Parigi

di Jane The Angel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** capitolo uno ***
Capitolo 3: *** capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Parigi

Prefazione

   Le ruote della carrozza sussultarono leggermente sulle strade di Parigi. Producevano un cigolio continuo che sarebbe risultato insopportabile, non fosse stato che il viaggio era stato tanto lungo che l’occupante della carrozza si era ormai abituata.
   Era una carrozza elegante ma sobria. Le finestrelle di entrambi i lati erano coperte da tendaggi di stoffa blu pesante.
   Ester avrebbe voluto scostarli un po’ per poter ammirare quella città che suo fratello aveva tanto decantato nelle lettere che le aveva mandato, ma era già abbastanza agitata senza vedere la grandiosità della città in cui si trovava. Era la prima volta che lasciava la sua Spagna e, per di più, era la prima volta che viaggiava sola.
   La vettura si fermò all’improvviso e il conducente andò ad aprirle la porta. L’aveva accompagnata per tutto il viaggio e, vedendo il piccolo paesino di campagna in cui la ragazza aveva vissuto fino a quel momento, aveva l’esatto presentimento che non fosse tranquilla in quel momento.
   Ester scese dalla carrozza e ammirò la casa di suo fratello: era una palazzina su due piani, di pietra rossa, molto diversa da quella semplice casetta in cui aveva vissuto in Andalusia.
   Mai, nei suoi sogni, aveva immaginato di raggiungere, un giorno, mete tanto distanti, luoghi così ignoti per lei. Mai prima di quel giorno…

   Era Natale. Lei aveva sempre cantato nel coro della chiesetta del paese e molti le avevano fatto i complimenti per la sua bella voce. Tuttavia, era solo un divertimento per lei.
   Poi quel mattino, dopo la messa natalizia, un uomo le si era avvicinato. Era un uomo distinto, di mezz’età, e l’aveva salutata in spagnolo ma con un evidente accento straniero, per poi domandarle –Come ti chiami?-
   Il padre e la madre di Ester l’avevano raggiunta immediatamente, vedendo che parlava con uno sconosciuto.
   -Desiderate qualcosa da mia figlia?- aveva domandato suo padre con tono quasi minaccioso.
   -Oh, non fraintendete le mie intenzioni, signor…-
   -Aleandro Sancez.- aveva risposto l’altro in tono ancora incerto –E posso sapere con chi sto parlando? Avete un accento straniero.-
   -Oui, in effetti sono qui di passaggio. Je m’appelle Richard. Farmin Richard.  Tra pochi mesi, sapete, tornerò a Parigi, la mia città, e diverrò directeur dell’Opera di Parigi… certamente ne avrete sentito parlare.-
   -Certo. Congraturazioni a voi. Ora però…-
   -Suvvia, signor Sancez, lassè-moi terminer…- aveva riso allora il signor Richard –Sapete, stamattina ho écouté questo coro con molto interesse. Il motivo è, devo dirlo, la voce di vostra figlia.- si era voltato verso Ester e le aveva sorriso garbatamente –Un contralto assolutamente charmant.-
   Ester, arrossendo bruscamente, aveva abbassato lo sguardo.
   -Avrò la direzione dell’Opera tra tre mesi. La voce di sua figlia… come ti chiami, ma chère?-
   -Ester, signore.-
   -Ebbene, Ester, per quanto tempo hai studiato canto?-
   -Mi spiace, signor Richard, non ho mai preso lezioni.- ammise lei.
   -No? Eppure leggevate uno spartito.-
   -Mia madre mi ha insegnato a leggere le note, signore, nulla di più.-
   -Oh… bene, motivo in più per farvi la mia proposta, signori.- di nuovo, il signor Richard si era rivolto ai signori Sancez –Tra quattro mesi mandate Ester a Parigi. Provvederò a trovarle una camera in affitto, in una casa rispettabile, si capisce… con qualche lezione, ne sono certo, potrà arrivare in breve a una piccola parte da solista e, nel frattempo, potrebbe cantare come corista, o qualche duetto, addirittura.-
   La proposta del signor Richard era rimasta in sospeso per i quattro mesi seguenti: nessuno in casa ne aveva più parlato e Ester non aveva mai nutrito la speranza che i suoi genitori acconsentissero a mandarla così lontano.
   Ma allo scoccare del quarto mese suo madre l’aveva aiutata a fare i bagagli e suo padre aveva mandato una lettera al fratello di Ester, Diego, che si era trasferito a Parigi qualche mese dopo aver sposato una bella ereditiera parigina, madmoiselle Gabrielle Buten. Ovviamente Diego aveva accettato di ospitarla e Ester si era trovata su una carrozza, alla volta di Parigi.

