F**k this s**t, I'm going to London 2.0

di Mo_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vite parallele ***
Capitolo 2: *** La bella vita. ***
Capitolo 3: *** College life ***



Capitolo 1
*** Vite parallele ***



 

I’m tired and I’m lost,
I don’t wanna be found.
I put my heart and my soul and strength in this now
So forgive ‘cause I won’t forget.
Yeah, this world has changed me.
 
Who are you now – Sleeping with sirens
 

1
Vite parallele.
 
 

Serena

Documenti, biglietti, soldi, occhiali da sole, spazzola, sigarette.
Ok.
Anzi no, manca ancora qualcosa.
Documenti, biglietti, soldi, occhiali da sole, spazzola, sigarette, caricatore dell’IPhone, scatola con i bracciali, trousse dei trucchi, piastra, un libro.
No, gli ultimi due insieme non riesco a farli entrare nello zaino. Lancio via il libro e tengo la piastra che è molto più importante, così finalmente lo zaino è pronto.
Faccio avanti e dietro per la stanza con la sensazione di stare dimenticando qualcosa di fondamentale. continuo così da due ore, giuro che se non esco ora da questa casa impazzisco.
Prima però do un ultimo sguardo all’armadio, giusto per essere sicura di aver preso lo stretto necessario.
(sempre se posso definire “stretto necessario” venti chili di vestiti).
Anche se il clima della mia meta non mi concederà di indossarli, non ho avuto la forza di lasciare qui le mie canotte e i miei shorts preferiti, non era umanamente possibile. Ormai su queste mensole troppo vuote ci sono solo maglioni sformati e vecchie magliette che non uso più. Una di loro attira la mia attenzione, è dei Led Zeppelin e sarà almeno un anno che non la metto. Per qualche motivo decido che anche lei verrà a Londra con me. Chissà, magari una sera decidiamo di omologarci all’ambiente underground giusto per fare qualcosa di diverso, per sfottere qualcuno che lo è davvero. Potrebbe risultare utile.
Riapro e richiudo ancora una volta la valigia, cercando di non pensare al perché io ho una maglia del genere.
La sensazione strana in qualche modo è diminuita, ora sono definitivamente pronta e ho anche un’ora di anticipo. Ho bisogno di uscire, vado a dare un arrivederci plateale a tutti quelli che incontrerò.
La giornata è calda e afosa, esattamente come ti aspetteresti una giornata di fine giugno qui nel Sud Italia. È domenica e in giro non c’è un cane, a parte il mio migliore amico che sta venendo in tutta fretta a salutarmi. Lo riconosco a due isolati di distanza. Sorriso familiare, capelli spettinati ad arte, abbigliamento impeccabile. Lui è una di quelle persone che ti giri a guardare. Lui mi ha reinventato dalla testa ai piedi ed è grazie a lui se sono la ragazza che sono ora, se sono più bella di prima, se conosco più gente di prima, se sono più vicina al mio sogno di prima.
Amo questo ragazzo come se fosse mio fratello.
«Come farò a stare due settimane senza di te?» gli chiedo mentre me lo tengo stretto tra le braccia. L’anno scorso eravamo a Londra insieme, mentre questa estate mi abbandona per andare in Spagna con il suo migliore amico. Migliore amico che, per inciso, è cotto di me. «Non sarà lo stesso»
«Lo sai che vorrei essere con te, ma non potevo deludere Andrea.» mi risponde lui, stringendomi con altrettanto vigore. Ci ero rimasta male quando avevo saputo la notizia, ma non riesco ad incazzarmi con Peppe, è più forte di me. Lui è l’unica cosa stabile della mia vita. «Dai, ci facciamo un caffè sincero? Offro io»
Caffè, ciò di cui ho bisogno. Peppe si che mi conosce.
Così dieci minuti dopo siamo nel bar più in vista della città che, al contrario delle strade, è fin troppo popolato. La gente viene a salutarci, a parlare con noi, in questa piccola città le persone che contano si conoscono tutte.
Ricevo almeno dieci abbracci. Dieci falsissimi abbracci.
Solita procedura: «che mi racconti?» «niente, che tra un’ora prendo un aereo per Londra» «oddio bellissimo, ciao allora». Stop. Abbraccio. I più intraprendenti azzardano anche un «mi mancherai»
Ci scommetterei il mio biglietto aereo che nessuno di loro sente davvero ciò che sta dicendo.
Qui in realtà c’è tanto di quell’odio nascosto dietro bianchi sorrisi da far accapponare la pelle. A nessuno, in questa stanza, importa davvero qualcosa della persona che ha accanto. Si sta insieme per non sentirsi soli, per essere apprezzati, per divertirsi e passare le giornate, ma finisce tutto qui. Ci si pugnala alle spalle ogni volta che è possibile.
Io e Peppe, però, siamo diversi.
Noi di bene ce ne vogliamo davvero, in un modo che gli altri non capirebbero, eppure per tutto il resto siamo omologati a questa gente falsa e schiavista che venderebbe l’anima al diavolo pur di avere un pass gratis per la prossima serata nella discoteca in voga al momento ( e non per non pagare venticinque euro, ma per poter dire agli altri che è riuscita ad avere il pass)
Non mi lamento però.
Del resto sono qui per scelta e finchè sono sicura che ciò che c’è tra me e Peppe è vero posso superare anche questo.
«Ieri Andrea mi ha parlato di te» dice ad un certo punto il mio amico mentre, finito il caffè, mi accendo una sigaretta. L’accendino mi manca, così lo chiedo ad un ragazzo carino seduto al tavolo accanto al nostro. Me lo lancia con un occhiolino, ma non ci faccio caso e torno ad ascoltare Peppe. «Vorrebbe passare del tempo con te, gli piaci e non poco»
Abbozzo un mezzo sorriso.
Andrea è l’unico ragazzo decente che ho conosciuto nell’ultimo periodo, gli altri sono solo inutili arrapati mentali senza un briciolo di cervello. Ad ogni mondo, non riesco ad accontentarmi neanche di lui.
«Non è Andrea che voglio…» lascio la frase in sospeso perché non c’è bisogno di completarla. Non con lui. Peppe sa.
«Serena sono passati tre anni e a Lorenzo ancora non sei riuscita ad arrivare, quanto altro credi di poter aspettare? Quante altre occasioni devi lasciarti scappare?»
Chiudo gli occhi e lascio che quelle parole mi scivolino addosso senza peso. è un discorso sentito e risentito almeno altre cento volte, ma non voglio ascoltare. Se la mia intera vita gira intorno a Lorenzo, come potrei smettere di pensarci? Sono ciò che sono per lui, per cercare, un giorno, di attirare la sua attenzione come lui ha attirato la mia. Questo gli altri non lo capiscono. Non potrebbero.
E senza neanche volerlo fare apposta, in quel momento un ragazzo entra nel bar. Tutti gli occhi si rivolgono verso di lui, su questo ragazzo che brilla di luce propria. Occhi chiari, capelli castano scuro, viso d’angelo.
Il mio cuore parte in quinta.
È Lorenzo.
«Sei una caso perso» commenta Peppe scuotendo la testa. Devo avere gli occhi a cuoricino mentre seguo il suo percorso fino al tavolo dove raggiunge gli amici. Mi sento stupida, ma che ci posso fare? L’amore non si sceglie.
Non è solo per la sua bellezza. Anche tutti i suoi amici sono bellissimi, ma lui ha quel qualcosa in più.
Lorenzo è l’amore della mia vita, lo so.
Oggi, però, devo metterlo da parte.
Mi chiamano i miei, sono andati a prendere le valige da casa e stanno venendo a recuperarmi.
Addio Lorenzo, ci vediamo tra due settimane. È sempre un piacere vederti.
Peppe paga e mi accompagna all’esterno del bar. Non so mai cosa dire in questi casi, gli ultimi due minuti prima della partenza. So solo che mi mancherà, ma mi sembra anche stupido dirglielo dopo tutti quei saluti falsi che ho ricevuto. Peppe mi abbraccia e va bene così.
«So che ami l’aria underground di Londra, ma non lasciarti prendere troppo perché così sei perfetta» mi sussurra nell’orecchio prima di darmi un bacio sulla guancia. La macchina dei miei accosta accanto a noi, è davvero ora.
«Non fare troppo la bella vita senza di me» scherzo sorridendogli.
Mi sorride di rimando.
Salgo in macchina e lo saluto oltre il finestrino, ma saluto anche Lorenzo, senza farmi vedere, che si intravede in lontananza.
Quando la macchina parte sento come se avessi lasciato per terra un fardello che portavo sempre con me. Lascio tutti qui e scappo. Scappo, almeno per un po’, da questa gente paurosamente vuota.
 
