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Dunque, perché ti vai ad impelagare in altro,
quando hai mille cose da fare? Bella domanda XD
Quel che è fatto è fatto, l'ho iniziata mesi fa e mi sembrava il caso di non
attendere oltre...
Comunque questa non è una vera e propria long-fic, ma
non è neppure una raccolta di one-shot, diciamo che è
una via di mezzo, dodici storie per dodici mesi dell’anno per riuscire a
riportare un po’ di speranza e di amore nel cuore di marmo di SeverusSnape.
Siamo tutti con te, Hermione!
:D
Spero, buona lettura ;)
E come sempre, per qualsiasi cosa, commenti,
pensieri, critiche costruttive e quant’altro vi viene in mente, non esitate a
scrivermelo ;)
1 – Soltanto
un augurio
9 gennaio 2005
Hermione
Jean Granger stava curando alcune rose nel giardino
fuori l’ospedale, non sapeva perché avesse preso quell’abitudine, quella notte
di tanti anni prima qualcosa l’aveva attirata verso quei fiori così delicati e
profumati, forse era stata la luna che con la sua luce, come quella che c’era
quella sera, gli aveva donato un’aura particolare che l’aveva incantata.
Osservava
dei piccoli boccioli bianchi sporcati da alcuni tratti di un rosso così intenso
che per un attimo le parve sangue, lacrime porpora che scendevano dal suo viso
ormai da parecchio tempo, lacrime che le ricordavano quando, finita la
battaglia di Hogwarts, lo avevano trovato ancora vivo
ma agonizzante sul pavimento ricoperto di sangue. Sorridente perché finalmente
sarebbe tornato a guardare il viso della sua Lily.
Ormai
erano passati alcuni anni e il suo corpo giaceva ancora inerme sul candido
letto, immutato, come se il tempo in quella stanza non fosse passato, come se
la guerra fosse finita da neppure un giorno.
Hermione
invece era cresciuta, si era fatta donna, più dura e spigolosa che mai, – Ron
le diceva sempre che era la vicinanza con quell’uomo ad averla resa tale, e lei
lo guardava male ogni volta – ma riusciva ancora a sorridere, mentre gli parlava
nei suoi momenti liberi, sorrideva immaginando le parole che probabilmente le
avrebbe rivolto o gli incantesimi che le avrebbe lanciato, se l’avesse vista
pulirlo con cura o se l’avesse sentita leggergli dei libri, come se fosse la
madre di un bambino da mettere a letto al quale avrebbe raccontato una storia.
Forse
la storia di quella guerra finita ormai da anni.
Hermione
colse una rosa, bianca, dallo stelo forte, sapeva che erano state incantate
affinché un nuovo bocciolo spuntasse al posto di quello reciso.
Ormai
quello era diventato un rituale, ogni anno si riprometteva che avrebbe
coltivato da sé la sua rosa, e ogni anno puntualmente finiva davanti a quel
cespuglio a prenderne una in prestito – “rubare” sarebbe stato più corretto da
dire, visto che non avrebbe restituito un bel niente, per questo erano state
incantate – col suo lavoro e i suoi studi riusciva a malapena a respirare, e il
suo tempo libero lo passava per la maggior parte in quella stanza così bianca
da accecare la vista.
Ginny e
Luna avevano provato a farla vivere un po’, ma lei era irremovibile, neppure
Harry o Ron erano riusciti a strapparla da quella sedia anonima, diceva che era
il minimo che potesse fare per lui che aveva fatto così tanto per loro.
Fortunatamente aveva il suo lavoro che ogni tanto la distraeva.
«Buongiorno,
professore,» disse non appena entrò in quella camera del quarto piano che
avevano riservato soltanto per lui, ma, come sempre, non ricevette risposta.
Quella,
però, era una notte particolare, ed Hermione non
poteva fare a meno di sorridere, nonostante non fosse la situazione ideale per
farlo, ma non riusciva a tenere ferme le labbra, soprattutto se iniziava ad
immaginarsi ogni possibile singola reazione del mago disteso sulle candide
lenzuola che coprivano il suo respiro regolare senza ovattarlo.
Un
rintocco non troppo lontano ruppe quel silenzio, ed Hermione
si ritrovò nuovamente a sorridere, un sorriso più ampio, luminoso, come se
volesse con quello dissipare ogni ombra nell’anima del mago, ma sapeva che non
sarebbe bastato.
«Buon
compleanno, professore!»
Si
avvicinò al letto per guardarlo meglio e non resistette alla tentazione di
toccare, di nuovo, la pelle del suo viso, era così delicata e fredda che non
riuscì a trattenere una lacrima che cadde sulle sue labbra. La guardò scivolare
lenta e fermarsi in una goccia salata che riluceva sotto i bagliori della luna
che entravano esigui dalla finestra.
Non
sapeva affermare con certezza quale motivo l’avesse spinta ad avvicinare la
bocca alla sua e assaporare quella lacrima che in quel frangente conteneva una
parte dell’essenza del mago.
Posò
la rosa in un piccolo vaso sul comodino vicino al letto, prese la bacchetta e
in un sussurro trasformò quei tratti rossi in sfumature nere che nella notte
incastonavano il bianco dei petali, reso più lucente da quei pochi raggi
splendenti della luna.
«Adesso
è più da lei.»
«Sono commosso da un tale slancio
d’affetto. Una rosa bianca e nera, per me? Che regalo originale. Sì, sono
davvero commosso» e avresti alzato entrambe le sopracciglia per questo. Anche un finto
sorriso non sarebbe male, sai?
«Sa,
professore, potrebbe dimostrarsi un tantino più gentile, e abbandonare per un
attimo acidità e sarcasmo» nuovamente non ci fu alcun movimento e nessuno
rispose.
Il
Medimago che si occupava di lui, le aveva detto che
ormai il veleno era debellato da tempo e la ferita del tutto guarita, il suo corpo
perfettamente sano, ma per qualche ragione a lui sconosciuta non si svegliava,
era come se non volesse farlo, ed Hermione sapeva
esattamente quale fosse il motivo.
Guardando
il corpo del mago attaccato a quelle macchine che risuonavano nella stanza al
ritmo del suo cuore, si ricordò del lungo processo che gli era stato fatto
senza che lui potesse partecipare ad una sola udienza, si ricordò della difesa
accorata che aveva fatto con Harry, il più combattivo di tutti, persino Minerva
disperata per non avergli mai dato quella fiducia che era primaria per Dumbledore, aveva fatto un’arringa difensiva dietro
l’altra, ed era pronta a Schiantare chiunque avesse affermato il contrario.
Dopo
mesi e mesi passati a dibattere era stato assolto dalle accuse che gli erano
state mosse.
Ancora,
però, si ritrova immobile in quel letto con nessuna intenzione di svegliarsi.
«Lo
sa che la vengono tutti a trovare? Sono poche le ore che passa in solitudine.»
Doveva essere come morto per non essere più solo, che strana ironia aveva a
volte la vita.
«Perfetto, adesso sono diventato una
reliquia da adorare. Venite a toccare il grosso naso della reliquia, si dice
che porti fortuna! In tutti questi anni dovrebbe essersi consumato» dovresti
controllare.
Hermione
Jean Granger, seduta vicino al letto che ospitava il
corpo del mago ormai in coma da anni, iniziò a ridere forte e in maniera poco
signorile, non riuscendo a trattenersi.
SeverusSnape aveva le braccia inermi distese lungo i fianchi,
pallide come se fossero quelle di un morto, il petto si alzava e abbassava
regolarmente, c’era vita in lui, ma, nell’immobilità, sembrava non essere
intenzionato ad afferrarla.
Quanto
poteva dire di conoscere Severus?
Fino
a qualche anno fa non avrebbe saputo cosa rispondere con esattezza, invece adesso
avrebbe potuto fermarsi a riflettere per articolare una risposta sensata, ormai
conosceva la sua storia attraverso i ricordi di Harry, le sue parole e i
numerosi fatti emersi durante il processo.
Poteva
dire di sapere ogni cosa della vita di Severus, ma
quello non le avrebbe permesso di entrare nella sua anima, sperava di riuscirci
giorno dopo giorno passato in quella stanza, per provare a riportarlo indietro.
Vedeva
il suo viso rilassato, sulle labbra anche l’ombra di un sorriso, sembrava così
in quiete che la differenza era del tutto evidente persino a chi, come lei, non
si era mai accorta di tutta la sofferenza celata dietro quegli occhi neri
adesso nascosti al mondo.
Aveva
capito che i suoi sentimenti nei confronti di Snape
erano cambiati una sera di tanti anni prima sotto una luna così simile a quella
che poteva vedere appena da quella finestra, una sera in cui, nel buio dei
corridoi, si erano parlati per un attimo come se non ci fosse alcun confine tra
di loro, come se fossero soltanto due persone alla pari.
Era
stato un attimo, e a lei era bastato, un attimo che lui non avrebbe mai
ricordato, troppo stanco e sofferente quella sera che avrebbe parlato con
chiunque, e ora doveva fare i conti con quell’istante rinchiuso nel suo cuore
insieme a quei sentimenti che le avrebbero fatto compagnia per il resto dei
suoi giorni.
Era
destinata ad amare l’ombra di ciò che restava di un uomo.
«Io
l’avverto, professore, domani, o meglio oggi, vista l’ora, il Ministero è
deciso a festeggiare il suo compleanno per celebrare l’eroe che ha maggiormente
contribuito a sconfiggere Voldemort. Non credo che
gradirà questa ridicola festa, quindi le consiglio di svegliarsi e nascondersi
da qualche parte.»
SeverusSnape continuava quel sonno calmo e profondo che durava da
anni, e vedendolo così in pace con se stesso nessuno avrebbe avuto il diritto
di ridestarlo.
«Meraviglioso! Dopo essere diventato una
reliquia, adesso mi aspetta anche la festa del patrono» si approfittano del
fatto che non puoi muoverti.
O non vuoi?
«Se
potessi, la porterei via di qui, almeno per risparmiarle questa idiozia.
Abbiamo provato io, Harry e la professoressa McGonagall
a far desistere il Ministero, persino Luna e Neville, la famiglia Weasley compreso Ron che è sempre stato abbastanza
riluttante nei suoi confronti. Anche Draco ha
espresso tutto il suo odio al Ministero per questa idea piuttosto infelice, ma
lui è stato irremovibile, ha detto che è necessario per tutti rendere gloria
agli eroi che hanno sacrificato se stessi per la pace.»
Le
gocce di un fluido chiaro scendevano lente da una sacca fino ad un piccolo tubo
trasparente che arrivava al braccio di Snape: era
l’unico nutrimento che lo teneva ancora in forze, per quante ne avesse bisogno
un uomo disteso su un letto ormai da anni.
Hermione
si rese conto che avrebbe voluto essere il suo nutrimento, della sua vita,
della sua anima. Del suo cuore.
Sospirò.
«Io
non parteciperò ad una cosa così ridicola. Se me lo chiedesse, però, potrei
rimanere qui con lei e non permettere a nessuno di avvicinarsi.»
«Rimani qui con me» non posso credere tu
le abbia detto quelle parole con un sorriso sulle labbra, anche se ruvido.
«Taci! Hai sentito male.»
«Lei,
però, non me lo chiederà mai.» Sorrise amaramente verso il mago immobile su
quel letto.
Quel
ticchettio ormai le era familiare, era un amico fidato col quale condividere
quelle ore, quell’attesa di un nulla che non si sarebbe mai realizzato, ciò che
la spaventava era non sentire più quel rumore perché avrebbe significato la
fine di ogni speranza, e lei voleva continuare a rimanere attaccata a
quell’unico barlume come lo era Severus alle
macchine.
«Mamma,
secondo te come nasce l’amore?» aveva chiesto Hermione
a sua madre un giorno che le sembrava un’eternità fa, prima di cancellarle
dalla memoria l’esistenza di una figlia.
«L’amore
nasce per caso, non ti avverte, basta uno sguardo, una parola, un gesto. Basta
una piccola scintilla e un po’ di vento, e divampa come un incendio» le aveva
risposto guardandola come una figlia per l’ultima volta.
A
lei erano bastate poche parole, labbra appena incurvate e una luna che non
poteva vedere per far accendere quel fuoco, e dopo tutti quegli anni non era
ancora riuscita a spegnerlo e ogni volta che entrava in quella stanza,
aumentava la sua convinzione che nulla lo avrebbe fermato.
Avrebbe
dovuto convivere per sempre con quel calore che le bruciava in petto.
Hermione
avvicinò una mano al viso di Snape per spostargli una
ciocca dalla fronte, la sua pelle era così fredda nonostante la stanza fosse
adeguatamente riscaldata. Posò le dita sulle sopracciglia che gli aveva visto
tante volte alzare, e probabilmente lo avrebbe fatto anche ora se avesse
assistito a quel gesto, o forse, più probabilmente, l’avrebbe Schiantata
all’istante, pensò Hermione con un sorriso sulle
labbra.
Accarezzò
entrambe le palpebre che celavano i suoi occhi.
«Darei
la mia vita pur di rivedere i suoi occhi» il suo era un flebile sussurro, ma
non l’avrebbe sentita neppure se avesse urlato.
«Questo si chiama… al momento mi sfugge
come si chiama, ma di sicuro c’è una qualche legge che vieta a qualcuno di toccare
qualcun altro senza il suo permesso.»
«Forse
mi considererebbe una pazza, e forse lo farebbero tutti se solo sapessero,» ma
ormai le era chiaro che tutti erano a conoscenza dei suoi sentimenti, come
poteva essere altrimenti, non si va al capezzale di un uomo tutti i giorni per
sette anni se non si prova qualcosa per lui, non era soltanto la sua indole da
futura Medimaga, ormai lo avevano capito tutti, anche
se cercava di tenere nascosto ciò che provava.
Voleva
toccargli le labbra, imprimere nella memoria ogni tratto di quella bocca, come
se fosse l’ultima volta che l’avrebbe vista, ma non osava farlo, le sembrava
quasi di violarlo in qualche modo, avrebbe voluto farlo mentre erano dischiuse
e il suo respiro caldo le avrebbe sfiorato le dita, ma erano immobili e
probabilmente non si sarebbero mosse mai più.
Si
mise seduta nuovamente e prese la rosa tra le dita, quella rosa che poco prima
aveva incantato per poterle ricordare Severus, il suo
volto diafano incorniciato dai lunghi capelli neri che adesso erano sparsi sul
cuscino, quel bianco sporcato dal nero dei suoi occhi così profondi e tristi.
Quegli
occhi che non avrebbe mai più rivisto.
Lei
però continuava a sperare che un giorno avrebbe nuovamente rivolto lo sguardo
al mondo, anche se era ben consapevole che non l’avrebbe vista come lei avrebbe
voluto essere guardata.
Si
chiese come fosse avere il suo sguardo innamorato su di sé.
«Come
ha fatto Lily a non accorgersi mai dei suoi sentimenti?» il ticchettio di quel
liquido denso continuava lento. «Lei però avrebbe anche potuto dichiararsi,
magari regalarle delle rose. Perché non l’ha mai fatto?» sapeva che nessuno
avrebbe risposto a quella domanda, tantomeno l’uomo disteso da sette anni di
cui ricordava una vago sorriso regalato a Dumbledore,
a quel padre mai avuto e poi gettato nell’abisso.
«Io
mi dichiarerei se solo si svegliasse» Hermione
continuava a rigirarsi la rosa tra le dita, una gioia appena celata sulle labbra,
la osservava con attenzione, ogni petalo, ogni sfumatura, toccava ogni foglia
ruvida e delicata, quel profumo era inebriante.
Il
fiore era immobile tra le sue dita, come Severus su
quel letto, e desiderava solo stringere il suo corpo. Vivo.
Vorrei ringraziare infinitamente tutti quelli
che hanno messo questa storia tra le seguite/ricordate/preferite e chi ha
lasciato una recensione, siete fantastici, dal primo all’ultimo, davvero *-*
Vi lascio alla seconda storia e come sempre,
per qualsiasi cosa, non esitate a dirmelo ;)
Spero (ci spero sempre, mica è detto che lo
sia), buona lettura! ^^
2 – È così sbagliato amarlo?
14 febbraio 2005
HermioneGranger da qualche anno odiava San Valentino, forse perché
la persona con la quale avrebbe voluto festeggiarlo giaceva inerme in un letto
di ospedale, ma forse, e soprattutto, perché con gli anni aveva capito che
l’amore andava festeggiato ogni giorno della vita, le bastava guardare Harry e Ginny per comprenderlo.
Ovviamente
sarebbe stata un’ipocrita se non avesse ammesso di desiderare in cuor suo una normale giornata di San Valentino
passata come una normale coppia.
Era
ben consapevole però che questo non sarebbe mai successo, e accettare gli
inviti dei suoi corteggiatori era come ingannare il suo cuore, e questo non lo
avrebbe mai permesso, cosciente che il suo amore non sarebbe mai potuto
sbocciare, ma non avrebbe mai tradito i suoi sentimenti, per quanto complicati
fossero.
Rassegnata,
camminava lungo il corridoio che la separava da quella stanza, incurante degli
strani sguardi che da un po’ di tempo riceveva e di quelle lettere che
stringeva tra le dita, non sapendo bene per quale motivo non le avesse ancora
buttate, forse perché erano piuttosto divertenti e una, addirittura, l’aveva
colpita dritta al cuore: era la dichiarazione d’amore di un bambino che aveva
medicato mesi fa.
Quel
giorno aveva deciso di nascondersi nell’unico luogo in cui quella stupida festa
non sarebbe mai potuta entrare, ma non appena aprì la porta, non poté fare a
meno di spalancare la bocca e gli occhi.
«Cos’è
questa roba?» chiese alla prima infermiera che passò, con un tono abbastanza
duro.
«Oh,
io la trovo così deliziosa, signorina Granger.»
«Quello
che lei trova delizioso è a dir poco patetico, ed è pregata di far togliere
ogni cosa immediatamente!» Hermione non faceva un
lungo sonno da tempo e la stanchezza la rendeva piuttosto suscettibile e
incline a scatti d’ira – e del tutto simile all’uomo che giaceva inerme su quel
letto –, e vedere tutti quei palloncini a forma di cuore, scatole di
cioccolatini che di certo avrebbero mangiato gli infermieri – o Ron se fosse
passato di lì – e cumuli di lettere cosparsi dai più improbabili profumi, non
l’aiutava di certo.
«A
me hanno detto solo di metterla nella stanza.»
«E
chi gliel’avrebbe detto di fare una cosa così idiota? Sicuramente qualcuno che
non ha nessuna idea di chi fosse SeverusSnape! Faccia togliere tutto prima che getti ogni cosa
dalla finestra, compresi lei e chi le ha dato il permesso!» in quel frangente
le urla si potevano sentire da parecchie miglia di distanza, sicuramente furono
avvertite in ogni piano del San Mungo.
«Va
bene, ho capito, manderò qualcuno a togliere tutto» l’infermiera era
visibilmente turbata, nonostante lei, come tutto il personale medico, fossero ormai
abituati ai suoi scatti di rabbia che in quei giorni stavano raggiungendo il
picco.
SeverusSnape riposava ancora immobile su quel letto dalle lenzuola
candide e sempre pulite, la sua condizione era immutata da tempo, semplicemente
non voleva svegliarsi. Lo avrebbe preso a pugni se fosse stato cosciente, ogni
volta che lo guardava, le si stringeva il cuore e si sentiva completamente impotente,
svegliarsi sarebbe stato soltanto un suo volere, e lui non voleva.
Lo
aspettavano tutti, lo avrebbero abbracciato tutti quelli che gli volevano bene,
e a lui semplicemente non importava, se ne stava lì, fermo nel suo letto,
accompagnato dal rumore del respiratore, da quel ticchettio che segnalava la
vita che ancora batteva in lui e quelle gocce che scendevano lente, una dopo
l’altra. Tutto questo la faceva arrabbiare.
«Mi
dispiace, professore, se lo avessi saputo, avrei proibito a chiunque di portare
questa roba. Sa, noi donne amiamo gli eroi, ma lei non ama tutto questo» indicò
tutti quei regali con le mani, come se lui potesse vederli e scrutarli irritato
uno a uno con i suoi meravigliosi occhi. Probabilmente avrebbe fatto saltare
tutto in aria. «La capisco, sembra l’ufficio di Dolores Umbridge.»
«Dovrebbe esistere una legge che vieti
questo slancio patetico di sentimenti. Se non c’è, dovrebbero farla!»
«So
che lei odia San Valentino, e so anche il perché. Non la biasimo, in fondo è lo
stesso motivo per cui lo odio anch’io. È piuttosto avvilente guardare tutte
quelle coppiette felici, quando il nostro amore è del tutto irraggiungibile.»
«No, per pietà, un discorso sull’amore,
proprio no, e poi tu che ne sai, ragazzina, di quello che si prova, e
soprattutto, come fai a sapere il motivo che mi fa odiare questa stupida
festa?»
«Deve
essere stata dura amare Lily fino alla fine, difficile amare qualcuno che non
ricambia i tuoi sentimenti prima, e un fantasma poi. Il mio non è ancora
diventato un fantasma, ma non ho comunque speranza alcuna.»
«Fantastico! Quando andrò nell’aldilà,
dovrò ricordarmi di infastidire il signor Potter e la sua lingua lunga.
Perfetto, adesso la mia vita è di dominio pubblico» e come avresti sospirato
decisamente seccato.
La
rosa che gli aveva portato più di un mese fa era ancora lì, fresca e profumata
come se fosse stata appena colta, vegliava il corpo di Severus
giorno dopo giorno, notte dopo notte a guardare quel volto finalmente rilassato
che sembrava sorridere.
«Purtroppo
durante il processo non siamo riusciti a tenere fuori questioni private,
abbiamo usato qualsiasi mezzo per farla scagionare, ma è stato tutto inutile
visto che lei è ancora lì e non si decide a svegliarsi. È una condizione
stupida la sua, se avesse voluto farla finita, avrebbe dovuto pensarci anni fa,
lasciarsi semplicemente andare, non farne passare sette, non è giusto nei confronti
di nessuno. Lei è uno che non si arrende mai, che lotta sempre, ma, per
Merlino, sette dannatissimi anni!» Hermione sbatté
con forza le lettere che ancora teneva in mano sul tavolo sotto la finestra,
facendo cadere alcune scatole di cioccolatini, ne prese una e la scaraventò con
rabbia addosso alla parete.
Si
sentiva stanca, arrabbiata e frustrata, sarebbe voluta andare lontano, in un
posto solitario, sotto una cascata che avrebbe voluto lavasse via i suoi pensieri,
che togliesse quel dannato viso dalla testa.
Era
consapevole, però, che nessuna magia avrebbe potuto estirpare quei sentimenti
dal suo cuore, o forse sì? Sarebbe bastato un Oblivion?
Scacciò
con prepotenza quelle riflessioni, per nessun motivo al mondo avrebbe eliminato
il suo amore per SeverusSnape,
nonostante sapesse benissimo che ne avrebbe soltanto sofferto.
La
giovane strega prese una di quelle lettere sparse sul letto e l’aprì, era
curiosa di sapere cosa mai avessero potuto scrivergli, avrebbe pagato oro per
vedere Severus tra tutta quella roba così rosa da
dare sui nervi persino a lei. E in quel periodo non era di certo un bene
aumentare il suo nervosismo.
«“Forse
lei non si ricorda neppure di me, ma io sì, ogni centimetro di lei è ben
impresso nella mia mente, ricordo ogni singolo fremito che mi procurava ogni
volta che passava davanti ai miei occhi”» Hermione
non riuscì a trattenere una risata, forte e profonda, come se non ridesse da
secoli.
«Mrs. Irrequietezza, non ci trovo nulla
da ridere. Piuttosto da piangere. E oltretutto esiste anche una legge che
proibisce di violare l’altrui privacy. Prima o poi dovranno arrestarla per
tutte queste infrazioni.»
La
strega continuava a ridere, non sapeva esattamente il motivo, forse perché
s’immaginava questa donna che sospirava seduta al tavolo di un locale di DiagonAlley, mentre SeverusSnape passava, nero come
la notte, incurante del mondo che lo circondava.
«Non posso avere delle ammiratrici?»
La
risata di Hermione echeggiava per tutta la stanza, e
continuava a fantasticare possibili scene tra Severus
e una sua personalissima versione di LavanderBrown, forse gli avrebbe persino trovato un soprannome, “Sevvy-Sevvy” sembrava adatto. E rise ancora più forte.
«“Vorrei
tanto venirti a trovare,”» continuò la strega «“ma quell’irascibile, scorbutica
della tua guardia del corpo non ti molla un minuto”… COSA?»
Questa volta è il tuo turno di ridere,
trattenendo a stento le lacrime.
«Irascibile
e scorbutica, io? Come si permette! Chi è questa zotica che le faccio vedere
io!»
Dai, Severus,
continua a ridere, chissà che quest’allegria riesca finalmente a svegliarti da
questo torpore.
Gli
occhi neri di SeverusSnape
erano ancora chiusi e il suo corpo immobile, come se fosse stato congelato da
un incantesimo che lo rendeva immutabile nel tempo, come se in quella stanza
non ci fosse nient’altro che lui. C’erano dei momenti in cui Hermione aveva la sensazione che tutto intorno a lei sparisse,
lasciandola sola con Severus in un luogo senza pareti
che si espandeva all’infinito, di un bianco che accecava la vista, un bianco
che metteva in risalto quelle iridi così profonde. Sarebbe voluta rimanere in
quel posto per sempre, con il suo viso e i suoi occhi luminosi, con il suo
sorriso che sarebbe stato soltanto per lei.
Hermione
accartocciò con rabbia la lettera e la gettò a terra poco lontano, se l’autrice
di quelle parole si fosse presentata davanti, l’avrebbe di certo incenerita, e
le sarebbe bastato lo sguardo.
«Hermione, quand’è che ti riposi un po’?»
Ginny era
in piedi sulla porta, poggiata allo stipite a osservare la sua amica intenta a
maltrattare della carta, per un attimo il suo sguardo si fermò sul corpo
immobile di quello che era stato per anni il suo insegnante di Pozioni.
I
suoi sentimenti verso quell’uomo erano contrastanti, sapeva tutto ciò che aveva
fatto per Harry e per tutti loro, e sapeva quanto suo marito lo stimasse, ma
vedere la sua amica in quello stato da anni, la faceva infuriare, e ultimamente
andava peggiorando, le sue urla le aveva sentite dal cortile dell’ospedale e le
sue occhiaie, unite all’umore, erano l’inequivocabile segno che aveva bisogno
di riposo, di staccarsi da tutto quello, altrimenti sarebbe crollata.
Di
questo passo l’avrebbe vista distesa su un letto, inerte, la copia di SeverusSnape.
Forse
era proprio quello che voleva, si chiese.
«Hermione dovresti dormire. Staccare un po’ la spina. Non
credo che Snape vada da qualche parte.»
«Cos’è
che fa credere a tutti che io abbia bisogno di riposo? Sono riposata! Sto
bene!»
«Ti
senti quando parli? Questa non è la Hermione che sta
bene. È tutta colpa sua!» e indicò il corpo steso sul letto.
Hermione
spalancò gli occhi per la sorpresa di quell’esclamazione di cui non capiva bene
il significato.
«Cosa
c’entra Severus?»
«Sì, appunto, cosa c’entro io. Anche da
semi-morto devo prendermi le colpe di tutti? E poi, tra l’altro, chi è che le
ha concesso il permesso di chiamarmi per nome?»
«Severus? Lo chiami Severus
adesso?
«È
il suo nome, come dovrei chiamarlo? Harry non lo chiami di certo signor
Potter.»
«Harry
è mio marito, Hermione.»
«Beh,
Severus era il nostro insegnante, ha salvato Harry,
ha salvato tutti noi, ed è…»
«È
cosa, Hermione?»
La
giovane Granger rimase in silenzio a osservare
l’amica, non sapendo cosa risponderle, in fondo cos’era per lei SeverusSnape? Sapeva di esserne
innamorata, di questo era assolutamente certa, ma per lei in quel momento era
soltanto un corpo immobile in un letto da sette anni, amava il ricordo del mago
che era stato e che ormai non c’era più.
Era
inutile prendersi in giro: non si sarebbe svegliato mai più.
«Dai,
Hermione, dillo che sei innamorata di lui e lo sei da
tempo. Ammettilo!»
«Qualcuno mi risparmi le confessioni
lacrimevoli di due giovani donne. Spero che questa stanza non diventi un
ritrovo dove rifarsi le unghie.»
Forse potresti prendere in
considerazione l’idea di svegliarti e andartene da qui.
«Aspetta un momento, di chi è
innamorata?»
Di te, babbeo!
«Non azzardarti a chiamarmi babbeo!»
Altrimenti che fai? Mi uccidi? Notizia
dell’ultima ora: sono già quasi morto su questo letto e immobile, per giunta.
«È
così sbagliato amarlo?» In un attimo si accasciò sulle ginocchia, tra le
lacrime, coprendosi il viso con entrambe le mani. Sentiva il fardello di tutta
quella situazione stringerle il petto, aveva cercato di far finta di niente per
tutto quel tempo provando a relegare ogni sentimento nel suo cuore che iniziava
a scricchiolare sotto il peso di quell’amore che non sarebbe mai potuto
sorgere.
«È
in coma da sette anni, certo che è sbagliato amarlo. È sbagliato per te. Non
puoi amare l’ombra di un uomo che non c’è più. Tralasciando tutto quello che è
stato nel bene e nel male, hai visto con attenzione in che condizioni si trova?
Stai amando un fantasma, e ti sta distruggendo così com’è stato distrutto lui.»
«Il
suo amore per Lily lo ha salvato!»
«Tu,
però, non puoi salvare lui. E di certo lui non salverà te. Se desiderava farsi
salvare si sarebbe svegliato da tempo.»
«Forse
deve solo capire che c’è ancora posto per lui, che può ancora amare ed essere
amato.»
«Merlino,
Hermione, sette anni. Sono passati sette anni, e
molti di più quand’era in vita, avrebbe dovuto capirlo da tempo.»
«Maledizione,
Ginny, adesso sei tu quella che dovrebbe sentirsi
parlare. Dovresti conoscere la sua storia, quello che ha passato, lo abbiamo
scostato e odiato tutti, come puoi pretendere che lo capisse, in coma poi. Non
si può scegliere chi amare, succede e basta, e se a te o a chiunque la cosa non
fosse gradita, sono problemi vostri, non miei!»
La
stanza era sempre avvolta da quei suoni che le erano così familiari, ma quella
volta non riuscirono ad acquietare il suo spirito, accrebbero soltanto la sua
inquietudine perché sapeva che nulla sarebbe cambiato e il suo amore era
soltanto pazzia.
Sapeva
che la sua amica era solamente preoccupata, ma nemmeno lei aveva il diritto di
giudicare i suoi sentimenti; furiosa, uscì da quella stanza lasciando sola Ginny.
«Era
difficile amarla da vivo, figuriamoci da morto, o quasi. A volte penso che se
fosse morto quel giorno alla Stamberga sarebbe stato meglio per tutti. Anche
così continua a far soffrire le persone» sospirando, mentre un sorriso amaro le
piegò le labbra, si gettò sulla sedia accanto al letto, dove SeverusSnape giaceva da sette
lunghi anni.
Un po’ in ritardo sulla mia tabella di marcia
per questa storia, ma è stata una settimana pesante che mi ha tenuta parecchio
impegnata.
Detto questo, ringrazio infinitamente tutti
quelli che hanno messo la storia tra le seguite/ricordate/preferite e
ovviamente chi recensisce (un GRAZIE immenso e particolare a Fink1987) e ovviamente a chi lo farà in futuro
(compreso chi preferirà, ricorderà, seguirà).
Il resto (breve) ve
lo dico alla fine del capitolo :D
3 – Quel sogno diventato un incubo
21 marzo 2005
Quella
mattina Hermione era di ottimo umore, forse perché
era infine arrivata la primavera, o forse – e soprattutto – perché la notte
precedente lo aveva sognato, dopo tutti quegli anni passati al suo capezzale,
finalmente era comparso nei suoi sogni, così vitale e sereno come non lo aveva
mai visto. Neppure quand’era in vita.
Aveva
sognato che insieme camminavano fuori Hogwarts
ricoperta da un manto candido che rendeva il paesaggio meraviglioso e irreale,
passo dopo passo a ridere e a parlare, e il suo sorriso l’aveva cullata in un
sonno sereno dal quale non avrebbe più voluto svegliarsi, quelle labbra piegate
come non le aveva mai viste quand’era vivo, l’avevano resa serena e colma di
gioia.
