non lo conosco nemmeno e già mi fa sentire così! E solo guardandomi!! Andiamo Sara, prendi un respiro profondo…” si disse cercando di calmarsi.

“Cosa ne dici se ti offro qualcosa da bere a casa mia? –le chiese poggiando la sua mano su quella che Sara teneva ancora sul suo braccio- E prima che tu risponda no, –aggiunse senza aspettare che Sara rispondesse- lascia che ti ricordi che sei appena arrivata e il tuo frigo è desolatamente vuoto”

“Grazie per avermelo fatto notare! –sorrise divertita scuotendo la testa - beh, non vorrei disturbare...” disse impacciata.

"Insisto" le disse con un bellissimo e dolcissimo sorriso che costrinse Sara a cedere al suo invito.

"D'accordo -sorrise divertita- accetto volentieri anche perché non mi lasci molta scelta…” aggiunse fingendo che questa costrizione non le facesse piacere.

I due uscirono da casa di Sara per entrare subito in quella di Michael.

“Fai pure come se fossi a casa tua” si sentì dire Sara mentre Michael la faceva entrare in casa prima di lui poggiandole gentilmente una mano sulla schiena.

Sara fu sorpresa di vedere come anche un ragazzo potesse vivere in un appartamento in ordine. Tutti i ragazzi che aveva conosciuto tenevano sempre qualche mutanda sparsa in giro per la casa o buste di patatine vuote sul divano. Ma non Michael. Lui era diverso, ormai l’avrebbe dovuto capire.
Lì era tutto perfetto, non una cosa in disordine, i colori dei mobili si accompagnavano perfettamente a quelli delle pareti, tutti i suoi CD erano in perfetto ordine sul ripiano di un mobiletto, così come i DVD nel ripiano più basso.

“Cosa ti posso offrire?” –le chiese Michael distogliendola dai suoi pensieri- Coca, un succo, birra…?”

“Birra? -sorrise divertita- Michael, non pensavo fossi il tipo che fà entrare una ragazze in casa sua per farla ubriacare! -disse divertita, mentre Michael si affacciò alla porta della cucina per sorriderle divertito- Una Coca va benissimo, grazie” aggiunse con un sorriso, prima che lui prendesse dal frigo quello che lei gli aveva chiesto.

“Ecco. –le porse la lattina- che dici se ti faccio fare un tour della casa?” le chiese gentilmente. Sara annuì.

“Bene, seguimi… –le disse facendo di nuovo uno di quei suoi bellissimi sorrisi che a Sara piacevano sempre di più- questa è la cucina, –lui e Sara entrarono velocemente nella cucina che risultava la più piccola delle stanze- questo è il bagno, –guardarono da fuori il bagno che rispetto alle altre stanze, aveva le pareti e il pavimento celesti- questa è quella che ormai è stata ribattezzata ‘la camera degli ospiti’ –indicò l’unica stanza, che Sara notò, aveva la porta chiusa.

“Forse Michael non ha spesso degli ospiti in casa” pensò Sara.

“Questo è il mio studio, -entrarono in una stanza molto più seria rispetto alle altre, con una grande scrivania piena di fogli enormi e degli scaffali pieni di libri che incuriosirono Sara- e…beh, questa è la mia stanza… -indicò un po’ imbarazzato la sua stanza che aveva un grande letto a due piazze nel mezzo, un tavolo vicino alla finestra con un portatile sopra e un grande armadio- e da qui si ritorna al salone” disse Michael concludendo il tour.

“Penso che il mio appartamento non sarà mai perfetto come il tuo” disse Sara sorseggiando un po’ della sua Coca.

“Datti un po’ di tempo, dopotutto sei appena arrivata. –le fece segno di accomodarsi sul divano- E se ti servisse aiuto di ogni tipo, basta che bussi alla mia porta” le disse sorridendole gentilmente.

“Grazie Michael” rispose Sara annuendo e sorridendo timidamente. Era una sua sensazione, oppure quello che sentiva era un senso di protezione? Il solo fatto di sentirgli dire che per lei ci sarebbe stato, l’aveva fatta sentire protetta, quasi al sicuro. Era una sensazione quasi sconosciuta per lei, dato che in tutti questi anni l’unica persona sulla quale avesse mai potuto contare era stata sé stessa.

“Ti dispiace se ti lascio sola giusto il tempo di cambiarmi velocemente?” le chiese quasi controvoglia. Era strano, ma stava bene lì con lei a parlare del più e del meno. Finalmente aveva qualcuno della sua età con cui discutere di cose diverse da nipoti che non chiamano mai, punti croce e mezze stagioni che non esistono più. Non che le vecchiette del posto non lo trattassero bene, anzi era come un nipote acquisito per loro, ma con Sara…non sapeva spiegarselo, e forse una spiegazione logica non esisteva, ma si sentiva bene con lei…

“Tranquillo, ti aspetto qui” le disse quasi rassicurandolo che di lì non si sarebbe mossa.

Michael le sorrise e, dopo aver preso un altro sorso dalla sua lattina, entrò in camera sua.

“Non mi hai ancora detto cosa fai per vivere” chiese improvvisamente Michael mentre era ancora in camera sua a cambiarsi.

“Oh, -Sara sorrise sorpresa di quanto poco tempo resistettero in silenzio- sono un medico al Chicago Medical Center”

“Un medico uh? –disse sorpreso- una volta sono stato ricoverato lì da bambino”

“Beh, mi dispiace per te, ma in quel periodo ero bambina pure io, per cui il tuo tentativo di darmi della vecchia ha fatto cilecca! –sorrise divertita sentendo Michael che rideva a sua volta da camera sua- Tu invece di che ti occupi?” chiese curiosa

“Sono un ingegnere edile, mi occupo di curare nei minimi dettagli le planimetrie degli edifici”

“Ecco cos’erano tutti quei fogli giganteschi nel tuo studio” disse mentre si alzava dal divano perché incuriosita da delle foto che Michael aveva su un mobile.

“Già, mi hanno appena affidato un nuovo incarico… -disse uscendo da camera e raggiungendola in salone mentre, con addosso dei jeans scoloriti e delle Converse nere ai piedi, finiva di infilarsi una polo nera su una felpa bianca a maniche lunghe- quella è mia madre” aggiunse notando la foto che Sara aveva preso in mano

“Era davvero bellissima” disse Sara con un leggero tono di tristezza nella voce, mentre rimetteva la foto al suo posto.

“Beh, con un figlio come me pensavo che questo dubbio non esistesse nemmeno…” disse Michael facendo l’offeso.

“Ah si? –arrossì per la battuta di Michael- Mi devo ricordare di dire in giro che il tuo pregio migliore è la modestia” aggiunse ridendo seguita da Michael.

“Questi invece sono mio fratello Lincoln, sua moglie Veronica e loro figlio LJ” indicò un’altra foto.

“Sembrano proprio una bella famiglia” disse, mentre finalmente distoglieva per un momento lo sguardo dalle foto e lo posava su Michael. Non riusciva a credere che una persona potesse risultare così bella con solo dei vecchi jeans scoloriti ed una normalissima maglietta addosso.

“Già, sono contento per entrambi. –sorrise- Voglio dire, sono perfetti l’uno per l’altro e non ti nascondo che qualche volta li invidio… –aggiunse con un tono di amarezza nella voce- si conoscono da quando erano bambini ed è stata solo questione di tempo prima che capissero che insieme erano perfetti. Invece per me trovare qualcuno con cui stare bene si è rivelata un’impresa impossibile” disse un po’ triste. “Per lo meno finora…” avrebbe voluto aggiungere, ma si trattenne per non sembrare una di quelle persone che solo dopo aver parlato cinque minuti con una ragazza già pensano sarà quella giusta. Lui non era un tipo del genere…ma allora perché si sentiva così…strano? Forse era un effetto del profumo di albicocca che sentiva sui capelli di Sara? O forse era il buon profumo della sua pelle? Scosse la testa quasi divertito da tutti quei particolari che, di sicuro, una persona normale non avrebbe notato.

“Ti capisco, -Sara si girò per guardarlo negli occhi- ma sono convinta che, prima o poi, tutti sono destinati a trovare la persona giusta” disse forse più convincendo sé stessa.

“Sai, sono sicuro che a mia madre saresti piaciuta, –sorrise divertito scuotendo leggermente la testa- adorava le persone che non si danno per vinte. A me e a mio fratello ripeteva sempre di avere fede” disse malinconico riguardando per un istante la foto della madre.

I due rimasero un po’ in silenzio. Era la prima volta da quando si erano incontrati.

“Così anche voi ingegneri avete il permesso di andare a lavoro vestiti in modo normale e non sempre con quegli elegantissimi abiti?” chiese Sara rompendo il silenzio che si era creato.

“No, -sorrise Michael divertito da quella strana domanda che nessuno gli aveva mai fatto- per oggi col lavoro ho finito, a dire il vero ho promesso a Lincoln e Veronica che sarei andato a pranzo da loro.”

“Oh, e io ti sto facendo fare tardi, vero? –disse veramente dispiaciuta- Mi dispiace così tanto!” disse andando verso il divano dove aveva appoggiato la sua borsetta.

“No, no tranquilla! –la rassicurò- sono in largo anticipo” disse guardando l’orologio. In realtà sarebbe dovuto essere lì già da dieci minuti, ma non gli importava. “Lincoln capirà” pensò.

“Beh, grazie di tutto…le scatole, la Coca, il giro turistico” gli disse sorridendo.

“Figurati, grazie a te per la compagnia! –le sorrise e si prese un po’ di tempo prima di andare avanti- Senti… non è che ti va di venire? –le chiese quasi maledicendosi per questo slancio di confidenza che, ne era sicuro, l’avrebbe messa in imbarazzo- Dopotutto non penso abbia niente di pronto per pranzo…” aggiunse evitando di guardarla negli occhi mentre cercava le chiavi della macchina e stando attento a farle pensare che l’aveva invitata a pranzo perché altrimenti sarebbe stata a digiuno e non perché moriva dalla voglia di stare ancora un po’ con lei.

“Grazie, ma non c'è bisogno che ti preoccupi, –sorrise dolcemente colpita da quell’invito che, di certo, non si aspettava- sono già d’accordo con un’amica per mangiare in un locale” gli disse porgendogli le chiavi che Michael stava cercando disperatamente.

“Grazie –sorrise piacevolmente sorpreso per questo gesto che faceva sembrare che i due si conoscessero da tanto tempo- però non puoi lasciarmi con la coscienza sporca, -entrambi uscirono da casa di Michael- permettimi di offrirti almeno la cena e, ancora una volta, uso la scusa del frigo che è desolatamente vuoto” le disse mettendosi di fronte dopo averla raggiunta di fronte alla staccionata che divideva i giardinetti delle loro case.

“Muoio dalla voglia di mangiare della pizza” gli disse senza pensarci su.

“Perfetto, -sorrise- e questa volta hai accettato subito!” aggiunse compiaciuto.

“Beh, hai delle motivazioni inattaccabili…” disse Sara divertita

“E’ il vantaggio di avere un avvocato come cognata… –sorrise- quindi pizza e film a casa mia, diciamo, verso le nove?” le chiese mentre le porgeva la mano per salutarla.

“Perfetto, però il film lo porto io!” disse prontamente Sara stringendo la mano di Michael.

“Suona come una minaccia… -disse scherzando- ma correrò il rischio” aggiunse quasi malizioso.

Quell’ultimo sguardo malizioso non era sfuggito a Sara, che seguiva con lo sguardo Michael mentre si dirigeva verso la sua macchina.

“Grazie per non aver fatto nessun commento su mio padre” gli disse poco prima che lui aprisse la portiera della macchina.

“Non è mia abitudine giudicare le persone da quello che i loro genitori fanno o non fanno…” le rispose accennando un sorriso poco prima di salire in macchina.

Poco prima di partire rivolse un ultimo sguardo a Sara e la salutò nuovamente con un cenno della mano e poi partì.
Sara si ritrovò a seguire, con lo sguardo, la macchina di Michael finché questa non svoltò l’angolo.
Scosse la testa divertita mentre si copriva gli occhi con entrambi le mani.

“Intelligente, gentile, educato e…stupendo! Direi che trasferirsi qui potrebbe rivelarsi molto più interessante di quanto pensassi…” si disse mentre rientrava in casa, seguita da quella sensazione che, aveva già provato ma mai in quel modo esagerato, di avere mille farfalle nello stomaco al solo pensiero di poterlo rivedere.
 

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Capitolo 2
*** Cambio di programma ***


A/N: Aggiornamento arrivato prima del previsto! Prima di tutto grazie mille a Cristie per il commento :) Per quanto riguarda le domande che mi hai fatto, non ho mai pensato di scrivere la storia solo sotto il punto di vista di Sara, per cui più avanti potrebbero esserci dei capitoli visti dal punto di vista di Michael (anche se a dire il vero il mio intento era quello di tenere la storia distaccata rispetto ai punti di vista dei personaggi, ma sembra che io non ci sia riuscita!). Grazie per i complimenti, spero tanto questo secondo capitolo sia all'altezza delle tue aspettative!


Sara aveva passato le ultime due ore a buttare all’aria tutta la roba presente nelle poche scatole che si era portata dietro. In meno di mezz’ora sarebbe dovuta andare da Michael, per quello che Sara si sforzava di non vedere come un appuntamento. Li aspettava una tipica serata “pizza & film”. Aveva chiesto qualche consiglio alla sua migliore amica, Katie, su quale film fosse più adatto da guardare con un ragazzo.

“Prendi un film sparatutto con qualche ragazza seminuda, vedrai che gradirà! Dopotutto è un uomo come tanti” fu il consiglio di Katie.

Sara scosse la testa divertita nel ripensare a quelle parole. Non poteva dire di conoscere Michael, ma ne era sicura, lui non era uno come tanti.
Rimase per qualche secondo a fissare le custodie dei film che aveva affittato, “White Chicks” un film comico, “Kill Bill vol.1” uno d’azione e “Elizabethtown” uno romantico. Di certo Michael non poteva accusarla di non avergli offerto un’ampia scelta sui film da guardare!
Tornò a concentrarsi su tutta la roba sparsa sul suo letto. Alla fine optò per un paio di comodi jeans e una maglietta color carta da zucchero a maniche corte.
Lanciò nuovamente uno sguardo alle lancette dell’orologio e si cambiò.

Qualche secondo più tardi sentì il campanello suonare.

“Un momento!” disse, mentre finiva di infilarsi e allacciarsi i jeans.

Raggiunta la porta, senza guardare chi fosse e farfugliando delle scuse per averci impiegato troppo, aprì.

“Per quanto questo quartiere sia tranquillo, ti consiglio sempre di dare un’occhiata dallo spioncino. –le disse Michael, prendendola in giro nel modo più carino che Sara potesse ricordare- Sai, molti lo sottovalutano ma è una grande invenzione!” continuò sorridendole.

“Già… -rispose a metà dall’essere divertita per quella sua battuta e imbarazzata per la figura che aveva appena fatto- Cambiando discorso, pensavo dovessimo vederci da te tra… -diede un’occhiata al suo orologio- dieci minuti” gli fece notare confusa.

“Già, sono venuto per parlarti di questo… -disse cercando di evitare il suo sguardo- credo dovremmo annullare la nostra serata…” continuò con un tono di scuse che non passò inosservato a Sara.

Michael si sentiva gli occhi di Sara addosso e, apparentemente, lo sguardo della ragazza sembrava nascondere molto più di quello che Michael riuscì ad intuire.
Sara ne era convinta, nonostante i suoi sforzi, Michael aveva capito quanto c’era rimasta male da quello che suonava come un rifiuto.

“E tu che credevi fosse diverso! –le disse una vocina nella testa- E’ esattamente come tutti gli altri… –insistette la vocina- … a meno che…”

“Va tutto bene?” riuscì finalmente a chiedergli. Con quella domanda aveva deciso di aggrapparsi all’unica speranza che, in quei pochi secondi, era riuscita a scacciare tutti i brutti pensieri su Michael che avevano iniziato a farsi spazio nella sua mente. Lui era diverso, Sara ne era certa, e di sicuro c’era una valida ragione che lo aveva costretto ad annullare la loro serata.

“Si” rispose lui abbozzando un sorriso e sorpreso da questa domanda.

“Bene, -si disse Sara- rassegnati, sei stata appena scaricata!”

“Ok, -disse suonando fredda- allora ci vediamo in giro…” disse abbozzando un falso sorriso ed evitando di guardarlo in faccia.

Sara fece per chiudere la porta, ma Michael alzò prontamente la mano per bloccarla.
Lo guardò confuso, mentre sul viso di Michael era spuntato un sorriso quasi compiaciuto.

“Credo tu abbia frainteso quello che ho detto. –disse costringendola a riaprire la porta e salendo su uno dei tre gradini presenti di fronte alla porta di Sara- Dobbiamo annullare la nostra serata ‘pizza & film’ perché penso che una giornata come questa passata in casa, sarebbe sprecata”

“Ti sto ascoltando…” disse curiosa di sapere cosa passava nella testa di Michael.

“Ok… -disse divertito dal sentirla così interessata da quello che le stava per dire- Ho sentito dire che in città è arrivato un nuovo luna park… -cercò gli occhi di Sara per vedere la sua reazione e notò un sorriso curioso spuntare sulle sue labbra- Potrebbe interessarti? -chiese infine, ma prima che la ragazza potesse rispondere aggiunse- E se hai intenzione di dirmi no, sono disposto a promettere che ti comprerò uno zucchero filato gigante!” aggiunse ridendo.

Sara sorrise divertita per quel suo modo originale di invitarla ad uscire. “Sapevo che era diverso!” pensò.

“Zucchero filato gigante eh? Come posso dire di no! –sorrise- Dammi cinque minuti per cambiarmi” disse, mentre rientrava in casa.

“Non ce n’è bisogno, sei perfetta” disse Michael senza pensarci, mentre metteva una mano sul braccio di Sara per bloccarla.

Michael non aveva realizzato cosa aveva appena fatto, finché non notò uno sguardo sorpreso sul viso di Sara e le sue guance leggermente rosate dall’imbarazzo. Che non fosse abituata a ricevere complimenti? “Impossibile!” pensò Michael.

“… Perfetta per andare ad un Luna Park” si corresse lasciando andare il braccio di Sara, che aveva un dolcissimo sorriso imbarazzato che faceva capolino sulle sue labbra.

Sara continuava a stare lì a fissarlo divertita, mentre le farfalle che tanto aveva cercato di tenere imprigionate se ne andavano a spasso per il suo stomaco. Aveva appena immaginato tutto, oppure Michael le aveva appena fatto un complimento? Il suo lato egocentrico la costrinse a pensarla così e doveva ammettere che la sensazione che provava era stupenda. Non che non fosse abituata a riceverne, ma detto da Michael suonava quasi… naturale!

“Ok… -disse imbarazzata cercando di pensare a qualcosa di sensato da dire- Allora entro a prendere la borsetta e torno subito” aggiunse guardando la mano di Michael che stava ancora sul suo braccio.

“Ok, questo te lo concedo” sorrise lasciandola andare.

Sara gli aveva appena dato le spalle per entrare in casa, quando disse “Oh, per la cronaca, anche tu sei perfetto… Per andare al Luna Park, ovviamente. –aggiunse, girandosi il tanto giusto per incrociare il suo sguardo ed entrando in casa.

Questo non era da lei, pensò con un sorriso mentre cercava la sua borsetta, non era la tipa che si metteva a flirtare con un ragazzo conosciuto qualche ora prima.
Prese in mano le chiavi e, giocherellandoci, uscì di casa con quel sorriso che non riusciva a scacciare dal suo viso.

“Il luna park è qui vicino, -le disse Michael- ti va se facciamo due passi?”

“Certo” le rispose camminandogli a fianco.

“Bene. –le sorrise mentre s’incamminavano- Allora, com’è andato il pranzo con la tua amica?” le chiese curioso.

“Bene, un pranzo come tanti. Invece tu che mi dici del tuo pranzo in famiglia?” gli chiese a sua volta.

“Alla grande a dire il vero! –girò leggermente il viso per poterla guardare negli occhi- A quanto pare sarò zio per la seconda volta” aggiunse con un sorriso imbarazzato.

“E’ stupendo, Michael!” disse Sara contenta per lui.

Michael poteva giurarci, non aveva mai sentito qualcuno, a parte Lincoln, così felice per lui.

“Già, mio fratello mi ha fatto avere la notizia in un modo tutto suo… -disse sorridendo prima di schiarirsi la voce e imitare quella grossa di Lincoln- Mike, dato che tu non ti dai da fare, il compito di mandare avanti la dinastia tocca tutto a me!”

“Però, tuo fratello sì che ha tatto!” gli fece notare Sara divertita da quell’imitazione.

“Già, lo penso anch’io! –disse Michael ridendo a sua volta- Sarà meglio per lui che non sia una femminuccia!” disse con tono serio.

“Ci odi così tanto?” gli chiese Sara, con la stessa espressione di un cucciolo che era appena stato sgridato. Michael la guardò, sorpreso di come un’espressione così infantile la rendesse così stupendamente dolce.

“No! –si sforzò di distogliere lo sguardo dai suoi occhioni- E' solo che lui abbiamo un patto” disse con un sorriso malinconico.

“Ah si? Che patto?” chiese Sara curiosa.

Michael la guardò imbarazzato, indeciso se aprirsi con quella ragazza che aveva conosciuto qualche ora prima, ma che gli sembrava conoscere da una vita. Prese un respiro profondo.

“Chi di noi due avesse avuto per primo una figlia, l’avrebbe potuta chiamare come nostra madre. –incrociò i suoi occhi malinconici con quelli curiosi di Sara e aggiunse con un sospiro- Christina Rose…”

Sara si ritrovò a guardarlo con aria sognante, prima imbarazzata per avergli portato alla mente dei ricordi tristi su sua madre, poi commossa da quello che aveva appena sentito e dal fatto che Michael aveva deciso di aprirsi in quel modo con lei.
Non pensava che Michael potesse essere così adorabilmente egoista, da preferire un altro nipotino maschio piuttosto che sentire il nome di sua madre su una bimba che non era sua figlia.

“Penso che questa sia la cosa più dolce che io abbia mai sentito! -gli disse appoggiando delicatamente la sua mano sul braccio destro di Michael- E penso che se avrai fede come ti diceva tua mamma, tuo fratello avrà un’intera squadra di football finché tu non avrai la tua Christina Rose!” aggiunse sorridendo.

Michael si ritrovò imbambolato a sorridere, perso nella forma che gli occhi di Sara prendevano quando sorrideva, nel suono della sua genuina risata e nel perfetto sorriso che era sempre presente sulle sue labbra. Quel sorriso lo faceva impazzire e si ritrovò a sperare che la sua Christina avesse un sorriso bello quanto quello di Sara.

“Se lei fosse la madre dei tuoi figli, questo non sarebbe impossibile…” gli disse una vocina nella sua mente che cercò di scacciare il più in fretta possibile, quasi impaurito che Sara la potesse sentire e scappasse via terrorizzata.

“Michael, sei tra noi?” gli chiese Sara divertita, mentre gli schioccava le dita di fronte agli occhi.

“Si, scusa” disse divertito da quella situazione.

Era da molto che non gli capitava di incantarsi di fronte ad una ragazza. A dire il vero, forse questa era la prima volta che gli succedeva. Con Sara era tutto diverso da come se lo ricordava. Mani che sudavano al solo pensare di starle vicino, una strana sensazione di vuoto nello stomaco al solo pronunciare il suo nome, battiti cardiaci aumentati improvvisamente al solo sfiorare la sua pelle di porcellana, mente leggera e libera di fantasticare a come sarebbe grandioso spendere il resto della sua vita accanto a lei e brividi lungo la schiena al solo sentire il suo nome, Michael, pronunciato da lei. Per non parlare di quanto gli piaceva parlare con lei. Mai un momento imbarazzante tra loro, mai una battuta fuori luogo; e se c’era un momento di silenzio tra loro, non era casuale o imbarazzante, era giusto che fosse così.

“Tutto troppo perfetto per essere vero, –gli disse la vocina della sua parte realista- avrà già qualcuno al suo fianco”

“Sai, -disse Sara costringendolo a smettere di pensare ad altro per ascoltarla- io non ho la minima idea di come chiamerò i miei figli. Sarà stupido, -continuò abbassando lo sguardo, imbarazzata da quello che stava per dire- ma credo che prima di scegliere un nome, debba vedere tuo figlio in faccia…”

“Non è stupido” disse Michael interrompendola e sorridendole dolcemente.

Sara lo guardò in faccia e sorrise a sua volta prima di continuare.

“… Ma per un caso come il tuo, farei un’eccezione, perché la tua motivazione è la più dolce e tenera che abbia mai sentito” finì la frase di prima, mentre abbassava nuovamente lo sguardo perché imbarazzata dagli ipnotizzanti occhioni sorpresi di Michael.

“Beh, grazie!” disse Michael toccato da quelle sue parole, mentre le poggiava gentilmente una mano sulla schiena.

“Christina Rose Scofield –disse Sara alzando improvvisamente lo sguardo e corrugando la fronte- sai che non suona niente male?” gli fece notare con una buffa espressione in viso, mentre annuiva leggermente.

“Di certo è meglio di Christina Rose Burrows!” sorrise Michael.

Notò che Sara non sorrise con lui e le spiegò cosa lo divertiva tanto.

“Io e mio fratello abbiamo cognomi diversi. –le spiegò- Io ho quello di mia madre, lui quello di mio padre” disse notando, come l’espressione confusa sul viso di Sara lasciava spazio ad una divertita.

“Michael Burrows… -ripeté più volte, mentre lentamente portava i suoi occhi ad incrociare quelli di Michael- Non suona per niente bene!” disse scuotendo la testa, mentre una buffa espressione contrariata appariva sul suo viso.

“Già, lo penso anch’io! Fortuna ho preso il cognome di mia madre!” disse sollevato, passandosi una mano sulla fronte.

Questo gesto fece ridere Sara. Di nuovo.
Michael non era il tipo di persona che si definisce divertente; certo, anche lui faceva delle battute, ma in pochi sembravano capirle.
Invece lei… Beh, lei era Sara.
Michael pensò fosse inutile continuare a fare paragoni tra lei e tutte le altre persone che precedentemente erano apparse nella sua vita. Per quanto potesse suonare scontato e sdolcinato, Michael doveva ammettere che Sara era diversa.

Mentre Sara continuava a ridere, divertita da quel semplice gesto di Michael, lui notò che avevano raggiunto il luna park.

“Incredibile come vola il tempo, quando hai vicino una persona che ti fa stare bene” pensò divertito, continuando a sentire quella risata che gli riempiva dolcemente le orecchie.

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Capitolo 3
*** Conoscendoci meglio ***


“Così, questo è il luna park di cui mi hai parlato?” chiese Sara, divertita nell’indicare le poche giostre che si trovavano a pochi passi da loro.

“Penso di sì… a dire il vero mi ero immaginato qualcosa di meglio” disse Michael sorridendo, mentre si passava una mano sui corti capelli.

Di fronte a Michael e Sara c’era una pista per le macchinine dell’autoscontro, una giostra semi-deserta che girava stancamente in tondo, un bancone del tiro a bersaglio dove potevi vincere qualche pupazzo e un signore che vendeva pop-corn e zucchero filato.

“Beh, che ne dici di quello zucchero filato che ti avevo promesso?” le chiese Michael indicando il signore che lo vendeva.

“Dolci prima di cena?” chiese Sara fintamente scandalizzata da quella proposta.

“Tranquilla, sarà il nostro piccolo segreto” disse Michael portando l’indice destro sulle labbra e porgendo il palmo della mano sinistra a Sara.

Sara sorrise divertita e, prendendo la mano di Michael, si diressero verso la piccola bancarella.

“Due medi di zucchero filato” disse Michael gentilmente.

Mentre il signore si dava da fare per esaudire i due clienti, le mani di Michael e Sara erano ancora l’una nell’altra e a nessuno dei due la cosa sembrava dare fastidio. Anzi, sembrava una cosa così… normale!
Quando il signore li porse quello che avevano ordinato, furono costretti a lasciarsi andare.

“Ok, ti ha preso per mano, ti ha comprato lo zucchero filato, ti ha portato al luna park… forse gli piaci?” si ritrovò a pensare Sara, mentre guardava Michael pagare.

Sorrise, mentre prendeva un po’ del suo zucchero filato e se lo portava alla bocca.

Lentamente fecero un giro del luna park e notarono che, oltre le poche cose che avevano visto, non c’era veramente nient’altro; quindi decisero di sedersi su una delle tante panchine vuote, mentre entrambi finivano di mangiare.

“Sai, da piccola non sono mai stata ad un luna park“ disse Sara prendendo un batuffolo del suo zucchero filato.

“Nemmeno ad uno squallido come questo?” le chiese Michael divertito.

Sara lo guardò per un momento e sorrise. Poteva capire quanto Michael era deluso e imbarazzato da quello che pensava fosse un luna park serio e che invece si era rivelato essere un… bidone.
Ma a lei, che ad un luna park non c’era mai stata, questo posto un po’ piaceva.


“No –disse finalmente rispondendo alla sua domanda- mia madre è morta quando ero ancora piccola e mio padre è sempre stato troppo impegnato con le sue campagne politiche per… preoccuparsi di me” aggiunse con un tono triste e un finto sorriso sulle labbra che non sfuggì a Michael.

Si maledì per averle fatto tornare alla memoria dei ricordi tristi come quelli; loro due erano lì per divertirsi, non per piangersi addosso.

“Quindi non sei mai salita su una giostra?” le chiese dolcemente, mentre, girandosi a guardarla, cercava di assumere un’espressione scioccata.

“No. –rispose divertita nel vedere Michael con gli occhi sgranati verso di lei- Infatti la prima cosa che mi son ripromessa di fare quando avrò dei figli, è quella di portarli alle giostre almeno una volta” continuò ridendo, mentre finiva il suo zucchero filato.

“Beh, -disse Michael avvicinandosi un po’ di più a lei e assumendo quell’espressione maliziosa che Sara stava imparando a conoscere- non pensi che un genitore dovrebbe sapere a cosa vanno incontro i propri figli?” le chiese accennando un sorriso.

“Michael, dimmi che ho capito male!” gli disse portandosi una mano sulla bocca che si era spalancata per lo shock dell’idea che Michael le stava accennando.

“Che male c’è? –disse avvicinandosi un po’ di più e sussurrandole all’orecchio- In giro non c’è praticamente nessuno, le giostre sono deserte e sempre in funzione…”

“Oddio, dimmi che non dici sul serio!” disse Sara sempre più divertita da quella situazione.

“Sì invece. –le rispose alzandosi dalla panchina- Io sono sempre serio!” le fece notare, mentre in piedi davanti a lei le porgeva la mano.

“Non dovremmo farlo, lo sai vero?” disse divertita, dando voce alla sua parte razionale, mentre prendeva la mano di Michael e si alzava a sua volta dalla panchina.

“Certo che si, ma è proprio per questo che sarà più divertente” disse guardandola per un momento negli occhi e dirigendosi verso la giostra.

Entrambi salirono sulla piattaforma girevole della giostra.

A Sara non sembrava vero, da piccola aveva sempre voluto salire su una giostra del genere, ma non aveva mai potuto.
Il fatto di essere la figlia del Governatore dell’Illinois le aveva sempre causato più disagi che vantaggi, niente scuole pubbliche fino ai 14 anni, niente amici che non fossero di un certo livello sociale, niente festini a casa sua. Sara sorrise nel pensare alla faccia che avrebbe suo padre se la vedesse ora divertirsi come una matta con un ragazzo quasi sconosciuto, su una giostra per bambini.
Decise che era ora di godersi la vita senza pensare a lui, dopotutto era per questo che si era trasferita, no?

Sara scelse di sedersi su una piccola carrozza, “come una principessa” pensò, mentre Michael si mise a cavallo di un unicorno che si trovava alla sua sinistra.

“Uomini! –disse Michael serio agitando una spada invisibile- dobbiamo proteggere la principessa!” aggiunse indicando Sara che faceva fatica a rimanere seria.

Michael continuò a far finta di galoppare il suo destriero e combattere contro nemici invisibili come un coraggioso cavaliere che avrebbe dato la vita pur di salvare la “principessa Sara”.
Quando il loro giro sulla giostra finì, Michael porse una mano a Sara per aiutarla a scendere dalla carrozza.

“Sana e salva al castello, milady” le disse facendo un inchino.

“Non so come avrei fatto senza di Voi, Sir Scofield! –disse seria stando al gioco- Stia pur certo che il Sovrano saprà di questa sua lealtà nei miei confronti”

Michael alzò lo sguardo per incrociarlo con quello di Sara, prima di scoppiare a ridere entrambi.

Scesero dalla giostra per poi fermarsi quasi subito di fronte all’unica bancarella che c’era lì intorno.

“3 barattoli per un peluche. –lesse Sara a voce alta- Direi che è meglio abbandonare l’idea di tornare a casa con quel leoncino. –disse sbuffando, mentre indicava un peluche che aveva attirato la sua attenzione- La mia mira fa un po’ schifo!” aggiunse ridendo.

“Voglio provare! –disse Michael poggiando i soldi sul bancone e ricevendo tre palline di pezza- Chissà che questa laurea in ingegneria non mi torni utile!” disse rivolgendo un sorriso in direzione di Sara, mentre faceva rimbalzare una delle palline sul palmo della mano destra.

Sara si ritrovò nuovamente a guardarlo in modo diverso e a sorriderle imbarazzata.
Com’è che ogni cosa che faceva o diceva, sembrava colpirla in modo così evidente?

“Uh, rischia una figuraccia per prenderti il peluche che volevi tanto! Che sia amore?” le disse la vocina nella sua testa.

Scosse la testa per scacciare via quel pensiero, dopotutto quello che Michael stava facendo per lei era una cosa normalissima, un semplice gesto gentile che avrebbe fatto per chiunque. Voleva convincersi di questo, ma la vocina nella sua testa non le dava tregua. “Oh andiamo, chi vuoi prendere in giro? Non vedi l’ora che vinca quel leoncino per metterlo sul tuo comodino e guardarlo pensando a lui, la notte prima di dormire e la mattina appena ti svegli. Quanto sei patetica Sara!”

“Ecco a te!” disse Michael riportandola alla realtà e porgendole il peluche che aveva appena vinto per lei.

“Grazie. –disse prendendo il pupazzetto dalle mani di Michael, cercando di sembrare meno imbarazzata di quanto in realtà non fosse- Non dovevi…” aggiunse timidamente, guardandolo finalmente negli occhi.

“Lo so, ma volevo. –disse sorridendo a sua volta- E poi, ammetto che avevo un secondo fine, –disse fintamente serio, mentre riprendeva a camminare seguito da Sara- quello di costringerti a chiamarlo Michael Scofield II.” disse lentamente girandosi verso di lei con uno strano sorriso.

“Ah sì?” gli chiese Sara, divertita da questo suo modo di fare.

“Già, è un modo come un altro per continuare la dinastia” le spiegò, cercando di rimanere serio.

“Beh, in attesa di Christina ovviamente!” gli rispose prontamente.

Michael si ritrovò a guardarla, qualche passo indietro rispetto a lei, con un sorriso compiaciuto e dei piacevoli brividi sulla schiena.
Non pensava che qualcuno avrebbe preso sul serio quel patto che lui e suo fratello avevano; chi di loro due avesse avuto per primo una figlia, l’avrebbe chiamata come la loro defunta madre.
Era sicuro che qualcun altro non avrebbe capito, ma non Sara. Lei sapeva cosa voleva dire vivere senza una madre e con un padre assente. In fondo loro due erano molto più simili di quanto Michael credesse.

“Certo, -le rispose finalmente, affrettando un po’ il passo e camminandole nuovamente a fianco- in attesa di Christina. –aggiunse- Che ne dici ora di quel film e pizza che ti avevo promesso?” le chiese poggiandole teneramente una mano sulla schiena.

“A dire il vero mi è venuta voglia di un panino con hamburger, -disse indicando il carrozzone di fronte a loro- anche se so già che domani mi maledirò per questo!” aggiunse ridendo.

“Ah, voi donne e la linea! –sospirò Michael scuotendo la testa- Sempre a fare milioni di diete senza mai rendervi conto di quanto siate perfette così come siete” aggiunse, seguendola verso il carrozzone.

Passarono ancora un po’ di tempo a gironzolare per il luna park, parlando del più e del meno e mangiando i panini che avevano comprato, fino a quando decisero di riprendere la strada di casa.

“Sul serio hai frequentato la Loyola?” gli chiese stupita, mentre giocherellava con la criniera del peluche che teneva in mano.

“Si, perchè?” le chiese sorpreso.

“Io ero alla Northwestern!” gli rispose con un sorriso.

“Scherzi? –le chiese, rispondendo al suo sorriso- Sicura di non esserci già incontrati, -disse serio- magari a qualche festino?” aggiunse con un tono malizioso ed un sorriso provocante.

“Non credo proprio, Michael! -rispose prontamente, dopo aver cancellato dal suo viso un’espressione sorpresa per la domanda che le aveva fatto- Me ne ricorderei…” aggiunse spiazzandolo.

“Devo prenderlo come un complimento?” le chiese, sorridendo nel ripensare all’ultima frase di Sara.

“Assolutamente no! –gli rispose prontamente cercando di fare la seria, ma tradendosi col sorriso che campeggiava sulle sue labbra- Sono una brava ragazza, non una di quelle che frequentava i festini delle confraternite e i cattivi ragazzi come te!”

Michael la guardò divertito e sorrise. “Attento Michael, -si disse tra sé- le brave ragazze sono le più imprevedibili…”

“E cosa ti fa pensare che io non fossi un bravo ragazzo?” le chiese provocatorio.

“Beh, tanto per cominciare il fatto che tu abbia parlato di festini e non di noiose biblioteche” disse con un tono di voce sarcastico ed un’espressione che faceva suonare scontato quello che aveva appena detto.

