is that the hell?

di InLoveWithHazza
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I felt that I was dying ***
Capitolo 2: *** why me? ***



Capitolo 1
*** I felt that I was dying ***


 I ragazzi sono riuniti sul divano, stanno mangiando

qualcosa, credo che siano biscotti. James,il biondo,

ha in mano il sacchetto e continua a ficcarsi

in bocca la colazione che gli viene tolta da Jawaad

facendo così nascere una sorta di girotondo intorno al

tavolo con i due che si rincorrono con i biscotti.

Quando ero piccola, facevo lo stesso con mia sorella

Elly: litigavamo per chi aveva le bambole più belle o

per chi possedeva il maggior numero di orsacchiotti e

quasi sempre finiva con l’arrivo di nostra madre

Emily che ci divideva. E’ arrivato l’altro James e gli

strappa di mano il pacchetto di biscotti: non so come

faccia ma quel ragazzo riesce sempre a portare pace

nel gruppo.


La porta della gabbia scricchiola: entra l’uomo.


-Soph, oggi colazione insieme.    


Non l’avevamo mai fatto prima d’ora, ne mai Lui si

era fatto vedere in faccia. Mi prende per il braccio e

mi porta nel suo appartamento. La luce che proviene

dalle finestre aperte schiarisce la faccia dell’uomo: si

scopre un viso scavato, con una lunga barba che

sembra non essere tagliata da mesi, e due  occhi neri. 
Sono spaventata,ma non per il suo aspetto,  sono

terrorizzata da Lui, dalla sua persona. Mi siedo al

tavolo, ci guardiamo fissi,senza dire una parola. Lui

prende il giornale e  inizia a sfogliarlo mentre io sono

ancora immobile, con lo sguardo vitreo puntato su di

lui. Con un cenno della mano mi spinge a prendere

qualcosa, ma io distolgo lo sguardo negando la sua

attenzione.

-Prendi un biscotto Soph, sono buoni, ti piaceranno.

-No, non ho fame.

- Vorrei che lo prendessi, mi farebbe molto piacere.

-No grazie.

-Un biscotto solo, uno solo, Soph.

-Ho detto di no.

-E io ti ho detto di sì. PRENDILO ORA.

Ha alzato la voce,sta urlando. Ho paura di lui, gli

occhi mi si inumidiscono , ma non posso, devo restare 
forte,non devo fargli capire che ho paura di lui. Il mio

pensiero correi ai  ragazzi che poco prima stavano

giocando proprio con dei  biscotti. Prendo il

pacchetto che contiene quello che il mio

rapitore mi stava offrendo e inizio a girare in tondo al

tavolo, correndo, proprio come prima avevo visto.

Non so cosa sto facendo, non so neanche perché.

L’ho fatto d’istinto e devo ammettere che non è stata

proprio una grande idea. L’uomo

mi urla qualcosa, ma non riesco a capire niente. Tutto

intorno a me è offuscato e nelle orecchie sento il

dolce suono delle risate di mia sorella. Sento un

dolore fitto alla testa,come se qualcuno mi avesse

colpito con un pesante bastone e l’unica cosa che

ricordo, prima di cadere svenuta, sono le piastrelle

dell’appartamento, sulle quali si appoggia la mia

faccia. 
                                                                      

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Capitolo 2
*** why me? ***


 Ormai non conto più i giorni. Quanti ne saranno passati? Di sicuro più di due anni. Sono rinchiusa in una piccola stanza,

con le pareti strette e il soffitto basso, che in ogni momento sembrano urlarmi: “Non uscirai mai da qui, rassegnati”. Sono 

Sophie Liberty, ho, o almeno credo di avere, 18 anni, e un uomo mi ha rapita molti giorni fa, e mi tiene qui, prigioniera in

una gabbia di cui non trovo l’uscita. “Soph, ti ho preparato la cena! Pasta e fagioli, proprio come piace a te!” Da un po’ di

mesi quest’uomo ha iniziato a trovare divertente chiamarmi Soph e LUI non può farlo, non ne ha il diritto. Mi pone il piatto

sotto la porta, e se ne va, come fa ogni sera. Non ho fame. Non voglio mangiare il lurido cibo di un lurido uomo che mi ha

luridamente rapita per… per che cosa? Cosa lo ha spinto a prendere me, una ragazza che stava tornando a casa, e non

qualcun’altra come ad esempio la  figlia di un ultramiliardario, o non so che altro? L’uomo arriva per riprendersi il piatto,

ancora pieno, e ne approfitto per dirgli, come ogni giorno, che mi ha rovinato l’esistenza e che prima o poi riuscirò a

scappare, anche se so benissimo che non sarà così.

Ho tentato tante volte di fuggire, di urlare in modo da farmi sentire dai vicini, di supplicare il mio rapitore chiedendo di

essere liberata, senza però ottenere nessun risultato. Voglio i miei genitori, i miei parenti, i miei amici, vorrei anche tornare

a scuola, mi manca, mi mancano, tutti quanti.

Mi avvicino alla finestrella, l’unico buco che mi permette di guardare cosa succede all’esterno. Non è grande, anzi, è

piccola, minuscola, oserei dire, e l’unica cosa che posso osservare è la vetrata di un appartamento, dentro il quale abitano

cinque ragazzi. Si sono trasferiti lì da ormai un paio di mesi, e da quel momento non faccio altro che guardarli ogni volta

che posso. Sono giovani, più o meno tutti della mia età, credo. Il biondo a cui ho dato il nome James suona la chitarra, e a

vederlo da lontano mi sembra anche molto bravo. Anche ad un altro ho deciso di dare il nome James, in onore di mio

padre, che mi manca davvero tanto; ha dei cortissimi capelli scuri, con gli occhi dello stesso color nocciola, sembra il più

maturo dei cinque, e forse anche il più dolce. Il ragazzo che ho soprannominato “Jawaad” ha la pelle più scura degli altri,

sembra che venga dal Pakistan o giù di lì; ha la stoffa del vero duro, ma in realtà la notte, quando dorme sul divano, ha la

compagnia di un orsacchiotto di pezza. Il quarto, che ho deciso di chiamare William, sembra un ragazzino, e a volte lo

chiamo anche “Peter Pan”. Mi pare una di quelle persone che ha una vitalità impressionante dentro di sé e che non ha

paura di tirarla fuori. E poi c’è lui: l’ultimo, quello che ho chiamato Edward. I capelli ricci, gli occhi color smeraldo, e quel

fare un po’ timido e impacciato lo rendono difficile da descrivere con le parole giuste, mi ha fatto subito battere il cuore.

E’ ormai tardi, tutte le luci sono spente, e lo sono anche quelle dei cinque ragazzi, che per la fretta di andarsene a letto

non mi hanno lasciato il tempo di dar loro la buonanotte. Mi alzo, e mi sdraio sul sottile materasso che c’è nella mia

gabbia. Chiudo gli occhi, preparandomi ad un nuovo giorno di prigionia. 

 

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