Diario di una pattinatrice (quasi) sempre arrabbiata

di Lilyth
(/viewuser.php?uid=210625)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Per quasi tutta la mia attuale vita, togliendo ovviamente i primi anni, nei quali sono stata una bimbetta comune, ho praticato pattinaggio artistico.
Mi sono avvicinata a questo sport al compimento dei miei quattro anni, sebbene avessi già iniziato (e non continuato) già qualche mesata prima.
Se qualcuno mi chiedesse ora, su due piedi, se credo al colpo di fulmine, non ci sarebbe alcun dubbio sulla mia risposta.
Fu amore.
Non so cosa realmente mi avesse attratto da quella disciplina, i miei coetanei andavano quasi tutti in piscina, i maschietti al massimo si avvicinavano al calcio e le femminucce alla ginnastica artistica o alla danza.
Io volevo pattinare, senza sapere realmente cosa volesse dire.
Iniziai nella palestra della scuola del mio quartiere, piccola e con il pavimento in linoleum nero.
Ho ancora qualche ricordo di quei periodi; io minuscola correvo con i miei pattinini fisher price multicolore e intorno a me delle ragazze, che a me sembravano enormi, sfrecciavano l’una dietro all’altra con i loro body gialli, rossi, bianchi e blu.
Dovetti smettere qualche mese dopo aver iniziato perché mamma era incinta di quella bestia di mio fratello e non riusciva più a portarmi agli allenamenti.
Penso che ne soffrii parecchio (penso perché non ne ho memoria), so solo che appena il nuovo arrivato mise piede dentro casa io espressi il desiderio di tornare alle quattro ruote.
Mamma si impegnò moltissimo a ritrovare l’insegnante che avevo avuto per i primi mesi, ma aveva lasciato la struttura scolastica e nessuno sapeva che fine avesse fatto.
Una mattina, l’ennesima mattina di telefonate e ricerche una signora della quinta circoscrizione ( le sarò grata a vita ) ci lasciò il numero di cellulare di una signora che lei conosceva personalmente e che insegnava pattinaggio in zona Quarticciolo.
Quella sera stessa conobbi Mirella, l’unica insegnante della mia vita, quella sera stessa entrai in un mondo dal quale non sarei mai più uscita.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1 ***


 
Ciao a tutti, sono la vostra pattinatrice ( quasi ) sempre arrabbiata.
Se stato leggendo questo primo capitolo vuol dire che l’introduzione non era così male da abbandonare la lettura ( e me ne compiaccio ).
Che dire, non sarà facile incuriosire persone ignare al mondo del pattinaggio, più che altro perché è uno sport che praticamente viene ignorato dalla maggior parte degli abitanti del pianeta.
Pratico questa disciplina da ormai quattordici anni e calcolando che ora ne ho diciotto direi che è un gran lasso di tempo.
L’ho detto prima e lo ripeto, si  è trattato del tanto agognato colpo di fulmine, un amore veramente fuori dal comune.
Questo amore mi ha spinta per anni a chiedermi “ ma perché nessuno parla dello sport che a me piace tanto?”
Dai, sinceramente noi pattinatori a quattro ruote siamo una classe allontanata e ignorata dalla società.
Ho accettato per anni, poi lo scorso fine settimana sono andata da Decathlon dove da qualche tempo avevano messo in vendita dei pattini a rotelle e non ne ho trovati più neanche un paio.
Contenta che qualcuno si fosse appassionato alla mia ragione di vita ho chiesto ad un commesso quanti ne avessero venduti, la risposta mi ha alquanto infastidita.
 
< ma no signorina, non sono stati venduti, sono stati ritirati dal mercato. Non li voleva nessuno quei cosi li >
 
Attenzione, attenzione…aveva appena definito un pattino “quel coso li”, stava scherzando.
Mi sono allontanata velocemente prima di procurare danni e davanti ai miei occhi ho notato la “biblioteca sportiva” del negozio.
Inutile dire che vengono scritti libri su qualsiasi tipo di sport, tranne che sul mio.
Mio padre non è riuscito a trovare nulla neanche nella libreria sportiva più famosa d’Italia, a Milano.
Perché nessuno, neanche i grandi campioni, si siedono a tavolino e decidono di raccontare la loro esperienza? Hanno paura che il mondo non li capisca?
Non riesco a spiegarmelo!
Ma sapete che c’è? Io ci provo, al diavolo le paure, i pensieri e i soliti inghippi mentali, sarò io la vostra guida al mondo del pattinaggio e comincerò dalle basi, dal lontano ( ma neanche tanto ) 1743, quando nella prima volta il mondo su un palcoscenico di un teatro londinese vide esibirsi un pattinatore ( o pattinatrice, di questo non ho notizie certe).
 
