Un anno per amare

di Cheonefer86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Soltanto un augurio ***
Capitolo 2: *** È così sbagliato amarlo? ***
Capitolo 3: *** Un sogno diventato incubo ***
Capitolo 4: *** Madre e figlio ***
Capitolo 5: *** Il mondo che va avanti ***
Capitolo 6: *** Una coppia di vecchi sposi ***
Capitolo 7: *** Così, all'improvviso ***
Capitolo 8: *** Il regalo più importante ***
Capitolo 9: *** Mi prendo cura di te ***
Capitolo 10: *** Passato e futuro ***
Capitolo 11: *** Si può perdere di nuovo tutto ***
Capitolo 12: *** Dialoghi persi nell'Est ***
Capitolo 13: *** Verrò a salvarti ***
Capitolo 14: *** Il valore della vita stessa ***



Capitolo 1
*** Soltanto un augurio ***


1 – Soltanto un augurio

Dunque, perché ti vai ad impelagare in altro, quando hai mille cose da fare? Bella domanda XD
Quel che è fatto è fatto, l'ho iniziata mesi fa e mi sembrava il caso di non attendere oltre...


Comunque questa non è una vera e propria long-fic, ma non è neppure una raccolta di one-shot, diciamo che è una via di mezzo, dodici storie per dodici mesi dell’anno per riuscire a riportare un po’ di speranza e di amore nel cuore di marmo di Severus Snape.

Siamo tutti con te, Hermione! :D


Spero, buona lettura ;)

E come sempre, per qualsiasi cosa, commenti, pensieri, critiche costruttive e quant’altro vi viene in mente, non esitate a scrivermelo ;)

 

 

1 – Soltanto un augurio

 

9 gennaio 2005

 

Hermione Jean Granger stava curando alcune rose nel giardino fuori l’ospedale, non sapeva perché avesse preso quell’abitudine, quella notte di tanti anni prima qualcosa l’aveva attirata verso quei fiori così delicati e profumati, forse era stata la luna che con la sua luce, come quella che c’era quella sera, gli aveva donato un’aura particolare che l’aveva incantata.

Osservava dei piccoli boccioli bianchi sporcati da alcuni tratti di un rosso così intenso che per un attimo le parve sangue, lacrime porpora che scendevano dal suo viso ormai da parecchio tempo, lacrime che le ricordavano quando, finita la battaglia di Hogwarts, lo avevano trovato ancora vivo ma agonizzante sul pavimento ricoperto di sangue. Sorridente perché finalmente sarebbe tornato a guardare il viso della sua Lily.

Ormai erano passati alcuni anni e il suo corpo giaceva ancora inerme sul candido letto, immutato, come se il tempo in quella stanza non fosse passato, come se la guerra fosse finita da neppure un giorno.

Hermione invece era cresciuta, si era fatta donna, più dura e spigolosa che mai, – Ron le diceva sempre che era la vicinanza con quell’uomo ad averla resa tale, e lei lo guardava male ogni volta – ma riusciva ancora a sorridere, mentre gli parlava nei suoi momenti liberi, sorrideva immaginando le parole che probabilmente le avrebbe rivolto o gli incantesimi che le avrebbe lanciato, se l’avesse vista pulirlo con cura o se l’avesse sentita leggergli dei libri, come se fosse la madre di un bambino da mettere a letto al quale avrebbe raccontato una storia.

Forse la storia di quella guerra finita ormai da anni.

Hermione colse una rosa, bianca, dallo stelo forte, sapeva che erano state incantate affinché un nuovo bocciolo spuntasse al posto di quello reciso.

Ormai quello era diventato un rituale, ogni anno si riprometteva che avrebbe coltivato da sé la sua rosa, e ogni anno puntualmente finiva davanti a quel cespuglio a prenderne una in prestito – “rubare” sarebbe stato più corretto da dire, visto che non avrebbe restituito un bel niente, per questo erano state incantate – col suo lavoro e i suoi studi riusciva a malapena a respirare, e il suo tempo libero lo passava per la maggior parte in quella stanza così bianca da accecare la vista.

Ginny e Luna avevano provato a farla vivere un po’, ma lei era irremovibile, neppure Harry o Ron erano riusciti a strapparla da quella sedia anonima, diceva che era il minimo che potesse fare per lui che aveva fatto così tanto per loro. Fortunatamente aveva il suo lavoro che ogni tanto la distraeva.

«Buongiorno, professore,» disse non appena entrò in quella camera del quarto piano che avevano riservato soltanto per lui, ma, come sempre, non ricevette risposta.

Quella, però, era una notte particolare, ed Hermione non poteva fare a meno di sorridere, nonostante non fosse la situazione ideale per farlo, ma non riusciva a tenere ferme le labbra, soprattutto se iniziava ad immaginarsi ogni possibile singola reazione del mago disteso sulle candide lenzuola che coprivano il suo respiro regolare senza ovattarlo.

Un rintocco non troppo lontano ruppe quel silenzio, ed Hermione si ritrovò nuovamente a sorridere, un sorriso più ampio, luminoso, come se volesse con quello dissipare ogni ombra nell’anima del mago, ma sapeva che non sarebbe bastato.

«Buon compleanno, professore!»

Si avvicinò al letto per guardarlo meglio e non resistette alla tentazione di toccare, di nuovo, la pelle del suo viso, era così delicata e fredda che non riuscì a trattenere una lacrima che cadde sulle sue labbra. La guardò scivolare lenta e fermarsi in una goccia salata che riluceva sotto i bagliori della luna che entravano esigui dalla finestra.

Non sapeva affermare con certezza quale motivo l’avesse spinta ad avvicinare la bocca alla sua e assaporare quella lacrima che in quel frangente conteneva una parte dell’essenza del mago.

Posò la rosa in un piccolo vaso sul comodino vicino al letto, prese la bacchetta e in un sussurro trasformò quei tratti rossi in sfumature nere che nella notte incastonavano il bianco dei petali, reso più lucente da quei pochi raggi splendenti della luna.

«Adesso è più da lei.»

«Sono commosso da un tale slancio d’affetto. Una rosa bianca e nera, per me? Che regalo originale. Sì, sono davvero commosso» e avresti alzato entrambe le sopracciglia per questo. Anche un finto sorriso non sarebbe male, sai?

«Sa, professore, potrebbe dimostrarsi un tantino più gentile, e abbandonare per un attimo acidità e sarcasmo» nuovamente non ci fu alcun movimento e nessuno rispose.

Il Medimago che si occupava di lui, le aveva detto che ormai il veleno era debellato da tempo e la ferita del tutto guarita, il suo corpo perfettamente sano, ma per qualche ragione a lui sconosciuta non si svegliava, era come se non volesse farlo, ed Hermione sapeva esattamente quale fosse il motivo.

Guardando il corpo del mago attaccato a quelle macchine che risuonavano nella stanza al ritmo del suo cuore, si ricordò del lungo processo che gli era stato fatto senza che lui potesse partecipare ad una sola udienza, si ricordò della difesa accorata che aveva fatto con Harry, il più combattivo di tutti, persino Minerva disperata per non avergli mai dato quella fiducia che era primaria per Dumbledore, aveva fatto un’arringa difensiva dietro l’altra, ed era pronta a Schiantare chiunque avesse affermato il contrario.

Dopo mesi e mesi passati a dibattere era stato assolto dalle accuse che gli erano state mosse.

Ancora, però, si ritrova immobile in quel letto con nessuna intenzione di svegliarsi.

«Lo sa che la vengono tutti a trovare? Sono poche le ore che passa in solitudine.» Doveva essere come morto per non essere più solo, che strana ironia aveva a volte la vita.

«Perfetto, adesso sono diventato una reliquia da adorare. Venite a toccare il grosso naso della reliquia, si dice che porti fortuna! In tutti questi anni dovrebbe essersi consumato» dovresti controllare.

Hermione Jean Granger, seduta vicino al letto che ospitava il corpo del mago ormai in coma da anni, iniziò a ridere forte e in maniera poco signorile, non riuscendo a trattenersi.

Severus Snape aveva le braccia inermi distese lungo i fianchi, pallide come se fossero quelle di un morto, il petto si alzava e abbassava regolarmente, c’era vita in lui, ma, nell’immobilità, sembrava non essere intenzionato ad afferrarla.

Quanto poteva dire di conoscere Severus?

Fino a qualche anno fa non avrebbe saputo cosa rispondere con esattezza, invece adesso avrebbe potuto fermarsi a riflettere per articolare una risposta sensata, ormai conosceva la sua storia attraverso i ricordi di Harry, le sue parole e i numerosi fatti emersi durante il processo.

Poteva dire di sapere ogni cosa della vita di Severus, ma quello non le avrebbe permesso di entrare nella sua anima, sperava di riuscirci giorno dopo giorno passato in quella stanza, per provare a riportarlo indietro.

Vedeva il suo viso rilassato, sulle labbra anche l’ombra di un sorriso, sembrava così in quiete che la differenza era del tutto evidente persino a chi, come lei, non si era mai accorta di tutta la sofferenza celata dietro quegli occhi neri adesso nascosti al mondo.

Aveva capito che i suoi sentimenti nei confronti di Snape erano cambiati una sera di tanti anni prima sotto una luna così simile a quella che poteva vedere appena da quella finestra, una sera in cui, nel buio dei corridoi, si erano parlati per un attimo come se non ci fosse alcun confine tra di loro, come se fossero soltanto due persone alla pari.

Era stato un attimo, e a lei era bastato, un attimo che lui non avrebbe mai ricordato, troppo stanco e sofferente quella sera che avrebbe parlato con chiunque, e ora doveva fare i conti con quell’istante rinchiuso nel suo cuore insieme a quei sentimenti che le avrebbero fatto compagnia per il resto dei suoi giorni.

Era destinata ad amare l’ombra di ciò che restava di un uomo.

«Io l’avverto, professore, domani, o meglio oggi, vista l’ora, il Ministero è deciso a festeggiare il suo compleanno per celebrare l’eroe che ha maggiormente contribuito a sconfiggere Voldemort. Non credo che gradirà questa ridicola festa, quindi le consiglio di svegliarsi e nascondersi da qualche parte.»

Severus Snape continuava quel sonno calmo e profondo che durava da anni, e vedendolo così in pace con se stesso nessuno avrebbe avuto il diritto di ridestarlo.

«Meraviglioso! Dopo essere diventato una reliquia, adesso mi aspetta anche la festa del patrono» si approfittano del fatto che non puoi muoverti.

O non vuoi?

«Se potessi, la porterei via di qui, almeno per risparmiarle questa idiozia. Abbiamo provato io, Harry e la professoressa McGonagall a far desistere il Ministero, persino Luna e Neville, la famiglia Weasley compreso Ron che è sempre stato abbastanza riluttante nei suoi confronti. Anche Draco ha espresso tutto il suo odio al Ministero per questa idea piuttosto infelice, ma lui è stato irremovibile, ha detto che è necessario per tutti rendere gloria agli eroi che hanno sacrificato se stessi per la pace.»

Le gocce di un fluido chiaro scendevano lente da una sacca fino ad un piccolo tubo trasparente che arrivava al braccio di Snape: era l’unico nutrimento che lo teneva ancora in forze, per quante ne avesse bisogno un uomo disteso su un letto ormai da anni.

Hermione si rese conto che avrebbe voluto essere il suo nutrimento, della sua vita, della sua anima. Del suo cuore.

Sospirò.

«Io non parteciperò ad una cosa così ridicola. Se me lo chiedesse, però, potrei rimanere qui con lei e non permettere a nessuno di avvicinarsi.»

«Rimani qui con me» non posso credere tu le abbia detto quelle parole con un sorriso sulle labbra, anche se ruvido.

«Taci! Hai sentito male.»

«Lei, però, non me lo chiederà mai.» Sorrise amaramente verso il mago immobile su quel letto.

Quel ticchettio ormai le era familiare, era un amico fidato col quale condividere quelle ore, quell’attesa di un nulla che non si sarebbe mai realizzato, ciò che la spaventava era non sentire più quel rumore perché avrebbe significato la fine di ogni speranza, e lei voleva continuare a rimanere attaccata a quell’unico barlume come lo era Severus alle macchine.

«Mamma, secondo te come nasce l’amore?» aveva chiesto Hermione a sua madre un giorno che le sembrava un’eternità fa, prima di cancellarle dalla memoria l’esistenza di una figlia.

«L’amore nasce per caso, non ti avverte, basta uno sguardo, una parola, un gesto. Basta una piccola scintilla e un po’ di vento, e divampa come un incendio» le aveva risposto guardandola come una figlia per l’ultima volta.

A lei erano bastate poche parole, labbra appena incurvate e una luna che non poteva vedere per far accendere quel fuoco, e dopo tutti quegli anni non era ancora riuscita a spegnerlo e ogni volta che entrava in quella stanza, aumentava la sua convinzione che nulla lo avrebbe fermato.

Avrebbe dovuto convivere per sempre con quel calore che le bruciava in petto.

Hermione avvicinò una mano al viso di Snape per spostargli una ciocca dalla fronte, la sua pelle era così fredda nonostante la stanza fosse adeguatamente riscaldata. Posò le dita sulle sopracciglia che gli aveva visto tante volte alzare, e probabilmente lo avrebbe fatto anche ora se avesse assistito a quel gesto, o forse, più probabilmente, l’avrebbe Schiantata all’istante, pensò Hermione con un sorriso sulle labbra.

Accarezzò entrambe le palpebre che celavano i suoi occhi.

«Darei la mia vita pur di rivedere i suoi occhi» il suo era un flebile sussurro, ma non l’avrebbe sentita neppure se avesse urlato.

«Questo si chiama… al momento mi sfugge come si chiama, ma di sicuro c’è una qualche legge che vieta a qualcuno di toccare qualcun altro senza il suo permesso.»

«Forse mi considererebbe una pazza, e forse lo farebbero tutti se solo sapessero,» ma ormai le era chiaro che tutti erano a conoscenza dei suoi sentimenti, come poteva essere altrimenti, non si va al capezzale di un uomo tutti i giorni per sette anni se non si prova qualcosa per lui, non era soltanto la sua indole da futura Medimaga, ormai lo avevano capito tutti, anche se cercava di tenere nascosto ciò che provava.

Voleva toccargli le labbra, imprimere nella memoria ogni tratto di quella bocca, come se fosse l’ultima volta che l’avrebbe vista, ma non osava farlo, le sembrava quasi di violarlo in qualche modo, avrebbe voluto farlo mentre erano dischiuse e il suo respiro caldo le avrebbe sfiorato le dita, ma erano immobili e probabilmente non si sarebbero mosse mai più.

Si mise seduta nuovamente e prese la rosa tra le dita, quella rosa che poco prima aveva incantato per poterle ricordare Severus, il suo volto diafano incorniciato dai lunghi capelli neri che adesso erano sparsi sul cuscino, quel bianco sporcato dal nero dei suoi occhi così profondi e tristi.

Quegli occhi che non avrebbe mai più rivisto.

Lei però continuava a sperare che un giorno avrebbe nuovamente rivolto lo sguardo al mondo, anche se era ben consapevole che non l’avrebbe vista come lei avrebbe voluto essere guardata.

Si chiese come fosse avere il suo sguardo innamorato su di sé.

«Come ha fatto Lily a non accorgersi mai dei suoi sentimenti?» il ticchettio di quel liquido denso continuava lento. «Lei però avrebbe anche potuto dichiararsi, magari regalarle delle rose. Perché non l’ha mai fatto?» sapeva che nessuno avrebbe risposto a quella domanda, tantomeno l’uomo disteso da sette anni di cui ricordava una vago sorriso regalato a Dumbledore, a quel padre mai avuto e poi gettato nell’abisso.

«Io mi dichiarerei se solo si svegliasse» Hermione continuava a rigirarsi la rosa tra le dita, una gioia appena celata sulle labbra, la osservava con attenzione, ogni petalo, ogni sfumatura, toccava ogni foglia ruvida e delicata, quel profumo era inebriante.

Il fiore era immobile tra le sue dita, come Severus su quel letto, e desiderava solo stringere il suo corpo. Vivo.

 

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Capitolo 2
*** È così sbagliato amarlo? ***


2 – È così sbagliato amarlo

Vorrei ringraziare infinitamente tutti quelli che hanno messo questa storia tra le seguite/ricordate/preferite e chi ha lasciato una recensione, siete fantastici, dal primo all’ultimo, davvero *-*

Vi lascio alla seconda storia e come sempre, per qualsiasi cosa, non esitate a dirmelo ;)

Spero (ci spero sempre, mica è detto che lo sia), buona lettura! ^^

 

 

2 – È così sbagliato amarlo?

 

14 febbraio 2005

 

Hermione Granger da qualche anno odiava San Valentino, forse perché la persona con la quale avrebbe voluto festeggiarlo giaceva inerme in un letto di ospedale, ma forse, e soprattutto, perché con gli anni aveva capito che l’amore andava festeggiato ogni giorno della vita, le bastava guardare Harry e Ginny per comprenderlo.

Ovviamente sarebbe stata un’ipocrita se non avesse ammesso di desiderare in cuor suo una normale giornata di San Valentino passata come una normale coppia.

Era ben consapevole però che questo non sarebbe mai successo, e accettare gli inviti dei suoi corteggiatori era come ingannare il suo cuore, e questo non lo avrebbe mai permesso, cosciente che il suo amore non sarebbe mai potuto sbocciare, ma non avrebbe mai tradito i suoi sentimenti, per quanto complicati fossero.

Rassegnata, camminava lungo il corridoio che la separava da quella stanza, incurante degli strani sguardi che da un po’ di tempo riceveva e di quelle lettere che stringeva tra le dita, non sapendo bene per quale motivo non le avesse ancora buttate, forse perché erano piuttosto divertenti e una, addirittura, l’aveva colpita dritta al cuore: era la dichiarazione d’amore di un bambino che aveva medicato mesi fa.

Quel giorno aveva deciso di nascondersi nell’unico luogo in cui quella stupida festa non sarebbe mai potuta entrare, ma non appena aprì la porta, non poté fare a meno di spalancare la bocca e gli occhi.

«Cos’è questa roba?» chiese alla prima infermiera che passò, con un tono abbastanza duro.

«Oh, io la trovo così deliziosa, signorina Granger

«Quello che lei trova delizioso è a dir poco patetico, ed è pregata di far togliere ogni cosa immediatamente!» Hermione non faceva un lungo sonno da tempo e la stanchezza la rendeva piuttosto suscettibile e incline a scatti d’ira – e del tutto simile all’uomo che giaceva inerme su quel letto –, e vedere tutti quei palloncini a forma di cuore, scatole di cioccolatini che di certo avrebbero mangiato gli infermieri – o Ron se fosse passato di lì – e cumuli di lettere cosparsi dai più improbabili profumi, non l’aiutava di certo.

«A me hanno detto solo di metterla nella stanza.»

«E chi gliel’avrebbe detto di fare una cosa così idiota? Sicuramente qualcuno che non ha nessuna idea di chi fosse Severus Snape! Faccia togliere tutto prima che getti ogni cosa dalla finestra, compresi lei e chi le ha dato il permesso!» in quel frangente le urla si potevano sentire da parecchie miglia di distanza, sicuramente furono avvertite in ogni piano del San Mungo.

«Va bene, ho capito, manderò qualcuno a togliere tutto» l’infermiera era visibilmente turbata, nonostante lei, come tutto il personale medico, fossero ormai abituati ai suoi scatti di rabbia che in quei giorni stavano raggiungendo il picco.

Severus Snape riposava ancora immobile su quel letto dalle lenzuola candide e sempre pulite, la sua condizione era immutata da tempo, semplicemente non voleva svegliarsi. Lo avrebbe preso a pugni se fosse stato cosciente, ogni volta che lo guardava, le si stringeva il cuore e si sentiva completamente impotente, svegliarsi sarebbe stato soltanto un suo volere, e lui non voleva.

Lo aspettavano tutti, lo avrebbero abbracciato tutti quelli che gli volevano bene, e a lui semplicemente non importava, se ne stava lì, fermo nel suo letto, accompagnato dal rumore del respiratore, da quel ticchettio che segnalava la vita che ancora batteva in lui e quelle gocce che scendevano lente, una dopo l’altra. Tutto questo la faceva arrabbiare.

«Mi dispiace, professore, se lo avessi saputo, avrei proibito a chiunque di portare questa roba. Sa, noi donne amiamo gli eroi, ma lei non ama tutto questo» indicò tutti quei regali con le mani, come se lui potesse vederli e scrutarli irritato uno a uno con i suoi meravigliosi occhi. Probabilmente avrebbe fatto saltare tutto in aria. «La capisco, sembra l’ufficio di Dolores Umbridge

«Dovrebbe esistere una legge che vieti questo slancio patetico di sentimenti. Se non c’è, dovrebbero farla!»

«So che lei odia San Valentino, e so anche il perché. Non la biasimo, in fondo è lo stesso motivo per cui lo odio anch’io. È piuttosto avvilente guardare tutte quelle coppiette felici, quando il nostro amore è del tutto irraggiungibile.»

«No, per pietà, un discorso sull’amore, proprio no, e poi tu che ne sai, ragazzina, di quello che si prova, e soprattutto, come fai a sapere il motivo che mi fa odiare questa stupida festa?»

«Deve essere stata dura amare Lily fino alla fine, difficile amare qualcuno che non ricambia i tuoi sentimenti prima, e un fantasma poi. Il mio non è ancora diventato un fantasma, ma non ho comunque speranza alcuna.»

«Fantastico! Quando andrò nell’aldilà, dovrò ricordarmi di infastidire il signor Potter e la sua lingua lunga. Perfetto, adesso la mia vita è di dominio pubblico» e come avresti sospirato decisamente seccato.

La rosa che gli aveva portato più di un mese fa era ancora lì, fresca e profumata come se fosse stata appena colta, vegliava il corpo di Severus giorno dopo giorno, notte dopo notte a guardare quel volto finalmente rilassato che sembrava sorridere.

«Purtroppo durante il processo non siamo riusciti a tenere fuori questioni private, abbiamo usato qualsiasi mezzo per farla scagionare, ma è stato tutto inutile visto che lei è ancora lì e non si decide a svegliarsi. È una condizione stupida la sua, se avesse voluto farla finita, avrebbe dovuto pensarci anni fa, lasciarsi semplicemente andare, non farne passare sette, non è giusto nei confronti di nessuno. Lei è uno che non si arrende mai, che lotta sempre, ma, per Merlino, sette dannatissimi anni!» Hermione sbatté con forza le lettere che ancora teneva in mano sul tavolo sotto la finestra, facendo cadere alcune scatole di cioccolatini, ne prese una e la scaraventò con rabbia addosso alla parete.

Si sentiva stanca, arrabbiata e frustrata, sarebbe voluta andare lontano, in un posto solitario, sotto una cascata che avrebbe voluto lavasse via i suoi pensieri, che togliesse quel dannato viso dalla testa.

Era consapevole, però, che nessuna magia avrebbe potuto estirpare quei sentimenti dal suo cuore, o forse sì? Sarebbe bastato un Oblivion?

Scacciò con prepotenza quelle riflessioni, per nessun motivo al mondo avrebbe eliminato il suo amore per Severus Snape, nonostante sapesse benissimo che ne avrebbe soltanto sofferto.

La giovane strega prese una di quelle lettere sparse sul letto e l’aprì, era curiosa di sapere cosa mai avessero potuto scrivergli, avrebbe pagato oro per vedere Severus tra tutta quella roba così rosa da dare sui nervi persino a lei. E in quel periodo non era di certo un bene aumentare il suo nervosismo.

«“Forse lei non si ricorda neppure di me, ma io sì, ogni centimetro di lei è ben impresso nella mia mente, ricordo ogni singolo fremito che mi procurava ogni volta che passava davanti ai miei occhi”» Hermione non riuscì a trattenere una risata, forte e profonda, come se non ridesse da secoli.

«Mrs. Irrequietezza, non ci trovo nulla da ridere. Piuttosto da piangere. E oltretutto esiste anche una legge che proibisce di violare l’altrui privacy. Prima o poi dovranno arrestarla per tutte queste infrazioni.»

La strega continuava a ridere, non sapeva esattamente il motivo, forse perché s’immaginava questa donna che sospirava seduta al tavolo di un locale di Diagon Alley, mentre Severus Snape passava, nero come la notte, incurante del mondo che lo circondava.

«Non posso avere delle ammiratrici?»

La risata di Hermione echeggiava per tutta la stanza, e continuava a fantasticare possibili scene tra Severus e una sua personalissima versione di Lavander Brown, forse gli avrebbe persino trovato un soprannome, “Sevvy-Sevvy” sembrava adatto. E rise ancora più forte.