“No, quello fà di me un ragazzo normale! -le disse scoppiando a ridere- Mentre invece le matricole come te che venivano da noi che eravamo gli anziani… quelle sì che non erano per niente brave ragazze!” le puntò l’indice contro con fare accusatorio, mentre Sara rideva e scuoteva la testa.

“Sarei curiosa di sapere a quante ragazze hai spaccato il cuore, Michael!” disse senza pensarci.

“Nessuna, e sai perché? –le chiese senza aspettare una sua risposta- Perchè io, sono un bravo ragazzo!” si indicò il petto con l’indice della mano destra.

Sara sorrise nuovamente, divertita dallo scambio di battute che avevano appena avuto.
Le piaceva stuzzicare Michael e vederlo così determinato nel mostrarle che lui era veramente un bravo ragazzo.
Ma Michael non sapeva che Sara di questo ne aveva la certezza. L’aveva capito subito, fin dal primo istante che lui le aveva offerto il suo aiuto per scaricare le poche scatole dal bagagliaio della sua macchina il giorno che era arrivata nel nuovo quartiere.
La mente di Sara tornò al periodo del college e ad immaginare come sarebbe stato se loro due si fossero conosciuti nel periodo in cui entrambi frequentavano l’università, se si fossero conosciuti ad uno di quei festini, se avessero studiato insieme, se le loro stanze fossero state vicine, se avessero potuto approfittare di ogni momento libero per stare seduti all’ombra del loro albero preferito a parlare e baciarsi.

“Eccoci a casa. -disse Michael riportandola alla realtà- Scusami per aver annullato la serata e averti portato a quel luna park così squallido” le disse abbassando per la prima volta lo sguardo e suonando veramente dispiaciuto.

“Mi hai regalato il mio primo giro su una giostra e questo bellissimo pupazzo, -le fece notare lei gentilmente- direi che è stata una delle serate più belle della mia vita”

“Addirittura?” le chiese malizioso sorridendole, mentre alzava nuovamente i suoi occhi chiari per guardare in quelli marroni di Sara, che si limitò ad annuire imbarazzata. Il solo sentirsi nuovamente il suo sguardo addosso, le impediva di articolare una frase di senso compiuto.

“Beh, allora spero che la nostra serata pizza e film sia disastrosa come questa” le disse cercando una battuta ad effetto che, Michael lo notò, fece sorridere Sara.

“Lo spero anch’io” disse divertita da quella battuta.

“A proposito, che film avevi scelto?” le chiese curioso, mentre la accompagnava verso la porta di casa sua.

“Questo è un segreto che non saprai mai!” gli disse spiritosa, mostrandogli la lingua.

Michael fece l’offeso per qualche secondo, poi lasciò nuovamente che il suo bel sorriso prendesse il sopravvento.

“Beh, allora… Buonanotte, Michael” disse Sara porgendogli la mano. Non aveva idea di come si sarebbero dovuti salutare, se con una fredda stretta di mano, con un un’amichevole abbraccio o con un più intimo bacio sulla guancia.

“Buonanotte, Sara” le rispose, stringendole la mano a sua volta.

“Buttati ragazza! –le disse la vocina nella sua testa- Cogli l’attimo!”

Incoraggiata da queste parole, Sara si sporse leggermente verso Michael e, senza rendersene conto, trattenendo il respiro si mise leggermente in punta di piedi per potergli buttare più facilmente le braccia al collo.
Sapeva che questa era una mossa un po’ azzardata, troppo azzardata per una come lei, ma dopotutto non stava facendo niente di male.
Non ebbe tempo di pensare oltre o di dare voce al suo pentimento per quel gesto impulsivo, perché Michael rispose al suo abbraccio cingendole dolcemente un po’ sopra la vita.
Quando si allentarono lentamente l’uno dall’altra, Sara cercò di mascherare, con qualche ciuffo di capelli cadutole sul viso, il leggero rossore che sentiva sulle guance, ma dal sorriso compiaciuto che aveva visto sul viso di Michael, capì che non c’era riuscita.

“Allora… -disse Michael quasi sussurrando- ‘notte”

“Buonanotte” rispose Sara, sorridendo nuovamente e decidendosi a dare le spalle a Michael e incamminarsi verso la sua porta di casa che era distante solo qualche passo.

“Mi raccomando Michael II, –disse rivolgendosi al pupazzo che Sara teneva in mano- controllala mentre dorme” aggiunse serio.

Sara lo guardò divertita e sorpresa da quelle parole. “Controllala mentre dorme?” ripeté trattenendo a stento una risata.

“Già… Non suonava tanto bene vero?” disse Michael storcendo il naso.

“Non tanto” disse Sara ridendo di cuore.

I due si salutarono un’ultima volta prima di tornare alle rispettive case.

La prima cosa che Sara fece, fu quella di mettere sul comodino a sinistra del suo lettone, il leoncino che Michael le aveva regalato.
Gli accarezzò nuovamente la criniera, dopodiché entrò in bagno a cambiarsi prima di mettersi a letto.
Poco prima di spegnere la luce dell’abat-jour, guardò ancora una volta il pupazzo e ripensò all’ultima frase che Michael aveva detto e che l’aveva fatta ridere.
Accarezzò un’ultima volta il leoncino e chiuse gli occhi senza rendersi conto del solito sorriso che aveva quando pensava a Michael.

La prima cosa che fece Michael quando entrò in casa sua, fù togliersi le Converse dai piedi e sdraiarsi sul suo lettone, nel buio della sua stanza.
Come cavolo gli era venuto in mente di dire quella battuta così fuori luogo? Fortuna che Sara aveva capito che scherzava.
Già, Sara… Che lo capiva così bene e non lo fraintendeva mai.
Si girò a guardare la luna che s’intravedeva dalla sua finestra e che illuminava leggermente la sua stanza.
Mise la mano destra tra la sua testa e il cuscino, lasciando che la sinistra riposasse sul suo stomaco. Era stanco morto quella notte, ma chissà perché, sapeva che il pensiero di una ragazza dai corti capelli scuri non l’avrebbe fatto dormire.

A/N: La storia non potrà essere aggiornata per un po' causa miei problemi di connessione. Chiedo scusa a chi stà seguendo la mia storia per questo incoveniente!

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Capitolo 4
*** Il mattino seguente ***


A/N: Eccomi di nuovo qui, con un nuovo capitolo della storia. Ammetto che, per essere una storia nata come one-shot, si sta tirando abbastanza per le lunghe! ^_^
Volevo fare un ringraziamento super veloce aa "Zepher90"
per aver letto la mia storia tutta d'un fiato, nonostante non sia il suo genere preferito :) e a Christie, che spero abbia continuato a seguire l'evolversi della storia :) .
Bene, dato che è da un po' che non postavo, quello che state per leggere è senza dubbio uno dei più lunghi capitoli che abbia mai scritto (un modo come un altro per chiedervi scusa per il ritardo ^_^ ). Beh, per rinfrescarvi un po' la memoria, scriverò un brevissimo riassunto della storia, di modo che non siate costretti a rileggervi tutti i capitoli precedenti per ricordare a che punto eravamo arrivati! :)
Piccola cosa che vi volevo far notare a proposito di questo capitolo, è che è suddiviso in due parti:
1- La mattinata dal punto di vista di Michael.
2-
La mattinata dal punto di vista di Sara.


Riassunto: Sara ha appena traslocato in un nuovo quartiere, lo stesso dove abita Michael. I due, dopo aver passato parte della mattinata chiacchierando del più e del meno, si danno appuntamento per quella sera stessa. Obiettivo: Serata Pizza e Film. La serata salta perchè Michael decide di portare Sara ad un luna-park di cui ha sentito parlare.

Bene, buona lettura e ricordate che i commenti sono sempre ben accetti! :)


(Michael)

Il mattino seguente, Michael si svegliò stranamente in ritardo.
Corse in bagno per sciacquarsi velocemente, dopodiché prese dal suo armadio, il primo abito che gli capitò. “Blu scuro.” Pensò, dandogli un’occhiata veloce prima di indossarlo. “Non proprio il mio preferito…”
Dopodiché, entro velocemente in cucina e acchiappò qualcosa da mangiare al volo. Questa sua abitudine lo divertiva.
Fin da piccolo, la madre insisteva sempre che la mattina non uscisse mai di casa senza aver messo qualcosa sotto i denti. Anche oggi, quell’abitudine sembrava non abbandonarlo. La mattina, anche se in ritardo, doveva sempre fermarsi in cucina a sgranocchiare velocemente qualcosa.
Raccolse le chiavi di casa e della macchina dal posacenere sul mobile e uscì.
Mentre guardava distrattamente se qualcuno l’avesse cercato al cellulare, notò delle figure muoversi alla sua destra, nel giardino di Sara. Si voltò e la vide che usciva da casa sua, in compagnia di un uomo.
Si ritrovò, inspiegabilmente, a stringere con forza il pugno della mano destra attorno al manico della sua ventiquattrore.
In quel momento, centinaia di domande si prendevano a spallate nella sua mente. Non si spiegava chi fosse quell’uomo, perché fosse lì a quell’ora e, soprattutto, non riusciva a dare una spiegazione logica a questa sua reazione così eccessiva.

“Pensavi che se ne sarebbe stata buona, mentre tu decidevi se fare la prima mossa o no?” Gli disse la vocina nella testa.
Decise di ignorarla e continuare a camminare, sperando di poter fare altrettanto con Sara e il suo amico.

“Hey, Michael!” La sentì pronunciare il suo nome. Ovviamente non era passato inosservato. Prese un respiro profondo e si girò, mostrando uno dei più finti sorrisi mai visti sulla faccia della terra. “Sara!” Esclamò, sorpreso di vederla.

Michael fece per raggiungere la macchina, sperando che i due capissero che aveva fretta, ma, sfortunatamente, il ragazzo vicino a Sara aveva voglia di presentarsi.

“Ciao, non penso ci siamo mai incontrati, io sono Philippe.” Gli disse, porgendogli la mano da sopra la recinzione che separava i due giardini.

“Philippe?” Sentì dire Michael. Capì che la vocina nella sua testa aveva di nuovo preso a parlare. “Che razza di nome è? E poi come diavolo va in giro vestito?” In effetti, la vocina aveva ragione. Philippe indossava una maglietta rosa attillata, adatta più ad un ragazzo che ad un uomo della sua età e i pantaloni corti che arrivavano al ginocchio… Beh, non erano proprio il massimo.

“Piacere, sono Michael.” Gli rispose finalmente, stringendogli velocemente la mano. “Mi piacerebbe rimanere qui a parlare.” Disse, guardando velocemente l’orologio al suo polso. “Ma se arrivo anche oggi tardi a lavoro…” Si portò un indice alla gola e mise una parte della lingua fuori. Sperava avessero capito il messaggio.

“Oh, certo.” Disse Sara con uno strano tono di voce, quasi avesse capito che ci fosse qualcosa sotto. “Anche noi stavamo andando, vero Phil?” L’amico di Sara annuì.

“Oh, bene. Allora, buon lavoro!” Disse Michael, sorridendo un’ultima volta e raggiungendo la sua macchina. Una volta dentro, guardò un’ultima volta verso i due, ma distolse subito lo sguardo quando notò che gli occhi di Sara erano rivolti verso lui.

Arrivato al suo ufficio, salutò tutti un po’ distrattamente ed entrò velocemente nella sua stanza.
Trovò dei post-it sulla sua scrivania, probabilmente lasciati dalla sua segretaria, che gli ricordavano che avrebbe dovuto chiamare alcuni dei suoi clienti per informarli che i progetti che avevano richiesto erano pronti. “Più tardi.” Pensò Michael.
Incredibile, non era nemmeno arrivato a lavoro, che già era stanco.
Ma oltre la stanchezza c’era dell’altro. Uno strano nodo allo stomaco che non aveva mai sentito prima. Cosa voleva dire?
“Il bello è che ti ritengono un genio!” Disse la vocina dentro di lui. “Riesci a memorizzare delle planimetrie in poche ore, ma non riesci a capire che quello che ti fa stare così male, è la gelosia!”
Si alzò lentamente dalla sedia di fronte alla scrivania su cui si era seduto, per andare di fronte alla grande vetrata che gli permetteva di ammirare Chicago.

“Gelosia?” Si chiese a voce alta. “Come…” Non poté finire la frase, perché qualcuno entrò nel suo studio.

“Hey Michael!” Esordì la sua segretaria. Erano da molti anni che lavoravano insieme e avevano deciso che, data la giovane età di entrambi, sarebbe stato meglio darsi subito del tu. La ragazza vide la faccia di Michael e capì subito che c’era qualcosa che non andava. “Hey, tutto apposto?” Chiese preoccupata, chiudendosi la porta alle spalle.

“Si, Flo.” La rassicurò lui, con un sorriso. “E’ solo che stanotte non ho chiuso occhio.”

“Già, si vede dall’espressione distrutta che hai.” Disse sorridendo. “Non sapevo che anche in voi uomini le borse sotto agli occhi potessero essere così… non sexy!” Aggiunse divertita.

“Wow, tu sì che sai come tirarmi su!” Le disse, annuendo con la testa.

“Beh, uno che non dorme non ha bisogno di essere tirato su!” Disse, dandolo scontato. “Direi che quello che ti serve è un caffè!” Disse, andando verso la porta.

“Grazie, Flo.” La ringraziò, tornando a guardare fuori dalla finestra.

“Di niente, così mentre tu bevi il caffè, io posso continuare a prenderti in giro per quelle occhiaie!” Disse facendogli la lingua, prima di uscire dalla stanza.

Michael adorava quella ragazza, parlare con lei era come parlare con suo fratello. Era quasi come se in lei ci fossero due personalità. Quasi come se, dentro il bel corpo di quella ragazza, ci fosse un uomo nascosto. Michael sorrise e rabbrividì allo stesso tempo, mentre ripensò a quelle parole. Flo era l’unica tra le donne in ufficio, che capiva sempre come i loro colleghi si sentivano e dava loro consigli su come migliorare le loro tristi vite. “Intuito femminile.” Pensò Michael. Però era anche vero che, nonostante l’intuito femminile, non era possibile che indovinasse sempre tutti i risultati delle squadre NBA! Flo era davvero speciale.
Ma nonostante provasse per lei un forte sentimento d’affetto, non si era mai sentito così male quando la vedeva con altri ragazzi.
“Vorrà pur dire qualcosa, no?” Gli disse nuovamente la vocina nella sua testa.

“Ecco qui il tuo caffè, Michael!” Disse Flo entrando nel suo ufficio e porgendogli il caffè che Michael prese subito. Flo si sedette nella sedia di Michael e lo guardò con un sorriso di chi la sa lunga.

“Cosa?” Chiese Michael confuso.

“Vogliamo parlare di lei?” Gli chiese, incrociando le braccia al petto.

Michael sorrise, sapeva che Flo aveva capito tutto senza bisogno che lui aprisse bocca. “Si chiama Sara ed è la mia nuova vicina.” Disse prendendo un sorso di caffè.

“Beh, almeno non hai negato come fai sempre.” Gli fece notare. “E perché stai così male?”

“Perché non ho chiuso occhio.” Le ricordò, indicandosi le occhiaie.

Flo sorrise. “Già, le tue occhiaie mostrano che non menti, ma sappiamo entrambi che c’è dell’altro.” Disse sorridendo.

“Beh, mi sento stupido. Non mi sono mai sentito così…” Disse, evitando di guardarla in faccia.

“Così come?”

“Così… geloso?” Disse scrollando le spalle.

“Non sei sicuro che sia gelosia?” Chiese confusa dal tono della frase precedente di Michael. Lui scosse la testa, prendendo un altro sorso di caffè. “Bene, dimmi cosa ti ha fatto sentire così e soprattutto come ti senti.”

“Sei una segretaria o una psicologa?” Le chiese con un sorriso divertito.

“Sappiamo entrambi che mettermi in una delle due categorie sarebbe limitativo.” Rispose prontamente.

“Ok! Meglio andare avanti prima che tu ti monti troppo la testa!” Disse, fintamente preoccupato.

“Sul serio Mike, dimmi che è successo.”

“Beh, era tutto ok finché non sono uscito di casa e… Beh, l’ho vista uscire da casa sua con un altro.” Le spiegò, continuando a guardare fuori dalla finestra.

“Ok, è questo quello che ti ha turbato così tanto?” Chiese, un po’ sorpresa di vedere Michael ridotto a quel modo per quel semplice motivo. Flo sapeva che Michael non era un impulsivo, che rifletteva mille volte sui suoi sentimenti, prima di trarre delle conclusioni.

“Sono patetico, vero?” Disse ridendo.

“Non molto.” Disse sarcastica, rassicurandolo con un sorriso.

“Mi chiedo come farei senza te che mi prendi in giro!” Disse ironico.

“Concentrati sul racconto.” Lo sgridò affettuosamente.

“Beh, non c’è molto altro da dire.” Disse, ricordando la scena di qualche ora prima. “Avrei voluto passare inosservato, ma lei mi ha visto e son stato costretto a presentarmi al suo amico.” Disse, suonando frustrato nel ricordare quel momento. “E mentre mi presentavo, non potevo non pensare a quanto quel tipo fosse cosi… Inadatto a lei…”

“Già il fatto che non volevi parlargli, doveva farti capire che c’era qualcosa che non andava!” Gli fece notare.

“E’ stato così, solo che non ho capito cosa fosse!” Disse in sua discolpa.

“Beh, per ora hai mostrato due dei sintomi della gelosia.” Disse alzandosi dalla sedia. Vedendo lo sguardo confuso di Michael, gli spiegò quali questi due segni fossero. “Anonimato e Rifiuto.” Disse, alzando due dita della mano. “Il terzo è rabbia, ma dal tuo racconto non…”

“Ho chiuso forte il pugno mentre tenevo in mano la ventiquattrore…” La interruppe, cercando di non farle notare quanto fosse imbarazzato in quel momento.

“Oh, Michael!” Gli disse, dandogli un’affettuosa pacca sulla spalla. “Sei cotto forte!” Aggiunse sorridendogli.

“Ma è una cosa senza senso, ci conosciamo da un giorno!” Disse, cercando di far suonare normale il fatto che lui non volesse accettare il fatto di essere geloso di quell’uomo.

“Devo ripeterti cosa dice sempre mia nonna, quando racconta la storia della sua vita?” Le chiese, puntandogli un indice contro quasi minacciosa.

“Al cuor non si comanda…” Disse Michael scuotendo la testa, dopo aver sbuffato. Le aveva sentito dire quella frase più volte, durante tutti questi anni che avevano lavorato insieme, ma mai a lui.

“Appunto, quindi mettiti l’animo in pace.” Disse allontanandosi da lui. “Prima lo accetti, meglio ci convivrai!” Continuò aprendo la porta. “E non dimenticare di chiamare i clienti, ti ho lasciato un post-it per…”

“Si, ho visto.” La interruppe, sorridendo. Flo prese quel sorriso più come un grazie per la chiacchierata che per il post-it. Gli sorrise a sua volta e lasciò Michael da solo nel suo studio a riflettere sulla loro chiacchierata.

Qualche ora più tardi, poté finalmente tornare a casa. L’orario di lavoro era finito e, per sua fortuna, la giornata era stata meno faticosa di quanto temesse. Dopo aver parlato con Flo, si sentiva ancora peggio. Finalmente aveva capito come e perché si sentiva così e la cosa non lo faceva stare bene.
Michael aveva il terrore di aprirsi, soprattutto con persone che non conosceva bene, e rendersi conto che con Sara questo sarebbe potuto succedere, lo faceva sentire come se le barriere che aveva impiegato tanto tempo a costruire, stessero per cedere per colpa di quegli occhi marroni che sembravano ogni volta leggergli dentro.
Non poteva permettere che questo accadesse, non ancora per lo meno.

Tornato a casa sua, tutto quello che desiderava fare era mettersi qualcosa di comodo addosso, bersi qualcosa di freddo e leggere in santa pace il libro che aveva intenzione di iniziare già da qualche giorno.
Non perse tempo e, dopo aver indossato una comoda t-shirt e dei vecchi jeans strappati qua e là, andò in cucina a prendere una coca fredda. La aprì e, dopo aver scelto uno dei libri nella libreria in salone, si mise comodo sul divano.
Riuscì a malapena a leggere le parole “Erano circa le 5 di una mattina d’inverno, in Siria.” che dovette buttare da una parte “Assassinio sull’orient-express” per andare ad aprire alla porta.

(Sara)

Il sogno di una giostra era ancora presente nella mente di Sara, nonostante fosse ormai pronta per uscire.
La serata precedente insieme a Michael, l’aveva fatta sentire davvero bene.
All’inizio aveva pensato di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato, per aver portato Michael a cambiare idea sulla loro serata “pizza e film”, ma dopo avergli sentito pronunciare le parole “zucchero filato” e “luna-park”, tutto il suo buonumore era tornato ad illuminarle nuovamente il viso.

Andò in cucina e sorseggiò velocemente del caffè, mentre il suo cellulare prese a squillare. “Philippe?” Disse, leggendo il nome nel display del telefonino. “Che diavolo vuole a quest’ora?” Disse, mentre il cellulare continuava a squillare. Era intenzionata a non rispondere e ad aspettare che si stancasse, ma più cercava di non farci caso, più la suoneria le entrava irritante in testa. “Pronto?” Rispose, cercando di non suonare seccata.

“Ciao, bella! Disturbo?” Disse la voce mascolina dall’altra parte del telefono.

Sara odiava Philippe, era uno di quei ragazzi che cercano di fare gli affascinanti con battute d’effetto, riuscendo ad ottenere l’esatto contrario. “Tutto il contrario di Michael.” Le disse improvvisamente la vocina nella sua testa.

“No, Phil.” Gli rispose. “Stavo giusto uscendo per andare a lavoro.”

“Hey, pensavo che dato che sono nei paraggi, potevo venire a prenderti così andiamo insieme. Che dici?”

Avrebbe voluto urlargli “NO!”, ma quello avrebbe mandato a monte il suo piano di essere gentile. Ma d’altro canto, avrebbe dovuto sopportarlo un’intera giornata in ospedale, non voleva iniziare ad averlo intorno già da quest’ora del mattino. Doveva pensare ad una scusa e doveva farlo in fretta. “Non ti preoccupare, Phil! Sono già…”

“Insisto!” La interruppe, dopodiché finì la conversazione, lasciando Sara a ribattere inutilmente contro un noioso suono.

Sara guardò confusa lo schermo del suo cellulare e, senza fare caso alle ultime parole di Phillippe, prese la sua borsetta e le sue chiavi e uscì da casa.
Diede un’occhiata veloce al suo orologio, quella chiamata le aveva fatto perdere fin troppo tempo e ora era in ritardo. Chiuse velocemente la porta di casa e si voltò. Quello, o meglio chi vide, le fece subito avere un’idea di quanto quella giornata sarebbe stata pesante.

“Phil?” Disse sorpresa di vederselo di fronte. “Che ci fai qui?”

“Ti avevo detto che ero nei paraggi!” Le rispose, con un sorriso che doveva sembrare ammiccante ma che a Sara diede un senso di ribrezzo. Non sapeva se quella sensazione era dovuta all’orribile maglietta rosa che Phil indossava o semplicemente perché pensava che fosse un viscido.
Katie le ripeteva sempre che gli avrebbe dovuto dare un’opportunità, provare ad uscirci insieme qualche volta, ma Sara aveva sempre fermamente e gentilmente, per quanto fosse possibile, rifiutato. Anche solo l’idea di stare sola con lui le dava il voltastomaco.
Qualche secondo più tardi, come se qualcuno avesse ascoltato le sue preghiere, notò alla sua sinistra Michael che era impegnato a mandare un messaggio col suo cellulare.
Sorrise nel notare quanto fosse affascinante nel suo abito blu e quanto quell’espressione impegnata lo rendesse cosi… Dolce, così… Michael.
Ricordò che, purtroppo, non era con Michael che avrebbe dovuto viaggiare in macchina fino all’ospedale, per cui non perse tempo e richiamò la sua attenzione.

“Hey, Michael!” Disse, agitando la mano per salutarlo, sorridendogli imbarazzata.

Notò che Michael ci mise un po’ prima di rispondere al suo saluto, quasi come se qualcosa lo turbasse, ma una volta che lui rispose, smise di pensarci.

“Sara!” Le rispose, con uno strano sorriso che Sara non gli aveva mai visto.

Sara era confusa, c’era chiaramente qualcosa che non andava, anche perché, non si erano mai ritrovati in quella situazione, senza niente da dirsi. Era sicura, qualcosa di strano passava per la testa di Michael.
“Però, lo conosci da… Quanto, un giorno? E già sei convinta di conoscerlo così bene da capire al volo che qualcosa non va? Sei più patetica di quanto pensassi!” Le disse la voce nella sua testa.
Stava per darle ascolto, quando la scena che gli si presentò davanti, catturò la sua attenzione.

“Ciao, non penso ci siamo mai incontrati, io sono Philippe.” Gli disse, fermando la camminata di Michael verso la sua macchina. Ovviamente, Phil si era sentito in qualche modo escluso dagli sguardi che Michael e Sara si erano scambiati qualche istante prima e aveva ben pensato di far notar a Michael la sua presenza.

Anche questa volta, Michael si prese un po’ di tempo prima di rispondere al saluto, quasi stesse dosando con cura le parole da usare. “Piacere, sono Michael.” Disse infine, stringendo velocemente la mano, scura dalle tante lampade, di Phil. “Mi piacerebbe rimanere qui a parlare.” Disse quasi scusandosi, mentre guardava velocemente il suo orologio. “Ma se arrivo anche oggi tardi a lavoro…” Sorrise, mentre si portava un indice alla gola, come ad indicare la brutta fine che avrebbe fatto.

“Oh, certo.” Disse Sara, quasi infastidita dal suo modo di fare. “Tra l’altro, anche noi stavamo andando, vero Phil?” Disse con un tono melenso al suo collega. Oddio, si era appena messa flirtare con Phil solo per far ingelosire Michael?
 
“Oh, bene. Allora, buon lavoro!” Rispose distrattamente Michael, dopo l’ennesimo strano sorriso di quella mattinata.

Sara lo guardò raggiungere la sua macchina e salire.
Per un istante vide che Michael posò il suo sguardo su di lei, per poi spostarlo immediatamente sulla strada di fronte a lui.
Lo guardò partire, dopodiché senza ormai nessuna speranza, salì in macchina con Philippe.

Il viaggio in macchina con Phil, fu meno noioso del previsto. O meglio, lo sarebbe stato se Sara non fosse stata così impegnata ad ignorare Phil e i suoi racconti di pesca, per riflettere su quello che era appena successo nel suo giardino.
Non riusciva a trovare una spiegazione razionale al comportamento di Michael.
La notte prima lo aveva lasciato contento, con un sorriso altrettanto ebete quanto il suo, e il mattino dopo lo ritrova così… non Michael.
Avrebbe tanto voluto che Phil fosse andato a pescare stamattina, piuttosto che venire a prenderla, così almeno si sarebbe potuta fermare un po’ a parlare con Michael, magari aiutarlo con quel problema che sembrava turbarlo così tanto.

“…Ed è così che mi ritrovai un amo su per il…”

“Siamo arrivati!” Disse Sara, suonando più sollevata che il viaggio fosse finito, di quanto volesse.

“Oh, di già?” Chiese sorpreso. “E’ solo che quando inizio a parlare di pesca non mi ferma più nessuno!” Disse, ignorando il fatto che Sara lo avesse appena provato a proprie spese. “Adoro la pesca, tu no?” Le chiese.

“Oh, sì!” Pensò Sara tra sé. “Tutti quegli animaletti puzzolenti che non stanno mai fermi… Uno spasso!”

“Magari qualche volta potremo andarci insieme…” Le chiese fintamente indifferente mentre scendevano dalla macchina.

“Katie!” Urlò Sara, richiamando l’attenzione dell’amica che si trovava a parecchi metri da lei. Era già la seconda volta che evitava di rispondere ad una domanda in quel modo, quello doveva essere il suo giorno fortunato.

“Hey, Sara! Che ti prende, perché urli in quel modo?” Le chiese l’amica, una volta che era abbastanza vicino a lei.

“Sono solo contenta di vederti!” Le disse prima di abbracciarla. “Ti prego portami via da lui!” Le sussurrò all’orecchio, prima di allontanarsi da lei.

Katie sorrise, notando che “lui” era Phil.

“Hey, Phil. Ti stava cercando Mary del 5°piano, però non mi ha detto cosa voleva…” Disse Katie, fintamente dispiaciuta di non saperne di più.

“Oh, non ti preoccupare Katie. So io cosa le serve.” Disse mettendosi bene i capelli, salutando le due ragazze prima di incamminarsi verso l’entrata dell’ospedale.

“Sbaglio o al 5°piano non c’è nessuna Mary?” Disse Sara, alzando le sopracciglia e guardando l’amica con un sorriso compiaciuto.

“Già, ma ci metterà un po’ prima di scoprirlo.” Disse guardando verso Phil.

“Sei un genio!” Le disse, abbracciandola nuovamente.

“Già, ma ora spiegami cosa ci facevate voi due insieme.” Chiese curiosa.

“E’ una storia lunga e dolorosa.” Disse Sara dirigendosi verso la porta d’ingresso.

“Beh, so reggere le brutte notizie e…” Guardò il suo orologio. “Hai tempo fino alle 14 per raccontarmela.” Aggiunse con un sorriso.

Durante il tragitto dai parcheggi, fino al 3°piano, Sara raccontò all’amica quanto fosse stata traumatica quella mattinata.

“Così Mr. Scofield aveva qualcosa di strano vero?” Disse Katie, mentre Sara si metteva il camice.

“Già, non capisco proprio cosa… Capisco che si sia comportato freddamente con Phil, ma ha fatto lo stesso con me!” Disse, trovando la cosa sempre meno razionale.

“Oh già, mi chiedo proprio cosa gli sia preso!” Disse ironica.

“Sbaglio, o c’era dell’ironia nel tuo commento?” Chiese Sara confusa.

“No ragazza, non sbagli affatto!” Disse uscendo dallo spogliatoio.

“Che aspetti? Illuminami con la tua perla di saggezza!” Le disse, uscendo a sua volta dallo spogliatoio e raggiungendola nell’andito.

“Beh, a me sembra tutto così chiaro!” Disse, porgendo a Sara una cartella di uno dei suoi pazienti. “Ma prima di dirti quello che penso, rispondi alla mia domanda.” Disse, vedendo che Sara leggeva distrattamente i dati delle ultime analisi della Signora Fansworth. “Ha iniziato a sembrarti così distante prima o dopo che ha notato che insieme a te c’era un altro?”

Sara staccò immediatamente lo sguardo dalla cartella clinica e sgranò gli occhi in direzione dell’amica. “Che?” Chiese confusa.

“Oh, andiamo! Non dirmi che l’idea che lui fosse un tantino geloso non ti ha nemmeno sfiorato!” Disse Katie, sorpresa dall’ingenuità dell’amica.

“Beh, no…” Disse Sara imbarazzata. “Ma Michael non è uno geloso.” Disse sicura di queste parole.

“Oh, giusto! Dimenticavo che voi due vi conoscete così bene!” Disse Katie ironica.

Beh, Sara non poteva darle torto. Dopotutto lei e Michael si conoscevano da appena 24 ore, abbastanza poco per poter dire di conoscersi.

“Perché dovrebbe essere geloso?” Chiese Sara, sperando di sentirsi dire quello che lei aveva paura di pensare.

“Mi prendi in giro, vero?” Chiese Katie, quasi offesa. “Ti ha portato al luna-park, ti ha regalato un peluche, ti ha abbracciata…”

“Beh, a dire il vero l’ho abbracciato io…” Disse Sara, interrompendo l’amica che fece uno strano gesto con le mani per zittirla.

“Resta il fatto che è stato un perfetto principe azzurro, Sara.” Le sorrise, mettendole affettuosamente un braccio intorno alle spalle. “E nonostante a te sembri che tu sia l’unica tra i due veramente interessata.” S’interruppe per zittire nuovamente l’amica che aveva cercato di correggerla. “Entrambi sappiamo che quello è solo un meccanismo di difesa che hai imparato ad usare per non rimanere più ferita, come in passato.”

“Arriva al punto…” Disse Sara, fermandosi di fronte alla porta della stanza della signora Fansworth, aspettando che l’amica che le desse il suo parere sul da farsi.

“Beh, il punto è che… Beh, per prima cosa stai attenta agli antidolorifici che dai alla signora Fansworth, l’ultima volta mi ha detto che ha visto David Letterman uscire dal suo televisore e sedersi nella sedia di fronte a lei!” Sara sorrise. ”E seconda cosa, dovresti andare a parlargli. Usa una scusa stupida, che so…” Katie si prese un secondo per pensare, poi, imitando la voce di Sara, disse. “Michael, il mio forno è rotto, potrei mangiare qualcosa qui con te?”

“Hey, io non ho quella voce!” Le fece notare Sara, ridendo divertita per quell’imitazione.

“E se quella scusa non ti piace, puoi sempre usare quella della doccia che non funziona…” Le disse, facendole un occhiolino malizioso e allontanandosi da lei.

Sara scosse la testa, dopodiché entrò nella stanza della signora Fansworth.

Qualche ora più tardi, Katie la riaccompagnò finalmente a casa, evitando di fare commenti su quello che Sara avrebbe, o non avrebbe fatto a proposito di Michael.

Entrò in casa e poggiò distrattamente la sua roba sul divano, dopodiché andò a cercare qualcosa da sgranocchiare in cucina.
Prese un pacco di biscotti al cioccolato e, nell’andito che univa la cucina al salone, si guardò nello specchio. Si schiarì un po’ la voce, dopodiché disse. “Hey Michael, vuoi sentire una cosa divertente? Il mio forno è rotto! Non è che potrei mangiare qualcosa qui con te?” Scosse la testa, trovandosi patetica.
“Hey Michael, Katie pensa che tu sia geloso di Phil, buffo vero?” Si diede dell’idiota anche solo per aver pensato di potergli dire una cosa del genere.
Si mise apposto i capelli e fece una smorfia sexy. “Hey Mike, ti dispiace se faccio la doccia qui da te?” Disse ammiccante, prima di coprirsi la faccia con le mani.
Guardò distrattamente la busta di plastica appoggiata sul suo tavolo di cucina. Ricordò che dentro c’era una piccola frittata che Katie aveva fatto per lei il giorno prima.
Prese a guardarsi nuovamente allo specchio e sorrise. “Hey Michael, ho una frittata troppo grande per una sola persona, ti va di mangiarla con me?” Si guardò soddisfatta, dopodiché prese la frittata e uscì di casa.

Attraversò velocemente il suo giardino e quello di Michael, per poi ritrovarsi di fronte alla porta di casa sua.
Si mise più volte i capelli a posto, cercando di darsi un aspetto il più presentabile possibile. “Sai, potevi farlo prima davanti allo specchio!” Le fece notare la vocina nella sua testa.
Respirò a fondo, poi suonò il campanello.
L’attesa era più dura di quanto pensasse e, vedendo che nessuno rispondeva, iniziò a pensare che Michael non fosse in casa.
Stava per dare le spalle alla porta, quando Michael le apparve, qualche centimetro di distanza da lei, con un’espressione sorpresa stampata in faccia.
Sorrise nel vederlo, ma tutta la sicurezza che aveva mostrato qualche secondo prima di fronte allo specchio, aveva deciso di abbandonarla nel momento più importante. E certo, sentirsi quegli occhi azzurri addosso non aiutava di certo!
“Hey Michael!” Riuscì a dire finalmente, cercando di tenere i suoi occhi nocciola a stretto contatto con quelli penetranti di Michael. “Ho una frittata troppo grande per una sola persona, ti va di mangiarla con me?” Chiese, indicando velocemente con lo sguardo la frittata. Vedendo che Michael la guardava incuriosito, aggiunse con un sorriso. “Tranquillo, non l’ho fatta io!”

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Capitolo 5
*** Pomeriggio ***


A/N: Wow, siamo già arrivati al 5 capitolo? Beh, come vi avevo detto, il capitolo precedente, questo e il prossimo, erano divisi in varie parti della giornata. Quello che state per leggere è il pomeriggio. Buona lettura e un sentito grazie a chi commenta.


“Ho una frittata troppo grande per una sola persona, ti va di mangiarla con me? Tranquillo, non l’ho fatta io!”


Michael si era ritrovato davanti l’ultima persona che si aspettava di vedere quel pomeriggio, Sara.
La scusa che aveva trovato per poter andare a trovarlo e l’imbarazzo evidente che provava in quel momento, la facevano sembrare ancora più perfetta di quanto Michael già la pensasse. E poi il timido sorriso che cercava di nascondere con qualche ciocca ribelle di capelli che le cadeva sul viso, le dava un’aria così innocente che Michael non ricordava di aver mai visto nel viso di qualcuno.

“Oh beh, allora. Accomodati!” Sorrise, rispondendole finalmente e aprendo del tutto la porta di modo che potesse entrare. Sorrise e si chiuse la porta alle spalle.

“Pensavo voi dottori lavoraste tutto il giorno.” Uno sguardo curioso apparve sul suo viso.

“Ti suonerà strano, ma anche noi abbiamo i turni!” Rispose divertita, mentre appoggiava la frittata sul tavolo di cucina di Michael.

“Oh già, grande invenzione!” Annuì serio, per poi ridere.

“Già, anche perché la giornata non era iniziata proprio nel migliore dei modi!” Sospirò, ricordando le prime ore di quella mattina.

“Ah no?” Chiese curioso, raggiungendo Sara in cucina e prendendo qualche posata da un cassetto.

“Direi di no! Hai presente il tipo di stamattina?” Chiese stuzzicandolo. Era curiosa di vedere se Katie aveva ragione, se Michael era geloso. Quale modo migliore che ricordargli Philippe!

