How to save a life

di pepper snixx heat
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Come salvare una vita ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


“HOW TO SAVE A LIFE”

 

 “Step one you say we need to talk”

 
 
L’attesa, in ogni momento della mia vita, l’ho trovata snervante. Sempre. Mi infastidisce quel momento, l’aspettare la lenta evoluzione degli eventi. Il susseguirsi più lento del tempo mi annoia, i muscoli si contraggono. Solo una grande forza di volontà non fa saltare i miei nervi, già messi a dura prova.

 In fondo però, le sale d’attesa mi hanno sempre affascinato. Si trovano individui frustrati, stanchi, annoiati, gioiosi, sono tutti lì ad aspettare qualche cosa.

Si trova l’uomo di mezz’età in giacca e cravatta che aspetta di entrare dall’avvocato perché la moglie lo ha beccato a giocare al dottore con la segretaria. Ricorda uomo di mezz’età, se fosse stata una donna della tua età e non una ventenne magari ti avrebbe perdonato. Ma quell’uomo non lo sa.

A seguire un tizio sovrappeso con una polo scolorita (dovrebbero renderla illegale) che gli calza  attillata. Ok, non attillata, stretta, deve essere almeno due taglie di meno, fattore accentuato dal  bagno del sudore dove nuota. Le cartelle e il dépliant del dietologo non lasciano dubbi su quale sia la sua meta.

Poi c’è il bambino iperattivo che tocca tutto ciò che si trova per la sua strada, tutte le persone di questa stanza invidiano la sua innocenza e la sua spensieratezza: o forse solo io. Chissà perché deve vedere il pediatra... Varicella? Influenza? Magari è solo una visita di controllo.

L’immancabile mamma annoiata, casalinga in cerca del grande brivido con l’evidente copia di “50 sfumature di grigio” nella borsa. Madre di chissà quanti figli che devono essere portati a scuola, tennis, piscina, danza, e che vanno pure aiutati a fare i compiti. Non bastano i figli, a complicare e annoiare la vita, perciò ci sono anche i problemi in casa: la lavatrice rotta, la lavastoviglie che perde,  il ferro da stiro da sostituire, l'aspirapolvere col filtro vecchio. Lei invece non la invidio per niente.
In fine c’è la zitella, con un immacolato vestito. Tiene lontano tutto e tutti, mentre è chiaro che  invidia tutte quelle persone. La sua vita monotona e triste non la soddisfa e anche se il lavoro è in salita, la vita privata è in perenne stallo. Amici troppo impegnati. Una vita spenta e vuota.

In questo mix di persone, seduta in un angolo con un piede sotto la gamba,  potete trovare me. Sono l’unica bionda nella stanza, fatta eccezione del bambino iperattivo. Il fascio di luce che entrava dalla finestra  metteva in risalto gli occhi azzurri, luminosi e malinconici. Io sono quel tipo di persona che si riconosce dagli occhi, tristi, che hanno delle meravigliose e tristi storie da raccontare.

Ah, l’immancabile brusio che si sente in queste occasioni. La musica a palla che proviene dall’auricolare dell’adolescente seduto all’angolo, gli schiamazzi dei bambini che si rincorrono, i gridolini felici o le lacrime dei bambini, i richiami dei genitori, e le non tanto silenziose litigate degli adulti.

Prima che il mio dottore mi venisse a chiamare il flusso di persone cambiò, altri bambini, altri uomini, altre donne, altra musica, altri schiamazzi e altre litigate. La tipologia non cambia mai però, probabilmente sarà la stessa fino alla fine dei tempi.

Aspetto altri 20 minuti, colpa mia, ero arrivata in netto anticipo rispetto all' orario dell’appuntamento. Finalmente la segretaria, Jenny mi pare, mi viene a chiamare. Sulla trentina, capelli rossi, con un evidente ricrescita castana, gli occhi azzurri. Una ragazza piuttosto comune, priva di portamento o di quel carattere che ti fa rimanere piacevolmente sorpresa al primo sguardo.

- Brittany S. Pierce?- appena mi individuò, con un cenno del capo mi indicò di seguirla.

Il corridoio è comune, i quadri alla parete sconosciuti, bacheche e poster di qualche malattia mai sentita. Prevenzione. Quei poster che ormai si conoscono a memoria perché unica lettura negli studi, alternati dalle porte di quest'ultimi come quelli del dietologo, podologo (perché poi non si chiama piedologo non l’ho ancora capito!) pediatra e anche uno studio legale, chissà perché!

Ci fermiamo davanti ad una porta a vetri opachi, le lettere sono dorate, leggermente tendenti al verde,  in contrasto con il vetro scuro e le veneziane grigie abbassate.

Misi la mano sulla maniglia, mi presi un secondo per infondermi coraggio, forse qualcuno di più. Contai fino a 19, con 19 respiri. Un ultimo respiro profondo per arrivare a 20 ed entrai in quella stanza.


 
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Finalmente la seduta era finita, un’ora dentro quella stanza, non avrei sopportato un minuto di più. Uscii da quel dannato studio alla velocità della luce. La stanza era carina, accogliente e adatta alla seduta,  ma avrei di gran lunga preferito non doverla vedere. L’aria aperta era molto più salutare dell’aria viziata lì all’interno. Respirai a pieni polmoni il profumo di polline e primavera. Mi scappò un lieve sorriso.

Era una bella serata di maggio, insolitamente fresca, e la brezza che mi accarezzava la pelle, mi permetteva di intravedere la luna piena dietro al solito spesso velo dell’inquinamento, il cielo era sereno e privo di nuvole. Si vedevano anche le stelle. La bellezza della notte  mi accompagnava mentre a piedi rientravo nel mio appartamento, ma ciò non mi rese più serena, anzi, mi fece ripensare a quella serata dell’anno prima, e questo mi fece stare molto peggio. Quel piccolo sorriso che mi era spuntato si spense e lasciò spazio sul mio volto ad altri sentimenti, brutti e tetri.

Presi la strada di casa, camminai qualche metro prima di fermarmi e decidere di cambiare direzione, mancava ancora un po’ prima che arrivasse l'ora di tornare. Decisi di andare nell’unico posto in cui riesco a pensare in pace.

Mi avviai verso il lago. È fuori città, circondato da colline, il sentiero è bloccato, ma scavalcai la sbarra. Forse erano 100 metri, ma il profumo del lago si poteva già sentire, anzi, lo si poteva sentire già da qualche metro indietro.

Al lago manca il rumore sordo della strada, del traffico e degli schiamazzi. C’è il rumorio del bosco circostante, il frusciare degli alberi, in primavera anche il canto degli uccelli. Ma quando c'è il silenzio, una brutta sensazione ti travolge e ti lascia sola. Il tuo cervello si riempie di pensieri e solitamente non sono pensieri piacevoli o positivi, ti assalgono tutte quelle negatività che vorresti dimenticare. Litigate, schiaffi, brutte parole, incidenti, morti, gli zombi, la conquista degli alieni,  invasioni di zombi alieni. Cose del genere. 

Rimasi una decina di minuti a fissare l’acqua. Si muoveva leggera. Era rilassante, c’erano le paperelle, le adoro. Vivono libere nei laghetti e nei fiumiciattoli, scivolano indisturbate nell’acqua  senza che nessuno le disturbi, se si escludono i coccodrilli e gli alligatori ovvio. Rimasi con lo sguardo fisso nell’acqua per una mezz’ora piena e in quel tempo ripensai alla seduta con il dottor Anderson, e a cosa potessi tirarne fuori.


 
La stanza era arredata in maniera semplice ma moderna, i mobili erano bianchi e lucidi, la   libreria era piena zeppa di libri, non solo di psicologia ma anche narrativa. Herman Malville, Joseph Conrad, alcuni classici greci come Iliade, Cicerone, J.K. Rowling, aspetta! J.K. Rowling?! Che ci fa Harry Potter e la camera dei segreti , o meglio l’intera saga  di Harry Potter sulla libreria di uno psicologo? Da chi diavolo mi hanno spedito?

Mi resi conto che ero lì dentro da qualche minuto e stavo fissando i libri senza neanche presentarmi, mi girai e trovai il mio psicologo che si dondolava su una sedia. 

Imbarazzata dissi: - Sono Brittany, scusi io...-, gli porsi la mano, lui l’afferrò, prima che potessi finire la frase mi interruppe. -Non si preoccupi. Salve, sono Blaine Anderson, sarò il suo terapista finché ce ne sarà bisogno!-  Il sorriso smagliante si posava su un viso olivastro, dalle sopracciglia triangolari decisamente singolari e una massa di capelli neri tenuti insieme da una quantità industriale di gel per capelli, alto forse quanto me, ma essendo lui un uomo è leggermente più basso della media.

-Prego si sieda, così incominciamo la seduta - mi accomodai nella sedia  - Allora Brittany, ti posso dare del tu? -  annuii semplicemente e lo lasciai continuare. -Credo che sarebbe meglio fare un po’ di conoscenza personale, che ne dici?- era una domanda retorica, lo so, ma avrei voluto rispondere, avrei voluto dire che non volevo conoscerlo, ma, cosa più importante, non volevo che lui conoscesse me. Ero stata costretta dal giudice a fare quella stupida seduta psicologica, volevo semplicemente fare la mia ora, mettere la firma su quel pezzo di carta e andarmene. Andarmene il più lontano possibile da quel posto. Non c’era niente per cui valeva  la pena di rimanere in quella  sperduta città.
Misi da parte qui pensieri e ritornai alla realtà. Annuii e cercai  di mettermi comoda.

-Fantastico! Brittany parlami un po’di te, una conoscenza generale come a scuola ricordi? Cosa ti piace, qualcosa riguardante il tuo carattere, amici, famiglia cose così!-. Panico. Iniziai  a mordicchiarmi il labbro e a storcermi le mani. “Pensa in fretta Brittany, pensa”-  Non sono mai stata brava a dire le bugie, come quella volta in terza elementare, avevo dimenticato di fare i compiti e dissi alla signorina Brown che il quaderno di matematica si stava facendo il bagno al mare e un calamaro gigante lo aveva fatto affogare.

La pausa per pensare stava diventando sempre più lunga, lui si è accorse che non stavo solo riordinando le idee per fare un discorso e dargli una risposta. Fortunatamente mi tolse  da quella situazione e decide di iniziare lui. -Non sei un tipo di tante parole vero? Ma non importa, comincio io. Io mio nome già lo sai, sono nato qui in Ohio e ho frequentato una scuola privata. Sognavo di diventare un grande di Broadway, ma poi ho cambiato strada. Sono sposato e ho due figli! Il mio colore preferito è il fucsia, il mio animale preferito è il pinguino. Vediamo che altro ti posso dire, mi piace leggere, come puoi ben vedere, e adoro la musica. Credo che non ci sia altro da aggiungere. Oh! Questa è la mia famiglia.-  Mi porge una foto, è lui in abiti decisamente stravaganti. Una camicia di un arancione folgorante dei pantaloni verde smeraldo, mocassini neri e, come tocco di classe immagino, un papillon celeste. Ci sono due bambini, devono essere gemelli, i capelli rossi e ricci e un mucchio di lentiggini a tempestare i loro visini, delle salopette rosa e blu e dei sorrisi che potrebbero far sciogliere anche il più gelato dei cuori. Involontariamente sorrido. -la femminuccia si chiama Eliza, il maschietto Gregory. Lui è mio marito, o quasi. Kurt!- Indica l’altro uomo sulla foto, un tipo elegante e raffinato, dai tratti leggeri.

Sorrisi e dissi alcune frasi di circostanza: che bella famiglia, dei bambini adorabili e cose così. Ripose la cornice e mi sorride.
 -Brittany la terapia consiste in vari step. Passo primo: noi abbiamo bisogno di parlare. -  Presi un respiro profondo e chiusi gli occhi per qualche secondo; quando li riaprì  iniziai a raccontare qualche cosa di me.
 
Guardai l’orologio, era  tardi, era sempre tardi quando guardavo l’orologio, dovevo assolutamente  comprarmi  un orologio che non mi faceva fare tardi, ero sicura che quello fosse  rotto! Scavalcai la recinzione, e feci la strada inversa. Con un peso sullo stomaco e un nodo in gola camminai sotto le stelle, erano bellissime, mi illuminavano il cammino, ma sono talmente triste e malinconica che non riesco a apprezzarne la bellezza.

Arrivai nel mio quartiere nella periferia di Lima, un classico quartiere delle piccole cittadine formato da un semplice complesso di appartamenti. Salii le scale e arrivi a casa,  era ruotine, quando salivo le scale, chiedermi sempre quando sarebbero crollate, erano talmente vecchie! Arrivata, appartamento 13. Sette piani a piedi, ma un dannato ascensore no?

 

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Aprii la porta e respirai un’aria diversa, profumata d’incenso. Profumo di pace per certi versi. Finalmente a casa, era tardi e mi costrinsi a mangiare qualche cosa al volo giusto per non rimanere totalmente a digiuno, dopo due morsi al panino però non riuscì a mandare giù altro.

Iniziai  il solito rituale, spostai tutti i mobili e li addossai alla parete. Spensi le luci, la casa cadde nel buio. A tentoni mi diressi verso la finestra, la aprii così come aprii le persiane. La finestra dava su un vicolo, era solo alla fine della strada che c’era un lampione. La luce non era molta ma sufficiente.

Mi diressi verso lo stereo, l’avevo fatto talmente tante volte che non mi serviva neanche più la vista per mettere il Cd e azionarlo. Traccia 13. Il Cd è una playlist da viaggio con le canzoni che più adoro, questa in particolare è la mia preferita. Le note de “El tango de Roxanne” risuonarono forti per l’intero appartamento, troppi ricordi,  troppi brutti ricordi  legati a quella canzone. Tornai  al centro della sala e mi sdraiai per terra come ogni sera.

Chiusi gli occhi e immaginai il mio corpo che si muoveva sul parquet marrone scuro, il ritmo frenetico della canzone trasportava i miei piedi. I passi leggiadri e sinuosi, il mio corpo percosso dal piacere puro che la danza mi provocava. Il mio corpo era immobile per terra, indistinto dal pavimento. La mente, al contrario, vagava per i ricordi, nel “sogno” altri corpi si aggiungono al ballo e tutto sembra farsi sempre più reale. Il tango diventava più vivido che mai nella mia mente.
Era un rituale quotidiano, tutti mi dicevano che devo andare avanti e dimenticare, ma il senso di colpa mi opprimeva. Dovevo costantemente ricordare i miei errori. La canzone era partita, ci vollero poche note perché quelle canzone mi fece ritornare in mente ciò che era successo un anno prima.


 
L’odore di fumo, il fuoco e il rumore delle sirene mi martellavano il cervello, non capivo più nulla. Cercavo di parlare ma non riuscivo, non potevo neanche muovermi. Delle braccia mi posizionano su una superficie orizzontale, una barella forse, poi il buio.
 

Dopo minuti interminabili quella canzone finì, con lei anche il sogno straziante che ogni sera da anni vivo.  Le lacrime ormai scendevano senza controllo, ogni sera era la stessa storia, le stesse lacrime e gli stessi sentimenti, rabbia e senso di colpa superavano qualsiasi cosa. Il tempo passava a rilento, le giornate erano riempite dalla monotonia. Prima la mia vita era molto diversa, io ero un'altra persona.  Ero solare, divertente, ero la vecchia Britt.

Ripensai alla seduta, forse avevano ragione le persone che cercavano di convincermi a farle, e il giudice credo abbia fatto bene a impormelo. In fondo ne avevo bisogno.
 


Avevo  le lacrime agli occhi, la seduta stava finendo e io credo che per la prima volta da quel giorno ero riuscita  ad aprirmi. Il dottor Anderson sembrava soltanto un eccentrico pazzoide, ma era  veramente bravo nel suo lavoro.

-Brittany- rivolsi la mia attenzione all’uomo –Hai un compito da fare per la prossima settimana, voglio che scrivi un diario, cosa fai nella giornata, come si svolge, le emozioni che provi. Sai come scrivere un diario no?- Annuii poi però presi a parlare – Si, certo che so scrivere un diario, ne tenevo uno fino all’anno scorso, poi ho smesso- Blaine sorrise e poi riprese  – Perfetto, adesso è arrivato il momento di ricominciare. Tieni. – mi porge una piccola agenda , è un Molenskine. La predo, è di pelle nera. Odora  di nuovo, di appena confezionato.– Falla tua! Disegni, adesivi tutto ciò che lo farà sentire tua.- Sorrisi e la presi, “ma ha la scorta di agendine nel cassetto?!” 
 
 Mi alzai e rimisi apposto tutti i mobili esattamente come erano prima. Chiusi le persiane e al buio cercai l’interruttore della luce. L’atmosfera ritornò uguale a quella di quando ero entrata nell’appartamento.  Presi la borsa, frugai per un po’ finché non mi ricordai che avevo messo ciò che cercavo nella tasca interna del giacchetto.

Presi l'agendina, la guardai a fondo, la squadrai più volte. Alla fine decisi che era arrivato il momento di aprirla. Mi andai a sedere sulla scrivania. Fatta di color nero, un colore triste, ma in effetti era in tinta con me in quel momento, ma doveva
essere mia, e io volevo  tornare quella di un tempo. Colorata!

Per un paio di minuti rimasi li, sinceramente a fare niente, anzi a fissarla. Dopo però mi rianimai e andai in camera. Mi diressi verso l’armadio, giallo ad ante scorrevoli. Fisso l'ultima anta, non l'aprivo mai. Una volta aperta fu come se un fiume in piena fatto di ricordi mi investì con la mia vecchia vita.
 

Avevo paura di entrare in quella sala, non volevo staccarmi da mamma e papà. Mia madre mi tirò dentro, la sala era bella, tutti quegli specchi dove il mio riflesso mi rincorreva, la sbarra in legno correva per tutta la parete.
C’erano tante bambine e anche qualche bambino, avevano tutti lo stesso sguardo spaurito che avevo io. Si vedevano i  tutù e le calzamaglie in diversi i colori, io portavo un tutù  giallo, una bambina rosa e ancora  una blu, una  verde, alcune  rosso, altre bianco, una bambina la portava addirittura nero. Si trovavano lì anche due bambini, uno era super eccitato e con la sua calzamaglia blu saltellava da un piede all’altro con un sorriso a 32 denti, l’altro bambino aveva una calzamaglia bianca sorrideva ai genitori, a differenza dell’altro sembrava calmissimo e a suo agio, stava in braccio al padre e chiacchierava con lui.

Pochi minuti dopo entrò una donna, era bionda e aveva i capelli acconciati in uno chignon classico. Fece mettere tutti i genitori, compresi i mie,  dietro il vetro della sala. Mise su un Cd e diede inizio alla lezione. Fu in quel momento che decisi il futuro della mia vita, di cosa avrei veramente vissuto e cosa avrei fatto: il ballo.
 

Le scarpette da ballo, i vestiti delle mie esibizioni, in quella piccola parte dell’armadio c’era la mia vita, o meglio, c’era la mia vecchia vita. In mezzo a tutta quella roba si trovava  una scatola, era rosa, era decorata interamente di adesivi e di scritte a pennarello. 

Portai la scatola nel salone. La aprii.  Dentro c'era di tutto… Ma veramente di tutto: glitter di ogni colore, adesivi di ogni grandezza e genere, alcuni rotoli di scotch colorato, forbici con la punta arrotondata, forbici a zig zag, cartoncini e fogli colorati, carta velina, della colla (che ha prenotato un biglietto di sola andata per la spazzatura, speriamo che ce ne sia altra in casa), delle perline e di tutto, una cartoleria sarebbe stata meno fornita di me!  Con quella roba decoravo di tutto: zaini, diari, astucci, disegni, perfino la testiera del letto!

Sorrisi, e forse è la prima volta dopo tanto tempo che riuscii in una simile impresa. Mi sedetti alla scrivania e iniziai a decorare quell'agendina. Quando ebbi finito sembrava uscita da una fabbrica di giocattoli. Esattamente come la volevo io!
Presi le penne colorate, sia quelle normali che quelle profumate con il glitter. Se doveva sembrare mio non volevo che somigliasse alla me di quel tempo, voglio che somigliasse alla me che cercavo di tornare. Mi misi comoda e iniziai a scrivere: Lima, 14 maggio 2013

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


He walks you say sit down it's just a talk

 
Sette giorni.

Era  passata esattamente una settimana da quando ho iniziato la terapia con il dottor Anderson. Era ancora giorno quando presi l’ascensore per andare alla seduta, il mio umore era migliorato in confronto alla volta precedente, non che fossi diventata un tripudio di felicità, ma era leggermente più dorato. Feci come mi disse lo psicologo e mi sfogai con il diario, l’ho chiamai William, Will per gli amici!

Entrai nella sala d’attesa, non feci neanche in tempo a sedermi che Jenny mi fece cenno di andare, non sembrava un tipo di molte parole. Come la volta prima mi fa strada verso l’ufficio del dottore. Il corridoio classico e la porta a verti, notai che le lettere tendenti al verde erano  ancora li.

Contai fino a 19, 19 respiri. Un ultimo respiro per arrivare a venti ed entrai in quella stanza.

Mi ritrovai nella stanza arredata in stile moderno, e dopo i convenevoli e le domande di cortesia mi sedetti. Blaine aveva ancora lo stesso sorriso, ma sembrava stressato e forse un po’ giù di morale. Che avesse litigato con Gary?

-Allora Brittany vogliamo cominciare?- la sua voce sembrava più bassa, aveva sicuramente litigato con Gary. Mi feci coraggio e glielo chiesi.
–Hai litigato con Gary per caso?- lui mi guardò, sembrava piuttosto confuso alle mie parole. Mi mordicchiai il labbro inferiore pensando di
aver fatto una cavolata, certo aveva detto o comunque aveva fatto capire che il clima non era così tanto formale, forse però ero andata oltre.
Cercai di scusarmi e discolparmi –Ehm.. no scusa…è  che sembri giù di morale e io… cioè… ho pensato che tu, insomma che tu avessi
litigato con tuo marito, ecco io… cioè mi dispiace- cercai in tutti i modi di tirarmi fuori dal casino che avevo combinato e di scusarmi con lui.

Inaspettatamente scoppio in una risata. Non sapevo  se sentirmi imbarazzata (non che non lo fossi già...), oppure arrabbiarmi. La scelta
l’aveva presa il mio viso, dove era già spuntato un broncio. Il Dottor Anderson smise di ridere – Scusa Brittany, non volevo ridere, ho fatto
quella faccia perché cercavo di capire chi fosse Gary, mio marito si chiama Kurt. Mentre per rispondere alla tua domanda, sì, abbiamo
litigato, mio marito voleva iscrivere nostra figlia a danza, e io dico che è troppo piccola. Così ho fatto compagnia al divano stanotte!- 

Improvvisamente scoppiai a ridere. Era da tanto che non  lo facevo veramente. Blaine mi seguì a ruota. Finito di ridere avevamo già usato cinque minuti buoni.

-Allora Brittany, è il caso di cominciare, ricordati che è solo una chiacchierata- sorrisi, non sapevo perché ma quel buffo tizio mi metteva a mio agio, forse perché non era un tipo statico, forse perché in un certo qual modo di metteva in gioco anche lui.

Si sedette all’indiana sulla sedia girevole, era un uomo davvero particolare.

 Per un minuto circa non si sentiva altro che silenzio. Poi cominciò a parlare: - Brittany vorrei che mi parlassi della tua vita, quella che conducevi prima, fino ad arrivare ad adesso. Te la senti?-

A quelle parole mi incupì di botto, sapevo che avrei dovuto spiegare tutto, ma non pensavo che sarebbe successo così presto. –Io pensavo che sarebbe passato altro tempo prima di parlare di tutto quello che è successo- Blaine con il suo tono cordiale e pacato rispose: - capsico che è difficile parlare di qualche cosa di traumatico, ma soprattutto capisco che non vuoi parlare di una cosa del genere con un estraneo. Però queste sedute sono contate, io devo farti fare l’interno percorso in un tempo limitato-.

Per un paio di minuti mi tormentai le mani, pensai a ciò che mi disse, in fondo aveva ragione, avevo poco tempo e dovevo sfruttarlo al massimo, guardai l’orologio mancavano 45 minuti alla fine della seduta.

-Mi posso togliere le scarpe? Sto più comoda- Blaine annuì, mi misi comoda portando una gamba sotto il sotto la coscia e l’atra vicino al petto.  – Ok, la scorsa volta abbiamo parlato di quando ero bambina. Di cosa posso parlare oggi?- - Della danza, dei tuoi amici per poi arrivare…- lasciò in sospeso la frase, ma ovviamente capì lo stesso di cosa stesse parlando.

Decisi che era più facile e in dolore parlare il più velocemente possibile, come si fa con i cerotti, uno strappo veloce. -Iniziai a danzare a 4 anni, già da subito decisi che quello era ciò che volevo fare nella mia vita,  ho iniziato con la danza classica, per poi fare anche hip-pop. Ho vinto parecchie competizioni, la prima a 8 anni per la danza classica. Credo che la danza sia ciò per cui ho vissuto praticamente per tutta la mia vita. Con il primo giorno di danza ho conosciuto quelli che poi sono diventati i miei migliori amici-



 
-Bambini mettetevi alla sbarra! Brittany, Michael, Arthur per favore smettetela di fare disastri e mettetevi alla sbarra.- Io e i miei amici velocemente ci mettemmo alla sbarra a fare gli esercizi dettati dall’insegnate.

-Perché l’insegnante non mi può chiamare Artie come fanno tutti non lo sopporto!- il mio amico si lamentava ogni volta che lo chiamavano con il nome per intero. –Dai Artie non te la prendere. Invece perché non andiamo al parco finita la lezione?- Artie annuì- Britt? Tu vuoi venire?- Mike e le sue proposte geniali! –Si! Che bello!- Forse lo dissi un po’ troppo forte,  e magari iniziare a saltellare non fu la cosa
migliore, tanto che l’insegnante ci richiamò in maniera molto dura.


Avevamo 9 anni, ci conoscevamo da cinque,  per un bambino è una vita intera.

Già il primo giorno c’era un’intesa tra noi, non ci vollero più di un paio di settimane perché diventassero i miei migliori amici. Quando era arrivato il momento di iscriverci alla scuola elementare, i nostri genitori decisero che non sarebbe stata una cattiva idea iscriverci alla stessa scuola, magari fare richiesta per la stessa classe.



 
Iniziai a raccontare a Blaine tutta la mia vita, le lezioni di danza, i concorsi vinti le varie scuole le elementari e quando tutti mi prendevano in giro, le medie e i trauma dell’apparecchio, e il liceo. Mi soffermai di più sul liceo. Ero la capo cheerleader, titolo acquistato grazie alla danza, la popolarità mi proteggeva dalle prese in giro e dalle granite,  gli raccontai dell’ultimo anno e del diploma preso con molta difficolta e con voti estremamente bassi.

Blaine mi ascoltò per circa un quarto d’ora, personalmente credo di aver vissuto un’infanzia e un’ adolescenza piuttosto spensierate e felici, la mia famiglia era molto unita, i miei genitori mi hanno sempre sostenuto nelle mie scelte anche quando erano piuttosto folli. L’unica pecca era la scuola, non ero per niente brava lo studio mi confondeva, storia, matematica, spagnolo tutto troppo complicato. Poi c’erano le prese in giro, nelle medie soprattutto, ma non me ne preoccupavo più di tanto, i miei amici mi avevano sempre protetto.

Il dottore rise per l’ultimo aneddoto che gli raccontai, ma dopo divenne serio –Brittany, credo che sia arrivato il momento di parlare dell’incidente-. Chiusi gli occhi, sapevo che questo momento sarebbe arrivato, - Per capire bene la storia credo di dover cominciare da prima, da quando abbiamo ottenuto l’audizione…
 



-Mike! Mike!- correvo a tutta velocità nei corridoi della scuola, andavo a sbattere contro le persone  ma non mi importava, ero troppo felice. Correvo alla ricerca di Mike o Artie.

La giornata era iniziata come le altre, quando scesi a fare colazione mia madre stava contrallando la posta, bollette, pubblicità, volantini di scarpe, cartoline di amici. Le solite cose. –Brittany questa è per te-, guardai la mano che mi porgeva la lettera, la presi con titubanza “io non ricevo mai posta, chi la manda?” la busta era bianca, la girai per vedere da chi arriva.

The Julliard School
 60 Lincoln Center Plaza
New York,  NY 10023, Stati Uniti

Smisi di respirare temporaneamente, iniziarono a tremarmi le mani. Tempo prima feci il primo provino per la Julliard a Columbus, aspettavo il responso contando i secondi, continuavo a pensare “ potrò andare a New York per il secondo provino?” A quella domanda non potevo dare risposta, era un incognita fino a quel momento.

I miei genitori mi chiamarono – Britt? Tutto ok? Forse è il caso…- alzai un mano per bloccare mia madre, dovevo raggiungere i miei amici. – Scusa mamma, devo correre. Ti chiamerò dopo- presi velocemente la mia roba e mi avviai verso l’uscita. Stavo per varcare la soglia quando mi sentì stringere il braccio, era mio padre – Tesoro, che tu sia passata o meno,  noi saremmo sempre fieri di te. Stai inseguendo i tuoi sogni! Ok?- Annuì solamente, poi lo abbracciai di slancio sussurrandogli un “grazie” all’orecchio.

Arrivata a scuola parcheggiai nel primo posto libero, corsi verso l’entrata e facendomi spazio nell’affollato corridoio del McKinley cercai i miei amici.

Mi avvicinai all’armadietto di Artie, ma c’era solamente una coppia che si baciava, credo che una cosa del genere in pubblico non si potesse
fare! Non trovando chi cercavo, aumentai la corsa, a tutta velocità andai verso l’armadietto di Mike.


-Mike! Mike! È arrivata! Mike è arrivata la lettera!- non appena mi trovai davanti a lui, misi le mani sulle ginocchia e respirai a fondo cercando di riprendere fiato. Quando mi fui ripresa alzai lo sguardo verso di lui, la sua faccia era impassibile. Lentamente sul suo viso gli si aprì un sorriso smagliante. Da dietro la schiena tirò fuori una busta bianca identica alla mia. Lo abbracciai con tutta la forza che avevo.

Il nostro momento di affetto venne fermato da un placcaggio degno di J.J. Watt. Appena riuscì a stabilizzarmi e a non cadere per terra, vidi  Artie aggrappato a me e Mike. –Artie?- ci strinse più forte per qualche istante e poi ci lasciò andare, con un sorriso a trentadue denti sul volto e gli occhi emozionati ci fece vedere la busta bianca. – è arrivata!-

Quel giorno a Columbus partecipammo tutti e tre al provino, aspettavamo con ansia questa lettera da tre settimane. Era il momento della verità. Quella lettera non significava l’entrata alla Julliard, ma segnava una parte del nostro futuro. Un rifiuto niente scuola, una lettera affermativa voleva dire volare a New York City per fare l’audizione direttamente nella sede della più grande, famosa e prestigiosa scuola  d’arte del mondo.

-Che si fa? L’apriamo adesso o aspettiamo?- volevo aprirla. Era la cosa che più volevo in quel momento, ma avevo anche una folle paura di non essere stata ammessa. Avevo puntato tutto il mio futuro nel ballo, c’erano altre scuola certo, ma non essere ammessa a quella scuola non l’avevo messo in conto finché non feci il primo provino. Da quel giorno cercai tutte le soluzioni possibili alla Julliard, ma dopo che ne hai un assaggio non puoi farne a meno.

Di comune accordo decidemmo di aspettare ad aprire la lettera, il corridoio del liceo non ci sembrava il posto adatto. Quel giorno nessuno dei tre riuscì a concentrarsi sulle lezioni, quella lettera ci chiamava, contavamo mentalmente le ore, i minuti e per fortuna ci limitammo a quello.

Finalmente suonò la campanella dell’ultima ora di lezione, solitamente correvo fuori dalla scuola per precipitarmi alla lezione di danza, ma quel giorno me la presi con calma. Fuori dalla scuola c’erano i miei migliori amici che mi aspettavano.

Il viaggio verso la scuola di danza fu estremamente silenzioso. Solitamente c’era musica a tutto volume, canti stonati e chiacchiere. Quel giorno però la tensione era tangibile, nessuno fiato. Arrivati alla scuola, ci cambiammo e velocemente andammo vero la sala. Era la stessa di quando, a 4 anni, iniziammo a fare i primi passi nel mondo della danza.

La lezione passò, anche l’insegnate si stupì del nostro insolito silenzio, ma non ci disse niente per non turbare la rara tranquillità di quell’ora.
Finita la lezione, rimanemmo più tempo del normale, tutti e tre sapevamo dentro di noi  che quello era il posto giusto dove aprire le lettere.




-Complimenti!- il dottori Anderson dopo aver sentito tutta la prima parte della storia, e aver appreso che tutti e tre avremmo fatto il secondo provino a New York e visti i suoi sogni non poté che complimentarsi con sincerità con me. Rimase attento, e di tanto in tanto annotava qualche cosa su un taccuino uguale a quello che mi diede la settimana prima.

-Blaine, mancano solo cinque minuti alla fine della seduta- Blaine guardò l’orologio e poi l’agenda degli appuntamenti. Aveva un aspetto concentrato, -aspetti un secondo- l’unica cosa che disse prima di uscire dalla stanza, credo stesse andando da Jenny, ma non me ne preoccupai più di tanto. Iniziai a rimettermi le scarpe e a rivestirmi per andar via non appena sarebbe tornato, avevo appena fatto il nodo alla scarpa sinistra quando il terapista rientrò. Sorrise e io ricambiai continuando però ciò che stavo facendo.

Prontamente Blaine mi fermò –Altolà! Non abbiamo ancora finito, per oggi non ho altri appuntamenti, ho già avvertito che tornerò leggermente più tardi a casa, e anzi se devi avvertire anche tu fallo perché rimarremmo qui un altro po’- lo guardai, inizialmente confusa, ma poi leggermente alterata.

-Lo stato mi paga solo un ora a settimana- Blaine sorrise, quel sorriso che dice “questa tizia non vuole fare una cosa ma tanto non ha scampo”, infatti riprese – lo stato non mi paga questo tempo e neanche tu, lo faccio perché credo che dividere questo, chiamiamolo racconto non sia adatto- come volevasi dimostrare, non potevo demordere però: quindi iniziò un botta e risposta.

Purtroppo non la spuntai. Mi ritolsi il giacchetto, e così feci con le scarpe riaccomodandomi sulla poltrona. Blaine aveva un sorriso soddisfatto sul volto e questo mi fece mettere su una faccia ostile. Prima che però potessi dire qualsiasi cosa su questa presa di potere mi anticipò.

-Brittany per questo, chiamiamolo racconto, ci sarebbero volute almeno due sedute, purtroppo però il tempo è quello che è. Dopo tutto, ma dimmi se mi sbaglio, non è meglio togliere subito il dente? Via il dente e via il dolore- Blaine sorrise, era tornato il sorriso dolce dell’inizio. A
quel punto la mia “faccia dura” sparì.

-Credo che tu abbia ragione, anche tornare nell’atmosfera sarebbe difficile, meglio continuare anche se mi dispiace farti fare tardi- con una mano Blaine mi fece capire di lasciar stare, si rimise sulla sua sedia e riprese i panni dell’ascoltatore. Prima di farmi continuare però, mi disse alcune cose: - Brittany, riprendiamo da dove ci eravamo fermati, abbiamo parlato dell’secondo provino alla Julliard e di come vi stavate preparando per andare a New York giusto?- lesse queste cose nel Molenskine e intanto guardava anche me per una conferma,
solitamente mi sarei limitata ad un cenno affermativo, ma decisi di parlare.

-Si, alla mattina della partenza di New York- Blaine sembrò apprezzare questa specificazione e mi esortò a continuare il racconto. Prima raccontavo le cose semplici, niente sensi di colpa o brutti pensieri in quei frangenti, adesso arrivavano le noti dolenti.

Mi presi un secondo per respirare e regolarizzare il battito che si era accelerato per via dell’argomento. Ancora non ne parlavo e gli occhi si erano già inumiditi, era difficile, e sapevo che non sarebbe stato facile. Blaine dal cassetto prese una scatola di clinex e li mise davanti a me. Mi lasciò tutto il tempo per riordinare le idee o per auto-convincermi a farlo.

Feci contai fino a 19, e 19 respiri. Un ultimo respiro profondo per arrivare a 20 e iniziai a raccontare.



Era arrivato il giorno della partenza, due giorni dopo mi aspettava l’intera commissione che mi avrebbe giudicata adatta o meno idonea alla Julliard. Io, Mike e Artie avevamo deciso di partire due giorni prima così da poter riposare dal viaggio e vedere almeno qualcosina di New York.

La notte prima della partenza non riuscì a chiudere occhio, presi sonno solamente verso le tre del mattino in seguito all’aver ingurgitato una buona dose di camomilla. Il problema e che quando dormo tendo a perdere ogni contatto, possono esplodere le bombe intorno a me che non mi sveglio (rimedio trovato tramite una sveglia molto alta e molto metal). Non ostate tutto però mi addormentai pesantemente, molto più del solito. Mia madre venne a svegliarmi mezz’ora dopo l’orario previsto.

Lentamente aprì gli occhi e vidi mia madre in preda ad una crisi di “oh mio dio il cucciolo sta per lasciare il nido” che tenta in tutti i modi di svegliarmi. Ancora assonnata mi passo una mano sul viso, girando la testa da una parte all’altra per cercare di capire che stesse succedendo.

I miei occhi si posano sulla sveglia, inizialmente non realizzai i numeri che c’erano scritti sopra, dopo averlo fatto però, il mio urlo fece immobilizzare l’intera casa. Rimasi imbambolata cercando di capire cosa dovessi fare, il mio sguardo si posò su quello di mia madre ci rimase qualche secondo prima che venne distratto da mia madre: -Sbrigati!-

Mi alzai alla velocità della luce, doccia e poi la colazione, potevo anche avere sei ore di ritardo, la colazione non l’avrei saltata per nessuna ragione al mondo. Mentre stavo andando a lavarmi i denti suonano alla porta.

-Ciao Mike!- saluto con un sorriso a trentadue denti, vedo il suo sorriso spengersi: -Britt! Non sei ancora pronta?- La mia faccia colpevole lo fa sbuffare sonoramente, cerco di articolare qualche scusa campata per aria. Mi blocca e solo con lo sguardo duro mi intima di sbrigarmi.

-Britt, dico ad Artie che non passiamo a prenderlo ma di venire qui! Però fai veloce, dobbiamo correre in aeroporto!- intanto che cercavo di ascoltare Mike mi sistemavo per partire, finito di prepararmi scesi di sotto e salutai Artie con un bacio sulla guancia. –Ok Brittany, ora possiamo partire- Artie (più ottimista e meno severo di Mike) inizia a salutare tutti.

Saluto la mia famiglia, e ognuno mi da un abbraccio spacca ossa duranti un minuto ciascuno. Dopo che Mike e Artie caricarono la macchina con le valigie, salimmo in auto e spediti andammo verso l’aeroporto.

Il traffico era incredibile, mai visto degli ingorghi del genere per la strada dell’aeroporto. Ormai avevamo ascoltato tutta la lista di videogame che Artie aveva finito e una lista completa di cibi cinesi a cui Mike non poteva dire di no per via dei genitori.

Arrivati finalmente in aeroporto il nostro volo era appena decollato. – Brittany questo è perché tu, e sottolineo il tu, sei sempre in ritardo, ritardo a scuola, ritardo alle lezioni di danza, ritardo e sempre in ritardo- Mike era sempre melodrammatico, una tragedia greca per ogni cosa. –Dai Mike calmati, non è solo colpa di Brittany, c’era molto traffico in Bellefontaine Avenue – Artie cercava sempre di mettere pace in ogni situazione.

-Mi dispiace tanto! Ieri non riuscivo a dormire e mi sono alzata tardi- sul mio viso si dipinse un’espressione dispiaciuta, una di quelle a cui il mio migliore amico non sa resistere. – Ok, non importa Britt, adesso che facciamo?- per qualche minuto nessuno rispose, valutando le varie opzioni. Scartammo di aspettare l’aereo successivo: troppo dispendioso. Il treno sarebbe stata un ottima idea se non fosse che le ferrovie
erano in sciopero.


-Macchina!- improvvisamente Mike ebbe l’illuminazione. –Andiamo in macchina! Da Lima sono quante? 10 ore? Forse meno per arrivare a New York!- Io e Artie ci guardammo valutando l’idea, sarebbero state tre ore e qualche cosa di guida ciascuno, forse potevamo riuscirci. –Per me va bene- Anche Artie ci diede la conferma, andammo a riprendere la macchina dal parcheggio dell’Allen Country Airport. Quando le nostre famiglie vennero a conosceva di cosa volevamo fare iniziarono a darci raccomandazioni ancora insistenti.

 


-Quindi il viaggio verso New York doveva essere fatto in aereo, ed è solo per una casualità che è stato compiuto in macchina-  ridacchiai dopo l’affermazione di Blaine. –Bhe diciamo che il mio ritardo e il traffico di Lima ci ha aiutato parecchio-  feci un sorriso sghembo.

-Ok, cosa è successo dopo che siete andati via dall’aeroporto?-  immediatamente mi irrigidì sulla sedia, era più facile raccontare la parte prima del viaggio vero e proprio, noi tre eravamo  dei classici ragazzini che partivano verso il college, ma raccontare il resto fa male, raccontare il resto fa tanto male.

-Eravamo in viaggio da circa 6 ore, avevamo già fatto tre soste, la macchina la stavo portando io per il secondo turno. Ci trovavamo vicino al Simon B. Elliot Park- vidi che Blanie  fece per parlare così non andai avanti – Eravate arrivati in Pennysilvania?- annuì, -Si. Avevamo già percorso metà dell’Interstate 80, più o meno verso l’uscita 111- Blaine non parlò, così continuai.

- Avevamo un Cd, era la nostra playlist da viaggio, erano 100 canzoni. C’erano canzoni Disney, sigle di cartoni animati, ma soprattutto qualsiasi canzone ballabile, ma quel giorno ci fermammo semplicemente alla traccia 13, “El tango de Roxanne”, quando scoprimmo di poter  fare il secondo provino a New York decidemmo che insieme saremmo stati più forti. Quella coreografia era già pronta, un tango a tre. Era la canzone che dovevamo ballare al provino…



-Brittany cambia canzone, sono quasi sei ore che non ascoltiamo altro. Ti prego!- Artie dai sedili posteriori cercava inutilmente di cambiare canzone allungandosi. Mike rideva per la scena, ma anche lui non ne poteva più di quella canzone. Insieme si erano messi d’accordo sul fatto che dopo il provino non l’avrebbero mai più ascoltata.

Quella canzone iniziò a venirmi a noia anche a me, ma cambiarla voleva dire cedere e non lo avrei fatto, mai. In più mi divertivo moltissimo a vedere loro due che si esasperavano.

Mi misi a ballare sul sedile, mi muovevo in maniera scoordinata, saltavo sul sedile e mandavo le mani in aria.  Nella macchina iniziarono le risa e le urla eccitate, le mosse disordinate di tutti e tre per niente consone a tre ballerini.

 


-è stato un attimo, dell’acqua e dei detriti sulla strada mi hanno fatto perdere il controllo dell’auto, sarei riuscita a mantenerlo se non fosse che ero distratta, cercavo di mettere la canzone nuovamente, Mike cercava di impedirlo, non guardavo la strada, avevo solo una mano poggiata sul volante è stato un attimo – per tutto il racconto mi trattenni dal farlo, non volevo piangere ma arrivata alla fine non potei farne a meno.

Blaine corse a sostenermi, mi accarezzava la schiena e i capelli – e per via di questo incidente che hai smesso di ballare?- esordì. Mi presi dei secondi per calmarmi ma poi sputai con frustrazione: - è colpa mia lo capisci? Non potevo più farlo, non dopo a quello che è successo a Mike e Artie!-

Blaine fece una faccia spaventata, solitamente non scoppiavo così, e non sembro neanche il tipo da farlo, ma in quella situazione non potevo farne a meno.

-Brittany che cosa è successo ai tuoi amici? A Mike e Artie cosa è successo?- Blaine aveva una faccia amorevole mentre mi parlava. –Quando la macchina è andata a schiantarsi contro il guard rail io sterzai violentemente, la macchina si ribaltò e finimmo con il tettuccio dell’auto al posto delle ruote, nell’impatto la macchina rimase quasi completamente accartocciata dal lato del passeggero- Blaine sospirò, non era facile raccontare per me queste cose, e ascoltarle dalla persona che ne era la causa e che le diceva con un tono da funerale non era il massimo, però Blaine manteneva sempre un ottimo autocontrollo.

- Questo cosa ha comportato per voi tre?- A mano a mano che il dottore mi faceva le domande il suo tono si abbassava e si faceva sempre più professionale e distaccato, lo faceva per  non farsi coinvolgere troppo dalla situazione.

-Io ne sono uscita illesa, qualche graffio e bruciatura, ma niente che qualche giorno non avrebbe sanato- Blaine annui – A Mike invece gli si è rotta la gamba, è stato operato e il ginocchio è gli è stato in parte ricostruito, non ricordo bene quali parti. Non potrà più ballare come professionista, ha fatto mesi di riabilitazione, ma il ginocchio era troppo danneggiato per riprendere la carriera di ballerino- il dottor Anderson prima di annuire sospirò.

Questa volta abbassai lo sguardo prima di parlare – Artie era nei sedili posteriori, quando ho sterzato il colpo lo ha catapultato verso il sedile del guidatore, il ribaltamento lo ha scaraventato nell’angolo a destra verso il cofano, l’urto è stato talmente forte che la colonna vertebrale si è spaccata in tre punti. È stato operato tre volte, ma non  c’è stato molto da fare per la sua spina dorsale, il medico gli ha detto senza mezzi termini che non si alzerà più dalla sedia a rotelle.- Questa volta prima di annuire e sospirare socchiuse gli occhi.

-è per questo che non balli più Brittany? Perché hai questi sensi di colpa verso di loro?- lentamente mi rimisi le scarpe, mi rivestì –Credo che sia ora per entrambi di andare è già tardi, sia per lei che per me dottor Anderson- il tono formale, il non rispondere alla domanda apertamente fu pari a una amissione.

Quando uscì salutai Jenny con un cenno e me ne andai da quel posto.
 
 
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Ehy! Grazie a tutti quelli che hanno recensito lo scorso capitolo, quelli che hanno messo tra le seguite, le ricordate e addirittura le preferite.

Vi lascio il link di un'altra fan fiction molto carina...
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1970365&i=1

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 He smiles politely back at you

 



Rimasi per un paio d’ore a scrivere, della mia infanzia all’incidente. All’ora di pranzo presi i panini che mi ero preparata prima di uscire,  e iniziai a mangiare. Dopo qualche morso alzai gli occhi e vidi che c’era una ragazza, troppo lontana per poterla vedere bene, ma ero sicura che stesse guardando me. Scossi la testa, e non ci pensai “magari ha solo posato lo sguardo: capita”.

Finì il mio panino, e contemporaneamente chiusi il diario con cura, inghiottì e feci per alzarmi, quella ragazza mi stava ancora guardando e mi sentivo a disagio. Mentre mi sistemavo notai che la stessa persona che mi stava guardando prima aveva ancora gli occhi fissi su di me, -mi sta fissando, non le è solo caduto lo sguardo- lo dissi a bassa voce, ma non troppo visto che intorno a me alcune persone mi
guardarono stranite.

Presi le mie cose frettolosamente e me ne andai da lì con una brutta sensazione addosso.
 



* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *
 


Ero nervosa, quella sensazione di disagio di quella mattina non se ne era andata per tutta la giornata. Mi sentivo osservata, a fare la spesa, a passeggiare e in quel momento mi sentivo osservata anche sul divano di casa mia.

Guardai per un po’ la televisione e nel mentre facevo le parole crociate. Ero piuttosto brava e , al contrario di quando ero a scuola, sapevo
perfettamente i confini dell’Ohio in questa occasione.