   Ester entrò in casa e fu accolta da tutta la famiglia di suo fratello. Diego era piuttosto alto ma altrettanto robusto, al contrario di lei che era di costituzione abbastanza magra. Avevano però gli stessi capelli castani e gli stessi occhi nocciola che caratterizzavano la famiglia, e la loro carnagione era un poco più scura rispetto a quella di Gabrielle, che era una donna sottile e con un lieve sorriso perenne sul volto. Con loro c’era Antoine, il figlioletto di due anni.
   Dopo cena, quando la cameriera aveva finito di sistemare gli effetti personali di Ester, suo fratello le mostrò la sua stanza e manifestò la sua poca convinzione riguardo alla scelta presa dalla sorella –Ah, Ester, l’Opera… il mondo dell’Arte… Ne sei davvero certa? È ciò che desideri?-
   -Si.- rispose Ester con un sorriso –O, almeno, credo di desiderarlo. E visto che ho questa possibilità, odierei non provare, almeno.-
   In realtà, tutto era accaduto tanto in fretta che neanche aveva avuto il tempo di domandarsi se quel cambiamento le sarebbe piaciuto. Ma ora era lì, a Parigi, e certo non aveva nessuna intenzione di tornare indietro.
   -D’accordo. Allora domattina ti accompagnerò all’Opera…- sospirò Diego –Anche se con…- si interruppe, abbassando lo sguardo –Niente.-
   -Niente?- domandò Ester stupita –Come, “niente”?-
   -Niente, davvero. Solo, le sciocche paure di un fratello maggiore.- sorrise Diego, e l’abbracciò –Sono felice che tu sia qui.-
   La mattina seguente Ester indossò un abito celeste e un cappellino, poi Diego l’accompagnò all’Opera. Già da fuori, Ester rimase impressionata dall’immensità del monumento. Quando entrarono, emise uno strano rantolo e temette di aver perso la voce per la sorpresa di trovarsi in un luogo tanto imponente ed elegante.
   -Perdonatemi!- Diego fermò una donna dall’aria severa, il volto spigoloso e i capelli raccolti in una crocchia –Dobbiamo incontrare il signor Richard. Potete portarci da lui?-
   -Certamente, signore.- annuì la donna, e si presentò come la maschera Giry.
   La donna li guidò con sicurezza lungo i corridoi immensi ed elegantissimi fino ad un ufficio al secondo piano, dove madame Giry bussò alla porta di un ufficio.
   Una voce (Ester riconobbe in essa il signor Richard) disse di entrare. Madame Giry, dopo aver fatto una riverenza al signor Richard, seduto dietro la scrivania, e ad un altro uomo seduto su una poltrona, uscì chiudendo la porta.
   -B… bonjoure.- salutò Ester con voce un po’ stentata.
   -Oh, salve, salve!- salutò il signor Richard –Se non erro, voi siete… Ester, Ester Sancez, nevvero?-
   L’altro uomo intanto, dopo essersi presentato come il signor Moncharmin, co-direttore dell’Opera, li invitò a sedersi e Ester e Diego presero posto davanti alla scrivania.
   Sara prese a torturarsi nervosamente le mani: il signor Richard si era detto soddisfatto della sua voce, ma non aveva accennato al fatto di non essere l’unico direttore: dunque non spettava solo a lui la scelta. Se al signor Moncharmin non fosse piaciuta, cosa sarebbe successo? Sarebbe dovuta tornare in Spagna? Ora, la prospettiva di tornare a casa le sembrava terrorizzante.
   -Ti avevo raccontato, Moncharmin, della giovane contralto andalusa?-
   Il signor Moncharmin annuì studiando la ragazza –Certo, certo…immagino dovremmo sentirla cantare… certo non mi intendo granché di musica, ma gradisco sentire la voce di una cantante, prima di stipendiarla. Capite la mia posizione spero, madmoiselle.-
   -I…io… certo, signore.- annuì Ester, che tuttavia era un fascio di nervi.
   -Bene.- sorrise il signor Richard, e le porse uno spartito adatto alla sua tonalità. Le furono concessi pochi minuti per studiare le note e i passaggi, poi fu fatta alzare in piedi.
   Trasse un respiro profondo e chiuse gli occhi. Immaginò di trovarsi non in un’elegante ufficio dell’Opera ma in chiesa, nel suo paese. La nota iniziale fu un tantino tremula, ma poi la sua voce si fece chiara e cantò con naturalezza, come aveva sempre fatto.
   I due direttori ne furono soddisfatti. Dopo aver scambiato qualche parola le dissero che avrebbe dovuto presentarsi all’Opera la mattina seguente alle nove.
   A casa, dopo aver scritto una lettera entusiasta alla madre e al padre, Ester andò a letto.