Il pattinaggio artistico a rotelle è uno sport molto simile al pattinaggio su ghiaccio, solo moooolto meno popolare e conosciuto.
Si può praticare da singolo, in coppia o anche in piccoli e grandi gruppi ( dai quattro ai 90 e più partecipanti).
Per poter imparare a pattinare ci vogliono prima di tutto un paio di pattini ( lo so, sono una volpe ), una gran voglia di sperimentarsi e un gran coraggio.
Dovrei stare qui a spiegarvi com’è fatto un pattino, e come si salta e tutti i noiosi rudimenti di base ma, rimanga tra noi, credo che queste cose all’inizio siano veramente, veramente inutili.
Non fraintendetemi, ho studiato questo sport ( soprattutto per passare i due esami che ho alle spalle da allenatrice ) e non sto dicendo che la tecnica da manuale non sia importante, dico solo che non per forza si deve partire da quello quando si parla per la prima volta di pattinaggio.
 
Sono cresciuta con un’insegnante fantastica, cara Mirella, che mi ha portato da cucciola di quattro ad un’adolescente di tredici anni moderatamente brava e con la testa sulle spalle.
Lo so, vi starete chiedendo perché la mia adorata insegnante mi ha portato con se solo fino a tredici anni, ma preferirei lasciare questa parte un po’ meno allegra per dopo, ora devo continuare con i “rudimenti del pattinaggio a modo mio”.
Dicevamo, sono cresciuta con una brava insegnante che, quando ero piccola, non si è neanche lontanamente sognata di mettersi li a raccontarmi tutte le particolarità tecniche di questo sport, mi ha allacciato i pattini ai piedi e mi ha lasciato andare ( metaforicamente parlando ).
La tecnica l’ho appresa a poco a poco senza che nessuno mi spiegasse nulla, sperimentavo, giocavo e capivo.
Ho imparato subito a stare in piedi da sola sui miei pattini numero trentatrè ( che ancora posseggo, appesi al muro ), all’inizio mi erano state bloccate un po’ le ruote per evitare che finissi di faccia contro il muro rovinando così il mio bel faccino, ma dopo circa due settimane dal mio arrivo ero in grado di gironzolare per la pista come tutti gli altri.
No, non mi sto idolatrando, sto solo sottolineando quanto i bambini abbiano maggior capacità e abilità di noi vecchiacci ad adattarsi a nuove cose.
Ridendo e scherzando vi ho introdotto un primo assaggio di “  i rudimenti del pattinaggio”.
Il pattino è composto da una piastra in ferro con attaccate sotto quattro magnifiche ruote che vanno dove vogliono loro.
Come ho detto, quando i pattinatori sono cuccioli e indifesi, non si può permettere alla ruote di girare alla rinfusa, a meno che non desideriamo braccia rotte e pianti disperati.
Quindi, le ruote si bloccano per i primi tempi ( sono infatti attaccate alla piastra tramite una vite e fissate con delle rondelle ) e poi, quando il cucciolo è pronto a spiccare il volo si possono allentare e lasciare correre liberamente.
 
Prima regolina piccola, piccola inserita e scusatemi ma non so come andare avanti. Ci penserò su e, sempre se noterò che almeno qualcuno legge questa roba, questa sera mi siederò nuovamente alla scrivania e sviolinerò qualcosa per voi.
 
Non cadete.
 
