Dimenticare di essere umani

di Malvagiuo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'ultima missione ***
Capitolo 2: *** L'ultima caccia ***



Capitolo 1
*** L'ultima missione ***


«Via libera».
Il sussurro giunse all’orecchio di Alice come un sospiro di aria gelida. I suoi occhi saettarono da un estremo all’altro del campo visivo. Buona parte della visuale era ostruita dalle fronde lussureggianti degli alberi, oscillanti sotto il leggero soffio della brezza primaverile. I raggi del sole del pomeriggio filtravano attraverso il fogliame, generando un fitto intrico di luci e ombre in tutto il sottobosco. Di tanto in tanto si udiva il cinguettio di qualche uccello nascosto tra i rami, oppure il lieve suono martellante di un picchio intento a beccare un tronco. Entrambi erano buoni segni: dimostravano che loro non erano vicini.
«Avanti» sussurrò in risposta Alice.
Quattro figure accovacciate si sollevarono in piedi, avanzando con circospezione lungo il manto erboso. Il gruppo si muoveva con la massima cautela, attento a non provocare il minimo rumore. Anche se la zona pareva sicura, non si poteva mai essere davvero certi di qualcosa. I tempi delle relative certezze erano finiti da molto. Solo Alice aveva con sé un’arma da fuoco, con l’ordine di non usarla se non per questione di vita o di morte.
Emersero dalla boscaglia uno per volta, a circa dieci passi di distanza uno dall’altro. Il silenzio era pressoché totale. L’erba del campo arrivava al ginocchio, ma non rappresentava un problema. Loro non erano abbastanza evoluti da tendere agguati.
Alice fece ancora segno di procedere. A trenta metri di distanza si stagliava netta la sagoma dell’edificio, un blocco in cemento alto quattro metri con una sola via d’accesso. La facciata era coperta da un velo di muschio verdastro, mentre l’edera aveva cominciato a inglobarla. Il posto sembrava disabitato da almeno un anno, in concordanza con le descrizioni ricevute. La loro speranza era che fosse stato abbandonato in fretta e furia. In tal caso, c’erano buone probabilità che fossero stati lasciati dei rifornimenti, di qualunque tipo.
Alice era in testa alla colonna. La sua mano destra impugnava la calibro 9 con la sicura inserita. All’erta per ogni segnale sospetto, colmò rapidamente la distanza che la separava dalla porta metallica verniciata di marrone scuro. Con un cenno della mano sinistra, invitò il resto dei compagni a fermarsi. Accostò l’orecchio alla superficie della porta e ascoltò per qualche momento. Nessun suono dall’interno.
Afferrò la maniglia e la torse verso il basso. La serratura era bloccata.
“Merda” pensò, con amarezza. “Se hanno avuto il tempo di chiuderla, significa che non è stata una fuga precipitosa.”
Probabilmente, quello che avevano di fronte era un deposito vuoto. Ma non potevano andare prima di esserne certi.
«Rob!» chiamò Alice.
Biondo e dagli occhi azzurri, con il bel volto pallido ricoperto da uno strato di polvere e il fisico magro e asciutto, Rob le si avvicinò. Appoggiò lo zaino per terra ed estrasse un lungo piede di porco. Glielo porse e si allontanò a distanza di sicurezza.
Gli altri conoscevano la procedura. Si disposero in cerchio, con lo sguardo rivolto verso l’esterno, in modo da individuare subito un’eventuale minaccia e dare l’allarme. Alice armeggiò con l’attrezzo per una decina di secondi, ma dopo un paio di energiche pressioni la porta si spalancò. Il fracasso echeggiò nei dintorni per quelle che sembrarono ore.
«Jerry, Lloyd, rimanete fuori. Rob, con me».
L’interno del deposito era avvolto nell’oscurità. Qualche flebile raggio di luce penetrava attraverso feritoie orizzontali lungo la sua sommità. Nonostante la porta spalancata, tutto rimaneva nascosto nel buio. La scarsa luce rifletteva un denso alone di polvere sollevatosi dopo l’apertura forzata del rifugio. Alice non aveva torce con sé. Solo le pattuglie notturne le possedevano, benché ormai la ricognizione di notte fosse un fatto eccezionale.
Procedendo per prima, sostò dieci secondi sulla soglia per abituare gli occhi all’oscurità. Il pavimento era ricoperto da un fitto strato di sporco, disseminato di piante parassite e sbarre arrugginite. Il fetore che aleggiava dappertutto era opprimente, un misto di chiuso e marcio che soffocava. Si portò una mano al volto a coprire naso e bocca.
Sulla parete antistante, Alice riconobbe qualcosa. Non ne vedeva uno da anni: un pannello elettrico. Quel posto era stato una centralina elettrica. Lo sconforto cominciò a prendere possesso di Alice. Difficilmente avrebbero trovato rifornimenti in un posto come quello.
«Via libera» ripeté.
Rob le si affiancò. La visibilità era scarsa, ma nel disordine generale Alice iniziò a distinguere dei dettagli. La stanza non era ampia, ma lo era a sufficienza per contenere, sulle due pareti all’angolo opposto, due scaffali di metallo. Non erano vuoti, ma non era facile capire che cosa vi fosse stipato. Rob si avvicinò.
«Stai attento» disse Alice.
«Ti preoccupi sempre troppo» le rispose Rob, sorridendole. Alice non poteva vederlo sorridere, ma lo conosceva abbastanza da non avere dubbi sulla sua espressione in quel momento.