Cercai di distrarmi, decisi che era il caso di sistemarmi la borsa visto che quella mattina ci trovai un pacchetto di gomme da masticare di tre
mesi prima. Rovesciai tutto il contenuto nel tavolo del salone, c’era veramente il mondo in quella borsa “però! Mary Poppins mi fa un baffo” 
un sorriso ironico comparì sul mio volto. –A noi due pulizie della borsa!-

Iniziai col buttare foglietti, biglietti con su scritti numeri ormai salvati sul telefono, bigliettini da visita che mai userò, volantini di scarpe,
opuscoli e tutto ciò che non mi serviva a niente nella borsa.

Mano a mano che sistemo la borsa mi viene quella stessa sensazione che si ha quando si va da qualche parte e si ha dimenticato qualche
cosa. Continuo perché non riesco a capire che cosa, riguardo tutto l’interno della borsa che sta sul tavolo quando: -Merda!- sbuffo e a tutta
velocità inizio a cercare il diario per tutta la casa,  in cucina non c’è, nel salone neppure passo in rassegna anche la camera da letto e il
bagno, niente. Frugo nelle tasche del giubbino ma niente.

-Non è possibile!- questa volta non cerco neanche di contenere la voce. –Adesso Blaine si arrabbierà perché ho perso il Molenskine.
Merda, c’è scritta la mia vita li. Merda, qualcuno potrebbe leggere della mia vita!- stavo leggermente impazzendo. Su quell’agenda,
solamente quella mattina, scrissi tutto, 10 pagine sulla mia vita.

Arresa, mi buttai sul divano. Non mangia molto quella sera, ero delusa da me stessa per quella storia, iniziai a pensare dove avrei potuto
perderlo. –Il lago!- non mi sarei stupita se sulla mia testa di fosse accesa una lampadina.

Corsi velocemente verso il cumulo di terra su cui quella stessa mattina mi ero seduta. Le persone si erano decisamente dimezzate da
quella mattina.

 

Avevo controllato per buona parte del lago, anche nelle zone che non avevo frequentato, ma non riuscì a trovare niente.

Sconsolata e delusa tornai a casa, “che brutta giornata!”.

 


    * * * * * * * * * * * * * * ** * * * * * * * * * * * * * * * *  * * * * * * * * * * * * * * *


 
La veglia sul comodino continuava a suonare, guardai l’ora: 8:30. La spensi e pigramente mi alzai dal letto. – Odio il lunedì!- forse la frase
non era nuova, ne per me ne per gli altri, ma sicuramente è la frase più vera che le persone dicono.

Bianchi, neri, gialli, verdi, blu e rossi  tutti odiano il lunedì.

Etero, gay, bisex, transessuali  tutti odiano il lunedì.

Vogliamo parlare degli assassini, dei ladri, dei truffatori e dei politici? Anche tutti loro odiano il lunedì. Che poi chi commetterebbe qualche
cosa di brutto il lunedì?! Sei talmente nervoso e sfatto per il fatto che sia iniziata una nuova settimana di fatica che (il lunedì) non hai il
coraggio di essere cattivo.

E come tutte le altre categorie, anche io odio il lunedì.  La domenica ti puoi alzare a che ora ti pare, anche se sono le sei, decidi tu a che ora
alzarti, ti riposi. Se questo non succede, se non riesci a riposarti, ti puoi arrabbiare per il solo fatto che sia lunedì.

Lasciando da parte l’odio per il lunedì, mi alzai.

 



** * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * ** * * * * *



 

Ero a lavoro già da due ore, e mi annoiavo a morte, sono le dieci di mattina i jazz bar non sono molto frequentati a quell’ora, mi annoiavo e
iniziai a giocare a qualche giochino sul cellulare. – Pierce che fai ozi?- il mio capo, ha la mia età, simpatico e carino. –No capo, sto
seguendo l’affluente clientela che ci ritroviamo!- risposi con un sorriso, che venne prontamente sostituito da una faccia incredula in seguito
alla risposta del capo –ma se non c’è nessuno?- ok, il mio capo non può essere considerato una cima e di certo l’ironia non è il suo forte,
neanche il mio, ma fin lì ci sarei arrivata.

Passò un quarto d’ora, forse venti minuti, quando nel bar entrò una ragazza, mi sembrava un viso già visto. Si sedette nel tavolino
all’angolo, aspettò qualche secondo e intanto si guardava intorno. Prese un menù e rimase a guardarlo per interi minuti, finché non alzo
semplicemente la mano per richiamare il personale.


Da quando era entrata non le tosi gli occhi di dosso, ogni movimento che faceva, la camminata sinuosa, i capelli che ondeggiavano dalla
coda di cavallo una bellezza esotica, per niente nei canoni dell’Ohio.

Vidi che sventolava la mano in cerca della mia attenzione, dovevo essermi imbambolata perché la sua faccia stufata dava l’impressione
che sventolasse quella mano più del dovuto.

Velocemente andò dall’altra parte del bancone, mi lisciai il grembiule e da esso ne presi il blocchetto per le prenotazioni e la penna con il
pinguino. Quando mi fui avvicinata abbastanza feci un sorriso smagliante – Salve, vuole ordinare?-  alzò gli occhi dal menù, fece un sorriso
di cortesia prima di parlare: - Salve, si…  mmmh… per caso lavora qui Brittany Susan Pierce?- corrugo la fronte, “ chi diavolo è questa
tizia?”
– Si… certo, cioè, si sono io- il mio tono non è più socievole o cordiale come sempre, o almeno non è lo stesso che uso con gli altri
clienti, è duro e diffidente, non era giornata per i giochetti e quella tizi aveva una faccia con un ghigno ironico sopra.

Io suo sorriso smise di essere di cortesia e divenne un sorriso vero, ma con una luce diversa, calcolatrice. Ignorando la mia risposta e il
tono con cui la dissi, mi allungò la mano.  La scrutai perplessa e decisamente stupita, tant’è che sgranai gli occhi e aggrottai le
sopracciglia contemporaneamente. Presi la mano –Piacere Brittany- la strinse delicatamente, ma il suo tocco non era leggero o morbido,
era viscido e venale – e lei è...?- decisi di levarmi dal viso quell’espressione incredula e ne misi su la mia migliore faccia inespressiva.

-La stavo cercando signorina Pierce, speravo di trovarla qui ieri sera, ma non c’era- non riuscivo a spiegarmi come mai quella donna
avesse tanta voglia di vedermi. –Mi scusi- lo dissi cercando di essere il più amichevole possibile per quella situazione – non credo di avere
il piacere di conoscerla. Potrei sapere chi è?- il suo sorriso cambia, diventa meno amichevole – Un caffè e magari una… ciambella al
cioccolato-.

Rimasi qualche altro secondo li, ad aspettare una sua risposta alla mia domanda, ma il suo repentino cambio di argomento faceva
volentieri intendere che non aveva nessuna intenzione di scoprire le sue carte. Quella tizia non mi piaceva per niente. 

Restò seduta per 45 minuti buoni se non di più, con i suoi occhi costantemente a guardarmi. Non era discreta nel farlo, anzi era piuttosto
evidente e menefreghista della cosa. Anche gli altri pochi clienti del locale se ne accorsero lanciando strane occhiate a entrambe, con
qualche sghignazzamento.

Il mio comportamento certo non aiutava, ero nervosa e lo vedevano tutti, di tanto in tanto controllavo se lei mi stesse ancora guardando e
ogni volta che mi giravo lei faceva un sorrisetto, di quelli che quando vedi addosso le persone il primo impulso è quello di picchiarle, a quel
punto mi rigiravo di scatto facendo ridacchiare gli spettatori di questo stupido spettacolino.

Perfino Sam rideva di questa situazione, il che è tutto dire!

Finita la sua colazione venne a pagare, mentre si dirigeva verso la cassa tentai nella maniera più discreta possibile di farmi sostituire da
Sam, ma venni liquidata con un: - hai preso tu l’ordine- . Quella donna mi metteva a disagio, e quando ormai era giunta al bancone le cose
degenerarono.

-Ci si rivede Brittany- ancora sul viso quel ghigno divertito, posò i gomiti sul bancone per niente intenzionata a staccarli. –Allora Brittany non
mi racconti niente di te? Anche se qualche cosa la so già- il mio sopracciglio toccò quasi l’attaccatura dei capelli – che diavolo vuol dire che
qualche cosa la sai già? E poi chi cavolo sei tu e perché dici di conoscermi?- in neanche un ora quella donna mi aveva fatto saltare tutto il
sistema nervoso.

Il suo sguardò non si abbassò, non si incrinò nemmeno, rimase nella stessa identica posizione aspettando che finissi. Aspettò un paio di
secondi poi si prese a guardare in giro, forse nel tentativo di guadagnare tempo.

-Però ce n’è di gente che appende volantini- spostai il mio sguardo dove vidi che si posava il suo, alludeva alla bacheca appoggiata alla
destra della cassa, sul bancone. I clienti ci chiedevano se potevano mettere dei volantini, capitava di tutto: lezioni private, volantini di negozi,
biglietti da visita, appartamenti. Era proprio quest’ultima categoria che guardava con interesse, rimasi ad aspettare che finisse,
interromperla avrebbe significato parlarci e non mi andava proprio.

- Affittasi casa con sei camere da letto- alza il viso e con ironia commenta – molto utili direi- poi riabbassa lo sguardo e continua a leggere.

-Appartamento senza riscaldamento, monolocale con bagno in comune al piano, bifamiliare da dividere con una famiglia mormone…- ogni

casa che leggeva a me scappava uno sbuffo, ad un certo punto scoppiai –ne hai ancor per molto siamo molto occupati qui!- lentamente,
anzi molto lentamente alzò lo sguardo ma non lo poso su di me come pensavo, si guardò in torno un paio di volte poi si rimise a leggere i
volantini delle case, non passo molto che parlò nuovamente – eri ironica prima? Perché l’unica cosa che vedo è una coppia anziana e dei
ragazzetti che si stanno facendo i cazzi loro beatamente- forse avrei dovuto usare una scusa migliore, non c’era molto lavoro in effetti.

Dopo la pessima figura decisi che era arrivato il momento di prendere le distanze, -quando sei pronta per il conto chiama- cercai di dirlo
con un tono neutrale, appena mi girai feci solo mezzo passo prima che la sua voce mi fece congelare sul posto.

-Cercasi coinquilina, appartamento al settimo piano, zona periferica. Per informazioni contattare Brittany. Tu ne sai niente?-


“Merda!” questo è uno dei momenti in cui rimpiango non vivere a casa con i miei. Neanche una settimana prima feci quel volantino per una
coinquilina che fantasticavo diventava la mia migliore amica, adesso rimpiango di averlo fatto. –Come scusa? Io non so niente- sostenni il
suo sguardo.

I suoi occhi si abbassarono, spalancai i miei quando vidi che quel nero intenso non stava più guardando me. Non capì perché lo avesse
fatto, non sembrava il tipo che si arrendeva, soprattutto non così facilmente. Pensavo di dovermi vestire come Russel Crow nel Gladiatore e
combattere con decine di leoni e tigri.

Tutti questi pensieri vennero sradicati via quando vidi che il suo cellulare stava scrivendo un numero, quello sul foglio che stava
commentando poco prima. “che diavolo vuoi fare?”. Scossi la testa a sentire la suoneria del mio cellulare, lo presi e lanciai un ultimo
sguardo alla mora davanti a me. “Sconosciuto, ma chi diavolo può essere?!” –Pronto? Pronto?- inizialmente non rispose nessuno, poi sentì
una voce –Salve, chiamo per la casa se si gira ne possiamo parlare a quattr’occhi- mi girai e mi diedi mentalmente della stupida, anche la
ragazza davanti a me aveva una faccia decisamente stralunata.

Riprese la sua espressione strafottente –e io che credevo che non ne sapessi niente!-


Dopo quella affermazione prese il volantino e mi lasciò 10 dollari sul poggia soldi –tieni pure il resto- quella fu la goccia che fece traboccare
il vaso, certo se qualsiasi altra persona avesse fatto una cosa del genere l’avrei ringraziata tantissimo, ma lei… Primo: era lei. Secondo: era
lei lo stesso. Non so perché c’è l’avesse con me. 

Quando sentì la campanella posta sopra la porta tornai alla realtà, mi tolsi il grembiule e la rincorsi. Lei era già un bel po’ lontana quando la
individuai “ma certo! È la ragazza del lago, adesso che è lontana riesco a riconoscerla”.

Sconvolta per la notizia che la “ragazza del bar” è anche la “ragazza del lago” lasciai prima il lavoro e tornai a casa in anticipo. Avevo troppi
pensieri per la testa. Arrivai a casa e non appena aprì la porta il profumo di incenso mi travolse. Senza neanche preoccuparmi di cambiarmi
o mangiare mi butti nel letto.

“Chi diavolo sei?Perché mi fissavi al parco e come mai sembra che tu mi conosca?” con queste domande e molte altre nella testa finì con
l’addormentarmi.


 

** * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *



Mi svegliai con il campanello che suonava, prima di alzarmi feci un grugnito, odiavo chi mi svegliava prima della sveglia. Svogliatamente mi alzai e mi diressi ad aprire.



Davanti a me una ragazza, i capelli biondi e gli occhi nocciola o verdi, ero ancora troppo addormentata per capirlo, vestita con un vestitino azzurro con uno stile che ricordava vagamente gli anni sessanta.

-Quinn Fabray- la mia mano va a stringere la sua, la sua stretta molto più vigorosa della mia, dovuta al fatto che non ci misi per niente forze.
– Brittany Pierce, come posso aiutarla?- la mia voce risultò ancora roca dal sonno ma cercai di essere cordiale.


-Emmh, io sono qui per via della casa, mi è stato detto che cerca una coinquilina- subito mi riprendo, certo la casa. – Si accomodi signorina
Fabray- il mio sorriso divenne affabile, e subito scortai la ragazza nel divano. –Ecco c’è un po’ di disordine, non aspettavo visite in realtà.
Anzi sono quasi certa di aver messo come unico contatto il mio numero di telefono, posso sapere come ha saputo l’indirizzo?- non avrei
voluto attaccarla, e in realtà non lo feci, ma mi sembrava lecito chiedere. – Oh, certo! Mi è stato dato il volantino da amici che l’hanno preso
in un bar, e sopra a penna c’era scritto l’indirizzo. Ho provato a chiamare al numero che c’era indicato, ma risultava spento, e avendo io bisogno di una casa urgente ho pensato di passare-

Il suo viso ispirava fiducia, sembrava il classico viso da brava ragazza che si vedono tanto in tv nelle commedie americane. “Sam. Ha preso il biglietto al bar, deve essere stato Sam a dargli l’indirizzo” convinta decisi di iniziare a parlare con lei, scoprì che le serviva una casa
urgentemente perché si appoggiava da un’amica che non poteva ospitarla per molto tempo ancora, che era finita in mezzo ad una strada
dopo aver visto il suo uomo con un’altra donna, che non parlava con la sua famiglia (il perché però mi restò oscuro li per li) e che aveva
frequentato il McKinley come me, aveva 23 anni quindi l’anno del suo diploma equivaleva al mio ultimo anno di medie. In generale mi
sembrò una brava ragazza, che aveva bisogno di aiuto.

Dopo altre chiacchiere, altre conoscenza e il padrone di casa che chiedeva l’affitto bussando sonoramente alla mia porta, mi fecero venir
voglia di sistemare velocemente la questione. Le dissi che poteva trasferirsi in qualsiasi momento, e che per le regole e le avvertenze ci
saremmo messe d’accordo in seguito.

Già nel pomeriggio Quinn decise di iniziare a portare le sue cose, così da poter passare la notte nella nuova casa.

-Non hai molta roba- mentre portavo l’ultimo scatolone in camera sua mi resi conto che non ci volle molto per il trasloco, solo quattro 
scatoloni e due valigie. –Sì, ho buttato via parecchia roba, voglio ricominciare da capo-  sorrise con una punta di fierezza nella voce.


Quella ragazza sembrava simpatica e molto triste, e dal modo in cui si mordeva il labbro anche parecchio nervosa. Quella mattina pensavo
che fosse solo nervosa per via del trasloco e dello stress, ma adesso doveva essere qualche cos’altro. Dopo una decina di minuti mi
decisi a chiederglielo.

-Quinn, va tutto bene- gira la testa verso di me, dopo che deglutisce annuisce – C-certo perché?- la sua risposta non mi convinse
minimamente, rimasi a fissarla per qualche minuto. –Brittany andiamo in salotto un secondo- mi precede nell’uscire dalla porta e il silenzio
che ritrovai in salone era carico di tensione.

-Hounabambinadi6annicheviveconme- aggrottai le sopracciglia e spalancai gli occhi, la bocca mi si storse involontariamente – eh?- l’unica
cosa che riuscì a dire. Parlò così velocemente e in tono tanto acuto che non capì poi molto. Doveva essere qualche cosa di veramente
importante perché per tutto il tempo tenne gli occhi serrati e il respiro era quasi assente. –Quinn calmati un secondo e parliamo con calma,
l’unica cosa che ho capito è stata nanuna nanuna nanua- mi avvicinai a lei mentre parlavo, le aprì i pungi che aveva stretto lungo i fianchi e
cercai di fare un sorriso. –Brittany- doveva essere ancora molto nervosa, ma riprese a parlare con più calma – io ti ho detto che vivevo con il
mio ragazzo giusto?- io annui – ecco, magari ti racconto la storia dall’inizio ok?- sorrisi e mossi la testa con convinzione, la portai sul divano
e mi misi comoda per parlare.

Si prese un secondo e poi iniziò a raccontare –Quando ero al liceo ero il capo cheerleader e presidentessa del club della castità, ero
fidanzata con il quoterback della squadra Finn Hudson. Una sera, ero ad una festa, quella stessa mattina la mia coach mi disse che ero
grassa e io rimasi con quel pensiero per tutta la giornata. Arrivata la sera a quella festa incontrai Noah Puckerman, il migliore amico Finn.
Complici alcool, paranoie e il fumo della marijuana che girava finì a letto con Puck.- si fermò un attimo prima di continuare, mentre si
accingeva a ricominciare si alzò e si diresse verso la libreria e ci si posizionò davanti – Rimasi incinta, successero tante cose in quel

periodo tra cui essere mandata via di casa, andai prima a casa di Finn, ma quando venne a sapere che il padre non era lui si arrabbiò
molto. Andai da Puck, che fin da subito si era deiso a prendersi le sue responsabilità, in quella casa però stavo diventando matta così una
mia amica mi ospitò a casa sua. Dopo la sua nascita decidemmo di darla in adozione, sia io che Puck eravamo d’accordo su questo-

Quando si girò vivi che il suo viso era provato, doveva far male ogni volta quella storia. Per smorzare un po’ la tensione decisi di parlare –
Ok, ci sono alcuni punti che non mi sono chiari: il primo riguarda il club della castità, se ne facevi parte non facevi sesso con il tuo ragazzo
giusto- la vidi sorridere un po’ e annuire –quindi Noè è stata la tua prima volta giusto? – lei rise –si è giusto, ma si chiama Noah non Noè-
rigirai gli occhi e continua – non è questo l’importante, continuiamo. Quindi se Noah è stata la tua prima volta Finn non si è accorto che…-

lasciai la frase in sospeso ma feci una faccia eloquente. Lei si schiarì la voce e mi risposte – io e Finn non siamo mai stai fisicamente
insieme-

Sgranai gli occhi e il “cosa” non lo dissi ma lo urali, lei scoppio a ridere e mi raccontò – Bhe era leggermente ingenuo e mi bastò dirgli che
la vasca idromassaggio poteva far compiere una specie di miracolo- scoppiammo a ridere insieme ancora. –Ok, questa me la devo
ricordare-


Le risate lentamente si quietarono e ritornò quel silenzio imbarazzante. Quinn  mi lanciò un ultima occhiata e riprese da dove aveva lasciato:
-Dicemmo alla donna che l’aveva adottata che per noi sarebbe stata Beth, e lei ha deciso di chiamarla così. Il primo anno lo ha passato con
lei a New York, poi sono tornate a Lima. Inizialmente abbiamo avuto delle, chiamiamole incomprensioni, ma poi abbiamo iniziato a
frequentare la bambina regolarmente. Un giorno eravamo in macchina io e la madre adottiva, un camionista ubriaco ci venne addosso. Mi

svegliai tre giorni dopo, scoprì che Shelby voglio dire la madre adottiva di Beth era morta sul colpo. Nel testamento diceva di contattare i
genitori biologici se le fosse successo qualche cosa, e così è stato. Quindi io e Puck siamo andati a vivere insieme con Beth, stava
andando tutto bene (o così credevo), ma poi ho trovato lui che se la faceva con un'altra. Io e Beth siamo andate da Santana la mia migliore
amica, sono stata tanto tempo a cercare una casa poi ho trovato questa…mi serviva e…-

Vedevo che si stava trattenendo dal piangere, di slancio mi buttai addosso a lei per abbracciarla, dopo qualche secondo di sorpresa
ricambiò, imbarazzata, la stretta. Ero arrabbiata con lei, era una cosa che avrebbe dovuto dirmi fin da subito che aveva una figlia io ci dovevo
convivere con loro due, ma da come raccontava la storia intuì che c’era qualche cosa che non mi voleva dire e che tutta la situazione le
faceva molto male.

Quando mi staccai sorrisi – Adesso mi devi raccontare tutto dai piedini alla punta dei capelli dei Beth.-


Passammo così il pomeriggio, a parlare di Beth, del fatto che era triste per via della separazione dei genitori, dell’asilo, feci tante domande
anche io per informarmi al meglio e piacere a quella che avevo capito essere una piccola monella. Quinn mi disse che somigliava tutto a
lei, i capelli biondi, gli occhi chiari, sottolineò più volte che l’intelligenza l’aveva sicuramente ereditata da lei. In ogni caso l’avrei conosciuta il
giorno dopo, quando l’avrebbe portata a vedere la nuova casa.

Mi buttai a letto esausta, la giornata era stata intensa la tizia sconosciuta del lago/bar, il trasloco fulmino di Quinn, la scoperta che sarebbe
arrivata una bambina, tutto un insieme che avrebbe sfiancato anche Ercole.

Così dopo essermi lavata e sistemata per la notte mi misi sotto le coperte. Revisionai velocemente la giornata e lentamente caddi in un
sonno profondo.

 


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Tornata da lavoro ero emozionata, avrei conosciuto Beth. Al telefono Quinn mi disse che Santana, la sua migliore amica, avrebbe portato
Beth nel pomeriggio dopo l’asilo, cercai di fare il più velocemente possibile ma arrivai quando la bambina era già entrata.

Aspettavo fuori dalla porta, certo essere nervose per entrare in casa propria non era proprio il massimo, ma mi sentivo su di giri per via
della bambina con cui avrei dovuto stringere un legame preferibilmente bello e per via di Santana, era la migliore amica di Quinn e
sicuramente l’avrei vista spesso. Della bambina avevo visto delle foto e la mia coinquilina me ne aveva parlato per un intero pomeriggio ma
della ragazza con il nome etnico non sapevo niente eccetto che doveva avere un cuore d’oro per aver ospitato una ragazza in difficoltà e che si chiamava Santana.

Decisi di fare come facevo ogni volta che andavo alla mia ora di terapia per calmarmi  e per fare buona impressione. Mi aspettavo di vedere
le due donne a lavorare e una piccola peste bionda a fare casino e con questa immagine non mi dovetti sforzare a sorridere perché venne
da se, allora la mia bocca si aprì.

Misi la mano sulla maniglia, mi presi un secondo per infondermi coraggio, forse qualcuno di più. Contai fino a 19, con 19 respiri. Un ultimo
respiro profondo per arrivare a 20 ed entrai in quella casa.

Tutte le mie aspettative andarono in fumo. C’era una piccola peste bionda che correva per casa intenta a fare danni,  Quinn intenta a
montare un mobile e poi…

-Che diavolo ci fai in casa mia?! Aspetta tu sei Santana l’amica di Quinn?- Beth era nell’altra stanza e non sentì la conversazione, ma la
biondina con bimba si. –Brittany, è tutto apposto? Ti avrei detto che Santana sarebbe venuta ricordi?- ignorai Quinn, davanti a me avevo
quegli occhi neri che avevo vista i gironi precedenti.

Improvvisamente tutto mi fu più chiaro, era stata lei a dare a Quinn il biglietto con il mio numero, doveva essere tornata al bar e si sarà fatta
dare l’indirizzo da Sam.

Dopo questa rivelazione la mia pelle divenne rossa per la rabbia, Quinn subito si preoccupò ma l’amica sogghignò divertita. –Sei stata tu?-
Quinn non ci stava capendo più niente, era evidente dalle espressioni stralunate che aveva, ma Santana invece sapeva tutto. Altro che cuore
d’oro.

Come la volta precedente quando le chiesi di presentarsi non rispose, andò nuovamente a sedersi sul bancone della cucina a guardare
l’album.

Ripresi possesso del mio corpo e delle mie emozioni, feci un cenno a Quinn come per dirle di non preoccuparsi e mi spogliai della giacca
e della borsa.

Mentre tornavo in cucina decisi che, nonostante lei non abbia fatto niente per meritarsi simpatia, io ero partita prevenuta sul suo giudizio.
“Magari è una mia impressione e lei è veramente una ragazza dal cuore d’oro, in fondo non la conosco e non si giudica una zebra dal
manto”
dopo questo appunto mentale decisi che era arrivato il momento di fare la persona civile ed educata.

Ritornai in cucina e con i miei denti in mostra salutai Quinn per poi presentarmi –Ciao, forse è il caso di fare le cose per bene, io sono
Brittany Pierce- allungai la mano per fare la sua conoscenza, il suo ghigno mi fece intendere che non l’avrebbe mai presa, ma contro tutte le
previsioni la strinse –Santana Lopez-

“Avevo sicuramente frainteso” tutta la mia buona volontà andò in fumo in meno di un secondo quando mi girai e vidi la latina davanti a me in
piedi con un espressione alla “ti prego prendimi a schiaffi” –Allora Brittany, Will dove lo hai lasciato?-

Boccheggiai per qualche secondo mentre metabolizzavo la frase, Will era il mio diario, nessuno sapeva di lui e non ho nient’altro con quel
nome. Feci una faccia dura, ma dovette sembrare leggermente ridicola perché lei scoppiò a ridere.

Andò verso la sua borsa e ne estrasse il Molenskine – lettura interessante- fu il suo unico commento. Mi gettai sul taccuino per riprenderlo
ma lei fu più veloce –non crederai che sia così facile Britt-

Poi andò via, solo quella frase un saluto a Quinn in camera da letto e un bacio sulla guancia a Beth per poi sparire.

Ripensai al fatto che Sam non era tanto stupido da dare il mio indirizzo ad un’estranea, che dovevo aver perso Will al parco lo stesso giorno
che vidi Santana da lontano ed è stato in quell’istante che lei lo ha preso, e che era impossibile che quella tipa non c’è l’avesse con me.
Non aveva approfondito l’argomento, mi aveva solo fatto sapere che lei era in possesso del mio diario e che l’aveva letto. La domanda che mi assillava era “Perché a me?”

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


You stare politely right on through




 

-E così ho scoperto che è stata lei a rubarmelo- era arrivato il giorno della seduta, avevo raccontato a Blaine tutta la
vicenda, dal diario che non trovavo più a Santana me mi sbatteva in faccia il fatto che era stata lei a rubarmelo. –
Tecnicamente sei tu che lo hai perso e lei che lo ha trovato- sbuffai, anche il mio strizzacervelli non era d’accordo.

-Non è questo il punto, rivoglio il mio diario-

Blaine si girò leggermente con la sedia girevole verso la libreria, si tolse gli occhiali e con faccia seria cominciò a pulirli,
alitandoci per poi passarci sopra un pezzetta. La sua faccia era seria mentre controllava alla luce se si erano puliti bene
– Blaine? Da quando porti gli occhiali? Nelle scorse sedute non gli avevi- Blaine sorrise e continuò a lucidare le lenti degli
occhiali – Sono nuovi e non graduati, nei film i terapisti li portano sempre e ho deciso di adattarmi- “Perché il terapista
folle doveva capitare proprio a me!
” 

-Brittany perché ce l’hai con Santana?-

Passammo gran parte dell’ora successiva in silenzio. Rimasi seduta a fissare il vuoto sulla mia sedia a gambe incrociate.
Blaine non mi forzò a parlare, mi lasciò a contemplare sue parole: perché ce l’avevo con Santana?

Mancavano venti minuti alla fine della seduta quando iniziai a parlare – Si tratta del mio passato, Santana me lo ha
ricordato- Blaine riprese posto nella sua sedia girevole – Vuoi dire che Santana ti ha parlato di qualche cosa che avevi
scritto nel diario?- scossi la testa sorridendo – No, voglio dire che Santana mi ha ricordato, lei come persona, qualche
parte del mio passato. Inizialmente lei era la mia scusa, ero molto arrabbiata per aver perso il diario, lì dentro avevo
scritto tutta la mia vita, in piccolo per occupare meno pagine possibile, in ogni pagine ci misi una spilletta con un foglietto
attaccato così da non scrivere in tutte le pagine del Molenskine. Quando ho scoperto di avere perso il diario ho avuto
paura che qualche persona potesse leggerlo- Blaine annuì cosciente di ciò che dicevo, se qualche persona avesse letto
il diario (come poi è avvenuto) la mia vita sarebbe stata esposta a occhi estranei.

-Quindi quando lei è entrata nel bar ho usato il disagio che mi faceva provare per scordarmi del diario, quando poi ho
capito che lei era la stessa ragazza del parco il diario era sparito dalla mia mente. Ho letteralmente usato l’idea e
l’immagine di Santana per non sapere che qualche persona la fuori sapeva tutto ciò che avevo fatto.-

Ripresi dopo una pausa di qualche secondo, feci un sorrisetto obliquo perché quello che stavo per dire era stupido – In
quei giorni in cui quella ragazza, che dopo ho scoperto essere Santana, era stanziata prepotente nella mia testa ho
immaginato e fantasticato su di lei, chi poteva essere quale fosse la sua storia. Così facendo ho creato una specie di
legame, cioè io con lei, ma lei ovviamente non ne sa niente. È come con gli attori, tu fantastichi su di loro, magari ti fai dei
film mentali e questo ti da un legame con loro, solo che loro non sanno neanche che esisti-  

-O-ok- non sembrava molto convinto, anzi esattamente il contrario. Non capivo se la sua espressione se mi considerava
pazza oppure c’era qualche cosa che non capivo. –Aspetta- e riprese a parlare –Tu hai visto Santana al lago da lontano,
poi hai perso il diario. Qualche ora dopo…- lo interruppi subito –il mattino dopo- Blaine annuì –Giusto, il giorno dopo l’hai
incontrata e lei si è comportata come se ti conoscesse già. Hai scoperto che la migliore amica della tua nuova coinquilina
è la stessa ispanica del lago e del bar-

Sospirai, era ovvio che mi considerava una pazza, certo la storia non era una delle più verosimili, ma forse era solo
perché la raccontavo in maniera euforica e sorprendente. –Alla fine hai scoperto che è stata sempre lei a trovare il
Molenskine in cui c’era raccontata per filo e per filo e per segno la tua vita- stavo per commentare che era comunque
non c’era segnato ogni singolo particolare, ma non mi fece parlare e continuò. – Adesso tu ti senti, non solo arrabbiata
perché quella donna ha letto il tuo diario, ma anche perché hai fantasticato su di lei come se fosse qualcuno di
importante-

Tenni la testa bassa dopo aver annuito. Mi sentivo molto in imbarazzo, una stupida. “Me lo sarei dovuta tenere per me!”.

-Mi sembra ragionevole- la mia testa scattò in alto, i miei occhi stupiti e completamente sconvolti per ciò che aveva detto
Blaine, si incatenarono con quelli del dottore. –Cosa?!- fece semplicemente le spallucce come se non avesse detto
niente di così eccezionale o diverso.  –Certo! In questo momento stai cercando di mettere in equilibrio nella tua vita,
hai deciso di fidarti del diario. In queste tre settimane hai condiviso con lui i tuoi ricordi, e adesso sei divisa tra il qualcuno
ha letto della mia vita
e ho perso qualcuno con cui ho condiviso le mie esperienze-

In quel momento iniziai a dubitare della sanità mentale del mio strizzacervelli.

-Non mi guardare così Brittany, cercherò di spiegarmi meglio- Blaine iniziò a farmi un discorso su come io mi fossi
affezionata al diario e di come avessi visto in Santana l’elemento di disturbo –quando eri al lago stavi scrivendo qualche
cosa di intimo e personale probabilmente, quando hai visto Santana che ti stava guardando ti sei sentita a disagio per
quello che stavi scrivendo. Al bar magari stavi pensando a qualche cosa di importante, magari al diario stesso e anche lì la nostra ispanica è stata un elemento di disturbo, in più in quel frangente eri arrabbiata e lei non è stata molto carina. A
casa tua è successo lo stesso, quando l’hai vista hai realizzato che quella persona che ti aveva messo in una situazione
di disagio per ben due volte, era la stessa persona che poteva sapere la tua intera vita. Facile!-

Annui, cercai di essere convincente ma non so bene se ci fossi riuscita, Blaine aveva quella teoria e cercò di
spiegarmela, ma non ci riuscì molto bene. La seduta era quasi finita, e oramai stavamo parlando quasi esclusivamente del diario, di Santana e delle mie nuove coinquiline.



 

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Finalmente arrivò la domenica, bel giorno la domenica!

Ero già sveglia, ma non mi andava di alzarmi così rimasi ancora sdraiata nel mio comodissimo letto. Ero intenta a
meditare quando la porta di camera mia si spalanca e un piccolo uragano biondo mi si fionda sul letto.
Adoro i bambini, con Quinn siamo coinquiline da meno di una settimana, e certamente  abbiamo imparato a conoscerci,
ma c’è sempre quel po’ di imbarazzo che si può notare nelle nuove conoscenze.

Per esempio “non ti preoccupare, sei in ritardo usalo prima tu il bagno”, “buongiorno Brittany, Beth ha fatto un po’ di
storie stanotte spero che non ti abbia svegliato”, “scusami tantissimo non volevo rompere il bicchiere”.

Stavamo incominciando a conoscerci, avevo scoperto che Quinn faceva una vera e propria colazione all’americana:

uova, bacon e succo di mela. La seconda mattina che facemmo colazione insieme mi disse “posso vivere senza ossigeno
e acqua ma mai senza il bacon”.


Lei intanto aveva imparato a convivere con alcune delle mie stranezza, come il mio rituale serale e i cereali con gli
unicorni. Ci stavamo accettando e tollerando  a vicenda così da non scannarci e facendo rimanere la convivenza una
cosa pacifica.

Con Beth era tutta un'altra storia, ci conoscevamo solo da un paio di giorni e lei aveva già deciso che la zia Britt, ero la sua zia preferita, questo titolo mi veniva tolto solo in presenza di Santana che è “la zia più bellissimissimissimissima
dell’universo”,
messa così non potevo certo competere.

Quella bimba mi veniva a svegliare tutte le mattine così che potevamo fare colazione tutti insieme, un paio di volte andò
di nascosto anche a svegliare i vicini. Non ne furono molto contenti devo dire.

Anche quella mattina il piccolo tornado mi saltò sul letto. –Zia Britt oggi è domenica!- feci finta di dormire e non la calcolai
minimamente così da farla sbuffare, iniziò a scuotermi per farmi aprire gli occhi senza riuscirci. Dopo qualche minuto mi
trapanò i timpani con un più che sonoro –MAMMA! ZIA BRITT E’ MORTA!-. Mentre era girata per urlare alla sua mamma
mi girai lentamente per prenderla da dietro alla sprovvista.

-AAAAHHHH- i gridolini divertiti e le risate allegre riempirono l’intero appartamento. Quinn bussò e dopo un –avanti-,
entrò nella stanza. Rimase a guardare per qualche minuto quando esordì – Beth avanti e ora di prepararsi, non
possiamo fare tardi a scuola- la faccia delle della biondina più piccola era qualche cosa di epico, gli occhi spalancati in un espressione di puro terrore, le sopracciglia si inarcavano verso l’alto la bocca spalancata e i “ma” che ne usciva
erano strozzati. La mamma era riuscita a mantenere la faccia da persona responsabile del ritardo del figlio per qualche
secondo fino a quando anche lei non è scoppiata a ridere, seguita da me e da un arrabbiato e offeso – Io non so che
cosa ci trovate di divertente -.

Nonostante il piccolo scherzo alla piccola Beth, le due si dovevano preparare, Santana sarebbe passate a prenderle per
passare la giornata insieme.

Quando entrambe furono pronte vennero in cucina a fare la colazione, avevo già preparato per tutte e tre, la colazione
americana per Quinn, una colazione Europea per Beth e caffè con cereali per la sottoscritta.

A metà della colazione sentiamo il campanello. Quando aprì vidi Santana, i capelli erano legati in una coda di cavallo e gli
occhiali da sole le coprivano gran parte del viso. –Hola Blondie!- quella conversazione era andata male in partenza. –
Hola Santana, entra- mi spostai per farla passare e ritornai al  mio posto.

-Ciao Bionda, biondina dammi un bacio- Beth schioccò un sonorissimo bacio alla nutella che lasciò il segno alla latina. –
Allora siete pronte per il Pic-nick al parco?- Quinn con la bocca piena e un altro boccone a mezz’aria cercò le disse –
siesiti e monsia fual sosa- io e Santana la guardammo sconvolta.

Uno scappellotto le arrivò sulla nuca – Bionda ma che razza di educazione insegni a tua figlia e che razza di educazione
hai?- Quinn fece una smorfia, - Beth è andata a prendere lo zainetto non mi ha né visto né sentito!- Santana alzò gli
occhi al cielo – Rimani comunque una cavernicola!-

Tutte e tre facemmo dei risolini divertiti.

-Mamma può venire anche la zia Britt al pick nick?- la vocina di Beth si faceva sempre più vicina superando il corridoio. -
Certo, se a Brittany va bene non ci sono problemi!- presi Beth in braccio –mi farebbe piacere, ma lavoro- sorrisi e mi
scusai con la piccola che aveva messo il broncio. – Come? Lavori di domenica?- annuì –Quasi, Sam mi ha chiesto un
aiuto, la domenica ci lavorava con lui la fidanzata, ma è incinta allora ha deciso di occuparsene da solo. Adesso però è al
nono mese e quindi mi ha chiesto aiuto. E' soltanto un favore ad un amico!-

-Idea!- ecco, imparai in qui pochi giorni che le idee di Santana non erano facili da gestire o sensate. Come cucinare una
torta, le doti culinarie dell’ispanica. scoprì, non erano delle migliori, questo è costata la mia cucina e qualche centimetro
dei capelli di Beth.


-Invece di andare al parco e fare il nostro pranzo lì, potremmo andare al locale dove lavora Brittany! – come volevasi
dimostrare la sua idea era fuori dal mondo. Sotto il mio sguardo perplesso e quello speranzoso della bambina, Quinn
rispose – Non possiamo, al parco viene Noah.- Beth ci rimase piuttosto male per non poter venire al locale con me.

-Ma io voglio andare da Brittany!- Quinn prese un respiro profondo, da quello che avevo potuto capire in quei pochi
giorni il rapporto con il padre di Beth non era complicato solo con la madre, ma anche con la figlia.


-Tesoro, ma non lo vuoi vedere papà?- Beth sbuffò  - Da quando sono qui lo vedo più di quando eravamo a casa con lui-
Quinn ci guardò per farci una silenziosa richiesta. Io e Santana andammo in camera da letto per lasciar parlare da sole le
due biondine.


-Perfetto, puoi stare qui finché non hanno finito. Camera di Quinn è decisamente disordinata per via del trasloco –
Sorrise – Bhe! Devo dire che anche questa non scherza, comunque grazie- Inghiottì il rospo e presi la roba da vestire,
senza degnarla di ulteriori sguardi me ne andai in bagno.



 



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Quel giorno lavorare era più difficile del previsto. Quinn aveva costretto Beth ad andare a casa del padre, ma le aveva
promesso che lei non se ne sarebbe andata. Sicuramente non era una cosa che le faceva piacere, passare un’intera
giornata in compagnia del tuo ex non è la cosa migliore del mondo. Come se non bastasse, Santana mi ha seguito passo
passo da casa al lavoro fino a sedersi nel bancone così da avermi meglio sotto controllo.

Ero a lavoro già da un ora e la latina mi aveva già fatto dannare. Aveva anche intavolato un interessante conversazione con il mio capo.

-Sai Sam, se escludiamo le tue labbra giganti i dubbi capelli e l’intera faccia non sei male- Sam serrò le labbra e si passò una mano nei capelli. – G-grazie, credo-

Santana faceva tutto con molta naturalezza, neanche si rendeva conto del fastidio che provocava nelle persone.

-Brittany mi porti per favore un te freddo alla pesca?- le portai il te, e subito agganciò la cannuccia.

-Bionda numero due che ne dici se ti siedi un secondo e chiacchieriamo un po’?- avrei tanto voluto evitare di farlo,
pensai velocemente una scusa per declinare la richiesta senza usare un lapidario “ no, non mi ci voglio sedere con te!”.
Pensai di sfruttare i clienti, ma essendo un bar specialmente notturno la mattina i clienti erano pochi, in più di domenica
non c’era molta gente prima delle 12:00.

Con molta fatica mi misi il canovaccio sulla spalla e mi avvicinai a lei. Mi appoggiai allo scaffale con i trofei sportivi di Sam
invece che al bancone direttamente.

Lei sorrise, forse non notando la mia svogliatezza e diffidenza oppure facendo finta di niente. Giusto per non sembrare
nullafacente mi misi ad asciugare i bicchieri e metterli apposto.


-Li senti ancore Mike e Artie dopo l’incidente?- la tazza mi scivolò dalle mani e il mio corpo si irrigidì. 
Ero conscia del fatto che Santana aveva il mio diario, una piccola parte di me sperava con tutto il cuore che non l’avesse
letto, ma la parte razzionle sperava che non avrebbe mai tirato fuori l’argomento.

-Non mi va di parlarne- tagliai la conversazione così. Lei sembrò accettare la risposta, anche se sicuramente non era
quella che desiderava.

-Secondo me comunque non è colpa tua, poteva succedere a chiunque-  speravo smettesse, era difficile parlarne, era
difficile anche solo pensarlo e quella  tizia dalle dubbie capacità sociali e morali mi stava facendo innervosire continuando
a parlare di una cosa che in realtà non avrebbe neanche dovuto sapere.

-Ti ho detto che non mi va di parlarne- la mia voce era tremolante e mal frema, ogni singola volta che mi si nominava

l’incidente o i miei amici si toccava un nervo scoperto. Le lacrime mi iniziarono a inumidire gli occhi.

-Sai quella canzone è molto bella, una persona che conosco adora quel musical- mi feci forza per parlare –ti dispiace
smettere di parlare dell’incidente?! È una cosa privata, personale. Non avevi il diritto di leggere il diario e non hai
neanche avuto la decenza di restituirmelo-

-Lo rivuoi indietro?- “che domande fa” –certo che lo rivoglio indietro è mio!-

-Vorrei dei pancake, con la frutta non lo sciroppo grazie- orami non ci facevo più casa al fatto che Santana eclissava le

domande che non le piacevano senza rispondere, lo faceva in continuazione.

Mentre faccio i suoi pancake tira fuori dalla tasca un fogliettino a quadretti tutto stropicciato. –Tieni ti ho fatto una lista-
presi il foglio, quasi glielo strappai di mano, non lo feci neanche con riluttanza, tanto sapevo già che non sarebbe stata
una cosa gradita.

-che cosa è?- lei fece soltanto un cenno del capo per indicarmi in foglio. Sbuffai e incominciai a leggere a voce alta –
numero 1: quando fuoco alla cucina. Numero 2 quando sei andata a scuola in ciabatte- mano a mano che leggevo i punti
di quella lista la mia voce si affievoliva finché non iniziai a leggere a bassa voce. –Cosa diavolo vuol dire?-

-Cosa vuol dire “cosa diavolo vuol dire”?-

-Vuol dire che mi devi dire cosa diavolo vuol dire questa lista!-

Mi guardò come se avesse visto un fantasma –bhe sono una serie di cose che tu hai fatto e che io vorrei sentire-

Per lei sembrava la risposta più ovvia del mondo. Chi mai non parlerebbe delle cose più imbarazzanti della propria vita,
come farti trovare da tua madre mentre sei “impegnata” con un ragazzo, a una tizia che si conosce da 10 giorni al
massimo.

-Aspetta un secondo, non mi risulta di aver scritto tutti questi aneddoti sul diario che mi hai rubato?- sulla sua faccia si
apre un sorriso, un bellissimo sorriso con le fossette  per carità, ma decisamente inquietante se si conosce il soggetto.

-Primo non ho rubato il tuo diario, sei tu che sei disordinata e distratta e lo hai dimenticato al lago, cosa che so è capitata
spesso con altri oggetti. Per la tua domanda specifica invece… Bhe, ricordi la prima volta che ci siamo incontrate qui al
bar? Ecco dopo ho chiesto ad un amico poliziotto di fare qualche ricerca e ho chiamato i tuoi-


Mi ci vollero parecchi secondi per metabolizzare la frase. Mi risvegliai dal mio stato pseudo catatonico con lo scoppio
della sonora risata di Sam.

-Scusa, scusa non volevo ridere, ma la scena è comica dall’inizio e io non sono più riuscito a trattenermi-

Il sorriso di Santana si affievolì e sul suo viso apparve un’espressione stupita e incerta. –P-perché la scena è-è comica?-
-Sam non hai da chiamare Mercedes? Tu… Tu… ahhh- Sbattei violentemente il canovaccio sul bancone –Io vado in
magazzino a sistemare-


-Sam, che ho fatto di male?- è l’unica cosa che sentì prima di entrare nel magazzino, incredibile quella donna.


Uscì dal magazzino mezz’ora dopo. Santana era passata dal bancone ad un tavolo in fondo al locale. Doveva essere
nervosa, mordicchiava la cannuccia del te senza berne un sorso e muoveva le gambe in maniera convulsa. Guardava
fuori dalla finestra, seguì il suo sguardo e finalmente mi accorsi che pioveva.

-Perfetto anche la pioggia ci mancava- mi rimisi il canovaccio sulla spalla e mi guardai introno, solitamente quando
pioveva il locale si riempiva, ma quel giorno si era scatenato un vero e proprio temporale.

Mi avvicinai a Santana. –Nervosa?- Santana annuì. –Come mai? Se posso chiedere- si mordicchiò il labbro e il suo
colorito scuro prese una sfumatura rossastra. –Io ho paura dei temporali-

Santana Lopez non sembrava il tipo che aveva paura di qualche cosa, o perlomeno niente che non fosso un mafioso
russo.

Era una ragazza veramente strana. Passava dall’essere stronza ad essere un cucciolo spaurito, aveva difficoltà a capire
quando metteva una persona a disagio e non si preoccupava molto se ciò che diceva era giusto o sbagliato da dire.

-Oh, bhe è solo un po’ di pioggia due gocce ed è tutto passato- nell’istante stesso in cui finì la frase un rumorosissimo
tuono seguito da un accecante fulmine si pararono davanti ai nostri occhi, come se non bastasse mancò la luce e la
pioggia scese il triplo di prima.

-Bhe, sono sicura che smette presto-

Un tuono la fece sobbalzare, si mise le ginocchia al petto e il suo respiro si fece scostante e irregolare. Si schiacciò nel
centro del sedile per niente intenzionata a muoversi.

-Brittany- Mi girai verso Sam, lo trovai vestito per andar via –Io vado, non mi va di lasciare Mercedes da sola, e poi tanto
non c’è nessuno- sorrisi per annuire. –Non ti preoccupare, chiudo io, tanto sto per andare via anche io.

Dopo che il mio datore di lavoro se ne andò mi avvicinai alla porta per far capire ai clienti che era chiuso.

Ritornai al tavolo e presi Santana –andiamo, nel retro si sente meno il temporale-.