Sotto l’insegna del Gate 9 ci sono almeno trenta persone.
Genitori salutati, solite raccomandazioni ricevute, valigie imbrarcate, ora ci tocca solo imbarcare noi stessi.
I capi gruppo, Franco e Wanda, approfittano della compattezza del gruppo per dettare un paio di regole di sopravvivenza, giusto per non essere cacciati dall’Inghilterra già dal primo giorno.
Io e Mic ce ne stiamo in disparte, le abbiamo già ascoltate almeno altre mille volte.
Mic è praticamente la mia compagna di viaggio per eccellenza. Almeno metà dei posti che ho visitato, li ho visitati con lei. Questa è la terza volta che andiamo a Londra insieme. Con lei che si orienta in metro e io per strada non può fermarci nessuno.
«Spero che ci divertiremo almeno quanto l’anno scorso» le dico mentre la fila per il gate avanza leggermente e tutto il gruppo fa un passo avanti, noi comprese. Ci risediamo sulle nostre valigie e aspettiamo. Ancora.
«Certo, anche se non avremo Peppe che dorme nel nostro armadio o che scappa dalle troiette turche»
Ridiamo al ricordo delle nostre avventure dell’anno precedente.
Di Peppe, di Mic, delle nostre coinquiline, dei Francesi, degli Australiani, del cibo schifoso, delle ore passate nell’Abercrombie.
Ne abbiamo combinate di tutti i colori, ma se è vero che il meglio deve ancora venire allora quest’anno dovrebbe essere esplosivo. Non vedo l’ora che la vacanza inizi. Voglio lasciarmi alle spalle tutto almeno per queste due settimane.
«L’unica pecca sarà il college in culo al mondo.»
«St Mary’s University, a Twickenham, zona 3, ovvero a più di mezzora dal centro di Londra» puntualizza lei, super informata su tutto ciò che faremo in queste due settimane. Sbuffo. È relativamente lontano, ma alla fine non mi importa più di tanto. Basta che siamo a Londra. Basta che siamo lontani da qui.
«è il nostro turno ragazzi» grida Franco per attirare la nostra attenzione. Ed ecco che ricomincia lo sbattimento dell’aeroporto, tra documenti, controlli e pulmini per arrivare all’aereo.
Quando finalmente prendo posto sul sedile assegnato tiro un sospiro di sollievo, ora mancano solo tre ore di “relax” su questa macchinetta volante e poi finalmente sarò di nuovo a Londra.
Sarò di nuovo a casa.
Sto già preparando gli auricolari dell’Iphone quando al mio fianco si siede un ragazzo, uno del nostro gruppo dato lo zaino che ci contraddistingue. Alto, biondo e magrolino. Carino nel complesso. Ha anche una faccia conosciuta.
«Dario, piacere» si presenta educato sfoderando un sorrisone. È un sorriso amichevole, quindi mi sta già simpatico. Sono una di quelle persone che si basano molto sui sorrisi.
«Serena» gli stringo la mano che mi offre e continuo a scrutarlo. Sono davvero convinta di averlo visto da qualche parte, ma davvero non riesco a capire dove.
Lui mi anticipa.
«Aspetta, ma tu eri sta mattina al Vox? Credo di averti già vista»
E ora capisco, ora mi è tutto più chiaro.
So chi è lui.
Si chiama Dario D’amato.
Ed è uno dei più stretti amici di Lorenzo.
In questo momento la vacanza prende tutto un altro significato, altro che lasciarsi tutto alle spalle. Questo è il momento di agire.
 
Chris.

Nevermind, nevermind/
I’ve got cigarette and music, I’ll go on/
 
Ci immagino un riff di chitarra, poi la batteria di Ryan e qualche colpo del basso di Lenny.
Ma che cazzo faccio? Sembra la brutta copia di una canzone dei Nirvana.
Cancello tutto, strappo la carta e sono di nuovo al punto di partenza.
Un nuovo foglio troppo incolore che non mi dice niente, la mente in silenzio stampa.
Scarabocchio qualche forma astratta all’angolo perché tutto questo bianco mi sta uccidendo.
«Sei in crisi frocetto?» la voce di Harry arriva amplificata dal microfono che la storpia e la rende ancora più imponente. “Frocetto” è il suo amorevole modo di chiamarci. Gli alzo le due dita contro e lui scoppia a ridere. Il microfono sta volta emette un sibilo assordante. «Ehi, non è colpa mia se qui sei tu il più intelligente»
«Parla per te» controbatte Lenny da sopra l’amplificatore che sta cercando di aggiustare senza però avere molto successo. Riderei se non fossi così stressato.
Lascio perdere tutti e torno sul mio foglio, sta volta mi accendo una sigaretta in cerca di ispirazione. Qui giù sarebbe vietato fumare, ma il proprietario del locale mi adora e se dovesse accorgersi della puzza so che non mi direbbe niente. Anche perché sa in che condizioni sono.
Maledetti i giorni in cui scrivevo testi geniali e pieni di significato, perché le stronzate di ora confrontate a quelle non sanno più di niente. Mi sento come una di quelle band rock che spaccano per i primi due anni della loro carriera e poi deludono tutti i fan vendendosi alla musica commerciale. Non ho più un senso.
Il problema è che ci serve una canzone e anche in fretta, ma io sono l’unico capace di mettere insieme due parole.
Se le canzoni le scrivesse Lenny sarebbero qualcosa di smielato dedicate ad “un ragazzo dagli occhi azzurri” e sembreremmo tutti dei froci; se toccasse ad Harry magari i concetti ci sarebbero, ma non avremmo un vero e proprio testo, più frasi di venerazione nei confronti del sesso, delle tette e della droga e molto, molto, molto scream; Ryan invece, con tutto il bene che gli voglio, non sarebbe proprio capace. Ne uscirebbe una canzone confusa e districata come la sua infinità di capelli, un mix di tutte le canzoni che perennemente in testa.
Quindi meglio lasciare le cose come stanno.
Lenny con il suo basso, Ryan con la sua batteria, Harry alla sua chitarra e allo screm quando serve ed io con la mia voce, la mia chitarra e la mia penna.
Credevo di sapere di cosa dover parlare in un buon testo, ma non è più così. Mi sembra di aver esaurito tutte le idee. Non avrei mai detto che la rabbia di un tempo sarebbe svanita così velocemente.
Non sento più niente.
Ho bisogno di qualcosa di nuovo, cazzo.
 
DAILY LIFE IT’S KILLING ME/
Can somebody save me?/
Nobody will raise his hand/
Well/ go fuck yourself/
 