«“Vorrei tanto venirti a trovare,”» continuò la strega «“ma quell’irascibile, scorbutica della tua guardia del corpo non ti molla un minuto”… COSA?»

Questa volta è il tuo turno di ridere, trattenendo a stento le lacrime.

«Irascibile e scorbutica, io? Come si permette! Chi è questa zotica che le faccio vedere io!»

Dai, Severus, continua a ridere, chissà che quest’allegria riesca finalmente a svegliarti da questo torpore.

Gli occhi neri di Severus Snape erano ancora chiusi e il suo corpo immobile, come se fosse stato congelato da un incantesimo che lo rendeva immutabile nel tempo, come se in quella stanza non ci fosse nient’altro che lui. C’erano dei momenti in cui Hermione aveva la sensazione che tutto intorno a lei sparisse, lasciandola sola con Severus in un luogo senza pareti che si espandeva all’infinito, di un bianco che accecava la vista, un bianco che metteva in risalto quelle iridi così profonde. Sarebbe voluta rimanere in quel posto per sempre, con il suo viso e i suoi occhi luminosi, con il suo sorriso che sarebbe stato soltanto per lei.

Hermione accartocciò con rabbia la lettera e la gettò a terra poco lontano, se l’autrice di quelle parole si fosse presentata davanti, l’avrebbe di certo incenerita, e le sarebbe bastato lo sguardo.

«Hermione, quand’è che ti riposi un po’?»

Ginny era in piedi sulla porta, poggiata allo stipite a osservare la sua amica intenta a maltrattare della carta, per un attimo il suo sguardo si fermò sul corpo immobile di quello che era stato per anni il suo insegnante di Pozioni.

I suoi sentimenti verso quell’uomo erano contrastanti, sapeva tutto ciò che aveva fatto per Harry e per tutti loro, e sapeva quanto suo marito lo stimasse, ma vedere la sua amica in quello stato da anni, la faceva infuriare, e ultimamente andava peggiorando, le sue urla le aveva sentite dal cortile dell’ospedale e le sue occhiaie, unite all’umore, erano l’inequivocabile segno che aveva bisogno di riposo, di staccarsi da tutto quello, altrimenti sarebbe crollata.

Di questo passo l’avrebbe vista distesa su un letto, inerte, la copia di Severus Snape.

Forse era proprio quello che voleva, si chiese.

«Hermione dovresti dormire. Staccare un po’ la spina. Non credo che Snape vada da qualche parte.»

«Cos’è che fa credere a tutti che io abbia bisogno di riposo? Sono riposata! Sto bene!»

«Ti senti quando parli? Questa non è la Hermione che sta bene. È tutta colpa sua!» e indicò il corpo steso sul letto.

Hermione spalancò gli occhi per la sorpresa di quell’esclamazione di cui non capiva bene il significato.

«Cosa c’entra Severus

«Sì, appunto, cosa c’entro io. Anche da semi-morto devo prendermi le colpe di tutti? E poi, tra l’altro, chi è che le ha concesso il permesso di chiamarmi per nome?»

«Severus? Lo chiami Severus adesso?

«È il suo nome, come dovrei chiamarlo? Harry non lo chiami di certo signor Potter.»

«Harry è mio marito, Hermione

«Beh, Severus era il nostro insegnante, ha salvato Harry, ha salvato tutti noi, ed è…»

«È cosa, Hermione

La giovane Granger rimase in silenzio a osservare l’amica, non sapendo cosa risponderle, in fondo cos’era per lei Severus Snape? Sapeva di esserne innamorata, di questo era assolutamente certa, ma per lei in quel momento era soltanto un corpo immobile in un letto da sette anni, amava il ricordo del mago che era stato e che ormai non c’era più.

Era inutile prendersi in giro: non si sarebbe svegliato mai più.

«Dai, Hermione, dillo che sei innamorata di lui e lo sei da tempo. Ammettilo!»

«Qualcuno mi risparmi le confessioni lacrimevoli di due giovani donne. Spero che questa stanza non diventi un ritrovo dove rifarsi le unghie.»

Forse potresti prendere in considerazione l’idea di svegliarti e andartene da qui.

«Aspetta un momento, di chi è innamorata?»

Di te, babbeo!

«Non azzardarti a chiamarmi babbeo!»

Altrimenti che fai? Mi uccidi? Notizia dell’ultima ora: sono già quasi morto su questo letto e immobile, per giunta.

«È così sbagliato amarlo?» In un attimo si accasciò sulle ginocchia, tra le lacrime, coprendosi il viso con entrambe le mani. Sentiva il fardello di tutta quella situazione stringerle il petto, aveva cercato di far finta di niente per tutto quel tempo provando a relegare ogni sentimento nel suo cuore che iniziava a scricchiolare sotto il peso di quell’amore che non sarebbe mai potuto sorgere.

«È in coma da sette anni, certo che è sbagliato amarlo. È sbagliato per te. Non puoi amare l’ombra di un uomo che non c’è più. Tralasciando tutto quello che è stato nel bene e nel male, hai visto con attenzione in che condizioni si trova? Stai amando un fantasma, e ti sta distruggendo così com’è stato distrutto lui.»

«Il suo amore per Lily lo ha salvato!»

«Tu, però, non puoi salvare lui. E di certo lui non salverà te. Se desiderava farsi salvare si sarebbe svegliato da tempo.»

«Forse deve solo capire che c’è ancora posto per lui, che può ancora amare ed essere amato.»

«Merlino, Hermione, sette anni. Sono passati sette anni, e molti di più quand’era in vita, avrebbe dovuto capirlo da tempo.»

«Maledizione, Ginny, adesso sei tu quella che dovrebbe sentirsi parlare. Dovresti conoscere la sua storia, quello che ha passato, lo abbiamo scostato e odiato tutti, come puoi pretendere che lo capisse, in coma poi. Non si può scegliere chi amare, succede e basta, e se a te o a chiunque la cosa non fosse gradita, sono problemi vostri, non miei!»

La stanza era sempre avvolta da quei suoni che le erano così familiari, ma quella volta non riuscirono ad acquietare il suo spirito, accrebbero soltanto la sua inquietudine perché sapeva che nulla sarebbe cambiato e il suo amore era soltanto pazzia.

Sapeva che la sua amica era solamente preoccupata, ma nemmeno lei aveva il diritto di giudicare i suoi sentimenti; furiosa, uscì da quella stanza lasciando sola Ginny.

«Era difficile amarla da vivo, figuriamoci da morto, o quasi. A volte penso che se fosse morto quel giorno alla Stamberga sarebbe stato meglio per tutti. Anche così continua a far soffrire le persone» sospirando, mentre un sorriso amaro le piegò le labbra, si gettò sulla sedia accanto al letto, dove Severus Snape giaceva da sette lunghi anni.

 

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Capitolo 3
*** Un sogno diventato incubo ***


3 – Quel sogno diventato un incubo

Un po’ in ritardo sulla mia tabella di marcia per questa storia, ma è stata una settimana pesante che mi ha tenuta parecchio impegnata.

Detto questo, ringrazio infinitamente tutti quelli che hanno messo la storia tra le seguite/ricordate/preferite e ovviamente chi recensisce (un GRAZIE immenso e particolare a Fink1987) e ovviamente a chi lo farà in futuro (compreso chi preferirà, ricorderà, seguirà).

 

Il resto (breve) ve lo dico alla fine del capitolo :D

 

 

 

3 – Quel sogno diventato un incubo

 

21 marzo 2005

 

Quella mattina Hermione era di ottimo umore, forse perché era infine arrivata la primavera, o forse – e soprattutto – perché la notte precedente lo aveva sognato, dopo tutti quegli anni passati al suo capezzale, finalmente era comparso nei suoi sogni, così vitale e sereno come non lo aveva mai visto. Neppure quand’era in vita.

Aveva sognato che insieme camminavano fuori Hogwarts ricoperta da un manto candido che rendeva il paesaggio meraviglioso e irreale, passo dopo passo a ridere e a parlare, e il suo sorriso l’aveva cullata in un sonno sereno dal quale non avrebbe più voluto svegliarsi, quelle labbra piegate come non le aveva mai viste quand’era vivo, l’avevano resa serena e colma di gioia.

Sapeva che quel sogno, però, era soltanto lo specchio di quello che in realtà desiderava lei stessa, ma per un giorno voleva lasciarsi trasportare da quell’illusione e abbandonarsi per una volta al buonumore. E niente e nessuno gliel’avrebbe rovinato.

Ultimamente non parlava molto con Ginny, da quella mattina di febbraio tra le due vigeva uno strano silenzio che Hermione non aveva nessuna intenzione di rompere, anche se la piccola Weasley aveva provato più volte a rivolgerle qualche parola, ma lei era ancora arrabbiata per ciò che le aveva detto.

E quel giorno non si sarebbe fatta rovinare quel sogno da quei pensieri.

L’inizio della primavera le dava sempre una certa carica, vedere la natura che pian piano rinasceva con la sua moltitudine di colori, le donava una certa felicità e quiete di cui aveva assoluto bisogno.

Camminava a passo lento con un sorriso sulle labbra e alcuni libri ben stretti tra le mani, su quella corsia che le sembrava stranamente silenziosa, o forse era solo perché era abituata a percorrerla sempre di corsa schivando le persone che come lei la percorrevano, ma quella quiete le sembrava così irreale che un brivido di preoccupazione le salì lungo la schiena.

Non appena svoltò sul corridoio dov’era situata la stanza di Severus, vide una folla inusuale per quel giorno della settimana e per quell’ora: la preoccupazione divenne inquietudine e affrettò il passo verso quella gran quantità di persone.

«Che succede?» I presenti si voltarono verso di lei e su alcuni visi poté notare occhi arrossati e gonfi, e lacrime che ancora scendevano.

Sentì una forte morsa allo stomaco e un’intensa nausea le bloccò il respiro quando il Medimago Augustus Redden, che aveva in cura Snape, si avvicinò con un’espressione rassegnata sul volto, lui che aveva sempre un sorriso sulle labbra, che sapeva sempre rassicurarla, adesso aveva uno sguardo di dolore e sapeva che non c’era nulla che in quel momento avesse potuto fare per rassicurarla.

«Mi dispiace, Hermione» fu l’unica cosa che riuscì a dirle.

«Le… le dispiace per cosa?»

Ginny le corse incontro, piangente. «È tutta colpa mia» e l’abbracciò stringendola forte, poteva sentire le sue lacrime inumidirle la spalla. «Sono stata io a dirgli che sarebbe stato meglio per tutti se fosse morto. Il suo stato di coma ha bloccato molte vite, soprattutto la tua.»

«Amore mio, non è colpa tua» le disse Harry amorevole carezzandole un braccio, anche nei suoi occhi c’era dolore, come Hermione non ne vedeva da tanto.

«Qualcuno, per favore, può dirmi cosa diavolo sta succedendo?» Hermione aveva ben capito cosa fosse successo, ma aveva bisogno di sentirselo dire chiaramente, forse quello le avrebbe tolto quell’inquietudine che l’opprimeva, sapeva, però, che fosse solo una flebile speranza alla quale aggrapparsi. Strinse le mani sui libri, come a volersi aggrappare a qualcosa, anche se sapeva benissimo che nulla le avrebbe evitato di cadere in un baratro profondo dal quale era difficile uscire.

«Non so come sia potuto succedere» esordì il dottor Redden, «ieri sera quando ho fatto il giro di visite, stava bene, o meglio, come sempre, poi stanotte improvvisamente si è aggravato. E non riesco a capirne il motivo, non c’erano le condizioni per un tale peggioramento.»

Il cuore di Hermione rallentava ad ogni parola pronunciata dal Medimago, si sentiva come se fosse stata gettata in mare con enormi pesi legati agli arti, fu come se le avessero lanciato incantesimi uno dietro l’altro.

Ginny continuava a stringerla e a piangere, ripetendo tra i singhiozzi che le dispiaceva, ma Hermione rimase immobile, con le braccia come paralizzate lungo i fianchi.

«Dovreste prepararvi a dirgli addio.»

Quelle parole congelarono il tempo intorno ad ogni persona ferma nel corridoio, la giovane Granger ebbe la sensazione di sprofondare, poteva vedere il pavimento aprirsi e inghiottirla in un istante. Ed era l’unica cosa che in quel momento desiderava.

Hermione scansò Ginny e corse via, lasciando i libri sul pavimento, non voleva dirgli addio, non era pronta a farlo, non adesso che l’aveva finalmente sognato felice e colmo di vita.

La piccola di casa Weasley fece alcuni passi per andarle dietro, ma Harry la bloccò scuotendo appena la testa, Hermione aveva bisogno di reagire a modo suo e, malgrado Ginny volesse starle vicino in quel momento, dovette dare ragione al marito: doveva rimanere sola e sfogare quel dolore che aveva dentro.

Camminò per ore per le strade di Londra, senza prestare attenzione a quei volti che le passavano vicino, senza interessarsi a niente di tutto quello che la circondava, si sentiva apatica, vuota, improvvisamente spenta, come un grosso lume che illuminava la stanza, che una folata di vento aveva smorzato.

Poi qualcosa attirò la sua attenzione: un lungo vestito bianco con intense sfumature rosse, un bellissimo abito da sposa che, non seppe per quale motivo, la fece piangere.

E di nuovo corse via, senza sapere dove andare, chiedendosi se esistesse un posto in quel mondo dove potesse rifugiarsi da quella sensazione di dolore che la stava attanagliando, se esistesse un luogo che potesse inghiottirla nel buio e farla sprofondare in un oblio dove non c’era nulla, dove non c’erano ricordi, inquietudini, speranze. E amore.

Quella stoffa non avrebbe mai fasciato il suo corpo, non sarebbe mai stata la sposa di nessuno, che guardava il marito in attesa con un sorriso imbarazzato sulle labbra, un sorriso colmo d’amore, e provò ad immaginarsi come sarebbe stato Severus in quel momento, e per un attimo vide quelle labbra muoversi divertite a quel sogno che si era fatto reale anche per lui.

Se lui fosse morto, non sarebbe mai riuscita ad innamorarsi di nuovo, avrebbe convissuto per il resto dei suoi giorni con l’amore per un uomo che non c’era più, con un fantasma che avrebbe abitato il suo cuore notte dopo notte.

Si sarebbe trovata nelle sue stesse condizioni e questo la fece ridere, forte, come se non avesse pensieri, rideva e piangeva tra la folla di Londra che la guardava come se fosse pazza, e forse lo era davvero.

Procedette per ore prima di iniziare a sentirsi le gambe stanche, avanzava come spinta da una forza invisibile che non era la sua, avanzava per sentire quel dolore squassarle il corpo, un dolore fisico necessario per dimenticarsi di ciò che si agitava in lei, ma sapeva che neppure ripetute maledizioni sarebbero servite a qualcosa.

Si fermò su una panchina all’ombra di un albero, la natura tutt’intorno a lei iniziava a risvegliarsi, a rinascere forte e rigogliosa come lei non sarebbe mai stata, ne sentiva i mille profumi, li respirava a pieni polmoni per riempirsene, per riempire il suo spirito dove la vita ormai era morta.

Passarono altre ore in quel parco esploso in una miriade di colori e passarono diversi minuti prima che Hermione si accorse di non essere più sola su quella panchina, e non aveva ancora smesso né di piangere né di ridere.

«Va tutto bene, signorina?» le chiese l’anziano signore che le si era seduto vicino.

Avrebbe voluto urlargli che no, non andava tutto bene, che era innamorata di un uomo che sarebbe morto e anche se fosse sopravvissuto, non l’avrebbe degnata di uno sguardo, ma biascicò un timido «va tutto bene, grazie» prima di tornare ad osservare il parco dove si era rifugiata per cercare di nascondere quel dolore, anche se sapeva benissimo che non ci sarebbe stato luogo che lo avrebbe cancellato.

«Mm, non ne sono molto convinto, signorina.»

«È così evidente?»

«Beh, piangeva e rideva piuttosto forte, quindi non credo che vada tutto bene, le persone di solito non stanno da sole su una panchina a piangere e a ridere.»

«Già, ha ragione, non è normale, ma io non sono normale, altrimenti non mi sarei innamorata di un uomo che non può essere amato e sta per morire» non sapeva perché stesse dicendo quelle cose all’anziano signore, sapeva solo che ne aveva bisogno.

«E allora cosa fa ancora qui? Vada da lui, gli dica quello che prova, magari scoprirà che non aspetta altro che essere amato» guardò per un istante l’uomo e quel viso le ricordò terribilmente quello di Dumbledore, al pensiero le si strinse il cuore ancora di più.

«Magari fosse così semplice.»

«E se in realtà fosse proprio così semplice?»

Hermione riuscì a trattenersi dal ridere di nuovo, “semplice” era una parola che stonava parecchio accostata a Severus Snape, quell’uomo era l’antitesi della semplicità, bastava guardare i suoi occhi per capire quanto niente fosse semplice in lui, ma ormai erano chiusi da anni e nessuno poteva comprenderlo. Si sarebbero chiusi per sempre, e nessuno avrebbe mai potuto comprenderlo.

Erano sette anni che non vedeva i suoi occhi e il pensiero che non li avrebbe mai più rivisti, la fece piangere, di nuovo, e più forte di prima.

L’anziano le strinse appena una mano con la sua, poteva sentire le rughe che raccontavano di tutta la sua vita, quella vita che continuava a scorrere potente in quelle vene che riusciva a vedere e toccare.

«Vada da lui» le disse e fu con un sorriso che lo salutò, allontanandosi per dare l’ultimo addio al mago che giaceva su un letto immacolato da sette anni, all’uomo che amava.

Quando tornò in quel corridoio, la notte era scesa da ore e Ginny era ancora lì, piangente ai piedi del muro ad attendere il ritorno dell’amica.

«Mi dispiace, Hermione

«Non è colpa tua, Ginny, smettila di ripeterlo» e senza aggiungere altro, entrò in quella stanza troppo silenziosa e troppo buia, sapeva che l’amica sarebbe rimasta lì ad attenderla fin quando non fosse uscita, lo sapeva e la ringraziava per quello.

Si avvicinò al letto e nonostante fosse buio, riuscì a scorgere il petto del mago che si muoveva veloce, poteva sentire il suono di quel respiro agitato e avrebbe giurato che quella piccola ruga disegnava anche in quel momento la radice del naso, avrebbe voluto toccarla, imprimerla sulle dita, ma non si mosse.

Rimase immobile ad osservare un’ombra più scura della notte.

«Non è vero che ha bloccato la mia vita, lei l’ha resa più bella, col suo solo stare lì ha reso la mia vita speciale. Ha unito tutti intorno a questo letto, ha creato una famiglia felice e pensa cosa potrebbe fare se si svegliasse» in piedi vicino a Severus cercò la sua mano e sorrise. E la strinse.

«Invece adesso ha deciso di andarsene, spezzando tutto quello che è riuscito a creare, spezzando quei legami che si sono costruiti. Mandando in frantumi me.»

Hermione avvicinò la mano di Snape al suo cuore, quel ticchettio che le era stato amico in quegli anni continuava, ma lei parve non sentirlo, tutto era silenzio intorno a lei, tutto era buio che si faceva sempre più cupo e profondo, e avrebbe voluto farsi ingoiare in quell’istante insieme con lui.

Quella rosa bianca e nera stava ormai appassendo, i petali si staccavano uno ad uno, lenti scendevano sospinti appena dalla leggera brezza che filtrava nella stanza.

«E non sarebbe neanche meglio se morisse, se questo era il suo desiderio, avrebbe dovuto pensarci prima, non dopo sette anni di questa dannata situazione. Per quale motivo ha lottato per tutta la vita? Per questo? Per vedersi svanire in un letto d’ospedale? Perché non si è arreso sette anni fa su quel pavimento? Dannato egoista che non è altro! Stupido, stupido, egoista!»

Perché non se ne andava da lì lasciandolo morire? Sapeva benissimo che nessuna delle sue parole sarebbero servite a nulla, non erano valsi a niente sette anni di sussurri e dialoghi immaginari che ognuno di loro aveva fatto col suo corpo immobile. Chi era lei per riuscire a far riemergere quell’anima ormai precipitata?

«Ed io più stupida ad essermi innamorata di te, dannato egoista!» e iniziò di nuovo a piangere, le lacrime le scendevano lente lungo il viso come quei petali che uno ad uno cadevano sul piccolo comodino che ogni anno aveva accolto la sua rosa.

«Lei è stato l’uomo più coraggioso di questo mondo, ha sacrificato la sua vita e la sua esistenza per tutti noi, sua madre sarebbe fiera di lei, e anche Lily e Dumbledore, fieri dell’uomo che è diventato, ma i loro sacrifici sarebbero del tutto inutili se non riuscissero mai a vederla felice. Non pensa che stiano soffrendo nel vederla così? Siamo tutti fieri di lei e vorremmo tutti vederla finalmente felice. E vivo»

Parlava con tono basso, quasi grave, parlava lentamente, lasciando per brevi attimi che il silenzio le inghiottisse la voce, come se sperava che Ginny o qualcun altro entrasse in quella stanza per lenirle quel dolore, ma era consapevole che nessuno sarebbe entrato, sapeva che quella battaglia che aveva iniziato, doveva terminarla lei stessa.

E nel profondo del cuore qualcosa le diceva che sarebbe stato meglio rimanere da sola a percorrere quella strada.

«Io ti amo, Severus e non m’importa se non ricambierai mai questi sentimenti, se mi odierai o ignorerai del tutto, purché ti alzi da questo maledetto letto e inizi a vivere la tua vita. A viverla veramente.»

La rosa aveva ormai soltanto un petalo nella stanza buia, dove il silenzio era rotto solamente dai singhiozzi della strega che si era gettata sul corpo inerme di Snape, in quell’ultimo e unico abbraccio che la vita le avrebbe concesso, quella vita ingiusta che le aveva fatto amare un uomo che non sarebbe stato possibile amare nella vita, in quella morte che sarebbe giunta inesorabile.

Quell’ultimo petalo cadde a terra e quel ticchettio divenne un sibilo infinito.

 

________________________

 

Ok, questo è il motivo per cui ho messo anche l’avvertimento Drammatico, ma non temete e rimettete a posto quelle asce, spade, coltelli, mannaie e quant’altro :D, ci sono pur sempre altri 9 mesi o no?! ;D

 

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Capitolo 4
*** Madre e figlio ***


04 – Madre e figlio

Una piccola precisazione: in questa storia Lavander Brown non è morta, mi sembrava quanto meno inopportuno prendermi un po’ gioco di questo personaggio da defunto, quindi l’ho resuscitato, non è importante ai fini del racconto (visto che viene citata appena), ma ci tenevo a precisarlo ;D

Ringrazio come sempre chi continua a seguire questa storia, a preferirla, a ricordarla e anche solo a leggerla e ovviamente ringrazio chi si ferma a recensire.

Potete riporre le armi, orsù, vi lascio al prossimo capitoletto :D

Spero, buona lettura!

 

 

04 – Madre e figlio

 

7 aprile 2005

 

Severus Snape non si poteva definire un uomo che si arrendeva tanto facilmente, al contrario, aveva sempre lottato contro tutto e tutti per ciò che riteneva importante e per ciò che andava fatto e, forse, in quei giorni, aveva creduto importante resistere notte dopo notte.

Reputava fosse qualcosa che semplicemente andava fatto.

Il perché di certo non lo sapeva.

O forse sì?

Era stato in quella notte che aveva sentito l’abbraccio di qualcuno, un calore che si era propagato lungo il corpo poco prima di morire, era stata una sensazione strana, mai provata prima o forse si era solo dimenticato cosa si provasse quando si era abbracciati.

Oppure, semplicemente, erano quella vita e quella forza che si sentono prima di morire, il balzo prima di saltare nel buio.

Poi iniziarono a scorrere tutte quelle immagini, una dietro l’altra, a farlo sentire ancora più egoista.

E Severus Snape non era neppure un uomo che amava far soffrire gli altri, soprattutto le persone che aveva amato.

Avevi visto tua madre sorridere, un attimo, un solo istante che ti era parso infinito, prima di osservarla contrarre il volto in una smorfia di dolore, di osservare quelle lacrime che stavano prendendo il posto di quel sorriso, così velocemente e così tragicamente che non sarebbe esistito più nemmeno un ricordo.

Piangeva tua madre nel guardarti andare via, piangeva per non averti mai visto felice e non averti mai reso tale.