Il rumore era attutito dai muri spessi, ma ancora un po’ si sentiva. – è il massimo che ti posso offrire, sennò c’è la cella
frigorifera se ti va di andare li però ti servirà un cappotto più pesante- cercai di smorzare un po’ la tensione, e credo di
esserci riuscita, perché Santana rise.

-Scusa- eravamo in silenzio da qualche minuto, dopo la battuta della cella ci eravamo semplicemente sedute senza dire

una parola, così sobbalzai un pochino quando parlò. –come?- ricominciò a muovere il piede e capì che il nervosismo era
ritornato, mi resi conto che era per quello che mi doveva dire più che per il temporale.

-Scusa per quello che è successo. Sam mi ha spiegato perché ti sei arrabbiata prima, e scusa anche per il temporale-

non doveva essere il tipo che si scusava spesso. Faceva fatica a farlo e si inceppava mentre parlava, così evitai di
commentare e risposi in maniera semplice. –Non importa, e per il temporale non è colpa tua, tutti abbiamo paura di
qualche cosa-

-Se posso come mai hai paura del temporale?- la sua risposta arrivò in una frazione di secondo – non lo so!- era schietta
e veloce, senza nessun tono particolare e l’insieme mi fece presumere che lo sapeva eccome.

Aspettai ancora qualche minuto e poi decisi di andare a prendere le borse e i giacchetti per andare via. Presi in prestito
due ombrelli di Sam dal locale e ne porsi uno a Santana. –Dovremmo andare, non accenna a smettere o a diminuire e
sarà meglio arrivare a casa prima che il cielo si scurisca-

Lei prese l’ombrello titubante, se aveva paura dei temporali sicuramente passarci in mezzo non era la cosa migliore, ma
aspettare lo avrebbe fatto solo aumentare di più.

Uscimmo dal locale e vidi i suoi occhi inumidirsi. –Tranquilla, da qui casa mia è vicinissima, se ti va facciamo la strada
correndo- quando si girò per guardarmi vidi i suoi occhi più chiari e grandi.

Iniziò a correre, la seguì. Doveva essere ben allenata, non sembrava per niente affaticata nonostante il passo sostenuto.

Quando entrammo in casa notai che Santana aveva le lacrime che gli scendevano come un fiume in piena, un viso e sui
capelli non era bagnata dalla pioggia così non feci neanche difficoltà a capire che piangeva.

Non sapendo cosa fare la abbracciai, le accarezzai i capelli e le sussurrai che andava tutto bene, ormai nei suoi occhi
c’era terrore non paura, tremava e sicuramente non dal freddo. D’istinto mise la testa sulla mia spalla, e sentì il suo
respiro sul mio collo. Non era la semplice paura dei temporali che hanno i bambini.

Si staccò di botto, vedevo che non riusciva più a respirare, il tremore era aumentato e le gambe le stavano cedendo.
Butto all’aria la sua borsa e si lasciò cadere per terra, cercava qualche cosa, ma l’attacco di panico la bloccava.

Vidi delle pasticche e immaginai che fossero quelle che le servivano. Ne presi una e gliela misi in bocca.

Dieci minuti dopo eravamo ancora sedute per terra attaccate alla porta. Il suo attacco di panico era passato.

-Mi dispiace- era la seconda volta in un giorno che si scusava con me –e che mi succede spesso quando ci sono i
temporali- vedevo che era imbarazzata, non doveva essere facile per lei che qualcuno che non si conosce bene ti veda
in un momento debole.

-Il temporale sta per passare comunque- lei mi guardò scettica –come fai ad esserne certa?- sorrisi –Bhe mia madre non
ti ha detto che quando ero bambina mi nascondevo dentro il cestino della spazzatura quando c’erano i temporali?!-
scossa la testa –no! Però magari mi racconti tu che ne dici?-

 

 
Avevo tre anni e mezzo e il temporale aveva fatto mancare la luce, come ogni volta mi ero nascosta nel bidoncino della

spazzatura, per fortuna mia madre mi trovò e mi fece uscire.


-ma mamma io ho paura- mia madre mi sistemò meglio sul divano, mi mise il mio pupazzo preferito affianco e poi sistemò
la mia testa sulle sue ginocchia. –Tesoro i temporali non ti faranno niente, è soltanto tano rumore.- 


Nonostante mia madre mi tranquillizzasse io continuavo ad avere paura. Solitamente mi nascondevo sotto le braccia di
mio padre quando pioveva, diceva sempre che i mostri avevano paura dei biondi perché hanno i capelli come i raggi del
Sole, e i mostri avevano paura del Sole.


Il giorno era dovuto andare a Columbus per lavoro, era un sarto e una pseudo compagnia teatrale gli chiese dei vestiti e
lui li dovette aggiustare per l’ultima tappa, mettevano in scena una versione moderna dell’opera di Wilde, “l’importanza di
chiamarsi Ernesto”, una dubbia rappresentazione in realtà.


Quando tornò gli corsi incontro, mi prese al volo e mi fece sistemare sul suo fianco, io mi aggrappai a lui con tutta la forza
che avevo. –Ehy scricciolo, hai paura?- con le lacrime agli occhi mossi la testa e la tenni bassa. –Dai pulce il temporale
sta passando- lo guardai scettica, -e tu come lo sai? Gli spiritelli delle nuvole te lo hanno detto?- i miei risero, -certo che
no piccola, facciamo così, ci sediamo sul divano e te lo spiego ok?- il sì che dissi era quasi un sussurro.


Papà per portarmi sul divano mi tirò in aria e mi fece roteare, ma subito mi riattaccai a lui dopo l’ennesimo tuono.

Quando ci sistemammo sul divano mio padre iniziò a spiegarmi. –Per vedere se un temporale sta finendo oppure no
bisogna contare il tempo tra un tuono e l’altro- mi accarezzava i capelli mentre mi spiegava –qual è il tuono?- mio padre
guardò mia madre che si era appoggiata allo stipite della porta in cucina –il tuono è il rumore forte forte che si sente-
annuì più convinta, però sorse il secondo problema – ma io non so contare- il mio tono era sconsolato – giusto! Però sia
mamma che papà lo sanno fare, finché non sai contare lo faremo noi per te-  sorrisi soddisfatta e corsi a giocare, dopo
qualche secondo tornai –si ma come faccio a capire se sta smettendo anche se conto?- mio padre mi fece segno di
sedermi nuovamente sul divano e mi ci fiondai sopra. –Si conta quanto tempo passa, se il tempo è poco il temporale si
sta avvicinando, quindi non sta passando, se invece il tempo è tanto il temporale si sta allontanando, quindi il temporale
sta per finire-


Saltai per tutta la casa cercando di capire se il temporale stava finendo oppure no, purtroppo mezz’ora più tardi i miei
esperimenti dovettero finire insieme al temporale.


 

 

Santana si era rilassata durante l’aneddoto, eravamo ancora sedute per terra, ma ormai ridacchiava.

Sentimmo squillare il cellulare della latina – Pronto?- sentì distintamente la voce di Quinn dall’altra parte della cornetta. –
Santana stai bene?- era molto preoccupata, doveva tenerci veramente tanto.

-Si Q. sono a casa tua con Brittany. Tu come va? E dove siete?- sentì la mia coinquilina spiegarle che erano a casa si
Puck, che Beth l’avrebbe lasciata lì e lei sarebbe andata a casa di una loro amica che abita lì vicino.

-San, mi passeresti Brittany per favore?- Santana fece cenno con la testa come se Quinn la potesse vedere, mi passò il
telefono. –Pronto?- Quinn mi chiese di tenere Santana e di controllarla, doveva esserci molto di più degli attacchi panico.

 

 

** * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *

 


Dopo la telefonata di Quinn chiusi tutte le persiane e le serrande, cercai tutte le torce e le candele della casa con
altrettanti accendini, cercai di rendere la casa ermetica contro il temporale.

Santana si era calmata un po’ dopo la telefonata tranquillizzante di Quinn e le modifiche alla casa. L’avevo aiutata a
mettersi sul divano e si stavamo guardando un film quando si era addormentata e lentamente era scivolata verso di me.

Notai che nel sonno si muoveva parecchio così decisi di portarla in camera da letto, cercai di fare il più piano possibile
ma dopo aver urtato una lampada finita a terra, un gioco di Beth che fece partire un assordante jingle e averle fatto
battere la testa nel legno della porta, ovviamente si svegliò.

La posai lo stesso sul letto e rimasi con lei finché non fu del tutto cosciente. –Scusa, mi devo essere addormentata-
mossi la mano per farle capire che era tutto apposto.
Si mise seduta con la schiena poggiata alla testiera del letto, -ora ho fatto proprio una bella figura- rise, forse dal
nervoso, però rise. Mi preoccupai molto quella sera, non sapevo cosa fare e come comportarmi così feci diventai
meccanica e forse poco socievole.

Mi resi conto che lei stava cercando di parlare, ma che il mio stare zitta non aiutava a sciogliere l’attenzione. –stai
tranquilla, non è successo niente e non hai fatto una brutta figura, anzi sembravi meno stronza- scoppiammo a ridere,
quella volta ero sicura che era una risata sincera, senza disagi o nervosismi. Aveva una ristata roca, come la sua parlate,
quando in quei giorni era passata a casa non me ne ero resa conto, forse perché erano più le volte che la sua risata era
di scherno che semplice allegria.

-Io non sono così- smise di ridere e così lo feci anche io, stava iniziando un discorso serio. –Cioè tutti mi vedono come
una stronza ma non lo faccio apposta, neanche me ne rendo conto quando faccio qualche cosa che potrebbe mettere a
disagio le persone-

-aspetta, mi stai dicendo che prima al bar quando hai parlato dell’incidente non lo hai fatto di proposito? Scusa ma mi è
difficile crederci- un sorriso amaro le spuntò sul viso, “che sia davvero così e..”  non c’era una risposta coerente a finire
quel pensiero così lo lasciai in sospeso in attesa che Santana continuasse la sua confessione.

-Già, è difficile crederlo ma è così, ho dei problemi a socializzare e a relazionarmi con le persone, e non dire che è una
cosa comune, perché è una situazione patologica la mia- immaginai che non fosse la prima volta che qualche persona le
dicesse  che la situazione era comune, e non nego che stavo per fare lo stesso errore.

-Quindi… Cioè cosa comporta?- mi rispose tra uno sbadiglio e l’altro, il sonno stava prendendo il sopravvento su di lei;
questo però non la fermò, anzi credo che la spingesse a parlare o comunque che non le lasciasse abbastanza raziocinio
da bloccarsi.

-Io non ho amici, ho solo Quinn, quindi pensavo che potevamo diventare amiche- certo, mantenere una conversazione
con chi metteva delle frasi fuori posto non era il massimo, soprattutto non quando la persona che dovrebbe parlare stava
scivolando lentamente sopra la tua spalla.

-Quindi la tua unica amica è Quinn- cercai comunque di ricevere informazioni – già, però Blaine mi ha detfo che deuo
fare amisizia quindi ho pensao che se lessevo il tuo diario e poevamo essere amiche-

Blaine “brutto figlio di puttana!” –Santana! Blaine il terapista? Dubbi capelli e altezza tappo di sughero?- la latina si
riprese leggermente dopo il mio scatto. –Si, ho letto che tu eri in terapia da lui, ho pensato che siccome siamo tutte e due
in terapia, per di più dallo stesso terapista potevamo essere amiche. Mi ha detto di trovarmi amici, ma se non vuoi lo
capisco-

La sua faccia era un po’ delusa e po’ assonnata, ero troppo sconvolta per prendere una decisione o per qualsiasi altra
cosa, così decisi di assecondare il sonno cullandola. Mi feci scivolare sul letto facendo scivolare con me Santana.
Quando si addormentò mi liberai dalla sua morsa e andai in cucina.

Mi sentivo tradita da Blaine, mi sentivo anche umiliata perché lui conosceva Santana e io gli parlai di lei senza pensarci.
“Lei potrebbe avergli parlato di me, o merda lei potrebbe avergli fatto leggere il diario o avergli raccontato cose su di me,
magari le cose che penso di lui!”.

Mi buttai sul divano, quella notte non dormì (non che in questo ci fosse una novità), stetti semplicemente lì a capirci

qualche cosa.

In due settimane mi si era sconvolta la vita, una coinquilina piuttosto particolare, la scoperta della figlia della coinquilina
una bambina iperattiva e troppo sveglia per avere sei anni, l’essere diventata una quasi-zia per Beth, e l’amica della mia
coinquilina che… ancora non riuscivo a definire Santana, da ciò che capii voleva essermi amica, soltanto che per farlo si
era comportata da stronza, il che era singolare. 

In così poco tempo trovai persone problematiche almeno quanto me e, dopo aver immaginato di eliminare Blaine con svariate armi nucleari, mi addormentai.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Some sort of window to your right
 



La mattina dopo il temporale uscì da casa molto presto, non vidi Quinn rientrare né Santana uscire. Mi
dovevo schiarire le idee.

In quell’anno avevo preso dei ritmi e delle abitudini, avevo imparato a vivere la mia vita da sola. In meno di
dieci giorni era cambiata nuovamente.

Quinn mi era entrata in casa come un treno, Beth aveva preso confidenza in poche ore, Santana, bhe
Santana era entrata e ancora non riuscivo a collocarla bene.

La sensazione che Quinn mi diede appena arrivata persisteva, non pretendevo di sapere della sua vita,
era sua, ma ammetto che mi infastidiva parecchio vedere confabulare lei e Santana per poi smettere di
botto quando entravo in una stanza.

Più volte vedevo che cercava di parlarmi, e questo mi fece intuire che in qualche modo la faccenda mi
riguardava, ma non ebbe il coraggio di farlo. Questa situazione stava diventando imbarazzante, io sapevo
che li doveva parlarmi, lei sapeva che io sapevo che lei doveva parlarmi. In tutto questo anche Beth e
Santana sapevano qualche cosa, ma ancora adesso non so bene cosa!

È successo tutto così velocemente, anche il cambio di umore di Santana, un’ora prima è stronza con
tendenze sadiche, un’ora dopo un cucciolo spaurito.

Avevo assolutamente bisogno di staccare la spina da questi cambiamenti e parlare con qualcuno di
estraneo alla faccenda.

Girai per un paio d’ore. Inizialmente andai al parco, era vuoto e, nonostante fosse bellissimo era un po’
inquietante all’alba. Andai a prendere delle ciambelle da un panettiere e camminai per parecchio tempo.

L’i-pod aveva già ripetuto l’intera playlist due volte e aveva in programma di ricominciaer il giro quando mi
accorsi dell’ora. Si erano fatte le otto e mi diressi verso la mia destinazione. Chiamai Sam per prendermi
un giorno di permesso che mi concesse con tranquillità.

Ero davanti alla piccola villette nel quartiere chic di Lima. Suonai.

-Scommetto che sei nei casini! Dai entra-

Mercedes mi fece accomodare sul divano e lei insieme a me, solo con un po’ di difficoltà visto il pancione.

Per un buona mezz’ora parlammo di come Sam si stava impegnando a diventare papà, del fatto che lo
svegliava in piena notte per delle voglie improvvise e altri fatti dovuti alla gravidanza.

Conobbi Mercedes quando fece il provino per entrare nelle Cheerleader, io ero al primo anno, lei all’ultimo.
La coach Sylvester decise che, oltre alla coreografia, di aggiungere la voce. Mercedes non era una
ballerina, ma la sua voce era pazzesca, in più le servivano crediti per il diploma  visto che l’anno
precedente era passata con dei crediti talmente bassi che non era riuscita ad iscriversi a nessuna
università.

Da ciò che mi raccontò l’ultimo anno riuscì ad entrare nelle  cheereos grazie alla buona parola di alcune
sue compagne del Glee Club, ma dopo le regionali delle cheerlader e delle coreografie pazze della loro
coach, la Sylvester, dovette stare a casa parecchio, e avendo preso dei voti bassi agli esami preferì
ripetere l’anno.

Così la conobbi quando lei ripeteva l’ultimo anno e  ero appena al primo, mi fece entrare nel Glee Club, e
diventammo amiche. Dopo l’incidente chiusi i contatti con tutti, passavo le giornate  a vegetare sul divano,
lei si presentò a casa mia e mi disse “Alza il culo ti devi presentare a lavoro entro un’ora” un’ora dopo mi
ritrovai al locale di Sam con addosso un grembiule e la mia collega che mi spigava cosa dovessi fare.
Sempre con lei andai tre mesi dopo a vedere il mio attuale appartamento.

-Allora piccola, abbiamo parlato del bambino, del locale di Sam, ma non abbiamo ancora parlato del
motivo per cui sei qui. Quindi che mi dici?-

Negai quell’affermazione per circa una frazione di secondo, alla fine mi arresi. Mi buttai sulla spalliera del
divano a peso morto. –Quanto tempo hai?- Mercedes si sistemò meglio sul divano pronta ad ascoltarmi.


-Vediamo, ricordi quando il giudice mi obbligò a fare quelle sedute dopo l’inconveniente al parco?- annuì –

Come dimenticare- il suo tono strafottente mi fece fare una smorfia. –Dimentichiamolo ok? Stavo dicendo

ho iniziato questa terapia, e il terapista è anche il terapista della migliore amica della mia coinquilina,

nonché attuale possessore del mio diario-terapia, senza tralasciare che è una pazza trattino strana trattino

stronza trattino ispanica persona-



E adesso perché sta ridendo?!”  -Certo che la terapia ti sta facendo bene! Sembri più schizzata di prima!-
risi, forse era vero, diciamo che da quando avevo iniziato la terapia era successo un casino dopo l’altro. –


Si, in effetti hai ragione. Sono un casino ambulante-





Misi la testa tra le mani e i gomiti poggiati alle ginocchia, -Non lo so Mercedes, non è la terapia in se, e


che… non lo so, è complicato. In realtà non so neanche perché è complicato-



-Brittany calmati. Credo te ti stia fasciando la testa prima di rompertela, ti sono successe un sacco di

cose tutte insieme e devi rilassarti per riuscire a gestirle ok? Inizia con analizzare attentamente il tutto, il

complesso-



Iniziai a raccontare, parlai del dottor Anderson, della seduta e del diario, della ragazza al lago e della tipa al

locale.

-Poi Quinn, si è presentata alla mia porta, sembrava una persona per bene e mi serviva una coinquilina
così le ho dato subito le chiavi e lei ci si è trasferita- Mercedes mi guardava e rideva, certo la situazione
doveva sembrarle molto divertente.

-Non ridere perché non ho finito. Poi la sera mi dice “ehy ho una figlia di sei anni”, per carità, Beth è
adorabile, ma avrei voluto saperlo prima-

-Beth? Quinn?- la mia faccia interrogativa la fece continuare – Quinn Fabray? E Beth la figlia di Noah
Puckerman?- annuì, un po’ sconvolta da ciò che la mia amica mi diceva, e anche leggermente confusa
dalla reazione.

-Si, li conosci?- in quel momento le nostre facce dicevano molto più di ciò che dicevano le parole, la mia
era un disorientata, la sua stupita. –Quinn Fabray era la capo cheerleader nei primi quando ho iniziato il
liceo, stava con il quoterback Finn Huston, un bravo ragazzo, un po’ tonto ma un bravo ragazzo. Il
secondo anno lei rimase incinta, il bambino era di Noah Puckerman. Sapevo che l’avevano data in
adozione-

Le puntai la penna contro –Tu che cosa sai di Quinn Fabray e Noah Puckerman?-

Mi raccontò la storia, Quinn era un ottima cheerleader, la punta. La ragazza più popolare della scuola,
fidanzata con la finta stella del football Finn Huston e presidentessa del club della castità. Poi al secondo

anno un tizio di nome Jecob ha divulgato la notizia che la bionda era in dolce attesa.
-Ovviamente fu scandalo. I suoi genitori la cacciarono di casa, poi Finn scoprì che il bambino era del suo
migliore amico così miss Fabray si trasferì in casa Puckerman – in quel momento mi sentivo in uno di quei

serial tv dove le donne sole e stanche della vita monotona spettegolavano dello scoop della settimana.

-Povera Quinn, chissà cosa avrà fatto senza il bacon- lo dissi con tono talmente serio che ci mettemmo
qualche secondo prima di scoppiare a ridere. –Si bhe, non è durata tanto, lei è poi andata a vivere a casa
della sua amica Santana-

A quel nome le mie orecchie si aprirono, per qualche secondo temetti che mi fossero diventate a sventola.
Forse è l’occasione giusta per scavare per un po’ nel passato di Miss sono un po’ strana Lopez”.

-Poi le si ruppero le acque appena finita le performance alle regionali, sapevo che la bambi…- smisi di
ascoltare appena sentì il nome dell’ispanica, scattai in piedi. – Cosa sai di Santana Lopez?- la sua faccia
da confusa per lo scatto e la domanda divenne improvvisamente ghignosa e soddisfatta. –è lei l’ispanica
che ti tormenta vero?- rigirai gli occhi, e annuì – ok, parti dal fatto che hai una vasta gamma di appellativa
con cui rivolgerti a lei, da figlia di Santana a Santana e basta, anche se lei preferiva Snixx. Era al primo
anno quando la Sylvester le chiese di diventare capo cheerleader, lei rifiuto perché, a suo dire, non
avrebbe mai smesso di fare la stronza. Così restò sempre il vice, tutti (e sottolineo il tutti) avevano paura di lei. E questo è quanto-

-Come questo è quanto! Niente scandali, niente scoop niente che mi possa essere utile per ricattarla?
Eravate nelle cheerios insieme!- Mercedes rise –Santana Lopez sapeva tutto di tutti, volevi sapere qualche
cosa di qualche persona all’interno della scuola? Dietro un buon compenso Santana ti diceva anche
quante volte andava in bagno. Vuoi sapere qualche cosa di Santana? Vendi l’anima al diavolo!-


Rimanemmo ancora un po’ a parlare, non le forzai a dirmi di più ne di Santana ne della mia coinquilina, a tempo debito l’avrei torchiata di più.

 

** * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * **  * **  * * **  * * * ** * * * * * * * * * * * * * * *

 

 Era arrivato il giorno della seduta, ero fortemente tentata di chiamare e fingermi malata, ma allo stesso
tempo ne avevo bisogno per chiarire. Da quando seppi che Blaine era il terapista di Santana iniziai a
meditare vendetta verso il mio psicologo.
Avevo una grande invettiva: bombe nucleari, falò di papillon, far togliere dal mercato tutte le confezioni di
gel per capelli. Però una mattina mi venne l’illuminazione ed ero sicura che avrebbe funzionato. Vendetta e
informazioni!

Stavo scendendo le scale per avviarmi verso il dottor sono-un-traditore Anderson. Mentre facevo i gradini
ripensavo alla chiacchierata con Mercedes. Lei in quell’anno era stata una delle persone che più mi
avevano aiutato, già al liceo mi aveva preso sotto la sua ala, quando si diplomò ci sentivamo spesso, e
quando mi diplomai io era in prima fila per assistere.

Ripensai che senza di lei non avrei mai trovato un lavoro e non avrei mai iniziato la terapia.
 

Abitavo ancora con i miei genitori, o almeno in quella che era stata la mia camera. Ormai non la
riconoscevo più, o forse non riconoscevo semplicemente me stessa. In quelle foto c’era la mia faccia, ma
non la mia espressione.


Ogni volta che ci rientravo vedevo le foto, io, Mike e Arite al nostro primo saggio. Mike, Artie e io al
diploma. Artie, io e Mike nella nostra prima vacanza da soli. Odiavo tutto quello, così facevo in modo di
non entrarci mai.


La mattina non mi svegliavo prima dell’ora di pranzo. Mangiavo con la mia famiglia che cercava di
spronarmi a trovarmi un lavoro, o a fare qualche cosa della mia vita, me ne fregavo altamente di ciò che dicevano, buttando all’aria tutta la mia vita.


Il pomeriggio vagavo con l’unico obbiettivo di star lontana da casa, a volte andavo al parco, spesso al
lago, altre volte non sapevo neanche dove mi trovavo.


La sera uscivo verso le otto in cerca di qualche pub, o più semplicemente in cerca di alcolici.

Quella sera, ( la sera che ha ridefinito la mia vita) ero in una bettola fuori citta, all’entrata non si sono neanche presi la briga di controllare i documenti. Non appena entrai il fumo mi fece tossire più volte, era
una di quelle cose a cui  non mi ero abituata. Avevo imparato a gestire i cascamorti, i baristi, anche
qualche giro nel tavolo verde, ma il fumo mi infastidiva sempre nei primi minuti.


Mi avviai verso il bancone, il barista era un tipo qualunque, niente segni particolari o un carattere degno di
nota.

-Dammi qualche cosa di molto alcolico e molto velocemente.- passò si e no un minuto quando mi versò
un liquido color caramello nel bicchiere che mi aveva precedentemente messo davanti. –Lascia qui la
bottiglia grazie.- posò la bottiglia che aveva in mano. Presi il bicchiere e mi girai verso il palco. Era la
serata karaoke e un gruppo di alcolizzati di mezza età si stava scatenando sulle note di una vecchia
canzone dei Bee Gees.

Scolai il primo bicchiere, e ne a lui seguirono due, tre e quattro. in men che non si dica mi ritrovai nella
mischia a ballare e dimenarmi sotto le stonature del cantante di turno.


-Ehy biondina perché non Sali tu sul palco- mi reggevo a mala pena in piedi ma ero troppo ubriaca e
intossicata dai fumi di quell’ambiente per rifiutare. Salì sul palco e divenni lo spettacolo della serata,
bevevo e cantavo.


Una volta un mio conoscente mi disse che le persone ricadevano in degli stereotipi o meglio in delle tipologie di sbronze.

L’ubriaca dal pianto isterico. L’ubriaca incazzata. La sbronza allegra. La sbronza da ragazzina bisognosa.

Per mia sfortuna (ma fortuna dei presenti quella sera) io ricadevo nella quinta tipologia: la ragazza che si
trasforma in una spogliarellista.

-By a moon light showdos… Na na na lost in a naaa… Saturday night … so.. con… TRUE! By a Moon
light showdos-


La mia performance di Monnlight showdos stava andando alla grande. Ad ogni cambio di strofa un pezzo
del mio vestiario se ne andava via, avevo già perso cappello, giacchino e maglietta.


Mi stavo dimenando sul palco –ragazzi mi stoò divetenso tantissssimooo! Wow!- ero completamente fuori
di senno.

Era la terza o forse quarta canzone che cantavo. Urlavo a squarcia gola e mi spogliavo, e le persone che
stava al disotto del palco si godevano un triste spettacolo.


Quando finalmente scesi ero talmente ubriaca che non mi accorsi neanche delle svariate mani di pervertiti

che mi toccavano il sedere “per complimentarsi dell’esibizione”. Presi le mie cose, lasciai delle banconote 
sul bancone e richiamai il cameriere. – Ho pagato decisamente troppo per della tequila così scadente- il
tizio scosse la testa – non è tequila, è rum!- annuì come se fosse una cosa ovvia. Faceva schifo lo
stesso.


Uscì dal locale, barcollavo e mi ci vollero solo un paio di passi per vomitare anche l’anima. In quel momento passò una volante della polizia. Mi vide.
Quando la polizia mi mise sulla volante addosso mi rimanevano gli shorts neri (decisamente inadatti all’aria frizzante dell’inizio di primavera), le converse nere, un reggiseno rosa a pois e delle manette lucidissime!
Arrivati mi fecero fare una telefonata, non ricordavo il mio nome figuriamoci un numero di cellulare. Così chiesi di dirmi l’ultimo numero fatto, doveva essere quello dei miei.

-Mamma sono in polizia, nella cella però non la pistola. Capito? Devo fare una telefonata e quel poliziotto mi sta guardando le tette-

Per quattro ore stetti in una cella della centrale. Due prostitute fatte fino all’osso, una tizia arrestata per
spaccio, e un’altra arrestata per ubriachezza molesta. Non capì bene la mia incriminazione so solo che
dopo quell’agonia un poliziotto mi chiamò.


-Pierce!- alzai la mano come a scuola, quel tizio mi tirò per un braccio – sei fortunata ci sono due tizi che
hanno pagato la cauzione- mi trascinò per il corridoio. Quando vidi Mercedes mi fermai di botto. Mi
vergognavo, non mi importava niente di ciò che facevo della mia vita, ma quando lo sguardo della mia
amica mi si posò addosso provai un forte senso di vergogna.


Camminai verso di lei strisciando i piedi. Mi tolsero le manette e fu un attimo che mi sentì delle braccia
forti avvolgermi.


-Mi dispiace- non avevo ancora ripreso tutte le mie facoltà, e l’unica cosa che riuscì a pronunciare era quel
“mi dispiace”. –Non importa piccola, vieni ti portiamo alla macchina-, Mercedes mise il mio braccio intorno
alla sua spalla e il ragazzo che era con lei stava per fare lo stesso ma io ritassi la mano – tu non sei il tizio
che mi stava guardando le tette prima vero?- Credo di essere l’eccezione alla regola: la prima impressione

è quella che conta, anche se credo che Sam ci ride ancora su quell’affermazione.


 

 

Sorrisi pensando che quando tre giorni dopo mi presentai davanti al giudice e mi disse che avrei dovuto
fare quelle dieci sedute dallo psicologo sbraitai come una matta. Mi fece sorridere anche il pensare che
Mercedes capì che stare nella mia vecchia stanza e nella mia vecchia casa non mi aiutava, finché non
trovai una casa abitai sul suo divano. Non ci volle molto, una settimana appena.

Stava salendo le scale per arrivare da Blaine, ripresi coscienza che era una “missione acchiappa
informazioni”, inconsciamente (o almeno era quello che dissi in seguito quando raccontai la faccenda) mi
vestì completamente di nero, mi feci una coda e questo per la mia testa equivaleva ad un favoloso look da
spia. Feci le scale molto lentamente, e socchiusi gli occhi per sembrare più cattiva, certo nel piano
vendetta iniziale non era compresa la caduta dalle scale e le imprecazioni che ne seguirono, ma feci finta
di niente e, ancora dolorante per la botta entrai nello studio.

Aspettai come sempre che Jenny mi venisse a chiamare, e essendo già andata più volte mi avviai da sola,
davanti a quelle lettere famigliari tirai fuori dalla borsa l’occorrente.

Contai fino a 19, con 19 respiri. Un ultimo respiro per arrivare a 20 ed entrai in quella stanza.

-Ciao Blaine- il mio dottore non notò il tono con il quale lo salutai – Ciao Brittany- era molto impegnato e
non aveva ancora alzato la testa dai fogli.

-Come… Cos’è quello?- mi rigirai tra le mani la macchinetta per i capelli. Mi avvicinai alla sedia, ma non mi
ci sedetti. –è per te- il suo sguardo si era fatto confuso – sai sono venuta a sapere tante cose interessanti
in questa settimana- ticchettai le dita sul ferro della sedia – facciamo un accordo Anderson, io ero venuta
qui con l’intenzione di rasati tutti i capelli a zero e far fallire le fabbriche di gel per capelli- scosse
violentemente la testa –Non puoi, i miei riccioli e il gel che c’è sopra non si muovono da qui. Starei
malissimo, assomiglierei ad una palla da bowling pelata- socchiusi gli occhi per sembrare più minacciosa
– a parte il fatto che non ho mai visto una palla da bowling con i capelli. Secondo, se mi dici che cosa sai
di Santana Lopez non ti taglierò tutti i riccioli ma mi limiterò a spettinarti e spogliarti di tutto quel gel- la sua
testa si muoveva molto velocemente su e giù – Certo, mi ripeti il nome per favore?-

Mi sedetti. –Santana Lopez- ci pensò un attimo – Non la conosco!-

Premetti il pulsante rosso, il rumore della macchinetta riempì tutta la stanza. –Certo che la conosci, mi ha
detto che è una tua paziente, e sono sicura che non stesse mentendo non era in condizione di farlo- 
-Brittany, innanzitutto non posso parlare degli altri pazienti, hai presente il segreto professionale? E poi non

conosco nessuna Santana, ti avrà detto una bugia, o magari a confuso il mio nome con quello di qualche
d’un altro-

Tirai fuori il cellulare, il primo giorno Santana venne a trovare Beth, la bambina prese in prestito il mio
cellulare e fece un mucchio di foto. Tra queste ce n’era anche una in cui Santana era presa in primo piano
mentre leggeva le indicazioni per cucinare i pop corn nel microonde. Portava gli occhiali ed era di profilo,
ma si vedeva benissimo che era lei.

Trovata la foto gli misi il cellulare davanti – Lei-

Blaine inarcò le sopracciglia – Come hai detto che si chiama?- “lo sapevo, sono un segugio fenomenale!”
–Santana Lopez- aprì leggermente la bocca. – No, lei si chiama Rosaio Cruz, mi ha detto che era
imparentata con Penelope-
Dopo questa scoperta rimasi piuttosto sconvolta, Blaine eclissò il discorso e mi fece riprende la normale

seduta.

Quando me ne stavo per andare Baline mi fermò – Brittany, vorrei fare con te un’altra seduta, domani alle
quattro, ci sarai?- acconsentì, sapevo che Sam si sarebbe di sicuro arrabbiato, ma misi in conto di fare
una telefonata a Mercedes. 







_________

Ciao! Scusate il ritardo, doveva saltare solo una settimana per via delle vacanza, ma al mio ritorno il mio computer ha deciso di mettersi in ferie così l'attesa si è prolungata. Alla prossima!


 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6:
 
Era appena metà mattina quando Jenny mi chiamò per annullare l’appuntamento con il dottor Anderson. Ero molto indaffarata, quindi non mi dilungai più di tanto nella conversazione, infatti appena appresa la notizia ringraziai e buttai giù.
-Sam, ehy Sam- la mia pausa era appena iniziata quando dissi a Sam che potevo rimanere anche il pomeriggio. Ne fu entusiasta, si era arrabbiato quando gli dissi che non ci sarei andata, mi rendevo conto che in un’altra situazione lavorativa mi avrebbero già licenziata da tempo, ma per mia fortuna Sam era un amico, e per giunta molto comprensivo.
Quando il mio turno  finì, ero piuttosto stanca. Con l’arrivo dell’estate i bar si riempivano all’inverosimile. Tornai a casa e maledissi nuovamente la mancanza di ascensore.
Quando mi avvicinai alla porta dell’appartamento la musica mi investì. La richiusi di botto, ma la musica era talmente alta da coprirne il rumore. Prima di rientrare feci dei respiri profondi e mi stropicciai gli occhi per prepararmi alla visione che avrei avuto una volta dentro.
Rimasi sconvolta da ciò che vidi. Quinn era a lavoro e Santana faceva da Baby sitter a Beth, era estremamente brava a coinvolgerla in qualsiasi attività che faceva.
Quando misi piede in soggiorno capì cosa era quel trambusto: Beth aveva un microfono in mano e cantava a squarcia gola. Santana aveva collegato il computer alla televisione e (dopo un sistematico spostamento di mobili) si erano messe a fare il karaoke.
Beth era una bambina adorabile, ma decisamente il canto non era il suo forte, anche Santana la vedevo che storceva la bocca, ma la piccola adorava farlo e nessuna aveva il coraggio di dirle di no.
Quando mi notò lasciò il microfono che cadde a terra facendo un rumore gracchiante e assordante, mi si lanciò tra le braccia con una forza inaudita, Santana ne approfittò per stoppare la musica.
-Vedo che vi divertite qui!- quella semplice domanda fece si che Beth mi raccontò per filo e per segno che cosa era successo durante la giornata, dal suo compagnetto che si era messo a piangere a quando ero entrata nella stanza.
Dopo il resoconto infinitamente lungo decise di andare a giocare nella sua camera, dimenticando completamente il karaoke.
-Ciao-  non la vedevo dalla sera del temporale, in effetti ero un po’ imbarazzata, dopo la chiacchierata con Blaine sapevo qualche cosa in più su di lei, ma anche qualche cosa in meno, tipo che si faceva chiamare Rosario Lopez, ma questo portava alla domanda perché si faceva chiamare in quel modo?
-Ehy, come va?- Santana annuì e sussurrò un leggero “bene”. –Abbiamo fatto il karaoke- scossi la testa –si, lo vedo! Vi siete date da fare- rise –già. Beth mi porti per favore la borsa che avevo prima?!-
Beth arrivò trotterellando, portava strisciando uno zaino che era grande quanto lei se non di più. La lasciò vicino alla cucina e se ne ritornò correndo verso la sua cameretta.
Scoccai uno sguardo curioso a Santana che sorrise in modo criptico. Fischiettò un motivetto a me sconosciuto e prese la borsa, la posò sopra il tavolino e lentamente la aprì.
Dopo che tirò fuori gli oggetti dallo zaino mi passai la mano sugli occhi sconsolata. –So gi che me ne pentirò ma Santana cosa ci facciamo con gli occhialini da mare? Andiamo in piscina?- la sua faccia apparve sconvolta, - Per prima cosa se sono occhialini da mare perché dovremmo usarli in piscina? Secondo...- infilò nuovamente la mano nella sacca e ne  estrasse delle cipolle – Ho paura a chiedere ma a cosa servono le cipolle?-
 
 
-San? Bitt?- Quinn si stava avvicinando. Le si spalancarono gli occhi quando vide la cucina, era completamente andata, c’erano pezzi di cibo in ogni dove, eravamo completamente sudice.
Scoppiò a ridere –siete carine così- ci limitammo a farle la linguaccia. –Ti conviene apparecchiare è quasi pronto per mangiare- Santana le porse i piatti.
-Fa schifo!- a Beth non piaceva ciò che avevamo cucinato, in realtà non piaceva a nessuno, Quinn mangiava sforzandosi per non farci rimanere male, ma Beth era solo una bambina.
Avevamo fatto un po’ di danni in effetti
 
 
-Mettili, così non ti lacrimano gli occhi!- cercai di infilare gli occhiali da mare, ma la plastica mi si infilava nei capelli e mi si rigirava e dovetti aspettare qualche minuto prima che santana venisse in mio soccorso.
I sistemò gli occhiali dietro facendo venir dritto il laccio, poi i capelli e infine mi fece calare sugli occhi le lenti. Fece lo stesso con i suoi. Era buffa, le lenti le storcevano gli occhi e glieli facevano più grandi in più le tirava la pelle rendendola più lucida.
Anche lei sorrise, -Sembri un pesce- risi.
-Ma tu sei sicura che nella carbonara ci vadano tutte queste cipolle? Mi sembrano un po’ troppe- lei mi guardò, poi guardò le cipolle tagliate –sciocchezze, ricordo benissimo che ci vanno cinque cipolle tagliate fini.- Non avevo mai cucinato in vita mia, mi correggo, una volta a 15 anni provai a cucinare, parlo di una cena completa, diciamo solo che i miei pagarono un hamburger anche hai pompieri. Di conseguenza mi affidai a Santana, avevamo cucinato già una torta insieme, ma era iniziata la puntata di Dancing With The Stars e ci eravamo distratti, ma se non contiamo quei dodici centimetri mancanti dai lunghi capelli di Beth non era successo niente di male.
 
-Mamma voglio la pizza, o almeno qualche cosa di buono-
Nonostante il nostro sguardo affranto e deluso Quinn dovette portare Beth fuori per la cena. Io e Santana facemmo finta di mangiare ancora qualche boccone prima di decidere che per la cucina eravamo negate e non ci sarebbe stata speranza di ripresa.
-Almeno ci abbiamo provato no?- Santana mi diede ragione. –Su facciamo i pop corn e vediamoci una puntata di Castle-
Eravamo ormai alla terza puntata del telefilm, ma dopo la seconda ciotola di pop corn eravamo passati ad altri argomenti. Parlammo di musica, di libri, telefilm. Era sicuramente più esperta di me tra libri e telefilm, senza dimenticare i videogames. Iniziai a pensare che era una nerd patentata.
-E così Kelly ruba il fidanzato a Brenda, anche se poi ha fatto bene…- smisi di ascoltare lo sproloquio di Santana su quel telefilm degli anni ’90, anche se (a sua detta) è l’inizio di tutti i teen dramma esistenti a questo universo!
Era leggero, un semplice ticchettio alle finestre: il temporale!
-Seni tu continua a parlare io ti sento, magari alza la voce- mi alzai e andai a chiudere le finestre della casa, fortunatamente era troppo distratta per accorgersene.
Quando tronai a sedermi alzai la tv, ma il tuono che fece vibrare le finestre era difficile da coprire. La vidi irrigidirsi.
D’istino mi avvicinai a lei e le passai un braccio intorno alle spalle, lei sembrò calmarsi.
-è per questo che vai da Blaine? Per il temporale?- si mordicchiò il labbro inferiore, indecisa credo se rispondere o meno.
-Più o meno- aspettai un paio di minuti che continuasse, ma non sembrava intenzionata a farlo, infatti si rimise a seguire il telefilm.
La casa era nel silenzio più totale, Santana alzava il volume del televisore una tacchetta ogni tuono, era diventato talmente alto che avevo paura che i vicini venissero a lamentarsi. Ogni rumore proveniente dal temporale la faceva sobbalzare e irrigidire, stringeva la mia mano automaticamente.
Quinn e Beth erano rientrate, la piccola aveva le orecchie tappate quando entrò in casa, stava per parlare ma la madre la zittì con uno sguardo e mi fece un cenno per farmi capire di star tranquilla, non ero agitata, ma mi rassicurò la presenza di Quinn.
La bionda sparì per  un paio di minuti, e quando tornò aveva in mano un pigiama e delle coperte, non avrebbe mai fatto andare via Santana in quello stato, e dopo l’esperienza vissuta con lei nel precedente temporale non lo avrei fatto neanche io.
Ormai era mezzanotte e mezzo, e noi eravamo nella stessa posizione di quando era calato il silenzio. Il temporale era cessato e io me ne ero andata a letto.
 
Passarono pochi minuti prima di sentire le coperte alzarsi, pensai che Beth avesse deciso di venire da me, era già successo in precedenza, ma la mano che mi si posò sulla spalla era decisamente troppo grande per la biondina.
-Brittany? Sei sveglia?- mi girai verso la latina di fianco a me –Santana?-
-Quinn voleva parlarti, ha paura che tu ti saresti arrabbiata se ti avesse parlato quindi voleva rimandare-  ero sicura che fosse la volta buona che scoprivo il segreto di Quinn, certo mi sarebbe piaciuto sapere anche quello di Santana, ma pensai di fare un passo alla volta.
-Qualche tempo fa Puck, sai chi è vero?- annuisci e ne approfitti per metterti più comoda –Bhe tempo fa giocava a poker, tra amici e le puntate erano minime, però in seguito è salito di livello. Si andò a giocare dove le puntate diventavano sempre più al disopra delle sue possibilità, sempre più alte e meno raggiungibili. Per i primi tempi riusciva almeno a rientrare con i soldi, ma più andava avanti e più azzardava, e più azzardava e più perdeva. –
Mi raccontò di come tornava a casa distrutto, non aveva mai fatto mancare niente né a Quinn né a Beth, e così la bionda pensava che fosse solo un periodo.
 -Quando iniziarono quei messaggi a Quinn venne il dubbio che la tradisse-
Eravamo sedute a gambe incrociate sul letto, dalla serranda abbassata filtrava una leggera luce del lampione.
La pelle di Santana appariva di un colore bluastro, e gli occhi sembravano ancora più densi e compatti.
Mentre parlava giocherellava con la coperta.
-Così lo seguì, entrò in un albergo, o meglio una bettola. Decise che non voleva vedere oltre e tornò a casa, una volta lì è successo il pandemonio-
Mi scappò una risatina, lo disse con un tono maschile e canzonatorio, e accompagnato da uno teatrale gesto delle mani. Lei rise con me.
-Quando Puck rientrò la furia di Quinn, che fidati non hai mai visto all’opera, si è scatenata contro il povero Puckzilla-
Puck era a corto di soldi, e con la convinzione che la fortuna sarebbe tornata a girare chiese dei prestiti. Purtroppo la gente disposta a darti un prestito in una situazione tanto anomala (o meglio tanto pericolosa) non è un gentile signore d’altri tempi.
Si era immischiato in affari loschi, il tasso d’interesse era talmente elevato che anche con due stipendi non si riusciva a ripagare il tutto, Puck tornava a casa sempre peggio e Quinn si decise a scoprire la verità le arrivò la doccia fredda.
Quando entrò nell’albergo, lo vide con una donna, aveva circa quaranta anni, scappò di corsa ma Puck era un atleta ancora in forma e la raggiunse. Quando arrivarono a casa Quinn seppe la verità.
-Raccontò a Quinn tutta la storia del gioco d’azzardo, e poi anche del fatto che si prostituiva per pagare i debiti-
Scoppiai a ridere come una matta, non riuscivo a fermarmi. Santana mi guardò stralunata, prima di scoppiare a ridere anche lei.
In effetti la situazione era piuttosto drammatica, ma in certe situazioni non riesci a stare seria.
-Ok, l’ex di Quinn è diventato un p… uno gigolò per pagarsi i debiti di gioco quindi Quinn se ne andata- Santana scosse la testa. -No!- ok, ero decisamente confusa, ero certa di aver capito. –No, cosa?-
-Quinn non lo ha lasciato per questo, a fare quel lavoro era bravo, fin troppo- non riuscì a trattenermi dal ridere nuovamente –Fammi finire così ti farai la risata più grossa-
Riprese a parlare –Riuscì a ripagare i debiti, fino all’ultimo centesimo, ovviamente anche gli interessi- non sembrava intenzionata a parlare così domandai io –ok, quindi perché Quinn l’ha lasciato? Non riesco a capire-
-Gli interessi li aveva pagati, ma il lavoro non lo aveva lasciato mica!-
Scoppiai a ridere, non ci volle molto che Santana si unisse me.
Rimanemmo lì ancora per parecchio tempo a prendere in giro Quinn, infondo chi non l’avrebbe fatto.
Ci addormentammo sul divano, la testa di Santana posata sul mio stomaco, e la mia mano sulla sua testa. Ci svegliammo solo la mattina dopo.