Un rumore di passi sulle scale mi deconcentra ancora una volta.
Il tipico profumo di rose anticipa l’entrata in sala della nostra reginetta del ballo, dell’anima femminile della band, o anche semplicemente di Georgia.
Georgia, detto sinceramente, non c’entra un cazzo con noi.
Lei è bionda, popolare e ha sempre almeno un accessorio rosa. Credo che ci odierebbe tutti se non mi conoscesse da fin troppo tempo. Si trova nella band grazie (o per colpa?) a me. Volevamo provare ad avere una voce femminile nella band, io ho pensato a lei ed eccoci qui. Il vero problema è che il massimo del rock per lei è Avril Lavigne, con tutto il rispetto per Avril, e che, in genere, odia gli arrangiamenti dei miei testi.
Le parole no, quelle naturalmente no considerando che almeno nel 50 % delle canzoni parlo di lei.
Bella la vita così. Ad ogni modo, noi l’abbiamo voluta e noi ce la teniamo.
Almeno ha una bella voce.
«Buona pomeriggio amori miei, vi ho portato uno spuntino»
Almeno ci porta lo spuntino.
Con lei che ci chiama amori e Harry frocetti, devo dire che stiamo senza dubbio messi bene.
«Prima però me la cantate una canzone? Una di quelle che piacciono a me» domanda facendo la faccia da cucciolo mentre va a sedersi sullo sgabello del bancone più vicino al palchetto. «Tanto gli strumenti sono già tutti collegati»
«Se avessi portato L’ukulele ti avrei fatto una nuova canzone dei Never Shout Never, ma questo non è il tuo giorno fortunato» le dice Ryan avvicinandosi furtivo al cibo poggiato davanti a lei. Georgia lo sposta non appena se ne accorge. La verità è che prima le facciamo la canzone prima si mangia.
Ma si, magari mi viene una canzone stratosferica sul fish and chips.
Mando a fanculo tutti i fogli e con uno scatto lascio la mia postazione per andare a prendere la chitarra. Anche Ryan deve aver fatto il mio stesso ragionamento, perché mi giro e lo trovo già dietro la batteria pronto a seguirmi qualsiasi canzone scelga. Tra quei suoi ricci castani c’è un repertorio infinito di musica.
Ryan è il nostro Juebox vivente.
«Sappiate che le mie orecchie non sopporteranno un’altra canzone di Avril Lavigne, quindi se volete la mia magnifica chitarra trovatevi un altro genere» si impone Harry e lo ringrazio con tutto il cuore.
«Dato che martedì dobbiamo suonare per quella cosa nel mio college decidiamo ora la canzone e la proviamo, così possiamo anche non fare altre prove domani»
Lenny, con il suo tono risoluto e pacato, come sempre ha ragione. Neanche Georgia può trovare niente da ridire, così abbiamo via libera sul genere della canzone, anche perché lei non potrà esserci martedì.
Alleluja, che grande liberazione.
«Fate qualcosa dei 30 seconds to Mars, sono quelli che vi escono meglio» suggerisce Georgia, per una buona volta ha detto qualcosa di sensato. Mi giro verso Ryan. Lui capisce e si mette subito in cerca di una canzone perfetta. Lenny comincia ad accordare lo strumento.
Io accarezzo le corde della chitarra come se fossero i capelli di una ragazza. Finchè la musica non diventa la tua unica speranza, non sentirai mai ciò che provo io ogni volta che suono. La melodia che si crea sotto le tue dita, che scorre nelle tue vene, che ti inebria il cervello. Meglio di buttarsi da un aereo, meglio di qualsiasi droga, ed io le droghe le conosco bene.
Senza musica non ci sarebbe vita, almeno per me.
Precedo Ryan perché la canzone che ho in testa in questo momento mi sembra adatta. The Kill, appunto dei 30stm. Comincio con i primi accordi e subito la batteria si unisce, seguita poi dal basso e dalla seconda chitarra.
Manca solo la mia voce.
Attacco al momento giusto, tra le note giuste, ed è tutto dannatamente armonico. Mi lascio andare, preferisco steccare piuttosto che non metterci il cuore. Georgia è laggiù che mi guarda incantata, ma non sento più niente. Non riesco più a dedicare tutto a lei, non come un tempo.
Lei mi ha stancato. Le voglio ancora bene, certo, però è tutto qui.
Io mi stanco sempre di tutto.
Tranne che della musica.
La canzone finisce e siamo tutti soddisfatti, tutti ubriachi del suono che fino a poco fa usciva dagli amplificatori. Mangiamo e chiacchieriamo tranquillamente, poi  ad uno ad uno ci salutiamo. Prima Lenny che deve farsi più di mezz’ora di treno per mollare il mondo “alternativo” che tanto gli piace e tornare in quello dello studente diligente nel suo college di prima scelta, poi Harry costretto da Georgia a riaccompagnarla in macchina a casa e infine io e Ryan.
Mettiamo tutto in ordine, salutiamo il padrone di lì e usciamo dal locale già pieno di gente. Siamo al centro di Soho, il secondo quartiere che più amo di Londra (il primo è sicuramente Camden Town). Buttiamo lo skateboard per terra e giriamo per queste strade che conosciamo anche troppo bene parlando del nuovo disco degli Sleeping with sirens, dei progressi di Ryan con l’ukulele e del contest per cui ci prepariamo da una vita.
Tra le strade di Londra, con lo skate sotto i piedi e la chitarra sulla spalla mi sento capace di conquistare il mondo. Così mi rilasso un po’. Troverò qualcosa per la mia canzone.
Perché cazzo questa è Londra e a Londra può succedere di tutto ogni giorno.
Non resterò apatico per sempre.
Scriverò la canzone migliore della mia vita.
 
 
 
Prima o poi…

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Capitolo 2
*** La bella vita. ***


 
Woke up in London yesterday,
found myself in the city, near Piccadilly.
Day turns to night, night turns to whatever we want.
We're young enough to say.

This has gotta be the good life,
this could really be a good life, good life.
Got this feeling that you can't fight.
like this city is on fire tonight.

When you happy like a fool, let it take you over.
When everything is out, you gotta take it in.

Onre Republic, Good life.
 
Giorno 2
 
Capitolo 3
La bella vita (The good life)
 
Serena.

Londra è più di una città.
È più di un ammasso di palazzi, di piazze, di negozi. Londra è un modo di pensare, una realtà diversa dalle altre, una massa che ti ingloba e ti fa sentire parte di qualcosa di più grande. Uno stile di vita.
Londra è uno stile di vita.
Cammino per Piccadilly Circus e mi sento come e casa. Sento più calore qui, tra mille volti sconosciuti, che nella piccola piazza della mia città dove conosco tutti. Ed è strano, lo so, ma non posso farci niente.
Dario, ad esempio, non è del mio stesso parere.
«Mi sento sperduto, è come se avessi perso tutto il controllo» ci confessa mentre gira su se stesso, guardandosi intorno. Per lui Londra è bella, ma niente più di questo. Lui non vede cosa c’è dietro.
«E non è una bella cosa perdere il controllo a volte?» gli rispondo scattandogli una foto senza che se ne accorga. Poi punto Mic, ma lei mi rovina il momento facendomi la linguaccia. Però va bene anche così. Voglio immortalare tutto di questo viaggio.
Voglio poterlo rivivere una volta a casa attraverso i miei scatti, sentire la malinconia che sale foto dopo foto, luogo dopo luogo, volto dopo volto. È una di quelle cose belle e deprimenti allo stesso tempo. Le lacrime sono assicurate.
Io, Mic, Dario, Jacopo e un altro paio di ragazze tra cui, purtroppo, Daniela, passeggiamo per Regent Street tutti presi a guardarci intorno. Non vorrei darmi allo shopping sfrenato già dal secondo giorno, ma davvero, in questo posto è impossibile. In più ho una carta di credito nuova nel portafoglio che non vede l’ora di essere usata.
Io e Mic facciamo da guida turistica agli altri, portandoli in posti che abbiamo già visto, in negozi che sappiamo meritino di essere esplorati. Tutta roba commerciale, di moda. Infatti Dario è improvvisamente in paradiso.
Credo che in una maratona di shopping tra me e lui trovare un vincitore sarebbe più difficile del previsto.
In realtà questa roba piace anche a me, o meglio, mi sono imposta di farmela piacere. Seguire le ultime tendenze, non essere mai un passo indietro, andare con la massa, per me è diventato quasi gratificante. Il sapere di essere vestito bene ti da una marcia in più rispetto agli altri, ti fa apparire sicura. È come un costume di scena.
Casualmente perdiamo per strada Daniela e Chiara, le nostre due “metallare”, così finalmente restiamo solo noi quattro. Razziamo Regent Street e stradine annesse sapendo di attirare l’attenzione. Dario, con la sua bellezza, attirerebbe anche un insetto. Abbiamo bicchieri Starbucks in mano, telefoni nell’altra, buste firmate tra le braccia e occhiali da sole sul viso. I sorrisi fanno da accessorio, più che da indice del proprio stato d’animo.
Londra come sfondo.
E va bene così.
Più che bene.
Non è che la chiamano bella vita per niente.
 
