Unforgettable

di ourlifesavers
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.'




 

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Prologo.

 

 
L’edificio in fiamme giocava brutti scherzi.
Sembrava facesse apposta a creare giochi di luce e ombre.
Il ragazzo bruno si guardava freneticamente attorno, come alla ricerca di qualcosa, di qualcuno, ma non c’era anima viva nei paraggi.
L’antifurto di una macchina, parcheggiata poco distante, scattò, facendo sobbalzare i quattro ragazzi.
Due di loro si voltarono quasi nello stesso momento in direzione del rumore.
«Dobbiamo andarcene da qui.» bisbigliò il biondo agli altri tre.
«Chiudi la bocca, Scott!» lo aggredì Simon, un ragazzo dai capelli biondo cenere e due occhi freddi come il ghiaccio.
Un ghigno comparve sul volto scolpito di Killian, «pensate che scopriranno mai chi è stato?» domandò ai tre.
«Se nessuno apre bocca, non sospetteranno mai nulla.» ribatté Simon, pulendosi le mani sui jeans, fino ad ora macchiati.
Solo un ragazzo non aveva ancora proferito parola, sembrava affascinato dallo spettacolo che aveva di fronte. Le fiamme danzavano, facendo sì che il suo viso risultasse come scolpito.
Abbassò  lentamente il cappuccio nero della felpa, lasciando che anche i suoi capelli venissero  inondati dalla luce delle fiamme, rendendoli aranciati e molto diversi dal loro solito biondo grano.
Si passò una mano tra di essi , ravvivando il ciuffo.
La voce di uno dei ragazzi lo riportò alla realtà e solo allora si accorse delle sirene della polizia, che si facevano man mano sempre più vicine.
Imprecò e, seguendo gli altri tre, salì in macchina, aspettando che Killian mettesse in moto, per poi allontanarsi a grande velocità.
Il pensiero in comune era uno solo: sperare che nessuno potesse mai risalire a loro.
Una sola cosa era sfuggita a loro, poco distante, in una macchina bianca, una ragazza aveva assistito alla scena.
Non sapeva chi fossero, l’unica cosa di cui era sicura era che non l’avrebbe mai dimenticato.




 


Ci sono anche io :)

Abbiamo avuto la brillante idea di iniziare questa nuova jiley a quattro mani e quindi eccoci qui con il prologo.
Siamo jileyheart e neverlethimgo, abbiamo unito le nostre menti per iniziare questa nuova storia.
Speriamo davvero che vi piaccia e aspettiamo impazientemente di sapere che cosa ne pensate.
A breve metteremo il primo capitolo, in modo da poter chiarire qualche dubbio.

Un bacio,
Giulia e Fede.

 

seguiteci su twitter se vi va: Giulia (@Belieber4Choice) e Federica (@breathinjiley)

Se avete domande, ecco i nostri ask: Giulia e Federica

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


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Capitolo 1

Alexis

 

Tre anni dopo.

 

«Dovrebbe esserci ancora uno scatolone in macchina, puoi prenderlo tu?», la voce squillante di mia madre era giunta alle mie orecchie proprio nell'istante in cui mi appoggiai al cofano dell'auto, sperando di riposarmi qualche minuto dopo aver trasportato più di cinque pesanti scatole davanti all'ingresso della nuova casa.

Era passata più di un'ora e ancora non avevamo finito di scaricare le ultime cose. Solo in quel momento mi accorsi realmente di quante cose avevamo portato via.

«Sì, d'accordo.» sbuffai, alzandomi riluttante.

Mi stavo quasi abituando al silenzio di quel luogo desolato, totalmente diverso dal quartiere dal quale provenivo, e la voce di mia madre aveva interrotto quella quiete.

Lasciai cadere la borsa al suolo e afferrai l'ennesima scatola dal sedile posteriore della macchina, raggiungendo poi mia madre all'interno della villetta che avevo davanti.

Mi fermai qualche istante sull'uscio, impiegando diversi secondi a guardarmi intorno.

Se da fuori quella casa sembrava grande, dentro lo era ancora di più, forse un po' troppo per appena due persone.

Sembrava accogliente, sebbene fosse ancora spoglia, ma di questo non me ne preoccupai più di tanto. Non mi dispiaceva, ma probabilmente avrei impiegato diverso tempo prima di abituarmi del tutto a quel luogo quasi deserto. Soprattutto se si cresce in una città dove anche alle quattro di notte non c'è pace.

«Alexis, porta quella scatola in cucina.» mi disse e la raggiunsi immediatamente, distogliendo l'attenzione dalla grande vetrata del soggiorno.

Al di fuori di essa vi erano decine e decine di alberi, apparentemente sembrava un bosco e... forse lo era davvero.

L'idea di viverci di notte mi stava leggermente spaventando, a dire la verità.

«Allora, ti piace?» domandò entusiasta mia madre, posando finalmente a terra lo scatolone.

La guardai torva, studiando attentamente la sua espressione felice.

Probabilmente si aspettava una risposta positiva ed io non volevo di certo rovinare il suo entusiasmo.

«Carina.» risposi atona. Non ero mai stata molto brava a fingere e, comunque, era ancora presto per apprezzare a pieno quel luogo.

Per una abituata alla confusione, la pace che regnava ora era una perfetta novità. Non che non mi piacesse il cinguettio degli uccellini o tutto quello che possa vivere in un posto come questo.

«Vedrai che ti ambienterai subito e poi non è la prima volta che passiamo qualche giorno qui.» ironizzò mia madre, sperando di rallegrare l'atmosfera.

Accennai un sorriso, «lo so, ma prima non mi avevi mai detto “di qui non ce ne andiamo più”.» ribattei, stando al gioco.

Si accigliò, ma non disse nulla. Cominciò a trafficare con una della scatole che aveva davanti, tirando fuori la qualunque: da libri a mestoli e attrezzi per la cucina.

«Ho già chiamato qualcuno che possa venirci ad aiutare con i mobili e tutto quello che ci servirà. Qualche settimana e questo posto sarà fantastico.» esclamò entusiasta.

Inarcai un sopracciglio, evitando di rispondere.

Mi guardai alle spalle e tutto quello che vidi fu un'enorme spazio – probabilmente destinato al salotto – completamente vuoto.

Iniziava già a mancarmi casa.

«Alexis, mi stai ascoltando?» mi chiese, agitandomi più volte una mano davanti al viso, per riportarmi alla realtà.

Sobbalzai, «sì, sì. Sarà fantastico.» ripetei, cercando di metterci quanto più entusiasmo potei.

Sospirò e lasciò perdere lo scatolone, venendo vicino a me. Mi fece passare un braccio attorno alle spalle, stringendomi a sé.

«Andrà tutto bene, tesoro, te lo prometto. Sarà divertente iniziare una nuova vita lontano da tutti.» mormorò, prima di darmi un leggero bacio sulla guancia.

Annuii, cercando di sorridere, «lo so.» risposi, «chiamo papà per dirgli che abbiamo quasi finito.» la avvertii. Era sempre meglio dirle certe cose prima.

«Certo.» sussurrò, staccandosi da me e tornando al suo scatolone.

Uscii fuori dalla nostra ipotetica cucina/sala da pranzo e andai fuori a recuperare la borsa. Cercai il cellulare, fino a quando non lo trovai. Dovetti fare qualche passo per trovare un po' di campo e quando finalmente le tacche aumentarono, composi l'oramai familiare numero di papà.

Attesi che rispondesse e intanto diedi un'occhiata intorno: alberi. Solo alberi. Sembrava di stare a Central Park, con l'unica differenza che New York era sempre costantemente popolata, mentre qui le uniche anime eravamo io, mia mamma e qualche scoiattolo.

Dopo qualche squillo, la voce di mio padre arrivò dritta alle mie orecchie.

«Pronto piccola?» rispose, con il suo solito tono ilare.

«Papà, ciao.» sorrisi, «so che probabilmente sei al lavoro. Volevo solo dirti che siamo arrivate sane e salve e che abbiamo appena finito di scaricare gli scatoloni.»

Lo sentii sfogliare alcuni fogli, «e come ti sembra?» domandò curioso.

Mi guardai nuovamente intorno, «grande. E verde. e... quasi spaventoso.» mormorai, sperando che mamma non mi sentisse.

Scoppiò in una fragorosa risata, e la cosa mi infastidii, «non è la prima volta che rimani da quelle parti.» disse.

Sbuffai. Era la stessa cosa che aveva detto mamma poco fa, «lo so, ma è diverso. Prima sapevo che, passato qualche giorno, sarei tornata a casa.» sbottai.

Sospirò rumorosamente, «lo sai che puoi tornare quando vuoi, casa mia sarà sempre casa tua.» disse serio.

Sorrisi, «lo so.»

«É quasi ora di cena. So che sei stanca, ma ti va di andare in città a mangiare qualcosa?» domandò mamma, dopo aver appeso l'ultimo abito nel suo armadio, nella sua nuova camera da letto.

Scossi la testa e mi lasciai cadere di schiena sul letto, sospirando, «se invece vado io in città a prendere qualcosa e ceniamo qui?» proposi, chiudendo gli occhi.

La sentii ridacchiare, «troppo presto, vero?» chiese, venendo a sedersi accanto a me e accarezzandomi gentilmente la gamba.

Annuii, sorridendo.

«D'accordo allora. Ricordi la strada?» continuò.

«C'è un'unica strada, credo non sia così difficile arrivare in città.» ribattei sarcastica.

Scoppiò a ridere ed entrambe ci alzammo dal letto, scendendo al piano di sotto. Indossai la giacca e mamma mi porse le chiavi della macchina.

La lasciai sulla soglia ed entrai in macchina, mettendo in moto. Uscendo in retromarcia, percorsi la piccola stradina che portava poi sulla strada principale. Armeggiai qualche istante con i pulsanti della radio, fino a trovare quello che stavo cercando.

Canticchiai fino a che le luci della città furono ben chiare. Non sapevo bene dove andare. Erano passati tre anni dall'ultima volta che c'ero stata, ma ricordavo che, non molto distante da casa dei miei nonni, c'era un grande centro commerciale, così mi diressi là.

Cercai parcheggio e, quando finalmente riuscii a trovare uno spazio vuoto, spensi la macchina, incamminandomi verso l'entrata.

Seguendo le indicazioni, salii al piano superiore e mi guardai intorno, cercando il ristorante take-away.

Una volta individuato, mi mossi velocemente. C'era un po' di fila, ma non mi andava di girare a vuoto per cercare qualcosa d'altro, così aspettai.

Trascorse una buona mezz'ora prima che la cameriera, al di là del bancone, mi chiedesse cosa desiderassi.

Ordinai per lo più a caso, scegliendo le prime cose che mi capitavano sotto agli occhi.

Imbustò il tutto, lasciandomi poi le due bibite fuori, per evitare che si rovesciassero. Ci avrei pensato io, questo era sicuro.

Ritornai al piano terra, con due buste in una mano e le bibite nell'altra. Uscii dalle porte automatiche con calma, ma evidentemente qualcun altro aveva più fretta di me.

Mi sentii sbattere di lato e persi la presa dalle bibite, che si rovesciarono in parte a terra e in parte addosso alla persona che avevo davanti.

«Dio, ma stai attenta!» esclamò, saltando letteralmente indietro, per evitare che altro le finisse addosso.

«Stare attenta io? Dico, ma non mi hai vista?» gridai, lasciando che i bicchieri cadessero al suolo.

La ragazza di fronte a me sbuffò così violentemente che mi venne voglia di prenderla a calci.

«Guarda come mi hai ridotto!» si lamentò, toccandosi la maglia bianca – ormai tendente al marrone – bagnata di coca cola, «come minimo me la ripaghi.» aggiunse, acida.

Scoppiai a ridere in una risata tutt'altro che divertente, «se tu guardassi avanti quando cammini non sarebbe successo. Non mi hai visto uscire?» chiesi, asciugandomi la mano sui pantaloncini.

Strinse le labbra e scosse la testa, «evidentemente no, cosa dici?» ribatté, cercando di strizzare la maglietta.

Sbuffai, «senti, te la ripago, non è un problema.» sbottai. Stava facendo una tragedia, quando l'unica che aveva il diritto di lamentarsi ero io.

Avevo rovesciato tutto ed avevo anche rischiato di cadere.

Agitò una mano davanti al mio viso, come per dirmi di stare zitta, «lascia perdere. Anzi scusami. Non ti ho proprio visto uscire.» mormorò, cambiando completamente atteggiamento.

Inarcai un sopracciglio, sorpresa, ma alla fine scossi la testa, «non importa, davvero. Mi dispiace averti completamente rovinato la maglietta.» replicai, arricciando le labbra.

«Tranquilla, era solo uno stupido regalo del mio ex ragazzo.» spiegò, accennando un sorriso.

«Oh, allora non ringraziarmi.» scherzai, stringendomi nelle spalle.

Scoppiò a ridere, «hai bisogno di una mano?» domandò, indicando le due buste che avevo in mano.

«Ho la macchina qui vicino, non è un problema.» risposi, iniziando ad incamminarmi.

Mi prese quasi con la forza la busta dalla mano, così la lasciai fare. Arrivammo alla macchina e cercai le chiavi. Feci scattare l'apertura automatica e misi una delle due borse sul sedile posteriore, voltandomi per prendere l'altra.

«Sono Andie, comunque.» disse, rompendo quel breve silenzio, dopo essersi asciugata le mani alla bene e meglio sui pantaloni.

«Alexis.» risposi, ritirando l'altra borsa.

«Aspetta!» esclamò, facendomi sobbalzare.

Mi voltai, spaventata. Mi guardai attorno, alla ricerca di qualche pericolo, ma non vidi nulla.

«Che succede?» domandai, preoccupata.

«Io ti conosco. Non è la prima volta che ci vediamo.» rispose, indicandomi.

Aggrottai le sopracciglia, studiandola per qualche istante.

No, decisamente non era un viso familiare.

«Sei la nipote di Ruth.» esclamò, schioccando le dita, come se avesse appena fatto una scoperta grandiosa.

«Come fai a conoscere mia nonna?» domandai curiosa.

Sorrise, «perché mi ha praticamente cresciuto.» rispose.

Rimasi spiazzata in seguito a quella sua affermazione, avevo completamente rimosso ogni particolare di quella piccola cittadina, a cominciare dalle persone che ci vivevano.

Non seppi assolutamente che cosa dire, mi limitai ad abbozzare un sorriso mentre lei sembrava totalmente esaltata per la scoperta che aveva appena fatto.

«Quanto tempo resterai qui?» mi domandò, sorridendomi apertamente e spostandosi dietro all’orecchio una ciocca dei capelli biondi che le era sfuggita dalla coda.

«Credo fino a che mia madre non deciderà di trasferirsi di nuovo.» dissi, cercando di ironizzare la mia risposta.

«Perfetto!» esclamò lei, congiungendo le mani, «se domani sera non hai da fare vieni da me. Do una festa e ci sarà da divertirsi.»

«Ecco, i- io non lo so…» risposi titubante.

«Avanti, Alexis, non farti pregare. Ci divertiremo, e poi ti farò conoscere un sacco di persone, così ti togli questo muso triste.» insistette con enfasi e mi sentii quasi costretta ad accettare, sebbene non mi entusiasmava poi così tanto l’idea di andare a quella festa. Sarebbe finita esattamente come la prima volta che frequentai quella nuova compagnia di ragazzi a New York: la festa era stata organizzata da una delle ragazze più popolari della mia scuola e io, ovviamente, non conoscevo nessuno se non due o tre persone, così trascorsi l’intera serata a guardare quei ragazzi ubriacarsi e andare fuori di testa. Non volevo ripetere l’episodio, assolutamente.

«Se lo dici tu.» mormorai sempre meno convinta.

«Fidati di me.»

«Dovrei fidarmi di una che mi  ha quasi privato della cena?» scherzai, ma fortunatamente la prese sul ridere. «D’accordo, ci verrò.» dissi infine, accontentandola.

«Lo sapevo che avresti ceduto. Posso chiederti un’ultima cosa?»

Annuii e nel frattempo aprii la portiera dal lato guidatore.

«Mi daresti un passaggio? Abito a circa due chilometri da qui.»

«Certo, non c’è problema.» le sorrisi e, una volta che entrambe fummo in macchina, partii.

 

Durante il breve tragitto, Andie non stette zitta un solo secondo, mi raccontò la maggior parte della sua vita e a stento avevo l’occasione di ribattere, ma, dopo tutto, era simpatica.

In prossimità di un incrocio ci fermammo e lei si zittì tutto d’un tratto.

La guardai seguire con lo sguardo un ragazzo che stava attraversando proprio davanti a noi. Aveva il cappuccio, così non ebbi la possibilità di scorgerne a pieno i lineamenti, s’intravedeva appena il ciuffo color biondo scuro che sporgeva da esso, alzato in una cresta scombinata.

Spostai lo sguardo sulla bionda e la fissai con aria interrogativa, lo stava letteralmente fulminando con lo sguardo.

«Lo conosci?» le domandai, dato che non sembrava avere alcuna intenzione di darmi una spiegazione.

«Sì.» rispose con aria schifata, «un tempo lo frequentavo, come amici s’intende, ma da qualche anno a questa parte è diventato una sottospecie di delinquente e, se posso, lo evito.» spiegò frettolosamente, sventolandomi poi la mano davanti al viso.

Ripartii non appena il semaforo fu verde e, dallo specchietto retrovisore, seguii per qualche secondo i movimenti di quel ragazzo.

Mi domandavo cosa avesse mai fatto per essere stato etichettato da Andie come delinquente.



 


Ci sono anche io :)

 23 recensioni e ben 62 preferiti. Siamo solo al prologo, voi davvero non vi rendete conto della felicità che abbiamo provato a vedere tutto ciò, siete splendide, davvero.

Non vi ringrazieremo mai abbastanza per questo, siamo contentissime che vi sia piaciuto così tanto, nonostante fossero solo poche righe.

Sappiamo che avrete sicuramente mille dubbi,  ma andando avanti, riusciremo a chiarirveli tutti, ne siamo sicure.

Tanto per sottolineare una cosa, questa fanfic, non è come quella di Fede - used to tell me sky’s the limit, now the sky’s our point of view, tranquille. (anche perché Giulia non sa quello che c’è nella mia testolina. Forse.. non ancora credo lol)

Detto questo, speriamo che il primo capitolo vi sia piaciuto. È parecchio lungo ed è tutto dal punto di vista di Alexis. Man mano, si aggiungeranno anche altri punti di vista.

Fateci sapere che ne pensate.

Alla prossima belle, un bacio.

Giulia e Fede.

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Giulia e Fede.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. ***


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Capitolo 2

 

Alexis

 
Sebbene fossi curiosa di sapere che cosa mai avesse potuto combinare quel ragazzo, non proferii parola e nell’abitacolo continuò a regnare il silenzio finché Andie non mi disse di svoltare a destra.
«Abito proprio lì, in quella casa rosa.» disse, indicando una piccola villetta dai muri lievemente rosati. Annuii e poco dopo mi fermai davanti all’inizio del vialetto.
«Grazie mille.» disse, sganciando la cintura di sicurezza.
«Figurati. Devo proprio venirci a questa festa?» le domandai proprio nell’istante in cui la vidi aprire la portiera.
«Assolutamente. Se non ci vieni mi offendo. Sarà una cosa tranquilla, solo qualche amico, ti divertirai.» esclamò lei con un entusiasmo alquanto spropositato, così mi limitai a stringermi nelle spalle ed acconsentire.
«D’accordo.» risposi semplicemente e la vidi abbandonare l’abitacolo.
«Uh, aspetta!» urlò, facendo il giro dell’auto ed appoggiandosi poi alla mia portiera, «ti lascio il mio numero.»
Tirai fuori dalla borsa il cellulare e glielo porsi, digitò qualche cifra e poi me lo ridiede.
«A domani!» disse, per poi iniziare a correre sul vialetto e sparendo infine tra quelle quattro mura.
Gettai un’occhiata al mio telefono e salvai il numero nella rubrica, dopodiché ripresi a guidare verso casa. Se non fossi ritornata nel giro di qualche minuto mia madre mi avrebbe dato sicuramente per dispersa.
 
Lasciai la macchina nel bel mezzo del vialetto e, con le due buste in mano, entrai in casa.
«Pensavo ti fossi persa.» esclamò mia madre come misi piede nell'ingresso, rompendo il piacevole silenzio che mi aveva accompagnato fin lì e facendomi immediatamente alterare.
Sbuffai, appoggiando le buste sul bancone della cucina e mi voltai, lanciandole un’occhiata fulminea.
«Non mi sono persa, ho solo incontrato una ragazza che, a quanto pare, conosce la nonna.» canzonai, sospirando.
«Oh, ti sei già fatta un’amica. Non abbiamo fatto poi tanto male a trasferirci qui.» esclamò entusiasta e, fortunatamente, la conversazione finì lì. Le avrei detto più tardi della festa, ero sicura che la cosa non le sarebbe minimamente interessata, ma era pur sempre mia madre, aveva diritto di sapere.
Cenammo in perfetto silenzio e ringraziai il cielo che in quel posto sperduto non passassero decine di macchine al minuto. Forse mia madre aveva ragione, non sarebbe stato poi così male vivere qui.
Ritirai i piatti, per poi adagiarli nel lavandino ed iniziare a far scorrere l’acqua su di essi.
«Domani sera andrò ad una festa.» mormorai con tono appena percettibile, contando il fatto che il rumore dell’acqua avrebbe ovattato gran parte delle parole.
«Come?» chiese di rimando mia madre e così ripetei la frase.
«Mi ha invitato Andie, la ragazza che ho incontrato poco fa.» aggiunsi, sentendomi in dovere di spiegarle che non sarei andata con la prima persona incontrata. Beh, non proprio.
Non ricevetti alcun riscontro, così mi voltai, chiudendo l’acqua, soffermandomi poi a studiare la sua espressione, al momento incomprensibile.
«Non starai mica aspettando il mio consenso, vero?» mi domandò, lasciando che un enigmatico sorriso le riempisse il viso.
«No, certo che no.» risposi, sorridendo a mia volta, «misembrava solo giusto farti sapere che per cena non ci sarei stata, tutto qui.»
La nostra conversazione terminò così ed io ne approfittai per finire di sciacquare i piatti, dopodiché decisi che era arrivata l’ora di iniziare a rendere un po’ presentabile quella che sarebbe stata la mia stanza.
Al piano superiore c’erano diverse camere ed ero più che certa che molte di esse sarebbero rimaste vuote.
Aprii diverse porte prima di decidere di quale stanza appropriarmi. Erano tutte molto grandi, ma quella che mi colpì era situata in fondo al corridoio, era forse più spaziosa delle altre ed una grande finestra permetteva di illuminare tutto il perimetro. Era spoglia, per ora, ma mi soffermai qualche istante a fissarne ogni angolo ed ero più che certa che sarebbe diventata perfetta. Cercai di immaginarla e sorrisi all'idea che mi frullava in testa. Non aveva bisogno di alcuna modifica, forse avrei potuto scegliere un colore più acceso per le pareti, ma niente di più.
«Alexis, hai trovato la tua stanza?» mi domandò mia madre e sentii i suoi passi provenire dal corridoio.
Sporsi il capo fuori dalla stanza e le sorrisi apertamente, «questaè perfetta!»
«Non avevo dubbi.» mi sorrise a sua volta. Quello era stato uno dei pochi momenti in cui riuscivo a non discutere con mia madre, ma ero più che certa che quel momento di tregua non sarebbe durato a lungo.
Niente mobili, e quindi niente letto, stava a significare che avrei dovuto dormire nel sacco a pelo, così decisi di approfittarne e raggiunsi il terrazzo della stanza accanto. Avrei dormito lì, l’idea non era poi tanto pessima.
Alzai lo sguardo al cielo, era colmo di stelle, ciò che a New York mi ero sempre sognata di vedere. L’aria era fresca e regnava il silenzio più totale, era così pacifico quel posto ed iniziavo ad apprezzarne la tranquillità, sebbene mi provocasse una strana nostalgia. Scossi il capo ed evitai di pensarci, anche perché i pensieri riguardanti la festa dell’indomani stavano già iniziando a riempire la mia mente. Ero nervosa al riguardo, eppure non sapevo il motivo, sarebbe stata solo una festa.
Adagiai il sacco a pelo al suolo e mi appoggiai alla ringhiera del terrazzo, guardando tutto ciò che mi circondava. Erano per lo più alberi quelli che avevo davanti, fatta eccezione per una casa non troppo lontano dalla mia ed era ben poco curata. La maggior parte delle pareti era annerita, quasi come se fosse stata vittima di un incendio. Sembrava totalmente disabitata, le persiane sulle finestre erano rovinate ed alcune di esse rimanevano attaccate al muro per via di un solo chiodo. Era fatiscente e l’idea di abitarci vicino mi fece rabbrividire. Rimasi a fissarla ancora per qualche istante, mi spaventava, quello sì, ma aveva qualcosa capace di attirare la mia attenzione e mantenni lo sguardo posato su di essa sino a quando non udii un rumore.
Spostai velocemente lo sguardo a destra e a sinistra, cercando di capire da dove provenisse, ma le fronde degli alberi m’impedirono di avere una buona visuale del terreno.
Il rumore si ripeté e, questa volta, intravidi una fonte di luce, non molto lontana dalla casa disabitata. Ridussi lo sguardo a due piccole fessure ed intravidi una macchina nera e alcuni ragazzi attorno ad essa. Uno di loro rise di gusto, mentre gli altri parlavano, ma non riuscii a carpire una singola parola del loro discorso e per di più erano troppo lontani per poterne scorgere i lineamenti.
Rimasi a fissarli sino a quando non entrarono in macchina e non ripartirono, provocando un fastidioso rombo che riecheggiò per diversi secondi. M’infilai nel sacco a pelo solo quando percorsero il viale che costeggiava casa mia.
Mille e più domande cominciarono ad affollarmi la mente, ero davvero curiosa di sapere che cosa ci facevano lì, accanto a quella vecchia casa, iniziai ad ipotizzare decine di cose, ma caddi in un sonno profondo qualche minuto dopo, scordandomi di tutto.
La mattina seguente, quando il sole cominciò a splendere relativamente presto, mi svegliai e maledissi la mia dannata idea di voler dormire sotto alle stelle. Gettai un’occhiata al display del cellulare, segnava appena le sette e considerai ottima l’idea di rinchiudermi in camera e tentare di dormire almeno per altre due o tre ore.
Non appena percorsi il corridoio incrociai mia madre, già raggiante sin dalle prime luci dell’alba. La ignorai e m’infilai in camera, riaddormentandomi subito dopo essermi sdraiata sul sacco a pelo.
 
«Alexis, è pronto il pranzo!» gridò mia madre dalla cucina, ma la ignorai e mantenni gli occhi chiusi. Mi chiamò una seconda volta, poi una terza e mi decisi ad alzarmi solo quando realizzai che si stesse facendo notevolmente tardi.
Scattai in piedi e percorsi velocemente le scale, sedendomi poi a tavola e, senza proferire parola, cominciai a mangiare. Ero certa di avere gli occhi di mia madre puntati addosso, specialmente quando mi vide afferrare il cellulare e cominciare a digitare alcune lettere su di esse. Inviai un messaggio ad Andie, chiedendole a che ora sarei dovuta andare da lei e qualche istante dopo ricevetti una risposta.
 
Da Andie:
«Vieni tra qualche ora e porta un paio di vestiti ;)»
 
Lasciai il telefono accanto al piatto e ripresi a mangiare.
«Tra un po' esco.» dissi a mia madre, «non aspettarmi sveglia.»
«Cerca di non fare troppo tardi.» mi disse solo questo e, in tutta risposta, le sorrisi lievemente.
«Non penso mi mangeranno, stai tranquilla.» mormorai, giocando con i cibo rimasto nel piatto.
«Dico solo che non è prudente aggirarsi per i boschi di notte.» ribatté, quasi infastidita dal mio commento.
Lasciai cadere il discorso, ignorando le sue preoccupazioni e sparecchiai.
Feci scorrere l’acqua per sciacquare i piatti e mi ritornò alla mente la scena vista la sera prima. Mi ritrovai a fissare il vuoto avanti a me mentre l’acqua mi scorreva sulle mani, il ricordo di quella casa e di quella macchina scura mi fece rabbrividire nuovamente e non volevo soffermarmi a pensare al peggio.
Recuperai una borsa piuttosto capiente da uno degli scatoloni e vi infilai dentro due abiti: uno verde menta e uno sul rosso. Frugai dentro qualche altra scatola alla ricerca di un paio di scarpe adeguate, ma non trovai ciò che cercavo. Ero più che certa che mia madre ne possedesse un paio nere con un tacco abbastanza alto da slanciarmi un altro po’. Gettai un’occhiata all’interno della cucina, dov’era intenta a sistemare le ultime cose, e proseguii il mio cammino sino a che non fui davanti ad uno dei suoi scatoloni. Aprii quello contenente le scarpe e recuperai facilmente il paio che avevo in mente di indossare.
«Io esco, ciao!» esclamai, chiudendomi subito dopo la porta alle spalle e, senza nemmeno aspettare un suo riscontro, salii in macchina e partii, diretta a casa di Andie.
Le strade erano deserte, ad eccezione per un paio di persone che passeggiavano sul marciapiede, non c’era nessuno. Quella cittadina era fin troppo tranquilla.
Non appena fui d’innanzi alla porta d’ingresso della villetta di Andie, bussai un paio di volte e nel giro di qualche istante me la ritrovai davanti, sorridente come l’ultima volta che l’avevo vista.
«Dai, entra, abbiamo un sacco di cose da fare.» mi disse, trascinandomi letteralmente dentro casa.
Iniziò a correre su per le scale e la seguii, cercando di mantenere il suo passo affrettato.
A parte noi, sembrava non esserci nessuno in quella casa, ma non le porsi alcuna domanda, anche perché cominciò a parlare non appena entrammo in camera sua.
«Coraggio, fai vedere che cosa vorresti metterti.» esclamò, battendo velocemente le mani. Possibile che si esaltasse per ogni cosa?
Sorrisi a quel pensiero ed estrassi dalla borsa gli abiti, adagiandoli sul letto e poggiando le scarpe al suolo.
Sentii il suo sguardo addosso, fissava ripetutamente me e i vestiti e non potei evitare di assumere un’espressione interrogativa.
«Io direi quello verde.» disse infine, piuttosto sicura della sua scelta.
Allargai le braccia in segno di resa ed annuii. «Tu, invece, che cosa ti metterai?» le domandai ed in men che non si dica mi mostrò un abito blu, decisamente corto.
Feci un sorriso d’approvazione quando mi mostrò anche le scarpe del medesimo colore.
Iniziammo a prepararci ed optai per arricciare leggermente i capelli, fermando alcune ciocche con dei fermagli, gentilmente prestati da Andie, mentre lei decise di lisciarli, per intrecciarli poi tutti da un lato, inserendo un piccolo fiore dietro l'orecchio.
Una volta ultimato anche il trucco uscimmo di casa e salimmo in macchina. Aveva dimenticato di menzionare il fatto che la festa non l'avrebbe data a casa sua, ma in una piccola villetta, a circa mezz'ora da lì, che scoprii poi essere la casa di sua zia, vuota per via di un viaggio di lavoro. Senza che ce ne accorgessimo calò la sera e quelle strade divennero ancor più deserte.
«È sempre così triste e desolato questo posto?» le domandai e scoppiò a ridere.
«La maggior parte delle volte sì, ma vedrai che la festa non sarà poi così deserta.» rispose e ciò mi fece rimanere leggermente perplessa.
«Avevi detto che sarebbe stata una cosa di poche persone.» le ricordai, guardandola di sottecchi.
«Beh, dipende che idea hai di poche.» ridacchiò, digitando velocemente sul cellulare.
Alzai gli occhi al cielo, ma rallentai quando mi disse di svoltare a destra.
Non appena ebbi una buona visuale, una villetta – o meglio villa con piscina annessa – completamente bianca, fatta eccezione per le imposte rosso corallo, si fece piano piano chiara davanti a me.
Rimasi a bocca aperta. Feci per commentare, ma Andie batté le mani e fece scattare l'apertura automatica. Secondi dopo l'enorme cancello si aprì, così inserii la prima marcia di nuovo ed entrai, seguendo le indicazioni di Andie su dove poter parcheggiare.
Spensi il motore e insieme ci incamminammo verso l'entrata. Se la maestosità del giardino aveva rapito il mio sguardo, l'interno mi lasciò completamente senza fiato.
Per via della festa, era attrezzata con parecchi tavoli di vetro, distribuiti per tutto il salone.
«Porto di sopra queste cose.» disse, mostrandomi la borsa e la giacca, «tu inizia pure a sistemare le ultime cose, le trovi sul bancone della cucina.» aggiunse, allungando un braccio per prendere il mio cardigan.
Annuii e dopo essermi guardata intorno, mi diressi in cucina, dove erano rimaste alcune bottiglie colme d'alcool.
Arricciai il naso, non era quel tipo di persona, ma visto che non saremmo state sole, feci come aveva chiesto e, prendendone alcune sotto braccio, le portai in sala, posandole nei cestelli, che riempii poi con del ghiaccio.
Istanti dopo, quasi come se tutti si fossero accordati, una miriade di clacson suonarono, echeggiando all'interno della casa.
Sobbalzai, pensavo avessero suonato come minimo il campanello. Feci per chiamare Andie, ma era già per le scale.
«Diamo inizio alla festa.» annunciò, saltellando fino alla porta.

 

 

Ci sono anche io :)

Sappiamo di essere leggermente in ritardo, ma non è facile stare dietro a più storie, soprattutto se scriviamo a distanza e ogni volta dobbiamo vedere e rivedere ogni capitolo e accordarci su cosa tenere e cosa no.
Detto questo, volevamo ringraziarvi per le recensioni dello scorso capitolo e soprattutto dei 99 preferiti, essendo neanche due capitoli. Grazie mille per tutti i complimenti, siamo felicissime che vi piaccia così tanto e speriamo di avervi incuriosito almeno un po' con questo capitolo.
Nel prossimo cercheremo di svelare altri particolari.
Speriamo di riuscire ad aggiornare prima che partiamo ognuno per conto proprio. In caso non dovessimo risentirci qui, vi auguriamo buone vacanze.

Al prossimo capitolo belle,
Giulia e Fede.

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Giulia:
@Belieber4Choice    Federica: @breathinjiley
per qualsiasi cosa, vi lasciamo anche i nostri ask: Giulia & Federica.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. ***


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Capitolo 3

 

Alexis

Se Andie appariva completamente esaltata all'idea di cominciare quella festa, io non ero più così tanto sicura di voler rimanere in mezzo a quella gente sconosciuta.

Le auto che poco prima avevano strimpellato allegramente i propri clacson, erano ora parcheggiate quasi ordinatamente nel piazzale in cui avevo lasciato anche la mia vettura.

Motivo in più per cui rinunciai all'impulso di andarmene. Non sarei riuscita ad uscire con tutto quel traffico.

L'ingresso si riempì in breve tempo di ragazze e ragazzi ben vestiti, quasi come se quella fosse stata una festa normale ed attesa da tanto tempo, ma avevo i miei dubbi che sarebbe potuta risultare tranquilla.

Quello che temevo si realizzò nell'istante in cui un ragazzo piuttosto muscolo passò accanto ad Andie con due bottiglie colme di alcool sotto braccio. Scossi la testa e cercai di ignorare le urla di felicità che seguirono.

Andie si avvicinò, raggiante come sempre e mi diede una piccola gomitata all'altezza delle costole, aspettandosi che le dicessi qualcosa, ma non aprii bocca.

«Allora?» m'incitò, «cosa te ne pare?»

«Beh-» feci per ribattere, quando qualcuno attirò la mia attenzione.

Una ragazza dai capelli lunghi scuri, con uno dei vestiti più belli che avessi mai viso, stava camminando verso di noi e, dall'espressione che si disegnò sul volto di Andie, giurai che fossero parecchio amiche.

«Ciao tesoro!» esclamò Andie, allargando le braccia e salutando l'amica, che ricambiò con altrettanto entusiasmo.

Sebbene non fossi il tipo persona che ama pregiudicare la gente, fui quasi costretta a pensare che quella ragazza poteva essere tutto tranne che dolce e simpatica come appariva.

L'occhiata gelida che ricevetti non appena il suo sguardo si posò su di me, mi fece rimanere impassibile esteriormente, ma, in realtà, mi mise in soggezione, tanto che abbassai leggermente il viso e mi guardai bene dal proferire parola.

«Sheela, lei è Alexis. Mi sono presa la libertà di invitarla. Si è appena trasferita qui e ha bisogno di ambientarsi. Quale miglior modo di una delle nostre feste?» spiegò la bionda, enfatizzando le ultime parole.

Già, quale miglior modo?

«Ciao.» mormorai, tendendole la mano.

«Benvenuta.» mi disse semplicemente, rimanendo nella sua posizione composta, guardandosi distrattamente le unghie, laccate di un rosso ciliegia, perfettamente in tono con il rossetto che portava sulle labbra.

Nonostante fossi consapevole del mio corpo, dovetti ammettere che Sheela era di una bellezza disarmante, così come Andie.

Lentamente ritrassi la mano, massaggiandomi brevemente il collo.

Questo era di sicuro uno di quei momenti in cui non mi pentii di aver giudicato male qualcuno.

Con il pretesto di andare a salutare alcuni amici, Sheela ci lasciò, così io ed Andie rimanemmo accanto alle scale ancora per qualche minuto.

«Ci sono un sacco di persone che voglio presentarti.» disse Andie, prendendomi sottobraccio e muovendo alcuni passi in direzione del salotto, trasformato in una pista da ballo/bar.

Alzai gli occhi al cielo e lasciai che mi trascinasse dove più voleva.

Meglio stare al gioco, mi dissi.

Quando, passando sotto un piccolo arco, entrammo nel salotto, uno dei ragazzi fece partire la musica, così alta che la sentii rimbombare nel mio petto.

Grida di felicità ed incitamento riempirono la casa e istintivamente sorrisi.

«Balliamo!» urlò Andie, sovrastando la musica e trascinandomi verso il centro della sala.

Cercai di puntare i piedi, ma quella ragazza era dannatamente forte per essere così piccola e minuta.

Alcuni secondi dopo mi ritrovai circondata da persone che cominciarono ad agitarsi a ritmo di musica.

Andie si voltò verso di me, prendendomi entrambe le mani e facendo in modo che mi muovessi.

«Coraggio Alexis!» esclamò, iniziando a ballare.

Scoppiai a ridere, scuotendo la testa. La musica si alzò leggermente e chiusi gli occhi. Oramai ero dentro, tanto valeva iniziare a divertirsi.

Lasciai che la musica riempisse le mie orecchie e iniziai a muovermi. Sentii Andie voltarsi e iniziare a strusciarsi contro la mia schiena, prima di tornare verso di me e portare le braccia in aria, seguendo il ritmo della musica.

Mi prese nuovamente le mani, facendomi fare un giro su me stessa e quando colpii per sbaglio un tizio che aveva deciso di ballare piuttosto vicino a noi, scoppiammo entrambe a ridere.

Ballammo per un po' e ogni tanto Andie faceva qualche saluto a persone che si avvicinavano, presentandomele, ma tra la musica alta e quello che nel frattempo avevamo bevuto, dimenticai all'istante i loro nomi e i loro visi.

La musica si affievolì, fino a tornare normale e tirai quasi un sospiro di sollievo.

Con la coda dell'occhio vidi Sheela ballare avvinghiata ad un ragazzo dai capelli biondo cenere. Incrociò il mio sguardo e inarcò un sopracciglio, sorridendomi prima di voltarsi e baciare con foga il ragazzo con cui stava ballando.

Scossi la testa e tornai a guardare Andie, che stava improvvisando delle mosse tutte sue, coinvolgendomi e ballandomi intorno.

Trattenni una risata e le presi il bicchiere di plastica che teneva in mano, per evitare che lo rovesciasse rovinosamente su di noi o sulle persone intorno.

«Hai bevuto abbastanza ed è passata solo un'ora.» la ammonii, in tono scherzoso.

Andie sbuffò, facendo una smorfia e agitando la mano davanti al mio viso, come per dire di stare zitta.

Le puntai il dito contro e finii quello che aveva nel bicchiere.

Sentii la gola in fiamme, pentendomi all'istante del mio gesto: vodka.

Odiavo la vodka, aveva un sapore orribile e mi avrebbe lasciato la gola in fiamme per parecchi minuti.

La fulminai con lo sguardo, accartocciando il bicchiere e tutto quello che fece, fu stringersi nelle spalle, scoppiando in una risatina che solo chi aveva bevuto troppo sapeva fare.

Di questo passo sarei finita nella sua stessa situazione.

Sentii la sua mano nella mia e venni di nuovo trascinata via. Spingendo a destra e a manca, riuscimmo ad uscire dal salotto, tornando nell'atrio, dove Andie prese un altro bicchiere, contenente dell'altro alcool, porgendone uno anche a me.

Inarcò un sopracciglio e bevve il piccolo shot tutto d'un sorso. La imitai e scossi la testa, chiudendo gli occhi, sentendo nuovamente la gola in fiamme.

Andie lanciò un grido e sobbalzai, prima di vederla lanciarsi a passo di marcia verso un ragazzo.

Allacciò le braccia al suo collo e lasciò che l'abbracciasse, sollevandola appena da terra.

Così come lo salutò si congedò, facendomi cenno di raggiungerla.

«Chi era?» domandai, buttando il bicchiere che ancora avevo in mano.

Si strinse nelle spalle, «Ric.» rispose, «abita qui accanto, devo fartelo conoscere. Magari più tardi.» mormorò, più a se stessa che rivolgendosi a me.

Annuii distrattamente e lasciai cadere il discorso.

Andie fece per aggiungere dell'altro, quando la porta si spalancò – con ben poca delicatezza.

«è qui la festa?» esclamò uno dei ragazzi, entrando e fermandosi sull'atrio, seguito a ruota da altri tre ragazzi.

Aveva i capelli biondo cenere, alzati in una pettinatura piuttosto ordinata.

Socchiusi gli occhi, cercando di scrutarlo  in viso, ma il sole che entrava dalla porta, mi impedì di vederlo a pieno.

Sentii Andie imprecare, così mi voltai verso di lei. Era più lucida che mai. Strinse i pugni, così tornai a guardare i ragazzi che erano appena entrati.

Uno di loro, il primo e probabilmente il più grande, indossava una canotta bianca e un giubbotto di pelle nera molto leggero. Appena dietro di lui, un ragazzo bruno, lo spinse leggermente per poter entrare definitivamente in casa.

Aveva una maglietta azzurra – parecchio attillata – che metteva in risalto la sua abbronzatura e i muscoli, molto accentuati, sotto la stoffa dell'indumento.

Accanto a lui, un altro ragazzo, con un ghigno sul viso, si accese una sigaretta, aspirando un po' di fumo e soffiandolo avanti a lui, prima di passarsi una mano tra i capelli a spazzola.

L'ultimo ragazzo che attirò la mia attenzione, accanto a quello con la canotta bianca, sembrava piuttosto diverso dagli altri.

Non si stava atteggiando, rimase semplicemente in piedi, con le labbra leggermente increspate da un sorriso.

Portava una maglietta a maniche corte bianca, con un collo a V, lasciando intravedere le clavicole e due piccoli tatuaggi, appena nascosti dalla stoffa.

Se quelli erano solo distrattamente visibili, il braccio sinistro ne era completamente coperto. Sbattei più volte le palpebre, cercando di figurarli uno per uno, ma ne colsi solo in parte, distinguendo a pieno una rosa e quello che doveva essere un gufo o una civetta.

Aveva due labbra rosee e piene, un naso piccolo, come scolpito e capelli color del grano, acconciati alla perfezione.

Indossava un paio di occhiali da sole neri che non mi permisero di vedere i suoi occhi. Erano talmente scuri che da non lasciare nemmeno individuare dove stesse guardando.

La voce di Andie mi strappò ai miei pensieri, «che cazzo ci fate qui, Simon?» sbottò, avvicinandosi, «non mi sembra di avervi invitati.»

Il ragazzo al quale si era rivolta Andie scoppiò a ridere, «è una festa aperta a tutti no? Per questo siamo qui. Vogliamo solo divertirci.» replicò, muovendo qualche passo verso Andie, fino a sfiorarle una ciocca di capelli e attorcigliarsela intorno alle dita.

Andie fece in modo che si allontanasse e sbuffò, «l'ultima volta che mi hai detto una cosa del genere, mi sono rotta un braccio.» ringhiò, incrociando le braccia al petto.

Aggrottai le sopracciglia. Era inevitabile pensare che si conoscessero più che bene.

Simon alzò gli occhi al cielo, «mi sembra di averti già chiesto scusa e poi sono passati quasi due anni, la vita continua.» canzonò, dando una gomitata al ragazzo accanto a lui, che scoppiò a ridere.

«Killian, togliti quel sorriso dalle labbra se non vuoi che ti riempia la faccia di pugni.» mormorò Andie, al che sobbalzai.

Non avevo più dubbi, si conoscevano e anche parecchio bene.

Il ragazzo portò le mani avanti, «voglio solo divertirmi, non ti darò fastidio. C'è gente più interessante.» ribatté, prima di fissarmi intensamente.

Deglutii e sostenni il suo sguardo.

Andie scosse la testa e sospirò, allargando le braccia, esasperata, «fate come vi pare, ora sparite.» borbottò, prendendomi poi per il braccio.

«aspetta.» la interruppe il ragazzo, tenendo la sigaretta in bilico tra le labbra, «non ci presenti alla tua amica?» sogghignò.

Andie alzò gli occhi al cielo, «lei è Alexis.» disse, indicandomi con il pollice, «loro sono Simon, Killian, Scott e Justin. Ora sparite.» esclamò, trascinandomi verso la cucina. 
 

Justin
 

Mi tolsi gli occhiali da sole, tenendoli con due dita, giusto per vedere Andie e la ragazza che ci aveva appena presentato, sparire per il corridoio.

Le seguii con lo sguardo, soffermandomi sul corpo dell'amica di Andie - come l'aveva chiamata? Alexis?

Non era niente male. Il vestito verde che indossava metteva in risalto la sua carnagione e avevo un debole per le ragazze con delle gambe lunghe e perfette come le sue.

Avevo in mente di seguirle, ma Simon colpì il mio sterno con la mano, strappandomi ai miei pensieri.

Fece un cenno con il mento verso quello che sapevo essere il salotto, così lo seguii, appena dietro Killian e Scott.

Salutai alcune persone con una stretta di mano e ci sedemmo sui divani. Scott sparì per qualche istante, per tornare con quattro bicchieri rossi, colmi di quello che desideravo di più al momento.

