Lei dov'è?

di sailormoon81
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Scomparsa ***
Capitolo 2: *** 2. Inganno ***
Capitolo 3: *** 3. Indizi ***
Capitolo 4: *** 4. Dettagli ***



Capitolo 1
*** 1. Scomparsa ***


Lei dov’è?

 1.          Scomparsa

 

 
La vigilia di Natale a Tokyo era sempre qualcosa di magico: le luci, i canti, lo scampanellio dei Babbo Natale che percorrevano le strade, l’allegria contagiosa della folla davano alle strade un’atmosfera festiva.
Nonostante non fossero neanche le cinque, era già buio e il cielo si stava coprendo di nuvole.
Il traffico era particolarmente intenso e i marciapiedi erano affollati di compratori dell’ultimo minuto e turisti ansiosi di dare un’occhiata alle vetrine dei negozi.
Davanti ai grandi magazzini Odakyu, nella zona ovest di Shinjuku, Chiba Usagi era appena scesa da un taxi, tenendo per mano le sue figlie, Hotaru e Chibiusa, e guidandole verso la Shinjuku Terrace City dove, come ogni anno, era stato allestito un grande albero di Natale1.
Parecchia gente si era radunata attorno a un violinista, e in pochi istanti nell’aria vibrarono le note di Silent Night.
“Restiamo ad ascoltare per qualche minuto?” propose la donna, ignorando i lamenti della bambina più piccola, e fece strada per avvicinarsi alla fonte di quella musica.
“Sarà divertente, Chibiusa. Sarà come essere nei film che guardiamo ogni anno a Natale con la nonna e il nonno.”
Usagi non nascose un’occhiata di approvazione rivolta alla figlia maggiore, e non poté fare a meno di ringraziare il giorno in cui aveva trovato quel fagottino avvolto in fasce fuori dall’ospedale in cui lavorava suo marito: i tempi per l’adozione erano stati particolarmente rapidi, ed erano trascorsi ormai undici anni da quando Hotaru era diventata a tutti gli effetti una Chiba2.
Uno sbuffo più forte da parte di Chibiusa fece tornare Usagi al presente, e osservò divertita la bambina ficcare le mani nelle tasche del cappotto blu; benché avesse solo nove anni, sembrava essere molto più grande, ed era certa che fosse dovuto ai tentativi della piccola di imitare la sorella maggiore.
 
A breve, la gente si lasciò trasportare dall’atmosfera creata dalla musica, accompagnando il violino col canto.
Quando tutto tacque, Chibiusa notò che molti lasciavano cadere monete dentro un cestino, posto dentro la custodia del violino; anche sua madre estrasse il portafoglio dalla borsa, porgendole a lei e sua sorella alcune banconote. “Hotaru, Chibiusa… mettetele nel cestino.”
Hotaru afferrò il denaro e cominciò a sgomitare per farsi largo tra la folla; Chibiusa stava per seguirla quando qualcosa attirò la sua attenzione: la madre, invece di mettere il portafoglio per bene dentro la borsa, l’aveva fatto cadere in terra. Non fece in tempo a dire nulla che una donna lo afferrò, per poi sparire tra la folla.
“Mamma!” esclamò, ma invano: il violino aveva ripreso a suonare e con lui la gente a cantare.
La ladra riapparve per qualche istante alla sua vista e prima che scomparisse di nuovo Chibiusa si lanciò al suo inseguimento.
 

*

 
“Mamma, dov’è Chibiusa?” Hotaru era di nuovo accanto alla madre.
La donna la scrutò senza capire. “Chibiusa? È qui.” Si guardò attorno, per poi tornare a concentrarsi su Hotaru: “Non è venuta con te?”
Al cenno di diniego della bambina, Usagi cominciò a chiamare a gran voce il nome di Chibiusa.
Aprì la borsa per prendere una foto della figlia da mostrare ai passanti, ma si accorse che era un po’ troppo vuota: mancava il portafoglio.
“Mamma, dov’è Chibiusa?” l’allegria con cui aveva cantato pochi istanti prima era svanita dalla voce di Hotaru: ora, come la madre, voleva solo sapere dove fosse andata la sua sorellina.
La sola cosa che Usagi poté fare, prima che le lacrime le rigassero il viso, fu rivolgersi a tutti e nessuno in particolare. “Chiamate la polizia: la mia bambina è scomparsa!”
 