___________Nota di Herm90
Questa è la prima volta che mi arrischio a scrivere sul Fantasma dell'Opera... la mia ficcy è basata più sul film che sul libro. Non so quanto sarà lunga... io andrò avanti comunque, ma qualche recensione fa sempre piacere!
(mi scuso in anticipo per il francese... so che è pessimo, non sono mai andata bene anche se mi affascina molto come lingua!)

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Capitolo 2
*** capitolo uno ***


Capitolo 1

   La mattina seguente Diego e Gabrielle dovevano andare a lavoro, dunque mentre il piccolo Antoine venne affidato alla cameriera Ester prese una carrozza da sola, diretta verso il Teatro dell’Opera. Davanti all’entrata, ai piedi dello scalone d’entrata, la attendeva madame Giry, le braccia incrociate al petto e uno scialle nero sulle spalle.
   -Bonjoure.- la salutò Ester.
   -Bonjoure.- rispose madame Giry, la voce rigida al pari del portamento –Venite con me.-
   La donna la accompagnò innanzitutto ad un camerino che, la informò, era suo da quel momento. Lì le porse un abito verde ampio e semplice.
   -L’abito che avete ora, con quella fascia stretta in vita, non è l’ideale per cantare.- la rimproverò.
   Quando Ester si fu cambiata la portò nell’immensa Sala e tramite una scaletta laterale salirono sul palco.
   Al centro di esso vi era una ragazza che doveva avere più o meno l’età di Ester: era bionda, gli occhi celesti, e indossava un abito bianco simile a quello che avevano dato a lei.
   -Lei è Christine Daaé.- le spiegò madame Giry mentre si avvicinavano alla bella soprano –Christine, lei è Ester Sancez.-
   -Molto piacere.- le sorrise Christine con voce dolce. Ester ebbe a malapena il tempo di rispondere prima che la maschera Giry la trascinasse verso il corpo di ballo. Per prima le presentò una ragazza dai capelli neri che, come le altre, indossava un lieve tutù verde.
   -Lei è Meg Giry. Mia figlia.- spiegò a Ester la sua guida, poi passò alle altre ballerine.
   Infine, quando Ester ebbe conosciuto i due tenori, la seconda soprano e un giovane contralto maschile, madame Giry la condusse al coro.
   -Per oggi…- spiegò Madame Giry al termine delle presentazioni –Lavorerai con Philippe, uno dei nostri maestri, sugli spartiti. Da domani inizierai a provare con gli altri.-
   Madame Giry la condusse dietro le quinte. Mentre camminavano tra scenari e sfondi, tra alberi e colline, palazzi e povere stamberghe, sul palco Christine Daaé iniziò a cantare. Come Ester aveva potuto comprendere dai costumi, cantava la parte di Ermia di “Sogno di una notte di mezza estate”.
   La sua voce si levò nel teatro con un tono dolce e cristallino che Ester non aveva mai ascoltato prima. Era davvero un piacere non solo perle orecchie, ma anche per lo spirito, avere il privilegio di ascoltare una simile voce.
   L’attenzione di Ester tuttavia fu all’improvviso distolta dalla voce della cantante. Mentre seguiva madame Giry si voltò indietro, certa di ciò che aveva visto e sentito. Eppure, non c’era nulla dietro di loro.
   -Mi scusi madame, non ha sentito anche lei?- domandò, curiosa.
   -Cosa, mia cara?- domandò la donna senza voltarsi.
