Parigi di Jane The Angel (/viewuser.php?uid=14100)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** capitolo uno ***
Capitolo 3: *** capitolo 2 ***
Capitolo 1 *** Prefazione ***
Parigi
Prefazione
Le ruote della carrozza sussultarono leggermente
sulle strade di Parigi. Producevano un cigolio continuo che sarebbe
risultato insopportabile, non fosse stato che il viaggio era stato
tanto lungo che l’occupante della carrozza si era ormai
abituata.
Era una carrozza elegante ma sobria. Le
finestrelle di entrambi i lati erano coperte da tendaggi di stoffa blu
pesante.
Ester avrebbe voluto scostarli un po’
per poter ammirare quella città che suo fratello aveva tanto
decantato nelle lettere che le aveva mandato, ma era già
abbastanza agitata senza vedere la grandiosità della
città in cui si trovava. Era la prima volta che lasciava la
sua Spagna e, per di più, era la prima volta che viaggiava
sola.
La vettura si fermò
all’improvviso e il conducente andò ad aprirle la
porta. L’aveva accompagnata per tutto il viaggio e, vedendo
il piccolo paesino di campagna in cui la ragazza aveva vissuto fino a
quel momento, aveva l’esatto presentimento che non fosse
tranquilla in quel momento.
Ester scese dalla carrozza e ammirò la
casa di suo fratello: era una palazzina su due piani, di pietra rossa,
molto diversa da quella semplice casetta in cui aveva vissuto in
Andalusia.
Mai, nei suoi sogni, aveva immaginato di
raggiungere, un giorno, mete tanto distanti, luoghi così
ignoti per lei. Mai prima di quel giorno…
Era
Natale. Lei aveva sempre cantato nel coro della chiesetta del paese e
molti le avevano fatto i complimenti per la sua bella voce. Tuttavia,
era solo un divertimento per lei.
Poi
quel mattino, dopo la messa natalizia, un uomo le si era avvicinato.
Era un uomo distinto, di mezz’età, e
l’aveva salutata in spagnolo ma con un evidente accento
straniero, per poi domandarle –Come ti chiami?-
Il
padre e la madre di Ester l’avevano raggiunta immediatamente,
vedendo che parlava con uno sconosciuto.
-Desiderate qualcosa da mia figlia?- aveva domandato suo padre con tono
quasi minaccioso.
-Oh, non fraintendete le mie intenzioni, signor…-
-Aleandro Sancez.- aveva risposto l’altro in tono ancora
incerto –E posso sapere con chi sto parlando? Avete un
accento straniero.-
-Oui, in effetti sono qui di passaggio. Je m’appelle Richard.
Farmin Richard. Tra pochi mesi, sapete, tornerò a
Parigi, la mia città, e diverrò directeur
dell’Opera di Parigi… certamente ne avrete sentito
parlare.-
-Certo. Congraturazioni a voi. Ora però…-
-Suvvia, signor Sancez, lassè-moi terminer…-
aveva riso allora il signor Richard –Sapete, stamattina ho
écouté questo coro con molto interesse. Il motivo
è, devo dirlo, la voce di vostra figlia.- si era voltato
verso Ester e le aveva sorriso garbatamente –Un contralto
assolutamente charmant.-
Ester, arrossendo bruscamente, aveva abbassato lo sguardo.
-Avrò la direzione dell’Opera tra tre mesi. La
voce di sua figlia… come ti chiami, ma chère?-
-Ester, signore.-
-Ebbene, Ester, per quanto tempo hai studiato canto?-
-Mi
spiace, signor Richard, non ho mai preso lezioni.- ammise lei.
-No? Eppure leggevate uno spartito.-
-Mia madre mi ha insegnato a leggere le note, signore, nulla di
più.-
-Oh… bene, motivo in più per farvi la mia
proposta, signori.- di nuovo, il signor Richard si era rivolto ai
signori Sancez –Tra quattro mesi mandate Ester a Parigi.