***

Note:
1: In realtà, l’albero di Natale viene addobbato nel quartiere Ginza, ma a parte questo la zona è piuttosto priva di addobbi natalizi; mi piaceva però l’idea che si respirasse a tutti gli effetti aria di Natale, e per farlo avevo bisogno sia delle luci che dell’albero ^^
2: Onestamente non so quanto siano lunghi i tempi per le adozioni in Giappone, e mi rendo conto che probabilmente non regge molto l’idea di Hotaru figlia di Usagi, ma mi è venuta in mente ripensando a quando nell’anime Usagi porta tra le braccia la piccola Hotaru dopo la sconfitta di Mistress9; inoltre, mi piaceva l’idea di dare a Chibiusa una sorella, e visto che sia nel manga che nell’anime le due sono molto unite, mi son detta che male non avrebbe fatto ;)
 
Passando alle cose serie, come sempre un sentito ringraziamento a chi è arrivato fin qua e a chi lascerà un commento per farmi sapere cosa ne pensa della storia, anche se siamo solo al primo capitolo.
Non credo sarà molto lunga, come fic, è praticamente già quasi tutta scritta, quindi penso che non ci saranno tempi biblici per gli aggiornamenti.
Il titolo, tanto per cambiare, è una canzone del musical Notre Dame de Paris, e questo basta per dedicarla alle twinz Lusy, Simo e Cry
Detto ciò, rinnovo i ringraziamenti e vi do appuntamento tra qualche giorno per il secondo capitolo!
 
Bax, Kla

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Capitolo 2
*** 2. Inganno ***


2. Inganno

 

 

Stava camminando da parecchio, ormai, ed era veramente stanca.

Più di una volta aveva rischiato di perdere di vista la donna con la coda di cavallo e il cappotto nero, ma per fortuna era sempre riuscita ad individuarla di nuovo.

Era arrivata alla stazione di Shinjuku.

Per poco non andò a sbattere contro un’anziana signora con le mani piene di buste natalizie.

Educatamente si scusò e tornò a concentrarsi sulla donna che aveva rubato il portafoglio alla mamma.: stava scendendo le scale, diretta alla stazione.

Riuscì a seguirla fin sopra un vagone molto affollato, e seppur con fatica le si avvicinò il più possibile, facendo attenzione a reggersi ai sostegni.

Dopo tre fermate fu di nuovo in strada, alle calcagna della ladra.

La seguì per sei isolati: lentamente, l’allegria e le decorazioni furono sostituiti da strade buie e deserte; molti palazzi erano coperti di scritte, alcuni lampioni erano rotti, e assi di legno bloccavano l’ingresso a molti androni.

Chibiusa, per la prima volta dall’inizio di quella sua avventura, cominciò a provare paura

Strinse tra le mani il dollaro che le aveva dato la mamma. Lo userò per chiamare la polizia, pensò, dopo che quella signora mi avrà ridato il portafoglio.

Finalmente, la donna si fermò davanti a un vecchio edificio.

Chibiusa fece una corsa e riuscì a impedire, per un soffio, al portone di richiudersi, lasciandola fuori.

Come la strada, anche l’atrio era buio, e c’era nell’aria un cattivo odore, come di cibo andato a male.

E ora che faccio? si chiese.

Lentamente cominciò a salire le scale: non sapeva in quale appartamento abitasse quella donna, ma non poteva tornare indietro a mani vuote.

 

*

 

“Signora Chiba, mi descriva sua figlia.”

Il tono dell’agente di polizia era calmo e rassicurante.

“Ha nove anni, ma sembra più grande. Indossa un cappotto blu scuro.” Seduta a bordo di una volante, con la mano stretta attorno a quella di Hotaru, Usagi cercava di impedire alla sua voce di tremare.

“Di che colore ha i capelli?” la incalzò l’agente.

“Castani… no, rossi. È più un castano ramato in verità, tendenti al rosa… raccolti in due codini, simili alle orecchie di un coniglio, e ha qualche lentiggine sul viso. È molto magra.”

“Per prenderla in giro, la chiamo coniglietto” intervenne una vocina tremante, “ma se torna a casa sana e salva, prometto che non la chiamerò più in quel modo.”

L’agente sorrise in direzione della ragazzina, per poi tornare a concentrarsi su Usagi. “E il suo portafoglio? Pensa a un furto? Oppure può darsi che Chibiusa l’abbia preso mentre lei era distratta, decidendo di fare un giro per i negozi della zona?”

Usagi scosse il capo con fermezza. “Il portafoglio mi sarà caduto dopo che ho dato alle bambine i soldi per l’elemosina. Chibiusa non se ne sarebbe mai andata in giro da sola.”

L’agente Furuhata Motoki annuì.