“Uhm si.” Rispose Michael distrattamente. “Ho un vago ricordo. Sembrava simpatico.” Mentì. Si ricordava bene di Philippe, aveva passato tutta la mattina ad immaginarlo in compagnia di Sara a guardare film romantici insieme, a ballare la loro canzone, a… Beh, a fare tutto quello che di solito fa una coppia. E ovviamente, non gli era affatto simpatico!

“Simpatico?” Chiese Sara incredula, cercando lo sguardo di Michael che però le dava le spalle, troppo preso nel cercare le posate in quel cassetto. “Penso che se gli stessi vicino per più di 1 minuto, anzi no 5 secondi.” Si corresse subito. “Cambieresti subito idea!” Spiegò, portandosi alla bocca uno degli acini d’uva che Michael teneva lì vicino.

Michael si girò per sorriderle, mentre lei prendeva un altro chicco d’uva e se lo portava alla bocca. Lui adorava l’uva e vedere che aveva un’altra cosa da aggiungere alla sua lista delle cose in comune che aveva con Sara, lo fece sorridere ancora di più.
E poi, cosa più importante, lei odiava quel Paul, o come diavolo si chiamava! Certo, questo voleva dire che aveva passato un’intera mattinata a farsi del male psicologico per niente, ma almeno tutto quel malinteso l’aveva fatto ragionare, l’aveva fatto capire. Se non voleva che quel suo incubo si trasformasse in realtà, doveva fare una mossa e doveva farla in fretta.

“Andiamo Sara, io non salgo in macchina con chi non mi sta simpatico.” Disse, cercando di stuzzicarla. Per non farle fraintendere il senso delle sue parole, abbozzò un occhiolino, pentendosi anche di quel gesto. Dopotutto poteva essere frainteso pure quello! “Amico, sei troppo nervoso!” Gli disse la vocina nella sua testa. “Stai incasinando tutto! Prendi un respiro profondo e la prossima volta pensa prima di parlare!” Lo avvisò.

“Hai ragione, Michael. Ma se la persona in questione ti si piazza davanti casa e l’unica persona che può aiutarti ha fretta…” Sorrise indicandolo, di modo che capisse che si riferiva al comportamento che lui aveva avuto quella mattina. “Non hai scelta, devi arrenderti.” Finì la frase mangiando un altro chicco.

“Oh, così mi hai salutato solo perché avevi bisogno di me?” Chiese facendo il finto offeso.

“Ti risponderei di sì, ma il vederti con i coltelli in mano mi suggerisce di non farlo!” Scherzò, notando che si avvicinava verso di lei facendo una faccia da psicopatico.

“Sei fortunata, Sara.” Sussurrò, quando le fu abbastanza vicino. “Oggi sono di buonumore!” Aggiunse, uscendo dalla cucina e raggiungendo il salone.

Sara sorrise e lo seguì, tenendo in una mano il cestino con dentro l’uva e nell’altra la frittata.

“Vedo che ti piace l’uva!” Notò, sedendosi sul divano in salone.

“Adoro l’uva! E’ sempre stato il mio frutto preferito fin da quando ero bambina.” Confessò, sedendosi nel divano di fianco a lui. Notò nel viso di Michael, lo stesso sguardo che gli aveva visto tutte le volte che lei iniziava a raccontare qualcosa e lui era curioso di sapere come quel racconto finisse. Michael era curioso di sapere come mai le piacesse tanto l’uva e non sarebbe stata certo lei a impedirgli di sapere la verità. “Mio nonno paterno aveva una vigna. Ricordo che, quando mia madre era ancora viva e mio padre non era totalmente assorbito dal suo lavoro, ci passavamo i mesi estivi.” Iniziò a raccontare, mentre Michael si sporgeva leggermente in avanti, come desideroso di non perdersi nemmeno una sillaba del suo racconto. “Mio nonno metteva me e i miei cugini a pestare l’uva per fare il suo famoso vino. All’epoca non avevo idea dell’utilità di quello che ci faceva fare e cercavo sempre di rifiutarmi perché non sopportavo che tutta quell’uva venisse sprecata!” Spiegò, ridendo. “Pensa che una notte mi coricai prestissimo perché avevo in mente un piano infallibile!” Rise ancora una volta nel ricordarsi bambina. “Rimasi sveglia sotto le coperte finché tutti i parenti si coricarono, dopodiché, cercando di fare meno rumore possibile, sgattaiolai di fuori verso il vigneto e…”

“Non dirmi che hai fatto quello che penso!” La interruppe divertito nell’immaginarla vestita di nero per passare inosservata, con una torcia in una mano che si faceva luce tra i vigneti e un coltellino svizzero dall’altra. Sara doveva essere una bambina stupenda da piccola, con i lunghi capelli che le cadevano sulle spalle e i vestiti perfetti che suo padre la costringeva ad indossare per fare bella figura davanti ai fotografi.

Sara rise nel vedere quanto Michael era divertito dal suo racconto. “Beh, se mi hai immaginata a tagliare un bel po’ di grappoli d’uva e portarli di nascosto in camera mia… Allora direi che hai pensato bene!”

“Oddio Sara.” Disse tra una risata e l’altra.

“E non è finita qui!” Lo informò. “Passai tutta la notte a mangiare tutti quei chicchi d’uva!” Disse scuotendo la testa. “E tutti sappiamo quanto l’uva può essere letale!” Aggiunse un po’ imbarazzata dal finale della sua storia. “Ottimo!” Le disse la vocina nella sua testa. “Se volevi metterti in imbarazzo, non potevi fare di meglio!” La sgridò.

“Questa storia è stupenda!” Commentò senza parole. “Sarebbe la prima cosa che racconterei ai miei figli!” Aggiunse divertito.

“Oh certo, così smetterebbero di certo di darmi retta!” Annuì divertita. “Mamma, dammi 10 dollari altrimenti ti faccio ingoiare 10 grappoli d’uva!” Disse con una vocina infantile, imitando quella del suo futuro figlio.

“Su questo hai pienamente ragione!” Annuì divertito.

“E tu com’è che adori l’uva?” Chiese curiosa.

“Beh…” Disse portandosi un chicco alla bocca. “Parecchi anni fa, al terzo anno di college, e tutto iniziò con una scommessa…”

“Mhm, interessante!” Lo interruppe. “Di che scommessa stiamo parlando?” Chiese sempre più curiosa.

“Credimi, meglio tralasciare i dettagli.” Rispose imbarazzato.    

“Oh dai Michael! Io ti ho raccontato il mio momento imbarazzante, non puoi tirarti indietro!” Lo pregò, lanciandogli affettuosamente un chicco d’uva che Michael prese al volo in bocca.

“Ok.” Disse, divertito nel vedere l’espressione sorpresa nel volto di Sara per i riflessi che le aveva appena mostrato. “La scommessa era abbastanza stupida, avrei dovuto consegnare il foglio in bianco, ma dato che c’era troppo in ballo, decisi di chiamare la scommessa come persa. Qualche giorno dopo, andammo alla festa di un ragazzo che viveva nel nostro stesso campus e fu lì che pagai la scommessa. Con la scusa che non mi si vedeva spesso lì, decisero di mettermi alla prova, farmi fare una specie di iniziazione che di solito facevano fare alle matricole.”

“Quale delle mille che facevano fare?” Chiese, ricordando gli anni in cui anche a lei toccò fare qualche prova.

“Una delle indianate più famose, ‘l’asino vola!’, che all’inizio è facile, ma dopo che bevi due o tre bicchieri non distingui più un asino da un fenicottero!” Disse ridendo.

“Oh la conosco molto bene!” Esclamò, portandosi le mani sul viso divertita.

“L’hai fatta anche tu?” Chiese divertito nell’immaginarla in quella situazione.

“No. Per fortuna uscivo con uno della squadra di football, per cui me la sono scampata!” Rise ricordando quanto da giovane i suoi gusti per i ragazzi fossero completamente diversi da quelli che aveva ora.

“Beh, fatto sta che la prova andò male. I miei amici per farmela pagare, misero qualcosa nella birra che mi fece stare male per un bel po’ di giorni. Per fortuna il mio compagno di stanza, che studiava medicina, mi consigliò di ricorrere…”

“All’uva.” Annuì Sara, finendo la sua frase con un sorriso di comprensione.

“Direi che è meglio se queste storie ce le teniamo per noi!” Le fece notare Michael divertito. Sara annuì.

Sara si ritrovò per caso a guardare l’orologio che stava su un mobile vicino alla tv, mentre Michael l’aveva lasciata da sola in salone per qualche secondo.
Il display a cristalli liquidi segnava le 20:00.
Aveva passato parecchie ore con Michael a parlare di momenti imbarazzanti, tanto da dimenticarsi il vero motivo che l’aveva spinta a suonare il campanello qualche ora prima. Doveva e voleva sapere che cosa aveva reso così triste Michael quella mattina, la domanda era, valeva la pena di chiedere? Valeva la pena sapere cosa Michael avesse, pur sapendo che chiederglielo avrebbe potuto renderlo nuovamente distante?
Ma dopotutto Katie aveva ragione, non poteva stare ogni notte a rimuginare su quello che avrebbe dovuto o potuto fare con Michael. Non poteva più passare le notti a girarsi sul suo lettone e a fissare il leoncino che teneva sul comodino, pensando se Michael stesse dormendo in quel momento o se stesse pensando a lei.
La sua vita aveva bisogno di una svolta e forse questo era il momento più adatto per dargliela.

Mentre le domande nella mente di Sara facevano a botte per uscire dalla sua bocca, Michael era rinchiuso in bagno che si fissava allo specchio.
Si passo una mano sulla guancia rasata qualche ora prima e notò che le occhiaie che Flo aveva tanto preso in giro quella mattina, avevano iniziato a diventare meno evidenti. “Forse è dovuto alla luce fioca del bagno.” Pensò Michael.
Più cercava di non pensarci, più quel pensiero gli rimbalzava tra le pareti del cervello.
Qualche ora prima, quando pensava che Sara avesse una relazione con un altro uomo, era deciso a fare di tutto pur di farle cambiare idea, pur di placare il senso di gelosia che gli stringeva lo stomaco. E ora che lei era a casa sua, seduta sul suo divano, lui era rimasto lì a fare battute stupide, a rendersi ridicolo pur di evitare di fare quello che era giusto fare. Dirle tutto e finalmente scoprire come il gusto d’uva stava sulle sue labbra.
C’è stato un momento in cui stava per cedere e tirarla a sé con un misto di forza e delicatezza. Sentirla raccontare della sua infanzia e vedere quella strana espressione sul suo viso, un misto tra malinconia e imbarazzo, stavano per far prendere il sopravvento alla sua parte irrazionale. La stessa parte che desiderava baciare Sara fin dal loro primo scambio di battute.
Ma, come sempre, la parte razionale aveva avuto la meglio e lui era rimasto lì ad ascoltarla e sorridere, nell’immaginarla seduta sul suo letto, al buio, mentre sgranocchiava tutti quei chicchi d’uva sperando di non farsi scoprire dal nonno.
“Ma, in fondo, non averla baciata è stato meglio, giusto?” Chiese al riflesso del suo viso nello specchio di fronte a lui.

“Se pensarla così ti fa stare meglio…” Disse ironica la vocina nella sua testa. Aveva ragione. Dannazione, quella vocina maledetta aveva sempre avuto ragione.
Era ora di mettere da parte quella stupida insicurezza e accettare i suoi sentimenti, mostrarli a Sara sperando che anche lei li ricambiasse.
Fece uno sguardo sicuro di sé al suo riflesso, dopodiché uscì dal bagno, diretto verso il salone.

Sara sentì i suoi passi dietro di lei e, con uno sguardo altrettanto deciso, si voltò verso Michael che si sedette di fianco a lei.

“Ho bisogno di parlarti.” Dissero all’unisono.


A/N: Beh, spero sia stato all'altezza delle vostre aspettative! :)  
xoxo Ily.

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Capitolo 6
*** sera ***


A/N: Eccoci al capitolo che rappresenta la fine della giornata che ho diviso in 3. Quella che state per leggere è "la sera". Beh, l'ultima volta che avete letto, Michael e Sara avevano qualcosa da dirsi. Scoprite cosa!
Come sempre, ringrazio chi legge!


“Ho bisogno di parlarti.” Dissero all’unisono. Entrambi sorrisero, divertiti da quella coincidenza.

“Prima tu.” Disse Sara con un sorriso imbarazzato, costretta a distogliere lo sguardo dai brucianti occhi di Michael.

“Ok.” Sorrise, sedendosi di fianco a lei. “Beh, quello che devo dirti non è facile, per lo meno non lo è per una persona come me, che tende a razionalizzare tutto prima di arrendersi all’evidenza.” Scrollò leggermente le spalle e continuò. “Beh, quello che sto cercando di dirti, è che ho riflettuto molto e… Nonostante tutto quello che provo mi sembri strano, non posso continuare a mentire a me stesso.” Le prese la mano, prima di continuare. “Mentire a te.” Aggiunse sorridendole dolcemente.

Quegli occhi e quel sorriso fecero a Sara lo stesso effetto che il fuoco fa ad un pezzo di burro in una padella. Sentì sciogliersi dentro e gli avrebbe voluto urlare di continuare a parlare, ma la vocina le fece venire un dubbio. “Mentire? Ti ha mentito per tutto questo tempo che vi conoscete? Il che non è gravissimo, dato che vi conoscete da un giorno o poco più…” La vocina la stuzzicò. “Vabeh, male che vada ti dice che è gay…” Sara decise di lasciarla perdere e si concentrò nuovamente sul bellissimo ragazzo che era di fronte a lei e che le stava aprendo il suo cuore.

“Il fatto di avere una nuova vicina mi elettrizzava.” Continuò, sorridendo nel ricordare il giorno prima. “Ma Sara, quando sono con te non mi sento elettrizzato.” Sara corrugò la fronte, confusa da quelle parole. “Cioè, mi sento anche elettrizzato, ma non solo quello.” Si corresse subito, vedendo il viso di Sara rilassarsi nuovamente. “Non te lo so spiegare, –non sono riuscito a spiegarlo nemmeno a me stesso- ma starti vicino mi fa sentire leggero, come se i problemi di tutti i giorni con te sparissero.”

“Cioè, sarei la tua droga?” Chiese divertita, alzando un sopracciglio e inclinando leggermente la testa.

“Se la vuoi mettere così…” Rise. “Il punto è che… Tu mi fai stare bene.” Disse infine, non sapendo veramente in che altro modo spiegarle come lo faceva sentire. Sperava solo che Sara avesse capito e che, soprattutto, ricambiasse.

“A giudicare dalla faccia che avevi stamattina quando mi hai visto, non credo che lo starmi vicino abbia sempre quell’effetto su di te.” Ce l’aveva fatta, aveva finalmente riportato a galla quello che era successo qualche ora prima tra loro due.

“A cosa ti riferisci?” Chiese, fingendo di non capire di cosa Sara stesse parlando.

“Andiamo Michael, siamo entrambi adulti qui. Non mentirmi ancora.” Lo pregò. “So che stamattina avevi qualcosa e, a giudicare dallo strano sguardo che avevi quando mi hai vista, posso tranquillamente dire che prima di uscire di casa non stavi in quel modo.”

“Che fai, mi spii?” Chiese fintamente serio, facendola ridere.

“Sul serio, Michael.” Gli accarezzò la mano, sperando che lui decidesse di andare avanti.

“Beh, in parte hai ragione. Prima di uscire di casa, il mio umore era decisamente diverso.” Sorrise annuendo. Sara stava per aprire bocca, ma lui continuò a parlare. Se doveva sputare il rospo, doveva farlo in fretta. “Sai, adoro come sei completamente all’oscuro dell’effetto devastante che hai su di me.” Notò nuovamente un’espressione confusa sul viso di Sara e il suo sorriso imbarazzato la rendeva ancora più bella. “Vederti con quel Paul, o come cavolo si chiama…”

“Eri geloso di Phil?” Chiese scioccata, portandosi le mani al viso per coprire la sua bocca spalancata. Katie aveva ragione. “Uno a zero per lei.” Pensò Sara, prima di concentrarsi nuovamente su Michael.

“Beh, per quanto ne sapessi, tu e lui potevate essere una coppia.” Spiegò in sua discolpa.

“Sul serio pensi che i miei gusti in uomini siano così… Scadenti?” Un sorriso misto di divertimento e curiosità apparve sulle sue labbra.

“No, Sara.” Sorrise, abbassando leggermente lo sguardo, perché sapeva che quello che stava per dirle, forse avrebbe rovinato quel momento. “Però ho notato che hai flirtato con lui.” Dopo qualche secondo di silenzio, alzò lo sguardo per incrociarlo con quello di Sara. Si aspettava di vedere un’espressione dura sul suo viso, dopotutto le aveva appena dato della gatta morta.
Invece Sara continuava a sorridere, lusingata dal fatto che Michael fosse geloso. Significava che lui ci teneva a lei.

“Bene Michael, penso sia arrivato il mio turno di parlare.” Si schiarì la voce e proseguì. “Quando decisi di traslocare in questa zona, l’unica cosa che avevo in programma di fare, era uscire la mattina per andare a lavoro e rintanarmi in casa, stare il più lontano possibile dagli occhi curiosi della gente.”

“E io ti ho rovinato il piano.” Disse quasi scusandosi e non capendo il vero senso delle parole di Sara.

“Non capisci, Michael?” Chiese divertita, scuotendo la testa. “Nello stesso istante in cui mi hai chiesto se avevo bisogno d’aiuto con le scatole, ho capito che la mia vita non doveva essere così patetica. Quando mi hai portata al luna park, ho capito che non era in casa che volevo rimanere, ma in giro con te. Quando mi hai fatta salire sulla giostra, ho capito che non era un noioso film che volevo vedere, ma fare la pazza con te.” Sara vide Michael sorridere, nel ricordare quella notte. “Quando mi hai raccontato di Christina Rose, ho capito che non volevo una patetica vita di solitudine, rinchiusa al buio nel mio salone, ma starti vicino e scoprire tutto di te.” Sorrise, sfiorandogli delicatamente la mano. “E quando mi hai chiesto se il mio cognome aveva a che fare con l’Italia…” Sorrise nostalgica, nel ricordare i primi minuti che aveva passato con lui. “Ho capito che tu non eri come gli altri. Era come se tu sapessi quanto terrore avevo che mi chiedessi di mio padre. Era come se mi conoscessi da una vita e non mi ero mai sentita cosi con…”

Michael adorava stare lì e sentirla parlare, ma il bisogno impellente di baciarla lo costrinse ad interromperla. Non riusciva a resistere oltre e decise che quello era il momento giusto per agire. Si sporse leggermente verso di lei, sfiorandole le labbra che sapevano ancora d’uva. Sorrise nello scoprire che il sapore d’uva sulle labbra di Sara gli piaceva più dell’uva stessa.
Nel giro di qualche secondo razionalizzò quello che aveva appena fatto e, allontanandosi lentamente e controvoglia da lei, uno sguardo pentito si fece largo sul suo viso. “Sara, mi dispiace.” Disse serio. “Cioè, non mi dispiace di averti baciato, mi dispiace di averlo fatto così, senza la minima idea che tu lo volessi o meno, io…”

Sara decise che aveva sentito abbastanza. Senza dire una parola o fargli capire quello che aveva in mente, si avvicinò lentamente a lui e, quando gli fu abbastanza vicino da poter sentire il suo respiro caldo sul suo viso, gli sorrise maliziosamente. Decidendo che il bacio di prima era stato troppo breve, fece sì che le loro labbra finissero quello che avevano iniziato qualche secondo prima.

Michael era sorpreso da quello che stava succedendo sul divano di casa sua in quel momento.
Finalmente lui e Sara erano andati oltre e questa volta era stata lei a fare la prima mossa.  Questo voleva dire che anche lei, come lui, voleva essere per lui qualcosa di più di una semplice vicina di casa.
Ma, nonostante avesse desiderato baciarla fin da quando aveva saputo che lei avrebbe vissuto accanto a lui, qualcosa sembrava frenarlo. “Aspetta Sara.” Disse, allontanandosi un po’ da lei, mettendole, con fare protettivo, le mani sulle spalle, di modo che non perdesse il contatto con lei.

“Cosa?” Chiese, preoccupata che Michael si fosse pentito di aver risposto al suo bacio.

“Non voglio che affretti le cose, specialmente se non ti senti pronta.” La rassicurò sorridendo e accarezzandole dolcemente le spalle. “Dopotutto ci conosciamo da poco e…”

“Michael.” Lo zittì, mettendogli l’indice sulle labbra. “Adesso ascolta, perché quello che ti sto per dire è molto importante, ok?” Sorrise, notando che Michael annuiva e le sue labbra formavano un sorriso sotto l’indice che Sara teneva ancora sulle labbra di Michael. “Non hai idea di quanto abbia aspettato di incontrare una persona che mi facesse sentire come fai tu.” Abbassò lo sguardo per qualche secondo, mentre sentiva che le sue guance iniziavano ad arrossire. “Ed il solo fatto che tu abbia questo effetto su di me dopo solo qualche giorno, mi spaventa. Non oso pensare a come mi sentirei standoti vicino per più di un giorno!” Rise. “Il punto è che ho aspettato troppo, sono stanca di passare le notti a chiedermi come sarebbe stato se avessi fatto questo invece di quello, o se avessi detto quello invece di questo. Sono stanca di aspettare Michael, voglio scoprire come ci si sente ad essere felici.” Disse, togliendo finalmente l’indice dalla bocca di Michael che continuava a sorridere.

Le prese una mano tra le sue e la baciò. “Se questo è quello che vuoi veramente, allora ho solo una cosa da chiederti.” Disse alzando lo sguardo dalla sua mano fino ai suoi occhi, che in quello strano gioco di ombre e luci gli sembravano di una sfumatura marrone-verde.

“Dimmi.” I suoi occhi lo guardavano curiosi in attesa di scoprire cosa aveva da dirle, ma il suo cuore avrebbe voluto renderla sorda per qualche istante, perché il terrore che la rifiutasse la paralizzava. Non avrebbe potuto sopportare un rifiuto, non quando era così sicura che le cose tra loro sarebbero state perfette.

“Resta qui. Stanotte. Con me.” Disse finalmente, dopo aver pensato al modo più dolce e romantico per farle capire che lui voleva stare con lei almeno il doppio di quanto lei volesse lui. Certo, il fatto che Sara ora piangesse, gli fece rimpiangere di aver lasciato il comando alla sua parte irrazionale, ma presto capì che quella era stata la scelta giusta.

Al sentire quelle parole, il cuore di Sara iniziò a volteggiarle in petto senza che lei potesse o volesse farci niente. Avrebbe voluto urlargli che sarebbe rimasta lì con lui per sempre, invece delle lacrime iniziarono lentamente a rigarle il viso e un sorriso imbarazzato apparì sulle stesse labbra che avevano baciato quelle di Michael qualche istante prima.
Una delle poche cose che suo padre le aveva insegnato, era che i fatti parlavano meglio di mille parole, e lei lo sapeva benissimo. Fu per quel motivo che, invece di controbattere, buttò le braccia al collo di Michael, costringendolo a poggiare le spalle sul divano, ritrovandosi sopra di lui.
Si allontanò da lui per qualche secondo, il tanto giusto per poter vedere il sorriso che anche Michael aveva in viso e per permettergli di passarle dolcemente il pollice sulle guance per asciugarle dalle lacrime, dopodiché riprese a baciarlo, consapevole che, quella notte, sarebbe stata la loro notte.


A/N: Beh, se vi è piaciuto, viva me! E se lasciate un commento, viva voi!

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Capitolo 7
*** Rimpianti? No grazie! ***


A/N: Salve gente! Finalmente ho avuto il tempo di postare l'ultimo capitolo scritto. Ammetto che dopo questo capitolo non ho niente di pronto, per cui per quelli di voi che si sono appassionati a questa storia, ho brutte notizie... Dovrete aspettare un po' prima di leggere il prossimo capitolo! Eheheh, prometto che m'impegnerò a scrivere presto!
Per quanto riguarda quello che state per leggere... Ritroviamo Michael e Sara dopo il discorso che hanno avuto la notte precedente e le conseguenze che quello ha portato. Niente di sconcio, giusto qualche accenno.
Beh, buona lettura e come sempre un grazie enorme a chi si è preso il tempo di leggere e lasciare un commento. Adoro sapere quello che ne pensate!


Un raggio di sole dispettoso entrò nella camera dove Sara dormiva tranquilla, svegliandola.

L’istinto di girarsi dall’altra parte era forte, ma decise di arrendersi e aprire lentamente gli occhi ancora un po’ assonnati.
Si stiracchiò leggermente, sorridendo nel ricordare dov’era. La camera di Michael.
Il ricordo della giornata precedente, soprattutto della notte, la faceva sorridere imbarazzata.
Il modo in cui le aveva detto che aveva bisogno di parlarle.
Le parole che aveva usato per farle capire che a lui piaceva.
Il fare protettivo che aveva usato, quando le aveva detto che l’ultima cosa che voleva, era affrettare le cose tra loro e costringerla a fare qualcosa di cui si sarebbe pentita. “Mi chiedo se i ragazzi si rendano conto dell’effetto che fa a noi ragazze quella frase…” Pensò, divertita. E poi, ovviamente, ripensò a quanto Michael l’avesse fatta sentire bene quella notte, a quanto la loro alchimia fosse perfetta. Arrossì al solo ricordare i loro corpi aggrovigliati.

Non le era mai successo di lasciarsi andare in quel modo al primo appuntamento, eppure con lui era sembrata la cosa più giusta da fare. “Quelli con Michael si possono chiamare appuntamenti?” Le disse ironica la vocina nella sua testa.
In più, ogni volta che si era risvegliata nella camera di un ragazzo, inspiegabili sensi di colpa le attanagliavano lo stomaco. Ma non questa volta, non con Michael.
“Beh, evidentemente c’è qualcosa che non va, perché passare la notte con un ragazzo che conosci da un giorno, dovrebbe farti sentire un po’… Facile!” Le fece notare la vocina.
Ma nemmeno lei, la vocina irritante nella sua testa, poteva rendere Sara triste e cancellare con un colpo di spugna, il sorriso beato sul suo viso. In quel momento si sentiva come su una nuvola trasportata dolcemente dalla brezza primaverile. Lì, su quella nuvola, niente poteva andare male, niente poteva renderla triste. Lì, tutto era semplicemente perfetto.

Si girò lentamente per vedere se Michael era ancora lì, addormentato di fianco a lei, ma di lui non c’era l’ombra. “Sapevo che eri fuori allenamento, ragazza.” La prese in giro la vocina nella sua testa. “Ma non pensavo lo facessi scappare dopo solo una notte passata insieme!” Continuò, prendendola in giro.
Si sedette sul lettone di Michael e, mettendosi distrattamente apposto i capelli, si guardò intorno per vedere se c’era qualche segno di lui.
Qualche secondo più tardi, la figura slanciata e sorridente di Michael, entrò nella stanza con un vassoio in mano. Era la prima volta che qualcuno le portava la colazione a letto ed era contenta che quel qualcuno fosse lui.

“Buongiorno dormigliona!” Scherzò, poggiando il vassoio sul letto tra lei e lui e sporgendosi leggermente in avanti per baciarla dolcemente sulle labbra.

“Buongiorno.” Disse, dopo aver risposto al suo bacio. “Wow, colazione a letto?” Chiese sorpresa.

“Beh, io non esco mai di casa senza fare colazione e nemmeno tu dovresti.” Fece finta di rimproverarla. “E per onorare le tue origini italiane, cappuccino.” Sorrise, indicando una delle tazze sul vassoio. “E ovviamente, dato che siamo in America, muffin.”

“E’ la prima volta che qualcuno fa una cosa del genere per me!” Esclamò imbarazzata.

“Nessuno ti ha mai fatto un cappuccino?” Sorrise, facendo finta di non aver capito quello che Sara intendeva.

“No.” Sorrise. “Sei anche il primo che mi porta la colazione a letto.” Gli disse, alzando leggermente lo sguardo, per poi posarlo nuovamente sul vassoio di fianco a lei. “E sei anche il primo che associa il cappuccino al mio cognome.” Aggiunse divertita.

“Beh, è giusto che ti metta in guardia. Il mio cappuccino non è il migliore qui a Chicago.” Scherzò.

“E poi il muffin e…” Sara notò una cosa strana di fianco ad una delle tazze. “Di certo nessuno mi aveva mai offerto un…” Prese in mano quello strano pezzo di carta e lo osservò colpita. “Origami a forma di fiore. Michael, l’hai fatto tu?” Chiese stupita, alzando velocemente lo sguardo verso di lui.

“Già…” Disse annuendo imbarazzato.
Quella mattina si era svegliato qualche minuto prima di Sara.
Ancora non credeva di averle confessato quello che provava per lei, ma vederla dormire di fianco a lui, gli fece capire che la stupenda notte che avevano passato insieme, non era un sogno. Vederla lì, accoccolata di fianco a lui con un sorriso felice sulle sue dolci labbra, gli fece prendere in seria considerazione l’idea di restare lì a fissarla finché non si fosse svegliata. “Se vuoi passare per pervertito, questa è una grande idea!” Gli fece notare la vocina nella sua testa.
In effetti, non aveva tutti i torti, avrebbe trovato mille altri modi per passare il tempo mentre lei dormiva. E così fu.
Cercò di alzarsi il più delicatamente possibile, sperando di non svegliarla. Una volta in piedi, sentì Sara mugolare qualcosa e dargli le spalle, girandosi verso la finestra.
Si mise qualcosa addosso e volò in cucina, prese dalla credenza un vecchio ricettario della mamma. Sperava ci fosse quello che cercava.
Una volta trovato, si mise in azione, sperando che fare un cappuccino fosse così facile come sembrava.
Mentre aspettava che il cappuccino riscaldasse, prese un vassoio e ci poggiò sopra due muffin al cioccolato e due tazze vuote. Fu in quel momento che l’idea dell’origami lo fulminò.
Corse a prendere dal suo studio due fogli di carta colorati e li piegò, finché non presero la forma che voleva.
Poggiò l’origami sul vassoio e una volta pronto il cappuccino, riempì le due tazze.

Mentre si avvicinava alla stanza, fissava il fiore sul vassoio. Stranamente, quella che qualche secondo fa era sembrata l’idea del secolo, ora sembrava una delle cose più stupide e infantili che avesse mai fatto. “Hai mai visto qualcuno fare una cosa del genere?” Lo prese in giro la vocina. “Ma che hai, 15 anni?” Continuò.
Ed ora che Sara teneva in mano quel fiore, Michael si pentì di non aver dato ascolto alla voce nella sua testa.

“Ti piacciono gli origami?” Chiese Sara curiosa, studiando affascinata i minimi dettagli del fiore che teneva in mano.

“Più o meno…” Rispose un po’ sorpreso dalla sua reazione. “Più che altro sono affascinato dai significati che hanno.” Disse senza pensarci.

“Ah si?” Sara spostò lo sguardo dal fiore, agli occhi di Michael. “E questo che significato ha?” Chiese alzando leggermente le sopracciglia, con uno sguardo malizioso.

“Significa che sono stato benissimo con te.” Rispose, altrettanto malizioso.

“Io invece son stata malissimo.” Disse, sporgendosi verso di lui per poi baciarlo. Quando si allontanarono l’uno dall’altra, Sara notò il sorriso divertito di Michael. “Avrei dovuto evitare il bacio se volevo suonare seria, vero?” Chiese divertita.

“Direi di sì.” Rispose ridendo.

Michael e Sara fecero colazione insieme, continuando a stuzzicarsi e a farsi battutine.
Stavano bene insieme, nessuno poteva negarlo. Anzi, stavano talmente bene insieme, che non si resero conto che entrambi stavano facendo tardi a lavoro.

“Oh cavolo!” Esclamò Sara, vedendo l’ora che segnava la sveglia sul comodino di Michael. “Devo correre a casa a rinfrescarmi e cambiarmi.” Disse, cercando con lo sguardo la roba che aveva indosso la notte prima.

“Chiama e datti malata.” Disse Michael, tirandola nuovamente a sé.

“Oh certo, ho sentito dire che se si ha la ‘Scofieldite’ ti danno una settimana di ferie.” Scherzò, prima di baciarlo sulle labbra.

“E che malattia sarebbe?” Chiese divertito, ripensando al nome che Sara si era appena inventata.

“Non lo so, per ora sappiamo solo che dà dipendenza.” Gli sussurrò all’orecchio, più maliziosa che mai.

“Ok Sara, meglio che scappi ora. Altri 5 secondi e potrei cambiare idea.” Disse, combattendo l’istinto di rivivere la notte prima insieme a lei.

Sara lo baciò velocemente sulle labbra, dopodiché raccolse la sua roba e si vestì.
Michael la accompagnò alla porta.

“Ci vediamo dopo?” Le chiese, aprendole la porta.

“Non penso ci vedremo più.” Scherzò, baciandolo un’ultima volta sulle labbra, prima di sorridere. “Ancora una volta tradita dal bacio.” Rise. “Ti avevo detto che la ‘Scofieldite’ crea dipendenza.” Scherzò, ricordandogli la battuta di qualche minuto prima.

“Non scherzare col fuoco, Tancredi.” L’avvertì sorridendo.
Vide Sara sorridere a sua volta, prima di entrare in casa sua. Divertito, rientrò in casa, chiudendosi la porta alle spalle.

Non appena messo piede in casa, Sara poggiò la schiena alla porta d’ingresso e si coprì il viso con le mani, mentre un enorme sorriso le appariva sulle labbra.
Era da tanto tempo che non si risvegliava così felice e con la voglia di spaccare il mondo. Sarebbe voluta uscire in giardino e urlare quanto si sentiva bene e perché, ma giustamente, la vocina le fece notare che quel comportamento non avrebbe avuto un buon riscontro sulle anziane che vivevano lì.
Lanciò uno sguardo veloce all’orologio e decise che aveva fatto tardi abbastanza. Nel giro di 15 minuti, Sara si rinfrescò e si mise addosso degli abiti puliti.
Una volta pronta, guardò nuovamente l’orologio, rendendosi conto del pauroso ritardo che aveva. “Accetterei anche un passaggio da Phil!” Disse disperata, raccogliendo le ultime cose prima di uscire.

Quasi come se le sue preghiere fossero state sentite, Sara sentì il campanello suonare. Il terrore che Phil fosse dall’altra parte della porta, le fece rimangiare la preghiera di qualche istante prima.
Sbuffò, dopodiché aprì la porta.

“Mi chiedevo se ti serviva un passaggio.” Le chiese Michael, facendo girare il portachiavi con le chiavi della macchina, attorno al suo indice.

“Non riesci a starmi lontano nemmeno per 5 minuti, eh?” Chiese, divertita di trovarselo di fronte. Vederlo con addosso un elegante abito blu scuro, le fece immaginare cose poco adatte da fare con Michael in quel momento, soprattutto nel giardino di casa sua.
Odiava gli uomini in abito, li ricordavano tutti suo padre, ma Michael… Beh, addosso a Michael adorava tutto. “O niente.” Disse maliziosa la vocina nella sua testa.

“Beh, forse la ‘Scofieldite’ è contagiosa.” Sorrise, scrollando le spalle.

“Beh, nel tuo caso è ‘Tancredite’.” Lo corresse divertita, mentre chiudeva la porta di casa sua alle sue spalle e lo seguiva, più che volentieri, verso la sua macchina.

Il viaggio verso l’ospedale, durò meno del previsto e riuscirono a scambiarsi solo qualche battuta.

Una volta arrivati, Michael fermò la macchina nei pressi dei parcheggi dell’ospedale, vicino alla porta grigia, da cui pensava Sara sarebbe poi passata.
Notò che lo sguardo di Sara si soffermò su una ragazza di colore che, avendo notato che era arrivata, si avvicinava verso lei con un gran sorriso compiaciuto, forse perché aveva notato che Sara non era sola.

“E’ una tua amica?” Chiese curioso.

“A dire il vero è Katie, la mia migliore amica.” Rispose, notando che l’amica era solo a qualche passo di distanza dalla macchina, prima di voltarsi verso Michael e sorridergli.

“Mhm, capito.” Si limitò a commentare, anche se avrebbe voluto chiederle come mai non era così entusiasta di vederla.

Come se Sara avesse avuto, per qualche istante, il potere di leggergli la mente, gli diede la spiegazione che silenziosamente Michael aveva chiesto. “Adoro Katie, sul serio, l’unico problema è che le piace molto parlare.” Spiegò. “Se capisci quello che voglio dire.” Aggiunse, alludendo al fatto che, qualche volta, l’amica si lasciava sfuggire qualcosa di troppo.

“Beh, diamole qualcosa di cui parlare per tutta la giornata.” Sorrise, prima di prendere il viso di Sara tra le sue mani e lasciarsi andare ad un bacio carico di passione che, di sicuro, non sarebbe passato inosservato agli occhi curiosi di Katie.
Qualche secondo dopo, Michael si allontanò da lei, aspettando di vedere l’espressione che il viso di Sara avrebbe assunto.

Un sorriso malizioso e compiaciuto, apparve sulle sue labbra. “Questo ovviamente era solo per dare a Katie qualcosa di cui parlare, vero?” Chiese alzando un sopracciglio.

“Certo, nessun fine personale.” Scherzò, cercando di suonare serio.

“Michael, se somministro una cura sbagliata ad un paziente, so a chi dovrò dare la colpa.” Sorrise, prima di aprire lo sportello della macchina.

“E io saprò chi incolpare se qualcuno noterà degli errori nelle planimetrie che ho disegnato.” Rispose prontamente, mentre Sara scendeva dalla macchina. Schiacciò un pulsante e il vetro dello sportello del passeggero si abbassò automaticamente. “Pranziamo insieme?” Le chiese.