   -Un rumore, come di una porta.- disse Ester senza smettere di fissare il lungo corridoio tra lo scenario del Faust e quello di Romeo e Giulietta –E credo di aver visto anche qualcosa…-
   Madame Giry si voltò verso di lei, finalmente –Ester, io credo che tu non abbia visto nulla. Se invece non è così, sono certa che non sia altro che un macchinista che fa il suo lavoro.-
   “Certo, ma dov’era scomparso ora?”, pensò la ragazza. Ma non disse nulla, annuì e seguì Madame Giry.
   Il signor Philippe era un uomo panciuto con due lunghi baffi neri e il capo pelato. La accolse con un tono affabile dietro cui, tuttavia, Ester non ebbe difficoltà a percepire un velo di freddezza.
   Quando Madame Giry lasciò Ester sola con lui, non disse nulla che non riguardasse il canto. Nemmeno, per dire, volle sapere il nome della sua allieva.
   -Iniziamo con qualche gorgheggio.- disse solo, e poi continuarono.
   A fine lezione, quando l’uomo la congedò senza quasi salutarla, Ester si imbatté in Meg Giry, che la salutò in tono allegro.
   -Hai fatto lezione con Philippe?- domandò –Com’è andata?-
   -Oh, beh… in realtà, non saprei. Non ha detto nulla.- ammise Ester, ansiosa di sapere cosa volesse dire quel silenzio dell’insegnante.
   -Ma certo, che sciocca… Philippe, dopotutto, non parla più quasi con nessuno, se non con il signor Richard.- annuì Meg.
   -Hai detto “non parla più”… prima parlava? Cosa gli è accaduto?- domandò curiosa Ester mentre le due si avviavano verso il piano di sotto, dove c’erano i camerini e il foyer della danza.
   -Due settimane fa ha ricevuto una missiva dal Fantasma. Ovviamente, c’era da aspettarselo, dopo la storiaccia che ci ha raccontato…- disse sottovoce Meg.
   -Cosa? Che storia è, i fantasmi scrivono lettere?- rise Ester.
   -Sssssssh, per l’amor del cielo, tieni bassa la voce se parli del Fantasma in modo così irrispettoso.- la redarguì Meg, guardandosi attorno come se si aspettasse di vedere un fantasma sbucare dal nulla.
   Ester sollevo un sopraciglia, sorpresa –Hai paura che ci senta?-
   -Oh, lui sente ogni cosa.- annuì Meg, sempre curandosi di non alzare la voce al di sopra di un sussurro –Perché credi che abbia mandato quella lettera minacciosa al signor Philippe, altrimenti?-
   -Ma certo… giusto…- concordò Ester, scettica.
   Non aveva mai creduto ai fantasmi. Tuttavia, quando arrivò a casa, non poté fare a meno di chiedere a suo fratello notizie su questo “fantasma” di cui Meg aveva parlato.
   -Oh, cielo, ancora!- sbuffò Diego. Lavorava nella polizia di Parigi, dunque sapeva bene a cosa si riferiva la sorella –Ebbene, non volevo dirtelo per non spaventarti. Circa tre settimane fa il signor Buquet, uno dei macchinisti dell’Opera, è stato trovato morto. Impiccato, pare, anche se non si è mai trovata la corda…-
   Ester rabbrividì –Impiccato?- domandò –Lì, all’Opera?-
   Diego annuì –Beh, pare che in molti siano convinti che ad ucciderlo è stato il Fantasma dell’Opera. Oh, non è che una leggenda.- si affrettò a rassicurarla Diego –Te lo dico io, se Buquet non si è ucciso da solo, significa che aveva qualche debito e si è dimenticato di saldarlo.-
   Ester annuì e il giorno seguente tornò all’Opera emozionata esattamente come le due mattine precedenti.