Vedeva la disperazione negli occhi di Chiba Usagi: non doveva avere più di trentadue-trentaquattro anni, eppure la preoccupazione la faceva sembrare molto più vecchia; i capelli biondi le cadevano morbidi lungo la schiena, e immaginò che fosse stata dal parrucchiere appena poche ore prima. Stretta nel suo cappotto beige, teneva la mano all’altra figlia, Hotaru: entrambe erano spaventate, e lui non poteva dar loro torto. Sapeva che nelle prime ore della scomparsa è importante agire con rapidità, ed era certo che anche la donna lo sapeva.

Avrebbe voluto dare qualche certezza, dire loro parole di conforto, ma si accorse di non esserne in grado; la sola cosa che si sentì di fare, fu una promessa a se stesso: Chibiusa sarebbe tornata a casa in tempo per festeggiare il Natale con la sua famiglia.

 

*

 

Chibiusa accostò l’orecchio ad ogni porta, nella speranza di sentire qualche rumore che l’aiutasse a trovare la donna con la coda di cavallo.

Non seppe come, ma improvvisamente la porta contro cui stava appoggiata si spalancò, facendola vacillare.

“Chi sei, ragazzina?”

Alzò gli occhi fino ad incontrare quelli dell’uomo che aveva dinanzi: sembravano cattivi, socchiusi tanto da sembrare due lame sottili. Anche se indossava vestiti puliti, notò Chibiusa, aveva i capelli lunghi e una barba incolta, come quella che aveva suo papà quando non si radeva per tutto il fine settimana.

La vista della donna che aveva seguito per mezza città le fece ritrovare la parola. “Hai preso il portafoglio della mia mamma” esclamò.

“Senti, senti” commentò l’uomo. “Dammelo, Makoto.” Il suo tono era minaccioso, ma la donna di nome Makoto sembrava volergli tenere testa. “Non so di cosa stia parlando.”

“Ti ho vista io” insistette Chibiusa, “e ti ho seguita per farmelo ridare!”

L’uomo rise apertamente. “Eh brava, ragazzina. Sei un tipo sveglio.” Poi si rivolse ad Makoto. “Non costringermi a prenderlo con la forza.”

Sapendo di non poter fingere, Makoto infilò una mano nella tasca del cappotto che aveva ancora addosso ed estrasse il portafoglio. “Ora hai il denaro, Nephrite. Vattene.”

Chibiusa allungò una mano per prenderlo, ma un’occhiata dell’uomo la fece raggelare.

Con aria interessata, Nephrite contò il denaro e, con un fischio di approvazione, se lo mise in tasca.

“Ti prego, vattene. Hai il denaro, ora…” gemette Makoto, e Chibiusa, sentendo la voce di quella donna tremare, si accorse di avere davvero paura: se solo avesse chiesto aiuto, invece di seguirla!

“Ora tu farai una cosa per me, mogliettina” iniziò Nephrite. “Io ti chiamerò con questo cellulare” ed estrasse l’apparecchio dalla tasca dei pantaloni, “e dirò che voglio costituirmi e che desidero incontrare il mio avvocato alla cattedrale, subito dopo la messa di mezzanotte. Di certo il tuo telefono sarà sorvegliato, ed è bene che tu reciti come si deve la tua parte, perché se solo una cosa dovesse andare storta…” Non completò la frase, ma lanciò un’occhiata eloquente a Chibiusa.

Makoto deglutì a vuoto, riuscendo appena ad annuire.

 

*

 

All’interno di un furgone mal ridotto, fermo al bordo della strada, l’agente investigativo Aino Minako ascoltava attentamente le voci familiari di Nephrite e della sua ex moglie, Kino Makoto.

A quanto sembrava, Nephrite voleva costituirsi. Eppure non serviva un mago per capire che qualcosa non andasse: anche ad un orecchio inesperto, la voce di Makoto sarebbe sembrata un tono sopra la normalità, segno che la donna stava subendo un forte stress emotivo.

“Che ne pensi, Alan?”

Alan Lewis1, dieci anni più grande di Minako, si accarezzò la fronte corrucciata. “Vuole depistarci. Ma non credo che la donna sia sua complice…”

Minako annuì: il collega, dunque, era arrivato alle sue stesse conclusioni.

Nephrite era un tipo pericoloso: tre anni prima non aveva esitato a uccidere a sangue freddo una guardia e ferirne un’altra. Avrebbe dovuto scontare altri sette anni di galera, ma la sera precedente era riuscito ad evadere, pugnalando un secondino, che ora era in bilico tra la vita e la morte.