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Ciao, scusate il ritardo, ma internet e mio computer non va. Questo capitolo è cortissimo, ma spero di poter aggiornare presto con il resto!! 
Ciao Ciao
Pepper Snixx Heat

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7
 
Passò quasi un mese dalla scoperta del segreto di Quinn. La mattina dopo quella notte ci alzammo e Quinn stava uscendo dal bagno, giuro che tentai di trattenermi ma fu più forte di me, le scoppiai a ridere in faccia.
Ancora più divertente fu il battibecco con Santana, dove una urlava e l’altra la faceva incazzare ancora di più.
Le sedute obbligatorie con Blaine erano finite, ma decisi di continuare, anche se per pagarlo avrei dovuto fare gli straordinari il sabato sera!
Con Santana avevamo deciso per un certo equilibro, io facevo finta di capirla e lei smetteva di stressarmi. Questo accordo non si mise in atto mai.
Rimaneva a dormire a casa nostra per i due terzi di quel mese , Non ci furono altri temporali, ma non trovava difficile trovare una scusa. Come quella stessa sera.
-Rimango a dormire qui stasera perché mi va!-
Orami non ci facevamo neanche più caso.
-Dove è la verità? Ormai il divano ha preso la forma del tuo corpo!-
Santana rise.
-Il divano avrà anche preso la mia forma, ma il divertimento se ne sta alla larga! Allora? Che facciamo?- Quinn era in cameretta con Beth che riordinava e io subivo una Santana piuttosto annoiata e spazientita.
Sentimmo il campanello suonare. I trilli furono continui e ripetitivi, suonava all’impazzata.
-Arriv, Arrivo!- aprì la porta di scatto – Chi diamine sei un ragazzino? Stavi per sfondarmi il campanello!- Alla porta si era presentato un uomo, fisico atletico e abbastanza muscoloso, colorito scuro e occhi nocciola e un improponibile taglio di capelli.
-Puckerman!- tempo 5 secondi e che Santana era in braccio a quello che avevo capito essere il padre di Beth.
-Oddio quanto mi sei mancato!- lui la strinse e le sorrise – anche tu latina, mi fai entrare?-
Santana corse via –Beth, Quinn!- la mora era eccitata come una bambina al parco giochi.
-Noah Puckerman sono il padre di Beth e il ragazzo di Quinn- mi tese la mano e la strinsi –Brittany Pierce. Seconda zia preferita di Beth e coinquilina nonché amica della tua ex ragazza-
Sorrise. –Santana non mi corregge mai quando lo dico- ignorai il commento e lo invitai ad entrare sorridendo.
-Noah- Quinn entrò nel salone a braccia conserte, rigida –come mai qui?- il ragazzo si guardò intorno prima di rispondere, e poi con un alzata di spalle:- Volevo portarvi a cena-
 
 
-Perché lo hai invitato se non eri dell’umore giusto?!- Quinn non voleva cenare con Puck, e per non deludere Beth (e anche me, visto che vidi in quell’occasione un interessante momento di gossip) lo invitò a cena.
La bionda prima di rispondere borbottò qualche cosa –Non mi infastidisce cenare dove cena lui, non voglio cenare io e lui da sola- finì la frase con una smorfia.
Santana entrò giusto in tempo per porre la domanda fondamentale. –Perchè?-
La mia coinquilina si sporse per controllare Beth, che stava con Puck a giocare nel tappeto –Quando si esce con Puck, si va incontro ad avance, ti porta in un ristorante carino ma non troppo elegante o costoso per non metterti a disagio, usa un fare galante che dopo che lo si impara a conosce si capisce che non gli appartiene- Annuimmo divertite dalla piccola confessione –Si, ma c’è Beth con voi, non farà il cascamorto con vostra figlia davanti?!- chiesi anche un po’ allarmata dalla risposta. –Assolutamente no, ma Beth ha sei anni, farala rimanere a tavola tutta la serata è impossibile, scappa e solitamente Noah sceglie i posti più adatti dove i bambini possano giocare lontano dai genitori-
-e poi?- Santana lo chiese senza preoccupazioni e dopo lo sguardo confuso di Quinn continuò –Quinnie Puck fa il deficiente 24 ore su 24, e hai imparato a tenere a bada i suoi comportamenti in questi anni, cosa è cambiato adesso?-
-La settimana scorsa poteri aver alzato un po’ il gomito, e dopo che abbiamo messo giù Beth stavo per andarmene ma mi ha offerto il bicchiere della staffa e poi sono tornata a casa la mattina dopo poco prima che Brittany si svegliasse-
La risata che scoppiò da parte di Santana fece girare padre e figlia. –Smettila San!- sussurò a denti stretti Quinn. La mora era ormai sull’orlo delle lacrime stesa sul bancone dal troppo ridere e la bionda cercava di farla smettere.
-Che ci troverà di divertente?!- ormai si era rimessa a cucinare e Santana si stava riprendendo asciugandosi gli occhi.
-c’era anche il cameramen o la pornostar si è accontentata di un cavalletto?- Quinn aprì la bocca senza emettere un suono, per poi fulminarmi con lo sguardo. Santana ricadde sul bancone e mi unì a lei nella risata.
-Scusa, scusa non sono proprio riuscita a trattenermi!- Quinn mosse la mano come per scacciare una mosca –Vi prego che si fermi qui la conversazione- c’era un leggero tono disperato nella sua voce.
 
-Allora Puck, che mi racconti di te? – chiesi mentre mi versavo da bere. Lui inghiottì il boccone e sorrise. –Farò finta che non ti hanno raccontato niente e ti racconterò!- si formò sulle sue labbra un sorrisetto ironico e lo sguardo cadde su Santana e Quinn. –Sono cresciuto qui a Lima, ho fatto il McKinley con loro due dove ero nel Glee Club e nella squadra di Football, adesso faccio l’attore-
-Attore! Come no!- Quinn non riuscì a trattenersi, avevamo già mangiato il primo (carbonara, fortunatamente fatta dalla bionda) e stavamo assaggiando il secondo. Passammo l’inizio della cena a sentire la piccola che ci raccontava della scuola, degli amici e di cosa si sarebbe messa la il pomeriggio seguente alla lezione di canto. Quando Beth finì gli argomenti chiese il permesso per andare in bagno e non tornò più a tavola trovando più interessante i lego sul tappeto.
-Brittany tu invece? Siamo a casa tua e sei l’unica che non conosco!-
-Ho 19 anni, quasi 20 in realtà, lavoro in un bar. Volete il gelato?- senza aspettare che qualcuno mi rispondesse andai in cucina.
-Gelato! Gelato!-
Beth si era materializzata nuovamente sulla sedia quando tornai con la vaschetta.
 
 
Alle 10 e mezzo Beth era crollata e Quinn la mise a letto, aveva già la bimba in braccio quando disse –La metto a letto e la seguo nel mondo dei sogni anche io.- Puck si alzò e diede un bacio sulla testa alla figlia.
-Forse è il caso che vada- il ragazzo si era già alzato e diretto verso la porta quando Santana lo chiamò –Puck- lui si voltò –è da un sacco di tempo che non stiamo insieme e non parliamo, non è che potresti rimanere un altro po’?- Santana sembrò tornare bambina, la voce le divenne sottile e molto più pulita a differenza della voce roca e calda che la caratterizzava.
Puck guardò me ricordandosi a fine serata che era lui l’ospite.
Avrei voluto dire di no, Santana si appropriava sempre della casa, non era la sua e non poteva permettersi di invitare persone senza chiedere né a me né a Quinn, in più volevo andare a letto e un tipo che non conoscevo veramente che gironzolava per casa non era il massimo.
Guardai la faccia di Santana: adorante, e mi si strinse il cuore. Sapevo che non aveva anti amici, e ero certa che non riusciva a parlare molto. “Sarà per un'altra volta” –Ricordati di chiudere bene la porta quando se ne va!- . Detto questo andai a prepararmi per la notte.
 
 
 
La sveglia quella domenica era una dolce aroma di caffè e un delizioso profumo di ciambelle appena fatte. “Quinn deve essere di buon umore”.
Mi alzai dal letto e mi sistemai la canotta con cui dormivo.
Sentivo la radio accesa, canale sportivo. Football. –Ma cosa…?-
-Giiiooorno!!!- spalancai gli occhi nel trovarmi davanti Puck. –Tu!- alzò lo sguardo dalla padella.
-CHE DIAMINE CI FAI ANCORA IN CASA MIA!-
Mi guardò leggermente spaesato –è stata Santana a dirmi di rimanere. Siamo rimasti svegli fino a tardi e…- lo interruppi subito – Si, si va bene- “la prossima volta non mi farò convincere”. Puck mi porse i panckake su un piatto. –Sciroppo?-
Mi dimenticai di essere in mutande e canotta davanti all’ax fidanzato dalla mia coinquilina e scordai anche la ramanzina che volevo fare a Santana davanti a una buona colazione.
Presi il piatto e mi sedetti sullo sgabello davanti al bancone. –Sono buonissime, anche più buone di quelle di Quinn!- lui sorrise orgoglioso.
-Tutte e tre, intendo Beth, Quinn e anche San, si trovano bene con te qui! Mia figlia parla sempre di te. Brittany ha detto, Brittany ha fatto.  Ti adora- feci una risatina imbarazzata –Beth è adorabile, educata, intelligente e molto gentile- lui annuì deciso e orgoglioso –il merito però, è di Quinn. Non credo di essere stato un buon padre- lo disse con un ombra scura sul volto.
-Non credo, gli errori che hai fatto, li hai fatti con Quinn. Per Beth, da quello che mi ha detto Santana, ci sei sempre stato- cercai di essere più convincente possibile, non so se ci riuscì ma lui sorrise. –Forse, ma ciò che ho fatto si ripercuote su di lei-
Avevo finito di mangiare i panckakes e bere il mio caffè, mi alzai e portati tutto sul lavello –La porta di questa casa è sempre aperta Puck, puoi venire quando vuoi a farci visita, o a cucinare qualche cosa, mi fa piacere. Tra Santana e Beth si contenderanno il titolo di più eccitata e…- lui rise aspettando che continuasse -…anche a Quinn non dovrebbe dispiacere troppo visti gli ultimi sviluppi-
-Wow! Quinn ti ha raccontato proprio tutto eh?!- disse un po’ imbarazzato, io alzai le spalle – In realtà Santana, Quinn si è limitata alla notte di “divertimento” – accompagnato dal gesto delle virgolette con le dita – ti ha raccontato di quanto sia fenomenale a letto?- si poggiò di schiena sul bancone con le mani posate su di esso, il sopracciglio alzato e l’espressione compiaciuta sul volto.
-Conosci Quinn meglio di me, sai che non me lo avrebbe mai detto- Puck annuì –Vero! E cosa dice di me? Aspetta parla di me qualche volta vero?- sembrava leggermente impanicato, ci teneva a saperlo molto più di quello che dava a vedere. –Ogni tanto capita, ma sei sempre “in giro” tra le innocenti informazioni di Beth, per quelle scabrose Santana è sempre pronta.
-Già, è la mia migliore amica, spesso sembra rompipalle, stronza e leggermente impicciona, ma non lo fa apposta, vuole essere felice e avere degli amici ma… Sai com’è piove sempre sul bagnato- ero quasi certa che la frase non voleva essere finita così, all’inizio non ribattei su quel punto, cercai di prenderla informazioni su Santana. –Da quando la conosci?- si grattò il mento pensando –Eravamo matricole al liceo- “direi abbastanza” – ed è sempre stata così… particolare?- Nel senso, la paura dei temporali, il non sapere controllare le relazioni sociali…- arricciò le labbra –No, prima era molto diversa, si può dire che sono due persone molto diverse- Il suo viso prima sorridente e scherzoso era diventato di una serietà inquietante.
-Cosa le è successo per farla cambiare?-
Non parlò per quasi un minuto –Non posso, credo che faresti bene a chiederlo a lei- mi mordicchiai il labbro –Non me lo dirà mai tanto-
-Forse tiene a te e si fida più di quanto tu pensi-
Volevo ribattere ma mi mancarono le parole, per fortuna lo zampettare di Beth fece cessare la conversazione. –Io vado a cambiarmi, ci si vede- diedi un bacio alla piccola sulla tempia e mi ributtai sul letto.
 
 
Passai una buona mezz’ora a meditare, come un vegetale sul letto. Volevo sapere che cosa era successo a Santana, quando Mercedes mi raccontò della latina al liceo, ero piuttosto sconvolta, mi era sembrata una persona completamente diversa.
Presi il mio quaderno ad anelli e annotai tutta la serata del giorno prima.
Ero ormai arrivata alla chiacchierata con Puck di quella mattina quando un leggerissimo bussare della porta, era talmente lieve il battito che non ero neanche sicura  che avessero bussato, aprì le orecchie ad aspettare. Dopo pochi secondi bussarono con più vigore.
-Avanti- la porta si aprì con una lentezza estenuante.
-Posso?- timidamente la testa nera di Santana. Sorrise. Il suo viso era più dolce, senza quel ghigno ironico. –Prego entra.- la latina, stranamente, sembrava impacciata, aveva perso tutta la sua spavalderia.
-Tutto ok San?- lei annuii più volte.
-Perché ti importa?- si era tolta le scarpe e seduta all’indiana sul letto, aveva abbassato lo sguardo e si tagliava le pellicine delle dita.
Mi sedetti vicino a lei “Puck!”  Noi siamo amiche, almeno credo. Mi piacerebbe… conoscerti, sapere qualche cosa di più di te- “perché?” la domanda era giusta perché?
-Che cosa vuoi sapere esattamente?- ci pensai realmente, pensai di voler scoprire chi era la “vera” Santana Lopez.
Non feci in tempo a dirglielo e spiegarmi che il telefono iniziò a squillare.
“Maledetto chi ha inventato questo infernale aggeggio”
-Pronto!-
-Sta nascendo Brit, vieni subito… sta, sta nascendo!- la voce super eccitata di Sam continuava a urlare che il bambino stava nascendo.
Saltai giù dal letto –Sta nascendo il bambino- Santana mi seguì giù dal letto –O mio Dio, non sapevo fossi incinta!-
-Razza di stupida, il figlio del mio capo sta nascendo. Devo andare all’ospedale-
Il viaggio fu traumatico, ero parecchio agitata e Santana si propose di accompegnarmi.
-Tanto stiamo già andando all’ospedale- non so bene di quanto avevamo superato il limite ma era tanto, era veramente tanto.
 
 
-Jones, Mercedes Jones, sta per avere un bambino- dopo che quell’inetta dell’infermierea ci disse dove andare arrivammo nella sala d’attesa del reparto neonatale. Sam era seduto a terra e dondolava.
-Ehy Sam- saltò in piedi e mi si butto addosso facendomi barcollare, per fortuna sentì le mani di Santana che mi sorreggevano. –Ciao! Sono felice che tu sia qui. Ero dentro, stava per nascere il bambino. E le hanno detto di spingere, e poi si sono rotte le acque. Sono svenuto, non ci sono riuscito urlava e sono caduto credo trasportandomi dietro due infermiere-
Santana rise, in effetti era esaltato e nel panico allo stesso tempo era una scena piuttosto comica –Se posso darti un consiglio dovresti provare a rientrare e essere forte, il mio amico Puck non c’era alla nascita della figlia e se ne è pentito- Sam mi lasciò e si buttò in collo a Santana, e fu il mio turno di sorreggerla. –Grazie- mi attirò nell’abbraccio e ci stritolò –Grazie davvero per essere qui!-
Di corsa e inciampando più volte Sam, tornò dentro a fare l’uomo forte che non sviene per un parto. La scena fu troppo divertente perché io e Santana ci astenessimo dal sfotterlo un po’.
Mi accomodammo in quelle scomodissime sedie in plastica della sala d’aspetto. –Ci vorrà molto perché nasca?- mi voltai verso Santana per chiederglielo, non avevo mai avuto un  amica o un parente che avesse partorito, non sapevo molto della tempistica di un parto. A pensarci bene non sapevo neanche se fosse un parto naturale o un parto cesareo.
-Io ero Quinn quando sua sorella ha partorito, siamo state 22 ore in ospedale aspettando che quel bambino si decidesse ad uscire, c’era stato qualche cosa credo, ma io e Quinn ce ne perdemmo metà perché i lettini che avevamo trovato ero piuttosto comodi per dormire. Quando invece è nata Quinn ero con lei nella sala parto, un paio d’ore e Beth era tra le braccia di Quinne. Anche se a dir la verità mi è sembrato un intero mese- risi, se per un adulto era stressante, per una ragazzina era anche peggio.
 Passammo una decina di minuti in silenzio, ero agitata e non vedevo l’ora di conoscere il bambino. Santana decise di rompere il religioso silenzio che regnava –Mercedes Jones, quella Mercedes Jones?- la mia testa fece un minuscolo movimento, sapevo che non appena Santana porse quella domanda sarebbero saltati fuori gli altarini. –Tralasciando il fatto che sono certa che abbiate parlato di me, di Q, e di Puckerman, come conosci Mercedes?- le raccontai la storia, o meglio le rispiegai in maniera più dettagliata ciò che c’era scritto nel diario. –E illuminami su cosa ti ha detto di me- feci una finta faccia sorpresa –Niente, non abbiamo mai parlato di te- si limitò ad una faccia impassibile alla “mi prendi in giro?!” –ok, niente di che giuro, più o meno le stesse cose che mi ha detto Puck e quelle che mi ha detto Quinn, quindi niente di eclatante-
 
 
 (N.D.A. Il racconto sarà interamente raccontato come un monologo senza intermezzi)
 
-Quando avevo 15 anni mi fidanzai, era una ragazza. Qualche mese dopo, nonostante non ci frequentavamo più decisi che era meglio per me dire ai miei genitori la verità sulla mia sessualità. Così una sera tornai a casa, per niente pronta ad affrontare una cosa del genere. Dopo la cena feci sedere tutta la mia famiglia nel salotto e feci coming out.
Mio padre si arrabbiò molto, il dottor Lopez, dell’ospedale St. Mary quello gestito da cattolici moralisti. Bhe il dottor Lopez non poteva permettersi una figlia “deviata”, mia madre non disse niente, pensavo fosse per lo shock sai inizialmente rimani imbambolata a metabolizzare la notizia, poi però ricomponi un dialogo, Capì che mia madre aveva preso la sua decisione il giorno dopo. A casa mia l’unico pasto che consumavamo insieme era la cena, quel giorno mia madre apparecchiò per tre, quando scesi stavano già mangiando. Mia madre e mio padre come nulla fosse, come se non esistessi, mia sorella non riusciva a guardarmi negli occhi.
Finita la loro cena, dove io stetti tutto il tempo in piedi davanti al tavolo mio padre mi parlò; mi disse che mi avrebbe dato una settimana di tempo per trovarmi un posto dove stare.
Quella stessa sera presi tutta la mia roba: vestiti, libri, CD, svuotai interamente la mia camera e misi tutto in macchina. Mio padre pensava che se volevamo una cosa dovevamo guadagnarcela, così lavorai per un anno come cameriera, Burt Hummel (il padre di Kurt) doveva vendere la macchina e accettò i miei risparmi come anticipo.
Inizialmente andai da Quinn, sapevo che era una situazione temporanea, anzi giornaliera, i suoi non erano molto diversi dalla mia famiglia. Infatti passati tre giorni, anche più di quelli che mi aspettavo, sua madre si chiuse in camera a pregare per la mia anima dannata, e per quella di Quinn che stava per cadere nel peccato aiutando una peccatrice. Suo padre, non tanto gentilmente, mi indicò la porta di casa.
Dormivo in macchina, usavo le docce della scuola per lavarmi e i vestiti li davo a Quinn o a Puck. Mi accampai in macchina solo per una settimana per mia fortuna, sembrava molto di più a viverlo. Una sera, saranno state le otto stavo mangiando il mio sandwich quando Puck bussò al parabrezza esordendo con: “Indovina chi ti ha trovato una casa?”
Mi ci accompagnò il mattino seguente prima della scuola. Aveva camera, salone, bagno e cucina, una casa con i fiocchi. Avevo paura per l’affitto, avevo il mio lavoro da cameriera, ma non ero certa che bastasse. Il mio amico mi rassicurò che l’affitto era basso, la casa era dello zio  del fidanzato di sua cugina di secondo grado, oppure della fidanzata dello zio di secondo grado. In più ci avevano ammazzato due persone e il vicinato credeva che i fantasmi dei due fossero ancora in giro.
Pochi mesi dopo Quinn rimase incinta, e venne cacciata di casa. Quando (alla fine) andò a vivere a casa di Puck (che per inciso sarebbe il paradiso solo per in diavolo), non riusciva a viverci, così le proposi di venire da me, le cedetti la mia stanza e io mi accampai sul divano.
Quando ero da sola riuscivo a mantenermi, ogni tanto ritardavo la rata della macchina, ma Burt sapeva che i soldi li avrebbe avuti quindi non faceva problemi. Quando Quinn venne da me, i costi aumentarono, smisi di usare l’auto per risparmiare sulla benzina, le rate ritardavano sempre di più e pagavo i conti sia miei, che della bionda, che quelli di quella che poi sarebbe diventata la seconda bionda. Quindi iniziai a lavorare in uno studio che mi usava come interprete per pagare meno lo stipendio (che comunque era si gran lunga più alto di quello di una cameriera).
Dopo che nacque Beth, Quinn andò via. In poco tempo grazie ai due lavori riuscì a pagare l’auto e anche qualche altro piccolo sfizio.
Questa situazione rimase così per 4 anni, mi diplomai e iniziai a lavorare a tempo pieno, lo studio mi diede un aiuto per pagarmi l’università e passato il primo anno riuscì a ottenere una borsa di studio.
Una mattina, uscendo dall’università, vidi mio padre e mia sorella poggiati sulla mia macchina.
Non appena mi avvicinai alla macchina mia sorella mi saltò in braccio  stringendomi più forte che poteva, a mio padre vennero gli occhi lucidi.
Nella ora e mezza successiva rimanemmo in piedi davanti alla macchina senza muovere un muscolo, solo mio padre dopo qualche minuto dall’incontro ruppe il silenzio.
Si scusò per ciò che era successo, per avermi cacciato di casa, per aver assecondato mia madre in quella buffonata della cena, per non essersi comportato come un buon padre. Usò parole mirate ed estremamente dolci.
La mezz’ora successiva la passai a metabolizzare ciò che stava succedendo. Non disse niente aspettando che fossi io a parlare. Non lo feci, mi buttai a peso morto su di lui abbracciandolo.
Ero ancora abbracciata lui piangendo, lui mi cullava come quando ero piccola sussurrandomi all’orecchio di stare calma e che era tutto apposto, che sarebbe andato tutto bene passandomi una mano tra i capelli.
In quella stessa posizione li invitai a cena, volevo far conoscere loro la mia vita, il mio lavoro, l’università, la mia casa e la mia ragazza.
Tornai a casa, saltai il lavoro perché ero troppo scossa, è inutile dire tanto su alcune situazioni finché non ci sei all’interno, ho sempre pensato che se i miei genitori mi fossero venuti a cercare avrei chiuso loro la porta in faccia, gli avrei rinfacciato tutto ciò che avevo passato ciò che avrei potuto subire, gli avrei scaricato tutta la rabbia che avevo in corpo.
Quel giorno però, vivi mio padre, non quello che mi cacciò si casa anni prima, ma quello che la notte controllava se sotto il letto ci fossero dei mostri, quello che la domenica prendeva il posto di mia madre per preparare la colazione facendo bruciare tutte le ciambelle. Gli occhi di mio padre quando lo guardavo da bambina.
Quello stesso giorno scoppiò un temporale, tremendo. I tuoni erano talmente forti che coprivano qualsiasi rumore, tanto che “Satisfaction” sembrava suonata con il flauto dolce. I lampi illuminavano a giorno l’intera città.
Verso le 18 e 30 chiamai mio padre, mi disse che stavano venendo a casa mia, ma la macchina si era fermata la macchina ad una decina di minuti dall’indirizzo di casa mia.
Presi due ombrelli in più nel caso li avessero dimenticati e li andai prendere.
Quando raggiunsi mio padre e mia sorella li vidi dentro la macchina ad aspettare, notai con un certo dispiacere che mia madre non c’era. Non l’aspettavo, sapevo che per lei il taglio era radicale, ma come si dice la speranza è l’ultima a morire no?
Comunque ero molto felice che ci fossero loro due.
Mio padre si mise alla guida, io ne approfittai per stare dietro abbracciata a mia sorella. Raccontai ciò che avevo fatto, quegli anni passati lontano da loro, del lavoro, dell’università. Mio padre si complimentava per ogni piccola cosa dicendo di quanto ero stata brava, di quando ero in gamba. Ascoltai mia sorella che vedevo così cresciuta, delle cheerleader e del club degli scacchi.
Non accennai a mia madre, non la nominai e non la volevo sentire nominare. Quando pensavo alla pace tra me e la mia famiglia immaginavo che ci fosse anche lei, che si sarebbe trovata una soluzione insieme, ma non fu così. Mio padre tornò, mia sorella si scusò per qualche cosa di cui non aveva neanche il potere di controllare. Mia madre però non c’era, in quel momento il rapporto con lei si chiuse definitivamente per sempre.
Ci volle più tempo del previsto quei dieci minuti si stavano allungando ancora e ancora, dopo mezz’ora eravamo ancora in macchina. Il temporale non accennava a smettere, mancava poco meno di un chilometro a casa, novecento metri forse quando un fulmine colpì la macchina. In se il fulmine non ci arrecò danni, ma il temporale e lo spavento fecero perdere il controllo della macchina a mio padre.
Rimasi per tre settimane in coma, quando mi svegliai ero intontita e non sapevo che cosa era successo, il medico si prese la briga di spiegarmi, mi disse dell’incidente.
Mio padre morì sul colpo, mia sorella durante l’operazione.
 Una mattina, credo due o tre giorni dopo il risveglio, mia madre entrò nella mia stanza. Non restò per più di dieci minuti ma bastarono a demolirmi.
Per un secondo, solo uno credevo che avremmo ricominciato insieme, che ci saremmo fatte forza l’un l’altra, ma ovviamente non fu così.
Mi fece tutto un discorso su Dio e l’inferno, sul peccato e la punizione divina. Mi riversò addosso tutto, riversò tutta la colpa su di me. Era colpa mia se mio padre e mia sorella erano morti, che era perché avevo peccato e offeso Dio perché “ero una creatura del diavolo”.
Iniziai a buttarmi giù. Non uscivo più di casa, se mangiavo era da asporto e rendevo la vita impossibile a tutti.
Pian piano la mia ragazza mi aiutava a tirarmi su, la vedevo incredibilmente forte e decisa, mi aiutava in ogni situazione. Mi sopportava, mi costringeva a fare le cose necessarie, era diventata un punto cardine della mia vita.
Stavamo insieme da due anni, e di li a poco le avrei chiesto di venire a vivere con me, era dolce e solare, simpatica e molto forte.
Dopo l’incidente le cose erano inevitabilmente cambiate, io ero più fredda con lei, lei stranamente più affezionata e accondiscendente.
Passati 3 mesi per la prima volta uscì di casa, il sole spaccava le pietre, passai da starsbucks e presi due caffè, nero per me e con la cannella per lei. Mi avviai verso il suo ufficio, quasi correvo dalla paura.
Appena dentro l’edificio respirai profondamente per riprendere il controllo. Salì al suo piano e mi diressi verso la porta a vetri. Non appena la aprì anche l’ultimo barlume di felicità sparì.
Mi tradiva da mesi, aveva deciso di lasciarmi, il giorno dell’incidente sarebbe venuta e i avrebbe dato il ben servito così che fossi troppo occupata con la mia famiglia per badare a lei, con l’incidente le cose cambiarono, e lei faceva la carina con me soltanto per farmi rimettere al più presto per non lasciarmi in una situazione critica.
Hai presente il detto quando si tocca il fondo non si può far altro che risalire?
Ecco, quella ero io, però con una piccola difficoltà nel risalire, sentivo come se avessi perso tutto.
Stavo male, e Quinn aveva paura per me così mi portò con se e mi fece stare a casa sua. Fu la mia unica consolazione.
L’unica consolazione è il sapere di non essere sole. Le amiche sono quella famiglia allargata che ti permette di scendere a patti con il mondo, di sapere che non sei tu a non andar bene, ma che andare avanti è difficile punto e basta.
Quinn chiamò un amico del liceo, Kurt Hummel, suo marito era un terapista e così ho cominciato con Blaine la terapia.
Da allora non è cambiato poi molto. Solo che io non ero più la stessa persona che ero al liceo-
 
 
Rimasi piuttosto sconvolta da quella confessione, sapevo che c’era qualche cosa in Santana, ma ero convinta fosse pazzia non senso di colpa.
Durante il racconto inevitabilmente, inevitabilmente, Santana venne scossa dai singhiozzi e dal pianto. La feci appoggiare a me e la lasciai sfogare.
Non commentai e semplicemente aspettai, non volevo caricarla, non volevo caricarla di frasi fatte, e non avevo la più pallida idea di cosa dire.
Aspettai, aspettai che lei si calmasse, aspettai che mi venissero le parole giuste da dire, che qualche d’uno interrompesse quel momento forse. So solo che aspettai con Santana aggrappata a me.
 
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Norah nacque alle 15:30 del pomeriggio, bellissima occhi marroni, capelli neri e pelle inaspettatamente chiara.
Mercedes fu felice di vedere Santana e lo stesso fu per la latina. Rimanemmo li per un po’, almeno fino alla fine dell’orario di visite.
Non parlai con lei per tutto il tempo, rimasi in silenzio lanciandole di tanto in tanto delle occhiate preoccupate. Anche il viaggio di ritorno fu parecchio silenzioso.
Varcata la soglia Quinn ci accolse insieme a Beth, stavo uscendo per accompagnare la piccola alla sua prima lezione di canto. –Vi ho lasciato da mangiare nel forno- la ringrazziammo e augurammo a Beth buona fortuna per la lezione.
-Io non ho fame, vado a sdraiarmi-
La testa mi stava scoppiando, troppo e tutto insieme non riuscivo a gestirlo.
Mi appisolai rannicchiata contro il cuscino. Passo forse mezz’ora o poco più che qualcuno mi scosse violentemente svegliandomi.
-Io non…io non volevo! Lo so che tu pensi di si, ma io no. Pensi che sia colpa mia come tutti gli altri, ma Blaine ha detto no!!!-
Santana puzzava terribilmente si alcool.
-Che diamine Santana sei ubriaca! Sono le… sono le cinque del pomeriggio e tu sei ubriaca!-
-Solo un pochino, tanto tu mi odi già che ti importa!- la guardai sconvolta
-Ma che diamine vai blaterando, non so di cosa tu stia parlando!- Scattai a sedere sul letto. Contemporaneamente Santana cercò di sedersi, ma perse l’equilibrio e cascò sul letto –Non lo hai più fatto, non mi hai più parlato da quando ti ho detto che cosa ho fatto. Pensi che la colpa è mia, pensi di si ma no. Pensi come mia mamma!-
D’istinto l’abbracciai, la strinsi forte e lei posò la testa sulla mia spalla. Sentì le lacrime bagnarmi il collo e il respiro accelerato scontrarsi con la mia gola.
-San…- non sapevo cosa dire, per qualche minuto mi limitai ad accarezzarle i capelli e la schiena cullandola, cercando di far funzionare il cervello per farmi dire qualche cosa che non suonasse offensivo, o talmente usato da diventare offensivo o per lo meno un qualsiasi cosa avesse una coerenza logica.
Con una super presa di coraggio cercai di spiegare il perché del mio comportamento.
-Santana, non sono brava con le parole, e di sicuro consolare non è una cosa che mi riesce bene ecco… non sapevo cosa dire, e tu… tu … mi hai detto tutte quelle cose, io non sapevo cosa fare. Io non credo che sia colpa tua, anzi so per certo che tu non hai colpa di niente. So che è difficile e che il senso di colpa non sparisce ma…-
-Sei sicura che non mi odi?- si staccò dal mio collo con la testa, ma rimase totalmente abbracciata a me. Gli occhi erano rossi dal pianto e un po’ (un po’ molto) dall’alcool.
-Non ti ho mai odiato Lopez! Però adesso vai a farti una doccia perché puzzi!-
Si avviò verso la porta, quando si girò e di slancio mi abbracciò e baciò una tempia –Scusa, e Grazie!- 





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Hola! Scusate tantissimo per il ritardo, ma il computer si è rotto, e solo due giorni fa ho avuto i soldi per ricomprarlo. Intanto ho dovuto trascrivere il capitolo che avevo scritto su dei fogli di carta. 
Quando ho iniziato a pubblicare la storia il pc funzionava. Dentro c'erano 12 capitoli già scritti, adesso li devo riscrivere mano a mano e le cose si sono complicate.
Sono a metà dell'ottavo capitolo quindi non dovrei aggiornare troppo tardi. 
Mi scuso ancora per il ritardo! 
Pepper Snixx Heat

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


CAPITOLO 8
 
-Allora Lopez, passata la sbronza?- Santana era venuta in soggiorno con l’accappatoio di Quinn addosso, i capelli bagnati e i piedi nudi. –Ti prenderai un malanno- scosse la testa per negare –No, fa troppo caldo e poi non sarà peggio del mal di tesata. Hai per caso qualche cosa da mettermi addosso?-
Andai in camera e presi alcuni vestiti per lei –Dovremmo darti un cassetto visto che passi tutto il tuo tempo qui, posso liberartene uno dalla cassettiera- vidi Santana arrossire, mi sarei divertita ad infierire ancora un po’ ma decisi di cambiare discorso.
-Raccontami un po’ di Blaine, Rosario!-
Santana scoppiò in una risata –Blaine è il marito di Kurt, Ledy Hummel era al liceo con me e così il suo sottomesso maritino mi ha trovato un buco ad un prezzo di favore. Poi Scherlock è venuto a fare delle indagini e così è nata Rosario-
Le feci la linguaccia –Dai Pierce, sei tu che hai creduto a quella stupidissima storia, imparentata con Penelope? Devo dire che però lo strizzacervelli è stato fenomenale-
Risi anche io –Ero sconvolta da quella storia, ora che ci penso era poco probabile!-
 
Passammo il pomeriggio a ridere e raccontarci aneddoti strampalati e spesso (troppo spesso) imbarazzanti. –Oddio non ho mai riso tanto in vita mia. Non ci credo che l’abbiate fatto davvero, e non ci credo che Quinn vi abbia tenuto in vita-  era il turno di Santana raccontare un aneddoto simpatico sulla bionda. –è stata colpa sua, lo sapeva che io e Puck non eravamo proprio dei santi, ci servivano i soldi-
Continuavo a ridere, Santana e Puck rubarono la biancheria intima di Quinn per rivendersela a scuola, da quanto ho capito il guadagno è stato niente male.
-E così Quinn ha iniziato ad urlarci contro, giuro che non l’ho mai vista così arrabbiata- non appena finì di raccontarmi quell’episodio Quinn e prole irruppero in casa.
-Zia!- quell’adorabile bambina ci saltò in braccio schiacciandoci contro lo schienale del divano e mozzandoci il respiro.
Da brava gnoma quale era iniziò a raccontarci per filo e per segno ogni singolo avvenimento dalle giornata appena passata, e uno stralcio della sera prima perché “io sono andata a letto prima di voi” e ci raccontò anche sogni e incubi.
Dopo che ci raccontò addirittura quanti biscotti mangiò a casa di Rebecca…
-Rechel. La mia insegnante di canto si chiama Rechel, R-e-c-el! Lo vedi non mi stavi ascoltando! Ok, siccome non so bene a che punto ti sei persa diciamo che ricomincio da stamattina-
Lo sguardo omicida di Santana mi fece capire la cazzata di quel che avevo fatto, mai e poi mai sbagliare un particolare, potrebbe avere conseguenze atroci.
Mimai un “ti prego” alla ragazza di fianco a me, Quinn si alzo e porse la mano alla piccola –Tesoro che ne dici di andare a mangiare?- Beth annuì e convinse la mamma di andare a preparare che sarebbe arrivata subito.
Il telefono di Santana squillò  -Scusate- rispose e andò a parlare in bagno o in una delle due camere da letto.
-Zia Britt?- dovevo essermi imbambolata a guardare Santana andare via perché sul musetto Beth aveva un’espressione confusa. –Ehy tesoro, che cosa c’è?- la  bambina scese dalla poltrona e si arrampicò al mio collo con le sue manine. L’aiutai a sistemarsi passandole una mano sulla vita e tirandola su. Le accarezzai la schiena e aspettai che dicesse qualche cosa.
-Beth, piccola, che cosa è successo?- stette per un po’ a riflettere e mordicchiarsi il labbro, dopo aver preso un respiro profondo –perchèpapàseneandatoviadinuovo?- gli occhi strizzati, il pugni chiusi strettissimi che i palmi divennero rossi, la voce squillante e sempre allegra era incrinata dalle lacrime che minacciavano di uscire ma di almeno due toni più alta nel normale.
In quel istante mi ricordò terribilmente Quinn, anche lei la prima che mi parlò di Beth, me lo disse tutto d’un fiato con il corpo irrigidito.
Mi spuntò un sorriso a quel ricordo, ma non appena realizzai ciò che la bimba mi chiese sparì per lasciare il posto ad un’espressione sgomenta e paralizzata. Improvvisamente realizzai che Beth era una bambina e come tale i ciò che era successo nei giorni precedenti doveva sconvolgerla più di quanto avevo pensato.
Beth aveva visto suo padre a casa con lei, che le aveva dato il bacio della buona notte, e lo rivide la mattina dopo, in vesti da casa che preparava la colazione alla sua famiglia.-
-Oddio tesoro! Ehy guardami, il tuo papà è rimasto a cena, ma poi è andato a casa, le mancavi e ha deciso di venirti a trovare- evitai di parlare della colazione, speravo che lasciasse cadere l’argomento “confondiamo il nemico”.
-Ma c’era anche a colazione, ricordi, ha preparato i panckake e mi ci ha messo anche lo sciroppo, quello al cioccolato- “Ouch!”, ormai le lacrime che minacciavano di uscire da quando era salita sul divano stavano uscendo.
-Mi manca il mio papà! Perché non sta più con noi?!-
Singhiozzava e piangeva sonoramente, tremava e avevo paura veramente tanto, aveva il viso rosso e non riuscivo a calmarla.
Dalla cucina Quinn sentì il lamentarsi di Beth e corse a vedere. Santana, anche lei corse intanto che salutava non tanto garbatamente la persona dall’altra parte della cornetta.
Quinn si sedette sul divano e prese Beth tra le sue braccia. –Che cosa è successo?-  lo chiese rivolta alla piccola, ma era evidente che stesse parlano con me. –
-è per via di Puck, mi ha chiesto perché se ne era andato…di nuovo-
Quinn si passò nervosamente la mano tra i capelli, iniziò a parlare con Beth e a coccolarla, prima per cercare di calmarla, poi per spiegarle bene la situazione.
Santana mi tirò per la maglietta e mi indicò, con un cenno del capo, la porta. Prendemmo borse, chiavi e cellulari e uscimmo.
 
 
 
 
Avevamo scelto di cenare in un ristorante aperto da poco, più volte Santana mi fece notare che ristorante era un termine inadatto, per me c’era cibo il che era più che sufficiente. Infondo Hamburger e patatine erano una cena perfetta.
-Vado un secondo in bagno- dopo essermi lavata le mani, mi passai un fazzoletto umido sul viso.
Quando tornai al tavolo, all’angolo vicino alla finestra, Santana stava giocano con le posate. –Ehy, pulito il bagno?- annuì –il cameriere è venuto prima, non mi andava di aspettare poi le ore così ho ordinato, cheeseburger, patatine e insalata va bene?-
-la verdura, giusto per tenerci in salute- ridemmo entrambe.
Come ovvio, la conversazione si indirizzò verso la spiacevole situazione venutasi a creare a casa, -periodo poco piacevole quello di Quinn eh?- Santana consapevole rispose: -già, Beth non aveva ancora dimostrato ancora nessun emozione grossa dalla separazione, e credo che l’altra sera sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, in fondo è solo una bambina-
Scossi la testa sconsolata, -Dici che Quinn se lo aspettasse. Che si aspettasse una reazione di Beth?-  Santana guardò la strada senza vederla, -sapeva era strano che Beth non si fosse espressa, quindi si, credo che si aspettasse qualche cosa, ma non credo che fosse preparata-
Dopo alcuni minuti di silenzio in cui i nostri sguardi vagavano arrivò il cameriere, Cheeseburger e patatine di porzioni colossali –fra poco vi porterò l’insalata- neanche cinque minuti dopo tornò con i nostri due piatti di insalata e due birre, ne stappò una e la mise davanti a Santana, stava per stappare ma lo fermai prima anche l’altra. – Scusi, non la stappi se per favore mi potrebbe invece portare una coca cola- il cameriere annuì e portò via l’altra birra.
-Non bevi? Alcool intendo- Santana finì di bere un sorso della sua birra appena un secondo prima che il cameriere tornò con la mia cola in mano.
Presi la coca dalle mani del cameriere e lo ringraziai. –Bhe, non reggo molto bene l’alcool, diciamo che mi toglie qualsiasi freno inibitorio, al limite del legale così preferisco non rischiare e mi sono data all’analcolico-
Santana ridacchiò, probabilmente immaginandomi in preda all’alcool. –Sai una cosa Lopez? Non ho ancora capito bene che lavoro fai, ha capito che è qualche cosa che ha a che fare con le lingue, ma non ho ben capito nello specifico. Anche perché non ti deve occupare tanto tempo, stai sempre da noi!-  fece una finta faccia indignata portandosi con fare teatrale la mano al petto.
-Per sua informazione signorina Pierce, sono una traduttrice traduco qualsiasi cosa, dai libri ai documenti, la gente mi manda le cose da tradurre e io gliele rimando entro il tempo stabilito, così sto a casa quanto mi pare!- 
La serata scorreva piacevole, era tutt’altro che difficile parlare con Santana, ottima ascoltatrice, e con la risposta sempre pronta.
-e tu com’è che non sei fidanzata? Sono quattro mesi che ti conosco e frequento abitualmente casa tua ma non ho mai visto nessuno-
-Non hai mai visto nessuno perché non c’è nessuno. Fino a poco tempo fa la mia vita era alcool, bar e non  riuscivo a mantenere in piedi me stessa figuriamoci una relazione. Adesso le cose si stanno stabilizzando, ma non esco molto, beby sitter a Beth perché non si dia fuoco ai capelli, beby sitter a te perché non dai fuoco alla casa diventa problematico. In più non ci riuscirei perché tocchi sempre le mie cose e non le rimetti al loro posto, come farei a prepararmi se non trovo la roba!-
Santana mi rispose con una linguaccia, -Antipatica!- scoppiammo a ridere, il volume delle risate si era talmente alzato da far girare parecchie teste nel locale.
-Che ne dici di chiedere il conto e andare via?- annuì.
Chiamammo il cameriere che ci portò lo scontrino.
Mi girai per prendere il portafogli quando Santana, con un gesto decisamente ad una velocità inumana, mi tolse il conto da sotto gli occhi.
-Lascia stare biondina, offro io-
Ero decisamente lusingata da quel gesto –grazie, sei molto gentile- ero imbarazzatissima, il mio colorito si doveva avvicinare al pomodoro, ma anche lei doveva essere arrossita parecchio, perché girò la testa dall’altra parte per nasconderla e sventolò la mano.
-Nah!, sto praticamente vivendo a scrocco a casa tua, e ci sto talmente tanto che volevi offrirmi un cassetto, almeno una cena te la dovevo! Ti va andare un al lago?-
Uscimmo dal locale e il caldo ci colpì –Wow fino a poco fa, nel locale, speravo che una giacca mi apparisse nelle spalle per tutta l’aria condizionata che c’era, adesso mi andrebbe un po’ di venticello fresco!- Santana in effetti portava anche dei pantaloni lunghi, che seppur leggeri le tenevano più caldo che a me.
Ci avviammo a piedi verso il lago. Santana mi raccontò in maniera più approfondita di prima del suo lavoro, di che traduzioni trattava scritte, e che alcune volte aveva fatto la traduttrice simultanea, cosa che odiava perché doveva farsi ripetere le cose.
Santana aveva la parlantina facile, ed era una di quelle persone che era facile ascoltare.
La sua voce era bassa e calda, una di quelle voci che si sentono quando passa una vecchia canzone blues o R&B alla radio. Rimaneva molto roca, ma si aggiungeva una leggera raschiatura che la rendeva ancora più bella. L’atteggiamento strafottente accompagnato da quella voce rendeva Santana un mix di ironia e bellezza.
Parlava lentamente, con pause più o meno lunga tra le frasi. La sua camminata si adattava alla sua parlata, quando faceva le pause in un discorso, il suo passo quasi si fermava.
Era ipnotizzante.
Iniziai a di seguire il senso delle parole e mi lasciai cullare dal semplice suono. Da quattro mesi a quella parte cercavo di capire come riusciva Santana a far calmare Beth con il solo parlare, in quel momento lo capii, non erano le parole che diceva, ma il tono con cui parlava a dettare. Riusciva ad esser rassicurante ed un secondo dopo tagliente, e tutte e due le cose le riuscivano maledettamente bene.
 
-Ferma!- eravamo in prossimità del parco e Santana mi mise una mano sullo stomaco per fermarmi, io sussultai. Ero talmente presa dai miei pensieri che non mi ero resa conto di ciò che mi circondava. Il risveglio però, fu improvviso e piuttosto brusco.
Mi tirò indietro per un braccio, e mi sussurrò all’orecchio –non ti muovere, non un fiato-
-Perché?- chiesi spiegazioni nel modo più silenzioso che potessi. –Pierce! Che diamine quale parte di “non un fiato” non ti è chiara. Comunque ho sentito qualche cosa, e mi sembrava la situazione giusta per una frase da film d’azione.-
Il lago di giorno era frequentato da famiglie che facevano pic-nick, ragazzi che si prendevano pause dallo studio giocando a freesbee e bambini che imparavano ad andare in bicicletta.
Di notte però, come ogni lago che si rispetti, non era il posto più sicuro della città. Innanzitutto, perché essendo un lago e non un parco il terreno circostante non era sempre regolare, fai un passo e ti potresti rompere l’osso del collo.
Solitamente il lago era tranquillo, era proprio in un punto molto frequentato, tra la periferia ed il centro, così di notte i frequentatori preferivano o il parco nel centro, tutto recintato ma con l’entrata libera, così da essere quello meno in vista, oppure il parco fuori città, nel degrado più totale tanto che nessuno neanche di giorno ci andava. In ogni caso era un luogo buio e non era il caso di abbassare la guardia.
-Meglio tornare indietro. Senza. Fare. Rumore Pierce!- alzi gli occhi al cielo e mi girai –AAAHHH- non appena spostai il piede presi una buca e caddi. –Come non detto Jemes Biond!- fu piuttosto evidente che il piano “fai silenzio” non andò a buon fine. –Ben Fatto Pierce, adesso anche i lombrichi e le talpe sanno che siamo qui!- la voce di Santana divenne improvvisamente tagliente e irritante. –Non l’ho mica fatto apposta!-
I rumori che avevamo sentito in precedenza provenivano dal dietro la siepe vicina.
Attirata da quei rumori una ragazza venne verso di noi. –Oddio, mi avete fatto spavento-. La ragazza era asiatica, i capelli neri un po’ arruffati, con delle ciocche più chiare, forse blu. I vestiti un po’ sgualciti.
-Noi?! Noi ti avremmo spaventata? Ma che diamine stavi facendo nascosta dietro una siepe, al lago di notte!?-
Dalla siepe sbucò qualcuno. –Ora è chiaro!- non fu difficile capire che stava succedendo.
Dall’albero dove ero appoggiata non riuscivo a vederlo, capiì che era un ragazzo, forse sul metro e ottanta, dalle ombre doveva essere piuttosto magro.
-San, che ne dici di andare a casa e lasciarli…continuare?-
-Brittany?- d’istinto m’irrigidì, sapevo di conoscere quella voce, ma non riuscivo a realizzarla, ma un senso di inquietudine mi pervase nel sentirla.
Si avvicinò, i capelli neri e corti erano in disordine, la camicia bianca fuori dai pantaloni, abbottonata storta fino a metà e l’altra metà del petto nuda.
-Santana andiamo- mi alzai di scatto, sotto lo sguardo confuso delle due ragazze e stupito e deluso del ragazzo.
Sia Santana che l’altra ragazza spostavano lo sguardo ritmicamente prima su di me e poi su di lui, -scusate un secondo vi conoscete?- la latina non era intenzionata a muoversi, e sicuramente la curiosità di quella situazione prese il sopravvento su di lei.
Presi Santana per il braccio e la tirai, con più forza possibile verso l’uscita, ma aveva i piedi piantati per terra e non si mosse, rimaneva li a guardarmi intontita –Muoviti San- la mia era diventata quasi una preghiera. La tirai con più forza, ma era meno debole di quello che pensavo.
-Brittany aspetta!- il ragazzo fece un passo verso di me, adesso era illuminato anche dalla luce del lampione. D’istino a quel gesto arretrai. –Scusa Mike, scusami davvero tanto-
Santana non appena realizzò quel nome portò velocemente lo sguardo sul ragazzo, notò le cicatrici sul viso, sul petto e sulle braccia. Improvvisamente sul viso di Santana aprì un espressione di consapevolezza.
Lasciai Santana e mi avviai verso l’uscita, ignorando il dolore alla caviglia e gli ultimi strilli di Mike per farmi girare.
Poco dopo, neanche trenta metri dall’uscita del lago sentì una mano che mi passa intorno alla vita e che si fa posto con le spalle e la testa sotto il mio braccio. Santana mi sostenne e riuscì a camminare senza che la caviglia facesse un male cane.
Iniziammo ad andare verso il ristorante a recuperare la macchina, dentro di me maledissi la nostra folle idea di quella passeggiata.
Dopo 20 minuti e parecchie imprecazioni di Santana verso la mia poco collaborazione, mi aiutò a salire in macchina per poi correre a sedersi nella postazione del guidatore.
Non appena sentì sbattere lo sportello di Santana scoppiai in un pianto isterico, mi portai le ginocchia al petto e iniziai a singhiozzare rumorosamente.  Iniziò a mancarmi l’aria e mi si mozzava il respiro, cercavo di prendere ossigeno con la bocca ma era peggio perché il pianto mi bloccava la gola.
Santana era sconvolta e non sapeva che pesci prendere.
Rimanemmo in una situazione di stallo per un tempo che mi parve infinito.
Santana si riprese dal momento di confusione, scese velocemente dalla macchina e passò a velocità luce dalla parte del passeggiero. Facendo attenzione a non farmi cadere, aprì la portiera, mi tenne con la mano fino a quando non decise come posizionarsi. Mi spinse leggermente in avanti e si sedette di fianco a me chiudendo a portiera.  
Ci ritrovammo sedute in quello scomodissimo sedile del passeggero, Santana era schiacciata contro lo sportello e doveva avere il bracciolo conficcato nella schiena, come se non bastasse il mio corpo era schiacciato al suo così da trovarsi come una sottiletta in un panino.
Mi fece girare con la faccia rivolta verso il volante, o meglio mi girò lei stessa verso quella direzione, passò la sua gamba dietro la mia schiena e la piego verso l’alto, l’altra era abbandonata vicino appena sotto il cruscotto.
Quando si fu sistemata per bene, mi fece appoggiare totalmente su di lei, ero ancora molto rigida e piano piano mi fece posare la testa sulla sua spalla, per poi circondarmi la vita con le braccia e stringermi a se.
 