Se precedentemente abbiamo perso due elementi, una volta  arrivati davanti ad Abercrombie ne guadagniamo altri due. Decisamente migliori per me, aggiungerei.
Sono due ragazze, due ragazze che in realtà avevo già puntato dall’inizio del viaggio, due ragazze che sono esattamente come me, come Dario. Le ho già viste in giro, al solito bar, con la solita gente. Sono sicura che non conoscano Lorenzo, ma avere buone amicizie non fa mai male. Le voglio con me in questo viaggio, a patto che non mi fottano Dario. Lui non si tocca.
«Paoletta, Chicca, venite con noi» le richiama Jacopo, che evidentemente le aveva già conosciute precedentemente. “Paoletta” ha dei lunghi capelli castani e una statura che non supera il metro e sessanta, un bel viso e uno stile okay. Su Chicca avrei molto da ridire, ma come sempre giudicare mi fa sentire cattiva. Comunque è più bassa di Paola e molto più chiatta, le sue tette fanno concorrenza alle mie, il biondo dei suoi capelli non è naturale e il viso sembra mantenere una perenne espressione schifata. Mi sta già antipatica, a pelle.
Forse, però, anche io potrei sembrare antipatica ai loro occhi.
Io e Chicca ci scambiamo uno sguardo sostenuto, indagatore, e nello stesso momento in cui poi la sua visuale si sposta su Dario, è come se entrassimo in competizione.
Mic, che ormai mi conosce fin troppo bene, mi tira una mezza gomitata nel fianco per farmi distogliere dal viso quella che è un’espressione degna di un leone che protegge i suoi cuccioli. L’avevo detto però, eh. Guai se tocca Dario.
«Comunque non ce la facciamo ad entrare qui, ora dovremmo essere già all’appuntamento con gli altri» ci ricorda Mic attirando l’attenzione di tutti e beccandosi, sempre da tutti, uno sguardo di misto sconforto e gratitudine. Senza di lei, probabilmente, all’appuntamento non ci saremmo neanche andati. Ne sono più che certa. Anche perché si sta così bene qui per le vie di Londra senza nessuno a farci da balia che la voglia di tornare in college proprio non c’è.
Durante la strada del ritorno, naturalmente, Paola e Chicca si integrano nel gruppo. L’atmosfera di astio tra noi è palpabile nell’aria, l’hanno percepita tutti tranne il diretto interessato che se ne cammina tranquillo in testa a tutti, ridendosela degli sguardi incantati che i passanti gli rivolgono. È abbastanza stupido.
Anche quando raggiungiamo il resto dei trenta ragazzi, noi compatti, come fossimo una categoria a parte. Guardo Mic e la vedo incerta, divisa dalla voglia di restare con me e quella di andare con le altre, con quelle “normali”. Perché lei è diversa da noi, diversa in senso buono. Lei è esattamente così come la vedi, in converse, jeans e camicia a quadri. Semplice, sensibile, con quel tocco di rock che sfoggia fieramente. Noi siamo quelli “vuoti e stupidi”, lei non sarebbe così neanche a pagarla.
Nonostante tutto, Mic resta con noi.
Posto a quattro sul treno, io, lei, Paola e Chicca, mentre nella fila accanto Dario e Jacopo. Abbiamo circa una mezz’oretta per fare amabile conversazione.
«Serena ma tu sei la migliore amica di Peppe o sbaglio?» la prima a rompere il ghiaccio è Paola, che ha la faccia troppo buona per poter davvero essere amica di Chicca. A confronto l’altra sembra un bulldog.
«Si, lo conosci?» le rispondo sorridendo, ma senza abbassare la guardia. Voce piatta, sguardo indifferente e cose così. Da qui parte un mega discorsone su Peppe che, a quanto pare, conosce da un bel po’. Quando la bionda comincia a parlare ha il tono sufficiente di chi se ne strafotte altamente di tutto. Purtroppo per lei ha di fronte l’altra miss strafottenza. Lei Peppe lo conosce solo di nome, e non fatico a crederci. Le amicizie di lui sono tutte super selezionate e se Paola è nel giro e Chicca no, ci sarà un motivo.
Mentre Mic tiene aperte le chiacchiere parlando della discoteca a tema di questa sera, il mio sguardo nascosto dalle lenti a specchio degli occhiali da sole capta qualcosa che non quadra.
Due  pulci che si stanno intromettendo in qualcosa di più grande di loro.
Le nostre due metallare, Daniela e Chiara.
Ora, io con la prima ho già un conto in sospeso, se in più continuano a sparlare su di noi, allora vuoi proprio che ti succeda qualcosa di brutto. Perché si vede se commenti qualcosa di qualcuno. Daniela sussurra nell’orecchio di Chiara e il genio si gira a fissarci. Ma dai, quanti anni hanno?
Mi schiarisco la voce e Mic frena il suo flusso infinito di parole.
«Qualcuno ha qualcosa da ridire su di noi» in realtà la frase voleva essere un sussurro, me l’effetto non è esattamente quello desiderato. Infatti, anche le dirette interessate riescono a captare le mie parole.
Si guardano tra loro, arrossiscono, abbassano la testa.
Paola, Chicca e Mic capiscono che stavo parlando di loro.
«Stronze» si sente poco dopo ed è l’input per far partire le nostre risate.
«Povere sfigate» commenta Chicca, naturalmente ad alta voce, facendo unire a noi Dario e Jacopo.
«Ragazze, sbaglio o ci serviva un travestimento per la serata a tema?» mormora ad un certo punto Mic, interrompendoci. Il suo sorriso quasi mi spaventa. Bene. «Credo di aver trovato una soluzione, e sarà anche piuttosto soddisfacente»
Mic è sempre buona e cara, ma se si incazza… aia.
Altro che Chicca il bulldog.
Non svegliare il can che dorme.
Non svegliare Mic che dorme.
 