“Assolutamente.” Rispose guardandolo un’ultima volta, prima di salutarlo e raggiungere Katie.

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Capitolo 8
*** Accettalo, Sara ***


A/N: E dopo un'eternità, finalmente Ily decise di scrivere e postare un nuovo capitolo. :) Chiedo scusa se mi ci è voluto così tanto, ma in questo periodo le idee iniziavano a scarseggiare... Poi ho letto il papiro che Ale mi ha lasciato tra i commenti, e mi ha fatto talmente piacere sapere che segui ancora Prison Break, tanto da mettere il sedere sulla sedia e provare a scrivere qualcosa. E tra l'altro... Grazie a tutti voi per i commenti che mi avete lasciato!!
Quello che state per leggere è il risultato. Io, onestamente, non ne sono molto entusiasta, spero non sia lo stesso per voi!


Sara sentì il rumore del motore della macchina di Michael farsi sempre meno potente, man mano che lui si allontanava. Mentre invece, il sorriso della sua amica Katie, diventava sempre più grande man mano che le due si avvicinavano.

“Oh mio Dio, non dirmi che era chi penso che fosse!!” Esordì Katie, lasciandosi vincere dalla curiosità.

Sara sorrise nel notare quanto, ormai, avesse imparato a conoscere l’amica. Decise che poteva permettersi di divertirsi un po’ con lei.

“Oh, Katie! Ciao anche a te!” Disse ironica, sottolineando il fatto che l’amica non l’avesse nemmeno salutata, curiosa com’era di sapere i minimi dettagli sull’affascinante uomo misterioso di Sara. “E secondo… Eh???” Scosse la testa, riferendosi alle parole che l’amica aveva farfugliato non appena le si era avvicinata. In realtà aveva capito il senso di quelle parole, -Katie aveva già capito che quell’uomo misterioso era Michael- solo voleva vedere quanto l’amica sapeva resistere.

Katie mise entrambi le mani sui fianchi e il suo sguardo ‘non far finta di non aver capito’ fece ridere Sara. Sapeva di non essere brava a mentire, ma non pensava di essere come un libro aperto, fin troppo facile da leggere.

“Ragazza, a Katie non sfugge nulla.” Le ricordò l’amica annuendo. “Che tu lo ammetta o no, scommetto che quel ragazzo è lo stesso Michael Scofield di cui mi hai parlato.” Inutile negarlo, Katie aveva capito tutto, ma prima che Sara potesse darle conferma, Katie aggiunse: “Lo stesso ragazzo a cui tu sbavi dietro.” Rise, mentre Sara la guardava quasi scioccata.

“Ok… Io non gli sbavo dietro!” Protestò immediatamente, prima di incamminarsi finalmente verso la porta dell’ospedale.

“Invece sì,” sorrise Katie. “ma non dovresti vergognarti, voglio dire… Ma l’hai visto?!?!?”

“Beh, sì!” Disse cercando di far suonare la sua risposta scontata. Fin da quando l’aveva visto la prima volta, aveva cercato inutilmente ogni modo possibile per descrivere all’amica cosa di Michael le piacesse tanto. Ogni volta però, non riusciva a trovare l’aggettivo giusto. Ogni parola che le veniva in mente, era sempre troppo riduttiva per descriverlo. Per cui le sue frasi erano sempre incomplete. ‘I suoi occhi sono…’ ’La sua bocca è…’
Finalmente ora Katie sapeva di cosa parlava, e soprattutto perché si trovava così tanto in difficoltà nel descriverlo.

“E non l’ho solo visto…” Avrebbe voluto aggiungere, ma la notte passata con Michael era speciale, non voleva svendere il ricordo così. Gliene avrebbe parlato senz’altro, dopotutto Katie era la sua migliore amica, ma l’avrebbe fatto con calma, davanti ad una tazza di caffè durante la pausa pranzo.

“Ora capisco perché ti piace tanto.” Le sorrise, mentre raggiungevano gli spogliatoi dove c’erano i camici ad aspettarle. “E poi… Siete così carini insieme!!” Disse con un tono ti voce più alto del normale, che fece ridere Sara. Non aveva mai sentito l’amica così eccitata per qualcosa che non era successa a lei. E poi… Sentirle dire che lei e Michael insieme stavano bene… Beh, la fece arrossire e non poco!

“E quel bacio…! Di certo non va a baciare tutte in quel modo!” Rise abbottonandosi alcuni bottoni del camice.

“Spero per lui di no!” Rise Sara a sua volta.

Katie chiuse il suo armadietto, per poi avvicinarsi un po’ di più all’amica. Spalancò la bocca in sorpresa, poi sorrise. “Ma guardati, sei già gelosa!!”

“Non sono gelosa!” Disse dandole le spalle e facendo finta di mettere a posto qualcosa nella sua borsa. Odiava quando le davano della gelosa, soprattutto quando avevano ragione.
Di solito lei non si auto-definiva in quel modo, la gelosia non era un peccato che le apparteneva, ma ancora una volta si rese conto che quando c’era Michael Scofield di mezzo, niente era più come lo ricordava.

Che lo volesse o no, qualcosa in lei stava cambiando.
Nonostante fossero passati pochi giorni da quando si era trasferita in quel quartiere, nel suo quartiere, già sentiva che la ‘Sara figlia del governatore’ che tutti conoscevano, stava lentamente mutando, evolvendosi da crisalide in farfalla e tutto questo grazie al misterioso ragazzo dagli occhi glaciali che l’aveva aiutata con le sue scatole.

Che se ne rendesse conto o meno, qualcosa in lei era già cambiato.

“Hey ragazza, sei tra noi?” Le chiese Katie schioccandole le dita a qualche centimetro dal naso, per risvegliarla dai suoi pensieri.

“Sì, scusa è che…” Si passò una mano sulla fronte e ne approfittò per portarsi qualche ciuffo di capelli dietro le orecchie.

“Sai, tutti i segnali mi fanno pensare che tu abbia passato una ‘nottata movimentata’, sbaglio?” Il tono malizioso che aveva usato e il gesto delle virgolette fatto con le dita, fecero sorridere e arrossire Sara allo stesso momento.

“Più tardi Katie…” disse imboccando un corridoio diverso da quello che prese l’amica. “Più tardi.” Ripeté sottovoce sorridendo, mentre decideva che era ora di concentrarsi sulla cartella del paziente che stava per visitare.

Salutò con un gesto del capo alcuni colleghi che incontrò lungo il corridoio, dopodiché entrò nella camera 18, dove la Signora Miller la aspettava.

“Buongiorno Signora Miller.” La salutò sorridente, avvicinandosi al letto della sua nuova paziente. “Io sono la dottoressa Tancredi.” Si presentò, come faceva sempre quando le veniva affidato un nuovo paziente.

La signora di fronte a lei, probabilmente sull’ottantina, appoggiò sul comodino di fianco a lei un libro che teneva in mano, e guardando nuovamente Sara, sorrise a sua volta.

“Buongiorno Dottoressa Tancredi, io sono Elena Miller, ma la prego, c’è già troppa gente che mi fa sentire anziana chiamandomi Signora.” Sorrise, trasmettendo a Sara una strana
sensazione di tranquillità, come se il fatto di essere in un ospedale non la toccasse minimamente. “Mi chiami solo Elena.” Aggiunse.

“Con molto piacere Elena.” Disse Sara annuendo e non potendo fare a meno di essere ipnotizzata dal sorriso rilassante che era presente sulle labbra dell’anziana signora di fronte a lei. “Bene, come le avranno detto le infermiere che l’hanno accompagnata qui, le dovremo fare solo qualche prelievo, dopodiché sarà libera di tornare a casa.” Sorrise mentre le spiegava la procedura. “Per qualsiasi domanda, si rivolga pure a me, d’accordo?” Le chiese, ricevendo un grande sorriso come risposta.

Salutò la Signora Miller e s’incamminò verso la porta, quando proprio la voce intimidita dell’anziana la fermò.

“Dottoressa, a dire il vero vorrei farle una domanda proprio adesso…” Disse l’anziana. Sara si fermò per girarsi nuovamente e guardare in faccia la Signora Miller.

“Dica pure.” Sara si avvicinò nuovamente al letto della sua paziente, aspettando di sentire la sua domanda.

“Scusi la curiosità, ma il suo cognome…”

Al solo sentire la parola ‘cognome’ il sangue di Sara le si gelò nelle vene.
Avrebbe dovuto farci l’abitudine ormai. Ogni volta che si presentava, tutti le chiedevano curiosi se fosse la figlia del governatore. ‘Non proprio tutti.’ Pensò sorridendo a come Michael l’avesse sorpresa il giorno che si erano conosciuti.

“Sì, sono la figlia del governatore.” Disse quasi senza pensarci, come a risparmiare all’anziana l’imbarazzo di dover finire la sua domanda.

“Oh…” Si limitò a dire la confusa vecchietta, inarcando le sopracciglia.

Sara aveva visto molte persone reagire in modo diverso a quella notizia, ma quell’anziana signora l’aveva spiazzata.

“Io veramente volevo chiederle se è italiana, perché…”

Mentre la signora continuava a parlare, la mente di Sara tornò a qualche giorno prima, quando sentì Michael farle la stessa domanda.
L’odore delle pareti della sua casa appena tinteggiate, il blu artico dei suoi occhi su di lei, il caldo di quell’Aprile che sembrava così diverso da tutti gli Aprili che aveva conosciuto, le battutine che si scambiarono in quelle poche ore che a lei sembravano giorni.
Tutto sembrava lontano anni luce, ma se solo si fosse presa un secondo per razionalizzare tutto, si sarebbe presto resa conto che, in fondo, tutto quello era successo solo qualche giorno prima.

“Dottoressa, tutto bene?” Chiese preoccupata la vecchina di fronte a lei. “Mi scusi, non volevo suonare troppo curiosa con quella domanda, mi scusi…” Disse imbarazzata, sperando che la giovane ragazza di fronte a lei non se la fosse presa.

Sara scosse la testa divertita dalla situazione, e rassicurò immediatamente l’anziana signora che stava seduta sul letto di fronte a lei. “Non si preoccupi Elena, è solo che la sua domanda mi ha fatto pensare ad un’altra persona che nel sentire il mio cognome, mi fece la stessa domanda.” Sorrise prima di prendere un respiro profondo. Da quando in qua sospirava quando pensava a Michael?

“Dalla sua espressione deduco fosse un ragazzo.” Disse la vecchina sorridendo, senza paura di sbagliarsi.
Di sicuro si era ritrovata in una situazione del genere con sua figlia, o con qualche nipote adolescente, per cui sapeva che quando una ragazza ha la testa tra le nuvole ed uno strano sorriso beato sul viso, sta per forza pensando ad un ragazzo.

Il sorriso sognante che non si era resa conto di avere sulle labbra, la tradì.
Quando si trattava di Michael le risultava difficile nascondere come si sentiva –leggera, senza pensieri, libera di essere semplicemente Sara, felice di sentirsi per la prima volta innamor…

Scosse la testa rifiutando di proseguire quella parola.
Era solo infatuata di Michael, niente di più… Giusto?

Non era il momento di pensarci, aveva tanti pazienti da visitare e tante cure da somministrare. Ci avrebbe pensato più tardi, di fronte ad una tazza di caffè, ascoltando i consigli e le opinioni di Katie.

Salutò la Signora Miller, prima di riprendere le visite ai suoi pazienti.

Qualche ora più tardi, Sara era nel suo studio a compilare alcuni documenti, quando Katie bussò alla porta semi-aperta, reggendo due tazze di caffè.

“Hey fannullona!” Scherzò poggiando uno dei bicchieri sulla scrivania di Sara e sedendosi nella sedia di fronte a lei. “Tutto bene?”

“Sì,” rispose Sara sorridendo leggermente e portando alla bocca la tazza di caffè. Ne prese un sorso e lasciò che il caldo liquido scuro le riempì la bocca. Nonostante la ricca colazione che aveva fatto a casa di Michael, aveva un bisogno disperato di caffè per aiutarla a schiarirsi le idee. “sono solo un po’…” Scosse la testa non riuscendo a trovare la parola giusta.

“Quando non finisci una frase, di solito c’è sempre un attraente ragazzo dagli occhi azzurri di mezzo.” Disse gentilmente, sorridendo e appoggiando la mano su quella di Sara. Un semplice gesto che la fece sorridere.

Di Katie si poteva dire di tutto: che le piaceva parlare –forse anche un po’ troppo-, che qualche volta era un po’ troppo curiosa, o che preferisse ascoltare i problemi degli altri piuttosto che affrontare i suoi. Ma di certo Sara non le avrebbe mai potuto rimproverare di non essere una buona amica. Katie c’era sempre per lei, e questa volta non faceva eccezione.

“Mi conosci troppo bene.” La rimproverò affettuosamente Sara. Entrambe sorrisero, rimanendo in silenzio per un po’, dopodiché Sara respirò a fondo e sputò il rospo. “Son stata con lui, stanotte.”

Questa volta Katie non fece nessuna faccia sorpresa o nessun urletto isterico. Si limitò ad accarezzare nuovamente la mano di Sara e sorriderle, quasi a farle capire che lo sapeva già.

“L’avevi intuito da come sorridevo già da stamattina presto?” Scherzò Sara, imbarazzata al solo pensiero di guardarla negli occhi.

“No, l’ho capito da come ti guardava lui.” Disse scrollando le spalle e sorridendole.

Sara alzò subito lo sguardo per incrociare quello di Katie, l’imbarazzo per quel gesto era svanito non appena aveva sentito quelle parole uscire dalla bocca dell’amica.
Ora tra loro c’era nuovamente il silenzio, ma lo sguardo di Sara sembrava pregare silenziosamente l’amica di continuare a parlare.

“Sara, sul serio hai bisogno che te lo dica io? O hai solo bisogno di sentirti dire che stai facendo la scelta giusta?” Chiese Katie, mentre vedeva che Sara tornava a sorridere.

Già, Katie la conosceva proprio bene.

“Lo sai anche tu che lui non è uno di passaggio, vero?” Sara annuì. “Eppure hai paura di ammettere quello che provi, no?” Se Sara fosse stata un birillo e Katie una palla da bowling, in questo momento la scritta ‘strike’ starebbe lampeggiando sopra la sua testa.

Anzi no, Katie la conosceva dannatamente bene.

“Katie, non posso nemmeno pensare a quello che provo per lui dopo solo pochi giorni… Non sarebbe da me.” Disse scuotendo la testa.

“E allora? Le persone cambiano, Sara. Quando il cambiamento è negativo, lo si combatte. Ma quando il cambiamento è positivo, lasci che ti cambi.”

“Come puoi essere così sicura che Michael sarà un cambiamento positivo?” Il tono di Sara a metà tra il preoccupato e il curioso di conoscere la risposta a questa sua domanda, fecero sorridere Katie prima di risponderle.

“Perché tutti quelli che ci son stati prima di lui, non ti hanno mai resa così felice, nemmeno dopo che ci sei stata mesi insieme.” Sara si unì al sorriso dell’amica, prima di tirarla a sé e abbracciarla.

Il momento commovente fu interrotto dallo squillo del cellulare di Sara. Katie fu più veloce e guardò prima di Sara lo schermo che si illuminava ad intermittenza, e sorridendo si limitò a dire: “Fossi in te risponderei.”

Una reazione del genere voleva dire solo una cosa, era lui che la stava chiamando.
Sara sorrise e prima di rispondere diede una pacca affettuosa sul braccio dell’amica.

“Hey.” Rispose aprendo lo sportellino del cellulare.

“Hey, come va?” Le chiese.

“Tutto bene, mi son presa qualche minuto per bere un caffè con Katie, tu?” Cercò di restare seria, mentre l’amica faceva delle strane smorfie ad ogni sua parola.

Katie decise di lasciarle giustamente un po’ di privacy, e dopo averle mandato qualche bacio volante, chiuse la porta dello studio di Sara, lasciandola sola nella stanza.

“Tutto bene, anche se stavo per dare l’ok ad un progetto potenzialmente disastroso.” Disse ridendo.

“Sembra quasi che tu fossi distratto da qualcosa.” Se voleva suonare maliziosa, c’era appena riuscita.

“Credi sia per quel motivo?” Le chiese quasi retorico. Sara poteva quasi immaginarselo di fronte a lei, con quel sorriso malizioso che andava sempre d’accordo con la forma che i suoi occhi blu prendevano quando sorrideva. “In effetti, oggi mi è capitato spesso di pensare ad una ragazza dai capelli corti e scuri e dagli occhi di cerbiatto.”

“Solo oggi?” Le chiese divertita da quelle che ormai erano diventate le loro battutine.

“Beh, oggi più del solito.” Rispose prima di ridere. “Mi chiedevo se quella ragazza mi raggiungerebbe alla tavola calda che c’è lì vicino per pranzare con me?”

“Prova a chiederglielo gentilmente.” Scherzò lei, mentre guardava fuori dalla finestra del suo studio, come a cercare tra i mille palazzi di fronte a lei, la tavola calda che Michael aveva appena nominato.

“Oh ragazza dagli occhi di cerbiatto che stavi per rovinare la mia carriera di ingegnere,” Sara sorrise e scosse la testa divertita da come Michael aveva deciso di iniziare questo strano invito a pranzo “mi diresti sì se ti invitassi a pranzare alla tavola calda che c’è lì vicino, insieme a me?” Sorrise aspettando una risposta.

“Avresti potuto fare di meglio,” sorrise prendendolo in giro “ma per questa volta te la faccio passare e accetto il tuo invito.” Scherzò, facendo suonare questa sua frase come un obbligo, quando invece non vedeva l’ora di rivederlo.

“Allora ti aspetto.” Disse tornando nuovamente serio, il suo tono di voce nuovamente profondo e dal solito effetto devastante su Sara.

“A dopo, Michael.” Lo salutò.

“A dopo, Sara.” Rispose prima di finire la chiamata.

Katie aveva ragione, non c’era nessun motivo per continuare a negarlo, quella che aveva per Michael, andava oltre la semplice infatuazione.

“Molto oltre.” Si disse prima di finire il caffè.



A/N: Bene, questo era il capitolo 8, credo...? Ad ogni modo, il prossimo sarà scritto sotto il punto di vista di Michael e ripercorrerà la sua mattinata. Diciamo che mi è piaciuto tanto fare l'esperimento della divisione del capitolo sotto i punti di vista dei due protagonisti, che ho voluto riprovarci.
E fino al prossimo capitolo... Buona estate a tutti!
§Ily§

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Capitolo 9
*** Ricordi ***


A/N: Salve a tutti! Sono riuscita a buttare giù qualche idea prima del previsto, per cui ecco a voi il capitolo9, tutto visto sotto il POV di Michael.
E prima di lasciarvi alla lettura, voglio ancora ringraziarvi tutti per i commenti che mi state lasciando, sapere che la storia vi sta piacendo mi fa veramente piacere, ma mi fa ancora più piacere sapere che vi prendete un po' di tempo per farmelo sapere. Grazie di cuore!


La guardò un’ultima volta dallo specchietto retrovisore, prima di girare l’angolo e perderla di vista. Se qualcuno ieri gli avesse ipotizzato una giornata del genere, di certo lui gli avrebbe riso in faccia.

Era da tanto che non si risvegliava con una ragazza al suo fianco, e aveva dimenticato quanto era bella quella sensazione, ma svegliarsi e per prima cosa vedere Sara dormire tranquilla di fianco a lui… Dio, era qualcosa che andava ben oltre!

Si fermò ad un semaforo rosso e finalmente poté distrarsi ricordando il risveglio di qualche ora prima.
La morbida curva della schiena di Sara era la prima immagine di quella giornata, un’immagine che ormai era impressa nelle sue cornee. Il profumo della sua pelle chiara lo fece pensare al muschio bianco, un odore di cui ora era dipendente. Il suo respiro calmo e lento, sembrava quasi tranquillizzarlo, facendogli pensare che niente era più importante che stare lì, disteso tra le lenzuola di fianco a lei. I suoi capelli ancora arruffati dal sonno la facevano sembrare così innocente e tentatrice allo stesso tempo, anche se, lui ne era sicuro, lei gli avrebbe detto che l’unica cosa a cui poteva pensare guardando i suoi capelli, era una scopa. E le sue labbra… Quelle labbra che sembravano curvarsi in un dolce sorriso anche in quel momento che era addormentata…

Un clacson suonato in modo poco gentile, lo fece tornare alla realtà e, notando che il semaforo era diventato verde, schiacciò il piede sull’acceleratore e ripartì.

Qualche minuto più tardi era già seduto nel suo studio con alcuni fogli giganti, raffiguranti le planimetrie di qualche nuovo edificio, srotolati sulla sua grande scrivania.
Tutto quello che doveva fare ora era guardare i progetti, controllare che non ci fossero difetti e infine approvare e dare il via alle costruzioni. Niente che non avesse già fatto, ma, come aveva capito da un po’ di tempo, niente sembrava essere più come prima, non da quando…

“Hey Mikey!” Disse Flo, la sua segretaria, entrando nel suo studio e interrompendo la sua linea di pensieri. “Guarda cosa ti ha portato la tua adorata e adorabile segretaria!” Aggiunse facendogli notare il bicchiere di caffè che reggeva in mano.

Michael si passò una mano sugli occhi e infine le sorrise. “Come farei senza di te!” Disse infine, prendendo in mano il bicchiere che Flo gli aveva porso.

“Già, come faresti…” Sospirò lei scuotendo la testa, lasciando che le sue labbra formassero un sorriso. “Non sei l’unico che usa quella frase, a dire il vero sono in molti e…”

“… e direi che è meglio non andare oltre, vero Flo?” Sorrise Michael, prima di prendere un sorso di caffè.

“Che c’è, fai il geloso?” Le chiese divertita.

“Affatto. Ma direi che quello non è un discorso che voglio affrontare alle…” diede un’occhiata al suo orologio. “9 del mattino.”

Flo scosse le spalle. “Come vuoi, peccato però, ti perdi un interessante discorso.”

“Oh, non lo metto in dubbio!” Disse ironico. “Grazie per il caffè!”

“E’ un modo carino per cacciarmi via dal tuo ufficio?” Chiese mettendo le mani sui fianchi e inclinando leggermente il capo con fare offeso.

“Non prenderla nel modo sbagliato, Flo, ma ho centinaia di planimetrie da controllare,” indicò la montagna di fogli di fronte a lui. “e la mia concentrazione al momento non è al 100%.” Spiegò, prima di prendere un altro sorso di caffè.

“Capisco…” Disse annuendo. “Sono sicura che la tua scarsa concentrazione non ha niente a che fare con la ragazza di cui mi hai parlato, vero?” Sorrise e alzò un sopracciglio, e Michael cercò con tutte le sue forze di non farle capire che ci aveva preso in pieno. Ma il sorrisino che era apparso sulle sue labbra al solo menzionare Sara, l’aveva tradito.

“Lo sapevo!” Disse Flo battendo le mani di fronte a lei.

“Credimi, mi piacerebbe rimanere qui a parlartene, ma come vedi…” Indicò nuovamente le scartoffie di fronte a lui e scosse le spalle.

“Codardo…” Lo rimproverò lei scherzosamente. “Ma prima o poi verrai da me a parlarne, tutti gli uomini lo fanno!” Disse sicura di sé, prima di chiudersi la porta dell’ufficio di Michael alle spalle, senza nemmeno lasciargli l’opportunità di controbattere.

Michael scosse la testa divertito, mentre una risata gli fece quasi sputare il poco caffè che aveva in bocca, dopodiché appoggiò il bicchiere sulla sua scrivania e si alzò, diretto verso la porta del suo ufficio. La aprì leggermente per vedere Flo che stava ancora lì di fronte a fare l’offesa, come faceva sempre quando Michael decideva di non dirle qualcosa.

“Ripassa tra un po’, quando la montagna di carta di fronte a me sarà notevolmente ridotta.” Le sorrise, poggiando leggermente la testa sulla porta.

“Ti porto anche un bagle!” Disse contenta che l’amico la conoscesse così bene.

Qualche secondo più tardi, Michael era di nuovo seduto alla sua scrivania, con la sola compagnia del bicchiere di caffè.
Il solo sentire lo scuro, liquido caldo attraversagli la gola, lo riportò nuovamente indietro a qualche ora fa, quando per la prima volta aveva fatto colazione insieme a Sara.

Il ricordo di quanto avesse voluto rimanere lì, steso di fianco a lei a guardarla finché non si fosse svegliata gli invase la mente. Ricordò anche che, fortunatamente, optò per l’opzione B, prepararle un cappuccino.
Era da tanto che non ne faceva uno, da quando sua madre era ancora viva. Il cappuccino era la sua specialità e a Michael tornò in mente quanto lui e suo fratello impazzissero quando la loro madre glielo preparava. La domenica non era domenica, senza il cappuccino della loro madre.

“2/3 di latte e 1 di caffè,” Li diceva sempre. “è questo che lo rende così buono.”


Sorrise, dopodiché decise che era ora di mettersi sotto e controllare le planimetrie di fronte a lui, se non voleva che i lavori di costruzione di quei palazzi rallentassero ulteriormente.

Dopo aver fatto qualche correzione ad alcuni dei progetti, Flo tornò nuovamente nel suo ufficio e in mano aveva un sacchetto con il bagle che gli aveva promesso qualche ora fa.

“E io che pensavo te ne saresti dimenticata!” Le disse prendendone un morso.

“E’ bello sapere che hai piena fiducia in me!” Disse ironica, facendo una faccia commossa.

Michael si limitò a sorridere e a prendere un altro morso del bagle. “Hai visto?” Disse indicando la scrivania quasi del tutto libera dai fogli. “Mi son portato avanti con il lavoro.”

“Mhm, dobbiamo parlare di quanto tu sia bravo nel tuo lavoro, oppure mi vuoi parlare di chi sai tu?” Disse Flo incrociando le braccia al petto, prima di sedersi nella sedia dall’altra parte della scrivania.

“Direi che potrei girarci intorno finché tu non ti stanchi e decidi di lasciar perdere.” Sorrise.

“Il che, dato che sappiamo entrambi come sono, non succederà mai. Quindi, o parli, oppure mi riprendo il bagle.” Lo minacciò.

Michael prese qualche altro morso dal bagle e dopo aver ingoiato l’ultimo pezzo disse: “Troppo tardi.”

“Dai Mikey, sai che son curiosa e sai anche che hai un disperato bisogno di parlarne.” Disse quasi implorandolo. “Per cui, perché non inizi a dirmi perché sei così distratto, così risolviamo entrambi i nostri problemi?”

“Ragioni in modo strano, sai?” Le fece notare divertito. Lei si limitò a guardarlo e quello bastò per farlo iniziare a parlare. “Abbiamo fatto colazione insieme.” Disse affondando la schiena nel morbido schienale della sua sedia.

“Mhm, ok…” Disse Flo annuendo e facendo strane espressioni con la bocca, come se stesse pensando a come formulare la sua prossima domanda. “Vuol dire che… Tu e lei…?” I gesti strani che faceva con le mani, fecero sorridere Michael.

“Tu fai colazione solo con le persone con cui vai a letto?” Chiese Michael divertito.

“Il punto non è con chi io vada o non vada a letto, o con chi io faccia o non faccia colazione…” Scosse la testa, come a sottolineare quanto il suo ragionamento fosse ovvio. “Il punto è che non penso che una semplice colazione ti riduca…” Pensò alla parola giusta da dire, poi si limitò ad indicarlo e ad aggiungere. “Così!”

“Beh, forse non sei mai stata inna…” Si bloccò prima di finire la sua frase. Stava per dire innamorato?

“Non son mai stata cosa, Michael?” Chiese, come a fargli credere che in realtà non avesse capito la parola che stava per scappargli di bocca.

“Non sei mai stata in… una situazione come la mia.” Sorrise, fiero di essere riuscito a cavarsela con stile.

“E la tua situazione sarebbe? Stare bene con una persona conosciuta da qualche giorno?” Disse suonando stranamente gentile, nonostante le parole uscite dalla sua bocca suonassero un po’ come un’accusa. “Credimi Michael, son stata bene con persone conosciute da molto meno di un giorno.” Sorrise, alludendo alle serate che aveva iniziato nei vari bar di Chicago a bere qualcosa e che aveva finito nel letto di qualche sconosciuto di cui il giorno dopo non ricordava nemmeno il nome.

Michael scosse la testa e si limitò semplicemente a sorridere.

“Perché sorridi?” Gli chiese confusa.

“Perché quello che provo per Sara, và oltre un semplice cocktail bevuto insieme al bar, o una notte occasionale passata insieme.” Le spiegò semplicemente, una spiegazione così semplice che stupì pure lui. Perché ammetterlo con lei, era più facile che ammetterlo con sé stesso?

“Allora perché sei così spaventato da quella parola, Michael?” Scosse le spalle nuovamente, mentre ripensava a quanto difficile fosse per lui ammettere i suoi sentimenti per Sara.

“Perché non è giusto che io mi senta così dopo solo qualche giorno.”

“Giusto? Da quando in qua l’amore è giusto o ha senso?” Rise. “Michael, mi costringi ad usare un altro proverbio di quelli che dice sempre mia nonna…” Disse minacciosa alzandosi in piedi e mettendo le mani sui fianchi.

“Flo…” Si limitò a dire, sperando che quello la fermasse dal continuare.

“Ecco la perla di saggezza di mia nonna: ‘Due possono parlare sotto lo stesso tetto per anni e non incontrarsi mai veramente; altri due, alle prime quattro chiacchiere diventare vecchi amici.’ Capito?” Disse tutto d’un fiato, sperando che l’amico avesse colto il senso del messaggio.

“E’ qui che ti sbagli, Flo. Quello che c’è tra me e Sara non è una banale amicizia, è molto di più.” Scosse le spalle, quasi avesse finalmente iniziato a scrollarsi di dosso un macigno, ammettendo che tra lui e Sara c’era veramente qualcosa di speciale.

“Ok, punto 1, il senso del proverbio era che il periodo in cui conosci una persona, non necessariamente è proporzionale a quanto bene la conosci o a quanto le ci sia affezionato;” Disse e prima che lui potesse controbattere proseguì. “punto 2… Per quanto tempo ancora continuerai a negarlo, Michael?” Scosse la testa e un sorriso dolce e comprensivo le comparve in viso. “So che fa paura, so che non vuoi soffrire e so che te lo meriti.” Disse avvicinandosi a lui e mettendogli una mano sulla spalla. “Abbi un po’ di fede.” Gli sorrise, ripetendogli uno dei suoi mantra preferiti.

“Voglio i diritti ogni volta che usi quella frase.” Le disse, facendola sorridere.

“D’accordo.” Annuì prima di farsi nuovamente un po’ più seria. “Nessuno ha mai detto che è facile essere inn…” Si bloccò prima di finire la sua frase. Non voleva che fosse lei la prima a dirgli che era innamorato, era giusto che lui lo capisse da solo e fosse, finalmente, abbastanza sicuro di sé da ammetterlo. “Essere… ‘tu sai cosa’…” Disse, trovando il giusto modo per evitare quella parola. “E grazie a Dio, tu e Sara avete tutto il tempo per capire cosa provate l’uno per l’altro. Insieme.” Lo rassicurò. “Dico solo che poi vi potreste pentire di tutto il tempo perso a rincorrervi e farvi giochetti, certo, sempre che la cosa non vi ecciti.” Aggiunse con tono malizioso.

“Sarebbe stato un discorso perfetto, se non fosse stato per le ultime parole…” Disse sconsolato, passandosi una mano sui corti capelli scuri.

“Non fare il bacchettone, dopotutto fa parte del senso della vita.”

“Grazie della perla di saggezza, Buddah…”

“Simpatico!” Disse ironica Flo, prima di schiaffeggiargli affettuosamente il bicipite e incamminarsi verso la porta. “Oh, Michael, è nel caso tu abbia ancora qualche dubbio su cosa provi per quella ragazza, io darei un’occhiata a quelle planimetrie.” Disse indicando i fogli che Michael aveva controllato, approvato e spostato su un altro tavolo più piccolo.

“Ah sì? Che c’è di sbagliato in loro?” Disse, sicuro che l’amica lo stesse prendendo nuovamente in giro.

“Oh, assolutamente niente, se escludi il fatto che i calcoli che hai applicato agli archi a tutto sesto, sono più adatti a degli archi a sesto acuto.” Sorrise, vedendo che l’espressione dell’amico passava da sicura di sé, a terrorizzata.

Michael guardò velocemente i fogli di fianco a lui e notò che Flo aveva ragione. Se non fosse stato per lei, avrebbe dato l’ok alla costruzione di un palazzo che sarebbe durato quanto un castello di carte.

La guardò sorpreso, indeciso se chiederle come avesse notato il suo errore, o come sapesse dell’esistenza di più tipi di archi. Ma ovviamente, come spesso succedeva, l’amica gli rispose prima che lui potesse chiederle qualsiasi cosa. “Qualche residuo di qualche lezione di storia dell’arte.” Sorrise aprendo la porta di fronte a lei.

“Flo, grazie.” Si limitò a dire, imbarazzato da quella situazione.
Errori del genere non erano da lui. Lui che calcolava ogni minimo rischio, ogni minimo problema quando controllava una planimetria. Lui che studiava i minimi particolari del grande foglio di fronte a lui, prima di metterci le mani sopra e verificarne i punti deboli. Il suo lavoro richiedeva perfezione, e la perfezione era quello che tutti avevano sempre notato nei progetti approvati da lui. ‘Finora.’ Pensò.

“Non metterti strane idee in testa,” lo rimproverò Flo, quasi avesse decifrato ancora una volta i pensieri e le paure nella sua mente. “resti sempre il migliore qui dentro. Un errore capita a tutti, specialmente quando si ha qualcuno per la testa.” Gli sorrise. “Oh, e prima che me ne dimentichi,” disse togliendo dalla tasca posteriore dei suoi jeans una busta. “c’era questa per te.” Disse avvicinandosi a lui per dargli la busta, prima di salutarlo e uscire dal suo studio.

Si sedette nuovamente e rimase qualche minuto a fissare la busta che Flo gli aveva appena dato. Pensando fosse qualche stupida pubblicità di qualche nuova carta di credito, la buttò distrattamente sulla scrivania per concentrarsi sulle planimetrie che doveva correggere, ma quando la busta toccò la superficie in legno del tavolo di fronte a lui, il nome del mittente fece gelare il sangue nelle vene di Michael.

L’uomo con cui si era risposata la madre, Robert Griffin, era un famoso ed acclamato architetto di fama internazionale che aveva sempre voluto per Michael e Lincoln un futuro migliore. Dopo essere stato con loro fino al compimento dei 18 anni di Lincoln, si trasferì a New York da solo, visto che i suoi due figliastri decisero di non vendere la casa dove erano cresciuti e che la madre adorava tanto.
Robert continuò a prendersi cura di loro da New York, tornando a Chicago non appena aveva un momento libero. Si occupò di trovare un lavoro a Lincoln, pagò la retta del college di Michael e infine gli trovò un buon lavoro come ingegnere edile presso una società controllata da un suo amico di vecchia data.
Aveva sempre detto a Michael quanto ammirasse il suo talento e quanto avrebbe desiderato averlo come vice-presidente della sua società, ma Michael aveva sempre rinunciato perché non voleva abbandonare Chicago.
Qualche settimana prima, però, dopo una lunga chiacchierata con Robert, Michael fu finalmente convinto che cambiare aria fosse quello che gli serviva veramente per dare un senso alla sua vita, in più avrebbe potuto farsi un nome nel mondo dell’ingegneria edile. L’unica cosa che lo bloccava era il rifiuto di vendere l’appartamento della mamma, ma la cosa fu risolta velocemente dato che Lincoln e Veronica si erano offerti di vendere il loro attico in centro e trasferirsi lì.
E ora, qualche settimana dopo, ecco che la richiesta di Robert era stata ufficialmente scritta e spedita e l’unica cosa che rimaneva da fare a Michael era impacchettare tutto e salire sul primo aereo per New York City.

Qualche settimana fa l’avrebbe fatto senza nessun problema, ma adesso sentiva che una decisione del genere non aveva più il diritto di prenderla da solo.

Infilò la mano nella tasca dei suoi eleganti pantaloni blu e afferrò il cellulare. Scorse velocemente la rubrica fino ad arrivare al suo nome, dopodiché la chiamò.
Non aveva idea di cosa avrebbe detto una volta sentita la sua voce, avrebbe pensato a qualcosa mentre le parlava.

“Hey.” Le rispose con un tono di voce squillante. Sentirla così contenta rendeva ancora più difficile dirle della lettera.

“Hey, come va?” Le chiese, cercando di suonare il più tranquillo e disinvolto possibile. Ce la poteva fare, ce la doveva fare, se non per lui, almeno per lei. Doveva saperlo, meritava di essere messa al corrente della situazione.

“Tutto bene, mi son presa qualche minuto per bere un caffè con Katie, tu?” Michael notò quanto Sara cercasse di non ridere. Forse lei e la sua amica Katie si stavano divertendo e lui aveva interrotto qualcosa. Tempo qualche secondo e forse Sara non sarebbe stata più così felice e tutto per colpa sua. Ma dopotutto, non è che in ospedale ci sia molto da divertirsi, anzi, magari ha avuto una giornata da schifo e lui gliela renderebbe ancora peggiore.

“Tutto bene, anche se stavo per dare l’ok ad un progetto potenzialmente disastroso.” Vigliacco, questo è il termine esatto per una persona che cerca di nascondersi dietro una falsa risata invece di dirle quello che hai da dire. Sapeva che più rimandava, più la cosa sarebbe diventata difficile, eppure il solo sentire la sua voce gli fece quasi dimenticare quanto male era stato nel vedere quella lettera. No, a dire il vero stava peggio di prima, nell’immaginare di non vederla per chissà quanto tempo se mai avesse deciso di accettare l’offerta del suo patrigno.