Piangeva circondata da una luce strana ma così bella, dove tu non vedevi l’ora di andare, ma tua madre continuava a ripeterti che non ti voleva lì e sarebbe stato come morire di nuovo lei stessa, più atroce di ciò che aveva patito la prima volta, perché nessuna madre vorrebbe mai vedere il proprio figlio lasciare una vita che si è meritato e dove merita di essere finalmente felice.

Severus Snape non voleva far di nuovo morire sua madre, e il suo cuore aveva ripreso a battere più forte che mai.

Poi era apparsa Lily, meravigliosa e dolce Lily a sorriderti come aveva fatto tua madre, ma con la stessa velocità avevi visto quel sorriso scomparire dalle sue labbra e quelle stesse lacrime rigarle il volto.

Piangeva Lily, anche se avrebbe dovuto essere felice per il mostro che finalmente sarebbe morto, e tu saresti stato felice di vederla di nuovo, ma volevi scorgere il suo sorriso, non le sue lacrime.

«Io sono morta per amore, e tu per cosa stai morendo, Severus? Io ho vissuto nella felicità dell’amore, tu in cosa hai vissuto, Severus? Sette anni, Severus, e ci sono molte persone che ti sono rimaste vicino, per cui proprio così male come ti dipingi non devi essere, e non tirare fuori la scusa della pietà, del rimorso e del senso del dovere, perché è una stupidaggine e tu non sei uno stupido, Sev. Basta espiare.» Sorrideva di nuovo Lily, «non andartene, Sev, ti prego…»

Sev.

Sev.

Sev.

E il respiro si era fatto rapido, e seguiva il cuore in quella che sembrava una corsa contro il tempo.

Infine arrivarono gli occhi azzurri che avevi spento con un solo sibilo, quello sguardo che ti appariva ancora così sbiadito come lo avevi visto mentre veniva inghiottito dalla gravità, e non avresti mai voluto rivederlo in quelle condizioni, meno lottavi per vivere più quelle iridi scolorivano e il nero che inghiottiva la mano di Dumbledore si espandeva, veloce, in profondità, fino a coprirlo completamente.

Ne sentivi l’urlo agghiacciante mentre quel veleno gli consumava la carne, la pelle spariva e potevi vedere i muscoli contrarsi vivi, finché anche quelli non divennero neri, svanendo come se migliaia d’insetti li stessero mangiando.

«No! Basta!» ma tutto quello che uscì dalla sua bocca fu un lamento incomprensibile e finalmente i suoi, di occhi, si aprirono di nuovo al mondo.

E Dumbledore tornò a sorridere, e con lui Lily e sua madre, ma c’era un altro sorriso che conosceva, ma non ricordava più.

«Severus, sei… ti sei… sono così felice…» un sorriso tra le lacrime, meraviglioso, materno, un sorriso che gli strinse le dita.

«Minerva…» ma il suo rimase un sussurro difficile da decifrare, col tubo che aveva in gola, gli risultava tutto così macchinoso, anche se sette anni di assoluto silenzio rendevano le cose più complicate di quanto già fossero grazie a ciò che non gli faceva muovere le corde vocali.

Non che fosse mai stato un gran parlatore.

Minerva McGonagall sentiva la felicità esplodergli nel petto, in quel cuore vecchio che ancora batteva, e Godric solo sapeva che non si sarebbe arresa finché non avesse visto quel dannato uomo finalmente felice.

Si alzò per andare a chiamare qualcuno, ma le dita gli rimasero immobili a stringere la mano di Snape nella quale poteva sentire un po’ di calore, non voleva lasciarla, voleva continuare a irradiargli quel senso di benessere di cui aveva bisogno, quell’affetto che voleva assolutamente trasmettergli.

Senza lasciarlo prese la bacchetta e mandò un Patronus, sapeva che in un attimo sarebbe arrivato alla persona giusta.

Dopo qualche istante qualcuno entrò nella stanza, Minerva sorrise, ma quando puntò gli occhi alla porta, il suo sguardo si fece perplesso: non era lei.

«Finalmente il mio amore si è svegliato! Si è svegliato perché sapeva che sarei venuta!» la donna si avvicinò velocemente al letto di Snape, ma lo sguardo torvo di Minerva le bloccò immediatamente i passi.

Snape dal canto suo, si limitò a sgranare gli occhi. Dannazione, aveva perso anche la capacità di alzare le sopracciglia!

Quella strega gli sorrise sbattendo le ciglia e no, non aveva perso un bel niente, quei due cumuli di peli si sollevarono paurosamente, più in alto del solito.

 

Hermione Jean Granger aveva pensato di morire in quello stesso istante in cui quell’ammasso di luce era arrivato ai suoi piedi e aveva sentito la voce di Minerva dirle quello che aspettava da sette lunghi anni.

Spalancò la porta con forza, ignorando che probabilmente l’avrebbe rotta e corse vicino al letto di Snape, senza guardare nient’altro perché nient’altro aveva importanza in quel momento.

Non le sarebbe importato se lui non l’avesse mai amata, tutto ciò che contava, era che fosse vivo, finalmente sveglio.

«Non è vero che ha bloccato la mia vita, lei l’ha resa più bella, col suo solo stare lì ha reso la mia vita speciale. Ha unito tutti intorno a questo letto, ha creato una famiglia felice e pensa cosa potrebbe fare se si svegliasse» Snape continuava a sentire quelle parole, non si ricordava con precisione chi le avesse dette tantomeno quando – quella voce però… –, ma continuavano a vagare nella sua mente, come sussurri, come urla, come sorrisi e lacrime.

La stanchezza prese di nuovo il sopravvento e in un attimo le palpebre lo fecero ripiombare nell’oscurità, ma quella volta sarebbe stato soltanto un normale riposo, un sonno per riprendere le forze e non un sonno irreale lontano dallo spazio e dal tempo.

«Oh, perché deve sempre apparire la tua guardia del corpo? Perché non può lasciarci vivere il nostro amore?» quelle parole erano uscite dalla graziosa bocca di quella donna che si era fatta più vicina a Snape, senza curarsi degli sguardi di Minerva che ancora teneva la mano del mago e di Hermione che si prendeva cura di lui ed era troppo felice per averla notata, ma quella voce così irritante era difficile da ignorare.

«Chi è questa qui? E cosa vuole?» chiese Hermione ad una divertita Minerva, poi però qualcosa la colpì come un lampo…

Guardia del corpo…

«Oh, Sevvy-Sevvy, amore mio» Minerva non riuscì a trattenere un minuto di più quella risata.

Sevvy-Sevvy…

Hermione non aveva niente da ridere. «Fantastico, ci mancava soltanto Lavander Brown versione più adulta e più stupida» Minerva continuava a ridere mentre Severus ormai dormiva placidamente da qualche minuto e mentalmente ringraziò il suo corpo per averlo fatto piombare di nuovo in quello stato. «Mi scusi, signora, dovrebbe uscire da qui, lei non è autorizzata a stare in questa stanza.»

«Signorina!» disse la donna piuttosto scandalizzata.

«Come, prego?» e aveva anche alzato un sopracciglio. Minerva non poté non dare ragione al giovane Weasley che le diceva sempre che la vicinanza col mago l’aveva fatta diventare come lui.

«Sono signorina. E futura signora Snape!»

«Non m’importa cos’è e cosa sarà, voglio solo che esca da qui.»

«Non può impedirmi di stare con il mio amore.»

Snape quasi certamente l’avrebbe già sbattuta fuori di lì, pensò Hermione, ma riflettendoci bene, avrebbe sbattuto fuori anche lei e probabilmente anche Minerva, se lo conosceva almeno un po’, e non seppe perché le venne da sorridere.

Un sorriso vero, per qualcosa che Snape avrebbe potuto fare veramente di lì a poco, non solo qualche azione che avrebbe soltanto immaginato.

Adesso era vivo, si era svegliato, e non le importava nulla di quello che sarebbe successo, contava solo che lui avesse finalmente aperto gli occhi. Soltanto quello.

Hermione trasse un profondo sospiro, cercando di mantenere la calma il più a lungo possibile altrimenti avrebbe preso la bacchetta e l’avrebbe gettata dalla finestra in un attimo, e avrebbe tanto voluto conservare quella lettera per ficcargliela in bocca.

D’accordo, non era una cosa che Hermione Granger avrebbe fatto, non era assolutamente da lei, ma il pensiero l’aveva sfiorata più di una volta, ne aveva sentito il desiderio crescere dentro di lei, e poco importava che fosse una cosa che nessuno avrebbe accostato al suo nome.

Minerva, mentre ancora sghignazzava, osservò per un attimo la sua ex allieva, era cambiata, era cresciuta, era diventata una donna ed era molto orgogliosa di lei come di tutti i suoi studenti, soprattutto di quello che dormiva beato perdendosi il grazioso spettacolo di una donna gelosa che marcava il suo territorio.

Certo, era difficile figurarsi Hermione come un leone che fa i propri bisogni per far capire che lì non si passa neppure e che nessuno deve toccare niente.

E le venne di nuovo da ridere mentre la sua ex allieva la guardava torva, tesa, e probabilmente avrebbe buttato dalla finestra anche lei insieme a quell’adorabile, graziosa signorina.

«La prego, signorina futura signora Snape, venga fuori con me, la signorina Granger deve poter assistere il suo paziente nel migliore dei modi» ovviamente non era un suo paziente, non aveva neppure iniziato il suo tirocinio, anzi, non aveva neppure finito la specializzazione in Medimagia, ma poco importava, Minerva aveva voluto sottolineare di proposito quel “suo”.

In tutta sincerità non impazziva all’idea che una sua ex studentessa avesse una relazione con il suo ex insegnante, soprattutto conoscendo i trascorsi di entrambi, specialmente quello di Severus, e neppure quel piccolo dettaglio che avessero vent’anni di differenza le faceva fare i salti di gioia, ma Hermione era innamorata di lui, questo le era chiaro da tempo.

E Severus si era appena risvegliato da sette lunghi anni di torpore e trovarsi accanto qualcuno che lo amasse senza riserve, non avrebbe potuto che fargli bene.

La strega “futura signora Snape” seguì Minerva che la spinse con – poca – gentilezza fuori la porta, lasciando la giovane Granger a prendersi cura di Severus Snape e non solo del suo corpo, avrebbe tanto voluto che quelle mani avessero messo di nuovo insieme i pezzi dell’anima del mago, anche se sapeva che era così dilaniata che sarebbe stata un’impresa disperata, ma nella sua lunga vita sapeva e poteva affermare con assoluta certezza che c’era un incantesimo molto più potente di quelli che chiunque avesse mai potuto conoscere.

Eccome se lo sapeva, e aveva sofferto per esso come avevano fatto pochi, ma era ancora lì, a lottare, portando quel dolore e quei ricordi nel cuore, sorridendo e gioendo ancora e ancora, e si aggrappò con tutte le sue forze a quella flebile speranza che anche per Severus ci sarebbe stata quella possibilità.

Si fermò un attimo a guardare quella donna che aveva visto bambina mentre si prendeva cura di Severus, aveva ormai tolto quel tubo che gli ostruiva la gola e adesso lo vedeva respirare tranquillo e soprattutto da solo, senza l’aiuto di nessuna macchina o incantesimo.

Vederlo così rilassato, ma vivo, era una gioia così grande che non avrebbe saputo neppure descrivere, era una fantasia alla quale ormai non credeva più, neppure dopo quella giornata in cui il medico aveva consigliato a tutti di dirgli addio, neppure quando l’aveva visto migliorare lentamente, giorno dopo giorno.

«Perché non posso rimanere con il mio amore mentre quella stupida ragazzina può persino toccarlo?» quell’irritante strega interruppe i pensieri di Minerva con quella voce altrettanto irritante e l’anziana donna era combattuta tra il desiderio di strozzarla con le sue stesse mani, oppure Schiantarla in un luogo così lontano dove non l’avrebbe rivista per lungo tempo.

Optò per una terza ipotesi.

«Signorina, le parlerò piuttosto francamente, da donna a donna, posso?»

«Certo che può» una luce si accese negli occhi della strega più giovane. Irritante.

«Sono una persona piuttosto pragmatica, calma ma severa, soprattutto quando si tratta di proteggere ciò che mi sta a cuore. Se pensa che io sia una vecchia rimbambita si sbaglia di grosso, ho combattuto guerre e sono ancora qui, con gli acciacchi dell’età, certo, ma posso spedirla a Mosca con un solo sbadiglio se solo me ne darà l’opportunità. Tengo molto a Severus, lo considero un figlio e mi sono sempre considerata una madre per lui, quindi, sempre molto francamente, stia lontana da lui e se prova nuovamente a insultare Hermione o chiunque sia, le assicuro che il suo amore non lo vedrà neppure in cartolina perché la farò spedire tra i ghiacci dell’Antartide a contarne ogni metro cubo.»

Sorrideva Minerva mentre la strega – irritante – sparì furiosa dalla sua visuale, sorrise ancora mentre si voltava ad osservare i suoi due ex allievi un’ultima volta «Oh, adesso ci vuole proprio un bel tè», poi chiuse la porta.

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Capitolo 5
*** Il mondo che va avanti ***


05 – Il mondo che va avanti

Lo so, sono un tantino in ritardo, ma ho avuto un piccolo intoppo, anzi due, un pc che faceva le bizze (e ancora le fa!) e una mano fuori uso, ma ora eccomi qua! :D

Come sempre volevo ringraziare tutti quelli che mi seguono/ricordano/preferiscono e anche solo passano a dare un’occhiata, per non parlare di quanto ringrazio immensamente chi si ferma a recensire.

Grazie davvero!

Vi lascio al capitolo e, come sempre, spero sia una buona lettura! ;D

In caso contrario non esitate a mettere nero su bianco critiche costruttive o quant’altro vi viene in mente ;D

 

 

05 – Il mondo che va avanti

 

28 maggio 2005

 

Sparito.

Severus Snape era semplicemente sparito.

La sua camera era vuota della sua presenza, mentre tutto il resto era immacolato, i libri che di solito leggeva, riposti sul tavolo con precisione, i piccoli pesi che usava per fare ginnastica da solo – come gli aveva suggerito il Medimago Redden e che trovava parecchio umiliante – giacevano in un angolo.

Se non fosse per quegli oggetti, si poteva tranquillamente affermare che in quella stanza non ci avesse mai messo piede nessuno.

In quel sabato di fine maggio la pioggia cadeva fitta su Londra rendendo quella giornata ancora più cupa e quel vicolo quasi invisibile a chiunque fosse passato nelle sue vicinanze, persino agli occhi esperti dei maghi e delle streghe che ormai conoscevano ogni angolo di Diagon Alley.

Severus se ne stava lì, nascosto agli occhi indiscreti, mentre osservava la piccola libreria dall’altra parte della strada dove alcune persone osservavano quei volumi che tante volte aveva osservato anche lui anni prima, in un tempo così lontano che quasi faceva fatica a ricordare.

Quella ferita che, però, ancora gli faceva male nel petto era come se fosse stata fatta qualche ora prima, e stava sempre lì, a ricordargli il suo passato che non poteva semplicemente essere dimenticato.

Faceva ancora fatica a stare in piedi per più di qualche ora consecutiva e la sua andatura era ancora piuttosto incerta, ma non gli importava, era uno che sapeva sopportare bene il dolore, e voleva soltanto stare nel buio che confondeva la sua figura ad osservare.

Osservava quei libri, quei sorrisi sulle labbra di maghi e streghe, osservava nella speranza di scorgere l’unico sorriso che aveva bisogno di vedere, perché aveva bisogno di capire se quei giorni – e quegli anni – e quella voce fossero stati reali o solamente frutto di quella sua mente che voleva prendersi gioco del mago che aveva dormito per sette lunghi anni.

Aveva bisogno di vedere il sorriso di Hermione, il motivo però non riusciva a visualizzarlo in quella sua strana testa, oppure, semplicemente, aveva bisogno di vedere quella persona che gli era stata vicino per tutti quegli anni nonostante ciò che lui era, nonostante il male che aveva fatto e che avrebbe continuato a fare con la sua sola presenza.

Gli aveva davvero detto che lo amava?

Come poteva qualcuno amare un mostro come lui? Come poteva anche solo pensare che tutte quelle parole fossero reali?

Aveva visto sua madre, aveva visto Lily e Dumbledore, poi c’era stata Minerva, orgogliosa e materna Minerva che non era riuscita a dirgli nient’altro che «mi dispiace» e poi era uscita dalla sua stanza in lacrime dopo che aveva provato ad abbracciarlo, a stringerlo a sé, come una madre farebbe con un figlio, e lui si era irrigidito, dannatamente timoroso di qualsiasi contatto umano e fisico, dannatamente incompetente di quei sentimenti e di quelle emozioni.

Ecco cos’era capace di fare uno come lui, era soltanto capace di far piangere le persone, farle soffrire, e nessuno avrebbe mai potuto amare una simile persona.

Eppure ancora stava lì, immobile, sostenuto dal freddo muro fradicio d’acqua, ad osservare qualcosa che non comprendeva, ad osservare quel sorriso che gli aveva rivolto in quei giorni, quel sorriso che era l’unica cosa che ricordava di lei quando entrava in quella stanza, troppo stanco e ancora debole anche solo per tenere gli occhi aperti e guardare non solo quelle labbra.

Sapeva che in quei sette anni aveva donato spesso un sorriso al suo corpo inerme.

Ogni volta che lo faceva, sentiva uno strano calore pervadergli il corpo, e poteva giurare con certezza di averlo percepito molte volte nel suo lungo periodo di coma, sapeva che era quello a provocarglielo, perché era una sensazione diversa da tutte le altre che aveva provato dal giorno in cui aveva di nuovo aperto gli occhi.

Nel periodo in cui era dormiente, il suo corpo aveva percepito molte e molteplici sensazioni, e da quando si era svegliato, aveva imparato ad incasellare ognuna di esse, ad associarle ad ogni persona che continuava ad andare in quella stanza. Erano come gli ingredienti di diverse pozioni, avrebbe soltanto dovuto riconoscerli e accostarli man mano ai diversi infusi.

In fondo era il migliore in quello.

A quel pensiero non poté far altro che sorridere, un sorriso sincero, sereno, e avrebbe anche riso, se non avesse avuto l’intenzione di passare inosservato, quando gli venne in mente che in tutto quel tempo le cose fossero sicuramente cambiate, e forse adesso il miglior pozionista del Mondo Magico poteva benissimo essere Harry Potter, o addirittura Neville Longbottom.

Al pensiero gli si gelò il sangue, altro che ridere.

Sette anni. Era davvero passato così tanto tempo?

All’improvviso dalla piccola libreria uscì qualcuno che salutava il vecchio proprietario del negozio ridendo, quel viso rugoso che ancora ricordava perfettamente: era bello che alcune cose fossero rimaste invariate nonostante tutti quegli anni, era una sorta di quiete nel mare che lo stava agitando ormai da giorni.

Sorrideva l’anziano mago, sorrideva a una donna che lo guardava allegra, poi lo vide, vide quel sorriso, quelle labbra che erano l’unica cosa che aveva visto di lei.

No, non può essere la stessa ragazzina petulante che non faceva altro che alzare la mano durante le tue lezioni.

“Eppure quel sorriso…”

«Ci vediamo lunedì, Hermione, divertiti questo weekend!» le disse l’anziano mago.

«Anche lei passi un buon weekend, signor Tollen, a lunedì!» gli rispose con sguardo felice e sereno, uno sguardo raggiante in un viso di donna.

È una donna.

Il mondo era andato avanti tutti quegli anni, lui aveva dormito per sette lunghi anni e tutto intorno, ogni cosa si era mossa incurante del suo sonno, e di certo non avrebbe preteso che fosse altrimenti, non avrebbe potuto pensare che tutto fosse rimasto inalterato.

Erano lunghi sette anni, e mentre lui dormiva, le persone erano morte, bambini erano nati, ragazzi erano cresciuti, e guardando quel piccolo angolo di mondo si accorse di quanto fosse fuori posto, di quanto lui ormai non c’entrava più niente con le vite di nessuno di loro.

Guardava Hermione, la donna che era diventata, combattiva, forte, ma con ancora quel velo d’insicurezza che si portava dietro fin da quando era piccola, poteva vederlo in quel sorriso che nascondeva la bambina impacciata e saccente che a undici anni aveva messo piede ad Hogwarts sorprendendo persino se stessa.

La guardava e non poteva non pensare a cosa l’avesse spinta a innamorarsi di uno come lui, sempre se fosse amore quello che provava nei suoi confronti, non avrebbe potuto dirlo con certezza, e di certo non aveva alcuna intenzione di indagare, ormai aveva preso la sua decisione.

Era giovane, aveva tutta una vita davanti e avrebbe dovuto viverla nel pieno delle sue potenzialità, senza dover pensare ad un vecchio come lui che non aveva fatto altro che del male a chiunque volesse bene ed era rimasto immobile su un letto per anni, fermando la vita di chiunque avesse varcato la porta di quella stanza.

E non poteva far altro che sparire, lasciare che il suo ricordo si dissolvesse.

Se questa era la tua intenzione perché non hai mollato tutto sette anni fa? Adesso il tuo ricordo sarebbe già sbiadito e nessuno avrebbe perso tempo a venire in una stupida stanza d’ospedale a trovare uno stupido mago che non aveva ancora deciso cosa fare della propria vita.

La sua dannata coscienza aveva ragione, e lo sapeva, era inutile mentire a se stesso, avrebbe dovuto mollare tempo fa e invece adesso si ritrovava semplicemente a scappare da quella vita e da quei sentimenti che si erano aggrappati con forza a lui, quei sentimenti che continuavano a camminare per la loro strada e spesso si voltavano verso di lui, aspettando il momento in cui avrebbe affrettato il passo per raggiungerli.

Per raggiungere quella vita che gli era rimasta attaccata addosso per sette lunghi anni, quella vita che neppure un serpente era riuscito a strappargli di dosso.

Avrebbe finalmente avuto il coraggio di compiere quei passi?

“Non c’è spazio per me nelle loro vite e di sicuro vivranno meglio senza il Mangiamorte che ha assassinato i loro affetti più cari.”

Allora perché stai seguendo Hermione Granger?

Severus Snape senza che realmente avesse voluto, si era ritrovato a camminare sotto la pioggia, metro dopo metro, per seguire i passi della giovane donna che era uscita dalla libreria ormai da tempo e probabilmente se ne stava andando finalmente a casa, magari da qualcuno che la stava aspettando.

È innamorata di te, ricordi?

A quel pensiero borbottò qualcosa piuttosto sonoramente, tanto che Hermione si voltò di scatto com’era abitudine fare quando si sentiva un rumore, ma dietro di lei non c’era nient’altro che gli ultimi avventori dei negozi di Diagon Alley che rientravano a casa per la cena.

Severus in un attimo era sparito dietro un cumulo alto e nero che non sapeva per niente cosa fosse, ma l’odore che emanava non era di certo dei migliori.

«Maledetta Grifondoro e maledetto il tuo sorriso che mi ha portato in mezzo ai rifiuti! E maledetto questo idiota che si è fatto trascinare da questo qualcosa che non so nemmeno cos’è!»

Sette anni d’immobilità su di un letto avevano minato il suo ferreo autocontrollo e la sua pazienza era ai minimi storici, ma di certo nessuno avrebbe potuto fargliene una colpa dopo tutto quello che aveva passato, oltretutto il suo fisico era ancora piuttosto debole e faceva fatica a controllarlo pienamente.

Aveva deciso di andarsene da quell’ospedale, ne aveva avuto abbastanza di stare su quel dannato letto, fissato da chiunque passava di lì, toccato da mani di persone che nemmeno conosceva per aiutarlo a riattivare ogni singolo muscolo. Ne aveva abbastanza di tutte quelle parole, di quegli stupidi esercizi e di tutte le persone che avevano continuato a fargli visita.

Soprattutto ne aveva abbastanza di vedere quel sorriso senza riuscire a scorgere nient’altro.

Hermione era sparita, guardò in ogni direzione ma di lei non c’era alcuna traccia, così riprese a camminare a fatica senza sapere dove andare, in realtà non aveva la benché minima idea di dove abitasse la giovane donna, e soprattutto, perché voleva andare a casa sua?

Era una gran bella domanda di cui, ovviamente, ignorava ogni possibile risposta.

Si ritrovò nuovamente a brontolare imprecando contro qualcosa di visibilmente poco appetibile che gli si era attaccata alla scarpa e cercava di scalciare con forza, e inutilmente. Qualsiasi cosa fosse non aveva alcuna intenzione di abbandonare la suola dei suoi stivali.

“Maledizione!”

Devo ricordarti che sei un mago e possiedi una bacchetta?

“Maledizione, la mia bacchetta!”