“Avvertiamo la centrale” disse infine. “Mandiamo qualcuno alla chiesa, nel caso si faccia vivo. Stasera ci sarà tanta gente, e non dobbiamo correre rischi inutili.”

 

*

 

Chibiusa tremava davvero, ora.

Nephrite la voleva portare con lui chissà dove, anche se lo aveva supplicato di lasciarla andare, giurando che non avrebbe raccontato nulla in giro. Per ogni evenienza, aveva tenute incrociate le dita della mano destra, nascoste dietro la schiena.

Anche Makoto aveva cercato di fargli cambiare idea, ma era stata spinta a terra, sbattendo la testa sul pavimento.

Al telegiornale aveva già sentito di bambini rapiti, e sempre aveva detto che, in situazione analoga, lei, Chibiusa Chiba, non si sarebbe certo fatta portare via senza lottare, certa che alla fine avrebbe vinto.

Ma com’era diversa la realtà dalla fantasia.

Sono solo una bambina, pensò. E lui è grande e cattivo, e ha una pistola.

Non oppose resistenza quando Nephrite la sollevò di peso, costringendola a salire sulla scala di sicurezza, né quando la portò sui tetti, passando da un palazzo all’altro, sempre più lontani dalla casa di Makoto.

 

*

 

Il traffico era notevolmente diminuito, nonostante ci fossero ancora in giro persone ferme ad ammirare l’albero di Natale alla Shinjuku Terrace City, o ad osservare le vetrine.

Usagi, stretta alla figlia, non poté fare a meno di colpevolizzarsi per la scomparsa di Chibiusa: se solo fosse stata più attenta, la piccola non si sarebbe allontanata.

Scartò ancora una volta l’ipotesi di un rapimento; rabbrividì impercettibilmente: e se avesse visto qualcuno prendere il portafoglio e avesse deciso di seguirlo?

Hotaru strinse più forte le mani della mamma.

“Sono sicura che la troveremo presto” disse Usagi, sforzandosi a sembrare convincente alle orecchie di Hotaru.

L’agente Furuhata, dai sedili anteriori,  stava comunicando con la centrale di polizia. Ripose la radio e si voltò verso Usagi e Hotaru. “Ci serve una foto della bambina. Ne ha una, per caso?”

“Nel portafoglio” rispose la donna. Ormai non riusciva più a trattenere le lacrime e si nascose il viso tra le mani.

“La nonna ne ha qualcuna” intervenne Hotaru. “Se la chiamiamo ora, potrà prepararle…”

Furuhata annuì compiaciuto. Quella ragazzina sapeva reggere bene alla tensione, per avere solo undici anni…

Dopo dieci minuti nei quali Usagi Chiba si preoccupò di telefonare alla propria madre e spiegarle la situazione, una pattuglia partiva dalla centrale diretta all’abitazione di Tsukino Ikuko.

 

*

 

Chibiusa se ne stava raggomitolata sul sedile del passeggero, impaurita coma mai prima di allora.

“Stai buona qui” le aveva detto l’uomo, “e se qualcuno te lo domanda, io sono tuo padre.”

Chibiusa sapeva che il suo nome era Nephrite, ma non avrebbe mai osato chiamarlo a quel modo.

Il suo stomaco si lamentò rumorosamente, e doveva anche andare al bagno, ma non si sarebbe mai sognata di dire qualcosa: aveva davvero troppa paura…

Sul sedile posteriore dell’auto, che pensò essere stata rubata, erano stati sparsi alcuni pacchi regalo, e lei si immaginò la scena che doveva dare quella situazione se vista dall’esterno: un padre e una figlia di ritorno a casa per festeggiare il Natale, con in auto gli ultimi regali per i familiari.

 

*

 

Il dipartimento di polizia di Tokyo lavorava instancabilmente.

Minako e Alan avevano comunicato i loro sospetti alla Centrale, e tutti gli agenti erano stati allertati.

Qualcosa però continuava a turbare Alan Lewis: dopo aver ascoltato la conversazione tra Makoto e il fratello, e dopo aver comunicato con i loro superiori, i due uomini avevano bussato alla porta di casa Nephrite.

La donna sembrava molto spaventata, molto di più del loro ultimo incontro di quello stesso pomeriggio, ma a prima vista nell’appartamento sembrava non esserci niente di insolito: le pareti erano state da poco colorate di un allegro giallo, e il vecchio divano era stato abbellito con cuscini dai motivi floreali; il piccolo albero di Natale era stato decorato con luci variopinte, e sotto di esso erano stati posati alcuni regali, avvolti in carta dai toni vivaci.