Faceva un caldo tremendo dentro quella casa e l'unica cosa che mi avrebbe fatto sentire meglio, era qualcosa di fresco, che scendesse come se fosse acqua.

Presi il bicchiere portomi da Scott e ne osservai il contenuto: birra. Niente male, ma avrebbe potuto fare di meglio. Buttai giù quasi metà bicchiere in pochi sorsi.

Mi sedetti comodamente, tenendo il bicchiere in bilico sulle gambe. Due ragazze vennero verso di noi, sedendosi sulle gambe di Simon e Killian. Sorrisi. Probabilmente credevano di trovarsi in una sorta di paradiso, a giudicare dalle loro espressioni.

Scossi la testa e bevvi un altro sorso, fino a svuotare completamente il bicchiere, prima di posarlo, capovolto, sul piccolo tavolo posto in mezzo ai due divani sul quale eravamo seduti.

Conoscevo quella casa fin troppo bene.

Andie era la cugina di Simon. Non che andassero troppo d’accordo, ma faceva comodo avere una casa come quella quasi sempre a nostra disposizione.

La zia di Simon ed Andie non c’era quasi mai, così la usavamo noi, visto che lei si fidava ciecamente di Andie.

Non potevo dire la stessa cosa di Simon, ovviamente. Non credo nemmeno sapesse che quando lei era fuori città, la usavamo noi.

Alzai lo sguardo, per poter individuare dove fossero gli alcolici seri, quando Sheela attirò la mia attenzione.

Stava ballando con un tipo – che al momento non riuscii ad inquadrare – e quando si voltò, incrociò i miei occhi.

Sorrise lascivamente, uno di quei sorrisi che solo lei sapeva fare, e inarcai un sopracciglio, in segno di saluto.

Ci eravamo divertiti parecchie volte insieme.

Ricambiò il cenno e si voltò, tornando a quello che doveva essere il suo nuovo ragazzo o il suo nuovo passatempo.

Feci per alzarmi, per andare a prendere di nuovo da bere, quando qualcosa attirò la mia attenzione.

Abbassai leggermente la testa, per poter vedere meglio: Andie e la sua amica stavano ballando su un piccolo tavolo.

Andie si scatenava come suo solito, mentre Alexis si muoveva con meno sicurezza, ma non era male, per niente. Anzi tutt’altro.

Rimasi in piedi, appoggiato allo schienale del divano e le osservai: Andie diede le spalle ad Alexis, prima di iniziare a muoversi contro di lei.

Alexis scoppiò a ridere e anche se la musica alta non mi permise di sentire la sua voce, provai ad immaginarla.

Cristallina fu il primo aggettivo che pensai. Subito dopo la parola  sexy  comparve nella mia mente e sogghignai.

Entrambe alzarono le braccia al cielo, seguendo il ritmo piuttosto veloce della musica.

Osservai con attenzione il corpo di Alexis. Quel vestito che indossava lasciava poco spazio all’immaginazione.

Finiva ad una spanna buona sopra il ginocchio ed era piuttosto scollato sulla schiena, tanto che si notava facilmente l’allacciature del reggiseno. Osservando più attentamente, notai che all’altezza del costato aveva un tatuaggio. Un simbolo, per lo più coperto dalla stoffa del vestito e tutto quello che scorsi fu un semicerchio, che probabilmente continuava in un intricato disegno.

Mi inumidii le labbra al pensiero di poter scoprire che cosa aveva tatuato su quel corpo mozzafiato che aveva.

Si voltò, dandomi le spalle e permettendomi di avere una perfetta visuale della sua schiena, seppure coperta in parte dai capelli e del suo lato B.

Complimenti Andie, te la sei trovata bene la nuova amica, sogghignai nella mia testa, sempre più curioso di scoprire ogni minimo centimetro del suo corpo.

Quando all’improvviso si voltò, sul su viso era comparso un nuovo sorriso, probabilmente scatenato dalla pazzia di Andie, ma che durò appena quando i suoi occhi incontrarono i miei.

Seppure fosse piuttosto lontano, riuscii a contemplare perfettamente i suoi occhi azzurri, misti ad un verde particolare.

Il brillantino che portava al naso luccicò e mi inumidii nuovamente le labbra, pizzicandomi la base del mento.

Si accorse che stavo fissando proprio lei e quando accennai un sorriso, come per sanare i suoi dubbi, si chinò, per sussurrare qualcosa ad Andie, che fece una smorfia, ma annuì.

Alexis scese dal tavolo, con l’auto di uno dei ragazzi che ballavano loro intorno e, facendosi spazio, uscì dal salotto, fino a scomparire.

Sentii un moto di delusione invadermi il petto, era davvero un bello spettacolo, ma scossi la testa, fino a scacciare i pensieri.

Mi avvicinai al tavolo con l’alcool, esposto bellamente nelle bottiglie e feci un cenno ad Andie, che si avvicinò scocciata.

Si fermò a pochi passi da me e incrociò le braccia al petto, aspettando che parlassi.

Le sorrisi e le porsi un piccolo bicchiere colmo di qualcosa che al momento non sapevo nemmeno io cosa fosse. Volevo solo bere.

Lo accettò di buon grado e, insieme, bevemmo tutto d’un fiato.

«Chi è la tua amica?» domandai.

Aggrottò le sopracciglia, «hai una memoria così corta?» mi stuzzicò e accennai ad un sorriso, «si chiama Alexis. Si è appena trasferita.» rispose poi.

«Dove abita?» chiesi, curioso.

Andie si strinse nelle spalle, «non lo so.» mormorò, pensandoci poi un attimo.

Scoppiai a ridere e scossi la testa, «allora non mi sei di aiuto.» ribattei, «torna a fare il tuo spettacolo.» aggiunsi, indicando il tavolo sul quale stava ballando pochi minuti prima.

«Quanto sei stronzo.» sbottò, dandomi una spinta, prima di voltarsi e tornare a ballare.

Scoppiai a ridere e mi versai un altro bicchiere, che mandai giù in pochi sorsi.

Con mia grande sorpresa, Andie fu di nuovo accanto a me, così aggrottai le sopracciglia, confuso.

«Perché volevi sapere di Alexis?» domandò.

Questa volta fui io a stringermi nelle spalle, «è carina.» mormorai, ripensando a qualche istante prima.

Era molto più che carina, a dire la verità.

«Sì, ed è amica mia.» ribatté, «è appena arrivata Justin, non ha bisogno di un idiota come te.» aggiunse.

Spalancai le braccia, esasperato, «possibile che tu debba sempre insultarmi?» ribattei, fingendomi offeso.

Andie si strinse nelle spalle, «lo so che ti piace.» mormorò, con voce piuttosto bassa, prima di mandarmi un bacio e voltarmi le spalle.

Scoppiai nuovamente a ridere e decisi di fare un giro per la casa.

Arrivai nei pressi della porta, quando vidi Alexis scendere le scale. Mi fermai, aspettando che fosse anche lei nell’atrio, ma il mio piano venne interrotto bruscamente dall’entrata di qualcuno. Qualcuno che non mi sarei mai aspettato di trovare lì. Non dopo così tanto tempo.

 

 

 
 


Ci sono anche io :)

Siamo in un ritardo pazzesco, lo sappiamo e vi chiediamo immensamente scusa per aver pubblicato questo capitolo dopo oltre un mese.

Ci sono state di mezzo le vacanze e ognuna di noi ha fatto giorni diversi dall’altra. Se contiamo il fatto che abbiamo dovuto aggiornare anche le altre nostre fan fiction, beh, ecco svelato il mistero di tutto questo ritardo.

Speriamo di non aver deluso le vostre aspettative con questo capitolo.

Piccola novità: iniziano i vari punti di vista. Non saranno solo dal punto di vista di Justin e Alexis, ma sporadicamente, troverete anche quelli di Simon, Scott, Killian e Andie.

Entrano in scena praticamente tutti, a cominciare da Justin e i suoi amici e anche questa Sheela, che come avrete notato, non è una delle persone più simpatiche del mondo. Ne manca però ancora uno, ma non sveleremo nient’altro.

A voi i commenti e ci vediamo al prossimo capitolo – che speriamo di poter pubblicare al più presto.

Giulia e Fede.

Ps: vi lasciamo una piccola gif di Sheela, in modo da poter capire chi immaginare: Lucy Hale.

Ogni punto di vista ha la sua gif, dovete solo cliccarci sopra.

 

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Per qualsiasi dubbio o domanda in merito alla storia, vi lasciamo i nostri ask: Giulia e Federica.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. ***


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Capitolo 4

 

Justin

 

Prima ancora di delineare i suoi lineamenti, riconobbi i suoi occhi, freddi come il ghiaccio, accompagnati da quel sorrisetto bastardo che gli fasciava costantemente il viso. Contrassi la mascella e strinsi entrambi i pugni lungo i fianchi, sentii la rabbia crescere a dismisura dentro di me ed un odio profondo prevalere su ogni altro sentimento. Ridussi lo sguardo a due piccole fessure e mantenni la mia visuale puntata su di lui mentre faceva il suo ingresso nella villa, guardandosi attorno in modo fiero, come se quel posto fosse di sua proprietà. Trascorsero diversi istanti prima che si accorgesse di me e, onestamente, non aspettavo altro. I nostri sguardi rimasero allacciati per interi secondi e sembrava quasi che, ora, tutti gli occhi fossero puntati su di lui. Con la coda dell’occhio vidi Simon compiere qualche passo verso di me, ma Scott lo bloccò quasi subito, e rimase comunque a debita distanza. Qualcuno spense la musica e provai un odio profondo verso ciò, ora l’attenzione dei presenti si spostava ripetutamente da me a lui e viceversa. Sentii i passi di varie persone avvicinarsi ed ebbi la sensazione che non aspettassero altro che sentire che cosa avessimo da dire.

Il primo a parlare fui io.

«Logan.» mormorai a mo’ di saluto, ma la mia espressione lasciava trasparire tutt’altro che cordialità e lui non era di certo da meno.

«Bieber.» disse a sua volta e, da come lo pronunciò con disgusto, ricordai che non c’era mai stata una sola volta in cui mi aveva chiamato per nome.

«Credevo che avessi deciso di non farti più vedere per il resto della tua inutile vita.» pronunciai poi a denti stretti e vidi scomparire all’istante quel ghigno dal suo viso. Lanciai un’occhiata alla piccola folla che si era radunata a pochi metri da noi: c’era chi mi guardava con aria attonita, come Andie ed Alexis, chi scambiava sussurri con il vicino e chi, come Simon, Scott e Killian, fissava con sguardo fulmineo Logan.

L’atmosfera s’era fatta più tesa e riuscivo a leggere negli occhi del biondo, che avevo di fronte, uno spiraglio di paura. Sorrisi al solo pensiero, ma ritornai serio nell’istante in cui lo vidi muovere qualche passo verso di me. Ora ci separavano soltanto due o, al massimo, tre metri e realizzai solo in quel momento di aver sbagliato ad interpretare il suo sguardo: non sembrava più tanto terrorizzato, quanto, piuttosto, parecchio arrabbiato.

«Smetterò di farmi vedere in giro quando anche tu e tutta la tua compagnia di sfigati lo farete.» mormorò in un fil di voce, ma ero certo di non aver sentito solo io quelle parole.

«Degli sfigati, come dici tu, non avrebbero avuto il coraggio di fare quello che hanno fatto.» ribattei, stringendo ancor più forte i pugni lungo fianchi.

Logan iniziò a ridacchiare, e sembrava anche parecchio divertito, sperai quasi che ridesse a causa delle mie parole, ma cambiai idea nell’istante in cui il suo pugno colpì la mia gota sinistra. Voltai di scatto il viso, rimanendo parecchio sorpreso da quel gesto. Riportai nuovamente la mia attenzione su di lui, assottigliando lo sguardo a due piccole fessure e vidi Simon e Scott avvicinarsi a me. Gli feci un cenno con la mano, intimandogli di non compiere un solo altro passo. Me la sarei sbrigata da solo, non mi sarei fatto dare dello sfigato una seconda volta.

Caricai un pugno e lo sferrai contro la sua mascella, costringendolo per qualche istante a distogliere lo sguardo dal mio, gliene tirai un altro subito dopo, colpendolo sullo zigomo destro e facendolo indietreggiare. Nell’istante in cui provai a colpirlo una terza volta, ricevetti una ginocchiata alla bocca dello stomaco e non potei evitare di piegarmi, il colpo era stato decisamente troppo forte. A stento rimasi in equilibrio e Logan ne approfittò per colpirmi ancora, ma questa volta in viso. Finii a terra e ciò lo fece divertire per davvero, tanto che ora il suo ghigno s’era accentuato e si chinò verso di me.

«Ti sei messo contro di me già una volta, non essere tanto stupido da rifarlo di nuovo, sai che mi vendicherò.»

Passai il dorso della mano sulla mascella e me la ritrovai sporca di sangue, sputai a terra quella sostanza dal sapore metallico ed a fatica mi alzai in piedi.

«Mi sembra, però, che l’ultima volta sia stato tu a perdere, non io. Chi è lo stupido adesso?» mormorai.

Lo vidi contrarre la mascella e, mentre io sorridevo ancora, lui era tornato serio e riuscii a leggere nel suo sguardo la sua voglia di riprendere a picchiarmi.

Mi aspettavo che ribattesse alle mie parole, invece, vidi il suo pugno ormai a pochi centimetri dal mio viso, pronto a colpirmi, ma qualcosa, o meglio qualcuno, lo fermò.

La mano di Simon fasciava stretta il pugno di Logan e ringraziai Dio che avesse totalmente ignorato la mia richiesta di rimanere fuori da questa faccenda.

Speravo davvero che tutto si concludesse all’istante, ma Logan non si era presentato a quella festa da solo; ora, dalla porta d’ingresso entrarono altri ragazzi e supposi che fossero amici suoi.

Non li conoscevo, non li avevo mai visti dalle nostre parti e, dall’espressione sorpresa che si dipinse sul volto di Simon, dedussi che nemmeno lui aveva la più pallida idea di chi fossero.

Vidi Scott e Killian avvicinarsi a noi ed il cerchio si strinse maggiormente, comprendendo anche gli amici di Logan. Anche i presenti si avvicinarono, con la coda dell’occhio vidi Alexis muovere qualche passo verso di noi, ma Andie la trattenne per un braccio.

Simon mi spinse da parte ed intrecciò lo sguardo con quello di Logan, il quale sembrava aver qualcosa da dire anche a lui. Non ne ebbe il tempo, Simon lo colpì in viso e, a giudicare dalla reazione di Logan, doveva avergli fatto parecchio male. Risi a quella scena ed indietreggiai di qualche altro passo, sino a raggiungere la figura di Alexis. Le davo le spalle, ma sapevo che il suo sguardo era puntato su di me e, da quel che notai poco prima, sembrava anche piuttosto preoccupato.

Ero così concentrato su Simon e Logan che non mi accorsi che un ragazzo mi aveva appena affiancato, feci per voltarmi verso di lui, ma non ebbi il tempo di guardarlo in faccia. Mi colpì con forza e caddi all’indietro, provocando un tonfo sordo, seguito da quelli che mi sembrarono vetri frantumati al suolo.

«Ahia!» sentii urlare e, non appena riuscii a voltarmi, inquadrai la mano di Alexis completamente sporca di sangue, mentre attorno a lei vi erano decine di bicchieri di vetro andati in frantumi.

Mi avvicinai rapidamente a lei, ma rimasi interdetto per diversi secondi, non avendo la più pallida idea di cosa fare.

«M- mi dispiace se ti ho fatta cadere.» mormorai a bassa voce, ma sembrò ignorarmi completamente. Il suo viso era completamente avvolto da una smorfia di dolore e mi sentii tremendamente in colpa per esserne stato la causa; avvertii un odio profondo verso l’amico di Logan, ma repressi all’istante la voglia di volergli spaccare la faccia.

Mi chinai verso di lei, ancora intenta a cercare di eliminare ogni traccia di vetro dalle ferite, e l’aiutai ad rialzarsi, sorreggendola per un braccio. Mi guardò con aria stranita, gli occhi erano lucidi per via del dolore, ma non oppose resistenza. Senza proferire parola, la costrinsi a seguirmi in cucina, aprii il rubinetto e, quando fui certo che il getto non fosse troppo potente, feci scorrere l’acqua sul palmo della sua mano, toccandola il meno possibile. Sul suo viso era ancora stampata quell’espressione di dolore e non potei evitare si soffermare per alcuni secondi, forse troppi, la mia attenzione su di lei. I suoi occhi erano meravigliosi, azzurri come il cielo e, non appena mi sorprese a guardarla, spostò la sua attenzione su di me dandomi la possibilità di guardarli meglio.

«Credo che così possa bastare.» mi disse abbozzando un sorriso e chiusi immediatamente il rubinetto.

«E comunque non è stata colpa tua.» aggiunse poi ed io che credevo che poco fa mi avesse totalmente ignorato.

Feci per parlare, ma qualcuno irruppe nella cucina, al momento abitata soltanto da noi due, facendomi voltare di scatto.

«Non ho ancora finito con te, Bieber.» mormorò Logan e sbuffai sonoramente.

«Ho altro da fare, Logan, torna dai tuoi amichetti.» sbottai, afferrando uno strofinaccio posato accanto al lavandino ed avvolgendolo attorno alla mano di Alexis.

Lo vidi muovere qualche passo verso di me e, in men che non si dica, mi ritrovai faccia a faccia con lui. Mi spinse violentemente all’indietro e fui costretto a lasciare la presa dalla mano di Alexis, la quale, ora, appariva piuttosto spaventata.

Andie ci raggiunse e si precipitò dalla sua amica, trascinandola fuori da lì.

«Oh, scusami Bieber, ho interrotto qualcosa di speciale?»

«Dio, quanto non ti sopporto!» sbottai e gli mollai un pugno in faccia, colpendogli anche il naso. Alcuni secondi dopo iniziò a sanguinare e non potei evitare di sorridere a quella visione.

 

 

 

Alexis

 

Andie mi trascinò fuori dalla cucina nell'esatto momento in cui Justin colpì il ragazzo dai capelli biondi per l'ennesima volta.

Puntai i piedi e, cercando di ignorare quanto più possibile il dolore lancinante alla mano, costrinsi Andie ad arrestare i suoi passi.

«Ma che diavolo sta succedendo?» esclamai.

La miriade di persone che fino a poco tempo fa era intenta a ballare e a bere, era scemata e solo la metà era rimasta.

Andie scosse la testa, sbuffando violentemente, «li odio.» borbottò.

Sapevo che si stava riferendo a suo cugino e gli altri ragazzi.

Le misi una mano sulla spalla, «chi è quel tipo biondo?» domandai.

Era degenerato tutto per colpa sua.

Andie si strinse appena nelle spalle, voltando la testa in direzione della cucina, dove provenivano delle voci, quasi sicuramente di Justin e dell'altro ragazzo.

«So solo che si chiama Logan, ma non so che ha fatto per far sì che Justin lo colpisse.» spiegò e annuii lentamente.

Presi un respiro e una fitta alla mano mi fece gemere. Andie se ne accorse e la prese delicatamente tra le sue, togliendomi lo strofinaccio che Justin aveva usato per fasciarla.

Chiusi gli occhi quando la sfiorò, «devi andare in ospedale. Perdi troppo sangue e la ferita è profonda.» mormorò, esaminandola.

Scossi la testa, «non posso. Mia madre ha appena ottenuto il posto, se mi vede-»

«Alexis, hai un pezzo di vetro conficcato nel palmo della mano per colpa di quel coglione di Justin!» mi interruppe, piuttosto bruscamente.

Lasciai che lo sguardo mi cadesse sulla mano. Era vero: perdevo troppo sangue, il vestito si era macchiato in diversi punti e sì, avevo un pezzo di vetro – neppure troppo grosso – esattamente al centro del palmo.

Rabbrividii e distolsi lo sguardo.

«Non è stata colpa di Justin.» aggiunsi, ricordando quello che aveva appena detto, «uno dei ragazzi l'ha spinto.»

Mi sentii quasi in dovere di difenderlo. Dopotutto era vero, in più mi aveva aiutato poco fa, perché far ricadere su di lui la colpa?

«É sempre colpa sua.» ribatté acida Andie.

Mi feci un piccolo appunto mentale: dovevo sapere perché Andie lo odiava tanto.

Come prima impressione non era stata poi così male. Sembrava diverso dagli altri suoi amici.

Anche se l'avevo colto in flagrante quando ballavo con Andie.

Non faceva che fissarmi e non ne capivo il motivo.

Senza che quasi me ne accorgessi, Sheela ci passò accanto e salutò velocemente Andie, prima di uscire di casa, insieme al ragazzo con cui ballava prima.

Erano rimaste pochissime persone, ma Andie si allontanò, dicendo loro di andarsene. L'avrei fatto anche io se non avessi avuto un dolore così forte alla mano.

Per un momento sentii le vertigini impossessarsi di me e dovetti appoggiarmi con la schiena al muro, per evitare di cadere a terra.

Nonostante tutto, sentii una mano afferrare saldamente il mio braccio, per sostenermi ed evitare di cadere.

Riacquistai lucidità l'istante dopo e voltando il viso verso destra, vidi il ragazzo dalla maglietta azzurra – Killian – guardarmi con aria preoccupata.

Disse qualcosa, ma non sentii davvero le sue parole. Sembrava quasi di vivere una scena a rallentatore senza audio.

Aggrottai le sopracciglia, provando a leggere le labbra, ma tutto quello che riuscii a captare fu “Andie” e “ospedale”.

Sentii cedere le gambe e ringraziai che fosse accanto a me. Mise le mani sui miei fianchi nell'istante in cui scivolai a terra. Riuscì ad attutire la caduta e si inginocchiò accanto a me.

Andie corse verso di me e quando mi prese la mano, le voci si fecero chiare.

«Chiama quel coglione di Simon.» sbottò Andie, rivolgendosi a Killian, che non se lo fece ripetere due volte e si alzò, diretto verso la cucina.

Sbattei le palpebre. Avevo perso davvero troppo sangue e il fatto di aver esagerato un po', bevendo, non aiutava di certo il mio stato.

«Alexis, guardami.» mi ordinò Andie, schioccandomi le dita davanti al viso per attirare la mia attenzione.

Mi voltai lentamente verso di lei: era preoccupata.

«Sto bene.» mentii spudoratamente, «è solo il sangue che mi ha fatto girare un po' la testa, ma sto bene.» ripetei, schiarendomi la voce.

Sentii dei passi in corridoio e la figura di Simon comparve.

Andie si alzò velocemente, lasciandomi a terra, ma come si allontanò, Killian si abbassò al mio livello, annuendo appena.

Sorrisi flebilmente.

«Simon, dobbiamo portarla in ospedale.» disse velocemente Andie, agitandosi.

Simon annuì e si voltò verso la cucina, da dove sbucarono Logan, seguito da alcuni sui amici, che uscì velocemente di casa, senza fare parola con nessuno.

Justin fu subito dietro di lui e quando sentii la parola “ospedale”, la sua espressione cambiò totalmente.

Quando si accorse di me, si mise tra Simon e Killian, costringendolo quasi a spostarsi.

«Alexis.» disse, inginocchiandosi.

Avevo lasciato cadere lo strofinaccio e la mia mano era ora libera. Sentivo un dolore lancinante.

«Justin, deve andare al pronto soccorso.» ripeté Andie per la millesima volta.

Justin fece per dire qualcosa, ma fui più veloce, «Andie no.» sbottai, cercando di alzarmi, ma Justin mi mise una mano sulla spalla, impedendomi di muoversi.

Sentii la sua mano sinistra prendere la mia e osservarla.

Contrasse furiosamente la mascella e inspirò pesantemente.

Sapevo che era infuriato per il fatto che era stato lui a farmi finire per terra.

Avevo dei tacchi piuttosto alti e avevo bevuto. Era inevitabile che cadessi. Mi era venuto addosso piuttosto violentemente.

L'unica cosa, non avevo tenuto conto del tavolo con i bicchieri.

Perdendo l'equilibrio, allungai il braccio per evitare di cadere, ma trovai solo i bicchieri, che finirono rovinosamente al suolo insieme a me.

Justin lasciò la mia mano e afferrò il mio braccio, aiutandomi ad alzarmi da terra, «coraggio.» sussurrò appena, sorreggendomi.

Le vertigini non erano del tutto passate, così senza quasi accorgermene, strinsi il suo braccio. Sentivo i muscoli tesi e alzando lo sguardo, incrociai i suoi occhi.

Non avevo avuto modo di vederli prima, per via degli occhiali da sole, ma erano di un colore nocciola misto a oro.

Sebbene sotto l'occhio destro si stesse formando l'alone violaceo, per via dei pugni di Logan, rimasi quasi imbambolata.

Non mi accorsi nemmeno che mi stavano portando fuori.

Vidi Andie allungare le chiavi della mia auto a Justin, che le prese al volo e fece scattare l'apertura.

«Andiamo al pronto soccorso.» disse Simon, «Andie, le chiavi. Sei ubriaca.» aggiunse.

La mia auto aveva solo due posti, così Simon, Andie, Killian e Scott furono costretti ad andare con Simon.

Justin aprì la portiera e aspettò che salissi, prima di fare il giro e sedersi al posto di guida.

Mise in moto e velocemente, fece retromarcia, prima di uscire dal cancello ed immettersi sulla strada.

Lanciava continuamente occhiate nella mia direzione, ma tutto quello che facevo era tenere la mano in grembo e fissarla.

Mamma mi avrebbe ucciso. Ero sicura che fosse di turno oggi. Se non sbaglio me l'aveva detto poco prima che uscissi di casa.

Due giorni e già finivo in ospedale. Non male Alexis, non male.

«Va tutto bene?» la voce di Justin mi strappò ai miei pensieri.

Annuii appena, «più o meno.» risposi, tornando a fissare quel pezzo di vetro al centro del palmo della mia mano.

Sospirò, «mi dispiace.» mormorò, prima di arrestarsi per via del semaforo.

Voltai la testa nella sua direzione, «non è colpa tua.» dissi, velocemente.

Inarcò un sopracciglio e sorrise appena; era quasi un ghigno, «se non mi avesse spinto non saresti caduta.» mormorò, ripartendo.

Mi strinsi nelle spalle, «non potevi saperlo. È solo un graffio comunque.» aggiunsi, cercando di non pensare a quanto grave fosse realmente.

 

Arrivando nei pressi dell'ospedale, Justin parcheggiò davanti all'entrata del pronto soccorso.

Scese e fece il giro, venendo ad aprirmi la portiera e aiutandomi a scendere.

Mi appoggiai al suo braccio e lasciai che mi sostenesse.

Secondi dopo, la macchina di Andie si fermò dietro alla mia e tutti gli altri scesero.

Simon annuì, così Justin fece passare un braccio intorno alla mia vita e mi guidò all'interno dell'ospedale, seguendo Andie.

Una volta dentro mi fece sedere su una di quelle scomodissime poltrone, mentre Andie spiegava quello che era successo.

Il dolore si stava quasi affievolendo, ma sapevo che era solo perché faceva talmente male che divenne quasi innocuo.

Un dottore, con il camice verde, seguito da Andie, si fermo davanti a me e allungò un braccio. Capii che voleva che gli facessi vedere la mia mano, così la avvicinai alla sua.

La prese delicatamente e la esaminò, «venga.» disse semplicemente con voce piuttosto roca.

Mi fece alzare e mi portò lungo il corridoio.

Quando mi voltai, vidi Justin seguirmi con lo sguardo, fino a quando, svoltando l'angolo, non lo vidi più.

Il dottore mi fece accomodare in una stanza piuttosto spaziosa, che aveva il tipico odore di disinfettante.

Mi fece cenno di sedermi davanti ad un tavolo, mentre lui prese posto dall'altro lato.

Si infilò i guanti in lattice e mi disse di allungare il braccio lungo il tavolo, con il palmo della mano ferita, rivolto verso l'alto.

Quando prese una piccola siringa, sobbalzai, «tranquilla, è solo anestetico.» mi rassicurò.

Annuii, ma la paura non svanì. Sentii il minuscolo ago sulla pelle, ma qualche istante dopo, non provai assolutamente più nulla. Il dolore era scomparso.

Si aggiustò gli occhiali sul naso e prese un qualcosa simile ad una pinza. Osservò per un momento il vetro e quando fu soddisfatto, lo afferrò, riuscendo ad estrarlo nel giro di pochi minuti.

Dopo che finì, me lo mostrò e scossi flebilmente la testa.

Odiavo vedere tutto quel sangue e sapere che fino a poco prima era nella mia mano, mi fece rabbrividire.

«La ferita è piuttosto profonda, hai bisogno di alcuni punti.» mi informò, tirando fuori il necessario.

Annuii appena e voltai la testa dall'altra parte, aspettando che finisse.

Un'eternità dopo – dieci minuti – concluse il lavoro e quando guardai la mano, era fasciata, fino al polso.

«Grazie.» mormorai, con voce roca.

Sorrise e si alzò, tenendomi aperta la porta, in modo che potessi uscire.

«Torna tra una settima.» mi congedò, prima di chiudere la porta.

Tirai un sospiro di sollievo. L'anestesia non era ancora svanita, così potevo godere ancora di alcuni momenti indolore.

Attraversai il corridoio e poco prima di vedere Andie, apparve mia madre.

Lo sguardo le cadde subito sulla mia mano fasciata e in un secondo momento si accorse del vestito macchiato di sangue.

Sgranò gli occhi e quasi fece cadere la cartellina che aveva in mano, «che diavolo è successo?»

 

 


Leggi anche me? :)

Ci stiamo già punendoci da sole per il ritardo, purtroppo è più difficile del previsto, ma ce la faremo ad aggiornare più in fretta, vedrete.

Ed ecco che il nuovo personaggio è entrato in scena: il bellissimo Jamie Campbell Bower aka Logan.

(siamo fissate – ossessionate – non fateci troppo caso, se le prossime descrizioni saranno un po' troppo dettagliate).

Il dubbio che sorge è: che è successo con Justin e compagnia bella? Mistero. Più avanti sveleremo, ovviamente altro.

Alexis finirà nei guai?

Grazie mille per le recensioni e tutti i preferiti.

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Un bacione e speriamo, a presto!

Giulia e Federica.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. ***


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Capitolo 5
   
Sbiancai.
Non so se per il fatto di aver perso troppo sangue o perché mia madre se ne stava, immobile, davanti a me, fissandomi come se non potesse credere ai suoi occhi.
Deglutii, cercando di pensare a qualcosa da dire o ad una scusa da poter inventare, ma il mio cervello non connetteva.
Guardai oltre la sua spalla, in cerca di aiuto, ma tutto quello che vedevo era Andie, seduta scompostamente su una sedia, con gli occhi chiusi e i ragazzi, voltati di spalle, discutere animatamente.
Justin gesticolava, seguito da quello che ricordavo si chiamasse Scott.
Perfetto.
«Alexis, perché sei in pronto soccorso? Perché hai una mano fasciata? Mi dici che diavolo sta succedendo qui?» ripeté alzando la voce, tanto che Justin si voltò, sentendola.
Incrociai i suoi occhi, ma distolsi lo sguardo il secondo dopo, focalizzandomi su mia madre.
«Mamma, tranquilla.» mormorai, intimandola ad abbassare la voce, «non è successo niente.»
Sbuffò, spazientita, «Alexis!» mi richiamò.
Sobbalzai, chiudendo gli occhi, «che cosa è successo?» ripeté, scocciata. Notò che continuavo a fissare oltre la sua spalla, così si voltò, intercettando gli altri.
«Chi sono?» domandò.
Presi un respiro, cercando di formulare una frase che avesse un senso compiuto.
Tra l'alcool che avevo in circolo e il sangue che avevo perso, era piuttosto difficile, ma chiusi gli occhi, concentrandomi.
Sentivo la mano pulsare, ma cercai di ignorarla quanto più possibile.
«Mi sono tagliata con un bicchiere rotto, tutto qui.» iniziai, cercando di alternare la verità ad un pizzico di bugia, «te l'ho detto che andavo da Andie – la ragazza seduta là.» la indicai e mamma si voltò nuovamente.
«E' ubriaca?» domandò. Arricciai le labbra, ma scossi la testa.
«Un po', forse.» mormorai, «comunque sto bene. Mi hanno accompagnato e il dottore mi ha messo dei punti.» conclusi, sperando di convincerla.
Scosse la testa. Era furiosa, potevo capirlo dal modo in cui stringeva i pugni. Sapevo che avrebbe voluto urlarmi contro, ma essendo in ospedale, non avrebbe potuto permetterselo.
Per un breve istante, ringraziai il cielo di trovarmi in un luogo pubblico.
Non avrei retto ad una sua sfuriata. Non da ubriaca e soprattutto, non dopo quello che era successo.
Volevo solo andare a casa e dormire fino all'anno prossimo.
«Alexis, fatti portare a casa e restaci fino a che non ho finito qui.» ordinò, con un tono che non ammetteva repliche.
Annuii, tenendo lo sguardo basso e prima che potessi dire altro, scomparve, entrando in una stanza lì vicino.
Ripercorsi il piccolo corridoio, sotto lo sguardo vigile dei ragazzi. I miei tacchi risuonavano sul pavimento duro e freddo dell'ospedale.
Andie dormiva sulla poltrona, con Killian seduto accanto a lei, attento che non cadesse, vista la posizione in cui era messa.
La scena sarebbe stata anche divertente, vista sotto un altro punto di vista.
Justin venne verso di me, fermandosi a pochi passi di distanza.
Presi un respiro, tenendomi la mano fasciata dell'altra, «portatemi a casa.» mormorai, quasi fosse una supplica.
Justin aggrottò le sopracciglia, «tutto bene?» domandò, scrutandomi con lo sguardo.
Scossi la testa e lo sorpassai, andando verso Andie, che iniziò a mugugnare qualcosa.
Killian alzò gli occhi al cielo e fece appena in tempo a tenerla per una spalla, prima che finisse rovinosamente a terra.
Sentivo lo sguardo di Justin sulla schiena e pochi secondi dopo, fu al mio fianco.
«Potete portarmi a casa? Non posso guidare.» ripetei, sentendo gli occhi pizzicare.
Simon mi guardò in modo strano e la stessa cosa fece Scott. Killian era impegnato con Andie.
Fu Justin a prendere l'iniziativa.
Mi cinse appena la vita con un braccio e mi esortò a camminare verso l'uscita.
«Killian, prendi Andie.» disse Simon, appena dietro di noi.
Mi fermai, costringendo anche Justin ad arrestare la camminata e mi voltai appena in tempo per vedere Killian alzarsi e sollevare Andie, che borbottò qualcosa e allungò un braccio, come a colpirlo.
Scott ridacchiò e Simon sbuffò.
Killian, mettendosela in spalla, come se non pesasse nemmeno un po', iniziò a camminare verso l'uscita, sorpassando sia me che Justin.
Cercai di trattenere un sorriso, mentre Justin non si fece problemi a sogghignare.
Quando Simon ci passò accanto, dandogli una pacca all'altezza della spalla, per intimarlo a smetterla, imprecò, seguendoli e portandomi con lui.
Appena usciti dal pronto soccorso, sfuggii dalla sua presa e raggiunsi la mia auto, quando ricordai che non avevo io le chiavi.
Imprecai mentalmente e Justin si avvicinò, mostrando sul palmo delle mani le chiavi della mia macchina.
Feci il giro, lasciando che salisse lui al posto di guida e mi sedetti, cercando di allacciarmi la cintura di sicurezza senza usare la mano ferita.
Entrò in auto e mise in moto, senza partire. Secondi dopo, la macchina di Andie si affiancò a noi e Simon tirò giù il finestrino.
Justin fece la stessa cosa e voltai il viso verso di loro.
«Devo portare a casa Andie.» disse Simon, tenendo le mani sul volante. Lo impugnava piuttosto saldamente. Sembrava nervoso.
Justin annuì, «sì. Io porto a casa Alexis allora. Ci vediamo dopo.» ripose, prima di chiudere il finestrino.
Aspettò che Simon partisse e inserì la prima marcia, prima di uscire dal parcheggio e dirigersi verso casa mia.
Prese un respiro, prima di parlare, «devi dirmi dove abiti se vuoi che ti porti a casa in fretta.» disse, guardandomi con la coda dell'occhio.
Sbuffai. Avevo dimenticato che non lo sapesse. Come non sapeva nient'altro, ad essere sinceri.
«Appena fuori città.» risposi, chiudendo gli occhi e appoggiando la testa contro il sedile.
Immaginai che avesse quanto meno capito, perché non disse altro per tutto il viaggio.
Ci impiegammo una buona mezz'ora, in cui regnò il silenzio più totale.
Eravamo quasi arrivati, ma fu costretto a fermarsi per via di un semaforo.
Continuavo a tenere la testa appoggiata al sedile e avevo lo sguardo rivolto in alto, come ad evitare di incrociare lo sguardo di qualsiasi cosa. Soprattutto di Justin.
Lo sentii prendere un sospiro e sapevo avrebbe parlato, rompendo quel silenzio, che si stava facendo via via sempre più pesante.
«Era tua madre quella donna, non è vero?» domandò, con voce roca.
Alzai gli occhi al cielo e mi limitai ad annuire, evitando di guardarlo.
«Ha saputo come ti sei fatta male?» continuò. Con la coda dell'occhio lo vidi massaggiarsi il collo con la mano destra.
I muscoli del braccio guizzarono per via di quel gesto.
«Non proprio.» mormorai, prendendo coraggio e voltandomi verso di lui.
Incontrai i suoi occhi. Aveva un'espressione accigliata, quasi infastidita, che lo rendeva terribilmente attraente.
«Senti Alexis,» disse a bassa voce, ripartendo, «mi dispiace davvero che tu ti sia fatta male, non era mia intenzion-»
«Justin lo so che non li hai fatto apposta, non devi chiedermi scusa.» lo interruppi quasi bruscamente.
Sentii la mano pulsare e abbassai lo sguardo su di essa. Ebbi l'impulso di stringerla, ma evitai, pensando di fare il doppio dei danni.
Il mio sguardo cadde nuovamente sul vestito che indossavo: era macchiato di sangue in diversi punti.
Non sarebbe mai venuto via e la cosa mi rattristò, ma mi schiaffeggiai mentalmente a quel pensiero.
Anche buona parte delle mie cosce, lasciate scoperte per via della posizione in cui ero seduta, erano leggermente rosse in alcuni punti.
Rabbrividii. Non vedevo l'ora di fare una doccia e andare a dormire.
«Logan è un bastardo.» mormorò Justin, strappandomi ai miei pensieri.
Mi strinsi nelle spalle e chiusi di nuovo gli occhi, lasciando cadere il discorso.
 
Aprii gli occhi, giusto in tempo per avvertirlo che avrebbe dovuto girare a sinistra e poi proseguire dritto per qualche minuto, quando vidi la sua espressione cambiare totalmente.
Aveva la mascella serrata, le labbra erano una linea sottile. Le mani stringevano così tanto il volante che le nocche erano diventate bianche e i muscoli delle braccia e delle spalle erano davvero tesi, tanto che i muscoli dei bicipiti risaltavano sotto la stoffa della maglia.
Aggrottai le sopracciglia, ma non dissi nulla. Fu lui a parlare per primo, di nuovo.
«Abiti qui?» domandò, come a voler essere sicuro di non aver sbagliato strada.
Sembrava nervoso, quasi infastidito da quella visione.
Annuii appena, guardandolo, «laggiù.» risposi, indicando la casa in lontananza.
Colsi un guizzo sulla sua guancia, ma annuì e percorse il restante percorso, fino a fermarsi a pochi passa da casa mia.



   

Durante il breve tragitto che percorremmo fino a casa di Andie, non feci altro che sentire le sue lamentele, smorzate di tanto in tanto dalla voce di Killian, che le sedeva accanto nei sedili posteriori.
«Andie, finiscila! Justin sta riaccompagnando a casa la tua amica, rilassati, sta bene!» sbottò Killian, piuttosto infastidito e lo sentii sbuffare sonoramente.
«Se non vi foste intromessi, tutto ciò non sarebbe successo! La festa è andata a puttane per colpa vostra!» gridò lei, questa volta rivolgendosi a me. Feci roteare gli occhi ed evitai di ribattere, continuando a guidare e svoltando a destra, raggiungendo la via di casa sua.
«Per colpa nostra?» esclamai, ripetendo le sue parole, «vedi di stare zitta Andie, non è stata colpa nostra.» aggiunsi.
Gemette frustrata, «Alexis è finita in ospedale per colpa mia, vero?» gridò, facendo sobbalzare tutti.
Sentii Scott sogghignare accanto a me, ma lo fulminai con lo sguardo.
«Quella ubriaca eri e sei tu, mica noi.» la stuzzicai, sperando che stesse zitta per una buona volta.
Si mosse dal sedile, per avvicinarsi e darmi un pugno, ma Killian fu più veloce e la prese per le spalle, costringendola di nuovo contro il sedile.
Lo ringraziai mentalmente. Se mi avesse colpito avrei fatto la stessa cosa, poco importava che fosse una ragazza o che fosse mia cugina.
Mi conosce, sa come sono fatto.
Spensi il motore e scendemmo tutti, tutti tranne Andie.
Gemetti e mi trattenni dallo sferrare un pugno contro la sua auto.
Lanciai uno sguardo a Killian. Di solito era l'unico in grado di far ragionare quella pazza svitata di Andie, ma era parecchio infastidito anche lui. Si strinse nelle spalle e si voltò. Sbuffai, prima di vedere sia lui che Scott, allontanarsi, dirigendosi verso casa di Sheela, mentre io feci il giro dell’auto ed aprii la portiera, permettendo ad Andie di scendere.
«Coraggio, andiamo.» le dissi, ma non sembrò avere molta voglia di obbedire.
Le sue braccia erano incrociate al petto ed il suo sguardo era fermo avanti a sé, le labbra strette in una linea ed un’espressione per niente felice le fasciava il volto.
«Che cosa c’è?» le domandai esasperato, appoggiandomi con entrambe le braccia alla sua auto e cercando di convincerla a spostare la sua attenzione su di me.
«Ti detesto, lo sai?» ribatté, senza però guardarmi in faccia.
«Senti, mi dispiace per la tua amica, ora puoi scendere ed entrare in casa? Avrei altro da fare.» dissi, cercando di non fare suonare quella domanda come una supplica.
«Oh, davvero?» domandò retorica, spostando lo sguardo su di me e mantenendo quell’espressione arrabbiata, «per esempio cosa? Imbucarti ad un’altra festa?»
«Non sono affari tuoi. E ora scendi!» le ordinai, spostandomi in modo da farla passare.
Sbuffò sonoramente e, dopo qualche secondo, finalmente si alzò dal sedile, ma non mosse alcun passo lontano dalla macchina, rimase ferma, appoggiata con un braccio alla portiera e lo sguardo fisso oltre le mie spalle.
Aspettai pazientemente che si muovesse, ma nulla, rimase immobile e spostò poi lo sguardo su di me.
«Andie, non ho intenzione di rimanere davanti a casa tua tutta la notte, possiamo andare?» le domandai, cercando di mantenere la calma, ma ero già sull’orlo dell’esasperazione.
«Chi era quel tipo che ha preso a pugni Justin?» domandò, con la sua tipica espressione curiosa.
«Nessuno.» risposi sbuffando ed afferrandola per un braccio e costringendola a muovere qualche passo verso di me. Sbattei poco delicatamente la portiera e chiusi l’auto, porgendole poi le chiavi.
«Non me la bevo, Simon, dimmi chi era!» sbottò ad alta voce e con un’occhiata le intimai di abbassare i toni.
«Te lo spiego domani, quando magari sarei meno ubriaca e avremo più tempo per parlare. Ora vai!» insistetti ancora, spingendola lievemente verso l’inizio del suo vialetto.
«Guarda che me lo ricorderò domani, ti chiamerò e ti costringerò a dirmelo!» esclamò, puntandomi contro un dito accusatore.
«Sì sì, va bene.» l’accontentai, sicuro che quelle sarebbero state solo parole al vento e continuai a spingerla verso la porta d’ingresso.
«E comunque la macchina andava parcheggiata nel garage.» mormorò, tirando fuori dalla borsa le chiavi di casa ed appoggiandosi al dorso della porta.
«Oh, non c’è problema, se vuoi posso anche andare a fare benzina, se ti fa piacere.»
Mi rivolse un sorriso forzato, pari quasi ad una presa in giro e, abbozzando a malapena un saluto, entrò in casa, chiudendosi la porta alle spalle.
Tirai un sospiro di sollievo e, quando mi voltai, vidi la macchina di Justin fermarsi proprio dietro quella di Andie.
Intravidi Scott al volante, mentre Killian sedeva dietro, così salii davanti e, nell’arco di una manciata di secondi, il motore rombò più sonoramente e ripartimmo.
«Credi che si farà ancora vivo? Logan, intendo» mormorò Killian, lanciandomi una rapida occhiata.
Strinsi entrambi i pugni e gettai un’occhiata oltre il finestrino aperto.
«Sicuramente.» mormorai titubante e potei sentire lo sguardo perplesso di entrambi addosso.
«Come fai ad esserne tanto sicuro?» ribatté, poggiando il gomito contro il sedile sul quale ero seduto.
«Gli abbiamo incendiato la casa! Ci odia a morte, credi davvero che lascerà perdere tutto solo perché stasera le ha prese di nuovo?!» esclamai, voltandomi appena.
Come immaginavo, non ottenni risposta.
Scott contrasse la mascella, infastidito come non mai. Era lui ad avercela a morte con lui, molto più di me, Justin o Killian.
Gli amici si aiutano l'un l'altro e noi facevamo esattamente così, sempre.
Quando uno di noi era in difficoltà non esitavamo a schierarci dalla sua parte, qualsiasi cosa fosse mai successa.
Scott aveva avuto bisogno di noi, e noi eravamo stati pronti ad aiutarlo e così sarebbe sempre stato.
Presi un lungo respiro, cercando di calmarmi, ma ero davvero furioso, sia con Logan che con Andie.
«Chiama Justin.» ordinai poi, riferendomi a Killian, che non perse tempo ed avviò la chiamata.