“Sembra quasi che tu fossi distratto da qualcosa.” Perché doveva suonare così adorabilmente maliziosa? Perché non se l’era presa per aver interrotto un momento tra lei e la sua amica? Tutto sarebbe stato molto più semplice se lei fosse stata un po’ meno… Sara.

“Credi sia per quel motivo?” Già, fare il malizioso a sua volta non era un buon modo per arrivare a parlare della lettera. “In effetti, oggi mi è capitato spesso di pensare ad una ragazza dai capelli corti e scuri e dagli occhi di cerbiatto.” Ma allora perché trovava il flirtare con lei così appagante, divertente e… eccitante? Oddio, stava iniziando a pensare come Flo!

“Solo oggi?” Il solo immaginare la sua espressione nel dire questa frase fece sì che dei brividi gli percorressero tutta la schiena. Iniziava a dimenticare il vero motivo per cui l’aveva chiamata, tutto quello a cui pensava ora era continuare a stare al telefono con lei e farsi battutine maliziose a vicenda.

“Beh, oggi più del solito.” Beh, direi che ‘più del solito’ è quasi un eufemismo, visto che non era riuscito a togliersela dalla mente per un solo istante, e le planimetrie coi calcoli sbagliati lo confermavano. “Mi chiedevo se quella ragazza mi raggiungerebbe alla tavola calda che c’è lì vicino per pranzare con me?” E magari, a pranzo, avrebbe avuto finalmente il fegato di dirle la verità su New York. Finalmente stava tornando in sé, lentamente, ma ci stava riuscendo. Ora tutto quello che doveva sperare, era che lei dicesse sì e che questa dolce tortura finisse al più presto.

“Prova a chiederglielo gentilmente.” Il tono di voce malizioso di Sara gli fece dimenticare ancora una volta tutto, portandogli nuovamente alla memoria le battutine maliziose che si erano scambiati quella mattina stessa, solo qualche ora prima, quando il loro unico problema era darsi malati per restare a letto insieme tutto il giorno. Perché doveva sempre essere così dannatamente provocante? E perché a lui doveva piacere così tanto quando lei faceva così?

Ma dopotutto, a lui piaceva giocare, per cui perché negarsi il piacere di risponderle in modo altrettanto malizioso? “Oh ragazza dagli occhi di cerbiatto che stavi per rovinare la mia carriera di ingegnere, mi diresti sì se ti invitassi a pranzare alla tavola calda che c’è lì vicino, insieme a me?” La sentì sorridere, divertita da quel suo invito così originale e qualche secondo dopo sentì la sua voce riempirgli nuovamente le orecchie.

“Avresti potuto fare di meglio, ma per questa volta te la faccio passare e accetto il tuo invito.” Un adorabile rimprovero che camuffava come avesse appena accettato di pranzare con lui. La tavola calda non era il massimo, ma veniva bene ad entrambi farci un salto veloce per magiare qualcosa al volo e… parlare, ovviamente.

“Allora ti aspetto.” Sperò di non suonare troppo sdolcinato o disperato, ma voleva che capisse quanto questo pranzo fosse importante per lui, e non solo per il fatto che doveva parlarle della busta, ma anche perché aveva un bisogno disperato di vederla e stringerla a sé.

“A dopo, Michael.” Si limitò a dirgli e nonostante fosse la risposta più semplice del mondo, lo colpì come un pugno sullo stomaco.

“A dopo, Sara.” Sospirò, prima di finire la chiamata.

Fissò per qualche secondo il suo nome sul display, prima che questo sparisse, dopodiché appoggiò il cellulare sulla sua scrivania e si girò, di modo ché potesse ammirare Chicago dalla grande vetrata del suo ufficio.

Intrecciò le dita dietro la testa e lasciò che la schiena affondasse nuovamente sul morbido materiale della poltrona, prima di ripetere la frase che Flo gli aveva detto qualche minuto prima: “Tu e Sara avete tutto il tempo per capire cosa provate l’uno per l’altro.”



A/N: Effetto sorpresa che ha preso di sorpresa pure me (scusate il gioco di parole)! Nel senso che quando l'ho scritto non avevo la minima idea che mi sarebbe venuta in mente l'idea del patrigno e della busta. Ad ogni modo, spero nemmeno voi ve lo aspettaste, eheheh.
Un abbraccio, ci vediamo al prossimo capitolo!

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Capitolo 10
*** Dirglielo, o non dirglielo, questo è il problema ***


A/N: Ecco qui un nuovo update!! La 4 stagione è appena iniziata in America e rivedere lo show di cui mi sono innamorata qualche anno fa, mi ha dato l'ispirazione per continuare a scrivere. Oddio, se due amiche che ti minacciano adorabilmente si può chiamare "ispirazione", eheheheh.
Ad ogni modo, ecco un veloce riassuntino... Avevamo lasciato Mike che aveva ricevuto una busta dal patrigno, che gli chiedeva di raggiungerlo a New York per diventare vice-presidente della sua Compagnia. Mike aveva invitato Sara a pranzare insieme, approfittando dell'occasione per dirle tutto della lettera.
Buona lettura!




Michael sedeva già da un po’ ad uno dei tanti tavolini presenti nella tavola calda in cui lui e Sara si erano dati appuntamento.
Non poteva fare a meno di fissare nervosamente il suo orologio e le sue instancabili lancette. Purtroppo per lui, quello che in realtà vedeva era ben diverso dai numeri nel quadrante e dalle lancette che sembravano rincorrersi.
Le parole che avrebbe dovuto dire a Sara nel giro di qualche minuto, riempivano la sua testa e ogni volta che chiudeva gli occhi tutto quello che vedeva era la sua reazione alla notizia che le avrebbe dato. Sarebbe scappata in lacrime? Oppure avrebbe scosso le spalle e avrebbe accettato la loro separazione senza batter ciglio? Dopotutto, si conoscevano da pochissimo tempo –“Pochi giorni.” Precisò la noiosa vocina nella sua testa-, per cui una reazione del genere sarebbe stata più che normale.
Ma allora perché sentiva che, se lui si fosse trovato nei panni di Sara, al solo sentire quella notizia l’avrebbe pregata in ginocchio di non partire e di rimanere lì con lui? “Perché sei un idiota!” Lo apostrofò la vocina.
Beh, forse non aveva tutti i torti…

Non riuscì a pensare oltre, perché il volto che aveva immaginato ogni volta che aveva chiuso gli occhi negli ultimi minuti, apparve più solare che mai e il sorriso sul volto di Sara lo fece sentire ancora più in colpa per quello che stava per dirle, e allo stesso tempo era felice di poterla nuovamente stringere a sé.
Il tamburo che aveva in petto prese il suo solito ritmo accelerato, come faceva ogni volta che lei si trovava a pochi passi da lui, e sembrò quasi fermarsi quando lei gli si avvicinò ancora di più, fino a sporgersi appena per baciarlo dolcemente sulle labbra, prima di sedersi nella sedia di fronte alla sua.

“Mi posso ritenere ancora in elegante ritardo?” Scherzò, alludendo all’ora in cui si era fatta viva, mentre un sorriso le illuminava ancora di più il viso.

Non sapeva se era colpa del dolce profumo della sua pelle, oppure se era il semplice e devastante effetto che il solo vederla aveva su di lui, ma Michael non riuscì a formulare una risposta sensata e si limitò a sorriderle e a scuotere la testa divertito.
Certo, vederla lanciargli qualche occhiata maliziosa mentre osservava il menù del giorno non aiutava a farlo concentrare e a pensare a quello che le avrebbe dovuto dire, ma più cercava di non farci caso, più sentiva il disperato bisogno di continuare quel silenzioso gioco di sguardi con lei.

Sì, Michael ne era sicuro, darle quella notizia sarebbe stata una delle cose più difficili della sua vita.

“Giochi a fare il silenzioso oggi?” Gli chiese improvvisamente con uno sguardo curioso e quel sorriso sempre presente sulle sue labbra.

Da quando si erano conosciuti, non l’aveva mai vista triste o con un’espressione che non si fosse trasformata immediatamente in quel sorriso che lui adorava tanto. Pensare a questo lo fece rabbuiare ancora di più e ovviamente non fece altro che moltiplicare i suoi sensi di colpa, al solo pensiero di accennarle della lettera. “Tranquillo, vedrai che non ne soffrirà,” gli disse la vocina nella sua testa “vi conoscete da troppo poco perché le importi veramente di te.” Concluse amara la vocina.
Malgrado cercasse di ignorarla, Michael non poteva non ammettere che forse aveva ragione e che la prospettiva che lei non soffrisse per un suo possibile addio, gli spezzava il cuore.

“No, è solo che oggi ho poco da dire.” Sorrise cercando di sembrare convinto di quello che diceva. “In realtà di cose da dire ce ne sarebbero anche troppe.” pensò tra sé.

“Mhm…” Sara corrugò la fronte, fino a quasi unire le sue perfette sopracciglia, e iniziò a ticchettarsi il mento con l’indice, come se stesse pensando a chissà quale difficile cosa da dire. “Mi stai dicendo che sei voluto venire qui solo per guardare e non per parlare?” Chiese piegando leggermente la testa verso destra a lasciando che l’espressione curiosa fosse rimpiazzata ancora una volta dal suo sorriso.

Michael fece fatica a deglutire –forse per colpa della semplicità con cui Sara riusciva a stravolgerlo, o forse perché si fermava, quasi ipnotizzato, ad ammirare ogni singola espressione che il suo viso riusciva a fare-, ma cercò in tutti i modi la forza per poterle dare una risposta che non le facesse capire in che stato era ridotto. “Direi che finché stai di fronte a me, mi basta anche solo guardare.” Disse sperando di essere stato credibile –cosa non difficile, dato che sarebbe potuto rimanere fermo e immobile per ore a guardarla- e accompagnando a quelle parole, il suo tipico sorriso tra il timido e malizioso. “Amico, smettila di rimandare e sputa il rospo!” Lo ammonì la vocina. Ma lui era troppo preso dalla reazione di Sara per poterla ascoltare, figuriamoci pensare di darle retta!

Non appena quelle parole uscirono dalla bocca di Michael, Sara alzò entrambe le sopracciglia, prima sorpresa, poi decisa a continuare il loro piccolo scambio di battute. Appoggiò entrambi i gomiti sul tavolo e intreccio le mani di fronte a lei, poco più sotto del mento. “Dovrei prenderlo come un’offesa o come un complimento?”

“Come un complimento.” Disse annuendo e percorrendo col suo indice la lunghezza dal gomito fino alla mano sinistra di Sara. “Senza alcun dubbio un complimento.” Ribadì prendendo una mano di Sara tra le sue e portandola alle labbra per baciarla sul palmo.

“Ok Scofield, direi che è meglio finirla qui prima che perdiamo il controllo e la cosa degeneri.” Sorrise quasi imbarazzata, mentre la sua mano era ancora tra quelle di Michael.

“La metto in imbarazzo, Dottoressa Tancredi?” Chiese con fare innocente, baciandole nuovamente il dorso della mano.
Sapeva che questo si poteva facilmente definire ‘giocare sporco’, ma più cercava di evitare ogni contatto fisico con lei, più la strana forza che esercitavano i loro colpi lo spingeva a cercarla, a sentirla tra le sue mani.

“Non scherzare col fuoco, Scofield.” Lo avvertì, ma il tono delle sue parole era tutt’altro che minaccioso.

Lo aveva spiazzato e sorpreso nuovamente e, mentre era ancora rapito dalla strana e maliziosa espressione sul viso di Sara, non poté fare nulla per evitare che la sua mano scivolasse leggermente via dalle sue.

Restarono a guardarsi negli occhi per un tempo che a Michael sembrò un’eternità, quando finalmente –o forse no- Sara abbassò lo sguardo ancora una volta sul menù, prima di riprendere a parlare.

“Sei riuscito a trovare cosa c’era di sbagliato nella planimetria di cui mi hai parlato?” Gli chiese prima che il cameriere si fermasse al loro tavolo per chiedere cosa avessero deciso di ordinare.

“Salvato dalla campanella.” Disse ironica la vocina nella sua testa. “Ma non canterei vittoria così facilmente, un pranzo si può rivelare molto lungo…” Continuò, quasi deridendolo. Michael non poté evitare e riconobbe che, dopotutto, la vocina aveva nuovamente ragione. Quel pranzo, che qualche ora fa gli era sembrato un’idea geniale, ora sembrava un piano di autodistruzione degno del miglior masochista. Avrebbe potuto e dovuto rimandare, in qualche modo, senza però farle capire che c’era qualcosa che lo turbava.

“Michael…” La voce di Sara lo riportò alla realtà. Scosse la testa e si scusò per non aver risposto subito, dopodiché ordinò la stessa insalata che aveva ordinato Sara qualche secondo prima.

“Anche tu ti tieni leggero, Scofield?” Chiese divertita Sara, non appena che il cameriere li lasciò nuovamente soli.

Il macigno che occupava il suo stomaco in questo momento, occupava abbastanza spazio. Michael era sicuro che non sarebbe riuscito a mangiare nemmeno una foglia d’insalata finché si teneva tutto per sé, ma ovviamente, decise di ricorrere al suo fascino pur di non far capire a Sara che la busta che teneva nella tasca interna della giacca, avrebbe potuto cambiare radicalmente le loro vite –“a dire il vero solo la tua”, lo corresse la vocina.

“Se non voglio sfigurare di fianco a te, meglio che mi tenga in forma.” Dovette ricorrere a tutto il sangue freddo nel suo corpo per sembrare il più naturale possibile. “Tic-Toc amico,” gli disse la vocina.

“Accettalo Scofield, sono troppo perfino per te.” Quella battuta detta da Sara lo trapassò da parte a parte, toccandolo più di quanto lei avrebbe mai immaginato. Michael si chiese se lei fosse consapevole di quanto quella battuta e quelle parole fossero dannatamente vere. “Forse le ha detto proprio perché le pensa.” Gli suggerì la vocina. “Meglio così, ora sarà più facile dirle tutto.”

Già, dirle tutto… Aveva rimandato anche troppo, era giusto dirglielo ora e dirglielo subito.

Dall’espressione preoccupata sul viso di Sara, Michael capì che forse la fitta di dolore provata al solo sentire le ultime parole che avevano lasciato le sue labbra, si era presto proiettata in un’espressione di dolore sul suo viso. Proprio lui che gli amici chiamavano il ‘giocatore di poker perfetto’ -proprio perché riusciva sempre a mascherare tutto quello che provava.

“Michael, non avrai creduto a quella battuta?” Gli chiese preoccupata, cercando le mani di Michael sul tavolo che però erano occupate a strofinarsi l’una con l’altra, come faceva sempre quando pensava, o quando era nervoso.
Le poteva leggere in viso quanto fosse dispiaciuta, ma soprattutto sorpresa al solo pensiero che lui avesse anche solo potuto pensare che la battuta sul non essere degno di lei fosse vera. “Magari un po’ soffrirà se te ne andrai,” Michael sentì nuovamente la vocina fare da eco tra i suoi pensieri, “ma dimentica la possibilità di chiederle di seguirti a New York.” Concluse la vocina, quasi rimproverandolo di aver anche solo potuto pensare a quell’opzione.
Prima di chiederle di seguirlo, le avrebbe dovuto dire della busta e di quello che conteneva. Prese un respiro profondo, dopodiché aprì bocca per liberarsi del fastidioso macigno sul suo stomaco.

“Sara…” Disse, fissando prima il pavimento, poi la tovaglia sul tavolo di fronte a loro. Ormai non riusciva più a trattenere il dolore che provava al solo pensiero di confessarle tutto. “C’è una co-” Il suono del suo cellulare lo interruppe. Alzò immediatamente lo sguardo per incrociarlo con quello di Sara, ed era più che sicuro che ora gli potesse leggere in faccia quanto fosse dispiaciuto per quella situazione.

Una delle sue mani andò a cercare quella di Sara, deciso ad ignorare il suo cellulare e a finire il discorso che aveva appena iniziato. “Dicevo… c’è una cosa che-”. Questa volta fu lei ad interromperlo.

“Rispondi Michael,” disse con un rassicurante sorriso sulle labbra “io non vado da nessuna parte.” E ancora una volta il suo sorriso lo fece sciogliere e gli fece sembrare che tutta la stanza si sciogliesse con lui. Come diavolo poteva andare avanti a dirle tutto, dopo che lei lo faceva sentire così?

Le sorrise e le baciò la fronte, prima di alzarsi dal tavolo e di rispondere al cellulare. Notò che il numero sul display era quello di Flo. “Flo?” Rispose sorpreso di ricevere quella chiamata.

“E’ così che si saluta un’amica?” Lo rimproverò non suonando per niente minacciosa.

Sbuffò. “Scusa Flo, ma non sono in vena di battute.” Disse massaggiandosi il ponte del naso all’altezza degli occhi.

“Già, dalla faccia che avevi quando stavi per parlare con Sara, direi che c’è qualcosa che non va.” Disse gentile.

“Già, io e Sara-” S’interruppe non appena realizzato quello che l’amica gli aveva appena detto. “Come fai a sapere che io stavo per parlare con Sara?” Chiese sorpreso e curioso.

“Guarda un po’ chi c’è di fronte alla vetrina della tavola calda.” Disse e Michael mosse subito lo sguardo verso il punto che gli aveva detto Flo, per poi vederla che passeggiava avanti e indietro e teneva il cellulare all’orecchio.

“Dai troppo nell’occhio se cammini su e giù in quel modo.” Disse sorridendo, quasi la presenza dell’amica lì non lo sorprendesse più di tanto.

“Preferisci resti a fissarvi così?” Michael vide Flo che si fermò all’improvviso e si avvicinò a qualche millimetro di distanza dalla grande vetrata della tavola calda, per guardare meglio dentro il locale.

Michael sorrise. “No, meglio quello che stavi facendo prima.” Entrambi si ritrovano a ridere.

“Qualunque cosa le stessi per dire, può aspettare.” Lo rassicurò.

Buttò fuori tutta l’aria che non si era reso conto di tenere. “E’ proprio questo il problema, Flo, non può.”

“A meno che non le stia per dire che sei innamorato di me, penso che la tua notizia possa aspettare.” Disse cercando di far distendere l’amico e riuscendoci.

“E’ una lettera del mio patrigno, mi vuole come vice presidente nella sua compagnia.” Disse Michael tutto d’un fiato, sperando che confessare tutto a Flo lo facesse sentire un po’ meglio. Non funzionò.

“Oh…” Disse sorpresa dalla notizia. “E tu accetterai?” Chiese curiosa e con una velata tristezza nella voce. Michael sapeva che darle una notizia del genere in quel modo era sbagliato, ma ora tutto quello a cui pensava era come dire tutto alla ragazza che lo aspettava tutta sola al loro tavolo.

“Qualche giorno fa avrei risposto di sì, ma ora…” Scosse la testa, interrompendo la frase.

“Ma ora c’è lei e non ne sei più tanto sicuro.” Flo concluse la frase per lui. “Qualunque cosa tu decida, so che sarà la scelta migliore.” Disse rassicurante, ma Michael sapeva che, in fondo, a quelle parole non ci credeva nemmeno lei. “Per entrambi.” Continuò Flo, cercando di convincerlo.

“Grazie per questa bugia, Flo.” Sorrise Michael e vide l’amica sorridere con lui, dall’altra parte della vetrata.

“Penso che buttare una bomba del genere a pranzo, non sia l’idea più brillante del secolo.” Lo consigliò. “Dille che c’è stata un’urgenza in ufficio e che devi scappare.”

“Questo sarebbe mentire, Flo.” La ammonì, quasi sentendosi un padre che sgridava la figlia per essere tornata a casa dopo il coprifuoco.

“No, c’è veramente un’urgenza in ufficio.” Gli disse prontamente.

“Sarebbe?” Le chiese, sapendo che poteva aspettarsi di tutto, tranne che una cosa sensata.

“Devi vedere quali scarpe mi stanno meglio, se quelle che ho indosso ora, oppure quelle nuove che ho appena comprato.” Michael la vide agitare una busta nella mano sinistra.

“Un codice rosso.” Disse ironico.

“Sul serio Mike,” disse nuovamente in quel tono da sorella maggiore che usava sempre con lui, “certe cose è meglio pensarle prima di dirle. Prenditi un po’ di tempo, qualche ora o qualche giorno e poi diglielo.”

Michael si prese qualche secondo per pensare. Rimandare ancora avrebbe senz’altro rovinato ulteriormente le cose. Ci sarà pur stato un motivo se tutti dicevano di non rimandare mai a domani quello che si può fare oggi.
Ma d’altronde, spiegarle tutto nel giro di pochi minuti e poi lasciarsi per tornare entrambi a lavorare, senza poterle stare accanto e dirle che tutto sarebbe andato per il verso giusto, non era proprio l’ideale.
Doveva affrontare la situazione da uomo, ed è quello che avrebbe fatto.

“D’accordo.” Disse finalmente a Flo, dopo qualche secondo di silenzio. “M’inventerò qualcosa per rimandare la discussione.” Sbuffò, sempre meno soddisfatto della decisione presa.

“Ottimo, ti aspetto in studio per aiutarmi a scegliere le scarpe.” Disse, terminando la chiamata prima che Michael potesse ribattere.

Guardò ancora una volta il display del suo cellulare, prima di buttare la testa indietro e tirare un respiro profondo.

Tornò da Sara, che lo aspettava con un’espressione un po’ preoccupata, e si sedette di fronte a lei.

“Tutto apposto?” Gli chiese, inclinando leggermente la testa e avvicinandosi un po’ a lui. Michael capì che quel gesto di Sara era dovuto al suo tentativo di decifrare l’espressione sul viso di Michael. Aveva nuovamente indossato la maschera da giocatore di poker e per Sara sarebbe stato inutile continuare a cercare di capire cosa stava succedendo nella sua testa.

“Flo e i ragazzi hanno problemi allo studio.” Cercò di auto convincersi che quella non era del tutto una bugia, ma la vocina nella sua testa la pensava diversamente. “Mi chiedevo se ti andava di vederci stasera al parco che c’è dietro casa, hai presente?” Le sorrise, prendendo ancora una volta una mano di Sara tra le sue. Sentirla tra le sue mani si era rivelata un’arma a doppio taglio. Il sollievo di sentire nuovamente il contatto col suo corpo, era presto rimpiazzato dal senso di colpa che lo invadeva.

“Certo.” Disse confusa, prima di schiudere le labbra in un sorriso.

“Così, potremo finire il discorso che abbiamo interrotto.” Le sorrise ancora una volta, cercando di non farle capire quanto quel discorso fosse importante per lui.

“Spero di non arrivare in ritardo anche a quell’appuntamento.” Rise.

“Sono più che sicuro che varrà la pena aspettare.” Sorrise nel vederla imbarazzata al sentire quelle sue parole. Dopo tante bugie, finalmente era riuscito dire una cosa vera. L’avrebbe aspettata per sempre, ma lei avrebbe fatto altrettanto? Scosse la testa cercando di scacciare via quel pensiero. Non era il caso di sentirsi ancora peggio pensando negativo. Doveva avere fede, ed è quello che avrebbe fatto. “Quindi abbiamo un appuntamento stasera?” Le chiese malizioso, avvicinando il suo viso a quello di Sara.
Se pure Sara avesse pensato che qualcosa non andasse in lui in quel momento, Michael notò come anche lei sapesse mascherare quello che sentiva e che non voleva gli altri capissero.

“Tu che dici, Scofield?” Gli chiese prima di avvicinarsi un po’ di più a lui e baciarlo sulle labbra.

Era da tanto, troppo che non la baciava, ma ora tutto questo gli sembrava una tortura, “la migliore tortura al mondo” pensò. Come poteva una cosa così bella, farlo sentire così male? “Sensi di colpa.” Gli spiegò la vocina nella sua testa.
Beh, non importava quanto male facesse, sarebbe potuto rimanere lì a baciarla e a sentirsi in colpa per ore.

Sara si allontanò lentamente da Michael, lasciandogli giusto il tempo per farfugliare “Senza alcun dubbio un appuntamento.”, prima di passargli dolcemente il pollice sulle labbra per togliere un po’ di lucida labbra che il loro bacio gli aveva lasciato.

“Non sarebbe stato carino farti uscire con tutto quel trucco.” Sorrise baciandolo nuovamente -questa volta un bacio veloce.

“Già, il look acqua e sapone mi rende più affascinante.” Scherzò, facendola ridere.

Contro ogni volere del suo corpo, decise che era ora di alzarsi da quel tavolo e tornare in ufficio, dove avrebbe potuto pensare a come dirle tutto, ma soprattutto a cosa dirle quando si sarebbero incontrati più tardi.

“Ci vediamo più tardi.” Disse baciandola in fronte, lasciando che il suo profumo lo inebriasse ancora per qualche secondo.

Sara si limitò a chiudere gli occhi, quasi volesse imprimere quel momento nella memoria, e gli sorrise, mentre lui le voltava le spalle e usciva dalla tavola calda.



A/N: Beh, come avrete intuito, è stato un capitolo scritto un po' in fretta e più che altro perchè le mie amiche hanno insistito tanto che continuassi la storia. Probabilmente avrei potuto scrivere qualcosa di meglio, beh, non lo sapremo mai, eheheheh.
Sperando che il capitolo almeno un po' vi sia piaciuto, vi saluto e... al prossimo capitolo!

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Capitolo 11
*** Bella addormentata ***


A/N: Salve gente! Dopo millenni  che non scrivevo, ecco un nuovo, breve capitolo. Sarà che forse ora che è arrivata la quarta serie un po' l'ispirazione se n'è andata, però mi è dispiaciuto tanto non aver più continuato questa storia a cui sono particolarmente affezionata, più che altro perchè è nata all'incirca quando la notizia della morte di Sara era uscita nei vari siti di spoiler e mi ha aiutato a superare lo shock... eheheh
Ad ogni modo, dato che l'ispirazione era quella che era, spero gradiate questo piccolo capitolo...



“Hey bella addormentata, sei tra noi?”

La voce di Katy e la sua mano che le faceva avanti e dietro di fronte agli occhi, riportò Sara coi piedi per terra.

“Oh… Sì Katy, scusa sono solo un po’ distratta.” Rispose con un sorriso imbarazzato, spostando per qualche istante lo sguardo dal finestrino alla sua destra al viso dell’amica che stava al volante.

“Un po’?” Esclamò Katy prima di ridere. “Sei rimasta nel tuo piccolo mondo dei sogni da quando sei tornata dalla pausa pranzo.” Le fece notare e Sara non poté far altro che buttare fuori dell’aria che non si era nemmeno resa conto di trattenere.

Volente o nolente, ormai Katy la conosceva troppo bene per mentirle. Aveva intuito che c’era qualcosa che non andava in Sara, ancor prima che lei stessa se ne rendesse conto.

“Forse hai ragione.” Annuì Sara, tornando a fissare le vetrine dei negozi dal finestrino.

“Forse?” Disse Katy, cercando invano di suonare il meno retorica possibile. “Andiamo Sara, se non vuoi parlarne dimmelo tranquillamente, ma non mentirmi.”

Già, Katy la conosceva dannatamente bene e di mentirle non se ne parlava nemmeno.

Ma come avrebbe potuto spiegarle che stava così male solo perché Michael le aveva detto che “avevano bisogno di parlare”? Forse perché, 9 volte su 10, quando qualcuno dice quella frase, di solito non succede niente di buono?

Sara sbuffò. “Ok, hai ragione.” Ammise abbassando lo sguardo.

“Ok…” Annuì Katy prima di fermarsi ad un semaforo rosso e guardare l’amica seduta sul sedile del passeggero. “Sai che se non vuoi, non me ne devi parlare, vero?” La rassicurò, mettendole gentilmente una mano sulla spalla.

Sara girò il viso il tanto che bastava per incrociare lo sguardo con quello dell’amica e sorriderle.
Non sapeva perché, ma avere la certezza che ogni volta che aveva un problema Katy era lì per ascoltarla, faceva sembrare tutto un po’ più colorato e meno grigio. Per non parlare dei piccoli gesti che l’amica faceva per farle capire per lei ci sarebbe stata sempre e comunque. Poche persone le davano la sicurezza che a lei qualche volta mancava. Da piccola la sua roccia era sempre stata sua madre, dal college in poi Katy era sempre stata una sicurezza e da qualche tempo, aveva trovato anche un altro appiglio sicuro: Michael…

“Non scherzare Katy,” la riproverò Sara, “se non parlo con te di certe cose, con chi vuoi che ne parli?” L’amica sorrise, prima di notare che il semaforo era diventato verde e ripartire. “E’ solo che,” continuò Sara, “nemmeno io ho la minima idea del perché stia così…”

Katy sorrise nel sentire l’amica che si era decisa a parlare e con la coda dell’occhio notò che accompagnava ogni sua parola con vari gesti delle mani. Ormai la conosceva abbastanza da capire che, quando un racconto era accompagnato da quei gesti, la situazione era abbastanza seria.

“E per così intendi…?” Chiese Katy confusa.

“Così…” Sara sbuffò. “Non ne ho idea…” Ammise, poggiando una mano sulla fronte.

“Ok…” Disse Katy confusa. “E’ successo qualcosa tra te e il tuo principe azzurro?”

“Ti prego, non chiamarlo così.” La implorò Sara.

“Ok… E’ successo qualcosa tra te e Michael?” Ripeté la domanda e vide Sara sorridere, prima di tornare all’espressione spenta che le aveva visto in viso nelle ultime ore.

“Credo di sì.” Disse prima di fare spallucce.

Katy elaborò la risposta dell’amica e penso alla cosa migliore da dire per farla continuare a parlare. “E cosa credi sia successo?”

“Credo mi abbia detto che ‘dobbiamo parlare’…” Disse facendo nuovamente spallucce.

Le parole non fecero in tempo ad uscire dalla bocca di Sara, che Katy si infilò nel primo parcheggio libero, spense il motore e si sedette di modo che potesse vedere l’amica in faccia.

“Katy che stai facendo?” Chiese Sara confusa.

“Non ti preoccupare di quello che sto facendo e vai avanti col racconto.” Le sorrise, prima di tornare seria e pronta ad ascoltare la fine del racconto di Sara.

“Katy, hai un appuntamento tra meno di un quarto d’ora,” le ricordò Sara con un sorriso, “non è il caso di fermarsi solo per parlare.”

“Come se tu non faresti lo stesso per me!” Esclamò buttando gli occhi al cielo. “Ora, spiegami meglio che ti ha detto Michael.” Continuò picchiettandola gentilmente sul ginocchio.

Sara sorrise. Sapeva che Katy era capace di tutto, anche di fermarsi nel bel mezzo della strada, solo per potersi concentrare al 100% su un discorso senza senso che lei e Sara stavano avendo. Ma averne effettivamente la conferma, le fece dimenticare per un istante perché fosse tanto triste.
Certo, Michael era speciale e lei aveva più di una semplice cotta per lui, ma Katy per lei c’era sempre stata, mentre Michael se ne sarebbe potuto andare da un momento all’altro. O così sembrava da quel “dobbiamo parlare” che le aveva detto qualche ora prima.
Di sicuro, se Michael l’avesse lasciata come temeva, la spalla che avrebbe inzuppato di lacrime, sarebbe stata senz’altro quella di Katy.
Ragionamento che avrebbe avuto senso, se lei non fosse stata così egoista da pensare che sapere sia Katy che Michael lontani da lei, le avrebbe spezzato il cuore in modo identico.

Prese un respiro profondo e le raccontò velocemente di quello che era successo alla tavola calda con Michael, qualche ora prima.

“E questo è quanto…” Disse infine Sara, scrollando nuovamente le spalle.

“Beh, lui mi sembrava abbastanza tranquillo, no?” Disse Katy passandosi la mano sul mento, come ad enfatizzare il fatto che stesse pensando.

“Credo… E’ una cosa positiva o no?” Chiese Sara imitando il gesto dell’amica.

“Beh, per quanto uno possa avere sangue freddo, non credo che sarebbe così tranquillo sapendo di dover dare una notizia del genere.” Continuò il suo ragionamento, accompagnandolo con varie espressioni buffe del viso, sempre ad indicare che era in piena fase riflessiva.

“Tu credi?” Volente o nolente, Sara si stava facendo convincere sempre di più dalla teoria dell’amica.

Katy ci pensò un po’ su e l’espressione pensierosa, lasciò spazio ad un'altra un po’ maliziosa “Magari ti deve dare qualche altra notizia.”

“Oddio, tipo?” Chiese Sara ancora più spaventata dall’espressione che l’amica aveva in viso.

“Che so, andare ad abitare con lui?” Diede qualche gomitata affettuosa a Sara, prima di ridere insieme a lei.

“Certo che sì,” disse Sara ironica, “stiamo insieme da così tanto tempo che di sicuro avrei dovuto pensarci da subito a questa opzione…” Scosse la testa divertita dando un’affettuosa pacca sulla spalla all’amica.

“Il punto è,” Disse Katy rimettendo in moto la macchina, “che tra qualche ora il grande mistero verrà svelato.” Girò il viso per guardare nuovamente Sara in viso, prima di uscire dal parcheggio e rimettersi nel traffico di Chicago.

“Già,” sospirò Sara, “solo qualche ora…”



A/N: Che dire, questo capitolo è nato un po' dal nulla, visto che non era mia intenzione far rivedere Katy così presto e sopprattutto avrei voluto far confrontare subito Michael e Sara sulla questione della busta, però... Mi è sembrato carino far vedere quanto Sara fosse "scossa" dalle parole di Michael e come le parole della sua migliore amica le potessero fare un po' di forza...
Sperando che anche a voi sia andato bene, vi saluto, sperando di riuscire ad aggiornare un po' più in fretta dell'ultima volta...
Un grazie a tutti quelli che hanno letto ed un ringraziamento speciale a chi trova il tempo di lasciare un commentino, perchè è sopprattutto grazie ai vostri commenti adorabili che questa ff sta andando avanti! Grazie 1000!!

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Capitolo 12
*** Paure ***


A/N: Di solito per scrivere dovevo aspettare che due mie amiche mi minacciassero se non continuavo questa storia, invece stranamente, due notti fa mi è venuto uno slancio d'ispirazione e questo è il risultato.
Il chappo è scritto dal punto di vista di Michael che nel penultimo capitolo era "fuggito" dalla tavola calda perchè convinto da Flo.
Forse non è il chappo che vi aspettavate, ma alla fine penso sia abbastanza carino [io modesta... eheheheh]
Buona lettura!


“Quindi, rosse o bianche?”

La voce di Flo lo riportò alla realtà del suo studio.

Era ormai passata una buona mezz’ora da quando aveva deciso di ascoltare il consiglio di Flo e rimandare il discorso che aveva in mente di fare a Sara, ed ora era seduto da troppo tempo su quella sedia, a guardare Flo che si provava delle scarpe; non ne poteva più.

“Sai che quando mi hai detto che avevi un’urgenza del genere non ci ho creduto, vero?” Disse Michael quasi sbuffando.

“E la motivazione sarebbe…?” Chiese Flo curiosa.

“Perché il discorso che dovevo fare a Sara era molto più importante che scegliere un paio di scarpe che si abbinano con una gonna, Flo.” Disse serio guardandola negli occhi.

“Questo è perché voi uomini sottovalutate il potere seduttivo delle scarpe.” Disse imitando la voce di un fantasma e tenendo in mano un paio delle scarpe nuove che aveva comprato quella mattina.

“Flo, sul serio…” Disse passandosi una mano sugli occhi stanchi. “Pensi sia stato facile per me pensare a come dirle della busta e tutto il resto?” Chiese, sperando che l’amica notasse quanto quella domanda era retorica.

“Ah beh, sei sempre stato uno bravo con le parole.” Disse poggiando il paio di scarpe che aveva in mano e prendendone un altro.

“Ok, oggi non posso avere un discorso serio con te…” Sbuffò, buttando la testa all’indietro e poggiandola sullo schienale della sedia.

“Non pensi sia meglio che tu sia qui a pensarci su, piuttosto che dire le prime idiozie che ti vengono in mente?”

“A dire il vero ci avevo pensato su un bel po’ prima di decidere di vederla e dirle tutto.” Mentì ricordando che, non appena aveva letto la lettera, la prima cosa che gli era venuta in mente era stato chiamare Sara e dirle tutto.

“Michael…” Poggiò l’ennesimo paio di scarpe e si avvicinò a lui con un sorriso comprensivo. “Rispondi seriamente!” Gli disse ancor prima di avergli fatto la domanda che aveva in mente. “Pensi che sarebbe stato così facile convincerti a cambiare idea, se il tuo discorso era perfetto come pensi?” Il tono che aveva usato non era accusatorio, ma quel tono dolce e comprensivo che solo Flo riusciva ad avere. Michael lo sapeva, non importa quali parole uscivano dalla bocca dell’amica, gli sembrava che non lo giudicasse mai. E per quanto male gli facesse ammetterlo, Flo ci aveva preso in pieno.
Il discorso che avrebbe voluto fare a Sara, faceva buchi ovunque ed è stato un bene che lei lo avesse convinto a rimandare. Aveva ancora qualche ora per pensare a qualcosa di sensato da dire a Sara, che non lo facesse passare per insensibile o egoista.

Michael sbuffò abbassando lo sguardo, prima di incrociare nuovamente i suoi occhi azzurri con quelli castani di Flo. Notò che quel sorriso comprensivo era ancora lì sulle labbra dell’amica. “Hai ragione Flo. E sai cosa? Grazie per avermi convinto a rimandare il tutto.” Michael sorrise nel notare la finta espressione sorpresa nel viso di Flo, quasi non fosse abituata a sentirlo ammettere che aveva torto.