Sapeva
che quel sogno, però, era soltanto lo specchio di quello che in realtà
desiderava lei stessa, ma per un giorno voleva lasciarsi trasportare da
quell’illusione e abbandonarsi per una volta al buonumore. E niente e nessuno
gliel’avrebbe rovinato.
Ultimamente
non parlava molto con Ginny, da quella mattina di
febbraio tra le due vigeva uno strano silenzio che Hermione
non aveva nessuna intenzione di rompere, anche se la piccola Weasley aveva provato più volte a rivolgerle qualche
parola, ma lei era ancora arrabbiata per ciò che le aveva detto.
E
quel giorno non si sarebbe fatta rovinare quel sogno da quei pensieri.
L’inizio
della primavera le dava sempre una certa carica, vedere la natura che pian
piano rinasceva con la sua moltitudine di colori, le donava una certa felicità
e quiete di cui aveva assoluto bisogno.
Camminava
a passo lento con un sorriso sulle labbra e alcuni libri ben stretti tra le
mani, su quella corsia che le sembrava stranamente silenziosa, o forse era solo
perché era abituata a percorrerla sempre di corsa schivando le persone che come
lei la percorrevano, ma quella quiete le sembrava così irreale che un brivido
di preoccupazione le salì lungo la schiena.
Non
appena svoltò sul corridoio dov’era situata la stanza di Severus,
vide una folla inusuale per quel giorno della settimana e per quell’ora: la
preoccupazione divenne inquietudine e affrettò il passo verso quella gran
quantità di persone.
«Che
succede?» I presenti si voltarono verso di lei e su alcuni visi poté notare
occhi arrossati e gonfi, e lacrime che ancora scendevano.
Sentì
una forte morsa allo stomaco e un’intensa nausea le bloccò il respiro quando il
MedimagoAugustusRedden, che aveva in cura Snape,
si avvicinò con un’espressione rassegnata sul volto, lui che aveva sempre un
sorriso sulle labbra, che sapeva sempre rassicurarla, adesso aveva uno sguardo
di dolore e sapeva che non c’era nulla che in quel momento avesse potuto fare
per rassicurarla.
«Mi
dispiace, Hermione» fu l’unica cosa che riuscì a
dirle.
«Le…
le dispiace per cosa?»
Ginny le
corse incontro, piangente. «È tutta colpa mia» e l’abbracciò stringendola
forte, poteva sentire le sue lacrime inumidirle la spalla. «Sono stata io a
dirgli che sarebbe stato meglio per tutti se fosse morto. Il suo stato di coma
ha bloccato molte vite, soprattutto la tua.»
«Amore
mio, non è colpa tua» le disse Harry amorevole carezzandole un braccio, anche
nei suoi occhi c’era dolore, come Hermione non ne
vedeva da tanto.
«Qualcuno,
per favore, può dirmi cosa diavolo sta succedendo?» Hermione
aveva ben capito cosa fosse successo, ma aveva bisogno di sentirselo dire
chiaramente, forse quello le avrebbe tolto quell’inquietudine che l’opprimeva,
sapeva, però, che fosse solo una flebile speranza alla quale aggrapparsi. Strinse
le mani sui libri, come a volersi aggrappare a qualcosa, anche se sapeva benissimo
che nulla le avrebbe evitato di cadere in un baratro profondo dal quale era
difficile uscire.
«Non
so come sia potuto succedere» esordì il dottor Redden,
«ieri sera quando ho fatto il giro di visite, stava bene, o meglio, come
sempre, poi stanotte improvvisamente si è aggravato. E non riesco a capirne il
motivo, non c’erano le condizioni per un tale peggioramento.»
Il
cuore di Hermione rallentava ad ogni parola pronunciata
dal Medimago, si sentiva come se fosse stata gettata
in mare con enormi pesi legati agli arti, fu come se le avessero lanciato
incantesimi uno dietro l’altro.
Ginny
continuava a stringerla e a piangere, ripetendo tra i singhiozzi che le
dispiaceva, ma Hermione rimase immobile, con le
braccia come paralizzate lungo i fianchi.
«Dovreste
prepararvi a dirgli addio.»
Quelle
parole congelarono il tempo intorno ad ogni persona ferma nel corridoio, la
giovane Granger ebbe la sensazione di sprofondare,
poteva vedere il pavimento aprirsi e inghiottirla in un istante. Ed era l’unica
cosa che in quel momento desiderava.
Hermione
scansò Ginny e corse via, lasciando i libri sul
pavimento, non voleva dirgli addio, non era pronta a farlo, non adesso che
l’aveva finalmente sognato felice e colmo di vita.
La
piccola di casa Weasley fece alcuni passi per andarle
dietro, ma Harry la bloccò scuotendo appena la testa, Hermione
aveva bisogno di reagire a modo suo e, malgrado Ginny
volesse starle vicino in quel momento, dovette dare ragione al marito: doveva
rimanere sola e sfogare quel dolore che aveva dentro.
Camminò
per ore per le strade di Londra, senza prestare attenzione a quei volti che le
passavano vicino, senza interessarsi a niente di tutto quello che la
circondava, si sentiva apatica, vuota, improvvisamente spenta, come un grosso
lume che illuminava la stanza, che una folata di vento aveva smorzato.
Poi
qualcosa attirò la sua attenzione: un lungo vestito bianco con intense
sfumature rosse, un bellissimo abito da sposa che, non seppe per quale motivo,
la fece piangere.
E
di nuovo corse via, senza sapere dove andare, chiedendosi se esistesse un posto
in quel mondo dove potesse rifugiarsi da quella sensazione di dolore che la
stava attanagliando, se esistesse un luogo che potesse inghiottirla nel buio e
farla sprofondare in un oblio dove non c’era nulla, dove non c’erano ricordi,
inquietudini, speranze. E amore.
Quella
stoffa non avrebbe mai fasciato il suo corpo, non sarebbe mai stata la sposa di
nessuno, che guardava il marito in attesa con un sorriso imbarazzato sulle
labbra, un sorriso colmo d’amore, e provò ad immaginarsi come sarebbe stato Severus in quel momento, e per un attimo vide quelle labbra
muoversi divertite a quel sogno che si era fatto reale anche per lui.
Se
lui fosse morto, non sarebbe mai riuscita ad innamorarsi di nuovo, avrebbe
convissuto per il resto dei suoi giorni con l’amore per un uomo che non c’era
più, con un fantasma che avrebbe abitato il suo cuore notte dopo notte.
Si
sarebbe trovata nelle sue stesse condizioni e questo la fece ridere, forte,
come se non avesse pensieri, rideva e piangeva tra la folla di Londra che la
guardava come se fosse pazza, e forse lo era davvero.
Procedette
per ore prima di iniziare a sentirsi le gambe stanche, avanzava come spinta da
una forza invisibile che non era la sua, avanzava per sentire quel dolore
squassarle il corpo, un dolore fisico necessario per dimenticarsi di ciò che si
agitava in lei, ma sapeva che neppure ripetute maledizioni sarebbero servite a
qualcosa.
Si
fermò su una panchina all’ombra di un albero, la natura tutt’intorno a lei
iniziava a risvegliarsi, a rinascere forte e rigogliosa come lei non sarebbe
mai stata, ne sentiva i mille profumi, li respirava a pieni polmoni per
riempirsene, per riempire il suo spirito dove la vita ormai era morta.
Passarono
altre ore in quel parco esploso in una miriade di colori e passarono diversi
minuti prima che Hermione si accorse di non essere
più sola su quella panchina, e non aveva ancora smesso né di piangere né di
ridere.
«Va
tutto bene, signorina?» le chiese l’anziano signore che le si era seduto
vicino.
Avrebbe
voluto urlargli che no, non andava tutto bene, che era innamorata di un uomo
che sarebbe morto e anche se fosse sopravvissuto, non l’avrebbe degnata di uno
sguardo, ma biascicò un timido «va tutto bene, grazie» prima di tornare ad osservare
il parco dove si era rifugiata per cercare di nascondere quel dolore, anche se
sapeva benissimo che non ci sarebbe stato luogo che lo avrebbe cancellato.
«Mm,
non ne sono molto convinto, signorina.»
«È
così evidente?»
«Beh,
piangeva e rideva piuttosto forte, quindi non credo che vada tutto bene, le
persone di solito non stanno da sole su una panchina a piangere e a ridere.»
«Già,
ha ragione, non è normale, ma io non sono normale, altrimenti non mi sarei
innamorata di un uomo che non può essere amato e sta per morire» non sapeva
perché stesse dicendo quelle cose all’anziano signore, sapeva solo che ne aveva
bisogno.
«E
allora cosa fa ancora qui? Vada da lui, gli dica quello che prova, magari
scoprirà che non aspetta altro che essere amato» guardò per un istante l’uomo e
quel viso le ricordò terribilmente quello di Dumbledore,
al pensiero le si strinse il cuore ancora di più.
«Magari
fosse così semplice.»
«E
se in realtà fosse proprio così semplice?»
Hermione
riuscì a trattenersi dal ridere di nuovo, “semplice” era una parola che stonava
parecchio accostata a SeverusSnape,
quell’uomo era l’antitesi della semplicità, bastava guardare i suoi occhi per
capire quanto niente fosse semplice in lui, ma ormai erano chiusi da anni e
nessuno poteva comprenderlo. Si sarebbero chiusi per sempre, e nessuno avrebbe
mai potuto comprenderlo.
Erano
sette anni che non vedeva i suoi occhi e il pensiero che non li avrebbe mai più
rivisti, la fece piangere, di nuovo, e più forte di prima.
L’anziano
le strinse appena una mano con la sua, poteva sentire le rughe che raccontavano
di tutta la sua vita, quella vita che continuava a scorrere potente in quelle
vene che riusciva a vedere e toccare.
«Vada
da lui» le disse e fu con un sorriso che lo salutò, allontanandosi per dare
l’ultimo addio al mago che giaceva su un letto immacolato da sette anni,
all’uomo che amava.
Quando
tornò in quel corridoio, la notte era scesa da ore e Ginny
era ancora lì, piangente ai piedi del muro ad attendere il ritorno dell’amica.
«Mi
dispiace, Hermione.»
«Non
è colpa tua, Ginny, smettila di ripeterlo» e senza
aggiungere altro, entrò in quella stanza troppo silenziosa e troppo buia,
sapeva che l’amica sarebbe rimasta lì ad attenderla fin quando non fosse
uscita, lo sapeva e la ringraziava per quello.
Si
avvicinò al letto e nonostante fosse buio, riuscì a scorgere il petto del mago
che si muoveva veloce, poteva sentire il suono di quel respiro agitato e
avrebbe giurato che quella piccola ruga disegnava anche in quel momento la
radice del naso, avrebbe voluto toccarla, imprimerla sulle dita, ma non si
mosse.
Rimase
immobile ad osservare un’ombra più scura della notte.
«Non
è vero che ha bloccato la mia vita, lei l’ha resa più bella, col suo solo stare
lì ha reso la mia vita speciale. Ha unito tutti intorno a questo letto, ha
creato una famiglia felice e pensa cosa potrebbe fare se si svegliasse» in
piedi vicino a Severus cercò la sua mano e sorrise. E
la strinse.
«Invece
adesso ha deciso di andarsene, spezzando tutto quello che è riuscito a creare,
spezzando quei legami che si sono costruiti. Mandando in frantumi me.»
Hermione
avvicinò la mano di Snape al suo cuore, quel
ticchettio che le era stato amico in quegli anni continuava, ma lei parve non
sentirlo, tutto era silenzio intorno a lei, tutto era buio che si faceva sempre
più cupo e profondo, e avrebbe voluto farsi ingoiare in quell’istante insieme
con lui.
Quella
rosa bianca e nera stava ormai appassendo, i petali si staccavano uno ad uno,
lenti scendevano sospinti appena dalla leggera brezza che filtrava nella
stanza.
«E
non sarebbe neanche meglio se morisse, se questo era il suo desiderio, avrebbe
dovuto pensarci prima, non dopo sette anni di questa dannata situazione. Per
quale motivo ha lottato per tutta la vita? Per questo? Per vedersi svanire in
un letto d’ospedale? Perché non si è arreso sette anni fa su quel pavimento?
Dannato egoista che non è altro! Stupido, stupido, egoista!»
Perché
non se ne andava da lì lasciandolo morire? Sapeva benissimo che nessuna delle
sue parole sarebbero servite a nulla, non erano valsi a niente sette anni di
sussurri e dialoghi immaginari che ognuno di loro aveva fatto col suo corpo
immobile. Chi era lei per riuscire a far riemergere quell’anima ormai
precipitata?
«Ed
io più stupida ad essermi innamorata di te, dannato egoista!» e iniziò di nuovo
a piangere, le lacrime le scendevano lente lungo il viso come quei petali che
uno ad uno cadevano sul piccolo comodino che ogni anno aveva accolto la sua
rosa.
«Lei
è stato l’uomo più coraggioso di questo mondo, ha sacrificato la sua vita e la
sua esistenza per tutti noi, sua madre sarebbe fiera di lei, e anche Lily e Dumbledore, fieri dell’uomo che è diventato, ma i loro
sacrifici sarebbero del tutto inutili se non riuscissero mai a vederla felice.
Non pensa che stiano soffrendo nel vederla così? Siamo tutti fieri di lei e
vorremmo tutti vederla finalmente felice. E vivo»
Parlava
con tono basso, quasi grave, parlava lentamente, lasciando per brevi attimi che
il silenzio le inghiottisse la voce, come se sperava che Ginny
o qualcun altro entrasse in quella stanza per lenirle quel dolore, ma era
consapevole che nessuno sarebbe entrato, sapeva che quella battaglia che aveva
iniziato, doveva terminarla lei stessa.
E
nel profondo del cuore qualcosa le diceva che sarebbe stato meglio rimanere da
sola a percorrere quella strada.
«Io
ti amo, Severus e non m’importa se non ricambierai
mai questi sentimenti, se mi odierai o ignorerai del tutto, purché ti alzi da
questo maledetto letto e inizi a vivere la tua vita. A viverla veramente.»
La
rosa aveva ormai soltanto un petalo nella stanza buia, dove il silenzio era
rotto solamente dai singhiozzi della strega che si era gettata sul corpo inerme
di Snape, in quell’ultimo e unico abbraccio che la
vita le avrebbe concesso, quella vita ingiusta che le aveva fatto amare un uomo
che non sarebbe stato possibile amare nella vita, in quella morte che sarebbe
giunta inesorabile.
Quell’ultimo
petalo cadde a terra e quel ticchettio divenne un sibilo infinito.
________________________
Ok, questo è il motivo per cui ho messo anche
l’avvertimento Drammatico, ma non temete e rimettete a posto quelle asce,
spade, coltelli, mannaie e quant’altro :D, ci sono pur sempre altri 9 mesi o
no?! ;D
Una
piccola precisazione: in questa storia Lavander Brown non è morta, mi sembrava
quanto meno inopportuno prendermi un po’ gioco di questo personaggio da
defunto, quindi l’ho resuscitato, non è importante ai fini del racconto (visto che viene citata appena), ma ci
tenevo a precisarlo ;D
Ringrazio
come sempre chi continua a seguire questa storia, a preferirla, a ricordarla e
anche solo a leggerla e ovviamente ringrazio chi si ferma a recensire.
Potete
riporre le armi, orsù, vi lascio al prossimo capitoletto :D
Spero,
buona lettura!
04 – Madre e figlio
7 aprile 2005
Severus
Snape non si poteva definire un uomo che si arrendeva tanto facilmente, al
contrario, aveva sempre lottato contro tutto e tutti per ciò che riteneva
importante e per ciò che andava fatto e, forse, in quei giorni, aveva creduto
importante resistere notte dopo notte.
Reputava
fosse qualcosa che semplicemente andava fatto.
Il
perché di certo non lo sapeva.
O forse sì?
Era
stato in quella notte che aveva sentito l’abbraccio di qualcuno, un calore che
si era propagato lungo il corpo poco prima di morire, era stata una sensazione
strana, mai provata prima o forse si era solo dimenticato cosa si provasse
quando si era abbracciati.
Oppure,
semplicemente, erano quella vita e quella forza che si sentono prima di morire,
il balzo prima di saltare nel buio.
Poi
iniziarono a scorrere tutte quelle immagini, una dietro l’altra, a farlo
sentire ancora più egoista.
E
Severus Snape non era neppure un uomo che amava far soffrire gli altri,
soprattutto le persone che aveva amato.
Avevi visto tua madre sorridere, un
attimo, un solo istante che ti era parso infinito, prima di osservarla
contrarre il volto in una smorfia di dolore, di osservare quelle lacrime che
stavano prendendo il posto di quel sorriso, così velocemente e così tragicamente
che non sarebbe esistito più nemmeno un ricordo.
Piangeva tua madre nel guardarti andare
via, piangeva per non averti mai visto felice e non averti mai reso tale.
Piangeva circondata da una luce strana
ma così bella, dove tu non vedevi l’ora di andare, ma tua madre continuava a
ripeterti che non ti voleva lì e sarebbe stato come morire di nuovo lei stessa,
più atroce di ciò che aveva patito la prima volta, perché nessuna madre
vorrebbe mai vedere il proprio figlio lasciare una vita che si è meritato e
dove merita di essere finalmente felice.
Severus
Snape non voleva far di nuovo morire sua madre, e il suo cuore aveva ripreso a
battere più forte che mai.
Poi era apparsa Lily, meravigliosa e
dolce Lily a sorriderti come aveva fatto tua madre, ma con la stessa velocità
avevi visto quel sorriso scomparire dalle sue labbra e quelle stesse lacrime
rigarle il volto.
Piangeva Lily, anche se avrebbe dovuto
essere felice per il mostro che finalmente sarebbe morto, e tu saresti
stato felice di vederla di nuovo, ma volevi scorgere il suo sorriso, non le sue
lacrime.
«Io sono morta per amore, e tu per cosa
stai morendo, Severus? Io ho vissuto nella felicità dell’amore, tu in cosa hai
vissuto, Severus? Sette anni, Severus, e ci sono molte persone che ti sono
rimaste vicino, per cui proprio così male come ti dipingi non devi essere, e
non tirare fuori la scusa della pietà, del rimorso e del senso del dovere, perché
è una stupidaggine e tu non sei uno stupido, Sev. Basta espiare.» Sorrideva di
nuovo Lily, «non andartene, Sev, ti
prego…»
Sev.
Sev.
Sev.
E
il respiro si era fatto rapido, e seguiva il cuore in quella che sembrava una
corsa contro il tempo.
Infine arrivarono gli occhi azzurri che
avevi spento con un solo sibilo, quello sguardo che ti appariva ancora così sbiadito
come lo avevi visto mentre veniva inghiottito dalla gravità, e non avresti mai
voluto rivederlo in quelle condizioni, meno lottavi per vivere più quelle iridi
scolorivano e il nero che inghiottiva la mano di Dumbledore si espandeva,
veloce, in profondità, fino a coprirlo completamente.
Ne sentivi l’urlo agghiacciante mentre
quel veleno gli consumava la carne, la pelle spariva e potevi vedere i muscoli
contrarsi vivi, finché anche quelli non divennero neri, svanendo come se
migliaia d’insetti li stessero mangiando.
«No! Basta!» ma tutto quello che uscì dalla sua bocca fu un
lamento incomprensibile e finalmente i suoi, di occhi, si aprirono di nuovo al
mondo.
E
Dumbledore tornò a sorridere, e con lui Lily e sua madre, ma c’era un altro
sorriso che conosceva, ma non ricordava più.
«Severus,
sei… ti sei… sono così felice…» un sorriso tra le lacrime, meraviglioso, materno, un sorriso che gli strinse le
dita.
«Minerva…» ma il suo rimase un sussurro difficile da decifrare,
col tubo che aveva in gola, gli risultava tutto così macchinoso, anche se sette
anni di assoluto silenzio rendevano le cose più complicate di quanto già
fossero grazie a ciò che non gli faceva muovere le corde vocali.
Non
che fosse mai stato un gran parlatore.
Minerva
McGonagall sentiva la felicità esplodergli nel petto, in quel cuore vecchio che
ancora batteva, e Godric solo sapeva che non si sarebbe arresa finché non
avesse visto quel dannato uomo
finalmente felice.
Si
alzò per andare a chiamare qualcuno, ma le dita gli rimasero immobili a
stringere la mano di Snape nella quale poteva sentire un po’ di calore, non
voleva lasciarla, voleva continuare a irradiargli quel senso di benessere di
cui aveva bisogno, quell’affetto che voleva assolutamente trasmettergli.
Senza
lasciarlo prese la bacchetta e mandò un Patronus, sapeva che in un attimo
sarebbe arrivato alla persona giusta.
Dopo
qualche istante qualcuno entrò nella stanza, Minerva sorrise, ma quando puntò
gli occhi alla porta, il suo sguardo si fece perplesso: non era lei.
«Finalmente
il mio amore si è svegliato! Si è svegliato perché sapeva che sarei venuta!» la
donna si avvicinò velocemente al letto di Snape, ma lo sguardo torvo di Minerva
le bloccò immediatamente i passi.
Snape
dal canto suo, si limitò a sgranare gli occhi. Dannazione, aveva perso anche la
capacità di alzare le sopracciglia!
Quella
strega gli sorrise sbattendo le ciglia e no, non aveva perso un bel niente,
quei due cumuli di peli si sollevarono paurosamente, più in alto del solito.
Hermione
Jean Granger aveva pensato di morire in quello stesso istante in cui
quell’ammasso di luce era arrivato ai suoi piedi e aveva sentito la voce di
Minerva dirle quello che aspettava da sette lunghi anni.
Spalancò
la porta con forza, ignorando che probabilmente l’avrebbe rotta e corse vicino
al letto di Snape, senza guardare nient’altro perché nient’altro aveva
importanza in quel momento.
Non
le sarebbe importato se lui non l’avesse mai amata, tutto ciò che contava, era
che fosse vivo, finalmente sveglio.
«Non è vero che ha bloccato la mia vita,
lei l’ha resa più bella, col suo solo stare lì ha reso la mia vita speciale. Ha
unito tutti intorno a questo letto, ha creato una famiglia felice e pensa cosa
potrebbe fare se si svegliasse» Snape
continuava a sentire quelle parole, non si ricordava con precisione chi le
avesse dette tantomeno quando – quella
voce però… –, ma continuavano a vagare nella sua mente, come sussurri, come
urla, come sorrisi e lacrime.
La
stanchezza prese di nuovo il sopravvento e in un attimo le palpebre lo fecero
ripiombare nell’oscurità, ma quella volta sarebbe stato soltanto un normale
riposo, un sonno per riprendere le forze e non un sonno irreale lontano dallo
spazio e dal tempo.
«Oh,
perché deve sempre apparire la tua guardia del corpo? Perché non può lasciarci
vivere il nostro amore?» quelle parole erano uscite dalla graziosa bocca di
quella donna che si era fatta più vicina a Snape, senza curarsi degli sguardi
di Minerva che ancora teneva la mano del mago e di Hermione che si prendeva
cura di lui ed era troppo felice per averla notata, ma quella voce così irritante era difficile da ignorare.
«Chi
è questa qui? E cosa vuole?» chiese Hermione ad una divertita Minerva, poi però
qualcosa la colpì come un lampo…
Guardia del corpo…
«Oh,
Sevvy-Sevvy, amore mio» Minerva non riuscì a trattenere un minuto di più quella
risata.
Sevvy-Sevvy…
Hermione
non aveva niente da ridere. «Fantastico, ci mancava soltanto Lavander Brown
versione più adulta e più stupida» Minerva continuava a ridere mentre Severus
ormai dormiva placidamente da qualche minuto e mentalmente ringraziò il suo
corpo per averlo fatto piombare di nuovo in quello stato. «Mi scusi, signora,
dovrebbe uscire da qui, lei non è autorizzata a stare in questa stanza.»
«Signorina!»
disse la donna piuttosto scandalizzata.
«Come,
prego?» e aveva anche alzato un sopracciglio. Minerva non poté non dare ragione
al giovane Weasley che le diceva sempre che la vicinanza col mago l’aveva fatta
diventare come lui.
«Sono
signorina. E futura signora Snape!»
«Non
m’importa cos’è e cosa sarà, voglio solo che esca da qui.»
«Non
può impedirmi di stare con il mio amore.»
Snape
quasi certamente l’avrebbe già sbattuta fuori di lì, pensò Hermione, ma
riflettendoci bene, avrebbe sbattuto fuori anche lei e probabilmente anche
Minerva, se lo conosceva almeno un po’, e non seppe perché le venne da
sorridere.
Un
sorriso vero, per qualcosa che Snape avrebbe potuto fare veramente di lì a
poco, non solo qualche azione che avrebbe soltanto immaginato.
Adesso
era vivo, si era svegliato, e non le importava nulla di quello che sarebbe
successo, contava solo che lui avesse finalmente aperto gli occhi. Soltanto
quello.
Hermione
trasse un profondo sospiro, cercando di mantenere la calma il più a lungo
possibile altrimenti avrebbe preso la bacchetta e l’avrebbe gettata dalla
finestra in un attimo, e avrebbe tanto voluto conservare quella lettera per
ficcargliela in bocca.
D’accordo,
non era una cosa che Hermione Granger avrebbe fatto, non era assolutamente da
lei, ma il pensiero l’aveva sfiorata più di una volta, ne aveva sentito il
desiderio crescere dentro di lei, e poco importava che fosse una cosa che
nessuno avrebbe accostato al suo nome.
Minerva,
mentre ancora sghignazzava, osservò per un attimo la sua ex allieva, era
cambiata, era cresciuta, era diventata una donna ed era molto orgogliosa di lei
come di tutti i suoi studenti, soprattutto di quello che dormiva beato perdendosi il grazioso spettacolo di una
donna gelosa che marcava il suo
territorio.
Certo,
era difficile figurarsi Hermione come un leone che fa i propri bisogni per far
capire che lì non si passa neppure e che nessuno deve toccare niente.
E
le venne di nuovo da ridere mentre la sua ex allieva la guardava torva, tesa, e
probabilmente avrebbe buttato dalla finestra anche lei insieme a
quell’adorabile, graziosa signorina.
«La
prego, signorina futura signora Snape, venga fuori con me, la signorina Granger
deve poter assistere il suo paziente
nel migliore dei modi» ovviamente non era un suo paziente, non aveva neppure
iniziato il suo tirocinio, anzi, non aveva neppure finito la specializzazione
in Medimagia, ma poco importava, Minerva aveva voluto sottolineare di proposito
quel “suo”.
In
tutta sincerità non impazziva all’idea che una sua ex studentessa avesse una
relazione con il suo ex insegnante, soprattutto conoscendo i trascorsi di
entrambi, specialmente quello di Severus, e neppure quel piccolo dettaglio che avessero vent’anni di differenza le faceva
fare i salti di gioia, ma Hermione era innamorata di lui, questo le era chiaro
da tempo.
E
Severus si era appena risvegliato da sette lunghi anni di torpore e trovarsi
accanto qualcuno che lo amasse senza riserve, non avrebbe potuto che fargli
bene.
La
strega “futura signora Snape” seguì Minerva che la spinse con – poca –
gentilezza fuori la porta, lasciando la giovane Granger a prendersi cura di
Severus Snape e non solo del suo corpo, avrebbe tanto voluto che quelle mani
avessero messo di nuovo insieme i pezzi dell’anima del mago, anche se sapeva
che era così dilaniata che sarebbe stata un’impresa disperata, ma nella sua
lunga vita sapeva e poteva affermare con assoluta certezza che c’era un
incantesimo molto più potente di quelli che chiunque avesse mai potuto
conoscere.
Eccome
se lo sapeva, e aveva sofferto per esso come avevano fatto pochi, ma era ancora
lì, a lottare, portando quel dolore e quei ricordi nel cuore, sorridendo e
gioendo ancora e ancora, e si aggrappò con tutte le sue forze a quella flebile
speranza che anche per Severus ci sarebbe stata quella possibilità.
Si
fermò un attimo a guardare quella donna che aveva visto bambina mentre si
prendeva cura di Severus, aveva ormai tolto quel tubo che gli ostruiva la gola
e adesso lo vedeva respirare tranquillo e soprattutto da solo, senza l’aiuto di
nessuna macchina o incantesimo.
Vederlo
così rilassato, ma vivo, era una gioia così grande che non avrebbe saputo
neppure descrivere, era una fantasia alla quale ormai non credeva più, neppure
dopo quella giornata in cui il medico aveva consigliato a tutti di dirgli
addio, neppure quando l’aveva visto migliorare lentamente, giorno dopo giorno.
«Perché
non posso rimanere con il mio amore mentre quella stupida ragazzina può persino
toccarlo?» quell’irritante strega
interruppe i pensieri di Minerva con quella voce altrettanto irritante e l’anziana donna era
combattuta tra il desiderio di strozzarla con le sue stesse mani, oppure
Schiantarla in un luogo così lontano dove non l’avrebbe rivista per lungo
tempo.
Optò
per una terza ipotesi.
«Signorina,
le parlerò piuttosto francamente, da donna a donna, posso?»
«Certo
che può» una luce si accese negli occhi della strega più giovane. Irritante.
«Sono
una persona piuttosto pragmatica, calma ma severa, soprattutto quando si tratta
di proteggere ciò che mi sta a cuore. Se pensa che io sia una vecchia
rimbambita si sbaglia di grosso, ho combattuto guerre e sono ancora qui, con
gli acciacchi dell’età, certo, ma posso spedirla a Mosca con un solo sbadiglio
se solo me ne darà l’opportunità. Tengo molto a Severus, lo considero un figlio e mi sono sempre considerata una madre per lui, quindi, sempre molto
francamente, stia lontana da lui e se prova nuovamente a insultare Hermione o chiunque sia, le assicuro che il suo amore non lo vedrà neppure in cartolina
perché la farò spedire tra i ghiacci dell’Antartide a contarne ogni metro cubo.»
Sorrideva
Minerva mentre la strega – irritante – sparì
furiosa dalla sua visuale, sorrise ancora mentre si voltava ad osservare i suoi
due ex allievi un’ultima volta «Oh, adesso ci vuole proprio un bel tè», poi
chiuse la porta.
Lo so, sono un tantino in ritardo, ma ho
avuto un piccolo intoppo, anzi due, un pc che faceva le bizze (e ancora le fa!)
e una mano fuori uso, ma ora eccomi qua! :D
Come sempre volevo ringraziare tutti quelli
che mi seguono/ricordano/preferiscono e anche solo passano a dare un’occhiata,
per non parlare di quanto ringrazio immensamente chi si ferma a recensire.
Grazie davvero!
Vi lascio al capitolo e, come sempre, spero
sia una buona lettura! ;D
In caso contrario non esitate a mettere nero
su bianco critiche costruttive o quant’altro vi viene in mente ;D
05 – Il mondo che va avanti
28 maggio 2005
Sparito.
Severus
Snape era semplicemente sparito.
La
sua camera era vuota della sua presenza, mentre tutto il resto era immacolato,
i libri che di solito leggeva, riposti sul tavolo con precisione, i piccoli pesi
che usava per fare ginnastica da solo – come gli aveva suggerito il Medimago
Redden e che trovava parecchio umiliante – giacevano in un angolo.
Se
non fosse per quegli oggetti, si poteva tranquillamente affermare che in quella
stanza non ci avesse mai messo piede nessuno.
In
quel sabato di fine maggio la pioggia cadeva fitta su Londra rendendo quella
giornata ancora più cupa e quel vicolo quasi invisibile a chiunque fosse
passato nelle sue vicinanze, persino agli occhi esperti dei maghi e delle
streghe che ormai conoscevano ogni angolo di Diagon Alley.
Severus
se ne stava lì, nascosto agli occhi indiscreti, mentre osservava la piccola
libreria dall’altra parte della strada dove alcune persone osservavano quei
volumi che tante volte aveva osservato anche lui anni prima, in un tempo così
lontano che quasi faceva fatica a ricordare.
Quella
ferita che, però, ancora gli faceva male nel petto era come se fosse stata
fatta qualche ora prima, e stava sempre lì, a ricordargli il suo passato che
non poteva semplicemente essere dimenticato.
Faceva
ancora fatica a stare in piedi per più di qualche ora consecutiva e la sua
andatura era ancora piuttosto incerta, ma non gli importava, era uno che sapeva
sopportare bene il dolore, e voleva soltanto stare nel buio che confondeva la
sua figura ad osservare.
Osservava
quei libri, quei sorrisi sulle labbra di maghi e streghe, osservava nella
speranza di scorgere l’unico sorriso che aveva bisogno di vedere, perché aveva
bisogno di capire se quei giorni – e quegli anni – e quella voce fossero stati reali
o solamente frutto di quella sua mente che voleva prendersi gioco del mago che
aveva dormito per sette lunghi anni.