Durante la loro visita, era arrivata la baby-sitter con una bambina di circa quattro anni: sicuramente era la figlia di Makoto.

Alan non aveva potuto non notare come il volto di lei si fosse illuminato alla vista della bambina, e la tensione fosse scivolata via, lasciando il posto a un sorriso sereno: si era convinto, in quel momento, che Makoto non fosse altro che una madre che faceva tutti i tentativi possibili per far trascorrere alla propria figlia un Natale da ricordare.

Eppure, l’istinto diceva ad Alan che c’era qualcosa di diverso che avrebbero dovuto notare. Ma cosa?

Anche se il loro turno terminava alle venti, quando i colleghi bussarono allo sportello del furgone per il cambio, sia Aino che Lewis rientrarono in Centrale: come molti altri agenti, sarebbero anche loro rimasti a disposizione fino al termine della messa di mezzanotte in cattedrale.

Chissà, forse Nephrite si sarebbe davvero fatto vedere…

 

 

Note:

1: Per quanto non mi piacesse come compagno di Minako nell’anime, ho preferito per questa storia affiancarle un “vero” poliziotto: spero mi perdonerete per questa intrusione ;) Inoltre, non conoscendo il reale cognome del ragazzo, ho optato per uno inglese, uno “neutro” se così può dirsi.

Come sempre, un sentito ringraziamento a chi legge e a chi vorrà farmi sapere cosa ne pensa di questa strana avventura di Chibiusa, e grazie a chi ha dedicato un minuto del suo tempo per commentare il capitolo precedente.

A risentirci al prossimo aggiornamento ;)

Bax, Kla

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Capitolo 3
*** 3. Indizi ***


Capitolo 3. Indizi
 
Nel suo appartamento, Ikuko Tsukino serrò con forza la cornetta.
Con tono innaturalmente calmo, Usagi le aveva appena detto che Chibiusa era scomparsa da più di due ore, ormai, e non era ancora stata ritrovata.
“Ci serve una sua foto, mamma, per distribuirle ai mezzi di informazione” le stava dicendo Usagi, ma la mente di Ikuko sembrava non voler dare ascolto alla realtà.
Poi, come ripresasi, si affrettò a rispondere. “Non ho foto recenti” si scusò, “ma porterò lo stesso tutte quelle che riesco a trovare.”
 
*
 
Erano in viaggio da tanto, ormai.
La fame ora era davvero insopportabile, così come il bisogno di andare in bagno.
“Mi… mi scusi. Potrebbe, per piacere… devo… devo andare in bagno…”
Aveva molta paura che quell’uomo le gridasse contro, e non riuscì a impedirsi di tremare quando lui si voltò a guardarla.
Non rispose subito, e sembrò riflettere prima di domandare “Hai anche fame, per caso?”
La sua voce, notò Chibiusa, era molto più calma di prima.
“Tra non molto incroceremo un distributore di benzina” disse quando lei annuì. “Mentre tu fai quello che devi, io comprerò delle patatine. E poi, più avanti, ci fermeremo per un hamburger. Ma non provare a fare scherzi, signorinella. Capito?”
“Non parlerò con nessuno” sussurrò. “Promesso.”
“Promesso, papà.”
 