“Scofield, il genio, ammette di aver torto!” Esclamò sorridente. “E’ una di quelle cose da scrivere sul calendario! Così ogni anno ci sarà la festa ‘anche Scofield sbaglia’. Che dici, suona bene?” Continuò, finendo la frase con una risata, prima di tornare alle sue scarpe e ignorare l’espressione sul viso di Michael. “Ora che abbiamo risolto il tuo problema, è ora di risolvere il mio.” Disse prendendo in mano un paio di scarpe rosse a tacco basso. “Meglio queste o quelle bianche con la gonna nera?” Chiese aspettando che Michael elaborasse la domanda e la immaginasse con entrambe le scarpe ai piedi.

“Me la caverei se dicessi che stai bene con tutt’e due?” Chiese sperando che quella risposta fosse abbastanza.

“Ovviamente no!” Esclamò Flo alzando entrambe le sopracciglia e indossando una scarpa bianca al piede destro e una rossa al sinistro. “Ora…” disse alzando il piede destro “gonna nera e scarpa rossa, ” diede qualche secondo a Michael per osservare meglio, dopodiché abbassò il piede destro e alzò quello sinistro “gonna nera e scarpa bianca.” Qualche secondo e abbassò il piede, aspettando che l’amico si esprimesse.

“Ehm, scarpa bianca e gonna nera?” Ci pensò un po’ su prima di rispondere, sperando che l’amica condividesse la sua scelta.

“La fai suonare come una domanda, Michael.” Gli fece notare prima di sbuffare e mettere le mani sui fianchi. “Però è quello che avrei detto anch’io, per cui…” Si tolse la scarpa rossa dal piede sinistro e indossò subito l’altra bianca.

“Bene, dilemma risolto.” Annuì Michael, contento che quella tortura fosse finita. ‘Una cosa in meno a cui pensare.’ Gli disse la vocina nella sua testa. ‘Già,’ pensò lui ‘ora devo solo pensare a cosa dire a Sara…’

“Beh, direi di sì.” Ancora una volta, la voce di Flo lo riportò sul pianeta Terra. “Ora veniamo a te e Sara…” Finì di rimettere a posto la sua roba, dopodiché si avvicinò a lui e si sedette sulla sedia che stava dall’altra parte della scrivania. “Hai già pensato a cosa dirle?”

“Sì e no…” Sbuffò Michael.

“Ottimo…” Disse ironica Flo. “ E’ bello vederti con le idee così chiare!” Proseguì a lanciare frecciatine all’amico.

“Ironia… Mi mancherà se deciderò di andare a New York.” Sorrise, prima di rendersi conto che era ancora troppo presto per fare battute su quell’argomento.

“Quindi hai deciso che accetterai?” Gli chiese, cercando di nascondere la velata delusione per quella decisione.

“Non lo so Flo… La prospettiva di mollare tutto e iniziare da capo a New York mi attrae non poco.” Si mise comodo sulla sua sedia prima di continuare. “Inverni innevati, la città che non dorme mai, essere a capo di un’azienda di famiglia che per giunta va benissimo…”

“Prima di tutto, gli inverni innevati ci son pure qui a Chicago.” Gli fece notare, mentre faceva finta di essere interessata ad una matita che stava sulla scrivania. “Secondo punto, anche Chicago ha il suo fascino, solo che non lo percepisci perché la vedi con gli occhi di uno che ci è nato e che pensa di conoscerla benissimo.” Proseguì, lasciando perdere la matita e decidendo di guardarlo negli occhi, prima di dire il terzo e fondamentale punto. “Terzo… Non pensi a… Lincoln?” Optò per tenersi dentro quello che avrebbe voluto dire veramente, perché non era il caso di fargli sapere che la sua partenza avrebbe intristito a morte pure lei. Gliel’avrebbe detto prima o poi, forse… Anche se di sicuro quella era una cosa che entrambi davano per scontato, vista la loro profonda amicizia.

“Flo, sul serio hai pensato a Lincoln?” Chiese stupito. “Sappiamo entrambi che tra tutti è quello che ne risentirà di meno. Lui ha la sua famiglia e non dipendiamo più l’uno dall’altro come facevamo un tempo.” Spiegò, provando una lieve fitta di dolore nell’ammettere che il rapporto con suo fratello non era più forte come un tempo. Certo, lui ci sarebbe sempre stato per Lincoln e viceversa, ma aveva capito che Veronica e il figlio venivano prima di tutto. ‘Noto della gelosia, amico?’ Gli chiese la vocina. ‘A dire il vero no.’ Si sorprese a pensare di poter rispondere ad una vocina immaginaria che però, per una volta, aveva torto. Lui e Lincoln erano cresciuti ed era più che giusto che ci fossero nuove persone nella vita di entrambi che erano importanti quanto il proprio fratello. ‘Si chiama crescere, cara vocina.’

“Beh, mancherai ai tuoi colleghi d’ufficio...”

“Altra ragione per scegliere di rimanere qui.” Sorrise. “Il punto è che, un’occasione del genere potrebbe non capitarmi più e so che mi pentirei se non la cogliessi al volo…”

“E’ l’azienda di tuo patrigno,” gli fece notare interrompendolo, “mi spieghi come fai a dire che una proposta del genere potrebbe non ricapitarti?” Flo alzò leggermente il tono della voce, quasi sorpresa dalle parole appena uscite dalla bocca dell’amico.

Il suo tono di voce fece capire a Michael che Flo non riusciva a capire -o forse non voleva capire- quello che lui intendeva dire. “Andiamo, sai cosa voglio dire, Flo.”

“No, mi dispiace…” Scosse la testa e corrugò la fronte, cercando di sembrare il più confusa possibile.

“Quante probabilità ci sono che lui voglia aspettare ancora che io mi decida? Quanto pensi ci vorrà perché lui capisca che ci sono altri mille candidati disponibili, e qualificati quanto me, a ricoprire quel ruolo?” Le fece notare, riuscendo a tenere una calma invidiabile, nonostante l’argomento e le motivazioni di Flo lo avessero un po’ innervosito.

“Stai solo cercando una scusa per fuggire da Chicago, Michael, lo so io e lo sai tu.” Gli fece notare alzandosi e allontanandosi da lui. “Non so cos’è che ti spaventi così tanto, ma è meglio che ti decida ad affrontarlo, e credimi, te lo dico da amica e non da persona che starebbe malissimo a saperti a kilometri di distanza!” Prese le sue cose e aprì la porta dello studio di Michael. “Perché più cerchi di scappare da quella cosa, più quella cosa ti viene dietro e ti rovinerà la vita finché non decidi di affrontarla.”

“Cosa ti fa pensare che io abbia paura di qualcosa, Flo?” Le chiese tranquillo, alzandosi dalla sua sedia e camminando verso di lei.

Flo scrollò le spalle. “Semplice sensazione, Michael.” Gli sorrise, prima di uscire dallo studio e chiudersi la porta alle spalle.

Michael restò a fissare la porta chiusa del suo studio, prima di avvicinarsi alle grandi vetrate del suo studio e studiare ogni minimo dettaglio della magnifica vista di Chicago di fronte a lui. “Non è poi così male.” Si disse, ricordando quello che Flo le aveva detto qualche minuto prima sulla loro città natale.

Magari quella non era l’unica cosa su cui lei aveva ragione, forse c’era sul serio qualcosa che lo spaventava e forse lui in fondo sapeva cosa era. Paura che la sua carriera non sarebbe decollata se fosse rimasto lì? Paura che tutto questo non fosse abbastanza per uno dotato come lui? Paura che nessuno avrebbe notato la sua mancanza se avesse scelto di andare a New York? Paura che una persona in particolare non avrebbe esitato a dirgli che il suo posto non era con lei, ma a miglia di distanza da lei?
Tutte paure diverse che però non aiutavano a far pendere la decisione in nessuna delle due direzioni: Accettare il lavoro a New York, oppure rimanere a Chicago.

In fondo sapeva che la decisione l’avrebbe presa di lì a poco. Sapeva che il suo futuro era in mano alla ragazza che gli aveva fatto perdere la testa. Se lei gli avesse chiesto di restare, lui non c’avrebbe pensato due volte e avrebbe immediatamente fatto sapere al patrigno che non aveva nessuna intenzione di abbandonare la più bella città del mondo.
Ma sapeva anche che se lei gli avesse detto di accettare, non avrebbe esitato un solo secondo a salire sul primo aereo diretto alla Grande Mela e lasciare che quel rifiuto di città che era Chicago, rimanesse solo un ricordo del suo passato.

Lanciò uno sguardo veloce alle lancette dell’orologio che teneva al polso, prima di tornare a fissare i profili dei palazzi e le fronde verdi degli alberi di fronte a lui. Ancora qualche ora e anche lui avrebbe scoperto quale sarebbe stato il suo futuro.

New York o Chicago.

Senza Sara o con Sara.



A/N:Ok, anche chappo 12 [WOW!!] è andato!
In teoria la storia doveva essere di 14 chappi, ma penso di non cavarmela con così poco, visto che almeno altri 2 [forse pure qualcuno1 in più] prima dell'ultimo chappo, ci stanno bene... Per lo meno secondo il mio "piano originale" eheheh
Ah sì, mi dissocio dalla decisione di Mike e Flo di scegliere le scarpe bianche eheheh, e anke le rosse non penso ci sarebbero state bene con la gonna nera... Ma dopotutto voi non state a guardare queste cose no?  e poi, quell'abbigliamento è idoneo col fatto che Flo è un po' stravagante, non credete anche voi? ehehe
Uuuuu e in caso l'abbiate pensato, no, Flo non è innamorata di Michael! E se lo è  peggio per lei!  Questa è una storia MiSa e Michael è solo di Sara eheheh
Uuuuu, la fine mi piace!! Lascia un alone di mistero, no? eheheh
A presto e grazie mille a chi legge e commenta!!!

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Capitolo 13
*** Boccone amaro ***


A/N: Ciao a tutti! Sono riuscita a scrivere il capitolo 13 senza che nessuna delle mie amiche mi minacciasse di picchiarmi se non avessi cotinuato, è un bel traguardo!! eheheh
Alura... In questo capitolo leggerete.... Naaaaah, non vi dico nulla, eheheh.
Okey Dokey gente! Buona lettura e grazie 1000 per i vostri commenti!



Sara dondolava pigramente su una delle vecchie altalene lì nel parco già da qualche minuto.
Era arrivata un po’ prima del previsto all’appuntamento che lei e Michael si erano dati qualche ora prima, perché la sola idea di continuare a rimanere chiusa in casa a pensare a tutto quello che le avrebbe potuto dire quella sera, la stava facendo impazzire.

Per cui eccola lì, una donna adulta che cercava di liberare la mente da ogni possibile pensiero negativo, dondolando su una vecchia altalena arrugginita.

‘Non sei così ingenua vero?’ Chiese la vocina nella sua testa, quasi volesse provocarla. ‘Sai che questo non sarà mai abbastanza da farti pensare ad altro…’ Continuò, quasi volesse sottolineare il fatto che uno come Michael Scofield –o anche solo un pensiero che lo riguardasse- era terribilmente difficile da ignorare o dimenticare…

“Ovvio che no…” Le rispose Sara, concedendosi il lusso di dare voce ai suoi pensieri, visto che nel parco non c’era nessun’altro a parte lei. “In più tu sei così gentile da lasciarmi pensare a lui ogni singolo secondo…” Sbuffò, dando un calcetto ad una pietra vicino al suo piede destro e continuando a fissare la terra rossa ai suoi piedi.

‘Il punto è che ti sei lasciata andare troppo in fretta con lui,’ la rimproverò la vocina, ‘quando sapevi benissimo che sarebbe finita così!’

“Così come?” Chiese Sara quasi con tono ingenuo. “Con me che dondolavo su una vecchia altalena che potrebbe crollare da un momento all’altro?” Chiese a sua volta provocatoria, sperando di stizzire la sua noiosa vocina.

‘No, ma ora che me l’hai fatto notare, grazie per aver messo a rischio trauma cranico tutt’e due!’ Disse la vocina irritata, forse infastidita e impaurita dal poco rassicurante cigolio delle catene arrugginite.

Sarà alzò lo sguardo per osservare i bulloni arrugginiti che collegavano le catene dell’altalena alla vecchia struttura in metallo che la reggeva. “Cosa sarà mai!!” Esclamò con una noncuranza che non era da lei, ridendo tra sé e pensando che sarebbe potuta realmente cadere da un momento all’altro. “Sono un dottore, penso di sapere uno o due trucchetti per farmi passare un trauma cranico.” Aggiunse sempre ridendo tra sé.

‘Già.’ Concluse la vocina. ‘Ma che mi dici a proposito del cuore spezzato che avrai tra qualche minuto?’ Ed ecco le parole che fecero tornare Sara allo stato catatonico di qualche minuto prima, quando l’unica cosa che faceva era fissare la terra ai suoi piedi e pensare a Michael.

E così, la conversazione nella testa di Sara si concluse, con la noiosa vocina che, come sempre, trovava qualche argomento che la portava dalla parte della ragione.

Avrebbe dovuto andarci piano da subito con Michael. Avrebbe dovuto dar retta a quella stupida, noiosa vocina, che però sapeva il fatto suo. Sapeva com’era fatta Sara e aveva intuito fin da subito che non avrebbe dovuto buttarsi così facilmente tra le braccia di uno sconosciuto.
Avrebbe dovuto ascoltare la vocina e ignorare quello stupido e inutile muscolo che le batteva in petto e che le aveva suggerito sin dal primo momento che l’aveva visto, che Michael Scofield era la persona giusta con cui lasciarsi andare completamente.
Ora quello stupido muscolo avrebbe subito l’ennesima ferita e, Sara ne era certa, c’erano tutti i presupposti perche questa volta risultasse fatale e incurabile.
Questa volta la ferita sarebbe rimasta aperta in eterno, perché dopotutto, uno come Michael Scofield capitava ogni 100 anni.

“Sai,” la sua voce, bassa e calda come sempre, la colpì alle spalle all’improvviso e per un momento pensò di aver immaginato tutto. Girando improvvisamente di scatto la testa per guardarlo, notò che, sì, Michael era effettivamente lì. Nel giro di qualche secondo lo vide sedersi sull’altalena alla sua sinistra. “Questa era la mia altalena preferita quando mia madre portava me e Linc qui.” Continuò Michael, indicando l’altalena dov’era seduta Sara.

Il sorriso di Michael che seguì quella semplice frase, fece sì che tutte le farfalle saldamente rinchiuse nello stomaco di Sara prendessero il volo, scatenando varie emozioni in ogni singola parte del suo corpo.
E il modo in cui lui aveva leggermente socchiuso gli occhi -un movimento quasi impercettibile che a Sara sembrava sempre così lampante-; quei suoi occhi blu-verde che Sara adorava e che ogni volta la facevano volare con la fantasia al mare limpido e cristallino di milioni di luoghi esotici che avrebbe tanto voluto visitare con lui.
‘Perché diavolo Michael Scofield riusciva ad avere un effetto così devastante su Sara Tancredi?’ Si chiese tra sé. ‘Credo c’entri la fisica… O la chimica…’ Le suggerì la vocina nella sua testa, che Sara rinchiuse immediatamente in quella parte di cervello che le riusciva sorprendentemente facile ignorare.

Questa era una conversazione a due. Solo lei e Michael.

“Sapevo che era la tua preferita.” gli rispose finalmente, cercando di suonare seria e con uno strano sorriso sulle labbra. In teoria quello sarebbe dovuto assomigliare al sorriso che lui le faceva sempre quando stava per farle una battuta, ma Sara era sicura che quello che le era uscito non poteva nemmeno lontanamente assomigliare al sorriso perfetto di Michael. “Mi son seduta apposta su questa, così non avresti potuto farlo tu.” Alzò un sopracciglio cercando di risultare intrigante, ma si sentiva quasi stupida a sprecare tempo prezioso in quel modo, quando c’erano mille cose che gli avrebbe voluto chiedere, mille domande di cui voleva sapere la risposta.

Bastò vedere il sorriso aprirsi sui lineamenti perfetti delle labbra di Michael per farle dimenticare che non erano lì per farsi delle battutine, ma per parlare di roba seria.
Se la vocina nella sua testa avesse avuto libero accesso ai pensieri che le ronzavano in testa in questo momento, di sicuro non avrebbe perso occasione per prenderla in giro su quello che pensava del sorriso di Michael.

“Wow Tancredi,” Sara adorava sentirsi chiamare in quel modo da lui. Odiava il suo cognome e tutto quello che significava essere la figlia del Governatore, ma in bocca a Michael tutto suonava così dolce e melodioso, che avrebbe sopportato in eterno il suono del suo cognome pronunciato da lui. “telepatica e dispettosa…” Lo vide girare leggermente il viso alla sua destra, di modo che i suoi occhi color del mare si incrociassero con i suoi color nocciola.
Rimase pietrificata nel registrare il gesto seguente di Michael, che la lasciò letteralmente senza aria nei polmoni.
Lentamente, quasi come se volesse che l’attesa risultasse una dolce tortura per lei, alzò la mano destra per portarla vicino al viso di Sara e sempre più lentamente e con dolcezza infinita, le spostò dal viso una ciocca di capelli, sistemandola dietro l’orecchio sinistro di Sara. “C’è sempre qualcosa di nuovo da imparare su di te…” Aggiunse, non distogliendo lo sguardo dal viso di Sara.

La battuta di Michael fu seguita da un silenzio che sembrò durare ore, ma che a nessuno dei due sembrava pesare. Rimasero semplicemente lì a guardarsi, persi l’uno negli occhi dell’altro, senza bisogno di aggiungere una singola parola a quel discorso che ormai a Sara sembrava molto chiaro e cristallino.

Sara notò lo sguardo di Michael cambiare, come se avesse appena intuito, semplicemente guardandola negli occhi, quanto lei in quel momento si sentisse perduta e confusa.
Lo vide allontanarsi leggermente, ricreando quella distanza tra i loro corpi e non solo.
Ancora una volta le era sembrato che l’uomo che le sedeva a fianco, solo a qualche centimetro di distanza, non fosse lo stesso uomo di cui lei era perdutamente…

“Sai…” Sara dovette interrompere la sua linea di pensieri per iniziare ad ascoltare Michael che improvvisamente aveva iniziato a parlare. Ma ne era più che certa, quelle che stava per sentire non sarebbero state le parole che Michael avrebbe già dovuto dirle qualche ora prima. “Una volta -avrò avuto forse 7 anni- sono caduto in quello stagno.” Inizialmente Sara si limitò a corrugare le sopracciglia e a piegare leggermente la testa di lato, come ad enfatizzare il fatto che ogni parola che pronunciava Michael, la confondeva sempre di più. Poi, seguì con lo sguardo il gesto che Michael aveva fatto con la testa, per indicare lo stagno che si trovava di fronte a loro, a qualche metro di distanza.
Se c’era una cosa che Sara non capiva in questo momento, era perché Michael si ostinasse a rimandare oltre quello che aveva realmente intenzione di dirle.

“I bambini a quell’età sanno essere perfidi, sai?” Lo sentì riprendere a raccontare quel suo ricordo, occhi fissi sempre sul lago e il suo prezioso sorriso rivolto al vuoto di fronte a lui. E riprese a parlare, come se fosse completamente sicuro che Sara mai e poi mai l’avrebbe interrotto finché non fosse arrivato al punto. “Avevano deciso che il mio modellino del Taj-Mahal era molto più interessante dei loro camion dei pompieri e si diedero da fare per prendermelo.”

Sara avrebbe tanto voluto alzarsi da quella stupida altalena e urlargli di smettere di girare intorno al problema e semplicemente di arrivare al punto, di modo che l’angoscia che provava sarebbe svanita, ma… Ma come poteva anche solo pensare di interromperlo e negarsi l’egoistico lusso di sentirlo parlare di lui? Di rivivere con lui periodi della sua vita di cui altrimenti non avrebbe mai sentito parlare? Di notare come i suoi occhi si illuminassero al solo nominare quel modellino che di sicuro tanto adorava?
No, non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere. Per cui optò per la via più facile ed egoisticamente perfetta. Sarebbe rimasta seduta su quell’altalena ad ascoltarlo parlare per sempre, se questo avesse voluto dire stare insieme a lui. Certo, non risolveva il problema, ma aiutava a renderlo meno pesante. ‘Cavolo se aiutava!’ Pensò Sara.

“Sai, ci tenevo tantissimo a quel modellino, perché era un regalo…” Sara riprese ad ascoltarlo rapita. “Il mio patrigno me l’aveva portato da uno dei suoi tanti viaggi intorno al mondo, per cui aveva un significato particolare per me.” Notò il sorriso di Michael ammorbidirsi al solo menzionare il suo patrigno, di cui tra l’altro Sara non aveva mai sentito parlare prima. In quel momento, milioni di parole da dire le passarono per la mente, ma nessuna di quelle sembrava del tutto sensata e adatta alla situazione, per cui decise di restare in silenzio e, per fortuna, nessuno dei due sembrò risentirsi per quella sua decisione. “Ho provato in tutti i modi a riprenderlo, ma non sono mai stato bravo quando si trattava di usare le mani,” Sara notò un altro sorriso sulle labbra di Michael e il suo cuore fece qualche capriola più che scontata nel suo petto, “e l’unica cosa che ottenni fu un bagno fuori stagione.” Sara si unì alla risata breve e leggera di Michael, che però sembrava non intenzionato a guardarla negli occhi, quasi fosse ipnotizzato da un punto invisibile di fronte a lui, pensò Sara.

“Fortuna Linc era una testa calda anche da bambino.” Sorrise ancora una volta al ricordo del fratello e Sara notò che aveva preso a dondolare leggermente, mentre continuava a raccontare. “Grazie a lui riuscì a recuperare il mio modellino, ad uscire dal lago e penso anche che convinse ‘pacificamente’ quei bambini a lasciarmi in pace.” Le risate che quella sua battuta avrebbe dovuto scatenare, erano state invece rimpiazzate da un semplice silenzio, quasi la tensione tra loro due fosse troppa per essere cancellata con una semplice risata.

La mano di Sara era salita fino al braccio destro di Michael, che si era immediatamente girato di scatto per fissarla negli occhi.
Il gesto di Sara era stato efficace al suo scopo: richiamare l’attenzione di Michael e convincerlo ad arrivare al sodo.

Michael smise di darsi la spinta coi piedi e nel giro di qualche secondo l’altalena smise di muoversi, lasciandolo immobile di fronte a Sara, quasi stesse aspettando che fosse lei a parlare ora.

“Michael…” Iniziò lei, perdendo improvvisamente tutta la sicurezza che era riuscita a racimolare nei pochi secondi che avevano preceduto la sua scelta di richiamare la sua attenzione. ‘Incredibile come in pochi secondi le cose possano cambiare.’ Si disse, ripensando alla determinazione che aveva avuto qualche secondo prima. Si concesse il lusso di abbassare per qualche secondo lo sguardo dagli occhi ipnotizzanti di Michael alla terra rossa ai suoi piedi, e quando lo rialzò, Michael era sempre lì di fronte a lei, stesso sguardo fisso sui suoi occhi e stessa espressione tirata, nervosa e quasi terrorizzata da quello che sarebbe successo qualche minuto dopo.
Sara rimase quasi shockata nel notare come Michael fosse immobile. Ogni sua singola parte del corpo sembrava trovarsi nello stesso posto di qualche secondo prima, quasi non gli servisse nemmeno respirare, quasi fosse una statua. ‘Una statua che sta per dirti qualcosa di terribile.’ Suggerì, senza cattiveria, la vocina.

E quasi come se Michael fosse il vero telepatico tra i due, quasi avesse sentito la vocina nella testa di Sara, iniziò a parlare, pietrificandola come nessuno era mai riuscito a fare prima.

“Qualche giorno fa ho ricevuto una lettera…” Iniziò Michael e Sara era quasi felice che finalmente avesse iniziato a fare sul serio, smettendo di girare intorno al problema. Ovviamente non aveva idea che le cose sarebbero cambiate di lì a poco. Oh se sarebbero cambiate…

“Una lettera da parte del mio patrigno,” proseguì Michael, “che dirige un’azienda abbastanza importante.” Sara seguiva attentamente e in silenzio, ogni minimo movimento delle labbra di Michael, quasi come se questo suo comportamento l’avrebbe aiutata a non perdersi nemmeno una singola sillaba che usciva da quelle labbra perfette, o a non fraintendere niente di quello che diceva. “Abbiamo parlato parecchie volte di un mio possibile ruolo di rilievo all’interno dell’azienda: come vice direttore; come suo braccio destro. Ma io ho sempre rifiutato quell’incarico per parecchi anni di seguito.” Sara continuava ad ascoltarlo rapita, col timore perenne che le prossime parole che sarebbero uscite da quelle labbra, sarebbero state quelle che le avrebbero spezzato il cuore per sempre. ‘Per ora tutto bene, no?’ Si disse, quasi incoraggiandosi a non perdere la speranza che tutto si sarebbe risolto per il meglio.

“Poi quest’anno, qualche mese prima che io e te c’incontrassimo, gli dissi che l’idea di lavorare con lui in fondo non era poi così male e che forse avrei ripensato alla sua proposta di essere il vice direttore, se mai me l’avesse richiesto.” Sara rimase a fissarlo, notando che l’espressione di Michael s’induriva sempre di più man mano che il suo racconto proseguiva. Ogni parola che usciva dalla sua bocca, faceva sì che il suo sguardo blu-verde si abbassasse sempre di più, fino a costringerlo a fissare le pietrine ai suoi piedi, piuttosto che il marrone negli occhi di Sara. E più Michael si comportava in modo così strano, più Sara non capiva che male ci fosse nel voler accettare una richiesta così conveniente per lui.

“Per questo, qualche giorno fa, mi ha spedito nuovamente una lettera dove mi chiedeva di entrare a far parte ufficialmente della sua azienda.” Sara trattenne il respiro per qualche secondo, ma non perché preoccupata da quelle parole, ma perché contenta di quello che aveva appena sentito. La persona che in questo momento della sua vita forse le era più vicino, aveva ricevuto un’opportunità non indifferente per realizzare uno dei suoi sogni più grandi e lei di certo lo avrebbe aiutato nel realizzarlo.

Sara notò che finalmente Michael alzò nuovamente lo sguardo per incrociarlo col suo, ma il sorriso che Sara si aspettava di vedere, era oscurato da un’espressione più dura di quella che aveva visto qualche secondo prima.
Michael aveva l’occasione di cambiare la sua vita in meglio, cosa aspettava a saltellare di gioia e gridare a tutta Chicago che sarebbe diventato un pezzo importante di una famosa azienda?
E più guardava i lineamenti di Michael indurirsi a causa di –cos’era quella, rabbia?-, più non capiva cosa lo avesse spinto a rimandare questo discorso come aveva fatto.

Sara notò Michael alzarsi improvvisamente dall’altalena, buttando fuori rumorosamente dell’aria dai polmoni e infilandosi le mani in tasca, quasi volesse farle notare quanto quella situazione lo innervosisse.
Lei si alzò a sua volta, portandosi a qualche centimetro da Michael, notando come la sua mascella pulsasse nervosa, la sua fronte fosse corrugata dalla rabbia e i suoi solitamente luminosi occhi blu, fossero quasi più scuri a causa della velata tristezza che gli si leggeva in viso.
C’era una sola cosa che Sara poteva fare, non era molto, ma doveva provarci. Tutto pur di rivedere quel sorriso che la faceva impazzire; quel sorriso che solo Michael Scofield sapeva fare.

Gli si avvicinò un po’ di più, una camminata a metà tra il provocante e il rassicurante, e prima di gettargli le braccia al collo, gli sorrise dolcemente.
Lo strinse a sé e senti le mani di Michael salire lentamente sulla sua schiena, quasi insicure, quasi come se stesse cercando di combattere con tutte le sue forze il disperato bisogno di stringerla a sé. Lo stesso bruciante bisogno che sentiva lei e che non immaginava nemmeno lontanamente di negarsi.
Ma nonostante le mani di Michael sembrassero così insicure e impaurite, il solo sentirne il calore sulla sua schiena, le fece nuovamente lo stesso effetto di sempre. Brividi in ogni singola parte del corpo; pensieri che iniziavano ad annebbiarsi, lasciando spazio solo ad immagini di lei e Michael; bocca che velocemente si asciugava portando la salivazione a zero; stomaco che si chiudeva e battito cardiaco che accelerava improvvisamente.

Apparentemente demoralizzata dallo strano comportamento di Michael, Sara allentò leggermente l’abbraccio, sentendo le mani di Michael che dalla sua schiena, scendevano lentamente fino alla sua vita, tirandola leggermente un po’ più a lui.
Quasi incoraggiata da questo suo gesto, gli prese il viso tra le mani e dopo averlo guardato negli occhi per qualche secondo ed avergli sorriso dolcemente, lo avvicinò leggermente al suo, per baciare finalmente quelle labbra che aveva fissato per tutto quel tempo.

Ma come poté notare, anche il modo in cui Michael rispondeva al suo bacio non era lo stesso di sempre. Era come se si stesse trattenendo, come se non si volesse lasciare andare come avrebbe voluto. Le sue labbra di solito sempre così morbide e in sincrono con le sue, ora erano rigide e quasi costrette a quel bacio. Quasi come se quel gesto fosse per lui ripugnante, quasi come se lo facesse vergognare, quasi come se baciarla lo facesse stare male.

“Michael…” Disse Sara interrompendo il bacio e allontanandosi qualche centimetro da lui, tenendo sempre il suo viso tra le sue mani. “Questa è una grandissima occasione per te, sul serio, non capisco perché tu non ne sia più felice.” Il viso di Sara ora era pura euforia, una genuina felicità che avrebbe contagiato anche l’uomo più triste della terra.
Sapere che la persona a cui teneva di più in questo momento aveva un’opportunità del genere, e che soprattutto quella stessa persona aveva deciso di condividere quella notizia con lei, la rendeva raggiante, al settimo cielo.

Sara notò Michael distogliere lo sguardo dal suo per la milionesima volta quella serata, ma aveva bisogno che le sue prossime parole fossero ascoltate attentamente da lui.

Lo costrinse gentilmente a guardarla nuovamente negli occhi, prima di dirgli finalmente quelle parole.
Il problema della gola secca dall’emozione iniziava a farsi sentire e Sara deglutì a fatica prima di iniziare a parlare. “Michael… Questa è la tua occasione, saresti uno stupido a non accettare.” Iniziò a parlare lentamente, quasi fosse sicura che lui non si perdesse un singolo particolare del significato di quelle parole. In più, più tempo ci impiegava, più aveva la possibilità di soppesare le prossime parole che sarebbero uscite dalla sua bocca. “E io non posso permettere alla persona che amo di comportarsi da stupido.” C’era riuscita, aveva appena ammesso che era innamorata di Michael Scofield.

Nello stesso istante in cui quelle parole lasciarono la sua bocca, notò l’espressione dura di Michael sparire per qualche secondo, lasciando spazio ad un ‘mezzo sorriso per niente sorpreso’ , pensò Sara divertita. Purtroppo però, quell’illusione durò solo qualche secondo e la maschera di tristezza tornò a velare nuovamente il viso di Michael.

Sara non ci fece caso, o meglio, decise di ignorarla deliberatamente, concentrandosi e ripensando solo a quel bellissimo sorriso che era durato poco più di mezzo secondo, dopodiché aggiunse: “Michael, devi accettare!” E in uno slancio di quella che tutti avrebbero visto come contagiosa felicità, cercò di baciare nuovamente Michael, che questa volta si scostò bruscamente da lei, lasciandola impietrita e confusa a qualche centimetro da lui.

Ma non fu quel gesto che la distrusse.
Nemmeno la solita espressione dura e triste che quel giorno sembrava campeggiare perenne sul viso perfetto di Michael riuscì a buttarla giù.
Furono le seguenti parole, che le aprirono gli occhi sul perché Michael si fosse comportato così freddamente con lei, a distruggerla.

Lo vide fare qualche altro passo indietro rispetto a lei, prima di sentirgli dire la notizia sconvolgente: “Sara… Il lavoro è a New York.”

E l’ultima cosa che Sara sentì, fu il rumore del suo cuore rompersi in mille pezzi.



A/N: Oki... Ecco che Michael ha finalmente fatto il discorsetto a Sara...
Non il risultato che vi aspettavate, spero! eheheheh
Mah, vedremo come farla continuare... eheheh
Grazie 1000 per aver letto e se vi fermate anche per lasciare commentino, sappiate che mi fa piacere! ^^
Ciao, al prossimo capitolo!

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Capitolo 14
*** Niente più sfumature ***


A/N: Et volià, ecco un nuovo capitolo, eheheh! Buona lettura!!
ps: la lunga parte in corsivo è un flashback!



Michael era seduto sul suo divano a mangiare svogliatamente un sandwich al tonno, mentre alla tv di fronte a lui passavano le immagini di una serie tv che lui adorava e che in altre occasioni lo avrebbe fatto ridere di cuore.
Ma non oggi. Non da qualche giorno a questa parte.

Qualche giorno fa - ‘4 giorni e 12 ore.’ Pensò Michael tra sé – tutto per lui iniziò a prendere una piega inaspettata. Una piega negativa che niente e nessuno sembrava poter riuscire a fargli dimenticare.

Era come se dal giorno in cui lui e Sara parlarono nel parco, la sua vita avesse iniziato una parabola discendente che non accennava a migliorare.
Lui che riusciva sempre a trovare una soluzione a tutto, ora sembrava quasi che avesse perso la voglia di provare a mettere le cose apposto; lui che sorrideva sempre, non importa cosa la vita gli presentava, ora era perennemente triste; lui che riusciva sempre a vedere le sfumature in tutto, ora era entrato in un tunnel i cui unici colori erano il bianco e il nero - ‘più nero che bianco…’ Puntualizzò la vocina.

La mente di Michael tornò a 4 giorni e 12 ore prima.

Il momento in cui lui e Sara parlavano al parco, gli passò di fronte agli occhi come un film proiettato solo per lui.
Rivide fotogramma per fotogramma l’espressione turbata di Sara al solo sentir nominare New York. Il dolore che ancora quella sensazione di averle spezzato il cuore gli causava.

“Sara, ti prego dì qualcosa.” La implorò, pensando di prenderle le mani tra le sue, mentre lei continuava a fissare il vuoto di fronte a sé ignorandolo del tutto.

Più la implorava di dirgli qualcosa, qualunque cosa, più lei restava impassibile, ma con quell’espressione che per Michael valeva veramente più di mille parole.
Ma nonostante sapesse cosa lei stesse pensando in quel momento, finché lei non gli avesse detto di dimenticarsi di lei, di lasciarle assorbire la notizia in pace, di non farsi più vedere, lui sarebbe rimasto lì in quel punto, in quella stessa posizione, con lei per sempre.

Avrebbe pagato tutto l’oro del mondo per poter sentire anche solo parte di tutto quello che in quel momento le passava per la testa.

Lo odiava?

‘Ovvio!’ Gli rispose acida la vocina nella sua testa. ‘Le hai appena spezzato il cuore!’ Continuò.

Michael non pensò nemmeno a controbattere. La vocina aveva ragione.

“Sara…” disse debolmente, quasi in un sussurro, mentre cercava di prenderle il viso tra le mani.

Michael vide Sara scostarsi, fare qualche passo indietro, allontanarsi un po’ da lui, per poi passarsi una mano sugli occhi, quasi a fare schermo alle lacrime che in quel momento avevano iniziato a scorrerle sulle guance.

Michael rimase con le mani a mezz’aria per qualche secondo, prima di farle ricadere lentamente ai lati del suo corpo.

“Non c’è ancora niente di deciso, Sara…” riuscì a dire, sperando che quelle parole la aiutassero a trovare la forza di guardarlo in faccia.

‘Missione fallita.’ Gli disse la vocina, vedendo che Sara continuava a guardare altrove.

Michael fece un piccolo impercettibile passo verso di lei prima di riprendere a parlare. “Potremmo sempre avere una relazione a distanza…” prima di continuare, aspettò una sua reazione di qualche tipo, che però non arrivò. Fece nuovamente un altro passo. “Tornerei qui a Chicago ad ogni minima occasione, ogni singolo week-end…” disse in tono rassicurante, sperando che almeno lei credesse a tutto quello che stava dicendo in quel momento. Non che le stesse mentendo, ma sapeva che tutte quelle promesse erano molto meno facili da realizzare di quanto sembrasse.

Aspettò nuovamente una qualunque reazione di Sara che però sembrava la solita bella ma immobile statua di marmo di qualche secondo prima e fece un altro piccolo passo. “Oppure… so che è egoista da parte mia…” piccolo passo “… ma se solo tu lo volessi…” piccolo passo “… potresti venire tu a New York con me…” altro piccolo passo “Anzi no, voglio che tu venga a New York con me!” Concluse ritrovandosi nuovamente a pochi millimetri da lei, i suoi occhi sempre intenti a fissare la terra ai suoi piedi e le sue mani che ad intervalli irregolari le asciugavano le lacrime che continuavano a bagnarle le guance.

“Non importa come, Sara…” le spostò delicatamente le mani dal viso, “… non importa dove saremo…” continuò, prendendole il viso tra le mani, “… io so che tra noi può funzionare.” Le sollevò dolcemente il viso, cosicché lei potesse vedere il sorriso fiducioso che quelle parole in cui credeva ciecamente avevano fatto comparire ora sulle sue labbra.

“DEVE funzionare.” Sorrise correggendosi, mentre i loro sguardi finalmente si incrociarono.

Sara sorrise e Michael sentì nuovamente quella calda sensazione che sentiva sempre quando le labbra della ragazza di fronte a lui si curvavano in quel dolce movimento che dava vita ad una delle cose che adorava di più: vederla sorridere. Saperla felice.

Quel suo sorriso aveva cambiato tutto.
Gli aveva ricordato che avere fede ripaga sempre.
Gli aveva fatto capire che avrebbe avuto il lieto fine che si aspettava e che entrambi meritavano.
Ora lei gli avrebbe detto che sarebbe partita con lui a New York.