   Un fantasma che andava in giro a impiccare le persone non era più credibile delle leggende e delle storie che le vecchie del paese raccontavano a lei e ai suoi amici quando era bambina.
   Le prove furono molto più divertenti, ma anche molto più faticose, della lezione con il signor Philippe. Il signor Richard passò a dare un’occhiata, e quando si ricordò di lei domandò alla signora Lafrés, direttrice del coro, come se la stava cavando.
   Ester arrossì di piacere nel sentire la donna rispondere con un entusiasta –Egregiamente, signor Richard.-
   Nella pausa per il pranzo, dopo aver mangiato con Meg e un’altra ballerina, Jemmes, le due le proposero con aria eccitata –Che ne dici di fare un giro… al palco numero 5?-
   Ester sollevò un sopraciglio, sorpresa –E perché non al 15?- domandò.
   Le due ragazze scoppiarono a ridere –Già, dimenticavo che sei nuova… il palco numero 5 è il palco maledetto!- disse Meg.
   Ester alzò gli occhi al cielo: fantasmi e palchi maledetti?
   -E perché sarebbe maledetto?- chiese, curiosa nonostante lo scetticismo.
   -Nessuno può assistere ad una rappresentazione da quel palco. È riservato.- spiegò Jemmes in tono confidenziale.
   -Dal Fantasma, magari?- scherzò Ester.
   -Esatto. Andiamo?-
   Ester assentì, pensando che dopotutto bisognava pur passare il tempo. Così seguì le due verso il palco.
   -Apri tu.- la sfidarono quando furono davanti alla porta.
   -Va bene.- scosse le spalle lei, ed entrò. Una volta nel palco, si sporse per osservare il palco.
   “Beh, il Fantasma si è scelto un buon posto, da qui la vista è perfetta” osservò, notando che di lì poteva benissimo vedere Christine che, seduta al centro del palco, sembrava scrivere qualcosa su quello che doveva essere un diario “Invece di fare queste sfide, la prossima volta vado a parlare con lei”, decise mentre Meg e Jemmes entravano con circospezione dietro di lei “Non mi piacciono queste sciocche sfide di coraggio, manco avessimo cinque anni invece di diciassette…”
   -Sai, nessuno l’ha mai visto.- disse Meg quando l’ebbero raggiunta –Ma in molti l’anno sentito. Anche i signori Richard e Moncharmin, anche se non l’hanno mai ammesso.-
   Ester annuì –Capisco… e perché questo Fantasma è tanto interessato all’Opera?-
   -Beh, lui vive qui.- rispose Jemmes.
   -Scusa, non vive, è un Fantasma… al massimo infesta.- scherzò Ester –Ad ogni modo, credi che lui sia qui ora?- domandò per evitare le raccomandazioni di cautela che già aveva letto negli occhi delle due compagne –Ci sta osservando, ascolta ciò che diciamo?-
   -Oh, è possibile.- annuì Meg lieta che l’avesse presa sul serio –Proprio per questo, come ti ho già detto l’altro giorno, dovresti essere più cauta quando parli di lui. Ora è meglio andare… mia madre non vuole che io venga qui.-
   Ester annuì e seguì le due fuori. Stava per chiudere la porta quando si bloccò: le era parso di sentire un rumore. Non era certa di che natura fosse ciò che aveva sentito, ma le sembrava venire proprio da lì, dal palco numero 5…
   Scosse le spalle: probabilmente non era che uno scherzo di Meg e Jemmes, di certo c’era nascosta da qualche parte una loro amica con l’intento di spaventarla.