Sette anni di coma gli avevano fatto dimenticare persino quali fossero le cose primarie della sua vita, e avere la propria bacchetta sempre a portata di mano era una di quelle, come aveva fatto, però, ad essere tanto ottuso da essersene completamente dimenticato?

Dov’è che vorresti andare senza quel piccolo, essenziale pezzo di legno?

Severus affrettò il passo, anche se iniziava a sentirsi veramente esausto, ci sarebbe voluto ancora molto tempo prima che il suo corpo fosse tornato in piena forma – se mai ci fosse tornato: sette anni d’immobilità erano difficili per chiunque –, ma diede fondo ad ogni goccia di energia che aveva in corpo, doveva assolutamente ritrovare quell’ammasso di capelli ribelli, era l’unica che poteva sapere dove si trovava la sua bacchetta e soprattutto – cosa assai più importante – era l’unica che si trovasse nelle vicinanze.

Cercò di scacciare ancora quel residuo di spazzatura attaccato alla sua scarpa, ma il movimento gli procurò una fitta di dolore lungo tutta la coscia e fu costretto a fermarsi di nuovo, cercando un appoggio in alcune scale dismesse.

Era stanco, molto stanco e voleva soltanto la sua dannata bacchetta per potersene andare lontano da lì, in un luogo dove finalmente si sarebbe riposato, lontano da quelle persone che avrebbero dovuto dimenticarlo e basta.

Si accasciò sulla pietra incurante dell’acqua che scendeva su di essa, aveva chiesto troppo quella sera al suo corpo e adesso si ritrovava in quel posto, senza riuscire nemmeno a muoversi.

«Allora avevo visto bene, era lei che mi stava seguendo» quella voce lo fece sussultare, quella voce che tante volte aveva udito adesso era davanti a lui, insieme a quel sorriso.

Severus si limitò a piegare le labbra in una smorfia che sottolineava tutto il suo disappunto.

«Non è stato molto difficile individuarla viste le sue condizioni» e continuava a sorridergli, ancora e ancora, «ma non si preoccupi, presto tornerà quello che era un tempo.»

Voleva davvero ritornare ad essere quello che era stato prima di quel morso che gli era quasi costato la vita? No, certo che no. Avrebbe preferito essere uno storpio a vita, tornare in quel limbo che lo aveva abbracciato per sette anni, piuttosto che tornare di nuovo a far scorrere del sangue sulle sue mani.

La guerra è finita da un bel pezzo, Severus, se te ne fossi dimenticato.

Forse quello stato d’infermità era la giusta punizione per tutto ciò che aveva fatto, ma esisteva davvero una pena adeguata al male che aveva contribuito a seminare? In cuor suo sapeva di meritare qualcosa di molto peggiore, ormai non aveva le forze per opporsi a nulla.

«Non farmi tornare in quell’ospedale. Ti prego» furono le uniche cose che riuscì a dirle, perché non sapeva cos’altro fare, anche se avrebbe voluto correre lontano da lì, lontano da lei, da tutti, rifugiarsi in un mondo solitario dove avrebbe scontato le sue colpe, ma non riusciva a ragionare lucidamente, tantomeno a muoversi.

«D’accordo, ma ad un paio di condizioni» Severus la guardò inclinando appena la testa nell’attesa che continuasse a parlare. «La prima è che seguirà tutte le mie indicazioni e farà esattamente ciò che le dirò di fare. Più sarà collaborativo e prima riusciremo a sistemarle il corpo. La seconda è che non sono ammesse altre fughe come questa, altrimenti sarà mia premura mandarla a fare volontariato tra i bambini vestito da clown. La terza è che non avrà la bacchetta finché non si sarà rimesso completamente, tantomeno la chiederà. La quarta è che parlerà con Harry come mai avete fatto nella vostra vita, sinceri come mai lo siete stati. La quinta è che parlerà anche con la professoressa McGonagall.»

Severus Snape aveva alzato così tanto le sopracciglia che gli facevano persino male, ed era una cosa mai accaduta prima d’allora.

«Finito?»

«Finito.»

«Queste non sono un paio e non sono nemmeno condizioni, mi sembra più un qualcosa riconducibile a dei ricatti.»

«Sono le mie condizioni. Prendere o lasciare. Ci metto un secondo a chiamare gli infermieri del San Mungo così che possano riportarla – e rinchiuderla – nella sua stanza. Se accetta, vivrà la convalescenza nella sua casa, in assoluta libertà.»

È saggio passare i prossimi mesi da solo nella tua casa con una giovane donna che dice di amarti?

“È una donna, non è mica un mostro assatanato di sangue!”

Fai come ti pare, io ti ho avvisato.

«Allora? Non ho tutta la notte e se non se ne è reso conto, diluvia e se mi prendo un raffreddore o, peggio, la febbre, la Schianto in una sala da tè con tutte le sue fan.»

«Non si prospetta molta libertà, ma è decisamente un’opzione migliore di un eventuale ritorno al San Mungo. D’accordo, accetto le tue condizioni

«Perfetto, se vuole seguirmi, sarà il caso di andare ad asciugarsi e lei ha bisogno di mangiare e di riposo. Non voglio perdere il mio primo paziente ancora prima di specializzarmi.»

«Prima? Vuoi dire che ancora…? Perfetto, direi che posso anche andare ad ordinare la bara.»

«Mi mancava il suo sarcasmo, professor Snape.»

«Mi mancava lei», ma queste parole Hermione le pronunciò dentro di sé, in quel luogo dove custodiva ogni cosa preziosa, ogni emozione importante, ogni sentimento che doveva tener nascosto, li celava lì, nell’attesa di quel giorno in cui avrebbe mostrato ogni cosa.

Camminava sentendo la presenza di Severus vicino a lei, e in quel frangente sapeva che la sua vita poteva finalmente andare avanti.

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Capitolo 6
*** Una coppia di vecchi sposi ***


06 – Una coppia di vecchi sposi

Ecco qui il sesto capitoletto della storia.

Come sempre ringrazio immensamente tutti quelli che seguono/ricordano/preferiscono e anche solo passano a leggere la storia, e ovviamente chi si ferma a recensire.

Grazie davvero, siete splendidi tutti! :D

Vi lascio al capitolo e, come sempre, se avete qualcosa da dire, recensioni, commenti, critiche costruttive e quant’altro, non esitate a dirlo ;D

Spero, buona lettura! ;)

 

06 – Una coppia di vecchi sposi

 

23 giugno 2005

 

Quella sera Severus si era fermato per qualche istante a riflettere mentre dalla finestra osservava il cielo su Cokeworth sporcato dalle dense nubi di fumo che rendevano la notte ancora più buia, impedendo ai suoi occhi di scorgere le stelle: trovava quasi assurdo che dopo tutti quegli anni quell’angolo di mondo non fosse per niente cambiato.

Era come vedere una cartolina sbiadita di quando era ancora bambino, di quando scappava da quella casa per correre dalla sua Lily.

Fece scorrere le pallide dita sul vetro, come se volesse toccare quel ricordo e riviverlo ancora una volta, anche se era ben consapevole di quanto fosse stupido pensare che sarebbe bastato quello per farlo tornare indietro.

Erano passati sette anni dalla fine della guerra e molti altri da quando la sua Lily non c’era più, non sarebbe di certo bastato il fugace ricordo stampato sul vetro di una finestra a riportarlo indietro a quando tutto andava bene.

Era mai andato tutto bene?

“Quando c’era Lily, sì.”

Non sono del tutto sicuro. E comunque sono passati anni e anni, ed è ora che ti lasci tutto questo alle spalle e cerchi di vivere il presente, quella vita cui ti sei ostinatamente aggrappato.

Un bussare alla porta distrasse – fortunatamente – quei pensieri che iniziavano a prendere una brutta piega, lo sapeva benissimo, per questo aveva ancora paura di affrontare la realtà dei fatti e si rifiutava in qualsiasi modo di entrare nell’argomento.

Era già tanto che avesse parlato con Harry – in realtà, tra tutti e due, avevano parlato ben poco, per lo più si erano limitati a guardarsi o a pronunciare brevi frasi, il giovane mago perché era ancora intimorito dal suo vecchio insegnante nonostante gli anni passati e nonostante fosse ormai un uomo e quasi un padre, mentre Severus, beh, era sempre Severus, e in quegli occhi non faceva altro che rivedere Lily.

Quell’incontro non era stato poi molto, ma era pur sempre un primo passo verso un chiarimento che era assolutamente necessario tra quei due ed Hermione non faceva altro che ripeterglielo.

Stancante.

Con passo ancora un po’ incerto andò ad aprire.

«Non ritenevo necessaria la presenza di una balia in assenza del mio amorevole non-ancora-Medimago personale» soffiò scocciato Snape dopo essersi fatto da parte per permettere alla sua ospite di entrare.

«Oh, beh, anch’io sono felice di vederti, Severus.»

«Mm…»

Minerva McGonagall conosceva il mago che le era davanti fin da quando era un ragazzino e ormai nulla di lui riusciva più a stupirla, era ormai abituata da tempo al suo carattere che definire inesplicabile era piuttosto riduttivo.

Si ritrovò a sorridere nel vedere quell’espressione tipicamente da Severus scontroso, alla quale, sapeva, sarebbe seguita l’immancabile alzata di sopracciglio, e, infatti, lo sollevò non appena vide il sorriso sulle labbra dell’anziana strega.

«Dov’è Hermione?»

«Pensavo lo sapessi, visto che ti ha mandato lei.»

Hermione quella sera non c’era, era andata da qualche parte con Ginny che l’aveva convinta ad uscire un po’ – sì, avevano fatto pace, ancora ricordava perfettamente i vari piagnucolii che le due gli avevano urlato nelle orecchie, mentre lui, povero mago ancora in convalescenza, era bloccato a fare gli esercizi gentilmente imposti dalla giovane Granger e, ovviamente, non poteva muoversi né tapparsi l’udito.

E non aveva nemmeno la bacchetta per Schiantarle lontane miglia da lui!

Non potevano andare a consumare le loro idiozie da donnette altrove?

Come si era ridotto, pensò, assistito – e ricattato – da quella che una volta era una sua studentessa che, per giunta, tremava ogni volta che le respirava vicino.

Sì, era proprio ridotto male.

Poi ad un tratto gli venne in mente, in maniera del tutto inspiegabile, un particolare al quale aveva fatto caso più di una volta in quel mese: la giovane strega usava sempre la magia per fargli muovere il corpo, mai che una volta lo avesse anche solo sfiorato. Perché?, si chiese.

Non che gli importasse davvero, ma era comunque strano.

Che strani pensieri che fai.

«Oh, Severus, a volte penso che tu sia realmente senza speranza. Non posso venire a trovare un vecchio amico?»

«Sono tuo amico, Minerva?»

«Pensavo che avessimo chiarito ormai» rispose la strega con una nota di delusione nella voce che non sfuggì a Severus. «Sei mio amico, Severus, sei il figlio che non ho mai avuto. Ti ho odiato a lungo e profondamente, e ingiustamente, ma si odia solamente qualcuno che si ama e al quale si vuole bene. Ti ho odiato perché ti volevo bene, come un amico, come un figlio. Volevo bene anche ad Albus e mi sono ritrovata semplicemente davanti a qualcosa più grande di me, mi sono ritrovata davanti a quel figlio che lo aveva ucciso. Avrei dovuto farmi delle domande, farmi venire dei dubbi, non avrei dovuto credere che quello che avevo avuto davanti per anni era solo una menzogna. Mi dispiace, Severus, sono stata un’egoista a non pensare a ciò che provavi tu. Mi dispiace e ti chiedo scusa, ancora e ancora se servisse a farti credere a queste mie parole e ritenere di meritare il nostro e soprattutto il tuo perdono. Te lo dirò di nuovo e sempre, ma se tu non ci credi, è del tutto inutile.»

Severus rimase in silenzio per alcuni istanti, le braccia incrociate dietro la schiena, mentre di nuovo guardava il buio fuori dalla finestra, quelle strade dove aveva corso da piccolo per allontanarsi da lì, dalle urla che rimbombavano su quelle stesse pareti.

«Ti credo, Minerva. E non hai nulla di cui scusarti» si voltò verso di lei e le regalò uno splendido sorriso, un sorriso da Snape, certo, eppure era qualcosa che la strega non aveva mai visto prima, così dolce e luminoso che si sentì scaldare l’anima.

«Razza di stupido! Ti piace farmi essere così sentimentale?»

Il mago non rispose, strinse le labbra con forza cercando di trattenere una risata che era da tanto tempo che non gli veniva così spontanea e profonda.

Minerva afferrò un cuscino adagiato sul divano e senza pensarci due volte glielo lanciò addosso, quasi con rabbia, anche se stava ridendo persino lei, e in quell’istante Severus non riuscì più a contenersi e scoppiò a ridere.

Stai davvero ridendo, Severus?

Severus Snape stava davvero ridendo, ed era una risata sincera e all’improvviso si sentì come se quei pesi che aveva sull’anima stessero pian piano svanendo, come la nebbia che si dirada in un istante.

«Stai migliorando a vista d’occhio» disse la strega interrompendo quella risata, ma non la sensazione di benessere che era nata in quella stanza. «Sei un uomo tenace, Severus, e hai trovato una donna testarda quasi quanto te, anzi, a volte lo è anche di più» ridacchiò di nuovo, mentre il mago la guardava perplesso. «Sarà un ottimo Medimago!»

Dovette ammettere anch’egli che la giovane donna era brava in quello che faceva, aveva sempre posseduto l’inclinazione ad aiutare il prossimo – anche troppo! Ancora ricordava tutti i suggerimenti che aveva elargito durante le sue lezioni, per non parlare di tutti i guai in cui si era cacciata insieme con gli altri due durante gli anni – e quel mestiere era veramente adatto a lei. E poi ricordava che nella sua materia era sempre stata piuttosto brava.

Cosa? Ho sentito bene? Oh, sì, sei ridotto veramente male, Severus, se riesci ad ammettere una cosa simile.

Il grugnito di disapprovazione che mandò alla sua coscienza risuonò per tutta la stanza, lasciando Minerva un po’ perplessa poiché pensava che lui non riteneva per niente che potesse diventare un ottimo Medimago.

«Ti offrirei qualcosa, ma il cibo della signorina Granger non lo consiglierei neppure al mio peggior nemico» ecco, così si riequilibravano un po’ le cose, al diavolo la sua coscienza.

«Severus, quella ragazza sta cercando di aiutarti, non essere così duro con lei, e poi non credo possa essere così terribile come dici tu.»

«Prego, accomodati, Minerva» le disse indicandole il vecchio divano di pelle nera che occupava lo spazio davanti al camino ancora spento. «Torno subito» così dicendo sparì in cucina.

Dopo alcuni minuti tornò con un piattino colmo di varie pietanze che dall’aspetto non sembravano per nulla male.

“Ha decisamente ragione il giovane Weasley.”

«Tieni, assaggia.»

Minerva Mcgonagall afferrò quella che doveva essere la fetta di una crostata e non appena diede un morso a quella cosa, il suo stomaco fece degli strani rumori di disapprovazione e la sua lingua voleva staccarsi da sola per non dover continuare ad assaporare qualunque cosa fosse quella cosa.

Di certo non era una crostata!

In tutta la sua vita non aveva mai spalancato tanto gli occhi.

Severus non riuscì a reprimere una nuova risata che questa volta gli salì dallo stomaco, ancora rimembro di ciò che aveva provato lui la prima volta che aveva assaggiato qualcosa cucinato da Hermione Granger.

«Penso che non metterò mai più in dubbio la tua parola.»

«Io ti avevo avvertita. Vuoi un caffè?»

«Non avresti qualcosa di un po’ più forte?»

«Un whisky va bene?»

«Sì, grazie, una bottiglia penso che possa bastare a togliermi questo sapore dalla bocca.»

Mentre Severus versava il liquore in due bicchieri, la porta si aprì di colpo sotto la spinta di un’Hermione piuttosto furente che entrò quasi a passo di carica, ed entrambi la guardarono con un’espressione sconcertata.

«Uomini! Tutti uguali siete!»

Che le hai fatto, adesso, Severus?

“Cosa? Io? Ma se è rientrata adesso e non ho nemmeno parlato?”

Sì, ma di solito quando si arrabbia, è perché tu le hai fatto qualcosa.

«Cos’è che non capite delle parole “non m’interessa”? Perché dovete sempre insistere e insistere e finire Schiantati addosso a qualche muro?»

«Cos’è successo?» gli interessava davvero? Veramente non gli interessava per niente, ma era un modo per cercare di distrarla e soprattutto di farla smettere di urlare. Quanto desiderava la sua bacchetta in quel momento…

«Tutti uguali siete! Dei maniaci che pensano soltanto ad una cosa!»

«Io non sono per niente…»

«E tu non fai eccezione!» dov’era la ragazzina che s’impauriva ad ogni suo sguardo? Indiscutibilmente preferiva quella versione a questa che aveva davanti adesso che gli dava anche del “tu” quando si arrabbiava! Inaudito.

“Sì, ha decisamente ragione Ron,” pensò Minerva.

Ti dava del “tu” anche quando sussurrava parole dolci. Che carini!

“Smettila!”

«Io non sono un maniaco che pensa soltanto ad una cosa! Quindi smettila di urlarmi contro! E qui se c’è qualcuno che ha problemi, quella sei tu, che non riesci nemmeno a toccarmi durante la terapia che tu mi hai costretto a seguire!» ecco, l’aveva detto.

Perché l’aveva detto?

“Maledizione!”

Hermione rimase immobile con una strana espressione in volto, non sapeva ben definire quali fossero le emozioni che in quel momento le si stavano agitando dentro, non si era neppure accorta della presenza della sua vecchia insegnante di Trasfigurazione, tanto quelle parole l’avevano colpita come una doccia fredda.

Cosa significavano esattamente?

«Che significa?»

«Nulla, fai come se non avessi detto nulla» le rispose prima di mandare giù il whisky in un solo sorso e si premurò di riempirsi il bicchiere di nuovo.

«Eh no, adesso mi spieghi cosa volevi dire con ciò che mi hai detto!»

«Non mi sembra di averti mai concesso la facoltà di darmi del “tu”.»

«E non cambiare discorso!»

«Sì, ha decisamente ragione il giovane Weasley, sembrate una coppia di vecchi sposi!» sogghignò mentre sia Severus che Hermione la guardarono oltre che sconcertati, anche con uno sguardo che avrebbe incendiato persino il cuore di Dolores Umbridge.

«COSA?!» urlarono entrambi ad una strega sempre più divertita.

Ronald Weasley non aveva poi tutti i torti, sembravano davvero una coppia di vecchi sposi, assistere ai loro battibecchi era un assoluto spasso. Ovviamente lo sarebbe stato finché Severus fosse stato sprovvisto della propria bacchetta.

«Penso che sia meglio che vada.»

«NO!» una coppia di vecchi sposi che gridava anche in simbiosi. Sì, erano davvero divertenti.

E molto carini!

“Coscienza, io ti odio!”

Sai che novità! È una vita che mi odi, ogni volta che ti dico la verità mi odi, ma si sa che la verità è difficile da ascoltare.

“Smettila!”

Hermione tornò a guardare Severus mentre fece alcuni passi verso di lui, ma il mago arretrò istintivamente per tornare alla finestra, in quel posto sicuro che era ormai diventato da giorni, quell’angolo che per qualche istante lo riportava indietro nel tempo, a quando non gl’importava altro che guardare i suoi capelli rossi muoversi al vento.

«Poi mi chiedi perché non ti tocco. Pensi che non me ne sia accorta che ogni volta che qualcuno tenta anche solo di sfiorarti, tu arretri proprio come stai facendo ora?» Severus continuava a muoversi e Minerva fissò la giovane strega e le sorrise, un sorriso che significava che quelle parole erano vere, non poteva di certo dare torto alla ragazza.

Ricordava perfettamente che ogni volta che aveva provato ad abbracciarlo o anche solo a sfiorarlo, il mago si era irrigidito e si era allontanato, timoroso di qualsiasi contatto e di tutto ciò che avrebbe implicato.

In fondo entrambe le donne sapevano benissimo che era difficile per Snape lasciarsi andare in quel modo, lasciarsi toccare, perché erano consapevoli che in tutta la sua vita non aveva mai imparato il significato di quei gesti, così poche volte aveva avuto il calore di un tocco amorevole.

E di questo non gliene facevano di certo una colpa.

Non poteva, però, affermare che fosse Hermione a non volerlo toccare quando sapeva benissimo che desiderava esattamente il contrario, sapeva benissimo che lei era innamorata di lui e di ogni suo aspetto, ma la giovane strega non sapeva che il mago era a conoscenza dei suoi sentimenti, non credeva che avesse mai udito le sue parole in tutto quel tempo.

«Non ti tocco semplicemente perché sei tu che non vuoi essere toccato» e si avvicinò sempre di più a Severus che continuava ad arretrare passo dopo passo, sembrava una statua che si muoveva grazie ad un incantesimo.

«Non è assolutamente vero.»

«Ah no? Allora stai fermo e lasciati anche solo sfiorare.»

«Io non…»

«Sei un codardo, Severus, e della peggior specie, sappilo!»

Severus Snape si fermò di colpo, riportò le braccia che poco prima aveva stretto al petto, distese lungo i fianchi, serrando con forza e con rabbia le lunghe dita pallide, le sue labbra si erano irrigidite e gli occhi emanavano una strana luce, la sua irrequietezza si era fatta del tutto palpabile.

«Io non sono un codardo!» soffiò piuttosto nervoso.

«Nei sentimenti lo sei, anche parecchio! Se ci tieni tanto a smentirmi, stai fermo e lasciati toccare, anche solo una volta. Provami che ho torto.»

Severus tornò a guardare fuori dalla finestra, quei ricordi così lontani che sbiadivano sul vetro, scendendo come le gocce di pioggia di una sera d’autunno quando risplendono della luce del camino.

Hermione era dietro di lui, poteva sentirne il profumo, poteva sentire i suoi occhi che lo scrutavano a fondo, percepiva anche gli occhi di Minerva che sorridevano di quell’affetto che riconosceva persino lui.

Aveva ragione lei, era un codardo, un maledetto codardo che aveva paura di qualsiasi contatto, temeva anche solo un respiro più vicino degli altri, poi ad un tratto trasse un profondo sospirò e si voltò a guardare quella giovane strega che gli aveva messo sottosopra il suo – maledetto – mondo.

Fissò i suoi occhi e in quella strana luce che emanavano c’era il tacito permesso di avvicinarsi di più, di fargli finalmente provare quelle sensazioni che non aveva mai provato. Si rilassò e chiuse gli occhi.

Hermione avvicinò pian piano, timorosa, le dita al suo viso, così pallido e gelido, come aveva fatto quando ancora era steso su quel letto, ma questa volta c’era vita sotto quella pelle morbida, c’era un cuore che batteva.

«Apri gli occhi, ti prego» un sussurro caldo gli pervase i sensi e si sentì esplodere nel petto uno strano calore quando la sua mano toccò il suo volto, emanava un tepore mai sentito prima, o forse semplicemente non lo ricordava.

Eppure quel tocco non è così estraneo…

La giovane strega gli sorrise e Severus, all’improvviso, unì la mano a quella della ragazza e rimase immobile a guardarla, a guardare tutto di lei come mai aveva fatto, a guardarla in un modo completamente diverso che lo spaventò e calmò al contempo.

“Una meravigliosa coppia di sposi” pensò Minerva mentre sorrideva a quell’anima distrutta che forse era riuscita a trovarne una che le fosse affine e che la accompagnasse in quel viaggio che l’avrebbe portata a ricostruirsi, pezzo dopo pezzo.

Guardò i suoi due meravigliosi ragazzi e non poté fare a meno di sorridere.

Di nuovo.

 

 

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Capitolo 7
*** Così, all'improvviso ***


07 – Così, all'improvviso

Lo so, lo so, sono veramente imperdonabile per questo ritardo di quasi un mese, ma è stato un periodo frenetico e inoltre sono diventata zia, quindi significa che la mia bella pagnottona occupa gran parte del mio tempo libero :D per cui mi prostro ai vostri piedi e imploro pietà per questa mia lentezza (e ne approfitto anche per scusarmi, con ceci annessi, per il ritardo con il quale sto aggiornando l’altra mia Severus/Hermione, sono pessima, lo so T..T).