“Non ti libererai tanto facilmente di me, Tancredi.” Sorrise asciugandole col pollice una lacrima dispettosa che le rigava la guancia. Incoraggiato da quel sorriso, Michael si mosse nuovamente ed impercettibilmente verso di lei, siglando quel tanto atteso lieto fine con un bacio che per lui aveva le sembianze di una liberazione.
Ora che aveva messo le carte in tavola, che Sara sapeva tutto, poteva semplicemente pensare al futuro, a loro due.

Purtroppo per Michael però, quel bacio non aveva lo stesso sapore dei precedenti che ricordava tutti nitidamente.
Questo era salato e con uno strano retrogusto amaro e più pensava al perché e meno riusciva a capirlo.

Scostò leggermente il viso da quello di Sara e notò le lacrime che incontrollabili avevano ripreso a rigare le sue guance. “Ecco il perché di quel sapore salato!” Pensò tra sé. “Ma..”

Prima che Michael potesse pensare anche solo una singola parola in più, Sara parlò e in quello che era un soffio di voce, pronunciò le parole che Michael ormai pensava di non sentirsi dire più.

“Devi accettare…” Nonostante il tono bassissimo della voce di Sara, Michael capì ogni singola virgola che la bella statua di marmo di fronte a lui aveva appena detto. “Devi andare a New York…” Michael notò come Sara cercava di singhiozzare il meno possibile di fronte a lui mentre diceva quelle parole che però non sembravano fargli lo stesso effetto che faceva a lei pronunciarle.
Gli aveva detto di accettare, era grandioso!
Questo voleva dire che lei sarebbe andata con lui e che avrebbero iniziato un nuovo capitolo della loro storia insieme in una nuova città!
Un nuovo inizio con la persona che in quel momento per lui era la più importante al mondo, non avrebbe potuto chiedere di meglio!

Sulle labbra di Michael apparve un timido sorriso, portò la mano sul volto di Sara per poterle spostare una ciocca di capelli dispettosa che si ostinava a cadere sul suo viso.
Si avvicinò nuovamente a lei per stringerla forte a sé, ma con stupore la vide allontanarsi, evitare il suo abbraccio.
Uno sguardo interrogativo apparve sul viso di Michael.
Vide Sara prendere un ultimo respiro profondo prima di aprire nuovamente bocca e far uscire quelle tre parole che mai nessuno si aspetta di sentirsi dire.

“… Senza di me…” E come una pugnalata in pieno petto, le parole di Sara lo colpirono senza preavviso.
Quelle amare parole –‘Ed ecco che hai scoperto il perché di quello strano gusto sulle sue labbra.’ Disse la vocina senza cuore che ronzava imperterrita nella sua testa. – lo lasciarono lì inerme, senza possibilità di risposta.
Osservò Sara correre via in lacrime e dileguarsi nella buia notte di Chicago, lasciandolo lì impalato. ‘Ora chi è la statua?’ Lo derise nuovamente la vocina, ma Michael questa volta la ignorò.

Le parole di Sara lo avevano spiazzato.
Andare a New York senza di lei era l’ultima cosa che aspettava di sentirsi dire, ma soprattutto era l’ultima delle cose che avrebbe voluto fare.

Scacciò dalla mente quei brutti ricordi e tornò alla solitudine del suo appartamento.
Il ricordo di quella notte gli fece passare il già poco appetito che aveva. Poggiò il panino sul tavolino di fronte a lui e spense la tv.
Non poteva sopportare di sentire la gente ridere, non quando l’unica cosa che gli andasse di fare era piangere per aver perso lei. Sara.

Prese un lungo sorso d’acqua sperando lo aiutasse a cancellare l’enorme nodo che gli si era formato in gola, dopodiché si stese nuovamente sul divano ed iniziò a fare la cosa che gli era sempre riuscita meglio. Pensare.

L’unica cosa che lo salvava dal ricordare in quel momento, era pensare.
Pensare a come mettere tutto apposto, a come far tornare le cose com’erano, a come riaverla nella sua vita.

Se le cose a cui aveva pensato finora non avevano avuto i risultati sperati, voleva dire che doveva pensare a qualcosa di meglio.

Dopotutto, una delle cose che gli riusciva meglio dopo pensare, era avere fede.


A/N: Per ora è tutto... Come sempre, grazie mille a chi legge e commenta!
Al prossimo capitolo! :)

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Capitolo 15
*** Messaggi ***


A/N: Vi lascio subito alla lettura! Buon divertimento! (si spera! XD)



Era passata ormai una settimana circa da quando Sara aveva detto a Michael di partire da solo a New York e aveva poi deciso di scappare in lacrime lasciandolo solo nel parco.
Per quanto non pensasse affatto di aver fatto la cosa giusta, Sara cercava ogni giorno di convincersi che non c’era altra via d’uscita a quel problema.
Michael l’aveva quasi portata davanti ad un bivio –cosa che la vocina smentiva prontamente, ma che Sara continuava ad ignorare imperterrita. Lei era la vittima, fine della discussione.

“Ma se sono la vittima, com’è che mi sento da schifo?” Pensò a voce alta, osservando il suo riflesso allo specchio.

Si mise delle ciocche di capelli dietro le orecchie e sbuffando, studiò il riflesso di fronte a lei.
Le tante notte insonni passate a piangere per lui, stavano avendo un effetto devastante sul suo viso che di solito era sempre rilassato, luminoso e sorridente. Le borse che aveva sotto gli occhi erano un chiaro segnale che qualcosa non andava bene.
Ogni notte diventava sempre peggio e quando sembrava che finalmente le crisi di pianto stavano per calmarsi, c’era sempre quel maledetto peluche che le ricordava lui, del loro primo appuntamento al Luna Park.
Si portò le mani sugli occhi per impedire a nuove lacrime di solcare le sue guance.
Per un piccolo, minuscolo secondo fu addirittura capace di sorridere alla sua figura riflessa.
Non aveva mai pensato che un essere umano fosse capace di piangere così tanto!

‘Non è certo una cosa che ti insegnano al corso di Medicina!’ Ironizzò la vocina.
Dopotutto aveva ragione, in fondo aveva pianto anche troppo in quei lunghi, lunghissimi sette giorni senza di lui.
Uno come Michael non si meritava certo tutte quelle lacrime, no?
Dopotutto, il mondo era pieno di ragazzi come lui, perfino meglio, vero?
Michael Scofield non era certo uno su un milione, avrebbe presto trovato qualcuno che l’avrebbe nuovamente fatta sentire speciale, come faceva lui, anche di più, giusto?

‘Uff, ma chi vuoi prendere in giro?’ Disse la vocina nella sua testa. Al sentire quelle parole, Sara sbuffò nuovamente, guardando torvo la sé stessa riflessa allo specchio, prima di poggiare la testa sul muro dietro di lei e portarsi le mani sugli occhi appena chiusi.

Per quanto Sara cercasse di non stare a sentire la vocina nella sua testa, sapeva anche che la vocina aveva dannatamente ragione. Chi voleva prendere in giro? Sé stessa? Beh, se era questo che stava cercando di fare, aveva appena capito che aveva fallito in pieno!
Quello che provava per Michael era palese perfino per una stupida vocina che vagava nella sua testa, come poteva non esserlo per lei?
Più cercava di negarlo, più sapeva che Michael le mancava da morire. Il suo profumo, il suo sorriso, le sue mani, i suoi occhi, il modo in cui la guardava, quando la chiamava Tancredi…

Scosse la testa e tornò a guardare la sua figura riflessa. Avrebbe fatto di tutto per riaverlo, perfino mollare tutto e partire a New York con lui.

‘Se solo non fossi così testarda…’ Disse la vocina sconsolata.

Sara scosse la testa, la vocina aveva nuovamente ragione. Ma se non fosse stata così testarda, probabilmente non sarebbe arrivata dov’era ora. Probabilmente sarebbe stata schiacciata dal peso di essere la figlia del Governatore e tutt’ora starebbe vivendo all’ombra di suo padre, sotto la sua ala protettrice.

‘O…’ Disse la vocina. ‘Lavoreresti in uno squallido ospedale, vivendo una vita triste e solitaria, perdendo l’occasione di vivere una perfetta storia d’amore con l’uomo perfetto che rinuncerebbe ad una grande occasione di lavoro che aspetta da una vita, solo per poter stare con te… Oh già, questa è la vita che stai vivendo ora!!’ Ancora una volta la vocina aveva fatto centro. Aveva usato il metodo dell’andarci giù pesante, ma almeno aveva tutto un senso.

Poggiò le spalle al muro più vicino a si rannicchiò a terra.
Ancora una volta lei sembrava la cattiva della situazione. Era lei che aveva rinunciato a lui, all’uomo che amava, solo per permettergli di afferrare al volo l’occasione della vita -quella che aspettava da sempre e che meritava. E mentre lui sarebbe stato felice a New York, lei avrebbe passato il resto della vita a Chicago a chiedersi come sarebbe stato se…
Interruppe il treno di pensieri perché una domanda le vagava per la testa: com’è che tutto questo la rendeva cattiva? Com’è che sacrificarsi per lui, la rendeva la colpevole di tutto? Lei era quella che sarebbe stata triste e sola, non lui!

‘Sara, sai benissimo perché…’ la riprese la vocina. ‘Hai paura del cambiamento che lui potrebbe portare nella tua vita. Hai terrore di quello che sarà o potrebbe essere.’ La vocina questa volta non era acida, ma tranquilla e quasi compassionevole. ‘Ma soprattutto hai una paura folle che quello che tu speri accada, in realtà non succeda mai.’ Continuò la vocina. ‘Hai paura che Michael faccia come tutti quelli che ci son stati prima di lui, che ti lasci indietro.’ Sara sussultò al ricordo di quanto avesse sofferto per colpa di tutti gli uomini che avevano fatto parte della sua vita, incluso suo padre. ‘E nonostante questa paura ti divori da anni, sai anche che Michael non è come gli altri, l’hai sempre saputo. La prima cosa che ti ha colpito di lui è stata proprio questa!’ Continuò la vocina dandole forza. ‘Beh, questa e anche quei suoi occhi e quelle mani…’ Sara sorrise, la vocina stava iniziando ad addentrarsi in tutt’altro discorso, per cui la tagliò fuori dai suoi pensieri, riconoscente per averla fatta riflettere un po’.

Sara si alzò da terra e questa volta notò che l’espressione della sua immagine riflessa allo specchio era un po’ più distesa di quanto non fosse qualche minuto prima.
Sorrise debolmente alla sua figura, dopodiché uscì dal bagno e si diresse in cucina per prepararsi un caffè.

‘E poi, sul serio Sara, pensi che per te sarebbe così facile dimenticarlo dopo tutto quello che si è inventato dopo che tu hai iniziato ad evitarlo?’ La vocina riprese a parlare senza preavviso proprio mentre lei riempiva la caffettiera con del profumato caffè, che per poco non le scivolò dalle mani. ‘Devi ammettere che il ragazzo è ostinato! Direi testardo quasi quanto te!’ Concluse, lasciando Sara libera di riflettere su quelle parole e di fare quello che era giusto.

Sara ricordava eccome quello che Michael si era inventato per lei in quei giorni in cui lei l’aveva deliberatamente ignorato. Il suo sguardo andò immediatamente a posarsi sul cestino in vimini che teneva sul tavolino di fronte al divano.
Da quando aveva smesso di rispondere ai suoi messaggi, alle sue chiamate e aveva chiaramente deciso di ignorarlo quando bussava alla sua porta, Michael aveva trovato un modo originale e tutto suo per cercare di farle capire che tutto quello che voleva, era lei; che tutto quello di cui aveva veramente bisogno, era averla vicino, farle sapere che le cose tra loro potevano ancora essere aggiustate. Farle capire che c’era una soluzione al loro problema e che lui aveva quella soluzione che avrebbe rimesso le cose apposto.

Velocemente si spostò dalla cucina al salotto e si sedette sul divano, portandosi in grembo quel piccolo cestino in vimini.
Lo fissò per qualche secondo, prima di rovesciarne il contenuto su di lei.
Una pioggia leggera di origami di varie forme e colori le piovve addosso.

Come ogni volta che iniziava quel rituale con i suoi origami, subito le tornò alla memoria la loro prima colazione insieme. Fu lì che seppe che Michael aveva una passione per gli origami e per i suoi vari significati. Fu lì che lui le regalò il suo primo origami, un fiore.
Buttò la testa all’indietro e chiuse gli occhi per impedire che si riempissero nuovamente di lacrime, dopodiché, quando il pericolo fu scongiurato, prese un respiro profondo e tornò ad osservare i tanti origami che stavano sul suo grembo.

Sorrise, dopodiché lentamente, li prese uno ad uno e li rimise nel piccolo cestino di fianco a lei, attenta a lasciare quelli piegati a forma di un cigno fuori dal cestino.
Una volta finito, poggiò il cestino nuovamente sul tavolo e iniziò a raggruppare tutti i cigni sul suo grembo.
Prese in mano il primo e aprì leggermente un’ala, attenta a non rovinarlo. Non se lo sarebbe mai perdonata.
Trovò il messaggio che Michael le aveva lasciato e che ormai lei sapeva a memoria. “Non puoi lasciarmi così, Tancredi.” Lo rilesse a voce alta, ma sentire il suo cognome pronunciato da una bocca e da una voce diversa da quelle di Michael, le portavano solo tanta tristezza. Adorava quando la chiamava così. Prima di lui, nessuno l’aveva mai chiamata in quel modo, forse perché la sua reazione al solo sentire pronunciare quelle 3 sillabe, non era delle migliori. Ma lui… lui riusciva a rendere musicale e piacevole perfino quelle 3 sillabe che per Sara avevano sempre e solo significato tristezza e una croce da portarsi dietro.
Sarà stata colpa del modo in cui lo diceva, della dolcezza che ci metteva, del modo in cui la guardava…

Chiuse gli occhi e prese nuovamente un respiro profondo, dopodiché richiuse l’ala del cigno e lo rimise nel cestino con tutti gli altri origami, prima di prenderne un altro.
Aprì dolcemente un’ala e lesse a voce alta il messaggio. “Non puoi farmi andare a NY prima di aver avuto quella serata pizza e film che ti avevo promesso.”
Questa volta non poté evitare di sorridere nel ricordare quella notte. La notte del loro primo appuntamento. Il Luna Park, le giostre, lo zucchero filato, il pupazzo che aveva vinto per lei e che l’aveva quasi costretta a chiamare Michael Scofield II, l’imbarazzo del saluto finale, indecisa se abbracciarlo o meno.

Ancora una volta sentì gli occhi riempirsi di lacrime che minacciavano di caderle sul viso da un momento all’altro. Chiuse gli occhi sperando che ancora una volta questo gesto la aiutasse a frenarle.
Cercò di non pensarci e ripose anche questo origami tra tutti gli altri nel cestino.
Ne rimaneva solo uno da leggere, ma ormai non aveva nemmeno più bisogno di aprirlo per ricordarne il messaggio. “So che c’è un modo per mettere le cose apposto tra noi.” Disse fissando il cigno che teneva in mano, per quella che le sembrò un’eternità.

L’improvviso squillo del suo cellulare la riportò alla realtà. Ripose anche l’ultimo cigno insieme a tutti gli altri e si precipitò a prendere il suo cellulare che stava ancora nella borsetta dalla notte prima. C’era solo una persona che l’avrebbe chiamata a quell’ora del mattino, per cui non si preoccupò nemmeno di guardare il nome nel display e rispose senza pensarci. “Hey Katy!” Disse con voce squillante, sicura al 100% che dall’altra parte del telefono ci fosse l’amica.

“Hey Sara!” Rispose altrettanto squillante Katy. “Rileggevi gli origami che ti ha mandato, eh?” Chiese con tatto, teneramente, notando che la voce dell’amica era leggermente roca a causa delle recenti lacrime.

“Beccata!” Rispose Sara ridendo. “Mi ritengo colpevole!” Continuò, asciugandosi una lacrima che aveva iniziato a rigarle la guancia.

“Hey, che ne dici se passo da te ora?” Propose Katy, sperando di tirarla un po’ su di morale.

“Sicura di voler rischiare tanto?” Le chiese, cercando di restare seria. “Lo sai vero, che potresti andare incontro ad una ragazza terribilmente lagnosa?” La avvertì ridendo.

“Mai più lagnosa di mia madre che mi vuole costringere a passare al setaccio ogni singolo negozio di Chicago che venda tendine da cucina!” Disse seria, facendo ridere Sara di cuore. “In più prometto di portare con me quelle patatine che adori tanto sgranocchiare. Che ne pensi?”

“Penso che ora sì che si ragiona!” Rispose divertita. “Sai benissimo che senza quelle patatine, non potresti mai mettere piede in casa mia!” Aggiunse cercando invano di suonare seria.

“Ovviamente!” Rispose altrettanto seria Katy.

“Allora aspetto te e le patatine tra pochissimo!” Disse cambiando tono e suonando assolutamente impaziente di rivedere la sua amica e farsi stringere forte da lei. Dopo aver riletto gli origami di Michael, aveva disperatamente bisogno di un abbraccio.

Chiuse la telefonata e poggiò il cellulare sul mobile di fronte a lei.
La casa aveva bisogno di una ripulita e, stranamente, la cosa rallegrava Sara. Se era occupata con le faccende di casa, avrebbe avuto meno tempo per pensare a lui. E poi, onestamente… la casa aveva decisamente bisogno di una ripulita, dopotutto stava aspettando ospiti di lì a poco.



A/N:  Prometto che questa volta non parlerò a vanvera.
Volevo solo ringraziare di cuore chi, nonostante questa storia sembri infinita e io non aggiorni spessissimo (purtroppo la colpa è della fantasia, non mia), sia ancora qui a leggere questa storia. Grazie, grazie e ancora GRAZIE!!!
Ovviamente, grazie anche a chi ha commentato finora e a chi lo farà in futuro! :) *ily fa capire che ha bisogno di un po' di incoraggiamento* XD XD

ps: tra l'altro (in teoria) ancora 4-5 capitoli e avremo finalmente il capitolo finale! :)

Al prossimo aggiornamento! :)

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Capitolo 16
*** Cambiamento ***


A/N: Capitolo 16, gente!! Siamo agli sgoccioli ormai!! Ancora qualche altro capitolo e poi finalmente questa storia sarà finita! XD
E dico finalmente solo perchè è almeno da un anno che la trascino avanti, tra momenti in cui non so come andrà avanti e altri in cui vorrei spremermi il più possibile per dargli una fine degna di essere chiamata tale!
Ad ogni modo, ecco a voi il capitolo! :)



Katie raggiunse casa di Sara nel giro di mezz’ora e una volta parcheggiata la macchina, scese e iniziò a camminare verso il portoncino di casa dell’amica.
Il sole era già alto in cielo e Katie pensava che Sara sarebbe dovuta essere in giro a fare shopping, invece che stare chiusa in casa a piangere per Michael.

Certo, fosse stato per lei, avrebbe già trascinato Sara in centro o al parco per prendere una boccata d’aria, ma ormai, dopo tutti gli anni passati ad essere la sua migliore amica, Katie sapeva che Sara, dopo una rottura con un ragazzo, aveva bisogno di passare qualche giorno di clausura a piangersi addosso. Certo, solitamente il “rito” durava solo 2, massimo 3 giorni, ma questa volta per Sara era stato veramente tanto difficile chiudere il capitolo Michael. Anche se Katie non era tanto convinta che l’amica avesse realmente scritto la parola fine riguardo Michael e quello che provava per lui.

Camminando verso la porta di casa, notò che Sara aveva posta. Infilò leggermente qualche dito nella fessura della cassetta e riuscì ad estranee solo una delle tante buste.

Bussò alla porta di Sara e l’amica le aprì quasi subito.

“Hey, dove sono le mie patatine?” Sara aprì la porta con un’espressione minacciosa alla quale Katie non crebbe nemmeno per un secondo. Al solo sentir nominare le patatine e la minaccia di Sara, entrambe scoppiarono a ridere.

“Non preoccuparti, mantengo sempre le mie promesse!” Rispose Katie agitando la busta che teneva nella mano sinistra.

“Ottimo, entra pure.” Rispose Sara, facendo accomodare l’amica in casa.

“Sembra tu abbia tantissima posta.” Le disse Katie, porgendole la busta che era riuscita a prendere qualche secondo prima dalla cassetta.

“Ah sì?” Chiese Sara sorpresa, prendendo in mano la busta che l’amica le porgeva. “In effetti è un bel po’ che non metto il muso fuori da casa, a quanto pare il mondo sente la mia mancanza!” Sorrise, mentre apriva la busta.

La taglio lateralmente e soffiò leggermente per far sì che i due lembi si separassero.
Guardò dentro la busta e quello che vide la fece rimanere di sasso.
Alla sola vista di quell’origami, sentì le gambe cedere e dovette sedersi sul divano dietro di lei.
In effetti si sarebbe dovuta aspettare una cosa del genere, dopotutto era passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta che ne aveva ricevuto uno.

‘Uhm. Dovevi aspettartelo?!?!’ Chiese incredula la vocina. ‘Se non mi sbaglio sei tu quella che ha ignorato volontariamente lui e i suoi origami, perché mai avrebbe dovuto mandartene di nuovi???’ Chiese sempre più shockata dai pensieri di Sara. ‘A quanto pare il ragazzo è proprio stupido.’ Proseguì sconsolata.

Al solo sentirle dare dello stupido a Michael, Sara relegò la vocina a quella parte di pensieri che le veniva facile ignorare.

“Hey, tutto bene?” Chiese preoccupata Katie, notando la reazione di Sara al contenuto della lettera.
L’amica non fece in tempo a chiederle quale fosse il contenuto della busta, perché Sara lo tolse per mostrarglielo.
Alla sola vista dell’origami a forma di cigno che l’amica teneva in mano, Katie capì il perché di quella sua reazione di qualche secondo prima.

Michael aveva mandato un altro origami e quasi sicuramente anche questo aveva un messaggio nascosto sotto un’ala.

Katie si sedette vicino a Sara, in attesa che l’amica dicesse o facesse qualcosa, invece di limitarsi a fissare il cigno di carta che teneva in mano.

“Pensi che anche questo abbia un messaggio?” Le chiese cercando di suonare meno curiosa di quanto in realtà non fosse.

“Dalla forma, penso di sì…” Rispose Sara, non togliendo mai lo sguardo dall’origami. “Ogni cigno che mi ha mandato aveva sempre un messaggio scritto sotto una delle due ali.” Proseguì. “Perché mai questo dovrebbe essere diverso?” Chiese riflessiva più a sé stessa che all’amica.

“Beh, non che tu gli abbia dato tante motivazione per continuare a scriverti dei messaggi…” Disse senza pensarci.

Al sentire quelle parole, Sara voltò di scatto il viso per guardare negli occhi Katie, che in quel momento aveva un’espressione alquanto imbarazzata. Si sarebbe dovuta mordere la lingua invece di dirle quello che pensava onestamente.

“Sara… Scusami, non volevo-” Katie cercò di scusarsi, ma Sara la interruppe.

“No, hai ragione.” Disse sorridendo. “In fondo, perché dovrebbe continuare a mandarmi origami e scrivermi messaggi, quando io in fondo l’ho ignorato?” Il sorriso di circostanza che aveva ora in viso, fece capire a Katie che le parole che le aveva detto, l’avevano colpita più di quanto volesse far credere. “E poi, hai detto anche tu che la cassetta delle lettere era piena e io non la controllo da giorni, chissà a quando risale questo origami.” Ancora una volta aveva quel sorriso finto sulle labbra, sperando di far credere all’amica che tutto andava bene.
Posò l’origami sul tavolino di fronte a sé, prima di alzarsi e proporre all’amica di iniziare a sgranocchiare le patatine che aveva portato.

Katie accettò senza controbattere, dopotutto aveva già fatto parecchi danni in quei pochi minuti, non aveva certo intenzione di peggiorare la situazione.

Le due passarono ore sul divano a sgranocchiare patatine, sorseggiare una bibita fresca e a parlare del più e del meno e di tutti i gossip che Sara si era persa a lavoro, in questi giorni di ferie che si era presa.
Fu contenta di sapere che la signora Miller era finalmente guarita ed era stata dimessa, anche se le spezzò il cuore che questo fosse successo quando lei non era in servizio. Aveva sempre avuto un debole per quella vecchietta e non poterla salutare le fece venire un po’ di malinconia.
Fortuna che Katie aveva tenuto il migliore racconto per ultimo. Le raccontò dello scherzo che lei e le altre avevano messo a punto per il gigolò dell’ospedale, Phil, e la cosa la fece ridere talmente tanto, che una volta smesso di ridere, sentì un dolore fortissimo alla pancia.

“Oddio, era anni che non ridevo così!” Disse Sara, prima di riprendere a ridere.

“Immagina come stavamo ridotte noi che abbiamo visto tutta la scena!” Disse Katie ridendo a sua volta.

“Scommetto 3 delle mie patatine, che è stata un’idea di Laura!” Disse Sara mangiando una delle sue patatine, quando la risata diminuì il tanto che bastava per riempirsi la bocca.

“Vinceresti la scommessa.” Le sorrise Katie. “Si sa che lei e gli scherzi vanno molto d’accordo.” Sorrise prendendo anche lei una patatina e portandosela alla bocca.

Sara annuì, prima di continuare. “Ma fargli credere che la Dottoressa Robertson lo voleva nudo nello sgabuzzino e riuscire a fargli addirittura indossare un costume da infermiera sexy… Wow, questo va veramente oltre la genialità!” E l’immaginarsi nuovamente quella scena, la fece ancora una volta scoppiare a ridere, seguita a ruota da Katie.

La parola genialità, portò alla mente di Sara il ricordo di Michael. Come sarebbe potuto essere altrimenti?
Quello che stava facendo per cercare di conquistarla nuovamente era a dir poco geniale e più e più volte le aveva fatto venir voglia di correre a bussare alla porta di casa sua per dirgli che era stata una stupida a comportarsi in quel modo e che avrebbe voluto riprendere le cose da dove le avevano interrotte.

“Hey, tutto apposto?” Katie la riportò alla realtà del suo appartamento.

“Uhm, no.” Sorrise all’amica. “Ripensavo all’origami.” Disse poggiando sul tavolo il pacchetto di patatine che teneva in mano e riprendendo l’origami.

“Controllerai mai se ha un messaggio oppure no?” Chiese Katie poggiando a sua volta il suo pacchetto di patatine vicino a quello di Sara.

“Beh, penso sia ora di scoprirlo, non credi?” Prese un respiro, dopodiché apri un’ala per volta, trovando anche in questo origami un messaggio. Sara lo lesse, restando shockata da quelle parole.

“La tua faccia non indica niente di buono.” Le fece notare Katie.

Sara invece di dirle quello che c’era scritto, le porse l’origami cosicché l’amica potesse leggere da sé quelle parole che l’avevano lasciata di sasso.

Katie prese l’origami senza pensarci due volte e delicatamente riaprì l’ala che si era chiusa.
Lei lesse a voce alta il messaggio. "Lascia che io sia il tuo cambiamento."
Leggendo quelle parole, capì immediatamente perché avevano lasciato l’amica così sorpresa.

“Wow! E questa come gli è venuta?” Si chiese sorpresa a sua volta.

“Non ne ho idea Katie. Quello che so è che è la stessa frase che io avevo usato nel mio annuario.” Le disse Sara scuotendo la testa ancora incredula dalle parole scritte sull’origami.

“Sì, la ricordo. Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.” Disse Katie ricordando la frase. “Ma come poteva sapere della tua frase? Sono sicura che è una coincidenza.” Disse, cercando di tranquillizzare l’amica e riportare le cose alla normalità.

“No Katie. Non conoscerò Michael Scofield da anni, ma lo conosco abbastanza da sapere con certezza che con lui niente è mai una coincidenza.” Sorrise leggermente nel sentirsi dire che conosceva Michael. Per quanto quella frase potesse suonare stupida detta da due persone che si conoscono a malapena, Sara sapeva che quella frase aveva senso pure pronunciata da lei.

“Beh, razionalizziamo il tutto.” Disse seria Katie cercando nuovamente di tranquillizzare Sara. “Mi hai detto che ha frequentato la Loyola, no?” Sara annuì. “Sono più che certa che una volta saputo che tu hai frequentato la North-Western, ha chiesto a qualche suo vecchio amico che ha frequentato il tuo stesso College, di andare a cercarti nell’annuario…”

“Ha senso…” Disse Sara corrugando la fronte, mentre elaborava quest’opzione.

“Fatto sta che è stato un gesto veramente carino.” Sorrise Katie, notando l’espressione quasi lusingata dell’amica. Si poteva capire quanto Sara fosse colpita da questo gesto. Quella frase di Ghandi per lei significava tanto, sia in quanto dottore, che in quanto essere umano che voleva fare la differenza per sé stessa e gli altri.

“Direi anche troppo carino, Katie.” Disse Sara sconsolata portandosi le mani sugli occhi. “Son già abbastanza confusa di mio, non ho bisogno che lui mi confonda le idee ancora di più.”

“Beh, Sara…” disse l’amica alzandosi dal divano e poggiando il piccolo cigno di carta vicino a tutti gli altri. “Fossi in te, la prima cosa che farei domani, sarebbe andare da lui, ringraziarlo dell’origami e provare a parlargli.”

“Già, sarebbe senz’altro la cosa più sensata da fare…” Disse poco convinta di quelle parole.

“Sara, la verità è che tra qualche giorno, lui salirà su un aereo per New York e tu non avrai più l’occasione di dirgli tutto quello che ti sei tenuta dentro in questa settimana. Per favore, dimmi almeno che ci penserai su, ok?” Le disse con fare quasi da sorella maggiore.

Sara sorrise teneramente nel notare quanto l’amica tenesse a lei. Sapeva che Katie voleva solo il meglio per lei, per cui se le suggeriva di andare a parlare con Michael, Sara era sicura che quella era la cosa più giusta fa fare. “Certo Katie.” Le sorrise nuovamente, prima di alzarsi a sua volta dal divano e stringerla in un forte abbraccio. “Grazie di tutto.” Le sussurrò Sara, stringendola sempre più a sé.

“Non dirlo nemmeno per scherzo.” La rimproverò buffamente Katie. “Lo sai che io per te ci sono e sarò sempre.”

“Beh, sempre potrebbe finire presto, visto che sei già in ritardo per il tuo appuntamento con il tuo ragazzo.” Sorrise Sara tra le lacrime di commozione per quel momento toccante.

“Oh beh, sarò come sempre in elegante ritardo.” Sorrise Katie a sua volta, asciugandosi una lacrima. “Ti chiamo domani per gli aggiornamenti.” Disse Katie stringendola nuovamente forte a sé, prima che Sara la accompagnasse alla porta.

Poco prima di raggiungere la sua macchina, Katie notò che Sara si era leggermente sporta per guardare almeno di sfuggita in direzione di casa di Michael. Il notare che le luci erano tutte spente, di certo non le aveva fatto piacere.
Katie conosceva Sara e di sicuro nello stesso istante in cui aveva capito che lui non era in casa, si era immaginata mille scenari diversi in cui Michael faceva chissà che cosa.

Katie salì in macchina e accese il motore.

Prima di partire, gettò di sfuggita un’occhiata a Sara che la salutava dalla porta di casa sua e un’altra occhiata veloce andò a casa di Michael.
Katie era contenta che Sara avesse ricevuto quell’ennesimo origami da parte sua, ma soprattutto era contenta che Michael avesse usato proprio quella frase.
Dopotutto era un ragazzo molto bravo ad ascoltare.

Katie sorrise ancora una volta all’amica e partì.



A/N: Sperando che vi sia piaciuto, vi dò appuntamento al prossimo capitolo, che è già scritto ma che non so quando posterò perchè penso abbia bisogno ancora di una modifica o due... Vedremo! :P

Come sempre, grazie a chi si prende la briga di leggere e lasciare un commentino! :)

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Capitolo 17
*** Consigli ***


A/N: Ecco il capitolo 17, meno 3 alla fine! ;) Buona lettura!!



Michael ripensava a quello che era successo qualche giorno prima e aspettava nervosamente qualche segno di vita da Sara.
Ormai erano passate intere settimane dall’ultima volta che si erano parlati al parco e lei sembrava riuscire a pensare od ogni singolo stratagemma per evitarlo.

Ritornò con la mente al giorno in cui Katie passò a trovarlo in ufficio.

“Michael, c’è una ragazza che ha urgente bisogno di parlarti.” Disse Flo affacciandosi nel suo studio.

“Un’altra cliente? Ti avevo detto che in questi ultimi giorni non volevo incarichi, Flo.” Rispose, senza nemmeno guardarla in faccia.

“Sembra che questo sia molto più importante di un incarico di lavoro.” Michael alzò lo sguardo e la vide sorridere. “La faccio accomodare.” Dopodiché gli fece l’occhiolino e Michael la vide sparire per qualche secondo, per poi riapparire con una ragazza di colore che aveva già visto prima.

“Con permesso.” Disse Flo uscendo dallo studio e chiudendosi la porta alle spalle, lasciando Michael e Katie soli, liberi di parlare.

“Finalmente, dopo aver sentito tanto parlare di te, ho il piacere di conoscerti.” Disse Katie porgendo la mano ad un Michael esterrefatto di trovarsela di fronte.

Michael si alzò, andandole incontro. “Uhm, piacere mio.” Le rispose, stringendole la mano. “Accomodati pure.” Disse indicando la sedia di fronte a lui.

Rimasero entrambi in silenzio, senza ben sapere cosa dire e come dirlo. “Come sta?” Chiese senza riuscire a trattenersi un secondo di più.

“Non dovrei dirtelo, ma è a pezzi.” Michael sentì una stretta al cuore. Non voleva che Sara fosse triste, soprattutto non per colpa sua. “Rilegge senza sosta i tuoi origami.” Michael annuì in silenzio, deglutendo a fatica. “E’ da un po’ che non viene a lavoro e non esce di casa.” Michael prese un respiro profondo, massaggiandosi le tempie e pensando già a cosa fare per risolvere questa situazione. “Non sono venuta qui per far ingrossare il tuo ego da macho e farti sapere che c’è una ragazza che sta male per te.” Sentì gli occhi di Katie quasi bruciarlo, dall’intensità con cui lo guardavano.

“Sapere che sta così per colpa mia non ingrossa il mio ego.” Rispose subito, alzando lo sguardo a sua volta e fissando gli occhi castani della persona di fronte a lui, quasi stessero facendo una sfida a chi fosse il più deciso e testardo. “Mi fa stare solo peggio.”

“Ottimo.” Annuì Katie e nuovamente il silenzio calò tra loro due.

“Non so se Sara te lo ha mai accennato, ma quando frequentava la North-Western, Ghandi è stato una figura abbastanza importante nelle scelte che ha fatto.” Michael vide Katie alzarsi in piedi e fare avanti ed indietro per il suo studio, mentre continuava a parlare. “In particolare una sua frase, l’ha accompagnata per tutti gli anni fino alla laurea, diventando la frase che ha deciso di usare nel suo annuario.” Michael ascoltava rapito ogni parola che usciva dalla sua bocca, cercando di capire il senso di quel discorso. “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.” Katie recitò, fissando un punto indefinito, quasi fosse in trance.

Michael la vide avvicinarsi nuovamente alla sua scrivania, poggiando entrambe le mani e inchinandosi verso di lui. “Il punto è, che lei ora ha bisogno di un cambiamento, Michael.” Socchiuse gli occhi osservandola, sempre più confuso. “Ha bisogno di uscire, di riprendere a vivere e questo dovrà succedere con o senza di te.” Katie chinò la testa di lato e si allontanò da lui, incamminandosi verso la porta. “Sta a te decidere.” Dopodiché, aprì la porta e uscì, lasciandolo a fissare la porta del suo studio, con mille pensieri che gli vagavano per la testa.

Sorrise, sapendo immediatamente cosa avrebbe dovuto fare.

Smise di ricordare, tornando con la mente alla realtà.

Erano passati alcuni giorni da quando aveva lasciato l’ultimo origami nella cassetta delle lettere di Sara e aveva atteso invano una sua qualsiasi reazione.

Katie aveva ragione, Sara non poteva continuare ad andare avanti in quel modo. Aveva bisogno di tornare a vivere e lui voleva far parte della sua vita.

Però in fondo, sapeva anche che se era riuscito a farla soffrire in quel modo una volta, avrebbe potuto farlo anche una seconda, per cui forse lui non era la persona adatta a stare con lei.

Sara aveva bisogno di un uomo che la facesse sentire speciale ogni singolo giorno della sua vita, perché una ragazza come lei non la si trova ogni giorno per strada.

Aveva bisogno di uomo che le ripetesse ogni singolo giorno quanto l’amasse e quanto fosse dannatamente fortunato che una persona come lei avesse scelto di passare il resto della sua vita con lui.

Aveva bisogno di un uomo che fosse la sua roccia, che fosse presente per lei quando tutto andava male, che riuscisse a rassicurarla quando ogni singola nuvola nel cielo faceva presagire una tempesta.

E lui avrebbe pagato oro per essere quella persona, ma la verità era che dopo tutto quello che era successo nell’ultimo periodo, Michael si sentiva tutto tranne che un uomo.

Cambiare aria avrebbe fatto bene ad entrambi e probabilmente li avrebbe aiutati a capire che in fondo non erano destinati a stare insieme.
Forse nel mondo c’era un’altra ragazza che gli avrebbe fatto provare emozioni ancora più profonde di quelle che aveva provato con Sara nel breve periodo passato insieme.
E probabilmente nel mondo c’era un uomo che aspettava solo di imbattersi in Sara per renderla felice come meritava.

E più ci pensava, più desiderava di poter credere a quello che si ripeteva, ma la verità era che c’era solo un pensiero che gli ronzava nella mente, ossia che lui e Sara erano le rispettive metà della stessa mela.