- L.v.p (q) s. a -
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 2 ***


Rieccomi!
No, non mi ero dimenticata di aver iniziato questo meraviglioso manuale del pattinatore, la verità è che ho avuto parecchie cose da fare e, soprattutto, non sapevo come andare avanti.
Ho riaperto il mio account da poco e ho avuto il piacere di leggere due commenti di due pattinatrici, che ringrazio molto per avermi fatto sentire il loro supporto morale, per questo sono qui seduta e sto riordinando le idee.
L’ultima volta eravamo rimasti ai rudimenti, del tipo blocchiamo le ruote al pupo se non vogliamo girare per ospedali il giorno stesso che indosserà il primo paio di pattini, oggi continuiamo con qualcosa di più leggero, pochi rudimenti e molta esperienza personale (come mi è stato chiesto).
Che dire, pattino da quattordici anni, la mia vita è stata praticamente sempre e solo questo, quindi ho talmente tante cose da scrivere che rischierò di pubblicare un trattato di diecimila pagine.
Avendo iniziato molto piccola a praticare questo sport non ho mai avuto paura né della velocità, né tanto meno di cadere e rompermi qualcosa, entravo (ed entro tutt’ora) in pista senza pensare a nulla, lasciandomi guidare solo ed esclusivamente dalle mie gambe.
Fino agli undici anni circa potevo essere considerata una bimba prodigio, perché imparavo tutto molto velocemente e rendevo molto bene in gara.
La mia società è sempre stata iscritta in UISP (Unione Italiana Sport per Tutti) e in FIHP ( Federazione Italiana Hockey e Pattinaggio).
Da piccola partecipai e vinsi per tre anni di fila il campionato di Federazione che ai miei tempi si chiamava Millenium ( attualmente è stato ribattezzato Trofeo Lazio).
A dieci anni riuscii a qualificarmi per il mio primo campionato Nazionale, credo fosse a Imola, ero piccola e terrorizzata ma me la cavai piuttosto bene.
Dicevo, fino ad undici anni potevo sembrare una promessa del pattinaggio, poi mi scontrai con il mio nemico numero uno, la cara trottola abbassata.
Per chi non la conoscesse, la trottola abbassata è una difficoltà in cui l’atleta svolge circa tre giri e mezzo facendo pressione sulla ruota interna indietro sinistra, la gamba d’appoggio è appunto la sinistra; l’atleta deve stare piegato formando un angolo di novanta gradi con la gamba portante e il sedere e tenendo la gamba libera (la destra in questo caso) tesa davanti.
Mi rendo conto che scritto così non si capisce molto, ma ci ho provato.
Fatto sta che questa trottola mi fece entrare letteralmente in crisi, non sono mai riuscita a rialzarmi in modo decente.
Ora, non sto qui a dirvi che è tutta colpa di quell’elemento se io non sono diventata la nuova campionessa mondiale in carica, dico solo che fu una batosta morale.
Dal punto di vista dei salti andava invece tutto piuttosto bene, dopo i salti da un giro sono passata ad occhi chiusi all’Axel ( in questo salto l’atleta svolge un giro e mezzo in aria prima di riatterrare sul piede destro) e poi proseguii con i doppi fino al doppio flip e al doppio lutz.
Per le trottole proseguì ugualmente tutto ( surclassando il deficit dell’abbassata interna), imparai ben presto l’abbassata esterna, l’angelo indietro, avanti e anche la spezzata (mi scuso sempre con chi non ne capisce, ma spiegarlo qui con due parole è assai complicato, credetemi).
Cosa successe poi?
Beh, accadde che la bambina prodigio divenne un’adolescente prodigio e, si sa, gli adolescenti sono emotivamente disturbati.
Iniziai ad avere paura delle gare, sudore freddo, ansie, tremore alle gambe ecc…
La mia allenatrice cercò di supportarmi in tutti i modi possibili, ma la lotta con la mia testa sembrava non voler finire.
Riuscii comunque a qualificarmi per altri tre anni ai campionati Nazionali, rispettivamente due volte a Cadenzano e l’ultima volta a Savona.
I tempi d’oro, mio malgrado, erano finiti e, in un certo senso, era iniziata la sfida più grande per un’atleta agonista, combattere contro se stesso.
 
Ho scritto troppo, lo sapevo. Direi che per ora questo capitolo va chiuso.
Non ne sono proprio soddisfatta, ma chi leggerà poi mi dirà.
 
A presto.
 
l. v. p. (q) s. a.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2000285