Aveva
bisogno di vedere il sorriso di Hermione, il motivo però non riusciva a
visualizzarlo in quella sua strana testa,
oppure, semplicemente, aveva bisogno di vedere quella persona che gli era stata vicino per tutti quegli anni
nonostante ciò che lui era, nonostante il male che aveva fatto e che avrebbe
continuato a fare con la sua sola presenza.
Gli
aveva davvero detto che lo amava?
Come
poteva qualcuno amare un mostro come lui? Come poteva anche solo pensare che tutte
quelle parole fossero reali?
Aveva
visto sua madre, aveva visto Lily e Dumbledore, poi c’era stata Minerva,
orgogliosa e materna Minerva che non era riuscita a dirgli nient’altro che «mi
dispiace» e poi era uscita dalla sua stanza in lacrime dopo che aveva provato
ad abbracciarlo, a stringerlo a sé, come una madre farebbe con un figlio, e lui
si era irrigidito, dannatamente timoroso di qualsiasi contatto umano e fisico,
dannatamente incompetente di quei
sentimenti e di quelle emozioni.
Ecco
cos’era capace di fare uno come lui, era soltanto capace di far piangere le
persone, farle soffrire, e nessuno avrebbe mai potuto amare una simile persona.
Eppure
ancora stava lì, immobile, sostenuto dal freddo muro fradicio d’acqua, ad
osservare qualcosa che non comprendeva, ad osservare quel sorriso che gli aveva
rivolto in quei giorni, quel sorriso che era l’unica cosa che ricordava di lei
quando entrava in quella stanza, troppo stanco e ancora debole anche solo per
tenere gli occhi aperti e guardare non solo quelle labbra.
Sapeva
che in quei sette anni aveva donato spesso un sorriso al suo corpo inerme.
Ogni
volta che lo faceva, sentiva uno strano calore pervadergli il corpo, e poteva
giurare con certezza di averlo percepito molte volte nel suo lungo periodo di
coma, sapeva che era quello a provocarglielo, perché era una sensazione diversa
da tutte le altre che aveva provato dal giorno in cui aveva di nuovo aperto gli
occhi.
Nel
periodo in cui era dormiente, il suo corpo aveva percepito molte e molteplici
sensazioni, e da quando si era svegliato, aveva imparato ad incasellare ognuna
di esse, ad associarle ad ogni persona che continuava ad andare in quella
stanza. Erano come gli ingredienti di diverse pozioni, avrebbe soltanto dovuto
riconoscerli e accostarli man mano ai diversi infusi.
In
fondo era il migliore in quello.
A
quel pensiero non poté far altro che sorridere, un sorriso sincero, sereno, e
avrebbe anche riso, se non avesse avuto l’intenzione di passare inosservato,
quando gli venne in mente che in tutto quel tempo le cose fossero sicuramente
cambiate, e forse adesso il miglior pozionista del Mondo Magico poteva
benissimo essere Harry Potter, o addirittura Neville Longbottom.
Al
pensiero gli si gelò il sangue, altro che ridere.
Sette
anni. Era davvero passato così tanto tempo?
All’improvviso
dalla piccola libreria uscì qualcuno che salutava il vecchio proprietario del
negozio ridendo, quel viso rugoso che ancora ricordava perfettamente: era bello
che alcune cose fossero rimaste invariate nonostante tutti quegli anni, era una
sorta di quiete nel mare che lo stava agitando ormai da giorni.
Sorrideva
l’anziano mago, sorrideva a una donna che lo guardava allegra, poi lo vide,
vide quel sorriso, quelle labbra che erano l’unica cosa che aveva visto di lei.
No, non può essere la stessa ragazzina
petulante che non faceva altro che alzare la mano durante le tue lezioni.
“Eppure
quel sorriso…”
«Ci
vediamo lunedì, Hermione, divertiti questo weekend!» le disse l’anziano mago.
«Anche
lei passi un buon weekend, signor Tollen, a lunedì!» gli rispose con sguardo
felice e sereno, uno sguardo raggiante in un viso di donna.
È una donna.
Il
mondo era andato avanti tutti quegli anni, lui aveva dormito per sette lunghi
anni e tutto intorno, ogni cosa si era mossa incurante del suo sonno, e di
certo non avrebbe preteso che fosse altrimenti, non avrebbe potuto pensare che
tutto fosse rimasto inalterato.
Erano
lunghi sette anni, e mentre lui dormiva, le persone erano morte, bambini erano
nati, ragazzi erano cresciuti, e guardando quel piccolo angolo di mondo si
accorse di quanto fosse fuori posto, di quanto lui ormai non c’entrava più
niente con le vite di nessuno di loro.
Guardava
Hermione, la donna che era diventata, combattiva, forte, ma con ancora quel
velo d’insicurezza che si portava dietro fin da quando era piccola, poteva
vederlo in quel sorriso che nascondeva la bambina impacciata e saccente che a undici
anni aveva messo piede ad Hogwarts sorprendendo persino se stessa.
La
guardava e non poteva non pensare a cosa l’avesse spinta a innamorarsi di uno
come lui, sempre se fosse amore quello che provava nei suoi confronti, non
avrebbe potuto dirlo con certezza, e di certo non aveva alcuna intenzione di
indagare, ormai aveva preso la sua decisione.
Era
giovane, aveva tutta una vita davanti e avrebbe dovuto viverla nel pieno delle
sue potenzialità, senza dover pensare ad un vecchio
come lui che non aveva fatto altro che del male a chiunque volesse bene ed era
rimasto immobile su un letto per anni, fermando la vita di chiunque avesse
varcato la porta di quella stanza.
E
non poteva far altro che sparire, lasciare che il suo ricordo si dissolvesse.
Se questa era la tua intenzione perché
non hai mollato tutto sette anni fa? Adesso il tuo ricordo sarebbe già sbiadito
e nessuno avrebbe perso tempo a venire in una stupida stanza d’ospedale a trovare
uno stupido mago che non aveva ancora deciso cosa fare della propria vita.
La
sua dannata coscienza aveva ragione,
e lo sapeva, era inutile mentire a se stesso, avrebbe dovuto mollare tempo fa e
invece adesso si ritrovava semplicemente a scappare da quella vita e da quei
sentimenti che si erano aggrappati con forza a lui, quei sentimenti che
continuavano a camminare per la loro strada e spesso si voltavano verso di lui,
aspettando il momento in cui avrebbe affrettato il passo per raggiungerli.
Per
raggiungere quella vita che gli era rimasta attaccata addosso per sette lunghi
anni, quella vita che neppure un serpente era riuscito a strappargli di dosso.
Avrebbe
finalmente avuto il coraggio di compiere quei passi?
“Non
c’è spazio per me nelle loro vite e di sicuro vivranno meglio senza il
Mangiamorte che ha assassinato i loro affetti più cari.”
Allora perché stai seguendo Hermione
Granger?
Severus
Snape senza che realmente avesse voluto, si era ritrovato a camminare sotto la
pioggia, metro dopo metro, per seguire i passi della giovane donna che era
uscita dalla libreria ormai da tempo e probabilmente se ne stava andando
finalmente a casa, magari da qualcuno
che la stava aspettando.
È innamorata di te, ricordi?
A
quel pensiero borbottò qualcosa piuttosto sonoramente, tanto che Hermione si
voltò di scatto com’era abitudine fare quando si sentiva un rumore, ma dietro
di lei non c’era nient’altro che gli ultimi avventori dei negozi di Diagon
Alley che rientravano a casa per la cena.
Severus
in un attimo era sparito dietro un cumulo alto e nero che non sapeva per niente
cosa fosse, ma l’odore che emanava non era di certo dei migliori.
«Maledetta
Grifondoro e maledetto il tuo sorriso che mi ha portato in mezzo ai rifiuti! E
maledetto questo idiota che si è fatto trascinare da questo qualcosa che non so
nemmeno cos’è!»
Sette
anni d’immobilità su di un letto avevano minato il suo ferreo autocontrollo e
la sua pazienza era ai minimi storici, ma di certo nessuno avrebbe potuto
fargliene una colpa dopo tutto quello che aveva passato, oltretutto il suo
fisico era ancora piuttosto debole e faceva fatica a controllarlo pienamente.
Aveva
deciso di andarsene da quell’ospedale, ne aveva avuto abbastanza di stare su
quel dannato letto, fissato da chiunque passava di lì, toccato da mani di
persone che nemmeno conosceva per aiutarlo a riattivare ogni singolo muscolo.
Ne aveva abbastanza di tutte quelle parole, di quegli stupidi esercizi e di
tutte le persone che avevano continuato a fargli visita.
Soprattutto
ne aveva abbastanza di vedere quel sorriso senza riuscire a scorgere
nient’altro.
Hermione
era sparita, guardò in ogni direzione ma di lei non c’era alcuna traccia, così
riprese a camminare a fatica senza sapere dove andare, in realtà non aveva la
benché minima idea di dove abitasse la giovane donna, e soprattutto, perché voleva
andare a casa sua?
Era
una gran bella domanda di cui, ovviamente, ignorava ogni possibile risposta.
Si
ritrovò nuovamente a brontolare imprecando contro qualcosa di visibilmente poco
appetibile che gli si era attaccata alla scarpa e cercava di scalciare con
forza, e inutilmente. Qualsiasi cosa fosse non aveva alcuna intenzione di
abbandonare la suola dei suoi stivali.
“Maledizione!”
Devo ricordarti che sei un mago e
possiedi una bacchetta?
“Maledizione,
la mia bacchetta!”
Sette
anni di coma gli avevano fatto dimenticare persino quali fossero le cose
primarie della sua vita, e avere la propria bacchetta sempre a portata di mano
era una di quelle, come aveva fatto, però, ad essere tanto ottuso da essersene
completamente dimenticato?
Dov’è che vorresti andare senza quel
piccolo, essenziale pezzo di legno?
Severus
affrettò il passo, anche se iniziava a sentirsi veramente esausto, ci sarebbe
voluto ancora molto tempo prima che il suo corpo fosse tornato in piena forma – se
mai ci fosse tornato: sette anni d’immobilità erano difficili per chiunque –, ma diede fondo ad ogni goccia di energia
che aveva in corpo, doveva assolutamente ritrovare quell’ammasso di capelli
ribelli, era l’unica che poteva sapere dove si trovava la sua bacchetta e
soprattutto – cosa assai più importante – era l’unica che si trovasse nelle
vicinanze.
Cercò
di scacciare ancora quel residuo di spazzatura attaccato alla sua scarpa, ma il
movimento gli procurò una fitta di dolore lungo tutta la coscia e fu costretto
a fermarsi di nuovo, cercando un appoggio in alcune scale dismesse.
Era
stanco, molto stanco e voleva soltanto la sua dannata bacchetta per potersene
andare lontano da lì, in un luogo dove finalmente si sarebbe riposato, lontano
da quelle persone che avrebbero dovuto dimenticarlo e basta.
Si
accasciò sulla pietra incurante dell’acqua che scendeva su di essa, aveva
chiesto troppo quella sera al suo corpo e adesso si ritrovava in quel posto,
senza riuscire nemmeno a muoversi.
«Allora
avevo visto bene, era lei che mi stava seguendo» quella voce lo fece sussultare,
quella voce che tante volte aveva
udito adesso era davanti a lui, insieme a quel
sorriso.
Severus
si limitò a piegare le labbra in una smorfia che sottolineava tutto il suo
disappunto.
«Non
è stato molto difficile individuarla viste le sue condizioni» e continuava a
sorridergli, ancora e ancora, «ma non si preoccupi, presto tornerà quello che
era un tempo.»
Voleva
davvero ritornare ad essere quello che era stato prima di quel morso che gli
era quasi costato la vita? No, certo che no. Avrebbe preferito essere uno
storpio a vita, tornare in quel limbo che lo aveva abbracciato per sette anni,
piuttosto che tornare di nuovo a far scorrere del sangue sulle sue mani.
La guerra è finita da un bel pezzo,
Severus, se te ne fossi dimenticato.
Forse
quello stato d’infermità era la giusta punizione per tutto ciò che aveva fatto,
ma esisteva davvero una pena adeguata al male che aveva contribuito a seminare?
In cuor suo sapeva di meritare qualcosa di molto peggiore, ormai non aveva le
forze per opporsi a nulla.
«Non
farmi tornare in quell’ospedale. Ti prego» furono le uniche cose che riuscì a
dirle, perché non sapeva cos’altro fare, anche se avrebbe voluto correre
lontano da lì, lontano da lei, da tutti, rifugiarsi in un mondo solitario dove
avrebbe scontato le sue colpe, ma non riusciva a ragionare lucidamente,
tantomeno a muoversi.
«D’accordo,
ma ad un paio di condizioni» Severus la guardò inclinando appena la testa
nell’attesa che continuasse a parlare. «La prima è che seguirà tutte le mie
indicazioni e farà esattamente ciò che le dirò di fare. Più sarà collaborativo
e prima riusciremo a sistemarle il corpo. La seconda è che non sono ammesse
altre fughe come questa, altrimenti sarà mia premura mandarla a fare volontariato
tra i bambini vestito da clown. La terza è che non avrà la bacchetta finché non
si sarà rimesso completamente, tantomeno la chiederà. La quarta è che parlerà
con Harry come mai avete fatto nella vostra vita, sinceri come mai lo siete
stati. La quinta è che parlerà anche con la professoressa McGonagall.»
Severus
Snape aveva alzato così tanto le sopracciglia che gli facevano persino male, ed
era una cosa mai accaduta prima d’allora.
«Finito?»
«Finito.»
«Queste
non sono un paio e non sono nemmeno condizioni, mi sembra più un qualcosa
riconducibile a dei ricatti.»
«Sono
le mie condizioni. Prendere o
lasciare. Ci metto un secondo a chiamare gli infermieri del San Mungo così che
possano riportarla – e rinchiuderla – nella sua stanza. Se accetta, vivrà la
convalescenza nella sua casa, in assoluta libertà.»
È saggio passare i prossimi mesi da solo
nella tua casa con una giovane donna che dice di amarti?
“È
una donna, non è mica un mostro assatanato di sangue!”
Fai come ti pare, io ti ho avvisato.
«Allora?
Non ho tutta la notte e se non se ne è reso conto, diluvia e se mi prendo un
raffreddore o, peggio, la febbre, la Schianto in una sala da tè con tutte le sue fan.»
«Non
si prospetta molta libertà, ma è decisamente un’opzione migliore di un
eventuale ritorno al San Mungo. D’accordo, accetto le tue condizioni.»
«Perfetto,
se vuole seguirmi, sarà il caso di andare ad asciugarsi e lei ha bisogno di
mangiare e di riposo. Non voglio perdere il mio primo paziente ancora prima di
specializzarmi.»
«Prima?
Vuoi dire che ancora…? Perfetto, direi che posso anche andare ad ordinare la
bara.»
«Mi
mancava il suo sarcasmo, professor Snape.»
«Mi
mancava lei», ma queste parole Hermione le pronunciò dentro di sé, in quel
luogo dove custodiva ogni cosa preziosa, ogni emozione importante, ogni
sentimento che doveva tener nascosto, li celava lì, nell’attesa di quel giorno
in cui avrebbe mostrato ogni cosa.
Camminava
sentendo la presenza di Severus vicino a lei, e in quel frangente sapeva che la
sua vita poteva finalmente andare avanti.
Come
sempre ringrazio immensamente tutti quelli che seguono/ricordano/preferiscono e
anche solo passano a leggere la storia, e ovviamente chi si ferma a recensire.
Grazie
davvero, siete splendidi tutti! :D
Vi
lascio al capitolo e, come sempre, se avete qualcosa da dire, recensioni,
commenti, critiche costruttive e quant’altro, non esitate a dirlo ;D
Spero,
buona lettura! ;)
06 – Una coppia di vecchi sposi
23 giugno 2005
Quella
sera Severus si era fermato per qualche istante a riflettere mentre dalla
finestra osservava il cielo su Cokeworth sporcato dalle dense nubi di fumo che
rendevano la notte ancora più buia, impedendo ai suoi occhi di scorgere le stelle:
trovava quasi assurdo che dopo tutti quegli anni quell’angolo di mondo non
fosse per niente cambiato.
Era
come vedere una cartolina sbiadita di quando era ancora bambino, di quando
scappava da quella casa per correre dalla sua Lily.
Fece
scorrere le pallide dita sul vetro, come se volesse toccare quel ricordo e
riviverlo ancora una volta, anche se era ben consapevole di quanto fosse
stupido pensare che sarebbe bastato quello per farlo tornare indietro.
Erano
passati sette anni dalla fine della guerra e molti altri da quando la sua Lily
non c’era più, non sarebbe di certo bastato il fugace ricordo stampato sul
vetro di una finestra a riportarlo indietro a quando tutto andava bene.
Era mai andato tutto bene?
“Quando
c’era Lily, sì.”
Non sono del tutto sicuro. E comunque
sono passati anni e anni, ed è ora che ti lasci tutto questo alle spalle e
cerchi di vivere il presente, quella vita cui ti sei ostinatamente aggrappato.
Un
bussare alla porta distrasse – fortunatamente – quei pensieri che iniziavano a
prendere una brutta piega, lo sapeva benissimo, per questo aveva ancora paura
di affrontare la realtà dei fatti e si rifiutava in qualsiasi modo di entrare
nell’argomento.
Era
già tanto che avesse parlato con Harry – in realtà, tra tutti e due, avevano
parlato ben poco, per lo più si erano limitati a guardarsi o a pronunciare
brevi frasi, il giovane mago perché era ancora intimorito dal suo vecchio
insegnante nonostante gli anni passati e nonostante fosse ormai un uomo e quasi
un padre, mentre Severus, beh, era sempre Severus, e in quegli occhi non faceva
altro che rivedere Lily.
Quell’incontro
non era stato poi molto, ma era pur sempre un primo passo verso un chiarimento
che era assolutamente necessario tra quei due ed Hermione non faceva altro che
ripeterglielo.
Stancante.
Con
passo ancora un po’ incerto andò ad aprire.
«Non
ritenevo necessaria la presenza di una balia in assenza del mio amorevole non-ancora-Medimago personale»
soffiò scocciato Snape dopo essersi fatto da parte per permettere alla sua ospite di entrare.
«Oh,
beh, anch’io sono felice di vederti, Severus.»
«Mm…»
Minerva
McGonagall conosceva il mago che le era davanti fin da quando era un ragazzino
e ormai nulla di lui riusciva più a stupirla, era ormai abituata da tempo al
suo carattere che definire inesplicabile era piuttosto riduttivo.
Si
ritrovò a sorridere nel vedere quell’espressione tipicamente da Severus
scontroso, alla quale, sapeva, sarebbe seguita l’immancabile alzata di
sopracciglio, e, infatti, lo sollevò non appena vide il sorriso sulle labbra
dell’anziana strega.
«Dov’è
Hermione?»
«Pensavo
lo sapessi, visto che ti ha mandato lei.»
Hermione
quella sera non c’era, era andata da qualche parte con Ginny che l’aveva
convinta ad uscire un po’ – sì, avevano fatto pace, ancora ricordava
perfettamente i vari piagnucolii che le due gli avevano urlato nelle orecchie, mentre lui, povero mago ancora in
convalescenza, era bloccato a fare gli esercizi gentilmente imposti dalla giovane Granger e, ovviamente, non poteva
muoversi né tapparsi l’udito.
E
non aveva nemmeno la bacchetta per Schiantarle lontane miglia da lui!
Non
potevano andare a consumare le loro idiozie
da donnette altrove?
Come
si era ridotto, pensò, assistito – e ricattato – da quella che una volta era
una sua studentessa che, per giunta, tremava ogni volta che le respirava
vicino.
Sì,
era proprio ridotto male.
Poi
ad un tratto gli venne in mente, in maniera del tutto inspiegabile, un
particolare al quale aveva fatto caso più di una volta in quel mese: la giovane
strega usava sempre la magia per fargli muovere il corpo, mai che una volta lo
avesse anche solo sfiorato. Perché?, si chiese.
Non
che gli importasse davvero, ma era comunque strano.
Che strani pensieri che fai.
«Oh,
Severus, a volte penso che tu sia realmente senza speranza. Non posso venire a
trovare un vecchio amico?»
«Sono
tuo amico, Minerva?»
«Pensavo
che avessimo chiarito ormai» rispose la strega con una nota di delusione nella
voce che non sfuggì a Severus. «Sei mio amico, Severus, sei il figlio che non
ho mai avuto. Ti ho odiato a lungo e profondamente, e ingiustamente, ma si odia
solamente qualcuno che si ama e al quale si vuole bene. Ti ho odiato perché ti
volevo bene, come un amico, come un figlio. Volevo bene anche ad Albus e mi
sono ritrovata semplicemente davanti a qualcosa più grande di me, mi sono
ritrovata davanti a quel figlio che lo aveva ucciso. Avrei dovuto farmi delle
domande, farmi venire dei dubbi, non avrei dovuto credere che quello che avevo
avuto davanti per anni era solo una menzogna. Mi dispiace, Severus, sono stata
un’egoista a non pensare a ciò che provavi tu. Mi dispiace e ti chiedo scusa,
ancora e ancora se servisse a farti credere a queste mie parole e ritenere di
meritare il nostro e soprattutto il tuo perdono. Te lo dirò di nuovo e sempre,
ma se tu non ci credi, è del tutto inutile.»
Severus
rimase in silenzio per alcuni istanti, le braccia incrociate dietro la schiena,
mentre di nuovo guardava il buio fuori dalla finestra, quelle strade dove aveva
corso da piccolo per allontanarsi da lì, dalle urla che rimbombavano su quelle
stesse pareti.
«Ti
credo, Minerva. E non hai nulla di cui scusarti» si voltò verso di lei e le
regalò uno splendido sorriso, un sorriso da Snape, certo, eppure era qualcosa
che la strega non aveva mai visto prima, così dolce e luminoso che si sentì
scaldare l’anima.
«Razza
di stupido! Ti piace farmi essere così sentimentale?»
Il
mago non rispose, strinse le labbra con forza cercando di trattenere una risata
che era da tanto tempo che non gli veniva così spontanea e profonda.
Minerva
afferrò un cuscino adagiato sul divano e senza pensarci due volte glielo lanciò
addosso, quasi con rabbia, anche se stava ridendo persino lei, e in
quell’istante Severus non riuscì più a contenersi e scoppiò a ridere.
Stai davvero ridendo, Severus?
Severus
Snape stava davvero ridendo, ed era una risata sincera e all’improvviso si
sentì come se quei pesi che aveva sull’anima stessero pian piano svanendo, come
la nebbia che si dirada in un istante.
«Stai
migliorando a vista d’occhio» disse la strega interrompendo quella risata, ma
non la sensazione di benessere che era nata in quella stanza. «Sei un uomo
tenace, Severus, e hai trovato una donna testarda quasi quanto te, anzi, a
volte lo è anche di più» ridacchiò di nuovo, mentre il mago la guardava
perplesso. «Sarà un ottimo Medimago!»
Dovette
ammettere anch’egli che la giovane donna era brava in quello che faceva, aveva
sempre posseduto l’inclinazione ad aiutare il prossimo – anche troppo! Ancora
ricordava tutti i suggerimenti che aveva elargito durante le sue lezioni, per
non parlare di tutti i guai in cui si era cacciata insieme con gli altri due
durante gli anni – e quel mestiere era veramente adatto a lei. E poi ricordava
che nella sua materia era sempre stata piuttosto brava.
Cosa? Ho sentito bene? Oh, sì, sei
ridotto veramente male, Severus, se riesci ad ammettere una cosa simile.
Il
grugnito di disapprovazione che mandò alla sua coscienza risuonò per tutta la
stanza, lasciando Minerva un po’ perplessa poiché pensava che lui non riteneva
per niente che potesse diventare un ottimo Medimago.
«Ti
offrirei qualcosa, ma il cibo della signorina Granger non lo consiglierei
neppure al mio peggior nemico» ecco, così si riequilibravano un po’ le cose, al
diavolo la sua coscienza.
«Severus,
quella ragazza sta cercando di aiutarti, non essere così duro con lei, e poi
non credo possa essere così terribile come dici tu.»
«Prego,
accomodati, Minerva» le disse indicandole il vecchio divano di pelle nera che
occupava lo spazio davanti al camino ancora spento. «Torno subito» così dicendo
sparì in cucina.
Dopo
alcuni minuti tornò con un piattino colmo di varie pietanze che dall’aspetto non
sembravano per nulla male.
“Ha
decisamente ragione il giovane Weasley.”
«Tieni,
assaggia.»
Minerva
Mcgonagall afferrò quella che doveva essere la fetta di una crostata e non
appena diede un morso a quella cosa,
il suo stomaco fece degli strani rumori di disapprovazione e la sua lingua voleva
staccarsi da sola per non dover continuare ad assaporare qualunque cosa fosse quella cosa.
Di
certo non era una crostata!
In
tutta la sua vita non aveva mai spalancato tanto gli occhi.
Severus
non riuscì a reprimere una nuova risata che questa volta gli salì dallo
stomaco, ancora rimembro di ciò che aveva provato lui la prima volta che aveva
assaggiato qualcosa cucinato da Hermione Granger.
«Penso
che non metterò mai più in dubbio la tua parola.»
«Io
ti avevo avvertita. Vuoi un caffè?»
«Non
avresti qualcosa di un po’ più forte?»
«Un
whisky va bene?»
«Sì,
grazie, una bottiglia penso che possa bastare a togliermi questo sapore dalla
bocca.»
Mentre
Severus versava il liquore in due bicchieri, la porta si aprì di colpo sotto la
spinta di un’Hermione piuttosto furente che entrò quasi a passo di carica, ed
entrambi la guardarono con un’espressione sconcertata.
«Uomini!
Tutti uguali siete!»
Che le hai fatto, adesso, Severus?
“Cosa?
Io? Ma se è rientrata adesso e non ho nemmeno parlato?”
Sì, ma di solito quando si arrabbia, è
perché tu le hai fatto qualcosa.
«Cos’è
che non capite delle parole “non m’interessa”? Perché dovete sempre insistere e
insistere e finire Schiantati addosso a qualche muro?»
«Cos’è
successo?» gli interessava davvero? Veramente non gli interessava per niente,
ma era un modo per cercare di distrarla e soprattutto di farla smettere di
urlare. Quanto desiderava la sua bacchetta in quel momento…
«Tutti
uguali siete! Dei maniaci che pensano soltanto ad una cosa!»
«Io
non sono per niente…»
«E
tu non fai eccezione!» dov’era la ragazzina che s’impauriva ad ogni suo sguardo?
Indiscutibilmente preferiva quella versione a questa che aveva davanti adesso
che gli dava anche del “tu” quando si arrabbiava! Inaudito.
“Sì,
ha decisamente ragione Ron,” pensò Minerva.
Ti dava del “tu” anche quando sussurrava
parole dolci. Che carini!
“Smettila!”
«Io
non sono un maniaco che pensa soltanto ad una cosa! Quindi smettila di urlarmi
contro! E qui se c’è qualcuno che ha problemi, quella sei tu, che non riesci
nemmeno a toccarmi durante la terapia che tu
mi hai costretto a seguire!» ecco, l’aveva detto.
Perché
l’aveva detto?
“Maledizione!”
Hermione
rimase immobile con una strana espressione in volto, non sapeva ben definire
quali fossero le emozioni che in quel momento le si stavano agitando dentro,
non si era neppure accorta della presenza della sua vecchia insegnante di Trasfigurazione,
tanto quelle parole l’avevano colpita come una doccia fredda.
Cosa
significavano esattamente?
«Che
significa?»
«Nulla,
fai come se non avessi detto nulla» le rispose prima di mandare giù il whisky
in un solo sorso e si premurò di riempirsi il bicchiere di nuovo.
«Eh
no, adesso mi spieghi cosa volevi dire con ciò che mi hai detto!»
«Non
mi sembra di averti mai concesso la facoltà di darmi del “tu”.»
«E
non cambiare discorso!»
«Sì,
ha decisamente ragione il giovane Weasley, sembrate una coppia di vecchi sposi!»
sogghignò mentre sia Severus che Hermione la guardarono oltre che sconcertati,
anche con uno sguardo che avrebbe incendiato persino il cuore di Dolores
Umbridge.
«COSA?!»
urlarono entrambi ad una strega sempre più divertita.
Ronald
Weasley non aveva poi tutti i torti, sembravano davvero una coppia di vecchi sposi,
assistere ai loro battibecchi era un assoluto spasso. Ovviamente lo sarebbe
stato finché Severus fosse stato sprovvisto della propria bacchetta.
«Penso
che sia meglio che vada.»
«NO!»
una coppia di vecchi sposi che gridava anche in simbiosi. Sì, erano davvero
divertenti.
E molto carini!
“Coscienza,
io ti odio!”
Sai che novità! È una vita che mi odi,
ogni volta che ti dico la verità mi odi, ma si sa che la verità è difficile da
ascoltare.
“Smettila!”
Hermione
tornò a guardare Severus mentre fece alcuni passi verso di lui, ma il mago
arretrò istintivamente per tornare alla finestra, in quel posto sicuro che era
ormai diventato da giorni, quell’angolo che per qualche istante lo riportava
indietro nel tempo, a quando non gl’importava altro che guardare i suoi capelli rossi muoversi al vento.
«Poi
mi chiedi perché non ti tocco. Pensi che non me ne sia accorta che ogni volta
che qualcuno tenta anche solo di sfiorarti, tu arretri proprio come stai
facendo ora?» Severus continuava a muoversi e Minerva fissò la giovane strega e
le sorrise, un sorriso che significava che quelle parole erano vere, non poteva
di certo dare torto alla ragazza.
Ricordava
perfettamente che ogni volta che aveva provato ad abbracciarlo o anche solo a
sfiorarlo, il mago si era irrigidito e si era allontanato, timoroso di
qualsiasi contatto e di tutto ciò che avrebbe implicato.
In
fondo entrambe le donne sapevano benissimo che era difficile per Snape
lasciarsi andare in quel modo, lasciarsi toccare, perché erano consapevoli che
in tutta la sua vita non aveva mai imparato il significato di quei gesti, così
poche volte aveva avuto il calore di un tocco amorevole.
E
di questo non gliene facevano di certo una colpa.
Non
poteva, però, affermare che fosse Hermione a non volerlo toccare quando sapeva
benissimo che desiderava esattamente il contrario, sapeva benissimo che lei era
innamorata di lui e di ogni suo aspetto, ma la giovane strega non sapeva che il
mago era a conoscenza dei suoi sentimenti, non credeva che avesse mai udito le
sue parole in tutto quel tempo.
«Non
ti tocco semplicemente perché sei tu
che non vuoi essere toccato» e si avvicinò sempre di più a Severus che
continuava ad arretrare passo dopo passo, sembrava una statua che si muoveva
grazie ad un incantesimo.
«Non
è assolutamente vero.»
«Ah
no? Allora stai fermo e lasciati anche solo sfiorare.»
«Io
non…»
«Sei
un codardo, Severus, e della peggior specie, sappilo!»
Severus
Snape si fermò di colpo, riportò le braccia che poco prima aveva stretto al
petto, distese lungo i fianchi, serrando con forza e con rabbia le lunghe dita
pallide, le sue labbra si erano irrigidite e gli occhi emanavano una strana
luce, la sua irrequietezza si era fatta del tutto palpabile.
«Io
non sono un codardo!» soffiò piuttosto nervoso.
«Nei
sentimenti lo sei, anche parecchio! Se ci tieni tanto a smentirmi, stai fermo e
lasciati toccare, anche solo una volta. Provami che ho torto.»
Severus
tornò a guardare fuori dalla finestra, quei ricordi così lontani che sbiadivano
sul vetro, scendendo come le gocce di pioggia di una sera d’autunno quando
risplendono della luce del camino.
Hermione
era dietro di lui, poteva sentirne il profumo, poteva sentire i suoi occhi che
lo scrutavano a fondo, percepiva anche gli occhi di Minerva che sorridevano di
quell’affetto che riconosceva persino lui.
Aveva
ragione lei, era un codardo, un maledetto codardo che aveva paura di qualsiasi
contatto, temeva anche solo un respiro più vicino degli altri, poi ad un tratto
trasse un profondo sospirò e si voltò a guardare quella giovane strega che gli
aveva messo sottosopra il suo – maledetto – mondo.
Fissò
i suoi occhi e in quella strana luce che emanavano c’era il tacito permesso di
avvicinarsi di più, di fargli finalmente provare quelle sensazioni che non
aveva mai provato. Si rilassò e chiuse gli occhi.