Dopo cena io e Mic siamo da sole per la prima volta dall’inizio di quella giornata.
Non che lo saremo per molto tempo ancora considerando che le altre arriveranno a momenti, però serve a  ricordarmi una cosa importante.
«Che vuoi fare dell’invito di Lenny?» mi domanda sedendosi ai piedi del letto mentre io finisco il trucco in bagno, naturalmente abbinato a quello che sarà per noi il tema della serata. Molto eyeliner, molta matita e molto mascara, tutto rigorosamente nero.
«La serata emo universitaria? No grazie» rispondo automaticamente quando in realtà non ho pensato neanche per un secondo a ciò che mi piacerebbe davvero fare. Lenny mi sta simpatico a pelle, sento che andremmo subito d’accordo, ma entrare nel suo mondo, anche se per una sola sera, sarebbe troppo per me.
È come una tentazione, cedervi significherebbe tornare me stessa per qualche ora, resistervi sarebbe un consolidamento dei miei sforzi per restare ciò che sono ora. E alla Serena di ora le band rock proprio non piacciono. Assolutamente no.
È anche vero però che ogni tentazione respinta avvelena l’anima. Quindi, che fare? «Tu che ne pensi?»
«Penso che sia stato davvero gentile ad invitarci considerando che non ci conosce neanche, penso che ci saranno tanti inglesi alternativi come piacciono a noi, penso che ci divertiremmo e, sopratutto, penso che se gli altri membri della band sono belli anche sono la metà di Lenny e dell’altro ragazzo che si portava dietro, beh, stiamo messe bene»
Forse Mic ha ragione, forse dovremmo andare.
Comunque, non ho il tempo di risponderle dato che la porta si spalanca e Paola e Chicca fanno irruzione in stanza. Hanno anche loro un trucco più pesante del solito, una indossa Jeans stracciati e stivali mentre l’altra shorts a vita alta e anfibi borchiati, eppure sono ancora troppo alla moda
«Sono le cose più alternative che abbiamo trovato nelle nostre valigie» si giustifica Paola raggiungendo Mic sul letto. Chicca, invece, va a sedersi sulla scrivania.
«Comunque, tornando al piano, abbiamo sbirciato nella camera di Daniela dalla finestra e le cose vanno meglio del previsto, lei e Chiara dormono insieme, così anche parte dei vestiti dell’altra sono in stanza. Due piccioni con una fava. Abbiamo circa dieci minuti prima che escano» ci rapporta quest’ultima, sentendosi molto in un film di James Bond. Si aggiusta i capelli nella coda bassa mentre aggiunge «dobbiamo raggiungere le postazioni»
Ora l’adrenalina comincia a salire anche a me.
In meno di un minuto siamo tutte pronte.
Mic è fuori dalla porta d’ingresso del palazzotto, in attesa di un mio squillo, io e le altre osserviamo la situazione dal primo angolo che il corridoio presenta. Visuale perfetta sulla stanza numero 111. La stanza di Daniela (e Chiara).
«Chiara la situazione?» chiedo alle ragazze cercando di fare meno rumore possibile.
«Entriamo, prendiamo una dello loro “maglie alternative” ciascuna, poi scappiamo» risponde Paola, tutta esaltata.
Annuisco e Chicca alza un pollice come conferma.
Poi è questione di attimi.
Appena intravedo la loro porta aprirsi chiamo Mic e lei subito si precipita nel corridoio. Si guarda intorno, aspetta che Daniela infili la chiave nella toppa, corre verso di loro e afferra i polsi ad entrambe.
«Oddio, venite a vedere, venite a vedere» grida quasi spaventandole. Le trascina fuori prima che possano dire niente.
Prima che riescano a chiudere la porta.
Prima che riescano a togliere la chiave.
Non appena spariscono dalla nostra visuale, balziamo verso il nostro obbiettivo con il cuore in gola. Blot sarebbe fiero del mio scatto.
Chicca apre la porta e siamo dentro, in una stanza in cui il caos regna sovrano. Il che rende tutto più facile considerando che le maglie sono buttate sul letto o sulla scrivania.
Accalappio un canotta larga nera con il logo bianco dei Ramones per me, poi una T-shirt dei Bring me the Horizon per Mic. C’è anche un cappellino di lana nero che fa molto alternativo, così lo prendo.
Guardo le altre. Anche loro hanno un capo in mano. Con un cenno ci decidiamo ad uscire.
Missione compiuta, James Bond può farmi una pippa.
Ci nascondiamo appena in tempo dietro l’angolo del solito corridoio, accompagnate dalla porta d’ingresso che si apre per dare accesso a Daniela, Chiara e Mic.
«Mi dispiace che non l’abbiate visto, era davvero identico ad Oliver Skyes» la voce di Mic è un tantino troppo mortificata per essere reale, ma quelle due sono così stupide che non  lo capiranno mai.
«Chià, chiudi così andiamo già in discoteca» fa Daniela e credo di respirare per la prima volta solo quando sento la chiave chiudere la serratura. «Fa niente, se è nel college lo rivedremo sicuramente. Uno bello come Oli non sarà difficile notarlo» risponde nel frattempo a Mic.
«Ci vediamo dopo in discoteca» le saluta lei, poi di nuovo la porta sbatte e capisco che siamo sole. Ad ogni modo aspettiamo nel nostro angolino. «Allora, pronte per l’immedesimazione?»
Che la serata a tema abbia inizio.
 
Più della metà delle persone che girano per il college si sono scambiate di sesso. I ragazzi sono vestiti da ragazze, le ragazze da ragazzi. Loro si che sono originali.
Il resto sono tutti e dico tutti hippie o supereroi improvvisati.
Dario e Jacopo si distinguono facendo uno lo spogliarellista solo in pantalone e cravatta e l’altro il rapper con i vestiti enormi prestati dal ciccione del gruppo.
E poi ci siamo noi.
Paola sulla maglia nera ha una stampa in rosso degli AC/DC, a Chicca erano capitati i My chemical romance, ma li ha voluti Mic scambiando con lei la T-shirt dei Bring me the horizon ed io vesto fieramente i Ramones.
Paola prima se n’è uscita con una perla sugli AC/DC, ovvero che cantano Stairway to heaven, ma almeno ammette di non essere una fan di questa musica. Chicca prima di oggi probabilmente non aveva mai neanche sentito uno di questi nomi.
Io e Mic ci guardiamo sconsolate, però finchè non aprono bocca siamo quattro credibili ragazze alternative. Ora dobbiamo solo farci notare dalle proprietarie delle magliette.
Entriamo in palestra e la situazione è ancora più ridicola dell’orario. In quella che dovrebbe essere la pista ci saranno si e no una trentina di persone, il resto sono sparse per la stanza a vedere gli altri che ballano. Lo staff del college al completo è intento a sorvegliarci come se fossimo bimbi dell’asilo. Che qualcuno ci salvi.
Ci concediamo tutte e quattro un sospiro di sconforto prima di buttarci nella folla, se di “folla” si può parlare. E balliamo tra gli altri, facendoci spazio per stare ovunque vogliamo stare, ridiamo guardandoci, ci appiccichiamo a Dario facendo rodere tutte quelle con lo conoscono. Per una volta posso farlo, mentre di solito sono dalla parte di quelle che sbavano su qualcuno che non sa neanche il loro nome. Sta sera no, sta sera prendo la mia rivincita.
Dario poi, più gli vado vicino, più sembra contento.
Ad un certo punto capisco che stare semplicemente lì tra la gente senza farci notare dalle nostre vittime non ha senso, le cose se vanno fatte vanno fatte bene. Così prendo Mic per il polso, che prende Paola, che prende Chicca, e comincio a trascinarle verso il soppalco dove si trova l’improvvisata postazione da DJ.
Abbiamo praticamente trovato il nostro privè.
Da lì siamo sotto gli occhi di tutti, e la cosa come sempre mi piace da morire. A volte l’essere al centro dell’attenzione aiuta a farti sentire vivo. E poi da qui non possiamo sfuggire agli sguardi di Chiara e Daniela.
Ballo facendo un po’ la cogliona, tanto qui non mi conosce nessuno, qui un po’ me ne posso fottere, anche se non quanto vorrei. Devo ricordarmi che Dario è pur sempre qui, che mi sta guardando.
Che palle.
Ad un certo punto sento la mano di Mic strattonare la mia maglietta e mi giro a guardarla, mi sta facendo segno di uscire con lei. Suppongo che sia annoiata, a Mic le discoteche proprio non piacciono.
Naturalmente accetto, seguendola giù dal palchetto e nella massa, fino ad arrivare a respirare un po’ d’aria pulita oltre i portoni della palestra. Ci sediamo su una ringhiera e quasi non ci accorgiamo che accanto a noi ci sono Chiara e Daniela. Ops.
In realtà non le avrei neanche viste se prima la loro voce non avesse attirato la mia attenzione. “bellissimi quei tipi” aveva esclamato Chiara ed avevo capito che erano alle nostre spalle.
Il problema, però, fu capire a chi fosse riferita quella frase.
Un problema, si, decisamente un problema. Perché i problemi portano guai.
Ed i guai, in questo momento, per me sono quattro ragazzi carichi di strumenti e due visi conosciuti che purtroppo hanno appena incrociato il mio sguardo. Cazzo.
Lenny si ferma davanti alla ringhiera dove siamo sedute, ci guarda e sorride.
«cambio di look?» domanda squadrandoci soddisfatto, ma ancora più soddisfatta sono io nel pensare alla faccia che staranno facendo le nostre due “grandi amiche” nel vedere questa scena. Questa si che è vittoria.
«in realtà sarà solo per una sera, quindi goditi il momento» scherzo, e se Lenny la prende a ridere, l’altro tipo, lo spilungone con il ciuffo che era con lui il giorno prima, sbuffa e alza gli occhi al cielo.
«tanto non è che ci rivedremo» commenta il sopracitato genio, non capendo il mio tono ironico.
«Stavo forse parlando con te?» rispondo acida, facendolo innervosire ancora di più. Il terzo ragazzo scoppia in un fragorosa risata. In realtà anche il quarto, il problema è che è sulla schiena del terzo e quasi sembrano la stessa persona. Che poi, perché quello lo porta in braccio? Sono strani questi.
«ma loro chi sono?» domanda allora il terzo, un ragazzino che sembra non centrare niente con gli altri. Ha la faccia pulita, il sorriso da bambino,  una montagna di capelli mossi castano chiaro e come unico segno del suo essere ragazzo alternativo-trasgressivo-che-suona-in-una-band-altrettanto-alternativa-trasgressiva un dilatatore all’orecchio. Un paio di bacchette fuoriescono dalla tasca posteriore dei jeans e lasciano intuire il suo ruolo nel gruppo. Stessa cosa vale per il tizio sulla sua schiena, un ragazzone dal braccio tutto tatuato, che sorregge il fodero di una chitarra. Chissà chi di loro canta.
Io ho un debole per i cantanti.
E in realtà anche per i chitarristi.
«Non so neanche come si chiamano, però mi stanno simpatiche e le ho invitate alla serata» gli spiega Lenny ed in effetti ha ragione, non ci siamo neanche presentati. Il riccio ci sorride e rimedia subito.
«Io sono Ryan, questo è Harry» dice alzando gli occhi verso “braccio tatuato”, «lui è Chris» indicando lo spilungone senza senso dell’umorismo «e Lenny credo che già lo conosciate»
«Io sono Mic, lei è Serena» dice Mic per entrambe e le presentazioni sono fatte. Non vedo l’ora che qualcuno di loro pronunci il mio nome, l’accento inglese è qualcosa di meraviglioso, ma i nomi li storpiano sempre.
«Bene, ora che siete presentate ufficialmente alla band e che avete dei vestiti decenti, non potete rifiutarvi di venire a sentirci.» ripropone Lenny, o forse più che una proposta è un comando. Solo che se ieri era da solo, ora il riccio gli fa da spalla.
«Non ve ne pentirete, promesso» continua Ryan tutto felice e vorrei chiedere agli altri se è sempre così euforico. E soprattutto perché ha "braccio tatuato" addosso.
«Prima rispondi, perché porti lui sulle spalle?» la mia amica mi precede e sta volta ridere tocca ad Harry.
«Perché è un coglione frocetto»
«Perché ho perso una scommessa»
Sono le differenti risposte dei due interessati.
Poi io e Mic ci guardiamo, chiedendoci la stessa cosa anche senza esprimerci a parole. Andare con loro o restare a questa penosa serata?
«Le altre si staranno chiedendo dove siamo» le dico indecisa, cercando una qualche scusa alla quale aggrapparmi, ma so che niente sarà abbastanza per convincerla a non voler seguire questi quattro tipi.
E forse ha ragione lei.
Forse dovremmo andare.
O, ma vaffanculo tutte le ragioni sbagliate.
«Allora, dov’è questa serata?»
Cosa mai potrebbe succedere di male?