 
 

 

Ci sono anche io :)
 
Salve.
Questa volta non siamo poi così in ritardo, cioè per così dire.
Non è esattamente un capitolo lunghissimo, ma è piuttosto un capitolo di passaggio per introdurre poi il prossimo.
Speriamo di avervi incuriosito e che la vostra mente sia piena di dubbi su Logan, su Scott, su tutti.
Ovviamente il nostro intento era quello, speriamo di esserci riuscite.
Abbiamo visto che i preferiti crescono a vista d'occhio e vi ringraziamo infinitamente.
È la prima fanfiction che scriviamo insieme e pensiamo di stare facendo un buon lavoro, ritardi nel postare a parte, perché come sapete dobbiamo fare tutto a distanza e ognuna di noi ha i suoi impegni.
A voi i pareri, siamo curiose.
(cliccate sempre sui pov per scoprire le gif)
Un bacione,
Giulia e Federica.
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Capitolo 7
*** Capitolo 6. ***


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Capitolo 6
   

Gli ultimi minuti che passammo in auto insieme furono i peggiori.

Non saprei dire se il silenzio tra di fu carico tensione o meno. Almeno per me, era così. Trovarmi in quel posto mi faceva sentire esposto. Non avrei mai e poi mai immaginato che sarei tornato lì, a pochi passi da quella casa, con qualcuno che non fosse Simon, Killian o Scott.

Mi sentivo quasi in dovere di dire qualcosa, anche la minima sciocchezza ed ero già pronto a farlo, quando qualcuno decise di chiamarmi.

Sentii il cellulare squillare, ma lo lasciai suonare per diversi secondi. Avvertivo lo sguardo di Alexis puntato su di me, mentre il mio era fisso nel vuoto. Quel rumore fastidioso e assordante più che mai non accennava a smettere.

«Non rispondi?» mi domandò con voce flebile e, quasi a comando, risposi alla chiamata.

«Dove sei?», la voce di Killian mi rimbombò nelle orecchie e mi guardai attorno nervosamente. Non avrebbe potuto trovare momento peggiore per chiamarmi.

Esitai diversi istanti, ed in quel modo Killian fu costretto a ripetere la ripetere la domanda, piuttosto scocciato.

Merda.

«Sono-» voltai velocemente il capo a destra ed a sinistra, cercando di posare lo sguardo dovunque, tranne che su Alexis. Sapevo che mi stava guardando, notavo il suo cipiglio con la coda dell’occhio e ciò non fece altro che rendermi ancor più nervoso.

«Justin, dove cazzo sei?» questa volta fu Simon a parlare e mi sentii in dovere di rispondere, di dire qualsiasi cosa.

«Alla vecchia di casa Logan.» mormorai velocemente con voce quasi impercettibile, ma ero certo che Alexis stesse ascoltando ogni singola parola e che, se ne avesse avuto il coraggio, mi avrebbe chiesto di più. Me lo sentivo.

«Arriviamo.» disse semplicemente Simon e, senza proferire ulteriore parola, chiusi la chiamata, riponendo il cellulare in tasca.

Chiusi gli occhi, passandomi una mano tra i capelli, frustrato e nervoso più che mai.

Slacciai la cintura di sicurezza e scesi dall’auto, aspettando che lei facesse lo stesso, prima di allontanarmi da lì. Sentii sbattere ben poco delicatamente la sua portiera e nell’arco di una manciata di secondi me la ritrovai davanti.

I suoi occhi azzurri erano puntati su di me e, sebbene il sole fosse tramontato da un pezzo e il leggero buio m’impediva di scrutarli a pieno, riuscivo ad intravedere uno spiraglio di amarezza.

Feci per aprir bocca, quando fu lei a parlare, precedendomi.

«Grazie per avermi accompagnata a casa.» mormorò, sollevando appena un angolo della bocca, facendolo quasi sembrare un sorriso.

«Figurati, è il minimo.» risposi, stringendomi nelle spalle, «se posso fare qualcos’altro per te, io-»

«No, hai già fatto abbastanza.» ribatté, interrompendomi, «ci si vede, Justin.» si congedò, dandomi le spalle e avanzando verso l'entrata di casa sua.

«Ci si vede.» ripetei a mo di saluto e, non appena la vidi sparire all’interno di casa sua, mi voltai e ripercorsi quei pochi metri che mi avrebbero portato alla strada principale.

 

Un bagliore luminoso illuminò un tratto di strada e fu seguito dal rumore del motore di una macchina, che realizzai essere la mia, non appena intravidi la figura di Simon al volante.

Entrai nell’abitacolo, sbattendo violentemente la portiera, dimenticandomi del fatto che la macchina in questione fosse la mia, e senza nemmeno accennare ad un qualcosa che potesse assomigliare ad un saluto, sbuffai sonoramente.

«Non potevi trovare momento peggiore per chiamarmi.» sbottai, rivolgendomi principalmente all'artefice di quella dannata chiamata, ma si voltarono tutti e tre a guardarmi, Simon compreso. Il suo sguardo, da indifferente qual era, cambiò da totalmente sorpreso a parecchio infastidito.

«Oh, perdonaci.» sbottò lui, «se per Natale mi regali una palla di cristallo, seguirò i tuoi movimenti attraverso quella. Che problemi hai?» ribatté, lasciando per un momento il volante e allargare le braccia, esasperato dalla mia reazione.

Sbuffai, stringendo i pugni per evitare di colpire qualcosa o qualcuno, «ero in macchina con Alexis e, sinceramente, non mi va di nominare Logan, o qualsiasi cosa lo riguardi, in sua presenza.» replicai.

Vidi Simon sbuffare, alzando gli occhi al cielo, per poi voltarsi e riprendere a guidare, «non lo verrà a sapere nessuno.» disse.

«Me lo auguro.» mormorai a voce bassa, sapendo però che mi avrebbero sentito ugualmente.

 

 


Arrivammo nei pressi di casa mia, così feci accostare Simon dall'altro lato della strada, per permettermi di scendere.

«Non dire a tuo padre di Logan.» disse Simon, con fare autoritario.

Alzai gli occhi al cielo, odiavo quando si comportava così, con quel fare da grande uomo, pronto a dare ordini a tutto e a tutti.

Sganciai la cintura di sicurezza, «e perché non dovrei?» sbottai, «se non sbaglio questi sono affari più nostri che vostri.»

Lo sguardo di Justin e Killian fu su di me in meno di un secondo. Notai Killian scuotere leggermente la testa, come a dirmi di stare zitto. Le labbra di Justin erano contratte in una linea dura e probabilmente nella sua mente, pensava le stesse cose di Killian.

Simon inarcò un sopracciglio, prima di scoppiare in una risata amara, «quando però ci hai pregato di aiutarti non sembravi contrario a farci immischiare nei vostri affari.» mi stuzzicò, con quel suo tono di voce canzonatore e, al momento, accusatorio.

Strinsi i denti, «non volevo dire quello, lo sai.» mormorai, stringendo i pugni, tanto che le nocche divennero bianche per la forza che ci impiegai.

«Simon, lo sai anche tu-» ma un'occhiataccia da parte sua fece tacere immediatamente Killian.

Incrociai il suo sguardo per un attimo, prima di tornare a guardare Simon. Era infuriato.

«E cosa volevi dire, allora?» continuò, spegnendo il motore dell'auto di Justin.

Deglutii. Odiavo quando si comportava in quel modo con me.

«Non posso non dire a mio padre che Logan è tornato.» risposi, cercando di spiegare quello che volevo realmente dire, «lo verrà a sapere e credetemi, se la prenderà con me.» aggiunsi.

Conoscevano mio padre quasi quanto me. Non era uno con cui fare certi giochi. Veniva a sapere sempre tutto, soprattutto se certe cose lo riguardavano di persona.

Simon chiuse gli occhi e sospirò, passandosi una mano tra i capelli, «hai ragione, lo verrebbe a sapere.» disse, scuotendo brevemente la testa.

Annuii, d'accordo con lui, così come Justin e Killian, «d'accordo, avvisalo pure.» aggiunse, velocemente.

Annuii nuovamente e senza dire altro, scesi dall'auto. Justin fece lo stesso, giusto per tornare a guidare la sua auto e, quando i nostri sguardi si incrociarono, sorrise appena, facendomi un segno di saluto con in mento, che non esitai a ricambiare.

 

 

Mi chiusi la porta alle spalle, cercando di non fare troppo rumore, ma invano.

Le luci della sala erano accese e un vociare familiare proveniva da quella parte della casa. Mossi qualche passo, allungando il collo per capire chi c'era o cosa stavano facendo.

Mio padre, seduto su di una grossa poltrona di pelle nera, conversava tranquillamente con altri due uomini, vestiti per l'occasione.

La signora Meredith, la nostra cameriera, andava e veniva dalla sala alla cucina, portando durante il tragitto, piatti e stoviglie, preparando la tavola per la cena.

Esitai se entrare in sala o sparire di sopra fino a che non sarebbe stata ora di cenare, ma come se l'avessi detto ad alta voce, lo sguardo di mio padre captò i miei movimenti.

«Scott, sei tornato.» disse, come ad invitarmi ad andare da lui.

Contrassi la mascella e annuii appena, sfoderando un sorriso che più finto non sarebbe potuto essere.

«Sì, sono rientrato giusto ora.» risposi alla sua tacita domanda, entrando definitivamente in sala.

Rivolsi ai due uomini un cenno di saluto e mi accomodai sul divano, accanto alla poltrona sulla qualche era seduto mio padre.

«Com'è andata la festa?» domandò, quasi a voler intavolare una conversazione.

Mi strinsi nelle spalle, rifiutando con gentilezza il bicchiere portomi dalla signora Meredith, contenente qualcosa da bere, «come al solito.» ribattei, sprofondando nel divano.

Annuì, stringendo le labbra. Chiusi gli occhi e imprecai mentalmente a quello che stavo per dire, «papà, ho bisogno di parlarti.» dissi.

Il sorriso sparì dalle sue labbra e mi guardò con espressione curiosa, mista quasi a preoccupazione. Si aspettava quasi che ne parlassi ora, ma come se si fosse ricordato solo ora di avere ospiti, si alzò dalla poltrona, seguito dagli altri due, come fossero marionette e, un gesto del braccio, indicò la porta.

«Credo che per questa sera possiamo concluderla qui. Ci vediamo domani mattina in ufficio.» disse, annuendo.

I due uomini gli strinsero la mano e, accompagnati dalla signora Meredith, vennero accompagnati alla porta.

Mio padre rimase in piedi e mi fissò. Posai i gomiti sulle ginocchia, sostenendomi il capo con i pugni, «devo fare alcune telefonate, ma appena la cena verrà servita, mi dirai tutto.» si congedò, uscendo dalla sala, diretto nel suo studio.

Rimasi a fissare il vuoto davanti a me per alcuni minuti, prima di decidermi ad alzarmi e andare a fare una doccia.

Quando la voce gentile e delicata della signora Meredith mi chiamò, bussando alla porta della mia stanza, scesi, seguendola e trovando mio padre già seduto a tavola.

Mi sedetti accanto a lui, aspettando che qualcuno portasse la cena.

«Allora?» domandò, bevendo distrattamente un sorso di vino. Annuii, grattandomi il mento diverse volte.

«Alla festa abbiamo visto Logan.» iniziai e subito inarcò un sopracciglio, alzando il mento, interessato più che mani, «più che visto, ci siamo scontrati con lui. Justin si è scontrato con lui.» mi corressi, cercando di dargli più dettagli possibili, «hanno fatto a pugni per un po', poi siamo dovuti andare in ospedale. Un'amica di Andie è stata spinta e si è ferita alla mano, così tutti noi l'abbiamo accompagnata e Logan è sparito.» continuai.

Mio padre annuì, «la ragazza sta bene?»domandò, genuinamente curioso.

Mi strinsi nelle spalle, «sì, credo. La cosa che volevo dirti è che questa ragazza abita a pochi passi dalla casa incendiata di Logan.» conclusi.

Annuì nuovamente, serrando le labbra e posando la forchetta, alla destra del piatto, «la ragazza lo sa?» domandò.

«No.» risposi immediatamente, scuotendo la testa, «no. Non lo sa nessuno.» sottolineai.

Per la centesima volta, mio padre annuì, cosa che mi fece innervosire parecchio. Era un gesto automatico che faceva, ma che nascondeva qualcosa.

«Chiama i tuoi amici e falli venire qui domani mattina.» ordinò, «abbiamo qualcosa di cui parlare.»


 

 

Dovevo essermi addormentata come toccai il letto. Avevo su ancora il vestito macchiato di sangue ormai secco e provai disgusto quando, alzandomi con cautela, vidi la mia immagine riflessa nello specchio, sulla parete accanto a me.

I capelli erano un disastro: un groviglio unico e gemetti quando vidi lo stato del mio viso. Il trucco era colato, rendendo le mie guance rigate di nero.

Feci per passarmi entrambe le mani sul viso quando avvertii un dolore quasi lancinante alla mano.

Abbassai lo sguardo e vidi le fasciature, arrivare fino al polso, lasciandomi le dita scoperte.

Aggrottai le sopracciglia, ricordando pian piano quello che era successo: la festa, quel ragazzo che, spingendo Justin, ha fatto in modo che finissi a terra tagliandomi la mano con i bicchieri rotti, il pronto soccorso, mia madre-

Chiusi gli occhi, sentendo la testa girare e decidi che era meglio infilarmi sotto la doccia per scacciare tutta la stanchezza e la tensione.

Con fatica e frustrazione riuscii ad uscire dal vestito, che lasciai al suolo, senza preoccuparmi ulteriormente di esso. Era ormai da buttare e mi odiavo per quello.

Aspettai che l'acqua arrivasse a temperatura, prima di immergermi sotto il getto potente dell'acqua calda, lasciando che invadesse completamente sia il mio corpo che la mia mente.

Sentii la stanchezza alleviarsi e riuscii a rilassare le spalle, sentendomi subito decisamente meglio.

Stando attenta alla mano ferita, mi avvolsi un asciugamano attorno al corpo, tornando in camera per vestirmi. Feci per collegare l'asciugacapelli alla presa, quando il cellulare vibrò.

Ebbi il terrore che potesse essere mia madre, ma quando comparve il nome di Andie, tirai un sospiro di sollievo. Esitai nel rispondere. Volevo stare per un po' da sola e cercare di capire quello che realmente era successo durante quell'lasso di tempo.

Lasciai che squillasse a vuoto e azionai il phon, asciugandomi i lunghi capelli. Una volta soddisfatta, riposi tutto nell'armadietto del bagno e scesi in cucina, decisa a bere una tazza di caffè.

Trovai un appunto di mia madre sul frigorifero: era uscita per andare al lavoro. Tirai nuovamente un sospiro di sollievo, sarei riuscita ad evitarla per un altro po'.

Mentre aspettai il caffè, sbirciai fuori dalla finestra. Il sole era parecchio alto nel cielo, ma non avevo idea di che ore potessero essere.

Tornai di sopra con la tazza in mano e, posandola per un momento sulla scrivania, accanto al letto, andai alla finestra, per aprirla leggermente e permettere all'aria di entrare e rinfrescare lo spazio.

Rimasi a fissare l'orizzonte per un po'. Non c'erano altro che alberi e qualche casa abbandonata come la mia, nei paraggi.

Sbuffai spazientita e feci per richiudere in fretta tutto, quando un'auto rossa fiammante, parcheggiata tra due alberi, attirò la mia attenzione.

Dentro non c'era nessuno e seppure la distanza non era indifferente, riuscii a scorgere una figura seduta a terra, con la schiena appoggiata all'auto.

Assottigliai lo sguardo, ma non lo vidi in faccia. Chiusi le finestre e andai all'armadio, cercando il cardigan bianco regalatomi da mio padre prima di partire.

Lo indossai e scesi le scale, prendendo la tazza dalla scrivania. Misi il cellulare in tasca e scesi le scale, prendendo il secondo mazzo di chiavi appeso accanto alla porta.

Uscii di casa, chiudendola a chiave e riponendo le chiavi in tasca, insieme al cellulare.

Mi diressi verso l'auto rossa e quando fui a pochi passi da essa, scorsi un ragazzo dai capelli biondi. Era girato di spalle e quando mi avvicinai ulteriormente, riconobbi il suo profilo e quasi la tazza non mi cadde dalle mani.



 



Ci sono anche io :)
 
No, non siamo un miraggio.
Ci scusiamo veramente tanto per il ritardo, ma ultimamente riusciamo difficilmente a conciliare tutto, perciò chiediamo perdono.
Speriamo davvero che la storia continui a piacervi, anche se abbiamo visto che le recensioni sono un po' diminuite.


A voi i pareri, siamo curiose di sapere che cosa ne pensate.
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Un bacione,
Giulia e Federica.
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Capitolo 8
*** Capitolo 7. ***


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Capitolo 7
   

Strinsi maggiormente la tazza tra le mani, se mi fossi mossa così bruscamente un’altra volta mi sarei sicuramente sporcata di caffè e non volevo combinare un altro disastro sui miei vestiti. Avanzai di un altro passo, ma calpestai erroneamente un ramoscello ed arrestai i miei movimenti all’istante. Lo spezzarsi di quel pezzetto di legno aveva riecheggiato tra gli alberi, arrivando alle orecchie di quel ragazzo biondo. Il mio sguardo era fisso su di lui e non tardò un solo istante di più ad accorgersi di me. Sentii il suo sguardo addosso, passare prima dal viso sino a posarsi sulla mia mano fasciata. Feci per indietreggiare, ma la sua voce richiamò la mia attenzione, costringendomi a rimanere lì.
«Aspetta.» mi disse con tono calmo. Contrariamente a quanto ricordassi della sera della festa, il suo tono di voce ora era più pacato e  quasi dolce.
Rimasi immobile, stringendo con più forza la tazza tra le mani. Ero certa che, ormai, quel caffè fosse diventato freddo e non lo avrei più bevuto.
«Ti ho vista l’altra sera alla festa. Sei la ragazza di Justin?» mi domandò, facendomi rimanere parecchio perplessa.
«No, lo conosco appena.» mormorai e lo vidi sorridere.
«Meglio così.» ribatté, passandosi una mano tra i capelli biondi e scintillanti sotto la luce del sole. Il muscolo del braccio destro guizzò, ma distolsi lo sguardo da quel particolare.
Corrugai la fronte e continuai a guardarlo senza parlare.
«Fossi in te, gli starei alla larga. Lui e i suoi amici sono tipi ben poco raccomandabili.» aggiunse, come se fosse preoccupato per la mia incolumità.
Trattenni a stento una risata nervosa nel sentirlo pronunciare quelle parole.
«Quanto a te, invece? Tu non sei poco raccomandabile? Ti faccio notare che mi sono ferita alla mano a causa tua!» borbottai, mostrandogli la mano fasciata.
Balzò in piedi, assumendo tempestivamente un’espressione completamente stupita. «Mia? Non ti ho nemmeno sfiorata!» ribatté, allargando le braccia, quasi esasperato.
«Hai spinto Justin che, di conseguenza, è venuto addosso a me, facendomi cadere.» sbottai, alzando notevolmente il tono di voce, mentre lui continuava a guardarmi senza capire.
Mi pentii di aver alzato di tanto la voce, dopotutto era stato un incidente e mi sentivo una stupida ad addossare la colpa a qualcuno.
«Ti chiedo scusa, non avevo intenzione di far del male a te.» mormorò, marcando il tono sull’ultima parola, facendo sì che il suo accento inglese spiccasse. Già dal giorno prima avevo notato quel particolare, ma, onestamente, non mi sentivo affatto sollevata per le scuse.
Annuii, stringendomi di poco nelle spalle.
Non avevo idea del perché lui e Justin si detestassero tanto, non sapevo che cosa fosse successo tra di loro e, forse, avevo timore di scoprirlo.
Gettai un’occhiata oltre le sue spalle, inquadrando a pieno  un piccolo sentiero che conduceva ad una casa che mi sembrava abbandonata, la stessa che avevo visto dal mio terrazzo. Avvertii un brivido percorrermi lungo la schiena.
Che accidenti ci faceva Logan da quelle parti?
Mi sentivo quasi in dovere di chiederglielo, ma repressi all’istante quella mia voglia di sapere.
«Quindi, tu non esci con Bieber, giusto?» rimarcò ancora una volta quell’argomento e, nuovamente, risposi negativamente.
«No, te l’ho detto. Non ho avuto nulla a che fare con lui. Mi ha soltanto aiutata quando mi sono ferita, tutto qui.» abbozzai una mezza verità. Non conoscevo quel tipo e, sebbene mi fosse sembrato totalmente più tranquillo rispetto all’ultima volta che lo avevo visto, non mi fidavo a pieno, né tanto meno mi sentivo in dovere di raccontargli di più.
Si strinse nelle spalle e sorrise. I suoi occhi azzurri apparivano molto più luminosi ora.
«Buono a sapersi.» mormorò, «il mio era solo un avvertimento.» aggiunse, rimarcando il concetto.
Continuai a guardarlo con aria torva e, dato che da Justin non avrei ottenuto la benché minima informazione, estrapolai quanto più coraggio riuscii, e gli porsi una domanda che lo fece irrigidire parecchio.
«Perché c’è così tanta rivalità tra te e Justin?» domandai, stringendo nuovamente la tazza al petto.
Mi dedicò un’occhiata fulminea ed i suoi occhi color del mare divennero ancor più gelidi.
«Non è esattamente con Justin che ho un problema.» rispose, lasciando volutamente la frase a metà e da lì capii che non era un ragazzo di molte parole.
«E con chi allora?» pressai, sperando che cedesse e mi rivelasse anche il più piccolo dei particolari.
«Scott.» rispose semplicemente, assottigliando lo sguardo a due piccole fessure, «nulla d’importante, una questione personale che Justin, Simon e Killian non hanno mai digerito. La vedi quella casa alle mie spalle?» domandò, facendo un cenno con la testa, ma senza voltarsi.
Annuii, soffermandomi a fissarla con curiosità, oltre la sua spalla.
«Era, o meglio è, mia ed è merito della compagnia di Simon se è ridotta così.» spiegò, stringendosi poi nelle spalle, come rassegnato.
Mi portai una mano alla bocca, assumendo un’espressione colma di stupore e, forse, anche un po’ di paura.
«Non capisco il motivo.» mormorai a bassa voce, riportando lo sguardo sul biondo.
«Ce ne son pochi di motivi. Te l’ho detto, sono tipi ben poco raccomandabili. Fossi in te gli starei alla larga.» ricalcò per l’ennesima volta quel concetto.
Fui incapace di ribattere, mi soffermai forse fin troppo a pensare a tutto ciò: al modo in cui Justin mi aveva aiutata, riaccompagnandomi poi a casa, ad ogni dettaglio che lo caratterizzava, a cominciare da quel suo viso angelico che, onestamente, mi dava tutt’altro che l’impressione di un cattivo ragazzo. Ma, evidentemente, Logan lo conosceva meglio di me, persino Andie, all’inizio, mi aveva avvertita.
«Beh, grazie dell’avvertimento.» abbozzai a malapena un sorriso forzato e non dissi altro. Ero ormai intenta a ritornare verso casa, quando la sua voce giunse nuovamente alle mie orecchie.
«Mi domandavo se stasera fossi libera.» disse, interrompendo il filo dei miei pensieri.
«Ehm, i- io credo di sì.» mormorai titubante.
«Hanno aperto un nuovo locale qui in città e, se ti va, potremmo andarci insieme.» propose, mettendosi le mani nelle tasche dei jeans, piuttosto attillati.
Lasciai trascorrere diversi secondi dal momento in cui pronunciò l’ultima parola, il mio sguardo era intrecciato al suo e, quasi sicuramente, ero rimasta ipnotizzata dall’azzurro dei suoi occhi. Solo una leggera folata di vento mi riportò alla realtà.
«Sì, per me va bene.» risposi semplicemente e lo vidi sorridere.
«Perfetto. Ritornerò qui questa sera, verso le dieci. A più tardi.» disse ammiccando, per poi sparire all’interno della sua auto.
Ricambiai il saluto con un leggero cenno del capo e rimasi immobile a guardare quella macchina rossa fiammante ripercorrere il vialetto che l’avrebbe portata sulla strada principale.
 
Quando l’orologio segnò le ventuno e trenta, decisi di scendere in quello che sarebbe diventato presto un salotto e trovai mia madre, intenta ad esaminare una piantina e dei disegni. A prima vista, sembrava un progetto. Nonostante lavorasse in ospedale, le era sempre piaciuto occuparsi di quel genere di lavori.
Quando sentì i miei passi sulle scale, si voltò e, notando il modo in cui ero vestita, si accigliò, lasciando perdere le carte che aveva in mano.
Si tolse gli occhiali da lettura che indossava, «dove stai andando, Alexis?» domandò, curiosa.
Alzai gli occhi al cielo, aggiustandomi la giacca sulle spalle, in modo che i capelli non rimanessero impigliati sotto di essa, una volta indossata, «esco.» risposi, seccamente.
«Lo vedo.» ribatté, «con chi?» continuò.
Sbuffai, seccata, «con un amico.» risposi, sperando vivamente che la finisse con l’interrogatorio, neanche avessi avuto dodici anni.
«E sono gli stessi amici che ti hanno portato in pronto soccorso?» pressò, incrociando le braccia al petto.
Chiusi gli occhi, nella speranza che Logan fosse in anticipo, ma non udii nessun suono di macchina avvicinarsi, «no, un altro amico.» risposi, arricciando le labbra.
Amico era una parola davvero grossa, considerando che avevo avuto a che fare con lui sì e no, mezz’ora in tutto e non era stata una delle migliori della mia vita.
Vidi mia mamma prendere un lungo respiro, «dobbiamo ancora discutere la faccenda della tua ma-»
«Oh ti prego, non ricominciare mamma!» sbottai, interrompendola bruscamente,  «te l’ho già detto: è stato un dannatissimo incidente. Sono scivolata e mi sono tagliata con dei bicchieri, tutto qui, non è successo altro.» esclamai, alzando leggermente la voce, senza quasi nemmeno accorgermene.
Le sue labbra si strinsero in una linea sottile. Odiava quando veniva interrotta da qualcuno, specialmente quando mi azzardavo a farlo io.
Non era severa, pretendeva educazione, ma ero una ragazza piuttosto scontrosa a volte e lei lo sapeva bene, così cercò di ignorare quella reazione. Annuì semplicemente, cosa che mi mandò i nervi alle stelle.
Feci per ribattere, ma la ghiaia stridette, seguito da un colpo di clacson. Dalla finestra scorsi la carrozzeria rossa fiammante dell’auto di Logan, così mi affrettai ad uscire, salutando alla svelta mia madre, che mi seguì con lo sguardo fino a che non mi chiusi la porta alle spalle.
 


 

 

Mi stiracchiai, allungando le braccia, fino sopra la testa, trattenendo a stento uno sbadiglio.
Erano ore che eravamo seduti su quelle dannate poltrone, ma il padre di Scott, ancora non si era fatto vivo.
Ero nervoso e sull’attenti. Non era piacevole trovarsi in quella casa, nonostante non avessi paura di suo padre.
Era uno degli uomini più potenti della città, incuteva timore, ma lo rispettavo, così come lui rispettava me e i miei amici. Eravamo cresciuti con lui, ma l’aria, in quella casa, era sempre stata pesante, come se mancasse qualcosa a dare quella serenità di cui aveva bisogno. Tutti sapevamo cosa fosse: la mamma di Scott.
Non l’avevo mai conosciuta, era morta quando Scott era molto piccolo. Non sapevo quasi nulla su di lei, sia perché Scott non ricordava quasi nulla, che perché non amava parlare di quell’argomento.
Scott era cresciuto con il padre e la signora Meredith. Di tanto in tanto, la casa si affollava di uomini al servizio di suo padre, ma, quello che mancava davvero, era il tocco femminile di una madre.
Venni strappato dai miei pensieri quando Simon tossì e, alzando lo sguardo, vidi il padre di Scott fare capolino nell’enorme salone.
Si tolse la giacca e la porse alla signora Meredith, prima d farci un cenno veloce con il capo, in segno di saluto. Scattai a sedere, intrecciando le mani e lasciando che cadessero sulle gambe.
«Scott ha detto che volevi parlarci.» prese parola Simon.
Suo padre annuì. Fece per ribattere quando, alla porta, comparvero due uomini vestiti di tutto punto. Uno dei due si chinò, mormorandogli qualcosa. Il padre di Scott scosse la testa e li congedò, tornando a rivolgere la sua attenzione a noi.
«Voglio sapere esattamente quello che è successo con Logan.» ordinò, con il suo solito tono duro. Per certi versi mi ricordava Simon. Scott non era così sicuro di sé quando parlava con qualcuno. Se non sapessi che fosse suo figlio, e non avesse avuto i tratti marcati quanto i suoi, avrei senz’altro detto che fosse Simon suo figlio.
Tutti si voltarono verso di me. Dopotutto, la prima persona con cui se l’era presa ero io.
Annuii, schiarendomi la voce, «eravamo alla festa organizzata da Andie. Simon, Killian e Scott erano sui divanetti, mentre io ero andato in corridoio.» iniziai. Fece un cenno con la testa, così andai avanti, «ad un certo punto la porta si è aperta ed è apparso Logan. Abbiamo iniziato a discutere e i pugni non sono tardati ad arrivare. Lo avrei conciato per le feste, ma uno dei suoi amici mi ha spinto, facendomi andare addosso ad una ragazza. L’ho aiutata, portandola in cucina e Logan ci ha seguito.» mi inumidii le labbra, scacciando dalla mente il ricordo della mano ferita di Alexis, «abbiamo fatto a pugni di nuovo, poi sono uscito in corridoio e lui è scappato, da codardo quale è. Avrei potuto fargli più male, ma-»
«Non voglio che gli facciate danni seri. Mi serve vivo.» mi interruppe, senza preoccuparsi di lasciarmi finire la frase. Annuimmo tutti all’unisono, «non ha ancora saldato il debito di suo padre.» aggiunse.
«Quando ti deve ancora?» domandò Killian, rimasto particolarmente calmo durante tutto il tempo che passammo in quella stanza.
«Quarantacinque mila dollari.» rispose calmo il padre di Scott. Per lui erano cose normali. La conversazione che stavamo affrontando era cosa ordinaria.
Sentii un brivido salirmi lungo la schiena, ma non conoscevo il vero motivo di quella reazione.
«Cosa vuoi che facciamo?» feci eco, tirandomi su a sedere e poggiando i gomiti sulle ginocchia.
Mi scrutò per un istante, «tenetelo d’occhio.»
Lanciai un’occhiata a Simon, il quale annuì e così fecero gli altri quando incrociai i loro sguardi.
Capii che quella conversazione era ormai giunta al termine, quando vidi il padre di Scott alzarsi dalla sedia, poco prima di volgermi un lieve cenno di saluto con il capo. Ci alzammo tutti e tre quasi contemporaneamente e lasciammo entro breve quella grande villa. Non sapevo con esattezza quanto tempo avevamo trascorso là dentro, ma sicuramente parecchio, perché fuori era già buio.


 

«Questo posto cosa dovrebbe essere?» domandai, una volta scesa dall’auto.
Logan sogghignò, affiancandomi e prendendomi sottobraccio. Mi irrigidii leggermente a quel contatto, ma dovevo ammetterlo: era un ragazzo davvero piacevole.
Per tutto il tragitto non aveva cessato un attimo di parlare e quell’accento che aveva rendeva il tutto più interessante. Sentirlo parlare era quasi ipnotizzante.
«Non lo so, ma il nome sembra carino.» rispose, «entriamo?» domandò, aprendo la grande porta di vetro.
Annuii, sorridendo e seguendolo all’interno del locale. Quando la porta si chiuse, l’aria calda mi avvolse e trovai fastidiosa la giacca che indossavo. Logan pensava la stessa cosa e, lasciandomi il braccio, si tolse la felpa nera, rimanendo in maglietta.
Rimasi a fissarlo: non era un tipo muscoloso, ma nemmeno magrolino. Era robusto, forte e me n’ero accorta dal modo in cui il suo braccio teneva il mio.
Lo imitai e mi tolsi la giacca, tenendola in mano. Si diresse verso un bancone e lo sentii chiedere un tavolo per due persone.
Era a metà tra un ristorante e un pub. Quando il ragazzo fece cenno di seguirlo, Logan gentilmente mi porse la mano, invitandomi a stringerla. Questa volta non esitai e, quando la sua mano calda prese la mia, qualche brivido fece capolino.
Il ragazzo di prima si fermò a pochi passi da un tavolo e fece segno di poterci accomodare. Ci sedemmo uno di fronte all’altro e Logan inarcò un sopracciglio, guardandomi.
«Hai fame? Hai cenato?» domandò, premuroso.
Mi strinsi nelle spalle, appoggiando i gomiti sul tavolo, lasciando che i braccialetti che portavo risalissero sul braccio, tintinnando.
«Non proprio.» risposi, accorgendomi però solo in quel momento di avere realmente fame.
Sorrise e diede un’occhiata al piccolo menù, in mezzo a noi, «ti va un frullato?» chiese, aspettando pazientemente una risposta.
Non era la tipica cena di una persona affamata, ma acconsentii. Quando il cameriere si avvicinò, Logan ordinò educatamente due frullati, uno per sé e uno per me. Lo ringraziai sorridendo e aspettammo che fu di ritorno.
«Allora, Alexis.» mormorò Logan, intrecciando le mani sotto il mento. Quando pronunciò il mio nome, con quell’accento inglese, sentii le guance arrossarsi, «da quanto abiti in questa bellissima e meravigliosa città?» domandò, facendo del sarcasmo.
Abbozzai un sorriso, «due giorni?» risposi, facendola suonare come una domanda.
Aggrottò le sopracciglia, così mi affrettai a spiegare, «sono di New York, ma i miei hanno divorziato e mia madre è voluta tornare in questo posto. Ci vengo da quando sono piccola, ma non mi sono mai fermata tanto.» risposi, alla sua domanda implicita.
Si inumidì le labbra, annuendo, «New York, eh?» mormorò, pensieroso.
Arricciai le labbra, «tu invece? Sbaglio o hai un accento inglese?» ribattei, conoscendo la risposta.
Sorrise e i suoi occhi si illuminarono, diventando più azzurri di quando già non fossero. Per via della luce fioca di quella stanza, brillavano maggiormente.
«Sono di Londra, ma da qualche settimana sono tornato qui.» rispose. Nel frattempo il cameriere aveva portato le nostre ordinazioni.
«Come mai?» domandai, bevendo un sorso di frullato.
Si strinse nella spalle, «nostalgia, forse.» mormorò, guardando oltre la mia spalla.
Lo fissai per un momento, scrutando il suo viso. Era piuttosto rilassato, ma c’era qualcosa che sembrava turbarlo, come se stesse nascondendo un segreto.
Le parole mi uscirono prima che me ne accorgessi, «perché tu e Justin vi siete picchiati?» domandai.
Il suo sguardo si spostò su di me, «te l’ho detto, non è un tipo raccomandabile.» rispose, scuotendo appena la testa.
«Perché continui a ripeterlo?» continuai, protendendomi verso di lui.
Abbozzò un sorriso, ma non era divertito, quasi infastidito, «perché lo conosco.» disse semplicemente.
Inarcai un sopracciglio, «hai detto di non avere problemi con lui.» ribattei, ricordando la conversazione di quella mattina.
Contrasse velocemente la mascella, ma me ne accorsi, «è vero, ma avere un problema con uno della sua compagnia, significa avere un problema con tutti, anche se non completamente.» spiegò.
Rimasi parecchio perplessa dalle sue parole, ma annuii ugualmente.
«Perché hanno ridotto casa tua in quel modo?» domandai, curiosa più che mai.
Si strinse nelle spalle, finendo il frullato, «è meglio che tu non lo sappia.» mormorò, poggiando i gomiti sul tavolo.
Deglutii, nervosa. Che diavolo poteva essere mai successo? Avevano incendiato casa sua, un motivo doveva pur esserci.
«Stai solo il più lontana possibile da loro.» rimarcò Logan, strappandomi ai miei pensieri.
Aggrottai le sopracciglia, «non li conosco nemmeno, dubito che possa avere a che fare con qualcuno di loro.» ribattei.
Le labbra di Logan si curvarono appena, «sei amica di Andie, è inevitabile e uno come Bieber trova sempre il modo di tornare da qualcuno, soprattutto se interessato.» aggiunse, sottolineando le ultime parole.
Justin? Interessato a me? No. Non sapeva niente sul mio conto e viceversa.
Passammo il resto della serata a parlare. Non tornammo più su quell’argomento e nessuno dei due nominò Justin o i suoi amici, il che fu un bene perché non avevo per niente voglia di pensare a loro.
Quando fu il momento di andare, Logan si alzò, pagò i frullati e si diresse verso la porta, aspettando che avessi indossato la giacca, prima uscire.
Con un po’ di difficoltà, per via della mano fasciata, riuscii finalmente a sistemare il tutto. Sentivo lo sguardo di Logan e lo vidi accigliarsi quando feci una smorfia di dolore.
Di nuovo mi prese sottobraccio e mi condusse alla sua auto.
Mi affrettai a fare il giro dell’auto, per salire al posto del passeggero, ma Logan mi fermò, prendendomi per il polso.
Voltandomi, me lo ritrovai a pochi centimetri da me e i suoi capelli mi solleticarono una guancia, tanto era vicino, ma non mi stava guardando negli occhi. Sentii la sua mano sulla mia – quella fasciata -  e abbassai lo sguardo, solo per incontrare il suo.
La sfiorò appena, «mi dispiace che tu ti sia fatta male.» mormorò, con voce bassa.
Sentii il viso andare in fiamme e deglutii, nervosa, «n-non importa. Non è niente.» risposi, balbettando appena.
Sorrise, sfiorandomi la pelle nuda del polso con le dita, «mi dispiace comunque.» ripeté, sincero.
Deglutii e la mano mi tremò appena. Logan se ne accorse e la tenne tra le sue, prima di alzare lo sguardo e fissare le mie labbra.
Per un istante tutto fu confuso, ma quando le sue labbra, delicate e morbide, furono sulle mie, sussultai.
Indugiò appena, quasi a sperare che non mi sottraessi. Rimasi spiazzata da quel gesto, ma non lo allontanai. Prendendolo come un segno positivo, avvicinò il suo corpo al mio, facendo sì che finissi contro la sua auto.
Trasalii appena e Logan colse l'occasione per approfondire quel bacio. Schiuse le labbra sulle mie, posandomi una mano dietro la nuca.
Appoggiai i palmi sul suo petto e sentii la sua lingua sfiorare il mio labbro inferiore, quando, all'improvviso, due fari, luminosi e fastidiosi come non mai, mi accecarono.
Logan si staccò da me, voltando il viso. Le mie mani stringevano ancora il colletto della sua felpa, quando Justin scese dall'auto, con un espressione di rabbia mista a terrore.
 


 



Ci sono anche io :)
 

Riusciremo mai ad aggiornare senza iniziare questo spazio con delle scuse?
Sì, siamo un po' in ritardo, però con tutti gli impegni che abbiamo entrambe è difficile aggiornare nell'arco di pochi giorni.
By the way, Justin ha beccato Logan e Alexis insieme e non sembrava troppo contento, perciò le cose potrebbero andare a complicarsi un pochino...
Speriamo davvero che questo capitolo vi piaccia e, magari, fateci sapere che cosa ne pensate (:


Un bacione,
Giulia e Federica.
Per sapere quando aggiorniamo, seguiteci su twitter: Giulia (
@Belieber4Choice) Federica (@breathinjiley)
Vi lasciamo anche ask per qualsiasi cosa: 
Giulia e Federica.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8. ***


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Capitolo 8
 
Il mio sguardo era puntato negli occhi cerulei di Logan e strinsi i pugni lungo i fianchi, notando quanto fosse ridotta la distanza tra lui e lei. Sentivo lo sguardo di Alexis addosso, ma non la guardai, non più almeno. Lo sguardo di Logan, ora, sembrava alquanto divertito: evidentemente, l'unico ad avere il fuoco negli occhi ero io. Stavo lasciando stupidamente in disparte il motivo fondamentale per il quale nessuno di noi poteva sopportare la vista di Logan; la mia ira era stata scatenata, principalmente, per aver visto Alexis e quel bastardo sul punto di baciarsi. Mossi qualche passo verso di loro e Logan indietreggiò di poco, allontanandosi così da lei. Camminò verso di me e si fermò soltanto quando ci separarono un paio di metri.
«È davvero bello vederti qui.» esclamò Logan, aprendosi in un sorriso tutt'altro che sincero.
«Oh, davvero?» domandai, fingendomi sorpreso.
«No, Bieber, non c'è cosa più fastidiosa che ritrovarmi la tua faccia davanti.» ribatté, con quel suo tono strafottente.
Strinsi le labbra in una linea retta e ridussi lo sguardo a due fessure.
«Mi dispiace di averti soffiato la ragazza, comunque.» mormorò poi in un sussurro che soltanto io udii, «ovviamente, scherzavo di nuovo.» aggiunse, sogghignando.
«Credo che cambierà ben presto idea su di te, quando scoprirà che razza di merda sei.» mormorai, sorridendo bastardamente.
«Io? Fossi in te non ne sarei così sicuro.» disse con tono serio.
Non avevo idea di che cosa potessero nascondere quelle parole, ero però certo che avesse fatto di tutto per rovinare la mia immagine agli occhi di Alexis.
«Sono davvero curioso di sapere quali puttanate le avrai raccontato.» alzai il mento, con fare superiore.
«La verità, nient'altro che la verità, amico.» ammise.
«La tua versione o quella reale?» domandai retorico e ricevetti, in tutta risposta, un’occhiata fulminea.
Ridacchiai nervosamente, ma ritornai serio nell'istante in cui il mio pugno colpì violentemente la sua gota destra, costringendolo a voltare di scatto il capo.
Gettai un'occhiata ad Alexis, inquadrando a pieno l'espressione di spavento dipinta sul suo viso. Avvertii una morsa allo stomaco quando realizzai di essere io la persona della quale stava avendo paura.
Avevo abbassato la guardia per pochi istanti, facendo incrociare il mio sguardo e quello di lei, e Logan ne aveva approfittato, colpendomi lo zigomo sinistro e provocandomi un dolore non indifferente.
Mi massaggiai il punto colpito e lo guardai con aria disgustata.
Spintonai violentemente il biondo che avevo di fronte, realizzando solo qualche istante più tardi di aver agito con la mossa sbagliata: afferrò entrambi i miei polsi, immobilizzandomi del tutto le braccia ed allontanandole da sé. Il suo sguardo gelido, puntato addosso, non m’intimoriva affatto, ma non mi piaceva.
Sollevai di scatto la gamba, colpendolo con il ginocchio al centro dello stomaco, e fui finalmente libero dalla sua sporca presa. Si piegò in due e lo spinsi al suolo con facilità. Sollevai il capo ed incrociai nuovamente lo sguardo di Alexis, risultava spento e deluso, sicuramente a causa mia.
Desideravo davvero sapere cos’avesse mai potuto raccontarle e lo avrei scoperto, era solo questione di tempo.
«Oh, per la cronaca, non stai facendo una bella figura davanti a lei.» disse con tono divertito Logan, alzandosi lentamente.
«Credi che m’importi?» sbottai di rimando, attirando su di me l’attenzione dei pochi passanti, compresa quella di Alexis e mi pentii tremendamente di aver pronunciato quelle parole a voce così alta. Dopo tutto, non era vero che non m’importava, ma ero fin troppo accecato dalla rabbia per constatarlo.
Lo sentii ridere e strinsi maggiormente i pugni: ci avrei impiegato ben poco tempo prima di sferrarne un altro su quella sua odiosissima faccia.
«Dimmi che cosa le hai detto.» intimai a denti stretti, ma scosse il capo e mi avvicinai di un altro passo a lui.
«È davvero un peccato che tu ti sia già bruciato la possibilità di venire accettato da qualcuno. Sono dispiaciuto nel profondo.» disse, posando una mano sul suo petto ed assumendo una finta espressione imbronciata.
Dio, quanto lo odiavo.
Lo colpii nuovamente in viso, questa volta, però, sulla gota sinistra e sorrisi al solo pensiero che, il giorno seguente, si sarebbe riempito di lividi.
«Hai intenzione di continuare ancora per molto?» sbottò con tono scocciato, passandosi il dorso della mano sul punto che avevo appena colpito. Dal labbro uscì un rivolo di sangue ed il mio ego, si gonfiò, soddisfatto di quello che stavo facendo.
«Sai che potrei continuare tutta la notte.» ribattei, sorridendo.
«Adesso basta!» la voce di Alexis mi fece ritornare serio ed entrambi ci voltammo verso di lei.
Il suo sguardo arrabbiato era puntato su di me e non esitai un solo istante di più a superare Logan e ad avvicinarmi a lei. Indietreggiò di poco, scontrandosi accidentalmente con l’auto parcheggiata accanto a sé.
«Stammi lontano.» mormorò con voce tremolante, dedicandomi uno sguardo notevolmente impaurito, ed arrestai i miei passi.
«Alexis, ascolta-» feci per parlare, ma m’interruppe.
«Non voglio starti a sentire, voglio solo che tu mi stia lontano.» ripeté, con un tono talmente freddo che il mio sangue si gelò.
Chiusi gli occhi per qualche istante, cercando di mantenere la calma e mi voltai nuovamente verso Logan. Quel ghigno bastardo non aveva ancora abbandonato il suo volto e così mi avvicinai a lui.
«Fossi in te, salirei in macchina e ritornerei a casa. Hai già fatto abbastanza.» mormorai, mantenendo i pugni serrati lungo i fianchi.
«Peccato che tu non sia me.» ribatté, atteggiandosi fastidiosamente.
«Fidati di me, Logan, sali in macchina se non vuoi che ricapiti quanto è successo tre anni fa.» pronunciai quella frase in un sussurro, assicurandomi che Alexis non sentisse una sola parola. Meno sapeva e meglio era e, contando il fatto che in quel momento sembrava mi stesse odiando, avrei fatto bene a mantenere il silenzio riguardo al passato.
Logan s’irrigidì e fece scomparire del tutto quell’espressione divertita, ma non si mosse di un solo passo.
Sul suo viso passò un'ombra.
Colpito e affondato.
«Non osare minacciarmi, Bieber.» ringhiò, stringendo i pugni lungo i fianchi.
Contrasse la mascella, era incazzato e io mi godevo quello spettacolo, nonostante Alexis mi stesse fulminando con lo sguardo.
Come si suol dire “se gli sguardi potessero uccidere”, beh, credo che avrei preso fuoco da un momento all'altro.
«Altrimenti? Mi prendi a pugni?» ribattei, «non ti è andata troppo bene, fino ad ora.» sogghignai, sentendo montare una nuova ira dentro di me.
«Justin.» mi richiamò Alexis. Aveva la voce ferma, dura, quasi glaciale.
Mi fece venire la pelle d'oca e non di certo quel tipo di sensazione che provavo quando una bella ragazza parlava con me o mi chiamava per nome. No, decisamente no.
Incrociai il suo sguardo e nell'esatto istante in cui i miei occhi incontrarono i suoi, azzurri come non mai in quel momento, deglutii, sentendomi minacciato.
«Vattene.» mi ordinò, staccandosi leggermente dall'auto di Logan. Con la coda dell'occhio lo vidi pulirsi il labbro inferiore con il dorso della mano e, giurai, stava sorridendo.
Inarcai un sopracciglio, «senza di te non vado da nessuna parte.» ribattei, «sali in macchina, Alexis.» le ordinai, piuttosto brusco.
Mi fissò per un istante, prima di scoppiare in una risata amara, che di ilare non aveva assolutamente nulla. Fece un passo in direzione di Logan, rimanendo al suo fianco.
Dovetti combattere l'istinto di avvicinarmi e trascinarla via da quell'essere.
«Non salirò in macchina con te per nessuna ragione al mondo.» sbottò.
Logan le cinse i fianchi con un braccio e contrassi la mascella, infastidito come non mai. Mi guardai intorno, inumidendomi le labbra. Se solo fossimo stati soli, non avrei impiegato che due minuti buoni per mandarlo al tappeto, ma troppi occhi circolavano e non potevo permettermi che qualcuno chiamasse la polizia. Non potevo farmi arrestare per aver picchiato uno come Logan. Il padre di Scott me l'avrebbe fatta pagare.
«Sentito? Torna a casa da mammina.» canzonò Logan, stringendo Alexis al suo fianco sempre di più.
Strinsi il pugno destro, tanto che le unghie si conficcarono nel palmo della mia mano, «almeno io una madre ce l'ho ancora.» sputai, con il tono più offensivo che riuscii a trovare.
Gli occhi di Alexis incrociarono i miei, incredula. A mali estremi, estremi rimedi.
Conoscevo i suoi punti deboli, dovevo solo usarli contro di lui e, fino ad ora, me la stavo cavando piuttosto bene.
Logan mi lanciò uno sguardo di fuoco, gli occhi erano lucidi per la rabbia. Fece un passo per avventarsi contro di me, lasciando Alexis con uno strattone – che la fece traballare -, ma fu piuttosto abile nell'afferrarlo per l'orlo della felpa e, trattenerlo.
Sogghignai, «ora ti fai fermare da una ragazza?» lo stuzzicai.
Alexis scosse la testa, stringendo ancora la stoffa della sua maglia. Logan mi puntò contro un dito, in segno accusatorio, «di ancora una parola Bieber e giuro sulla mia vita che ti uccido in questo istante.» sbottò. Le vene del collo erano piuttosto pronunciate, segno che non stava scherzando affatto.
Fischiai, impressionato dalla sua minaccia, «però, niente male Logan. Peccato che non abbia paura di te.» ribattei, incrociando le braccia al petto.
La mano di Alexis si strinse sul suo polso, «Justin vattene.» ripeté, senza nemmeno guardarmi, «Logan, portami a casa, ti prego.» supplicò, voltando il viso verso di lui.
Non la guardò negli occhi, erano ancora fissi nei miei, ma annuì, senza dire altro. Alexis lasciò la presa e si accinse a salire in macchina, ma scattai, raggiungendola.
«Non andrai con lui.» obiettai, prendendola per il gomito.
Con un gesto brusco riuscì a divincolarsi, «non toccarmi. Lasciami stare.» sbottò, aprendo la portiera dell'auto.
Logan sbatté la portiera, scendendo nuovamente e facendo il giro. Mi prese alla sprovvista per un minuto. Ero così concentrato su Alexis che non mi accorsi di lui. Mi prese per il colletto della camicia, facendomi sbattere poco dolcemente la schiena sulla carrozzeria della sua auto. Chiusi gli occhi per contrastare il dolore.
«Sta lontano da lei.» minacciò, senza mollare la presa. Era conciato piuttosto male, non mi ci volle molto a sfuggire dalla sua presa. Con un unico, veloce movimento, il mio pugno si fermò giusto alla bocca del suo stomaco. Barcollò prima di finire al suolo.
Alexis gridò.