Hermione
avvicinò pian piano, timorosa, le dita al suo viso, così pallido e gelido, come
aveva fatto quando ancora era steso su quel letto, ma questa volta c’era vita
sotto quella pelle morbida, c’era un cuore che batteva.
«Apri
gli occhi, ti prego» un sussurro caldo gli pervase i sensi e si sentì esplodere
nel petto uno strano calore quando la sua mano toccò il suo volto, emanava un
tepore mai sentito prima, o forse semplicemente non lo ricordava.
Eppure quel tocco non è così estraneo…
La
giovane strega gli sorrise e Severus, all’improvviso, unì la mano a quella
della ragazza e rimase immobile a guardarla, a guardare tutto di lei come mai
aveva fatto, a guardarla in un modo completamente diverso che lo spaventò e
calmò al contempo.
“Una
meravigliosa coppia di sposi” pensò Minerva mentre sorrideva a quell’anima
distrutta che forse era riuscita a trovarne una che le fosse affine e che la
accompagnasse in quel viaggio che l’avrebbe portata a ricostruirsi, pezzo dopo
pezzo.
Guardò
i suoi due meravigliosi ragazzi e non poté fare a meno di sorridere.
Lo
so, lo so, sono veramente imperdonabile per questo ritardo di quasi un mese, ma
è stato un periodo frenetico e inoltre sono diventata zia, quindi significa che
la mia bella pagnottona occupa gran parte del mio tempo libero :D per cui mi
prostro ai vostri piedi e imploro pietà per questa mia lentezza (e ne
approfitto anche per scusarmi, con ceci annessi, per il ritardo con il quale
sto aggiornando l’altra mia Severus/Hermione, sono pessima, lo so T..T).
Per
adesso vi lascio al capitolo e ringrazio come sempre tutti quelli che mi
seguono/ricordano/preferiscono e ovviamente recensiscono o anche solo passano a
dare uno sguardo, siete tantissimi e meravigliosi tutti! Se potessi vi
abbraccerei tutti! =D
E
spero non siate scappati tutti nel frattempo! XD
Come
sempre, per qualsiasi cosa, non esitate a dirmela ;)
Spero,
buona lettura! =)
07 – Così, all’improvviso
15 luglio 2005
Come
aveva potuto permettere che si avvicinasse tanto, per giunta con Minerva
presente?
Erano
passate settimane, eppure il senso di smarrimento che lo attanagliava da quel
giorno di fine giugno, non riusciva a scrollarselo di dosso, gli si era
attaccato alla pelle e ad ogni ora penetrava la sua carne sempre più a fondo, e
non ne capiva il motivo, e questo lo spaventava più di qualsiasi altra cosa al
mondo. Ciò che non comprendeva lo rendeva terribilmente irrequieto e timoroso,
perché non sapeva assolutamente come comportarsi.
Sei sicuro che non conosci il motivo di
tale turbamento?
Quel
senso di ansietà non lo abbandonò neppure mentre si dirigeva verso casa, in
passi che si facevano più pesanti ad ogni metro che si avvicinava. Amava e
odiava quella casa, per tutte le urla e i sorrisi che vi erano sepolti e ogni
tanto riaffioravano nei ricordi che custodiva come fossero tesori, nonostante
il dolore che gli procuravano ogni volta che sbocciavano nella sua mente.
Era
la sua casa, e in essa c’era ancora la sua vita, e adesso c’era anche lei.
Nel
sentire quella parola – che sapeva benissimo a chi fosse riferita – la sua
coscienza iniziò a ridere piuttosto indegnamente, provocando in Snape un moto
di frustrazione che si tradusse in una velocizzazione della sua andatura. Se
avesse potuto esiliare la sua coscienza, lo avrebbe fatto all’istante.
«Dove
diavolo sei stato?» un urlo s’infranse sul suo viso non appena varcò la porta
d’ingresso.
«Mi
scusi, Sua Eccellenza, non volevo di certo mancarle di rispetto nell’uscire a
prendere un po’ d’aria. Vostra Grazia vorrà perdonarmi.» Snape si piegò in un
inchino che fece imbestialire Hermione e divertire il giovane Weasley e il
giovane Potter.
«Il
tuo sarcasmo non attacca, Severus!»
«Sono
uscito a fare un po’ di spesa. Se non inizio a cucinarmi da solo rischio di
morire di fame o peggio, avvelenato.»
La
frecciatina che Snape mandò alla giovane strega la colpì in pieno volto – in
realtà sembrava più uno Schiantesimo potente da quanto divenne rossa e irritata
– e le sue labbra si stirarono in una smorfia di disappunto che fece sorridere
il mago: adorava terribilmente essere un bastardo,
era un aspetto di se stesso che gli era mancato enormemente.
I
due giovani maghi riuscirono a stento a trattenere una risata, sapevano che se
c’era una cosa in cui la loro amica era proprio negata, era la cucina, ancora
ricordavano il sapore del cibo durante la ricerca degli Horcrux e, peggio
ancora, quando alcune sere invitava tutti a cena.
Sapevano
anche che quando Hermione era di pessimo umore, la cosa migliore era girarle
alla larga.
«Bene,
tutto si è risolto per il meglio, quindi togliamo il disturbo» disse un Harry
ancora sorridente mentre si alzava dal divano consunto che aveva accolto il suo
insegnante per anni – aveva ancora i brividi al ricordo delle battute che aveva
fatto Ron su tutto ciò che aveva visto e sentito quel divano nel corso degli
anni.
«Sì,
sì, meglio se togliamo il disturbo, prima di finire all’altro mondo» replicò il
giovane Weasley.
«Hermione,
dopo facci sapere se è tutto a posto.»
«Perché?
Pensate che io possa farle del male?»
«Veramente,
al momento, riteniamo che sia Hermione a poterle fare
del male, professore.»
«Aspettate,
vengo anch’io con voi» e senza aggiungere altro, Hermione seguì i suoi due
amici verso la porta; era stanca, nervosa, in quelle ore aveva temuto il peggio
per lui, era migliorato nettamente, ma il suo fisico ancora non aveva la
resistenza di un tempo, e saperlo solo da qualche parte, per giunta senza
bacchetta, l’aveva resa ansiosa e pazza di paura, e lui si permetteva di fare
del sarcasmo come se nulla fosse.
«No.»
Una mano pallida le si strinse intorno al polso che vibrava di rabbia, «tu no»
e la spinse verso di sé, fermo sulla soglia di
casa, con uno sguardo difficile da decifrare, ma dentro poteva sentire mille
emozioni agitarsi furiosamente.
Cosa sono tutte queste sensazioni,
Severus?
Ancora
non trovava risposte a quella domanda che continuava a porgli la sua coscienza
e, sapeva benissimo, che era un quesito che anche lui stesso si stava facendo,
da giorni e giorni ormai.
«Noi
dobbiamo parlare.»
Lo
sguardo perplesso di Hermione fece sparire i due ragazzi all’istante, di certo
non volevano assistere a strane o imbarazzanti discussioni tra i due – avevano
notato che c’era qualcosa tra di loro e poi la professoressa McGonagall li
guardava in un modo piuttosto ambiguo che non erano riusciti ancora a
decifrare.
Severus
lasciò il polso di Hermione e si diresse alla finestra, in quello che era ormai
diventato per lui un angolo in cui lasciar fluire ogni suo pensiero, Minerva
gli aveva detto che adesso non poteva più nascondersi, aveva mostrato i suoi
sentimenti persino a lei, e continuava a ripetergli che era stato un bene che
lei fosse stata presente in quel momento.
«Se
non ci fossi stata io, avresti fatto finta di niente come sempre, avresti
gettato via ogni sentimento o l’avresti relegato in qualche parte di te perché
ancora non pensi di meritare una qualche felicità, perché se nessuno sente un albero cadere, significa che non fa rumore,
vero, Severus?» Le parole di Minerva ancora gli ronzavano in testa ed era
difficile mandarle via, ogni giorno s’insinuavano in lui sempre più in
profondità, come se fossero una lama che penetrava nella carne, ed era
doloroso.
Doloroso
perché sapeva che le parole della strega erano così vere da fargli paura.
Ancora quella paura, Severus?
Se
ci fosse stata soltanto Hermione, avrebbe negato qualsiasi cosa fino allo
stremo, incolpando la sua giovane età e la sua inesperienza della vita, se
avesse avuto la sua bacchetta, avrebbe persino azzardato un Oblivion nei
confronti della ragazza, ma con Minerva presente era tutto diverso e
complicato.
Con
lei non poteva più fingere, non poteva più mentire come aveva fatto per tanti
anni, lo aveva visto vulnerabile ai sentimenti, vulnerabile alla vita, e lui si
riteneva ancora indegno all’amore.
E
adesso cosa sarebbe successo?
«Di
cosa dobbiamo parlare?» chiese Hermione ridestandolo dai suoi pensieri, si
voltò appena per osservare il suo volto, quegli’occhi che quella sera di fine
giugno avevano fissato i suoi e condotto una carezza sul suo pallido viso, e
aveva sentito calore, un tepore sciogliergli quel gelo che aveva dentro da
tanto tempo.
Tornò
ad osservare il mondo fuori da quella finestra, in quel modo sarebbe stato più
facile parlare.
«Cosa
stiamo facendo io e te?»
«Non
lo so, parlando, forse?»
«Non
intendevo questo? Sai benissimo a cosa mi riferisco.»
«Veramente
non ho capito a cosa ti riferisci, Severus.»
«Pensavo
che avessi un po’ più di cervello, ma sei sempre una Grifondoro, quindi che mi
aspetto.»
Hermione
si ritrovò a sospirare più profondamente di quanto avesse mai fatto, ebbe la
sensazione che il suo corpo si fosse svuotato di ogni briciolo di aria che
aveva dentro, «ancora con queste idiozie sulle Case? Hai undici anni, forse?
Detto da te non ha nessuna valenza, sai? Sei il Serpeverde con il più smisurato
coraggio Grifondoro, il più intelligente Corvonero e il più paziente Tassorosso
che io abbia conosciuto.»
«E
tu saresti stata una perfetta Serpeverde.»
Hermione si ritrovò stranamente a sorridere, un sorriso ampio che un tempo,
dopo un’affermazione del genere, non avrebbe di certo piegato le sue labbra. «E
non cambiare argomento.»
«Veramente
sei tu che fatichi sempre ad andare al punto, soprattutto in certi
punti.» Stavolta fu il turno di Snape di emettere un profondo sospiro di
disapprovazione, anche se la sua coscienza gli ricordò
che c’era poco da disapprovare, la giovane strega aveva perfettamente ragione.
«Ti
ho sentita.»
«Mi
hai sentita? Pensavi di essere diventato sordo?»
Severus
sorrise a quello strano rapporto che si era creato tra di loro, e sorrise al
pensiero che quando erano ancora tra le mura di Hogwarts quella ragazza non
avrebbe mai avuto il coraggio neppure di respirargli vicino.
In
quei sette lunghi anni erano cambiate molte cose, e forse era cambiato anche
lui e faceva fatica ad ammetterlo, anche a se stesso.
«Cos’è
che hai sentito?»
«Lascia
stare, è meglio se vado a prepararmi qualcosa», ancora quella paura di
proseguire oltre, di lasciarsi andare, ancora il timore di essere completamente
sincero dopo anni e anni passati a dover mentire, era da vili, lo sapeva, ma
lui era fatto così, non c’era spazio per l’amore o per qualsiasi altro
sentimento. Aveva ragione Hermione: in quello era veramente un codardo.
«Vieni
con me.»
«Non
credo sia il caso che io metta di nuovo piede in cucina.
Sei stato piuttosto chiaro in questo.»
«Non
preoccuparti, mentre io preparo del cibo commestibile,
tu farai una cosa per me.»
«Cosa?»
«Fidati
di me.»
«Io
mi fido di te, Severus, sei tu che non ti fidi di te stesso né degli altri.»
Snape le sorrise, incapace di rispondere a parole, fece l’unica cosa che ormai
gli riusciva bene e sembrava quietarla o rassicurarla in qualsiasi occasione.
Un
tempo sarebbe stato così raro vederlo sorridere, eppure,
adesso, aveva imparato a farlo, a ridere con una spontaneità che era
sconosciuta per lui, come se per lungo tempo aveva perso una parte importante
del suo essere e d’improvviso l'avesse
ritrovata.
Tutto
grazie a quella giovane strega che gli era davanti.
«Va bene, andiamo.»
Hermione seguì i passi lenti del mago, fermandosi per un istante a
guardare il suo incedere fiero, ormai scevro da qualsiasi titubanza o dolore, e
le parve che le spalle erano ormai dritte senza più quei pesi che doveva
costantemente portare su di sé, anche se riusciva ancora a sentire diverse
inquietudini gravargli sul petto.
Il suo desiderio era vederlo finalmente felice e del tutto libero,
ed era un desiderio che aveva da molto tempo ormai.
Snape
si era seduto elegantemente sulla sedia, le
lunghe gambe accavallate, e osservava Hermione che ad intervalli volgeva lo
sguardo ad una lavagna fatta comparire poco
prima – non voleva rischiare di perdere alcun passaggio –, il banco di lavoro
improvvisato e i suoi occhi che cercava di tenere i più neutrali possibili.
Era
strano guardarla in quel modo, era come essere tornati indietro a quando ancora
si trovavano tra le mura di Hogwarts, eppure era tutto diverso, Hermione non
era più la timida ragazzina di allora, era una donna forte e tenace – innamorata, e lui lo sapeva –, persino
lui era cambiato, la guerra aveva cambiato anche uno come lui.
«Non
mi sembra tu stia preparando qualcosa.» Stavolta non alzò neppure lo sguardo
verso di lui, troppo concentrata a sminuzzare alcuni ingredienti con assoluta
precisione.
Severus
le sorrise e non appena le sue labbra si piegarono, Hermione alzò gli occhi,
come se sapesse che in quel preciso momento avrebbe guardato la bocca di Snape
in quell’espressione che un tempo si concedeva così raramente, e che ora,
invece, molto spesso gli vedeva dipinta sul suo volto.
Ed
era bello vederlo sorridere così serenamente, lui era bello, si ritrovò a
pensare la giovane strega, e un lieve rossore le sfumò le guance e per
l’imbarazzo abbassò di nuovo lo sguardo su quegli ingredienti che non riusciva
a tagliare al meglio.
«Dannati
cosi!»
Snape
si alzò dalla sedia e si portò alle spalle della ragazza, poteva sentire il suo
respiro caldo muoverle appena i capelli, percepiva la presenza del suo corpo e
questo le fece vibrare ogni brandello di carne, il cuore le accelerò quando le
mani del mago si posarono delicate sulle sue e con forza le strinsero.
Hermione,
però, poté facilmente affermare che quello fosse il tocco più delicato che un
uomo le avesse mai fatto, sentiva brividi correrle lungo tutta la schiena.
«Devi
accompagnare la lama con il polso e sentire la consistenza scivolarle addosso,
non è un pestello, devi essere delicata, tagliare con rispetto.»
Come
poteva quella semplice osservazione risultare così tremendamente sexy? Si
chiese un’Hermione che in quel preciso momento faceva fatica persino a reggerlo
quel dannato coltello.
Doveva
essere particolarmente stanca se la sua mente formulava simili pensieri, di
sicuro era quella la spiegazione migliore che riuscì a formulare, aveva davvero
bisogno di staccare la spina e di dormire per giorni e giorni senza più la
costante visione di quell’uomo che le era entrato nell'anima da anni ormai.
Da
quando si era risvegliato, non faceva altro che sognarlo, costantemente, e
quando non era con lui, i pensieri andavano sempre e comunque verso i suoi
occhi, le sue labbra, il suo viso, quella sua voce che sapeva essere così dura
e dolce al contempo, maledettamente affascinante.
Ormai
si era ristabilito e poteva andare avanti da solo
in quei pochi semplici esercizi che ancora avrebbe dovuto fare per un po’,
poteva staccarsi da lui, tornare alla sua vita, alla sua casa, ma sarebbe
riuscita a non pensare costantemente a lui?
Hermione
sospirò mentre eseguiva i movimenti guidata da Severus che non si era mosso,
poteva sentire il petto spingersi e rilassarsi sulla sua schiena: era una
sensazione di assoluto benessere che non avrebbe voluto finisse mai, avrebbe
voluto congelare il tempo in quell’istante, immortalarlo in una fotografia da
portarsi dietro tramonto dopo tramonto, da mostrare un giorno ai propri figli,
oppure da rivedere nella solitudine di una vecchia casa, seduti alla finestra a
guardare la pioggia che lenta scendeva lungo il vetro, goccia su goccia.
«Sono
stata in pensiero per te, oggi.»
«Per
me?»
«Sì,
per te. È vietato essere in pensiero per
Severus Snape?»
«No,
non è questo.»
«Allora
che domanda è: certo che ero in pensiero per
te. Sei sparito all’improvviso, va bene che ormai sei guarito e non hai più
bisogno di nessuno, ma eri senza bacchetta, non sei ancora il Severus Snape di
una volta, non…»
«Non
voglio essere il Severus Snape di una volta!» Così dicendo si staccò
all’improvviso da Hermione che per un attimo perse l’equilibrio e dovette
spostare indietro una gamba per non cadere all’indietro.
La
giovane strega posò il coltello sul tavolo dopo aver
gettato gli ingredienti sminuzzati nel calderone e seguì il mago che si
era nuovamente seduto sulla sedia, stavolta poteva scorgere tensione nei suoi
lineamenti e se ne doleva ogni volta che lo vedeva in quel modo, e ogni volta
si sentiva inutile perché non sapeva cosa fare per aiutarlo, per tirare fuori
quel bellissimo sorriso troppo a lungo celato da quelle labbra.
Si
avvicinò e si abbassò fino a riuscire a fissare gli occhi di Severus con i
suoi, e fece l’unica cosa che in quel momento le venne in mente.
L’unico
stupido gesto che non avrebbe dovuto
fare, ma che desiderava compiere da tantissimo tempo.
Hermione
Granger afferrò il volto di Severus Snape e lo baciò, così, all’improvviso, e
fu il momento più bello della sua vita, quell’attimo che una persona si porta
dietro per sempre, come un amico o un fratello
da non abbandonare mai.
«Non
devi cancellare tutto il bello che sei stato e tutto ciò che di buono hai fatto,»
Hermione interruppe quell’interminabile attimo in cui si era sentita
prigioniera di un sogno e finalmente libera, in un posto lontano dove c’era
spazio soltanto per loro e per quella felicità così a lungo agognata come
l’acqua in mezzo al deserto. «Sei stato un fantastico Severus Snape con le sue
molte ombre e le sue molteplici luci, e non devi voler cancellare ciò che ti
rende l’uomo meraviglioso che sei diventato. Devi solo trovare finalmente la
tua strada ed essere felice come mai sei stato, devi essere un nuovo Severus
che continua a camminare con la parte migliore del suo passato, perché anche
quello sei tu, non dimenticarti quello che sei stato e quanto di bello puoi
ancora fare.»
«Hermione,
non dovremmo…»
«Lo
so, non avrei dovuto dirti queste cose, non avrei dovuto baciarti, mi dispiace,
ma è una cosa che volevo fare e di cui ritenevo tu
avessi bisogno per sentire tutto il bello che c’è in te e che io vedo, e
non sono l’unica a vederlo.»
«Hermione…»
«Sei
guarito, Severus, ed io sono una persona di parola,» la giovane strega si
allontanò un istante per andare a prendere la borsa che era rimasta sul divano
di pelle nera, quando ritornò, aveva una bacchetta stretta in una mano, la sua bacchetta. «Questa è tua. Il mio
compito qui è finito, adesso ti lascerò in pace,» gli sorrise, il suo, però,
era un sorriso spento, visibilmente forzato, ma non voleva mostrare la
tristezza che si stava impadronendo di lei, non a lui e non in quel momento.
Aveva
capito che oltre quel poco tempo, non c’era alcuno spazio per lei nella vita di
Severus, lo aveva capito e doveva farsene una ragione.
Lui non sarebbe mai stato l'uomo che si sarebbe lasciato amare da
lei, forse non era davvero fatto per l'amore, soprattutto non se nella sua vita
vi sarebbe stata per sempre Lily e lei soltanto.
Era frustrante, ma avrebbe dovuto saperlo che la vita, a loro, non
avrebbe potuto riservare nulla, non esisteva neppure un "loro".
Eppure non poteva non pensare a ciò che avrebbe voluto dirle e che
invece si era tenuto dentro, perché le sue parole e i suoi gesti nascondevano
qualcosa, ma chi era lei per forzarlo a fare qualcosa che in realtà non aveva
nessuna intenzione di fare?
Severus la guardò camminare verso l'uscita, la guardò allontanarsi
da lui e non fece nulla, non sapeva come comportarsi, rimase immobile con mille
pensieri nella testa e un senso d'inquietudine ad opprimerlo.
Io ti avevo avvisato che non sarebbe
stata una buona idea, Severus.
Così,
all’improvviso, Hermione Granger uscì da quella porta e dalla vita di Severus,
così, come, all’improvviso vi era entrata.
Come
sempre ringrazio tutti quelli che passano a leggere questa storia, che la
preferiscono, ricordano e seguono e, ovviamente, a chi si ferma a recensire. Veramente
grazie, siete tutti splendidi e vi abbraccerei tutti se potessi :D
Per
ora vi lascio a questo ottavo capitolo e, come sempre, per qualsiasi cosa non
esitate a dirmela ;)
Spero,
buona lettura! ;D
08 – Il regalo più importante
26 agosto 2005
La
mano scivolava lenta sul marmo bianco, percorrendo ogni singola crepa che
sentiva sotto le dita, ma che non c’era, forse era soltanto dentro di sé che le
sentiva, ne era pieno, colmo di squarci che ancora non smettevano di
sanguinare.
Eppure
quella mattina, quando Hermione lo aveva baciato così inaspettatamente, gli era
parso che il sangue avesse smesso di scorrere da quelle ferite, ed era come se
si fossero rimarginate pian piano, con quella stessa lentezza con cui la
pallida mano avanzava su quella pietra così candida da accecare la vista.
Era
strano trovarsi lì, in quel luogo solitario che, dopo tutto quel tempo, ancora
amava e odiava, era la sua casa, gli aveva dato tutto, ma era riuscita anche a
strappargli ogni cosa, o forse, semplicemente, era soltanto colpa sua e delle
sue mani che avevano estirpato con forza ogni cosa bella gli fosse capitata.
Non
era mai stato lì, neppure prima di finire in coma per sette lunghi anni,
neppure quando si trovava a pochi passi e sarebbe bastato volgere lo sguardo su
quelle pietre per osservare ciò che aveva fatto, il dolore che ancora si
portava dentro.
Non
aveva mai amato i compleanni, tantomeno festeggiarli, né i suoi né quelli degli
altri, credeva che fosse una cosa ridicola festeggiare il tempo che inesorabile
passava e ti staccava poco alla volta alla vita, anche se lui avrebbe voluto
che il suo stelo fosse reciso dalla terra ben prima di quella notte alla
Stamberga.
Eppure
ancora era lì, a respirare a pieni polmoni quell’aria fresca d’agosto che
veniva dal Lago poco distante, a compiere quei passi su una terra che lo aveva
accolto per anni e aveva aspettato a lungo che la sua ombra tornasse a darle
frescura.
Continuava
a camminare intorno alla tomba, scrutandola a fondo come se fosse possibile
vedere al suo interno, il volto sereno e sorridente di Dumbledore che giaceva
lì; avrebbe pagato qualsiasi cosa pur di rivedere quel sorriso sulle labbra del
vecchio preside, e invece i suoi ricordi erano tormentati da quel sorriso su
quella Torre.
L’ultimo
sorriso di chi vede la morte, di chi l’aspetta ormai da tempo, il sorriso con
il quale lo aveva pregato di ucciderlo.
«Dannato
vecchio pazzo!»
Il
suo, però, era più un sussurro che un effettivo lamento di rabbia, ormai non
era più il tempo della collera, dopo otto anni era del tutto inutile provare
simili sentimenti, non avrebbero di certo cambiato le cose, Dumbledore sarebbe
rimasto morto in quella bianca tomba, mentre lui avrebbe continuato a soffrire
per ogni errore che aveva commesso.
Non è più tempo di pensare al passato,
Severus. È ormai tempo di vivere pienamente la vita e costruirsi un futuro.
Non
aveva portato niente con sé, un fiore, un piccolo stupido pensiero com’era
consuetudine fare, come sempre si era presentato a mani vuote, quelle mani, che
erano state a lungo ricoperte di sangue, adesso scorrevano lente sulla
superficie della tomba.
Ripensò
ad Hermione, allo sguardo di Minerva, ai volti felici di chi lo aveva visto di
nuovo vivo, e l’unica cosa che si sentì di regalare al vecchio amico fu il suo
sorriso, caldo e sincero come mai aveva fatto quand’era ancora in vita,
silenzioso e nascosto dai lunghi capelli neri che fece scivolare ancora più a
coprirgli il volto, perché quel gesto avrebbe dovuto essere soltanto per lui,
soltanto per l’amico perduto.
Era
strano per lui sorridere davanti alla tomba di Dumbledore, quel marmo bianco
era il simbolo di tutto ciò che aveva sbagliato nella vita, di tutto il male
che aveva fatto e di tutto il sangue che era scivolato sulle sue mani, pallide
come quella pietra, che si confondevano ad ogni carezza che gli donava,
profonda e lenta perché in cuor suo voleva che quel tocco arrivasse al corpo
del vecchio preside, all’amico ucciso.
Voleva
che sentisse tutto l’affetto che in vita non era mai stato in grado di
dimostrargli.
Per
un attimo gli ritornò alla mente quell’ultimo incubo che lo aveva riportato
alla vita, le immagini di Dumbledore divorato da quel nero che veloce si
espandeva dalla mano inghiottendo ogni brandello di pelle e ogni singolo pezzo
di carne, ricordò sua madre e Lily e per un attimo si sentì di nuovo perso,
come se ogni certezza si fosse fatta densa nebbia che un vento forte avrebbe
spazzato via.
Poi,
però, ricordò anche i loro sorrisi, quelle labbra felici che lo avevano guardato
mentre pian piano si svegliava e riapriva nuovamente gli occhi al mondo.
Chi
era lui per far soffrire tutti loro ancora una volta?
No,
non sarebbe stato più il carnefice di nessuno, non sarebbe stato più colui che
spandeva soltanto tristezza e dolore, no, Severus Snape voleva soltanto vivere
e, perché no, voleva anche sorridere.
Sorridere
a tutti coloro che gli avevano dimostrato affetto, a tutti coloro che gli
volevano bene, sorridere a se stesso perché mai in vita sua si era concesso di
farlo.
«Speravo
di trovarla qui, professore.»
«Non
ritengo che tale termine possa ancora essere accostato alla mia persona, signor
Potter.»
«Harry.»
«Cosa?»
«Sono
Harry, solo Harry, non sono un signore e da lei non merito affatto di essere
chiamato tale.»
Severus
si stupì di tali parole, anche perché non credeva di aver ben compreso il loro
significato, o meglio, cosa il giovane Potter avesse voluto dirgli.
Harry
camminò silenzioso intorno alla tomba come poco prima aveva fatto Snape e
silenzioso la guardava mentre anche lui fece scorrere le dita sul liscio di
quella pietra, come se quel tocco avrebbe potuto far tornare Dumbledore davanti
ai suoi occhi.
«Non
capisco cosa vuole dire.»
Harry
si fermò lì, dove sotto la sua mano avrebbe dovuto esserci il volto di Albus e
lo guardò per un attimo sorridendo prima di volgere nuovamente lo sguardo alla
bianca tomba e riprendere a far scorrere le dita su di essa.
«Non
merito tale rispetto da una persona che ho trattato come il peggiore dei
criminali. Per me lei è stato per lungo tempo ben peggiore di Voldemort stesso,
non ho mai cercato di capire, non volevo capire, sono stato uno stupido.»
«Si
è comportato esattamente come tutti gli altri e non biasimo nessuno di voi per
questo.»
«E
invece dovrebbe, perché c’erano persone che la conoscevano da moltissimi anni e
che hanno avuto sempre fiducia in lei, Dumbledore si è fidato di lei fino alla
fine e si arrabbiava ogni volta che la mettevo in discussione con lui, quello
avrebbe dovuto indurmi a fare delle domande, invece non l’ho mai fatto.»
«Harry…
quella notte, su quella Torre, tu c’eri, mi hai visto levare la bacchetta
contro Dumbledore e ucciderlo in un attimo, cosa pretendevi di pensare?»
Harry
e Severus si guardarono negli occhi, nel profondo, come mai avevano fatto e,
per la prima volta, Snape vide solamente il ragazzo in quello sguardo e di
questo se ne stupì.
Non credevi sarebbe mai stato possibile,
vero?
Anche
il giovane mago era stupito di quel repentino cambio di tono nei suoi
confronti, in realtà credeva che il suo ex professore non sarebbe mai stato
capace di chiamarlo per nome, e invece adesso erano lì, entrambi con una mano
sulla tomba di Dumbledore che li divideva, eppure li univa, profondamente, e
con un’intensità che nessuno avrebbe mai potuto ritenere possibile.
«Era
quello che tu dovevi pensare, che tutti dovevano pensare. Il mio compito
era quello e dovevo portarlo avanti ad ogni costo e con ogni mezzo, ma non
credere che mi sia piaciuto farlo, ho sofferto per ogni singola scelta
sbagliata che ho fatto e le conseguenze per quelle scelte mi hanno portato
soltanto dolore. Dolore e nient’altro, ma non meritavo che quello per tutto ciò
che sono stato e per le mie azioni.»
Se
Albus Dumbledore fosse stato lì, presente, a scrutarli entrambi, invece che
dormiente in una tomba, avrebbe pensato che quelle parole e i due maghi che
continuavano a toccare quella pietra come se avessero paura che potesse
scomparire, fossero il miglior regalo che qualcuno avesse mai potuto fargli
durante tutta la sua lunga vita.
«Non
meritavo la comprensione e il perdono di nessuno.»
«Adesso
la merita, però. Li merita entrambi» e Harry gli sorrise, un sorriso ampio che
illuminò ancora di più quello sguardo di smeraldo in cui per anni si era perso
e ne aveva sofferto, invece ora, non vedeva nient’altro che gli occhi verdi di
Harry. Soltanto Harry.
Certo,
il ricordo di Lily era ancora ben presente in lui come in quelle iridi, ma era
soltanto una lieve carezza che ogni tanto sentiva sul viso, niente di più, e il
suo cuore in quel momento seppe che avrebbe dovuto riporre quel ricordo in uno
scrigno segreto, affinché fosse rimasto per sempre con lui, ma, nello stesso
tempo, gli avrebbe permesso di vivere la sua vita, pienamente, e di cercare di
trovare una felicità.
La
felicità che quegli occhi e quel sorriso gli stavano mostrando fosse possibile.
«Sa
che è nato il mio primogenito?» Harry continuava a sorridere e nel suo volto si
poteva scorgere una felicità che scoppiava in mille fuochi alti e luminosi.
«E
dovrebbe interessarmi?»
«Oh,
sì, non è felice all’idea di avere un altro Potter tra i piedi?»
«Estasiato.»
In
quel frangente e vedendo l’espressione di Snape, Harry non poté fare a meno di
ridere, una risata fragorosa e indecente
– come l’avrebbe definita Severus – che avrebbe risvegliato persino Dumbledore,
se fosse mai stato possibile.
Lo
vide piegarsi con le mani sullo stomaco e un sorriso mal trattenuto gli piegò
le labbra.
«Mi
raccomando, prosperi ancora e regali al mondo altri piccoli impertinenti e
odiosi Potter alla scoperta – e distruzione – del mondo.»
«Veramente
io pensavo di averlo salvato il mondo.» Sì, veramente impertinente e odioso.
«Certo,
se tu e il tuo amico Weasley non aveste avuto il cervello di Hermione a
disposizione, sareste finiti all’altro mondo ancora prima di prendere i G.U.F.O.»
«E
lei?»
«Io
cosa?»
«Se
non ci fosse stato lei, sarei morto ben prima di concludere il mio primo anno.»
«Se
non ci fossi stato io, adesso avresti una famiglia.»
Harry
si avvicinò a quello che era stato il suo temuto insegnante di Pozioni e gli
sorrise ancora una volta, sapeva a cosa si riferisse, ma non lo biasimava e non
gli imputava alcuna colpa, semplicemente riteneva che fosse andata come doveva
andare. Si stava ancora tormentando già abbastanza da solo per quello, che non
aveva bisogno del suo odio e del suo rancore che, in ogni caso, ormai non
provava più.