Mowriting:
Salve ragazze :)
Questa è la prima volta che vi scrivo durettamente e credo che ve lo meritiate, perchè vi devo delle scuse per il mio ritardo. Purtroppo queste settimane anche solo accendere il computer mi è stato impossibile, figuriamoci ricontrollare il capitolo e aggiornare. Perdonatemi, apparte altri problemi, non succederà più !
Allora, che ne pensate della storia?
Per chi ha già letto la vecchia versione sto cercando di cambiare unpo' di cose, anche se è normale che la trama in genarale, i personaggi e i loro sentimenti, siano li stessi. Spero di sorprendervi comunque con nuovi avvenimenti.
La nostra Mic ha fatto dei disegni ispirandosi alle descrizioni dei personaggi e sopo più che felice di postarveli. 
Alla prossima settimana per un nuovo aggiornamento :)
Stay tuned e grazie mille a chi ha letto, recensito o messo tra le seguite/preferite/ricordate, fatevi sentire.
Mo_






For more: http://comiky.deviantart.com/

 

 

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Capitolo 3
*** College life ***




I remember the day
when I first saw your face
the way you smiled ad just walked away.

Rece Mastin - Timeless




Giorno 1

Capitolo 2
College life


 

 

Serena

L’aggettivo giusto per descrivere questo college devo ancora trovarlo.
Ieri sera mi era subito parso inquietante, degno di un set per un film horror, ma ora che lo guardo bene, illuminato dal sole, è davvero una figata.
Mi sento in un film.
Questo posto è enorme, prato inglese ovunque, dormitori in mattone sparsi qua e la, la sede con mensa e palestra è tutta super moderna e il centro uffici e aule di studio è un labirinto infinito fatto di corridoi dai colori più svariati e porte identiche. Credo che per orientarmi mi servirà un bel po’ di tempo.
Il nostro dormitorio si chiama Cronin. Esclusivamente femminile, edificio a tre piani, camere singole, puzza di morto per i corridoi e ci vogliono cinque minuti di camminata per arrivare alla mensa.
Non appena ci ho messo piede, comunque, ho deciso che in camera mia, da sola, non ci avrei mai dormito.
Così Mic si deve sopportare anche me nel suo letto.
Siamo qui da meno di dodici ore e sono già stati chiari sulle regole. Niente sigarette, niente alcol, niente droga, niente ragazzi in camera, a letto alle undici, non si esce di casa dopo le dieci, stretto controllo nei corridoi di notte e sveglia alle sette e mezza. Manco fossero i miei genitori.
Stiano pur certi che rispetterò tutte queste condizioni. Tranquillissimi.
Attualmente siamo in mensa a fare colazione e fino ad ora è la cosa che più mi piace. Siano santificati il bacon, le uova e gli enormi bicchieri di cartone per le bevande calde.
Mentre mangio do un’occhiata al programma settimanale che ci hanno fornito appena arrivati. La nostra vita sarà scandita da attività e orari serratissimi e la vedo abbastanza dura.
«Volete sapere l’orario trasgressivo della “discoteca” di questa sera?» dico attirando l’attenzione delle ragazze accanto a me, persone del gruppo con cui abbiamo stretto amicizia. Certo sono più adatte a Mic considerando che hanno almeno due anni meno di me, però sono simpatiche. Anche se non sono loro con cui spero di passare tutto il mio tempo. «dalle 19.30 alle 22»
Leggendo sono quasi scandalizzata. Ma scherziamo?
Altro che sedici anni, qui mi sento una bambina.
«E se noti, Londra centro ce la scordiamo prima di domani pomeriggio» aggiunge Mic indicando con la forchetta la prima vera escursione in città. Oddio.
Fosse per me in questo college non ci starei neanche due secondi, passerei tutte le mie giornate a camminare fino allo sfinimento per quella città che considero casa mia. Perché Londra ha qualcosa che ti prende e… boh.
Londra è Londra.
Non possiamo neanche fare colazione tranquilli che subito un ragazzo dello staff in maglia rossa viene a reclutarci per i test di valutazione. L’attività di questa mattina.
«Verrete divisi in gruppi da dieci e scortati dallo staff nelle apposite stanze. I quiz sono uguali per tutti e a questi seguirà un esame orale. È inutile copiare dal vostro amichetto per finire in classi uguali, perché voi potreste essere troppo ciucci per lui o viceversa. Non ne vale la pena.» il discorso del ragazzone inglese è davvero molto sensato e ispiratore, ma credo non seguirò il suo consiglio. C’è una persona con cui vorrei ardentemente capitare in classe. E con questo intendo che farò di tutto perché ciò accada.
Così, mentre cominciano a dividerci a dieci a dieci, io prendo Mic e la trascino al mio fianco verso la zona della mensa dove si trova Dario. Si, proprio Dario, il biondino che è stato seduto al mio fianco tutto il tempo del volo per Londra. L’amico di Lorenzo per essere chiari.
Io e lui in classe insieme ed è fatta.
Maglia rossa si avvicina a noi e comincia a contare.
Uno…due…tre…
Dario e altri due del gruppo.
Quattro…cinque…sei…
Tre ragazze italiane, ma se sono del mio gruppo non ho mai fatto caso a loro.
Sette… otto… nove…
Mic e due spagnoli.
Dieci.
E dovevo essere io per forza.
«Aiutiamoci oh» scherza Dario mentre cominciamo a seguire maglia rossa. Si gira verso l’amico e ride, ma è quando incontra il mio sguardo che sorride davvero. E più si apre il sorriso sulle labbra del bellissimo Dario, più Lorenzo si fa più vicino nella mia mente. Sono al settimo cielo. Mi batte persino forte il cuore.
Ci addentriamo nel labirinto di corridoi all’interno della palazzina principale del college e per raggiungere una classe come tante altre ci mettiamo almeno dieci minuti. Mi chiedo come facciano gli studenti di qui a non perdersi continuamente.
Una volta dentro l’aula, comunque, i miei pensieri si azzerano per lasciar  spazio al mio unico, grande, obbiettivo. Prendere posto accanto a Dario.
La cosa bella è che non ci vuole neanche tutto questo ingegno considerando che è lui praticamente a venirsi a sedere dove sto io. E se lui cerca me e io cerco lui, beh, allora è fatta.
Ci lanciamo uno sguardo d’intesa.
Infondo sa anche lui che copieremo a vicenda.
Infondo, magari, anche lui spera che capiteremo in classe insieme.
Io so solo che ho due settimane per far si che questo ragazzo diventi il mio nuovo grande amico.
 