*
 
Alla Centrale, le indagini sulla fuga di Nephrite sembravano aver trovato un punto a cui appigliarsi.
Appena un’ora prima, un detenuto ospitato in una cella vicino quella di Nephrite aveva riferito ad una guardia che neanche un mese prima l’uomo si era vantato di aver conquistato una “spogliarellista niente male”, una certa Naru.
Ora stavano cercando di rintracciarla, sperando di non fare un buco nell’acqua con quel tentativo.
“Aino, una telefonata da Detroit” gridò una voce al di sopra del chiasso della stanza.
Minako raggiunse la propria scrivania e sollevò la cornetta.
Il suo interlocutore non perse tempo. “Sono Hato, ci siamo conosciuti quando siete venuti a riprendervi Nephrite, quando l’anno scorso ha tentato la rapina in un supermercato qua da noi. Abbiamo il certificato penale di una certa Osaka Naru, danzatrice. Un paio di giorni fa ha lasciato la città, dicendo in giro che si sarebbe incontrata col suo ragazzo e che probabilmente non sarebbe più tornata.”
“Ha detto anche dove sarebbe andata?”
“Corea.”
Aino non trattenne un’imprecazione. “Se scappa in Corea non lo becchiamo più!”
“I nostri uomini stanno tenendo sotto controllo autobus, stazione ferroviaria e aeroporto” comunicò Hato. “Se la Osaka tenta solo di mettere il naso fuori dai nostri confini verrà intercettata.”
Aino riattaccò. E se quello di Naru Osaka fosse stato solo un tentativo di sviare la polizia? Chi lo diceva a loro che non avesse dato informazioni errate?
Tuttavia, come gli fece notare Lewis, non potevano scartare l’ipotesi che Nephrite parlasse sul serio, quando diceva di volersi costituire, anche se, ammise, nessuna delle due possibilità sembrava convincerlo appieno: né il Corea, né la promessa di costituirsi.
Addentando un panino, non poté fare a meno di ascoltare la conversazione di due colleghe.
Parlavano di una bambina scomparsa.
“Quale bambina scomparsa?” intervenne Alan. Simili notizie coinvolgevamo molto gli agenti di polizia. Negli ultimi tempi sembrava esserci stata una escalation di rapimenti, e non erano pochi i casi in cui del bambino non si aveva più notizia, come se si fosse volatilizzato nel nulla.
“Ehi, Alan. Una telefonata per te” lo chiamò un collega dall’altra parte della sala. “È una donna, non ha detto il nome.”
Con il panino e un caffè in mano, Lewis ritornò alla sua scrivania.
“Agente investigativo Lewis” si presentò.
Dall’altro capo, solo un respiro affannoso. Poi il clic della comunicazione interrotta.
 
*
 
Gurio Umino, cronista della CBS, si avvicinò all’autopattuglia dove Usagi sedeva insieme alla primogenita.
Erano le nove passate, e nevicava senza sosta da più di mezz’ora.
Dalle cuffie, ascoltava gli sviluppi sul caso Nephrite, un evaso che, a quanto sembrava, dopo aver ferito un agente, stava tentando la fuga verso la Corea.
Che vigilia deprimente, pensò. Un agente ferito, un evaso in fuga e una bambina scomparsa.
Bussò al finestrino della volante, e quando lo vide Usagi si affrettò ad abbassarlo.
Umino si chiese come facesse a mantenere un simile controllo sulle sue emozioni.
Usagi ora sedeva davanti, al posto del passeggero, mentre la piccola Hotaru era dietro, insieme ad una donna anziana che le teneva il braccio sulle spalle.
“Ancora nessuna novità” commentò Usagi, per poi presentare al giornalista la propria madre, Ikuko Tsukino.
“Chibiusa è sveglia, e sa che se si perde deve chiedere aiuto a un poliziotto” mormorò Usagi con voce flebile. “Qualcuno l’ha presa, ma chi potrebbe sequestrare una bimba, la vigilia di Natale, poi?”
“Usagi, non torturarti così.” A dispetto delle parole, notò Umino, anche la voce di Ikuko era rotta dall’emozione. “Tutto si risolverà, ne sono certa. Sei riuscita a metterti in contatto con Mamoru?”
Usagi scosse la testa. “A quest’ora starà sorvolando l’oceano, di ritorno dall’Europa.”
“Arriverà domani mattina” intervenne Hotaru. “Ma per allora, Chibiusa sarà già con noi, vero?”
“A te la linea, Umino.” La voce nelle cuffie gli dava il via libera, e Gurio non si fece attendere.
“Sono qui con la madre della piccola Chibiusa, scomparsa ormai da più di tre ore.”
“Se qualcuno sa dove sia Chibiusa, cosa le è successo, lo supplico di mettersi in contatto con noi.” Usagi parlava con voce ferma. “Indossa un cappotto blu” ripeté per l’ennesima volta in quella serata. “Ha i capelli castani, tendenti al rosso, legati in modo da assomigliare alle orecchie di un coniglio.”
“Ha sempre con sé una catenina con un cuore e una mezza luna crescente” aggiunse Hotaru, quasi gridando, come se quel dettaglio fosse di vitale importanza.
Se fra coloro che hanno ascoltato questo appello c’è qualcuno che ha notizie della piccola Chiba Chibiusa” concluse Umino, “lo preghiamo di contattare il numero 134-0874.”
 