Provvederò a trovarle una camera in affitto, in una casa
rispettabile, si capisce… con qualche lezione, ne sono
certo, potrà arrivare in breve a una piccola parte da
solista e, nel frattempo, potrebbe cantare come corista, o qualche
duetto, addirittura.-
La
proposta del signor Richard era rimasta in sospeso per i quattro mesi
seguenti: nessuno in casa ne aveva più parlato e Ester non
aveva mai nutrito la speranza che i suoi genitori acconsentissero a
mandarla così lontano.
Ma
allo scoccare del quarto mese suo madre l’aveva aiutata a
fare i bagagli e suo padre aveva mandato una lettera al fratello di
Ester, Diego, che si era trasferito a Parigi qualche mese dopo aver
sposato una bella ereditiera parigina, madmoiselle Gabrielle Buten.
Ovviamente Diego aveva accettato di ospitarla e Ester si era trovata su
una carrozza, alla volta di Parigi.
Ester entrò in casa e fu accolta da
tutta la famiglia di suo fratello. Diego era piuttosto alto ma
altrettanto robusto, al contrario di lei che era di costituzione
abbastanza magra. Avevano però gli stessi capelli castani e
gli stessi occhi nocciola che caratterizzavano la famiglia, e la loro
carnagione era un poco più scura rispetto a quella di
Gabrielle, che era una donna sottile e con un lieve sorriso perenne sul
volto. Con loro c’era Antoine, il figlioletto di due anni.
Dopo cena, quando la cameriera aveva finito di
sistemare gli effetti personali di Ester, suo fratello le
mostrò la sua stanza e manifestò la sua poca
convinzione riguardo alla scelta presa dalla sorella –Ah,
Ester, l’Opera… il mondo
dell’Arte… Ne sei davvero certa? È
ciò che desideri?-
-Si.- rispose Ester con un sorriso –O,
almeno, credo di desiderarlo. E visto che ho questa
possibilità, odierei non provare, almeno.-
In realtà, tutto era accaduto tanto in
fretta che neanche aveva avuto il tempo di domandarsi se quel
cambiamento le sarebbe piaciuto. Ma ora era lì, a Parigi, e
certo non aveva nessuna intenzione di tornare indietro.
-D’accordo. Allora domattina ti
accompagnerò all’Opera…-
sospirò Diego –Anche se con…- si
interruppe, abbassando lo sguardo –Niente.-
-Niente?- domandò Ester stupita
–Come, “niente”?-
-Niente, davvero. Solo, le sciocche paure di un
fratello maggiore.- sorrise Diego, e l’abbracciò
–Sono felice che tu sia qui.-
La mattina seguente Ester indossò un
abito celeste e un cappellino, poi Diego
l’accompagnò all’Opera. Già
da fuori, Ester rimase impressionata
dall’immensità del monumento. Quando entrarono,
emise uno strano rantolo e temette di aver perso la voce per la
sorpresa di trovarsi in un luogo tanto imponente ed elegante.
-Perdonatemi!- Diego fermò una donna
dall’aria severa, il volto spigoloso e i capelli raccolti in
una crocchia –Dobbiamo incontrare il signor Richard. Potete
portarci da lui?-
-Certamente, signore.- annuì la donna,
e si presentò come la maschera Giry.
La donna li guidò con sicurezza lungo i
corridoi immensi ed elegantissimi fino ad un ufficio al secondo piano,
dove madame Giry bussò alla porta di un ufficio.
Una voce (Ester riconobbe in essa il signor
Richard) disse di entrare. Madame Giry, dopo aver fatto una riverenza
al signor Richard, seduto dietro la scrivania, e ad un altro uomo
seduto su una poltrona, uscì chiudendo la porta.
-B… bonjoure.- salutò Ester
con voce un po’ stentata.
-Oh, salve, salve!- salutò il signor
Richard –Se non erro, voi siete… Ester, Ester
Sancez, nevvero?-
L’altro uomo intanto, dopo essersi
presentato come il signor Moncharmin, co-direttore
dell’Opera, li invitò a sedersi e Ester e Diego
presero posto davanti alla scrivania.
Sara prese a torturarsi nervosamente le mani: il
signor Richard si era detto soddisfatto della sua voce, ma non aveva
accennato al fatto di non essere l’unico direttore: dunque
non spettava solo a lui la scelta. Se al signor Moncharmin non fosse
piaciuta, cosa sarebbe successo? Sarebbe dovuta tornare in Spagna? Ora,
la prospettiva di tornare a casa le sembrava terrorizzante.