«Io
ce l’ho una famiglia. Anche lei fa parte della mia famiglia. Lei ha sempre
fatto parte della mia famiglia, solo che a quel tempo non lo sapevo. Lei c’è
sempre stato per me, ha vegliato su di me
come avrebbe fatto un padre.»
Severus
poggiò la schiena sulla tomba, voleva sentire in qualche modo il sostegno di
quell’amico ormai perduto, come se il marmo bianco che sentiva premergli sulla
pelle, fosse proprio la stretta forte di Albus che lo teneva in piedi; guardò
il cielo limpido sopra Hogwarts, quei raggi che scoppiavano in mille scintille
dorate su quelle pietre candide, poi chiuse gli occhi e immaginò la mano di
Dumbledore che delicata e vigorosa si posava sulla sua spalla, quel sorriso che
sempre aveva saputo incoraggiarlo e spingerlo a non arrendersi mai, anche
quando quell’espressione non faceva altro che irritarlo.
Eppure
in un modo o nell’altro c’era sempre stato, gli bastava aprire la porta per
trovare il suo sostegno e il suo sorriso, trovare un amico e un padre mai
avuti, trovare l’uomo che aveva saputo renderlo migliore.
«Non
ti conviene farmi entrare nella tua famiglia» e Snape riaprì gli occhi per
guardarlo.
«Non
venga a dirlo a me, dove si è mai sentito che uno studente e un insegnante che
si odiavano, adesso diventano quasi padre e figlio? Per non parlare di quello
che potrebbe fare ai miei figli una volta a Hogwarts,» Harry però rideva,
rideva nuovamente a quel padre che
non aveva mai avuto, a quel padre che
era rimasto sempre nell’ombra eppure c’era sempre stato.
«È
un’eventualità che non esiste minimamente. Primo perché non ho nessuna
intenzione di fare da padre ad un Potter, secondo perché non ho nessuna
intenzione di fare da insegnante ad un altro Potter e terzo: e se lei avesse a
che fare con i miei, di figli?»
«Vorrebbe
dei figli.»
Il
giovane Potter camminò nuovamente intorno alla tomba, stavolta, però le sue
mani erano strette intorno al petto e, sorridente, guardava Snape con molto
interesse, chissà come sarebbe stato il suo vecchio insegnante alle prese con
una moglie e dei figli.
Se
fosse stata una donna come Ginny, col carattere di Snape, sarebbe finito
divorziato o vedovo ancora prima di finire il trasloco, poi, però gli venne in
mente Hermione e allora s’immaginò i due andare all’ospedale dove, messi in una
stessa stanza, avrebbero finito per litigare anche lì.
Quella
scena lo fece ridere così tanto che Snape lo fulminò con lo sguardo.
«Non
lo so. Potrebbe essere. Non ci ho mai pensato.»
«Oh,
wow, degli Snape per il mondo sarebbero un disastro, s’immagina dei Potter e
degli Snape liberi di vagare? Una catastrofe!»
Harry
e Severus erano uno accanto all’altro a scrutare l’azzurro di quel cielo che ad
entrambi ricordò il colore degli occhi di
Dumbledore, ormai chiusi da anni sotto quella pietra bianca. Stavano lì, con un
passato doloroso alle spalle che li sorreggeva e li spingeva verso un futuro
luminoso come la volta che stavano osservando, lucente come quel sole che
splendeva sopra quell’angolo di mondo che per tutti e due era diventato casa.
«Sì,
decisamente una catastrofe.» Immobili in quella posa che voleva cristallizzare
quell’attimo per tutta una vita, un ricordo da farsi indelebile, sorrisero
ognuno all’altro e sorrisero a loro stessi, a ciò che avevano e a ciò che
avrebbero potuto avere.
«E
comunque dovrebbe prima trovare la futura madre dei suoi figli, non crede?»
«E
tu non credi che stai notevolmente andando oltre a quello che dovrebbe essere
il nostro rapporto?»
«D’accordo,
non è affar mio, ma, in quanto figlio, vorrei vedere mio padre
felice. E sistemato.»
«Smettila.»
«Va
bene, va bene, non m’intrometto più. C’è qualcuna che le interessa?»
C'era qualcuna che le interessava? No, a lui interessavano i libri
e le pozioni, quei sentimenti erano tutt'altra cosa, andavano al di là del
semplice interesse, erano qualcosa di più profondo, ma neppure lui sapeva
definirli con esattezza.
In quel mese aveva pensato spesso a lei, a quel bacio
rubato in un attimo, alcune volte la notte rimaneva sveglio nel suo letto e con
le dita sfiorava le labbra, come se ancora, dopo tutto quel tempo, c'era
rimasto qualcosa che gli ricordava il suo sapore, quell'essenza che avrebbe
voluto assaporare ancora e ancora fino a non dimenticarsene più.
Un bacio soltanto non gli bastava più, avrebbe voluto consumare e
consumarsi in un amore finalmente ricambiato.
E Lily?
Lily adesso era custodita in quello scrigno nel suo cuore, lì dove
ci sarebbe sempre stata e dove sarebbe potuto andarla a guardare ogni volta che
voleva, adesso, però era tempo di andare avanti, non aveva combattuto per
niente, non era sfuggito alla morte per vedersi di nuovo incatenato, non si era
svegliato dopo sette lunghi anni per rimettere a dormire quella vita che non
aveva mai vissuto.
Lily sarebbe stata sempre in lui, ma era venuto il tempo di
percorrere finalmente quella strada che sembrava il destino gli avesse
spalancato.
«Dannati
Grifondoro, perché non capite quand’è troppo?»
«Perché
siamo dannati Grifondoro con sprezzo del pericolo,»
rispose Harry alzando le spalle.
«Ho
di nuovo la mia bacchetta, per tua informazione.»
«Io
ho la mia. Ma se le faccio un graffio, il suo medico mi disintegra.»
«Quale
medico? E comunque non riusciresti neppure a respirare.»
«Vogliamo
provare?»
«Per
Merlino, siete due bambini al Club dei Duellanti?» La voce di Minerva
McGonagall l’avrebbero riconosciuta ad occhi chiusi, quella presenza così forte
che negli anni non aveva mai fatto mancare a nessuno dei due il suo affetto e
il suo sorriso che riusciva sempre a scaldare i loro cuori che avevano troppo a
lungo sanguinato e sofferto. «Harry, Ron ti sta aspettando per portare a casa
Ginny e il bambino.»
«Ok,
vado subito, la ringrazio per avermi avvertito, professoressa McGonagall» e
s’incamminò verso i confini di Hogwarts, dove avrebbe
potuto Smaterializzarsi senza problemi, ma prima si voltò di nuovo verso
Snape, «grazie per tutto ciò che ha fatto. Grazie… Severus» e, prima di sparire
dalla loro visuale, gli sorrise.
Minerva
guardò i suoi due ragazzi e capì, non c’era bisogno di dire nulla, lei aveva
capito ogni cosa e non poteva che esserne felice, una felicità che le fece
battere il cuore più forte e non riuscì a trattenere alcune lacrime di gioia,
mentre regalava tutto il suo bene attraverso quel sorriso che le era nato
spontaneo come quel pianto.
«Penso
di essermi innamorato, Minerva. Non credevo fosse possibile una cosa del
genere, ma è così, sono innamorato della vita e sono innamorato di una donna.»
Minerva
McGonagall posò sulla tomba una mano dove le rughe scrivevano di una vita
vissuta con coraggio e forza, con tutto l’amore che era stata in grado di
provare, posò una mano sull’amico che non c’era più, mentre l’altra stringeva
delicata la stoffa nera della veste di Snape.
Guardò
il sepolcro che accoglieva Albus, guardò Severus finalmente felice che
sorrideva a quel futuro che adesso vedeva così chiaro, limpido come il cielo
che li osservava in silenzio.
«Vai
da lei.» Lì, davanti alla tomba di Dumbledore, Minerva sorrise a Severus, alla
sua vita ritrovata, alla sua gioia. Al suo futuro.
Sì, quello era decisamente il migliore dei regali che Severus
Snape avrebbe potuto fare ad Albus Dumbledore e,
da lassù, anche il vecchio preside se n'era accorto e gli stava sorridendo grato per quel dono.
Uff, di nuovo in ritardo, ma, come dire, mi è
definitivamente andato il computer (insieme alla mia diplomazia e pazienza XD),
e, come sempre mi scuso e mi prostro ai vostri piedi.
E
ringrazio infinitamente tutti quelli che continuano a seguire questa storia, a
preferirla e ricordarla o anche solo a leggerla e, ovviamente, chi si ferma a
recensire.
Vi
lascio al nono capitolo e, come sempre, per qualsiasi cosa, scrivete pure ;)
Spero,
buona lettura!
09 – Mi
prendo cura di te
15 settembre 2005
Quel giovedì, poco dopo l’ora di pranzo, Hermione
uscì dall’aula in cui aveva discusso la sua tesi e finalmente poté essere
chiamata Medimaga: il cuore sembrava volerle uscire
dal petto da quanto batteva forte per la felicità.
Aveva due occhiaie da far paura, ma non le importava, aveva faticato e
lottato per tutta la vita per giungere a quel momento e vedere la gioia sul
viso delle persone che le volevano bene, ne era la dimostrazione.
Certo, mancava una persona, ma sapeva che lui non sarebbe mai venuto,
ormai avevano troncato quasi ogni contatto, tranne alcuni giorni in cui si
erano incontrati per pura coincidenza a casa di Harry e non si erano guardati
neppure, forse troppo imbarazzati; e poi a lui cosa importava se avesse
raggiunto quel traguardo?
Camminò verso i suoi amici, euforica, e li abbracciò uno ad uno, ed era
talmente felice che non riuscì a sentire neppure tutto quello che le stavano
dicendo; poi, mentre era stretta tra le braccia di Ginny,
lo vide in un angolo, in disparte, com’era consuetudine per un uomo come lui,
poggiato al muro di un corridoio un po’ buio che la guardava. Sorridente.
Hermione
gli andò vicino mentre gli altri si preparavano ad uscire: quel giorno si
doveva assolutamente festeggiare, la piccola Weasley
era stata piuttosto irremovibile, le aveva detto che una distrazione – e perché
no, anche un po’ di eccitazione alcolica – le avrebbe fatto solo che bene.
«Di cosa trattava la tua tesi?» fu la prima cosa che le chiese, senza
un saluto, senza alcuna congratulazione, così, da Snape.
«Il comportamento del corpo umano colpito da un morso – apparentemente
– letale di un serpente velenoso contenente anche un frammento dell’anima
malvagia di un mago oscuro.»
«Quindi sono motivo di studio, adesso.»
«C’è molto da studiare in te.»
«Questo mi fa molto felice, veramente, sono commosso.» Incrociò le
braccia al petto e mise addirittura il broncio: terrificante. E
adorabile, pensò la giovane
strega.
Ed Hermione trattenne a stento
una risata.
«Smettila di fare sempre il bisbetico, sei un uomo fantastico da cui
molti avrebbero da imparare. Io ho imparato molto da te, se non l’avessi fatto,
non sarei qui, con una specializzazione di Medimagia
tra le mani.»
«Avresti imparato lo stesso, sei sempre stata piuttosto brava.» Hermione si voltò ad osservarlo bene, un’espressione di
pura incredulità dipinta sul volto.
«Aspetta… aspetta… non l’avrai mica detta sul serio una frase del
genere? Stai bene? Hai la febbre? Hai sbattuto la testa? Un piede? Qualcosa?»
«Ah ah, molto divertente, davvero, potrei morire di attacco di risa
seduta stante. Poi magari fai uno studio anche su questo.» Si guardavano e
parlavano e, in quell’attimo, era come se non si fossero mai allontanati l’uno
dall’altro.
«“L'uomo che non ride mai, muore ucciso da una risata
incontrollabile.”» HermioneGranger si ritrovò a
ridere, ridere sonoramente e spudoratamente del mago che le era vicino,
appoggiato al muro, che la guardava con curiosità e perplessità, ma
neppure lui riuscì a trattenere un sorriso che gli piegò entrambi i lati della
bocca.
«Merlino, sei divertente, Severus. E se sei
divertente, significa che c’è qualcosa che non va. Cosa c’è?»
«Sono sempre stato divertente» rispose quasi piccato. «E
comunque non c’è nulla che non vada.»
«Non ci credo moltissimo,» ma non voleva di nuovo cercare di entrare nei suoi pensieri,
ormai le era chiaro che lui non avrebbe permesso a nessuno di penetrare quella
corazza che neppure sette lunghi anni di coma avevano distrutto. Decise, così,
di deviare il tema di conversazione su altro.«Vieni anche tu alla festa?»
«Veramente io non credo sia il caso.»
«Perché no?»
«Perché non…»
«Oh, Severus, che piacere vederti, cercavo
giusto te. Per favore,
accompagna questa povera vecchia a fare
due passi e poi alla Tana, così parliamo un po’.»
«Veramente io…» e di nuovo fu interrotto da Minerva che lo stava già
trascinando fuori dal San Mungo senza che lui potesse addirittura fiatare, le
sopracciglia alzate più del dovuto, mentre Hermione
li guardava allontanarsi con un ampio sorriso sulle labbra.
Quelle labbra…
“E no, mio caro, questa volta non te la svigni, ti costringo a venire
alla Tana e parlarle una volta per tutte, dovessi legarti da qualche parte!”.
Le si era stretto il cuore ogni volta che li aveva visti
distanti, come se fossero due estranei, eppure i loro sentimenti verso l'altro
erano così chiari che non credeva affatto possibile che in quel momento si
comportassero in quel modo. Veramente assurdo.
Sapeva che adesso era il turno di Severus
di fare quei passi avanti, Hermione li aveva già
fatti e si era ritrovata a doversi scostare da lui che immobile l'aveva
lasciata andare.
Poi, però, davanti alla tomba di Albus
le aveva confessato i suoi sentimenti per la giovane strega, eppure in tutti
quei giorni non era riuscito ad andare da lei, a dirle alcunché.
"Inammissibile!".
Sì, era davvero inammissibile, e se lui non avesse fatto qualcosa, ci
avrebbe pensato lei a spingerli l'uno addosso all'altro, a questo punto non
poteva più aspettare.
La Tana era come la ricordava durante le riunioni dell’Ordine, nulla
era cambiato, eppure sapeva che c’era un vuoto che sarebbe stato difficile
colmare, si poteva sentire persino poggiando le mani sulle mura, ed era lo stesso vuoto che lui aveva
avuto dentro per anni e che sapeva nulla avrebbe cancellato, ma bisognava
imparare a conviverci, a farne una parte di sé.
Per un interminabile tempo, il dolore che gli aveva
procurato quel vuoto era stato il suo unico compagno di vita, persino in quello
stato vegetativo era stato un frammento del suo essere, ma erano bastati i
sorrisi di chi gli voleva bene a relegarlo in un luogo nascosto che lo
custodisse, era bastato rendersi finalmente conto che c'erano davvero persone
che provavano affetto nei suoi confronti, e aveva persino scoperto di
ricambiare quei sentimenti.
E poi c'era l'amore, finalmente l'amore, quello vero,
quello reale, e non quello confuso con mille altre emozioni.
Aveva parlato a lungo con diverse persone – o meglio, come sempre, lui
aveva ascoltato e detto appena poche parole, e per uno come lui era un grande
traguardo – e sembrava tutto così irreale che credeva di sognare, e si era
sentito come appartenente ad una famiglia, come mai gli era capitato di sentirsi;
a volte, però, la sua mente lo portava lontano, nel passato, in quel periodo
dove il buio aveva inghiottito ogni cosa di sé e si ritrovò a stringere le dita
pallide sull'avambraccio sinistro dove non sapeva se ancora vi fosse impresso
quel Marchio immondo che l'aveva reso schiavo per lungo tempo.
Da quando si era svegliato, non aveva avuto il coraggio di guardare
quel lembo di pelle che per anni era bruciato in un rilievo di teschio e
serpente, forse aveva paura che fosse ancora lì, a ricordargli ciò che era
stato e che, probabilmente, ancora era; nonostante i suoi sforzi per essere
qualcun altro, per essere migliore, quel Marchio era ancora ben impresso, a
memoria e monito che non si può fuggire dal proprio essere.
No, lui non sarebbe più stato il Mangiamorte,
l'assassino, il malvagio, e questo, ormai, neppure una macchia sulla pelle
avrebbe potuto cambiarlo.
Allora perché aveva così timore a guardare quel tratto di carne?
All'improvviso una musica si era levata alta tutto intorno, distraendo
dai suoi pensieri Severus – e mentalmente ringraziò
chiunque avesse dato il via a quei suoni, per averlo tolto da quel campo minato
che stavano diventando i ricordi del passato – che si allontanò in un luogo in
cui sarebbe rimasto in disparte a guardare, sorridendo a ciò che osservava, ma
non ancora pronto per vivere a pieno quella vita cui si era aggrappato con
ostinazione; gran parte dei presenti iniziò a ballare al ritmo di quella
melodia, mentre lui scrutava, scrutava ogni cosa, senza lasciarsi sfuggire
nessun dettaglio, senza lasciarsi scappare nessun sorriso e nessun grido di
gioia, ma più di tutto i suoi occhi scorrevano su di lei.
Il suo sguardo fisso sulle sue labbra, sul suo, di sorriso, quello che
aveva sognato per notti intere, quello che si era posato sulla sua bocca per un
istante troppo breve per farlo completamente suo.
Hermione
aveva ballato con Ron, con Harry, persino con Neville e con altri uomini che
l'avevano fatta volteggiare come lui avrebbe voluto fare, e invece era rimasto
lì, in disparte a guardare e a riflettere su ciò che avrebbe voluto fare e che
invece non si decideva a fare.
La vide stanca, stravolta, ma ancora sorrideva e non osava negarsi a
nessuno, la vide cercarlo tra gli amici, ma lui non c'era.
Sei un amico per lei?
No, lei lo amava, profondamente, amava ogni cosa di lui, le sue ombre
come le sue luci, il suo passato e le sue colpe, quei dolori che voleva
diventassero i suoi. Lo amava veramente.
E tu?
Uscì dal nascondiglio che si era creato dai pensieri e dagli altri, e
andò verso la giovane strega e, senza dire una parola, le afferrò un polso
trascinandola con sé.
«Che fai?»
«Mi prendo cura di te» e la portò insieme con lui, in un luogo dove non
ci sarebbe stato nessun altro, in un angolo di mondo in cui, almeno per una
notte, ci sarebbero stati soltanto loro due e nient’altro avrebbe avuto
importanza.
In quelle stanze c'era un assoluto silenzio e il tempo sembrava essersi
fermato persino lì, come se non fosse passata neppure un'ora dall'ultima volta
che vi aveva messo piede, invece erano passati sette lunghi anni, anni in cui
tutto era andato avanti mentre lui era rimasto immobile su un letto d'ospedale,
come il buio e la polvere di quella parte dei Sotterranei di Hogwarts.
Sapeva che in quel luogo nessuno aveva osato toccare qualcosa in tutti
quegli anni, in fondo era stato per lungo tempo la dimora del Mangiamorte e dell'assassino e chiunque avrebbe camminato
lontano da tutto quel male, convinti che persino l'aria che si respirava lì
dentro sarebbe stata malvagia e corrotta; poi era diventata la casa di un quasi
morto e per rispetto non avevano sfiorato neanche il pesante portone di legno
che separava il suo mondo dall'esterno.
Severus
conosceva ogni parte di quelle stanze, ricordava perfettamente ogni cosa e ogni
oggetto era allo stesso posto nel quale l'aveva lasciato e questo lo fece
sorridere, era curioso che ogni cosa legata a lui non fosse per niente
cambiata.
Sei cambiato tu, Severus.
Si voltò verso Hermione e vide alcune lacrime
che le scendevano lungo il viso: in un attimo il sorriso svanì e la sua
espressione si fece cupa, come non lo era da tempo.
«Sapevo di non doverti portare qui. Che stupido, troppo dolore e troppo
buio sono rimasti imprigionati qui dentro.»
«Cosa? Oh, no, hai capito male. Troppa polvere è rimasta imprigionata
qui dentro, e si fa fatica persino a respirare.»
Severus
la guardò un istante con espressione piuttosto perplessa, inclinando appena il
capo, poi, all'improvviso, scoppiò a ridere, una risata che gli era salita dal
profondo, e non riuscì a smettere neppure dopo che un'Hermione
accigliata iniziò a lanciargli sguardi di fuoco.
«Non c'è da ridere, sai. Potresti pulire e far entrare un po' d'aria
pulita, adesso la bacchetta ce l'hai!»
In un attimo il mago rimosse ogni traccia di polvere e l'aria sembrò
fresca di primo mattino, poi si fermò ad osservarla, scrutandola a fondo, come
se quella fosse l'ultima volta che l'avrebbe vista e il suo sguardo sembrava
quello che si rivolge al più bello spettacolo della natura che incanta e fa
rimanere senza fiato.
Sotto i suoi occhi neri, Hermione dovette
sentirsi proprio in quel modo, perché il suo viso si colorò di rosso per
l'imbarazzo e fu costretta ad abbassare lo sguardo verso terra per non
rischiare di diventare ancora più rossa e fare la figura della ragazzina
sorpresa dalla prima cotta della sua vita.
Severus
le prese una mano, un tocco leggero, delicato e con altrettanta delicatezza
baciò ogni singolo centimetro di pelle ed Hermione,
in quel momento, si sentì andare a fuoco, fin dal profondo, ma non riusciva a
sostenere il suo sguardo nero della notte, in quel frangente meno che mai.
Quella bocca che aveva desiderato baciare notte dopo notte in quella
stanza d'ospedale, adesso era lì, a carezzarle la carne, un tocco che sentiva
nell’intimo, che le saliva da dentro, fino a darle intensi brividi nell'anima.
«Ti sei presa cura di me per sette lunghi anni, lascia che adesso sia
io a prendermi cura di te, qui, questa notte» le disse come se in qualche modo
avesse intuito i suoi pensieri, senza il bisogno di entrarle nella mente
com’era maestro nel fare.
«Quindi è solo pareggiare i conti? Soltanto senso del dovere?»
«No. È volere. Soltanto ciò che voglio.» E le afferrò il mento
costringendola a fissare i suoi occhi in quelli del mago, e in quel momento
seppe di essersi completamente persa, lo sapevano entrambi di essersi persi
l'uno nell'altro, nei loro sguardi e nelle loro anime che si sfioravano e
vibravano in armonia come le corde di un violino che avrebbe suonato una musica
di vita soltanto per loro, una musica di felicità e di sorrisi.
Senza lasciarle la mano, la condusse al di là di una porta che in tutto
quel tempo era rimasta chiusa, sigillata al mondo, celata a chiunque non fosse
lui stesso, perché in quel luogo lui poteva essere se stesso, lì, per anni si
era nascosto il vero Severus e aveva vissuto, lontano
da tutti gli occhi che, forse, non l'avrebbero mai conosciuto e, nella sua
mente, nessuno avrebbe dovuto mai conoscerlo, convinto che la sua vita sarebbe
dovuta finire quella notte alla Stamberga.
E invece si era aggrappato ad essa per sette lunghi anni e adesso era,
finalmente, tornato a vivere, come mai era stato capace di fare, come mai gli
era stato permesso di fare.
«Vorrei che ti lasciassi condurre da me. Non ho cattive intenzioni, te
lo prometto.»
Hermione
lo fissò per un attimo, un velo di confusione ad adombrarle il volto.
«D'accordo. Mi devo preoccupare?»
«Oh sì, molto, direi» e le regalò uno splendido sorriso che celava una
malizia che la fece avvampare, credeva che da un momento all'altro sarebbe
andata a fuoco, e in quell’attimo sarebbe bruciata volentieri, con lui e per
lui. «Ma prima...» con una lentezza che chiunque avrebbe definito esasperante,
le sfilò la maglietta, pian piano, le lunghe e pallide dita a sfiorarle la
pelle, un tocco morbido e freddo, che contrastava con il calore del suo corpo e
la fece sussultare dopo che un brivido le ebbe percorso veloce la schiena.
Sentiva salire le sue mani, salire verso le spalle, e non fece nulla
per impedire quel tocco delicato che la stava penetrando a fondo, era come se
le stesse afferrando l'anima stessa.
«Che fai, prima mi dici di non avere cattive intenzioni
e poi che mi devo preoccupare?» Ma ad Hermione non
importava di nulla e non avrebbe avuto nemmeno la forza di preoccuparsi, in
quel frangente si stava solo smarrendo e aveva bisogno di qualsiasi cosa per
non farlo troppo velocemente, perché quello che il mago le stava regalando in
quel momento, avrebbe voluto non finisse mai.
Desiderava con tutta se stessa che quell'attimo si potesse conservare
in eterno, le sue dita sulla pelle, quel gelo che la stava incendiando da
dentro che crebbe, crebbe fino a quando la maglietta non separava più la sua
carne dal tocco del mago.
E aumentò ancora, quando avvertì l'indice di Severus
percorrerle con accuratezza ogni lembo del suo corpo, dal collo verso l'incavo
dei seni, e poi a scendere, calmo, fino alla chiusura dei pantaloni, e poi
verso il suo viso per poi tornare a slacciare la cintura, e di nuovo verso le
spalle, le braccia, e ancora andare giù e lentamente aprire quel bottone che
avrebbe voluto strappare.
«Hai deciso di farmi perdere la testa?»
«Ci sto riuscendo?» Le sussurrò sulle labbra, poteva sentire il suo
caldo respiro infiammarle la bocca e sorrise Hermione,
e gemette sulle sue, di labbra, quando percepì la stoffa dei pantaloni
scivolarle lungo le gambe, accompagnata dalle dita di Severus
che non avevano alcuna intenzione di staccarsi dalla sua pelle.
«Sì. Direi di sì.»
«Bene» le sorrise sulle labbra, sul collo, e le sorrise dietro le
orecchie procurandole dei fremiti che le percorsero tutto il corpo. «Ho solo deciso di
prendermi cura di te, Hermione. Se tu me lo
permetterai, vorrei prendermi cura di te questa sera, farti rilassare e farti
dormire, perché ne hai un estremo bisogno»
«Ah sì? E da cosa lo deduci?»
«Delle tue adorabili occhiaie. Ti hanno mai detto che sembri un
panda?»
«No» rispose quasi irritata, ma le labbra tradivano il suo falso
risentimento. «E
comunque i panda non indossano l'intimo.»
«Veramente i panda non portano nulla» specificò Severus
mentre entrambi gli angoli della bocca si piegavano verso l'alto, così come in
alto andarono entrambe le sopracciglia.
In quel momento era come se non fosse mai esistito nient'altro, come se
quella fosse la loro semplice e splendida quotidianità, soltanto quella, anno
dopo anno, senza ombre, senza dolori e senza colpe da dover espiare.
Severus
si rese conto di non aver mai provato nulla di simile in tutta la sua vita, mai
emozione più grande, mai gioia più profonda, e vedere quel sorriso su quelle
labbra era la prova che finalmente poteva vivere, vivere a pieno come mai aveva
fatto.
E il suo futuro, in quel momento, aveva gli occhi di HermioneGranger, la petulante So
Tutto che lo irritava ogni qual volta alzava la mano, della ragazzina che aveva
paura di ogni suo sguardo, della donna che aveva combattuto e aveva sofferto.
Quegli occhi che gli stavano gridando di amarli, che gli stavano urlando di
amarlo, incondizionatamente, afferrando le molte ombre e le molteplici luci di
quel mago che dopo anni e anni di torpore, aveva deciso di essere felice e di
meritare quella dannata felicità scansata per troppo tempo.
E si rese finalmente conto che un futuro l’aveva davvero e lo guardò
attraverso il viso di Hermione, attraverso il suo
corpo e il suo cuore che volle sentire battere sulle dita, un battito dietro
l’altro fino a raggiungere il suo, in quella strada di anima e carne che
sembrava unirli sempre di più.
La strinse a sé, al suo petto, alla sua, di anima, e le sorrise, un
sorriso d’amore e di vita, e la strinse ancora di più mentre silenzioso
Appellava il suo mantello per chiuderli entrambi al mondo, per quegli istanti,
per quella notte.
Protetti da un abbraccio di stoffa che li avrebbe avvolti nella calda
carezza dell’oscurità e di quella notte che brillava negli occhi del mago,
rilucendo nelle iridi di Hermione: un unico fuoco che
li avrebbe scaldati entrambi. Per sempre, perché in quel momento Severus comprese che quello sarebbe stato il suo “sempre” e
avrebbe fatto di tutto per esso.
«Lascia che io mi prenda cura di te, questa notte» le ripeté mentre la prese
tra le braccia e, senza sciogliere quell’abbraccio, la condusse sul suo letto,
uniti a vegliare i sogni l’uno dell’altro, a cullare quel sonno che avrebbe
illuminato e accolto le loro anime.
Perché in quel momento non avevano bisogno di nient’altro, soltanto di
stare legati e di sentire ognuno il proprio cuore battere per l’altro. E Severus voleva solamente cullare il corpo di Hermione, carezzarlo e guidare il suo essere in quella
tranquillità e in quel riposo di cui aveva bisogno.
«Prenditi cura di me per sempre, Severus» ed
insieme scivolarono in un sonno finalmente sereno, perché i loro desideri e
sogni erano lì, su quel letto, accolti e protetti dal lungo mantello di Severus.
Prima
che mi arrivi qualche accidente di troppo, mi accingo ad aggiornare la storia,
ormai manca poco alla fine e un po’ mi mancherà, così come tutti voi che siete
fantastici e che ringrazio immensamente: chi mi ha recensito, naturalmente, chi
mi ha ricordato, preferito, seguito e chi anche solo è passato a leggere.
Grazie
mille, davvero, a voi, e a chi mi leggerà, preferirà, ricorderà, seguirà e
recensirà! ^^
Vi
lascio al decimo capitolo e, come sempre, per qualsiasi cosa, non esitate a
dirmela ;)
Spero,
buona lettura!
10 – Passato
e futuro
31 ottobre/1
novembre 2005
Pioveva quella sera, una pioggia fitta che aveva reso la terra morbida
e fangosa che cedeva sotto i passi dei due uomini che avevano deciso di sfidare
quel clima e camminare verso quel ricordo ormai sepolto da tempo che era parte
di loro da tanti e lunghi anni.
Il cancello non era stato chiuso al meglio e la pesante catena sbatteva
ad intervalli regolari addosso al ferro, spinta dal vento che aveva deciso di
sferzare quel solitario angolo di mondo, anche quel cigolio sinistro teneva
lontani gran parte degli abitanti del posto, ancora più impauriti per quella
particolare notte che portava verso novembre.
SeverusSnape stringeva tra le mani qualcosa, ma il buio reso più
cupo e spettrale dalle dense nubi, non permetteva di distinguere al meglio ciò
che le sue mani celavano, forse, persino a se stesso, così sorpreso di un
simile gesto che per lungo tempo non avrebbe di certo accostato al suo essere.
Un gesto semplice, che si fa con affetto e senza pensieri, con il
sorriso e le lacrime ad abbracciare il volto, per qualcuno che non c’è più e
che ci guarda al di là delle nuvole e veglia su di noi.
Per Severus, però, tutto quello non era così
semplice, e lui, di pensieri legati a quel luogo, ne aveva fin troppi, erano
come gli anelli di quella catena che lo circondavano e ad ogni passo che
compiva verso quella tomba, lo stringevano sempre di più, fino a togliergli
qualsiasi respiro.
E sarebbe crollato, crollato a terra tra il fango e avrebbe contribuito
con le sue lacrime ad alimentare quella superficie, quel pianto confuso e
impossibile da sciogliere, persino sotto lo scroscio incessante dell’acqua.
In quella notte, però, Severus non era da
solo, non c’erano soltanto i suoi dolori e le sue colpe a tenergli compagnia,
no, c’era quel figlio che non aveva mai avuto, con lui, quel bambino che aveva
reso orfano con le sue stesse mani, quel ragazzo che aveva visto crescere e
combattere e diventare uomo.
Lily era stata il suo primo amore e per anni era vissuto nella
consapevolezza che solo e soltanto lei avrebbe potuto prendere il suo cuore, ma
si era accorto che quello non era mai stato il vero amore, era stata la
confusione di molteplici sentimenti che non era riuscito mai a comprendere e a
spiegare a se stesso.
L’aveva abbracciata, su quel dannato pavimento l’aveva stretta a sé,
con forza e con rabbia, e con un dolore che l’avrebbe ghermito per sempre, un
grosso e pesante macigno a gravargli sulla schiena piegata in colpe che si
erano fatte via via dovere, compiti da portare a
termine a costo di quella vita che da quella notte di ventiquattro anni prima
non era stata più la stessa.
