Lost inside.

di kleines licht
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The beginning ***
Capitolo 2: *** Lost mind. ***
Capitolo 3: *** So please... ***



Capitolo 1
*** The beginning ***


«Prendi la mia mano....»
sussurrò con voce flebile, guardando il sole che le sfiorava il viso, quasi per prenderla in giro. La lamiera che le era caduta addosso le lacerava la pelle, tanto che era costretta a non respirare per evitare di peggiorare la situazione.
Era costretta a prelevare l'aria con estrema lentezza, calma e freddezza. Per una come lei, per una persona così esperta non avrebbe dovuto esserci alcun problema. Avrebbe dovuto sapere cosa fare, come agire...avrebbe dovuto saper impartire ordini perentori a tutti coloro che la circondavano.
Invece non sapeva fare nulla di tutto questo.
Sapeva solo cercare alla cieca un'altra mano che non voleva toccarla.
«...Ti prego....»
sussurrò ancora.
Stavolta almeno ricevette risposta, almeno qualcuno -e sopratutto quel qualcuno preciso che voleva lei- si degnò di avvicinarsi. Non che non gliene importasse, anzi, stava armeggiando da minuti interi con la lamiera, per spostarla e crearle un minimo di sollievo. Non era da lui arrendersi così. Non era da lui pensare di poterla semplicemente abbandonare.
«Non posso non....prima proverò a liberarti.»
la avvisò con una gentilezza così fredda e distaccata che sembrò quasi rendere tutto quel dolore peggiore. Sul viso di lei si dipinse semplicemente un sorriso etereo, superiore, quasi...arrendevole.
«Smettila. Stai lottando per nulla, sai bene che non mi salverò. Ora smettila, manda al diavolo il tuo orgoglio e tutta questa roba e...prendimi la mano.»
Questa volta sembrava una vera esigenza, qualcosa che chiedeva perchè a lei importava davvero. Tutto di lui e di loro le importava ma quella mano, quella ora era la sua unica ragione di vita.
E spesso gli uomini in questo sono sordi, non capiscono davvero che cosa sono, quanto contano. Ma questa volta capì, per fortuna. La affiancò, il viso distrutto e sul punto di scoppiare a piangere, ma almeno le prese quella mano, la stressa che cercava la sua da minuti interi, e la strinse con dolcezza e fermezza.
«Non me ne vado, non ti lascio. Perchè ti amo, e tu lo sai.»
disse velocemente. La ragazza sorrise, uno di quei sorrisi sornioni che solo lei sapeva fare, e poi annuì.
«Sì lo so.»
E chiuse gli occhi.

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Capitolo 2
*** Lost mind. ***


BANG.

Il colpo era risuonato in maniera spettrale nella stanza, rimbombando nelle ossa mie e sue.

BANG.

La pistola aveva avuto un leggero contraccolpo, attutito dalle mani serrate intorno al corpo dell'arma. Avevo stretto le dita contro il freeo e avevo divaricato appena le gambe.

BANG.

Il corpo di fronte a me era ricaduto, velocemente, sul pavimento. Gli occhi sgranati e le labbra dischiuse per la sorpresa e per un urlo che non era riuscito ad ammettere.

bang.

E ora il colpo risuonava solo nella mia testa. Il mondo non si era fermato davvero come pareva a me, anzi aveva continuato a muoversi con il suo annoiato movimento ripetitivo. Eppure a me sembrava tutto immobile, tutto stantio. Se mi fossi sforzata davvero probabilmente avrei sentito anche l'odore della polvere che ricadeva sulle cose, sulle persone. Su di me. Erano passati pochi secondi ma erano già diventati secoli.

Come se non sapessi come funzionava.

Come se non fossi ben cosciente di quel che sarebbe successo ora.

Si chiamava "rifiuto", in gergo tecnico.

E succedeva sempre nelle persone che, colpite troppo dalla morte, cominciavano a convincersi che nulla fosse in realtà vero. Cominciavano a credere che il lutto fosse una pura e semplice invenzione. Fisicamente e mentalmente allontanavano l'idea della morte.

Si convincevano da soli che la morte fosse un'idea troppo astratta e distante da loro per essere reale, per averli davvero colpiti.

E si allontanavano inesorabilmente dalla causa del loro dolore: la realtà.

Per una come me che studiava la mente umana ormai da anni era facile collegare i sintomi, pensare a che cosa poteva portare un dato pensiero e che altro poteva produrre.

Mi occupavo delle mente umana, era pane per i miei denti.