Per adesso vi lascio al capitolo e ringrazio come sempre tutti quelli che mi seguono/ricordano/preferiscono e ovviamente recensiscono o anche solo passano a dare uno sguardo, siete tantissimi e meravigliosi tutti! Se potessi vi abbraccerei tutti! =D

E spero non siate scappati tutti nel frattempo! XD

Come sempre, per qualsiasi cosa, non esitate a dirmela ;)

Spero, buona lettura! =)

 

 

07 – Così, all’improvviso

 

15 luglio 2005

 

Come aveva potuto permettere che si avvicinasse tanto, per giunta con Minerva presente?

Erano passate settimane, eppure il senso di smarrimento che lo attanagliava da quel giorno di fine giugno, non riusciva a scrollarselo di dosso, gli si era attaccato alla pelle e ad ogni ora penetrava la sua carne sempre più a fondo, e non ne capiva il motivo, e questo lo spaventava più di qualsiasi altra cosa al mondo. Ciò che non comprendeva lo rendeva terribilmente irrequieto e timoroso, perché non sapeva assolutamente come comportarsi.

Sei sicuro che non conosci il motivo di tale turbamento?

Quel senso di ansietà non lo abbandonò neppure mentre si dirigeva verso casa, in passi che si facevano più pesanti ad ogni metro che si avvicinava. Amava e odiava quella casa, per tutte le urla e i sorrisi che vi erano sepolti e ogni tanto riaffioravano nei ricordi che custodiva come fossero tesori, nonostante il dolore che gli procuravano ogni volta che sbocciavano nella sua mente.

Era la sua casa, e in essa c’era ancora la sua vita, e adesso c’era anche lei.

Nel sentire quella parola – che sapeva benissimo a chi fosse riferita – la sua coscienza iniziò a ridere piuttosto indegnamente, provocando in Snape un moto di frustrazione che si tradusse in una velocizzazione della sua andatura. Se avesse potuto esiliare la sua coscienza, lo avrebbe fatto all’istante.

«Dove diavolo sei stato?» un urlo s’infranse sul suo viso non appena varcò la porta d’ingresso.

«Mi scusi, Sua Eccellenza, non volevo di certo mancarle di rispetto nell’uscire a prendere un po’ d’aria. Vostra Grazia vorrà perdonarmi.» Snape si piegò in un inchino che fece imbestialire Hermione e divertire il giovane Weasley e il giovane Potter.

«Il tuo sarcasmo non attacca, Severus!»

«Sono uscito a fare un po’ di spesa. Se non inizio a cucinarmi da solo rischio di morire di fame o peggio, avvelenato.»

La frecciatina che Snape mandò alla giovane strega la colpì in pieno volto – in realtà sembrava più uno Schiantesimo potente da quanto divenne rossa e irritata – e le sue labbra si stirarono in una smorfia di disappunto che fece sorridere il mago: adorava terribilmente essere un bastardo, era un aspetto di se stesso che gli era mancato enormemente.

I due giovani maghi riuscirono a stento a trattenere una risata, sapevano che se c’era una cosa in cui la loro amica era proprio negata, era la cucina, ancora ricordavano il sapore del cibo durante la ricerca degli Horcrux e, peggio ancora, quando alcune sere invitava tutti a cena.

Sapevano anche che quando Hermione era di pessimo umore, la cosa migliore era girarle alla larga.

«Bene, tutto si è risolto per il meglio, quindi togliamo il disturbo» disse un Harry ancora sorridente mentre si alzava dal divano consunto che aveva accolto il suo insegnante per anni – aveva ancora i brividi al ricordo delle battute che aveva fatto Ron su tutto ciò che aveva visto e sentito quel divano nel corso degli anni.

«Sì, sì, meglio se togliamo il disturbo, prima di finire all’altro mondo» replicò il giovane Weasley.

«Hermione, dopo facci sapere se è tutto a posto.»

«Perché? Pensate che io possa farle del male?»

«Veramente, al momento, riteniamo che sia Hermione a poterle fare del male, professore.»

«Aspettate, vengo anch’io con voi» e senza aggiungere altro, Hermione seguì i suoi due amici verso la porta; era stanca, nervosa, in quelle ore aveva temuto il peggio per lui, era migliorato nettamente, ma il suo fisico ancora non aveva la resistenza di un tempo, e saperlo solo da qualche parte, per giunta senza bacchetta, l’aveva resa ansiosa e pazza di paura, e lui si permetteva di fare del sarcasmo come se nulla fosse.

«No.» Una mano pallida le si strinse intorno al polso che vibrava di rabbia, «tu no» e la spinse verso di sé, fermo sulla soglia di casa, con uno sguardo difficile da decifrare, ma dentro poteva sentire mille emozioni agitarsi furiosamente.

Cosa sono tutte queste sensazioni, Severus?

Ancora non trovava risposte a quella domanda che continuava a porgli la sua coscienza e, sapeva benissimo, che era un quesito che anche lui stesso si stava facendo, da giorni e giorni ormai.

«Noi dobbiamo parlare.»

Lo sguardo perplesso di Hermione fece sparire i due ragazzi all’istante, di certo non volevano assistere a strane o imbarazzanti discussioni tra i due – avevano notato che c’era qualcosa tra di loro e poi la professoressa McGonagall li guardava in un modo piuttosto ambiguo che non erano riusciti ancora a decifrare.

Severus lasciò il polso di Hermione e si diresse alla finestra, in quello che era ormai diventato per lui un angolo in cui lasciar fluire ogni suo pensiero, Minerva gli aveva detto che adesso non poteva più nascondersi, aveva mostrato i suoi sentimenti persino a lei, e continuava a ripetergli che era stato un bene che lei fosse stata presente in quel momento.

«Se non ci fossi stata io, avresti fatto finta di niente come sempre, avresti gettato via ogni sentimento o l’avresti relegato in qualche parte di te perché ancora non pensi di meritare una qualche felicità, perché se nessuno sente un albero cadere, significa che non fa rumore, vero, Severus?» Le parole di Minerva ancora gli ronzavano in testa ed era difficile mandarle via, ogni giorno s’insinuavano in lui sempre più in profondità, come se fossero una lama che penetrava nella carne, ed era doloroso.

Doloroso perché sapeva che le parole della strega erano così vere da fargli paura.

Ancora quella paura, Severus?

Se ci fosse stata soltanto Hermione, avrebbe negato qualsiasi cosa fino allo stremo, incolpando la sua giovane età e la sua inesperienza della vita, se avesse avuto la sua bacchetta, avrebbe persino azzardato un Oblivion nei confronti della ragazza, ma con Minerva presente era tutto diverso e complicato.

Con lei non poteva più fingere, non poteva più mentire come aveva fatto per tanti anni, lo aveva visto vulnerabile ai sentimenti, vulnerabile alla vita, e lui si riteneva ancora indegno all’amore.

E adesso cosa sarebbe successo?

«Di cosa dobbiamo parlare?» chiese Hermione ridestandolo dai suoi pensieri, si voltò appena per osservare il suo volto, quegli’occhi che quella sera di fine giugno avevano fissato i suoi e condotto una carezza sul suo pallido viso, e aveva sentito calore, un tepore sciogliergli quel gelo che aveva dentro da tanto tempo.

Tornò ad osservare il mondo fuori da quella finestra, in quel modo sarebbe stato più facile parlare.

«Cosa stiamo facendo io e te?»

«Non lo so, parlando, forse?»

«Non intendevo questo? Sai benissimo a cosa mi riferisco.»

«Veramente non ho capito a cosa ti riferisci, Severus.»

«Pensavo che avessi un po’ più di cervello, ma sei sempre una Grifondoro, quindi che mi aspetto.»

Hermione si ritrovò a sospirare più profondamente di quanto avesse mai fatto, ebbe la sensazione che il suo corpo si fosse svuotato di ogni briciolo di aria che aveva dentro, «ancora con queste idiozie sulle Case? Hai undici anni, forse? Detto da te non ha nessuna valenza, sai? Sei il Serpeverde con il più smisurato coraggio Grifondoro, il più intelligente Corvonero e il più paziente Tassorosso che io abbia conosciuto.»

«E tu saresti stata una perfetta Serpeverde Hermione si ritrovò stranamente a sorridere, un sorriso ampio che un tempo, dopo un’affermazione del genere, non avrebbe di certo piegato le sue labbra. «E non cambiare argomento.»

«Veramente sei tu che fatichi sempre ad andare al punto, soprattutto in certi punti.» Stavolta fu il turno di Snape di emettere un profondo sospiro di disapprovazione, anche se la sua coscienza gli ricordò che c’era poco da disapprovare, la giovane strega aveva perfettamente ragione.

«Ti ho sentita.»

«Mi hai sentita? Pensavi di essere diventato sordo?»

Severus sorrise a quello strano rapporto che si era creato tra di loro, e sorrise al pensiero che quando erano ancora tra le mura di Hogwarts quella ragazza non avrebbe mai avuto il coraggio neppure di respirargli vicino.

In quei sette lunghi anni erano cambiate molte cose, e forse era cambiato anche lui e faceva fatica ad ammetterlo, anche a se stesso.

«Cos’è che hai sentito?»

«Lascia stare, è meglio se vado a prepararmi qualcosa», ancora quella paura di proseguire oltre, di lasciarsi andare, ancora il timore di essere completamente sincero dopo anni e anni passati a dover mentire, era da vili, lo sapeva, ma lui era fatto così, non c’era spazio per l’amore o per qualsiasi altro sentimento. Aveva ragione Hermione: in quello era veramente un codardo.

«Vieni con me.»

«Non credo sia il caso che io metta di nuovo piede in cucina. Sei stato piuttosto chiaro in questo

«Non preoccuparti, mentre io preparo del cibo commestibile, tu farai una cosa per me.»

«Cosa?»

«Fidati di me.»

«Io mi fido di te, Severus, sei tu che non ti fidi di te stesso né degli altri.» Snape le sorrise, incapace di rispondere a parole, fece l’unica cosa che ormai gli riusciva bene e sembrava quietarla o rassicurarla in qualsiasi occasione.

Un tempo sarebbe stato così raro vederlo sorridere, eppure, adesso, aveva imparato a farlo, a ridere con una spontaneità che era sconosciuta per lui, come se per lungo tempo aveva perso una parte importante del suo essere e d’improvviso l'avesse ritrovata.

Tutto grazie a quella giovane strega che gli era davanti.

«Va bene, andiamo.»

Hermione seguì i passi lenti del mago, fermandosi per un istante a guardare il suo incedere fiero, ormai scevro da qualsiasi titubanza o dolore, e le parve che le spalle erano ormai dritte senza più quei pesi che doveva costantemente portare su di sé, anche se riusciva ancora a sentire diverse inquietudini gravargli sul petto.

Il suo desiderio era vederlo finalmente felice e del tutto libero, ed era un desiderio che aveva da molto tempo ormai.

Snape si era seduto elegantemente sulla sedia, le lunghe gambe accavallate, e osservava Hermione che ad intervalli volgeva lo sguardo ad una lavagna fatta comparire poco prima – non voleva rischiare di perdere alcun passaggio –, il banco di lavoro improvvisato e i suoi occhi che cercava di tenere i più neutrali possibili.

Era strano guardarla in quel modo, era come essere tornati indietro a quando ancora si trovavano tra le mura di Hogwarts, eppure era tutto diverso, Hermione non era più la timida ragazzina di allora, era una donna forte e tenace – innamorata, e lui lo sapeva –, persino lui era cambiato, la guerra aveva cambiato anche uno come lui.

«Non mi sembra tu stia preparando qualcosa.» Stavolta non alzò neppure lo sguardo verso di lui, troppo concentrata a sminuzzare alcuni ingredienti con assoluta precisione.

Severus le sorrise e non appena le sue labbra si piegarono, Hermione alzò gli occhi, come se sapesse che in quel preciso momento avrebbe guardato la bocca di Snape in quell’espressione che un tempo si concedeva così raramente, e che ora, invece, molto spesso gli vedeva dipinta sul suo volto.

Ed era bello vederlo sorridere così serenamente, lui era bello, si ritrovò a pensare la giovane strega, e un lieve rossore le sfumò le guance e per l’imbarazzo abbassò di nuovo lo sguardo su quegli ingredienti che non riusciva a tagliare al meglio.

«Dannati cosi!»

Snape si alzò dalla sedia e si portò alle spalle della ragazza, poteva sentire il suo respiro caldo muoverle appena i capelli, percepiva la presenza del suo corpo e questo le fece vibrare ogni brandello di carne, il cuore le accelerò quando le mani del mago si posarono delicate sulle sue e con forza le strinsero.

Hermione, però, poté facilmente affermare che quello fosse il tocco più delicato che un uomo le avesse mai fatto, sentiva brividi correrle lungo tutta la schiena.

«Devi accompagnare la lama con il polso e sentire la consistenza scivolarle addosso, non è un pestello, devi essere delicata, tagliare con rispetto.»

Come poteva quella semplice osservazione risultare così tremendamente sexy? Si chiese un’Hermione che in quel preciso momento faceva fatica persino a reggerlo quel dannato coltello.

Doveva essere particolarmente stanca se la sua mente formulava simili pensieri, di sicuro era quella la spiegazione migliore che riuscì a formulare, aveva davvero bisogno di staccare la spina e di dormire per giorni e giorni senza più la costante visione di quell’uomo che le era entrato nell'anima da anni ormai.

Da quando si era risvegliato, non faceva altro che sognarlo, costantemente, e quando non era con lui, i pensieri andavano sempre e comunque verso i suoi occhi, le sue labbra, il suo viso, quella sua voce che sapeva essere così dura e dolce al contempo, maledettamente affascinante.

Ormai si era ristabilito e poteva andare avanti da solo in quei pochi semplici esercizi che ancora avrebbe dovuto fare per un po’, poteva staccarsi da lui, tornare alla sua vita, alla sua casa, ma sarebbe riuscita a non pensare costantemente a lui?

Hermione sospirò mentre eseguiva i movimenti guidata da Severus che non si era mosso, poteva sentire il petto spingersi e rilassarsi sulla sua schiena: era una sensazione di assoluto benessere che non avrebbe voluto finisse mai, avrebbe voluto congelare il tempo in quell’istante, immortalarlo in una fotografia da portarsi dietro tramonto dopo tramonto, da mostrare un giorno ai propri figli, oppure da rivedere nella solitudine di una vecchia casa, seduti alla finestra a guardare la pioggia che lenta scendeva lungo il vetro, goccia su goccia.

«Sono stata in pensiero per te, oggi.»

«Per me?»

«Sì, per te. È vietato essere in pensiero per Severus Snape?»

«No, non è questo.»

«Allora che domanda è: certo che ero in pensiero per te. Sei sparito all’improvviso, va bene che ormai sei guarito e non hai più bisogno di nessuno, ma eri senza bacchetta, non sei ancora il Severus Snape di una volta, non…»

«Non voglio essere il Severus Snape di una volta!» Così dicendo si staccò all’improvviso da Hermione che per un attimo perse l’equilibrio e dovette spostare indietro una gamba per non cadere all’indietro.

La giovane strega posò il coltello sul tavolo dopo aver gettato gli ingredienti sminuzzati nel calderone e seguì il mago che si era nuovamente seduto sulla sedia, stavolta poteva scorgere tensione nei suoi lineamenti e se ne doleva ogni volta che lo vedeva in quel modo, e ogni volta si sentiva inutile perché non sapeva cosa fare per aiutarlo, per tirare fuori quel bellissimo sorriso troppo a lungo celato da quelle labbra.

Si avvicinò e si abbassò fino a riuscire a fissare gli occhi di Severus con i suoi, e fece l’unica cosa che in quel momento le venne in mente.

L’unico stupido gesto che non avrebbe dovuto fare, ma che desiderava compiere da tantissimo tempo.

Hermione Granger afferrò il volto di Severus Snape e lo baciò, così, all’improvviso, e fu il momento più bello della sua vita, quell’attimo che una persona si porta dietro per sempre, come un amico o un fratello da non abbandonare mai.

«Non devi cancellare tutto il bello che sei stato e tutto ciò che di buono hai fatto,» Hermione interruppe quell’interminabile attimo in cui si era sentita prigioniera di un sogno e finalmente libera, in un posto lontano dove c’era spazio soltanto per loro e per quella felicità così a lungo agognata come l’acqua in mezzo al deserto. «Sei stato un fantastico Severus Snape con le sue molte ombre e le sue molteplici luci, e non devi voler cancellare ciò che ti rende l’uomo meraviglioso che sei diventato. Devi solo trovare finalmente la tua strada ed essere felice come mai sei stato, devi essere un nuovo Severus che continua a camminare con la parte migliore del suo passato, perché anche quello sei tu, non dimenticarti quello che sei stato e quanto di bello puoi ancora fare.»

«Hermione, non dovremmo…»

«Lo so, non avrei dovuto dirti queste cose, non avrei dovuto baciarti, mi dispiace, ma è una cosa che volevo fare e di cui ritenevo tu avessi bisogno per sentire tutto il bello che c’è in te e che io vedo, e non sono l’unica a vederlo.»

«Hermione…»

«Sei guarito, Severus, ed io sono una persona di parola,» la giovane strega si allontanò un istante per andare a prendere la borsa che era rimasta sul divano di pelle nera, quando ritornò, aveva una bacchetta stretta in una mano, la sua bacchetta. «Questa è tua. Il mio compito qui è finito, adesso ti lascerò in pace,» gli sorrise, il suo, però, era un sorriso spento, visibilmente forzato, ma non voleva mostrare la tristezza che si stava impadronendo di lei, non a lui e non in quel momento.

Aveva capito che oltre quel poco tempo, non c’era alcuno spazio per lei nella vita di Severus, lo aveva capito e doveva farsene una ragione.

Lui non sarebbe mai stato l'uomo che si sarebbe lasciato amare da lei, forse non era davvero fatto per l'amore, soprattutto non se nella sua vita vi sarebbe stata per sempre Lily e lei soltanto.

Era frustrante, ma avrebbe dovuto saperlo che la vita, a loro, non avrebbe potuto riservare nulla, non esisteva neppure un "loro".

Eppure non poteva non pensare a ciò che avrebbe voluto dirle e che invece si era tenuto dentro, perché le sue parole e i suoi gesti nascondevano qualcosa, ma chi era lei per forzarlo a fare qualcosa che in realtà non aveva nessuna intenzione di fare?

Severus la guardò camminare verso l'uscita, la guardò allontanarsi da lui e non fece nulla, non sapeva come comportarsi, rimase immobile con mille pensieri nella testa e un senso d'inquietudine ad opprimerlo.

Io ti avevo avvisato che non sarebbe stata una buona idea, Severus.

Così, all’improvviso, Hermione Granger uscì da quella porta e dalla vita di Severus, così, come, all’improvviso vi era entrata.

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Capitolo 8
*** Il regalo più importante ***


08 – Il regalo più importante

Come sempre ringrazio tutti quelli che passano a leggere questa storia, che la preferiscono, ricordano e seguono e, ovviamente, a chi si ferma a recensire. Veramente grazie, siete tutti splendidi e vi abbraccerei tutti se potessi :D

Per ora vi lascio a questo ottavo capitolo e, come sempre, per qualsiasi cosa non esitate a dirmela ;)

Spero, buona lettura! ;D

 

08 – Il regalo più importante

 

26 agosto 2005

 

La mano scivolava lenta sul marmo bianco, percorrendo ogni singola crepa che sentiva sotto le dita, ma che non c’era, forse era soltanto dentro di sé che le sentiva, ne era pieno, colmo di squarci che ancora non smettevano di sanguinare.

Eppure quella mattina, quando Hermione lo aveva baciato così inaspettatamente, gli era parso che il sangue avesse smesso di scorrere da quelle ferite, ed era come se si fossero rimarginate pian piano, con quella stessa lentezza con cui la pallida mano avanzava su quella pietra così candida da accecare la vista.

Era strano trovarsi lì, in quel luogo solitario che, dopo tutto quel tempo, ancora amava e odiava, era la sua casa, gli aveva dato tutto, ma era riuscita anche a strappargli ogni cosa, o forse, semplicemente, era soltanto colpa sua e delle sue mani che avevano estirpato con forza ogni cosa bella gli fosse capitata.

Non era mai stato lì, neppure prima di finire in coma per sette lunghi anni, neppure quando si trovava a pochi passi e sarebbe bastato volgere lo sguardo su quelle pietre per osservare ciò che aveva fatto, il dolore che ancora si portava dentro.

Non aveva mai amato i compleanni, tantomeno festeggiarli, né i suoi né quelli degli altri, credeva che fosse una cosa ridicola festeggiare il tempo che inesorabile passava e ti staccava poco alla volta alla vita, anche se lui avrebbe voluto che il suo stelo fosse reciso dalla terra ben prima di quella notte alla Stamberga.

Eppure ancora era lì, a respirare a pieni polmoni quell’aria fresca d’agosto che veniva dal Lago poco distante, a compiere quei passi su una terra che lo aveva accolto per anni e aveva aspettato a lungo che la sua ombra tornasse a darle frescura.

Continuava a camminare intorno alla tomba, scrutandola a fondo come se fosse possibile vedere al suo interno, il volto sereno e sorridente di Dumbledore che giaceva lì; avrebbe pagato qualsiasi cosa pur di rivedere quel sorriso sulle labbra del vecchio preside, e invece i suoi ricordi erano tormentati da quel sorriso su quella Torre.

L’ultimo sorriso di chi vede la morte, di chi l’aspetta ormai da tempo, il sorriso con il quale lo aveva pregato di ucciderlo.

«Dannato vecchio pazzo!»

Il suo, però, era più un sussurro che un effettivo lamento di rabbia, ormai non era più il tempo della collera, dopo otto anni era del tutto inutile provare simili sentimenti, non avrebbero di certo cambiato le cose, Dumbledore sarebbe rimasto morto in quella bianca tomba, mentre lui avrebbe continuato a soffrire per ogni errore che aveva commesso.

Non è più tempo di pensare al passato, Severus. È ormai tempo di vivere pienamente la vita e costruirsi un futuro.

Non aveva portato niente con sé, un fiore, un piccolo stupido pensiero com’era consuetudine fare, come sempre si era presentato a mani vuote, quelle mani, che erano state a lungo ricoperte di sangue, adesso scorrevano lente sulla superficie della tomba.

Ripensò ad Hermione, allo sguardo di Minerva, ai volti felici di chi lo aveva visto di nuovo vivo, e l’unica cosa che si sentì di regalare al vecchio amico fu il suo sorriso, caldo e sincero come mai aveva fatto quand’era ancora in vita, silenzioso e nascosto dai lunghi capelli neri che fece scivolare ancora più a coprirgli il volto, perché quel gesto avrebbe dovuto essere soltanto per lui, soltanto per l’amico perduto.

Era strano per lui sorridere davanti alla tomba di Dumbledore, quel marmo bianco era il simbolo di tutto ciò che aveva sbagliato nella vita, di tutto il male che aveva fatto e di tutto il sangue che era scivolato sulle sue mani, pallide come quella pietra, che si confondevano ad ogni carezza che gli donava, profonda e lenta perché in cuor suo voleva che quel tocco arrivasse al corpo del vecchio preside, all’amico ucciso.

Voleva che sentisse tutto l’affetto che in vita non era mai stato in grado di dimostrargli.

Per un attimo gli ritornò alla mente quell’ultimo incubo che lo aveva riportato alla vita, le immagini di Dumbledore divorato da quel nero che veloce si espandeva dalla mano inghiottendo ogni brandello di pelle e ogni singolo pezzo di carne, ricordò sua madre e Lily e per un attimo si sentì di nuovo perso, come se ogni certezza si fosse fatta densa nebbia che un vento forte avrebbe spazzato via.

Poi, però, ricordò anche i loro sorrisi, quelle labbra felici che lo avevano guardato mentre pian piano si svegliava e riapriva nuovamente gli occhi al mondo.

Chi era lui per far soffrire tutti loro ancora una volta?

No, non sarebbe stato più il carnefice di nessuno, non sarebbe stato più colui che spandeva soltanto tristezza e dolore, no, Severus Snape voleva soltanto vivere e, perché no, voleva anche sorridere.

Sorridere a tutti coloro che gli avevano dimostrato affetto, a tutti coloro che gli volevano bene, sorridere a se stesso perché mai in vita sua si era concesso di farlo.

«Speravo di trovarla qui, professore.»

«Non ritengo che tale termine possa ancora essere accostato alla mia persona, signor Potter.»

«Harry.»

«Cosa?»

«Sono Harry, solo Harry, non sono un signore e da lei non merito affatto di essere chiamato tale.»

Severus si stupì di tali parole, anche perché non credeva di aver ben compreso il loro significato, o meglio, cosa il giovane Potter avesse voluto dirgli.