-Ti avevo raccontato, Moncharmin, della giovane
contralto andalusa?-
Il signor Moncharmin annuì studiando la
ragazza –Certo, certo…immagino dovremmo sentirla
cantare… certo non mi intendo granché di musica,
ma gradisco sentire la voce di una cantante, prima di stipendiarla.
Capite la mia posizione spero, madmoiselle.-
-I…io… certo, signore.-
annuì Ester, che tuttavia era un fascio di nervi.
-Bene.- sorrise il signor Richard, e le porse uno
spartito adatto alla sua tonalità. Le furono concessi pochi
minuti per studiare le note e i passaggi, poi fu fatta alzare in piedi.
Trasse un respiro profondo e chiuse gli occhi.
Immaginò di trovarsi non in un’elegante ufficio
dell’Opera ma in chiesa, nel suo paese. La nota iniziale fu
un tantino tremula, ma poi la sua voce si fece chiara e
cantò con naturalezza, come aveva sempre fatto.
I due direttori ne furono soddisfatti. Dopo aver
scambiato qualche parola le dissero che avrebbe dovuto presentarsi
all’Opera la mattina seguente alle nove.
A casa, dopo aver scritto una lettera entusiasta
alla madre e al padre, Ester andò a letto.
___________Nota di Herm90
Questa è la prima volta che mi arrischio a scrivere sul
Fantasma dell'Opera... la mia ficcy è basata più
sul film che sul libro. Non so quanto sarà lunga... io
andrò avanti comunque, ma qualche recensione fa sempre
piacere!
(mi scuso in anticipo per il francese... so che è pessimo,
non sono mai andata bene anche se mi affascina molto come lingua!)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** capitolo uno ***
Capitolo 1
La mattina seguente Diego e Gabrielle dovevano
andare a lavoro, dunque mentre il piccolo Antoine venne affidato alla
cameriera Ester prese una carrozza da sola, diretta verso il Teatro
dell’Opera. Davanti all’entrata, ai piedi dello
scalone d’entrata, la attendeva madame Giry, le braccia
incrociate al petto e uno scialle nero sulle spalle.
-Bonjoure.- la salutò Ester.
-Bonjoure.- rispose madame Giry, la voce rigida al
pari del portamento –Venite con me.-
La donna la accompagnò innanzitutto ad
un camerino che, la informò, era suo da quel momento.
Lì le porse un abito verde ampio e semplice.
-L’abito che avete ora, con quella
fascia stretta in vita, non è l’ideale per
cantare.- la rimproverò.
Quando Ester si fu cambiata la portò
nell’immensa Sala e tramite una scaletta laterale salirono
sul palco.
Al centro di esso vi era una ragazza che doveva
avere più o meno l’età di Ester: era
bionda, gli occhi celesti, e indossava un abito bianco simile a quello
che avevano dato a lei.
-Lei è Christine Daaé.- le
spiegò madame Giry mentre si avvicinavano alla bella soprano
–Christine, lei è Ester Sancez.-
-Molto piacere.- le sorrise Christine con voce
dolce. Ester ebbe a malapena il tempo di rispondere prima che la
maschera Giry la trascinasse verso il corpo di ballo. Per prima le
presentò una ragazza dai capelli neri che, come le altre,
indossava un lieve tutù verde.
-Lei è Meg Giry. Mia figlia.-
spiegò a Ester la sua guida, poi passò alle altre
ballerine.
Infine, quando Ester ebbe conosciuto i due tenori,
la seconda soprano e un giovane contralto maschile, madame Giry la
condusse al coro.
-Per oggi…- spiegò Madame
Giry al termine delle presentazioni –Lavorerai con Philippe,
uno dei nostri maestri, sugli spartiti. Da domani inizierai a provare
con gli altri.-
Madame Giry la condusse dietro le quinte. Mentre
camminavano tra scenari e sfondi, tra alberi e colline, palazzi e
povere stamberghe, sul palco Christine Daaé
iniziò a cantare. Come Ester aveva potuto comprendere dai
costumi, cantava la parte di Ermia di “Sogno di una notte di
mezza estate”.