 
Mi tenne in quella posizione finché i singhiozzi non finirono, quando mi fui finalmente calmata, o almeno ripresi il controllo di me stessa, mi strinsi a lei.
Cambiai posizione e mi misi in modo tale da riuscire a far posizionare i nostri corpi in maniera comoda.
Affondai il viso nel suo petto e strinsi la sua maglietta forte fino a farmi diventare la  nocche bianche, piangendo silenziosamente e bagnandole la maglia. Lei mi strinse ancora di più a se per cercare di farmi sentire protetta.
Ci staccammo sono quando il telefono di Santana prese a squillare.
Con una strana mossa ninja riuscì a tirare il cellulare fuori dalla tasca dei pantaloni.
-è Quinn. Le mando un messaggio dopo- mi sorrise e buttò il telefono sull’sedile posteriore.
-Non importa davvero, se lo fai per me non fa niente, magari è importante oppure hai altro da fare. Ti ho già fatto perdere un mucchio di tempo stando qui a piangermi addosso.
Cercai di districarmi da quella situazione –Innanzitutto stai piangendo addosso a me!- Santana cercò di sdrammatizzare riuscendo così a strapparmi un sorriso –Secondo, stai ferma qui e non ti muovere, non ti devi preoccupare per me. Tu hai aiutato me quando c’era il temporale, per ben due volte e io adesso aiuto te. Ne bisogno- così dicendo mi spinse giù con le braccia e mi blocco seduta, vedendo che continuavo comunque a farle forza mi si mise quasi totalmente aggrappata a me così, anche con tutta la forza che ci avrei messo, avrei dovuto spostare l’intero corpo di Santana così mi arresi.
Quando smisi di fare forza , lei si rilassò insieme a me.
-Grazie-
-Non dirlo nemmeno! Quando ti va possiamo tornare a casa-
Non mi andava di tornare, ci sarebbe stata Quinn, che non essendo stupida avrebbe capito che c’era qualche cosa che non andava, o almeno avrebbe notato che zoppicavo e non avevo voglia di dare spiegazioni. A quel punto per educazione averi dovuto chiedere di Beth, e siccome è un argomento che mi interessava, non volevo chiedere solo per educazione, sempre che Beth non fosse in fase iperattiva e volesse giocare invece di dormire.
In poche parole non ce la potevo fare a tornare a casa.
-Possiamo aspettare che le due biondine vadano a letto ? Diciamo più o meno durante la fase rem?- cercai di fare un sorriso tirato. Santana, per fortuna capì all’istante ciò che intendevo.
-Se non vuoi tornare a casa tua stanotte potresti venire da me- lo chiese con n po’ di titubanza.
-Perché tu hai una casa?-
Rise, -Ah. Ah. Ah. Almeno ti è tornato il senso dell’humor! Te lo devo dire sei sempre meno simpatica!- venne da ridere anche a me, ero decisamente più rilassata.
In parte, questo rilassamento, era dovuto al fatto che era passato un po’ dall’incontro con Mike, ma la fetta più grande di merito era di Santana, aveva la capacità di trasformarsi da cucciolo spaurito a wonder woman con la stessa facilità mia di cambiare canale tv.
Con un po’ di fatica e l’intero corpo indolenzito dalla scomodissima posizione, Sanata scese dalla macchina, stiracchiandosi e facendo scogliere i muscoli andò nuovamente al posto del guidatore.
Io mi sistemai meglio sul sedile e misi la cintura.
-Andiamo?- Santana accese il motore –ti va un po’ di musica?- accese la radio schiacciando tutti i bottoni per trovare la frequenza adatta, e dopo averne trovata una che non suonava ninna nanne, partì.
Non facemmo tanta strada, al massimo 7 o 8 minuti.
-Eccoci arrivate!-
“Villette a schiera?”  
-Aspetta tu vivi qui?-
Erano un complesso di villette residenziali, in tutti i giardini si notavano biciclette buttate per terra, giocattoli, altalene e scivoli, casette di plastica, e alcuni anche sull’albero.
La casa di Santana era a due piani, color pastello (forse azzurra) l’erba leggermente più lunga delle altre case e ma profumata, doveva essere stata innaffiata da poco, i fiori nelle aiuole erano estremamente curati. Lillà, narcisi e orchidee da una parte, dall’altra rose rampicati attaccate in parte alla casa bianche.
-Si, vivo qui, lo so l’erba è da tagliare, ma il ragazzino che la tagliava è partito per il college e adesso devo trovarne un altro-
Santana andò avanti fino a parcheggiare la macchina nel vialetto accanto.
Scese dall’auto e andò avanti. Io scesi ma rimasi imbambolata “hai anche la staccionata bianca!”.
-Forza andiamo!- Santana guardò il punto il punto in cui era fissato il mio sguardo, un cancelletto chiuso con il legno posto a formare giglio. –Si lo so, è da ridipingere, prima lo faceva Puckerman, negli ultimi mesi è impegnato quindi ho chiesto a questo ragazzo che cercava un lavoretto, ma adesso è partito per il college. Tu non consoci nessuno?-
Santana era ferma che aspettava una risposta –Dio Brittany che diamine ti prende?-
Il tono brusco di Santana mi risvegliò –Scusa, ma ero convinta che vivessi in un monolocale fatiscente, in un qualche quartiere dimenticato da Dio!- ero piuttosto basita dalla vista della casa di Santana, non mi sembrava il tipo da villette a schiera.
Ignorò il mio commento –Vieni entriamo- Mi condusse verso un secondo cancelletto, molto più semplice. Appena vidi il portico notai anche una seconda cosa! –aspetta nelle sere calde d’estate ti metti sul dondolo nel portico a leggere i classici russi?-
Sanatan mi guardò male –Senti Pierce, fors dovresti almeno aprirlo un libro prima di giudicare!- “colpita e affondata! Una a zero per lei!”
Un sacco di domande iniziarono a balenarmi in testa:
Queste case hanno davvero un prezzo così accessibile?
Questa casa sarà sicuramente abbastanza grande da ospitare Quinn e Beth, perché hanno cercato un altro posto?-
Perché ha una casetta per gli uccelli attaccata alla porta?
Dopo che entrai in casa capì cosa aveva spinto Quinn a cercare una nuova abitazione.
Il FINIMONDO!
ed io che pensavo di essere disordinata”
-Si lo so, è disordinata!-
Ero solo all’entrata e potei vedere l’interno armadio sparso sui mobili, pentole e stoviglie varie erano fuori dai loro scomparti.
-Wow, e Quinn che si lamenta che non metto i piatti nel lavello dopo la colazione!-
Credo di averla messa molto in imbarazzo con dell’affermazione perché cominciò a guardarsi intorno, e spostava lo sguarda in ogni punto eccetto me. Iniziò a balbettare frasi sconnesse passandosi una mano dietro il collo.
-Scherzavo, o quasi. Cercò di riprendersi con una risatina nervosa.
-Dovevo mettere apposto, ma non aspettavo visite ed è l’unico posto che mi veniva in mente per non farti tornare a casa, speravo non te la prendessi tanto per qualche cosa fuori posto!-
Chiamala qualcosina” devo averlo detto ad alta voce e non solo pensato perché il viso di Satana si oscurò –Io ho sonno vado a letto- l’avevo fatta arrabbiare, non ci voleva certo un genio per capirlo, infatti andò su per le scale a passo di marcia.
Io la seguì non sapendo bene cosa fare. Arrivai al piano di sopra giusto in tempo per vedere Santana girare nella seconda porta a destra.
La porta era aperta solo per metà, così bussai e senza aspettare la risposta entrai. La vidi seduta sul letto e mi avvicinai.
-Sei arrabbiata?- negò con la testa. –Nah, sono molto disordinata e so di esserlo.- batté la mano sul materasso e io mi ci buttai sopra.
-Come stai?- Santana si sdraiò di fianco a me con la testa poggiata sulla mano.
Come stavo? Stavo meglio di quello che pensassi, prima mi sarei attaccata ad una bottiglia di Jack Daniel’s fino a non ricordare neanche il mio nome, ma adesso, con Santana che stava vicino a me potevo dire di stare bene nella scala dei miei valori. La serata non aveva preso una piega così brutta.
-Prendi qualche cosa e mettiti a letto – presi i primi calzoncini e la prima canotta che riuscì a trovare e andai in bagno, quando tornai poggiai i vestiti sulla sedia. Santana non si fece tanti scrupoli, si spogliò e tiro i vestiti dall’altra parte della stanza, si mise a letto e strinse forte il lenzuolo.
-Notte!- mugugnò qualche cosa in risposta, ma doveva già essere addormentata.
 
 
 
 
-Brittany! Svelgiati Britt. BRIT!- Santana mi stava scuotendo violentemente. Mi svegliai. Ero sudata e con un forte senso di terrore e inquietudine addosso.
Santana era davanti a me. Traumatizzata, gli occhi sgranati e in pochi secondi deglutì due volte, cercava di farsi forza ma l’espressione sul volto era di puro terrore.
Mi guardai in giro per capire che stava succedendo. Sul comò vidi una radiosveglia, chiusi e riaprì gli occhi un paio di volte per dissipare il sonno. Cercai di mettere a fuoco l’orario: le 3:00. Era notte fonda, eravamo andati a letto solo alcune ore prima.
-Ho avuto un incubo-  non so bene perché lo dissi, volevo spiegare a me stessa e cercare di far capire Sanata, in ogni caso la vidi annuire.
-Lo avevo immaginato. Ti sei mossa molto, poi a scatti continui ti è apparsa sul viso una starna espressione e dopo hai incominciato ad urlare-
-Io…Io…- Poggiai la testa al muro lasciando che il mio battito cardiaco si stabilizzasse.
Santana non tolse un secondo gli occhi da me.
Si schiarì la voce –Vuoi un caffè? Un te? Una camomilla?- annuì e tirai avanti le mai aspettando che Santana mi tirasse su. –Pigrona!-
Scendemmo in cucina, stonava con il resto della casa, era perfettamente in ordine e senza una macchia in giro.
-Dove sono le pentole?-
Riamasi un po’ confusa dalla domanda –Santana è casa tua!- annuì –Potresti darmi un aiuto lo stesso!-
Mi sedetti su una sedia e rimasi a vedere Santana che apriva tutti gli sportelli e il sorriso di trionfo quando trovò quello con le pentole.
-Allora vediamo, ho il te, il te verde, il te deteinato, il caffè, il caffè decaffeinato,  la tisana al finocchio, la tisana ai frutti di bosco una tisana che è li da talmente tanto tempo che non si legge più il nome e la camomilla. A te la scelta!-
“proviamo a dormire un paio d’ore”
-Camomilla- Santa prese la camomilla e la aprì iniziando a sistemare due tazze –La cucina e… come dire… diversa? Dal resto della casa… e…-
-Pulita e ordinata?-
Mi venne da ridere, cercavo una parola adatta ma senza sottolineare i disordine che regnava nelle altre stanza, ma Santana mi precedette. Annuì.
-Quando Quinn andò via, pulì la casa da cima a fondo, la cucina è scampata al disastro perché è zona minata per me-
Mi guardai in giro, nonostante il poco utilizzo era in perfetto stile Santana, sul grigio, elegante ma essenziale.
-Ecco qui- la camomilla fumava, era decisamente troppo calda per la temperatura che c’era nell’aria.
Nessuna delle due parlava, Santana si limitava a giocherellare con i suoi capelli e soffiare meccanicamente sulla tazza già da qualche minuto.
-Allora ti sei rilassata?-
Annuì, ma distolsi lo sguardo come se mi fossi appena ricordata che Santana poteva vedere le occhiaie e gli occhi rossi provati dalla situazione.
-Brit?-
-Ho sognato Mike. Stava ballando, come prima dell’incidente, poi è partita “El tango de Roxanne” e Mike improvvisamente ha preso fuoco, era completamente avvolto dalle fiamme. Quando si sono spente Mike era steso a terra pieno di bruciature e continuava a dire che era colpa mia-
Mi buttai addosso a Santana di nuovo in completa preda dei singhiozzi e del pianto.
Mi mancarono le forze e se non ci fosse stata lei sarei caduta a peso morto. Santana mi sostenne con le braccia e lentamente mi fece scivolare a terra poggiata ad una credenza.
-Adesso ti porto a letto- con una forza che non sapevo possedesse, mi prese in braccio e mi portò in camera.
Appena entrambe toccammo il materasso mi accoccolai su di lei, la testa poggiata sul suo seno, la mia gamba intrecciata con la sua e con il braccio le circondavo la vita.
Le fece lo stesso con me, con un braccio mi circondava le spalle e con l’altro mi accarezzava i capelli.
 
 
 
 
La luce del Sole mi infastidiva,  mi colpiva in piena faccia svegliandomi.
Stropicciai gli occhi e con il cuscino cercavo di proteggermi dalla luce, mi guardai attorno e il mio sguardo cadde sulla radiosveglia: 10:00.
Mi ricordai di essere in camera di Santana, tra una cosa e l’altra la sera precedente non avevo avuto modo di guardarla attentamente.
Il nero era il colore predominante, le tende legate al gancio di un tessuto pesante erano nere, sopra, lasciate aperte, vi erano delle tende finissime di un color rosso acceso.
L’armadio, stesso color scuro, uguale al comò e tutti i mobili della stessa tonalità. L’unico stacco dalla di colore nel mobilio era dovuto ad alcuni spruzzi di rosso che stavano nelle rifiniture e nelle parti più piccole.
Mi sembrava diversa dal primo impatto, il girono prima mi era parsa molto disordinata, in tinta con il resto dell’abitazione.
Mentre mi guardavo intorno, l’occhio mi cadde su un indumento che sbucava dall’armadio, una maglietta blu. Mi stavo per alzare e prenderla per rinfilarla dentro l’armadio, in quell’ordine stonava e mi dispiaceva, quando sentì la voce di Santana.
-Ferma, Ferma, fermafermaferma! Non cadere, Non cadere, noncaderenoncaderenoncadere! Ahi!- la vidi entrare in camera con un vassoio in mano.
-Ehy!- era talmente concentrata a non far cadere niente dal vassoio che al mio parlare sobbalzò, rischiando per un pelo di far cadere il cibo.
Quando le cose smisero di traballare tirò un sospiro di sollievo e gli occhi rientrarono dentro le orbite.
Mi sorrise e quando mi porse il vassoio lo presi e la ringraziai con un sorriso divertito che la fece un po’ arrossire.
-Pensavo avessi fame- mi misi più comoda e sistemai il vassoio sulle gambe. Feci sengo a Santana di mettersi vicino a me.
-Grazie, è veramente carino da parte tua-
Una cosa divertente e tenerissima che avevo imparato di Santana era che quando si imbarazzava, la sua carnagione scura non riusciva a coprire il rossore che le si formava sulle gote. La faccia la girava dall’altra parte per cercare di non far vedere ne il colorito ne ne gli occhi imbarazzati. La mano infine, la muoveva facendo il segno di lasciar stare e con l’aggiunta di un sonoro e timidissimo “Nah!”
-Nah!-
Mangiai in silenzio e mentre la latina mi guardava. Santana indossava una canottiera bianca un po’ sformata e dei micro calzoncini in jeans, i capelli erano raccolti in una coda disordinata.
-Era buono! Devo per caso dedurre che non l’abbia fatto tu?-
-La caffetteria all’angolo fa consegne a domicilio-
Ridemmo entrambe. Finito di mangiare Santana portò giù il vassoio (andando molto più spedita dell’arrivo) dandomi così il tempo di cambiarmi.
Mi alzai e cercai i miei vestititi, li trovai dove li avevo lasciati la sera prima sulla sedia piegati.
Una cosa che notai e che non c’erano i vestiti che Santana portava la sera precedente in nessuna parte della stanza, dedussi così che Santana si era data da fare per sistemare un po’.
Mentre passai vicino all’armadio mi ritornò in mente la maglietta blu elettrico.
Aprì l’anta per rinfilarla –AHAHA!- il mucchio di roba mi travolse.
Santana corse in camera.
-Oh! L’ahi aperto- la faccia della latina era un misto di mortificazione, divertimento e c’era anche un po’ di vergogna.
Mi tolsi la maglietta da sopra la testa e la buttai nel mucchio. –Ora capisco tutto quest’ordine- Santana fece un mezzo sorrisetto. –E devi vedere di sotto!-
-Magari un giorno ci mettiamo e sistemiamo tutta la casa che dici?-
Annuì soddisfatta.
 
*Drin, Drin*
-è Mercedes scusa- risposi, dopo poco chiusi. –Scusa, devo andare, missione di pace e beby sitter-
Santana comprensiva mi accompagnò alla porta. Prima di uscire l’abbracciai e la ringraziai per ciò che aveva fatto il giorno precedente.
-Ci vediamo-
Feci solo qualche metro verso il cancelletto che Santana mi chiamò di nuovo .
-Britt aspetta, mi chiedevo se ti andava di rifarlo. Dico mangiare… fuori…ehm insieme. Magari perché ci va, non perché dobbiamo… sparire da casa-
Ogni parlo che diceva abbassava il tono della voce.
-Mi stai tipo chiedendo un appuntamento? –
Santana fece un passo indietro, impanicata al massimo era una delle visioni più divertenti della mia vita.
-Ehm… no…no…ehm… Nah!- il suo viso poteva essere scambiato per la mela di Biancaneve.
-Ok, qualunque cosa sia ok, sarebbe ok anche se fosse un appuntamento-
Sul suo viso comparì un sorriso smagliante.
-Ti va venerdì?-
Sorrisi anche io –Perfetto!- 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


CAPITOLO 9
 
-Ehy Cedes- con la bambina in braccio Mercedes mi venne ad aprire. –Buongiorno tesoro- varcata la soglia mi stritolò in un abbracciò spaccaossa circondandomi con un braccio solo. –Wow! Devo servirti proprio tanto!- alla nostra risata si unì anche quella di Sam –Pierce! Sei arrivata in tempo, hai scampato un attacco isterico-
Sam stava a casa in paternità, essendo il proprietario del bar non poteva certo tenerlo chiuso per mesi, però si era preso una decina di giorni per stare con la sua famiglia, e in seguito avrebbe ridotto l’orario alla mattina per non perdersi un attimo della crescita di sua figlia. Avrebbe poi assunto dei collaboratori per tenere sotto controllo il bar. Il bar però sarebbe rimasto chiuso fino al lunedì successivo.
Da quello che sapevo si erano divisi i compiti, Mercedes badava alla bambina e Sam faceva la casalinga disperata.
-Allora a che cos’è che vi servo esattamente?- prima di parlarmi mi trascinarono nel salotto e mi fecero accomodare sul divano, Sam andò via e tornò poco dopo con una tazza di caffè nero in mano.
-In realtà, non è che ci servi proprio come baby sitter. Dovresti più che altro fare da supervisore a me e Sam- il biondo annuì con convinzione. –Diciamo- prese a parlare lui – che a parer mio Mercedes è leggermente ossessiva con la bambina!- Mercedes mentre ascoltava Sam, continuava a borbottare parole in risposta al suo compagno.
-Ragazzi l’avete portata a casa solo ieri! Non potete già avere tutti questi problemi, quando crescerà che farete?!- Non sapevo se ridere o piangere data la situazione; avevano portato Norah a casa solo il mattino precedente, mi sembrava decisamente presto per questo genere di problemi, anche se non ne sapevo molto pensavo che si incorresse in ciò solo nell’adolescenza. In più non credevo che si potesse essere ossessivi con un neonato.
-Ok, forse ossessiva non è il termine giusto. Possessiva suona meglio!- la faccia di Mercedes era indignata, e squadrava Sam come se avesse appena definito la Rowling una pessima scrittrice. Sam continuava però la sua battaglia –Sai quanto tempo è stata nella culla? Quella la 1200 dollari che mi hai costretto a comprare?!?!-
La situazione mi si presentava più o meno così: io ero schiacciata nel divano al centro, Sam stava alla mia destra e si muoveva sempre di più per guardare verso Mercedes, quest’ultima alla mia sinistra poggiata contro il bracciolo che cullava incessantemente la bambina.
In tutto questo io ascoltavo ciò che dicevano per niente convinta della mia funzione, anzi totalmente ignara della mia funzione li in quel momento!
Ero persa in queste riflessioni quando la voce di Mercedes mi riportò velocemente alla realtà.
 -è solo una bambina, è una neonata. Da che si ricordi i neonati devono stare con le madri!- il battibecco, si faceva sempre più interessante, tanto che mi sistemai meglio sul divano mettendomi comoda.
La mia amica affermava furiosa che la bambina doveva stare con la madre, che da “tempo immemore” (e qui scoppiai a ridere) era stato così, e non era necessario lasciarla sola.
Sam attaccava dicendo che aveva ragione che Norah doveva stare con sua madre, che era necessario che stessero insieme, ma al contempo stava diventando estremamente possessiva. Non lasciava un secondo di respiro “all’innocente creatura”.
L’accesa discussione era accompagnata da veloci e  improvvisi  cambiamenti di tono e ampi e incontrollabili movimenti delle braccia, possibili grazie alla posizione che avevano preso, uno davanti all’altro in piedi davanti al divano.
Ammettendo anche che avevo solamente 19 anni, sapevo che i bambini dovevano stare con la madre, ma da quel poco che riuscì a vedere non potevo che dare ragione al mio capo. Norah, infatti, stava placidamente dormendo tra le braccia di Mercedes nonostante il trambusto, mi sembrava un buon momento per metterla nella culla, anche perché non credevo fosse un bene tenerla nel bel mezzo di una discussione fomentata e piena di cambiamenti d’umore improvvisi: Mercedes non l’avrebbe mai fatto.
Avrei volentieri bloccato la discussione prendendo le parti di Sam, ma non sapevo che cosa avrebbe scatenato tutto questo così mi limitai a cercare di arginare i danni e trovare un compromesso.
-Ok, ragazzi, calmiamoci. Wow, avete molto da risolvere vedo!- mi alzai in piedi e mi misi in mezzo a loro con le mani vicino all’altezza delle spalle –Cedes, la bambina sta dormendo non credi sia il caso lasciarla dormire sonni tranquilli nella culla?-
Mercedes un po’ stizzita e uno sguardo omicida nei mei confronti, posò la bambina nella culla e rimase in piedi senza muoversi un passo lontano da lei.
-Mercedes, siediti!-
La guardai con occhi duri, e parlai con voce ferma le indicai nuovamente il divano e con un cenno della testa feci sedere anche il biondo. Sam lo fece volentieri, convinto che le cose dovessero cambiare, Mercedes ci mise qualche minuto ma poi, molto titubante lo fece.
-Adesso mia cara amica andiamo a comprare il pane- fece segno di parlare ma le puntai il dito contro e la minacciai silenziosamente di non emettere un fiato. –Andiamo dall’altra parte della strada e andiamo a compare il pane. Sono 5 minuti d’orologio, anche meno in realtà, Norah starà con Sam per quel poco tempo-
Sam era tutto felice e pimpante, quei 5 minuti con sua figlia erano forse l’unica occasione che aveva per stare solo con lei. Mercedes intanto cercava una qualsiasi scusa per non andare, ma più che altro boccheggiava e girava la testa da una parte all’altra in cerca di una soluzione. Ma rendendosi conto che niente avrebbe funzionato, sia alzò e andò verso la porta indignata.
Nel giro di pochi minuti eravamo tornate in casa. Mercedes era corsa a vedere Norah che dormiva ancora nella culla, con Sam vicino che la stava guardando.
-Visto sta bene- Sam le sorrise, e lei lo guardò in maniera più dolce di quanto non avesse fatto nei due giorni precedenti. Sia io che il papà sapevamo che non sarebbe stato così facile, ma il fatto che non l’avesse presa subito in braccio era un passo avanti.
Mi guardò, senza le occhiate di fuoco dell’ora passata –ti va di rimanere a pranzo?- accettai di buon grado sorridendole.

-Ho solo paura che si faccia male,  è così piccola- non potevo dire di sapere cosa provava Mercedes in quel momento, ma riuscì a comprende la teoria di ciò che provava. Le accarezzai la schiena per cercare di consolarla in qualche modo.
-Dai andiamo a cucinare!-
Diede un ultima occhiata a Sam e Norah, e cercò di capire se il suo compagno fosse pronto per essere lasciato solo con la figlia, e dopo aver valutato (presumibilmente bene) venne in cucina.
 

 
 
-Allora che mi racconti Pierce?- mi sedetti sopra il tavolo, e accettai la cola che mi passò –Non so, ma niente di che! Casa, casa, casa, almeno finché il tuo uomo non si decide si alzare le chiappe dal divano e riaprire il bar! Per inciso, io non cucino!-
Scoppiammo entrambe a ridere. Mercedes iniziò col prendere pentole e padelle varie, e gli ingredienti.  –Lo so che non cucini! E comunque dovresti trovarti un fidanzato e farti una vita sociale.-
La risata che era iniziata prima non si fermò a quel commento, anzi si alimentò anche di più, soltanto che, al contrario di Mercedes che rideva di gusto, la mia si era trasformata in una risata finta.
Ripensai all’appuntamento di venerdì (o quello che era, uscita, incontro quello insomma), Santana me lo aveva proposto e io avevo accettato, non sapevo cosa pensare di quell’uscita, una serie di domande si affollavano nella mia testa confondendomi. Ogni cosa successa mi sembrava ricollegata al fatto che Santana si era finalmente aperta con me, e non sapevo se era una cosa che potevo raccontare a Mercedes, così oltre ad essere confusa ero anche indecisa se parlare alla mia amica o stare zitta.
Avevo assolutamente bisogno si sfogarmi con qualcuno, così mandai al diavolo paranoie e dubbi e sputai via tutto.
-In realtà avrei una specie…emh una specie di appuntamento tipo…venerdì-
La mia amica lasciò cadere il coltello a terra, sbarrò gli occhi e aprì la bocca stupita, penso che per qualche secondo non abbia neanche respirato.
-O.Mio.Dio! Con chi? È carino? Studia? Oppure lavora? È maggiorenne? Che macchina ha? Oddio è ricco?- Ho sempre adorato il suo entusiasmo, però adesso inizia a spaventarmi un poco.
-eeeh! Santana, l-lei mi h-ha invitato questa mattina e-e io ho accettato- mentre lo dicevo andai verso il frigo e presi un’altra lattina di limonata “diamine è la cosa più forte che posso bere”.
Ci fu qualche secondo di silenzio dopo la mia frase, l’unica cosa che lo spezzava era lo sbattere del frigo e il gorgoglio della bibita.
-AAAAAHHHHHH! Che cosa carina! Sarete una coppia adoarbile!- mi andò di traverso la bibita, e tossì un paio di volte. –Andiamoci piano, è solo un uscita, neanche tanto ben definita- Mercedes era evidente che avesse ignorato la mia frase, però me ne fregai e riportai il bicchiere alla labbra, sperando di bloccare il bruciore dovuto alla tosse. –Avrai dei figli ispanici!-
Sputai interamente la limonata su tutto il pavimento, e mi si rovesciò la lattina così da aumentare il volume. “ma che cazzo!”.
Sam arrivò in cucina con una Norah mezzo sveglia e mezzo addormentata in braccio, -scusate se mi intrometto- dal sorriso che mi fece sperai che avrebbe preso le mie difese e avrebbe zittito Mercedes –Magari sarà Santana ad avere dei figli biondissimi!- mi sbagliavo.
Rimasi piuttosto interdetta da quel piccolo scambio di battute.
Norah si era svegliata del tutto, e Sam la andò a cambiare, così era arrivato alla parte finale della discussione, ma aveva comunque voluto dire la sua.
Mercedes invece era tutta contenta delle sue affermazioni e ipotesi sul mio futuro sentimentale, canticchiava mentre puliva i miei sputi di limonata in giro per la cucina.
In tutto questo io ero nel bel mezzo della cucina in uno stato semi cosciente che cercavo di realizzare cosa effettivamente fosse successo.
Qualche minuto dopo mi risvegliai dalla mia posizione –Ehy! È solo una dannata uscita!- Sam rimetteva i piedini di Norah dentro la tutina, e Mercedes si prestava a riprendere a cucinare.
 
 

 
Mi sedetti in una sedia e improvvisamente realizzai di avere un appuntamneto.
Con Santana.
Venerdì.
-NON HO NULLA DA METTERMI!-
Sam e Mercedes sghignazzarono, lanciandosi occhiate divertite. Mercedes osò il mestolo su una ciotola vicina e mi guardò attentamente. –dimmi Britt, quanto è importante per te questo appuntamento?-
“Oddio e adesso che cosa centra?!” io ero già nella fase panico pre-appuntamento e lei se ne veniva fuori con queste uscite. Avevo solo quattro giorni per prepararmi psico-fisicamente, e lei se ne usciva con queste domande pseudo-filosofiche.
-Che cosa centra! È un uscita come un uscita.-
Mercedes abbassò il fuoco della pentola e si assicurò che tutti i fornelli e pentole fossero apposto, quando ebbe finito scoccò un occhiata a Sam e gli fece cenno di andare in soggiorno. Lui annuì e si portò dietro la bambina.
-Brit, la domanda non è difficile, quanto ci tieni a questa uscita? Quanto vuoi che vada bene? Spara un numero da uno a dieci-
Continuavo a non capire la domanda, mi sforzavo, ma non riuscivo ad afferrare ciò che la mia amica mi voleva dire. –Non lo so, 5?- non sapevo che rispondere e tirai un numero a caso, una via di mezzo per non sembrare troppo eccitata neanche troppo delusa. Mercedes fece un mezzo sorriso ironico -5 Brit? Sul serio solo 5?- sospirò e cambiò posizione sulla sedia –Brit per questo appuntamento hai due scelte: la prima è quella di aprire quell’enorme armadio che ti ritrovi e pigliare i primi paio di jeans e una semplice maglietta magari neanche stirati e portala  in un fast food-
Spostando la testa di lato e assicurandosi che fossi presente nella conversazione continuò –oppure la seconda scelta: tu mi lasci chiamare un mio amico, modaiolo e guro di moda e romanticismo che ti prepara ad un appuntamento da sogno. Cenerai in un ristorante elegante al lume di candela con una Santana spendente, magari con indosso un abito perfetto per l’occasione-
Detto ciò battere le mani e riprese in mano le redini della cucina. Si alzò e tornò ai fornelli, senza però distogliere lo sguardo da me.
-è una stupidagine. Passeremo soltanto una giornata diversa- Cedes annuì assolutamente non convinta della mia affermazione. –Mi prendi quel vassoio per favore? Oggi a pranzono vengono i fratelli di Sam per stare un po’ con Norah, dovresti stare attenta alle avance di Chris-
Andai verso la credenza dall’altra parte della stanza, e presi un grande vassoio rosso con i manici in legno, lo tirai su per avere la conferma che fosse quello giusto e non appena la ebbi avuta chiusi tutto e tornai indietro.
-Da tre a quattro mesi a questa parte le nostre conversazioni sono cambiate. Erano già cambiate prima, quando sono rimasta incinta per esempio, e da allora è rimasto un punto fisso nelle nostre conversazioni, il punto è sai qual era l’alternativa?-
Mi guardò con la coda dell’occhio mentre scuotevo la testa, - No sul serio te lo dico io: Santana, le nostre conversazioni oscillavano tra l’attuale Norah e Santana-. Alzò la mano destra per indicare Norah, spostando lo sguardo verso la mano e lo stesso fece con la sinistra per indicare l’ispanica.
-Inizialmente, le prime volte in cui veniva fuori l’argomento (immagino le prime volte che tu hai interagito con lei) era tutto un “Santana è cattiva” “Santana tocca sempre le mie cose” “quell’antipatica di un’ispanica” dopo qualche settimana le cose sono cambiate è diventato un “Io e San siamo andate lì” “io e San abbiamo fatto questo”  abbiamo fatto questo, quell’altro di su, di giù San, San San, e sottolineerei nuovamente il San-
-Mha..mah N-non è-è assolutamente vero!-
La sua espressione divenne leggermente inquietante –negazione! Un classico. Brit pensaci, non lo dico per me figuriamoci, lo dico per te- abbassò gli occhi e prese un respiro profondo consapevole sta stava per toccare un tasto molto dolente – Tesoro hai passato la tua vita dedicandoti alla danza, hai sempre detto e pensato che ci sarebbe stato tempo quando la tua carriera era decollata o finita. Hai passato il liceo passando da un ragazzo ad un altro, una serata con una ragazza qua, una la, nessuno di loro è durato più di una settimana, escludendo Jermey , ma erano comunque solo quattro mesi- si fece un respiro ancora prima di continuare –forse, sai, magari sarebbe il caso che tu cominciassi anche a pensare che cosa ne sarà della tua vita, magari pensare che forse una persona vicino a te non sarebbe male, no?-  stavo per ribattere ma il suo sguardo mi fece zittire – Prima che tu dica qualche cosa. Provaci, provaci con Santana, magari ti aiuterà a sbloccarti. Hai quattro giorni per pensarci, e capire se ti piace, sarebbe così male?- 
Sia il suo sguardo chela sua voce si fecero più dolci.
-Scusa, ma devo andare. Non vorrei disturbare oltre visto che arriveranno anche i parenti di Sam- mi alzai e mi diressi verso la porta molto velocemente. –Dai Brit, non fare così torna indietro!- ignorai i suoi ripetuti richiami e me ne andai via.
 
 

 
Andai verso casa il più velocemente possibile, quasi di corsa.
Non aspettai l’autobus come all’andata, andai a piedi e mi resi conto che in fondo non ero molto lontana dal quartiere residenziale di Santana. Forse erano un paio di vie di distanza. Tanto per curiosità presi la via che mi avrebbe portato verso casa della latina, allungandomi di qualche minuto, in fondo non era così tardi.
Arrivata all’inizio della strada di San rallentai il passo, approfittai di un nascondiglio che mi procurava un suv parcheggiato poco più avanti.
Santana era fuori nel giardino, mentre con un piccolo mazzetto di fiori sradicato, ancora di pieno di terra e anche qualche filo d’erba, lo stava scuotendo vivacemente davanti ad un ragazzino di 15 o 16 anni. Decisamente terrorizzato. Una parte del prato, quella in fondo vicino alla casa, era stata tagliata, immaginai che quel ragazzo fosse il sostituto giardiniere.
Dopo aver finito la scenata tornò dentro sbattendo violentemente la porta, credo che il rimbombo si sia sentito in tutto il vicinato. Quel ragazzo abbassò la testa sconfitto, riprendendo il suo lavoro.
Spostai lo sguardo dal ragazzo alle casa, cercai una finestra aperta che mi lasciasse sbirciare all’interno, ma erano chiuse, eccetto quella del piano di sotto, ma non si riusciva a vedere niente per via del Sole e dell’altezza.
Mi avviai nuovamente verso casa, appena fuori dalla strada di Santana ripresi la mia corsa.
 

 
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Ci sono dei momenti nella tua vita, che il cervello inizia  a lavorare, lavora, lavora e lavora. Lavora talmente tanto e a una velocità talmente sostenuta che improvvisamente sembra che il tuo cranio sia vuoto. Lavora talmente tanto e talmente velocemente che sembra non farlo, annullando tutti i pensieri che lui stesso manda.
In quel momento il mio cervello si trovava in quello stato: aveva fatto le valigie e appeso il cartello torno subito! E poi chissà se sarebbe tornato.
Mercedes, Santana, Quinn, Santana, Puck, Santana, Sam, Santana, Beth, e  indovinate… Santana!
Ognuno di loro mi mandava a mille il cervello, ognuno con qualche cosa di diverso da dirmi, consigli da darmi. Io cercavo con tutte le mie forze qualche di spingere via tutto, cercavo disperatamente di allontanarli, sfortunatamente senza successo.
E le cose aumentavano se ci si aggiungeva mamma, Santana, papà, Santana, Artie e Mike, come stava Mike?
Ogni qual volta che pensavo ai miei amici mi tornavano in mente le immagini dell’incidente, mi si paravano davanti e non riuscivo a mandarle via. Il dottore lo definiva trauma da shok. Ma credo che la definizione di senso di colpa si addica meglio alla situazione.
Per tutta la vita, noi tre (io, Mike e Artie) avevamo basato la vita sul ballo, solo e solamente su quello, sul sogno di ballare nei più grandi teatri del mondo: New York, Londra, Parigi, Roma, Mosca, e altri tanti altri ancora. Ma adesso? Per un mio errore la loro vita è stata sgretolata e distrutta. Mi avrebbero mai perdonata? Forse aveva ragione Mercedes che mi diceva di perdonare me stessa?  E ciò che diceva sul fattore sentimentale?
Per tutta la mia vita avevo sempre considerato le relazioni un gioco, un divertimento, forse un trofeo, ma cosa ci si poteva aspettare da una ragazzina del liceo?
Adesso però? Se fosse arrivato il momento di prendere in mano la mia vita? Se fosse il momento di non vedere più le relazioni come un gioco?
Se fosse il caso che mi apra con altra gente? Per esempio se mi aprissi con Quinn?
Quella biondina mi era piombata in casa, mi sentivo in dovere di aiutarla, lei mi aveva risvegliato, non ero più rinchiusa nei miei rituali perché lei e Beth avevano dato uno scossone alla mia vita. Mi sentivo in dovere di aiutarla. Vedevo come era stata forte, aveva cresciuto Beth molto meglio di come avrebbero fatto genitori che volevano dei figli. Avrei voluto avere un briciolo di forza e coraggio che aveva lei.
Ci sarei davvero riuscita?
Santana?
Santana era quella che mi creava più problemi, era lei che mi affollava la testa di domande.
Mi piaceva davvero?
Era soltanto un uscita quella di venerdì?
Se sarebbe andato tutto bene, cosa sarebbe successo dopo venerdì?
Sarei mai riuscita a stare vicino a Santana durante i temporali?
Sarebbe mai stata felice?
E io?
Era una domanda che mi ero posta spesso, io in tutto questo che ruolo avevo?
Troppe domande mi si affollavano in testa, e io non avevo la risposta.
 
 
Quando arrivai a casa, sperai di trovare quel terremoto di Beth, magari di buon umore e abbastanza rompiscatole, così da costringermi con tutti i mezzi a sua disposizione a giocare con lei, ma quando misi piede in casa il silenzio era regnate.
Le chiamai entrambe più volte a squarcia gola, girai per la casa entrando anche più volte nelle camere per assicurami che non fossero li. Tornai in cucina, ormai abbastanza sicura che Quinn avesse portato Beth a giocare al parco, anche se con quel caldo a quell’ora non credevo fosse una buona idea. Sperai però che avesse lasciato qualche cosa da mangiare.
Sul frigo c’era una busta attaccata con una calamita a forma di stella.
X BRITTANY accanto a quella un'altra, X SANNIE.
Presi quella con il mio nome, e andai in salone, La aprì e presi i due fogli all’interno. Mi misi comoda sul divano e aprì i fogli.
La grafia di Quinn era esattamente come la immaginavo, le somigliava diciamo. Era elegante e sobria, senza fronzoli vari, giusto una leggera piegatura verso destra. Scriveva fittamente lasciando però il giusto spazio tra una parola e l’altra.
 
Brit,
Ok, è forse un po’ impersonale iniziare così ma credo che sia l’unico modo giusto per cominciare.
Beh da dove comincio, partiamo da Beth, lei aveva un grosso problema, la separazione non è stata facile neanche per lei, lo sapevo bene, ma sembrava averla presa meglio del previsto. Ma aveva soltanto nascosto il problema, e io non me se sono preoccupata più di tanto.
Ho cercato di spiegarle cosa stava succedendo, non mi ero presa la briga di farlo prima, ma lei lo ha capito, ha capito ma non per questo ci soffre meno. Però inizierà a metabolizzare meglio, spero. È una bambina così intelligente, sono molto orgogliosa di lei.
Ha capito che ci sono dei casi nella vita in cui ci ritroviamo in delle situazioni che non vorremmo, ma che capitano e noi non ci possiamo fare niente.
Ci ho messo un bel po’ a calmarla, ma alla fine è riuscita a mangiarsi un intero gelato a due gusti senza singhiozzare.
Quando l’ho messa a letto erano le 8, quel pianto è stato sfiancante per lei. Però dopo che le ho dato il bacio della buona notte, lei era ormai in dormiveglia ma mi ha detto “sorridevi di più con papà sai?”
E vero.
Sorridevo sempre, per ogni piccolo gesto. Sorridevo quando Puck prendeva in braccio Beth, quando giocavano insieme, quando in uno dei suoi momenti di spirito mi faceva ballare sotto lo sguardo divertito della bimba.
Quando mi vedeva stanca, decideva che era ora di darsi da fare ai fornelli e cucinava una cenetta con i fiocchi.
La musica di sottofondo.
Il mio Noah.
Sono sempre stata l’unico a chiamarlo così.
A quel punto mi sono domandata: Perché?
Perché l’ho lasciato? Perché ho pensato che stava sbagliando? Perché non gli ho dato nessunissima possibilità?
Non ho dormito oggi, ieri, insomma non ho dormito e basta. Sono rimasta a pensare tutta la notte.
Io non sono mai voluta stare con Puck. Quando è nata Beth, o meglio quando sono rimasta incinta, siamo finiti insieme, punto e basta. Non si è stati tanto a pensare, ma è sembrata la cosa da fare.
Bhe questa situazione mi stava stretta.
Mi è stata subito stretta, tutto mi ha iniziato a stare stretto da quando sono rimasta incinta.
Non fraintendermi, amo Beth. La amo con tutto il mio cuore, però c’è sempre stata quella piccola sensazione dentro di me che mi perseguitava. Quella che mi chiedeva come sarebbe stato se avessi preso delle decisioni diverse.
Io ricacciavo indietro questi pensieri, ma ogni volta che Noah tornava a casa tornavano sempre più forti, ogni volta che andavo a prendere Beth e gli altri genitori commentavano la mia età.
Così ho colto l’occasione quando mi si è presentata. Ho scoperto di Noah e ho riavuto la mia vita, in questi quattro mesi ho vissuto una sorta di libertà da quella vita tanto sbagliata per me.
Non mi è piaciuta.
Mi sono attaccata a questo vecchio rancore, e non ho lasciato spazio hai sentimenti che avevo per lui.
È iniziato a mancarmi, tutte le mattine mi lasciava un messaggio sul frigo, anche se avevamo litigato mi diceva ti amo tutte le notti prima di dormire, e se andavo a letto dopo di lui mi lasciava un post it sopra la sveglia.
Ho realizzato che ho fatto una delle cazzate più grandi della mia vita.
Così ho deciso di prendermi un paio di giorni per pensarci, forse anche più di un paio. Però non posso stare qui, non a contatto con tutto ciò che ho vissuto.
Così ho fatto i bagagli e siamo andate in campeggio. Staremo via una settimanella forse, forse di più, forse di meno, in tempo che mi serve per mettere apposto le idee.
Scusa se questa lettera è un po’ confusa, ma l’ho scritta di fretta, molto di fretta.
              Baci Quinn
P.S. Potresti dare l’altra lettera a Santana? Grazie.
 
 
Posai la lettera sul tavolino davanti al divano, vicino alla busta vuota e l’altro foglio della mia lettera.
Tornai in cucina e presi la lettera destinata a Santana, mentre tornai in salotto notai che all’interno c’erano sicuramente più fogli che nella mia, forse era per quello che era tenuta da due calamite.
La posai vicino al foglio che avevo già letto della mia lettera.
Presi l’altro foglio e lo aprì, scritto con la stessa elegante e inclinata calligrafia di Quinn. Ripresi la mia precedente posizione e mi rimisi a leggere.
 
 
Ok, parto subito col dirti che non sono certa di avere acquistato il diritto di dirti ciò che ti sto per dire perché comunque sia quattro mesi sono pochi. Però me ne frego altamente e spero che leggerai lo stesso la lettera.
 
 
“Cominciamo bene” ero estremamente sicura che se avessi saputo l’argomento di quella lettera, o a grandi linee cosa c’era scritto non l’avrei voluta leggere. Avrei voluto alzarmi e buttarla via. Ma spesso la curiosità prende il sopravvento sopra le persone e così mi dissi che dovevo andare avanti.
-Caffè!- lo dissi ad alta voce. Quando arrivai in cucina avevo ancora la lettera in mano, e la feci cadere malamente sul bancone. Mi versai una tazza di caffè e il brontolio dello stomaco che avevo ignorato fin ora tornò più forte di prima e mi fece ricordare che non avevo ancora pranzato.
Controllai nel forno sperando che Quinn si fosse ricordata delle mie non-tanto-eccellenti doti culinarie. Quando lo aprì trovai dentro una teglia di pasta al forno.
“sia lodata Quinn Fabray! Ma quando diavolo aveva fatto tutte quelle cose” Il pensiero del cibo mi fece però mi fece dimenticare presto la domanda. Ne tagliai un pezzo e lo misi a riscaldare per un paio di minuti nel microonde, intanto che aspettai preparai sul bancone tutto l’occorrente per mangiare.
Quando fu tutto pronto sedetti sullo sgabello e iniziai a mangiare continuando però a leggere la lettera.
 
 
Senza tanti giri di parole che servirebbero solo a far perdere tempo ad entrambe andrò subito al punto: volevo parlarti di Santana.
Vorrei chiederti di starle vicino, ci sono un sacco di cose da sapere di lei e sicuramente non te le racconterà mai tutte. Può raccontarti la sua storia, ma rimarrà in superficie limitandosi ai fatti.
Sappi che c’è di più. Con lei c’è sempre di più.
Per lei c’è stata un evoluzione continua, andava sempre più giù cercando di essere sempre più forte realizzando ad un certo punto che era caduta, che non si sarebbe rialzata tanto facilmente.
Ha dovuto affrontare tanto, e la paura dei temporali è soltanto l’ultima tappa del percorso, quella da cui ne è uscita più distrutta certo, ma non l’unica.
Se vuoi, ti racconterò tutto di Santana, tutto ciò che conosco. Si arrabbierà talmente tanto che probabilmente questa futura e ipotetica litigata sarà l’ultima conversazione che avremmo, ma… hai presente quando hai quella sensazione che è la cosa, è l’unica cosa giusta da fare? So che questa è la cosa giusta da fare.
Una cosa che non farà scatenare quella furia latina così tanto però c’è.
Piaci a Santana, le piaci, le piaci piaci, le piaci piaci tanto tanto!
Tende a non aprirsi con le persone, si chiude a riccio e devi aspettare un miracolo o tirarle fuori le cose con delle tenaglie.
Però c’è una cosa che si può capire dal suo comportamento, che non si sarebbe presa il disturbo di infastidirti fino allo sfinimento, rompere le scatole talmente tanto che ad una persona che le resta del tutto indifferente. Le soluzioni erano due, l’altra è che ti odiava, ma non avresti retto ad un confronto diretto con Santana-Satana-Snixx-TiOdio-Lopez.
Conoscendo poi la mia fastidiosa amica si è già fasciata la testa prima romperla. Si è fatta tutta una filippica mentale su un qualche ipotetico appuntamento, e tutta un’altra serie di situazioni che neanche esistono… ancora.
E poi credo di aver visto Santana più volte a casa mia in tua presenza che quando non c’eri!
Ma tralasciano la mia amica, c’è una seconda persona in questa storia. Oltre alle persone di contorno.
Tu.
Ormai tutte le persone che ti conosco e che frequenti sanno che anche a te piace Santana.
Sai come esordivi agli inizi della nostra coabitazione verso Santana? “Che antipatica!” “Quell’ispanica” “Dio ma è sempre tra i piedi?” “Sono certa che bari a monopoli”
Non so bene quanto passo che le tue argomentazioni cambiarono, dopo averla frequentata divennero:
“Oggi San ha fatto questo e sono morta dal ridere”
“Andrò qui con Santana”
“Ha ho battuto Santana a Monopoli!”
Che per inciso, nessuno batte Santana a monopoli, è lei a farti vincere.
In realtà riflettendoci bene, Santana era a casa la maggior parte delle volte in cui non c’ero io.
Tornado al punto focale della situazione, ti sei abituata a vedere Santana al tuo fianco.
So che tu in questo caso sei come lei, cocciuta e problematica, ti faresti mille problemi mentali e non ne caveresti un ragno dal buco. Non farai un passo verso Santana, anche se è effettivamente ciò che vuoi.
In ogni caso pensaci, sarebbe così male uscire con Santana?
 