Harry camminò silenzioso intorno alla tomba come poco prima aveva fatto Snape e silenzioso la guardava mentre anche lui fece scorrere le dita sul liscio di quella pietra, come se quel tocco avrebbe potuto far tornare Dumbledore davanti ai suoi occhi.

«Non capisco cosa vuole dire.»

Harry si fermò lì, dove sotto la sua mano avrebbe dovuto esserci il volto di Albus e lo guardò per un attimo sorridendo prima di volgere nuovamente lo sguardo alla bianca tomba e riprendere a far scorrere le dita su di essa.

«Non merito tale rispetto da una persona che ho trattato come il peggiore dei criminali. Per me lei è stato per lungo tempo ben peggiore di Voldemort stesso, non ho mai cercato di capire, non volevo capire, sono stato uno stupido.»

«Si è comportato esattamente come tutti gli altri e non biasimo nessuno di voi per questo.»

«E invece dovrebbe, perché c’erano persone che la conoscevano da moltissimi anni e che hanno avuto sempre fiducia in lei, Dumbledore si è fidato di lei fino alla fine e si arrabbiava ogni volta che la mettevo in discussione con lui, quello avrebbe dovuto indurmi a fare delle domande, invece non l’ho mai fatto.»

«Harry… quella notte, su quella Torre, tu c’eri, mi hai visto levare la bacchetta contro Dumbledore e ucciderlo in un attimo, cosa pretendevi di pensare?»

Harry e Severus si guardarono negli occhi, nel profondo, come mai avevano fatto e, per la prima volta, Snape vide solamente il ragazzo in quello sguardo e di questo se ne stupì.

Non credevi sarebbe mai stato possibile, vero?

Anche il giovane mago era stupito di quel repentino cambio di tono nei suoi confronti, in realtà credeva che il suo ex professore non sarebbe mai stato capace di chiamarlo per nome, e invece adesso erano lì, entrambi con una mano sulla tomba di Dumbledore che li divideva, eppure li univa, profondamente, e con un’intensità che nessuno avrebbe mai potuto ritenere possibile.

«Era quello che tu dovevi pensare, che tutti dovevano pensare. Il mio compito era quello e dovevo portarlo avanti ad ogni costo e con ogni mezzo, ma non credere che mi sia piaciuto farlo, ho sofferto per ogni singola scelta sbagliata che ho fatto e le conseguenze per quelle scelte mi hanno portato soltanto dolore. Dolore e nient’altro, ma non meritavo che quello per tutto ciò che sono stato e per le mie azioni.»

Se Albus Dumbledore fosse stato lì, presente, a scrutarli entrambi, invece che dormiente in una tomba, avrebbe pensato che quelle parole e i due maghi che continuavano a toccare quella pietra come se avessero paura che potesse scomparire, fossero il miglior regalo che qualcuno avesse mai potuto fargli durante tutta la sua lunga vita.

«Non meritavo la comprensione e il perdono di nessuno.»

«Adesso la merita, però. Li merita entrambi» e Harry gli sorrise, un sorriso ampio che illuminò ancora di più quello sguardo di smeraldo in cui per anni si era perso e ne aveva sofferto, invece ora, non vedeva nient’altro che gli occhi verdi di Harry. Soltanto Harry.

Certo, il ricordo di Lily era ancora ben presente in lui come in quelle iridi, ma era soltanto una lieve carezza che ogni tanto sentiva sul viso, niente di più, e il suo cuore in quel momento seppe che avrebbe dovuto riporre quel ricordo in uno scrigno segreto, affinché fosse rimasto per sempre con lui, ma, nello stesso tempo, gli avrebbe permesso di vivere la sua vita, pienamente, e di cercare di trovare una felicità.

La felicità che quegli occhi e quel sorriso gli stavano mostrando fosse possibile.

«Sa che è nato il mio primogenito?» Harry continuava a sorridere e nel suo volto si poteva scorgere una felicità che scoppiava in mille fuochi alti e luminosi.

«E dovrebbe interessarmi?»

«Oh, sì, non è felice all’idea di avere un altro Potter tra i piedi?»

«Estasiato.»

In quel frangente e vedendo l’espressione di Snape, Harry non poté fare a meno di ridere, una risata fragorosa e indecente – come l’avrebbe definita Severus – che avrebbe risvegliato persino Dumbledore, se fosse mai stato possibile.

Lo vide piegarsi con le mani sullo stomaco e un sorriso mal trattenuto gli piegò le labbra.

«Mi raccomando, prosperi ancora e regali al mondo altri piccoli impertinenti e odiosi Potter alla scoperta – e distruzione – del mondo.»

«Veramente io pensavo di averlo salvato il mondo.» Sì, veramente impertinente e odioso.

«Certo, se tu e il tuo amico Weasley non aveste avuto il cervello di Hermione a disposizione, sareste finiti all’altro mondo ancora prima di prendere i G.U.F.O.»

«E lei?»

«Io cosa?»

«Se non ci fosse stato lei, sarei morto ben prima di concludere il mio primo anno.»

«Se non ci fossi stato io, adesso avresti una famiglia.»

Harry si avvicinò a quello che era stato il suo temuto insegnante di Pozioni e gli sorrise ancora una volta, sapeva a cosa si riferisse, ma non lo biasimava e non gli imputava alcuna colpa, semplicemente riteneva che fosse andata come doveva andare. Si stava ancora tormentando già abbastanza da solo per quello, che non aveva bisogno del suo odio e del suo rancore che, in ogni caso, ormai non provava più.

«Io ce l’ho una famiglia. Anche lei fa parte della mia famiglia. Lei ha sempre fatto parte della mia famiglia, solo che a quel tempo non lo sapevo. Lei c’è sempre stato per me, ha vegliato su di me come avrebbe fatto un padre.»

Severus poggiò la schiena sulla tomba, voleva sentire in qualche modo il sostegno di quell’amico ormai perduto, come se il marmo bianco che sentiva premergli sulla pelle, fosse proprio la stretta forte di Albus che lo teneva in piedi; guardò il cielo limpido sopra Hogwarts, quei raggi che scoppiavano in mille scintille dorate su quelle pietre candide, poi chiuse gli occhi e immaginò la mano di Dumbledore che delicata e vigorosa si posava sulla sua spalla, quel sorriso che sempre aveva saputo incoraggiarlo e spingerlo a non arrendersi mai, anche quando quell’espressione non faceva altro che irritarlo.

Eppure in un modo o nell’altro c’era sempre stato, gli bastava aprire la porta per trovare il suo sostegno e il suo sorriso, trovare un amico e un padre mai avuti, trovare l’uomo che aveva saputo renderlo migliore.

«Non ti conviene farmi entrare nella tua famiglia» e Snape riaprì gli occhi per guardarlo.

«Non venga a dirlo a me, dove si è mai sentito che uno studente e un insegnante che si odiavano, adesso diventano quasi padre e figlio? Per non parlare di quello che potrebbe fare ai miei figli una volta a Hogwarts,» Harry però rideva, rideva nuovamente a quel padre che non aveva mai avuto, a quel padre che era rimasto sempre nell’ombra eppure c’era sempre stato.

«È un’eventualità che non esiste minimamente. Primo perché non ho nessuna intenzione di fare da padre ad un Potter, secondo perché non ho nessuna intenzione di fare da insegnante ad un altro Potter e terzo: e se lei avesse a che fare con i miei, di figli?»

«Vorrebbe dei figli.»

Il giovane Potter camminò nuovamente intorno alla tomba, stavolta, però le sue mani erano strette intorno al petto e, sorridente, guardava Snape con molto interesse, chissà come sarebbe stato il suo vecchio insegnante alle prese con una moglie e dei figli.

Se fosse stata una donna come Ginny, col carattere di Snape, sarebbe finito divorziato o vedovo ancora prima di finire il trasloco, poi, però gli venne in mente Hermione e allora s’immaginò i due andare all’ospedale dove, messi in una stessa stanza, avrebbero finito per litigare anche lì.

Quella scena lo fece ridere così tanto che Snape lo fulminò con lo sguardo.

«Non lo so. Potrebbe essere. Non ci ho mai pensato.»

«Oh, wow, degli Snape per il mondo sarebbero un disastro, s’immagina dei Potter e degli Snape liberi di vagare? Una catastrofe!»

Harry e Severus erano uno accanto all’altro a scrutare l’azzurro di quel cielo che ad entrambi ricordò il colore degli occhi di Dumbledore, ormai chiusi da anni sotto quella pietra bianca. Stavano lì, con un passato doloroso alle spalle che li sorreggeva e li spingeva verso un futuro luminoso come la volta che stavano osservando, lucente come quel sole che splendeva sopra quell’angolo di mondo che per tutti e due era diventato casa.

«Sì, decisamente una catastrofe.» Immobili in quella posa che voleva cristallizzare quell’attimo per tutta una vita, un ricordo da farsi indelebile, sorrisero ognuno all’altro e sorrisero a loro stessi, a ciò che avevano e a ciò che avrebbero potuto avere.

«E comunque dovrebbe prima trovare la futura madre dei suoi figli, non crede?»

«E tu non credi che stai notevolmente andando oltre a quello che dovrebbe essere il nostro rapporto?»

«D’accordo, non è affar mio, ma, in quanto figlio, vorrei vedere mio padre felice. E sistemato.»

«Smettila.»

«Va bene, va bene, non m’intrometto più. C’è qualcuna che le interessa?»

C'era qualcuna che le interessava? No, a lui interessavano i libri e le pozioni, quei sentimenti erano tutt'altra cosa, andavano al di là del semplice interesse, erano qualcosa di più profondo, ma neppure lui sapeva definirli con esattezza.

In quel mese aveva pensato spesso a lei, a quel bacio rubato in un attimo, alcune volte la notte rimaneva sveglio nel suo letto e con le dita sfiorava le labbra, come se ancora, dopo tutto quel tempo, c'era rimasto qualcosa che gli ricordava il suo sapore, quell'essenza che avrebbe voluto assaporare ancora e ancora fino a non dimenticarsene più.

Un bacio soltanto non gli bastava più, avrebbe voluto consumare e consumarsi in un amore finalmente ricambiato.

E Lily?

Lily adesso era custodita in quello scrigno nel suo cuore, lì dove ci sarebbe sempre stata e dove sarebbe potuto andarla a guardare ogni volta che voleva, adesso, però era tempo di andare avanti, non aveva combattuto per niente, non era sfuggito alla morte per vedersi di nuovo incatenato, non si era svegliato dopo sette lunghi anni per rimettere a dormire quella vita che non aveva mai vissuto.

Lily sarebbe stata sempre in lui, ma era venuto il tempo di percorrere finalmente quella strada che sembrava il destino gli avesse spalancato.

«Dannati Grifondoro, perché non capite quand’è troppo?»

«Perché siamo dannati Grifondoro con sprezzo del pericolo,» rispose Harry alzando le spalle.

«Ho di nuovo la mia bacchetta, per tua informazione.»

«Io ho la mia. Ma se le faccio un graffio, il suo medico mi disintegra.»

«Quale medico? E comunque non riusciresti neppure a respirare.»

«Vogliamo provare?»

«Per Merlino, siete due bambini al Club dei Duellanti?» La voce di Minerva McGonagall l’avrebbero riconosciuta ad occhi chiusi, quella presenza così forte che negli anni non aveva mai fatto mancare a nessuno dei due il suo affetto e il suo sorriso che riusciva sempre a scaldare i loro cuori che avevano troppo a lungo sanguinato e sofferto. «Harry, Ron ti sta aspettando per portare a casa Ginny e il bambino.»

«Ok, vado subito, la ringrazio per avermi avvertito, professoressa McGonagall» e s’incamminò verso i confini di Hogwarts, dove avrebbe potuto Smaterializzarsi senza problemi, ma prima si voltò di nuovo verso Snape, «grazie per tutto ciò che ha fatto. Grazie… Severus» e, prima di sparire dalla loro visuale, gli sorrise.

Minerva guardò i suoi due ragazzi e capì, non c’era bisogno di dire nulla, lei aveva capito ogni cosa e non poteva che esserne felice, una felicità che le fece battere il cuore più forte e non riuscì a trattenere alcune lacrime di gioia, mentre regalava tutto il suo bene attraverso quel sorriso che le era nato spontaneo come quel pianto.

«Penso di essermi innamorato, Minerva. Non credevo fosse possibile una cosa del genere, ma è così, sono innamorato della vita e sono innamorato di una donna.»

Minerva McGonagall posò sulla tomba una mano dove le rughe scrivevano di una vita vissuta con coraggio e forza, con tutto l’amore che era stata in grado di provare, posò una mano sull’amico che non c’era più, mentre l’altra stringeva delicata la stoffa nera della veste di Snape.

Guardò il sepolcro che accoglieva Albus, guardò Severus finalmente felice che sorrideva a quel futuro che adesso vedeva così chiaro, limpido come il cielo che li osservava in silenzio.

«Vai da lei.» Lì, davanti alla tomba di Dumbledore, Minerva sorrise a Severus, alla sua vita ritrovata, alla sua gioia. Al suo futuro.

Sì, quello era decisamente il migliore dei regali che Severus Snape avrebbe potuto fare ad Albus Dumbledore e, da lassù, anche il vecchio preside se n'era accorto e gli stava sorridendo grato per quel dono.

 

 

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Capitolo 9
*** Mi prendo cura di te ***


Titolo: 09 – Mi prendo cura di te

Uff, di nuovo in ritardo, ma, come dire, mi è definitivamente andato il computer (insieme alla mia diplomazia e pazienza XD), e, come sempre mi scuso e mi prostro ai vostri piedi.

E ringrazio infinitamente tutti quelli che continuano a seguire questa storia, a preferirla e ricordarla o anche solo a leggerla e, ovviamente, chi si ferma a recensire.

Vi lascio al nono capitolo e, come sempre, per qualsiasi cosa, scrivete pure ;)

Spero, buona lettura!

 

 

 

 

09 – Mi prendo cura di te

 

 15 settembre 2005

 

Quel giovedì, poco dopo l’ora di pranzo, Hermione uscì dall’aula in cui aveva discusso la sua tesi e finalmente poté essere chiamata Medimaga: il cuore sembrava volerle uscire dal petto da quanto batteva forte per la felicità.

Aveva due occhiaie da far paura, ma non le importava, aveva faticato e lottato per tutta la vita per giungere a quel momento e vedere la gioia sul viso delle persone che le volevano bene, ne era la dimostrazione.

Certo, mancava una persona, ma sapeva che lui non sarebbe mai venuto, ormai avevano troncato quasi ogni contatto, tranne alcuni giorni in cui si erano incontrati per pura coincidenza a casa di Harry e non si erano guardati neppure, forse troppo imbarazzati; e poi a lui cosa importava se avesse raggiunto quel traguardo?

Camminò verso i suoi amici, euforica, e li abbracciò uno ad uno, ed era talmente felice che non riuscì a sentire neppure tutto quello che le stavano dicendo; poi, mentre era stretta tra le braccia di Ginny, lo vide in un angolo, in disparte, com’era consuetudine per un uomo come lui, poggiato al muro di un corridoio un po’ buio che la guardava. Sorridente.

Hermione gli andò vicino mentre gli altri si preparavano ad uscire: quel giorno si doveva assolutamente festeggiare, la piccola Weasley era stata piuttosto irremovibile, le aveva detto che una distrazione – e perché no, anche un po’ di eccitazione alcolica – le avrebbe fatto solo che bene.

«Di cosa trattava la tua tesi?» fu la prima cosa che le chiese, senza un saluto, senza alcuna congratulazione, così, da Snape.

«Il comportamento del corpo umano colpito da un morso – apparentemente – letale di un serpente velenoso contenente anche un frammento dell’anima malvagia di un mago oscuro.»

«Quindi sono motivo di studio, adesso.»

«C’è molto da studiare in te.»

«Questo mi fa molto felice, veramente, sono commosso.» Incrociò le braccia al petto e mise addirittura il broncio: terrificante. E adorabile, pensò la giovane strega.

Ed Hermione trattenne a stento una risata.

«Smettila di fare sempre il bisbetico, sei un uomo fantastico da cui molti avrebbero da imparare. Io ho imparato molto da te, se non l’avessi fatto, non sarei qui, con una specializzazione di Medimagia tra le mani.»

«Avresti imparato lo stesso, sei sempre stata piuttosto brava.» Hermione si voltò ad osservarlo bene, un’espressione di pura incredulità dipinta sul volto.

«Aspetta… aspetta… non l’avrai mica detta sul serio una frase del genere? Stai bene? Hai la febbre? Hai sbattuto la testa? Un piede? Qualcosa?»

«Ah ah, molto divertente, davvero, potrei morire di attacco di risa seduta stante. Poi magari fai uno studio anche su questo.» Si guardavano e parlavano e, in quell’attimo, era come se non si fossero mai allontanati l’uno dall’altro.

«“L'uomo che non ride mai, muore ucciso da una risata incontrollabile.”» Hermione Granger si ritrovò a ridere, ridere sonoramente e spudoratamente del mago che le era vicino, appoggiato al muro, che la guardava con curiosità e perplessità, ma neppure lui riuscì a trattenere un sorriso che gli piegò entrambi i lati della bocca.

«Merlino, sei divertente, Severus. E se sei divertente, significa che c’è qualcosa che non va. Cosa c’è?»

«Sono sempre stato divertente» rispose quasi piccato. «E comunque non c’è nulla che non vada.»

«Non ci credo moltissimo,» ma non voleva di nuovo cercare di entrare nei suoi pensieri, ormai le era chiaro che lui non avrebbe permesso a nessuno di penetrare quella corazza che neppure sette lunghi anni di coma avevano distrutto. Decise, così, di deviare il tema di conversazione su altro. «Vieni anche tu alla festa?»

«Veramente io non credo sia il caso.»

«Perché no?»

«Perché non…»

«Oh, Severus, che piacere vederti, cercavo giusto te. Per favore, accompagna questa povera vecchia a fare due passi e poi alla Tana, così parliamo un po’.»

«Veramente io…» e di nuovo fu interrotto da Minerva che lo stava già trascinando fuori dal San Mungo senza che lui potesse addirittura fiatare, le sopracciglia alzate più del dovuto, mentre Hermione li guardava allontanarsi con un ampio sorriso sulle labbra.

Quelle labbra…

“E no, mio caro, questa volta non te la svigni, ti costringo a venire alla Tana e parlarle una volta per tutte, dovessi legarti da qualche parte!”.

Le si era stretto il cuore ogni volta che li aveva visti distanti, come se fossero due estranei, eppure i loro sentimenti verso l'altro erano così chiari che non credeva affatto possibile che in quel momento si comportassero in quel modo. Veramente assurdo.

Sapeva che adesso era il turno di Severus di fare quei passi avanti, Hermione li aveva già fatti e si era ritrovata a doversi scostare da lui che immobile l'aveva lasciata andare.

Poi, però, davanti alla tomba di Albus le aveva confessato i suoi sentimenti per la giovane strega, eppure in tutti quei giorni non era riuscito ad andare da lei, a dirle alcunché.

"Inammissibile!".

Sì, era davvero inammissibile, e se lui non avesse fatto qualcosa, ci avrebbe pensato lei a spingerli l'uno addosso all'altro, a questo punto non poteva più aspettare.

 

La Tana era come la ricordava durante le riunioni dell’Ordine, nulla era cambiato, eppure sapeva che c’era un vuoto che sarebbe stato difficile colmare, si poteva sentire persino poggiando le mani sulle mura, ed era lo stesso vuoto che lui aveva avuto dentro per anni e che sapeva nulla avrebbe cancellato, ma bisognava imparare a conviverci, a farne una parte di sé.

Per un interminabile tempo, il dolore che gli aveva procurato quel vuoto era stato il suo unico compagno di vita, persino in quello stato vegetativo era stato un frammento del suo essere, ma erano bastati i sorrisi di chi gli voleva bene a relegarlo in un luogo nascosto che lo custodisse, era bastato rendersi finalmente conto che c'erano davvero persone che provavano affetto nei suoi confronti, e aveva persino scoperto di ricambiare quei sentimenti.

E poi c'era l'amore, finalmente l'amore, quello vero, quello reale, e non quello confuso con mille altre emozioni.

Aveva parlato a lungo con diverse persone – o meglio, come sempre, lui aveva ascoltato e detto appena poche parole, e per uno come lui era un grande traguardo – e sembrava tutto così irreale che credeva di sognare, e si era sentito come appartenente ad una famiglia, come mai gli era capitato di sentirsi; a volte, però, la sua mente lo portava lontano, nel passato, in quel periodo dove il buio aveva inghiottito ogni cosa di sé e si ritrovò a stringere le dita pallide sull'avambraccio sinistro dove non sapeva se ancora vi fosse impresso quel Marchio immondo che l'aveva reso schiavo per lungo tempo.

Da quando si era svegliato, non aveva avuto il coraggio di guardare quel lembo di pelle che per anni era bruciato in un rilievo di teschio e serpente, forse aveva paura che fosse ancora lì, a ricordargli ciò che era stato e che, probabilmente, ancora era; nonostante i suoi sforzi per essere qualcun altro, per essere migliore, quel Marchio era ancora ben impresso, a memoria e monito che non si può fuggire dal proprio essere.

No, lui non sarebbe più stato il Mangiamorte, l'assassino, il malvagio, e questo, ormai, neppure una macchia sulla pelle avrebbe potuto cambiarlo.

Allora perché aveva così timore a guardare quel tratto di carne?

All'improvviso una musica si era levata alta tutto intorno, distraendo dai suoi pensieri Severus – e mentalmente ringraziò chiunque avesse dato il via a quei suoni, per averlo tolto da quel campo minato che stavano diventando i ricordi del passato – che si allontanò in un luogo in cui sarebbe rimasto in disparte a guardare, sorridendo a ciò che osservava, ma non ancora pronto per vivere a pieno quella vita cui si era aggrappato con ostinazione; gran parte dei presenti iniziò a ballare al ritmo di quella melodia, mentre lui scrutava, scrutava ogni cosa, senza lasciarsi sfuggire nessun dettaglio, senza lasciarsi scappare nessun sorriso e nessun grido di gioia, ma più di tutto i suoi occhi scorrevano su di lei.

Il suo sguardo fisso sulle sue labbra, sul suo, di sorriso, quello che aveva sognato per notti intere, quello che si era posato sulla sua bocca per un istante troppo breve per farlo completamente suo.

Hermione aveva ballato con Ron, con Harry, persino con Neville e con altri uomini che l'avevano fatta volteggiare come lui avrebbe voluto fare, e invece era rimasto lì, in disparte a guardare e a riflettere su ciò che avrebbe voluto fare e che invece non si decideva a fare.

La vide stanca, stravolta, ma ancora sorrideva e non osava negarsi a nessuno, la vide cercarlo tra gli amici, ma lui non c'era.

Sei un amico per lei?

No, lei lo amava, profondamente, amava ogni cosa di lui, le sue ombre come le sue luci, il suo passato e le sue colpe, quei dolori che voleva diventassero i suoi. Lo amava veramente.

E tu?

Uscì dal nascondiglio che si era creato dai pensieri e dagli altri, e andò verso la giovane strega e, senza dire una parola, le afferrò un polso trascinandola con sé.

«Che fai?»

«Mi prendo cura di te» e la portò insieme con lui, in un luogo dove non ci sarebbe stato nessun altro, in un angolo di mondo in cui, almeno per una notte, ci sarebbero stati soltanto loro due e nient’altro avrebbe avuto importanza.

 

In quelle stanze c'era un assoluto silenzio e il tempo sembrava essersi fermato persino lì, come se non fosse passata neppure un'ora dall'ultima volta che vi aveva messo piede, invece erano passati sette lunghi anni, anni in cui tutto era andato avanti mentre lui era rimasto immobile su un letto d'ospedale, come il buio e la polvere di quella parte dei Sotterranei di Hogwarts.

Sapeva che in quel luogo nessuno aveva osato toccare qualcosa in tutti quegli anni, in fondo era stato per lungo tempo la dimora del Mangiamorte e dell'assassino e chiunque avrebbe camminato lontano da tutto quel male, convinti che persino l'aria che si respirava lì dentro sarebbe stata malvagia e corrotta; poi era diventata la casa di un quasi morto e per rispetto non avevano sfiorato neanche il pesante portone di legno che separava il suo mondo dall'esterno.

Severus conosceva ogni parte di quelle stanze, ricordava perfettamente ogni cosa e ogni oggetto era allo stesso posto nel quale l'aveva lasciato e questo lo fece sorridere, era curioso che ogni cosa legata a lui non fosse per niente cambiata.

Sei cambiato tu, Severus.

Si voltò verso Hermione e vide alcune lacrime che le scendevano lungo il viso: in un attimo il sorriso svanì e la sua espressione si fece cupa, come non lo era da tempo.