La sua voce si levò nel teatro con un
tono dolce e cristallino che Ester non aveva mai ascoltato prima. Era
davvero un piacere non solo perle orecchie, ma anche per lo spirito,
avere il privilegio di ascoltare una simile voce.
L’attenzione di Ester tuttavia fu
all’improvviso distolta dalla voce della cantante. Mentre
seguiva madame Giry si voltò indietro, certa di
ciò che aveva visto e sentito. Eppure, non c’era
nulla dietro di loro.
-Mi scusi madame, non ha sentito anche lei?-
domandò, curiosa.
-Cosa, mia cara?- domandò la donna
senza voltarsi.
-Un rumore, come di una porta.- disse Ester senza
smettere di fissare il lungo corridoio tra lo scenario del Faust e
quello di Romeo e Giulietta –E credo di aver visto anche
qualcosa…-
Madame Giry si voltò verso di lei,
finalmente –Ester, io credo che tu non abbia visto nulla. Se
invece non è così, sono certa che non sia altro
che un macchinista che fa il suo lavoro.-
“Certo, ma dov’era scomparso
ora?”, pensò la ragazza. Ma non disse nulla,
annuì e seguì Madame Giry.
Il signor Philippe era un uomo panciuto con due
lunghi baffi neri e il capo pelato. La accolse con un tono affabile
dietro cui, tuttavia, Ester non ebbe difficoltà a percepire
un velo di freddezza.
Quando Madame Giry lasciò Ester sola
con lui, non disse nulla che non riguardasse il canto. Nemmeno, per
dire, volle sapere il nome della sua allieva.
-Iniziamo con qualche gorgheggio.- disse solo, e
poi continuarono.
A fine lezione, quando l’uomo la
congedò senza quasi salutarla, Ester si imbatté
in Meg Giry, che la salutò in tono allegro.
-Hai fatto lezione con Philippe?-
domandò –Com’è andata?-
-Oh, beh… in realtà, non
saprei. Non ha detto nulla.- ammise Ester, ansiosa di sapere cosa
volesse dire quel silenzio dell’insegnante.
-Ma certo, che sciocca… Philippe,
dopotutto, non parla più quasi con nessuno, se non con il
signor Richard.- annuì Meg.
-Hai detto “non parla
più”… prima parlava? Cosa gli
è accaduto?- domandò curiosa Ester mentre le due
si avviavano verso il piano di sotto, dove c’erano i camerini
e il foyer della danza.
-Due settimane fa ha ricevuto una missiva dal
Fantasma. Ovviamente, c’era da aspettarselo, dopo la
storiaccia che ci ha raccontato…- disse sottovoce Meg.
-Cosa? Che storia è, i fantasmi
scrivono lettere?- rise Ester.
-Sssssssh, per l’amor del cielo, tieni
bassa la voce se parli del Fantasma in modo così
irrispettoso.- la redarguì Meg, guardandosi attorno come se
si aspettasse di vedere un fantasma sbucare dal nulla.
Ester sollevo un sopraciglia, sorpresa
–Hai paura che ci senta?-
-Oh, lui sente ogni cosa.- annuì Meg,
sempre curandosi di non alzare la voce al di sopra di un sussurro
–Perché credi che abbia mandato quella lettera
minacciosa al signor Philippe, altrimenti?-
-Ma certo… giusto…-
concordò Ester, scettica.
Non aveva mai creduto ai fantasmi. Tuttavia,
quando arrivò a casa, non poté fare a meno di
chiedere a suo fratello notizie su questo
“fantasma” di cui Meg aveva parlato.
-Oh, cielo, ancora!- sbuffò Diego.
Lavorava nella polizia di Parigi, dunque sapeva bene a cosa si riferiva
la sorella –Ebbene, non volevo dirtelo per non spaventarti.