 
 
 
Logan finì a terra violentemente e non potei evitare di gridare, ma soffocai immediatamente il suono portandomi le mani alla bocca.
Iniziò a tossire, tenendosi le mani sullo stomaco. Chiamai il suo nome, ma non mi rispose.
Mi inginocchiai, sentendo l'asfalto ruvido e duro graffiarmi dolorosamente la pelle. Misi una mano sulla sua testa, accarezzandogli delicatamente i capelli, «Logan!» esclamai. Non ottenni risposta, solo un nuovo colpo di tosse.
Feci per alzarmi, propensa a dare un pugno a Justin, ma mi anticipò, prendendomi per un gomito e alzandomi da terra.
«Muoviti.» ordinò, trascinandomi.
Puntai i piedi e riuscii a fermare i suoi passi. Mi divincolai nuovamente dalla sua presa e il punto dove la sua mano era serrata, fino a qualche secondo prima, iniziò a farmi male.
«Justin, lasciami stare. Hai ridotto Logan in quello stato, lasciami andare o chiamo la polizia!» gridai.
A quelle parole sobbalzò, «non ha fatto niente di male. Non so che cazzo succeda, ma non voglio che tu gli faccia male!»
«Respira ancora, ecco cosa ha fatto di male.» ringhiò e fece per prendermi di nuovo per il polso.
Mi scostai appena in tempo, «tu sei completamente pazzo.» mormorai, dandogli le spalle per tornare da Logan, ancora steso a terra. Non tossiva più, si mosse, come se volesse alzarsi, ma era ridotto parecchio male. La rabbia che provai nei confronti di Justin, in quel momento, mi fece tremare le mani, tanto che dovetti chiuderle a pugno.
«Alexis, sali in macchina e ti porto a casa.» ripeté, in tono quasi distante.
Mi voltai, trafiggendolo con uno sguardo, «non voglio che tu mi accompagni, Logan è ferito e non verrò con te.» esclamai.
Possibile che non ci arrivava? Ero terrorizzata dal suo comportamento, non sarei di certo salita in macchina con lui.
Sbuffò, «sopravviverà. Sopravvive sempre.» aggiunse, abbassando il tono di voce.
Chiusi gli occhi a quelle parole. La rabbia con cui le pronunciò mi fece trasalire.
Mi prese nuovamente per il polso, con più delicatezza questa volta, ma cercai nuovamente di divincolarmi. Sbuffò e perse la pazienza. Mi attirò a sé, tanto che sbattei contro il suo petto, sentendo i muscoli testi e mi sollevò di peso, adagiandomi sulla sua spalla.
«Justin!» gridai, cercando di colpirlo con i pugni, ma aveva intrappolato le mie braccia in modo che non potessi muovermi. Con la mano libera aprì la portiera e mi lasciò cadere piuttosto bruscamente sul sedile. Imprecai.
«Non provare a scendere, ci metto poco a riprenderti.» mi avvertì, con sguardo truce. 
Lo fissai per un istante. I suoi occhi color nocciola erano scuri, per via della rabbia che aveva dentro di sé. Non che avessi paura della sua reazione, ma obbedii e non mi mossi, mentre faceva il giro dell'auto, salendo al posto di guida.
«Allaccia la cintura.» ordinò. Incrociai le braccia al petto, ignorandolo.
«Logan è ferito, come puoi essere così stronzo?» sbottai, dandogli un pugno sul braccio, senza nemmeno rendermene conto. In quel momento fu come colpire un muro di cemento tanto i muscoli delle braccia erano tesi.
Contrasse la mascella, mettendo in moto, «allacciati la cintura.» ripeté, senza scomporsi.
Dallo specchietto vidi Logan alzarsi da terra e appoggiarsi alla sua auto. Sentii gli occhi pizzicare e mi sentii in colpa per averlo lasciato lì. Mi impedii di piangere, non mi sarei mostrata debole davanti a lui.
Il viaggio fu silenzioso. Mi sorpresi più volte a tirare su col naso, per evitare che le lacrime arrivassero e, ogni volta, Justin mi guardava con la coda dell'occhio.
Era comunque concentrato sulla strada. Guardava dritto davanti a sé, tenendo le mani saldamente sul volante. Lo impugnava talmente forte che le nocche divennero bianche. Sembrava scaricare la frustrazione sulla manopola del cambio, muovendola così violentemente che per un momento pensai che potesse rompersi.
Ogni volta che i fari delle auto, provenienti dalla parte opposta, illuminavano gli interni e automaticamente il viso di Justin, notavo la sua mascella, sempre contratta, tesa.
Le labbra erano strette in una linea sottile e le folte sopracciglia erano costantemente aggrottate.
La tensione creatasi da noi si poteva tagliare facilmente con un coltello, ma era tutta colpa sua.
Lui aveva ridotto Logan ad uno straccio, era tutta colpa sua. Sentii lo stomaco stringersi in una morsa dolorosa, rivedendo Logan steso a terra, mentre si teneva lo stomaco. Chiusi gli occhi e, finalmente, una lacrima fece capolino, scorrendo sulla mia guancia e bagnandomi poi il dorso della mano.
 
Imboccò la strada che portava a casa mia e le luci dei lampioni lasciarono spazio al buio, tanto che, per un tratto di sentiero, Justin dovette accendere gli abbaglianti per non finire contro un albero.
Slacciai la cintura, ancora infuriata e aspettai che fermasse l'auto per poter finalmente scendere e andarmene.
Le luci di casa mia erano spente, mamma doveva essere andata a lavorare. Di bene in meglio, sarei stata da sola.
Finalmente Justin spense il motore e mi affrettai a scendere, preoccupandomi di sbattere quanto più violentemente potei la portiera. Justin imprecò, ma scese, seguendomi.
Lo sentivo dietro di me. Feci per voltarmi e mandarlo a farsi fottere, quando il tacco della mia scarpa urtò un sasso, facendomi perdere l'equilibrio.
Se Justin non avesse avuto  i riflessi pronti, sarei finita a terra. Allungò un braccio appena in tempo, sostenendomi e tirandomi verso di lui. Cozzai contro il suo petto e il suo naso sforò per un secondo il mio. Incrociai i suoi occhi e per un secondo, la rabbia lasciò il posto all'imbarazzo. Stringeva il mio braccio e il suo petto, a contatto con il mio, emanava quasi calore. Il suo respiro solleticò la mia guancia e la pelle d'oca non tardò ad arrivare.
Durò un attimo, poi mi divincolai. Rimettendomi saldamente in piedi. Justin alzò gli occhi al cielo, ma non disse nulla, mise solamente le mani nelle tasche dei jeans.
Giurai di sentirlo bofonchiare un «prego, non c'è di che.», ma ero talmente infuriata che non mi sorpresi di avere qualche allucinazione.
«Mi hai accompagnata, ora vattene.» sbottai, fermandomi sotto il piccolo portico, appena prima della porta di casa.
Justin si passò una mano tra i capelli, «perché eri con Logan?» domandò, ignorandomi deliberatamente.
Sbuffai, incrociando le braccia al petto, «come se fossero affari tuoi.» ribattei, «non sei nessuno per me, non avevi nessun diritto di fare quello che hai fatto.» esclamai, tanto che la mia voce echeggiò.
«Logan è un bastardo, si approfitterà di te senza troppe cerimonie.» sbottò, salendo un gradino e avvicinandosi.
Indietreggiai, finendo di schiena contro la porta. Grandioso, mi ero messa in trappola da sola.
«L'unico bastardo qui, sei tu.» mormorai, a denti stretti.
Justin chiuse gli occhi, come per calmarsi ed evitare di scoppiare.
«Hai già dimenticato quello che è successo alla festa a casa di Andie?» domandò, stizzito.
Assottigliai lo sguardo e gli mostrai la mano fasciata, «secondo te?» ribattei. Justin scosse la testa, «è stato gentile con me per tutta la sera, a differenza tua. Non avevi nessun diritto di immischiarti.»
Justin emise un verso strozzato, a metà tra una risata e uno sbotto d'ira, «non devi avere niente a che fare con lui.» mi intimò, imprigionandomi nel suo sguardo. Alla luce della luna i suoi occhi sembravano quasi dorati, nonostante fossero ancora pieni di rabbia.
Scoppiai a ridere, amaramente, «divertente, è esattamente la stessa cosa che ha detto lui di te.» ribattei.
Colsi un guizzo sulla sua guancia, «credimi Alexis, è meglio se mi dai retta.» continuò, abbassando leggermente il tono di voce.
Rabbrividii e non sapevo se era stato il freddo a provocarmi quella reazione.
«Io non so chi tu sia. Ti ho visto due volte in vita mia e la prima sono finita al pronto soccorso, mentre la seconda mi hai praticamente portata via con la forza, facendo del male ad un ragazzo.» esclamai, «non mi fido di te. In questo momento sono talmente terrorizzata che potrei scoppiare a piangere o mettermi a gridare per liberarmi di tutta la tensione che ho addosso.» conclusi, prendendo un respiro, cercando di calmarmi.
Justin mi fissava con le sopracciglia inarcate, «t-tu hai paura di me?» domandò semplicemente, balbettando.
Annuii appena, ma convinta che se ne rendesse conto. Abbassò lo sguardo per un istante, mormorando qualcosa di incomprensibile.
«Non volevo spaventarti.» disse infine, con voce roca. Sentii le guance in fiamme, ma cercai di ignorare quella sensazione, al momento totalmente inopportuna.
«Hai picchiato Logan davanti ai miei occhi, come puoi pensare di non avermi spaventato?» ribattei, con il suo stesso tono. Non aveva più senso alzare la voce per farmi sentire, lo faceva benissimo. Anzi, probabilmente mi sentiva meglio ora.
Alzò lo sguardo, incontrando il mio, «mi dispiace.» disse frettolosamente.
Sorrisi, per niente divertita, «no, non è vero.» mormorai.
Si inumidì le labbra, «mi dispiace averti spaventata, non aver picchiato Logan.» spiegò, «non ci penserei due volte a farlo fuori. È pericoloso, Alexis.» concluse, soppesando il mio nome, tanto che le guance andarono a fuoco nuovamente.
«Hai incendiato casa sua, non è di lui che ho paura.» mormorai. Justin sobbalzò a quelle parole, «ma di te.»
Justin non disse nulla, continuò a fissarmi, come incapace di ribattere. La rabbia sembrò abbandonarlo e sul suo volto passò un'ombra cupa.
Scossi la testa, «vattene.» mormorai, «va via Justin, ti prego.»


 


Ci sono anche io :)

Segnatevi questo giorno sul calendario, perché era da parecchio tempo che non aggiornavamo con puntualità!
Bene, da come avete appena letto, la rivalità tra Logan e Justin è più accentuata di quanto sembrava, e questo solo per Alexis...
Inutile dire che stiamo pian piano entrando nel vivo della storia e che, sicuramente, non vi deluderemo. Abbiamo in serbo moltissime idee per quanto riguarda Unforgettable e non vediamo l'ora di condividerle con voi!

Vi ringraziamo moltissimo per le recensioni e saremmo ancor più felici se questa storia venisse conosciuta di più :)

Speriamo davvero che questo capitolo vi piaccia e, magari, fateci sapere che cosa ne pensate (:

Un bacione,
Giulia e Federica.
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Vi lasciamo anche ask per qualsiasi cosa: 
Giulia e Federica.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9. ***


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Capitolo 9
   
Rimasi interi secondi a fissarla negli occhi, i quali apparivano lievemente lucidi ed ero certo che fosse per colpa mia. Indietreggiai lievemente, fino a quando, con la coda dell’occhio, intravidi l’inizio delle scale e mi voltai, scendendole.
La guardai di nuovo, spezzando il nostro contatto visivo solo quando fui costretto a salire in macchina. Era immobile, con la schiena appoggiata al dorso della porta, e mi guardava. I suoi occhi, ora, erano freddi come il ghiaccio e Dio solo sapeva per quanto altro tempo mi avrebbe dedicato quel tipo di sguardi.
Strinsi fortemente la presa sul volante, sentendo l’odio crescere verso Logan e su quanto mi aveva portato a fare quella sera.
Se solo non ci fosse così tanta rivalità tra di noi, non sarei mai stato costretto a mettergli le mani addosso.
Se solo Alexis non si fosse fatta raggirare dalle sue moine, non sarei in questa situazione.
Se solo…
Scossi il capo ed inserii la chiave nel blocco d’accensione, la girai con forza e il rombo del motore riempì immediatamente l’aria, facendo sussultare lievemente Alexis. Sollevai lo sguardo ed incrociai ancora una volta i suoi occhi, ma quel contatto durò poco, perché abbassò di colpo il capo, quasi a volersi nascondere. Feci retromarcia e mi allontanai da lì, senza però distogliere lo sguardo dallo specchietto retrovisore, grazie alla quale la vidi sparire all’interno di casa sua.
 
Avrei dovuto aspettarmi una reazione simile da parte sua, vedere come il suo sguardo era colmo di paura ogniqualvolta compivo anche il più insignificante dei movimenti mi provocava un fastidioso senso di colpa. Non avrebbe dovuto assistere allo scontro tra me e Logan, non di nuovo.
Lo avrei ammazzato di botte se solo lo avessi incontrato ancora una volta. Non m’interessava di lui, non avrei dovuto avere niente a che fare con uno come lui, ma il caso aveva voluto diversamente.
Parcheggiai davanti a casa, lasciando l’auto di sbieco nel bel mezzo del vialetto. Sbattei violentemente la portiera e mi diressi a grandi falcate verso la porta d’ingresso. Stavo quasi per entrare in casa, quando sentii chiamare il mio nome.
Mi voltai ed inquadrai la figura di Simon, appoggiato contro la portiera della sua macchina dall’altro lato del vialetto. Non mi ero minimamente accorto della sua presenza, eppure ero certo che fosse lì da qualche minuto.
Gli feci un cenno con il capo, intimandogli di seguirmi dentro casa, non appena spalancai la porta d’ingresso.  Mia madre era fuori, quella sera, e lo sarebbe stata fino al giorno seguente. Era un punto a mio favore, dato che non avevo nessuna voglia di essere riempito di domande per i lividi che, sicuramente, recavo in viso.
Simon entrò, lasciandosi poi cadere a peso morto sul divano, agendo come se fosse casa sua. Chiusi la porta e mi appoggiai al dorso di essa, volgendogli un’occhiata interrogativa.
Non sapevo perché fosse lì, soprattutto da solo.
«Ho visto Logan poco fa.» disse e mi avvicinai, prendendo posto sull’altro divano ed incitandolo poi a continuare, «era conciato parecchio male
«Sembra quasi che ti dispiaccia.» mormorai sbuffando, assumendo un’espressione disinteressata.
«Non hai sentito quello che ha detto il padre di Scott? Non dobbiamo andarci giù troppo pesante.» sbottò, sporgendosi in avanti e stringendo il pugno sopra al ginocchio.
Alzai gli occhi al cielo, scocciato, «non mi sembra di averlo ammazzato. Respirava ancora quando me ne sono andato.» ribattei, passandomi distrattamente una mano tra i capelli.
Respirava ancora.
«Justin, cazzo!» imprecò, alzandosi in piedi ed assumendo un’espressione parecchio contrariata, «perché l’hai picchiato? È per quella ragazza, non è vero?» domandò, ma dalla sua espressione capii che non voleva davvero una risposta.
Sbiancai all’istante, ma scossi il capo, sperando di farglielo credere, «non dire stronzate, ti conosco, lo so che è per quello!» esclamò, infuriato.
Scostai lo sguardo dal suo e strinsi le labbra in una linea dura, tanto che avvertii un dolore non indifferente ai punti colpiti dai pugni di Logan.
«Ma che differenza fa?» sbottai poi, alzandomi ed allargando le braccia, «non l’ho ammazzato, non gli ho fatto nemmeno troppo male.» mentii di nuovo, ma, se l’aveva visto in piedi, non avevo detto una stronzata così grossa.
«Non importa, abbiamo altro in mente per lui. Non di certo allontanarlo da una ragazza della quale non ce ne frega nulla.» replicò, quasi pensandoci su.
«Non fregherà nulla a te, ma-» mi zittii nell’esatto istante in cui realizzai di aver parlato troppo e ricevetti un’occhiata più che gelida da Simon.
«Sai cosa penso?» mi domandò e scossi prontamente il capo, «forse è meglio che tu ti tenga alla larga da quella ragazza. Potresti fare delle grosse cazzate come, per esempio, farti scappare quello che è successo tre anni fa.» assottigliò lo sguardo, puntandomi contro un dito accusatore.
«Lo sa già» ribattei, spiazzandolo. «Logan le ha raccontato tutto.» mormorai, abbassando il tono di voce.
Vidi il mio amico impallidire all’istante e mi pentii di aver pronunciato quelle parole, ma sarebbe venuto a saperlo prima o poi, e non sarebbe di certo stato il solo.
«Bastardo.» ringhiò poi e non potei che annuire a quell'aggettivo perfettamente appropriato ad una persona come Logan.
«Non saranno mai troppi i pugni che riceverà.» mormorai, rilassando i nervi e lasciandomi cadere sul divano dietro di me.
«No, gliela faremo pagare in modo diverso, ma tu devi star lontano da quella ragazza.» ripeté.  Colsi un guizzo nel suo sguardo e m'irrigidii all'istante.
«Cosa cazzo hai in mente?» sbottai, preoccupandomi lievemente. Sapevo che nella sua testa vagava un'idea basata sulla vendetta e sapevo anche contro chi l'avrebbe scatenata. «Non toccherai Alexis.» mormorai a denti stretti, ricevendo un'occhiata gelida, ma non gli diedi il tempo di ribattere, «lei non c'entra nulla con questa storia.» mormorai.
Simon scosse la testa, «Non ho mai detto che le avrei fatto del male, solo che-»
«No!» Ribattei, balzando in piedi, «non metterla in mezzo!»
Si strinse nelle spalle, arricciando le labbra, «troppo tardi, amico. È la persona più vicina a Logan e non abbiamo altra scelta.» aggiunse.
Scossi il capo ripetutamente. «Non abbiamo la certezza che a lui importi davvero di lei. Conosci Logan, è la persona più falsa presente su questo pianeta. Sono sicuro che avrà raccontato un mucchio di stronzate ad Alexis, pur di mettermi in cattiva luce ai suoi occhi.» esclamai.
«Allora vorrà dire che aspetteremo finché non saremo certi di tutto ciò, ma, ripeto, stai lontano da quella ragazza. Non mi piace non sapere che cos'ha in mente quel bastardo.»
Annuii lievemente, lasciando che quel discorso si chiudesse momentaneamente, ma non riuscivo ad evitare di pensarci. Nella mia mente erano ancora vive le immagini della discussione che avevo avuto con Alexis poco prima, il suo sguardo terrorizzato mi aveva provocato una morsa non indifferente attorno al mio stomaco. Non mi sentivo in colpa, non per Logan, quello mai, ma non avrei voluto che lei fosse presente mentre sfogavo la mia ira su di lui. Non avrei voluto che mi vedesse così violento. Era di Logan che doveva avere paura, non di me.
Simon tornò a sedersi e, nel momento in cui fece per allungare la mano per afferrare il telecomando della televisione, udimmo le voci di un ragazzo e di una ragazza provenire dall'esterno. Da ciò che si dissero, sembrava stessero discutendo animatamente e mi domandai per quale ragione avessero deciso di farlo proprio davanti a casa mia.
Simon mi lanciò un’occhiata interrogativa e subito dopo sentii bussare insistentemente alla porta d'ingresso.
«È meglio per te che sia in casa!» gridò la voce femminile dall’esterno.
Aprii la porta e mi ritrovai davanti le figure di Andie e Killian, intenti a scambiarsi occhiate fulminee.
«Tu!» sbottò lei, puntandomi un dito contro, «sei un idiota!» gridò a voce talmente alta che sobbalzai.
La guardai con aria interrogativa, poco prima di vederla avanzare e spintonarmi volutamente.
«Che problemi ha?» domandai a Killian, il quale scosse le spalle ed andò a sedersi sul divano accanto a Simon.
«Bene, ora potete anche andare.» disse Andie, con tono solenne e, in tutta risposta, Simon scoppiò a ridere, «fossi in te non riderei.» mormorò, assumendo un'aria di sufficienza.
Simon alzò le mani in segno di resa, senza però far scomparire quell'aria divertita dal viso.
Mi affiancò, «non sapevo che te la facessi anche con mia cugina.» sogghignò, parlando al mio orecchio.
Continuò a ridere e gli diedi un leggero pugno sul braccio. «Non dire stronzate, non so perché sia venuta qui.» ribattei, sentendo la tensione montarmi dentro. Andie infuriata non era un bene. Mai.
«E non voglio saperlo.» ridacchiò, poco prima di lasciare definitivamente casa mia assieme a Killian.
Una volta che udii la porta chiudersi, mi voltai verso Andie, «perché sei qui?» domandai, facendole cenno con il mento.
«Fingi di non sapere?» sbottò, incrociando le braccia al petto ed assumendo un'espressione sorpresa. Aggrottai le sopracciglia, realmente confuso.
«Poco fa mi ha chiamata Alexis ed era in lacrime. L'hai spaventata a morte con quello che hai fatto a Logan!» esclamò, spazientita.
«Alexis non dovrebbe uscire con uno come lui.» mormorai, appoggiandomi al divano.
«A te questo non dovrebbe interessare!» ribatté, alzando notevolmente il tono di voce, e ciò non fece altro che farmi innervosire.
Contrassi la mascella a quelle parole, «sei venuta qui solo per dirmi questo? Lo sapevo già! L’ho accompagnata io a casa, ho visto come mi guardava, non era necessario farti venire qui a ripetermelo.» ribattei, allargando le braccia, esasperato.
Mi guardò torva, dischiuse di poco le labbra, intenzionata a dire qualcosa, ma rimase in silenzio.
«Se hai finito puoi anche andare.» mormorai, abbassando lo sguardo.
«D’accordo, come vuoi.» la vidi alzare le mani in segno di resa, poco prima di compiere qualche passo verso di me.
«Oh, quasi dimenticavo, mi ha anche detto che non vuole più vederti, ma forse sapevi già anche questo.» mormorò, in tono teatrale.
Strinsi i pugni lungo i fianchi, talmente forte da sentire le unghie conficcarsi nei palmi. Rimasi in silenzio, con la coda dell’occhio la vidi aprire la porta e sparire poi dalla mia visuale quando la richiuse dietro di sé.
 
 
 
Nell'istante in cui il rumore dell'auto di Justin si affievolì, rassicurandomi che fosse oramai lontano, diedi due giri di chiave alla porta, poggiandomici di schiena. Avevo appena parlato al telefono con Andie, raccontandole quanto era appena successo. Era furiosa e sapevo che non avrebbe esitato ad andare dritta da Justin, ma al momento, non m'importava.
Respirai a lungo e profondamente. Avvertivo una sensazione allo stomaco e non mi piaceva per niente. Terrore. Ecco cos'era. Ero spaventata e il fatto che fossi da sola, in quella casa grande, circondata dal nulla, non faceva che aumentare la brutta sensazione.
Pensai a mia madre, fino all'indomani non sarebbe rientrata. Non volevo stare sola, ma non avevo nessun altro con cui parlare o nessun altro posto dove potevo andare per sentirmi al sicuro.
Mi presi il viso tra le mani, sentendolo bagnato di lacrime e gemetti, frustrata. Odiavo piangere per quel tipo di cose, ma lo spavento mi aveva scioccato.
Mi asciugai le guance e salii le scale, lentamente. Inciampai in uno scalino e con un verso, a metà tra un grido e un'imprecazione, mi tolsi le scarpe, lanciandole sul pavimento, una volta raggiunta la mia camera.
Odiavo quel posto, non mi sentivo a casa mia. Mi mancava il rumore del traffico. Mi mancavano le luci della città. A qualsiasi ora sembrava giorno, mentre qui, sperduta in mezzo al nulla, nonostante fossero appena le undici, era buio pesto. A fatica mi tolsi il jeans e andai diretta in bagno. Accesi l'acqua della doccia, sentendo le tubature scricchiolare in modo sinistro e rabbrividii. Una volta che l'acqua fu a temperatura, mi ci fiondai sotto, lasciando che il getto dell'acqua mi inondasse. Al contatto con l'acqua calda, le ginocchia bruciarono appena. Abbassai lo sguardo e scorsi una piccola chiazza rossa su uno di essi. Mi ero graffiata quando mi ero inginocchiata accanto a Logan.
Logan.
Sentii lo stomaco contorcersi, ricordando in che stato fosse. Ed io non ero lì. Justin lo aveva pestato, mi aveva terrorizzata e mi aveva costretta a salire sulla sua auto, lasciando Logan in quello stato da solo, in mezzo ad una strada, senza nessuno ad aiutarlo.
Sentii gli angoli degli occhi pizzicare, ma alzai il viso, lasciando che l'acqua mi distogliesse dai quei pensieri.
Non so quanto tempo passò prima che l'acqua iniziò a raffreddarsi, segno che stava per finire la sua autonomia, così chiusi, girando la manopola e uscii velocemente, avvolgendomi un asciugamano intorno alla vita.
Mi fermai davanti allo specchio e con la mano, lo pulii dal vapore. Quello che vidi mi fece spaventare.
Avevo il viso rigato di nero, colpa del mascara colato. Gli occhi erano ancora rossi per via delle lacrime ed ero pallida.
Mi fissai per qualche secondo, prima di prendere un lungo respiro e lasciar cadere a terra l'asciugamano – oramai zuppo – e vestirmi. Mamma aveva lavato parecchia roba, così dovetti accontentarmi di un paio di pantaloncini di una vecchia tuta e una maglietta a maniche corte. Dietro la porta c'era il mio cardigan, così lo indossai, prima di trafficare con il lungo filo del phon. Inserii la presa e mi asciugai i lunghi capelli. Feci uno chignon piuttosto scomposto, sarei andata a dormire nell'arco di dieci minuti. Ritirai tutto e, una volta seduta sul letto, presi il cellulare.
Provai a chiamare diverse volte mia madre – volevo solo sentire la sua voce, nonostante avessimo litigato negli ultimi giorni - , ma la segreteria scattava dopo qualche squillo, così rinunciai.
Sbuffai, sdraiandomi a letto e fissando il soffitto. Ero stanca, ma non riuscivo a prendere sonno.
Rividi nuovamente Justin scendere dall'auto, precipitarsi verso Logan e sbatterlo al suolo, riempiendolo di pugni. Mi accorsi di stare trattenendo il respiro, così esalai, stringendo i pugni lungo i fianchi.
Lo odiavo. Lo odiavo sul serio.
Qualcosa mi strappò ai miei pensieri. Bussavano alla porta? Impossibile.
Scossi la testa, probabilmente me l'ero immaginato o uno stupido ramo aveva sbattuto contro la finestra. Chiusi gli occhi, ma quel suono tornò.
Sì, qualcuno stava bussando alla porta, piuttosto insistentemente.
Mi alzai con cautela dal letto, prendendo il cellulare e scesi le scale. Accesi la piccola luce del corridoio e arrivai davanti alla porta. Posai una mano sulla maniglia, ma cambiai idea, dirigendomi in cucina. L'unica cosa che trovai e che pensai potesse andare anche solo bene per fare male a qualcuno, fu un mestolo di legno. Meglio di niente, no?
Tornai alla porta, dove bussarono di nuovo, facendomi sobbalzare. In un primo momento pensai a Justin, ma scacciai subito quel pensiero. Era andato via parecchio tempo prima.
Presi un lungo respiro e aprii appena la porta. Due occhi azzurri e dei capelli biondi spuntarono. Logan.
Granai gli occhi, aprendo del tutto la porta e lasciando cadere il mestolo a terra, «Logan!» esclamai, sentendo il cuore battere all'impazzata.
Il suo sguardo cadde sul cucchiaio di legno a terra e lo sentii sogghignare, «pensavi di uccidermi con quello?» mormorò.
Incrociai le braccia al petto, trattenendo un sorriso, «sta' zitto, mi hai spaventata a morte.» borbottai, prima di chinarmi e raccoglierlo.
A quelle parole si accigliò, «scusami, non era mia intenzione.» ammise, arricciando le labbra.
Mi strinsi nelle spalle e lo invitai ad entrare, «stai bene, non è vero?» domandi, frettolosamente, scrutandolo con lo sguardo.
Annuì. Non era propriamente vero. Il livido sotto l'occhio, causato dal pugno di Justin, stava diventando violaceo e si teneva un braccio sullo stomaco, come se provasse ancora dolore.
«Non avrei voluto lasciarti lì, ma Justin-»
«Non importa.» mi interruppe, dolcemente, «tu non c'entri niente, è Bieber il colpevole di tutto.» aggiunse a denti stretti.
Annuii appena, d'accordo con lui, «sarei rimasta con te se solo me l'avesse permesso.» mormorai. Chi non l'avrebbe fatto?
Sorrise e mi sfiorò una guancia con le nocche, facendomi rabbrividire, «non avrei dovuto permettere che ti trascinasse via in quel modo.» sussurrò, avvicinandosi appena.
Sbattei più volte le palpebre, colta dalla sorpresa di quel gesto, ma non feci nulla per sottrarmi al suo contatto.
«S-stai bene davvero?» domandai, di nuovo, balbettando.
Le labbra si piegarono nuovamente in un sorriso e annuì, «sto bene. Domani sarò pieno di dolori, ma ora sto bene.» rispose, marcando le parole con il tipico accento londinese.
Socchiusi gli occhi quando la sua mano si aprì, soffermandosi sulla mia guancia. Lo sentii avvicinarsi, «qualcuno ti ha aiutato?» domandai, cercando di non pensare a quanto fosse vicino.
Rise, quasi divertito, «non mi ha conciato poi così male, Alexis.» disse, continuando ad accarezzarmi il viso.
Spalancai gli occhi, incontrando i suoi, «cosa?» dissi, senza fiato, «ho visto il modo in cui ti ha picchiato!»
Si strinse nelle spalle, «ho sopportato di peggio.» mormorò, con voce roca.
Deglutii, rimanendo in silenzio, non sapendo più cosa dire. Lo guardai negli occhi e per qualche secondo, mi ci persi. Erano di un azzurro intenso, non molto diverso dal mio, ma i suoi, in quel momento, erano più luminosi che mai.
«Perché sei venuto qui?» domandai, senza nemmeno rendermene conto.
La sua mano lasciò il mio viso, solo per scendere lungo il braccio e sfiorare la mia, prima di stringerla. Abbassai lo sguardo, ma fui subito sui suoi occhi, di nuovo.
«Volevo assicurarmi che stessi bene.» rispose, con voce suadente. Un calore improvviso si impossessò delle mie guance. Se ne accorse, perché sorrise languidamente.
Deglutii, «sto bene, credo.» mormorai, «sono solo un po' scossa.» aggiunsi.
Aggrottò le sopracciglia, «mi dispiace che tu abbia assistito a tutto ciò, davvero.» disse.
Mi strinsi nelle spalle, «sei stanca?» continuò.
Annuii, «sì, ma non riesco a dormire.» ammisi, sentendomi talmente stupida che abbassai lo sguardo. Senza che potessi rendermene conto, mi ritrovai stretta tra le braccia forti di Logan. Dopo un'istante di panico, mi rilassai, appoggiando la guancia sul suo petto. Emanava un vago odore di asfalto.
«Vuoi che resti qui per un po'?» propose, sussurrando sui miei capelli. Annuii, consapevole che se ne sarebbe accorto. Non lo conoscevo eppure, in quel momento, mi fidai di lui.
Sciolsi l'abbraccio e mi voltai, salendo le scale. Sentivo Logan dietro di me, così continuai a salire, fino a raggiunge la mia stanza, dove vi entrai.
Ero sicura che Logan fosse dentro, così mi voltai, decisa a chiudere la porta, quando mi scontrai contro di lui. Trasalii e, prontamente, Logan mise un braccio intorno alla mia vita, reggendomi e impedendomi di perdere l'equilibrio. Senza nemmeno pensarci, posai le mani sul suo petto. I suoi occhi furono nei miei, prima di abbassarsi e guardare le mie labbra, che si schiusero appena.
Si avvicinò, fino a che non sentii il suo respiro sul mio viso, solleticarmi appena. Sapevo che mi avrebbe baciata, ma non mi mossi. Qualcosa mi impedii di muovermi. Io stessa me lo impedii.
Trattenni il fiato quando le sue labbra si posarono sulle mie, decise, come se già sapesse che non mi sarei sottratta. Strinse la presa sui miei fianchi, avvicinandomi e facendo combaciare i nostri corpi. Afferrai il colletto della sua felpa, alzandomi appena sulle punte. Sentivo la mano bendata pulsare, come se stesse protestando per quel gesto. Le labbra di Logan schiusero le mie e intrappolò il mio labbro inferiore, mordendolo appena. Quando lasciai la felpa per allungare le mani e intrecciarle nei suoi capelli, un gemito scaturì dalla sua gola. Sentii la sua lingua cercare la mia e, questa volta, fui io a gemere. Senza che me ne accorgessi, eravamo arrivati ai piedi del letto. Logan fece in modo che mi ci sedessi e si abbassò, sfiorandomi le labbra con le sue, di nuovo e per gioco. Alzai il viso, per poter essere più vicino a lui e le mani furono sulla sua felpa. Con un unico movimento, se la sfilò, restando in canottiera, che metteva in risalto le sue spalle.
Mi guardò negli occhi, prima di chinarsi nuovamente su di me, facendo in modo che risalissi il materasso, sdraiandomi su di esso. Puntellandosi sui gomiti, fu su di me. Mi baciò di nuovo ed intrecciai le braccia al suo collo, avvicinandolo. Sentivo il suo peso su di me, nonostante si stesse trattenendo. Passò a baciarmi il collo e rabbrividii, inarcando la schiena e cozzando sul suo petto. Mormorò qualcosa, baciandomi la spalla, ma non riuscii a capire le esatte parole. Sentii solo il mio nome che, detto con quell'accento inglese, suonava estremamente sensuale. Le sue mani risalirono la mia gamba e si insinuarono sotto la maglia, sfiorandomi lo stomaco. La pelle d'oca seguì quel gesto e sospirai.
Alzò lo sguardo, inchiodandomi con gli occhi. Avevo il fiato corto, il petto si alzava e si abbassava velocemente.
Se un momento prima non volevo altro che continuasse a baciarmi, il momento dopo, il peso che sentivo, non fu più solo dovuto al suo corpo contro il mio. All'improvviso sentivo che non era giusto.
Logan è un bastardo, si approfitterà di te senza troppe cerimonie.
La voce di Justin rimbombò nella mia testa e sobbalzai per l'intensità con cui la sentii, quasi fosse accanto a me.
Logan aggrottò le sopracciglia e chiusi gli occhi, «non posso.»


 
 

Ci sono anche io :)

Here we are again, babes
Stiamo fatto il possibile per mantenere dei tempi di aggiornamento decenti e siamo davvero contente che la storia vi stia piacendo sempre di più.
Vi ringraziamo veramente tanto per le recensioni e per chi ha già messo la storia tra le preferite, siete dolcissime!
Siamo davvero curiose di sapere che cosa ne pensate di questo capitolo e di come si stanno svolgendo le cose tra Alexis e Logan - che da quanto abbiamo capito vi sta poco simpatico. haha

Vi postiamo i link delle nostre storie, se per caso aveste voglia di passare a leggerle :)

Catch me   ~   The Journey

Ci farebbe piacere sapere che cosa ne pensate.



Un bacione,
Giulia e Federica.
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Capitolo 11
*** Capitolo 10. ***


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Capitolo 10

 

Alexis

Dopo quella sera non avevo più visto né Logan né Justin, non avevo più avuto loro notizie.

Avevo trascorso quasi due settimane restando per conto mio, eccetto per un paio di volte in cui parlai al telefono con Andie. Mi aveva fatto bene rimanere estraniata dal resto della cittadina, avevo avuto il tempo di fare in modo che il ricordo di quella sera sfumasse, seppur non del tutto. Nella mia mente era ancora viva l’immagine di Logan disteso al suolo, degli occhi di Justin colmi di rammarico per avermi spaventato, e di nuovo Logan mentre mi baciava. Scossi velocemente il capo e provai a scacciare quei pensieri.
Ero comodamente sdraiata sul letto in camera mia, intenta a leggere un libro, quando il mio cellulare iniziò a dare segni di vita, spezzando bruscamente il silenzio.
Mi alzai svogliatamente dal letto ed afferrai il telefono posato sulla scrivania, portandolo all’orecchio.
«Ciao Andie.» risposi atona, lasciandomi cadere nuovamente sul letto dietro di me.
«Alexis, dimmi che sei libera questa sera!» disse lei, con voce squillante, e quella non suonava affatto come una domanda.
«Ehm… non lo so, io-» feci per rispondere, ma m’interruppe.
«Non accetto una risposta negativa, sono settimane che te ne stai relegata in casa.» esclamò, in tono ammonitore. Neanche fosse mia madre.

Sbuffai sonoramente, lasciandomi scappare un sorriso. «D’accordo, quali sono i piani?»

Mi aspettavo qualcosa di tranquillo, come andare a casa sua e affittare un dvd, ma poi, realizzando il fatto che si trattasse di Andie, scacciai quelle probabilità.

«Non so se lo sai, ma questa sera ci sarà il Luna Park in città e vorrei andarci visto che-»

«Non ci sarà Justin, vero?» domandai, interrompendola bruscamente.

Sbuffò, «Alexis, non ti chiederei di venire se ci fosse anche lui. Non sono così stronza e so per certo che lui e Simon non passerebbero mai la loro serata ad un Luna Park. Stai tranquilla.» mi rassicurò, usando un tono dolce, che mai le avevo sentito.

Dovevo fidarmi? Dopo tutto lei sapeva quando mi avesse scossa lo scontro tra Justin e Logan, non avrebbe di certo permesso che potessi avere a che fare con lui ancora una volta.

«D’accordo, verrò. A che ora?» domandai, ormai rassegnata ad uscire di casa.

Emise un gridolino di esaltazione ,«vieni da me verso le otto, io non ho la macchina stasera.» mi informò.

«Va bene, a dopo allora.» mormorai, salutandola e concludendo la chiamata. Gettai un’occhiata all’orologio appeso alla parete, mi rimanevano più di due ore prima di dover uscire e mia madre non era a casa.

Avevo intenzione di uscire prima che lei rientrasse, l’avrei avvisata tramite un bigliettino, dato che non avevo alcuna intenzione di ascoltare nuovamente la sua predica.

Da quando mi ero ferita la mano era diventata insopportabile ed io non avevo bisogno che mi facesse sentire più in trappola di quanto già non fossi. Trasferirci in quella piccola cittadina aveva stravolto del tutto le mie abitudini e questo già era sufficiente.

Mi chiusi in bagno e lasciai scorrere l’acqua fino a che non arrivò a temperatura, dopodiché mi ci fiondai sotto e lasciai che migliaia di gocce ricoprissero totalmente il mio corpo. Cercai di impiegare meno tempo possibile, non sapevo a che ora sarebbe tornata mia madre e non volevo rischiare.

Mi avvolsi un asciugamano attorno al corpo e ne presi un altro per asciugarmi alla bene e meglio i capelli.

Ritornai in camera e recuperai un paio di vestiti, li infilai dentro ad una borsa e, una volta trovate anche le scarpe, uscii di casa. I capelli erano ancora umidi, ma poco m’importava, sarei anche arrivata con largo anticipo a casa di Andie e avrei utilizzato quel tempo per prepararmi per la serata che ci aspettava.

Uscii frettolosamente di casa e mi avvicinai alla macchina, gettando la borsa sul sedile del passeggero e mettendo poi in moto. Nello stesso istante in cui imboccai la strada che mi avrebbe portato al centro del paese, riconobbi la macchina di mia madre nell’altro senso. Impallidii all’istante, ma cercai di mascherare il tutto con il sorriso più tirato che riuscii a fare. Per quei pochi secondi in cui i nostri sguardi rimasero incrociati, la vidi volgermi un’occhiata posta tra il fulmineo e lo stupito, ma la ignorai e la salutai con un leggero cenno di mano.

 

Nell’arco di una quindicina di minuti raggiunsi la casa di Andie, suonai il campanello e, non appena aprì la porta, mi guardò con aria interrogativa.

«Sì, lo so, sono in anticipo, ma non avevo alcuna intenzione di dover discutere con mia madre  un’altra volta, per cui sono uscita prima che tornasse e-»

«Alexis, tranquilla, non c’è problema.» m’interrupe lei ridendo e facendosi da parte, in modo che potessi entrare in casa.

«Ho portato un paio di vestiti, ero indecisa su quale indossare e- oh, ciao Sheela.» mormorai. Non mi ero minimamente accorta della sua presenza e, dall’espressione dipinta sul suo viso, capii che avrebbe preferito vedere un fantasma, piuttosto che trovarsi faccia a faccia con me.

«Ciao.» replicò atona, ritornando a smanettare con il suo cellulare.

«Ci sarà anche lei stasera?» domandai in un sussurro ad Andie.

Annuì, volgendomi un sorriso di scuse.

Sbuffai, roteando gli occhi, «e quando pensavi di dirmelo?» domandai, a denti stretti.

Si strinse nelle spalle, «seguimi.» mi disse Andie, iniziando a camminare verso la sua stanza. La seguii e gettai un’ultima occhiata a Sheela, seduta sul divano che digitava alcune lettere sul display del cellulare. Non appena fummo nella sua stanza, le volsi un’occhiata interrogativa.

«Che c’è?» mi domandò, aprendo poi l’armadio ed iniziando a spostare velocemente ogni singolo pezzo di stoffa che le capitò tra le mani.

«Abbiamo lasciato Sheela da sola.» le feci notare, ma, in tutta risposta, scosse le spalle.

«Sarà solo per due minuti, ti faccio vedere quello che metterò stasera. E poi lo so che non ti va a genio, avrei dovuto dirtelo prima, ma- che cosa ne pensi di questi?» cambiò totalmente discorso, mostrandomi una gonna rosa, lunga quanto bastava per coprirle poco più di metà coscia, e una camicetta bianca. Storsi il naso e scossi il capo, così me ne mostrò un altro.

«Questi?» domandò speranzosa, mostrandomi un paio di pantaloncini bianchi – molto più corto di quanto non fosse la gonna – ed una canotta blu. Annuii convinta ed approvai la scelta.

«Fammi vedere i tuoi.» disse e sembrò quasi un ordine, così tirai fuori dalla borsa ciò che avevo portato. Fece per guardare il primo abbinamento quando Sheela irruppe nella stanza, spalancando la porta e rischiando quasi di colpirmi con essa.

«Andie, io vado, ci vediamo più tardi.» mormorò e, dopo aver atteso un cenno d’assenso da Andie, si voltò e ci lasciò sole.