«Sapevo di non doverti portare qui. Che stupido, troppo dolore e troppo buio sono rimasti imprigionati qui dentro.»

«Cosa? Oh, no, hai capito male. Troppa polvere è rimasta imprigionata qui dentro, e si fa fatica persino a respirare.»

Severus la guardò un istante con espressione piuttosto perplessa, inclinando appena il capo, poi, all'improvviso, scoppiò a ridere, una risata che gli era salita dal profondo, e non riuscì a smettere neppure dopo che un'Hermione accigliata iniziò a lanciargli sguardi di fuoco.

«Non c'è da ridere, sai. Potresti pulire e far entrare un po' d'aria pulita, adesso la bacchetta ce l'hai!»

In un attimo il mago rimosse ogni traccia di polvere e l'aria sembrò fresca di primo mattino, poi si fermò ad osservarla, scrutandola a fondo, come se quella fosse l'ultima volta che l'avrebbe vista e il suo sguardo sembrava quello che si rivolge al più bello spettacolo della natura che incanta e fa rimanere senza fiato.

Sotto i suoi occhi neri, Hermione dovette sentirsi proprio in quel modo, perché il suo viso si colorò di rosso per l'imbarazzo e fu costretta ad abbassare lo sguardo verso terra per non rischiare di diventare ancora più rossa e fare la figura della ragazzina sorpresa dalla prima cotta della sua vita.

Severus le prese una mano, un tocco leggero, delicato e con altrettanta delicatezza baciò ogni singolo centimetro di pelle ed Hermione, in quel momento, si sentì andare a fuoco, fin dal profondo, ma non riusciva a sostenere il suo sguardo nero della notte, in quel frangente meno che mai.

Quella bocca che aveva desiderato baciare notte dopo notte in quella stanza d'ospedale, adesso era lì, a carezzarle la carne, un tocco che sentiva nell’intimo, che le saliva da dentro, fino a darle intensi brividi nell'anima.

«Ti sei presa cura di me per sette lunghi anni, lascia che adesso sia io a prendermi cura di te, qui, questa notte» le disse come se in qualche modo avesse intuito i suoi pensieri, senza il bisogno di entrarle nella mente com’era maestro nel fare.

«Quindi è solo pareggiare i conti? Soltanto senso del dovere?»

«No. È volere. Soltanto ciò che voglio.» E le afferrò il mento costringendola a fissare i suoi occhi in quelli del mago, e in quel momento seppe di essersi completamente persa, lo sapevano entrambi di essersi persi l'uno nell'altro, nei loro sguardi e nelle loro anime che si sfioravano e vibravano in armonia come le corde di un violino che avrebbe suonato una musica di vita soltanto per loro, una musica di felicità e di sorrisi.

Senza lasciarle la mano, la condusse al di là di una porta che in tutto quel tempo era rimasta chiusa, sigillata al mondo, celata a chiunque non fosse lui stesso, perché in quel luogo lui poteva essere se stesso, lì, per anni si era nascosto il vero Severus e aveva vissuto, lontano da tutti gli occhi che, forse, non l'avrebbero mai conosciuto e, nella sua mente, nessuno avrebbe dovuto mai conoscerlo, convinto che la sua vita sarebbe dovuta finire quella notte alla Stamberga.

E invece si era aggrappato ad essa per sette lunghi anni e adesso era, finalmente, tornato a vivere, come mai era stato capace di fare, come mai gli era stato permesso di fare.

«Vorrei che ti lasciassi condurre da me. Non ho cattive intenzioni, te lo prometto.»

Hermione lo fissò per un attimo, un velo di confusione ad adombrarle il volto. «D'accordo. Mi devo preoccupare?»

«Oh sì, molto, direi» e le regalò uno splendido sorriso che celava una malizia che la fece avvampare, credeva che da un momento all'altro sarebbe andata a fuoco, e in quell’attimo sarebbe bruciata volentieri, con lui e per lui. «Ma prima...» con una lentezza che chiunque avrebbe definito esasperante, le sfilò la maglietta, pian piano, le lunghe e pallide dita a sfiorarle la pelle, un tocco morbido e freddo, che contrastava con il calore del suo corpo e la fece sussultare dopo che un brivido le ebbe percorso veloce la schiena.

Sentiva salire le sue mani, salire verso le spalle, e non fece nulla per impedire quel tocco delicato che la stava penetrando a fondo, era come se le stesse afferrando l'anima stessa.

«Che fai, prima mi dici di non avere cattive intenzioni e poi che mi devo preoccupare?» Ma ad Hermione non importava di nulla e non avrebbe avuto nemmeno la forza di preoccuparsi, in quel frangente si stava solo smarrendo e aveva bisogno di qualsiasi cosa per non farlo troppo velocemente, perché quello che il mago le stava regalando in quel momento, avrebbe voluto non finisse mai.

Desiderava con tutta se stessa che quell'attimo si potesse conservare in eterno, le sue dita sulla pelle, quel gelo che la stava incendiando da dentro che crebbe, crebbe fino a quando la maglietta non separava più la sua carne dal tocco del mago.

E aumentò ancora, quando avvertì l'indice di Severus percorrerle con accuratezza ogni lembo del suo corpo, dal collo verso l'incavo dei seni, e poi a scendere, calmo, fino alla chiusura dei pantaloni, e poi verso il suo viso per poi tornare a slacciare la cintura, e di nuovo verso le spalle, le braccia, e ancora andare giù e lentamente aprire quel bottone che avrebbe voluto strappare.

«Hai deciso di farmi perdere la testa?»

«Ci sto riuscendo?» Le sussurrò sulle labbra, poteva sentire il suo caldo respiro infiammarle la bocca e sorrise Hermione, e gemette sulle sue, di labbra, quando percepì la stoffa dei pantaloni scivolarle lungo le gambe, accompagnata dalle dita di Severus che non avevano alcuna intenzione di staccarsi dalla sua pelle.

«Sì. Direi di sì.»

«Bene» le sorrise sulle labbra, sul collo, e le sorrise dietro le orecchie procurandole dei fremiti che le percorsero tutto il corpo. «Ho solo deciso di prendermi cura di te, Hermione. Se tu me lo permetterai, vorrei prendermi cura di te questa sera, farti rilassare e farti dormire, perché ne hai un estremo bisogno»

«Ah sì? E da cosa lo deduci?»

«Delle tue adorabili occhiaie. Ti hanno mai detto che sembri un panda?»

«No» rispose quasi irritata, ma le labbra tradivano il suo falso risentimento. «E comunque i panda non indossano l'intimo.»

«Veramente i panda non portano nulla» specificò Severus mentre entrambi gli angoli della bocca si piegavano verso l'alto, così come in alto andarono entrambe le sopracciglia.

In quel momento era come se non fosse mai esistito nient'altro, come se quella fosse la loro semplice e splendida quotidianità, soltanto quella, anno dopo anno, senza ombre, senza dolori e senza colpe da dover espiare.

Severus si rese conto di non aver mai provato nulla di simile in tutta la sua vita, mai emozione più grande, mai gioia più profonda, e vedere quel sorriso su quelle labbra era la prova che finalmente poteva vivere, vivere a pieno come mai aveva fatto.

E il suo futuro, in quel momento, aveva gli occhi di Hermione Granger, la petulante So Tutto che lo irritava ogni qual volta alzava la mano, della ragazzina che aveva paura di ogni suo sguardo, della donna che aveva combattuto e aveva sofferto. Quegli occhi che gli stavano gridando di amarli, che gli stavano urlando di amarlo, incondizionatamente, afferrando le molte ombre e le molteplici luci di quel mago che dopo anni e anni di torpore, aveva deciso di essere felice e di meritare quella dannata felicità scansata per troppo tempo.

E si rese finalmente conto che un futuro l’aveva davvero e lo guardò attraverso il viso di Hermione, attraverso il suo corpo e il suo cuore che volle sentire battere sulle dita, un battito dietro l’altro fino a raggiungere il suo, in quella strada di anima e carne che sembrava unirli sempre di più.

La strinse a sé, al suo petto, alla sua, di anima, e le sorrise, un sorriso d’amore e di vita, e la strinse ancora di più mentre silenzioso Appellava il suo mantello per chiuderli entrambi al mondo, per quegli istanti, per quella notte.

Protetti da un abbraccio di stoffa che li avrebbe avvolti nella calda carezza dell’oscurità e di quella notte che brillava negli occhi del mago, rilucendo nelle iridi di Hermione: un unico fuoco che li avrebbe scaldati entrambi. Per sempre, perché in quel momento Severus comprese che quello sarebbe stato il suo “sempre” e avrebbe fatto di tutto per esso.

«Lascia che io mi prenda cura di te, questa notte» le ripeté mentre la prese tra le braccia e, senza sciogliere quell’abbraccio, la condusse sul suo letto, uniti a vegliare i sogni l’uno dell’altro, a cullare quel sonno che avrebbe illuminato e accolto le loro anime.

Perché in quel momento non avevano bisogno di nient’altro, soltanto di stare legati e di sentire ognuno il proprio cuore battere per l’altro. E Severus voleva solamente cullare il corpo di Hermione, carezzarlo e guidare il suo essere in quella tranquillità e in quel riposo di cui aveva bisogno.

«Prenditi cura di me per sempre, Severus» ed insieme scivolarono in un sonno finalmente sereno, perché i loro desideri e sogni erano lì, su quel letto, accolti e protetti dal lungo mantello di Severus.

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Passato e futuro ***


10 –

Prima che mi arrivi qualche accidente di troppo, mi accingo ad aggiornare la storia, ormai manca poco alla fine e un po’ mi mancherà, così come tutti voi che siete fantastici e che ringrazio immensamente: chi mi ha recensito, naturalmente, chi mi ha ricordato, preferito, seguito e chi anche solo è passato a leggere.

Grazie mille, davvero, a voi, e a chi mi leggerà, preferirà, ricorderà, seguirà e recensirà! ^^

Vi lascio al decimo capitolo e, come sempre, per qualsiasi cosa, non esitate a dirmela ;)

Spero, buona lettura!

 

 

10 – Passato e futuro

 

31 ottobre/1 novembre 2005

 

Pioveva quella sera, una pioggia fitta che aveva reso la terra morbida e fangosa che cedeva sotto i passi dei due uomini che avevano deciso di sfidare quel clima e camminare verso quel ricordo ormai sepolto da tempo che era parte di loro da tanti e lunghi anni.

Il cancello non era stato chiuso al meglio e la pesante catena sbatteva ad intervalli regolari addosso al ferro, spinta dal vento che aveva deciso di sferzare quel solitario angolo di mondo, anche quel cigolio sinistro teneva lontani gran parte degli abitanti del posto, ancora più impauriti per quella particolare notte che portava verso novembre.

Severus Snape stringeva tra le mani qualcosa, ma il buio reso più cupo e spettrale dalle dense nubi, non permetteva di distinguere al meglio ciò che le sue mani celavano, forse, persino a se stesso, così sorpreso di un simile gesto che per lungo tempo non avrebbe di certo accostato al suo essere.

Un gesto semplice, che si fa con affetto e senza pensieri, con il sorriso e le lacrime ad abbracciare il volto, per qualcuno che non c’è più e che ci guarda al di là delle nuvole e veglia su di noi.

Per Severus, però, tutto quello non era così semplice, e lui, di pensieri legati a quel luogo, ne aveva fin troppi, erano come gli anelli di quella catena che lo circondavano e ad ogni passo che compiva verso quella tomba, lo stringevano sempre di più, fino a togliergli qualsiasi respiro.

E sarebbe crollato, crollato a terra tra il fango e avrebbe contribuito con le sue lacrime ad alimentare quella superficie, quel pianto confuso e impossibile da sciogliere, persino sotto lo scroscio incessante dell’acqua.

In quella notte, però, Severus non era da solo, non c’erano soltanto i suoi dolori e le sue colpe a tenergli compagnia, no, c’era quel figlio che non aveva mai avuto, con lui, quel bambino che aveva reso orfano con le sue stesse mani, quel ragazzo che aveva visto crescere e combattere e diventare uomo.

Lily era stata il suo primo amore e per anni era vissuto nella consapevolezza che solo e soltanto lei avrebbe potuto prendere il suo cuore, ma si era accorto che quello non era mai stato il vero amore, era stata la confusione di molteplici sentimenti che non era riuscito mai a comprendere e a spiegare a se stesso.

L’aveva abbracciata, su quel dannato pavimento l’aveva stretta a sé, con forza e con rabbia, e con un dolore che l’avrebbe ghermito per sempre, un grosso e pesante macigno a gravargli sulla schiena piegata in colpe che si erano fatte via via dovere, compiti da portare a termine a costo di quella vita che da quella notte di ventiquattro anni prima non era stata più la stessa.

Lì, quella notte, non solo Lily e James avevano smesso di vivere, ma anche lui aveva smesso di respirare, aveva sentito il suo cuore fermarsi, gelarsi improvvisamente e rompersi in una miriade di frammenti che nessuno sarebbe mai stato in grado di ricomporre.

E il suo unico desiderio era che non fosse mai tornato integro, battente con impeto, perché avrebbe meritato solamente che quel cuore ormai perso e distrutto, avesse sanguinato tramonto dopo tramonto e il suo sangue avrebbe dovuto colorare quel cielo finché l’ultima goccia non avesse lasciato il suo corpo.

«Ciao, mamma. Ciao, papà.» Harry aveva posato alcuni fiori sulla tomba dei suoi genitori, incurante di quella pioggia che li avrebbe presto portati via, lontano da quella pietra, perché lui ne avrebbe portati altri, giorno dopo giorno, come ormai era diventato un rito per lui, invece Severus aveva mancato quell’appuntamento per sette lunghi anni.

Snape osservava in silenzio, stava alcuni passi dietro il giovane Potter mentre l’acqua gli scivolava addosso, rendendo i suoi abiti pesanti di pioggia.

«Oggi sono venuto con un amico, con un uomo che in tutti questi anni mi ha fatto un po’ da padre e un po’ da madre» Harry si mise seduto sulla tomba dei suoi genitori, guardando le loro foto sorridenti che sembravano osservarlo a fondo, le toccò entrambe, lentamente, come se avesse potuto sentire il loro calore. «Anche se le vesti da casalinga non gli donano molto» e sorrise, sorrise a Lily, a James e sorrise a Severus che sapeva essere lì, poco distante da lui, ma sempre e comunque una presenza incrollabile. Anche Snape stirò un angolo della bocca, ma iniziava a sentire una forte morsa stringergli lo stomaco.

«Si chiama Severus, ma lo conoscete già, di sicuro meglio di me o di se stesso, e poi da lassù avete di certo visto ogni cosa, tutto quel che è successo, tutto quello che abbiamo passato e soprattutto quanto ha sofferto» un lampo squarciò la notte, mentre Severus continuava a stare immobile e in silenzio ad osservare il ragazzo ormai diventato uomo, e non osava neppure muoversi, iniziava a far fatica persino a respirare. «Sto anche parlando troppo e di sicuro non mi Schianta per rispetto di questo luogo» Harry rise appena, ma sul suo viso poté notare alcune lacrime che avevano iniziato a scendergli dagli occhi e mischiarsi con la pioggia che non aveva alcuna intenzione di smettere di cadere.

Snape fece un passo avanti.

«Io non so se sarà mai possibile una cosa simile, ma mi piacerebbe che tutti e due in qualche modo gli faceste arrivare il vostro perdono, perché ne ha bisogno per assolvere se stesso e per riuscire ad andare avanti senza più ombre intorno a sé.»

Lily era morta, era morta da anni per mano sua, e James era andato con lei, come poteva lui perdonarsi per questo? Come poteva ricevere il loro perdono?

Severus fece un altro passo verso la loro tomba, verso Harry che stava piangendo e stringeva con rabbia le mani su quella pietra che non poteva in alcun modo afferrare, ma che voleva estirpare dalla terra con tutto se stesso, per riavere i suoi genitori, per riavere il loro amore che troppo presto lo aveva abbandonato.

Quella costrizione che gli era nata nello stomaco gli serrò la gola e gli occhi, incapace di guardare ancora, avrebbe voluto correre via da lì, andarsene lontano, in un luogo dove non avrebbe più causato tanta sofferenza, in cui nessuno avrebbe più versato delle lacrime per colpa sua.

Quella notte, in quel luogo, si sentiva un estraneo che osservava un qualcosa che non aveva nessun diritto di osservare, eppure era ancora lì, in quel cimitero e i suoi passi lo avevano portato ormai di fianco ad Harry che per un attimo volse lo sguardo verso quello che era stato per anni il suo insegnante di Pozioni; lo guardò un istante, con un amaro sorriso sulle labbra mentre le lacrime scendevano più copiose che mai, poi posò di nuovo i suoi occhi alle fotografie che la magia non permetteva sbiadissero.

Severus avrebbe voluto cancellare con un colpo di bacchetta tutto quel dolore, ma sapeva che non sarebbe mai stato possibile, che non esisteva incantesimo capace di un tale prodigio, e l’unica cosa che in quel momento riuscì a fare, fu stringere le dita alla spalla di Harry, come se con quell’unico gesto avesse potuto dimostrargli il suo affetto, come se con quel tocco volesse donargli comprensione e volesse, in un qualche modo, chiedergli perdono.

Era l’unica cosa che riuscì a fare, lui, così incapace nei sentimenti e nei gesti, che non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi.

In quel momento avrebbe voluto che Hermione fosse lì con lui, a suggerirgli come muoversi su quel campo minato di cui non conosceva quasi nulla, e le vennero in mente le sue parole, i suoi occhi e il suo sorriso che in un attimo si trasferì alle sue labbra, e in quell’istante, seppe cosa doveva fare.

Severus Snape afferrò Harry e lo strinse a sé, in un abbraccio che aveva il significato di ogni cosa nascosta e custodita in tutti quegli anni, di tutte quelle parole non dette che erano rimaste incastrate nella parte più profonda della loro anima.

Ed Harry scoppiò a piangere, forte, il suo pianto echeggiava tra le tombe del cimitero, confondendosi per alcuni attimi con i tuoni che squarciavano il silenzio; e pianse, pianse ogni cosa che si teneva dentro da anni, «mi mancano da morire, ma vorrei che lei riuscisse a perdonare se stesso, che ci riuscisse davvero, perché vorrei davvero vederla felice.» E si strinse al suo maestro, a quel padre che c’era sempre stato, e pianse ogni lacrima sul suo petto, e Severus sentì ogni singola goccia penetrargli la carne e arrivare al cuore, quel pezzo di carne che era tornato a battere grazie a tutti loro, grazie al loro affetto sincero e grazie all’amore di Hermione, quei sentimenti che troppo a lungo si era negato e troppo a lungo aveva ritenuto di non meritare. E gemette anche lui, forte, sotto quella pioggia che non fermava la sua corsa verso terra.

Adesso era lì, sulla tomba della donna che aveva a lungo amato, dell’uomo che aveva odiato per un tempo che in quel momento gli parve infinito, ad abbracciare quel ragazzo che aveva ucciso e riportato alla vita, al quale aveva voluto bene come un figlio, nonostante avesse tenuto nascosta per anni la parte migliore di sé, negando persino a se stesso quei sentimenti che aveva dentro.

«Per favore» sussurrò Harry, ma Severus non capiva se stesse parlando con lui o ancora continuava quella sorta di dialogo con i suoi genitori.

Fu un attimo, e la pioggia cessò improvvisamente di scendere su di loro, come se qualcuno avesse fermato di colpo un incantesimo; non c’erano più tuoni ad interrompere il silenzio né lampi a dilaniare il buio della sera, soltanto nuvole che velocemente si allontanavano, come spazzate via da un forte vento che, però, non c’era, e il cielo si fece un manto di seta trapuntato di cristalli che scintillavano alla notte.

Increduli, fissarono i loro sguardi verso la volta buia, verso quelle stelle che li stavano osservando, ed Harry sorrise mentre le ultime lacrime stavano arrestando la corsa sul suo viso.

Sorrise e guardò Severus.

«Il cielo si è rasserenato, all’improvviso, qualcosa vorrà pur dire, no?»

«Sì, il clima è piuttosto variabile ultimamente,» ma per tutta risposta Harry gli diede una spinta e per poco non lo fece cadere nel fango, rischiando di essere Schiantato lontano miglia, Severus, però, si limitò a guardarlo piuttosto male e in passato quello sguardo gli avrebbe gelato il sangue.

Adesso era tutto diverso, loro erano diversi, tutto intorno, ogni cosa era cambiata, ed Harry sorrise a Severus Snape, un sorriso colmo d’affetto e di speranza.

«Qualcosa vorrà pur dire» ripeté Severus, un bisbiglio nel silenzio di quella sera e senza aggiungere nient’altro si alzò dalla tomba con Harry e vi posò quello che aveva a lungo stretto tra le mani ed insieme, sotto quel cielo stellato, si allontanarono da lì, con il cuore più sereno di quando erano arrivati e con le anime che sorridevano al loro futuro.

Severus, però, aveva ancora una cosa da fare.

 

Il bussare alla porta si stava facendo via via più forte e di questo passo l’avrebbe di certo buttata giù e, effettivamente, la sua intenzione era stata proprio quella di aprirla con un incantesimo senza prendersi troppo il disturbo di stare lì minuti dopo minuti a rovinarsi le mani.

«Per Merlino, ti sei per caso reso conto che sono le quattro del mattino?»

«Lo so, ma se ti avessi trovata prima, non ti sarei piombato in casa in questo modo e a quest’ora.»

«Ero per locali con le mie amiche, dici sempre che devo distrarmi di più. Qual è il problema?»

«Ho bisogno del tuo aiuto per una cosa.»

«E non potevi aspettare che mi svegliassi, tipo alle cinque del pomeriggio?»

Severus le alzò un sopracciglio, perplesso per l’improbabile orario che voleva usare come sveglia e le categorizzò un «no» che non lasciava molto spazio alle obiezioni.

«Va bene, entra, spero che non sia niente di complicato perché non ho la forza neppure di tenere gli occhi aperti, quindi vediamo di s…» ma Severus non la lasciò proseguire oltre perché, all’improvviso, la strinse a sé e la baciò, un bacio profondo che voleva mostrarle tutto il bisogno che aveva di lei.

In quella notte e in quel momento aveva davvero bisogno di sentire il calore del suo corpo stretto su di sé, il respiro di Hermione confondersi con il suo, unirsi e sciogliersi in un’anima che era diventata una sola e una soltanto. Aveva la necessità di sentire quel cuore battere per lui e su di lui, come se non avesse aspettato altro per tutta la vita, come se era nato esattamente per quello.

E la strinse, la strinse ancora più forte togliendole quasi il fiato, quel soffio di vita che le avrebbe dato lui stesso ogni volta che le sarebbe mancato.

«Severus, cosa c’è?»

«Da quando mi sono svegliato, c’è una cosa che non sono riuscito ancora a fare. Ho parlato con Minerva, con Harry, in qualche modo che non mi è ben chiaro, ho forse ricevuto anche il perdono di Lily, ma non sono ancora riuscito a guardare quel lembo di pelle.» Senza che aggiungesse altro, Hermione aveva già capito di cosa stesse parlando: quel Marchio che gli aveva bruciato la carne e l’anima per anni, impresso più nel suo cuore che semplicemente sulla pelle, quel simbolo di ciò che era stato e di tutto il male che aveva fatto nella sua vita.

Non poteva di certo biasimarlo per non essere riuscito a guardarlo, ma non poteva credere che in tutti quei mesi si era imposto persino di non osservare una parte di sé, una parte dalla quale era così difficile distogliere lo sguardo.

Hermione non disse niente, puntò il suo sguardo agli occhi di Severus e gli sorrise, un semplice gesto sulle labbra che nascondeva tutto l’amore del mondo, quell’amore che in quel momento si poteva respirare a pieni polmoni.

Gli afferrò la mano sinistra con le sue, le dita strette sulla carne del mago che lentamente scivolarono sulla stoffa che gli copriva la pelle, quel manto nero come la notte che separava il passato dal futuro.

«Una volta eri questo, Severus» e slacciò il primo bottone, «ma non sei mai stato realmente ciò che questo Marchio voleva che fossi» e sbottonò il secondo e poi il terzo, con lentezza li aprì tutti, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi che scintillavano di una strana luce. «Non riesci a guardarti l’avambraccio perché hai paura, paura che tutta l’oscurità che avevi dentro possa tornare ad inghiottirti» slacciò anche ogni singolo bottone dell’altra manica, ma questa volta con velocità perché quella parte del corpo, al momento, non richiedeva la sua completa attenzione.