*
 
La neve ora scendeva più fitta, e loro procedevano a velocità sostenuta sulla corsia di destra dell’autostrada affollata.
Un’idea balenò nella mente della piccola: se fosse riuscita ad aprire la portiera e saltare giù prima che Nephrite se ne accorgesse, forse avrebbe potuto attirare l’attenzione di qualche auto e farsi così riaccompagnare dalla mamma!
Lentamente allungò la mano fino a stringere la maniglia: perfetto, Nephrite non l’aveva chiusa con la sicura, dopo essere usciti dalla stazione di servizio.
Fece un respiro profondo, pronta a saltare giù, quando un’auto alle loro spalle li superò tagliando loro la strada. Nephrite schiacciò i freni e l’auto sbandò incontrollata.
Schiantati!, pregò Chibiusa. Così qualcuno verrà di sicuro a liberarmi!
Ma Nephrite aveva già ripreso il controllo dell’auto.
“Che fortuna, eh ragazzina” rise, non nascondendo la soddisfazione. “Non è che stavi pensando a scappare, vero?” brontolò notando la mano di Chibiusa posata sulla maniglia. Fece scattare la sicura. “Togli la mano di là, se non vuoi avere qualche dito fratturato.”
Chibiusa obbedì rapidamente: la voce di quell’uomo era ferma, e Chibiusa non dubitò che avrebbe sul serio posto in atto la sua minaccia.
 
*
 
Erano già le dieci.
Seduto alla scrivania, Alan Lewis rifletteva sugli ultimi avvenimenti.
La telefonata di poche ore prima, ne era certo, proveniva da Makoto Kino: gli agenti che la tenevano sotto sorveglianza avevano confermato che dal suo apparecchio era partita una chiamata.
Alan aveva provato a richiamarla, ma lei non aveva risposto. Eppure era in casa, come avevano confermato i colleghi.
Makoto l’aveva cercato, ma poi aveva avuto paura e aveva riattaccato: cosa voleva dirgli?
Minako interruppe il flusso dei suoi pensieri.
“Perché non vai a riposarti” gli disse. “Dobbiamo organizzare il controllo alla cattedrale, ma un’ora di pausa non può che farti bene.”
Alan scosse il capo. C’era qualcosa che continuava a tormentarlo, un dettaglio che sembrava galleggiare davanti a lui, ma che non voleva essere afferrato.
Quando quella mattina erano andati a casa di Makoto, lei era pronta per recarsi al lavoro; dodici ore dopo, era rientrata e sembrava esausta, nervosa, ben più della mattina.
Lo squillo del telefono lo riportò alla realtà.
Alzò la cornetta: di nuovo quel respiro agitato. “Makoto” chiamò. “Makoto, sono Alan Lewis. Può parlare con me, non deve avere paura.”
Stavolta la donna dall’altro capo del telefono non riattacco.
“Agente Lewis, può venire qui? Devo parlarle di Nephrite. E di quella bambina scomparsa.”

***
Arieccomi, come un'apparizione dopo... ehm... quasi un anno...
Chiedo venia a tutti coloro che, per un qualche strano motivo, ancora attendono mie notizie: ve ne sono grata, davvero :)
Ringrazio chi, nonostante la mia lentezza e le lunghe assenze, non perde la speranza di veder conclusa almeno questa storia (le altre lasciate in sospeso, giurin giurello!, cercherò di completarle entro questo secolo!)
Vi abbraccio tutti, e vi do appuntamento presto, diciamo entro fine mese, per un nuovo aggiornamento alla ricerca di Chibiusa :)
Bax, Kla

 

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Capitolo 4
*** 4. Dettagli ***


4. Dettagli

Sembrava molto nervoso da quando avevano evitato per un soffio di avere un incidente, e Chibiusa sospettò che fosse perché aveva intuito le sue intenzioni di fuga.
“Hai fame, bambina?”
Chibiusa, a cui non era sfuggito il cartello del fast-food, annuì speranzosa.
“Se ci fermiamo, tu farai finta di dormire” le intimò.
“Prometto” assicurò, e per mostrare la propria buona volontà si rannicchiò sul sedile e chiuse gli occhi. Certo, non era come quando si acciambellava accanto al papà, ma sapeva che doveva fare finta. E forse tutto sarebbe finito presto…
 
C’era coda allo sportello del drive-in, ma Nephrite sapeva che avrebbe dovuto attendere pazientemente, senza dare nell’occhio.
Quando arrivò il proprio turno, fece le ordinazioni e pagò in fretta.
“Scommetto che non vede l’ora di sapere cosa le ha portato Babbo Natale” commentò la donna allo sportello indicando Chibiusa.
Nephrite annuì e si sforzò di sorridere.
“Che bella collanina che ha la bambina, scommetto che gliel’ha regalata lei, sbaglio?” domandò l’altra, chinandosi a osservare meglio la bambina che dormiva. “Quando ero piccola, mio padre me ne aveva regalata una molto simile, anche se al cuore mancava la luna crescente che c’è in quella.” E con una risata tese loro il sacchetto con le ordinazioni.
 