Circa tre settimane fa il signor Buquet, uno dei macchinisti
dell’Opera, è stato trovato morto. Impiccato,
pare, anche se non si è mai trovata la corda…-
Ester rabbrividì –Impiccato?-
domandò –Lì, all’Opera?-
Diego annuì –Beh, pare che in
molti siano convinti che ad ucciderlo è stato il Fantasma
dell’Opera. Oh, non è che una leggenda.- si
affrettò a rassicurarla Diego –Te lo dico io, se
Buquet non si è ucciso da solo, significa che aveva qualche
debito e si è dimenticato di saldarlo.-
Ester annuì e il giorno seguente
tornò all’Opera emozionata esattamente come le due
mattine precedenti.
Un fantasma che andava in giro a impiccare le
persone non era più credibile delle leggende e delle storie
che le vecchie del paese raccontavano a lei e ai suoi amici quando era
bambina.
Le prove furono molto più divertenti,
ma anche molto più faticose, della lezione con il signor
Philippe. Il signor Richard passò a dare
un’occhiata, e quando si ricordò di lei
domandò alla signora Lafrés, direttrice del coro,
come se la stava cavando.
Ester arrossì di piacere nel sentire la
donna rispondere con un entusiasta –Egregiamente, signor
Richard.-
Nella pausa per il pranzo, dopo aver mangiato con
Meg e un’altra ballerina, Jemmes, le due le proposero con
aria eccitata –Che ne dici di fare un giro… al
palco numero 5?-
Ester sollevò un sopraciglio, sorpresa
–E perché non al 15?- domandò.
Le due ragazze scoppiarono a ridere
–Già, dimenticavo che sei nuova… il
palco numero 5 è il palco maledetto!- disse Meg.
Ester alzò gli occhi al cielo: fantasmi
e palchi maledetti?
-E perché sarebbe maledetto?- chiese,
curiosa nonostante lo scetticismo.
-Nessuno può assistere ad una
rappresentazione da quel palco. È riservato.-
spiegò Jemmes in tono confidenziale.
-Dal Fantasma, magari?- scherzò Ester.
-Esatto. Andiamo?-
Ester assentì, pensando che dopotutto
bisognava pur passare il tempo. Così seguì le due
verso il palco.
-Apri tu.- la sfidarono quando furono davanti alla
porta.
-Va bene.- scosse le spalle lei, ed
entrò. Una volta nel palco, si sporse per osservare il palco.
“Beh, il Fantasma si è scelto
un buon posto, da qui la vista è perfetta”
osservò, notando che di lì poteva benissimo
vedere Christine che, seduta al centro del palco, sembrava scrivere
qualcosa su quello che doveva essere un diario “Invece di
fare queste sfide, la prossima volta vado a parlare con lei”,
decise mentre Meg e Jemmes entravano con circospezione dietro di lei
“Non mi piacciono queste sciocche sfide di coraggio, manco
avessimo cinque anni invece di diciassette…”
-Sai, nessuno l’ha mai visto.- disse Meg
quando l’ebbero raggiunta –Ma in molti
l’anno sentito. Anche i signori Richard e Moncharmin, anche
se non l’hanno mai ammesso.-
Ester annuì
–Capisco… e perché questo Fantasma
è tanto interessato all’Opera?-
-Beh, lui vive qui.- rispose Jemmes.
-Scusa, non vive, è un
Fantasma… al massimo infesta.- scherzò Ester
–Ad ogni modo, credi che lui sia qui ora?- domandò
per evitare le raccomandazioni di cautela che già aveva
letto negli occhi delle due compagne –Ci sta osservando,
ascolta ciò che diciamo?-
-Oh, è possibile.- annuì Meg
lieta che l’avesse presa sul serio –Proprio per
questo, come ti ho già detto l’altro giorno,
dovresti essere più cauta quando parli di lui. Ora
è meglio andare… mia madre non vuole che io venga
qui.-
Ester annuì e seguì le due
fuori. Stava per chiudere la porta quando si bloccò: le era
parso di sentire un rumore. Non era certa di che natura fosse
ciò che aveva sentito, ma le sembrava venire proprio da
lì, dal palco numero 5…
Scosse le spalle: probabilmente non era che uno
scherzo di Meg e Jemmes, di certo c’era nascosta da qualche
parte una loro amica con l’intento di spaventarla.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** capitolo 2 ***
Capitolo 2
Lo spettacolo “Sogno di una notte di
mezza estate” si tenne cinque giorni dopo. Ester,
emozionantissima, era arrivata come tutte le altre ragazze alle undici
di mattina. Avevano passato un paio d’ore a ripassare gli
spartiti, poi avevano fatto pranzo e dopo qualche istante di pausa si
erano dirette al trucco.