Tra il blocco dei test consegnati ce ne sono tre che sono uguali in tutto e per tutto.
Chissà perché, qualcosa mi dice che queste tre persone capiteranno in classe insieme.
E no, non siamo io, Dario e Mic, perché lei ha voluto essere corretta e fare tutto da sola, bensì io, Dario e Jacopo, un altro dei ragazzi del gruppo di cui non ricordavo il nome.
Jacopo e Dario sono l’esatto contrario.
Uno è bello e montato, l’altro brutto e simpatico. Credo che unendo le qualità positive di entrambi potrebbe uscire un essere spettacolare. Purtroppo però, per ora, dobbiamo accontentarci dei due separati.
Sto parlando con loro da quando abbiamo finito tutti i test e li ho già bollati come compagnia perfetta per questa vacanza. Meglio di così non poteva andare.
Ci sono ancora due ragazze del gruppo alle quali devo arrivare e poi questo viaggio potrà finalmente cominciare.
Stringere amicizie a Londra per facilitare la scalata sociale una volta a casa. Strana soluzione, ma davvero efficiente.
 
L’ora di pranzo arriva in un batter d’occhio.
Sono le 12.30 e siamo di nuovo tutti attorno ai lunghissimi tavoli della mensa, pregando perché questo cibo dall’odore schifoso non ci uccida. L’aspetto è tranquillo, il problema è la puzza.
Pollo marinato in qualche strana salsina, patatine, cola e cheese cake. Molto english.
Peccato che gli inglesi e la cucina non vadano molto d’accordo.
Dario e Jacopo me li sono persi mentre eravamo in coda per prendere da mangiare e ora sono di nuovo con il gruppo delle piccole. Piccole usato più come vezzeggiativo che altro, anche perché “piccole” non lo sono affatto.
Una di loro, Daniela, porta una maglietta con su stampato il logo dei Nirvana. Ha già conquistato la mia fiducia.
A mensa, naturalmente, non ci siamo solo noi.
C’è un gruppo fiorentino, uno milanese, uno argentino, uno spagnolo e uno tedesco. In più, come se non bastasse, ci fanno compagnia anche i veri e propri studenti del college che ancora frequentano la scuola e danno esami. Io mi lamento delle tre ore di lezione che mi attenderanno ogni mattina per due settimane, ma loro non gli invidio per niente. Mi chiedo come facciano a concentrarsi seriamente d’estate.
Per l’appunto, un gruppo di studenti in questo momento divide il tavolo con noi. Si distinguono per le loro arie seriose, i tomi infiniti e i quaderni d’appunti, si vede che sono più grandi.
Tranne per uno.
C’è questo ragazzo che è dall’estremità del suo gruppo più vicina a noi. Siamo di fronte, in linea se non fosse per una sedia lasciata libera tra lui e Mic. Lo guardo e si capisce che quello con gli altri non centra niente.
Ha un luccichio che sa di giovane ribelle negli occhi e forse sarà solo una mia impressione, ma non sembra felice di stare dove sta. E sarà solo un’impressione, ma un po’ mi ricorda me.
Quando i suoi occhi color ghiaccio incrociano i miei distolgo subito lo sguardo, imbarazzata. Cerco di concentrarmi sui discorsi della ragazza al mio fianco fingendo naturalezza.
Ragazza che, naturalmente, è Daniela. Quella con la maglia dei Nirvana.
Sta parlando con una tipa che ha di fronte in… inglese?
«Lei è Ana, l’ho conosciuta oggi durante il test» mi spiega lei dopo averle chiesto chi fosse. Bene, partiamo con le amicizie internazionali.
Allungo l’orecchio per poter, magari, entrare nella conversazione. Parlano di musica, perfetto.
«E quella canzone… About a girl… è dei Nirvana vero?» chiede Ana con un marcatissimo accento spagnolo. È una domanda scontata, ma aspetto che risponda Daniela. Io, per come sono da fuori, non dovrei ascoltare musica del genere. Meglio non far saltare la copertura.
«No, ma che dici! About a girl sicuramente non è loro… che ne so, forse dei Queen» risponde Daniela beccandosi una mia occhiataccia.
Vi prego, ditemi che sta scherzando.
Cazzo, ha una maglietta dei Nirvana addosso e crede che About a girl sia dei Queen…
Mentre Mic se la ride sotto i baffi, io nascondo il viso tra le mani. Il mio amato Kurt a quest’ora si starà rivoltando nella tomba.
«Ho sentito che il cantante principale è morto» continua la spagnola da lunghi capelli neri, tutta curiosa di conoscere i dettagli del caso. A questo punto lo sono anche io, sperando che stavolta non toppi.
«Overdose, era un drogato di meda»
Io la uccido.
Io.
La.
Uccido.
Altro che Overdose.
La strozzo con le mie mani davanti a tutti, così poi può andare a chiedere a Kurt come è morto.
Mic mi molla un calcio da sotto il tavolo, sempre più preda delle risate, tanto che le va di traverso un spezzo di pollo e inizia a sputacchiare ovunque.
L’altra persona di cui non mi ero accorta, però, è il ragazzo capelli corvini e occhi ghiaccio. Credo stia ascoltando la conversazione dall’inizio e lo sguardo compassionevole che ci lanciamo vale più di molte parole.
Mi sono persa un paio di battute, credo.
Meglio così.
«E che genere è il loro? Rock?»
Ma cosa vuole questa Ana, la biografia dei Nirvana?
So che Daniela risponderà male e io davvero non sopporto l’associazione delle sue parole a quella maglietta che porta con tanta fierezza. Mi viene da vomitare.  Così mi alzo prima di commettere l’omicidio. Anche perché credo di non poter sopportare un altro boccone di questo pollo.
«No, fanno pop commerciale e sai, ogni tanto anche un po’ di metal» le prendo per il culo, in inglese così da poter essere compresa da tutti.
Si, anche dal brunetto, che ora mi sorride compiaciuto e batte silenziosamente le mani. Mani lunghe e affusolate. Mani da chitarrista. Anzi, mani da bassista. Ci scommetterei tutto.
Mic ormai l’ho persa, morente dalle troppe risate, con la testa sul tavolo.
«Andiamocene, ti prego» le dico cercando di mantenere la calma almeno per un altro po’.
Lei, affannata, mi segue.
Di certo ho eliminato Daniela dalle mie possibili amicizie.
Come si fa ad essere così incoerenti?
Poi, però, ci ripenso un attimo.
Di certo non definisco “drogato di merda” il fondatore della musica grunge mentre indosso una sua maglietta, ma alla fine incoerente lo sono anche io.
Con le mie scelte di vita, con i miei modi di fare.
Incoerente più di tutti quanti messi insieme.
Incoerente per scelta di vita.
«sta notte andiamo a bruciarle la maglietta, non è degna» dice Mic poggiandomi una mano sulla spalla.
Lei sa come sono.
La guardo e rido.
Per fortuna che c’è Mic.
 
Chris.
 
Da: Georgia.
Ti va di venire a casa? È un po’ che non stiamo soli io e te.
 