«Ciao anche a te.» dissi, rivolgendomi a Sheela che – fortunatamente – non mi sentì.

«Non farci caso.» commentò Andie, scrollando le spalle.

«Che le ho fatto?» domandai poi, curiosa di sapere perché quella ragazza, ogni qualvolta si ritrovava davanti la mia faccia, mi dedicava delle occhiate fulminee che – se solo fosse stato possibile – mi avrebbero incenerito.

Arricciò le labbra, «non lo so, non le vai a genio, tutto qui. Non mi ha detto il motivo. Suppongo perché sei appena arrivata.» buttò lì, senza preoccuparsi troppo.

Sbuffai sonoramente e mi sedetti sul letto, mentre Andie spostava ripetutamente lo sguardo da una maglietta all’altra.

«Sono indecisa.» mormorò poi mi guardò, sovrapponendo la mia figura con quella del top bianco.

«Forse sarebbe meglio quella nera.» commentai, «ho il terrore di macchiare anche quella, visto i precedenti.» aggiunsi, ricordando tutto quello che era successo ai miei poveri vestiti.

«Non accadrà di nuovo.» sbottò, volgendomi un’occhiata fulminea.

Lasciai cadere il discorso e scelsi comunque il top bianco, abbinandolo a dei pantaloncini di jeans. Infilai un paio di converse bianche e ci dedicammo al trucco. Una volta pronte, ci dirigemmo fuori dall’abitazione e salimmo in macchina.

«Dove sarebbe, esattamente, il Luna Park?» le domandai, mettendo in moto.

«Segui la strada.» spiegò, indicando il viale che la volta precedente ci aveva portato a casa di Sheela, «sempre dritto.» aggiunse, tirando appena giù il finestrino dell'auto e lasciando che un po' d'aria fresca entrasse nell'abitacolo.

Feci come mi aveva detto e guidai per una decina di minuti, fino a che non intravidi ciò che stavamo cercando. Il sole stava ormai per calare del tutto ed il posto era già gremito di gente, oltre ad Andie, non riconobbi nessuno e di questo ne fui sollevata. Non c’era nemmeno l’ombra di Sheela e ringraziai il cielo anche di questo.

«Zucchero filato?» mi domandò, con sguardo speranzoso, indicando lo stand di dolci.

«Ci sto.» risposi e la seguii sino alla bancarella.

Feci per afferrare quell’ammasso di cotone rosa, quando il mio sguardo incrociò gli occhi dell’ultima persona che avrei voluto vedere.

Due occhi color nocciola erano puntati nei miei e la mia espressione di stupore non era tanto diversa dalla sua.

 

 

Justin

 

Le parole di Killian divennero brusio incomprensibile quando lo sguardo di Alexis catturò il mio.

Erano settimane che non la vedevo e l'ultima volta non era stata una delle migliori. Ad essere sincero, non era mai capitato che tutto fosse andato nel verso giusto.

Era con Andie e la cosa mi sollevò: per una volta, non era in compagnia di quel bastardo di Logan.

La studiai per qualche istante: i pantaloncini che indossava mettevano in risalto le sue lunghe gambe e la scollatura della canotta era piuttosto pronunciata. Era bella, come sempre. Ricambiò il mio sguardo, sorpreso e quasi deluso nel vedermi lì. Simon mi diede una gomitata, costringendomi a distogliere gli occhi da quelli di Alexis.

«C'è Andie.» disse, facendo un cenno con il mento verso di loro.

Grazie Simon, non me n'ero accorto.

Contrassi la mascella, «ho visto.» mormorai.

«E c'è anche Alexis.» aggiunse, sgranocchiando qualche popcorn, distrattamente.

Sbuffai, «ho visto!» ripetei, spazientito. Simon si strinse nelle spalle, quando Scott si affiancò a noi, con una rossa sotto braccio.

«Ragazzi, lei è Sammy.» disse, presentandola. Mi voltai, dando le spalle ad Alexis ed Andie. La ragazza ci sorrise e feci un cenno veloce con la testa.

«Le mie amiche vorrebbero conoscervi.» ci informò. Simon e Killian scattarono sull'attenti, guardandosi intorno.

«Dove sono?» domandò Killian, improvvisamente rinvigorito. Scossi la testa.

La ragazza allungò un braccio, indicando il gruppo di amiche, vicino ad una giostra, le quali, notando che le stavamo fissando, ridacchiarono. Simon mi lasciò il sacchetto di popcorn e, seguito da Killian come un'ombra, le raggiunse. Scott e Sammy fecero per muovere qualche passo, quando Scott si voltò verso di me, «tu vieni?» chiese.

Scossi la testa, «faccio un giro.» risposi, prima di fargli un cenno con il capo e dare loro le spalle, prendendo la direzione opposta. Con la coda dell'occhio continuai a tenere d'occhio Alexis ed Andie, ma non mi avvicinai. Dovevo parlare con Alexis, ma non con Andie presente. Avrebbe rovinato tutto.

Feci il giro di una bancarella, per averle nella mia visuale. Stavano mangiando dello zucchero filato e vidi Alexis fare una smorfia quando le sue dita si appiccicarono per via dello zucchero. Le portò alle labbra, cercando di leccare via l'appiccicaticcio e dovetti distogliere lo sguardo di fronte a quel gesto. Sembrava non rendersi conto di quanto sensuale potesse sembrare. Scossi la testa e alla mia destra apparve Sheela, tanto velocemente che quasi sobbalzai. Non l'avevo sentita arrivare.

«Justin.» sorrise, sfiorandomi il braccio nudo. Deglutii, cercando di non sembrare infastidito dalla sua presenza.

«Sheela, come stai?» domandai, senza troppo interesse. Si strinse nelle spalle e si posizionò di fronte a me, oscurandomi la visuale di Alexis. Evitai di scostarla, non volevo che sospettasse nulla.

«Bene, ma starei meglio se potessimo andarcene da questa noiosa fiera.» mormorò, avvicinandosi a me e sfiorandomi il busto con le dita, soffermandosi sui pettorali, «i miei non ci sono, ti va di venire?» propose, risalendo al collo e sfiorandomi i capelli.

Le presi i polsi, costringendola lasciarmi, «no, non mi va.» risposi secco. Ogni tanto ci divertivamo, ma non ero dell'umore giusto.

Inarcò le sopracciglia, ma allungò il viso, annullando la distanza che ci separava e posò le sue labbra sulle mie, con decisione. Rimasi immobile, ma sentii la sua lingua cercare la mia e la sua mano scendere fino al cavallo dei jeans. Di nuovo, le presi il braccio.

«Smettila Sheela, ho detto che non mi va.» ripetei, oramai nervoso.

Sheela sorrise, non sembrava arrabbiata. Mi conosceva, sapeva com'ero fatto, «ieri sera non dicevi così, però.» ribatté, incrociando le braccia al petto.

Alzai gli occhi al cielo, «ieri sera volevo venire a letto con te, ora no. Trovati qualcun altro.» sbottai, spingendola da parte, in modo da tornare a guardare Alexis. Lei ed Andie stavano ridendo, ma per un secondo, i nostri occhi si incontrarono di nuovo. Il brillantino che portava al naso, grazie ad un gioco di luci, brillò.

Sheela si accorse che stavo guardando qualcosa oltre le sue spalle, così si voltò e sbuffò, «non verrà a letto con te.» disse semplicemente.

Contrassi la mascella, «sta con Logan, non è vero?» aggiunse, stuzzicandomi.

«Stai zitta Sheela e vai a fare la puttana altrove.» ribattei, con quanta più acidità potei.

Scoppiò in una risata amara, «questo non cambia le cose. Non riuscirai ad averla Justin. Sta con Logan e dubito che lo lascerà perdere tanto facilmente.» continuò, come se nemmeno si fosse accorta che l'avevo insultata.

La fulminai con lo sguardo, «non voglio portarmela a letto, voglio solo parlarle.» borbottai.

Sheela inarcò il sopracciglio destro, «con me non hai bisogno di parlare. Vieni a casa mia, dai.» continuò, sperando di convincermi.

Sbuffai, indietreggiando per evitare che mi toccasse, «vattene.» esclamai, allargando le braccia, oramai esasperato.

Si strinse nelle spalle, si avvicinò, lasciandomi un bacio a poca distanza dalle labbra e, finalmente, se ne andò, lasciandomi solo. Andie e Alexis erano ancora là, così decisi di andare da loro. Avrei trovato un modo per distrarre Andie e fare sì che ci lasciasse soli.

Con passo deciso mi avvicinai, affiancandomi a loro. Mi fermai alle spalle di Alexis e Andie, vedendomi, mi trafisse con uno sguardo gelido, che cercai di ignorare. Alexis si voltò e quasi sobbalzò, facendo qualche passo indietro.

«Possiamo aiutarti?» domandò Andie, stizzita e leccandosi le labbra dallo zucchero.

Deglutii, «sì. Sparisci, devo parlare con Alexis.» risposi, guardando Alexis negli occhi. Aggrottò le sopracciglia e fece per ribattere, ma Andie fu più veloce.

«Non credo proprio.» rise, amaramente, gettando il bastoncino di legno dello zucchero filato, oramai finito.

Questa volta fui io a trafiggerla con lo sguardo, «chi sei, il suo avvocato? Vattene.» ripetei, sperando che obbedisse.

Strinse i pugni lungo i fianchi e per un attimo pensai che mi potesse dare uno schiaffo, ma fortunatamente, non lo fece. Era una ragazza forte e avevo già sperimentato un suo ceffone. Avevo avuto le cinque dita stampate sulla guancia per qualche ora.

«Smettila di darmi ordini, Alexis non vuole parlare con te.» sbottò, incrociando poi le braccia al petto.

Scossi la testa, aggrottando le sopracciglia. Tornai a guardare Alexis, pregandola con lo sguardo. Sembrò cogliere la mia supplica, perché si voltò verso Andie e le mise una mano sulla spalla, «Andie-»

«Non posso crederci!» esclamò, interrompendola, «non ti capisco, davvero.» borbottò.

Alexis sospirò, «vado a cercare mio cugino. Se hai bisogno chiamami.» aggiunse.

Emisi un verso strozzato, «non le farò del male.» borbottai.

Entrambe mi guardarono, ma fu di nuovo Andie a prendere parola, «no, certo, lo hai già fatto.» ringhiò, a denti stretti, prima di darci le spalle e incamminarsi verso una meta sconosciuta.

Rimanemmo soli e Alexis sospirò di nuovo, così mi voltai verso di lei, «non ho niente da dirti, Justin.» mormorò, iniziando a camminare. Ci misi un attimo a realizzare che se ne stava andando, così corsi per affiancarla, «io invece sì, quindi almeno ascoltami.» dissi, schiarendomi la voce.

Si fermò all'improvviso, costringendomi ad arrestare i miei passi e scosse la testa, «per favore.» la pregai.

Sbuffò, ma alla fine annuì. Le sorrisi e feci cenno verso una zona meno rumorosa. Riluttante mi seguì.

«Non ti ho visto per quasi due settimane.» cominciai, cercando di iniziare il discorso.

Si strinse nelle spalle, «non sono uscita di casa. Volevo stare da sola.» rispose, con tono pacato.

Mi accigliai, ma annuii. La presi delicatamente per il polso – la mano non era più fasciata e la cosa mi sollevò parecchio – e la condussi in un angolo piuttosto isolato, appena illuminato. Era l'unico posto dove potessimo parlare senza il rumore della musica e degli schiamazzi. Si guardò intorno sospettosa, «non voglio farti nulla, solo parlare, promesso.» la tranquillizzai. Annuii leggermente, inumidendosi le labbra. Probabilmente aveva ancora dello zucchero e dovetti trattenermi dal constatarlo io stesso.

Mi schiarii la voce, cercando di scacciare quei pensieri poco casti, «ci tenevo a scusarmi e io non sono il tipo che scende così in basso.» si accigliò, così mi affrettai a continuare, prima che potesse interrompermi, «mi hai detto di avere paura di me, ma non devi.»

«Justin-»

«No.» scossi la testa, «Logan è- stare con lui è pericoloso. So che non sono nessuno per dirti cosa puoi fare o con chi tu possa stare, ma lui non fa per te. Non fa per nessuno, a dire la verità. È pericoloso, credimi, non è chi tu pensi che sia. Fa il gentile, è nella sua natura, ma è solo una trappola e tu ci sei caduta in pieno, Alexis.»

Aggrottò le sopracciglia, incrociando le braccia al petto, «hai ragione.» mormorò e spalancai gli occhi, «non sei nessuno per dirmi cosa posso fare o meglio, con chi posso stare.» aggiunse, velocemente.

Emisi un verso di piena frustrazione, «Alexis-»

«Non mi ha mai fatto del male, mai. Ho paura di te, sì. Lo hai picchiato davanti ai miei occhi e mi hai costretto ad abbandonarlo, dopo lo stato in cui lo avevi ridotto. Come puoi pretendere che non abbia paura di te, Justin?» chiese, retoricamente.

Mi avvicinai, fermandomi così vicino che quasi il mio naso sfiorava il suo. Sentivo l'odore dello zucchero filato sulle sue labbra, «non voglio che tu abbia paura di me.» mormorai, soffiandole sul viso. Rabbrividì, «mi dispiace per quello che è successo, so di aver esagerato e per quando lo odi, sono consapevole di non aver fatto una bella figura ai tuoi occhi, ma conosco Logan, so come si comporta con le ragazze. Fa il carino, mostra un lato di sé che non esiste. Lui non è così, Alexis.» aggiunsi, mettendole una mano sulla spalla.

Rimase in silenzio e deglutì. Ero un po' troppo vicino a lei, così distolsi lo sguardo dai suoi occhi azzurri e abbassai lo sguardo, facendo un passo indietro. Scossi la testa e misi le mani in tasca. La sentii prendere un respiro, così tornai a guardarla.

«Mi piace stare con lui.» disse e sentii un moto di rabbia – e gelosia – impossessarsi di me, ma rimasi immobile, senza dire una sola parola, sperando che il mio corpo non tradisse quello che stavo provando, «e non lo lascerò perdere solo perché a te non va a genio.» aggiunse.

Mi morsi il labbro quasi a sangue per evitare di mettermi ad urlare e scossi la testa, «se non dovesse andare, potrai dire “te l'avevo detto”, ma fino ad allora, stai fuori dalla mia vita, Justin.» concluse, scansandomi con una spallata, per tornare alla fiera.

Contrassi la mascella, ma mi voltai e la fermai, prendendola per il gomito, costringendola a tornare indietro. Fui piuttosto brusco perché si scontrò con il mio petto, senza avere nemmeno il tempo di farsi scudo con le mani. I capelli mi solleticarono il viso e il collo e rabbrividii quando il suo profumo mi riempii le narici.

«Aspetta un secondo.» mormorai. Mi fissò con occhi sgranati e mise le mani sul mio petto, allontanandosi appena, ma la fermai, prendendole entrambi i polsi, «non voglio stare fuori dalla tua vita.» arrossì e distolse lo sguardo, «vuoi stare con lui? D'accordo, ma non tagliarmi fuori. Proviamo ad essere almeno amici. Non sono poi così male.» proposi, stringendomi nelle spalle.

Le sue labbra si piegarono in un mezzo sorriso; stava cercando di trattenerlo, ma con scarsi risultati.

«Facciamo un accordo, ti va?» domandai, sperando vivamente che accettasse.

Inarcò il sopracciglio sinistro, «di che tipo?» ribatté.

Mi inumidii le labbra, pensando alla svelta. Il mio sguardo si posò su di una bancarella a qualche metro da noi. Sorrisi, sapendo di avere già la vittoria in pungo. Era uno stand con vari pupazzi, dietro ad una schiera di tre canestri. Un gioco semplicissimo, almeno per me.

Le feci un cenno con il mento, al ché si voltò, inquadrandola, «giochiamo. Se vinco io, dovrai diventare mia amica.»

«E se perdi?» domandò, inclinando la testa di lato.

Mi strinsi nelle spalle, «non ti darò più fastidio.» risposi sicuro. Non avrei perso. Non perdevo mai.

Sembrò pensarci su per un po', poi annuì, «andata.»


 



 

Ci sono anche io :)

Aye, sweeties 
Perdonateci il piccolo ritardo, abbiamo rallentato un po' i tempi.
By the way, Justin ha fatto di tutto pur di tentare di riallacciare i rapporti con Alexis e vedremo se avrà la meglio, oppure no. Voi che dite?
Vi ringraziamo tantissimo per le recensioni e per aver inserito la storia tra le preferite, ci teniamo davvero tanto che questa storia venga conosciuta.

Vi lasciamo il link di una storia che stiamo scrivendo insieme a collinstrilogy.
Ci farebbe davvero piacere se ci lasciaste un vostro parere (:

Eye candy
 


Un bacione,
Giulia e Federica.
Per sapere quando aggiorniamo, seguiteci su twitter:
Giulia (
@Belieber4Choice) Federica (@breathinjiley)
Vi lasciamo anche ask per qualsiasi cosa: 
Giulia e Federica.

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11. ***


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Capitolo 11
   
A quelle parole mi aprii in un sorriso. Amavo le sfide più di qualsiasi cosa e, il fatto che questa implicasse la presenza di Alexis, mi stava mandando su di giri.
Le feci un cenno con la testa verso la bancarella dall’altra parte della strada, esattamente di fronte a noi. Inarcò leggermente un sopracciglio, con fare di sfida e mi precedette. Ci impiegai un istante prima di realizzare che non mi avrebbe aspettato, così accelerai il passo, affiancandola. Le posai una mano sulla schiena, come a guidarla. Non si tirò indietro, girò solamente il viso per un momento, sorridendomi e facendomi l’occhiolino. Grazie alle luci stroboscopiche, l’orecchino che aveva al naso luccicò. Mi morsi il labbro pensando a mille modi per non trascinarla via da quel casino.
Scossi la testa, scacciando i pensieri e ci fermammo davanti allo stand. Altre persone stavano giocando, ma c’erano abbastanza canestri per tutti.
«Come te la cavi a questo gioco?» la stuzzicai, soppesando una palla da basket.
Alexis fece la stessa cosa, voltandosi verso di me e tenendo la palla sul palmo della mano, «io non perdo mai.» ribatté, posandola e aspettando che il proprietario venisse da noi.
Mi inumidii le labbra, sogghignando, «divertente, perché nemmeno io perdo mai.» abbassai leggermente il tono di voce, protendendomi verso di lei. Rabbrividì appena, ma me ne accorsi.
Distolse lo sguardo, imbarazzata, agitando una mano per attirare l’attenzione del ragazzo che, notandola, si avvicinò, esibendo un sorriso.
«Vuoi giocare?» domandò, come se non fosse ovvio. Patetico il modo in cui provava a flirtare con lei.
Alexis si morse il labbro, sfiorandosi una ciocca di capelli, «voglio vincere.» ribatté, usando il tono più sensuale che le avessi mai sentito.
Il ragazzo annuì, voltandosi e dando poi una palla da basket ad Alexis, che la prese e la soppesò.
Voltò la testa di lato e le feci un cenno con il mento, «prima le signore.» mormorai, poggiando entrambi i gomiti sul bancone, aspettando che tirasse.
Sorrise appena e fece un passo indietro, studiando la distanza e probabilmente quanta forza avrebbe dovuto impiegare per fare canestro al primo colpo. Senza volerlo sentii il cuore accelerare. Non potevo perdere.
Alexis prese un respiro e chiuse l’occhio sinistro, prima di allungare le braccia appena sopra la testa e tirare: canestro. Sentii una morsa allo stomaco, ma le sorrisi. Doveva sbagliare.
«Uno su tre.» disse, con tono di superiorità.
Mi pizzicai la punta del naso, «te ne restano ancora due.» le ricordai.
Il ragazzo le passò nuovamente la palla. Di nuovo fece un passo indietro, prese la mira e questa volta notai la lingua in mezzo ai denti. Si stava concentrando ed era dannatamente sexy. Sembrò impiegarci più tempo di prima e quando alzò le braccia, il mio cuore accelerò; canestro, di nuovo.
Imprecai mentalmente, ma rimasi immobile.
«Due su tre.» mormorò, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, «a quanto pare qualcuno mi dovrà lasciare in pace.» aggiunse, sogghignando.
Abbassai le braccia, stringendo i pugni lungo i fianchi, ma stando ben attento a non farmi notare, «un patto è un patto. Lancia.» le ordinai.
Annuì, riprendendo la palla che il ragazzo le stava porgendo. Il solito passo indietro, chiuse di nuovo l’occhio sinistro e lanciò. Si sbilanciò leggermente verso destra e il mio cuore accelerò di nuovo. Trattenni il fiato fino a quando la palla, invece che entrare diretta, come aveva fatto per le altre due volte, sfiorò il ferro circolare del canestro, facendola sbandare e finire al suolo.
Mi ritrovai a sorridere mentre Alexis imprecò a denti stretti. Cambiò totalmente espressione. Il sorriso e lo sguardo di sfida era scomparso e aveva lasciato spazio al fastidio e al nervosismo. Fischiai, sogghignando il secondo dopo e Alexis mi lanciò uno sguardo gelido.
«A quanto pare, tocca a me.» mormorai, prendendo il suo posto e sfiorando il suo braccio, quando fu alla mia sinistra. Posai due dollari sul bancone, pagando anche per i tiri di Alexis e presi la palla che il ragazzo, questa volta, porgeva a me.
Mi sciolsi le spalle ed il collo, posizionandomi esattamente davanti al canestro. Avevo tirato talmente tante volte che non avevo bisogno di troppa concentrazione. Presi giusto un respiro, per non rischiare di rovinare tutto con la mia solita arroganza e superficialità. Alzai le braccia e tirai: canestro senza alcun difetto. Guardai Alexis con la coda dell’occhio e immediatamente ripresi palla. Sorrisi tra me e me e non esitai a lanciare. Di nuovo canestro, senza l’ombra di un difetto. Alexis imprecò e sogghignai, voltandomi verso di lei.
«Due su tre.» ridacchiai, prendendo la palla e facendola ruotare sull’indice per qualche secondo, prima di fermarla e riprenderla, soppesandola sul palmo della mano.
Alexis si strinse nelle spalle, «tira.» disse, a bassa voce, facendo un cenno verso il canestro.
Alzai solamente la mano destra, guardai appena e lanciai: ennesimo canestro. La palla cadde a terra, rimbalzando per qualche istante prima che il ragazzo la prendesse e la rimettesse nella cesta.
Mi inumidii le labbra, avvicinandomi ad Alexis, «qualcuno dovrà diventare mia amica.» canzonai, sentendo la morsa allo stomaco allentarsi del tutto, lasciando spazio all’euforia.
Alexis scosse la testa, sbuffando, «e se mi rifiutassi?» ribatté, inarcando un sopracciglio.
Sorrisi, «saresti una codarda.» sussurrai, al suo orecchio. Rabbrividì e mi fulminò con lo sguardo.
«Io non sono una codarda.» esclamò. Le sue guance si arrossarono e dovetti stringere i pugni nuovamente, combattendo l’impulso di trascinarla via di lì per stare solo con lei.
«Rimani fedele al nostro patto allora.» sogghignai, passandomi una mano tra i capelli.
Si morse il labbro, ma annuì. Mossi qualche passo per allontanarmi e tornare alla festa, ma il ragazzo mi richiamò.
«Amico, aspetta!» esclamò, sovrastando la musica. Sia io che Alexis ci voltammo, ritornando sui nostri passi, «hai fatto tre canestri, hai diritto ad un premio. Scegli quello che ti pare.» disse, indicando la schiera di peluche alle sue spalle.
Aggrottai le sopracciglia, poi mi voltai verso Alexis, «coraggio scegli.» mormorai.
Alexis sembrò spiazzata perché impiegò qualche istante a realizzare e a rispondere alla mia domanda, «no, non voglio niente.» disse, sventolando una mano davanti al viso.
Le diedi una leggera gomitata, «ho vinto, uno devo prenderlo per forza e, dato che non sono il tipo che dorme con dei pupazzi, scegline uno e sarà tuo.» ripetei, annuendo brevemente.
«Ho detto no, non voglio niente.» ripeté, incrociando le braccia al petto.
Inclinai la testa di lato, senza dire nulla. Mi limitai a fissarla. Stava trattenendo un sorriso, gli angoli delle labbra erano leggermente alzati. Gli occhi azzurri luccicavano sotto le luci delle giostre e degli stand. Non era truccata pesantemente – a differenza di Andie – e quello che indossava, seppure fosse qualcosa di davvero semplice, la rendeva sensuale come poche. Di solito riservavo a Sheela quei pensieri, ma da quando avevo visto Alexis, ero stato costretto a rivalutare le cose.
Sin da subito avevo pensato a lei in quel modo. L’avevo vista per la prima volta a casa della zia di Andie, il giorno della festa, e ricordavo esattamente il vestito che indossava quel giorno e quanto le calzasse a pennello, sottolineandole le curve.
Aveva un paio di pantaloncini molto semplici, ma le fasciavano le gambe e il fondoschiena in modo perfetto. La scollatura della canotta lasciava intravedere una parte del reggiseno di pizzo che indossava e improvvisamente immaginai noi due in una stanza, mentre con lentezza iniziavo a toglierle la maglia, scoprendo quel corpo e quella pelle che-
«Justin!» esclamò Alexis, schioccandomi le dita davanti agli occhi. Sobbalzai, scacciando immediatamente quei pensieri e tornando alla realtà.
«Mi stavi guardando il seno?» domandò, dandomi una leggera spinta che mi fece barcollare un momento.
Scossi la testa, deglutendo, «c-cosa? No.» balbettai, distogliendo lo sguardo e massaggiandomi il collo, imbarazzato per essere stato colto in fallo.
Alexis borbottò qualcosa, ma non riuscii a capire a pieno cosa intendesse dire, «allora, hai scelto?» domandai, cambiando discorso.
Annuì, «voglio quello.» rispose, indicando un piccola civetta bianca, alla destra di un enorme peluche a forma di tigre.
Il ragazzo dietro al bancone annuì e lo tirò giù, posandolo sul piano davanti ad Alexis. Lo prese e lo strinse tra le braccai.
Sorrisi, «come mai proprio quello?» domandai, anche se in parte sapevo quale potesse essere la risposta.
Si strinse nelle spalle, prima di indicare il mio braccio sinistro, «il tuo tatuaggio.» rispose e abbassai lo sguardo, «mi piace e visto che in realtà sarebbe tuo, perché non qualcosa che mi ricordi te?» aggiunse.  Quando alzai lo sguardo vidi un leggero rossore sulle sue guance, ma non feci altro che annuire e sorriderle.
«Ti piace il mio tatuaggio?» domandai, iniziando a camminare, diretto verso la fiera. Alexis fu al mio fianco e misi le mani in tasca.
Annuì, «molto. Mi piacciono i tatuaggi in generale, a dire il vero.» mormorò, guardando distrattamente il piccolo gufo che aveva tra le mani.
«Ne hai qualcuno?» chiesi, nonostante sapessi in buona parte la risposta. Sorrise, incrociando il mio sguardo e mostrandomi la mano sinistra, «ne ho alcuni.» rispose.
Notai un piccolo cuoricino sul mignolo e un’ancora sul polso.
«Ne ho visto anche un altro, molto più grosso, il giorno della festa a casa della zia di Andie. Devo ammettere che non mi dispiacerebbe vederlo meglio.» mormorai, abbassando di proposito il tono di voce.
 
 
 
Rimasi in silenzio, con lo sguardo puntato su di lui, mentre nella mia mente riascoltai ogni singola parola appena uscita dalle sue labbra. Sul suo viso era comparso uno strano sorriso, ma scomparì quasi subito, accompagnato da un leggero movimento del capo, quasi come se avesse voluto nascondere ciò che – per sua sfortuna – avevo sentito.
Strinsi maggiormente tra le braccia quel gufo di peluche, sorprendendomi ancora una volta della scelta  che avevo fatto. Avrei potuto scegliere qualcos’altro, quegli scaffali erano pieni di pupazzi: avrei potuto scegliere un gatto, un orso, una foca… invece avevo scelto il gufo e tutto questo perché sentivo di avere una strana fissazione con il disegno riprodotto sul suo braccio.
«Allora, che cosa vuoi fare adesso?» mi domandò, strappandomi dai miei pensieri – e di questo gliene fui grata – fin troppo incoerenti per poter anche solo essere credibili, eppure lo stavano diventando.
«Non ne ho idea, ma forse sarà il caso che ritorni da Andie. L’ho lasciata chissà dove e mi starà cercando.» risposi – azzardando quell’ipotesi che, probabilmente, non poteva essere nemmeno lontanamente vera - ma, ancor prima che potessi guardarmi attorno, m’indicò un punto preciso avanti a sé e vidi la mia amica impegnata a parlare con quello che – di spalle – mi sembrava Killian.
«Mi ha rimpiazzata in fretta.» commentai, arricciando lievemente le labbra e stringendomi nelle spalle.
«Non penso tu debba preoccuparti, sono soltanto amici.» mormorò Justin, iniziando a camminare e lo seguii, affiancandolo.
«Oh, mi preoccupo invece. Non siete esattamente le persone più raccomandabili presenti su questo pianeta.» assunsi un tono di voce ironico, ma c’era tanta verità in quelle mie parole e – purtroppo o per sfortuna - non colse il sarcasmo.
«Te lo ripeto, Alexis, non è di noi che dovresti preoccuparti, ma di quel bastardo con cui sei uscita qualche settimana fa.»
Gli volsi un’espressione scioccata e rimasi a fissarlo con gli occhi sbarrati per diversi istanti. «L’hai ridotto malissimo e, per di più, lo hai lasciato da solo in mezzo alla strada. Chi è quello poco raccomandabile, adesso?»
Lo sentii sbuffare ed incrociai le braccia al petto, dedicandogli un’occhiata di sufficienza.
«Sempre lui e, fidati, se solo sapessi il motivo, la penseresti come me.»
Roteai gli occhi e continuai a fissarlo. «Allora illuminami, dimmi il motivo.» dissi semplicemente, ma lo vidi scuotere il capo e mordersi il labbro. Eppure non mi sembrava di avergli chiesto una cosa così complicata. «Finora quello in torto sei tu: lo hai picchiato, gli hai incendiato la casa e-»
«Sì, d’accordo, ho capito e c’è un motivo per cui l’ho fatto, ma non te lo dirò.»
Mi sorpassò, accelerando di poco il passo, ma non volevo far cadere il discorso.
«Perché no?» insistetti, raggiungendolo.
«Non è una cosa che riguarda direttamente me, per tanto, non è da me che lo saprai. Fine della spiegazione.» disse velocemente, per poi mostrarmi un sorriso aperto e zittendomi definitivamente.
Mi arresi all’idea di porgli altre domande sia perché temevo di farlo alterare – e, visti i precedenti, l’idea non mi allettava – e sia perché non volevo rovinare quella serata, dopotutto era… simpatico.
«Allora, che cosa vorresti fare adesso, amica?» mi domandò, trattenendosi dal rilasciare una leggera risata. «Wow, allora fai sul serio.» ribattei, guardandolo con aria stupita, dopodiché posai lo sguardo avanti a me, inquadrando la ruota panoramica totalmente illuminata e rimanendo a fissare quel movimento circolare per una manciata di secondi.
«Dai, saliamoci.» mi disse, distogliendomi dai miei pensieri.
«Cosa? Veramente io-»
«Non avrai mica paura...» mi schernì, per poi afferrarmi per il polso – rischiando quasi di farmi cadere il pupazzo – ed iniziando a trascinarmi verso l’attrazione sulla quale, erroneamente, avevo posato lo sguardo.
Dannazione.
Fui costretta a seguirlo, evitando a fatica di scontrarmi con ogni singola persona che camminava nel verso opposto al nostro – e rischiando quasi di farmi finire addosso la mela caramellata che un ragazzino reggeva tra le mani. La stretta della sua mano era ancora saldamente avvolta attorno al mio polso e così fu fino a quando non raggiungemmo la ruota. Mi lasciò il polso solo per avere più libertà nell’estrarre il portafoglio dalla tasca dei jeans, altrimenti non avrebbe allentato la presa, di questo ne ero certa. Pagò due biglietti, di cui uno lo porse a me, e ci avviammo verso la ruota, aspettando pazientemente di poter entrare nella prima cabina libera.
«Non soffri di vertigini, vero?» mi domandò, precedendomi e porgendomi la mano, ma non l’afferrai.
«Vivevo a New York, non so se hai presente quella grande città formata, per lo più, da grattacieli alti centinaia di metri.» ribattei, zittendolo, e lo vidi alzare le mani in segno di resa.
Ci sedemmo l’uno accanto all’altra e giurai che cinque centimetri furono anche fin troppi per descrivere la distanza che separava la mia gamba destra dalla sua sinistra.
«Non credevo che fossi così acida.» borbottò e lo fulminai con lo sguardo, facendolo ridere.
«Non sono acida.»
«Hai ragione, sei fredda.» disse infine, volgendo lo sguardo avanti a sé.
«Forse con te sì, ma non è di certo colpa mia.»
Sbuffò sonoramente, ma poi si lasciò andare in una leggera risata e cessammo di parlare man mano che prendevamo quota. Un leggero venticello ci scompigliava lievemente i capelli ed avvertii alcuni brividi sulle braccia e sulle gambe scoperte, ma non ci feci caso. Mantenni posato lo sguardo avanti a me, ammirando tutto ciò che al momento era illuminato ed era magnifico. Avevo sempre amato vedere le città dall’alto e, da quando avevo lasciato New York, non avevo più potuto farlo.
«Mi sorge spontanea una domanda.» mormorò, strappandomi dai miei pensieri, e mi voltai immediatamente verso di lui, inquadrando il suo profilo e rimanendo alcuni istanti a studiarlo. Non aveva un difetto, questo dovevo ammetterlo, persino quei capelli scompigliati sembravano essere esattamente al loro posto.
«Ovvero?» dissi, incitandolo a continuare.
«Hai per caso cambiato idea su di me?»
Socchiusi di poco le labbra, volevo rispondere, volevo dire qualcosa, ma dalla mia bocca non uscì alcun suono. In realtà, non lo sapevo nemmeno io. Non sapevo per quale assurda ragione non avessi trovato una scusa per non dargliela vinta con quella scommessa, avrei potuto rifiutarmi, ma non lo avevo fatto.
«Non illuderti, Justin.» biascicai, stringendomi nelle spalle e riportando lo sguardo in avanti, «forse, e sottolineo forse, mi stai leggermente più simpatico di prima, ma ciò non significa che io abbia cambiato idea.»
«Hai ancora paura di me?»
Sì?
No?
Forse.
«Sì, ma meno di prima.»
Avrei davvero preferito rispondere negativamente, ma non avevo trovato il coraggio di mentire. Non ero ancora riuscita a trovare una sola ragione per vederlo sotto ad un’altra luce, soprattutto dopo ciò che era successo.
«So che cambierai idea.» ribatté, abbozzando un sorriso, il quale mi fece rimanere senza parole.
Forse, tempo prima, avrei volentieri ribattuto, ribadendo il fatto che era lui ad essere in torto, ma rimasi in silenzio e mi odiai per questo.
 
Il giro a bordo di quella ruota panoramica era quasi giunto al termine ed avrei tanto voluto poterlo prolungare, ma non feci nulla per farglielo capire ed il silenzio continuò a regnare tra noi, diventando quasi imbarazzante.
Una volta ritornati con i piedi per terra, avanzammo per qualche metro, ritornando nella direzione verso la quale avevo miseramente perso la scommessa. Camminavamo vicini, tanto che le nostre braccia erano riuscite a sfiorarsi alcune volte ed io, puntualmente, avvertivo quei dannati brividi percorrermi la schiena.
«Sarei troppo insistente se ti chiedessi di continuare a vederci?» mi domandò, arrestando i suoi passi ed io feci lo stesso. Quando quelle parole uscirono dalla sua bocca, rimasi attonita, soffermandomi, più che altro, sul modo in cui le aveva pronunciate. Lo sguardo era rivolto al suolo e con la mano sinistra poggiata dietro la nuca mi aveva fatto intendere che era parecchio nervoso. Mi morsi il labbro, notando ancora una volta quella miriade di tatuaggi presenti su quel braccio, ed abbozzai un sorriso.
«No, direi di no. A patto che tu non finisca un’altra volta a picchiare qualche altro ragazzo.» risposi, posando poi lo sguardo sulla punta delle mie scarpe.
«Nemmeno se si tratta di Logan?» mi domandò con tono ironico.
«Soprattutto.» biascicai, lanciandogli un’occhiata fulminea, ma finii comunque per sorridere.
Ero ormai prossima a riprendere a camminare quando la sua figura, ormai troppo vicina alla mia, m’impedì di compiere un solo altro passo. Mi ritrovai il suo viso a pochi centimetri dal mio, con quei suoi occhi color nocciola puntati dritti nei miei e ciò fece accelerare di poco il battito del mio cuore.
Non seppi esattamente quanto tempo rimasi con lo sguardo intrecciato al suo, ma sicuramente abbastanza per realizzare che tutto ciò che mi circondava non aveva più  importanza. Ero quasi arrivata a non sentire nemmeno più quell’odiosa canzoncina che ogni bancarella insisteva nel riprodurre continuamente per attirare clienti. Non mi azzardai nemmeno a voltarmi quando qualcuno mi urtò, camminando a passo veloce accanto a me.
Sentii le gambe cedere nell’istante in cui realizzai di avere le sue labbra posate sulle mie. I miei occhi erano ancora spalancati, non mi aspettavo un gesto del genere, non adesso, ma non feci nulla per evitare che accadesse, tutt’altro, rimasi immobile ad assaporare le sue labbra morbide premute contro le mie.
«Spero di non essere stato troppo insistente nemmeno con questo.» mormorò infine, allontanandosi da me e dedicandomi un sorriso dolce.
Non dissi nulla, mi limitai a scuotere il capo ed a sorridere a mia volta. Anche volendo, non avrei mai trovato le parole giuste da dire e, l’ultima cosa che volevo, era rovinare quel momento.
 
 
  
 
 
Non avevo tolto gli occhi da Justin per un solo istante, sebbene fossi rimasta a parecchi metri di distanza da loro, avevo seguito ogni movimento e ciò che mi si era parato davanti agli occhi non mi piacque per niente. Non sopportavo a pelle Alexis e non avevo idea di quali buone qualità avesse per far sì che Andie ci diventasse amica.
«Se può farti sentire meglio, non credo le interessi Justin.» mormorò Andie, infilando la mano nel sacchetto di carta colmo di caramelle.
Le dedicai un’occhiata di sufficienza e sbuffai. Li avevo visti allontanarsi dalla ruota panoramica e dirigersi verso la nostra direzione.
«Puoi non pensare a quelle tue stupide caramelle per un momento?» sbottai, rivolgendomi alla mia amica.
«Ma che ti prende? E poi, per quale ragione pensi che sia venuta al Luna Park, se non per le caramelle e lo zucchero filato?»
Scossi il capo e chiusi gli occhi. «La cosa peggiore è che la pensi davvero così.» Feci appena in tempo a terminare la frase e, nell’istante in cui  riportai lo sguardo avanti a me, mi si parò davanti una scena che mi costrinse a soffocarmi con la mia stessa saliva.
«Non le interessa, non è vero, Andie?» sbottai, afferrandola per un braccio e facendola voltare.
Justin si era avvicinato ad Alexis con una lentezza quasi glaciale ed ancor più lentamente aveva posato le sue labbra su quelle di lei, costringendomi ad assumere l’espressione più schifata e delusa che avesse mai occupato il mio viso.
«Ops.» fu tutto ciò che Andie disse e, se non l’avessi guardata in faccia, avrei giurato che si stesse bellamente prendendo gioco di me.
«Ops un cazzo, ma non stava con Logan?»
«E io che cosa vuoi che ne sappia? L’ho vista per la prima volta oggi dopo due settimane! Non mi ha di certo fatto un riassunto della sua vita privata.»
Soffocai un grido nervoso e mi allontanai da Andie, dando le spalle alle figure di quei due, ormai troppo ravvicinati per farmi credere che a lei non importasse nulla di Justin.
«Oh, andiamo Sheela, non te la prendere.» disse, raggiungendomi, «proverò a chiederle spiegazioni.»
«Non m’interessa, mi basta quello che ho visto e non mi è piaciuto per niente! Piuttosto, cerca di fare in modo che non gli stia più così appiccicata.» detto ciò, accelerai il passo ed imboccai la direzione che portava al parcheggio, dove avevo lasciato la mia macchina. Sentii Andie chiamarmi ripetutamente, ma non mi voltai. Ero rossa di rabbia e, se prima la mia era solo  semplice intolleranza verso quella ragazza, ero certa che ora si trattasse di odio puro.



 


Ci sono anche io :)

Siamo in ritardo, questo è vero, e ci scusiamo per l'attesa, solo che ci eravamo un po' demoralizzate nel vedere che l'interesse da parte vostra era sceso di colpo. Sappiamo di metterci tanto tempo, ma credeteci non è così facile trovare tempo come pensavamo all'inizio. E' anche vero che un maggiore riscontro da parte vostra ci motiverebbe molto di più. Non chiediamo di avere venti recensioni per capitolo, non è quello che ci interessa, ma ci teniamo solo ad avere pareri per sapere se la storia vi piaccia davvero o meno. Abbiamo in mente tante cose, ma scrivere e avere un feedback di cinque o sei recensioni è davvero demoralizzante, soprattutto perché ci mettiamo davvero il cuore nello scriverla. Se non vi va di recensire perché magari vi scoccia o non avete tempo, basta anche un tweet, anche un misero "hey, seguo la vostra storia e mi piace, aspetto il seguito" va bene uguale, non pretendiamo delle recensioni papiro come alcune di voi (Giorgia in primis) ci regalano. Basta davvero poco per darci quella motivazione in più per scrivere più velocemente perché credeteci, avere riscontri positivi serve sopraattutto a questo e poi ci teniamo tanto che la storia venga conosciuta. Non è per fare le modeste o renderci antipatiche nei vostri confronti, ma pensiamo di essere comunque due delle persone più "popolari" qui su efp e vedere che le nostre aspettative ci hanno un po' deluso, non è piacevole. Pensavamo davvero che, essendo appunto noi due a scriverla, avrebbe avuto più successo, ma non sta andando così.
Comunque, nonostante tutto, vi ringraziamo infinitamente per le recensioni che ci avete lasciato, le abbiamo apprezzate davvero tanto e soprattutto grazie anche a chi continua a mettere la storia tra i preferiti :)


Alexis ha finalmente accettato - o meglio, è stata costretta visto che ha perso la scommessa - di essere amica di Justin e di uscirci insieme... quindi staremo a vedere che cosa succederà.

Siamo curiose di sapere che cosa ne pensate, aspettiamo le vostre recensioni :)




Un bacione,
Giulia e Federica.
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Giulia (
@Belieber4Choice) Federica (@breathinjiley)
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Capitolo 13
*** Capitolo 12. ***


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Capitolo 12

 

Justin

 

A malincuore, mi allontanai dal suo viso, rimanendo a guardarla dritto negli occhi per quelli che mi parvero minuti. Nessuno dei due sembrava avesse il coraggio di proferire anche solo mezza parola e, da una parte, fu meglio così. Gettai un’occhiata all’orologio che avevo al polso, segnava quasi la mezzanotte e non immaginavo che fosse trascorso così tanto tempo. Feci per aprir bocca quando, dal nulla, sbucò Andie, mettendosi quasi in mezzo a me ed Alexis.
«Alexis, finalmente ti ho trovata!» esclamò, usando un pessimo tono sorpreso. Sollevai un sopracciglio e la guardai con aria stranita. Non appena si accorse di avere il mio sguardo addosso, voltò il capo verso di me, fulminandomi con quei suoi occhi verdi. Distolsi lo sguardo ed incrociai poi gli occhi di Alexis, tentò di dire qualcosa, ma, ancora una volta, Andie prese la parola.
«Ho forse interrotto qualcosa? Perché se è così passo più tardi.» disse e feci per annuire, quando la voce di Alexis mi precedette.
«No, assolutamente no.» mormorò lei e, istintivamente, abbassai il capo.
«Bene, perché devo assolutamente tornare a casa.» ribatté Andie, per poi volgermi un’occhiata compiaciuta.
Sì, sei davvero brava a mentire, Andie.
«Ma di già?» le domandò Alexis, estraendo il telefono dalla tasca dei pantaloncini e guardando l’ora. «Non è nemmeno mezzanotte.»
«È tardi comunque. Ciao Justin!» esclamò la bionda, prendendo per un braccio Alexis e trascinandosela dietro.
Le guardai allontanarsi e Alexis si voltò un’ultima volta, dedicandomi uno sguardo di scuse e sventolando la mano a mo di saluto.
Abbozzai un sorriso e rimasi a fissarla fino a quando non sparì dalla mia visuale. Feci per voltarmi e ritornare alla macchina, quando quasi non mi scontrai contro la figura di Simon. Sussultai ed indietreggiai di poco.
«Dio, Simon, mi hai spaventato!» sbottai, sbuffando.
«Scusami, amico, ma, se camminassi a testa alta, questo non sarebbe successo.» mi ammonì e riprendemmo a camminare.
«Comunque ti ho visto mentre eri con quella ragazza.» disse poi e, con la coda dell’occhio, lo guardai.
«E allora?» ribattei, stringendo i pugni lungo i fianchi. «È un problema per te?»
Conoscevo già la risposta e non mi sarebbe piaciuta per niente.
«Sì e lo sai.»
«E tu dovresti sapere che non m’interessa e che-»
«Abbiamo visto Logan e alcuni suoi amici poco fa.» disse interrompendomi e sbarrai gli occhi, arrestando di colpo i miei passi.
«Dove?» domandai.
«Non molto lontano dalla ruota panoramica.» rispose ed impallidii. «Quindi, avrà sicuramente visto…»
«Te e Alexis, esatto.» disse, «e, dalla faccia che aveva, non sembrava molto contento.»
Mi strinsi nelle spalle e sospirai. «Onestamente, non m’importa se gli facesse piacere o meno.»
Simon si lasciò andare in una risata nervosa. «Dovrebbe importarti se non vuoi che ricapiti l’incidente della festa di Andie.»
Feci roteare gli occhi e ripresi a camminare.
«Ascoltami bene, amico.» disse Simon, costringendomi a voltarmi di nuovo verso di lui. «Hai due possibilità. La prima, è smettere di vederla ed evitare che Logan ci complichi ancor di più la vita. Oppure, la seconda, è fare ciò che ti avevo detto tempo fa, ovvero, continuare a frequentarla fino a quando non l’avrai in pugno e far in modo che quel bastardo cada nella trappola.»
Mi ritornò alla mente il discorso che mi fece qualche tempo prima, non ero d’accordo, non volevo in alcun modo far illudere Alexis. Simon aveva promesso che non le avrebbe fatto del male e mi fidavo di lui.
«Che cosa dovrei fare esattamente?» domandai e vidi le sue labbra curvarsi verso l’alto.
«Niente di più di quel che già fai. Esci con lei e fai in modo che Logan ti veda, anche se già so che non esiterà a seguirvi.»
«Non è rassicurante come cosa.» commentai, arricciando le labbra.
«Da quando, uno come Logan, è lo è?» domandò retorico, facendomi riflettere.
Nessuno dei due proferì parola fino a quando non raggiungemmo le auto nel parcheggio. Scott e Killian erano appoggiati all’auto di quest’ultimo, intenti a fumare una sigaretta.
Mi avvicinai alla mia macchina e vidi Simon raggiungermi, posizionandosi accanto alla portiera del lato passeggero. Lo guardai con aria torva.
«Che c’è? Non avrai mica intenzione di andartene a casa.» mi disse, come se quella fosse stata un’assurdità.
«Veramente sì, non ho voglia di uscire ancora.» mormorai, stringendomi nelle spalle. Simon annuì, sebbene fosse ben visibile l’espressione scocciata dipinta sul suo viso.
«Come vuoi, ci vediamo domani.»
«A domani. » dissi, prima di salire in macchina ed allontanarmi da lì.