Avevo curato schizzofrenie, casi di fobie che portavano alla follia e non ero riuscita in alcun modo a curare me stesse. E non era impossibile, ci sarei anche potuta riuscire. Sarebbe bastato pazientare ancora un po'.

Avrei dovuto solo aspettare qualche giorno. Forse solo qualche anno.

E che è qualche anno nell'orrizonte decisamente più lungo di una vita intera?

Quanti sono i giorni di un anno contro tutta un'infanzia?

Potevo aspettare.

Ma non lo avevo fatto.

Colpa della mia mente, che appena aveva vagliato l'alternativa migliore si era fissata in essa con estrema forza. Era come se la mia vita fosse diventata solo il percorso necessario per arrivare a quell'obbiettivo.

Senza poterci fare niente avevo cominciato, inesorabilmente, a cercare l'arma giusta, a caricarla con i proiettili migliori e a calcolare le possibilità.

Avevo così scoperto che nel mio loft c'erano pochi spazi senza vetrate, dove il colpo non avrebbe potuto infrangere qualcosa e creare troppi scopetti.

E c'erano anche pochi posti dove avrei potuto nascondere il cadere o non far sentire le urla ai vicini.

Calcoli complicati e lenti, per una che con la matematica non era mai stata un genio.

Ma vi siete mai domandati perchè, mentre state scappando, raramente riuscite ad inciampare come succede in quei film horror alle povere protagoniste degli horror?

Merito dell'adrenalina, quella sostanza che il nostro cervello comanda alle cellule di creare in reazione a qualcosa di particolare. Motivo per cui raramente riusciamo a sbagliare in momenti di terrore, se abbiamo un minimo controllo di quel che ci circonda.

E io il controllo lo avevo mantenuto.

Le braccia erano tese, gli occhi dilatati ma vigili, il cervello che macchinava meticolosamente le probabilità della riuscita dell'impresa.

Il cervello macchina sempre, anche quando siete addormentati. Quei sogni sono in realtà frutto di pezzi di conversazione nella vostra giornata, o pensieri, o fatti che avreste voluto vivere. Solo squarci di qualcosa che volete e che il vostro cervello vi serve su un piatto d'argento nei momenti in cui lo state a sentire.

Perchè si tratta di stare a sentire, alle volte.

Non potete capire quanto è complessa la mente umana fino a che non la ascoltate con tutti voi stessi.

E allora forse potreste sentire gli spari che sento ogni notte, dopo quella sera.

O le urla della polizia che mi intima di uscire quando invece, in strada, non c'è anima viva.

E potreste forse rivedere il cadavere di mio padre afflosciarsi al suolo in maniera irreale.

Perchè conoscere la mente umana non significa avere la chiave del mondo.

Non significa stare meglio.

Significa solo essere ancora più intrappolati, ancora più costretti in un mondo surreale.

Chiusi nel labirinto che noi stessi ci creiamo.

Ratti in gabbia.

E William sarebbe tornato presto. Dovevo nascondere le prove e poi rannicchiarmi tra le sue braccia e tutto sarebbe finito...
 

Angolo della scrittrice

Ciao a tutte le anime che mi stanno silenziosamente seguendo (sperando che ce ne siano). Eccomi qui, con l'aggiornamento della nostra storia.
Per quanto sia inserita nella categoria di Lost in realtà ha poco in comune con il telefilm se non il fatto che un gruppo consistente di persone finirà su un isola deserta.
Non sembra essere un'avvenutra facile, questa, nel senso che proverò ad analizzare la psicologia di ogni singolo personaggio incasinando le cose xD
Vedremo cosa riuscirete a capire e cosa io riuscirò a nascondervi ;)
Mi farebbe davvero piacere ricevere i vostri commenti e anche le vostre critiche.
L'idea sarebbe quella di aggiornare la storia settimanalmente precisamente o il giovedì o il venerdì. Ringrazio Alien per la copertina e per tutte quelle che verranno e per il supporto <3
Fatevi sentire, anime (:
Baci
Vostra J.