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Capitolo 3
*** capitolo 2 ***


Capitolo 2

   Lo spettacolo “Sogno di una notte di mezza estate” si tenne cinque giorni dopo. Ester, emozionantissima, era arrivata come tutte le altre ragazze alle undici di mattina. Avevano passato un paio d’ore a ripassare gli spartiti, poi avevano fatto pranzo e dopo qualche istante di pausa si erano dirette al trucco.
   Una donna paffuta dai capelli neri aveva truccato, da sola, lei, tutto il coro e tutto il corpo di ballo. Una giovane pallida, rossa di capelli, si era invece occupata di Christine Daaé, della seconda soprano, dei due tenori e del contralto maschile, nonché di un altro uomo e un’altra donna.
   Questi ultimi, Jean-Paul e Corinne, avrebbero interpretato Oberon e Titania.
   I due tenori, Françoise e Albèrt, sarebbero stati invece Lisandro e Demetrio.
   La seconda contralto, la famosa Carlotta (che, come aveva imparato ad apprendere Ester, nutriva verso Christine un profondo odio dettato dalla gelosia), avrebbe fatto Elena, e bisognava vedere con quanta convinzione interpretava la parte iniziale in cui il suo personaggio manifestava la sua gelosia nei confronti di quello di Christine.
   Il contralto maschile, di nome Etienne, avrebbe interpretato il dispettoso Puck. Ester aveva conosciuto Etienne abbastanza bene, in quei giorni di prove, e poteva dire che la parte gli andava a pennello visto che aveva senza dubbio una parlantina tanto tagliente quanto divertente per chi lo ascoltava.
   Il personaggio di Christine era, come già detto, Ermia. In quei giorni Ester, come si era prefissa di fare, aveva spesso passato la pausa pranzo con Christine. Nessuna delle due era una gran chiacchierona, dunque per la maggior parte del tempo si erano limitate a parlare in silenzio, ma non era una situazione imbarazzante e sembravano godere entrambe, piacevolmente, della compagnia.
   Tre dei cinque giorni di prove, anche Meg aveva pranzato con loro, ed Ester aveva appreso, grazie all’allegra parlantina di Meg e ai silenziosi assenzi di Christine, che le due erano cresciute come sorelle, in casa Giry ma per la maggior parte del tempo proprio lì all’Opera.
   Dalle chiacchiere del corpo di ballo, inoltre, Ester aveva appreso qualcosa su un gentiluomo che, si diceva, corteggiava Christine, e che ne era ricambiato. Si vociava di un possibile fidanzamento tra lei e questo giovane, un certo Raul, visconte di Chagny.
   -Ci sarà il tuo visconte, stasera?- domandò Ester a Christine mentre si avviavano verso i camerini, che erano l’uno di fianco all’altro.
   Come le altre volte in cui qualcuno aveva nominato Raul, Christine arrossì, ma si vedeva che era più che felice di annunciare che si, ci sarebbe stato.
   Eppure Ester non poteva non percepire che qualcosa non andava. Dopo la felicità iniziale nel sentire il nome del visconte di Chagny, Christine cadeva in una specie di trance: si faceva pallida e sembrava che la sua mente vagasse verso chissà che luoghi. Accadde anche quella volta, tanto che a malapena Christine si rese conto che avevano raggiunto i camerini.
   Nel suo, Ester si infilò il costume di scena, attenta a non rovinare trucco e pettinatura. Poi sistemò la coroncina di fiori: il coro, infatti, avrebbe fatto la parte della corte di fate di Titania, mentre il corpo di ballo sarebbe stato il seguito di folletti di Oberon.
   Come si era raccomandato il signor Philippe, non appena fu pronta, Ester si mise a scaldare la voce.
   Dopo qualche esercizio si interruppe bruscamente: le era sembrato di vedere… non sapeva bene cosa. Era un’ombra, nello specchio, come un pezzo di stoffa… forse un mantello? Si guardò attorno, ma non c’era nessuno.
   Si diede immediatamente della sciocca: chi poteva esserci nel suo camerino chiuso a chiave? Un fantasma?