Rob si inoltrò nella penombra. Lo spazio era angusto, ma Rob non ebbe difficoltà a farsi strada all’interno. Era l’esploratore della squadra, con il compito di trovare oggetti utili per la Comunità. Ed era anche l’uomo che amava. Alice non sopportava l’idea di doverlo mandare in avanscoperta da solo, ma se avesse modificato il protocollo senza una valida spiegazione, gli altri membri della squadra avrebbero capito qualcosa che doveva rimanere segreto. Di lì in poi, tutti l’avrebbero saputo nel giro di un mese, e sarebbero stati separati. 
Alice sapeva fin troppo bene quanto le relazioni non programmate dal Consiglio venissero scoraggiate. Lei era un capitano di pattuglia: non era previsto che si accoppiasse fino al compimento dei venticinque anni, e anche allora non le sarebbe mai stato assegnato come compagno un membro della sua stessa squadra. Il coinvolgimento sentimentale era stato bandito fin dall’istituzione della Comunità. I sentimenti erano incompatibili con la sopravvivenza.
Nonostante gli sforzi, i suoi sentimenti si erano da sempre rivelati incontrollabili. Ci avevano provato entrambi, ma semplicemente non potevano smettere di amarsi. Magari avessero potuto! Sarebbero stati in grado di servire la Comunità con ogni frammento di loro stessi. Non potevano dare tutto alla Comunità, se una parte di loro bramava l’altro con quell’intensità.
Distratta dai suoi pensieri, fu per questo, più che per la sorpresa, che urlò quando il trambusto di una lotta eruppe dall’interno del deposito. C’era qualcun altro, lì dentro. E c’erano anche pochi dubbi sul fatto che dovesse trattarsi di uno di loro.
Quando Alice si precipitò nel buio della stanza, le fu sufficiente uno spiraglio della luce che filtrava dalle fessure in alto per prendere la mira e sparare. Aveva estratto la pistola nello stesso momento in cui aveva udito il fracasso. Non aveva esitato a togliere la sicura al pensiero che Rob fosse in pericolo. Il fragore dello sparo echeggiò per miglia, il bagliore del fuoco esploso dalla canna illuminò per una frazione di secondo la scena. Il ritornante doveva essere morto da almeno due mesi, a giudicare dallo stato di decomposizione. Il tanfo avvertito in precedenza era generato da lui.
Quanto era stata stupida. Aveva ignorato un chiaro segnale d’allarme. Non se lo sarebbe mai perdonato.
Jerry e Lloyd erano alle sue spalle. Fissavano la zona in penombra, in attesa di veder uscire altri di loro.
«Dobbiamo andarcene. Siamo scoperti» sussurrò Lloyd.
«Tornate a sorvegliare. Recupero Rob».
Alice sentiva il cuore sprofondare a ogni passo. L’attacco era stato rapido e breve, ma poteva aver prodotto danni irreparabili. Quando trovò Rob, era ancora disteso a terra. Un brutto segno.
«Rob?» disse, individuando a tastoni la testa di Rob e sollevandola con la mano.
«Alice... mi ha morso».
Nemmeno il tempo di covare una tenue speranza. Era successo. Era finita. Sentì lacrime roventi accumularsi negli occhi.
«Devi farlo. Adesso, prima che sia troppo tardi».
«Sì. Io...».
Perché la pistola era d’improvviso così pesante e gelida? Perché i tendini della mano si contraevano in modo così anomalo? Perché non aveva mandato il protocollo a farsi fottere e non era andata lei in avanscoperta?
«Presto, Alice... ho già freddo, devi...»
«Rob» mormorò Alice, controllando la voce. Si era spostata, ora le sue ginocchia sostenevano il capo di Rob e le sue mani gli cingevano il volto, come per evitare che si staccasse dal resto del corpo. «Parlami ancora un po’, ti prego».
Rob sospirò. «Stai rendendo tutto più difficile, Alice. Per te».
«Non mi importa. Non posso lasciarti andare senza parlarti un’ultima volta».
«Non è stata colpa tua. Non è colpa di nessuno... non tormentarti».
«Cercherò. Non posso garantirti che ci riuscirò».
«Puoi fare tutto, Alice. Sei la persona... più forte che conosca. Mi hai regalato tanti momenti felici... un grande dono in un mondo... come il nostro.»
Non poteva baciarlo. Ormai era infetto. Anche la saliva era mortale. Questa consapevolezza, quest’intrusione della ragione e dell’istinto di sopravvivenza acuirono il suo strazio.
«Ti amo, Alice».
«Ti amo anch’io, Rob».
Alice sapeva quello che doveva fare. Le sue mani non cingevano la testa di Rob solo per sorreggerla. Tra i compiti dei capitani di pattuglia c’era anche quello di impedire il ritorno dei caduti. I ragazzi della Comunità imparavano a spezzare un collo umano ancor prima di apprendere i rudimenti dell’arte della sopravvivenza.
Le dita di Alice erano serrate intorno al volto di Rob. La punte delle falangi premevano contro la pelle di lui, che già si raffreddava. La sua testa tremava, in preda ai brividi della febbre mortale che l’avrebbe stroncato entro pochi minuti. Il respiro diventava affannoso a ogni istante, gli occhi si spegnevano. Le unghie di Alice cominciavano a scavare graffi sulle guance di Rob, mentre ripeteva a se stessa che andava fatto. Più lo ripeteva, più il cuore diventava pesante. Alla fine, capì che non l’avrebbe fatto.
Uscì dalla stanza di corsa, richiamando Jerry e Lloyd con un gesto perentorio e ordinando la ritirata. 