Lì, quella notte, non solo Lily e James avevano smesso di vivere, ma
anche lui aveva smesso di respirare, aveva sentito il suo cuore fermarsi,
gelarsi improvvisamente e rompersi in una miriade di frammenti che nessuno
sarebbe mai stato in grado di ricomporre.
E il suo unico desiderio era che non fosse mai tornato integro,
battente con impeto, perché avrebbe meritato solamente che quel cuore ormai
perso e distrutto, avesse sanguinato tramonto dopo tramonto e il suo sangue
avrebbe dovuto colorare quel cielo finché l’ultima goccia non avesse lasciato
il suo corpo.
«Ciao, mamma. Ciao, papà.» Harry aveva posato alcuni fiori sulla tomba
dei suoi genitori, incurante di quella pioggia che li avrebbe presto portati
via, lontano da quella pietra, perché lui ne avrebbe portati altri, giorno dopo
giorno, come ormai era diventato un rito per lui, invece Severus
aveva mancato quell’appuntamento per sette lunghi anni.
Snape
osservava in silenzio, stava alcuni passi dietro il giovane Potter mentre
l’acqua gli scivolava addosso, rendendo i suoi abiti pesanti di pioggia.
«Oggi sono venuto con un amico, con un uomo che in tutti questi anni mi
ha fatto un po’ da padre e un po’ da madre» Harry si mise seduto sulla tomba
dei suoi genitori, guardando le loro foto sorridenti che sembravano osservarlo
a fondo, le toccò entrambe, lentamente, come se avesse potuto sentire il loro
calore. «Anche se le vesti da casalinga non gli donano molto» e sorrise,
sorrise a Lily, a James e sorrise a Severus che
sapeva essere lì, poco distante da lui, ma sempre e comunque una presenza
incrollabile. Anche Snape stirò un angolo della
bocca, ma iniziava a sentire una forte morsa stringergli lo stomaco.
«Si chiama Severus, ma lo conoscete già, di
sicuro meglio di me o di se stesso, e poi da lassù avete di certo visto ogni
cosa, tutto quel che è successo, tutto quello che abbiamo passato e soprattutto
quanto ha sofferto» un lampo squarciò la notte, mentre Severus
continuava a stare immobile e in silenzio ad osservare il ragazzo ormai
diventato uomo, e non osava neppure muoversi, iniziava a far fatica persino a
respirare. «Sto anche parlando troppo e di sicuro non mi Schianta per rispetto
di questo luogo» Harry rise appena, ma sul suo viso poté notare alcune lacrime
che avevano iniziato a scendergli dagli occhi e mischiarsi con la pioggia che
non aveva alcuna intenzione di smettere di cadere.
Snape
fece un passo avanti.
«Io non so se sarà mai possibile una cosa simile, ma mi piacerebbe che
tutti e due in qualche modo gli faceste arrivare il vostro perdono, perché ne
ha bisogno per assolvere se stesso e per riuscire ad andare avanti senza più
ombre intorno a sé.»
Lily era morta, era morta da anni per mano sua, e James era andato con
lei, come poteva lui perdonarsi per questo? Come poteva ricevere il loro
perdono?
Severus
fece un altro passo verso la loro tomba, verso Harry che stava piangendo e
stringeva con rabbia le mani su quella pietra che non poteva in alcun modo
afferrare, ma che voleva estirpare dalla terra con tutto se stesso, per riavere
i suoi genitori, per riavere il loro amore che troppo presto lo aveva
abbandonato.
Quella costrizione che gli era nata nello stomaco gli serrò la gola e
gli occhi, incapace di guardare ancora, avrebbe voluto correre via da lì,
andarsene lontano, in un luogo dove non avrebbe più causato tanta sofferenza,
in cui nessuno avrebbe più versato delle lacrime per colpa sua.
Quella notte, in quel luogo, si sentiva un estraneo che osservava un
qualcosa che non aveva nessun diritto di osservare, eppure era ancora lì, in
quel cimitero e i suoi passi lo avevano portato ormai di fianco ad Harry che
per un attimo volse lo sguardo verso quello che era stato per anni il suo
insegnante di Pozioni; lo guardò un istante, con un amaro sorriso sulle labbra
mentre le lacrime scendevano più copiose che mai, poi posò di nuovo i suoi
occhi alle fotografie che la magia non permetteva sbiadissero.
Severus
avrebbe voluto cancellare con un colpo di bacchetta tutto quel dolore, ma
sapeva che non sarebbe mai stato possibile, che non esisteva incantesimo capace
di un tale prodigio, e l’unica cosa che in quel momento riuscì a fare, fu
stringere le dita alla spalla di Harry, come se con quell’unico gesto avesse
potuto dimostrargli il suo affetto, come se con quel tocco volesse donargli
comprensione e volesse, in un qualche modo, chiedergli perdono.
Era l’unica cosa che riuscì a fare, lui, così incapace nei sentimenti e
nei gesti, che non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi.
In quel momento avrebbe voluto che Hermione
fosse lì con lui, a suggerirgli come muoversi su quel campo minato di cui non
conosceva quasi nulla, e le vennero in mente le sue parole, i suoi occhi e il
suo sorriso che in un attimo si trasferì alle sue labbra, e in quell’istante,
seppe cosa doveva fare.
SeverusSnape afferrò Harry e lo strinse a sé, in un abbraccio che
aveva il significato di ogni cosa nascosta e custodita in tutti quegli anni, di
tutte quelle parole non dette che erano rimaste incastrate nella parte più
profonda della loro anima.
Ed Harry scoppiò a piangere, forte, il suo pianto echeggiava tra le
tombe del cimitero, confondendosi per alcuni attimi con i tuoni che
squarciavano il silenzio; e pianse, pianse ogni cosa che si teneva dentro da
anni, «mi mancano da morire, ma vorrei che lei riuscisse a perdonare se stesso,
che ci riuscisse davvero, perché vorrei davvero vederla felice.» E si strinse
al suo maestro, a quel padre che c’era sempre stato, e pianse
ogni lacrima sul suo petto, e Severus sentì ogni
singola goccia penetrargli la carne e arrivare al cuore, quel pezzo di carne
che era tornato a battere grazie a tutti loro, grazie al loro affetto sincero e
grazie all’amore di Hermione, quei sentimenti che
troppo a lungo si era negato e troppo a lungo aveva ritenuto di non meritare. E
gemette anche lui, forte, sotto quella pioggia che non fermava la sua corsa
verso terra.
Adesso era lì, sulla tomba della donna che aveva a lungo amato,
dell’uomo che aveva odiato per un tempo che in quel momento gli parve infinito,
ad abbracciare quel ragazzo che aveva ucciso e riportato alla vita, al quale
aveva voluto bene come un figlio, nonostante avesse tenuto nascosta per anni la
parte migliore di sé, negando persino a se stesso quei sentimenti che aveva
dentro.
«Per favore» sussurrò Harry, ma Severus non
capiva se stesse parlando con lui o ancora continuava quella sorta di dialogo
con i suoi genitori.
Fu un attimo, e la pioggia cessò improvvisamente di scendere su di
loro, come se qualcuno avesse fermato di colpo un incantesimo; non c’erano più
tuoni ad interrompere il silenzio né lampi a dilaniare il buio della sera,
soltanto nuvole che velocemente si allontanavano, come spazzate via da un forte
vento che, però, non c’era, e il cielo si fece un manto di seta trapuntato di
cristalli che scintillavano alla notte.
Increduli, fissarono i loro sguardi verso la volta buia, verso quelle
stelle che li stavano osservando, ed Harry sorrise mentre le ultime lacrime
stavano arrestando la corsa sul suo viso.
Sorrise e guardò Severus.
«Il cielo si è rasserenato, all’improvviso, qualcosa vorrà pur dire,
no?»
«Sì, il clima è piuttosto variabile ultimamente,» ma per tutta risposta
Harry gli diede una spinta e per poco non lo fece cadere nel fango, rischiando di
essere Schiantato lontano miglia, Severus, però, si
limitò a guardarlo piuttosto male e in passato quello sguardo gli avrebbe
gelato il sangue.
Adesso era tutto diverso, loro erano diversi, tutto intorno, ogni cosa
era cambiata, ed Harry sorrise a SeverusSnape, un sorriso colmo d’affetto e di speranza.
«Qualcosa vorrà pur dire» ripeté Severus, un
bisbiglio nel silenzio di quella sera e senza aggiungere nient’altro si alzò
dalla tomba con Harry e vi posò quello che aveva a lungo stretto tra le mani ed
insieme, sotto quel cielo stellato, si allontanarono da lì, con il cuore più
sereno di quando erano arrivati e con le anime che sorridevano al loro futuro.
Severus,
però, aveva ancora una cosa da fare.
Il bussare alla porta si stava facendo via via
più forte e di questo passo l’avrebbe di certo buttata giù e, effettivamente,
la sua intenzione era stata proprio quella di aprirla con un incantesimo senza
prendersi troppo il disturbo di stare lì minuti dopo minuti a rovinarsi le
mani.
«Per Merlino, ti sei per caso reso conto che sono le quattro del
mattino?»
«Lo so, ma se ti avessi trovata prima, non ti sarei piombato in casa in
questo modo e a quest’ora.»
«Ero per locali con le mie amiche, dici sempre che devo distrarmi di
più. Qual è il problema?»
«Ho bisogno del tuo aiuto per una cosa.»
«E non potevi aspettare che mi svegliassi, tipo alle cinque del
pomeriggio?»
Severus
le alzò un sopracciglio, perplesso per l’improbabile orario che voleva usare
come sveglia e le categorizzò un «no» che non lasciava molto spazio alle
obiezioni.
«Va bene, entra, spero che non sia niente di complicato perché non ho
la forza neppure di tenere gli occhi aperti, quindi vediamo di s…» ma Severus non la lasciò proseguire oltre perché,
all’improvviso, la strinse a sé e la baciò, un bacio profondo che voleva
mostrarle tutto il bisogno che aveva di lei.
In quella notte e in quel momento aveva davvero bisogno di sentire il
calore del suo corpo stretto su di sé, il respiro di Hermione
confondersi con il suo, unirsi e sciogliersi in un’anima che era diventata una
sola e una soltanto. Aveva la necessità di sentire quel cuore battere per lui e
su di lui, come se non avesse aspettato altro per tutta la vita, come se era
nato esattamente per quello.
E la strinse, la strinse ancora più forte togliendole quasi il fiato,
quel soffio di vita che le avrebbe dato lui stesso ogni volta che le sarebbe
mancato.
«Severus, cosa c’è?»
«Da quando mi sono svegliato, c’è una cosa che non sono riuscito ancora
a fare. Ho parlato con Minerva, con Harry, in qualche modo che non mi è ben
chiaro, ho forse ricevuto anche il perdono di Lily, ma non sono ancora riuscito
a guardare quel lembo di pelle.»
Senza che aggiungesse altro, Hermione aveva già
capito di cosa stesse parlando: quel Marchio che gli aveva bruciato la carne e
l’anima per anni, impresso più nel suo cuore che semplicemente sulla pelle,
quel simbolo di ciò che era stato e di tutto il male che aveva fatto nella sua
vita.
Non poteva di certo biasimarlo per non essere riuscito a guardarlo, ma
non poteva credere che in tutti quei mesi si era imposto persino di non
osservare una parte di sé, una parte dalla quale era così difficile distogliere
lo sguardo.
Hermione
non disse niente, puntò il suo sguardo agli occhi di Severus
e gli sorrise, un semplice gesto sulle labbra che nascondeva tutto l’amore del
mondo, quell’amore che in quel momento si poteva respirare a pieni polmoni.
Gli afferrò la mano sinistra con le sue, le dita strette sulla carne
del mago che lentamente scivolarono sulla stoffa che gli copriva la pelle, quel
manto nero come la notte che separava il passato dal futuro.
«Una volta eri questo, Severus» e slacciò il
primo bottone, «ma non sei mai stato realmente ciò che questo Marchio voleva
che fossi» e sbottonò il secondo e poi il terzo, con lentezza li aprì tutti,
senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi che scintillavano di una strana
luce. «Non riesci a guardarti l’avambraccio perché hai paura, paura che tutta
l’oscurità che avevi dentro possa tornare ad inghiottirti» slacciò anche ogni singolo
bottone dell’altra manica, ma questa volta con velocità perché quella parte del
corpo, al momento, non richiedeva la sua completa attenzione.
«Non devi aver paura, Severus, perché quel
Marchio non ti è mai appartenuto e tu non sei mai appartenuto ad esso, e anche
se fosse lì, ancora ben impresso sulla tua pelle, non devi aver timore, perché
tu sei stato più forte, lo hai battuto e non ti avrà di nuovo come mai ti ha
avuto nel passato» Hermione gli sfilò la casacca
nera, adagio, come lui aveva fatto con lei poco tempo fa, perché in quel
momento sarebbe stata lei a doversi prendere cura di lui. «Le persone ti
vogliono bene per quello che sei, non per quel Marchio, io ti amo perché sei Severus e non m’importa se su quel braccio porterai per
sempre il segno di una parte del tuo passato» e la camicia candida del mago era
finita tra le sue dita, stretta tra le sue mani ad assaporarne ogni aroma, quel
profumo che sapeva di Severus e di nient’altro perché
l’uomo che le era davanti soltanto quello sarebbe stato ai suoi occhi, e
nessuna macchia sulla pelle avrebbe distorto la sua vista.
Gli sorrise Hermione mentre il suo tocco gli
scaldava la pelle, quelle carezze che, con lentezza disarmante, lo stavano
portando alla pazzia e non si mosse quando sentì le sue dita scivolargli sul
petto, verso quel cuore che aveva ripreso a battere con forza grazie al suo
sguardo e al suo sorriso, verso il suo, di viso, su quegli occhi che aveva
chiuso e che non riusciva ad aprire per guardarla, per guardare quel pezzo di
carne non più nascosto.
Le labbra di Hermione si posero sulle sue,
delicate, un bacio caldo che gli scaldò l’anima e la sua bocca scese, pian
piano, verso quella paura che voleva dissipare con il suo tocco.
«Hermione…»
«Non aver paura» lei aveva visto, sapeva con esattezza cosa c’era sul
suo avambraccio, ma voleva che guardasse lui stesso, che qualunque cosa vi
avesse trovato, non avrebbe cambiato nulla, soprattutto in lui, in quello che
era stato e in quello che era diventato.
«Apri gli occhi, Severus» e il mago li aprì
non appena sentì la bocca di Hermione scivolare su
quel punto che per anni aveva accolto il Marchio, li aprì quando sentì la
lingua scorrergli umida sulla pelle, e allora vide, vide quello che in quei
mesi si era rifiutato di guardare.
Del Marchio Nero non c’era rimasta che una traccia sbiadita, soltanto i
colori di un quadro lasciato alle intemperie per secoli che si potevano
scorgere soltanto se osservati da vicino e anche in quel caso sarebbero apparsi
come delle tinte sfumate ognuna verso un grigio tenue, come quel fumo che si
percepisce, ma si fa fatica a vedere.
Erano rimasti soltanto i contorni di quel teschio e serpente che si
erano mossi per anni su di sé, che gli avevano bruciato l’anima e distrutto il
cuore; il Marchio era svanito, portato via dal suo vero padrone che, nonostante
tutto, non era mai riuscito a dominarlo.
E il cuore di Severus parve più leggero e
quell’ultimo peso che gli era rimasto sull’anima, si sciolse come i cristalli
di neve sotto il sole cocente di mezzogiorno e sorrise Severus,
sorrise a se stesso finalmente libero, sorrise a Hermione
che lo aveva aiutato a liberarsi da quelle catene che lo avevano tenuto fino ad
allora ancorato ad un passato dove la sua vita era stata nient’altro che colpe
e dolori, rimorsi e doveri da portare a termine fino alla fine.
Abbracciò Hermione, la strinse con forza e la
sua pelle nuda anelava un contatto con il corpo della strega, voleva finalmente
che fosse sua, completamente, desiderava appartenergli, ed era un desiderio che
gridavano anche il suo cuore e la sua mente.
«Hermione... non hai la minima idea di quanto
io ti desideri» le sussurrò all’orecchio, sorridendole, baciandola e
carezzandola come se non aspettasse altro da tutta la vita, come se dai battiti
della donna dipendessero i suoi, e la strinse e le tolse ogni brandello di
stoffa che lo separava dal suo corpo.
Voleva che fosse sua, voleva essere suo.
Quella notte, per la prima volta, fecero l’amore, lasciandosi il
passato alle spalle e abbracciando quel futuro che li attendeva.
Fecero l’amore una volta, due, fino a che un nuovo tramonto colorò il
cielo sopra di loro.
Ormai
manca davvero poco alla fine, questo è il penultimo capitolo, con il dodicesimo
chiudiamo questa storia; un po’ mi dispiacerà, ma l’idea iniziale era 12 storie
per i 12 mesi, quindi eccoci qui =D
Ovviamente
come sempre ringrazio chi mi ha recensito e chi lo farà, qui mi segue, ricorda,
preferisce e anche solo legge, e chi farà tutte queste cose in futuro. Siete
fantastici ^^
Come
sempre, per qualsiasi cosa, non esitate a dirmela ;D
Spero,
buona lettura!
11 – Si può
perdere di nuovo tutto
16 novembre
2005
Quella mattina faceva piuttosto freddo, un vento furioso si abbatteva
sulla casa spingendo le imposte che sibilavano sinistramente, anche la pioggia
cadeva forte sul piccolo appartamento fino a scivolare veloce sui vetri delle
finestre.
Quel mercoledì era una tipica giornata di novembre ed Hermione non
aveva alcuna intenzione di alzarsi, il suo giorno libero avrebbe voluto
passarlo interamente nel letto, al caldo sotto le coperte e tra le braccia
dell'uomo che amava.
Neppure il ritorno del Signore Oscuro l'avrebbe trascinata fuori di lì.
Il camino ancora acceso scoppiettava riscaldando la stanza e i loro
corpi nudi, era bello sentire la pelle del mago vicino alla propria, era una
sensazione che non l’avrebbe mai stancata, neppure il suo respiro tiepido che riusciva
ad infiammarla e gelarla al contempo.
Quei sussurri alle labbra appena dischiuse che si facevano racconti di
anime così distanti per lungo tempo, riunite in un bacio tra le lacrime salate
e i sorrisi che erano diventati dolci dai molteplici sapori, che t’invadevano
con il loro liquore amaro e poco a poco ti avvolgeva quel senso di dolcezza
delicato come un abbraccio.
E il sorriso di Severus nel tempo si era fatto miele sulle sue stesse
ferite.
Ad un tratto si sentì uno strano picchiettare seguito dal fruscio della
carta, Hermione aprì appena gli occhi mentre Severus la strinse ancora di più a
sé, e la giovane strega si rilassò di nuovo, accoccolandosi al suo petto, ma il
picchiettio divenne più insistente.
«Ho sentito un rumore.» In un attimo Hermione si alzò dal letto
scostando le pesanti coperte.
«È solo il vento, torna a letto» le disse Severus mentre lentamente la
conduceva di nuovo verso di sé, dopo averle afferrato un polso. «E poi non sta
bene andare in giro per casa in quel modo.»
«Quale modo?»
«Sei nuda.»
«Oh.»
«E quando sei nuda, ti preferirei nel letto. Sotto le coperte. Con me»
era capace di infiammarla con poche parole, e il suo sguardo le provocò intensi
brividi di piacere che le percorsero tutta la schiena. Sulle sue labbra si
allargò un sorriso che avrebbe illuminato una grotta buia, e la bocca di
Severus fece altrettanto, piegando entrambi i lati, congelò la mente della
strega in quell’attimo, su quella realtà.
Se qualcuno in quel momento le avesse chiesto cosa fosse la felicità,
sicuramente avrebbe risposto che era svegliarsi tra le braccia di Severus Snape
che la guardava con un meraviglioso sorriso sulle labbra, vedere quella bocca
che si piegava, era come una giornata uggiosa che improvvisamente era
squarciata dai luminosi raggi del sole.
E il sorriso di Severus era il sole che aveva lacerato il grigio del
suo essere.
«Non è solo il vento, vado semplicemente a controllare.» Sì ricordò
all’improvviso di quel rumore che aveva sentito poco prima.
«Mm…»
Hermione andò nell'altra stanza del suo piccolo appartamento e sul
pavimento notò una lettera, la prese e si accorse dal timbro di ceralacca su di
essa, che veniva dal San Mungo.
Severus si rigirava beatamente tra le lenzuola, ispirando a fondo
l'aroma di Hermione che era intriso tra di esse, era una sensazione alla quale
ancora non si era abituato, svegliarsi con qualcuno accanto era per lui una
novità, nonostante fossero giorni che dormivano insieme.
Sorrise a quella nuova vita che era finalmente iniziata per lui e si
ritrovò a pensare che andare in coma per sette anni era la cosa migliore che
gli fosse capitata, senza quel sonno prolungato non avrebbe mai potuto
conoscere il significato dell'affetto delle persone, non sarebbe mai stato in
grado di affrontare il suo passato e relegarlo in una parte nascosta della sua
anima dove non sarebbe mai stato in grado di avvolgerlo nel buio ogni giorno;
la cosa più importante, però, era che finalmente avesse scoperto il reale
significato della parola “amore”, aveva imparato ad amare veramente e si era concesso
infine di essere amato.
E sorrise, sorrise a tutto quello come mai aveva fatto nella sua vita.
Hermione, tuttavia ancora non tornava.
La lettera le era scivolata di mano e adesso giaceva sul pavimento come
se fosse un essere inanimato nel quale fino a poco prima batteva la vita, ed
Hermione la osservava proprio come se fosse una persona che era improvvisamente
morta, ma si accorse ben presto che la sensazione che qualcosa si stava
spegnendo era dentro di lei, si sentiva come se un incantesimo la stesse
trasformando in una statua di ghiaccio, e in quel momento lo avrebbe voluto con
tutta se stessa.
Avrebbe voluto essere nient'altro che marmo per impedire a quel dolore
di salirle su tutto il corpo.
«Hermione, che succede?» ma la donna non si mosse, era come inebetita e
sembrava non aver sentito neppure le parole di Severus che si era avvicinato
con una profonda preoccupazione sul volto.
«Hermione!» la giovane strega si riscosse, ma era ancora incapace di
dire alcunché, in un attimo si accasciò a terra tra le lacrime.
Severus si accorse della lettera ai piedi della donna e in un attimo
l'afferrò, leggendola avidamente, come se fosse un assetato davanti ad un pozzo
in pieno deserto: sentì il cuore fermarsi di colpo.
«Alzati.» Hermione, però, rimase a terra, piangente. «Per l'amore del
cielo, alzati da quel dannato pavimento!» il suo tono si era fatto duro,
gelido, per un attimo ad Hermione sembrò che fosse tornato il vecchio Severus,
il mago cupo e distante che l'aveva sempre trattata come se non valesse niente
e, anche se in quel momento si sentiva esattamente in quel modo, si alzò a
fatica senza riuscire a sostenere il suo sguardo.
«Vestiti alla svelta. Dobbiamo andare.» Hermione, tuttavia, continuava
a non muoversi e lo guardava a malapena, non avrebbe voluto rivedere quel velo
oscuro sugli occhi del mago. «Ti ho detto di muoverti!»
«Non darmi ordini come se fossi il tuo elfo domestico.» Stavolta la
rabbia prese il sopravvento sulla paura che tutto quello che aveva vissuto fino
a quel momento, era stato nient’altro che un sogno.
«Io non…»
«Tu non, cosa? Non pensavo che avere una relazione con te significasse “obbedienza”.»
«Non capisco cosa stai dicendo e cosa ti fa venire in mente una cosa
del genere.»
«Mi stai dando degli ordini!»
«Io… mi dispiace, ma non riesco ad essere molto lucido in questo
momento.»
«Pensi che in questo momento stia soffrendo solamente tu?»
«Non ho detto questo.»
«No. Non l'hai detto, ma lo stai pensando e ti stai comportando come se
lo avessi detto.» Anche il tono di Hermione si era fatto tagliente, combattuta
tra il dolore e la rabbia non sapeva affatto come reagire a ciò che aveva
appena letto e a quel comportamento di Severus.
Un attimo prima erano stretti l'uno nelle braccia dell'altro, i loro
respiri che si confondevano nel tepore del letto, e adesso stavano litigando
stupidamente su ciò che avrebbero dovuto provare.
Come poteva pretendere che lei non soffrisse per quella notizia? Non
era più la ragazzina spaurita che doveva sottostare ad ogni sua parola, non era
più la studentessa che doveva obbedire al suo insegnante.
Che diritto aveva di trattarla in quel modo?
«Herrmione, lei per me è stata…»
«Invece per me non è stata niente? Neanche la conosco, vero?» senza
aggiungere nient'altro la giovane strega si chiuse in camera sbattendo la porta
con rabbia e dopo un istante uscì da casa senza degnarlo neppure di uno
sguardo, troppo furibonda e addolorata per curarsi anche di lui, nonostante
sapeva perfettamente che in quel momento il dolore stava dilaniando anche
l'anima di Severus.
In quell’attimo sarebbero dovuti stare uniti, farsi coraggio e cercare
di fare qualcosa, invece si erano di nuovo allontanati l'uno dall'altra.
Quando arrivò al San Mungo, vide che erano già tutti lì, doveva essere
arrivata la stessa lettera anche a loro e su quei visi poté vedere quello
stesso dolore che stava provando anche lei.
Le sembrava di essere tornata a tanti mesi prima, a quando il Medimago
Redden le aveva detto che Severus stava per morire e anche in quel momento si
era sentita morire, sprofondare in un abisso di buio che l'avrebbe inghiottita
completamente.
«Cos'è successo?»
«Non lo sappiamo, quando siamo arrivati, era già dentro e ancora
nessuno ci ha detto qualcosa, stiamo aspettando.» Harry era visibilmente
addolorato, possibile che dopo tutti quegli anni passati a soffrire ancora
dovevano provare simili angosce?
«La lettera diceva solo che era stata portata qui. Possibile che
nessuno ci dica niente?» la sua voce si stava via via alzando di tono, quella
mattina era iniziata nel peggior modo possibile e in più aveva anche litigato
con Severus, in cuor suo sperava che quel giorno non avrebbe ricevuto quella
notizia che le si era insinuata nella mente da quando aveva letto la lettera.
«Hermione stai calma, vedrai che presto ci diranno qualcosa» cercò di
tranquillizzarla Ron, ma nessuna parola avrebbe potuto calmarla in quel
momento, come nessuna parola sarebbe stata balsamo per nessuno di loro.
Dopo alcuni minuti arrivò Severus, il suo volto era tornato ad essere
una maschera impenetrabile difficile da decifrare, e sembrava essere tornato
l'uomo cui era arduo anche solo avvicinarsi, come se quei mesi non ci fossero
mai stati, come se la guerra non ci fosse mai stata.
Il mago non degnò di uno sguardo nessuno di loro e avanzò a passo svelto
al portone che li separava dal reparto, incurante che fosse magicamente
bloccato per evitare che persone non addette entrassero.
«Non la faranno entrare» gli spiegò il giovane Weasley, ma Severus
parve non ascoltare perché afferrò la bacchetta, intenzionato a far saltare in
aria qualsiasi cosa pur di entrare lì dentro.
«Severus, stai calmo, per favore» Hermione si era avvicinata al mago e
gli strinse una mano tra le sue, ma in un attimo la scostò, lasciando la
giovane strega stupefatta.
«Io sono calmo. Tu, piuttosto, sei un Medimago, ora, potresti entrare
senza problemi» il suo tono asciutto le gelò il sangue, capiva perfettamente ciò
che stava provando, ma non capiva il perché di quel cambiamento improvviso:
Severus aveva spazzato via tutti quei mesi in un solo istante, come un po' di
sporco con un colpo di bacchetta.
«Bene, hai ragione. Togliti da qui, tu non sei né Medimago né
infermiere né qualunque altra cosa, non puoi sostare davanti a questa porta,
per cui sei pregato di toglierti.» Severus le regalò un'occhiata che sembrava
di odio.
Harry era incredulo, che diavolo era successo a quei due? In un attimo
la collera gli montò dentro, come potevano battibeccare come due bambini
capricciosi, mentre la donna che per tanti anni era stata la roccia di tutti
loro, si trovava al di là di quella porta, a lottare tra la vita e la morte.
«Smettetela! Tutti e due!» urlò all'improvviso e si
voltarono tutti verso di lui con gli occhi sbarrati, Severus lo guardò impassibile,
mentre Hermione non riuscì a fissare quegli occhi verdi per più di qualche
secondo, troppo addolorata e consapevole che si stava comportando da stupida. «I
vostri insulsi problemi risolveteli altrove, possibilmente fuori di qui! Adesso
dobbiamo cercare di stare tutti uniti e far sentire la nostra vicinanza alla
professoressa McGonagall!»
Severus girò su se stesso, il suo mantello si mosse così velocemente
che una sferzata d'aria le arrivò in pieno volto, come un getto d'acqua fredda
la riscosse da quei turbamenti in cui era caduta: in un attimo gli afferrò il
polso, con forza, cercando di trattenerlo, di non sfuggirle come aveva fatto
poco prima.
«Severus, entra con me.»
«Mi sembra tu sia stata piuttosto chiara, non sono persona che può
entrare.»
«Minerva ha bisogno anche di te.»
«Nessuno ha bisogno di me, e per Minerva non posso fare nulla, là
dentro ci sono persone più competenti di me. Vai, vai anche tu, sei brava a
studiare le persone.»
In quel momento Hermione seppe che non ci sarebbero state parole da
dirgli, che nessun gesto che avrebbe fatto, sarebbe riuscito a cambiare
quell'espressione che il mago aveva in volto, sorrise amaramente e lo lasciò
andare, dalle sue mani, da quell'atrio e forse dalla sua esistenza.
La vita a volte sapeva essere davvero crudele, un attimo prima ti aveva
dato tutto, ti aveva concesso la felicità, e un attimo dopo si era ripresa ogni
cosa, strappandotela dalle dita.
Hermione aveva soltanto voglia di piangere, un pianto che le avrebbe
prosciugato ogni lacrima che aveva in corpo, ma si fece forza e varcò quella
porta, non sapendo cosa vi avrebbe trovato al di là di essa.
***
Severus camminava agitatamente per la stanza, poi all’improvviso si
bloccò e le lacrime iniziarono a rigargli il volto e neppure tutta la sua forza
di volontà riuscì a trattenerle dentro i suoi occhi; si sedette su una sedia,
anonima come tutto l’arredamento della stanza, era così freddo e bianco che si
sentì nauseare, forse quella reazione era dovuta più ai suoi sette anni
trascorsi in un ambiente come quello; e il fatto che adesso, inerme su di un
letto, ci fosse Minerva, di sicuro non lo aiutava a sentirsi meglio.
Come avrebbe potuto sentirsi meglio quando la donna che era stata una
madre per lui, giaceva lì, immobile, in preda a spasmi di dolore che nessuno
era riuscito a calmare, l’avevano resa incosciente per darle più sollievo
possibile, ma non avevano ancora capito cos’aveva procurato tutto quello.
Lui, però, lo sapeva.
«È tutta colpa mia» scivolò appena sulla sedia, una mano a coprirgli
gli occhi ormai offuscati dal pianto. «Mi sono permesso di essere felice. Io.
Io che non ho mai meritato la felicità e per tutti questi mesi non ho fatto
altro che illudermi,» le dita liberarono lo sguardo e scesero sulle labbra per
oscurare quell’amaro sorriso che gli era nato spontaneo.
No, Severus Snape non avrebbe sorriso. Mai più.
E la sua vita gli stava gridando forte che in lui non c’era spazio per
sorridere né per essere felice, perché lui era ancora il Mangiamorte,
l’assassino, e la sua felicità sarebbe stata la rovina delle persone che gli
erano vicino.
Aveva davvero creduto di poter vivere nella normalità, avere una
famiglia, degli amici, amare ed essere amato? L’aveva davvero creduto
possibile?
Si ritrovò a ridere tra quelle mura così candide, mentre le lacrime
continuavano a scendergli lungo il viso, una strada di dolore che segnava la
sua pelle e gli entrava in bocca, fino in fondo, fino all’anima, ne sentiva il
gusto salato corroderlo dentro.
«In quanto Pozionista credo che ci debba essere un equilibrio in ogni
cosa, in una pozione è fondamentale che ogni ingrediente sia equilibrato con
l’altro. E sono arrivato alla conclusione che persino nella vita è necessario,
per questo io non posso essere felice.»