Caricò le valigie nel bagagliaio del taxi che lo stava aspettando e lanciò un’ultima occhiata alla casa che era stata sua per tanti anni e a quella di Sara, l’ultima arrivata che gli aveva rubato il cuore.

Il tassista chiuse il bagagliaio e si incamminò verso il posto di guida, aprendo lo sportello e salendo in macchina.
Michael indossò gli occhiali da sole e aprendo lo sportello del passeggero, salì a sua volta in macchina, senza mai spostare lo sguardo da quelle due case che ormai sarebbero state solo un ricordo del suo passato.

“Immagino che con tutti quei bagagli sia diretto all’aeroporto, eh?” Disse il tassista, cercando di fare il simpatico.

La verità era che probabilmente in un’altra situazione Michael avrebbe anche potuto sorridergli ed essere divertito dalla sua battuta. Ma non oggi. Non quando una parte importante di sé gli veniva strappata in quel modo.

Si limitò ad annuire, mentre il punto che non smetteva di fissare si faceva sempre più piccolo, finché il taxi non girò l’angolo, costringendolo a fissare l’asfalto di fronte a sé che scorreva veloce sotto le ruote della macchina.

Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.

Solo che il cambiamento a cui stava assistendo, non era quello che aveva sempre sognato.



A/N: Al prossimo update ;)

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Capitolo 18
*** Toc-Toc ***


A/N: Anche se questa storia ormai è dimenticata dal mondo XD io continuo ad aggiornarla, soprattutto ora che manca così poco alla fine.

Ecco il capitolo 18. :)




Sara rileggeva per l’ennesima volta l’ultimo origami che aveva ricevuto da Michael qualche giorno prima.

Sapeva che avrebbe dovuto farsi viva con lui già da tempo, ma la verità era che ogni volta che ci aveva provato, che si era ritrovata di fronte a casa sua, pronta per bussare, qualcosa l’aveva sempre trattenuta, costringendola a tornare velocemente sui suoi passi e a rinchiudersi dentro casa.

Ma Katie aveva ragione, ormai non poteva più aspettare, doveva fare qualcosa se non voleva che Michael pensasse che di lui non le interessasse più nulla.

‘E ovviamente ignorarlo incessantemente come hai fatto ultimamente, è stato un ottimo modo per farglielo capire.’ Disse ironica la vocina, irritando Sara che in quel momento aveva una soglia di pazienza molto bassa.

Mise l’origami nella tasca destra dei pantaloni, come a volersi dare la forza per andare fino in fondo, e uscì di casa, diretta alla porta di Michael. ‘Wow, sembri addirittura convinta!’ La prese in giro la vocina, avendo lo strano effetto di darle la forza di andare avanti.

Notò tutte le finestre chiuse e le tapparelle abbassate e una strana sensazione iniziò a farsi spazio in lei.

‘Oh-oh, sembra che qualcuno sia arrivato in ritardo.’
 Disse la vocina, quasi prendendola in giro.

Sara pensò che la cosa ideale da fare in quel momento era ignorarla e ricacciarla indietro, sempre più decisa ad andare fino in fondo questa volta.

Si avvicinò sempre più alla porta e notò alcune lettere che riempivano la cassetta delle lettere di Michael, come se quel giorno si fosse dimenticato di controllare la posta.

Ignorò quel particolare, pensando che forse anche lui, come lei, aveva fatto poca vita sociale nell’ultimo periodo.

In fondo, se non fosse stato per Katie, nemmeno lei avrebbe ritirato la posta nell’ultimo periodo.
Forse Michael stava vivendo un periodo buio quanto lei, a causa di quell’ultimo discorso che avevano avuto nel parco.

‘Certo, e i maiali volano grazie alla polverina magica e a tanti pensieri positivi!’
Le disse la vocina, dando vita ai pensieri negativi che le annebbiavano la mente.

Decise che avrebbe continuato ad ignorarla finché avrebbe potuto, finché non avesse avuto una prova evidente che le sue paure fossero fondate.

‘Guarda che siamo in due a volere che tu e lui torniate insieme.’
La vocina riprese a parlarle. ‘Pensa che inferno sarebbe per te passare la vita a sentirmi dire come sarebbe stato se…’

Il pensiero di che incubo sarebbe stata la vita con la vocina che le rinfacciava in eterno tutto quello, le diede forza e alzò finalmente il braccio, pronta a bussare alla porta di Michael.

Era sul punto di bussare, quando una voce mai sentita prima d’ora la fece trasalire, costringendola a girarsi. “Uhm, cerchi qualcuno?” Le chiese l’omone di fronte a lei che reggeva delle scatole, quasi stesse traslocando.

Si ritrovò di fronte un ragazzo alto, dalle spalle larghe e dai capelli corti, più o meno quanto quelli di Michael. Le scatole che reggeva in mano sembravano poco pesanti, dallo sforzo quasi inesistente che il ragazzo di fronte a lei stava facendo.

Lo vide camminare verso di lei e notò come anche lui avesse gli occhi chiari, simili a quelli di Michael, ma non uguali. In effetti era anche abbastanza diverso da Michael e Sara pensò che non potessero essere parenti.

‘E come spieghiamo gli scatoloni che regge e il suo passo deciso verso la casa del tuo principe azzurro?’
La vocina si intromise nuovamente, distraendola per qualche secondo.

“Un amico.” Rispose, sperando che il ragazzo la lasciasse in pace, cosicché potesse riprendere a fare quello che stava facendo qualche secondo prima.

“Ah sì?” Le chiese incuriosito, poggiando gli scatoloni di fianco a lui e incrociando le braccia al petto, squadrando Sara da capo a piedi. “Conosci Michael?” Le chiese improvvisamente, senza che lei se lo aspettasse.

Quindi alla fine la vocina aveva ragione, l’omone di fronte a lei conosceva Michael.

“Sì.” Rispose Sara, senza sapere cos’altro aggiungere. Vide l’uomo di fronte a sé sorridere, prima di esplodere in una risata. “Ti diverte il fatto che io lo conosca?” Chiese confusa, senza riuscire a decifrare il comportamento dello strano ragazzo di fronte a lei.

“Rido perché sei una bugiarda.” Disse smettendo finalmente di ridere. “Se lo conoscessi come dici, sapresti che è inutile rimanere di fronte alla porta e bussare.” Sara lo guardò sempre più confusa, incapace di capire cosa volesse dire. “Ha deciso di anticipare il suo volo per New York perché a quanto pare quello che stava aspettando non è successo.” Le spiegò, scrollando le spalle.

‘Ta-daa!’ Disse la vocina nella sua testa, rimarcando la sorpresa di quella notizia che nessuno si aspettava. ‘Quando si parla di colpo di scena…’

Sara era in stato catatonico, senza alcuna possibilità di dire o fare qualcosa. Era sicura di avere un’espressione indecifrabile in quel momento, che poteva essere scambiata come sorpresa, ma che in realtà era un misto di shock e paura.

Michael era partito.

Era partito senza che lei potesse dirle nemmeno addio, o che avesse avuto l’occasione di parlargli un’ultima volta.

“Tutto apposto?” Chiese preoccupato il ragazzo di fianco a lei, ma Sara non si disturbò a rispondergli, ancora sotto shock da quelle parole che avevano distrutto ogni sua sicurezza.

Mise istintivamente una mano in tasca e vi trovò l’origami che aveva scordato di aver infilato. Lo tolse fuori e aprì una delle ali per rileggere l’ultimo messaggio che le aveva lasciato.

Con sua sorpresa, invece di quello che si aspettava, trovò una cosa che non aveva mai notato prima, un nuovo messaggio.

28/4 – 22:30 – O’Hare

Il viso di Sara sbiancò ulteriormente, capendo al volo quello che Michael aveva voluto intendere. ‘Oggi alle 22:30 all’aeroporto O’Hare.’ Controllò subito l’orologio per sapere se fosse ancora in tempo per raggiungerlo. ’21:55’ Pensò leggendo l’ora.

“Uhm, hey tutto apposto?” Chiese nuovamente la voce di fianco a lei, questa volta preoccupata nel notare che ogni traccia di colore era sparita dalle guance di Sara.

“No.” Disse girandosi a guardarlo. “Potrei avere appena perso il cambiamento che volevo nel mio mondo.”

Il ragazzo di fronte a lei la guardò confuso, non avendo la minima idea di cosa stesse parlando, nè di cosa potesse fare per aiutarla.

“C’è qualcosa che posso fare per lei?” Chiese mettendo da parte l’atteggiamento sfrontato di qualche istante prima e sperando sinceramente di esserle utile.

“Dipende.” Disse, una piccola speranza che iniziò a farsi largo in lei. “Quanto veloce pensa di riuscire a guidare?”





A/N: Volevo lasciare le cose un po' in sospeso, sperando di lasciarvi con l'ansia di scoprire cosa succederà alla fine. XD
Che lo vogliate o no, al prossimo capitolo! ;)

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Capitolo 19
*** Prova a prenderlo ***


A/N: Ultimo capitolo. Buona lettura! :)





“Allora, dove vuoi che corra?” Le chiese l’omone seduto al volante, ma prima che Sara potesse rispondergli, le fece subito un’altra domanda. “Ti dispiace se ti do del tu? Non sono mai stato bravo con le formalità.” Stava iniziando a parlare troppo e a perdere tempo e questo a Sara non piaceva. Aveva una fretta assurda di arrivare all’aeroporto in tempo e non poteva permettersi il lusso di restare lì a fare discorsi inutili.

“Certo. Ora però ti prego, partiamo.” Si girò ad osservarlo, guardandolo negli occhi e sperando che lui ci vedesse la disperazione che provava in quel momento.
Quell’uomo sarebbe stato la sua rovina o la sua fortuna.

“Certo. Dove andiamo così di fretta?” Disse girando la chiave e facendo prendere vita al motore che iniziò a rombare.

“O’Hare International.” Disse Sara risoluta, allacciando la cintura e reggendosi forte. “E abbiamo dannatamente fretta.”

L’uomo scrollò le spalle e diede subito gas, partendo velocemente e facendo un rumore irritante con le ruote della macchina. Sara vide un sorriso di compiacimento sul suo viso e un minimo di pentimento bussò alla porta della sua coscienza.
Le avevano insegnato fin da piccola ad andarci piano con gli sconosciuti, soprattutto a non salire in macchina con loro e ora che stava sperimentando un giro in macchina con questo ragazzo appena conosciuto, il perché di quelle parole le sembrava così chiaro.

‘L’ultima volta che hai accettato l’aiuto di uno sconosciuto ti è andata bene però…’ Disse la vocina, che questa volta sembrava dalla sua parte. Sara gliene fu grata e una nuova ondata di fiducia la aiutò a vedere tutto più chiaramente.
Sarebbe riuscita ad arrivare in tempo all’aeroporto e sarebbe riuscita a convincere Michael a ripensarci. Per quanto egoista fosse, gli avrebbe chiesto di rinunciare a New York per lei.

“Allora,” disse il ragazzo, risvegliandola dai suoi pensieri, “cosa andiamo a fare all’O’Hare?” Chiese curioso. “Non vorrai scappare via con me.” Sorrise, mentre aumentava di poco la velocità. “Dammi ancora qualche giorno per conoscerti, e sono sicuro che potrei cambiare idea.”

Sara sorrise, era grata a questo ragazzo che la stava aiutando senza alcun motivo. Dopotutto, cosa ci guadagnava lui in tutto questo? Niente.

“Beh, a dire il vero spero proprio che nessuno oggi parta.” Vide il ragazzo guardarla brevemente confuso, prima di rimettere gli occhi sulla strada e accelerare ancora un po’.

“Sai che sei davvero criptica?” Disse sorridendo. “Il tuo cambiamento che non c’è più.” Disse citando la frase di Sara di qualche minuto prima. “Impedire che qualcuno parta.” Ripeté la sua ultima frase. “Potrei pensare che A: sei una terrorista.” Sara rise, senza però rilassarsi completamente. “O B: che hai perso qualcosa di veramente importante.” Questa volta il tono del ragazzo si fece più serio e il sorriso sul viso di Sara sparì completamente, lasciando spazio ad un espressione triste e seria.

Non aveva idea di quanto vicino fosse andato alla verità.

Ma c’era ancora una possibilità che niente fosse perduto del tutto. C’era ancora il tempo dalla sua parte – ‘più o meno.’ Pensò, lanciando un’occhiata veloce all’orologio e notando che erano già le 22:10.

“E per quanto strano possa suonare,” il ragazzo riprese a parlare, finendo il suo discorso, “spero tanto per te che sia l’opzione A.” Sara sorrise leggermente, abbassando lo sguardo sulle sue mani che tenevano ancora stretto l’ultimo origami che Michael le aveva mandato.

“Quello cos’è?” Chiese curioso.

Sara trasalì e infilò subito in tasca il suo origami, quasi irritata che quel ragazzo l’avesse visto. “Uhm, niente.” Rispose, pensando ad una risposta un po’ meno acida. “Beh, è un regalo.”

Vide il ragazzo annuire in silenzio, senza mai togliere gli occhi dalla strada. “Capisco. Dev’essere speciale, visto quanto ci tieni e ne sei gelosa.” Lo vide sorridere, mentre si fermava ad uno stop. Sara sapeva che si riferiva al fatto che non appena lui l’avesse nominato, lei l’aveva subito messo in tasca.

“Uhm, quanto siamo lontani dall’aeroporto?” Gli chiese, cambiando argomento.

“Beh, ad occhio e croce direi ancora 20 minuti buoni.” Spiegò, ripartendo. “A che ora è l’aereo della persona che stiamo andando a fermare?” Sara socchiuse gli occhi e lo fissò. Se non ricordava male, non aveva mai detto chiaramente che stava andando lì per fermare qualcuno. ‘Perspicace il ragazzo!’ Pensò la vocina e Sara non poté fare a meno di darle ragione.

Improvvisamente, sbiancò nel realizzare quello che prima non aveva processato. Se ci avessero veramente impiegato 20 minuti, l’aereo di Michael sarebbe già partito quando loro sarebbero arrivati lì. “22:30.” Si limitò a rispondere, ormai senza speranza.

“Allora direi che è il caso di reggersi forte e di usare una scorciatoia.”

Prima che Sara se ne potesse rendere conto, il ragazzo fece una sterzata brusca, entrando in una stradina secondaria ed accelerando sempre di più.

Ormai nessuno dei due parlava e Sara riusciva a notare solo la concentrazione nella guida del ragazzo, che curva dopo curva, e stradina dopo stradina, sembrava rosicchiare minuti vitali per lei.

“Riesco a vederlo.” Disse Sara notando in lontananza le luci che provenivano dall’aeroporto.

“Già.” Si limitò a risponderle, entrando in una nuova stradina che Sara non aveva mai visto prima.

Per quanto questo ragazzo stesse facendo il possibile per lei, una persona le venne in mente. Quanto avrebbe voluto avere Katie al suo fianco in questo momento. Aveva sempre pensato che se avesse dovuto fare una corsa contro il tempo per impedire a qualcuno di partire, lei sarebbe stata al suo fianco. Invece, tutto questo stava succedendo con un ragazzo mai visto.

“Non mi hai nemmeno detto il tuo nome.” Il ragazzo le chiese improvvisamente, senza mai staccare gli occhi dall’asfalto di fronte a lui.

“Sara.” Rispose semplicemente, reggendosi un po’ più forte dopo un’accelerata improvvisa della macchina.

“D’accordo Sara, tra qualche minuto saremo lì, ok?” Sara annuì, mentre al solo pensiero di essere arrivata in tempo, il cuore prese a batterle sempre più forte. “Una volta lì, c’è solo una cosa che devi fare, se vuoi fermare questa persona.” Sara corrugò la fronte confusa, senza però interrompere il ragazzo. “Corri.” Le sorrise, frenando bruscamente la macchina di fronte all’entrata principale dell’aeroporto.

Sara scosse la testa confusa, rendendosi conto che erano arrivati in tempo.
Slacciò il più velocemente possibile la cintura e aprendo lo sportello esitò un momento. “Non ho neanche idea di quale sia il tuo nome, di come possa ringraziarti, di -”

Il ragazzo la interruppe. “Oh tranquilla Sara, ho la strana sensazione che ci rivedremo presto.” Le sorrise, convinto delle parole che aveva appena detto.
Chiuse lo sportello della macchina, senza pensarci su più di tanto e si precipitò dentro l’aeroporto.

Lanciò un’occhiata veloce alle lancette del grande orologio che stava appeso sulla parete. ’22:20’ aveva ancora 10 minuti per trovare l’uscita per il volo e soprattutto per trovare Michael.

Sara si precipitò ad osservare la lista di voli presente sul tabellone, aspettando ansiosa che venisse mostrato il Gate da cui sarebbe partito il volo di Michael. “Andiamo, andiamo!” Disse irritata, proprio quando sullo schermo apparve l’informazione che serviva a lei. “Gate 18!” Esclamò e subito iniziò a correre freneticamente alla ricerca del gate, evitando le centinaia di persone che camminavano nella direzione opposta alla sua.

Trovò una specie di mappa dell’aeroporto che indicava ogni singola uscita presente.
Cercando quella che interessava a lei, tirò un sospiro di sollievo nel notare che il gate 18 si trovava a pochi metri da lei.

Prese a correre il più veloce che poteva, dirigendosi verso la barriera che era ovviamente colma di gente. Sapeva che di lì non si passava se non si aveva un biglietto, per cui si diresse alla biglietteria che fortunatamente era deserta e chiese velocemente un biglietto per New York.

La ragazza incaricata dei biglietti, fu sorprendentemente veloce e Sara corse via, dimenticandosi lì il portafoglio e i suoi documenti. Sentì la voce della ragazza richiamarla, chiederle di tornare indietro, ma Sara pensò che sarebbe sempre potuta tornare a ritirarli più tardi.

Corse nuovamente verso la barriera, superando le persone di fronte a lei, che le imprecavano contro, e chiedendo scusa.

“Signorina, c’è una fila da rispettare.” La ammonì il poliziotto incaricato di far passare le persone sotto il metal detector.

“Ha ragione,” rispose Sara ormai senza fiato, “ma la prego, è urgente.” Gli porse il biglietto e passò sotto il metal detector che ovviamente prese a suonare.

“Signorina, torni indietro e i suoi documenti, per favore.” Disse severo il poliziotto.

Sara chiuse gli occhi, poggiando le mani sui fianchi e piegando la testa in avanti.
Non poteva permettersi di perdere tempo e c’era solo una cosa che doveva fare, anche se questa l’avrebbe cacciata in un mare di guai.
Ripensò alle parole del ragazzo che l’aveva portata fin lì: ‘c’è solo una cosa che devi fare, se vuoi fermare questa persona. Corri.’

Seguendo quelle parole, prese a correre, lasciando di stucco il poliziotto ed ogni singola persona che aspettava il suo turno per passare sotto il metal detector.

Corse più veloce che poteva, anche se ormai era senza fiato. Sentì il poliziotto dietro di lei dare l’annuncio ai colleghi di fermare una squilibrata senza documenti, né bagagli che si dirigeva all’uscita 18, ma a Sara non importò nulla. Avrebbero potuto farle qualsiasi cosa una volta che fosse riuscita a fermare Michael.

Percorse il lungo corridoio che portava all’uscita 18 nel giro di qualche secondo e si fermò, quasi congelata, quando lo trovò deserto.
Si guardò lentamente a destra e a sinistra, cercando quel volto familiare che aveva desiderato tanto vedere.

Non trovandolo, lo sconforto ebbe la meglio su di lei e le gambe le cedettero, facendola cadere al suolo. Seduta sulle ginocchia, fissava il vuoto di fronte a lei e per un breve istante sentì delle voci che parlavano di lei e che decidevano di lasciarla lì, in quella posizione.

Era stata talmente disperata e talmente concentrata nella corsa, che aveva scordato di  controllare minuto per minuto il suo orologio, per tenersi aggiornata con l’orario.

‘Ero così vicino.’ Si disse, trovando la forza per alzarsi.

Si sedette disperata su una delle sedie blu dell’aeroporto nei pressi dell’uscita del volo che Michael aveva ormai preso.
Guardò fuori dai grandi finestroni, vedendo un aereo appena decollato e fu sicura che Michael era lì su.

Cascate di lacrime inarrestabili iniziarono a rigarle il viso e lei non fece nulla per fermarle.
Si coprì il viso con le mani e portò tutto il peso del corpo in avanti, poggiando le braccia sulle cosce e lasciandosi andare a quel pianto liberatorio che sperava l’avrebbe aiutata a diminuire il dolore per quella perdita.

Se solo fosse stata meno testarda, meno orgogliosa, forse Michael sarebbe stato lì di fianco a lei in quel momento. O forse sarebbero stati a casa insieme, scherzando su come sarebbe stato romantico se lei l’avesse inseguito fino all’aeroporto per fermarlo.

Odiava i se e ora l’avrebbero accompagnata per sempre per il resto della sua vita.
Questa era la punizione che si meritava per aver agito come aveva agito.

Improvvisamente, una mano le si poggiò sulla spalla e Sara alzò subito lo sguardo per vedere chi era così insensibile da disturbare quel suo momento così privato.

“Serve aiuto, signorina?” Le chiese l’inserviente di fronte a lei e Sara per un momento pensò di scrollarsi quella mano di dosso e versare tutta la rabbia e la frustrazione che sentiva in quel momento, su quel povero signore che non aveva fatto nulla di male.

“No.” Disse scuotendo la testa e tirando un po’ su col naso. “Grazie.” Aggiunse, rendendosi conto di essere stata troppo sgarbata.

L’uomo di fronte a lei le sorrise e si diresse verso i bagni per finire le sue pulizie.

Quando la visuale di fronte a lei fu libera, quello che vide le tolse il respiro.

“Michael?” Sussurrò all’uomo che la fissava immobile a distanza di qualche metro, le valige poggiate a terra.

Non sapeva se quello fosse uno scherzò della sua mente o se l’uomo che la fissava senza mai spostare lo sguardo, era lo stesso uomo che lei aveva voluto disperatamente rivedere per impedirgli di partire.

Anche se stava a qualche metro da lui, Sara poteva notare come i lineamenti del viso di Michael fossero meno vivaci del solito.
Anche da lontano si poteva notare come la sua barba fosse incolta e le occhiaie gli cerchiassero gli occhi, quasi non fosse riuscito a dormire bene nell’ultimo periodo.

“Michael!” Senza pensarci due volte, si alzò velocemente dalla sedia su cui sedeva e si precipitò di corsa verso di lui, saltandogli addosso non appena si ritrovò alla distanza giusta.

Senza esitare, Michael la strinse a sua volta. Sara non aveva dimenticato il calore che il suo corpo emanava quando la stringeva forte a sé e la sensazione di sentirsi le sue forti braccia intorno alla vita le toglievano il respiro come succedeva sempre.

Istintivamente portò le gambe a cingere la vita di Michael, quasi volesse impedirgli di lasciarla nuovamente, stringendo la presa il più possibile per averlo ancora più vicino.

“Che ci fai qui, Tancredi?” Le chiese e Sara dovette spostare di poco il viso per vedere quel sorriso magnifico illuminargli nuovamente il viso.
 
“Sono venuta a fermarti.” Rispose semplicemente, senza mai spostare lo sguardo dai suoi occhi blu che qualche secondo prima le sembravano così spenti, e che ora brillavano come li aveva visti l’ultima volta. “Tu piuttosto, che ci fai qui?!” Gli chiese, ricordandosi che l’orario di partenza del suo aereo era passato già da un bel po’.

“Un ritardo.” Si limitò a risponderle, ma Sara notò uno strano sorriso sulle sue labbra e sapeva che c’era qualcosa sotto.

“Bugiardo.” Gli rispose, serrando leggermente gli occhi per intimorirlo, ma fallendo miseramente a causa del grande sorriso che aveva sulle labbra.
Era da tanto che non sorrideva così, che non si sentiva così completa.

Sara abbassò lo sguardo per un secondo, pensando a quella domanda che doveva fargli, ma la cui risposta la spaventava a morte. “Allora, prenderai il prossimo aereo o…”

“Tutto quello di cui ho bisogno, è qui a Chicago.” Si limitò a risponderle e Sara sentì il cuore prendere a battere all’impazzata; le farfalle che per tutti questi giorni erano rimaste assopite nel suo stomaco, presero improvvisamente vita.

Non poté evitare di sorridergli, un sorriso che non esprimeva al meglio tutte i sentimenti positivi che provava in quel momento. Strinse le braccia dietro il suo collo, costringendolo più vicino a lei. “Detto questo, penso che ora tu possa baciarmi, Scofield.” Gli sorrise maliziosa, chinando leggermente la testa di lato, in attesa che lui obbedisse al suo ordine.

Michael non se lo fece ripetere due volte e subito si sporse verso di lei, catturando le sue labbra, come aveva desiderato fare ogni singolo giorno da quando avevano avuto quella discussione.

Il bacio inizialmente dolce e lento, aumentò sempre più il ritmo, fino a diventare un bacio passionale, di quelli che mostravano tutto il bisogno disperato che avevano l’uno dell’altra.

Rimasero per un tempo infinito lì, l’uno delle braccia dell’altro, sentendo l’uno il calore dell’altro, che ad entrambi era mancato così tanto negli ultimi giorni.

In quel momento, non importava più chi avesse ragione o chi avesse torto, in quel momento importava solo che loro due fossero nuovamente insieme.





A/N: Il prossimo sarà l'epilogo che concluderà una volta per tutte la storia :) Al prossimo e ultimo aggiornamento :)

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Capitolo 20
*** Epilogo - I live in his neighborhood ***


A/N: Dopo almeno due anni che questa storia si trascina avanti XD sono lieta di presentarvi l'ultimo capitolo di HE LIVES IN MY NEIGHBORHOOD

Buona lettura! :)





Era una mattina di un Aprile tiepido, in quel di Chicago. Tutto sembrava andare per il verso giusto in quel momento.
Gli uccellini cantavano felici sui rami degli alberi in fiore, il cielo era di un celeste quasi abbagliante, mentre qualche nuvola bianca, soffice ed innocua faceva capolino e giocava a nascondere il sole per qualche secondo.

Sara respirò profondamente, lasciando che la brezza primaverile le accarezzasse la pelle e le scompigliasse dolcemente i lunghi capelli castani che le cadevano dolcemente sulle spalle.

Erano passati all’incirca sei anni da quella sera all’aeroporto e non poteva certo dire che la sua vita non fosse cambiata radicalmente da quel giorno.

“Serve aiuto con queste scatole?” Chiese una voce alle sue spalle, portandola con la memoria, indietro di qualche anno, a quando si era trasferita qui.

“Direi proprio di sì!” Rispose girandosi verso quella voce e portandosi una mano di fronte agli occhi per farsi scudo dei raggi del sole.

“Accettare aiuti dagli sconosciuti…” Disse la voce fintamente delusa da quel suo comportamento. “Sai che prima o poi ti metterà nei guai, vero?” Il proprietario di quella voce scosse la testa, avvicinandosi un po’ di più a lei e mettendole protettivo le braccia in vita, chiudendola in un dolce abbraccio. “Non si sa mai chi ti potresti trovare davanti.” Le fece notare serio, i loro visi a pochi centimetri di distanza.

“Beh, le ultime volte che l’ho fatto mi è andata benissimo…” Disse maliziosa, portando le braccia dietro al collo dell’uomo che la stringeva a sé.

“Non è detto che sarai così fortunata anche una terza volta.” Le disse sorridendole, avvicinando impercettibilmente il suo viso a quello della ragazza.

Sara chinò leggermente il viso di lato, scrollando le spalle. “Beh, dicono che la fortuna aiuti gli audaci, no?” Chiese retorica, non lasciando il tempo all’uomo davanti a lei, di risponderle.

I due, uno nelle braccia dell’altro, fermi sul marciapiede che dava su un giardino di una candida casa, si scambiarono un lungo e tenero bacio, mentre una piccola ombra scese dalla macchina parcheggiata di fianco a loro.

“Mamma, Papà!” Disse una bimba dai lunghi capelli biondo-ramati, cercando di richiamare la loro attenzione. “La montiamo la bici?” Li pregò, sgranando i grandi occhi blu, mentre indicava le scatole nel bagagliaio.

Sara si allontanò sorridendo da Michael e prese in braccio sua figlia, la sua piccola bambolina che aveva così tanta voglia di imparare a pedalare. “Certo Christina, adesso io e papà la montiamo.” La rassicurò, baciandole dolcemente la fronte e facendole un po’ di solletico in pancia, come le piaceva tanto. La bimba rise divertita dal comportamento della mamma e la strinse forte schioccandole un forte bacio sulla guancia. “Vero Michael?” Gli chiese, notando come si era incantato a guardare le donne più importanti della sua vita, ridere e divertirsi insieme. Michael adorava perdersi nel sorriso di sua figlia, che gli ricordava tanto quello di Sara, lo stesso sorriso che l’aveva stregato qualche tempo fa.
Non riusciva ancora a credere che tutto questo fosse successo a lui.
La donna che amava follemente, le aveva dato quello che aveva sempre sognato. Una vita perfetta che avrebbe vissuto con una famiglia perfetta.

“Mhm, non lo so.” Disse facendo il vago e grattandosi i cortissimi capelli sulla testa. “Potrei essere geloso per quel bacio.” Disse, avvicinandosi alla figlia. “Sai che papà non riesce a lavorare se è triste.” Aggiunse con una faccia triste, coprendosi il viso come se fosse pronto a scoppiare a piangere.

“Oh, papà è triste!” Esclamò Sara, notando come la figlia fosse preoccupata dalla reazione del padre. “Perché non dai anche un bacio a lui, eh?” Le chiese, notando che la sua piccola bambolina annuì subito, sempre pronta a far tornare il sorriso sulle labbra del padre.

“Papà non devi essere triste!” Lo rassicurò, scendendo a terra e avvicinandosi a lui. Michael tolse le mani dal viso e la guardò, cercando di sembrare triste e nascondendole il tenero sorriso che sua figlia gli faceva apparire ogni volta sulle labbra. “Io ti voglio tanto bene.” Lo rassicurò, mentre Michael la prendeva in braccio. “E ti faccio una carezza.” Disse, passandogli dolcemente una mano sulla guancia. “E ti do un bacio forte, forte!” Prese il viso del padre tra le mani e diede due grossi baci su entrambe le guance di Michael. “Però tu non piangere più, perché io e mamma ti vogliamo tanto bene! Vero mamma?” Si girò verso la madre per la conferma alla sua domanda.

“Verissimo!” Disse Sara, divertita da quella scena. Adorava Michael e Christina, e se qualcuno qualche tempo fa le avrebbe detto che trasferendosi in quel quartiere avrebbe avuto tutto questo… Beh, avrebbe detto che era un pazzo!

“Chi vuole costruire la bici?” Chiese Michael qualche urlando, scherzando con sua figlia.

“Io!! Io!!” Gridò a sua volta Christina, contenta che finalmente quel momento fosse arrivato.

Michael la mise a terra e la osservò prendere la mano di Sara, mentre lui finiva di prendeva tutte le scatole dal bagagliaio, per poi portarle in casa.

Non ci avrebbe messo molto a montare la piccola bici di Christina e la piccola altalena a due sedili che lui e Sara avevano deciso di comprarle. Al luna park dove la portavano ogni sera, le altalene non c’erano e Michael e Sara pensavano entrambi che una bambina dovesse sapere cosa si provava a stare a qualche metro da terra, con le gambe libere di dondolare su e giù e il vento che ti scompiglia i capelli.

Il parco che stava dietro casa loro, quello con il grande lago e le altalene che aveva occupato gran parte dell’infanzia di Michael, era stato demolito qualche anno prima che Christina nascesse e al suo posto era stata costruita una scuola materna.

“Bene!” Disse ironico, notando che le istruzioni per montare la bici erano solo in cinese. “Ovviamente sono in cinese.” Continuò, grattandosi la testa e studiando le immagini presenti nel foglietto che reggeva in mano.

“Ottimo, vedremo in azione il genio che è Michael Scofield!” Scherzò Sara divertita, mentre Michael alzava un sopracciglio come a raccogliere la sfida che la moglie gli aveva appena lanciato.

“Vedrai piccola, qualche minuto e potrai andare dai tuoi cugini a mostrare vedere il tuo bolide!” Disse Michael, buttando le istruzioni da una parte, deciso a ignorarle e a seguire il suo istinto.
Riuscì a montare con successo due pezzi, scatenando l’entusiasmo della figlia che lanciò un urletto eccitato nel vedere che piano, piano la bici prendeva forma sotto le mani esperte del padre.

Nel giro di qualche minuto, come Sara si aspettava, la bici arancione di Christina era perfettamente montata.
La piccola corse ad abbracciare il padre e a stampargli nuovamente, su entrambe le guance, due grossi e rumorosi baci. “Papà sei bravissimo!” Disse buttandogli le corte braccia al collo e stringendolo forte a sé.

Michael la strinse a sua volta, emozionato nel vedere la figlia così eccitata per la sua prima bici.
Per un momento ricordò sé stesso a quell’età, quando la madre e il suo patrigno gli regalarono la sua prima bici. Poteva riconoscere la sua eccitazione di quel giorno, negli occhi e nei movimenti di Christina che non vedeva l’ora di provare il suo nuovo regalo.

Spostò lo sguardo per incrociarlo con quello di Sara che guardava la scena da lontano, le braccia incrociate al petto, una spalla poggiata allo stipite della porta e quel sorriso dolce che lui adorava.

Sara fece un cenno con capo, indicando a Michael il giardino e lui annuì, capendo quello che sua moglie intendeva. “Hey piccola,” disse a Christina, che lo stringeva ancora forte, “che ne dici di andare fuori in giardino e provarla?” Non fece in tempo a finire la domanda, che la figlia lanciò un altro urletto eccitato, battendo le mani e saltellando ansiosa di sapere come si guidava una bici.

Tutti e tre uscirono in giardino, Michael con una videocamera per riprendere le prime pedalate sulla bici di sua figlia. Certo, il tutto era semplice grazie alle rotelline montate nella ruota posteriore, ma vedere la propria figlia salire per la prima volta su una bici e divertirsi in quel modo, avrebbe reso orgoglioso ogni padre sulla faccia della terra.

Michael notò che nel giardino di fianco, forse richiamati dalle risate e dagli urletti felici di sua figlia, Lincoln, Veronica e i loro figli, erano usciti per scoprire cosa ci fosse di tanto divertente. Un sorriso apparve sui loro visi.
Lincoln, Veronica e i loro due figli, LJ e Matt, si erano trasferiti ormai da sei anni nella casa di fianco alla loro. La stessa casa che un tempo fu di Michael.
La stessa casa che, se non fosse stato per Sara, probabilmente non avrebbe mai abbandonato. La stessa casa che era stata per tanti anni di sua madre.
Ma ora che lui aveva sua figlia, Christina Rose, non gli serviva più una casa per tenere vivo quel ricordo. Per quello c’era il suo piccolo, grande tesoro, la sua principessina di cui, Michael ne era certo, sua madre sarebbe andata fiera.

Sara lanciò un’occhiata a Lincoln e Veronica e agitò leggermente la mano per salutare tutta l’allegra famiglia che si godeva lo spettacolo della prima pedalata di sua figlia.
Per quanto adorasse Veronica ed andassero estremamente d’accordo, Sara nutriva un affetto ancor più grande per Lincoln.
Non c’era giorno in cui non lo ringraziasse per quella corsa folle all’aeroporto.

Si chiedeva spesso come sarebbero andate le cose se lui non l’avesse accompagnata e soprattutto se non avesse mai mandato quel messaggio a Michael di nascosto, senza che lei nemmeno se ne fosse resa conto.

Sarebbe stato un mistero con cui avrebbe convissuto per sempre, uno di cui non aveva bisogno di sapere la risposta; di cui non voleva sapere la risposta.

Era anche merito di Lincoln se tutto questo era successo. ‘Magari il prossimo Scofield in arrivo potrà essere chiamato in suo onore.’ Pensò accarezzandosi protettiva la pancia che ancora non era segnata da quella recente gravidanza.

Poi il pensiero la colpì. ‘Lincoln Scofield.’ Pensò, fissando prima il cognato, poi il marito. ‘Non potrei mai fare un torto simile a mio figlio!’ Rise tra sé, pensando a quanto male suonassero quel nome e cognome così vicini.

Ma Sara sapeva che in fondo un nome non bastava a ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto per lei; per loro.

Si soffermò nuovamente a guardare suo marito che riprendeva emozionato la loro piccola  figlioletta che pedalava felice sulla sua nuova bici, suonando di tanto in tanto il piccolo clacson che il padre le aveva montato sul manubrio.

Si accarezzò nuovamente la pancia, tornando indietro a qualche anno, quando tutto questo sembrava impossibile.

L’unica cosa a cui riusciva a pensare in quel momento, era che trasferirsi in questo posto fosse stata la cosa migliore che avesse potuto mai fare.
Era stata abituata a cambiare spesso casa, scuola, giro di amicizie per colpa del padre.

Ma da quando Michael era entrato nella sua vita, tutto era cambiato. In meglio.

Ora avrebbe sempre vissuto nel suo quartiere.





A/N: Scontato, sdolcinato, etc... XD Sì, ne sono consapevole, ma dopo aver visto com'è finita la 4 serie, davvero mi volete biasimare per aver voluto darl loro un po' di felicità?! O.o

Son contenta di essere riuscita a finire questa storia, anche perché onestamente pensavo sarebbe rimasta a metà per sempre.

Non mi dilungherò troppo, perché non è il caso XD ma volevo solo ringraziare chi ha letto, recensito o semplicemente si è divertito a leggere questa storia.
Ringrazio anche chi l'ha messa tra i preferiti e tra le storie seguite.

Per cui, penso darò il mio saluto definitivo alla sezione di PB con quest'ultimo capitolo. :)

Grazie ancora e ciao a tutti! ^_^

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