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Capitolo 2
*** L'ultima caccia ***


Camminavano nella boscaglia da più di un’ora. Alla fine, Jerry fece la domanda che Alice temeva più di ogni altra.
«L’hai fatto?»
Alice avrebbe voluto colpirlo, così forte da rompergli il naso e farlo sanguinare.
«Ho fatto quello che dovevo».
Alice non poteva vederli, ma sentiva che i suoi compagni si erano scambiati un’occhiata dubbiosa. Non credevano al loro capo. Aveva perso la loro fiducia. Forse avevano perfino capito come stavano le cose tra lei e Rob. Se davvero le cose stavano così, i giorni a venire sarebbero stati molto difficili.
 
La convocazione non colse Alice di sorpresa. Erano tornati alla Comunità da due giorni, aveva consegnato la pistola motivando il proiettile sparato come difesa necessaria, e aveva atteso. Infine, ecco la chiamata. Avrebbe dovuto rispondere delle sue azioni al Consiglio.
Il capannone del tribunale era un edificio di lamiera allestito per accogliere il maggior numero possibile di persone. Un tempo, tutta la popolazione della Comunità poteva trovare un posto all’interno. Ora, gli abitanti della zona sicura ne superavano la capacità massima. Il Consiglio riportava spesso quel dato di fatto come prova dell’efficacia della propria politica di sviluppo.
Era un luogo spoglio, a tratti lugubre, illuminato da una serie di lampade al neon sul soffitto che generavano un sinistro gioco di luci e ombre. I seggi rialzati del Consiglio erano disposti in fondo all’estremità sud dell’edificio, quella opposta rispetto all’ingresso. L’imputato doveva percorrere a piedi il capannone in tutta la sua lunghezza prima di sedersi e sottoporsi al giudizio della corte. L’ultima lampada al neon, quella che illuminava la sede del giudizio, era sistemata in modo tale da investire di luce l’interrogato e avvolgere i giudici in una penombra soffusa.
Erano quattro, tutti uomini. Alice non riusciva a distinguere con esattezza i loro lineamenti. Ognuno sembrava avere più di cinquant’anni.
«Esponi i fatti avvenuti nel corso dell’ultima spedizione dal tuo punto di vista» esordì un giudice.
Alice raccontò tutto con dovizia di particolari, finché non arrivò agli ultimi momenti trascorsi con Rob. Non sapeva mentire. Qualunque bugia avesse inventato, il Consiglio l’avrebbe smascherata. Tanto valeva ammettere la propria debolezza e subirne le conseguenze. E così fece.
«Hai commesso due gravi crimini» disse il giudice più a destra. «Due crimini strettamente legati. Un’ennesima dimostrazione della necessità di insistere sulla privazione del libero accoppiamento. Se il capitano Alice si fosse attenuto alla norma che vieta la scelta di un compagno non approvata dal Consiglio, il secondo crimine, di gravità ben  maggiore, non sarebbe stato commesso. La tua infatuazione per il soldato Rob ti ha impedito di fare quello che andava fatto, consentendo a un nuovo ritornante di camminare sulla nostra terra, rafforzando le fila dei nostri nemici. La colpa ricade su di te».
«Una colpa che deve essere espiata» proseguì il giudice al suo fianco. «Non possiamo tollerare simili mancanze. Prima di esser privata del rango di capitano, dovrai fare da esempio per gli altri capitani, onde evitare nuovi imperdonabili errori. Non hai ucciso il ritornante quando ne hai avuta l’occasione. Dovrai farlo ora. Sarai bandita fino al giorno in cui non ci porterai la testa del soldato Rob».
«Quanti a favore del provvedimento?»
Tutte e quattro le mani si alzarono all’unisono.
 