   “Il Fantasma dell’Opera, magari!” rise tra sé, poi riprese a fare le sue scale.
   Fu un successo, un vero e proprio successo.
   Quando si aprì il sipario per la prima scena in cui era presente, Ester pensò che il cuore le sarebbe probabilmente uscito dal petto tanto batteva forte. Sotto il palco c’era una marea di gente, centinaia di persone, e l’agitazione le dava l’illusione di avere tutti gli occhi puntato su di sé, pronti a cogliere il primo errore, la prima stonatura.
   Mentre la musica vibrava dall’orchestra, prese un bel respiro e tornò per un attimo in Andalusia, nel suo paesino, nella sua chiesetta. Prese l’attacco, e il resto della canzone non fu un problema, e lo stesso valse per le successive.
   Il sipario si chiuse, ma gli applausi non si interruppero. E a ragione: tutti i cantanti era stati bravissimi, ma in particolare Christine era stata fantastica. Certo la voce di Carlotta non aveva nulla da invidiare: eppure qualcosa, negli accenti, nelle tonalità di Christine, aveva un effetto non solo sull’udito ma sull’intero essere.
   Diego e Gabrielle quella sera avevano lasciato Antoine alla cameriera. Quando Ester tornò nel suo camerino, li trovò entrambi ad attenderla davanti alla porta e corse ad abbracciare il fratello, l’agitazione ancora nel cuore.
   -Oh, cielo, ho scordato il cappello… vi raggiungo immediatamente!- esclamò ad un certo punto mentre uscivano. Il cappello, ricordò, le era scivolato quando era arrivata dietro uno degli scenari, dietro le quinte… si era detta che l’avrebbe recuperato appena pronta per lo spettacolo, ma poi se n’era dimenticata…
   Diego disse che l’avrebbero aspettata alla carrozza e lei si allontanò.
   Non c’era più nessuno: si erano attardati nel camerino perché Ester non riusciva a sganciare un laccio del costume e così i macchinisti dovevano aver finito di mettere in ordine.
   Ester salì sul palco e si inoltrò tra due scenari, ma il cappello non c’era.
   Riflettendo, comprese che erano stati spostati durante lo spettacolo, perciò decise di guardare più indietro. Passò allo scenario dietro, poi ancora, e ancora. Man mano che si allontanava dal palco, la luce diminuiva, ma lei se ne rese a malapena conto mentre continuava a guardarsi attorno alla ricerca del cappello.
   Arrivò al penultimo scenario, e ancora non c’era. Sbuffando, passò allo scenario seguente.
   Finalmente lo vide, lì accanto a una trave.
   D’improvviso tra lei e il cappello sbucò una figura di forma umana… immaginò che fosse un macchinista che si era attardato.
   -Mi scusi, non voglio disturbare.- disse avvicinandosi –Ma ho dimenticato il mio cappello e…- l’uomo si voltò verso di lei. Indossava un mantello nero, e…
   Ester non gridò, perché la voce le morì in gola. Non scappò, perché le gambe erano come impietrite. Non cercò di non guardare, o di proteggersi, perché il suo corpo riusciva solo a tremare violentemente per la paura.
   Sotto il cappello, ne era certa, non c’era alcun volto, solo due occhi dorati, scintillanti come potevano esserlo quelli di un gatto.
   Ester rimase lì, immobile, tremante, le labbra che si muovevano senza emettere alcun suono. Lo scheletro la guardò per un attimo. Poi scomparve nel nulla. La ragazza rimase immobile per qualche attimo, ancora troppo spaventata per fare qualsiasi cosa.
   Si riprese, non dallo spavento ma almeno da quella paralisi improvvisa, e senza nemmeno pensare a cosa stava facendo corse a prendere il cappello e poi, sempre correndo, si allontanò quanto più possibile dal palco, fermandosi solo nell’entrata. Lì si poggiò al muro, trasse qualche respiro profondo e una volta che si fu calmata, almeno esteriormente, uscì e raggiunse la carrozza.

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