Apro il messaggio e mi chiedo quanto in basso possa arrivare una ragazza come lei per ottenere ciò che vuole. E il problema è che ciò che vuole non sono io personalmente, piuttosto una buona dose di sesso per sentire di possedere ciò che ormai non è più suo.
Perché lei lo sente che non sono più suo.
Finalmente se n’è accorta.
Ciò che c’è tra me e lei è complicato, forse troppo per un qualcuno che vede la storia dall’esterno. Abbiamo un passato che ci legherà per sempre, ma di riviverlo non ne ho più voglia. Che senso ha continuare a scopare e sentirmi di merda una volta finita?
Perché alla fine è questo che noi facciamo, scopare. Poi finisce tutto qui.
Non siamo mai stati una coppia e una spiegazione per questo deve pur esserci. Io l’ho trovata. Non siamo giusti. Non lo eravamo una volta, non lo siamo ora.
Chris e Georgia…
Non suoniamo bene, in tutti i sensi.
Georgia non ha sentimenti, ma io purtroppo si. Lei vuole solo gridare il mio nome, io volevo continuare a vivere nel passato. Ora non mi sta più bene.
Non le rispondo neanche.
Mi alzo dal letto della mia stanza e cerco una soluzione per staccare tutti i pensieri. Stare solo non mi fa bene, meglio chiamare             qualcuno dei ragazzi.
Ryan sta finendo di studiare per il suo ultimo compito di matematica e preferisco non disturbarlo, Harry dovrebbe essere a lavoro. Lenny è la soluzione ai miei problemi.
«Senti io sono in college e ho appena finito di studiare. Mi sono arrivati i volantini per l’ingresso alla serata di domani e siccome suoniamo la direzione ha chiesto a me di distribuirli. Se vuoi puoi venire a darmi una mano»
Per fortuna, casa mia e il college di Lenny sono abbastanza vicini. Saranno dieci minuti di treno al massimo.
Mi sembra la soluzione migliore.
«vedo di prendere il treno delle 18» gli dico mentre cerco di infilarmi i jeans con l’unica mano libera, poi gli chiudo il telefono in faccia prima che mi ricordi che mancano solo tre minuti alla partenza. Lui non è tipo da rischiare, piuttosto aspetterebbe mezz’ora per la corsa successiva, ma io sono Christian Samuels.
Ed è risaputo che Christian e il suo skate riescono sempre nelle loro missioni impossibili.
Così sono pronto in mezzo minuto, jeans stretti, canotta larghissima, cappellino di lana, all star e skate sotto il braccio. Scendo le scale della mansarda alla velocità della luce, mi chiudo la porta di casa alle spalle e con uno slancio sono sulla tavola. Le strade di Richmond scorrono davanti ai miei occhi, il mondo nelle orecchie grazie agli auricolari, le macchine mi suonano quando le taglio la strada, ma me ne sbatto. Sono più veloce.
Mi dispiace solo per i poveri passanti che non investo per un soffio.
È bello sentire il vento tra i capelli o l’adrenalina che sale davanti ad ogni ostacolo. Ti va sentire vivo, come suonare, come cantare. La mia vita è composta solo di questi momenti, per il resto è noia.
Quando scorgo la stazione non controllo neanche l’orario, semplicemente accelero. Accelero più che posso.
Se fossi in un videogioco, con l’entrata trionfale che ho appena fatto guadagnerei cento punti. Flick sulla ringhiera della discesa, salto gi ultimi tre gradini e poi il binario appare  davanti a me.
Il treno è lì. Le porte si stanno chiudendo, però posso farcela. Devo farcela.
Ultima spinta e sono dentro.
Tre minuti per fare casa-stazione.
E vaffanculo quelli che non credono nel’impossibile.
 
«Devi fare attenzione Chris, non tutti i ragazzi che vedi sono dell’università.» mi sta istruendo Lenny mentre un blocco di volantini-invito scivola nelle mie mani. «Ci sono anche quelli delle vacanze estive»
«Loro so, lo so, è la terza volta che me lo dici»
Lenny, se non si era capito, è un po’ il papà del gruppo. Ha l’anima di un quarantenne intrappolata nel corpo di un ragazzo e sono più che certo che se non avesse noi si annoierebbe a morte. Non lo ammetterà mai, ma noi siamo la cosa migliore della sua vita.
Ultimamente, poi, non sta passando un bel periodo, ed io sono un esperto di “brutti periodi”, quindi so cosa fare e so anche che ha bisogno di tre pazzi come noi.
Lo so perché loro, a me, hanno salvato la vita.
Ed io voglio fare lo stesso con Lenny.
Giriamo placidamente per il college e mentre Lenny distribuisce volantini senza problemi, io devo prima chiedere alla gente se frequenta l’università o no.
Tranne ad un paio di ragazze del suo corso che conosc. Loro mi adorano.
«Quindi suonerete?» mi chiede Lidia, che con i capelli raccolti e una camicetta bianca sembra tutta tranquilla. In realtà l’ultima volta che l’ho vista aveva la sua chioma blu sciolta e faceva un mezzo strip su un bancone in un pub di east London. Credo anche che ci provi con me. Sarebbe figo uscire con una ragazza del college.
«Noi apriamo solo la serata, in realtà la band principale è un’altra.» dico mentre con un braccio circondo spontaneamente le spalle di Lidia. Loro mi vedono come cucciolo coccoloso e sono intenzionato a lasciarle sbaciucchiarmi e abbracciarmi quanto vogliono. Fastidio sicuramente non me ne danno.
«Si ma noi verremo solo perché ci siete voi» confessa Taylor, l’altra ragazza che però non ha niente di speciale. Perché è questo che cerco io: qualcosa di speciale. Qualcosa per cui valga la pena.
Lenny congeda le due con la promessa di rivederci la sera dopo e mi lancia un occhiolino come a voler confermare i miei pensieri su Lidia. Ottimo direi.
Camminiamo ancora, e ancora e ancora. Questo college è seriamente enorme.
Poi, mentre siamo dalle parti dei dormitori, Lenny arresta il suo passo.
«Che hai?» gli chiedo guardandomi in torno, cercando di capire cosa gli sia preso. Qui, però, non c’è niente di interessante a parte due ragazze che passeggiano tranquillamente.
E potrei anche pensare che sono loro l’oggetto dell’attenzione di Lenny, ma mi sembra altamente improbabile considerando che la ragazza sulla destra sembra uscita da una rivista di moda e  ci sta squadrando con occhio critico.
Tipico.
Ecco perché noi odiamo i tipi come lei.
Lenny, però, mi sorprende. Va dritto verso di loro.
«Domani sera, palestra del settore B, presentate l’invito all’ingresso e vi faranno entrare. Se ci sono problemi chiedete di Lenny» ascolto il suo discorso mentre continuo a tenermi a distanza, cercando di capire per quale cazzo di motivo stia dando il volantino a due ragazze così. Basta guardarle per capire che non sanno neanche la differenza tra punk e rock o tra chitarra e basso.
Deve essere impazzito, per forza.
«non sai neanche come mi chiamo» gli risponde miss sonotroppofigaperparlareconte. Si guarda freneticamente incontro, come se avesse paura di essere vista da qualcuno. Dio, ma come si fa ad essere così? Solo perché Lenny ha un dilatatore sull’orecchio e un tatuaggio che si intravede sul polso non significa che sia una brutta persona. Non è che le sue amiche fighette la spareranno perché sta parlando con uno del genere.
«Ti ho sentito in mensa e mi sei piaciuta, hai guadagnato la mia fiducia e hai sputtanato quella tipa al posto mio. Ora posso permettermi di invitarvi ad una serata universitaria? Suona la mia band»
Le due ragazze si guardano, stranite e forse leggermente imbarazzate.
In realtà con quella sulla sinistra non ho nessun problema, anzi, ha la faccia tranquilla e ogni tanto a Lenny sorride anche.
Ma l’altra… un ghiacciolo emana più calore.
«ci conto» aggiunge il mio amico ostinato. Le passa due inviti, un occhiata fugace e via, torna da me.
«ma che cazzo stai facendo?» gli chiedo senza preoccuparmi che le due possano sentirmi, anzi. È proprio quello il mio intento.
Quando ci incrociamo, infatti, faccia tranquilla si intimidisce e non mi guarda, ma la regina dei ghiacci mi lancia uno dei suoi sguardi. Sono carine, si, ma so che non è per questo che Lenny le ha invitate.
Cioè, a lui non penso interessino in quel senso.
«fidati di me» dice rispondendo alle mie domande non poste. Mi liquida così, ma a me non basta. «Domani vedrai»
Io davvero non lo capisco.



Vi presento:

Serena




Mic

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