Rob aprì gli occhi.
Buio. Luce a sinistra.
Con fatica, si alzò a sedere. Girò la testa verso la luce. Sentì un richiamo irresistibile verso l’esterno. Si alzò. Con una certa fatica, avanzò e abbandonò il buio. Verde dappertutto. Verde piccolo sotto i piedi e verde grande di fronte a sé. Odori. Tanti odori. La sua mente, molto ridimensionata, non poteva più focalizzarsi su tutti e attribuirli a elementi distinti. Era però in grado di concentrarsi su uno di essi e seguirlo finché non trovava qualcosa di più interessante.
Una traccia colpì subito la sua attenzione. Lo circondava, ne aveva addosso molta. Proseguiva sul verde piccolo e si inoltrava nel verde grande. Ansimò e inspirò forte, concentrandosi.
Poi iniziò a correre.
 
Alice sapeva che il gelo che sentiva era dovuto solo in parte alla notte fredda. La foresta era cupa e tenebrosa, ma l’angoscia che la divorava aveva poco a che vedere con questo. Fissò la lama affusolata che teneva tra le mani. Gelida e lucida, era l’unica arma che le era stato concesso portare con sé al momento della partenza. Non le avrebbero mai restituito la pistola: date le scarse probabilità di successo, non avrebbero permesso che privasse la Comunità di una preziosa arma da fuoco.
Doveva dare la caccia a Rob. Per darsi forza, rievocava con ossessione un pensiero: ciò a cui dava la caccia non era più Rob, non era più un umano, ma qualcosa di completamente diverso. Cacciava un ritornante, un essere aberrante e incomprensibile, privo di anima e pericoloso più di qualsiasi altra creatura nel mondo. Non c’era spazio per la compassione. Tuttavia, Alice non era pentita per non aver spezzato il collo di Rob quando se ne era presentata l’opportunità: quando gli aveva stretto la testa fra le mani, appoggiandosela sulle gambe, era ancora accanto a Rob, lo stesso Rob che lei amava e da cui era amata. Era felice di non aver obbedito al protocollo e di non essersi sporcata del suo sangue.
Ma adesso era diverso, ed Alice ne era convinta.
Non l’avrebbe più nemmeno chiamato Rob. L’essere che cercava era un mostro. E i mostri, dagli albori della storia, si eliminano.
 
Era vicina. La traccia era a poche centinaia di metri.
C’erano tantissime altre scie che tentavano di catturare la sua attenzione, ma solo una era così inebriante da rendere impossibile distaccarsene. Rob inspirò a pieni polmoni. Quell’odore lo ossessionava, non poteva pensare ad altro. Se fosse stato ancora in grado di descriverlo, avrebbe utilizzato una sola parola: rosso. Quando lo percepiva, il rosso gli riempiva gli occhi, immaginava volute di fumo rosso che lo circondavano e lo conducevano verso una fonte indistinta. Qualsiasi cosa fosse, voleva possederla, inglobarla, farne parte permanente di sé.
Solo pochi metri lo separavano dal suo desiderio.
 