Snape si alzò dalla sedia, quel pianto che gli veniva da dentro, parve
acquietarsi, ma il dolore che stava provando, lo stava dilaniando, anche se
cercava in tutti i modi di apparire freddo e distaccato, in fondo era stato
abile a mantenere quella maschera per anni.
«Sono quella parte d’ombra che può vivere solamente nell’oscurità, che
deve riflettere solamente se stessa per non inghiottire quel buio chi gli si
avvicina» camminava lentamente, sperando che in qualche modo, tra tutta quella
sofferenza, Minerva potesse ascoltarlo, lui in sette anni aveva percepito molte
loro parole, quindi credeva possibile che anche l’anziana strega, nonostante
tutto, potesse ascoltarlo.
«Non posso che essere solo. La mia felicità è la solitudine, è stare
lontano dagli altri per non avvelenargli la vita.» Si avvicinò alla donna che
per anni aveva considerato una madre, la guardò per alcuni istanti e alcune
lacrime ripresero a rigargli il volto, il suo autocontrollo stava di nuovo
vacillando di fronte al volto di Minerva così sofferente e teso che aveva paura
persino a sfiorarlo. «Questo è il mio equilibrio. Questa è la mia vita. Questa è
la mia felicità. Sono stato uno stupido a credere che per me ci fosse
dell’altro, uno stupido illuso. Forse sarebbe stato davvero meglio se fossi
morto quella notte alla Stamberga.»
Severus Snape posò le dita sulla fronte di Minerva, scottava e il
sudore le scendeva lungo tutto il viso, avrebbe avuto il potere per eliminare
su di lei ogni traccia di dolore, invece era ai piedi del suo letto a guardarla
senza poter fare nulla.
Loro ti vogliono bene! Hermione ti ama!
E adesso hai semplicemente deciso di voltare di nuovo le spalle a tutti loro?
Le prese una mano e la strinse forte tra le sue dita, quel contatto
caldo gli si propagò lungo tutta la pelle e non riuscì a frenare quelle lacrime
che spingevano con prepotenza per uscire di nuovo.
Questi mesi non li hai vissuti nel corpo
di un altro, eri sempre tu, Severus. Questo sei, è inutile che lo neghi a te
stesso. Non arrenderti proprio adesso, non sei mai stato un uomo debole.
Alla luce fioca di alcune candele, Severus posò le labbra sulla fronte
di Minerva, in una carezza delicata che celava in se la forza di una
moltitudine di significati.
«Mi dispiace» sussurrò appena, il suo respiro caldo nel quale gli
avrebbe donato la sua stessa vita se fosse servito a salvarla.
Cosa penseranno tua madre e Lily? Come
ti guarderà Dumbledore? Distruggerai di nuovo tutti loro, distruggerai Hermione
che farebbe qualsiasi cosa per te, lei ti ama, ti vogliono bene, Severus.
Non lasciarti andare, non lasciare la
presa su quella felicità conquistata con tanta fatica.
Sì avvicinò di nuovo per donargli un’altra carezza e in quel frangente
notò alcune strane macchie violacee che si stavano diffondendo rapidamente dal
collo della strega: per un attimo tornò indietro nel tempo, a quel giorno di
tanti anni prima in cui aveva visto per la prima volta la mano annerita di
Dumbledore.
Fu un lampo che gli traversò la mente, e finalmente capì.
Ti prego.
Stavolta le parole che pronunciò la sua coscienza non le ascoltò
neppure, il suo aiuto lo avrebbe dato nell’ombra come sempre, nascosto nel suo
mondo di buio, lontano da tutto e da tutti, e da quella felicità che non gli
era mai appartenuta e che mai avrebbe fatto parte del suo mondo.
Con lentezza si allontanò da Minerva, aveva una cosa importante da fare
per salvarla, non prima di averla guardata per un’ultima volta sorridendo
tristemente, nonostante poco prima si era ripromesso di non farlo mai più.
Quella mattina aveva stretto tutta una vita a sé, e adesso aveva perso
ogni cosa, ed era giusto così.
Severus lo sapeva e un sorriso malinconico di una fugace felicità gli
piegò le labbra, troppo breve per riuscire a riportarlo indietro, troppo
effimero per convincerlo a non arrendersi e a lottare per ciò che meritava.
Uscì da quella stanza e dalla sua vita e, forse, dalla vita di tutti
loro.
Lo so,
sono un pochino in ritardo, ma il periodo natalizio è sempre da panico D:
Comunque,
una piccola nota prima di lasciarvi al capitolo.
Correggendolo
e mettendolo su pc, l’ultimo capitolo mi è
notevolmente lievitato, e quindi non finirà più con il numero 12, ma con il 14 perché l’ultima parte si è divisa in tre,
quindi non è ancora giunta la fine.
È un
capitolo un po’ strano, ma è nato così e ogni mio proposito di modificarlo e cambiarlo
si è rivelato vano, è una sorta di transizione che è nata da sola e mi rende combattuta
tra l’essere soddisfatta e il non esserlo affatto.
A voi
l’ardua sentenza.
Come sempre
ringrazio tutti quelli che con pazienza continuano a seguirmi, ricordami,
preferirmi e leggermi e soprattutto chi si ferma a lasciarmi una recensione.
Grazie
davvero di cuore.
Per
qualsiasi cosa, non esitate a dirmela;)
Spero, buona lettura ;)
12 –
Dialoghi persi nell’Est
22 dicembre
2005
«Come mi hai trovato?»
«Trovare le persone, è una parte del mio lavoro.»
Il ragazzo si guardò intorno, era un locale alquanto lugubre, che gli
dava i brividi, così cupo e nascosto in mezzo a chissà
dove, che gli parve di essere stato trasportato in qualche antica leggenda
dell’Est Europa.
«Al Ministero hanno abbassato di molto gli standard.»
«Può
darsi, ma questo significherebbe che lei è ben peggiore di me se io, così
scarso, sono riuscito a trovarla. Oppure deve ammettere che sono maledettamente
bravo nel mio lavoro.» “Tipica spavalderia Grifondoro”, pensò Snape che
lentamente muoveva il bicchiere tra le dita, osservando con attenzione il
liquido ambrato che si agitava al suo interno, come se dentro ci fosse una
piccola tempesta che spingeva onde di whisky addosso alle pareti di vetro.
«Se voleva passare inosservato, avrebbe dovuto nascondersi meglio, cambiare nome, modo di vestire e perché no, persino
tagliarsi i capelli e tingerli in stile Malfoy.» In
un attimo il giovane Potter si figurò il suo ex insegnante di Pozioni in abiti
diversi da quelli che era solito portare, con un taglio militare che aveva
visto sulla testa di un vicino dello zio Vernon, anni orsono.
Fu un secondo e Harry si ritrovò a ridere spudoratamente di
quell’immagine, mentre Snape lo guardava piuttosto
accigliato.
Gran parte degli avventori del locale si voltò per osservare quegli
strani individui che era evidente non fossero del
posto, anche se uno di loro ormai erano settimane che lo vedevano lì, a quello
stesso tavolo, che sorseggiava in silenzio.
Snape non
riuscì a non farsi contagiare dall’ilarità del ragazzo e stirò entrambi i lati
della bocca in un timido sorriso che ormai era da parecchio tempo che non gli
capitava di fare.
Harry ad un tratto tornò serio e si sedette
accanto al mago che per anni aveva odiato ingiustamente. «Sono qui per un altro
motivo.»
«Sarebbe?»
«Per
prima cosa volevo dirle che la professoressa McGonagall
sta bene. Ed è merito suo.»
«Ho solo dato le istruzioni per una pozione.»
«Se non lo avesse fatto, però, non sarebbe guarita e forse sarebbe…»
Harry non riusciva a pronunciare quella parola, aveva creduto che anche lei gli
fosse portata via come tanti altri affetti dalla sua vita, e aveva pianto anche
per lei. E aveva pianto anche per il mago che gli sedeva di fronte che si era
di nuovo arreso alla vita.
“Sono un uomo, ormai, e non devo piangere”, si era ripetuto molte
volte; ed era stata l’ostinazione di Hermione a
fargli capire che un uomo non smette di essere tale se cede ai propri
sentimenti, e allora aveva pianto, a lungo, finché pian piano quelle lacrime
non si erano trasformate in sorrisi quando l’anziana strega
si era infine svegliata.
E il sorriso poi si era fatto preoccupazione quando la sua amica aveva
iniziato a scivolare velocemente verso un oblio dal quale sarebbe stato
difficile tirarla fuori.
Quello era uno dei motivi che l’aveva condotto lì, ma ce n’era anche un
altro.
«Ci sarebbero arrivati lo stesso» puntualizzò Severus
che per un attimo alzò lo sguardo verso il ragazzo, verso quegli occhi che
celavano Lily, ma non erano più i suoi, erano il verde di Harry. Solo di Harry,
e questo lo fece, stranamente, sorridere.
«Sì, probabile, ma nel frattempo avrebbe potuto…» stavolta si fece
coraggio, perché sapeva che adesso la donna stava bene, «morire» disse infine.
Snape
riprese a guardare il liquore, in silenzio, senza berne alcun sorso, quella
visita e quelle poche parole, lo avevano agitato più di quanto stesse dando a
vedere. Aveva creduto che la sua strada potesse finalmente condurlo lontano,
dividerlo per sempre da ciò che aveva lasciato al di là del
mare, e invece…
«Comunque,» Harry spostò nuovamente gli occhi
intorno al tavolo in cui sedeva con Snape; quando gli
avevano riferito dove avevano trovato il soggetto della sua ricerca, non era
riuscito a crederci, e invece si trovava proprio in uno strano e tetro locale
nascosto in una zona oscura della Romania.
Era partito non appena gli avevano riferito l’esatta ubicazione di quel
particolare soggetto.
Pensare a Snape come ad
un “soggetto”, era strano, ma il pensiero lo fece sorridere.
«Abbiamo scoperto che cosa ha avvelenato la professoressa McGonagall.»
Severus
rimase in silenzio a fissare il giovane mago, sapeva benissimo che era stato un
veleno a ridurre Minerva in quello stato e conosceva esattamente quale fosse il
veleno da esperto Pozionistaqual
era, ciò che non sapeva era come fosse venuta in contatto con tale tossina, era
così rara che era del tutto impossibile che una persona ne venisse a contatto
in maniera casuale.
Piegò appena il volto mentre un sopracciglio si alzava, in quel modo
cercò di spronare il giovane Potter a continuare a parlare.
«Quella mattina mentre conversava con la professoressa Sprout, le è stato recapitato un pacco regalo che non
conteneva assolutamente nulla.»Severus
non capiva.
«Come ha
fatto ad avvelenarsi se non conteneva nulla? E poi una strega esperta come lei
di certo si sarebbe accorta della presenza della MortisViridis all'interno della confezione o quello che
era.»
«È
proprio questo il problema. L'essenza mortifera della pianta era nel nastro che
chiudeva il pacco. Nessuno fa mai caso al nastro o alla carta intorno, e questo
è stato fatale, anzi, fortunatamente non è stato fatale.
Grazie a lei.»
Snape
grugnì malamente, quello che proprio non voleva, era essere ringraziato
ogni pochi minuti, desiderava soltanto essere lasciato da solo, stare
lontano da tutti loro perché ne aveva abbastanza di far del male alle persone.
La felicità non era per lui, ormai gli era chiaro, era stato uno
stupido a credere che fosse stato possibile per lui vivere finalmente una vita
degna di essere chiamata tale, con accanto persone che
gli volevano bene e persino con qualcuno da amare.
Harry si era accorto dello strano disagio del suo vecchio professore
quando lo ringraziava, e questo lo fece sorridere, anche se dentro di sé gli
faceva male vederlo di nuovo così solitario, estraneo al mondo come lo era
stato per lungo tempo.
Aveva davvero creduto possibile che potesse essere felice, insieme con
tutti loro e con Hermione.
Doveva ammettere che, dopo un iniziale scetticismo, quei due erano
fatti veramente l'uno per l'altro e si ritrovò di nuovo a sorridere, mentre Severus faceva vagare lo sguardo nel locale, soffermandosi
su ogni persona seduta ai tavoli.
Vide una coppia di anziani che sorrideva con i pochi denti che le erano
rimasti e brindava al tempo che le rimaneva da vivere insieme, poco o molto che
fosse, non importava.
«Queste cose avresti potuto scrivermele in una lettera, perché sei
qui?» Severus tornò a guardare Harry, inclinando
appena la testa, lo osservò con curiosità, come se fosse un piccolo gufo in
attesa della sua ricompensa dopo una nottata di volo.
«Perché
sappiamo chi è stato. E...»
«Chi è stato?»
Harry rimase in silenzio, serrando le labbra per non dover pronunciare
quel nome che sapeva benissimo quale reazione avrebbe
causato, l'aveva già vista sul volto di altri ed era rimasto immobile mentre la
rabbia montava dentro ognuno di loro.
Il suo lavoro gli aveva insegnato ad essere
più riflessivo, a non agire d'impulso, ma quel giorno aveva dovuto frenarsi con
tutte le sue forze per non esplodere e far saltare in aria chi si era macchiato
del peccato di tentato omicidio.
«Dimmi chi è stato» ma il giovane mago rimase muto, anche se sapeva
perfettamente che con Snape sarebbe stato del tutto
inutile.
Severus
si alzò di scatto, stringendo con forza il bicchiere prima di gettarlo sul
pavimento; fissò quel liquido ambrato farsi strada tra
la moltitudine di frammenti di vetro, come un fiume che poco a poco lambiva le
rocce posate sul suo letto.
«Che cosa sei venuto a fare esattamente, qui?» la voce di Snape era pacata, troppo quieta, e
questo spaventò il giovane Potter che ormai conosceva perfettamente il suo ex
insegnante e sapeva che bisognava temere di più la sua finta quiete, piuttosto
che le urla che, in ogni caso, si concedeva raramente.
«Io...»
«Io cosa?
Mi hai riempito la testa di chiacchiere per tutto questo tempo, quindi se non
hai intenzione di dirmi nient'altro, puoi benissimo tornare da dove sei venuto
e assicurarti di non tornare mai più, né tu né chiunque altro.» Senza degnarlo di uno sguardo, prese la bacchetta e in un
attimo eliminò ogni traccia del suo whisky da terra,
mentre molti dei presenti li guardavano piuttosto incuriositi, chiedendosi il
perché di tutto quel concitare.
«Deve aiutare Hermione» dichiarò infine
Harry, puntando i suoi occhi verdi su quelli neri di Snape
che era tornato ad osservarlo, forse per quel nome o
forse per qualcos'altro, ma il giovane mago sapeva perfettamente che qualcosa
lo aveva colpito da dentro.
«Che
significa? È stata Hermione?» chiese
incredulo Severus.
«No,
Merlino, certo che no! Ma potrebbe comunque commettere una sciocchezza.»Snape si gettò nuovamente sul
piccolo divanetto nascosto dalla penombra, con pesantezza, come se tutto quello
lo affaticasse, e il non capire lo rendeva irrequieto.
«Una volta andavi dritto al punto senza farti il minimo problema,
quindi vedi di parlare chiaro o ci metto un istante ad
entrare nella tua testa!»
«D'accordo.
Le dirò tutto, ma deve promettermi che starà calmo e mi aiuterà in questa
situazione e soprattutto a salvare Hermione da se
stessa,» ma il mago per tutta risposta grugnì non
molto d'accordo. «Me lo prometta!»
«Va bene, te lo prometto.» Harry sorrise, sapeva che Snape era un uomo di parola e non sarebbe mai venuto meno ad essa, era un aspetto del mago che lo confortava sempre.
«Deve sapere che in questi ultimi sette anni lei ha accumulato una
nutrita schiera di fan,» non era facile dirgli quelle
cose, sapeva che Snape a sentire quelle inutili
chiacchiere lo avrebbe volentieri Schiantato e, in una situazione diversa,
sarebbe stato il primo a ridere dell'orda adorante di donne che desideravano
anche solo un centimetro del mantello del suo ex insegnante. «Le devo dire
tutto, quindi non inizi ad agitarsi prima che abbia finito, lo so che sono cose
che non le interessano, ma è stato lei a dire che voleva sapere ogni cosa»
spiegò Harry che si era accorto del nervosismo crescente di Snape.
«Alcune di loro rasentavano i limiti della follia; se vogliamo, sono i
rischi del mestiere» sorrise, ma Severus non era
dello stesso avviso.
«Vai al punto, se non ti è di troppo disturbo, grazie.»
«Ok.
Quello che voglio dirle è che una di loro aveva una vera e propria ossessione,
era innamorata di lei e andava dicendo che presto vi sareste sposati e cose del
genere, ma non pensavamo fosse pericolosa.»
Quella volta, quando Hermione stava leggendo
qualcosa...
Severus
sgranò gli occhi, incredulo perché non credeva possibile che ci fossero persone
che potessero essere ossessionate da uno come lui, la
cosa lo disturbò parecchio, ma soprattutto non capiva cosa c'entrasse Minerva
in tutto quello.
«Quando si è svegliato, quella donna si trovava al San Mungo, ma è
stata cacciata da Hermione e dalla professoressa McGonagall che l'ha addirittura minacciata di spedirla al
Polo quando ha offeso Hermione e quando non voleva
lasciarla in pace.» Nella mente di Severus
si formò l'immagine di Minerva che con tutta la sua forza e pacatezza, parlava
a quella donna, come una madre stava di nuovo proteggendo tutti loro, senza
alcun pensiero o dubbio, e questo lo fece sorridere, un sorriso spontaneo e
ampio che per un attimo lo riportò a pochi mesi prima, a quando si era concesso
di essere finalmente felice.
E invece hai di nuovo abbandonato tutti, hai abbandonato
tutti loro, Minerva che ti ha sempre protetto e voluto bene come un figlio, hai
lasciato Hermione che ami e che ti ama.
Svegliati da questo tuo nuovo torpore, Severus,
ti prego...
Per un
attimo gli parve di sentire la voce di Dumbledore
nella testa, e questo gli fece male, come se qualcuno lo avesse colpito forte.
«Perché non se l'è presa anche con Hermione?»
«Perché per lei non era una minaccia, non aveva alcuna idea che voi avevate
una relazione.» Era disappunto quello che scorse nel
tono di Harry? Sì, decisamente, e anche nei suoi occhi
poteva vedere la tristezza per quel “tempo passato” che aveva dovuto usare.
«Quando
siamo andati a casa della donna, abbiamo trovato le pareti letteralmente
tappezzate da sue foto, era abbastanza raccapricciante. Non le sue foto lo
erano, lei era... cioè, io...»
«Non preoccuparti, ho capito perfettamente,» e
gli venne quasi da ridere nel vedere l'espressione imbarazzata di Harry che
faceva fatica a sostenere il suo sguardo.
«La donna non c'era, è sparita e non sappiamo dove
sia, setacceremo ogni angolo d'Europa o del Mondo se fosse necessario. Ma è sparita anche Hermione, ha
sentito per caso il nome di quella donna ed è scomparsa. Non so come sia potuto
accadere, io... deve aiutarmi, so quali sono le sue intenzioni, ho visto la sua
rabbia e il suo dolore, potrebbe fare qualcosa di stupido, dobbiamo
trovarla prima che faccia qualcosa dalla quale non potrà più tornare indietro.»
«Dimmi quel nome.»
«No.»
«Dimmelo.»
«No! Ha
promesso!»
«Allora non posso fare niente per te.»
«Dannato
testardo che non è altro, pensa che io non voglia farla pagare a quella donna
per ciò che ha fatto? Siamo in parecchi a volerlo! Ma non siamo
più ragazzini sciocchi ed io la getterò nella cella più profonda di Azkaban, ne stia pur certo, ma non permetterò che nessuno
si sporchi le mani di sangue, per quanto lo voglia anch’io! Né lei né Hermione! Ma Hermione in questo
momento è debole per colpa sua e non ragiona lucidamente!»
«Dannato stupido Grifondoro, se non mi dici
quel nome come pretendi che possa aiutarti a trovare quella donna edHermione? Inizio una caccia a
tentativi descrittivi?»
Nonostante la situazione fosse delle più serie, Harry scoppiò in una
sonora risata che echeggiò per tutto il locale, ma stavolta nessuno dei
presenti si voltò verso di loro, si erano ormai abituati a quei due strani
maghi seduti al tavolo più isolato del locale.
Snape lo
guardò piuttosto contrariato, anzi, sembrava stesse scrutando un pazzo che poco
prima era serio e un istante dopo iniziava a ridere, in sette lunghi anni di
coma si era perso molte cose.
«Ha
ragione, mi scusi. La donna si chiama Bo Batter, 40
anni, nata a Hogsmeade ma residente a Londra da una
decina di anni, dove lavora come farmacista, per questo era un'esperta nel
preparare veleni. È alta pressappoco 1,57 metri, corporatura normale, carnagione
chiara, occhi grigi e capelli biondi. Ovviamente è una strega e quindi potrebbe
con facilità cambiare connotati.»
«Potevi darmi una foto, avresti fatto prima.»
Harry gli sorrise, sembrava così calmo e freddo, come
se niente gli importasse, ma in tutti quegli anni aveva imparato molte cose sul
conto di Snape, e una delle quali era che fosse molto
bravo a mascherare le sue vere emozioni, maledettamente bravo. D'altronde si
era preso gioco di moltissime persone in tutti quegli anni, ormai la sua era una tecnica affinata nel tempo, ed Harry si chiese se in
realtà stesse soffrendo anche per la separazione da tutti loro e soprattutto da
Hermione, a maggior ragione adesso che era sparita e
in pericolo.
“Certo che sta soffrendo, stupido! Quei due sono innamorati, è così evidente”, gli aveva detto una
sera Ginny mentre insieme guardavano il loro bambino
dormire.
Sì, adesso sapeva con certezza che il cuore di Snape
era dilaniato dal dolore, di nuovo, e questo lo faceva infuriare dopo tutta la
fatica che aveva fatto per liberarsi da quei pesi sull'anima, l'avrebbe preso
volentieri a schiaffi se fosse servito, anche se gli era ben chiaro che non
sarebbe riuscito nemmeno ad avvicinare le mani.
Quel pensiero gli tese le labbra.
«Hai finito o c'è altro?»
«Finito.»
«Bene.»
«Ah, aspetti, dimenticavo una cosa.» Severus
alzò un sopracciglio, in quel cenno che ormai era sinonimo
di “prosegui”. «Se dovesse trovare la donna ed io non ci sono, per favore, non l'ammazzi. La prenda, ma non l'ammazzi,
e mi aspetti.»
SeverusSnape si alzò dal piccolo divano marrone che lo aveva
ospitato in quelle ultime settimane, lanciò alcune monete sul bancone e si
fermò alcuni istanti a guardare Harry, quel piccolo petulante Potter che era
diventato uomo e molto più saggio di quanto si fosse aspettato, anche se ancora
poteva vedere alcuni aspetti dell'irritante moccioso che ogni tanto emergevano
con prepotenza.
Sul suo volto passò una strana ombra che per un attimo gli illuminò gli
occhi per poi rigettarli in un buio ancora più denso, le sue labbra si mossero
non per parlare, la sua bocca sorrise, un sorriso disteso, spontaneo, ma che
aveva in sé una traccia d'inquietudine e un piccolo bagliore oscuro che fece tremare
il giovane uomo: non sapeva come interpretare quell'espressione.
I due maghi uscirono da lì, inspirando il freddo della Romania a pieni
polmoni, riempiendosene prima di sparire lasciando la neve a vorticare in un
punto in cui non c'era più nessuno.
Dunque,
con mio sommo rammarico, mi sono accorta di essere stata una grossa maleducata
e di non aver fatto neppure gli auguri per le feste :( Mi dispiace tantissimo,
ma vi assicuro che vi ho pensato e anche se sono in ritardo, tantissimi auguri
ve li faccio adesso! :D
Tornando
alla storia, ormai ci siamo, questo è davvero il penultimo capitolo, ne manca
ancora uno perché c’è qualcosa di importante ancora da dire: che cosa? Lo
scoprirete ;D
La
prima parte del racconto, “narra” una leggenda realmente esistente del mio
paesello, lo dico per dovere di cronaca ;D
Adesso
vi lascio al capitolo e per qualsiasi cosa non esitate a dirmela, ma prima
ringrazio tutti quelli che continuano a seguirmi e leggermi con pazienza, chi
mi preferisce e ricorda e chi mi recensisce e chi farà tutte queste cose :D
Spero,
buona lettura!
All’ultimo
capitolo!
13 – Verrò a
salvarti
23
dicembre 2005
L'ampia radura era silenziosa e deserta, doveva
essere così da secoli, nonostante il presente aveva cancellato anni di
superstizioni, la paura ancora aleggiava come la nebbia fitta d'inverno, come
gli spettri della leggenda che ogni notte tornavano a popolare il terreno sul
quale avevano versato il loro sangue.
Alla luce del sole, il paesaggio non era così
spettrale, ma l'ombra stava iniziando pian piano a coprire ogni cosa e ad
allungare i rami della foresta lungo la terra umida.
Non era il clima ideale per l'attesa, ma la
strega non aveva altra scelta che stare lì ed aspettare che il passaggio a quel
piccolo villaggio di maghi si aprisse, e mancava ancora qualche ora al buio più
completo, e non le rimaneva da fare nient'altro che starsene lì, appoggiata ad
un albero, a pensare a cosa avrebbe fatto una volta varcato quell'ingresso.
Aveva impiegato più tempo del previsto a
raggiungere quella rupe
tufacea dalla quale poteva vedere ogni cosa, i problemi con la lingua gli erano
costati inutili lungaggini di cui avrebbe fatto volentieri a meno, ma non aveva
la benché minima idea di com'era quella parte d'Italia in cui era dovuto
andare, e gli era stato necessario chiedere informazioni.
Se avessero ancora parlato latino,
non avrebbe di certo avuto problemi.
Nonostante gli abiti Trasfigurati, aveva
ricevuto ben più di un'occhiata di gelo, forse perché risultava comunque strano
agli occhi estranei e la naturale ritrosia di quel posto, rendeva difficile
fidarsi di chiunque non fosse nato lì o vi abitasse da anni.
Da lassù vedeva tutto intorno, ma non riusciva a
scorgere ciò che realmente gli interessava e stava iniziando a perdere la
pazienza, quando una strana nebbia si addensò con estrema lentezza lungo tutta
la valle, in uno strano colore che dal bianco pian piano sfumava nel rosa per
condensarsi in un rosso che però era strano, familiare, come l'odore che
s’innalzava nell'aria.
Quando la strega alzò gli occhi da terra, lo
spettacolo che le si presentò davanti era terrificante e le gelò il sangue che
il lungo mantello aveva mantenuto caldo fino ad allora, era una strana nebbia
quella che si stava addensando in forme che assumevano l'aspetto di una
moltitudine di uomini, uomini armati, fantasmi che si muovevano come se
stessero in battaglia.
La strega non riuscì a trattenere un'espressione
di puro terrore sul viso, ma si fece forza, d'altronde, benché fosse ancora
giovane, nella sua vita aveva visto cose ben peggiori e, in fondo, era cresciuta
con fantasmi che sfrecciavano in ogni angolo del Castello.
Corse attraverso quella folla incorporea, ed era
come attraversare una coltre gelida, ma ciò che più la lasciò senza fiato, fu
la sensazione di poggiare i piedi su qualcosa di viscosa, dal caratteristico
aroma di ferro: non c'era alcun dubbio, quello era veramente sangue e colorava
la radura che si allungava sotto i suoi piedi.
Ad un tratto le vide, quelle mura diroccate che
si estendevano a protezione di un pesante portone di quercia sbarrato
magicamente, quell'entrata che aspettava di vedere dalla mattina, da quando un
mago che aveva incontrato per caso poco lontano dal villaggio, le aveva detto
di aver visto quella strega varcare proprio quel portone un istante prima di
lui.
Il terreno si era coperto completamente di
rosso, mentre quelle anime si lanciavano contro un nemico immaginario, facendo
echeggiare un grido di battaglia che si spargeva nell'aria in nient'altro che
silenzi spaventosi; poi, ad un tratto, vide un'ombra squarciare quel bianco e
correre su quel velluto porpora verso un portone che era apparso
all'improvviso.
In un istante il suo corpo iniziò a scomporsi in
spire di fumo denso che lente si librarono in aria finché, con un'improvvisa
sferzata, si gettarono verso quelle mura, roteando intorno ad un invisibile
asse.
Quella sua abilità faceva parte di un oscuro
passato che aveva creduto di aver relegato in una parte nascosta del suo
essere, invece era bastato un attimo e tutto era tornato a galla, era bastato
leggere quella lettera e vedere Minerva in quelle condizioni, per far crollare
di nuovo tutto.
Eppure non tutto è perduto.
Sei qui per salvarla. Sei qui per salvarti.
Entrò nel villaggio mentre l'aria fredda di
dicembre s’insinuava tra le pieghe del suo mantello, che in un attimo si
avvolse intorno al suo corpo, creando una sorta di guscio protettivo da quel
gelo che colpiva
le stradine addobbate per il Natale.
Era uscito di corsa da quel locale con Harry,
senza pensieri, voleva soltanto prendere quella donna, guardarla negli occhi,
guardare la strega che aveva tentato di uccidere Minerva McGonagall, la madre
che c'era sempre stata per lui, anche quando l'odio aveva preso il sopravvento
sull'affetto.
Non appena Harry aveva pronunciato quel nome, si
era trasformato nel suo principale desiderio, e l'avrebbe persino uccisa per
ciò che aveva compiuto, ma aveva fatto una promessa al giovane Potter e lui non
era uomo che veniva meno alla sua stessa parola.
Eppure c'era qualcos'altro dentro di lui, una
sensazione che conosceva, ma aveva timore di figurarsela nella testa, perché in
quei giorni aveva cercato con tutto se stesso di ricacciare dentro quei sentimenti.
Essi, però, erano ancora lì, ed era bastato il suo
nome, il ricordo del suo sorriso, del suo profumo, di lei,
per far cedere ogni suo rigoroso sforzo, era del tutto inutile fingere che non
fosse nulla per lui, si prendeva solamente in giro.
È inutile che menti a te stesso, Severus, tu la
ami, e non hai mai smesso.
Salvala. Salvala da se stessa e riportala da te,
riportala a casa, stretta tra le tue braccia.
Torna a casa con lei.
Affrettò il passo tra la folla con il solo
desiderio, adesso, di trovare Hermione.
***
Finalmente l’aveva trovata.
Se ne stava lì, sorridente in compagnia di due
maghi, con l’aria di chi sa di aver commesso qualcosa di malvagio, eppure si
sente innocente e intoccabile, come se mai nessuno sarebbe stato in grado di
scoprirla.
E persino lei aveva creduto che non sarebbe mai
riuscita a trovarla, tantomeno a fargliela pagare, perché le sue intenzioni
erano proprio quelle di vederla soffrire, poco importava delle conseguenze che
avrebbero prodotto i suoi gesti.
Ormai si sentiva come se non avesse nient’altro
da perdere.
In un attimo la sua vita era andata
completamente in frantumi, disintegrata come un vetro gettato con forza a terra;
non riusciva ancora a credere che la sua felicità fosse svanita del tutto, che
le forti braccia di Severus non l’avrebbero più stretta, che non avrebbe più
sentito il cuore del mago battere sotto le sue dita, quelle labbra stirarsi in
un sorriso che gli illuminava tutto il volto.
E invece era tutto finito, evaporato come gli
oceani
del deserto, avrebbe voluto gridare, sbriciolare ogni cosa come il suo cuore
che era andato in mille pezzi, eppure doveva guardare quella gente che festeggiava
il Natale e sorrideva, si stringeva nel caldo di un abbraccio che lei non
avrebbe mai più sentito.
Ed era tutta colpa di quella donna che le era
poco lontana.
Come può
un amore finire così? Se fosse stato forte, avrebbe dovuto resistere a tutto
questo, è invece è scoppiato come una bolla di sapone.
Come aveva potuto fare del male alla
professoressa McGonagall?
Gliel’avrebbe pagata, fosse stata l’ultima
azione della sua vita.
Sentì la rabbia salirle lungo la spina dorsale
mentre camminava verso di lei, era come una catena che le stringeva lo stomaco
ad ogni passo che faceva, e voleva soltanto sgretolare quel pezzo di ferro,
anello dopo anello; era una sensazione che non aveva mai provato, o, forse,
l’aveva solamente dimenticata.
«Tu!» in un attimo gli occhi le si colorarono di
una strana sfumatura di rosso. «Non ti perdonerò mai per ciò che hai fatto.»