 

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Capitolo 3
*** So please... ***


Il vento non si poneva limiti, non aveva alcun problema.
Si insinuava tra le macerie, sollecitava il fuoco a farsi più vivo e forte, scompigliava i capelli, portava i granelli di sabbia ad infilarsi tra le ferite, aumtenava il ritmo di quelle onde già abbastanza alte e pericolose.
Non gli importava di fare del male a qualcuno, di ferire qualcosa in più di quel che la tecnologia umana aveva già distrutto a sufficienza.
Sembrava tutto perfetto, tutto impeccabile ma qualcosa evidentemente era andato storto se ora quel che rimaneva di quell'aereo progettato per le grandi distanze erano solo macerie in fiamme, pezzi di ferro e lamiera che sembravano assumere le forme più spaventose.
Era quasi sicura che in quel caos, fatto di voci e rumori di passi, avrebbe dovuto capirci qualcosa. Era quasi sicura che quella scena avrebbe dovuto allarmarla eppure non riusciva a muovere nemmeno un dito, non riusciva neanche ad aprire davvero gli ochci e capire dove fosse. O forse gli aveva già aperti e non riusciva lo stesso a vedere nulla.
No, dannazione, non posso essere diventata cieca! NON POSSO!  pensò, in uno sprazzo di panico che la sconvolse. La testa pulsava e anche qualcos'altro anche se non riusciva a capire che cosa. Aveva una percezione del suo corpo tremendamente dilatata, non riusciva nemmeno a capire se aveva ancora un corpo.
Se c'era le faceva male, stava urlando per il dolore. E aveva solo due orecchie per ascoltare tutte quelle urla, sua e di tutti quelli che sembravano circondarla.
Impiegò parecchio a rendersi conto che aveva già aperto gli occhi, ma qualcosa davanti a lei -la stessa cosa che la bloccava a terra- le impediva di vedere qualcosa che non fosse semplicemente nero. E sapeva bene cosa succedeva quando si era sommersi dal buio: che se tu non potevi vedere gli altri probabilmente nemmeno loro potevano vedere te.
Il suo viso era a contatto con la sabbia, la sentiva sulla pelle, sulla lingua, quasi nelle pupille. Avrebbe potuto rimanere lì per sempre, fino a che l'ossigeno non si fosse esaurito. Normalmente il so istinto medico le avrebbe detto che non era possibile, che da qualche parte l'aria sarebbe entrata visto che non era in una cassa, ma in quel momento non le importava, voleva semplicemente uscire di lì.
Cominciò a urlare, con tutto il fiato che aveva in gola, fino a che anche le corde vocali non cominciarono a supplicare una pausa. Urlò talmente tanto da trapanarsi le orecchie da sola e smise solamente quando uno spiraglio di luce illuminò il suo nascondiglio. Qualcuno stava alzando ciò che la intrappolava.
Lacrime di gioia le sfiorarono le guancie, mentre si apriva in un sorriso riconoscente verso chiunque la stesse aiutando. Sentiva già l'aria del mare sferzarle il viso, la luce accecarle le iridi, voci vicine mettersi d'accordo su quando applicare tutti assieme la giusta forza.
Si divincolò, con quel poco controllo su se stessa che aveva dimenticato di avere e uscì con fare liberatorio da quello che scoprì essere un pezzo di lamiera. Era felice perchè aveva riacquistato la sua libertà di movimento, ma la sua felicità svanì all'istante quando capì dove si trovava.
Più che una spiaggia, il paesaggio che si trovò davanti era una distesa di resti informi dell'aereo dove era salita solo poche ore prima. Le fiamme stavano divorando la maggior parte dei bagagli e dello stesso veiovolo, mentre qualche temerario si avventurava alla ricerca di qualcosa per spegnerle. La maggior parte dei passeggeri urlava, in preda al panico, molti erano feriti e tanti altri provavano lo stesso ad aiutarsi a vicenda.
In giro, ovunque, in ogni angolo c'era aria di shock. Per quanto ognuno cercasse di essere utile nessuno riusciva a fuggire da quello stato di confusione che si replicava su ogni volto.
Era una psicologa, avrebbe dovuto sapere cosa fare. Avrebbe dovuto alzarsi e trovare una soluzione. E invece riusciva solamente a fissare il nulla davanti a sè, il sorriso di poco prima scomparso per sempre, mentre un unica frase le si ripeteneva in testa. UNa canzone, inutile in quel momento.
So please, tell me now....
Tell me how that I'm supposed to live without you!


ANGOLO DELL'AUTRICE.
Sì lo so sono imperdonabile. Ho fatto un'assenza lunghissima ma la mancanza di seguaci e anche la mancanza di ispirazione mi hanno portata a non scrivere per un po'.
Avevo bisogno di una pausa ma per fortuna le idee che avevo sono rimaste ferme in una cartella ordinata del mio pc, così che mi è bastato riaprirla per avere chiaro che cosa scrivere.
Più o meno.
Spero possa piacervi, presto posterò un altro capitolo e VI PROMETTO che sarà avvicente, travolgente... e ci farà scoprire qualcosa di un altro personaggio moolto interessante :D
Stay tuned!
J <3

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