Era vicino. In lontananza, Alice avvertiva i suoi passi sulla radura ricoperta di foglie. Movimenti barcollanti ma ostinati, che lasciavano pochi dubbi sulla natura dell’essere che si stava avvicinando. Se fosse Rob o qualcun altro, Alice non poteva saperlo, ma l’avrebbe appurato presto. Se anche non fosse stato Rob, avrebbe squarciato la gola di chiunque le si fosse parato innanzi, e l’avrebbe pugnalato al cranio ancora, e ancora, e ancora. Anche tutta la notte, se necessario. E avrebbe fatto lo stesso con ogni individuo che avesse incontrato sulla propria strada, vivo o ritornante. Gliel’avevano portato via, era stata colpa di entrambi. E per questo li avrebbe fatti soffrire.
Odiava i vivi, odiava i ritornanti, odiava Rob e, più di ogni altro, odiava se stessa.
Immersa nei suoi pensieri di collera, Alice si era distratta per pochi secondi. Erano stati sufficienti. I rumori erano scomparsi.
Si maledisse per la propria stupidità e aguzzò lo sguardo. Era nascosta tra le fronde di un noce, in modo da poter calare sulla preda dall’alto. Era una buona strategia, ma la visibilità era limitata. Senza contare il fatto che bisognava avere la fortuna che la vittima passasse proprio sotto quella postazione. Quest’ultimo inconveniente, tuttavia, poteva essere rimediato in diversi modi. Con un’esca, per esempio.
Era il momento di cacciare. Alice estrasse il pugnale e appoggiò la lama sul palmo della mano sinistra. Un movimento fluido e un rivolo di sangue colò dalla mano fino in terra.
Non avrebbe potuto aspettarsi una reazione più immediata. Non appena il sangue era entrato in contatto con l’aria, una belva dalle fattezze umane si era aggrovigliata al tronco dell’albero, graffiandolo e mordendolo con una ferocia inconcepibile per una persona normale. Le unghie e i denti affondavano e si spezzavano contro la superficie ruvida del noce, nel disperato e convulso tentativo di scalarlo e raggiungere Alice. I gorgoglii dell’essere facevano accapponare la pelle, ma la cosa più terribile erano gli occhi. Vuoti, bianchi, selvaggi. Nessuna anima, nessuna volontà. Puro istinto di uccidere.
Una sola cosa era più spaventosa di quegli occhi: la consapevolezza che appartenevano a Rob.
Lo schianto contro l’albero era stato così improvviso e inaspettato che nemmeno i nervi d’acciaio di Alice erano bastati a evitare di farla sobbalzare. Nel sussulto di spavento, la presa si era allentata e il coltello era scivolato a terra.
In quel momento, Alice capì che la sua vita sarebbe finita quel giorno. Forse, non c’era stata speranza fin dall’inizio. Ma, come accade sempre quando non c’è via d’uscita, Alice intuì cosa doveva fare. Non appena quel pensiero le si delineò chiaro nella mente, ogni cosa divenne più facile.
Era finita, tutto qui. Niente più odio, niente più lotta, niente più dolore. Solo una nuova strada di fronte a sé, un nuovo inizio. In un momento simile, non avrebbe mai pensato di poter sorridere. Comprese subito perché stava sorridendo: la sua vita sarebbe finita con quella di Rob, ma, dopo, sarebbero stati di nuovo insieme. La morte diventava vita. Perché aspettare?
Il suo corpo crollò addosso a Rob, un peso sufficiente per farli stramazzare entrambi al suolo. Rob si dimenava sotto di lei. La sua mano frugò fulminea in mezzo alle foglie. Sentì la sua carne che veniva dilaniata dalle fauci dell’uomo che aveva amato. Un pezzo alla volta, morso dopo morso. Finalmente, le sue dita sfiorarono un oggetto duro e liscio. Lo strinse in una morsa e lo sollevò per quanto glielo consentivano le ferite. Quando si abbassò e penetrò a fondo nella sua orbita destra, il suo cuore fu travolto da un sentimento complesso. Era libera, ma dannata. Felice, e al tempo stesso affranta. Innamorata, eppure furibonda.
Rob sussultò un’ultima volta. Poi fu immobile.
Era rimasta solo lei.
E il pugnale ancora conficcato nell’occhio di Rob.
Non avrebbe mai trovato la forza di pugnalarsi da sola, inutile anche solo tentare. Non aveva a disposizione nessun metodo efficace per uccidersi in maniera definitiva. A quanto pareva, la attendeva una vita intermedia prima di potersi ricongiungere a Rob. Chissà quanto tempo ci sarebbe voluto, prima che qualcuno la liberasse per sempre delle sue spoglie terrene.
Chissà...

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