Una donna paffuta dai capelli neri aveva truccato,
da sola, lei, tutto il coro e tutto il corpo di ballo. Una giovane
pallida, rossa di capelli, si era invece occupata di Christine
Daaé, della seconda soprano, dei due tenori e del contralto
maschile, nonché di un altro uomo e un’altra
donna.
Questi ultimi, Jean-Paul e Corinne, avrebbero
interpretato Oberon e Titania.
I due tenori, Françoise e
Albèrt, sarebbero stati invece Lisandro e Demetrio.
La seconda contralto, la famosa Carlotta (che,
come aveva imparato ad apprendere Ester, nutriva verso Christine un
profondo odio dettato dalla gelosia), avrebbe fatto Elena, e bisognava
vedere con quanta convinzione interpretava la parte iniziale in cui il
suo personaggio manifestava la sua gelosia nei confronti di quello di
Christine.
Il contralto maschile, di nome Etienne, avrebbe
interpretato il dispettoso Puck. Ester aveva conosciuto Etienne
abbastanza bene, in quei giorni di prove, e poteva dire che la parte
gli andava a pennello visto che aveva senza dubbio una parlantina tanto
tagliente quanto divertente per chi lo ascoltava.
Il personaggio di Christine era, come
già detto, Ermia. In quei giorni Ester, come si era prefissa
di fare, aveva spesso passato la pausa pranzo con Christine. Nessuna
delle due era una gran chiacchierona, dunque per la maggior parte del
tempo si erano limitate a parlare in silenzio, ma non era una
situazione imbarazzante e sembravano godere entrambe, piacevolmente,
della compagnia.
Tre dei cinque giorni di prove, anche Meg aveva
pranzato con loro, ed Ester aveva appreso, grazie all’allegra
parlantina di Meg e ai silenziosi assenzi di Christine, che le due
erano cresciute come sorelle, in casa Giry ma per la maggior parte del
tempo proprio lì all’Opera.
Dalle chiacchiere del corpo di ballo, inoltre,
Ester aveva appreso qualcosa su un gentiluomo che, si diceva,
corteggiava Christine, e che ne era ricambiato. Si vociava di un
possibile fidanzamento tra lei e questo giovane, un certo Raul,
visconte di Chagny.
-Ci sarà il tuo visconte, stasera?-
domandò Ester a Christine mentre si avviavano verso i
camerini, che erano l’uno di fianco all’altro.
Come le altre volte in cui qualcuno aveva nominato
Raul, Christine arrossì, ma si vedeva che era più
che felice di annunciare che si, ci sarebbe stato.
Eppure Ester non poteva non percepire che qualcosa
non andava. Dopo la felicità iniziale nel sentire il nome
del visconte di Chagny, Christine cadeva in una specie di trance: si
faceva pallida e sembrava che la sua mente vagasse verso
chissà che luoghi. Accadde anche quella volta, tanto che a
malapena Christine si rese conto che avevano raggiunto i camerini.
Nel suo, Ester si infilò il costume di
scena, attenta a non rovinare trucco e pettinatura. Poi
sistemò la coroncina di fiori: il coro, infatti, avrebbe
fatto la parte della corte di fate di Titania, mentre il corpo di ballo
sarebbe stato il seguito di folletti di Oberon.
Come si era raccomandato il signor Philippe, non
appena fu pronta, Ester si mise a scaldare la voce.
Dopo qualche esercizio si interruppe bruscamente:
le era sembrato di vedere… non sapeva bene cosa. Era
un’ombra, nello specchio, come un pezzo di stoffa…
forse un mantello? Si guardò attorno, ma non c’era
nessuno.
Si diede immediatamente della sciocca: chi poteva
esserci nel suo camerino chiuso a chiave? Un fantasma?