Sapevo a cos’aveva pensato Simon quando avevo declinato il suo invito di uscire con loro, sapevo perfettamente che non gli andasse a genio il fatto che mostrassi interesse per Alexis, ma non avevo alcuna intenzione di stare al suo gioco. Non era nel mio interesse fare in modo che a Logan rodesse il fegato solo perché anche lui aveva messo – erroneamente – gli occhi addosso ad Alexis, il tutto stava nel fare in modo che Simon rimanesse convinto che stessi seguendo ciò che mi aveva detto.
Durante il tragitto fino a casa mia, non feci altro che ripensare alla serata appena trascorsa.
Immaginavo di trovarla lì, ma non pensavo che sarebbe successo tutto quello.
Passai la lingua sul labbro inferiore e mi sembrò ancora di sentire il sapore delle sue labbra, così morbide e delicate. Avrei dato qualsiasi cosa pur di farle mie ancora una volta.
Ero ormai prossimo a parcheggiare la macchina nel vialetto di casa mia, quando intravidi la figura di una ragazza accanto alla porta d’ingresso. Spensi il motore della macchina e sentii il suo sguardo addosso, così abbandonai frettolosamente l’abitacolo. Sollevai lo sguardo ed incrociai quello di Sheela. I lunghi capelli castani le ricadevano davanti al seno e si apprestò immediatamente a ravvivarli quando i nostri sguardi s’incrociarono.
Mantenni un’espressione seria, mentre la sua sembrò addolcirsi, anche se nel suo sguardo colsi un vizio che non mi piacque per niente.
Mi avvicinai lentamente e, quando fui quasi davanti all’ingresso, lasciai che alcuni metri continuassero a dividerci.
«Sheela, che cosa ci fai qui?» le domandai, stringendo saldamente le chiavi dell’auto nella mano.
Abbozzò un sorriso e mosse qualche passo verso di me. «Volevo sapere perché sei così strano ultimamente.» disse, incrociando le braccia al petto ed assumendo un’espressione piuttosto curiosa.
«Tu… tu credi che io sia strano solo perché ti ho respinto?» chiesi, trattenendo a stento una risata, ma, evidentemente, la cosa aveva divertito soltanto me.
«Non l’avevi mai fatto prima.» ribatté seria. Alzai gli occhi al cielo e sospirai sonoramente.
«C’è una prima volta per tutto.» mormorai, superandola e sperando di raggiungere la porta senza altre interruzioni, ma così non fu.
Mi afferrò per un braccio e mi costrinse a voltarmi. La guardai negli occhi per alcuni secondi, perdendomici completamente ed ignorando quanto mi circondava. Si avvicinò al mio volto con una velocità quasi glaciale, ma non ebbi comunque né il tempo, né la prontezza di scansarmi. Le sue labbra furono sulle mie in un attimo e, se fosse stato possibile, spalancai maggiormente gli occhi.
Quel bacio – se tale potevo considerarlo – durò poco e, quando si allontanò da me, notai sullo sfondo una macchina che già conoscevo. Riconobbi la figura di Andie dal lato passeggero e, accanto ad essa, quella di Alexis, la quale mi dedicò uno sguardo spento e deluso. Immediatamente avvertii una morsa avvolgermi lo stomaco ed indietreggiai, sino a quando non sfiorai con la schiena il dorso della porta. Non distolsi lo sguardo dagli occhi di Alexis fino a quando non abbassò il capo e non ripartii.
«Sheela, vattene!» sbottai e la vidi sogghignare compiaciuta. Le voltai le spalle ed infilai la chiave nella serratura, girandola velocemente ed aprendo la porta.
«Non hai futuro con lei, Justin.» disse e le dedicai un’occhiata fulminea. Quel sorriso bastardo aleggiava ancora sul suo viso, accompagnandola fino a quando non si voltò e non riprese a camminare, muovendo sinuosamente i fianchi e scomparendo poi dalla mia visuale.

 

Alexis

 
Strinsi così tanto il volante che, nonostante l'oscurità nell'abitacolo, potei chiaramente vedere le mie nocche sbiancare. Dire che me lo aspettavo sarebbe stato un eufemismo, allora perché avevo quell'orrenda sensazione alla bocca dello stomaco che sapeva solo di presa in giro?
Sveglia Alexis, è esattamente quello che è!
Deglutii, cercando di ignorare quella morsa dolorosa e mi concentrai sulla strada che portava a casa di Andie.
«Merda.» mormorò sottovoce Andie, seduta al mio fianco. Con la coda dell'occhio la vidi stringere i pugni e quando si accorse del mio sguardo, sospirò, muovendosi sul sedile e voltandosi verso di me, «ho visto che ti ha baciata, poco fa.» disse, ma feci finta di non averla sentita, «Justin, intendo.» aggiunse, cercando di attirare la mia attenzione.
Voltai appena la testa verso di lei, «sì e allora?» sbottai, irritata. La vidi abbassare leggermente lo sguardo e sbuffai, «non significa nulla, è stato solo uno stupido bacio.» aggiunsi velocemente, stringendo maggiormente la presa sul volante.
«Dall'espressione che hai ora, non sembra.» mormorò a bassa voce.
Strinsi le labbra in una linea dura e accostai parallelamente alla sua abitazione, «ti dico che è così.» ribattei, sperando di convincere sia lei che me.
Sospirò e si slacciò la cintura di sicurezza, per essere più libera dei movimenti, «so di avertelo già detto, ma Justin non è proprio un tipo-»
«Raccomandabile, lo so, non fai che ripeterlo.» la interruppi, suonando più acida del previsto.
Andie annuì, «non vorrei che tu finissi in qualche guaio.» aggiunse semplicemente, «lascialo perdere. Lascia che siano ragazze come Sheela a stare con lui.»
Mi strinsi nelle spalle, «io non voglio stare con lui.» borbottai, «sto con Logan.» a quel nome Andie non esitò ad alzare gli occhi al cielo, ma feci finta di niente, l'ultima cosa che volevo era iniziare una nuova discussione.
«Hai un pupazzo a forma di gufo nel sedile posteriore e so per certo che Justin ha qualcosa di simile tatuato su qualche parte del corpo.» borbottò, controllando velocemente il cellulare. A quelle parole avvampai e ringraziai il buio di quel momento.
Mi schiarii leggermente la voce, «è stata solo una coincidenza.» mentii spudoratamente, sapendo che il mio tono di voce cambiava totalmente quando dicevo qualche menzogna, ma Andie mi conosceva poco, avrei potuto scamparla.
La sentii mormorare qualcosa, ma non capii a pieno, dopodiché sospirò scostandosi una ciocca di capelli dal volto, «facciamo una cosa.» disse e inarcai il sopracciglio, aspettando che continuasse, «ti va di venire a dormire da me?» domandò.
«Ora?» ribattei, presa totalmente alla sprovvista.
Andie ridacchiò, scuotendo la testa, «no, non ora. Tra qualche giorno. Domani no perché sono fuori città, ma quando torno se ti va, possiamo passare la serata insieme.» propose, stringendosi poi nelle spalle. Arricciai le labbra, «solo io e te.» aggiunse, rispondendo alla mia tacita domanda.
Annuii flebilmente, «d'accordo.» mormorai.
Sorrise e mi baciò velocemente la guancia prima di scendere dall'auto e salutarmi velocemente con un cenno della mano.


«Ho capito Andie, ho capito!» esclamai, entrando di corsa nel centro commerciale, «se non la pianti di distrarmi finisce che mi buttano fuori e non avremo niente da mangiare, sono le nove e nel caso tu non lo sappia, tra nemmeno dieci minuti, chiudono.» aggiunsi, facendo di corsa le scale mobili, fino ad arrivare al piano del supermercato.
Andie gridò qualcosa dall'altra parte del telefono, ma non le prestai molta attenzione. Solo quando mi accorsi che aveva chiuso la chiamata, ritirai il cellulare in borsa.
Il piano era totalmente deserto e notai che alcuni scompartimenti e corridoi erano oramai bui per l'imminente chiusura. Mi affrettai a raggiungere quello di cui avevo bisogno, ma neanche fosse una cosa programmata per mettermi ansia, si trovava dall'altra parte di quell'enorme stanza.
Sbuffai, cercando di muovermi quando tutto ad un tratto, le luci si spensero all'unisono, lasciandomi completamente al buio per pochi secondi, prima che le tipiche luci che si accendevano subito dopo, leggermente più flebili, presero vita.
Sbarrai gli occhi, allungando il braccio per sostenermi allo scaffale e soffocai un grido mordendomi quasi a sangue il labbro inferiore.
«No. No. No. Ti prego, no.» mormorai, guardandomi intorno e lasciando cadere a terra la borsa.
Mi inginocchiai, cercando il cellulare. Sfiorai il tasto del blocca schermo, ma rimase immobile, senza dare alcun segno di vita. Il minimo di batteria che ancora gli era rimasta, era stata mangiata dalla chiamata di Andie.
Stavo per imprecare mentalmente quando qualcuno diede voce al mio pensiero.
«Porca puttana.» una voce echeggiò non molto distante da dove mi trovavo in quel momento.





 




Ci sono anche io :)

Siamo nuovamente in ritardo, vi chiediamo scusa, però ci fa molto piacere vedere che più persone hanno iniziato a seguire questa storia :)
Abbiamo interrotto il capitolo sul più bello, ma non odiateci, promettiamo di aggiornare entro una settimana, così non dovrete aspettare troppo. 

Vi ringraziamo veramente moltissimo per le recensioni, è davvero molto importante per noi


Aspettiamo di sapere che cosa ne pensate anche di questo capitolo :)



Un bacione,
Giulia e Federica.
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Giulia (
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Giulia e Federica.
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13. ***


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Capitolo 13

 

Alexis

 

 

Le luci erano talmente flebili che, in quel momento, riuscivo a distinguere soltanto il profilo degli scaffali. Mi sembrava quasi di essere rimasta intrappolata in un ospedale durante le ore notturne, e non avevo intenzione di ripetere quell’esperienza.

Quella voce di poco prima mi aveva messo i brividi, l’idea di non essere rimasta sola m’intimoriva più del fatto di essere rimasta bloccata all’interno di quel centro commerciale.

Rimasi immobile ed appoggiai sullo scaffale avanti a me ciò che avevo tra le mani, per il resto non mossi un solo muscolo, limitando al minimo i respiri. Infilai il telefono in tasca, ormai privo di vita, ed ascoltai ogni rumore che potessi cogliere da lì in avanti. Il pensiero che qualcun altro fosse lì con me mi stava facendo venire la pelle d'oca. Sentii i passi di quella persona, quasi sicuramente un ragazzo considerato il tono di voce con la quale aveva imprecato, muoversi nel corridoio accanto al mio. Mi aspettavo che parlasse di nuovo, ma non udii nulla se non il suono delle sue scarpe sul pavimento. Avanzai a mia volta, nella stessa direzione in cui si stava dirigendo lui, stando attenta a non provocare troppo rumore. Non volevo che si accorgesse di me, ero certa che fosse convinto di essere rimasto solo e ne ebbi la conferma quando, qualche istante dopo, lo sentii borbottare tra sé e sé, ma non capii cosa stesse dicendo.

Mi avvicinai alla fine dello scaffale, rimanendo nascosta da esso ed aspettando pazientemente che uscisse allo scoperto. E, qualche istante dopo, lo fece.

Intravidi soltanto il retro del suo corpo, non era tanto più alto di me, da quel che riuscii a vedere, aveva i capelli corti e, nonostante il buio, intuii che non fossero scuri. Indossava un paio di jeans bianchi ed una maglietta a maniche corte nera. Nella mano destra reggeva il cellulare e lo vidi intento a digitare alcuni tasti sopra di esso. Se la mia idea iniziale fosse quella di far in modo che non si accorgesse di me, ora avrei preferito l’esatto contrario.

Eravamo entrambi bloccati in quel centro commerciale e, se solo avessimo provato a forzare le porte per poter uscire, l’allarme avrebbe iniziato a suonare, scatenando l’arrivo sicuro della polizia e, dopo il precedente della festa, non avevo alcuna intenzione di aumentare la preoccupazione di mia madre, né tanto meno sporcare la mia fedina penale.

«Hey, aspetta.» mormorai, muovendo qualche passo verso di lui. Non appena udì la mia voce sussultò ed il telefono gli scivolò dalle mani, finendo a terra. Fortunatamente, il display non si spense. Se non altro poteva funzionare ancora.

«Merda!» imprecò sottovoce, chinandosi per raccogliere il cellulare e voltandosi lentamente verso di me. Mi puntò contro il flash della fotocamera, costringendomi a socchiudere gli occhi ed a portarmi una mano davanti al viso. Non riuscii a delineare i suoi lineamenti, ma, da quel che sentii subito dopo, lui vide perfettamente me.

«Se è una foto quella che volevi, bastava chiedere.» borbottai, sbattendo le palpebre per poter tornare a vedere.

«Alexis?» esclamò sbigottito, avvicinandosi e fu in quel momento che realizzai di aver commesso un grande errore ad uscire allo scoperto. Mi sentii improvvisamente una stupida per non aver riconosciuto prima il suo tono di voce e avrei desiderato scomparire. Tra tutte le persone con le quali sarei potuta rimanere intrappolata in un centro commerciale, non avrei mai immaginato che quel qualcuno potesse essere proprio Justin.

Abbassò il telefono, ma lasciò comunque acceso il flash. Sul mio viso aleggiava un’espressione d’indifferenza – oltre che ad una punta di delusione – mentre lui era totalmente sorpreso, in positivo.

«Fossi in te spegnerei quell'affare, non fa altro che consumare batteria.» mormorai atona, dandogli le spalle ed imboccando il corridoio dal quale ero arrivata. Sentii i suoi passi dietro di me ed alzai gli occhi al cielo.

Tra tutte le persone viventi in quella fottuta cittadina, doveva capitarmi proprio lui?

Più cercavo di focalizzare tutti i miei pensieri su quanto fossi scocciata nell’averlo vicino, più mi si ripresentava davanti agli occhi la scena di Sheela che premeva le sue labbra contro quelle di Justin.

Scossi lievemente il capo, sperando di scacciare quel pensiero, ma avrei dovuto saperlo che non sarebbe servito a nulla.

«I- io credo che dovremmo parlare.» disse affiancandomi ed arrestai così i miei passi, fissando un punto indefinito davanti a me ed assumendo un’espressione alquanto sconcertata.

«Fossi in te, userei il fiato per chiamare qualcuno che possa tirarci fuori di qui.» ribattei, per poi riprendere a camminare. Mi fermai davanti ad uno scaffale ricolmo di cibo e scelsi un pacco di biscotti al cioccolato. Non avevo ancora cenato, lo avrei fatto a casa di Andie se non fossi rimasta bloccata lì dentro, tanto valeva portarsi avanti.

«Gli unici che potrebbero tirarci fuori di qui sono gli sbirri e, onestamente, non ho molta voglia di farmi vedere qui dentro da loro.» canzonò, quasi volesse alleggerire la tensione.

Ridacchiai nervosamente e posai lo sguardo su di lui, rimasto indietro di qualche passo, «quasi dimenticavo che tipo di elemento fossi.» mormorai, volgendogli un sorriso bastardo.

Inarcò un sopracciglio, «è inutile che cerchi di fare la stronza per farmela pagare per quello che è successo con Sheela. Non sono stato io a baciarla!» sbottò, allargando le braccia ed ignorando completamente il mio commento. Ma, in realtà, sapevo che aveva solo cercato di prolungare quel discorso, glielo leggevo negli occhi che la rabbia lo stava mangiando vivo.

«Non m’interessa, okay? Per quanto ne so, tu non hai nessun obbligo verso di me, così come io non te verso di te. Fai quello che vuoi, non m’interessa.» ribattei, mostrando un sorriso che di sincero aveva ben poco. Cercai di focalizzare ogni mio pensiero su Logan e ciò che eravamo, ma, la realtà, era che non eravamo proprio niente ed erano giorni che non avevo sue notizie. Sbuffai sonoramente, sperando vivamente che non riprendesse a parlare.

Ora che avevo trovato i biscotti, non avevo bisogno di altro se non di qualcosa da bere, per tanto iniziai a camminare lungo il corridoio che portava al reparto frigo, l’unico decentemente illuminato. Afferrai una bottiglia di latte ed iniziai a guardarmi attorno: dato che avrei dovuto passare la notte lì dentro, tanto valeva trovare il posto adeguato per farlo.

«Hai scambiato il centro commerciale per la dispensa di casa tua?» domandò con voce antipatica Justin.

Roteai gli occhi e sbuffai, di nuovo, «e tu hai intenzione di farti detestare ancor di più, o che cosa?» ribattei, cercando di utilizzare il suo stesso tono e farlo irritare. Con quella frase lo spiazzai, vidi la sua espressione mutare totalmente e giurai che ora sembrava addirittura deluso.

«Quindi mi odi?» mormorò, lasciando che il suo tono di voce si abbassasse di colpo.

Dischiusi le labbra, intenta a ribattere, ma dalla mia bocca non uscii alcun suono.

Lo odiavo?

Non credevo di essere arrivata a tal punto da odiarlo. Mi strinsi nelle spalle, intenta a voler lasciar cadere il discorso, ma sapevo che mi avrebbe tormentata fino allo sfinimento pur di sapere quel che realmente pensavo. Mossi qualche passo verso degli scaffali pieni zeppi di grossi pupazzi, ne afferrai un paio e li posai a terra, sedendomici sopra.

«Hai intenzione di darmi una risposta oppure no?» insistette, posizionandosi davanti a me e, riluttante, alzai lo sguardo.

«Forse.» mormorai, appoggiando il pacco di biscotti davanti a me e, dopo aver svitato il tappo della bottiglia, bevvi un sorso di latte.

«Credevo che Andie ti avesse detto che tipo di persona è Sheela.» sbuffò, sedendosi accanto a me ed afferrando il pacco di biscotti, rubandomelo dalle mani. Con la coda dell’occhio lo vidi strappare la carta di quel sacchetto ed iniziò ad addentare un biscotto.

Gli lanciai un’occhiata fulminea e gli strappai il pacco dalle mani, «non toccare i miei biscotti. Ho fame e non ho cenato.» lo ammonii, sapendo di suonare come una bambina capricciosa.

Sogghignò e si strinse appena nelle spalle, «teoricamente non sono tuoi, dato che non li hai pagati, e poi, nemmeno io ho cenato, per cui passamene un altro.» ordinò, scherzando e tendendo la mano verso di me. Arricciai le labbra e, svogliatamente, gli porsi il sacchetto di biscotti.

«Perché ogni volta che ci vediamo dobbiamo sempre finire col discutere?» mormorò, sfiorandomi accidentalmente la mano con la sua.

Mi strinsi nelle spalle e, mantenendo il capo abbassato, «non è di certo colpa mia, mi sembrava di averti dato una possibilità l’ultima volta, ma-»

«Senti, Alexis, io non so davvero come dirtelo.» sbottò, interrompendomi, al che mi voltai verso di lui, guardandolo con aria stranita, «non me ne frega assolutamente niente di Sheela. Prima d’incontrare te alla fiera, ha fatto di tutto per convincermi ad andare oltre, ma non l’ho fatto. Credi davvero che se avessi potuto evitare un suo bacio non l’avrei fatto?» domandò, aspettandosi una risposta, che non arrivò subito. Mi morsi il labbro inferiore, incapace di ribattere. Il tono con cui aveva pronunciato quelle parole non ammetteva repliche e dal suo sguardo sembrava sincero, mi sentii quasi in dovere di credergli.

«Onestamente non so che cosa dire.» ammisi, incrociando le gambe ed appoggiandovi sopra i gomiti.

«Dimmi solo che mi credi.» mormorò, con tono supplichevole.

Mi strinsi nelle spalle, cercando di incrociare i suoi occhi, avrei ceduto e non volevo dargli questa soddisfazione. Non ancora almeno, «io non conosco Sheela o, se non altro, non bene come la conosci tu, ma mi è parso di capire che la mia presenza vicino a te le dà soltanto fastidio e l’ultima cosa che voglio è essere odiata da qualcuno.» ammisi, senza peli sulla lingua. A quelle parole avvampai e ringraziai il buio intorno a noi che non gli permise di notarlo.

Lo sentii sbuffare e con la coda dell’occhio lo guardai. Si passò una mano tra i capelli e scosse il capo, «a lei penserò io, ma, ti prego, dammi un’altra possibilità. Stava andando tutto così bene ieri.» disse, facendo apparire il tutto quasi come una supplica e, ancora una volta, mi ritrovai in contrapposizione con i miei pensieri.

«Forse dimentichi che sto con Logan.» mormorai, ma mi pentii subito dopo di quanto avevo appena detto.

Colsi un guizzo nel suo sguardo e lo vidi contrarre la mascella, «da come lo dici sembra che sia una cosa seria.» borbottò, facendo una smorfia.

Lo era? Onestamente non lo sapevo, né tanto meno lo credevo.

«Ha importanza? Dove vuoi arrivare?» sbottai irritata. Iniziavo a non sopportare più quella conversazione.

«Chiedevo soltanto. Non c'è bisogno di scaldarsi tanto.» disse velocemente, alzandosi in piedi e muovendo qualche passo, allontanandosi da me.

Allarmata, lasciai cadere il pacco di biscotti e fui in piedi, «dove vai?» domandai, guardandomi intorno. Si voltò verso di me e al debole chiarore delle luci di emergenza, sorrise appena, quasi prendendosi gioco di me. Sotto quello strano gioco di luci e ombre, il suo viso appariva leggermente diverso. La mascella marcata, le sopracciglia appena aggrottate, le ciglia creavano strane ombre sulle sue guance. Avvampai, ma mi schiarì la voce, ringraziando nuovamente il fatto che non potesse vedermi chiaramente.

«Paura del buio?» mi prese in giro, incrociando le braccia al petto.

Sbuffai, sentendomi quasi offesa dalle sue parole, «non ho paura del buio, idiota.» sbottai, abbassando il tono di voce.

Ridacchiò, tornando verso di me, facendomi sobbalzare, «non mi piacciono i biscotti, sono più il tipo da popcorn.» rispose infine alla mia domanda di qualche minuto prima.

Deglutii e mi rilassai visibilmente, sicura che non mi avrebbe lasciato da sola.

Inarcò un sopracciglio, «vieni con me o-»

«Sì.» lo interruppi, senza permettergli di continuare a prendersi gioco di me. Annuì semplicemente e mi diede le spalle, iniziando a camminare verso una meta quasi sconosciuta. Vagò per gli scaffali, osservandoli in silenzio, fino a che non si fermò di colpo e quasi non gli finì addosso per colpa della mia distrazione.

«Trovati.» mormorò, prendendo la busta solo per voltarsi verso di me e mostrandomeli vittorioso.

Tornammo in silenzio al corridoio di prima e ci sedemmo, l'uno accanto all'altra. Sospirai, incrociando le braccia al petto e sentii Justin sgranocchiare i suoi popcorn. Mi guardai intorno, ma tutto quello che vidi furono scaffali su scaffali, «non esiste la possibilità che qualcuno possa trovarci e farci uscire, vero?» domandai, conoscendo già la risposta negativa che Justin mi avrebbe dato.

Scosse la testa, deglutendo e pulendosi la mano sulla maglietta, «almeno non fino a domani mattina.» ribatté, «mettiti l'anima in pace, saremo solo io e te per diverse ore.» aggiunse, con una punta di malizia nella voce. Emisi un sospiro, per niente sollevata, «non avere paura Alexis, non succederà nulla. Ci sono io.» mormorò, abbassando la voce, rendendola quasi roca, facendomi rabbrividire.

Chiusi gli occhi, scuotendo appena la testa, «dovrebbe essere una cosa positiva?» borbottai, senza nemmeno rendermi conto di quanto potessi sembrare stronza.

Nonostante tutto, si strinse nelle spalle, «ti sei salvata dalla serata con Andie e sei in mia compagnia. È decisamente una cosa positiva.» ribatté, sogghignando appena.

Aggrottai le sopracciglia, «come fai a sapere-»

«Conosco Andie da una vita e non sa tenere a freno la lingua. L'ha detto a Simon e io ho sentito.» mi interruppe, rispondendo alla domanda che stavo per porgli.

«Mi stavi seguendo?» domandai scioccamente, accennando un sorriso.

Si voltò verso di me, «oh certo. Ho corrotto la sicurezza facendo in modo che rimanessimo chiusi qui dentro fino a domani mattina. Mica male come primo appuntamento, vero?» ribatté sarcastico e non potei fare a meno di scoppiare a ridere. Dovetti coprirmi la bocca con entrambe le mani per soffocare le risate. Justin non esitò a seguirmi in quella risata, «non essere stupido.» dissi, con voce ancora scossa dalle risa.

Justin si finse offeso, «ah, sarei io lo stupido? Hai appena insinuato che ti avessi seguito e poi sono io lo stupido.» borbottò appena. Gli diedi una leggera gomitata e di nuovo si alzò, lasciando cadere la busta di popcorn e tendomi la mano, «vieni.» ordinò.

Lo guardai confusa, ma afferrai la sua mano e mi aiutò ad alzarmi, dopo aver preso il mio, oramai inseparabile, sacchetto di biscotti, «che vuoi fare?» domandai, allarmata.

«Uscire di qui e fare un giro.» rispose, trascinandomi verso l'uscita del supermercato.

Cercai di opporre resistenza, ma eravamo ormai in prossimità delle porte, «no, Justin, aspetta-» ma la voce morì in gola quando le sue labbra si posarono sulle mie, zittendomi con un bacio. Sgranai gli occhi a quel contatto inaspettato. Durò pochi secondi, ma furono abbastanza per scombussolare i miei pensieri. Sentii il salato delle sue labbra, dovuto al fatto che avesse mangiato i popcorn, ma fu una cosa effimera. Si scostò appena, «smetti di parlare e seguimi.» soffiò sul mio viso.



 



Ci sono anche io :)

Questa volta niente ritardo, è un giorno da segnare sul calendario!
So che molte immaginavate che si trattava di Justin, quindi eccovi accontentate :)
Speriamo davvero che il capitolo vi sia piaciuto e speriamo che continuiate a seguire questa storia.
Grazie a tutte per le recensioni, aspettiamo i vostri pareri per questo capitolo ♥


Un bacione,
Giulia e Federica.
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Giulia (
@Belieber4Choice) Federica (@breathinjiley)
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Capitolo 15
*** Capitolo 14. ***


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Capitolo 14

 

Justin

 

Non era la prima volta che rimanevo bloccato in quel posto. Negli ultimi tre mesi era successo almeno tre volte – le prime due in compagnia di Simon, Killian e Scott e l'ultima volta da solo – e non mi preoccupavo affatto delle conseguenze. Certo, fino a che gli allarmi non scattano.

Trovarmi lì con Alexis era tanto strano quanto uno scherzo del destino. Uno scherzo apprezzatissimo, tanto per essere sinceri.

Nonostante la mia presa fosse salda sulla sua mano, continuava ad opporre resistenza. Credevo che averla sorpresa con quel bacio fosse servito a qualcosa, ma evidentemente mi sbagliavo. Eravamo solo noi in un centro commerciale grosso quanto la città, di che cosa aveva paura?

«Non possiamo uscire, scatteranno gli allarmi.» mormorò, puntando i piedi nuovamente. Scoppiai a ridere e scossi la testa, «non scatteranno, te l'assicuro.» ribattei, strattonandola e tirandomela dietro, «non so tu, ma io non ho intenzione di dormire accanto alle patatine, quindi, se non ti dispiace, gradirei trovare un posticino un po' più comodo.» aggiunsi, uscendo finalmente da supermercato.

Superate le porte, sentii Alexis espirare quasi sollevata. Sogghignai, «che ti avevo detto?» canzonai, lasciandola libera e infilandomi entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni e rallentando il passo.

Alexis sbuffò e rimase qualche metro distante, così voltai appena la testa e le sorrisi. Abbassò lo sguardo e incrociò le braccia al petto, «dove andiamo?» domandò, più preoccupata che curiosa.

Mi fermai all'improvviso e quasi mi finì addosso, così le misi entrambe le mani sulle spalle, «smettila di preoccuparti. Siamo soli, ti prometto che nessun allarme scatterà e nessun poliziotto salterà fuori all'improvviso.» la rassicurai, soffermandomi a guardarle le labbra per un istante, prima di incontrare i suoi occhi.

Si scrollò di dosso le mie mani e fece un passo indietro, «nel caso non ti fosse chiaro, è questa la cosa che mi terrorizza di più!» esclamò infuriata. Arricciai le labbra prima di stringermi nelle spalle e voltandomi per riprendere a camminare, «dove stai andando?» domandò di nuovo.

Non mi voltai, continuai sui miei passi, «al terzo piano.» risposi semplicemente.

Accelerò e mi affiancò, tenendosi a debita distanza, cosa che mi fece innervosire parecchio, ma cercai di non darle troppo peso, «perché al terzo piano?» continuò imperterrita il suo interrogatorio.

Mi strinsi nelle spalle, «te l'ho detto, non ho intenzione di dormire accanto alle patatine.» ripetei scocciato.

«Ma-»

«Alexis, dannazione!» la interruppi, fermandomi nuovamente e alzando talmente tanto il tono di voce che seguì l'eco e Alexis sobbalzò, «se vuoi seguirmi, fallo senza continuare a fare domande, ti prego.» aggiunsi, cercando di tornare ad un tono normale.

Alexis si inumidì le labbra e fulminandomi con lo sguardo, mi sorpassò, aumentando il passo e dirigendosi verso le scale mobili, al momento non in funzione. La lasciai andare avanti di qualche metro e solo quando iniziò a salire i primi gradini, le andai dietro. Arrivò al terzo piano prima di me, ma sbagliò direzione, come avevo previsto, e mi schiarii la voce per attirare la sua attenzione. Si voltò e mi guardò furiosa.

Mi grattai il mento prima di indicare la strada giusta, «io vado da questa parte, ma se preferisci-» non mi diede tempo di finire la frase che fece dietro-front, sorpassandomi nuovamente e urtandomi la spalla di proposito quando mi passò accanto. La seguii nuovamente, ma quando superò il negozio al quale stavo pensando, sogghignai e mi affrettai a prenderla per il gomito e fare in modo che mi seguisse, lasciandola appena fummo dentro.

Regnava il silenzio ed era scarsamente illuminato, ma sapevo bene dove andare.

Attraversai i primi corridoi, fermandomi poi in quello centrale, molto più ampio rispetto al resto. Era sempre stato allestito come se fosse una sorta di rifugio per campeggiatori. C'era un grande tavolo, al centro dello spiazzo, attorniato da due lunghe panche. Poco distante, avevano posizionato delle sdraio e persino un'ombrellone. Avanti ancora, un dondolo blu era quasi disperso e stonava in mezzo a tutto il resto. Alcuni sacchi a pelo erano a terra, intorno a dei ceppi che avrebbero dovuto assomigliare ad un falò. Sentii i passi di Alexis dietro di me e quando mi avvicinai, sedendomi su una delle due panche, mi voltai in modo da poter vedere la sua espressione.

Inarcò un sopracciglio, prima di storcere le labbra, «io odio il campeggio.» borbottò, guardandosi intorno.

Mi strinsi nelle spalle, «non è un campeggio vero. Il fuoco sarebbe acceso.» replicai, come se fosse la conversazione più naturale del mondo – e in un certo senso, vista da un'altra prospettiva, lo era.

Alexis scosse la testa e andò a sedersi il più lontano possibile da me, sul dondolo. Tirò su le ginocchia al petto e vi si accoccolò. Incrociai il suo sguardo per un momento, ma fu abbastanza veloce da distoglierlo. Contrassi la mascella e non proferii alcuna parola. Rimanemmo in silenzio per interi minuti. Solo il ronzio delle lampade disturbava la quiete. Per certi versi sembrava davvero di stare in un campeggio. Senza accorgermene, sorrisi e Alexis lo notò, «che succede?» domandò sulla difensiva.

Scossi la testa, arricciando il naso, «niente, lascia stare.» replicai, incrociando le braccia al petto e scivolando sulla panca.

«Stai ridendo di me?» continuò, con una punta di scocciatura nella voce.

Roteai gli occhi, «Dio, come sei paranoica, Alexis.» esclamai, alzandomi velocemente, «non sto ridendo di te. Stavo ripensando ad una cosa.» spiegai, sperando che quelle ore passassero in fretta. Se avesse continuato a comportarsi così fino all'indomani, sarei uscito pazzo.

Sbuffò e distolse di nuovo lo sguardo. Con la coda dell'occhio la vidi guardarsi intorno realmente spaventata. Sospirai, ma rimasi immobile nella mia posizione, «va tutto bene?» domandai, nonostante sapessi quanto stupida fosse quella domanda.

Alexis si lasciò andare ad una risata amara e scosse la testa, «secondo te?» ribatté sarcastica. Con mia sorpresa si alzò e venne verso di me, a passo fin troppo veloce, «avrei dovuto essere a casa di Andie, invece sono qui, bloccata con l'unica persona con la quale davvero non vorrei avere niente a che fare.» esclamò. Sbattei le palpebre parecchie volte, immagazzinando tutto quello che aveva appena detto, ma quando feci per rispondere, era già tornata a sedersi sul dondolo, accennando un leggero movimento.

Mi morsi il labbro e mi alzai, raggiungendola. Poggiai un braccio sul ferro del dondolo, costringendolo a fermarsi e nuovamente Alexis mi fulminò con lo sguardo, ma aggrottò le sopracciglia quando vide il mio telefono sul palmo della mano, «suppongo tu voglia avvisare Andie che non andrai da lei. Trovi il numero in rubrica, ma non starci troppo, la batteria ci potrebbe servire.» mormorai atono e dopo che prese il telefono, andai a sedermi all'estremità di una delle due sdraio. Alexis si allontanò leggermente e sentii la sua voce soffocata. Passò qualche minuto e fu di ritorno. Si fermò a pochi passi da me, così alzai lo sguardo, «grazie.» disse semplicemente, restituendomi il telefono. Le feci un debole cenno con la testa e lasciai che il cellulare cadesse accanto a me, sul sottile materasso della sdraio. Alexis si voltò, decisa a ritornare sul dondolo, ma all'ultimo cambiò idea e si sedette accanto a me. Aggrottai le sopracciglia, voltandomi verso di lei, «mi dispiace, non avrei dovuto dire quelle cose.» mormorò, senza guardarmi direttamente negli occhi. Annuii appena, senza proferire parola, ma Alexis non aveva ancora concluso le sue scuse, sapevo che probabilmente c'era dell'altro.

«Sembra che in questa città tutto sia contro di me. Vado ad una festa e finisco al pronto soccorso, conosco te e i tuoi amici e Andie mi racconta che siete i tipi meno raccomandabili del mondo, l'unica altra ragazza che conosco mi odia, beh-»

«Sheela non ti odia.» intervenni, nonostante sostenessi invece il contrario.

Alexis inarcò un sopracciglio scettica, «credimi, mi odia.» ribatté, sottolineando il concetto.

Sorrisi appena, divertito da certi pensieri, ma mi affrettai a tornare serio, «non ti trova la persona più simpatica del mondo – e non è l'unica a questo proposito-» mi diede una leggera spinta, costringendomi ad afferrarle il braccio per evitare che finissi a terra, «stavo scherzando.» borbottai, sedendomi di nuovo comodamente.

Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, ma stava diventando uno di quei silenzi pesanti e la cosa mi stava innervosendo, così trovai alla svelta qualcosa di cui parlare, tanto per non pensare al fatto che saremmo dovuti rimanere lì dentro per molte altre ore.

«Davvero non ti piace il campeggio?» domandai, ricordando quello che aveva detto non appena vide com'era stato allestito quello spazio.

Alzò lo sguardo, incontrando il mio, «davvero.» rispose semplicemente.

«Strano.» borbottai tra me e me.

Con la coda dell'occhio la vidi aggrottare le sopracciglia, «perché sarebbe strano?» ribatté.

Mi strinsi nelle spalle, «considerando in che parte della città vivi.» replicai, abbozzando una risata.

«Non sei divertente, Justin.» mi ammonì, alzando gli occhi al cielo, visibilmente infastidita dalla mia battuta, «è mia madre quella che ama la natura. Io sono cresciuta in un grattacelo di New York di ottanta-»

«Alexis, sto scherzando.» la interruppi, alzando la voce per sovrastare la sua, cercando di trattenere le risate, «era solo una battuta. Se ti fosse piaciuto il campeggio, sarei stato sorpreso.» aggiunsi, questa volta senza preoccuparmi di nascondere il sorriso e il divertimento.

Sospirò e si voltò completamente verso di me, scivolando indietro e incrociando le gambe, «a te invece piace?» chiese, visibilmente curiosa.

Annuì, «sono Canadese, adoro il campeggio.» risposi, stringendomi nelle spalle. Alexis sorrise, «io e mio padre ci andavamo spesso.» aggiunsi, sentendo quasi il bisogno di dirlo.

Sorrise di nuovo e si portò le ginocchia al petto, «non ti ho mai sentito nominare né tua madre né tanto meno tuo padre.» mormorò.

«Non li vedo mai.» replicai atono, distogliendo lo sguardo dal suo per un attimo.

«Non vivono qui?» continuò, realmente incuriosita.

Annuii distrattamente, «sì, ma lavorano all'estero.» risposi, fissando il pavimento sotto ai miei piedi, «li vedo per qualche settimana all'anno. Sto quasi sempre da Simon o Killian.» aggiunsi, tanto per chiarire alcune cose. Alexis annuì, «tuo padre, invece?» domandai io, questa volta.

Distolse lo sguardo e capii di aver toccato un tasto dolente, «è rimasto a New York, i miei genitori si sono separati da poco. Lui è rimasto là mentre noi siamo venute qui in questa cittadina sperduta dove anche i miei nonni vivono.» rispose e nella voce notai quel misero disgusto che mi fece sorridere.

«Non è poi così male qui, se la conosci.» ribattei, sentendomi in dovere di difendere il posto in cui ero cresciuto, «soprattutto campeggiare.» la stuzzicai nuovamente e sorrise.

«Cosa potrei mai fare in campeggio, secondo te?» domandò, sfidandomi.

Mi strinsi nelle spalle, «pescare. Io pescavo spesso. È divertente.» risposi, sogghignando.

«Io non so pescare.» ribatté seria.

Mi inumidii le labbra, «se mai dovessimo andare in campeggio insieme, ti insegnerò a pescare.» mormorai e a quelle parole, le guance di Alexis si arrossarono leggermente.

«D’accordo.» ridacchiò, «però ti avverto, io non ho pazienza.»

Risi a quelle parole e continuammo a parlare per quasi un’ora, fino a che la stanchezza non prese il sopravvento su entrambi.

«Credo ci convenga dormire in quella tenda.» mormorai, al che ricevetti un’occhiata interrogativa da parte sua. «Non so tu, ma io non trovo molto allettante l’idea che, domattina, qualcuno ci veda dormire su questo pavimento.»

Sembrò pensarci su, dopodiché annuì e mi precedette all’interno di quella tenda.

Restammo a debita distanza l’uno dall’altra e, sebbene non fosse ciò che esattamente speravo, rimasi dalla mia parte, addormentandomi poco dopo.

 

 

Alexis

 

Ero certa di non aver dormito per più di tre, o forse quattro ore. Quando socchiusi le palpebre, dal tessuto di quella tenda filtrava una flebilissima luce ed in sottofondo sentii un lieve chiacchiericcio.

Mi alzai lentamente, stando attenda a non compiere movimenti bruschi, quella lieve confusione era stata capace di infondermi una notevole preoccupazione di venir scoperta ed era l’ultima cosa che volevo.

Posai una mano sulla spalla di Justin, scuotendolo lievemente e pregando che si svegliasse in fretta. Sobbalzò lievemente, spalancando gli occhi. Gli feci cenno di restare in silenzio ed annuì, mettendosi poi a sedere accanto a me.

«C’è già qualcuno.» mormorai, avvicinandomi alla fessura, creata dalla cerniera, dalla quale eravamo entrati qualche ora prima. Guardai al di là di essa, poi spostai lo sguardo sull’orologio da polso di Justin: era ancora troppo presto per uscire allo scoperto.

«Se non sbaglio, il centro commerciale aprirà tra circa venti minuti, dovremo rimanere qui fino a che non inizierà ad affluire un po’ di gente.» disse ed io annuii, massaggiandomi leggermente il collo.

«Credo di non aver mai dormito così male.» borbottai, cercando di mantenere un tono di voce piuttosto basso.

«Non sei l’unica, ma, che ti piaccia o no, è così che si dorme in campeggio, se non peggio. Potrai dire di esserti abituata per quando ci andrai.»

Gli lanciai un’occhiata fulminea e scossi il capo. «Se mai dovrò passare una notte in campeggio, mi preoccuperò di portare qualcosa di morbido su cui dormire.»

«Allora tanto vale dormire in un hotel.» ridacchiò.

«Spiritoso, credi che non abbia spirito d’adattamento? Potrei passare tranquillamente una notte in campeggio.»

Rimase in silenzio qualche istante, guardandomi torvo. «Sul serio?»

Annuii, senza nemmeno pensare che quelle sue parole potessero avere un secondo fine.

«Quindi, la passeresti una notte con me in campeggio?»

Sì, decisamente non avevo pensato che quel discorso potesse avere un secondo fine. Sebbene pensassi che quel ragazzo non avesse fatto altro che aumentare il numero di ragioni per cui avrei dovuto stargli alla larga, non potei negare di non esser stata bene in sua compagnia.

«Sì, magari in futuro.» mi limitai a dire e scorsi una leggera punta di delusione sul suo viso. Sospirai sonoramente ed abbozzai un sorriso. «D’accordo, potremmo passare una notte in campeggio, a patto che tu non scelga un posto infestato da orsi e animali del genere.»

L’espressione sul suo viso mutò radicalmente ed abbozzò una lieve risata.

«Andata.» disse poi, dedicandomi uno sguardo compiaciuto.

 

Rimanemmo in quella tenda per oltre mezzora, sentendo sempre più voci giungere alle nostre orecchie, era evidente che l’edificio iniziava a riempirsi e l’unica cosa che ci restava da fare era uscire senza che nessuno ci notasse.

Sbirciai nuovamente al di là di quella fessura, l’area dedicata al campeggio era deserta al momento, al che feci un leggero cenno con la mano verso Justin, intimandogli di avvicinarsi.

«Credo sia il momento adatto.» mormorai, abbassando lentamente la cerniera e ponendo fuori il capo, guardando a destra e a sinistra. «Via libera!» dissi poi, uscendo del tutto e mantenendo vigile la guardia, aspettando che Justin mi raggiungesse. Fingemmo per qualche istante di essere interessati a ciò che ci circondava, improvvisando qualche commento sulla merce esposta quando un ad un tratto si avvicinò un addetto al reparto.

«Credo che dovremmo cercare da un’altra parte.» commentai, sotto lo sguardo di quell’uomo sconosciuto e, afferrando il biondo per un polso, lo trascinai lontano da lì.

«C’è mancato poco.» sospirò, passandosi una mano sul viso.

«Già, non dico di essermi vista dietro alle sbarre di una cella, ma quasi.» commentai ridendo e ci avviammo verso l’uscita.

«Dovrai spiegarmi perché ogni volta che passo del tempo con te succede qualcosa di strano.» dissi, dirigendomi verso un bar, intenta ad ordinare la colazione. Non potevo dire di aver cenato la sera prima e la fame iniziava a farsi sentire.

«Potrei dire la stessa cosa, solo che-»

Smise di parlare nell’esatto istante in cui gli lanciai un’occhiata scioccata.

«Non osare dire che la colpa è mia! Non sono una calamita per i guai.»

Mi guardò con aria di sufficienza e rise. «Ne sei davvero sicura.»

Scossi il capo, ignorandolo e preoccupandomi solo di scegliere una tra le tante brioches esposte sul bancone. Ne afferrai una al cioccolato e, dopo averla pagata, ritornai da Justin.

«Tu non mangi?» domandai, addentando un pezzo di brioche.

«No, ne ho abbastanza di questo posto per oggi. Prima ce ne andremo e meglio starò.»

Alzai le mani in segno di resa e terminai di mangiare.

Un paio di minuti più tardi potemmo finalmente respirare l’aria fresca di quella mattina, sentii un’improvvisa sensazione di libertà quando entrai a contatto con l’esterno, mi sembrava di essere rimasta chiusa lì dentro per giorni.

Eravamo ormai prossimi a raggiungere il parcheggio, quando la mia attenzione si posò su una persona – o più precisamente un ragazzo – che in quel momento avrei preferito evitare.

I nostri sguardi s’incrociarono e nessuno dei due osò spezzare quel contatto per diversi secondi.

Ero tornata improvvisamente seria e percepii persino alcuni brividi sulla pelle.

Sentii lo sguardo di Justin addosso, per poi spostarsi esattamente sul punto che stavo fissando io. Con la coda dell’occhio vidi i muscoli del suo braccio destro contrarsi e pregai con tutta me stessa che non si ripetesse la stessa identica scena a cui avevo assistito qualche settimana prima.

La figura di Logan avanzò lentamente verso di me, la mascella era contratta, segno che non era per niente contento di vedermi in compagnia di Justin, ma non lo biasimavo dal tanto che sapevo perfettamente quanto potessero odiarsi.