Chibiusa si azzardò ad aprire gli occhi e a rimettersi seduta solo quando furono di nuovo in autostrada.
Nephrite le porse un sacchetto con hamburger e patatine, poi senza quasi muovere la bocca le sibilò: “Levati immediatamente quella stupida medaglietta.”
 
*
 
Alan Lewis riattaccò continuando a domandarsi cosa c’entrasse Nephrite con la bambina scomparsa.
Aggiornò Minako sulla telefonata di Makoto, e conclusero che il modo migliore per capire qualcosa fosse andare a parlare con lei.
 
*
 
“Le linee telefoniche stanno impazzendo, signora Chiba” disse Mizuno Ami, la regista del notiziario delle ventidue. “Sembra che tutti vogliano farvi sapere che pregano per voi.”
“Grazie” mormorò Usagi, stringendo la mano alla figlia. “Mi auguro solo che qualcuna di queste telefonate ci aiutino a trovare la mia Chibiusa…”

 
*
 
Al fast-food sull’autostrada, l’agente della stradale Kumada Yuuichirou spense idealmente l’audio quando Rei, la cameriera, cominciò a borbottare qualcosa a proposito di un cuore e una luna.
Chris non metteva in dubbio che fosse una brava ragazza, ma ogni volta che si fermava per un caffè, Rei era pronta a raccontargli ogni minimo insignificante episodio capitatole.
Aveva fretta di tornare a casa, e le chiacchiere di quella ragazza erano molto più fastidiose del solito.
Pensava alla Toyota che lo precedeva: avrebbe desiderato comprarne una, ma sapeva che col misero stipendio di poliziotto non se la sarebbe potuta permettere.
Finalmente Rei sembrava avere esaurito le parole, e Chris ne approfittò per ringraziare e allontanarsi prima che lei potesse ricominciare a parlare.
Ritornò alla propria postazione, nella piazzola di manovra vicino all’uscita 40.
Era convinto che fosse quasi una perdita di tempo: di solito era a Capodanno che la gente esagerava con le bibite, rischiando di causare incidenti, e non la vigilia di Natale.
Stava per aprire il contenitore del caffè quando davanti a lui sfrecciò a una velocità di centotrenta chilometri una Corvette nera.
Dannati automobilisti, imprecò, ingranando la marcia e lanciandosi al suo inseguimento. Con un tempo del genere rischiano di ammazzare qualcuno.
 
*
 
Gli agenti Aino e Lewis ascoltavano con attenzione una tremante Makoto Kino riferire del ritrovamento di un portafoglio a Shinjuku.
“Quando sono tornata a casa” continuò, “Nephrite era qua che mi aspettava, e indossava gli abiti di mio marito: dei jeans, una camicia blu e un cappotto nero.”
Indicò un grosso pacco sotto l’albero di Natale. “Là dentro ci sono i suoi vecchi vestiti.”
Ecco cosa c’era di diverso, realizzò Alan. Il grosso pacco sotto l’albero…
“Sa dove possa essere diretto?” incalzò Lewis.
“Quando eravamo bambini, i nostri genitori ci hanno portato a far visita a dei parenti in Cina, e da allora Nephrite ha sempre desiderato tornarci. Credo che nella sua mente, sia un po’ un’isola felice…”
“E la bambina? Cosa c’entra Chibiusa Chiba in tutto questo?”
La voce di Makoto si fece più incerta, mentre raccontava di come Nephrite avesse sorpreso Chibiusa origliare alla porta, per poi decidere di portarla con sé, in fuga, e minacciare di ucciderla se solo avesse visto avvicinarsi un poliziotto.
“Crede che una volta al sicuro, suo fratello la lascerà andare?” intervenne Aino, cercando di controllarsi.
Makoto fece spallucce. “Vorrei crederlo, ma non lo so.”
“Cosa l’ha convinta a farsi avanti?” chiese Lewis.
“Ho visto quella donna in televisione. La madre di Chibiusa. Era disperata. Come mi sentirei io se qualcuno prendesse la mia piccola? Non potevo far finta di nulla. Non più.”
 
Venti minuti dopo, lasciavano l’appartamento di Makoto.
Sapevano che, se messo alle strette, non avrebbe esitato ad uccidere la bambina, ma ora restava da capire come avesse fatto a lasciare la città. Di certo non con un mezzo pubblico: molto probabilmente aveva rubato un’auto, e se era vero che aveva lasciato la casa della sorella appena dopo le sei, a quest’ora avrebbe dovuto aver percorso circa trecento chilometri.
 

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