“Il Fantasma dell’Opera,
magari!” rise tra sé, poi riprese a fare le sue
scale.
Fu un successo, un vero e proprio successo.
Quando si aprì il sipario per la prima
scena in cui era presente, Ester pensò che il cuore le
sarebbe probabilmente uscito dal petto tanto batteva forte. Sotto il
palco c’era una marea di gente, centinaia di persone, e
l’agitazione le dava l’illusione di avere tutti gli
occhi puntato su di sé, pronti a cogliere il primo errore,
la prima stonatura.
Mentre la musica vibrava dall’orchestra,
prese un bel respiro e tornò per un attimo in Andalusia, nel
suo paesino, nella sua chiesetta. Prese l’attacco, e il resto
della canzone non fu un problema, e lo stesso valse per le successive.
Il sipario si chiuse, ma gli applausi non si
interruppero. E a ragione: tutti i cantanti era stati bravissimi, ma in
particolare Christine era stata fantastica. Certo la voce di Carlotta
non aveva nulla da invidiare: eppure qualcosa, negli accenti, nelle
tonalità di Christine, aveva un effetto non solo
sull’udito ma sull’intero essere.
Diego e Gabrielle quella sera avevano lasciato
Antoine alla cameriera. Quando Ester tornò nel suo camerino,
li trovò entrambi ad attenderla davanti alla porta e corse
ad abbracciare il fratello, l’agitazione ancora nel cuore.
-Oh, cielo, ho scordato il cappello… vi
raggiungo immediatamente!- esclamò ad un certo punto mentre
uscivano. Il cappello, ricordò, le era scivolato quando era
arrivata dietro uno degli scenari, dietro le quinte… si era
detta che l’avrebbe recuperato appena pronta per lo
spettacolo, ma poi se n’era dimenticata…
Diego disse che l’avrebbero aspettata
alla carrozza e lei si allontanò.
Non c’era più nessuno: si
erano attardati nel camerino perché Ester non riusciva a
sganciare un laccio del costume e così i macchinisti
dovevano aver finito di mettere in ordine.
Ester salì sul palco e si
inoltrò tra due scenari, ma il cappello non c’era.
Riflettendo, comprese che erano stati spostati
durante lo spettacolo, perciò decise di guardare
più indietro. Passò allo scenario dietro, poi
ancora, e ancora. Man mano che si allontanava dal palco, la luce
diminuiva, ma lei se ne rese a malapena conto mentre continuava a
guardarsi attorno alla ricerca del cappello.
Arrivò al penultimo scenario, e ancora
non c’era. Sbuffando, passò allo scenario
seguente.
Finalmente lo vide, lì accanto a una
trave.
D’improvviso tra lei e il cappello
sbucò una figura di forma umana…
immaginò che fosse un macchinista che si era attardato.
-Mi scusi, non voglio disturbare.- disse
avvicinandosi –Ma ho dimenticato il mio cappello
e…- l’uomo si voltò verso di lei.
Indossava un mantello nero, e…
Ester non gridò, perché la
voce le morì in gola. Non scappò,
perché le gambe erano come impietrite. Non cercò
di non guardare, o di proteggersi, perché il suo corpo
riusciva solo a tremare violentemente per la paura.
Sotto il cappello, ne era certa, non
c’era alcun volto, solo due occhi dorati, scintillanti come
potevano esserlo quelli di un gatto.
Ester rimase lì, immobile, tremante, le
labbra che si muovevano senza emettere alcun suono. Lo scheletro la
guardò per un attimo. Poi scomparve nel nulla. La ragazza
rimase immobile per qualche attimo, ancora troppo spaventata per fare
qualsiasi cosa.
Si riprese, non dallo spavento ma almeno da quella
paralisi improvvisa, e senza nemmeno pensare a cosa stava facendo corse
a prendere il cappello e poi, sempre correndo, si allontanò
quanto più possibile dal palco, fermandosi solo
nell’entrata. Lì si poggiò al muro,
trasse qualche respiro profondo e una volta che si fu calmata, almeno
esteriormente, uscì e raggiunse la carrozza.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=199291
|