 




Ci sono anche io :)


Eccoci qui, siamo leggermente in ritardo (come sempre. haha), ma speriamo ci perdoniate per questo :)
Justin e Alexis hanno finalmente trascorso un po' di tempo da soli, ma a qualcun altro ciò non piace, per cui... occhi aperti!
Vi ringraziamo davvero molto per le recensioni e speriamo di ricevere i vostri pareri riguardo a questo capitolo :)



Un bacione,
Giulia e Federica.
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Capitolo 16
*** Capitolo 15. ***


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Capitolo 15

 

Alexis

 
«Non immaginavo di trovarti qui,» mormorò quando fu a pochi passi da me e, dopo aver posato per un istante lo sguardo sul corpo di Justin, aggiunse: «con lui.»
Justin, a quelle parole, sbuffò irato, «nemmeno io pensavo di trovarti qui. Ancora vivo.» avanzò di qualche passo verso Logan. Provai ad allungare il braccio per fermarlo, ma mi superò velocemente, fermandosi esattamente di fronte a lui, al che trattenni bruscamente il fiato, consapevole che non avrebbero tenuto le mani a posto per troppo tempo.
Logan assottigliò lo sguardo, pronto a ribattere, «perché sei sempre in compagnia della mia ragazza?» domandò. Voltai la testa verso di lui velocemente, incrociando il suo sguardo per un attimo, ma fu abbastanza svelto da distoglierlo e riportarlo su Justin, il quale scoppiò a ridere.
«Perché tu non ci sei mai.» mormorò, «qualcuno dovrà pure tenerle compagnia mentre-»
«Basta.» lo interruppe Logan, stringendo i pugni lungo i fianchi, come a trattenersi.
Abbassai all’istante lo sguardo ed incrociai le braccia al petto, incapace di dire qualsiasi cosa. C’era sicuramente qualcuno, lassù, che non desiderava altro che vedermi nei guai e, visti i precedenti, c’era riuscito benissimo.
«Credo che dovremmo parlare.» disse poi, rivolto principalmente a me, al che annuii ed intimai a Justin di lasciarci soli. Sapevo che non sarebbe stato d’accordo, ma lo pregai con lo sguardo di andarsene e, fortunatamente, così fece, senza avere l'accortezza di dire altro. Lo guardai con la coda dell'occhio, fino a che non sparì voltando l'angolo. Lasciai uscire il fiato che fino ad allora, quando sentii le mani di Logan posarsi sulle mie spalle.
«È incredibile.» ridacchiò nervosamente, ma non ci trovai nulla di rassicurante,«non ci vediamo per qualche giorno e vengo sapere che esci con lui.»
Inarcai nervosamente il sopracciglio, «tanto per informarti, è passato molto più che qualche giorno. Sono settimane che non ti fai sentire!» inveii a mia volta, rimanendo seria.
«Sì, su quello hai ragione.» mormorò, abbassando notevolmente il tono di voce.
«Ma che fine avevi fatto?» sbottai e vidi la situazione capovolgersi del tutto: se prima sentivo di essere in torto, ora ero convinta che ci fossimo scambiati i ruoli.
«Ero fuori città.» rispose semplicemente, infilandosi le mani in tasca e dedicandomi uno sguardo indifferente. Annuii, stringendo le labbra, mentre decine di domande e dubbi iniziarono ad affollarmi la mente.
Mi domandavo perché non si fosse fatto vivo durante tutto quel lasso di tempo, lasciandomi così la possibilità di riversare tutte le mie attenzioni verso qualcuno che non era lui. Qualcuno con la quale avevo appena passato la notte, chiusa in un centro commerciale; la stessa persona che mi ero ripromessa di evitare, ma che, puntualmente, il destino aveva fatto in modo che rincontrassi.
«Comunque, vedo che non hai perso tempo.» borbottò poi, assumendo un’espressione infastidita ed incrociando le braccia al petto. Mi accigliai, schiudendo le labbra e cercando di non sputare a raffica tutto ciò che mi stava passando per la mente in quel momento.
«Sei davvero un idiota se pensi ti abbia rimpiazzato.» sbottai, tenendomi sulla difensiva ed omettendo qualunque dettaglio di ciò che era accaduto qualche ora prima.
«È quello che penserebbe chiunque ti abbia visto uscire dal centro commerciale con lui.» replicò, mantenendo i suoi occhi di ghiaccio fissi nei miei.
Sbuffai sonoramente ed alzai gli occhi al cielo, certa che quella discussione non sarebbe finita tanto presto. Avrei dovuto prestare la massima attenzione ad ogni cosa che avrei detto, non volevo che pensasse che ci fosse qualcosa tra me e Justin, soprattutto, sapendo quali cattivi rapporti ci fossero tra i due.
«Questa discussione non sta avendo alcun senso.» sospirai esasperata. Non avevo intenzione di litigare con lui, non dopo che avevo passato gli ultimi minuti a guardarlo negli occhi e, realizzando che non sarei riuscita a sostenere le mie idee, sarei finita col fare la figura dell’idiota.
«Quindi hai intenzione di continuare ad uscire con lui?» mi domandò, dopo alcuni istanti di silenzio.
«Non ho mai detto questo!» sbottai, poggiando entrambe le mani sui fianchi, ma mi sentii tradita. Non volevo smettere di vedere Justin, ma non volevo nemmeno arrivare al punto di perdere Logan. Una cosa era certa: non potevo frequentare entrambi.
«Bene.» sentenziò infine, «perché mi sei mancata dannatamente tanto e non ho intenzione di veder finire tutto.»
Sbarrai gli occhi, fissandolo come se avesse appena detto un’assurdità – e forse, vista da fuori, lo era – ma mi sentii completamente incapace di ribattere. Dischiusi le labbra, volevo davvero dire qualcosa, ma mi ritrovai le sue labbra poggiate sulle mie e non riuscii più a muovere un solo muscolo.
Chiusi finalmente gli occhi e mi lasciai andare totalmente in quel bacio non appena sentii le sue mani posarsi sui miei fianchi. Mi attirò leggermente a sé ed istintivamente avvolsi le braccia attorno al suo collo. Quel bacio durò poco, ma bastò per farmi sentire sempre più confusa.
Non avevo alcuna intenzione di paragonare Logan e Justin, non sarebbe stato giusto, in quel momento avevo solo bisogno di schiarirmi le idee e, ora che lui era ritornato, lo avrei fatto.
«Sei libera stasera?» mi domandò, terminando in modo dolce quel bacio.
Scossi il capo, i nostri volti erano ancora così vicini che potei sentire il suo respiro sulle mie labbra. Lo guardai negli occhi e notai gli angoli della bocca curvarsi verso l’alto.
«Perfetto, passerò da te per le otto.» disse poi e lo guardai con aria interrogativa.
«Cos’hai in mente?» gli chiesi, ma ricevetti come risposta solo un sorriso sghembo.
«Lo vedrai. Ora devo andare, ci vediamo dopo.» mi liquidò velocemente, dandomi un bacio a fior di labbra e superandomi, diretto verso il centro commerciale.
Lo guardai andar via e rimanendo leggermente spiazzata per tutto ciò che ci eravamo detti nell’arco di pochissimi minuti.
Se prima ero confusa, ora mi sentivo totalmente smarrita. Nella mia mente si contrapponevano le immagini di quei due ragazzi e mi sentivo sempre più vulnerabile. Cercai di accantonare il ricordo di quello che era successo con Justin, non potevo – e soprattutto non volevo – fare il doppio gioco.
Mi avviai verso la macchina, parcheggiata a pochi metri da me, ed iniziai a focalizzare tutti i miei pensieri su quello che sarebbe potuto succedere quella sera.
Non che mi spaventasse l’idea di rimanere sola con Logan, ma non avevo la più pallida idea di come sarebbe andata, dopotutto avevo trascorso le ultime due settimane senza avere sue notizie.

 
 

Justin

 
A passo veloce raggiunsi i pressi di casa mia, ma mi bloccai poco prima di intravedere la porta della mia abitazione.
L'auto nera di Simon era parcheggiata parallelamente alla via e imprecai mentalmente, pensando a quello che sarebbe successo di lì a poco. Deglutii, avvicinandomi lentamente e lo vidi aprire la portiera, prima di sbattere la portiera dell'auto una volta sceso.
Mi limitai a fargli un cenno con il capo, intento a cercare le chiavi di casa nella tasca posteriore dei jeans, ma la sua mano ferma sul braccio mi impedii di andare oltre.
«Devo entrare in casa, ho bisogno di fare una doccia.» sbottai, intimandolo a lasciarmi andare.
Stranamente, senza ribattere, lasciò la presa, facendo un passo indietro, «è un'ora che ti aspetto.» mormorò, infilandosi le mani nelle tasche.
Sbuffai, lasciando perdere quella vana ricerca e guardai Simon dritto negli occhi, «non è colpa mia se hanno aperto quel dannato centro commerciale mezz'ora fa.» replicai, incrociando le braccia al petto.
Simon inclinò la testa leggermente di lato, osservandomi attentamente, «Scott mi ha mandato un messaggio questa mattina: suo padre dice di volere parlare con noi, riguardo Logan.» mi informò.
Sentendo nuovamente quel nome, la rabbia ribollì nelle vene, tanto che dovetti stringere i pugni lungo i fianchi per evitare di buttare giù la porta. Contrassi la mascella e afferrai le chiavi, spalancando la porta e facendo cenno a Simon di seguirmi all'interno.
«Parlare di cosa?» ribattei, quando si fu chiuso la porta alle spalle. Lo vidi stringersi nelle spalle poco prima che entrassi nella piccola cucina per prendere due bottigliette d'acqua.
«Non lo so. Se lo sapessi te l'avrei detto, non ti pare?» sbottò, sedendosi sul divano e allungando le gambe sul tavolino davanti a sé. Sbuffai avvicinandomi e con una spinta lo intimai a sedersi composto, prima di porgergli l'acqua, che accettò, senza toccarla.
«Era al centro commerciale.» mormorai, dopo qualche minuto di silenzio. Poggiai la bottiglietta oramai vuota per terra e sprofondai di nuovo nel divano. Simon invece si sedette diritto, per potermi guardare.
«Chi era al centro commerciale?» ribatté, confuso dalla mia affermazione, apparentemente senza senso.
Sospirai e chiusi gli occhi, «Logan.» risposi a denti stretti, «quando io e Alexis siamo usciti, Logan era fuori.» aggiunsi, spiegandogli quel poco che sapevo. Che fosse a conoscenza del fatto che eravamo rimasti chiusi là dentro per tutta la notte era impossibile, doveva essersi trattato di una pura e orrenda coincidenza.
Simon annuì, «ti ha detto qualcosa?» domandò, sapendo che qualcosa doveva essere successo.
Mi strinsi nelle spalle, «niente di nuovo. Me ne sono andato subito. Alexis-»
«Ah, Alexis.» mi interruppe Simon, soffermandosi sul pronunciare il suo nome, «cos'è successo là dentro?» domandò, con un sorriso da ebete dipinto sul volto.
Assottigliai lo sguardo, sperando di lasciar cadere il discorso, ma inarcò un sopracciglio, costringendomi a sbuffare, «niente. Cosa sarebbe dovuto succedere?» ribattei, cercando di non pensare al bacio che c'era stato.
Non ci sarebbe mai stato oltre, non con Logan in mezzo ai piedi. Nonostante Alexis fosse sembrata sorpresa nel vederlo comparire – così come lo ero stato io – era come se non si vedessero da un po' e la cosa mi sembrava strana.
«Non lo so, siete stati chiusi in quel posto da soli, tutta la notte..» sogghignò, stringendosi nelle spalle.
Sbuffai, alzandomi e prendendo la bottiglietta vuota da terra per tornare in cucina e buttarla.
Rimasi in silenzio per qualche secondo, poi lentamente tornai in sala, dove trovai Simon in piedi, come se fosse pronto per andare.
Mi schiarii la voce e rimasi a debita distanza, «Simon, me ne vado.» mormorai, a bassa voce, sperando quasi che non mi sentisse, ma così non fu.
Con la coda dell'occhio lo vidi contrarre la mascella, «come scusa?» ribatté, quasi convinto di aver sentito male.
Deglutii, avvicinandomi, «vado via per qualche giorno. Mio padre dovrebbe essere in una città qui vicino e vado da lui.» spiegai, «ho bisogno di non pensare a questa storia di Logan per qualche giorno. Dì al padre di Scott che non appena torno, ne riparleremo.» aggiunsi, prima di voltare le spalle a Simon e iniziare a salire verso il piano superiore.
Sentii la sua voce ancora per qualche minuto prima di chiudermi la porta del bagno alle spalle, consapevole che oramai Simon doveva essere uscito di casa.
Fu solo quando sentii il rumore di accensione della sua auto che sferrai un pugno alla porta, per scaricare la tensione accumulata fino ad ora.

 
 

Alexis

 
«Alexis, io esco, tornerò tardi.» mi disse mia madre poco prima di uscire di casa, senza nemmeno darmi il tempo di replicare. Esalai un sospiro di sollievo e ritornai a fissare l’interno del mio armadio. Feci scorrere quasi tutte le magliette e i pantaloncini presenti su quei ripiani, ripetei quell’operazione una seconda volta e, finalmente, mi decisi. Optai per un paio di pantaloncini bianchi ed un top blu e, non appena m’infilai le converse, sentii suonare alla porta. Sciolsi i capelli che avevo legato poco prima e corsi giù per le scale, cercando di regolarizzare il respiro una volta che fui davanti alla porta. L’aprii, trovandomi davanti il viso sorridente di Logan. «Sei tutta rossa in viso, che hai fatto?» domandò ridacchiando, al che portai entrambe le mani sulle gote. «Nulla, solo non mi aspettavo che fossi così puntuale e per cui-» lasciai cadere la frase a metà e mi scostai, in modo da farlo entrare.
Mantenni lo sguardo posato su di lui e mi morsi il labbro inferiore, sentendomi leggermente più nervosa. La sua presenza mi faceva quell’effetto, eppure con Justin era stato diverso: eravamo rimasti chiusi in quel centro commerciale per tutta la notte, ma non mi sentivo così.
Mi chiusi la porta alle spalle, cercando di provocare il minor rumore possibile, ma quel mio gesto lo costrinse a riportare lo sguardo su di me. Mi sorrise ed io, sebbene impercettibilmente, feci lo stesso.
«Che cos’avevi in mente di fare questa sera?» gli domandai, congiungendo le mani ed arricciando leggermente le labbra.
Lo vidi stringersi nelle spalle prima di darmi una risposta. «Tu che cosa vorresti fare?»
Oh, potevo scegliere?
Onestamente non avevo idea di che cosa volessi davvero fare. Avevo accettato di vederlo e non me ne stavo affatto pentendo, ma, ora come ora, l’idea di uscire e mettere piede in città non mi allettava.
Gettai un’occhiata alla televisione in salotto, ma, prima ancora che potessi replicare, Logan mi precedette.
«Vorresti guardare un film?»
«Se per te va bene…» mormorai e dal guizzo che colsi nel suo sguardo capii che, effettivamente, gli andava più che bene.
«Non ho più molti dvd.» dissi, quando raggiunsi il mobile sul quale era poggiata la televisione e una piccola pila di dvd.
«Non importa, troveremo un film decente su qualche canale.»
Accesi l’apparecchio ed indietreggiai fino a raggiungere il divano, dove dopo qualche secondo Logan mi raggiunse.
Attirai le ginocchia al petto e cominciai a far scorrere velocemente i canali, fino a quando non m’intimò di fermarmi. Dalle figure che passarono sullo schermo, non mi sembrava di conoscere quel film, però a lui parve piacere parecchio, per cui non feci domande e lasciai il telecomando sul tavolino di fronte a me.
Eravamo seduti l’uno accanto all’altra, avrei mentito se avessi detto che ci separavano due, o forse tre centimetri: i nostri fianchi erano praticamente incollati e la distanza tra i nostri busti si ridusse maggiormente quando posò un braccio attorno alle mie spalle.
Sussultai lievemente quando le sue dita sfiorarono la mia spalla e rimasi immobile fino a quando la sua voce non giunse alle mie orecchie.
«Va tutto bene?» domandò, mantenendo un tono di voce piuttosto basso.
Che razza di domanda era? No, non andava tutto bene, sarebbe andato tutto bene se non fossi stata così dannatamente nervosa.
«Certo.» mormorai, curvando verso l’alto gli angoli della bocca. Istintivamente mi ero voltata verso di lui ed incrociai così i suoi occhi azzurri, i quali impiegarono ben poco prima di rapirmi completamente. I nostri sguardi rimasero intrecciati fino a quando non mi scostò una ciocca di capelli dal viso, per poi riporla dietro all’orecchio. Abbassai lo sguardo, cercando di seguire i suoi movimenti, ma me lo impedii, posando poi due dita sotto al mio mento e costringendomi a far incrociare i nostri occhi di nuovo. Il suo viso era vicinissimo al mio, tanto che potei sentire il suo respiro caldo sulle labbra e tutto ciò mi provocò un brivido lungo la schiena. Distrussi l’intreccio dei nostri sguardi per guardargli le labbra e lui sembrò fare lo stesso, perché, man mano che i secondi trascorrevano, la distanza tra noi diminuiva. Senza far sembrare quel gesto troppo azzardato –  e solo Dio sapeva per quale assurda ragione non avessi annullato io quella distanza – posò le labbra sulle mie, catturandomi in un bacio casto.
Posò entrambe le mani sul mio viso e sentii la sua lingua sfiorarmi il labbro inferiore, al che dischiusi leggermente la bocca per permettergli di approfondire quel bacio, e così fu. Infilai le dita tra i suoi capelli biondi e sentii le sue mani abbandonarmi il viso per poi scendere lungo i fianchi ed attirarmi maggiormente a sé. Le nostre labbra rimasero incollate per un tempo che mi sembrò interminabile e, solo quando realizzai di essere finita a cavallo della sua vita, mi allontanai.
Lo guardai negli occhi per un’altra manciata di secondi, dopodiché ritornai al mio posto, sentendo improvvisamente le gote avvampare.
Lo vidi sorridere con la coda dell’occhio, mentre cercando di sembrare interessata al film, ma non ingannai nessuno. Avvolse nuovamente le mie spalle con il braccio e mi appoggiai al suo petto.
«Possiamo rivederci anche domani se vuoi.» mormorai, alzando lo sguardo ed incrociando così il suo.
Il sorriso dipinto sulle labbra svanì, lasciando spazio ad un’espressione quantomeno seria.
«Domani non ci sarò.» mormorò, al che mi accigliai, ma lo lasciai continuare.
«Sarò fuori città per un’altra settimana, o forse più, ma, non ti preoccupare, questa volta mi farò sentire.»
Arricciai le labbra ed annuii lievemente.
Non mi piaceva tutto ciò, per niente.




 




Ci sono anche io :)


Siamo in un ritardo spaventoso e ci dispiace davvero.
Ultimamente abbiamo avuto poco tempo per riorganizzare le idee, per cui ce la siamo presa un po' più comoda.
Ci dispiace anche aver visto un calo così  grande nelle recensioni, ma speriamo davvero che sia soltanto un periodo.

Per quanto riguarda il capitolo, speriamo davvero che vi piaccia ed aspettiamo di leggere i vostri pareri su tutto :)

Ringraziamo chi ha recensito e chi segue questa storia ♥

Un bacione,
Giulia e Federica.

Per sapere quando aggiorniamo, seguiteci su twitter: Giulia (@Belieber4Choice) Federica (@breathinjiley)
Vi lasciamo anche ask per qualsiasi cosa: 
Giulia e Federica.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16. ***


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Capitolo 16

 

Killian
 

Quel pomeriggio ci eravamo fermati in un piccolo locale alla periferia della città. Era quasi deserto, fatta eccezione per un paio di persone, ma non le calcolai. Simon ed io ci eravamo recati lì con l’intenzione di poter parlare liberamente di ciò che il padre di Scott ci aveva richiesto di fare.
«Lo hai sentito anche tu.» mormorai, stringendo tra le dita il bicchiere di birra che avevo davanti, «non vuole che si ripeta ciò che è successo con Justin. Dobbiamo solo farlo spaventare.»
Simon annuì, rimanendo comunque perplesso. «Non credo ci sia molto che possiamo fare. Gli abbiamo già incendiato la macchina, su cosa dovremo puntare ora?»
Mi strinsi nelle spalle. Onestamente, non lo sapevo, ma ero determinato – come gli altri del resto – a metterlo fuori gioco.
«Un’idea ce l’avrei.» mormorò Simon e colsi un guizzo nel suo sguardo. Non risposi, aspettai che continuasse. Conoscevo quell’espressione da bastardo e sapevo che, riguardo a certe cose, non riusciva ad avere mezzi termini.
«Potremmo occuparci di qualcuno molto vicino a lui.»
«Se ti riferisci ad Alexis, scordatelo. Justin ti ucciderebbe.»
Immaginavo si riferisse a lei, non gli era mai andata molto a genio quella ragazza.
Lo vidi sbuffare e bevve un lungo sorso di birra.
«Hai un’idea migliore?» ribatté con tono di sfida.
Ci pensai su, effettivamente non c’era molto che potessimo fare, ma eravamo tutti intenzionati ad aiutare Scott, per cui un modo l’avremmo trovato.
«Ricordi anche tu quanto rimase sconvolto quando vide la sua casa in fiamme, vero?» domandai e sollevò immediatamente lo sguardo, assumendo un’espressione confusa, ma annuì comunque.
«Non intendo di voler fare lo stesso anche all’abitazione in cui vive ora, ma se facessimo in modo che ritornasse in quella vecchia casa e-»
«Una sottospecie di rapimento?» domandò interrompendomi,al che sorrisi.
«Più o meno. Se ricreassimo quanto successo tre anni fa, potremmo giocare sul lato psicologico e lo avremmo in pugno.»
Non mi sembrava molto convinto, ma, dal momento in cui non avevamo alternative, disse: «Si può provare.»
Scostai lo sguardo dalla figura del mio amico, posandolo su un paio di persone sedute ad un tavolo non lontano dal nostro. Incrociai lo sguardo di uno di loro e non mi fu nuovo. Il locale non era molto illuminato, per tanto impiegai alcuni secondi prima di ricordare dove l’avessi già visto.
Lui, contrariamente, sembrò sapere esattamente chi fossi. Con la coda dell’occhio vidi Simon voltarsi di scatto, per poi riportare nuovamente lo sguardo su di me.
«Merda!» sbottò Simon, «erano con Logan alla festa di Andie.»
Cercai di guardarli più attentamente, ma si alzarono con velocità fulminea e, prima che lasciassero il locale, vidi uno dei due intento a parlare al telefono.
 
 
 

Alexis

 
Rimasi a fissarlo, senza ribattere e, soprattutto, senza riuscire a nascondere la delusione che quelle parole mi avevano provocato.
Se n’era andato per un tempo che mi era parso indefinito e ora la cosa si stava per ripetere.
Come avrei dovuto prenderla?
«Mi dispiace davvero tanto, piccola.» mormorò, scostandomi una ciocca di capelli dal viso e sfiorandomi la gota con l’indice.
Dischiusi le labbra, intenta a dire qualcosa, ma uno strano ‘bip’ mi costrinse a tenere la bocca chiusa. Mi guardai attorno, cercando di capire da dove provenisse, ma poi lo vidi infilarsi la mano in tasca ed afferrare il cellulare. «Scusa un attimo.» mormorò prima di alzarsi ed allontanarsi di poco da me.
Sospirai sonoramente ed attirai le ginocchia al petto, poggiandovi sopra il mento e soffermando la mia attenzione verso le immagini che passavano in televisione.
«I- io devo andare adesso.» Nell’esatto istante in cui la sua voce giunse alle mie orecchie, chiusi gli occhi per un paio di secondi, con l’intenzione di far sbollire qualsiasi sentimento negativo che iniziavo a provare.
Annuii quasi impercettibilmente ed abbandonai il divano, muovendo qualche passo verso di lui – che ora era già accanto alla porta d’ingresso – ma mantenni comunque una certa distanza.
«D’accordo.» mormorai, aprendo la porta ed incrociando poi le braccia al petto. Lo vidi abbassarsi di poco, quanto bastava per raggiungere la mia altezza, e rimasi immobile, mentre le sue labbra sfiorarono le mie. Fu un bacio semplice, tanto che non mi permise nemmeno di sentire il sapore delle sue labbra.
Sarebbe sparito per un'altra settimana, o forse più, e quello fu tutto ciò che mi diede prima di salutarmi.
«Ti chiamo domani sera.» mi disse e, dopo aver biascicato un semplice ‘okay’, mi diede le spalle ed uscì. Lo guardai andar via, chiudendo la porta solo quando lo vidi salire in macchina.
Mi appoggiai con la schiena al dorso di essa e, probabilmente, rimasi in quella posizione per troppo tempo, perché tutto d’un tratto sentii il rumore di una chiave inserirsi nella serratura.
Mamma era tornata.
 
 

Scott

 
Sentii improvvisamente la porta d’ingresso chiudersi, con a seguito un suono di passi frettolosi ed irregolari. Sollevai lo sguardo non appena le figure di Simon e Killian fecero  capolino all’interno della sala, spensi la televisione e mi voltai completamente verso di loro.
Entrambi erano arrossati in viso e dagli sguardi che avevano intuii che fossero arrabbiati. Nell’istante in cui dischiusi le labbra per domandare spiegazioni, Killian mi precedette, zittendomi.
«Dannazione!» sbottò irato, facendo cadere il cellulare sulla superficie del tavolo, e mancandolo di poco quando – per quello che mi sembrò un attacco di rabbia – sbatté fortemente un pugno accanto ad esso.
«Qual è il problema?» non riuscii a tenere la bocca chiusa.
«Temo che Logan sospetti qualcosa.» disse semplicemente. Feci per alzarmi in piedi, ma un’occhiata da parte di Simon m’intimò di restare fermo.
«Simon ed io eravamo in un locale poco fa, stavamo discutendo su come mettere fuori combattimento Logan, ma…»
«Ma?»
«Ma non ci siamo accorti che i suoi amici sfigati hanno sentito tutto, o quasi.» continuò Simon al posto suo.
Sospirai sonoramente e scossi il capo. «Merda, questa non ci voleva.»
«Direi di no. Anche perché, quando ce ne siamo accorti, sono scappati fuori dal locale e uno di loro aveva il telefono in mano. Quindi avrà di sicuro riferito a Logan ciò che ci siamo detti.»
«Considerando il fatto che sia un cagasotto, scommetto tutto quello che vuoi che non si farà vedere per un po’.» commentò Simon, lasciandosi cadere a peso morto sul divano.
«A questo punto non ci resta altro da fare che aspettare che si faccia vivo di nuovo e agire.» dissi, stringendo le labbra.
«Credo non basti aspettare, ormai sanno che tramiamo qualcosa. Dobbiamo pensare a qualcos’altro.»
 
 

Justin

 
«Papà, sto andando.» mormorai, chiudendo il piccolo bagaglio che avevo  portato da casa.
Sentii i suoi passi percorrere il corridoio, poco prima di trovarmelo di fronte, «pensavo ti saresti fermato di più.» ribatté, sedendosi sul piccolo divano.
Mi strinsi debolmente nelle spalle, alzando poi lo sguardo verso di lui, «devo tornare a casa e poi tu partirai nel giro di qualche giorno.»
Mio padre sorrise appena, ma non era felice, tutt'altro, «puoi sempre venire con noi.» propose.
Mi inumidii le labbra, ma scossi la testa, senza esitare, «la risposta è sempre la stessa papà, lo sai.» mormorai, dando un leggero calcio al bagaglio ai miei piedi.
Sospirò, alzandosi dal divano e venendo venendo verso di me, solo per abbracciarmi velocemente e aprirmi la porta, permettendomi di uscire. Feci scattare l'apertura automatica della macchina e caricai il bagaglio sul sedile posteriore, prima di voltarmi nuovamente verso mio padre, «ci vediamo presto.»mormorai, abbassando leggermente lo sguardo.
Lo sentii sorridere e la sua mano fu sulla mia spalla, «ma certo Justin, fai buon viaggio.» replicò.
Annuii brevemente e salii in auto, mettendo in moto solo quando mio padre si fu allontanato.
Misi a posto lo specchietto, incrociando il mio stesso sguardo. Le due settimane lontano da tutti e da tutto non erano servite poi a molto. Non con il pensiero fisso di Alexis e non con Scott, Simon e Killian che non avevano afferrato il concetto di “ho bisogno di stare solo”.
Nonostante non avessi mai risposto alle loro chiamate, non avevano mai smesso di provare. Sapevo che volevano parlare di Logan, ma Logan era collegato ad Alexis e pensare ad Alexis peggiorava solo le cose.
Non sentivo la sua voce da due settimane, non incrociavo i suoi occhi da due settimane e non la sentivo ridere o urlarmi contro da altrettanto tempo.
Non sapeva nemmeno che me ne fossi andato e probabilmente, non appena mi avrebbe visto, non avrebbe esitato ad odiarmi – sempre che già non lo stesse facendo – ma forse, per certi versi, era meglio così.
Il solo pensiero che Logan le girasse continuamente intorno, prendendosi gioco di lei, era la cosa che più mi faceva salire la rabbia in tutto il corpo. Non meritava di essere trattata in quel modo, soprattutto non da lui.
Sovrappensiero, accelerai senza volerlo, facendo sgommare le ruote posteriori, prima di immetermi sulla strada principale.
Seguii vari cartelli, prima di imboccare la via che mi avrebbe riportato in Pennsylvania. Avevo passato le ultime due settimane in completa solitudine a Philadelphia, ma sentivo che la questione Logan doveva essere risolta al più presto.
L'unica compagnia che ebbi nelle ore che passai in quell'auto, fu il suono sommesso della radio, che alternava musica scadente a discorsi senza senso dei vari speakers.
Verso sera, le luci di casa si fecero più vicine, fino a quando intravidi il cartello stradale che mi avrebbe riportato dritto in città. Lasciai l'acceleratore, essendo costretto a rispettare i limiti di velocità, lasciando che le stradine familiari si facessero largo davanti a me.
Come d'abitudine, regnava il silenzio assoluto, nonostante fossero appena le sette di sera. Raggiunsi casa mia in una decina di minuti buoni e non appena scesi dall'auto, solo per sgranchirmi le gambe e lasciare sulla soglia di casa il bagaglio, ci risalii, pensando a dove andare per primo: dritto dai ragazzi o fare un salto da Alexis?
Controllai nuovamente l'ora sul cruscotto e optai per andare da Scott. Immaginavo potessero essere là e quando, raggiunta l'abitazione, notai la macchina di Simon, ne ebbi la conferma. Parcheggiai parallelamente alla sua auto e scesi, mettendo le chiavi in tasca.
Bussai brevemente, fino a che qualcuno non fece scattare l'apertura della porta, permettendomi di entrare.
Le voci di Simon e Scott si sentivano anche dall'atrio, ma dedussi che fossero in salotto. Mi schiarii la voce solo quando inquadrai le loro figure, intente a discutere su qualcosa che riguardava un piano. Sapevo che si stavano riferendo a Logan – doveva per forza essere così – ma volevo esserne davvero sicuro, prima di dire o fare qualsiasi altra cosa.
Simon alzò lo sguardo incrociando il mio e la sua espressione passò dalla sorpresa all'indifferenza, «guarda chi è tornato.» borbottò, distogliendo lo sguardo e fissando un punto oltre il divano sul quale era seduto.
Aggrottai le sopracciglia, ma non replicai. Ero troppo stanco per intavolare una discussione con lui. Fu Scott ad intervenire, «dobbiamo parlare.»
Annuii, «è per questo che sono qui.» ribattei.
Simon si alzò all'improvviso, «hai finalmente trovato il telefono?» sbottò. Per un momento lo guardai confuso, ma capendo poi a cosa alludesse, mi strinsi svogliatamente nelle spalle.
«A differenza tua, il mio primo pensiero non è Logan. Non passo le mie giornate a pensare a come togliermelo di torno una volta per tutte e ti do un consiglio Simon: dovresti farlo anche tu.» ribattei, stringendo i pugni lungo i fianchi.
Scott ci richiamò, ma lo sentii a malapena. Simon si avvicinò leggermente, «permetti che ti dia io un consiglio ora: dovresti iniziare tu a pensare un po' più a lui, se vuoi avere per te quella ragazza.»
Contrassi la mascella, sapendo che si stava riferendo ad Alexis, «sono venuto per sapere che diavolo avete in mente, non per parlare di lei.» ribattei.
Simon fece per ribattere, ma Scott intervenne, «Logan è fuori città.» disse, facendomi cenno di sedermi sul divano di fronte a loro. Non me lo feci ripetere due volte, ero talmente stanco che non avrei retto molto altro tempo in piedi, «poco dopo la tua partenza, un suo amico ha chiamato Logan, dicendogli probabilmente di sparire per un po' dalla città. Sanno che mio padre non ha mai dimenticato e che vuole i suoi soldi e hanno sentito Simon e Killian parlare. Logan non se l'è fatto ripetere due volte e ha alzato i tacchi.» spiegò, scandendo le parole, come solo lui era in grado di fare, «cosa di cui, per la cronaca, la sua suddetta ragazza, non è alquanto contenta. L'ho sentita parlare con Andie e non so se ce l'ha più con lui o con te per essere sparito per due settimane.»
Contrassi nuovamente la mascella, ma non dissi nulla, «comunque, stavamo solo decidendo il da farsi, ma non credo che tu sia in forma per poterne discutere.» concluse, inarcando un sopracciglio. Sentivo lo sguardo di Simon addosso, ma cercai di ignorarlo.
Mi alzai, stringendomi nelle tasche, «allora posso anche andarmene, che dici?»
Fu Simon a rispondere, «nessuno ti costringe a stare qui.» borbottò. Incrociai il suo sguardo e annuii, prima di voltare loro le spalle e uscire di casa.
Misi velocemente in moto e in meno di dieci minuti, ero davanti a casa di Alexis.
Parcheggiai a pochi passi dalla sua auto e scesi, fissando l'abitazione per qualche secondo, prima di avvicinarmi alla porta: l'unica luce proveniva al piano superiore e sembrava essere sola.
Suonai alla porta e aspettai che venisse ad aprirmi, ma non successe nulla, così ripetei il gesto fino a che non sentii la sua voce, soffocata per via della porta, «arrivo!»
Feci un passo indietro e aspettai di trovarmela davanti. Il sorriso che aveva sul volto si spense nell'esatto momento in cui incrociò il mio sguardo. Deglutii e mi limitai a fissarla: indossava un paio di pantaloncini di jeans a vita alta, che le mettevano in risalto le gambe e una semplicissima canottiera bianca che lasciava scoperta una piccola parte di stomaco. Quando si accorse che la stavo fissando, arrossì, «J-Justin.» mormorò, facendo quasi un passo indietro. Annuii, quasi a confermare quella che sembrava essere una domanda.
«Ciao.» mormorai in risposta.
Aggrottò le sopracciglia, «cosa ci fai qui?» domandò. Era piuttosto calma, ma sapevo che al momento opportuno sarebbe scoppiata.
«Sono appena tornato.» risposi semplicemente.
Alexis incrociò le braccia al petto e si guardò intorno, prima di spostarsi di lato per potermi permettere di entrare. Sfiorai senza accorgermene la sua spalla con la mia e lasciai che chiudesse la porta.
«Non sapevo che fossi partito.»mormorò, prima di alzare gli occhi al cielo, «voglio dire, ci sono arrivata dopo quasi una settimana che non ti vedevo, ma-»
«Non l'ho detto a nessuno.» la interruppi, passandomi velocemente una mano tra i capelli.
Si strinse nelle spalle, «sì, me n'ero accorta.» borbottò, andando a sedersi sul divano. La seguii, ma non mi sedetti.
«Avevo bisogno di stare un po' da solo.»ammisi, nonostante non mi avesse fatto alcuna domanda che implicasse quella risposta.
Alexis annuì, «dove sei stato?» chiese nuovamente, ma evitai di darle una risposta ben precisa, così sviai un po' il discorso, «che fai domani?» ribattei.
A quelle parole aggrottò le sopracciglia, confusa, «cosa vuoi dire?»
Sorrisi appena, «sei impegnata?» riprovai.
Alexis scosse la testa e notai l'ombra di un sorriso, «non lo so, ma perché me lo chiedi?» ribatté.
Questa volta sorrisi apertamente e quasi non mi resi conto di ciò che stavo per dire, «perché domani è la giornata perfetta per andare a pesca.»

 



 



Ci sono anche io :)


Ci scusiamo veramente tanto per il ritardo, ci dispiace di aver fatto passare così tanto tempo.
Siamo state entrambe impegnate e abbiamo avuto ben poco tempo per seguire anche questa storia - come molte di voi sapranno, ne abbiamo anche altre in corso e star dietro a tutte si è rivelato un po' difficile.
Comunque sia, nonostante questo speriamo che non smettiate di seguire la storia, perché - come già avevamo detto - abbiamo le idee per portarla avanti e faremo del nostro meglio per non tardare più così tanto.

Speriamo davvero che vi sia piaciuto il capitolo ed aspettiamo di leggere i vostri pareri su tutto :)

Ringraziamo chi ha recensito e chi segue questa storia ♥

Un bacione,
Giulia e Federica.

Per sapere quando aggiorniamo, seguiteci su twitter: Giulia (@Belieber4Choice) Federica (@breathinjiley)
Vi lasciamo anche ask per qualsiasi cosa: Giulia e Federica.

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17. ***


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Capitolo 17

 

Alexis
 

Aggrottai le sopracciglia, vagamente confusa sulla piega che quel discorso stava prendendo. Mi grattai distrattamente il mento, prima di scostarmi una ciocca di capelli dalla guancia e vidi notai Justin seguire con lo sguardo quel gesto, tanto che per un momento distolsi lo sguardo, quasi sentendomi in imbarazzo.
Mi schiarii lievemente la voce, «non capisco cosa tu stia dicendo Justin, sul serio.» mormorai.
Sospirò e poggiò entrambe la mani sulla spalliera del divano, avvicinandosi appena, «non dirmi che ti sei già dimenticata della nostra promessa.» abbozzò leggermente un sorriso.
Mi trattenni dal ridere, ma davvero non avevo idea di quello a cui si stava riferendo. Nonostante la scena potesse sembrare comica dal mio punto di vista, colsi una vena di delusione sul viso di Justin, il quale aggrottò lievemente le sopracciglia, «okay, magari non era una vera e propria promessa, ma la sera in cui siamo rimasti bloccati nel centro commerciale, ti ho detto che se mai un giorno fossimo andati in campeggio insieme, ti avrei insegnato a pescare.» aggiunse velocemente.
Come se fossi tornata indietro di qualche settimana, tutto tornò alla memoria e sentii quasi un'ondata di nervosismo percorrermi.
Trasalii appena, «ma noi non dobbiamo andare in campeggio insieme.» mormorai, sentendomi addirittura in imbarazzo.
Justin curvò le labbra in modo che il sorriso divenne quasi un ghigno, che non esitò a farmi avvampare, «beh, non ancora. Se te lo chiedessi, cosa mi risponderesti?» chiese con quella che sembrava nient'altro che una domanda retorica.
Aprii la bocca per rispondere, senza nemmeno pensarci, ma tutto quello che uscì fu un misero: «non lo so.»
Justin alzò gli occhi al cielo e fece il giro del divano, fino a fermarsi esattamente di fronte a me, così fui costretta e voltarmi verso di lui per non dargli le spalle. Si piegò sulle gambe e posò entrambe le mani sul divano, ai lati delle mie ginocchia per sostenersi e non perdere l'equilibrio. Aggrottai le sopracciglia, «Alexis, verresti in campeggio con me?» domandò con un filo di voce, «prometto che ti insegnerò a pescare e farò in modo che non sia così noioso come sembra e, cosa più importante, prometto che non ci saranno orsi.» aggiunse con un sorriso.
A quelle parole non potei evitare di sorridere a mia volta. Lo fissai per qualche istante, combattuta se accettare o no. Mi piaceva passare del tempo con Justin, ma Logan era costantemente nei miei pensieri, nonostante tutto.
Piegò leggermente la testa di lato, aspettandosi una risposta e in quel preciso momento la voce nella mia testa gridò “Logan è fuori città e ha detto chiaramente che prima di una settimana non tornerà”.
«Niente orsi?» mormorai.
Justin sorrise e scosse la testa, «niente orsi, promesso.» affermò.
Chiusi gli occhi un istante, prendendo un respiro profondo prima di annuire lievemente, «d'accordo.» risposi infine.
Quando riaprii gli occhi, Justin stava sorridendo come mai gli avevo visto fare da quando lo conoscevo. Si alzò in piedi così velocemente che sobbalzai appena, «passo a prenderti domani mattina allora.» disse, facendo nuovamente il giro del divano, dirigendosi alla porta per potersene andare. Toccò appena la maniglia della porta, in modo da aprirla, ma mi alzai velocemente da divano per raggiungerlo e lo fermai, prendendolo per un braccio, «aspetta, cosa? Domani mattina?» ripetei, aggrottando le sopracciglia e scuotendo appena la testa. Justin si strinse nelle spalle e si limitò ad annuire, «ma non so nulla, non so cosa portare, non so dove andremo, io-»
«Porta te stessa, andrà benissimo così.» sorrise, aprendo appena la porta e uscendo fuori, diretto verso la sua auto. Feci per fermarlo di nuovo, ma fu più veloce di me, «domani mattina alle sette sarò qui. Non fare tardi, chi dorme non piglia pesci!» sogghignò, facendomi un cenno con la mano e congedandosi. Salì in macchina e nel giro di un secondo, mise in moto e sparì, lasciandomi sulla soglia di casa con un'espressione inebetita.
Tornai dentro e mi sedetti sul divano, chiudendo gli occhi e pensando in quale disastro mi ero infilata.
Una manciata di minuti più tardi, l'auto di mia madre irruppe nel vialetto, distogliendomi dai miei pensieri – riguardanti soprattutto un possibile attacco da parte di qualche orso.
Entrò in casa e lasciò cadere la borsa sul tavolino all'ingresso, sbadigliando rumorosamente e stiracchiando le braccia sopra la testa prima di accorgersi di me, «oh, sei ancora sveglia?» domandò aggrottando le sopracciglia.
Annuii, alzandomi dal divano, «sì.» risposi. Anche se non credo che dormirò molto.
Mia madre sbadigliò nuovamente, «io sono esausta. Ci vediamo domani tesoro, buonanotte.» mormorò, avviandosi verso il corridoio, ma la fermai, seguendola e fermandola per il braccio, «aspetta, devo dirti una cosa.»
Un altro sbadiglio, «adesso? Non puoi aspettare fino a domattina?» domandò, sciogliendosi la cosa di cavallo.
Mi morsi il labbro e scossi la testa, «no, è meglio che te lo dica adesso.» risposi, al che si insospettì e sembrò svegliarsi leggermente. Mi fece cenno di poter continuare, «Justin – non so se ti ricordi di lui – ha avuto la brillante idea di andare in campeggio e mi ha chiesto se voglio andare con lui e-»
«Tu, in campeggio?» domandò con tono quasi divertito. Mi strinsi nelle spalle, realizzando che forse aveva pienamente ragione ad usare quel tono così sorpreso e poco convinto, seppure divertito, «pagherei per vederti, ma d'accordo, va' pure. Stai solo attenta, d'accordo? E ora ti prego, lasciami andare a dormire tesoro, buonanotte.» mormorò velocemente, aprendo la porta e chiudendola il secondo dopo per evitare che potessi dire altro.
Sbuffai e mi affrettai a spegnere la luce del salotto prima si salire le scale e chiudermi in camera mia.
Mi sedetti a gambe incrociante al centro del letto e reclinai la testa, fissando il soffitto per alcuni minuti, senza sapere cosa fare. Ripensai al Justin e al suo “porta te stessa” e mi ero quasi convinta a coricarmi, ma la vibrazione del telefono, rimasto sul comodino, mi fece trasalire.
Il nome di Logan lampeggiò sullo schermo, così sfiorai il tasto di risposta con l'indice, «pronto?» mormorai appena, per paura che, nonostante la distanza e il sonno, mia madre potesse sentirmi.
«Ciao.» rispose Logan dall'altra parte, con il suo solito accento inglese, che avevo imparato a riconoscere oramai.
Sorrisi appena, «credevo ti fossi dimenticato di me.» scherzai, indietreggiando, fino a poggiare la schiena alla testiera del letto.
Lo sentii sorridere dall'altro capo del telefono, «non potrei mai dimenticarmi di te, Alexis.» replicò e, involontariamente, avvampai, sentendo le guance in fiamme. Aveva la capacità di farmi arrossire anche con la frase più semplice.
«Dove sei?» domandai, sedendomi ancora più comodamente e allungando poi una mano per accendere la piccola luce sul comodino, alla destra del letto.
Si schiarì leggermente la voce, così aggrottai le sopracciglia, «non te lo posso dire.» rispose, abbassando notevolmente il tono di voce.
Inclinai appena la testa di lato, «perché non me lo puoi dire?» ribattei velocemente, sentendo delle voci farsi sempre più vicine, così tesi l'orecchio cercando di capire cosa dicessero, ma non ci riuscii, colsi solo qualche parola che, da sola, non aveva nessun senso.
«Perché de-» ma qualcuno chiamò il suo nome dall'altro capo del telefono, così si interruppe, lasciando la frase a metà, «devo andare ora. Ti chiamo appena possibile, mi dispiace.» e riagganciò, senza nemmeno il tempo di poter dire qualcosa o di poterlo salutare. Sapevo che non avrebbe richiamato. Sbuffai e spensi il telefono, dopo aver impostato la sveglia. Non avrei preso sonno, con il pensiero del giorno dopo, ma provai lo stesso a rilassarmi.
Spensi la luce, rimanendo completamente al buio e chiusi gli occhi, ma invano. Mi girai sul fianco, stringendo il cuscino, ma nemmeno così funzionò, così fissai il soffitto per un po'. Probabilmente mi addormentai perché, dopo quelli che sembrarono secondi, la fastidiosissima suoneria della sveglia mi fece trasalire, strappandomi al sonno – tutt'altro che ristoratore. Allungai una mano e sfiorai lo schermo del telefono, in modo che quell'orrendo suono cessasse al momento. L'ora sul display segnalava le sei e quaranta. Avevo sì e no venti minuti prima che Justin arrivasse e da quanto avevo avuto modo di conoscerlo, era una persona piuttosto puntuale.
Mi alzai velocemente dal letto, diretta in bagno per poter fare una doccia. Ci impiegai più tempo del previsto perché quando tornai in camera, mancavano appena cinque minuti alle sette.
Legai i capelli ancora umidi in una treccia scomposta e tirai fuori uno dei borsoni che avevo usato per il trasloco. Presi dall'armadio i primi indumenti che mi capitarono sotto mano e chiusi il tutto, infilando il cellulare in tasca e scendendo poi le scale, stando attenta a non fare troppo rumore e svegliare mia madre.
Come posai il borsone sul pavimento, il suono di un clacson, a pochi metri di distanza, suonò, facendomi sobbalzare e mentalmente imprecai, aprendo la porta, prima di chiudermela alle spalle e dare due giri di chiave. Justin scese dall'auto e si appoggiò alla portiera di essa, aspettando che lo raggiungessi.
«Sei fastidiosamente puntuale, te l'hanno mai detto?» borbottai, dandogli una leggera spinta sul braccio.
Tutto quello che fece fu stringersi nelle spalle e indicare con il mento il baule, «mettilo pure lì dietro.» mormorò, prima di salire in auto di nuovo. Alzai gli occhi al cielo, ma feci ciò che mi aveva appena detto, prima di fare il giro e salire al posto del passeggero.
«Non ho avuto nemmeno tempo di fare colazione, perché dobbiamo andare via così presto? – E no, risparmiati la pessima battuta del “chi dorme non piglia pesci”.» alzai leggermente la voce dopo che notai che si stava preparando a rispondere. Sbuffò appena, ma sorrise, allungando una mano nei sedili posteriori, prima di allungare verso di me un sacchetto di carta. Lo guardai scettica per un momento, ma il profumo di caffè mi impedì di poter borbottare altro.
«Grazie.» mi limitai a mormorare. Justin annuì e mise in moto la macchina, mentre estrassi uno dei due bicchieri di caffè dal sacchetto, stando bene attenta a non rovesciarlo in giro.
Si immise sulla strada principale e accese la radio, mantenendo il volume piuttosto basso, quasi come un sottofondo.
«Non mi piace perdere tempo.» disse poi, interrompendo quel breve momento di silenzio. Lo guardai per un momento confusa prima di capire che era solamente la risposta alla mia domanda di poco fa.
Scossi appena la testa e mi voltai verso il finestrino, giusto in tempo per vederlo imboccare una strada davvero poco trafficata. Sospirai, quando mi accorsi che mi stava tendendo la mano. Incrociai il suo sguardo per un secondo, «quello non era solo per te.» sogghignò, facendo un cenno con la testa verso il sacchetto che avevo poggiato sulle gambe.
Scoppiai a ridere e gli porsi l'altro bicchiere. C'erano anche due muffin, «quale dei due preferisci?» domandai.
Justin si strinse nelle spalle, «scegli tu.» rispose, tenendo gli occhi sulla strada e aumentando notevolmente la velocità. Infilai la mano nel sacchetto e presi il primo che riuscii ad agguantare e glielo porsi. Allungò nuovamente la mano, «mmh, preferivo il cioccolato.» borbottò, dandogli poi un morso.
«Justin!» esclamai, colpendolo sul braccio. Scoppiò a ridere e poggiò il muffin tra le ginocchia, in modo da non farlo cadere, per poter svoltare a sinistra, tanto bruscamente che quasi rischiai di rovesciare il caffè, «scherzavo. Non mi piace il cioccolato.» mormorò, facendomi poi l'occhiolino, tanto da farmi arrossire.
Scossi appena la testa e mi sedetti comodamente sul sedile, prendendo un pezzo di muffin e bevendo un altro sorso di caffè, fino a che non fu del tutto finito. Continuai a guardare fuori dal finestrino, non avendo idea di dove stessimo andando e, forse, era meglio così.
«Sembra che tu non veda l'ora di uscire dalla città.» mormorai, quasi a me stessa che direttamente a lui.
Notai un guizzo sulla sua guancia, segno che la conversazione non stava prendendo una piega a lui piacevole, «già, sembra proprio così.» ribatté scocciato.
Aggrottai le sopracciglia e mi voltai completamente verso di lui, spostando la cintura di sicurezza, in modo che non mi desse fastidio sul collo, «mi dirai perché te ne sei andato per oltre una settimana senza avermi avvisato?» domandai, anche se potevo immaginare la sua risposta.
Justin si strinse nelle spalle, «è così importante?» ribatté, voltandosi appena e incrociando il mio sguardo, prima di svoltare un paio di volte a sinistra e fermare definitivamente l'auto in mezzo a quello che, apparentemente, sembrava essere il nulla più totale.
Mi limitai a scuotere la testa e lo vidi sganciare la cintura di sicurezza, prima di scendere dall'auto. Immediatamente feci lo stesso, affiancandolo mentre cominciava a tirare giù alcune cose dal baule, compreso il mio borsone.
Mi guardai intorno per qualche secondo e deglutii, «non verrà nessuno? Voglio dire, ci sarà altra gente poi o saremo completamente isolati?» domandai, sentendomi leggermente più agitata di quanto già non fossi.
Justin si limitò a sorridere, «è ancora presto, ma è una bella giornata, arriverà altra gente.»  rispose, iniziando a camminare, «nel frattempo, possiamo scegliere il posto migliore.» aggiunse.
Lo seguii in silenzio, prima che si fermasse accanto ad un albero piuttosto imponente. Lasciò cadere per terra ciò che teneva in mano e stiracchiò le braccia sopra la testa.
Lo guardai stranita e poggiai il borsone a terra. Justin scosse la testa, accennando un sorriso, «è qui che mio padre e io venivamo sempre ed è per questo che tendo a venire così presto. Non voglio che altri lo occupino.» disse, a mo' di spiegazione.  Mi morsi il labbro e annuii, senza sapere che cosa poter dire o aggiungere.
 