Un po’ mi venne da ridere, se solo Quinn avesse saputo gli avvenimenti delle ultime ore, forse sarebbe rimasta sconvolta e le sue sicurezze sarebbero decisamente cadute.
Se solo avesse saputo dell’audacia di Santana (se così la si poteva chiamare) nel chiedermi di uscire per un appuntamento quel venerdì e la mia naturalezza nel dire si, nel scherzarci sopra anche… Sarebbe sicuramente rimasta molto sconvolta.
 
Lasciati andare Britt…
 
La lettera continuava con una serie si esempi, si spinte ad opera di convincimento di quel che sarebbe dovuto essere un inizio con Santana.
Quando la finì di leggere alzai gli occhi e fissai l’altro lato della cucina. Andai in salone e rimisi entrambe le lettere dentro la busta bianca.
Presi un respiro profondo –PERCHE’ DIAVOLO ONGI PERSONA CHE CONOSCO SI è INTERESSATA COSì IMPORVVISAMENTE ALLA MIA VITA SENTIMENTALE!-  così sbottai buttandomi sfinita sul divano.
Ciò che Quinn aveva scritto nella lettera somigliava molto, forse fin troppo, a ciò che mi disse Mercedes, e iniziai a chiedermi se non avesse ragione sul serio.
Passai il pomeriggio con la tv accesa, i programmi passavano indisturbati tanto non la stavo seguendo neanche, piuttosto fissavo il vuoto.
Pensavo.
Stavo pensando più in quei pochi giorni che in tutto l’arco della mia vita, e sicuramente non era un bene.
Ero arrivata a due conclusioni: mal di testa e confusione psichica.
L’unica cosa che feci fu quella di mandare un messaggio dicendole di passare a prendere la lettera. 




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Volevo veramente ringraziare chi segue questa storia. Spero che mi facciate sapere che ne pensate...

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


CAPITOLO 10
 



-Ma chi diamine è a quest’ora!-
Da dieci minuti, il campanello, il telefono fisso e il cellulare squillavano costantemente, ininterrottamente, incessantemente. Una tortura psicologica direi. Inizialmente lo ignorai, o almeno cercai di farlo, ma era diventato talmente fisso e assillante da assomigliare ad un martelletto nel cervello.
Mi alzai il più velocemente possibile, e andai spedita verso la porta d’ingresso.
 –Che diamine volete!-
Spalancai la porta e ringhiai contro a qui poveri disgraziati che erano capitati a tiro, che poi tanto poveri non erano visto che mi avevano svegliato, però cercai di essere minacciosa mostrando i denti e socchiudendo gli occhi, ma a detta loro sembravo un cucciolo spaurito più che una minaccia.
- Ciao tesoro. Siamo qui per aiutarti!-
Mercedes, Sam e la loro piccola figlia Norah (addormentata nella carrozzina) fecero irruzione in casa mia. Rimasi leggermente interdetta dalla situazione. Mi sorsero due domanda: per prima cosa mi chiedevo se fosse normale che la bambina dormisse così tanto, forse era perché così piccola. La seconda era, cosa diamine ci facevano quei tre a casa mia.
-Ehy! Cosa diamine ci fate voi due in casa mia?! Tre anzi!-
Si erano accomodati in cucina, Mercedes aveva preso posto seduta nello sgabello all’angolo, e la vidi scrivere su uno dei fogli con i coniglietti ai margini di Beth. Sam, più pratico (e utile) si faceva largo tra pentole e fornelli.
-Immagino tu non abbia ancora fatto colazione!-
Addolcì un po’ lo sguardo verso Sam e annuì, mi sedetti vicino a Mercedes, ma lo sguardo cercò di tornare minaccioso.
Intanto aspettavo Sam che mi serviva la colazione, davanti a me mi apparse come per magia un tazza di caffè fumante (chi se ne frega del caldo, il caffè deve essere sempre bollente).
Stava già mettendo le uova strapazzate e il bacon di Quinn sul fuoco.
-Perché intanto che aspetto la mia colazione non mi illuminate del motivo per cui siete qui?-
Mercedes fece un cenno con la testa verso la parete, mi sporsi per vedere meglio ma non capii che cosa fosse  ciò che mi indicava, vedendo la mia difficoltà Sam venne in mio soccorso.
-è Venerdì!-
Riguardando il muro notai che effettivamente c’era appeso il calendario. Annuì consapevole di che giorno era, ma non riuscì a ricollegare la loro presenza. Non fu necessario però chiedere niente perché la mia faccia parlava da sola.
-Gesù Brittany, oggi è venerdì hai l’appuntamento con Santana!-
Scossi la testa, me ne ero dimenticata, ma la loro presenza e le loro facce mi mettevano ansia e anche una certa inquietudine.
Mi girai verso la colonna dove c’era l’orologio: 7:30.
-Voi…Voi… mi avete svegliato alle sette e mezzo del mattino? Voi piccoli psicotici mi avete svegliato alle 7 e mezzo del mattino per uscita che ho fra.. fra un secolo?! Ma che caz… Siete matti!-
Mentre continuavo a inveire in tutte le lingue che conoscevo contro di loro, senza smettere un secondo di urlare, Sam mi cercava di dire che erano le 7 e trentacinque, ma una mia occhiata complice del fatto che anche così non avrebbe aiutato la sua situazione si zittì all’istante.
Appena finì il fiato mi defilai dalla cucina e andai a ributtarmi nel letto, senza occuparmi di fare la padrona di casa ospitale.
 
Quando smisi di avere paura della coppietta felice e mi convinsi che non sarebbero venuti a recuperami, proprio nel momento in cui credetti che avrebbero smesso di impicciarsi, dei passi, sincronizzati e demolitori si fecero sentire.
-In piedi-
Non era un consiglio o un suggerimento, dal tono autoritario con cui venne detto conclusi che era decisamente un ordine, il mio senso di ribellione però si fece vivo in quel momento e rimasi distesa nel letto. Mercedes mi prese quasi di peso e per poco non mi fece finire faccia a terra.
-Spero per te che tu sia preparata per questo appuntamento, tipo sei andata dall’estetista? Dal parrucchiere? I vestiti e ripeto i vestiti? –
Sbuffai e grugnì, forse, anzi sicuramente, più sonoramente di quanto fosse effettivamente necessario, ma volevo e speravo che il concetto fosse chiaro.
-Sono già stata ad un appuntamento prima d’ora sai?-
Mercedes lasciò la presa delle mie braccia, e incrociò le sue, in contemporanea alzò un sopracciglio.
-Ti devo ricordare come è andato il tuo primo appuntamento?-
 
 
Mia madre era più eccitata di me quella sera.
Avevo quattordici anni e avevo iniziato il liceo da sole due settimane, il ritmo più frenetico, i compagni più grandi era tutto molto diverso e io non mi ci ero ancora abituata. Per fortuna ero riuscita ad entrare nella squadra delle cheerleader grazie all’aiuto di Mercedes Jones, una ragazza che conobbi all’iscrizione al Glee club della scuola, le Nuove direzioni.
Compagni con cui andavo d’accordo adesso erano dall’altra parte, gli sfigati che si beccavano in faccia granite e gite non richieste nei cassonetti.
Per fortuna questa sorte non toccò ne a me, ne ai miei più cari amici, Mike e Artie.
Mike riuscì ad entrare nella squadra di football, era una riserva, ma per essere una matricola non era niente male. Artie invece divenne subito importante, battitore nella squadra di baseball, aveva già vinto per tre anni di fila i campionati con la scuola media, e prima spiccò nella squadra pulcini.
Appena formate le squadre i vari coach sportivi (compresa l’allenatrice Sue Sylvester, la coach delle cheerios) organizzarono una festa pomeridiana per dare il benvenuto alle nuove reclute (o vittime dipende dai punti di vista) e per dare il ben tornato ai veterani della squadra (gli intoccabili e le nuove  carnefici).
La mensa si trasformò così in un ammasso di adolescenti e cibo spazzatura.
La festa della scuola finì dopo due orette, ma si spostò poi a casa di un ragazzo pluribocciato di nome Lee Law. Che, per la gioia di molti studenti (e non solo) era all’ultimo anno, per la gioia di quelli dell’ultimo anno era maggiorenne.
La festa si stava scaldando, troppo velocemente e troppo furiosamente per i mei gusti, l’alcool scorreva a fiumi, e ogni bicchiere era pieno di quella roba, di sicuro in quel casino non si poteva trovare un guidatore designato, o almeno non si trovava un guidatore designato sobrio.
Come se l’alcool in mano a minorenni non bastasse, la casa era investita dal fumo, e ho sempre dubitato che fosse solo di sigaretta.
La situazione non rientrava nella mia idea di festa o divertimento sano, anzi tutt’altro, quella situazione non mi piaceva per niente. Con un botta di coraggio mi intrufolai in quella folla alla disperata ricerca di Mike e Artie per sapere se fossero andati a casa oppure sarebbero rimasti in quel porcile. La cosa che mi premeva di più era sapere se avevano trovato un passaggio, perché Michel Portman era steso nel suo stesso vomito nella cucina.
Li trovai qualche minuto dopo, con le facce sconvolte.
-Britt! Meno male che ti abbiamo trovata. Ti stavamo cercando. Noi ce ne vogliamo andare, non è proprio il posto adatto a noi. Ho visto due tizi che facevano cose illegali in più stati-
Quando finalmente riuscimmo a conquistare la porta sentimmo l’aria pulita colpirci il viso.
-Ook! Qualcuno ha il coraggio di chiamare i suoi per venirci a prendere? Consapevole del fatto che domani mattina anche gli altri genitori lo verranno a sapere?-
Artie tirò fuori tutto d’un fiato la preoccupazione comune. Tutti e tre sapevamo che cosa sarebbe successo, la situazione si divide. Da una parte, ti va bene, ti vedono come la persona responsabile e diligente che non si è lasciata traviare dal disastro; dall’altra ti dimenticherai addirittura il significato della parola festa, perché sarai rinchiuso in casa da lì all’eternità.
-Vi ci accompagno io!-
C’era un ragazzo poggiato al dondolo della casa. Alto, molto più altro della norma e magrolino, i capelli castano chiaro ricadevano disordinati sul viso spigoloso e serio, coprendo in parte gli occhi scuri. August Finch, 16 anni. Faceva parte della squadra di atletica leggera come velocista.
Fu lui quella sera a riaccompagnarci a casa, Mike era il quello che abitava più lontano ma sapevamo che aveva il coprifuoco alle undici, mentre noi a mezzanotte, così accompagnammo prima lui.
Poi accompagnammo Artie, speravo veramente che i genitori non si accorgessero che il loro figlio quattordicenne fosse mezzo brillo, in effetti era quello più a suo agio in quella festa.
Alla fine rimanemmo solamente io e lui in macchina. Io, lui e i suoi sgangherati tentativi di rimorchio che fallivano miseramente.
-Senti Brittany, io in questo piccolo spazio di tempo stavo cercando il modo di chiederti di uscire. Quindi vuoi uscire con me? Venerdì magari.-
Ci pensai nel tempo rimanente per arrivare a casa, sarebbe stato il mio primo appuntamento, e con un buona dose di fortuna anche il mio primo bacio. August era carino in fondo.
Mi feci due calcoli mentali: era più grande di me di due anni (e si sa a 14 anni in fascino del più grande colpisce sempre), aveva la patente (da non sottovalutare), atleta in preparazione ai campionati nazionali.
-Ok, va bene. Mi passi a prender tu?-
Lui annui sorridente e mi diede un pezzo di carta con il suo numero.
 
La settimana passò, tra compiti pesanti e allenamenti estenuanti. Venerdì arrivò e avevo in dosso un’adrenalina che arrivava alle stelle, mista a paura ed euforia.
Tornai da scuola alla velocità della luce, per non perdere neanche un secondo del pomeriggio per potermi preparare, avevo addirittura fatto i compiti tutti il giorno prima per avere tutto libero. Quel pomeriggio però ci fu un disastro dopo l’altro.
Mentre facevo la doccia, mancò l’acqua. Quell’idiota del mio vicino aveva una perdita in un tubo e invece di chiamare qualcuno che sapesse come risolvere il problema scava nel bel mezzo del giardino e fa esplodere la tubatura, facendo così mancare l’acqua a tutto il quartiere. Io con la testa ancora insaponata dovetti uscire e farmi risciacquare i capelli da mia madre con le bottiglie di acqua naturale, nel lavandino.
Quando finalmente i miei capelli furono liberi dallo shampoo iniziai ad asciugarmi. Era davanti allo specchio quando iniziai a sentire strani gorgoglii. Il rubinetto del lavandino partì a 5000 chilometri orari per finire poi schiantato sulla mia gamba. Poco dopo venni a sapere che quell’idiota stupido del mio vicino invece di chiudere una sua tubatura andò ad intaccare la nostra, e così facendo qualche cosa che ebbe a che fare con lo scorrere dell’acqua si fermò, scatenando l’inferno nel mio bagno.
La botta mi arrivò appena sopra il ginocchio, non ci volle molto perché divenne blue. Con il vestito giallo a metà coscia si sarebbe sicuramente vista, e non solo, il blu e il giallo sono un pugno in un occhio come abbinamento.
L’avevo comprato due giorni prima il vestito, apposta per l’occasione, giallo mono spalla, sagomato sul corpetto e la gonna che scendeva morbida, aggiunsi una fascia alla vita, così da spezzare il colore e coprire lo stacco tra il corpetto e la gonna. Era rossa e la fibbia dorata.
Quando però smisi di riflettere sul livido, alzai lo sguardo e vidi il vestito, l’avevo appoggiato vicino al lavandino, così da metterlo direttamente, adesso era completamente bagnato e sciupato.
-Si lavava solo a secco! Papà si lavava solo a secco!-
Mio padre, che era accorso per bloccare l’acqua, mi guardò storto per via della mia piccola esclamazione inopportuna.
Non appena (mezz’ora) dopo l’acqua smise di uscire tornai in camera mia estremamente arrabbiata e del tutto impanicata.
Come una furia spalancai l’armadio e mi buttai dentro alla ricerca di un vestito adatto da mettere.
-Niente panico tesoro-
Mia madre mi venne in soccorso con un tono più alto del normale.
-Ti aiuto io a trovare qualche cosa da indossare-
Mia madre prese a tirare fuori i vestiti più improbabili e orrendi che si trovavano in quell’armadio.
Poi lo vidi.
Un vestito verde acceso, senza spalline e la scollatura a cuore, una fascia sotto il seno nera.
-E quello!-
Lo presi e il più velocemente possibile mi vestì.
Mentre mi infilavo le calze, un tuono mi fece trasalire.
-Dannazione!-
Chiusi gli occhi e presi un respiro profondo, molto profondo, profondissimo prima di abbassarli per vedere i collant sfilati. Lo spavento del tuono mi fece tirare forte e di scatto così… Odio i collant!
Mi avvicinai alla finestra per vedere se il tuono era dovuto al temporale o al mio stupido vicino. Purtroppo era il temporale.
Lasciai cadere la tenda e con essa anche la mia testa, sconsolata mi finì di preparare.
Stavo mettendo il portafogli nella borsa quando suonano alla porta.
Scesi dalle scale lentamente, non volevo che si accorgessero subito di me, preferivo prima vedere la situazione, però da sopra non ci riuscivo. Vidi August parlare con mia madre in modo quasi amichevole.
Portava una camicia azzurra, e pantaloni da completo con scarpe eleganti. Vestito di tutto punto e con i capelli pettinati all’indietro non si riconosceva.
Feci un paio di scalini pesantemente per far sentire a quei due la mia presenza, quando tutti e due si furono girati verso di me feci altre tre scalini, ma inciampai in una scarpa cadendo rovinosamente a terra.
Mi rialzai dolorante e molto imbarazzata, i miei genitori si trattenevano a stento dal ridere, mentre August con un sorriso comprensivo e preoccupato mi aiutava a rialzarmi.
Quando fui stabile sui miei piedi, mi diede un mazzo di margherite gialle e bianche. Le diedi a mia madre che mi assicurò che le avrebbe messe nell’acqua.
Mi aprì la porta e mi fece uscire per prima. Andai verso la macchina su richiesta di mio padre, voleva “scambiare due paroline in privato con il ragazzo”. Ero convinta che certe cose succedessero solo nei film.
Arrivata al limite del giardino cercavo con tutta me stessa di tenere l’ombrello dritto per non beccarmi la pioggia e rovinare il secondo vestito della serata, anche perché questa volta non avrei potuto cambiarlo, ma un simpatico automobilista pazzo e spericolato passò a tutta velocità, beccando proprio la pozza d’acqua più profonda della città. Sintesi della faccenda il trucco, il vestito, le scarpe e i capelli tutti rovinati. Tutto il mio outfit scelto appositamente (o quasi) per l’occasione era da buttare alla pattumiera.
-Brittany!-
August corse da me, si bagno, mi venne subito incontro.
-Tutto ok? Guarda quello stronzo che ti ha fatto!-
Chiusi gli occhi, non risposi e mi limitai ad annuire, ma chiusi gli occhi e non mi spostai di un millimetro. Stavo per piangere, non è così che una ragazzina si immagina il suo primo appuntamento, non con un disastro dietro l’altro.
-Ho prenotato fra mezz’ora-
Sorrisi, e cercai di ringraziarlo con gli occhi per non avermi abbandonata li da sola, anche perché l’ombrello era il suo. Si strinse di più sotto l’ombrello e ci avviammo verso la macchina.
 
 
Eravamo orami al ristorante, il Bel Grissino, un classico per gli appuntamenti dei ragazzi del liceo. Per quanto male la serate era iniziata, sembrava si stesse rimettendo in piedi. Stavamo mangiano di gusto il primo, e le chiacchere erano decisamente interessanti, scuola, famiglia sport, non era male parlare con lui, era molto intelligente e ti ascoltava.
Per le ragazzine come me che erano cresciute con la convinzione (data dalle ragazze più grandi, dalle madri al parco e dalla televisione) che un ragazzo non ti ascoltasse mai, in nessuna occasione esistente a meno che non si parlasse di sport, era una vera scoperta.
Stavamo orami al dolce quando lui buttò a terra la forchetta. Si tuffo letteralmente sotto il tavolo per prenderla senza però trovare lo spazio per nascondersi, avendola buttata di lato.
Si rimise su con il viso paonazzo, tentò di nascondersi ma non distolse mai lo sguardo da qualche cosa dietro di me, in fondo vicino all’entrata.
Mi girai e vidi che August fissava un ragazzo, con insistenza e gli occhi iniettati di rabbia e gelosia un ragazzo. Era appena entrato, sapevo che veniva nella nostra scuola perché aveva l’armadietto di fronte al mio, ma non conoscevo il suo nome.
-Oddio no!-
August cambiò espressione, divenne spaventata e insicura, tanto da guardarmi come pregandomi di salvarlo. Proseguì sulla linea del suo sguardo e notai il ragazzo venire verso il nostro tavolo. Quando fu a pochi metri Finch abbassò lo sguardo su un interessante bicchiere.
-Ehy Aug!-
Quel ragazzo si era fermato proprio accanto al nostro tavolo e, ignorandomi, si mise a chiacchierare con il mio accompagnatore che aveva alzato gli occhi dal bicchiere.
-Cciao Tom-
Sospirò e cercò di fare un sorriso, uno di quelli gai e spensierati, ma l’unica cosa che gli si dipinse sul volto fu un sorriso triste e malinconico.
-Come va?-
Si scambiarono due chiacchiere, fino a che non ci raggiunse anche l’altro ragazzo con cui era entrato Tom.
-Lui è mio fratello Cameron-
August cercò di nascondere il sospiro compiaciuto, ma lo notai ugualmente. Non rimase molto, due chiacchiere veloci, di cortesia, e se ne andò.
Lo sguardo di August non si spostò da Tom, anche quando non era più visibile rimase imbambolato a guardare il punto in cui era andato via.
-Mi dispiace tanto-
Ero un po’ sconvolta dalla situazione, partendo dal fatto che non sapevo per che cosa si stesse scusando, fino ad arrivare a non aver capito niente di ciò che era successo in quel frangente. La mia faccia era allibita.
-Potresti spiegarmi per favore?-
Rimasto sconvolto da questa presa di posizione iniziò a balbettare e trovare scuse improponibili per centrare il punto.
-Non tergiversare August!-
Presa la consapevolezza di non poter scampare mi spiegò.
-Lui è…-
In effetti non rispose subito, si contorceva le mani quasi a spezzarle, si mordeva il labbro inferiore e poco ci mancava a farlo sanguinare, e non riusciva a tenere lo sguardo fisso su di me o a guardarmi per pochi millesimi di secondo negli occhi, si spostava in ogni punto del locale eccetto che posarsi su di me.
Quando decise di parlarmi rimasi decisamente scioccata.
-Lui è il mio ragazzo-
Ci sono certe situazioni in cui è bene ricordarsi di non bere, quella era una di quelle perché per poco non mi strozzai.
Col senno di poi, vista la situazione non era poi così difficile immaginarlo, ma pensando ad una ragazzina di quattordici anni cresciuta in una cittadina con la mentalità chiusa e senza conoscere niente del mondo se non la scuola e il ballo: è comprensibile.
-Ti prego non dirlo a nessuno-
Non mi era mai capitato di vedere un ragazzo piangere, ne Mike ne Artie, quando eravamo bambini, ma non era come in quel momento. Gli occhi gli si riempirono di lacrime, divennero rossi e a stento riuscì a non singhiozzare.
-I miei non capirebbero, e a scuola l’anno nei due anni precedenti a scuola c’era un ragazzo, se non ci fosse stato suo fratello lo avrebbero ammazzato di botte-
Cercava id convincermi, ma il mio mutismo era soltanto dovuto alla situazione insolita (che poi tanto insolita non è come venni a sapere più tardi).
A quelle parole d’istinto gli presi le mani abbandonati sul tavolo.
-Ehy, sta tranquillo, non lo dirò a nessuno promesso. Ehm…ti va di dirmi cosa è successo? Perché vedi non sembravate tanto una coppia, e sai io e te siamo usciti insieme quindi…-
Mi raccontò di lui e Tom, di come si sono conosciuti, di quando hanno capito che erano fatti l’uno per l’altro. Dovetti aspettare un po’ prima di arrivare alla parte che mi interessava.
Tom, era dichiarato, ma essendo il Quoterback della squadra di football non ne risentiva poi così molto. Questo ha portato ad un punto di stallo, il giocatore di football voleva dare una svolta alla relazione, e non semplici uscite fugaci e baci rubati.
Da qui la folle ricerca del coraggio da parte dell’atleta, che si è conclusa con un impavida entrata in salone che si concluse con un “Smettila di frequentare quel… deviato, finirai per essere come lui.” Da  parte di suo padre.
Da allora le cose si erano raffreddate tre i due ragazzi.
-Hai idea di come spigargli questa cena?-
Scosse la testa disperato e la buttò violentemente sul tavolo facendo anche girare gli altri clienti, cercai di minimizzare con un sorrisetto, ma ben presto me ne fregai e tornai a concentrarmi su August.
-Non lo so, ma ci devo almeno provare-
Il cameriere ci portò il conto, evitandomi di dover rispondere a August. Prima che potessi prendere per vedere quanto fosse, l’atleta me lo portò via.
-Lascia almeno che paghi io-
Dopo aver pagato mi riaccompagnò a casa, il viaggio si svolse in assoluto silenzio.
 
 
-Tesoro come è andata l’appuntamento? Pensavo che saresti tornata più tardi-
Rientrati in casa e mia madre mi assalì di domande, le ignorai e salì le scale diretta in camera mia.
Mi buttai supina nel letto e senza neanche togliermi le scarpe o il giacchetto presi il cuscino e lo spinsi sul viso urlandoci contro violentemente.
Decisamente da considerarsi l’appuntamento peggiore di sempre…
 
 
 
In effetti il mio primo appuntamento non era stato un gran che, anzi, dovevo ricordarmi di non raccontarlo troppo in giro perché August non era ancora dichiarato, anche se alcuni dicevano di averlo visto insieme a Jude Waize allo Scandals, il bar gay di Lima.
Ma ripensandoci pochi erano i primi appuntamenti andati bene, e meno erano i secondi appuntamenti che avevo fatto.
-Si si ok, facciamo finta che alcuni ti siano andati bene. Per quanto una due volte? Brittany qui si parla dell’eternitaa-
Mercedes aveva un assoluto bisogno di svago.
-…l’eternitaa-
Sam lo ripeté con lo stesso tono etereo e leggero con cui lo aveva detto Mercedes facendomi ridere.
La mia amica fece una smorfia e ignorò il verso. Mi porse il foglio che aveva preso quando era arrivata.
Era una lista che comprendeva tutto ciò che avrei dovuto fare quel giorno.
 
*Drinn*
 
Il suono del citofono mi fece risvegliare dalla lista.
-Chi è a quest’ora del mattino!-
Mi stavo per alzare e andare ad insultare chiunque avesse avuto il coraggio di venire a quell’ora quando (in teoria) sarei stata addormentata, ma Mercedes mi fermò.
-Seduta e mangia vado io-
Della seria Se non hai fame ingozzati!, misi la mano sul fuoco sul fatto che Mercedes sarebbe diventata un ottima nonna.
Andò in soggiorno e aprì aspettando che arrivassero al pianerottolo.
-Buongiorno-
Una voce super squillante e una più bassa conosciuta salutarono.
Si persero in qualche minuto di convenevoli e conversazioni varie, poi ci raggiunsero in cucina. Li avrei volentieri raggiunti io, ma Sam mi bloccò prima che i miei piedi toccassero terra.
-Venite qui in cucina-
Mercedes fece le mie veci, e mi prese il dubbio che conoscesse quelle persone da tanto perché degli ospiti non li si fa di solito accomodare in cucina.
-Blaine!-
Il dottor Anderson entrò in cucina, seguito da quello che doveva essere Gary suo marito.
-Ciao Brittany-
Ci salutammo con una stretta di mano ed un sorriso.
-Lui è mio marito, Kurt Hummel-
Kurt, certo Kurt!”
-Piacere-
Kurt non era molto diverso dalla foto che mi fece vedere Blaine nel suo ufficio alla seduta.
Capelli castano chiarissimo, facilmente scambiabile per un biondo cenere, perfettamente pettinati in un ciuffo che ricordava vagamente gli anni 50-
I vestiti dovevano essere stati scelti con cura, camicia azzurra, pantaloni al ginocchio verdi con bretelle abbinate e scarpe azzurre in tela.
-Sedetevi dove trovate posto. Brittany aveva ancora la bava alla bocca dal sonno quando l’abbiamo buttata giù dal letto-
Tutti risero e mi si infiammarono le gote dall’imbarazzo.
-Sbrigati tesoro abbiamo un sacco da fare. Ragazzi posso offrirvi qualche cosa?-
Mercedes prese due succhi di frutta alla mela, andando a colpo sicuro come se frequentasse quotidianamente quella casa.
Si fece un po’ di conversazione mentre aspettavano che io finissi la colazione, li vedevo abbastanza presi dall’argomento che mi presi un tempo decisamente lungo per finire.
Non feci però in tempo a prendere l’ultimo boccone di bacon che Mercedes chiese (ordinò più che altro) a Sam di portarmi via il piatto, usando come scusa che ci avevo messo troppo a mangiare.
-Scusami Britt ordini dall’alto-
Mi disse il biondo con un sorriso allucinato.
-Brittany non star li a scaldare la sedia, non hai idea di che mucchio di cose dobbiamo fare oggi!-
 
 
 
 
 
-Quello non va bene-
-Oddio che orrore-
-PercaritàdiDiolevamidallavistaquelcoso!-
Era passata una buona mezz’ora da quando Kurt mi (ci) aveva trascinato in camera da letto per scegliere l’abito della serata.
Aveva letteralmente svuotato l’armadio da ogni singolo capo di abbigliamento, invernale o estivo che fosse, e li aveva scaraventati nel letto senza nessuna grazia.
Non sapevo che tipo di uscita fosse, non ne avevo parlato con Santana anche perché non ci eravamo più sentite da quando era venuta a prendere la lettera di Quinn. In quella particolare occasione la tensione era palpabile e tacemmo l’argomento, eravamo molto in imbarazzo infatti non eravamo spigliate come al nostro solito,  ma rigide e fredde. In quei due minuti che stette li mi sembrò un estranea.
Kurt per questa mia mancanza mi etichettò come una buona a nulla, con testuali parole: “ La prossima volta andate al McDonal e prendete l’insalata”. Inizialmente non capì, poi Blaine mi fece a traduttore simultaneo.
-Ok, ora che abbiamo eliminato gli abiti che la caritas ha ridato indietro possiamo cominciare-
Blaine sgridò il marito a quelle parole, e gli diede addosso di più quando notò che quelle parole mi avevano fatto cruciare.
Non avevo mai vestito in modo convenzionale, neanche quando ero al liceo dove dovevi conformarti, anche portare costantemente la divisa delle cheerleader mi infastidiva, e sicuramente nel mio armadio (adesso sul letto) non ci sarebbe stato un vestito che andasse bene per quel modaiolo perfettino di Kurt.
Erano ormai le dieci e un quarto quando Kurt si arrese e decretò che avevo un pessimo gusto nel vestire e che sicuramente il mio armadio non era fornito per un appuntamento.
Si guadagnò un occhiataccia dal marito, un “eh?” stupito da Sam e un sonoro sbuffo da parte mia. Non andavo mai a degli appuntamenti, che me ne facevo dei vestiti adatti?
Mi assicurò, come se della cose ne andasse di mezzo lui stesso o il mondo intero, che mi avrebbe procurato lui un vestito adatto alla serata.
 

 
Prima d’uscire diede dei compiti a tutti.
-Lo so, è un po’ esuberante a volte- 
Blaine si sedette vicino a me.
Quando avevamo accompagnato Kurt alla porta, tutta la compagnia si era sistemata in soggiorno per una pausa dalle persecuzioni di Kurt.
Poco dopo Norah iniziò a piangere e Mercedes si sistemò in camera mia per darle da mangiare. Sam era appoggiato alla porta che mentre fissava con un aria da ebete estasiato la scena che comprendeva la fidanzata e la figlia.
Io e Blaine ci sedemmo nel divano, io spaparanzata (già alle undici del mattino mi sentivo stanchissima) e Blaine molto più composto mi scrutava.
-Allora, le nostre sedute sono finite da un paio di mesi. Come ti senti?-
Tirai di scatto su la testa e incrociai il suo sguardo.
-Sto bene, alla grande, anzi sto alla super grande-
Sorrisi, feci il sorriso più smagliante e finto che si fosse mai visto.
Più finto di quelli che si fanno quando i professori fanno una battuta a cui non puoi sottrarti dal ridere.
Più finto di quando tua nonna ti stritola le guance e ti dice quanto sei bella.
Più finto di quando sei a casa di un tuo amico e c’è qualche cosa che non ti piace a mangiare, ma lo mangi per forza e sorridi esordendo con un “è buonissimo signora!”.
-Suvvia Brittany, ho imparato a distinguere le bugie dalla verità, è il mio lavoro e in più tu menti da far schifo! Chi ti ha insegnato a mentire?-
A  quel punto feci un mezzo sorriso, non era molto ma almeno era sincero. Blaine ricambiò con un sorriso anche più ampio.
Con uno sguardo eloquente e tirando su un sopracciglio mi convinse a parlare. In fondo lui era stato l’unico con cui ero riuscita ad aprirmi, sarà stato per gli occhi nocciola che espressivi o per le sopracciglia strane che mi distraevano, fatto sta che è l’unico riuscito nell’impresa.
-Diciamo che sono leggermente, leggermente tanto seccata dal trambusto che ha causato questa… uscita. Sono molto confusa riguardo alla mia vita e sono impreparata a ciò che porta ogni azione che faccio-
Non era un vero e proprio sfogo, meglio dire che era una constatazione dei fatti molto fomentata, con sbuffo sonoro finale annesso.
-Allora partiamo dal principio ti va?-
Si iniziò a togliere le scarpe guardando di sottecchi per vedere se commentavo. Finita l’operazione si mise interamente sul divano e con la testa m fece segno di parlare.
Così gli raccontai tutto, da quando lo avevo lasciato fino all’imbarazzante (nonché ultima) conversazione con Santana.
-Forse la preparazione di questa uscita non è poi così esagerata-
Senza una parola di più andò in cucina da Mercedes e si mise ad aiutarla a preparare il pranzo.
“Se non sono pazzi non ce li vogliamo e Britt?”
 
 
 
-Kurt arriverà a momenti-
Blaine aveva appena chiuso il telefono e ci avvertì che sarebbe arrivato giusto per pranzo.
Pochi minuti dopo suonò il campanello e lasciai che si altri si scomodassero ad aprire.
-Eccolo!-
Kurt era tornato quaranta minuti dopo essere uscito con il mio nuovo vestito, era coperto da un leggero tessuto nero che ne impediva la vista.
-non vi dico niente, prima mangiamo, dopo pranzo la super sorpresa.
Ci sedemmo a tavola e mangiammo, scambiandoci chiacchere divertite, o meglio Mercedes parlava di me e delle mie situazioni più imbarazzanti.
 
-Allora sono le quattro!-
Kurt, dopo la pausa si prese il suo spazio nel bel mezzo del soggiorno e fece accomodare tutti gli altri, chi sul divano chi sulle sedie.
-Ok, abbiamo solo tre ore per prepararla! Vediamo di riuscirci!-
A quelle parole i miei tre compagni di posto si misero sull’attenti, anche Norah sembrava ascoltasse.
-Mercedes, ci servono degli orecchini e una collana. Gli orecchini devono essere lunghi, cerca degli orecchini lunghi in tutta la casa-
Mercedes annuì e corse in camera mia dopo aver preso la bimba in braccio.
-Sam-
E gli puntò il dito contro
-Due compiti, il primo . Devi chiamare tutti i ristoranti di Lima, dai più importanti ai più nascosti, cerca di scoprire dove ha prenotato Santana, magari potresti chiedere di disdire l’ordine così non chiederanno più niente e poi dici che hai cambiato idea, quanti Lopez ci potranno mai essere-
Sam alzò la mano.
-Non posso chiamare Santana e chiederglielo? Per vie traverse s’intende!-
Kurt era estasiato dall’idea di Sam, tanto che gli fece anche un applauso.
Sam si alzò e prese il cellulare dalla tasca.
-Ok, il secondo?-
Kurt si sistemò la camicia stirandola.
-Quando hai finito con il ristorante, vai a comprare un fiore. Anzi andiamo sul sicuro una rosa, un’unica rosa!-
Quando Sam si allontanò per chiamare Santana, Kurt passò al marito.
-Blaine le scarpe, vai in camera e guarda il vestito e cerca in casa le scarpe adatte, se non ne trovi avvertimi-
Blaine saltellò eccitato fino alla camera per vedere il vestito.
-Brittany, tu vai a farti una doccia, stai sotto almeno tre quarti d’ora, hai bisogno di rilassarti-
 
 

 
-Ecco qui Brit-
Sam mi porse una rosa, era rossa pallida.
-Brittany sei pronta?-
Mercedes cullava Norah passeggiando per il salone e mi guardava con un misto di euforia e preoccupazione.
-E’ solo un uscita-
Cercai di ribattere per l’ennesima volta.
-è un appuntamento!-
Ribattè Mercedes in contrasto.
-è L’appuntamento!-
Same per quell’ultima (stupida) si conquistò un fragoroso applauso dai presenti e un bacio con schiocco da Mercedes.
.Sono le sei e tre quarti, tra poco ti verrà a prendere ti conviene mettere le scarpe.
Abbinavano alla perfezione con il vestito.
Era un abito corto sopra il ginocchio, la ginna era leggermente vaporosa per via della quantità di stoffe che aveva. Il corpetto sagomato e senza spalline.
Il colore era particolare. Un nero trasparente copriva le stoffe diverse e di diversi colori che davano uno sfondo al nero, più che altro lasciavano la sensazione del diverso, senza però far vedere che colori erano veramente, lo si poteva notare solo dal fatto che scendevano a scaletta sotto la gonna. Partivano dal blu scuro della gonna finale al bianco dell’ultimo pezzo del corpetto, passando per il giallo, il rosso e il verde. A far notare il cambiamento di colori anche il nastro che chiudeva sulla schiena il corpetto era degli stessi colori.
Le scarpe erano nere opache con il tacco non eccessivamente alto, Kurt era contrario a questo particolare, ma quando gli fecero notare che Santana era più bassa acconsentì.
-Noi andiamo!  Chiamaci domani ok?-
Tutti quanti uscirono lasciandomi sola.
Andai allo specchio che c’era nel corridoio e mi specchiai.
Il Sole che rifletteva nello specchio facevano luccicare gli orecchini di Quinn. Fortunatamente però non venivano coperti dai capelli lasciati sciolti sulle spalle.
Suonò il campanello.
-Chi è?-
Avevo un po’ la voce tremolante.
-Sono Santana scendi?-
Perfetto Brittany! Andiamo!” 




 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


CAPITOLO 11



 
Era bella.
Era veramente bellissima, i capelli neri erano raccolti in una treccia sicuramente interna dato che sul viso erano tirati indietro, che cadeva su una spalla, doveva averci applicato delle extection perché erano insolitamente lunghi.
Gli occhi apparivano ancora più scuri ed intensi, risaltavano truccati pesantemente con l’eyeliner e dalla matita sempre nera. Le labbra risultavano più carnose di quanto non fossero sotto quel rossetto rosso scuro, amaranto quasi.
Il vestito era senza spalline, ricadeva attillato su tutto il corpo fino a metà coscia. Le fasciava il corpo completamente e perfettamente. Mettendo in risalto la magrezza tirata e le curve.
Le scarpe intonate col vestito, stesso colore, stesso rosso fuoco. Il tacco vertiginoso la faceva alzare abbastanza da farla arrivare alla mia altezza.
Rosso.
Era quello il colore che risaltava di più.
Le stava un incanto.
La faceva risaltare, la sua carnagione creava un effetto di risalto del vestito, senza nulla togliere alla sua bellezza mozzafiato. Le si attaccava addosso mettendola al centro della scena e lei risaltava, poteva esserci qualsiasi colore, ma con quel rosso risaltava e metteva in buoi tutto il resto.
Era il colore che più le si addiceva.
Quel rosso era come Santana.
Un bel Rosso Santana direi.
-Ciao-
La sua voce mi fece risvegliare.
Mi diede un mazzo di margherite, miste, un po’ bianche e un po’ gialle. Tutto accompagnato con uno dei suoi imbarazzatissimi sorrisi.
-Tieni. Le ho prese per te, spero ti piacciano. Non sapevo che fiori ti piacessero così ho preso queste, un po’ mi ricordano te sai?-
Non li avevo ancora presi così me li spinse davanti agli occhi sventolandoli, finché non riuscì a farmeli prendere. Solo allora il suo sorriso si fece ampio, e le fossette tornarono vistose sul suo viso.
-Grazie sono veramente bellissime! Aspetta… tieni-
Le diedi la rosa, era rossa, più chiara del vestito ma bellissima. Sam scelse la più bella.
La sua bocca si aprì in un enorme O, lo stupore era evidente. Anche gli occhi si sgranarono forse anche un po’ stordita dal gesto.
-Per me?-
La sua voce cambiò, divenne più limpida, per non parlare dell’evidente sorpresa che vi si poteva trovare. Sottile, e mi potrei azzardare a dire molto simile a quella di quando era bambina.
Io annuì, e come lei precedentemente, spinsi la rosa sotto il suo naso. Lei titubante avvicinò la mano per prenderla senza toccarla, così fui io a mettergliela in mano.
Quando strinse la mano sul gambo la prese e se la portò subito al naso chiudendo gli occhi e sentendone l’odore.
-è… è… è veramente… bellissima!-
Sorrise e vidi gli occhi farsi un po’ lucidi.
-è la rosa più bella che io abbia mai visto. È bellissima.-
Si stava un po’ impacciando.
-Non solo la rosa in realtà-
Ti prego niente battute di spirito”
-Dio sei bellissima stasera, un incanto-
Lo disse con una tale semplicità che rimanere impassibile non era possibile, e io non ci riuscì. Il mio colorito rosso del primo complimento divenne bordeaux.
-Vogliamo andare?-
Mi accompagnò alla sua macchina, mi lasciò andare per prima e mi seguì facendomi strada con la mano poggiata sulla spina dorsale, non troppo in basso per non diventare volgare, non troppo in alto per diventare soffocante.
-Wow. Hai lavato la macchina!-
Vidi che trattenne un sorriso e un commento orgoglioso, infatti non ribatté all’esclamazione, ma aprì la portiera della macchina molto galantemente facendomi cenno con la mano di entrare.
Si stava svolgendo tutto in maniera piacevole, ma leggermente impersonale e freddo, con Santana avevo un rapporto più sciolto e non pensavo che si sarebbe condizionato tanto.
C’era tensione in quella macchina, Mercedes, Sam, Mercede, Kurt, Mercedes, Blaine, Mercedes e Quinn, avevano reso quella che io pensavo essere un’uscita semplice in quello che sarebbe diventato un appuntamento, L’APPUNTAMENTO più importante.
Le scarpe troppo eleganti.
Il vestito troppo vistoso.
L’organizzazione troppo elaborata.
Era tutto…troppo.
Tutta quella pressione che mi avevano messo addosso, mi aveva teso come una corda di  violino, soltanto che suonava stridente perché era una corda troppo tesa.
Fosse stato per me probabilmente sarei uscita con dei calzoncini e una t-shirt attillata, al massimo una camicetta, e difficilmente avrei calzato qualche cosa di diverso dalle converse.
Bhe vista la situazione avrei dovuto mandare un messaggio di ringraziamento a chi mi aveva fatto questo favore.
Santana era bellissima, elegante e (a quanto aveva detto a Sam) aveva prenotato in un ristorante molto romantico, quando chiesi il nome però non me lo dissero per non rovinarmi la sorpresa o farmi venire delle crisi isteriche.
Non ero l’unica però nervosetta.
Santana era nervosa quanto me se non di più.
Quando mi aveva fatta sedere, doveva poi andare a prendere posto nel sedile del guidatore, ma invece di passare per il muso della macchina, facendo così la strada più facile e veloce, passò per il dietro.
Dallo specchietto retrovisore la vidi fermarsi un secondo, aveva chiuso gli occhi e prendeva respiri profondi. Un po’ tremava, e non essendoci freddo ero sicura che fosse il nervoso e l’ansia. Quando riprese il passo, la vidi schiudere le mani dai pugni.
Le sue mani erano un altro evidente segno del nervosismo. SI potevano notare le nocche bianche dalla forza quando stringeva il volante, e anche la plastica strideva dalla sforzo.
 
 
 
Santana parcheggiò la macchina in doppia fila accendendo le doppie frecce.
Mi guardai attorno e non vidi ristoranti.
-non dobbiamo camminare molto per arrivare vero?-
In quel momento ebbi veramente paura che la Lopez mi avesse portata in qualche strana bettola di sua conoscenza nella periferia della città.
Santana si sganciò la cintura e si girò verso di me.
In quel preciso istante non riuscì più a contenere il nervosismo. Le labbra iniziarono a tremolare, ma furono prontamente dai denti che cominciarono a mordicchiarle, di sicuro accentuando lo stato d’animo.
Le mani ormai sprovviste dello sterzo cercavano di uccidersi tra loro senza esclusione di colpi, e probabilmente la sinistra avrebbe prevalso perché la vedevo più in forma.
Vai sinistra vai!”
-San? È qui il ristorante?-
Scosse vigorosamente la testa per negare.
Si girò verso i sedili posteriori per cercare di chissà che cosa, per poi trovarla e rimettersi apposto con il sorriso e fossette suo solito.
-Devi infilarti dei collant? San, morirai di caldo con quelli ne sei consapevole?-
Santana scosse nuovamente la testa, questa volta sconsolata portandosi la mano davanti agli occhi per accentuare la situazione
Alzai un sopracciglio e Santana rispose a quella muta richiesta.
-Li devi mettere sugli occhi a mo’ di benda. È l’unica cosa che ho trovato-
Lo disse come se fosse stata uno la cosa più normale del mondo, due come se spiegasse ogni cosa.
-Ti dispiacerebbe spiegarti meglio?-
Conoscendo Santana il mio tono divenne un po’ divertito. Con un risolino cominciò a spiegare.
-Ok, è una sorpresa. Fatti mettere i collant sugli occhi e fidati di me!-
Aspettò un mio consenso, che le arrivò con un cenno del capo ed un essia sussurrato più rivolto a me che a lei. Si sporse verso di mee mi fece cenno di voltarmi.
Quando mi stava sistemando le calze sugli occhi vidi che tremavano, a meno che non avessero preso vita, dovevano essere le mani di Santana.
-Fatto-
Ci risistemammo e venni aiutata dalla mora per sistemarmi la cintura. Sentì il clik della cintura di Santana e il rumore del motore all’accensione.
-Ci metteremmo molto?-
Santana sbuffò.
-Non te lo dovrei dire, ma stiamo andando dall’altra parte della città!-
Cercai di togliermi la benda, ma il nodo di Santana era da marinaio, così la sfilai velocemente dalla testa: per fortuna la pettinatura non ne risentì.
-Ma sei fuori?!-
Il mio urlo la fece sobbalzare. Riparcheggiò la macchina in uno spazio li vicino.
Aveva gli occhi sgranati, il collo ritirato in dentro e il labbro all’infuori, l’espressione spaurita tenerezza.
-No sono dentro non vedi che guido?! –
In quel momento la mia faccia diventò rossa dalla rabbia, e probabilmente mi uscì anche del fumo dalle orecchie.
-Brittany stai bene?
Mi si fece il respiro corto, stavo per mettermi ad urlare contro di lei.
-Che diamine è questa cosa?-
Santana rispose dubbiosa.
-è una sorpresa!-
Terminò con un sorriso come se avesse risolto la situazione, bisognava avere molta pazienza.
Respira, respira, respiRAA, resPIRA, RESPIRAA
-Che cosa diavolo vuol dire una sorpresa?-
Mi accorsi che la mia voce divenne acuta e stridula. Da far rattristare Santana, ma allo stesso tempo, da farla incuriosire, lo si poteva vedere dalla faccia combattuta.
-Ma tipo che non sai cos’è una sorpresa?-
Sbattei violentemente la mano un poggia testa. Intuì che Santana avesse capito che sapevo che cosa fosse una sorpresa, dal suo cambiamento del viso, la curiosità della scoperta non c’era, c’era solo un broncio triste.
Si torturò il labbro, lo scontro tra le mani ricominciò (sempre a discapito della povera destra), i suoi occhi divennero lucidi e spaventati, si guardavano attorno cercando di capire che cosa fare.
-Scusami-
Il tono cercava di essere trattenuto, ma la malinconia e la tristezza stavano prendendo il sopravvento.
-Ti volevo fare una sorpresa, Ho pensato che se avessi portato da tutt’altra parte per metterti la benda, non avresti mai immaginato dovevo volevo andare a mangiare. Così speravo che la sorpresa sarebbe stata migliore. Magari anche più felice-
“O.MIO.DIO! Che tenerezza!!!”
In quel momento i miei sensi di colpa per averla fatta diventare triste si fecero avanti. La sua fronte corrugata, le guance leggermente gonfiate e il labbro all’infuori. Mi sentivo l’uomo nero.
Mi maledissi più volte per la mia bocca larga, e la mia scarsa capacità di contare fino a dieci:1,2,3,4,5,7,8,9,10! Non è difficile!
1,2,3,4,5,sei,7,etc. giusto!”
In fondo era stata lei ad organizzare l’appun- l’uscita! Al diavolo era inutile continuare a negare.
Era stata lei ad organizzare l’appuntamento, ogni dettaglio.
Mi era passata a prendere a casa in perfetto orario.
Mi avrebbe portato al ristorante.
Mi avrebbe riaccompagnato a casa.
Ripresi i collant e li riannodai sugli occhi, inizialmente volevo metterli più in alto, ma poi decisi di fidarmi. Mi girai verso Santana e le sorrisi.
Per qualche secondo non si sentì nulla, poi Santana accese la macchina e ripartimmo.
Dopo mezzo minuto spezzai il silenzio.
-Comunque è stata una cosa molto dolce da parte tua-
Potrei mettere la mano sul fuoco su parecchie cose:
Sul fatto che al mio commento arrossì.
Che entro poco tempo avrebbe detto…
-Nah!-
Sul fatto che girò la faccia e che mosse la mano sventolandola in aria.
Potevo dire che qualcosa conoscevo di quella ragazza, in effetti mi divertiva vederela in quella situazione.
-Immagino che ci metteremmo molto ad arrivare al ristorante, perché non mi racconti qualche aneddoto della tua vita? Imbarazzante sarebbe anche meglio-
Ridacchiò annuendo.
 