La strega si voltò di scatto, sul volto una
strana paura, «come… come hai fatto a trovarmi?» domandò mentre i suoi due
accompagnatori si frapposero fra Hermione e la loro amica.
«Perché sei una lurida stupida strega ed io ti
ucciderò.»
***
Quella giovane donna non era la sua Hermione, l’odio e la rabbia avevano
preso il sopravvento e l’avevano trasformata, lo sapeva bene quali effetti
potessero avere quelle due emozioni, ma lui non era stato abbastanza forte da
combatterle, si era lasciato sottomettere e vincere.
Adesso, però, lo sarebbe stato, e lo sarebbe
stato anche per lei, non avrebbe mai permesso all’ombra di inghiottire anche
Hermione, la sua Hermione, la sua vita, il suo futuro e il suo
sorriso.
Nello sguardo della giovane strega poteva vedere
i suoi stessi occhi, quello che erano stati per lungo tempo e una fitta di
dolore gli attraversò il petto: era stata tutta colpa sua, del suo comportamento
egoista che lo aveva allontanato da lei.
Basta attribuirsi delle colpe che non sono tue e
basta scappare, Severus.
Severus Snape non aveva più intenzione di
fuggire, era determinato a riprendersi quella felicità che era stata sua per
troppo poco tempo, che aveva sfiorato senza mai stringerla veramente, e voleva
Hermione, la voleva sempre al suo fianco, la desiderava stretta tra le sue
lenzuola scure che troppo spesso lo avevano guardato piangere con gli occhi
fissi al soffitto o che
non si chiudevano.
No, adesso avrebbe guardato lei e gli occhi li
avrebbe chiusi stringendola tra le sue braccia.
L'arto della giovane strega era così teso che
aveva timore che si spezzasse da un momento all'altro, poteva vedere la
collera, sentirla persino sulla sua stessa pelle.
«Hermione.»
Quella voce le gelò il sangue, le sembrava che
provenisse da dentro di lei, da un luogo lontano dov'era stata relegata da
tempo, e ora cercava di venire fuori, forzava per tornare in
superficie.
Ebbe la sensazione di qualcosa che spingeva la
sua anima verso la sua pelle che resisteva con forza e sentiva quella voce,
quel sentimento stringerle la gola e accelerarle il battito.
Era davvero lui?
«Hermione abbassa quella bacchetta.» Sentì le
dita del mago stringere la sua carne, i muscoli tesi, percepì un calore
irradiarsi dal braccio fino ad inghiottire ogni fibra del suo essere e le sue
certezze per un attimo vacillarono, costringendola ad abbassare il legno.
«Non sei poi così tanto coraggiosa»
parlò la strega che le era di fronte, celata dai due maghi suoi amici.
Snape si voltò verso l'irritante
fonte di quelle parole, piegando le labbra in una smorfia, e con sorprendente
velocità estrasse la bacchetta dai suoi abiti che erano rimasti Trasfigurati, e
lanciò un incantesimo verso di loro che in un attimo si ritrovarono legati da
corde magiche argentee e senza più la possibilità di emettere alcun suono.
La comunità magica di quel piccolo
villaggio iniziò a chiedersi cosa stesse succedendo e molti si fermarono a
guardare, indecisi sull'intervenire o meno.
«Hermione, so perfettamente qual è
il bisogno che ci spinge a compiere tali atti, fidati, lo so benissimo. Ed è un
bisogno che non ti porterà nulla, nient'altro che dolori e rimorsi.»
«Ha cercato di uccidere Minerva!» e
il suo braccio ritornò teso, con i nervi che si potevano scorgere tant'era
forte la stretta delle sue dita sulla bacchetta. «E ha distrutto...»
Questa volta, però, davanti c'era
Severus, immobile come una statua, e sul viso aveva una strana espressione che
non riusciva a decifrare.
Cos'era?
Era dolore quel lampo che gli
attraversava gli occhi? Dispiacere o compassione?
«Lo so cosa ha fatto, ma ucciderla
non ti porterà a nulla, porterà soltanto ombre nella tua vita.»
«Tu dovresti capirmi, un tempo non
avresti esitato a farla fuori. È di Minerva McGonagall che stiamo parlando, la
donna che consideri una madre!»
"Testarda, stupida,
ragazzina!"
«So perfettamente di chi
stiamo parlando e credimi, un tempo non ci sarebbe stato desiderio più grande
al mondo che vedere quella strega morta, ma adesso il mio desiderio maggiore è
un altro, e mi basta vederla rinchiusa per sempre in una cella di Azkaban.»
Dal momento in cui i suoi occhi
l'avevano sfiorato, aveva capito che per lui non ci sarebbe stato più spazio
per la vendetta, il suo desiderio aveva lo sguardo di Hermione, il suo sorriso
e il suo cuore.
Era stato uno stupido a permettere
che quella situazione lo allontanasse da lei, era stato un codardo, e la
giovane donna aveva sempre avuto ragione nel dirgli che era un vile nei
sentimenti.
Ormai, però, era deciso a non
esserlo più.
Non sarebbe più stato un vigliacco e
sarebbe rimasto al fianco di Hermione a qualsiasi costo, non le avrebbe
permesso di rovinarsi la vita e distruggersi l'anima per una donna che avrebbe
scontato le sue colpe in una gelida cella, accompagnata dai Dissennatori fino
alla pazzia, e non ci sarebbe stata pena migliore per quell'essere, la
morte sarebbe stata soltanto una liberazione, un nulla in confronto a ciò che
aveva fatto.
E si sarebbe aggrappato con tutte le
sue forze alla giovane donna pur di non farla precipitare nell'abisso com'era
accaduto a lui tante volte, così tante che l'ombra era diventata parte
integrante del suo essere.
«Io voglio che marcisca
all'inferno!»
«Hermione, smettila! La tua famiglia è in
pensiero per te, così come i tuoi amici.»
«E a te cosa importa, non fai parte di nessuna
delle due categorie.» Severus non rispose, rimase immobile ad osservarla, ad osservare
la copia di oscurità che non le apparteneva, che nascondeva ciò che era in
realtà, perché la strega davanti a sé non era di certo l'ostinata e irritante
So-Tutto che aveva conosciuto e non era neppure la donna di cui si era
innamorato, che lo aveva riportato in superficie dopo essere sprofondato anno
dopo anno.
«Vattene se non vuoi che Schianti
anche te.»
«Avanti, fallo, anzi, fai di meglio,
uccidimi. Poni fine alla mia vita, perché senza di te non ha più alcun senso
viverla.»
L'espressione di Hermione mutò di
colpo, sgranò gli occhi come se fosse stata colpita da un pugno in pieno
stomaco, ma non le sarebbe uscito del sangue dalle labbra; sentiva le sue
certezze disintegrarsi di nuovo, e la rabbia e l'odio che le venivano sradicate
da dentro, come se qualcuno le avesse infilato una mano in bocca e gliele
avesse tirate fuori con la forza, estirpate come si estirpa l'erba cattiva; era
visibilmente sconcertata da quelle parole: che significava tutto quello?
«Severus... io...» furono le uniche
parole che riuscì a pronunciare prima di gettarsi a terra, tra le lacrime che
avevano preso a scorrerle con impeto sul viso che coprì con le mani per la
vergogna di farsi vedere così debole e stupida da lui.
In quel frangente non le importava
nient'altro, sarebbe voluta sprofondare, cadere in uno squarcio che la terra
avrebbe aperto sotto i suoi piedi, avrebbe voluto correre lontano da lì per non
farsi guardare.
«Non guardarmi, ti prego.»
«Non c'è mare, fiore, tramonto o
tempesta che vorrei guardare più di te, Hermione.»
La strega si strinse ancora di più a
sé, cercando di nascondere se stessa a Severus e per un attimo le parve di
sentire la sensazione del suo sorriso sulla pelle, sorrideva di quell'immagine
che gli si era figurata davanti: doveva proprio dare l'impressione di una
piccola bambina spaurita, per questo il mago aveva stirato le labbra.
Doveva dare l'impressione di essere
così fragile, ma in quel momento nulla aveva importanza, non aveva neppure le
forze per combattere contro se stessa, era come se tutto il peso accumulato in
quei giorni, le fosse piombato addosso tutto in quello stesso momento e in un
unico punto.
Percepiva il suo cuore come se fosse
un macigno che nessun incantesimo sarebbe stato in grado di dissolvere.
Ad un tratto si sentì avvolgere da
uno strano calore e, tra la miriade di sensazioni che volavano nella sua mente
come molteplici farfalle, riuscì a percepire quel profumo.
Non c'era niente al mondo che la
confortasse come il profumo di Severus, perché sapeva che lui era lì, vicino a
lei, ogni volta che lo sentiva, lui la stringeva a sé, cosi forte da farle
male, ma non gli avrebbe permesso di lasciarla andare, aveva bisogno di quel
dolore, di sentire la loro carne così vicina.
Severus Snape la abbracciò con tutto
l'amore che aveva, sorridendo, come se avesse passato anni di dolore e rimorsi
solamente per vivere quel momento, come se non aspettasse nient'altro.
Rimase stretto a lei anche quando
Harry arrivò con altri Auror per portare via la strega che aveva cercato di
uccidere Minerva e aveva provato a portare Hermione nell'ombra; un tempo
l'avrebbe uccisa, adesso non l'aveva neppure guardata mentre la conducevano
lontano da lì, da loro.
Per lui in quel momento c'era
solamente Hermione, in quel villaggio in cui tutti si erano fermati a guardare
senza muovere alcun passo, c'erano soltanto loro due, stretti l'uno nell'altra
in un mondo parallelo che li teneva fuori da tutto.
Hermione tra le sue braccia si
rilassò e persino le lacrime smisero di scenderle sul volto così segnato da
quegli eventi che si faceva persino fatica a riconoscerla.
Alzò gli occhi verso di lui, la
vista ancora un po' appannata perché la vide che cercava di mettere a fuoco
strofinandoseli con le mani.
«Hai la cravatta. E sei vestito con
un completo Babbano.»
«Però, che perspicacia.»
Hermione scoppiò a ridere, non
sapendo bene per quale motivo, se fosse per Severus vestito in quel modo, o
perché lui era sempre lui e nulla sarebbe cambiato.
«Torniamo a casa, Hermione.» E nel
suo sorriso c’era tutta l’importanza di quella frase.
«Portami ovunque vuoi, purché tu
stia con me.»
«Ti porto a casa, dalla tua famiglia
e dai tuoi amici.»
«Tu sei mio amico, sei la mia
famiglia. Sei il mio tutto, Severus. Grazie per essere venuto a salvarmi.»
«Mi hanno costretto.» Ed Hermione
rise di nuovo aggrappandosi alla sua ancora di salvezza, appoggiando il suo
viso sul petto del mago per sentire il battito del suo cuore che aveva il
potere di calmarla e farla sentire viva e amata.
«Hai mai volato?» le chiese
prendendola in braccio.
«Cosa? Io... no. Aspetta, che vuoi fare?»
Severus sorrise mentre la stringeva
a sé. «Quell'imbranato del tuo amico non ci ha lasciato nessuna Passaporta e
non possiamo Smaterializzarci così lontano, quindi devo improvvisare in qualche
modo.»
«Non vorrai mica...»
«Esattamente.»
Severus Snape ed Hermione Granger
sparirono nei cieli d'Italia, stretti nell'amore che li aveva salvati entrambi.
Ok, sono un
po’ in ritardo con quest’ultimo capitolo, chiedo venia XD ma è stato un periodo
alquanto frenetico.
Comunque
adesso ci siamo, la storia finisce davvero perché questo è davvero l’ultimo
capitolo, e un po’ mi mancherà, ma qui non ho più nulla da raccontare :D
Spero che il
finale sia all’altezza delle aspettative e che vi piacerà ^^
Ringrazio
veramente di cuore tutti quelli che hanno seguito questa storia, che l’hanno
ricordata, preferita e che anche solo l’hanno letta, e ringrazio immensamente
chi si è fermato a recensirla.
Siete meravigliosi!
Voglio
dedicare questo capitolo alla mia meravigliosa nipotina che forse leggerà
queste storie quando sarà grande :D, al mio meraviglioso raggio di sole nella mia
vita! ^_^
Vi lascio all’ultimo
capitolo e spero, buona lettura!
14 – Il valore della
vita stessa
24 dicembre 2005
La stanza era silenziosa e avvolta
completamente dall'oscurità e chiunque avrebbe fatto fatica ad orientarsi, ma
non lui. Non Severus Snape che conosceva alla perfezione ogni angolo buio e
nascosto, e ricordava ogni singolo sussurro che era stato compiuto e ogni
singola lacrima che lui stesso aveva versato quando, assassino e traditore,
aveva usurpato e corrotto quel posto che non gli era mai appartenuto e che mai
lo aveva voluto.
Sarebbe stato per sempre l'assassino e il
traditore?
Per un attimo chiuse gli occhi e la
mente, e lentamente camminò per la stanza, posando rapide carezze su ogni
superficie, veloce, come se ognuna di esse avrebbe nuovamente trasudato sangue
al suo tocco. Con la sua sola presenza.
Sospirava, Severus, tra quei passi,
sospirava al ricordo di tutto ciò che era stato e che aveva fatto, a quelle
mani coperte di morte che avrebbero dovuto sfiorare la sua Hermione ogni
giorno della sua vita.
Non avrai di nuovo dei ripensamenti,
vero?
Severus sorrise alla sua coscienza, a
quella parte di sé che spesso lo aveva tirato fuori dal baratro in cui era
caduto molte volte e dove aveva rischiato di finire di nuovo quando aveva
sbattuto Hermione fuori dalla sua vita.
No. Non aveva alcun ripensamento.
Severus Snape aveva perso troppe
occasioni negli anni, per paura, per dovere, per un senso di colpa che lo aveva
reso immeritevole di ogni cosa bella, ma adesso era venuto il momento di
mantenere la stretta su quella, di occasione, quella che gli era entrata d’improvviso
in una stanza d'ospedale.
E stavolta non l'avrebbe lasciata andare.
Sorrise nuovamente, Severus, sorrise a
lei, a se stesso, alla sua nuova vita e all'amore, un brindisi inebriante sulle
labbra che mai aveva fatto, un dipinto che mai gli aveva colorato il viso.
Non in quel modo e non con quel valore.
Il valore della vita stessa.
E adesso ce l'aveva a portata di mano, ce
l'aveva a pochi passi.
«Allora è qui che ti sei rintanato!»
quella voce l'avrebbe riconosciuta in qualsiasi luogo ed era così felice di
sentirla di nuovo, che un ampio sorriso proveniente dal profondo della sua
anima, gli disegnò le labbra, e l'avrebbe persino abbracciata se non fosse
stato un gesto non da Severus Snape.
«Già. Mi ero immerso per un attimo nel
passato rimasto legato a questa stanza.»
«E di cosa ti parla adesso questa stanza,
Severus?» gli chiese mentre si avvicinava a lui con passo ancora malfermo,
sorreggendosi ad un bastone sul cui manico era intarsiato un leone, e
quell'immagine lo fece ridere: tipica
spavalderia Grifondoro!
«Di ricordi. Di dolori. Di risate. E di
speranze» le rispose mentre l'aiutava a sedersi su quella sedia che anche lui
aveva occupato senza alcun diritto, ma nei suoi pensieri non c'era più alcuna
amarezza, perché ormai era finito il tempo per dolersi ancora di tutto ciò che
era successo, ormai era il momento di andare avanti e di guardare al futuro con
un sorriso sulle labbra.
«Come stai, Minerva?»
«Oh, beh, sono sempre un Grifondoro
tosto. Ci vuole ben altro per mettermi al tappeto!» e rise appena mentre lo
guardava con quello sguardo materno che sempre gli aveva riempito il cuore e
che nei giorni in cui si era impadronito di quella stessa stanza, avrebbe
voluto ricevere, anche solo per pochi secondi, anche solo per un istante, uno
soltanto, accennato mentre di nascosto guardava il quadro che ritraeva
Dumbledore: unicamente una tavolozza di colori di un mago che non c'era più.
«Sono felice che tu stia bene. Non avrei
sopportato anche la tua...»
«Andiamo, Severus, non è successo niente,
si è tutto risolto per il meglio. Io sto bene, tu sei finalmente felice e
innamorato: non potrei chiedere nulla di più.»
Snape le sorrise e senza dirle una parola
le strinse le mani tra le sue, carezzandole appena, carezzando quella pelle che
raccontava degli anni che erano passati e di tutte le battaglie che aveva
vinto; le sfiorò lentamente ogni singola vena e ruga con i polpastrelli, come
se volesse infondergli tutto il suo calore, come se volesse con quei gesti
dirle tutto ciò che non aveva mai avuto il coraggio di dirle apertamente.
«Minerva, io...»
«Severus, è tutto a posto, non devi dire
niente.»
«No. Non questa volta. Minerva, io non ti
ho mai realmente detto quanto tu sia stata importante per me in tutti questi
anni» e continuava ancora a stringere forte le sue mani. «Non ti ho mai detto
che per me sei stata una madre, la madre che non ho mai avuto. La mia famiglia.
Un punto di riferimento fondamentale della mia vita.»
Minerva si alzò a fatica dalla sedia,
sorretta dalle forti braccia di Snape e iniziò a piangere, a piangere forte, ma
il suo non era un pianto di dolore, erano lacrime di gioia e di felicità,
perché ascoltare quelle parole da Severus, erano per lei il più prezioso dei
doni che la vita le aveva concesso.
Poche parole che per lei erano il valore
della vita stessa, e lo furono ancora di più quando Severus, inaspettatamente,
la strinse a sé, in un forte abbraccio che aveva il sapore di tutta la loro
esistenza, di tutto quello che non si erano mai detti; e di quei sentimenti
contrastanti che avevano avvolto l'anziana strega in quegli interminabili mesi
in cui aveva dovuto guardare giorno dopo giorno l'uccisore di Albus, l'uomo che
li aveva ingannati tutti, l'uomo che aveva odiato profondamente nelle notti in
cui non riusciva a darsi alcuna spiegazione.
«Pensandoci bene, però, c'è qualcos’altro
che potrei chiederti.»
«Sarebbe?»
«Potresti far ballare questa vecchia
scopa» parlò scostandosi appena dal petto di Snape che rise a quelle parole,
rise serenamente a quel presente che lo stava aspettando.
«Sarà per me un vero onore» le rispose, e
Minerva pianse tra le braccia di Severus mentre un sorriso le piegava le
labbra.
Pianse felice nell'abbraccio di quel
figlio che non aveva mai avuto.
***
La festa andava avanti in tutta
tranquillità, la Sala Grande ospitava tutti gli studenti e gli insegnanti che
erano rimasti a scuola per le vacanze di Natale, ma c'erano anche tante altre
persone che si erano riunite in quel luogo che rappresentava il calore di una
famiglia per molti di loro.
Hogwarts era stata ed era una casa
per tutte le persone che in quel momento si trovavano tra le sue mura, tra
quell'abbraccio di pietra che nonostante tutto li aveva sempre protetti.
Severus camminava tra i maghi e le
streghe, stranamente sereno per quegli sguardi che riceveva e per quella festa
dalla quale in un tempo lontano si sarebbe defilato in silenzio e nell'ombra,
ma non in quel momento.
Non in quel presente.
Molti lo guardavano con ammirazione,
altri invece avevano sul volto ancora qualche traccia di reticenza, ma lui
avanzava incurante di ogni occhiata, perché gli sguardi che realmente lo
interessavano erano pochi, ed erano ciò che realmente aveva importanza nella
sua vita.
Hermione era là, sorridente a parlare con
i suoi amici, con quelli che erano diventati la sua famiglia da tanto tempo – e
anche la tua –, felice come non la vedeva da giorni, da prima che tutto gli
scivolasse nuovamente dalle mani.
Ed era stata di nuovo colpa sua, colpa
delle sue paure e della sua stupida ostinazione che lo aveva portato a credere
per anni di non meritare nient'altro che sofferenza e solitudine.
Invece, adesso, era tutto diverso.
Lui era diverso.
E aveva lei. Lei che sorrideva e aveva
permesso a lui di sorridere, sorridere alla vita.
Afferrò un calice di vino continuando ad
avanzare verso il fondo della sala, là dove per anni era stato seduto al lungo
tavolo degli insegnanti, come se fosse uno di loro, come se non fosse una
bambola di pezza manovrata da due diversi padroni.
Adesso, però, aveva tranciato quei fili, ed
erano spariti, e non c'era nient'altro che la sua volontà in ogni passo che
compiva su quella terra che lo aveva reclamato a lungo, che lo aveva reso un
dormiente per sette lunghi anni.
Mandò giù un sorso di vino, lentamente,
mentre guardava Hermione tra tutti gli altri, mentre la osservava voltarsi
verso di lui e sorridergli con quelle labbra che voleva assaporare ogni giorno
e ogni notte, e anche in quel momento avrebbe voluto assaporarle, baciarle e
morderle con tutta la passione che aveva dentro.
La giovane strega gli si avvicinò e gli
chiese dov'era stato fino a quel momento.
«Nell'ufficio di Dumbledore a parlare con
Minerva.»
«Va tutto bene?» gli domandò
preoccupandosi e ben sapendo cosa significasse ancora quel luogo per lui;
d'altronde gli ultimi passi nel Castello li aveva compiuti da omicida impostore,
per questo motivo non doveva essere facile per lui tornare lì, inspirare quella
stessa aria che aveva respirato a lungo nel buio della sua stessa esistenza.
«Tutto bene. Adesso va tutto bene» e le
sorrise, serenamente, sfiorandole il viso con le dita.
«Bene. Molto bene. Devo dirti una cosa.»
Si era ripresa, Hermione, si era ripresa
come se quegli ultimi giorni non fossero mai esistiti, come se quella mattina
di novembre fosse nient'altro che una fotografia sbiadita, poggiata sul fuoco a
bruciare.
E lei era rimasta ad osservare le
immagini del loro amore ardere sulle fiamme, guardare senza poter fare nulla,
senza poter allungare le mani su tutto quello che gli stava scivolando via; su
quegli occhi neri che le erano svaniti davanti al viso.
In quel momento, però, gli occhi neri di
Severus erano di nuovo davanti a lei, sfumati di una felicità che forse non gli
aveva mai visto addosso.
Camminarono verso un angolo in disparte
per poter parlare in tutta tranquillità senza correre il rischio di essere
ascoltati da tutti gli avventori della Sala Grande.
«Abbiamo un piccolo problema» gli disse
mentre si torturava il vestito, nero come lo sguardo del mago che le era di
fronte e la guardava sorridente, con un sorriso strano, che, ammise Hermione,
nascondeva una certa sfumatura di malizia.
«Sarebbe?»
«Beh, ecco...» il suo guardare insistente
quel vestito che non la copriva poi molto, la rese irrequieta, e quelle parole
facevano fatica ad uscire.
«Allora?»
«È successo tutto così in fretta ed io
non è che prima di te avessi avuto una vita...»
«Una vita?» la invitò a continuare con
sguardo curioso.
«Una vita sessuale attiva,» ma Hermione
parlò così piano che Severus non aveva capito una parola.
«Puoi ripetere?»
«E dai che hai capito.»
«Se tu parli con un tono di voce così
poco udibile, mi è davvero difficile comprenderti, a meno che non diventi un
pipistrello capace di captare gli ultrasuoni.» Snape si bloccò alzando entrambe
le sopracciglia. «E non ti conviene fare alcuna battuta in proposito.»
Ad Hermione venne da ridere, ma cercò di
darsi un contegno per non rischiare di finire affatturata da qualche parte nel
Castello.
«Quindi, se gentilmente potresti ripetere
ciò che hai detto, te ne sarei grato.»
«Ho detto: “vita sessuale attiva”! Hai
capito, adesso?» ma Hermione stavolta aveva parlato con un tono di voce troppo
alto che fece voltare tutti.
«Temo che adesso abbiano capito tutti» e
sorrise cercando di rimanere il più serio possibile. «Cosa c'è che non va nella
tua vita sessuale?» aggiunse piuttosto piccato, incrociando le braccia al petto
come se fosse un bambino capriccioso qualunque, e se non fosse stata una
situazione piuttosto seria, Hermione sarebbe di certo scoppiata a ridere.
«Io non ho detto che la mia vita... oh,
Merlino...» sospirò così a lungo da rimanere senza fiato. «Credo di essere
incinta.»
«Cosa?» anche stavolta la giovane strega
aveva parlato solo con se stessa.
«Sono incinta!»
«Ti è così difficile mantenere una conversazione
privata, “privata”?» le disse mentre tutti si erano voltati di nuovo a
guardarli con espressione piuttosto sbigottita. «Aspetta un attimo. Che cosa
hai detto?»
«Io... mi dispiace. È successo, non so
come. Cioè, lo so come, ma è stato tutto così... così veloce ed io non ho
pensato minimamente a ciò che sarebbe potuto succedere. Agli inconvenienti.
Avrei dovuto prendere delle precauzioni.»
«Hai finito?»
Ma Hermione neppure lo stava ascoltando e
continuò a parlare. «Sono stata così stupida e inesperta, e tu... mi dispiace,
davvero.»
«Hermione la smetti di parlare?»
«Non avrei dovuto metterti in questa
situazione. Mi dispiace.»
«Smettila!»
La giovane strega alzò a fatica gli occhi
da terra, anche se non aveva il coraggio di guardarlo in viso, e bloccò la
vista sul suo petto: era stata davvero un'incosciente e adesso aveva davvero
paura delle conseguenze. L'avrebbe allontanata di nuovo?
Severus Snape rimase in silenzio,
guardandola con un sorriso sulle labbra che lei non riusciva a vedere, e in un
attimo la strinse a sé, con forza e con amore. Con tutto l'amore di cui era
capace.
«Ci saranno davvero degli Snape alla
conquista – e distruzione – del mondo! Insieme ai Potter.» alcune lacrime di
felicità gli scesero sul volto mentre non riusciva a smettere di ridere, e non
gli importava che tutti lo stessero guardando, non più, ormai. Avrebbero potuto
dire o pensare ciò che volevano e potevano anche fissarlo mentre piangeva
stringendo tra le braccia la donna che lo aveva riportato alla vita.
«Cosa?»
«Lo avevo detto ad Harry sulla tomba di
Dumbledore.»
«Sarà anche un o una
Granger, sai?»
«E di questo ho già paura!»
Risero entrambi mentre erano ancora
stretti l'una nell'altro, e il mondo intorno a loro aveva smesso di muoversi e
di gridare, mentre una donna se ne stava appartata in un angolo a sorridere e
piangere nell'osservare quell'uomo; dopo tanto dolore e solitudine, era
riuscito ad abbracciare quell'amore e quella felicità che avevano il volto di
una giovane donna determinata e innamorata che gli aveva permesso di vivere per
la prima volta e veramente la sua vita, come mai aveva fatto.
E risero nel momento in cui la piccola
porzione di quel mondo levava alta i calici verso il cielo sopra di loro,
festeggiando quel Natale che stava accogliendo una nuova vita.
***
5 ottobre 2006
«Ciao, mamma. Ciao, papà.»
Il cimitero era deserto e silenzioso, e
la prima pioggia del giorno iniziava a cadere su quelle tombeche
resistevano a fatica alle intemperie del tempo.
Alcune di esse stavano inesorabilmente
crollando a terra, mentre altre sporgevano dal suolo come vecchie radici di
alberi ormai morti che la luce del sole non avrebbe risvegliato né l'acqua del
cielo li avrebbe più nutriti.
«Non sono mai venuto a trovarvi, è vero,
anche se molti direbbero che non posso essere biasimato per questo, ma io so
che non è così. È un'altra delle mie mancanze che ho accumulato nella vita,
un'altra colpa di cui è costellata la mia esistenza.»
Guardava le lapidi piegate e sporche con
uno sguardo che non nascondeva alcuna nostalgia, perché non c'era rimpianto in
quel passato, nessuna malinconia legata a ciò che erano stati per lui quella
madre e padre custoditi dalla terra, che non era mai riuscito a chiamare con
serenità in quel modo.
Alla parola “padre” aveva sempre
associato il viso di Dumbledore, e lo avrebbe fatto anche allora, in piedi davanti
a quelle tombe, e persino alla parola “madre” non era mai riuscito a vedere a
lungo il volto di Eileen così simile al suo: era un'immagine che durava il
tempo di un istante perché quel viso veniva in un attimo soppiantato dal
sorriso e dagli occhi di Minerva.
Era una reazione inconscia che non poteva
controllare.
«Ma non sono qui a chiedervi perdono, no.
Forse perché siete voi che per primi dovreste chiedermi scusa, ma non importa
neppure questo. Il mio perdono lo avete ottenuto da tempo, anche se non sono
persona che può arrogarsi il diritto di concederlo o no. Io non l'ho meritato
per lungo tempo e ancora penso di non meritarlo per molte cose che ho fatto
nella vita.»
Osservava immobile l'ultima dimora dei
loro genitori, osservava come mai aveva fatto in tutti quegli anni, troppo tormento
intriso in quelle pietre dove non c'era il frammento di una luce, di un ricordo
piacevole come quelli che lo colpivano quando andava a trovare Lily o si fermava
alla tomba di Dumbledore.
«Adesso, però, è tutto diverso. Adesso
c'è lei. Adesso ci sono loro» un cenno di pianto interruppe Snape che sorrise,
sorrise tranquillo, mentre si voltò appena a guardare la giovane donna che lo
stava aspettando all'ombra di un albero.
«Lei è Sarah,» e delle manine si
agitarono appena tra le braccia di Severus. «È ciò per cui è servita la mia
vita, è il dono di tutti questi anni di dolore e solitudine, è il motivo per
cui sono ancora qui. Per cui ho sopportato innumerevoli sofferenze.»
Strinse a sé quella piccola vita, la
strinse e la avvicinò al suo viso per darle un delicato bacio sulla fronte,
come aveva fatto tante volte fin da quando era nata e l'aveva stretta tra le
braccia timoroso sentendosi inadatto per quel ruolo; era bastato vedere quelle
piccole dita agitarsi appena per cancellare ogni paura, era bastato guardare
gli occhi ancora chiusi di sua figlia per dissipare ogni briciolo di buio
rimasto nella sua anima.
«È il valore della vita stessa.»
Severus s’inginocchiò sulla terra bagnata
dalla pioggia per sfiorare quelle lettere che erano ciò che rimaneva dei suoi
genitori, il loro ricordo e quel poco di bello che gli era rimasto nel cuore.
Stette per alcuni minuti immobile ad
osservare la loro tomba mentre stringeva sua figlia tra le braccia, assonnata
nel tepore del suo abbraccio, rimase lì mentre alcune rose che sua madre tanto
amava, si stavano aprendo, rosso su quella pietra sporca.
La pioggia sembrava voler dare un po' di
tregua quando Snape si alzò e in silenzio si allontanò dai suoi genitori, e
smise di cadere mentre camminava verso Hermione che lo attendeva poco lontano
con un tenero sorriso sulle labbra.
Si allontanarono da quel luogo chiudendo
i conti con quell'ultimo passato che gli era rimasto dentro, con le ultime
ombre della sua vita e si allontanò, con sua figlia stretta nel suo abbraccio e
le dita della donna che amava legate alle sue: un intreccio che non era solo di
carne, ma di corpo e anima e dell'essenza delle loro vite che come un fiume in
piena li aveva travolti entrambi.
«Ti amo, Hermione» le disse mentre la
piccola Sarah allungava le braccia per afferrargli i lunghi capelli neri.
«Ti amo anch’io, Severus» e lo baciò, con
quella stessa passione che aveva provato la prima volta che aveva posto le
labbra su quelle del mago, e lo baciava ancora quando sua figlia iniziò ad
agitarsi e a piangere.
«Amiamo anche te, Sarah, stai tranquilla.
Mamma e papà ti amano tanto e ti ameranno per sempre» e sorrisero quando si
calmò sfregandosi distrattamente gli occhi, quello sguardo del tutto identico a
quello del mago.
Era stato per sette lunghi anni
addormentato in un letto d’ospedale mentre, senza saperlo, una giovane strega
si era presa cura di lui, giorno dopo giorno e notte dopo notte.
Adesso erano lì, in quell’intimo
abbraccio che li legava l’uno all’altra con il frutto dei loro più profondi
sentimenti tra le mani, stringendo tra le loro anime quell’anno che lungo e
difficile li aveva portati a scoprire finalmente l’amore.
Perché quando due persone sono destinate
ad appartenersi, è sufficiente poco tempo per innamorarsi, per amarsi
veramente, e a loro erano bastati dodici meravigliosi e intensi mesi.