 

Justin

 
 
 
Non avevo idea del perché avesse accettato di unirsi a me in quella gita fuori porta, fatto sta che mi sentivo davvero bene lì con lei. Temevo – e ne ero abbastanza certo – che nei suoi pensieri ci fosse ancora quel bastardo di Logan, ma scossi la testa, cercando di dimenticarmene.
«Allora che si fa?» domandò, portando entrambe le braccia verso l’alto, stiracchiandosi.
Prima ancora di risponderle, afferrai da terra le due canne da pesca e tutto l’occorrente che la sera prima avevo preparato all’interno di uno zainetto.
«Seguimi.» abbozzai un sorriso e mi diressi verso una piccola altura a pochi metri da noi. Con la coda dell’occhio seguii i suoi movimenti: il suo sguardo era posato sulla superficie piatta del lago, camminava a passo lento e con le mani in tasca e mi diede l’impressione che fosse assorta in pensieri che, molto probabilmente, avrei preferito non conoscere.
Non appena raggiungemmo il punto più alto, mi voltai verso di lei e le porsi la canna. Mi guardò leggermente perplessa e, titubante, l’afferrò, «che dovrei farci?» domandò e non potei evitare di scoppiare a ridere.
«Fai esattamente quello che faccio io.» risposi. Tirai fuori dallo zainetto una piccola scatola in plastica, contenenti le esche, la aprii e, dopo avergliela mostrata, l’attorcigliai attorno all’amo.
La vidi arricciare le labbra ed assumere un’espressione alquanto schifata, «questo però lo fai tu, vero?» domandò preoccupata, ma scossi il capo, senza riuscire a togliermi il sorriso dalle labbra.
«Non prenderò in mano quell’essere ripugnante.» sbottò, indietreggiando di un passo.
«È soltanto un verme.» replicai, avvicinando la scatola a lei ed ecco che indietreggiò di nuovo.
«Che schifo, non osare!» urlò, lasciando quasi cadere la canna da pesca. Sbuffai e posai la mia canna a terra, facendole segno di passarmi la sua, «grazie.» disse soddisfatta. Ripetei quell’operazione ancora una volta e gliela ripassai.
«Ora devi fare in modo che l’amo raggiunga il punto più lontano, per cui spero che tu abbia almeno un po’ di forza nelle braccia.» sebbene non lo facessi con cattiveria, mi divertivo a prenderla in giro e, a differenza dell’ultima volta in cui avevamo passato un po’ di tempo insieme, mi sembrava decisamente meno acida e meno restia a starmi vicino.
«Oh, certo, faccio sollevamento pesi tutti i giorni.» mi fulminò con lo sguardo, ma scoppiò a ridere subito dopo.
«Almeno provaci.» ridacchiai, fissandola.
Sbuffò e, sorpassandomi, raggiunse il bordo di quella collinetta, portò entrambe le braccia dietro la testa e, subito dopo, le stese in avanti con  un rapido movimento. Tuttavia, l’amo non fece molta strada e si fermò solo a cinque metri da noi. La vidi arricciare le labbra delusa, per poi voltare il capo verso di me e dedicarmi un’occhiata di sufficienza, «un lancio da maestro!» esclamò retorica.
Risi di nuovo e questa volta fui io a lanciare. Il ronzio del filo riempì l’aria per qualche istante fino a che non vidi l’amo fermarsi quasi al centro del lago.
«Hai deciso di portarmi qui solo per umiliarmi?» dal suo tono di voce sembrava divertita, ma tentò comunque di mantenere un’espressione seria. Mi strinsi nelle spalle e le sorrisi, accorgendomi solo in quel momento di non aver fatto altro da quando eravamo partiti.
Poggiammo entrambe le canne a terra, impiantandole per bene nel terreno, e prima ancora che potessi sedermi sull’erba, udii nuovamente la sua voce.
«Quanto tempo dobbiamo aspettare?» domandò, incrociando le braccia al petto e guardando le canne da pesca.
Mi aspettavo una domanda del genere: la prima volta che andai a pescare, ricordo di aver chiesto la stessa identica cosa a mio padre almeno dieci volte nell’arco di mezz’ora.
«Potrebbe volerci tutta la giornata.» risposi atono, riportando la mia attenzione verso il lago, ma con la coda dell’occhio la vidi dischiudere le labbra, sorpresa.
Infine sbuffò e si sedette accanto a me, sfiorandomi la gamba con la sua prima di attirarle al petto.
Voltai di poco il capo, quanto bastava per riuscire a guardarla, ma senza che se ne accorgesse. I suoi occhi, azzurri come il cielo, riflettevano persino le nuvole ed il brillantino sul naso catturava anche il più piccolo spiraglio di sole non appena effettuava un movimento. Tutto d’un tratto la vidi assottigliare lo sguardo e si voltò di scatto verso di me, incrociando così i miei occhi. Sobbalzai appena, ma non sembrava essersi accorta che la stavo fissando.
«Che succede adesso?» domandò ed aggrottai la fronte senza capire, «quella cosa si sta muovendo.» rispose e seguii la traiettoria del suo sguardo, fino a posarlo sulla sua canna, la quale stava visibilmente oscillando.
«Hai preso qualcosa.» mormorai sorpreso, forse più di lei. Scattai in piedi e lei mi seguì, «tiralo su.» la incitai ed afferrò con entrambe le mani l’impugnatura della canna, ma era visibilmente troppo pesante per lei, così l’aiutai. Le circondai la vita con le braccia e poggiai le mani vicino alle sue, tirando con quanta più forza potei. Con uno strattone, seguito da un veloce riavvolgimento del filo, estraemmo dall’acqua non uno, ma due enormi pesci. Finirono al suolo accanto a noi e li liberai dall’amo, lasciandogli la possibilità di muoversi goffamente per gli ultimi secondi di vita.
«Posso ributtarli in acqua?» mi domandò, arricciando le labbra ed assumendo uno sguardo triste. Sbarrai gli occhi, «è solo che mi dispiace vederli annaspare così per sopravvivere.» aggiunse, stringendosi appena nelle spalle.
Scossi il capo e, dopo aver recuperato da terra un bastone abbastanza robusto, le dissi: «voltati.»
«Perché?» domandò, curiosa e preoccupata nello stesso momento.
«Fallo e basta.» ribattei. Alzò gli occhi al cielo, ma fece come le avevo chiesto e mi affrettai a colpire quei due pesci, mettendo finalmente fine alle loro sofferenze.
«Posso voltarmi adesso?» domandò con tono scocciato.
«Certo.» risposi.
Abbassò lo sguardo verso i due pesci, per poi riportarlo immediatamente su di me, «d’accordo, non voglio saperlo, ma è stato un bene che io non abbia guardato.» mormorò poi, alzando le mani in segno di resa.
 
Passammo il resto della giornata senza spostarci da lì, mangiammo ciò che avevo preparato la sera prima e parlammo parecchio. Nessuno dei due prese più alcun pesce e per ben due volte puntualizzò il fatto che lei, nonostante fosse la prima volta, aveva saputo fare meglio di me. Quando il sole era ormai prossimo a tramontare, montammo la tenda ed accendemmo il fuoco davanti ad essa.
Senza che quasi me ne accorgessi, il blu s’impossessò del cielo, smorzato soltanto dal chiarore di alcune stelle. Alexis era seduta proprio davanti all’ingresso della tenda, il fuoco scoppiettava davanti al suo viso, creando uno strano gioco di luci ed ombre. La quiete regnava sovrana, per cui sussultai lievemente non appena sentii il suono della sua voce.
«Mi sono divertita oggi.» mormorò, sorridendomi. Era ancor più bella quando sorrideva e, istintivamente, curvai anche io le labbra verso l’alto.
«Anche io.» ammisi, apparendo tranquillo, ma dentro mi sentii avvampare. C’erano pochissime persone sulla riva del lago, ma erano lontane da dove ci trovavamo noi. Ciò non fece altro che aumentare la voglia che avevo di stringerla tra le braccia, di baciarle le labbra, di averla finalmente mia.
«E poi, ammettiamolo, sono anche stata più brava di te, dal momento in cui tu non hai preso nulla.» sbottò divertita, assumendo un’espressione di superiorità.
«Ti direi che sei stata un disastro e che, se non fosse stato per me, non avresti preso nulla. Ma, essendo la tua prima volta, proverò ad apprezzare.» ridacchiai, ricevendo in tutta risposta un’occhiataccia da parte sua.
«Sei sempre molto gentile.» ribatté ironica.
«Sto scherzando.» le dissi poi.
 
Un’improvvisa folata di vento mi fece rabbrividire e mi avvicinai maggiormente al fuoco. Ero di fronte a lei – volutamente. Se fossi stato accanto a lei, non so quanto tempo avrei potuto resistere.
«Sta iniziando a fare freddo, vieni qui.» mormorò, spostandosi di poco e lasciandomi così un po’ di spazio accanto a sé.
Contrassi la mascella, sapendo che il mio piano era ormai rovinato, ma mi alzai, feci il giro e l’affiancai, commettendo l’errore di incrociare il suo sguardo. Le sue iridi riflettevano le fiamme del fuoco e le sue gote sembravano esser diventate leggermente più rosee, ma forse era per via di quel gioco di luci.
«So che non sono affari miei, ma se fossi in te non mi fiderei di uno come Logan.» mi azzardai a dirle, abbassando poi lo sguardo.
«Non posso darti torto del tutto, ultimamente si comporta in modo strano, quasi come se volesse evitarmi, ma non capisco il perché.» ribatté, volgendo l’attenzione sulla sua mano, posata accanto alla mia, «ma ora non ha importanza. Non voglio pensare a lui visto che non ha esitato a lasciarmi da sola senza neanche una minima spiegazione. E poi sono qui con te.» aggiunse poi e sollevai di scatto lo sguardo, incrociando nuovamente il suo.
Trascorsero altri interminabili secondi in cui mi persi totalmente a guardarla negli occhi, abbassando solo di tanto in tanto l’attenzione sulle sue labbra. Quando sentii la sua mano sfiorare la mia, mi sporsi di poco in avanti e le mie labbra sfiorarono le sue. Socchiusi gli occhi e lei fece lo stesso, dandomi la possibilità d’intensificare quel bacio e renderlo finalmente verso. Posai una mano sul suo viso, attirandola maggiormente a me. Sentii poi le sue dita sfiorarmi il collo ed in seguito insidiarsi tra i capelli.
Man mano che quel bacio prendeva vita, allacciò entrambe le braccia dietro al mio collo. Feci scendere le mani suoi suoi fianchi, intimandola ad indietreggiare e così fece, fino a che la sentii abbassarsi e sdraiarsi quasi completamente sul fondo della tenda. Sovrapposi il mio corpo al suo, reggendomi con le braccia posate ai lati del suo viso. Poco dopo mi allontanai solo per riprendere fiato e notai che mi stava guardando. Le sue labbra erano socchiuse, ma gli occhi sembravano scrutare ogni mio particolare. Il respiro pesante la costringeva ad abbassare ed alzare visibilmente il petto e non potei evitare di posare lo sguardo sul suo seno, ma fu solo per un attimo.
Non ero pienamente in grado di realizzare ciò che stava accadendo, ero certo solo del fatto che non avrei resistito ad aspettare ancora. Non avevamo mai passato un’intera giornata senza litigare, o lanciarci frecciatine, era accaduto soltanto oggi e dal suo sguardo capii – o forse sperai – che ciò che desiderava fosse la stessa cosa che volevo io. Non si azzardò a proferire parola e, man mano che il tempo passava, sentivo il battito del cuore accelerare, tanto che non fui l’unico a sentirlo.
«Non mi era ancora successo di sentire così distintamente il battito cardiaco di qualcuno.» mormorò, con le guance leggermente rosse.
«Ah no?» sussurrai, realizzando solo in quel momento di avere la voce spezzata. Scosse il capo e mi attirò nuovamente a sé, facendo combaciare le nostre labbra e dando così vita ad un altro bacio. Sentii le sue mani scorrere lungo la schiena, fino a raggiungere l’orlo della maglietta. Lo sollevò quanto bastò per farmi intuire che avrei dovuto liberarmene al più presto, e non esitai ad accontentarla. Ribaltò le posizioni e mi presi la possibilità di fare lo stesso con lei. Le sfiorai volutamente la vita, entrando a contatto con il calore della sua pelle, e la guardai negli occhi di nuovo. Si spostò i capelli da un lato e si abbassò nuovamente per baciarmi, sdraiandosi completamente sopra di me. Il suo corpo era sovrapposto perfettamente al mio e si scostò soltanto per permettere ad entrambi di liberarsi dei pantaloni. Ora che eravamo coperti solo dagli indumenti intimi, il freddo si fece sentire maggiormente, ma lo ignorai, beandomi completamente del lieve calore che il suo corpo trasmetteva al mio. Con un rapido movimento le slacciai il reggiseno, facendola sussultare lievemente. Si staccò da me, guardandomi negli occhi, e mi ritrovai a chiederle il permesso solo utilizzando lo sguardo. Annuì appena, sollevando in modo quasi impercettibile gli angoli della bocca.
Non esitammo un solo istante di più a privarci anche degli ultimi indumenti rimasti e ribaltai nuovamente le posizioni, prendendomi quanto più tempo potei per guardarla. Passai in rassegna quasi ogni centimetro del suo corpo e lei fece lo stesso. Sentivo il suo sguardo addosso, non sembrava avere alcuna intenzione di scostarlo, ma la lasciai fare, fino a che non mi fiondai nuovamente sulle sue labbra e, quasi prendendola alla sprovvista, entrai in lei. Sin da subito seguì i miei movimenti ed ebbi la sensazione che tutto intorno a noi si fosse fermato. Tutto ciò che udii fu il suono dei nostri respiri spezzati, accompagnati dagli ansimi e da alcuni gemiti soffocati. Chiusi gli occhi, facendo nuovamente mie le sue labbra e raggiunsi il culmine, stringendo saldamente la sua mano nella mia.





 




Ci sono anche io :)


Siamo terribilmente in ritardo, è vero - forse un po' meno dell'ultima volta, ma abbiamo comunque fatto passare molto tempo. Quindi per questo ci scusiamo, è vero anche che però l'interesse da parte vostra è diminuito, tanto, e questo ci motiva un po' meno ad aggiornare.
Ora, noi sappiamo che non è il massimo della vita dover aspettare così tanto per un capitolo, però è anche vero che entrambe abbiamo ben due storie a testa da portare avanti oltre a questa e che i vari impegni ci costringono a non concentrarci come vorremmo ed essere celeri negli aggiornamenti.
Ne abbiamo parlato ed entrambe cercheremo di fare del nostro meglio per velocizzare il tutto, però vorremmo vedere da parte vostra un po' d'interesse in più, anche perché se scrivessimo per noi stesse, non ci sarebbe nemmeno bisogno di aggiornare costantemente la storia, no?
Visto e considerato che questo capitolo è decisamente più lungo e corposo degli altri, ci aspettiamo (o perlomeno speriamo) di ricevere qualche commento (negativo o positivo che sia) da parte vostra.
Detto ciò, speriamo che vi sia piaciuto!


Ringraziamo chi ha recensito e chi segue questa storia ♥

Un bacione,
Giulia e Federica.

Per sapere quando aggiorniamo, seguiteci su twitter: Giulia (@Belieber4Choice) Federica (@breathinjiley)
Vi lasciamo anche ask per qualsiasi cosa: Giulia e Federica.

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18. ***


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Capitolo 18

 

Alexis
 

Quando riaprii gli occhi, avvertii un fastidioso formicolio al braccio sinistro. Sollevai di poco il capo e, nell’istante in cui tentai di scostarmi una ciocca di capelli dal viso, realizzai di avere la mano destra bloccata. La mano di Justin era stretta alla mia, il braccio era posato attorno alla mia vita – impedendomi così ogni movimento – e buona parte del suo corpo era sdraiata sopra al mio braccio sinistro.
«Justin.» mormorai a bassa voce, cercando di divincolare la stretta della sua mano. Non si mosse, continuò a dormire beatamente come se nulla fosse successo. «Justin, se non ti sposti rischio di perdere l’utilizzo del braccio.» questa volta gli diedi uno strattone più energico e, finalmente, lo sentii muoversi.
«Che ore sono?» domandò con voce ancora impastata dal sonno.
Sbuffai e scossi il capo, ritrovandomi poco dopo il suo sguardo puntato addosso. Non era cambiato nulla dalla sera prima, eravamo coperti soltanto da un lenzuolo leggero ed eravamo ancora privi di vestiti. La sua pelle era a stretto contatto con la mia e rabbrividii ripensando a tutto ciò che era successo.
«Non lo so, non ho potuto controllare, visto che eri comodamente sdraiato su di me.» sbottai, mettendomi a sedere e cercando di coprirmi il petto con il lenzuolo. Lo sentii ridacchiare e mi voltai di scatto verso di lui. Aveva i capelli scompigliati e, dal momento in cui attirai la coperta su me stessa, una generosa parte del suo corpo era scoperta. Posai inavvertitamente lo sguardo su un disegno, inciso con l’inchiostro nero, sulla parte della sinistra della sua vita. Una piccola parte di quel tatuaggio era sovrapposta dal lenzuolo e non osai chiedere di che cosa si trattasse. Continuai a fissarlo, cercando di capire che cosa potesse essere, ma, evidentemente, mi ci soffermai per troppo tempo.
«Che cosa stai guardando?» mi domandò, spiazzandomi: la sua voce era roca e nel suo sguardo colsi uno strano guizzo. Distolsi immediatamente lo sguardo e scossi il capo. «Nulla» tagliai corto, sfuggendo dalla sua presa e mettendomi a sedere, cercando disperatamente di recuperare i miei vestiti senza scoprirmi il petto con il lenzuolo. Sentii le gote andarmi a fuoco e cercai di nascondere il viso con alcune di ciocche di capelli.
«Oh, andiamo, lo so che ti piacciono i miei tatuaggi.»
Sbuffai sonoramente, ma cercai d’ignorare le sue parole, mentre m’infilai il top.
Si schiarì la voce ed alzai gli occhi verso l’alto. Sentendomi costretta a ribattere, mi voltai di scatto verso di lui. «Sì, sono carini.» biascicai, senza dargli troppa importanza e gli diedi nuovamente le spalle.
Lo sentii sbuffare ed istintivamente sorrisi, consapevole che non potesse vedermi.
«Anche i tuoi non sono male, devo dire la verità.» mormorò e lo sentii muoversi accanto a me, ma non osai voltare lo sguardo, consapevole che avrei visto altra pelle nuda. Sentii la sua mano posarsi lievemente sulla gamba ed il suo respiro mi solleticò la guancia, «soprattutto l'acchiappa sogni. Quello è il mio preferito.» soffiò sul mio viso e chiusi per qualche istante gli occhi, il corpo percorso da mille brividi, causati non dal fatto che fossi mezza nuda.  Deglutii e avvampai così violentemente che potei quasi sentire il calore emanato dalla mia stessa pelle. Non seppi cosa dire, così mi limitai semplicemente a divincolarmi dalla sua presa, non più così salda, e mi alzai, finendo di vestirmi. Con la coda dell'occhio notai Justin tornare a sdraiarsi, con un magnifico sorriso dipinto sul volto. Scossi leggermente la testa e uscii dalla tenda, ispirando a pieni polmoni l’aria fresca. Sentivo ancora il profumo di Justin, era come se la mia pelle l'avesse assorbito e per l'ennesima volta, arrossii. Alzai gli occhi; il cielo era limpido, quasi privo di nuvole e si prospettava una bellissima giornata. Guardai il lago, non tirava un filo di vento ed era piatto come una tavola. Ripensai inconsciamente alla notte appena passata, ripercorsi momento dopo momento, riassaporando i dettagli. Era una sensazione strana quella che avevo provato e che tutt’ora sentivo.
Ero avvolta dalla confusione più totale, nella mia mente continuarono a sovrapporsi l’immagine di Justin e di Logan e, nonostante quest’ultimo mi avesse lasciato con l’amaro in bocca, non riuscivo ad accantonare del tutto il suo ricordo. Sospirai e scossi il capo, come a voler scacciare la sua figura, permettendomi così di concentrare ogni mio pensiero su Justin.
Justin.
Ricordare quanto successe solo poche ore prima, mi fece provare uno strano senso di vuoto. Ero partita col detestare quel ragazzo, non eravamo mai andati realmente d’accordo eppure, senza troppe cerimonie – e con uno strano desiderio che mi aveva totalmente avvolto corpo e mente – eravamo finiti col compiere un passo tutt’altro che semplice. Non ero sicura quasi di nulla, solo su di una cosa non avevo dubbi: non avrei avuto ripensamenti. Nonostante di lui sapessi ancora così poco, ero propensa a conoscerlo, volevo davvero continuare a trascorrere del tempo con lui. A differenza di Logan – e tutt’ora mi stupii di come l’immagine di quel ragazzo non si fosse ancora dissolta – Justin era stato dolce con me, mi aveva dimostrato di voler andare oltre senza secondi fini. Sapevo di piacergli ed ero certa che avrebbe continuato a fare qualsiasi cosa per proteggermi; esattamente com’era accaduto a quella festa. Mi ero estraniata così tanto dalla realtà, che non mi accorsi della presenza di Justin alle mie spalle. Aveva indosso soltanto i jeans e le scarpe, il petto era scoperto e non potei evitare di posarvi sopra lo sguardo. Ancora una volta sentii il viso andarmi a fuoco, ma non riuscii a nasconderlo come avevo fatto prima. Lo vidi sorridere e senza darmi tempo di poter reagire, sentii le sue braccia strette intorno alla vita. Trattenni il fiato quando il suo mento si posò sulla mia spalla destra. Il suo petto combaciava completamente con la mia schiena e ne sentivo il calore – quasi confortante in quel momento. Mi scoprii a sorridere di nuovo e sentii le sue labbra delicate sulla spalla nuda. Strinse maggiormente la presa, avvolgendomi completamente tra le sue braccia e chiusi gli occhi, posando le mie mani sulle sue.
Non so per quanto tempo rimanemmo in quella posizione, ma quando si mosse dovetti resistere all'impulso di lasciarmi andare ad un lamento deluso.
«Vuoi tornare a casa o ti va di restare ancora un po'?» domandò semplicemente, lasciando appena la presa sul mio corpo, ma non del tutto.
Scossi la testa e mi voltai, ritrovandomi a pochi centimetri dal suo viso. Sorrisi appena e mi morsi leggermente il labbro, posando le mani sui suoi avambracci, «mi piacerebbe restare qui ancora un po'.» risposi, sentendo le guance arrossarsi. Il viso di Justin si illuminò e sorrise, prima di lasciare un bacio fugace sulla mia guancia, a poca distanza dalle labbra. Mi lasciò andare solo per rientrare nella tenda ed uscirne qualche istante dopo essersi infilato una canottiera. Mi sorpassò e si voltò, tendendomi la mano, «facciamo un giro, voglio farti vedere una cosa.» disse, facendo un leggero cenno con il capo verso un punto lontano, forse dall'altro lato del lago.
Aggrottai appena le sopracciglia, ma lo sguardo di Justin mi convinse, così presi la sua mano e Justin non esitò ad intrecciare le sua dita alle mie. Iniziò a camminare e lo seguii senza dire una parola. Non avevo idea di quello che aveva in mente, ma mi fidai ugualmente. Passeggiammo per lo più in silenzio per un quarto d'ora buono e solo dopo aver fatto il giro di buona parte del lago, entrò in un piccolo boschetto, non troppo folto: la luce del sole penetrava tra i rami degli alberi senza troppi problemi. Arrivò nei pressi di un tronco non troppo imponente e vi si sedette, senza lasciare la presa dalla mia mano, costringendomi così a seguirlo. Non mi diede la possibilità di sedermi accanto a lui, ma bensì davanti, lasciandomi nuovamente appoggiare la schiena contro il suo petto. Mi avvolse le braccia intorno alla vita e mi strinse forte per un momento, prima di allentarla. Sorrisi di nuovo e posai entrambe le mani sui suoi avambracci. Mi guardai leggermente intorno, «perché proprio qui?» domandai a bassa voce. Il silenzio intorno a noi era perfetto e non mi andava di rovinare tutto.
Justin si strinse leggermente nelle spalle e sospirò, «non lo so, mio padre mi ci portava sempre.» rispose semplicemente. Feci per ribattere, ma mi precedette e continuò con il discorso, «ricordo che giocavamo a nascondino, mentre mia madre si divertiva a raccogliere i fiori e alla fine finiva sempre col fare strane ghirlande e ci costringeva a sfoggiarle fino al ritorno a casa.» sorrise leggermente a quel ricordo e giurai di sentire tristezza nel suo tono di voce.
Mi morsi il labbro, timorosa della prossima domanda, ma sembrava di buon umore e sperai che non fossi io la causa di un possibile cambio di esso, «perché ne parli come se non ci fossero più?» azzardai. Lo sentii irrigidirsi lievemente, ma fu questione di un attimo prima che si rilassasse di nuovo, «sbaglio o semplicemente vivono lontano da qui?»
Lo sentii scuotere la testa e posò il mento sulla mia spalla, «no, non sbagli. Sono vivi e vegeti, questo sì. È solo che-»
«Vorresti che fossero qui con te.» terminai la sua frase senza nemmeno rendermene conto. Sentii il suo sorriso più che vederlo e annuì.
«Sì, vorrei che fossero qui.» ripeté semplicemente, prima di stringermi leggermente a sé, «però ora ci sei tu e va bene così.» aggiunse quasi in un sussurro. A quelle parole sentii la pelle d'oca farsi strada su di me e voltai leggermente il busto, giusto per incontrare i suoi occhi. Mi stava già fissando e sorrideva appena, ma era più un sorriso malinconico che colmo di qualsiasi altro sentimento. Abbassai lo sguardo sulle sue labbra solo un secondo prima di sentirle sulle mie. Baciai Justin con dolcezza e quello era il primo bacio dato senza secondi fini. Mi allontanai lentamente, volendo assaporare quel momento fino all'ultimo. Il suo naso sfiorò il mio, «sono contenta di essere qui.» sussurrai, sentendo ancora le sue labbra sulle mie. Sorrise e, di nuovo, più che vederlo lo sentii. Mi voltai, tornando ad appoggiare la schiena contro il suo petto e lasciai che la testa si posasse sulla sua spalla, mentre le sue braccia, ancora intorno al mio corpo, mi stringevano come a non volermi lasciare andare nell'immediato futuro.
 
 

Simon

 
Il nostro solito pub, quella sera, sembra addirittura fin troppo tranquillo per essere un venerdì sera. Il tavolo attorno al quale Scott, Killian ed io avevamo preso posto, recava decine di bicchieri di vetro, sette dei quali erano completamente vuoti. Non c’era assolutamente nulla da festeggiare e la quarta sedia – al momento vuota – non faceva altro che riportarci alla mente l’assenza di Justin. Non ero l’unico a credere che si stesse comportando in modo strano per via di quella ragazza, ma avevamo ben altro a cui pensare ed una leggera gomitata da parte di Scott mi costrinse a ritornare alla realtà. Due ragazzi non molto alti, ma ben piazzati, fecero il loro ingresso nel pub e, nell’esatto istante in cui il mio sguardo mise a fuoco i loro volti, sentii i loro occhi puntati su di noi. La luminosità era scarsa in quel locale, ma ciò non m’impedì di riconoscerli. Erano gli amici di Logan.
«Dovremmo andarcene.» mormorò poco dopo e, non appena notai Killian alzarsi – quasi come se le parole di Scott fossero state un ordine – scossi il capo.
«Non se ne parla.» sbattei un pugno sul tavolo, facendo tintinnare i bicchieri tra loro e, lentamente, Killian si risedette. «Non mi risulta che questo sia il loro territorio, né tanto meno del loro amico.» Pronunciando l’ultima parola assottigliai la voce, quasi riluttante nel volerlo nominare.
Con la coda dell’occhio seguii i loro movimenti fino a che non scomparvero dal mio campo visivo, probabilmente avevano preso posto ad un tavolo alle mie spalle.
«Ci stanno guardando.» disse poi Killian, ma non mi voltai per controllare.
«Lascia che guardino e, se poi hanno qualcosa da dire, che parlino.» alzai di proposito il tono di voce, sovrastando forse il vociare degli altri presenti.
Incrociai momentaneamente gli occhi di Scott, i quali ora erano sbarrati. «Credo ti abbiano sentito.» mormorò.
Voltai il capo, quanto bastò per scorgere le loro figure avvicinarsi a noi, e curvai verso l’alto l’angolo sinistro della bocca.
«Credo sia inutile continuare a complottare un modo per sbattere Logan al tappeto, non lo troverete.» disse uno dei due ragazzi, incrociando le braccia al petto ed aspettando che incrociassi il suo sguardo. Tuttavia, non gliene diedi la soddisfazione.
«Beh, prima o poi dovrà farsi vivo,» commentai, facendo strisciare la sedia all’indietro ed alzandomi in piedi. «O è così codardo da non riuscire a mettere più il naso fuori dal suo nascondiglio?»
Vidi le labbra di quel ragazzo dai capelli chiari stringersi in una linea dura e per un attimo ebbi la sensazione che riversasse la sua ira su di me.
«Credo che il codardo sia quel vostro amico che, dopo aver tentato di soffiargli la ragazza, è sparito dalla città. A proposito, dov’è andato?»
Afferrai il mio bicchiere ed ingurgitai l’ultimo sorso di Long Island rimasto, avvertii la testa girare per qualche istante, ma fui abbastanza lucido da ritornare in me.
«Credo sia da qualche parte a scoparsela, quella ragazza. Evidentemente è stato più furbo di qualcun altro.»
Nonostante non avessi mai colto a braccia aperte il modo in cui Alexis traviava, forse involontariamente, Justin, mi ritrovai a cogliere la loro presunta storia come un’arma per colpire al centro del petto quell’idiota.
Infatti bastarono pochi secondi prima che vedessi mutare completamente l’espressione sul suo viso. Ridusse lo sguardo ad una fessura, chiuse entrambe le mani a pugno, così come fece l’amico accanto a lui.
Trattenni a stento una risata e, per quanto avessi voluto prolungare ancora quell’insulsa conversazione, diedi loro le spalle e mossi qualche passo verso l’uscita. Feci cenno a Scott e Killian di seguirmi e mi stupii del fatto che nessuno dei due scagnozzi di Logan avesse quantomeno tentato di fermarmi.
Non appena ci ritrovammo nel parcheggio sul retro, sentii la porta del locale sbattere e non potei evitare di voltarmi. Il ragazzo con la quale avevo appena discusso reggeva in mano un cellulare e, se il mio istinto non m’ingannava, giurai avesse appena terminato di parlare con Logan.
Si avvicinarono a passo deciso verso di noi ed intimai a Scott e Killian di allontanarsi. Tuttavia, ignorarono la mia richiesta ed indietreggiarono soltanto di qualche passo.
«Immagino non siate riusciti a trattenervi dall’impulso di raccontare il piccolo segreto al vostro amico.» dissi, lanciando un’occhiata al cellulare che, prontamente, ripose in tasca.
«Simon, lascia perdere,» m’intimò Scott, afferrandomi per il braccio e strattonandomi verso di sé. «Sei ubriaco e non sei in grado di affrontarli.»Mi divincolai dalla sua presa e gli dedicai un’occhiata fulminea.
«Mi credi davvero un rammollito come Logan?»
Non appena pronunciai quelle parole, ricevetti una spinta, ma non riuscii a capire chi fosse stato l’artefice. Mi voltai ed incrociai lo sguardo del biondo, penetrante quanto la lama di un coltello, ma non volli farmi intimorire, così mi avventai su di lui, spingendolo violentemente. Mi colpì con un pugno, mirando dritto alla mia spalla sinistra e facendomi perdere di poco l’equilibrio. Indietreggiai fino a che Killian non mi sorresse, impedendomi – probabilmente di cadere.
«Dammi retta, Simon, lascia perdere e andiamocene.» ripeté ancora una volta Scott, ma non avevo alcuna intenzione di dargliela vinta.
«No.» sbottai secco e, sebbene sentissi la testa terribilmente leggera, non avevo alcuna intenzione di allontanarmi da quel parcheggio.
Dedicai un’occhiata di fuoco al biondo che avevo di fronte e mi avvicinai a passo lento verso di lui, immaginandomi per un istante di ritrovarmi davanti il viso di Logan. Strinsi entrambi i pugni lungo i fianchi e, facendogli credere che l’avrei colpito sul viso, gli tirai invece un calcio contro la gamba, colpendolo all’altezza del ginocchio e costringendolo a piegarsi per il dolore. Sollevai nuovamente la gamba e con il ginocchio lo colpii in viso, facendolo cadere definitivamente al suolo. Sapevo di non averlo messo al tappeto, ma sembrava fin troppo dolorante per potersi rialzare.
A prendere il suo posto fu l’amico, il quale non attese nemmeno un istante di più prima di colpirmi il viso con un pugno. Risposi all’attacco, colpendolo ripetutamente e ricevendo altrettanti colpi su quasi ogni parte del corpo. Ero talmente focalizzato su di lui da non essermi accorto che il ragazzo dai capelli biondi si era rialzato ed aveva iniziato ad avventarsi su Killian e Scott. Mi voltai per poco verso di loro, riuscendo a malapena a scorgere la figura di Scott mentre si portava il cellulare all’orecchio, dopodiché il colpo che ricevetti alla schiena fu troppo forte. Caddi al suolo, colpendo l’asfalto con le ginocchia ed i palmi delle mani e sentendo il respiro mancare per qualche secondo.
 

Justin

 
Avevo la sensazione che tutto questo non poteva finire. Era bastata una sola notte per chiarire ad entrambi i dubbi che nutrivamo l’uno per l’altra e non potevo chiedere di meglio. Sarei rimasto sulla riva di quel lago, stringendola tra le mie braccia, forse per sempre. Se solo ne fossi stato in grado, avrei fermato il tempo ed avrei gelosamente conservato l’immagine di noi due, unita al ricordo della sera prima, in eterno.
«Sto davvero bene qui con te.» le sussurrai, aumentando la stretta delle mie braccia attorno alla sua vita.
Il vento fresco della sera ci schiaffeggiava leggermente i volti ed alcune ciocche dei suoi capelli mi solleticarono la pelle del collo, ma non mi scostai. Voltò di poco il capo verso di me, incrociando il mio sguardo ed abbozzando un sorriso. «Anche io.» mormorò e sorrisi a mia volta, ma non mi bastava.
La notte appena trascorsa aveva portato una svolta troppo significativa tra di noi ed io non avrei voluto continuare a vivere nell’ombra, nascosto dalla figura di Logan. Perché, nonostante tutto, sapevo che si sarebbe rifatto vivo.
«Spero solo che ora non avrai più ripensamenti su di me.»
«Se ti dicessi di no?» ribatté ironica, mentre io rimasi serio.
Quella sua risposta mi spiazzò, facendo accentuare quel lieve barlume di speranza, avevo intenzione di andare a fondo, di far nascere qualcosa di nuovo tra noi. Avevo la netta sensazione che la sua risposta non sarebbe stata che positiva.
«Ti chiederei se-» ma non avevo fatto i conti con il fato e con ciò che, puntualmente, accadeva ogni qualvolta ero convinto che un momento del genere non potesse essere rovinato. Non ero a terminare la frase perché la suoneria del mio cellulare aveva spezzato fastidiosamente la quiete che ci circondava. Tentai d’ignorarla e di riformulare la domanda, ma la voce di Alexis mi batté sul tempo.
«Non rispondi?»
Avrei preferito che tu rispondessi alla domanda che stavo per farti.
«Probabilmente non è nulla d’importante.»
«E se lo fosse?» m’incalzò, sollevando un sopracciglio e sfuggendo dalla mia stretta, ahimè, ormai allentata. Sospirai ed a malincuore mi allontanai da lei, maledicendo chiunque avesse composto il mio numero proprio in quel momento.
Non appena risposi alla chiamata, la voce di Scott mi perforò un timpano, senza nemmeno lasciarmi il tempo di parlare.
«Justin, dove sei?»
«Fuori città,» risposi seccato.
«Devi venire immediatamente al pub. Simon sta facendo a botte con due amici di Logan e non c’è modo di dividerli!»
Sbarrai gli occhi ed in sottofondo sentii Simon imprecare ripetutamente.
«Ci sarà mai una volta in cui non scoppieranno risse in quella cazzo di città?» sbottai, attirando immediatamente su di me lo sguardo interrogativo di Alexis.
Merda.
«Non ha importanza, sarò lì tra poco.» conclusi e, senza nemmeno aspettare un riscontro da parte di Scott, chiusi la chiamata e riposi il cellulare in tasca.
«Temo che la nostra vacanza sia finita.» mormorai deluso, «ti spiegherò strada facendo.»
 
Una volta smontata la tenda e raccolta ogni singola cosa ci appartenesse, salimmo in macchina ed imboccai la strada del ritorno. Strinsi saldamente entrambe le mani attorno al volante, detestando con tutto me stesso ogni singolo chilometro che percorrevo verso casa. Dopo aver spiegato brevemente ad Alexis ciò che era successo, tra noi calò il silenzio e non seppi se fosse il caso di parlare ancora oppure no.
Di tanto in tanto le lanciavo qualche occhiata, ma la sua attenzione rimaneva rivolta verso il finestrino.
Non appena entrai in città, ed imboccai così la via principale, le dissi: «Ti riaccompagno a casa.»
«No!» ribatté tempestiva, «voglio venire con te.»
Incrociai il suo sguardo e mimai un “d’accordo” con le labbra.
«Quella non è Andie?» domandò Alexis, poco prima che svoltassi all’incrocio. Rallentai quel poco che mi bastò per riconoscerla e la vidi correre a perdifiato davanti a noi.
Suonai ripetutamente il clacson ed urlai il suo nome fino a quando non si voltò. Puntò lo sguardo verso l’alto, borbottando parole sommesse tra sé e sé, e ancora ansimante si avvicinò a noi.
«Stavi andando da Simon?»
Annuì energicamente, continuando a respirare a bocca aperta e a tenersi una mano sul petto. Con un cenno del capo le intimai di salire ed in pochi attimi raggiungemmo il parcheggio del pub.
«Rimanete in macchina.» ordinai ad entrambe e, prima ancora che potessi lasciare l’abitacolo, incrociai lo sguardo dell’ultima persona che avrei voluto vedere.
Logan.
Il suo sguardo di ghiaccio risultava sempre più freddo, eppure giurai di aver scorto nei suoi occhi un lampo di paura.
Scesi dalla macchina e sbattei violentemente la portiera quando notai Simon inginocchiato al suolo, con il volto sporco di sangue ed il respiro pesante.
Incrociai lo sguardo di Scott, ed in seguito quello di Killian, e nemmeno loro avevano un bell’aspetto. Il labbro di Scott era spaccato in due, mentre Killian doveva aver ricevuto diversi colpi ben assestati sul naso e sullo zigomo sinistro.
L’unico rimasto integro da quello scontro era Logan. Per ora.
«Justin, grazie a Dio sei arrivato! Spaccagli il culo a quel coglione!» urlò Simon e dal suo tono di voce non mi fu difficile intendere che fosse ubriaco.
«Spero tanto che tu ti sia goduto al meglio la compagnia di Alexis, perché, purtroppo per te, la pacchia è finita.» disse a denti stretti Logan, facendomi ribollire maggiormente il sangue nelle vene.
«Sei davvero sicuro che voglia ritornare da te? Non mi sembrava troppo dispiaciuta del fatto che te ne fossi andato.»
«Ha le idee confuse.» ribatté, curvando l’angolo della bocca verso l’alto.
Ora che quel ghigno beffardo gli fasciava il volto, placare la mia rabbia fu notevolmente più difficile. Mossi qualche altro passo verso di lui, mantenendo stretti i pugni lungo i fianchi.
«O forse sei tu che vivi di false speranze.» Detto ciò, sferrai un pugno sul suo viso, assicurandomi che le mie nocche colpissero il suo zigomo. Si voltò di scatto, portandosi una mano sul punto colpito e rimanendo inerme per qualche istante.
«Fai poco lo stronzo, Logan, è una battaglia persa.»
Lo colpii nuovamente, ma riuscì ad essere abbastanza abile da contrattaccare e farmi male.
Dal momento in cui Scott, Simon e Killian erano quasi privi di forze, non avrei potuto contare su nessun’altro a parte me.



 



Ci sono anche io :)


Ciao! Siamo Giulia e Federica e-
Sì, non abbiamo scusanti questa volta (nemmeno le volte precedenti, a dir la verità) sono passati infiniti mesi, forse era ancora primavera l'ultima volta che abbiamo aggiornato e, davvero, ci dispiace immensamente tanto di aver lasciato in disparte questa storia. Ma, come ben sapete, ultimamente non siamo troppo puntuali nell'aggiornare nemmeno le storie che dovremmo portare avanti più 'frequentemente'.
Per tanto speriamo che vogliate comunque tornare a leggere questa storia, perché a noi farebbe immensamente piacere ricevere qualche vostro parere in merito.


Ringraziamo le persone che hanno recensito lo scorso capitolo e quelle che continuano a seguire questa storia :)

Un bacione,
Giulia e Federica.

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