 
 
Passammo in macchina 48 minuti, parlò perlopiù Santana, raccontandomi di quegli spezzoni di vita che dovrebbero essere rimossi da quanto sono imbarazzanti.
Iniziai a voler passare più tempo in macchina, come se non ci fossimo già da parecchio, ma in quasi un ora era soltanto riuscita a raccontarmi della sua infanzia.
-Ok, sei pronta?-
Santana scese dalla macchina, non sentì i suoi passi al di fuori che vennero verso la mia parte, ma lei era lì che mi aiutò a scendere prendendomi le mani.
-Attenta c’è il marciapiede-
Attraversammo la strada, doveva essere stretta e probabilmente a senso unico perché bastarono pochi passi per percorrerla tutta.
-Siamo arrivate-
Si mise dietro di me per slacciarmi i collant dalla testa. Il suo respiro era irregolare, e si sentiva un tremolio nella sua voce.
Ci mise qualche minuto per liberarmi, decisamente qualche più del necessario. La mia risata non la aiutava per niente, anzi la faceva innervosire ancora di più. Cercavo di controllarmi, ma era più forte di me.
-Fatto-
Appena mi tolse la benda lo vidi.
“EMPIRE”
Le luci verdi erano tenue di per se, ma con la forza dell’insieme illuminavano la facciata interamente, trasformandola in bellissimi giochi di luci.
La parete decorata formava delle ombre che disegnavano sul muro.
Empire.
Era il ristorante più lussuoso di Lima.
Camerieri con giacche e cravatte di seta verdi, si diceva che il legno dei tavoli fosse di ciliegio, bicchieri di cristallo.
Lusso.
L’unica parola con sui si poteva descrivere: Lusso.
-San, io… è bellissimo, veramente. Ma io non posso permettermelo-
Cercai con tutta me stessa di non far trasparire delusione dalla mia voce, ma era proprio ciò che provavo.
Speravo di poter passare quella serata in maniera fantastica, e Santana si era data tanto da fare perché fosse così, e sarebbe stato così, se il ristorante non fosse stato il più costoso dell’Ohio, e io non fossi stata una cameriera.
Ero ripiegata nei lugubri pensieri di come avevo rovinato la serata, quando un rumore, o meglio un suono, mi distolse da essi.
Era Santana, o meglio la sua risata. Scomposta e singhiozzante.
-Brittany entriamo-
Mi spinse verso l’entrata per accompagnarmici, ma trovò un blocco di marmo. Non mi mossi di un millimetro.
-San, mi dispiace tanto, mi dispiace veramente tanto perché hai organizzato una favola, ma veramente io non posso permettermi questo ristorante-
Mi mise una mano sopra la bocca, e mi fece segno con l’altra di stare zitta.
-Brittany entriamo-
-Mi spinse con molta più forza quella volta per farmi camminare, e io mi mossi a passi incerti e lenti fino ad entrare nel ristorante, sperando con tutto il cuore che l’insalata e l’acqua naturale non mi venissero a costare l’intero stipendio.
-Salve avete prenotato?-
L’uomo che ci accolse portava un completo nero, le scarpe di fattura italiana, la cravatta e il fazzoletto all’occhiello verdi.
I capelli pettinati all’indietro, il pizzetto fitto e regolare, il portamento elegante.
-Salve, si abbiamo prenotato al nome Lopez-
Il signore controllò il grande libro messo su un leggio in legno, quando alzò gli occhi schioccò le dita e un cameriere ci scortò al nostro tavolo.
Dovemmo salire al secondo piano, e andare in fondo alla sala per arrivare al nostro tavolo.
Era bellissimo.
La composizione era perfetta al nome di quel ristorante,  e anche adatta ad un ristorante di quel calibro, ma l’insieme era sbalorditivo.
Il tavolo in se.
La posizione nella sala.
Prendemmo posti. Il cameriere stava per sistemarmi la sedia quando Santana lo bloccò e ci pensò lei, per poi accettare di buon grado di farsela sistemare dal cameriere.
-Vuole che apra subito signorina?-
Santana annuì al cameriere e spostò lo sguardo sul mio viso confuso ma divertito.
Lentamente spostò le tende verdi e pesanti. Prima che però potessi vedere qualche cosa Santana era già dietro di me a chiudermi gli occhi.
Avevo le sue mani fresche sul viso, e la mia testa posata sulla sua pancia, si stava veramente comodi tanto che mi dimenticai tutto finché non sentì un click dalla tenda che si bloccava. Il cameriere si congedò da noi dicendoci di chiamarlo al bisogno.
-Pronta?-
Annuì e i miei capelli si scontrarono con il vestito rosso. Santana rise leggermente e con una lentezza esasperante tolse le mani dagli occhi.
Il più bel panorama che si fosse mai visto.
La vetrata dava su Lima, o almeno lo sfondo era Lima, le luci accese e il cielo scuro le rendevano più luminose. Una vista bellissima.
-L’Empire è costruito sulla sponda di un fiume affluente dell’Ottowa, è praticamente ad un passo dalle cascate Goodin, a pochi chilometri c’è Lima-
Santana continuava a spiegarmi il paesaggio e la vista, ma io smisi di ascoltarla e mi eclissai ad ammirarlo. Mi ero letteralmente persa nella contemplazione di quel panorama.
Lima era sullo sfondo, mi ero sempre chiesta perché le luci delle città sembrassero bellissime viste da lontano, colorate e luminose, come uno di quei paesaggi di cartolina, così appariva anche la mia città.
Ormai era scesa la notte e nel buoi Lima risplendeva.
Ma se lo sfondo era occupato dalle luci cittadine, nello spazio antecedente era tutto stravolto.
Si vedevano le stelle.
 
Lima era una grande città, non era grande come le grandi metropoli della costa est, New York, Chicago o Boston. Neanche grande come le ricche città dell’ovest come Seattle, Losa Angeles o San Francisco, ma era grande abbastanza da oscurare tutte le stelle.
Riuscivo a scorgerle soltanto in campeggio, in mezzo ai boschi e le zanzare e solitamente ero talmente stanca dalla giornata e afflitta dagli insetti che non ci davo più di un occhiata prima di crollare nel sacco a pelo addormentata.
Rimasi abbagliata dalla vista.
Non solo si vedevano le stelle, ma queste illuminavano il prato e riflettevano sul fiume.
La luce violetta che si alzava dall’acqua illuminava il prato solitamente verde di un colore bluastro, mancavano soltanto la musica e le fatine.
Mancavano solo le fatine.
Quando spostai lo sguardo dall’esterno all’interno del ristorante vidi la piccola orchestra dall’altra parte della sala che suonava della bellissima musica.
-Che te ne pare?-
In quelle quattro parole riconobbi in Santana la paura di aver sbagliato qualche cosa e non più il tono ironico, anzi quello era da un po’ che non lo sentivo.
-è meraviglioso!-
Santana sospirò per rilasciare la tensione. Appena si riprese mi dedicò uno sguardo che ricordava vagamente la frase “lo so, sono fenomenale”
Cercò poi, il cameriere muovendo il braccio per attirare la sua attenzione.
-Ci potrebbe portare dei menù perfavore?-
In quel momento tutta l’euforia sparì.
Per prima cosa ero sconvolta dal tono gentile di Santana.
Per seconda mi ritornò in mente che non avrei saputo come pagare e fine serata.
In quell’anno lavoravo e pagavo le spese, quei pochi risparmi che mi ero guadagnata non li avevo con me.
C’erano ancora i risparmi dell’università, ma non avevo neanche quelli con me.
In realtà si aggiravano sui duemila dollari, e non ero neanche sicura che in questo posto mi sarebbero bastati.
-Per favore, qualsiasi spesa la accrediti su questa carta va bene?-
Stavo per ribattere, per tirare fuori un qualsiasi argomento per contrastare quell’evidente pazzia, ma lei mi zittì tirandomi un fazzoletto.
Questo fece ridere sia me che Santana, anche il cameriere che ci serviva, ma cercò di darsi un contegno per non riderci in faccia.
Santana sapeva della mia preoccupazione, e credo che mi conoscesse abbastanza bene da sapere che avrei preso un insalata e dell’acqua. Così si caricò di tutto.
-San questo posto è caro, anzi carissimo! Spenderesti un sacco di soldi-
Lei nascose il viso nel menù aperto ignorandomi.
Ma non mi andava che ignorasse l’argomento così però. Solo l’insalata costava 75 dollari e in tutta sincerità non osai neanche buttare l’occhio nel resto.
-San?-
La mia compagna tirò giù il menù di scatto.
-Uffa! Lo so quanto costa questo posto ok? Ho parecchi risparmi e posso permettermi di portarti qui tutte le volte che vorrai! Quindi scegli che cosa vuoi a cena e non rompere. Devi prendere almeno un primo, un secondo, la frutta e il dolce! Era già tutto in programma-
Annuì spaventata.
Poco dopo Santana mi chiese se avevo scelto almeno gli antipasti per chiamare il cameriere.
-Avete deciso?-
Santana prese un qualche cosa dal nome francese e io presi delle bruschette semplici.
-Ma non puoi prendere solo le bruschette-
Stavamo discutendo da qualche minuto sulla mia scelta. Continuava ad insistere sul fatto che non potevo prendere solo le bruschette, anzi mi consigliava ringhiando di non prenderle affatto. Cercava di convincermi di prendere cibi di cui non conoscevo l’esistenza e di cui lei storpiava il nome.
Il cameriere la correggeva e li lo indicava con un “Appunto, quello” ad ogni pietanza.
-mi piacciono le bruschette! Adoro le bruschette perché dovrei prendere altro?!-
Il nostro battibecco si era conquistato lo spettatore fisso.
Era un ragazzo afroamericano, o forse mulatto, dal collo però spuntava una stella di David.
-Mi scusi come si chiama?-
Interruppi bruscamente lo sproloquio di Santana con la mia domanda, e sicuramente non ne fu per niente contenta.
-Jake-
Quel ragazzo se la rideva sotto i baffi in modo talmente indiscreto che anche la furia latina se ne accorse.
-Va bene Jeck, porta le bruschette alla signorina-
Il cameriere stava per ribattere, ma si morse la lingua appuntando l’ordinazione nel bloc notes (incredibilmente verde anche quello)  e se ne andò.
-Jake-
Santana mi guardò spaesata.
-Il suo nome è Jake, non Jack!-
Annuì e fece cenno a Jake di venire.
-Scusa se prima ti ho chiamato Jack!-
Lui ringraziò e accettò le scuse.
Quando se ne fu andato il cameriere Santana mi sorrise.
Sfece il tovagliolo a forma di cigno e se lo posò sulle gambe con garbo.
-Allora… mmh… l’hai vista la partita?-
Di Santana si potevano dire tantissime cose.
Si poteva parlare della sua pressoché perfetta presenza fisica.
Dell’ironia sottile.
Del più che giusto soprannome quale Satana.
Che si staccherebbe un braccio per le persone che ama.
Ma sicuramente il saper iniziare un discorso, una qualsivoglia conversazione, ad un appuntamento non è tra queste lodi.
-La partita?-
In queste situazioni, quando Santana era nel pallone, mi divertiva prenderla un po’ in giro.
-La partita di cosa?-
Mi poggiai allo schienale e incrociai le braccia cercando di trattenere un sorriso. Sapevo che Santana era un sportiva, andava a correre e faceva palestra, ma non seguiva lo sport in tv o con i giornali, e sperai tanto che non lo facesse in qualche pub a bere birre e abbracciarsi con la prima persona che si incontra per un punto della propria squadra del cuore.
Ma in ogni caso non lo reputavo probabile. Scoprì questo suo lato qualche settimana prima,
 
 


Beth era tornata a casa da scuola molto sportiva e combattiva quel giorno.
Neanche il tempo per Quinn di posare le chiavi che lei era corsa in camera a cambiarsi i vestiti e le scarpe.
Quando tornò mezz’ora più tardi aveva cambiato non solo i vestiti, ma l’intero look. Era sportiva, dei calzoncini rossi e una canotta bianca blu. Non avevo neanche mai visto quei vestiti, (Quinn poi mi disse che li usavano per il campeggio). I capelli raccolti in un improbabile coda di cavallo.
-Beth?-
Quinn stava preparando il pranzo e dovette bloccarsi un secondo dal tagliare i pomodorini per guardare la sua bambina.
Il sopracciglio era arrivato a dei livelli di altezza impossibili per la fisionomia umana, e gli occhi erano talmente sgranati che si potevano identificare tutte le sfumature negli occhi della bionda.
Era sconvolta.
La mini-biondina aveva lasciato vestitini, gonnelline e ballerine per scarpe da ginnastica e un pallone sotto braccio.
-Beth perché ti sei messa quei vestiti addosso?-
Saltellando la piccola si mise vicino a me.
-Voglio giocare a foutbal!-
-Voglio una Ferrari!-
Entrambe mi guardarono storto.
-Che c’è? La voglio-
Beth rise, ma Quinn mi guardò storto, poi sbuffò e ignorò le mie parole tornando a concentrarsi sulla figlia.
-Beth, perché vuoi giocare a football?-
La bambina si mordicchiò il labbro, cercò il mio aiuto, ma non sapevo veramente come comportarmi.
-C’è la partita!-
Prima che scappasse via verso la televisione, Quinn mi fece un cenno per chiedermi di riacchiapparla. La presi per la maglietta e la tirai su tant’era leggera.
-Dobbiamo mangiare!-
Il tono duro di Quinn non ammetteva repliche.
 
 
-Non dovreste tenere la porta aperta!-
La voce di Santana fece spaventare tutte e tre.
-Mai sentito parlare di Campanelli? Sono utili sai?-
-Era per dimostrarvi che questa casa non è sicura Pierce!-
Quinn ci fece zittire con un sibilo, alzammo entrambe le spalle e ci mettemmo comode.
-Ehy cucciola, come mai questi vestiti?-
Beth sbuffò e chinò la testa sul piatto che Quinn le aveva messo davanti.
-Allora?-
-Voglio giocare a foutbal!-
Santana la corresse facendole pronunciare un paio di volte la pronuncia corretta.
Quando infine realizzò ciò che effettivamente Beth disse, posò lo sguardo su me e Quinn, confuso e stupito.
In risposta ricevette un sospiro sconfitto da Quinn e un alzata di spalle un po’ disinteressata dal me.
-Che cosa stupida! È inutile il football! È inutile lo sport in generale!-
Poco dopo scoprimmo che la fissa di Beth per lo sport era dovuta alla sua prima cottarella per un suo compagnetto di classe.
 
 
 
-Io non so neanche di che partita stai parlando. Ma non è importante non ne ho vista nessuna. Toglimi una curiosità: perché la partita?-
Santana storse la bocca.
-Per iniziare una conversazione. Un argomento come un altro-
Per fortuna Jake ritornò con i nostri antipasti.
-Ecco a voi, cosa vi porto da bere?-
Una cosa la si poteva dire di quel ristorante, al contrario di tutto ciò che dicono sulle porzioni nei ristoranti di lusso, erano dei piatti enormi, ordinai anche l’insalata, e sicuramente mi avrebbe saziato per tutta la serata.
Il resto della serata passò tra chiacchere del più e del meno e lunghi silenzi.
 
 
-Volete ordinare il dolce?-
Santana si pulì il viso picchiettando il fazzoletto sulle labbra e mi lasciò parlare, scossi la testa.
-Solo il conto grazie!-
Jake se ne andò.
-Spero che ti sia piaciuta la cena-
Posai il bicchiere con la cola prima di rispondere.
-Assolutamente! All’altezza della sua fama. Ottimo cibo, porzioni titaniche, servizio eccellente-
A proposito del nostro servizio eccellente il nostro cameriere tornò con il conto pagato e la tessera di Santana.
-Grazie per  essere venute-
Stava per andare via ma fece dietro front.
-Scusate, non vorrei disturbarvi ulteriormente però… ecco se vi serve un tutto fare, magari a tagliare il prato, pulire le grondaie o portare a spasso il cane, chiamatemi-
Ci diede un biglietto a testa con la sua immagine e il solo nome con un numero di cellulare.
-Quando sei libero mi servirebbe di tagliare il prato, pulire le grondaie e magari anche una passata di tinta alla staccionata-
Al ragazzo si illuminarono gli occhi, sicuramente gli sarebbero entrati un bel po’ di soldi.
-Mi chiami quando vuole, lavoro qui soltanto la sera del weekend!-
Jake andò via quasi saltellando e istintivamente a me e Santana venne da ridere.
-Che fine ha fatto l’altro ragazzo che ti tagliava il prato?-
Santana rimase un attimo perplessa.
-Alfred?-
-Non saprei, quel ragazzetto a cui stavi urlando contro-
Ridacchiò.
-Si, Alfred, un idiota! Non sapeva fare niente-
Annuì con finta faccia comprensiva.
-Ehy aspetta! Come consoci Alfred? Anzi come sapevi che avevo urlato contro di lui, l’ho assunto e licenziato in quaranta minuti-
Merda!”
“Merda!”
“Merda!
Santana si appoggiò allo schienale della sedia con un sorrisetto compiaciuto sul volto.
-Dovremmo andare-
Cercai di alzarmi e andare via il più velocemente possibile.
-Raccontami di quando mi hai stolkerato Pierce!-
Corsi verso le scale, intanto Santana ancora rideva seduta al tavolo.
Mentre mettevo il piede sugli ultimi scalini mi sentì prendere per un braccio.
-Perdonami, ma era troppo divertente-
Continuavo a scendere molto innervosita dalla figuraccia appena fatta, e Santana continuava a ridacchiare cercando di chiedermi scusa per la sua reazione.
Appena aprì la macchina mi ci fiondai dentro.
Quando anche Santana fu entrata rimanemmo tre o quattro minuti in silenzio, poi con un sospiro mise in moto e partimmo.
-Non ti stavo spiando, volevo passare a trovarti ma eri impegnata, così me ne sono andata-
Si fermò al giallo del semaforo.
-Non importa! Devi rientrare a casa oppure puoi stare in giro un altro po’?-
Annuì anche se era già mezza notte.
-Ok-
Santana mi porse la benda che aveva usato per andare al ristorante.
Guardai ripetutamente prima le calze e poi Santana, calze Santana, calze Santana.
-Non è che mi fai rifare il giro della città?-
Mentre la risata scomposta della latina riempì il veicolo mi legai i collant sugli occhi.
-Andiamo capitano!-
Santana fece una brusca frenatae una manovra spericolata ed illegale. Non feci in tempo a far ritornare gli organi al loro posto che il clik della cintura di Santana fu seguito da una veloce risalita sul sedile. Cercò il più velocemente possibile di levarmi la benda.
Quando ci riuscì eravamo di traverso nel bel mezzo della strada.
Santana in ginocchio sul sedile con un’aria super infantile e super eccitata.
-NON AZZARDARTI A FARLO DI NUOVO!-
Santana portò gli occhi al cielo e sbuffò.
-Smettila mi fai parlare?-
Ignorò la mia espressione contrariata e continuò a parlare.
-diciamo che visto come hai reagito prima è meglio che ti spieghi. Mi avevi promesso che mi avresti aiutato a sistemare la casa, e mi sono resa conto che sarebbe una buona idea-
Si rimise seduta in maniera ordinata e si riagganciò la cintura. Si voltò poi dopo di me aspettando una risposta.
-Andiamo-
Prima di mettere in moto accese la radio.
Cantammo ogni canzone che passava alla radio, Venti minuti di tutti i successi del momento.
Quando arrivammo potei notare che quel ragazzo, Alfred, non aveva fatto il suo lavoro , il prato infatti era stato tagliato solo a zolle.
Jake avrebbe dovuto fare un gran lavoro.
-Vieni entra-
Entrai.
Perfetto.
La casa era in completo ordine, il profumo di lavanda. Tutto era contornato di torce accese.
-sono sicura che le candele sarebbero state più romantiche e avrebbero sicuramente creato un’atmosfera più adatta, ma avevo paura che quando saremmo arrivate sarebbero state consumate o che la casa avrebbe preso fuoco-
Mi vennero istintivamente le lacrime agli occhi.
La baciai.
La baciai nuovamente.
Ci baciammo per tutto il tragitto fino alla camera dal letto.
C’erano le torce.
C’era il profumo di lavanda.
Ma soprattutto c’era Santana.






___________________________________________-

Salve! so di aver detto di dover pubblicare ieri, ma ho scoperto stamattina che Sabato era passato, ero estremamente convinta che fosse Venerdì. Scusate! 
Ho scritto un'altra fan fiction, è la storia vista dall'angolazione di Santana. 
Vi lascio il link:    http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2348530&i=1    
Vi sarei grata se mi faceste sapere cosa ne pensate, sia di questa che della seconda!! 
Ciao Ciao 
Pepper Snixx Heat

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12
 


 
 
Erano le quattro e mezzo del mattino quando mi svegliai.
Mi sentivo intorpidita e avevo parte del corpo addormentata. Cercai di muovermi, ma mi trovai ostacolata. Santana era completamente spalmata su di me, la sua testa poggiata sul mio seno, la sua mano sinistra mi stava artigliando il fianco e l’altra passava sotto di me, le sue gambe completamente intrecciate con le mie.
Il lenzuolo che ci copriva, copriva ben poco, le gambe sia mie che si Santana erano scoperte, anche la sua schiena. Me l’ero quasi tutto preso io.
Il mio sguardo cadde sul viso, era rilassato e beato, non aveva quel broncio che le avevo visto più volte mentre dormiva, sembrava che fosse felice.
Lentamente sciolsi le nostre gambe, e senza fare casino cercai di tirar via la sua mando dal mio fianco. Per riuscire ad alzarmi le tenni la testa e una volta in piedi, operazione che chiese svariati minuti, la riposai sul guanciale.
Appena mi resti conto di non avere vestiti addosso avvampai e presi la prima cosa che mi capitò a tiro, la vestaglia di Santana, era a maniche lunghe e mi rimaneva leggermente corta sulle maniche.
Sentì il frusciare delle lenzuola, quando riportai lo sguardo sulla ragazza notai che si muoveva infastidita, sicuramente non le piaceva la mancanza del suo appoggio e cercava una sistemazione comoda per continuare a dormire.
-Che diamine hai fatto Brittany!-
Non mi resi conto di averlo detto ad alta voce, era un vizio che mi dovevo togliere. L’avevo sussurrato, però nel silenzio si poteva sentire, così mi preoccupai di controllare che la situazione fosse rimasta invariata.
Dopo il sospiro di sollievo che feci per aver constatato che fosse tutto apposto, iniziai a cercare i miei vestiti.
In camera non riuscì a trovare altro che l’intimo, e sbuffai per questo.
Aprì la porta e non feci in tempo ad uscirne che inciampai sui tacchi di Santana, per fortuna riuscì a reggermi alla cassettiera li affianco. Un altro colpo di fortuna fu che proprio in quel mobile, appeso ad uno dei pomelli, vi trovai il vestito tutto stropicciato.
Poco più avanti trovai anche i tacchi, a quel punto mi vestii alla velocità della luce.
Stavo per uscire, stavo scendendo le scale ed ero ad un passo dalla porta quando mi resi conto dell’organizzazione dell’appuntamento, di ciò che effettivamente Santana aveva fatto per me.
Le torce a fare da contorno, la maggior parte delle quali ormai scariche. C’erano anche i fiori, di quelli si poteva ancora vederne la bellezza.
Passai lo sguardo su tutta la stanza, su ogni dettaglio che mi saltava agli occhi.
Il disordine cronico si Santana era sparito.
Ogni cosa mi risultava perfetta.
Sobbalzai quando incrociai i mei stessi occhi.
Lo specchi di Santana poggiato al muro, mi ci avvicinai.
L’unica cosa di cui riuscì a preoccuparmi fu il vestito, e le scarpe, il tacco era mezzo rotto e si teneva in piedi per miracolo. Nonostante  tutto però, quei vestiti rimanevano troppo eleganti per passeggiare a piedi fino a casa a quell’ora del mattino.
-Brittany, non puoi andare in giro così-
Mi mordicchiai il labbro per la pazzia che stavo per fare. Sapevo che più fossi rimasta in quella casa, più sarebbero state possibilità che Santana si svegliasse e mi venisse a parlare.
Andai di sopra con passo sostenuto, ma cercando sempre di fare piano.
Entrai in camera di Santana, mi diressi verso l’armadio lo aprì solo leggermente e mi caddero addosso diversi indumenti. Li lasciai scivolare per terra e sperai che non ci fosse niente di pesante o che facesse rumore.
Trafugai, da quei vestiti ingarbugliati, un paio di calzoncini e una T-shirt per poi dirigermi verso il mobile davanti al letto e prendere in prestito un paio di calzini.
Quando rischiusi il cassetto feci più rumore di quando mi servisse e di scatto mi girai verso la figura distesa sul letto.
Aveva compensato la mia assenza abbracciando un cuscino, e le era ritornato quel broncio del sonno che l’aveva accompagnata le altre sere.
Indietreggiai e uscì il più velocemente possibile.
Corsi in bagno a prendere un paio di scarpe.
“Terrai il piede un po’ stretto”
Infilai un paio di scarpe da ginnastica e andai in cucina in cerca di una busta per i vestiti.
Lasciai un biglietto accanto al telefono
Mi dispiace.
Mi dispiaceva davvero.
Mi dispiaceva per essermene andata alle 5 del mattino , senza un parola, dopo quella nottata che iniziai a considerare totalmente sbagliata, e iniziai anche a mettere in discussione il se fosse stato giusto aver detto si a quell’appuntamento.
Forse fu la cosa peggiore.
Accettare conscendo la situazione di entrambe, non l’essermi tirata indietro dopo la lettera di Quinn. Fu la cosa peggiore.
Mi sentivo un verme.
 
 
Nel tratto da casa mia a casa di Santana cercai di  fare qualsiasi cosa pur di non pensare, ma siccome è impossibile iniziai a ripassare tutte le canzoni che conoscevo. Musical, cartoni animati, singoli pop, rock, metal.
Ripassai le tabelline e scoprì che mi risultavano ancora molto difficili quelle del sette dell’otto.
 
 
-Brittany!-
-Quinn…-
O mio Dio! Fabray, Quinn Fabray, Quinn qualcosa Fabray! Uguale la sua migliore amica!”
-Quinn! Siete tornate! Come è andata? Dov’è Beth? Hai schiarito le idee?-
Quinn evitò le mie domande, forse non le sentì nemmeno e mi strinse in un abbraccio spacca ossa.
-Beth è con Puck-
Bene, anzi Male! Non posso usare la bambina come scudo in caso di eventuali attacchi”
-Raccontami qualche cosa-
“Brava Pierce, dirotta la conversazione dove meglio ti aggrada”
-Lo farei volentieri ma devo correre da Santana, se sa che non sono corsa subito da lei mi uccide-
Scoppiammo entrambe a ridere, due risate molto diverse in realtà: la sua cristallina e felice, di chi in quel preciso istante non ha altro a cui pensare se non ridere, cui la vita ha preso il verso giusto, e anche l’arrabbiatura di Santana in quel momento era una prospettiva piacevole.
La mia isterica al solo nome della latina e falsa come, in quel momento a parlare con Quinn mi sentivo come Peter Minus.
*Drinn-Drinn*
“Fa che non sia Santana”
“Fa che non sia Santana”
“Fa che non sia Sant-”
-Te ne sei andata-
Non era una domanda, in effetti sarebbe stato più facile se lo fosse stato, se ci fosse stato un perché a cui rispondere, ma non c’era.
Era una semplice constatazione.
La verità.
La sua voce era diversa, senza nessuno sfumatura, quasi apatica.
A rigirare il coltello nella piaga la chiarezza del messaggio.
-Che cosa è successo?-
Quinn non era il tipo che si fermava ad ascoltare le tue ragioni quando toccavi le persone a lei care, che avessero torto o ragione finivi nella sua lista nera, e per mia sfortuna Santana era seconda nella sua lista di persone care, subito dopo Beth.
Ringraziai che non mi chiese che cosa avessi fatto, ma che lasciò una porta aperta per constatare la situazione, il piccolo ed insignificante problema era che quando sarebbe venuta a conoscenza della situazione non sarebbe stato possibile sfuggire alla sua ira.
-Non sapevo che cosa fare-
Lo sguardo di Quinn era glaciale, accusatorio e folgorante.
I suoi occhi, solitamente dolci, in pochi secondi riuscirono a diventare di fuoco puro, scottante, che ti brucia senza pietà.
Mi scansò brutalmente e con una foga inimmaginabile corse via da casa a velocità luce.
Vuoto.
In quel preciso istante mio si svuotò la mente, niente più pensieri, niente più dolore di stmaco causato dal senso di colpa niente.
Ero talmente sovra fatta da sentimenti negativi e dolorosi che il mio corpo reagì provocandomi un vuoto.
Come un automa me ne andai a letto per recuperare le ore di sonno perduto.
 
 
 
 
 
-Dimmi perché. Prima che ti prenda a pugni, e giuro che lo faccio, dimmi perché!-
In quell’istante potrei assolutamente dire che di non aver mai visto Qualcosa Quinn Fabray arrabbiata prima di allora.
-Sbrigati Pierce, non è una cosa che faccio tanto spesso. Per tua fortuna però ci sono una serie di vicissitudini che non ti sto qui a spiegare, ti sto dando la possibilità di spiegarti. Parla!-
Mi alzai dalla posizione che avevo assunto circa tre ore prima.
-Siamo un casino-
L’urlo frustato di Quinn mi fece veramente spaventare.
-ti vuoi spiegare?-
Scossi la testa e le chiesi di uscire da camera mia.
-Io ti uccido!-
Quinn mi si scaraventò addosso, mi blocco le mani con le sue al lato del mio corpo e le gambe con le ginocchia.
-Non sei mica leggera-
Ignorò la mia affermazione, e forse fu un bene, avrei potuto farla arrabbiare anche di più.
-Ascoltami Brittany, ho scritto quella lettera di corsa, e forse non mi sono spiegata bene o tu hai capito male. Ma te lo rispiego ok?-
Dopo che ebbi annuito scese da sopra di me. Mi tirò su per un braccio e mi trascinò in cucina.
Lo sguardo trucidante di Quinn si addolcì un poco, ma la sua accezione assassina rimase immutata.
-Adesso ci parli, io devo andare da Puck a prendere Beth-
Feci per ribattere, ma mi zittì e mi tiro il telefono addosso.
Quando uscì, l’urto della porta chiusa violentemente fece tremare i pavimenti.
 
 
 
-Ho il tuo numero di cellulare registrato Brittany, è già la quindicesima volta che chiami e butti giù-
Non appena sentì quel messaggio mi vergognai tantissimo.
Quando Quinn uscì decisi di guardare una puntata di un vecchio telefilm, ma dopo un po’ mi resi conto che la mia concentrazione non era posta sul telefilm e decisi che era arrivato il momento di chiamare Santana.
Le feci 15 chiamate, nelle prime 3 rispose la segreteria telefonica e lasciai finire il nastro senza niente. Nelle restanti rispose, solamente che io rimasi muta e appena sentivo lei dare fiato buttavo giù.
Bussarono alla porta furiosamente alla porta.
-Saresti dovuta venire tu da me!-
Santana era davanti a me, lo sguardo duro e inflessibile. Mancava quel luccichio folle e divertito che rendeva quello sguardo luminoso.
Il nero era di un intenso perforante.
Il viso rigoroso e crudo non ammetteva repliche.
Mi spinse da un lato per entrare. Io non battei ciglio e la lasciai fare.
-Te ne sei andata-
Non la guardai neanche,  avevo paura del senso di colpa e di vergogna che sarebbe aumentato se l’avessi guardata negli occhi.
Pensavo che niente fosse peggiore dell’espressione che aveva in volto.
Ma mi sbagliavo. Quando parlò fu peggio, fu molto peggio.
Santana era una bellissima ragazza, ma la cosa che preferivo di lei era la voce.
In quel momento era terribile. Piena di rabbia, ira e dolore, senza quel velo ironico, senza quella dolcezza roca. Non c’era traccia della vivacità. Era diventata solo tagliente.
Mi venne in mente quando notai, la prima volta che notai il cambiamento di Santana, era all’appuntamento e il tono era esattamente il contrario.
Stava continuando ad inveire contro di me, e iniziai a pensare che il tono impaurito e scosso del temporale.
Scoprì una cosa, tutti dicono che è meglio che qualcuno ti odi piuttosto che ti resti indifferente, in quell’istante mi venne smentito tutto.
Se qualcuno è indifferente, se il fatto che tu esista non gli cambia niente vuol dire che la sua vita funziona, che quella persona è riuscita ad andare avanti. Fa male perché è riuscita a farlo senza di te, ma in fondo sei felice, perché sai che c’è riuscita.
L’ira è diversa, l’odio ti distrugge. E sai che sta distruggendo anche l’altra persona. Quando sai che quella persona ti odia, quando sai che è arrabbiata perché sei tu che l’hai fatta arrabbiare. Sai che non riesce ad andare avanti per colpa tua, come ci si riesce a convivere?
-Mi dispiace. Mi dispiace tanto San-
Si mise una mano in tasca e ne estrasse un foglietto, era lo stesso che avevo scritto quella mattina.
-L’hai già detto, non sono qui per il mi dispiace-
Cercò di stringersi le braccia intorno al corpo per cercare di clamarsi.
-Possiamo dimenticare tutto sai? Possiamo fare molti passi indietro-
Era la mia seconda possibilità.
“Va bene San. Con calma si sistemerà tutto”
-Siamo troppo incasinate mi dispiace-
Il suo viso si contrasse in una smorfia.
-Tu, sei stata tu! Te ne sei andata. Mi hai abbandonato e te ne sei andata-
Iniziò a teremare.
-Sei come tutti glia altri. Mi hai abbandonato, come tutti gli altri-
Le ultime parole erano quasi un sussurro.
Cercai di avvicinarmi a lei, volevo cercare di calmarla ma Santana arretrò fino a schiacciarsi contro la porta.
Mi fermai e tornai un poco indietro per non spaventarla o farla agitare ulteriormente.
-San calmati-
Uno sbuffo frustato uscì dalle sue labbra.
-Non chiamarmi San-
Alzai le mani per farle capire che avevo afferrato il concetto, e per lasicare che fosse lei che dettasse le regole della conversazione.
Si schiacciò di più contro la porta e abbassò la testa sopra il suo petto nel vano tentativo di riprendere il controllo.
-Santana calmati. Non ti ho abbandonati, cioè non volevo lasciati, e solo che… ho avuto paura-
Alzò la testa verso di me di scatto.
Un lampo di comprensione le vidi negli occhi.
Poteva non capire perché me ne ero andata.
Poteva non capire perché l’avessi illusa.
Poteva non capire perché fosse successo tutto questo.
Ma poteva capire la paura.
Stano sentimento la paura.
Si può avere paura di un sacco di cose, degli insetti, magari di un compito in classe, di un ritardo a lavoro e le annesse conseguenze. In quei casi la paura è soltanto un attimo, che passa appena l’insetto vola, appena metti le mani sopra la scrivania e appena consegni il compito.
Si può dividere ancora la paura, quella delle malattie, la paura del buio, la paura della solitudine. Ecco quel tipo di paura che ti lascia un momento di lucidità, magari non subito a primo impatto, magari dopo qualche tempo, ma c’è puoi iniziare a pianificare il piano d’attacco. Una paura che ti tieni dentro costantemente, ma che riesci a gestire e controllare.
Poi c’è il tipo di paura peggiore.
Quel tipo di paura che non sai gestire, sai solo vagamente da cosa è dovuta e non sai come combatterla.
Noi tutti viviamo circondati da piccole manie, fobie spesso strane che ci impediscono a pieno di goderci le nostre vite.
Per Santana è il temporale.
Per Mercedes è la sicurezza di Norah.
Per Sam sono gli uomini in giacca e cravatta.
Per altri invece non si sa qual è, Quinn ha affermato più volte di non aver paura di niente.
Sciocchezze.
Alcune persone vantano di non aver paura, ma è solo apparenza.
Tutti hanno paura di qualche cosa.
La mancanza di coraggio nell’ammettere l’esistenza di una fragilità in se stessi è equivalente alla paura stessa.
C’è chi ha paura di qualcosa, chi ha paura di qualcuno o per qualcuno, chi infine ha paura di se stesso.
Ma qualsiasi sia la tipologia si può dire che la paura è il peggiore delle sofferenze.
E alla paura non ci si fa l’abitudine.
Eppure, è il sentimento che più unisce.
Strano, l’amore fa stare insieme le persone, ma la paura le unisce.
Ti allei con l’essere più schifoso e infido del mondo se hai paura, può diventare il tuo migliore amico in certi momenti.
-Non importa, tu mi hai abbandonato-
Si scatto aprì la porta e corse via alla velocità della luce.
Ci misi qualche secondo per scattare anche io e correrle dietro.
-Santana aspetta!-
Quando raggiunsi il portone vidi sfrecciare la macchina di Santana lungo l’asfalto.
-Bel lavoro Pierce!-
Tornai a casa mortificata.
 
 
 
 
-Zia Britt!-
Beth mi saltò in collo prima ancora che Quinn aprisse la porta di casa.
-Siamo andate in campeggio…-
Come sempre Beth, raccontò per filo e per segno cosa fece in quei giorni. Fu fantastico come quella bambina fosse riuscita, per mezz’ora e più a farmi dimenticare ogni problema.
Era una dote naturale, sempre allegra e solare che ti trasmette serenità.
Quinn interruppe il racconto di Beth.
-Beth ho sentito la signorina Berry, dice che se vuoi puoi andare da lei-
Beth iniziò ad esultare saltellando da una parte all’altra.
-Signorina Berry?-
Rechel Berry.
La conobbi al mio primo anno di liceo, subito venne etichettata come sfigata, brutti vestiti ed ego fuori misura. Lei era sicura di se, andava in giro a testa alta e più la insultavano più si alzava, la testa almeno, è sempre stata bassa.
Subito si impose come stella nel Glee Club e ci rimase per tutti e quattro gli anni.
-Wow Rechel Berry insegnante di canto!-
Da li la piccola chiese insistentemente di poter invitare Rechel a cena, finché Quinn non acconsentì.
 
 
 
-Allora parliamo un po’-
Quinn era tornata da accompagnare Beth ed era carica per una chiacchierata.
Si mise sulla sedia e iniziò a rubarmi i pop corn.
-Già come è andata con Puck? Schiarita le idee?-
Cercai subito di portare il discorso sui suoi di problemi, ma Quinn mi guardò storto. Fece finta di non aver capito.
Parlare con Santana era impossibile in quelle situazioni. Puck era il suo migliore amico, e anche lei, e Beth l’aveva su un piedistallo. Sicuramente non sarebbe stata oggettiva le avrebbe suggerito senza pensarci di rimettersi con lui.
-Ho deciso di andare a cena con lui-
Allungò la mano per prendermi il bicchiere di succo di mela dalla mano.
Lo tirai indietro ma lei l’aveva già agguantato.
-Allora ladra che farete? Gli comprerai i fiori e gli sposterai la sedia al ristorante!-
Mi tirò addosso una manciata di pop corn, ma ridemmo entrambe.
-Idiota! Diciamo che non ci siamo mai dati una possibilità. Il Puck che conosco io è quello ragazzino, un adolescente di sedici anni. Devo conoscere l’uomo che è diventato, e lo stesso deve fare lui-
-Conoscere l’uomo che sei diventata? Ok, ok scherzavo!-
Mi congratulai con lei per la scelta, ed ero sinceramente felice per il fatto che si stesse riprendendo la sua vita.
-Mi terresti Beth stasera?-
Scossi la testa negando, ma lei riprese subito.
-è l’unico motivo per cui non ti ho ancora uccisa-
Annuì accettando di tenere Beth, sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontare la furia pysco-omicida di Quinn, e volevo ritardare il momento.
-Perché lo hai fatto?-
Sospirai pesantemente cercando le parole giuste da dire.
-Sai cosa è la felicità Q?
Sbalordita Quinn rimase interdetta per alcuni secondi, quando si fu ripresa annuì. Con un cenno le chiesi di spiegarmelo, almeno spiegarmi ciò che pensava che fosse.
-Un sentimento che da soddisfazione e gioia, che ci rende di buon uomore-
Piegai la testa da un lato con un’espressione un po’ contrariata, allora lei si fermò.
-Io non credo si così, non credo che la felicità sia qualcosa di così astruso, niente di così astratto-
Guardai Quinn per vedere se mi stesse seguendo.
-Credo che in realtà sia qualche cosa di concreto e tangibile. La felicità è un fatto. Non può essere qualche cosa di campato per aria. Nulla di irrazionale, nulla che non si possa spiegare-
Cercai di spiegare a Quinn come vedevo la felicità.
Come un momento.
Quando la tua coppia preferita di un telefilm si bacia, quando in una fan fiction l’autore decide di scrivere finalmente un pezzo romantico, quando scopri che il tuo personaggio preferito di un libro non muore.
Un momento in famiglia. Quando tua madre ti cucina il tuo piatto preferito, quando si decide la gita con la scuola, quando si decide con gli amici di fare una maratona Disney. 
Cercai di spiegarle che la felicità è un’affermazione, una frase o una parola che sono state dette.
Ti hanno preso oppure complimenti un bellissimo tema, telaio, adoro la parola telaio.
Cercai di spiegare che la felicità è quando torni a casa da lavoro e senti il profumo di cena, quando si è appena tagliata l’erba e piove, i capi lavati dalla nonna.
Ma più di tutti cercai di spiegarle che la felicità la trovi con una persona, può essere la tua famiglia, la tua migliore amica o… Santana.
Cercai di spiegarle come si riconoscono le persone felici, si sa quando ci si trova davanti un sorriso idiota, un’euforia incontrollata o quando senti che il tuo cuore sta per esplodere.
Cercai di spiegarle che cosa fosse per me la felicità.
-Wow-
Quinn era sconvolta ed estasiata dal mio discorso e dal mio concetto di felicità.
-Per me questo è il concetto di felicità. Santana è felicità-
Potrei giurare di aver visto uno scintillio di lacrime nei suoi occhi.
-Perché…?-
Non le lascio finire neanche la frase.
-Perché ho paura-
Lei mi guarda confusa.
-Sei felice con lei, cosa hai da aver paura?-
Rimasi in silenzio per un po’.
Poi abbassai lo sguardo.
-Ero felice anche quando stavo andando a New York, è stato un attimo e la felicità è scomparsa per colpa mia-
 
 
 
 
-Beth è ora di andare a letto-
Mi mise il broncio a cui non sapevo resistere e mi portò buone argomentazioni per rimanere alzata ancora un po’. In fondo era in vacanza. Le feci slittare l’ora della nanna di 20 minuti, diventò mezz’ora, ma scattati i trenta minuti rimasi ferma e la spedì a letto.
-Avevi promesso che se ti avessi lasciato ancora un po’ non avresti fatto i capricci-
Consapevole andò a vestirsi per la notte.
Quando tornò stavo prendendo qualche foglio e delle penne dalla libreria.
-dov’è la mamma?-
-è uscita, domattina sarà qui a prepararti la colazione-
Annuì un po’ triste, se Quinn non le aveva detto che cosa era andata a fare non potevo farlo neanche io, nonostante avrebbe fatto felice la piccola. Forse però l’avrebbe anche illusa se le cose si fossero messe male.
-Dormi cucciola-
Aspettai in camera sua che si addormentasse, e quando sentì il suo respiro farsi regolare me ne andai via.
Andai in cucina e ripresi i fogli che avevo preparato precedentemente.
Avevo confessato a Quinn ciò che mi turbava, mi ascoltò senza giudizi ne sentenze.
Mi disse di scriverle una lettera e che lei si sarebbe occupata di fargliela leggere.
Mi sedetti e iniziai a scirvere.
“Cara Santana”
 







___________________________________________________________


Salve!
Spero che vi vada di recensire.
Vi lascio il link dell'altra fan fiction.

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2348530&i=1

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13





 
Cara Santana,
è così imbarazzante doverti scrivere questa lettera, però non mi hai voluto rispondere al telefono e neanche al messaggi che ti chiedevano di parlarmi o incontrarci, così mi è stato consigliato di scriverti. Non che sia il mio modo preferito di parlare con una persona, ma è necessario.
Forse è meglio così però, non sono certa che avrei avuto il coraggio di guardarti negli occhi e dirti ciò che devo. Di confessarti tutto ciò che c’era da dire mentre uno sguardo inquisitore mi ricordava costantemente la cazzata che avevo fatto.
Di persona ci sarebbero stati tanti fattori che bloccherebbero la conversazione, tipo tu che ti rifiuti di ascoltarmi sarebbe uno di questi, i cellulari che squillano, l’incazzatura. Sono cose che non fanno molto bene alla conversazione.
Però credo che la cosa importante per il chiarimento, non sia parlare, bensì credo che sia il trovare un  modo in comunicare e risolvere la situazione, preferibilmente senza urla o oggetti volanti , giusto?
Quindi ho deciso di scrivere, foglio e penna e tagliamo via il dente.
Vorrei partire  facendoti un paio di premesse.
La prima è che non sono proprio un asso nello scrivere, diciamo che… non so proprio buttare giù di quegli scritti strappa lacrime o che fanno riflettere e sicuramente non sono proprio forte nello scrivere di sentimenti, però ci provo. Magari poi  potresti trovare qualche frase scomposta e un po’ insensata, ma il senso generale dovrebbe esserci, e per quelle frasi basta ragionarci su per un po’.
La seconda è più una richiesta in effetti. Leggi fino alla fine, anche con tutti i pregiudizi e preconcetti nei miei confronti mi sta bene, ma leggi fino alla fine poi puoi anche dare fuoco a tutto.
Magari mettiti comoda, sul divano o su una sedia.
Credo che inizierò dall’inizio ok?
Credo che la prima volta che nella mia vita si presentò un ostacolo fu a 14 anni, non un vero e  ostacolo, diciamo che per la prima volta nella mia vita mi ritrovai davanti ad un…
Immaginatelo come un foglio bianco, hai scritto sempre per tutta la vita, scrivevi e non ti sei mai fermata, hai sempre scritto, virgole, punti, maiuscole e doppie tutte allo stesso posto, poi ad un certo punto del tuo grande libro devi scrivere coscienza, e la i diventa tuo nemico mortale. Allora inizi, coscienza, coscenza, coscienza o coscenza. Ti servirebbe un dizionario, ma non lo hai mai usato e non sai dove andare a cercare!
Ecco mi si presentò davanti una situazione simile.
Dopo il mio appuntamento mi misi a pensare.
Pensa.
Pensa.
Pensa.
 Passai buona parte dei giorni successivi a pensare alla faccenda. Ad August, ai genitori, all’omosessualità in generale.
Decisi di prendere il toro per le corna e andai da Marius Gonzales.
Marius era un ragazzino di origine  russa,  adottato da una famiglia ispanica appena nato. Gay dichiarato, perse un anno perché i bulli lo tormentavano e lui smise di venire a scuola.
Un giorno lo bloccai dopo la lezione del glee e gli chiesi spiegazioni.
Facemmo un lungo discorso, da scuola ci spostammo al bar, dal bar al parco e in tutto questo tempo lui parò.
Fu molto strano, iniziai a sentire una stretta allo stomaco, in molte cose che diceva mi rispecchiavo.
Quando tornai a casa ero più confusa di prima.
Certo Marius mi aveva chiarito le idee su molte cose, e a quel punto non ero più confusa sulla società ma su me stessa.
Cosi passai interminabili giorni a riflettere del fatto che c’era la probabilità che mi piacessero le ragazze.
Il problema principale e che non avevo mai sentito i miei parlare di sessualità, neanche quella etero, in effetti ero un po’ fuori dal mando quindi non sapevo come affrontare l’argomento.
Quando mi diedi dei punti:
  1. Dubitare della mia sessualità è un evidente segno. (o No?)
  2. Se l’occhio cade…
Lo so, commenti stupidi e da ragazzina. Li elaborai e studiai, la prima volta che uscì con una ragazza fu a 16 anni.
Però corsi dai miei genitori, e mi dissero che mi avrebbero aiutato, e così hanno fatto, ho capito la mia sessualità, ho rafforzato il mio rapporto con i miei genitori.
Ci ho messo circa due settimane.
I miei dubbi sulla sessualità sono durate per due settimane.
Quanti posso dire di essere così fortunati?
Bhe quelle due settimane furono l’unico periodo della mia vita in cui mi si presentò davanti un ostacolo.
19 anni e due settimane di problemi.
E fa schifo.
Alcuni pensano che sia fantastico, che sia una specie di benedizione. Ma non è così, non è così proprio per niente.
In tutta la mia vita non ho mai affrontato niente.
Nessuna competizione con dei dubbi sulla vittoria, nessun problema improvviso, e se per caso si presentavano c’era qualcuno a risolverli per me.
Certo, c’erano le competizioni sportive: le cheerleader e la danza, ma conosci la Sylvester perdere non rientra nel suo vocabolario, e la danza, la danza non è mai stata competizione, neanche quando perdevo, non è mai stato un problema.
Il Glee club poi, per prima cosa Rechel Berry non avrebbe mai permesso, a nessuno di prendersi la scena che spettava a lei, e in ogni caso c’erano 13 ragazzi e due professori a sorreggermi.
Ecco di problemi veri però non ne ho avuto nessuno.
Hai presente le vite perfette che hanno nei film, quelle che si guardano e si dice che è impossibile averla?
Bhe la mia ci si avvicinava molto.
Vivevo una vita più perfetta possibile, amici, scuola, famiglia tutto alla grande.
È diciamo che fa schifo.
Fa schifo perché a 19 anni sono un’inetta!
Sono una diciannovenne che non ha mai fatto niente da sola.
Niente.
Vuoi alcuni esempi?
Vado in cerca di un appartamento per me, e invece di prendermi un bilocale nelle mie possibilità, affitto una casa con due camere da letto enormi un bagno con una vasca paragonabile ad una piscina e un open space mega galattico!
Ne vuoi un altro?
Volevo un televisore da 73 pollici, in HD. 7 000 dollari.
Iniziai a fare turni extra, tanto che stavo li dalle 9 del mattino alle 10 di sera, avevo anche trovato un lavoro come custode di un cimitero per animale per arrotondare lavorando anche di notte, sai all’inizio è leggermente inquietante, ma dopo un po’ ci fai l’abitudine.
Mercedes appena lo scoprì mi fece una delle sue lavate di capi, mi disse che stavo lavorando troppo. Non le prestai molta attenzione, ma quando poi lei scoprì che mi inventavo storie dei nomi sulle lapidi, di chi era stato cucciolo Skip, o da chi era stato addestrato Fido mi minacciò di togliermi il lavoro se non avessi ridimensionato.
Fatto sta che mi aiutò anche in questo, consigliandomi di affittare la camera in più.
Poi la storia la sai, anche se ancora non sono riuscita a comprare il televisore.
 
Ok, aspetta un secondo.
Dopo l’incidente niente è stato più come prima.
Improvvisamente tutto mi cadde addosso senza che io ne avessi sentore.
Tuuto ciò per  cui avevo lavorato una vita intera era sfumato, tutto quello per cui Artie e Mike si erano preparati e allenati duramente era stato vano, per un mio stupidissimo errore. Come può una distrazione di una persona distruggere le aspirazioni di altre due?
A volte riesco a sentire il fuoco che brucia sulla pelle. I miei migliori amici mi odiano, non li vedo da un anno perché gli ho rovinato la vita.
Dopo l’ospedale seppi soltanto che Artie e Mike erano i condizioni molto gravi.
La mia vita faceva schifo. Alcol, spogliarelli in bar dalla dubbia reputazione.
Solo Mercedes fece qualche cosa di concreto per aiutarmi, mi trovò un lavoro, mi mise in sesto e mi aiutò a cercare l’appartamento. 
San, credo che avremmo dovuto avere più tempo per noi.
Spero che leggerai questa lettera fino in fondo, e spero che mi risponderai.




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Ma salve! Come va? Allora ecco il capitolo, più corto, molto più corto degli altri, volevo metterci anche il restante ma poi sarebbe diventato lungo molto più lungo e ho preferito tacere! 
Vediamo, questa è ovviamente la lettera di Brittany, dovrebbe sembrare confusa e senza capo ne coda, spero di esserci riuscita. 
come sempre vi metto il link dell'altra fan fiction che ho finalemnte aggiornato! 


http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2348530&i=1

Spero che recensirete in tanto questa e l'altra fan fiction! 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14





 

Erano due settimane che la lettere era in mano a Santana. Due settimane di silenzio assoluto. Due settimane che io ero indecisa su cosa fare.

Dieci minuti per assaporare il momento del tutto istintivo che ti spinge a fare qualche cosa, quel momento che d’impulso prendi la borsa e con ancora il becco d’oca in testa inizi a correre per arrivare a casa di una persona il più velocemente possibile.

L’unica cosa che riuscivo a pensare era ciò che mi aveva detto Quinn due giorni dopo che le avevo dato la lettera da dare a Santana.

 

 

-l’ha letta?-

Quinn annuì, era appena tornata da casa di Santana, sinceramente pensavo che ci avrebbe messo decisamente di più, ma era rientrata presto, sarà stata fuori un oretta.

-Mi ha cacciato fuori di casa-

Quinn aveva una faccia confusa.

-Spiegati Quinn!-

La bionda alzò le spalle e spalancò la bocca sena dire niente, completamente sopraffatta dallo stupore.

-Le ho dato la lettera, lei l’ha letta e mi ha detto di andare via-

Rimasi a mia volta a bocca aperta

 

 

Dopo quel giorno vissi come un automa, mi alzavo, mi sistemavo e andavo a lavoro, tornavo a casa mi buttavo sul letto a pancia in su, mangiavo e dormivo.

Mi alzavo.

Mi sistemavo.

Andavo a lavoro.

Tornavo a casa.

Mi buttavo nel letto.

Mangiavo.

Dormivo.

E per tutte le due settimane seguenti in quel inferno.

In tutto quel tempo pensavo.

Santana, chissà se mi avrebbe mai richiamato, chissà se aveva letto sul serio la lettera oppure aveva fatto finta e poi l’aveva bruciata. Chissà…

Quella mattina ero stanca di aspettare, e in uno sprizzo di coraggio agguantai la borsa e iniziai a correre.

 

 

 

*Ding-Dong*

-Chi è?-

Oddio, se dico Brittany mi aprirà?”

-Fedex-

Cercai di ingrossare la voce per camuffarla.

Oddio è domenica”

Subito cercai di riprendermi.

-Pizza!-

Ma se lei non l'ha ordinata?”

Ancora una volta cercai di correggermi.

-Polizia-

Brittany rinunciaci.”

-Brittany rinunciaci-

La sua voce. La sentì dire quelle due parole e mi sembrò di esplodere.

Erano due settimane che non sentivo la sua voce. La sua bellissima voce.

Non mi resi veramente conto di quanto mi fosse mancata, finché non la sentì nuovamente. Mi sembrava che fossero passati anni, mi sembrava così tanto tempo che non la sentivo che che trattenni le lacrime a stento.

-Santana sono Brittany, per favore potresti aprire? Vorrei parlarti-

Feci silenzio, immaginai quasi di sentire il suo respiro contro la porta.

-San...-

Era un sussurro, in effetti avevo perso le speranze. Lei però lo sentì, almeno credo, perché sentì scattare la porta.

Era li.

Davanti a me.

I capelli erano spettinati, racchiusi in una coda disordinata da cui spuntavano ciuffi neri. La maglia le ricadeva larda sui fianchi, doveva essere di parecchie taglie più grandi perché non le copriva la spalla ma le cadeva su un braccio. I pantaloni erano corti e non vi vedevano sotto la maglia, sempre che li indossasse.

-posso entrare?-

Sapevo che quella domanda era un azzardo, doveva aver fatto una fatica immane ad aprire la porta, ma lei la aprì, del tutto e si fece di lato per farmi passare.

Esitai ad entrare perché, nonostante fossi stata io a chiederlo, lei aveva ceduto troppo presto.

A quella mia esitazione arcuò un sopracciglio, allora mi sbrigai ad entrare.

-Scusa. Allora come va?-

Oddio...”

La sua casa era un disastro. Era messa peggio della prima volta che ci entrai. Vestiti e oggetti erano raddoppiati, c'erano cose sopra i mobili più alti e addirittura sopra lampade e lampadari. Guardando meglio notai anche il delle cose familiari, sotto tutto quell'ammasso di roba, in alcuni punti, si potevano notare delle torce spente.

Realizzai che erano le stesse di quella notte, con gli occhi e girando leggermente il busto, percorsi lo stesso sentiero delle torce.

-Vuoi andare in cucina?-

Annuì e la seguì in cucina. Come l'altra volta, era tutto in perfetto ordine.

-vuoi qualche cosa da bere?-

Negai con la testa.

 

 

 

-allora che mi devi dire?-

Ovviamente Santana andò dritto al punto.

Cercai di riordinare le idee, per trovare una risposta giusta.

è Santana, probabilmente faresti meglio a dirle semplicemente la verità. Che hai avuto paura.”

La guardai negli occhi, stavo per dirle che avevo avuto paura, ma ero stata egoista.

Anche lei avrà avuto paura, lei come te ha i suoi bei trascorsi!”

Stupida coscienza.

Dissi allora la prima cosa che mi venne in mente:

-Sono qui per aiutarti a mettere in ordine e pulire. In fondo te lo avevo promesso-

 

 

* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * ** **

 

 

-I vestiti tutti a lavare, penso che la lavatrice lavorerà un bel po'-

Una battuta.

Non era molto ma almeno non era fredda come il ghiaccio.

-Per non fare avanti e indietro dalla lavatrice, forse è meglio mettere tutto dentro delle ceste, o delle buste-

Annuì concorde.

Stavo per andare a prendere la cesta per mettere i panni sporchi, almeno iniziavamo a farne una, ma lei mi prese il polso.

Il suo tocco era leggero, non strinse, la sentivo comunque le sue dita sul mio polso.

-Non ho mai usato la lavatrice-

Scoppiai in una risata.

Non che ciò, il fatto che Santana non sapesse usare la lavatrice, mi sconvolgesse. Anzi mi sarei stupita del contrario, ma era il modo in cui lo disse. Gonfiò le labbra e le guance e abbassò gli occhi, seguiti da un leggero ticchettio con il piede.

Cercai di chiederle scusa, ma lei iniziò a ridere con me, una risata sincera e genuina, che non mi sarei aspettata, ma era lì.

Le fossette sulle guance, il naso arricciato e gli occhi socchiusi.

Quando smise di ridere, mi girai velocemente verso la porta del bagno per non farmi scoprire a fissarla.

Andammo verso la lavatrice, era di sopra, e io la seguivo.

Si sedette nello sgabello vicino alla porta, mentre lasciava a me il compito di controllare (e fare la lavatrice).

-Non c'è l'ho con te. Non più-

Mi fermai da sistemare la lavatrice, rimasi un po perplessa e con il braccio a mezz'aria.

-Sai, probabilmente avrei fatto una cosa molto simile nella tua situazione, ma non so se avrei mai mandato quella lettera-

 

 

 

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Passammo la serata a sistemare la casa.

Iniziammo dal salone, e ben presto le buste si riempirono di roba da vestire.

Quando venne il momento di togliere le torce, mi sentì a disagio, e vero che mi disse che mi aveva perdonata, ma mi chiedevo che fosse vero, o meglio, se adesso avrei avuto una seconda possibilità.

-Verrò a trovarvi questi giorni, ok?-

Io annuì felice, ci sarebbe voluto del tempo però sapevo che non era tutto perduto.

Fa le cose con calma Pierce”

-San?-

Lei mi guardò di sfuggita facendo segno di parlare.

-Voglio rivedere Mike e Artie, mi accompagneresti?-










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Salve! è passato un botto di tempo, lo so. Chiedo perdono, brutto periodo! 
Comunque, spero che recensirete in tanti, anche perché spero che questa storia non sia caduta nel dimenticatoio! 
Ciao Ciao 
Pepper Snixx Heat

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15

 

 

 

-Tanti auguri a te! Tanti...-

Soffiai con tutto il fiato che avevo in corpo le candeline, venni accecata da flash provenienti dai miei amici e familiari.

C'era Sam con in mano il suo i-phone, che cercava di fare un inquadratura dall'alto e cantava a squarciagola al canzoncina, si sbatteva una mano sul petto per applaudire.

Mercedes teneva in braccio la bambina. Mentre faceva le foto con la sua macchina professionale.

Puck, Kurt, Blaine e i piccoli facevano foto con i vari oggetti (sopratutto i piccoli che usavano le mani) Rechel e Finn battevano le mani a ritmo.

Quinn aiutava Beth a fare una foto con il suo telefono e cantava forte quasi quanto Sam.

I suoi genitori emozionati facevano le foto con delle vecchie macchine fotografiche.

Santana era più in fondo di tutti. Non stava cantando e non stava facendo fotografie, aveva soltanto un sorrisetto compiaciuto sul volto. Lei sapeva quanto in quel momento fossi ansiosa.

Scartammo i regali, ognuno di loro mi fece un regalo decisamente gradito. Ma, non per essere di parte, il più bello fu di Santana.

Delle scarpette da ballo.

Me lo fece trovare sul letto, aveva programmato di farmelo trovare a fine festa, ma un inconveniente con del vino fece scalare i suoi piani.

Era sul cuscino, in una busta morbida rosa. Il biglietto diceva “Sperando...”.

Quando lo aprì vidi delle scarpette da ballo, nuove e nere.

Erano avvolte in una busta color carta da zucchero, e dentro c'era un abre-magic alla lavanda.

Per qualcuno, sapere che una persona ha regalato delle scarpette da ballo ad un'ex-ballerina, potrebbe sembrare di cattivo gusto, ma sapevo che cosa significava quel gesto. Santana continuava a credere in me, nonostante non mi avesse mai visto ballare.

Dovetti trattenere a forza le lacrime, ma una sfuggì al mio controllo. La asciugai velocemente con il dorso della mano, e tornai di salone con la maglietta pulita.

 

 

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-Quando hai detto che arrivano?-

Non appena dissi a Santana che volevo rivedere Mike e Artie, si mise in prima linea per aiutarmi.

 

 

-Vuoi rivedere Mike e Artie?-

Io annuì convinta, ci avevo pensato parecchio, era passato del tempo da quando era successo l'incidente.

-Non pensi che sia il caso di assumermi le mie responsabilità?-

Santana stette in silenzio per un po', poi mi disse di andare con lei.

Ci sedemmo sul dondolo in giardino, mi venne da sorridere la differenza tra l'interno della casa e l'esterno estremamente curato.

-Sai, la tua frase di poco fa sembrava un senso di colpa bello e buono!-

Iniziai a giocherellare con le pellicine delle mani, tendevo a strapparle quando ero nervosa.

-Mi aiuterai?-

Santana non sembrava sconvolta dal repentino cambiamento di direzione del discorso,

-Certo, sei ancora dentro casa mia. Viva. Mi sembra ovvia la risposta-

 

 

 

Qualcuno suonò alla porta, mi bloccai, posai il bicchiere sul bancone della cucina, non sarei riuscita a tenerlo in mano.

Quinn si stava dirigendo verso la porta per aprire ai nuovi arrivato, ma Santana, intuendo chi potesse essere la fermò per un braccio e andò lei ad aprire.

 

-Salve, siamo qui per la festa di Brittany S. Pearce-

Artie, riconoscerei quella voce ovunque, Artie Abrams.

Santana aprì la porta il più possibile per dare ad Artie la possibilità di entrare senza avere difficoltà per via della carrozzina.

-Aspetta Artie, ti aiuto-

Mike. Anche lui era qui.

-Salve, Santana Lopez, ci siamo sentiti per telefono-

Mike e Artie salutarono Santana, la ringraziarono per le telefonate, e gli presentarono le rispettive fidanzate.

-Tina Cohen-Chang piacere. Non siamo parenti-

La ragazza asiatica che si presentò mise subito in chiaro che lei e Mike Chang non erano parenti, in fondo sarebbe potuto sembrare sospetto.

-Kitty Wilde-

La ragazza bionda che teneva la mano di Artie era invece concisa e schietta. Mi sembrava un viso noto ma lasciai stare.

Ero veramente concentrata su di loro.

I miei amici.

I miei amici a cui avevo rovinato la vita.

Senza guardare loro o chi mi stava intorno corsi verso la mia camera con le lacrime agli occhi.

Sentì soltanto Tutti che la chiamavano, ma lei non sentiva, riusciva solamente a rivivere le scene dell'incidente.

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * * * * * * ** * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *

 

 

 

-Toc toc, posso entrare-

Santana entrò nella stanza, io ero accucciata dietro la porta nel punto meno esposto della camera.

Appena si accorse di me, sentendo un singhiozzo che non ero riuscita a soffocare, si abbasso e mi strinse.

 

Rimanemmo li per ore, forse più di due, ma non riuscivo a controllarmi.

Quando finalmente riuscì a darmi un contegno uscimmo da quella stanza.

Feci quel piccolo corridoio a passi esageratamente lenti.

Ma quando arrivai in fondo vidi Mike e Arite, e loro videro me.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16

 

 

 

Erano tutti lì, Artie e Mike in disparte, non si stavano avvicinando. In un certo senso gli ero grata.

Feci, incerta un passo avanti, ero talmente insicura che per poco non finì con la faccia per terra.

Blaine per mia fortuna era accanto a me e mi sostenne da un braccio.

Continuavo a fissare i miei vecchi amici, nessuno dei due si muoveva.

Nessuno dei due si muove, probabilmente sono venuti qui per insultarmi e dirmi che gli ho rovinato la vita”

Con questi pensieri in testa mi allontanai, un passo indietro ma sufficiente per allarmare Blaine che fece ancora una altro passo verso di me, e Santana che dietro di me mi mise una mano sulla schiena.

Quel movimento mi aveva bloccata, non mi piaceva per niente.

-Brittany, devi fare con calma, non c'è nessuna fretta-

La voce di Blane mi risultava calma e rassicurante.

Quando lo avevo invitato non sapevo ancora quando avrei visto Mike e Artie, e lui non era ancora certo che andare a casa di una paziente fosse la cosa giusta, aveva già sgarrato troppe volte. Quando però lo avvertì che ci sarebbero stai i miei due amici decise di venire.

E ringrazio che ci fosse lui.

Mi sostenne.

-Sentite, che ne dite se ci sediamo tutti quanti?-

Ci sedemmo sul divano.

-Allora, che ci racconti Britt?-

Mike ruppe il ghiaccio, era sempre stato il più estroverso di tutti.

 

 

-Salve, sono Mike Chang, loro sono Brittany Pierce e Artie Abrams-

Eravamo nell'aula canto, Una ragazza bassa con i capelli scuri e naso pronunciato sembrava seccata dal fatto che il mio amico l'avesse interrotta in quello che sembrava un monologo interminabile.

-Scusate, cercavamo il professor Shuester, volevamo provare a fare il provino per il glee club-

Mike fece qual che passo avanti, mentre un uomo ricco e alto e con la fossetta sul mento si avvicinò.

-Salve, Will Shuster-

Mike gli strinse la mano, e sorrise, per poi fare cenno a me e Artie di entrare.

-Vorremmo fare il provino per il Glee Club-

Il professor Shuster Ci fece segno di metterci comodi per fare il provino.

-Ragazzi, siete pronti?-

Cercai di infondere coraggio a gli altri, e a me medesima, ma era più difficile di quello che pensavamo, eravamo tutti e tre degli ottimi ballerini, ma si trattava di cantare, e nessuno dei tre si fidava ciecamente della sua voce.

Misero la base nello stereo.

Appena Wake me up before you go go dei Wham! Partì, Mike iniziò a cantare. La voce calda e bassa, incerta, ma appena i piedi si mossero la sicurezza ritornò.

Quando iniziò Artie con la sua strofa, andò dietro a Mike a ballare. La sua voce risultava leggermente nasale, ma acuta e limpida.

Quando partì io, era appena iniziato il ritornello, e per mia fortuna le voci dei miei amici coprivano la mia.

Piroette e salti acrobatici.

Dopo la fine della canzone tutti si alzarono i piedi e ci applaudirono.

-Ecco i nuovi ballerini delle Nuove Direzioni-

Tutti ci vennero incontro per congratularsi con noi.

 

 

-Sto bene-

Stavo martoriando le mani.

Cercavo di inghiottire la saliva che oramai era finita.

-Voi come va?-

Sapevo che quella domanda era ridicola. Mike era ancora sfigurato in volto e Artie ancora in sedia a rotelle.

Era rosa, la pelle di Mike era sempre stata olivastra, adesso parte di essa era rosa, bruciata. Anche sul collo c'erano i segni della bruciatura, che andavano a infilarsi nella camicia.

Arite invece teneva le gambe poggiate alla carrozzina. Aveva le scarpe slacciate, e dalla posizione dei piedi potevo vedere le suole, bianche e assolutamente non consumate.

-Stiamo bene!-

Artie sorrideva.

-bhe, ce la caviamo almeno, devo combattere con mia madre che pensa che la mia ragazza sia una “ragazzaccia”-

Per la prima volta da quando erano entrati risi.

La ragazza bionda, quella che stava spingendo la carrozzina quando i ragazzi erano entrati, era lei la cosiddetta ragazzaccia.

-Scusate, non mi sono neanche presentata alle vostre ragazze-

Mi alzai e cercai di tenere giù le mani per coprire il nervosismo.

Mi avvicinai prima alla ragazza di Mike.

-Sono Brittany-

Tina, stinse la mano di Brittany e le sorrise.

-Piacere, sono Tina, sono felice di conoscerti finalmente-

Dopo essermi presentata a Tina andai verso la bionda.

-Kitty, piacere-

Aveva la faccia spigolosa, e a primo impatto poteva sembrare una persona ambigua, ma dal tono della voce e dalla stretta dolce l'impressione cambiò.

-Piacere mio, scusate se prima...-

Tina si affrettò, seguita da Kitty a zittirmi, con un sorriso sulle labbra.

Tornai a sedermi, e, se quando mi ero alzata l'ansia si era affievolita, in quel momento le mie mani tornarono a essere torturate.

-Brittany-

Blaine vedendomi praticamente immobile e per nulla intenzionata a fare un qualunque gesto.

-Fai le cose con calma-

Mi strinse la mano e con gli occhi mi incoraggiò a guardare verso i miei amici.

Vidi i loro visi, e vedevo che erano spaventati, avevano gli occhi puntati su di Blaine, impauriti anche nel dire qualche cosa che poteva turbarmi.

-Mi dispiace-

Era un sussurro, ne ero consapevole, ma non riuscivo a tirare fuori le parole.

-Ehy-

Artie cercò di avvicinarsi.

-Non è colpa tua, per favore, non è colpa tua, siamo qui perché vogliamo aiutarti, se avessimo pensato una cosa del genere non saremmo mai venuti-

Mike annuiva convinto.

-ma dai, siamo qui e con le nostre ragazze, sennò eravamo al bar a bere-

Mike cercò di alzarmi la testa posando un dito sotto il mento. Le lacrime avevano ricominciato a scendere.

Mi abbracciò, con grande disappunto del riccio accanto a me.

Non ricambiai l'abbraccio, non subito almeno.

-Senti ho un'idea-

Forse era successo troppo in fretta, sicuramente, ma mi sentivo meglio.

Mi sentivo ancora in colpa, per l'incidente, non era facile superare una cosa del genere. Le sedute con il dottor Andersen, era state veramente poche.

-Che ne dite di andare a fare un giro al parco?-

Artie gli diede man forte.

-Ma si! Tu adori i parchi!-

Adoravo i parchi.

Loro lo sapevano e non lo avevano mai dimenticato.

-Non vorrei smontarvi-

Kitty era vicino alla finestra e guardava fuori.

-Sta per piovere, anche le previsioni dicevano che ci sarebbe stata aria di temporale-

Mike si sedette vicino a me.

-Peccato, lampi e tuoni e niente parco-

Improvvisamente mi resi conto di cosa avesse detto.

Mi girai in cerca della latina.

-Santana?-

Si sentì un forte tuono.

E poi la pioggia scrosciante.

-Dannati temporali estivi-

 

 

 

-Vai da Santana, BLAINE VAI DA SANTANA-

Santana appena sentito il tuono si schiacciò contro il muro, Quinn corse a portare Beth in camera, che vista la zia avere così paura, iniziò a piangere.

Puck corse da Santana.

Blaine dopo il mio urlo andò anche lui da lei.

-Le finestre, dobbiamo chiudere tutte le finestre-

Corsi verso la finestra e la chiusi, si era creato il panico.

Santana stava avendo un attacco di panico.

Si sentivano le urla di Santana e Beth, tutti erano sconvolti e impauriti.

-Fermi, Fermi-

Mi spalmai praticamente vicino alla colonna della cucina.

-Non riesco a respira...-

Sentì che qualcuno continuava a ripetere il mio nome.

-Brittany, sono Rechel. Aggrappati a me, ti porto sul divano. Ho paura che ti faccia male stare qui-

Sentì la voce di Rechel soltanto ovattata, cercavo di ascoltare, di riprendere il mano la situazione, ma l'attacco di panico stava prendendo il sopravvento.

Rechel cercò di radunare tutte le forze per trascinarmi sul divano. Purtroppo il suo fisico non le permetteva troppo.

Con l'ultimo sforzo mi fece sedere sul divano.

-Repsira, fai dei respiri profondi-

Tre una direzione e l'altra cercava di chiamare qualcuno, ma Blaine e Puck erano impegnati con Santana. Mia madre era andata a vedere Beth insieme a Tina e Kurt. Kitty e Mike cercavano di chiudere una finestra rimasta bloccata, Mio padre era andato a controllare tutte le finestre della casa. Artie prendeva dell'acqua per portarla a Santana.

-Respira Brittany-

I rumore mi faceva tornare in mente l'incidente, toppe urla troppi rumori e troppi movimenti veloci e scattanti.

-L'incidente, mi dispiace-

Rechel mi accarezzò i capelli e mi strinse a se.

-Siamo a casa, è il tuo compleanno, ci sono i tuoi genitori e i tuoi amici-

Guardai Rechel, la mia razionalità si era andata a farsi benedire, ma col senno di poi le ero veramente grata.

 

 

 

-Ciao, Quinn-

Rechel Berry entrò dalla porta con un orrido vestito giallo, anche quando era al liceo il su vestiario non era tra i migliori.

-Ciao Rechel, prego accomodati-

Beth vista la sua insegnate di canto si alzò dal divano e le corse in contro.

-Rechel, Rechel-

Beth abbracciava le gambe della sua insegnate, e lei a sua volta accarezzava con tenerezza la testolina bionda.

-Ehy piccola, mi fai salutare anche la tua zietta?-

Beth si staccò correndo a prendere i suoi giocattoli.

-Brittany-

Subito la Berry si avvicinò a me per stingermi in un abbraccio.

-Rech!-

ci sedemmo, parlammo tanto e mangiammo. Rechel era vegana e Quinn fece un menù apposta.

-allora Rechel, sei fidanzata?-

Rechel annuì energica.

-Finn, Finn Huston-

-Stai ancora con il... Come lo chiamava Sue?-

Rechel rise.

-Bietolone-

Ridemmo tutte.

-Finn è quello alto alto con la tuta da meccanico?-

Rechel annuì alla bambina.

-Si è lui, è il mio ragazzo?-

 

 

-E stato bello rivederti Rech!-

La abbracciai e lei mi sussurrò all'orecchio.

-Anche io, spero che questa volta non perderemmo i contatti.

 

 

 

-Grazie-

Era un sussurro, Rechel era stata con me per molto tempo, Mike e Artie stavano vicino a me, anche i miei genitori, erano li che mi stavano vicino.

Nella poltrona c'era Santana, con le mani sulle orecchie, e introno a lei c'erano Blaine, Kurt e Puck.

-Ho avuto un attacco di panico-

Rechel annuì.

-Sembravi svenuta o qualche cosa del genere-

Dopo qualche secondo, dopo aver ripreso completamente il controllo di me stessa mi venne in mente una cosa.

-Santana?-

Spostai lo sguardo da una persona all'altra per sapere che cosa fosse successo.

-Sta bene, credo, come sempre penso-

Mi alzai d'improvviso facendo saltare un paio di persone.

-Brittany che cosa fai?-

Andai verso lo stereo.

Poet of the fall. Una loro canzone era in una playlist messa su chiavetta.

Gravity.

Era folle, ascoltavo quella canzone mentre pensavo alla latina. O pensavo alla latina mentre ascoltavo la canzone.

Spesso pensavo che ciò che univa me e Santana sembrava la gravità. Inutile tenerci lontane tanto c'era qualcosa che ci riportava insieme.

-è finita San-

Santana si fece largo tra le persone e si buttò tra le mie braccia.

Mi strinse forte e poggiò la testa sulla mia spalla tanto che potevo sentire il suo respiro sul collo. 




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Ogn tanto torno. 
Spero che vi piaccia il nuovo capitolo. 
Spero che lascerete un commentino. 

Pepper Snixx Heat

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


 

Capitolo 17

 

Tutti se ne andarono.

Eccetto Puck, e i miei genitori.

-Brittany, sei sicura di stare bene?-

Io annuì, i miei genitori volevano rimanere finché non fossi stata al “sicuro” come lo definivano loro.

Quando Santana ebbe il suo attacco di panico, loro si spaventarono. Si spaventarono moltissimo, soprattutto per il modo in cui ero scattata per andare a soccorrerla.

-Brittany sei sicura di stare al sicuro? Noi te lo diciamo per te-

Iniziai ad alterarmi. Era più di un quarto d'ora che cercavo di mandarli via, mi serviva del tempo per parlare con Quinn e con Santana, ma loro erano in mezzo, e per quanto gli volessi bene in quel momento erano nel posto sbagliato al momento sbagliato.

-Quella ragazza...-

Bloccai le parole di mia madre prima che combinassero qualche guaio.

-Mamma, Santana è appostissimo, non...non parlare di lei-

Il mio tono e la mia espressione le dovettero sembrare estremamente autoritarie, perché improvvisamente non discuteva più né di Santana né di ciò che era successo allo scoppio del temporale.

-Ok, va bene tesoro. Noi andiamo fatti sentire-

Mia madre mi abbracciò, e io, nonostante fossi in collere per come aveva trattato l'argomento attacco di panico di Santana, ricambiai l'abbraccio.

-Fatti sentire più spesso-

Fu l'unico commento di mio padre, ma mi bastò.

-Arrivederci è stato un piacere conoscervi-

Quinn sorrise cordiale, Puck fece un lieve cenno con la testa, e Beth sventolò la sua manina per salutarli.

Quando chiusi la porta dietro a loro tirai un sospiro di sollievo.

-Brittany-

 

La voce di Puck mi fece riprendere da quei secondi interminabili che mi stavano mandando in pappa il cervello.

-Scusate-

Mi avvicinai al tavolo. Accarezzai la testa bionda della piccola Beth, e mi sedetti poi nella sedia accanto.

-Volevate dirmi qualche cosa?-

Quinn si sedette accanto a me. Puck si mise vicino a Beth dalla parte opposta alla mia.

-Wow, questo mi fa paura-

I grandi emisero un risolino, un po' nervoso. Beth, invece, fece un enorme sbadiglio.

Brittany si sporse per riuscire a vedere l'orologio.

-Le undici e trenta?-

Gli altri due annuirono.

-Senti Britt-

Iniziò Puckerman con tono adulatorio.

-è tardi, Santana non sta tanto bene,...-

Brittany mosse una mano scocciata.

-Fai qualche danno e ti uccido-

Senza neanche dargli il tempo di parlare me ne andai in camera mia. Non riuscì ad arrivarci perché Quinn mi chiamava.

-Britt-

Mi voltai verso di lei.

-Santana è ancora leggermente sconvolta, cerca solo te-

Annuì. Avrei voluto che la cosa non mi stupisse, ma mi era ancora difficile abituarsi all'idea che che Santana mi avesse perdonato, almeno in parte.

Tornai sulla strada della camere.

Ero davanti alla porta socchiusa.

Entrai e c'era Santana sul letto, aveva la schiena poggiata alla testiera, e Un cuscino a proteggere le orecchie.

Presi le cuffiette e il telefono dalla scrivania e mi avvicinai al letto.

-San-

Continuava ad avere gli occhi chiusi e a premere il cuscino.

-Santana-

Vedendo che non rispondeva decisi che era meglio usare la forza. Prima accesi la musica e decisi che era bene fare tutto molto velocemente.

Sfruttando l'effetto sorpresa tolsi velocemente il cuscino dalla testa della mora.

Le misi subito le cuffiette, con un po' di difficoltà per via dei capelli e dei dei movimenti scattanti di Santana.

-Ehy buona, c'è la musica-

Appena ci riuscì ad infilarli le cuffiette, vidi il suo viso, prima spaurito e confuso, più rilassato.

Cercò anche di fare un sorriso.

La musica era al massimo, potevo sentire “She will beloved” dei Marron Five.

-Vuoi dormire qui?-

Ero leggermente cosciente cosciente del fatto che non riuscisse a sentirmi.

Le feci segno di aspettare e corsi fuori, a prendere dei fogli di carta.

Tralasciando gli sguardi sbigottiti di due sbaciucchianti Quinn e Puckerman e confuso della piccola Beth, Acchiappai i primi album da disegno di Beth e un paio di pennarelli.

Mentre tornavo correndo verso la camera sentì le proteste di Beth zittite da un autoritario Noah.

Tornai in camera e alzai gli album per farli vedere a Santana.

Gli diedi il primo e un pennarello rosso.

-Grazie per le cuffiette-

scossi la testa.

-Non è niente. Come ti senti?-

La vidi leggere e poi abbassare la teste per scrivere.

-Così-

sapevo che per lei non era facile. Odiava avere questi attacchi durante i temporali, ma non poteva controllarli.

-Posso dormire qui con te?-

Mi venne da sorridere d'istinto vedendo la parola dormire sottolineata. Anche il viso di Santana era leggermente ironico. Era la prova che si stava riprendendo.

Senza levarmi il sorriso dalla faccia annuì.

Santana con ancora le cuffiette e il mio telefono si leva le scarpe e si mette sdraiata sotto il lenzuolo.

-Buonanotte-

Lo dissi più come commento ironico al suo comportamento, ma non avrebbe avuto effetto perché Santana era isolata dal mondo con le cuffiette.

 

Rimasi in piedi vicino al letto indecisa sul comportamento da adottare: mettersi il pigiama e andare a letto? Oppure prendere il cuscino e andarsi a costruire una capanna sul divano?

Con questo dilemma decretai che in ambedue i casi dovevo mettermi il pigiama.

Il pigiama consisteva in una maglietta che avevo strategicamente rubato a Sam abbastanza grande da arrivarmi a metà coscia.

Quando uscì dal bagno il mio problema si ripresentò.

La domanda mi si parò davanti come un palo.

Quando ritornai in camera per prendere il cuscino e andare a dormire sul divano ritrovai Santana seduta.

-Ehy, come mai non sei giù?-

Lei fece una faccia stranita, e mi resi conto che le cuffie le aveva ancora sulle orecchie.

Cercai di ricordare dove poco prima avevo lasciato il blocco, ma Santana mi passò il suo con il pennarello.

Riscrissi la frase che le avevo detto a voce.

Lei lesse e poi allungò le braccia per farsi passare il blocco e il pennarello.

Mentre scriveva cercai il mio blocco e lo trovai sopra la cassettiera. Quando mi girai vidi Santana con il blocco alzato.

-Ti aspettavo, non sapevo dove fossi e mi stavo preoccupando-

Cercai di trattenere un sorriso a quelle parole.

-Ok-

Mi sdraiai di fianco a lei. Mi misi al bordo limite del letto, non era solo lei il problema, appena mi ero sdraiata avevo toccato la sua mano, e ringraziai che era buio perché la mia faccia divenne completamente rossa.

-Buonanotte-

Non lo sentì, ma almeno lo dissi.

-NOTTE-

Santana mi diede la buonanotte, ma avendo le orecchie tappate dalla musica, non riuscì a modulare la voce.

Quando alla fine cercammo di dormire, Santana mi prese la maglietta e cercò di avvicinarmi a lei, per poi posare la mia posare la testa sulla mia spalla e intrecciò le sue gambe sulle mie. Cercai di non pensare a niente e dopo poco mi addormentai.

 

 

* * * * * * * * * * * * * * * * * * *

 

 

Sentivo qualche cosa che mi faceva rimbalzare. Non era la prima volta, anzi, erano parecchie volte che il mio sonno, il mio beato sonno, veniva disturbato da questi rimbalzi.

Lentamente sentivo che gli occhi cercavano di aprirsi .

-Ci sei riuscita-

l voce di Santana mi arrivò alle orecchie. Ironica e roca come sempre. La paura le era passata ed era tornata la classica Santana.

-Sono dieci minuti che sto cercando di svegliarti-

Fece cenno alla sveglia come se lei potesse confermare la sua affermazione.

-Sno svgla-

Mi alzai a fatica per mettermi seduta e mi stropicciai gli occhi per poi sbadigliare in maniera poco signorile mentre mi stiracchiavo.

Quando avevo le braccia aperte Santana si butto addosso.

Mi strinse quasi a soffocarmi, mise la testa sul mio collo.

-Britt? Sono affamata-

feci un risolino.

-allora andiamo a mangiare? Sai se Quinn ha cucinato?-

Lei scosse la testa. Corse velocemente alla porta, e mi aspettò lì.

-non sono ancora uscita, e devo anche andare a fare pipi-

Uscimmo dalla camera e sentimmo l'odore de Panckake.

Sanatana corse verso di Quinn e quando arrivai vidi la mora appesa al collo di della bionda che la ringraziava per il cibo e cercava di prendere qualcosa da mangiare dal bancone.

-Ok tutti a tavola-

Sentì dei piedini muoversi veloce dietro di me, e poco dopo una piccola Beth in pigiama mi sfrecciò accanto. Pochi momenti dopo sentì dei piedi decisamente più grandi e pesanti un Noah Puckerman con solo i pantaloni sfrecciò accanto a me.

-Via via via!-

Saltai di lato per far passare la furia.

-A tavola!-

Quinn ci condusse verso il tavolo.

Mangiammo e chiacchierammo beatamente tutti insieme. Io e Noah facemmo quasi a gara per chi mangiasse di più.

 

Dopo la colazione io e Santana andammo a lavoro, o meglio io andai a lavoro, lei aveva deciso di seguirmi e fare il suo il suo lavoro di traduttrice al suo solito tavolo.

Stavamo camminando in silenzio da alcuni minuti. Quando Santana mi parlò.

-sai, siamo due persone problematiche-

Stavamo camminando, eravamo vicino al bar, ma ci passai davanti e facemmo un secondo giro dell'isolato.

-Si lo siamo, ricordi Blaine?-

Santana rise.

-Credo che noi possiamo fare un sacco di cose insieme-

Mi si blocco un secondo il cervello nel tentativo di capire la sua affermazione.

-Cioè?-

Santana si mise le mani nelle tasche dei mini jeans che aveva messo.

-Si, nel senso che siamo messe male, prese singolarmente, ma credo che se ci aiutassimo una con l'altra potremmo tornare... ecco... normali-

Era vero, forse se ci saremmo potute aiutare l'una con l'altra, senza relazioni di nessun genere.

Forse era la volta buona, la seconda. 





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Salve, ho aggiornato il prima possibile (non speriamci troppo per laprossima volta, c'era il ponte di mezzo). Spero che il capitolo vi piaccia e che lasciate tante recensioni

P.S. mancano veramente uno o due capitoli però.

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Capitolo 18
*** Come salvare una vita ***


COME SALVARE UNA VITA

 

Lima, 23 maggio 2023

 

Tante cose sono successe negli ultimi 10 anni, tante cose sono state guadagnate e perse. Tuttavia in qualche modo ho la sensazione che la mia vita sia solo all'inizio. Non avevo mai conosciuto l'amore finché non incontrai Santana, una donna con la quale condivisi una bambina speciale con gli occhi azzurri di nome Julia di 6 anni e due bambine speciali terribilmente simili alla donna che avevo sposato, Fabian e Phoebe di 3. All'improvviso ottenni la benedizione di avere una famiglia tutta per me e vecchi amici con cui condividerla.

E nonostante continuai a lavorare alla vecchia tavola calda di Sam, aprì anche una scuola di danza tutta mia.

La vita senza sensi di colpa mi aprì gli occhi a nuove prospettive. Santana continuava a tradurre i suoi libri, ma iniziò anche a scriverne alcuni di grande successo. Per nostra fortuna aveva tempo per aiutarmi con le piccole pesti.

Questo mi consentì di aiutare Artie nella sua riabilitazione, Mike nella nostra scuola di danza e la comunità “It's get better”* per aiutare i ragazzi problematici.

Santana con i suoi libri diventati piuttosto famosi aiutava le nuove generazioni ad affrontare i momenti più buoi.

Continuammo ad affrontare periodi di crisi e fraintendimenti, ma ormai ci consideriamo una famiglia di superstiti e lo saremmo sempre. Ecco perché ci consideriamo dei sopravvissuti.

Due anni e mezzo dopo che io e Santana iniziammo la nostra relazione andammo a vivere insieme. Quinn era tornata con Noah (che da tempo aveva lasciato la cresta e il sopranome Puck), Beth diventò una cheerleader ed entrò nel Glee club del liceo McKinley. Anche il piccolo Liam, secondogenito della bionda e dell'ebreo, era un ballerino classico, aveva iniziato a quattro anni e iniziate le elementari andava a delle scuole sperimentali basate sulle arti. Santana era convinta che si sarebbe accorto ben presto dei bei ragazzi che lo circondavano.

Dì e Mark, i gemellini più piccoli, hanno appena 4 anni e nonostante la mamma aveva cercato di mandarli alla scuola di danza avevano preferito la bimba il karate e il piccolo il ciclismo.

Sam e Mercedes dopo un aborto spontaneo quattro anni dopo la nascita della bambina non ebbero altri figli ma presero quattro cani trovati per la strada ancora cuccioli.

Kurt e Blaine continuano la loro vita innamorati più che mai, i gemelli sono diventi grandi e secondo Blaine, il maschietto avrebbe una cotta colossale per la ormai-non-più-piccola Puckerma.

Mike e Tina si sono sposati quattro anni fa, e adesso sono in attesa del loro primogenito.

Artie una mattina vide un leggero tremore ed uno spasmo alla gamba destra, da allora era stato operato tre volte e faceva una continua fisioterapia. Adesso camminava con le stampelle ma piano piano stava riuscendo a rimettersi in piedi. La fisioterapista che lo seguiva, sembrava avere un grande ascendente su di lui, e per questo era bersaglio della frecciatine di Puck e Santana.

Per quanto riguarda noi, eravamo cresciute.

Ci eravamo messe insieme dopo un serie di ostacoli che avevamo superato.

Certo anche dopo non è stato tutto rose e fiori.

Una notte mi è rimasta particolarmente intensa, è successo tutto 8 anni fa stavamo insieme a da un'anno, già dalla sveglia era iniziato tutto male.

Mi ero alzata e avevo sentito Santana imprecare contro il pc. Le avevano rifiutato il primo libro che aveva scritto.

In successione successero una serie di disastri: il libro di Santana era stato rifiutato, Sam era nervoso perché la bambina non dormiva e se la prendeva con chiunque e quella mattina mi aveva fatto una scenata sulla mia incompetenza a lavoro, l'offerta che avevamo fatto io e Mike per aprire la nuova scuola di danza era stata rigettata e non era la prima. Quinn e Santana litigarono furiosamente, Blaine non c'era perché stava male e non avevo qualcuno con cui sfogarmi. Artie era dal dottore e non poteva rispondere.

Già alle 18 quella giornata era l'inferno.

Poco dopo che Santana rientrò litigammo per una coperta scivolata, il pretesto per sfogare la rabbia e lo stress che quella giornata ci aveva messo addosso.

Santana si chiuse in camera a chiave.

Neanche mezz'ora dopo un lampo e un tuono squarciarono il cielo. E il temporale si scatenò.

Corsi da Santana e bussai fino a farmi male la mano, ma lei disse solo: sto bene, va via.

Distrutta e stanca feci una cosa che non facevo da tanto tempo, un rituale del quale mi ero liberata quando Quinn e Beth vennero a vivere da me, quando ogni tassello iniziava ad andare apposto.

Spostai tutti i mobili.

Feci entrare la luce solo dalla finestra e spensi la luce.

Il tango di Roxanne partì a tutto volume dallo stereo.

Mi sedetti per terra e cominciai a piangere.

Le note di Roxanne sfumarono e sentì due mani calde si posarono sulle spalle.

-Vieni con me-

Santana mi prese le mani e mi condusse fuori.

-Santana c'è il temporale-

Lei mi sorrise e mi diede un bacio sulla guancia.

-ti devi rilassare-

Sotto il temporale Santana iniziò a ballare, mi portò in quella pazzia con lei.

Dopo anni stavo ballando, in maniera scomposta e indecente, ma stavo ballando.

In quel momento mi fu tutto chiaro.

C'era il temporale e Santana ci stava sotto ballando per me.

Avevamo passato una serata d'inferno entrambe e Santana era sotto il temporale a ballare per me.

Fu in quel momento che chiesi a quella donna di amarmi e diventare mia moglie.

Fu in quel momento che capì come si poteva salvare una vita.






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* it's get Better, è un'associazione americana. Ne parla anche Finn nella terza serie. 
ODDIO STO PER PIANGERE. 
Ultimo capitolo della mia prima fan fiction. Spero vi sia piaciuto, anche se ci ho messo anni per aggiornare. Spero che chiunque la legga ci lasci un commento tanto per farmi sapere! Questa è chiusa, adesso devo continuare Becouse che save my life! 
Grazie! 
ask e twitter qui mi potete contattare

 

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