«Non devi aver paura, Severus, perché quel Marchio non ti è mai appartenuto e tu non sei mai appartenuto ad esso, e anche se fosse lì, ancora ben impresso sulla tua pelle, non devi aver timore, perché tu sei stato più forte, lo hai battuto e non ti avrà di nuovo come mai ti ha avuto nel passato» Hermione gli sfilò la casacca nera, adagio, come lui aveva fatto con lei poco tempo fa, perché in quel momento sarebbe stata lei a doversi prendere cura di lui. «Le persone ti vogliono bene per quello che sei, non per quel Marchio, io ti amo perché sei Severus e non m’importa se su quel braccio porterai per sempre il segno di una parte del tuo passato» e la camicia candida del mago era finita tra le sue dita, stretta tra le sue mani ad assaporarne ogni aroma, quel profumo che sapeva di Severus e di nient’altro perché l’uomo che le era davanti soltanto quello sarebbe stato ai suoi occhi, e nessuna macchia sulla pelle avrebbe distorto la sua vista.

Gli sorrise Hermione mentre il suo tocco gli scaldava la pelle, quelle carezze che, con lentezza disarmante, lo stavano portando alla pazzia e non si mosse quando sentì le sue dita scivolargli sul petto, verso quel cuore che aveva ripreso a battere con forza grazie al suo sguardo e al suo sorriso, verso il suo, di viso, su quegli occhi che aveva chiuso e che non riusciva ad aprire per guardarla, per guardare quel pezzo di carne non più nascosto.

Le labbra di Hermione si posero sulle sue, delicate, un bacio caldo che gli scaldò l’anima e la sua bocca scese, pian piano, verso quella paura che voleva dissipare con il suo tocco.

«Hermione…»

«Non aver paura» lei aveva visto, sapeva con esattezza cosa c’era sul suo avambraccio, ma voleva che guardasse lui stesso, che qualunque cosa vi avesse trovato, non avrebbe cambiato nulla, soprattutto in lui, in quello che era stato e in quello che era diventato.

«Apri gli occhi, Severus» e il mago li aprì non appena sentì la bocca di Hermione scivolare su quel punto che per anni aveva accolto il Marchio, li aprì quando sentì la lingua scorrergli umida sulla pelle, e allora vide, vide quello che in quei mesi si era rifiutato di guardare.

Del Marchio Nero non c’era rimasta che una traccia sbiadita, soltanto i colori di un quadro lasciato alle intemperie per secoli che si potevano scorgere soltanto se osservati da vicino e anche in quel caso sarebbero apparsi come delle tinte sfumate ognuna verso un grigio tenue, come quel fumo che si percepisce, ma si fa fatica a vedere.

Erano rimasti soltanto i contorni di quel teschio e serpente che si erano mossi per anni su di sé, che gli avevano bruciato l’anima e distrutto il cuore; il Marchio era svanito, portato via dal suo vero padrone che, nonostante tutto, non era mai riuscito a dominarlo.

E il cuore di Severus parve più leggero e quell’ultimo peso che gli era rimasto sull’anima, si sciolse come i cristalli di neve sotto il sole cocente di mezzogiorno e sorrise Severus, sorrise a se stesso finalmente libero, sorrise a Hermione che lo aveva aiutato a liberarsi da quelle catene che lo avevano tenuto fino ad allora ancorato ad un passato dove la sua vita era stata nient’altro che colpe e dolori, rimorsi e doveri da portare a termine fino alla fine.

Abbracciò Hermione, la strinse con forza e la sua pelle nuda anelava un contatto con il corpo della strega, voleva finalmente che fosse sua, completamente, desiderava appartenergli, ed era un desiderio che gridavano anche il suo cuore e la sua mente.

«Hermione... non hai la minima idea di quanto io ti desideri» le sussurrò all’orecchio, sorridendole, baciandola e carezzandola come se non aspettasse altro da tutta la vita, come se dai battiti della donna dipendessero i suoi, e la strinse e le tolse ogni brandello di stoffa che lo separava dal suo corpo.

Voleva che fosse sua, voleva essere suo.

Quella notte, per la prima volta, fecero l’amore, lasciandosi il passato alle spalle e abbracciando quel futuro che li attendeva.

Fecero l’amore una volta, due, fino a che un nuovo tramonto colorò il cielo sopra di loro.

 

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Capitolo 11
*** Si può perdere di nuovo tutto ***


11 – Si può perdere di nuovo tutto

Ormai manca davvero poco alla fine, questo è il penultimo capitolo, con il dodicesimo chiudiamo questa storia; un po’ mi dispiacerà, ma l’idea iniziale era 12 storie per i 12 mesi, quindi eccoci qui =D

Ovviamente come sempre ringrazio chi mi ha recensito e chi lo farà, qui mi segue, ricorda, preferisce e anche solo legge, e chi farà tutte queste cose in futuro. Siete fantastici ^^

Come sempre, per qualsiasi cosa, non esitate a dirmela ;D

Spero, buona lettura!

 

 

11 – Si può perdere di nuovo tutto

 

16 novembre 2005

 

Quella mattina faceva piuttosto freddo, un vento furioso si abbatteva sulla casa spingendo le imposte che sibilavano sinistramente, anche la pioggia cadeva forte sul piccolo appartamento fino a scivolare veloce sui vetri delle finestre.

Quel mercoledì era una tipica giornata di novembre ed Hermione non aveva alcuna intenzione di alzarsi, il suo giorno libero avrebbe voluto passarlo interamente nel letto, al caldo sotto le coperte e tra le braccia dell'uomo che amava.

Neppure il ritorno del Signore Oscuro l'avrebbe trascinata fuori di lì.

Il camino ancora acceso scoppiettava riscaldando la stanza e i loro corpi nudi, era bello sentire la pelle del mago vicino alla propria, era una sensazione che non l’avrebbe mai stancata, neppure il suo respiro tiepido che riusciva ad infiammarla e gelarla al contempo.

Quei sussurri alle labbra appena dischiuse che si facevano racconti di anime così distanti per lungo tempo, riunite in un bacio tra le lacrime salate e i sorrisi che erano diventati dolci dai molteplici sapori, che t’invadevano con il loro liquore amaro e poco a poco ti avvolgeva quel senso di dolcezza delicato come un abbraccio.

E il sorriso di Severus nel tempo si era fatto miele sulle sue stesse ferite.

Ad un tratto si sentì uno strano picchiettare seguito dal fruscio della carta, Hermione aprì appena gli occhi mentre Severus la strinse ancora di più a sé, e la giovane strega si rilassò di nuovo, accoccolandosi al suo petto, ma il picchiettio divenne più insistente.

«Ho sentito un rumore.» In un attimo Hermione si alzò dal letto scostando le pesanti coperte.

«È solo il vento, torna a letto» le disse Severus mentre lentamente la conduceva di nuovo verso di sé, dopo averle afferrato un polso. «E poi non sta bene andare in giro per casa in quel modo.»

«Quale modo?»

«Sei nuda.»

«Oh.»

«E quando sei nuda, ti preferirei nel letto. Sotto le coperte. Con me» era capace di infiammarla con poche parole, e il suo sguardo le provocò intensi brividi di piacere che le percorsero tutta la schiena. Sulle sue labbra si allargò un sorriso che avrebbe illuminato una grotta buia, e la bocca di Severus fece altrettanto, piegando entrambi i lati, congelò la mente della strega in quell’attimo, su quella realtà.

Se qualcuno in quel momento le avesse chiesto cosa fosse la felicità, sicuramente avrebbe risposto che era svegliarsi tra le braccia di Severus Snape che la guardava con un meraviglioso sorriso sulle labbra, vedere quella bocca che si piegava, era come una giornata uggiosa che improvvisamente era squarciata dai luminosi raggi del sole.

E il sorriso di Severus era il sole che aveva lacerato il grigio del suo essere.

«Non è solo il vento, vado semplicemente a controllare.» Sì ricordò all’improvviso di quel rumore che aveva sentito poco prima.

«Mm…»

Hermione andò nell'altra stanza del suo piccolo appartamento e sul pavimento notò una lettera, la prese e si accorse dal timbro di ceralacca su di essa, che veniva dal San Mungo.

 

Severus si rigirava beatamente tra le lenzuola, ispirando a fondo l'aroma di Hermione che era intriso tra di esse, era una sensazione alla quale ancora non si era abituato, svegliarsi con qualcuno accanto era per lui una novità, nonostante fossero giorni che dormivano insieme.

Sorrise a quella nuova vita che era finalmente iniziata per lui e si ritrovò a pensare che andare in coma per sette anni era la cosa migliore che gli fosse capitata, senza quel sonno prolungato non avrebbe mai potuto conoscere il significato dell'affetto delle persone, non sarebbe mai stato in grado di affrontare il suo passato e relegarlo in una parte nascosta della sua anima dove non sarebbe mai stato in grado di avvolgerlo nel buio ogni giorno; la cosa più importante, però, era che finalmente avesse scoperto il reale significato della parola “amore”, aveva imparato ad amare veramente e si era concesso infine di essere amato.

E sorrise, sorrise a tutto quello come mai aveva fatto nella sua vita.

Hermione, tuttavia ancora non tornava.

 

La lettera le era scivolata di mano e adesso giaceva sul pavimento come se fosse un essere inanimato nel quale fino a poco prima batteva la vita, ed Hermione la osservava proprio come se fosse una persona che era improvvisamente morta, ma si accorse ben presto che la sensazione che qualcosa si stava spegnendo era dentro di lei, si sentiva come se un incantesimo la stesse trasformando in una statua di ghiaccio, e in quel momento lo avrebbe voluto con tutta se stessa.

Avrebbe voluto essere nient'altro che marmo per impedire a quel dolore di salirle su tutto il corpo.

«Hermione, che succede?» ma la donna non si mosse, era come inebetita e sembrava non aver sentito neppure le parole di Severus che si era avvicinato con una profonda preoccupazione sul volto.

«Hermione!» la giovane strega si riscosse, ma era ancora incapace di dire alcunché, in un attimo si accasciò a terra tra le lacrime.

Severus si accorse della lettera ai piedi della donna e in un attimo l'afferrò, leggendola avidamente, come se fosse un assetato davanti ad un pozzo in pieno deserto: sentì il cuore fermarsi di colpo.

«Alzati.» Hermione, però, rimase a terra, piangente. «Per l'amore del cielo, alzati da quel dannato pavimento!» il suo tono si era fatto duro, gelido, per un attimo ad Hermione sembrò che fosse tornato il vecchio Severus, il mago cupo e distante che l'aveva sempre trattata come se non valesse niente e, anche se in quel momento si sentiva esattamente in quel modo, si alzò a fatica senza riuscire a sostenere il suo sguardo.

«Vestiti alla svelta. Dobbiamo andare.» Hermione, tuttavia, continuava a non muoversi e lo guardava a malapena, non avrebbe voluto rivedere quel velo oscuro sugli occhi del mago. «Ti ho detto di muoverti!»

«Non darmi ordini come se fossi il tuo elfo domestico.» Stavolta la rabbia prese il sopravvento sulla paura che tutto quello che aveva vissuto fino a quel momento, era stato nient’altro che un sogno.

«Io non…»

«Tu non, cosa? Non pensavo che avere una relazione con te significasse “obbedienza”.»

«Non capisco cosa stai dicendo e cosa ti fa venire in mente una cosa del genere.»

«Mi stai dando degli ordini!»

«Io… mi dispiace, ma non riesco ad essere molto lucido in questo momento.»

«Pensi che in questo momento stia soffrendo solamente tu?»

«Non ho detto questo.»

«No. Non l'hai detto, ma lo stai pensando e ti stai comportando come se lo avessi detto.» Anche il tono di Hermione si era fatto tagliente, combattuta tra il dolore e la rabbia non sapeva affatto come reagire a ciò che aveva appena letto e a quel comportamento di Severus.

Un attimo prima erano stretti l'uno nelle braccia dell'altro, i loro respiri che si confondevano nel tepore del letto, e adesso stavano litigando stupidamente su ciò che avrebbero dovuto provare.

Come poteva pretendere che lei non soffrisse per quella notizia? Non era più la ragazzina spaurita che doveva sottostare ad ogni sua parola, non era più la studentessa che doveva obbedire al suo insegnante.

Che diritto aveva di trattarla in quel modo?

«Herrmione, lei per me è stata…»

«Invece per me non è stata niente? Neanche la conosco, vero?» senza aggiungere nient'altro la giovane strega si chiuse in camera sbattendo la porta con rabbia e dopo un istante uscì da casa senza degnarlo neppure di uno sguardo, troppo furibonda e addolorata per curarsi anche di lui, nonostante sapeva perfettamente che in quel momento il dolore stava dilaniando anche l'anima di Severus.

In quell’attimo sarebbero dovuti stare uniti, farsi coraggio e cercare di fare qualcosa, invece si erano di nuovo allontanati l'uno dall'altra.

 

Quando arrivò al San Mungo, vide che erano già tutti lì, doveva essere arrivata la stessa lettera anche a loro e su quei visi poté vedere quello stesso dolore che stava provando anche lei.

Le sembrava di essere tornata a tanti mesi prima, a quando il Medimago Redden le aveva detto che Severus stava per morire e anche in quel momento si era sentita morire, sprofondare in un abisso di buio che l'avrebbe inghiottita completamente.

«Cos'è successo?»

«Non lo sappiamo, quando siamo arrivati, era già dentro e ancora nessuno ci ha detto qualcosa, stiamo aspettando.» Harry era visibilmente addolorato, possibile che dopo tutti quegli anni passati a soffrire ancora dovevano provare simili angosce?

«La lettera diceva solo che era stata portata qui. Possibile che nessuno ci dica niente?» la sua voce si stava via via alzando di tono, quella mattina era iniziata nel peggior modo possibile e in più aveva anche litigato con Severus, in cuor suo sperava che quel giorno non avrebbe ricevuto quella notizia che le si era insinuata nella mente da quando aveva letto la lettera.

«Hermione stai calma, vedrai che presto ci diranno qualcosa» cercò di tranquillizzarla Ron, ma nessuna parola avrebbe potuto calmarla in quel momento, come nessuna parola sarebbe stata balsamo per nessuno di loro.

Dopo alcuni minuti arrivò Severus, il suo volto era tornato ad essere una maschera impenetrabile difficile da decifrare, e sembrava essere tornato l'uomo cui era arduo anche solo avvicinarsi, come se quei mesi non ci fossero mai stati, come se la guerra non ci fosse mai stata.

Il mago non degnò di uno sguardo nessuno di loro e avanzò a passo svelto al portone che li separava dal reparto, incurante che fosse magicamente bloccato per evitare che persone non addette entrassero.

«Non la faranno entrare» gli spiegò il giovane Weasley, ma Severus parve non ascoltare perché afferrò la bacchetta, intenzionato a far saltare in aria qualsiasi cosa pur di entrare lì dentro.

«Severus, stai calmo, per favore» Hermione si era avvicinata al mago e gli strinse una mano tra le sue, ma in un attimo la scostò, lasciando la giovane strega stupefatta.

«Io sono calmo. Tu, piuttosto, sei un Medimago, ora, potresti entrare senza problemi» il suo tono asciutto le gelò il sangue, capiva perfettamente ciò che stava provando, ma non capiva il perché di quel cambiamento improvviso: Severus aveva spazzato via tutti quei mesi in un solo istante, come un po' di sporco con un colpo di bacchetta.

«Bene, hai ragione. Togliti da qui, tu non sei né Medimago né infermiere né qualunque altra cosa, non puoi sostare davanti a questa porta, per cui sei pregato di toglierti.» Severus le regalò un'occhiata che sembrava di odio.

Harry era incredulo, che diavolo era successo a quei due? In un attimo la collera gli montò dentro, come potevano battibeccare come due bambini capricciosi, mentre la donna che per tanti anni era stata la roccia di tutti loro, si trovava al di là di quella porta, a lottare tra la vita e la morte.

«Smettetela! Tutti e due!» urlò all'improvviso e si voltarono tutti verso di lui con gli occhi sbarrati, Severus lo guardò impassibile, mentre Hermione non riuscì a fissare quegli occhi verdi per più di qualche secondo, troppo addolorata e consapevole che si stava comportando da stupida. «I vostri insulsi problemi risolveteli altrove, possibilmente fuori di qui! Adesso dobbiamo cercare di stare tutti uniti e far sentire la nostra vicinanza alla professoressa McGonagall!»

Severus girò su se stesso, il suo mantello si mosse così velocemente che una sferzata d'aria le arrivò in pieno volto, come un getto d'acqua fredda la riscosse da quei turbamenti in cui era caduta: in un attimo gli afferrò il polso, con forza, cercando di trattenerlo, di non sfuggirle come aveva fatto poco prima.

«Severus, entra con me.»

«Mi sembra tu sia stata piuttosto chiara, non sono persona che può entrare.»

«Minerva ha bisogno anche di te.»

«Nessuno ha bisogno di me, e per Minerva non posso fare nulla, là dentro ci sono persone più competenti di me. Vai, vai anche tu, sei brava a studiare le persone.»

In quel momento Hermione seppe che non ci sarebbero state parole da dirgli, che nessun gesto che avrebbe fatto, sarebbe riuscito a cambiare quell'espressione che il mago aveva in volto, sorrise amaramente e lo lasciò andare, dalle sue mani, da quell'atrio e forse dalla sua esistenza.

La vita a volte sapeva essere davvero crudele, un attimo prima ti aveva dato tutto, ti aveva concesso la felicità, e un attimo dopo si era ripresa ogni cosa, strappandotela dalle dita.

Hermione aveva soltanto voglia di piangere, un pianto che le avrebbe prosciugato ogni lacrima che aveva in corpo, ma si fece forza e varcò quella porta, non sapendo cosa vi avrebbe trovato al di là di essa.

 

***

 

Severus camminava agitatamente per la stanza, poi all’improvviso si bloccò e le lacrime iniziarono a rigargli il volto e neppure tutta la sua forza di volontà riuscì a trattenerle dentro i suoi occhi; si sedette su una sedia, anonima come tutto l’arredamento della stanza, era così freddo e bianco che si sentì nauseare, forse quella reazione era dovuta più ai suoi sette anni trascorsi in un ambiente come quello; e il fatto che adesso, inerme su di un letto, ci fosse Minerva, di sicuro non lo aiutava a sentirsi meglio.

Come avrebbe potuto sentirsi meglio quando la donna che era stata una madre per lui, giaceva lì, immobile, in preda a spasmi di dolore che nessuno era riuscito a calmare, l’avevano resa incosciente per darle più sollievo possibile, ma non avevano ancora capito cos’aveva procurato tutto quello.

Lui, però, lo sapeva.

«È tutta colpa mia» scivolò appena sulla sedia, una mano a coprirgli gli occhi ormai offuscati dal pianto. «Mi sono permesso di essere felice. Io. Io che non ho mai meritato la felicità e per tutti questi mesi non ho fatto altro che illudermi,» le dita liberarono lo sguardo e scesero sulle labbra per oscurare quell’amaro sorriso che gli era nato spontaneo.

No, Severus Snape non avrebbe sorriso. Mai più.

E la sua vita gli stava gridando forte che in lui non c’era spazio per sorridere né per essere felice, perché lui era ancora il Mangiamorte, l’assassino, e la sua felicità sarebbe stata la rovina delle persone che gli erano vicino.

Aveva davvero creduto di poter vivere nella normalità, avere una famiglia, degli amici, amare ed essere amato? L’aveva davvero creduto possibile?

Si ritrovò a ridere tra quelle mura così candide, mentre le lacrime continuavano a scendergli lungo il viso, una strada di dolore che segnava la sua pelle e gli entrava in bocca, fino in fondo, fino all’anima, ne sentiva il gusto salato corroderlo dentro.

«In quanto Pozionista credo che ci debba essere un equilibrio in ogni cosa, in una pozione è fondamentale che ogni ingrediente sia equilibrato con l’altro. E sono arrivato alla conclusione che persino nella vita è necessario, per questo io non posso essere felice.»

Snape si alzò dalla sedia, quel pianto che gli veniva da dentro, parve acquietarsi, ma il dolore che stava provando, lo stava dilaniando, anche se cercava in tutti i modi di apparire freddo e distaccato, in fondo era stato abile a mantenere quella maschera per anni.

«Sono quella parte d’ombra che può vivere solamente nell’oscurità, che deve riflettere solamente se stessa per non inghiottire quel buio chi gli si avvicina» camminava lentamente, sperando che in qualche modo, tra tutta quella sofferenza, Minerva potesse ascoltarlo, lui in sette anni aveva percepito molte loro parole, quindi credeva possibile che anche l’anziana strega, nonostante tutto, potesse ascoltarlo.

«Non posso che essere solo. La mia felicità è la solitudine, è stare lontano dagli altri per non avvelenargli la vita.» Si avvicinò alla donna che per anni aveva considerato una madre, la guardò per alcuni istanti e alcune lacrime ripresero a rigargli il volto, il suo autocontrollo stava di nuovo vacillando di fronte al volto di Minerva così sofferente e teso che aveva paura persino a sfiorarlo. «Questo è il mio equilibrio. Questa è la mia vita. Questa è la mia felicità. Sono stato uno stupido a credere che per me ci fosse dell’altro, uno stupido illuso. Forse sarebbe stato davvero meglio se fossi morto quella notte alla Stamberga.»

Severus Snape posò le dita sulla fronte di Minerva, scottava e il sudore le scendeva lungo tutto il viso, avrebbe avuto il potere per eliminare su di lei ogni traccia di dolore, invece era ai piedi del suo letto a guardarla senza poter fare nulla.

Loro ti vogliono bene! Hermione ti ama! E adesso hai semplicemente deciso di voltare di nuovo le spalle a tutti loro?

Le prese una mano e la strinse forte tra le sue dita, quel contatto caldo gli si propagò lungo tutta la pelle e non riuscì a frenare quelle lacrime che spingevano con prepotenza per uscire di nuovo.

Questi mesi non li hai vissuti nel corpo di un altro, eri sempre tu, Severus. Questo sei, è inutile che lo neghi a te stesso. Non arrenderti proprio adesso, non sei mai stato un uomo debole.

Alla luce fioca di alcune candele, Severus posò le labbra sulla fronte di Minerva, in una carezza delicata che celava in se la forza di una moltitudine di significati.

«Mi dispiace» sussurrò appena, il suo respiro caldo nel quale gli avrebbe donato la sua stessa vita se fosse servito a salvarla.

Cosa penseranno tua madre e Lily? Come ti guarderà Dumbledore? Distruggerai di nuovo tutti loro, distruggerai Hermione che farebbe qualsiasi cosa per te, lei ti ama, ti vogliono bene, Severus.

Non lasciarti andare, non lasciare la presa su quella felicità conquistata con tanta fatica.

Sì avvicinò di nuovo per donargli un’altra carezza e in quel frangente notò alcune strane macchie violacee che si stavano diffondendo rapidamente dal collo della strega: per un attimo tornò indietro nel tempo, a quel giorno di tanti anni prima in cui aveva visto per la prima volta la mano annerita di Dumbledore.

Fu un lampo che gli traversò la mente, e finalmente capì.

Ti prego.

Stavolta le parole che pronunciò la sua coscienza non le ascoltò neppure, il suo aiuto lo avrebbe dato nell’ombra come sempre, nascosto nel suo mondo di buio, lontano da tutto e da tutti, e da quella felicità che non gli era mai appartenuta e che mai avrebbe fatto parte del suo mondo.

Con lentezza si allontanò da Minerva, aveva una cosa importante da fare per salvarla, non prima di averla guardata per un’ultima volta sorridendo tristemente, nonostante poco prima si era ripromesso di non farlo mai più.

Quella mattina aveva stretto tutta una vita a sé, e adesso aveva perso ogni cosa, ed era giusto così.

Severus lo sapeva e un sorriso malinconico di una fugace felicità gli piegò le labbra, troppo breve per riuscire a riportarlo indietro, troppo effimero per convincerlo a non arrendersi e a lottare per ciò che meritava.

Uscì da quella stanza e dalla sua vita e, forse, dalla vita di tutti loro.

 

 

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Capitolo 12
*** Dialoghi persi nell'Est ***


12 – Voci dalla Romania

Lo so, sono un pochino in ritardo, ma il periodo natalizio è sempre da panico D:

Comunque, una piccola nota prima di lasciarvi al capitolo.

Correggendolo e mettendolo su pc, l’ultimo capitolo mi è notevolmente lievitato, e quindi non finirà più con il numero 12, ma con il 14 perché l’ultima parte si è divisa in tre, quindi non è ancora giunta la fine.

È un capitolo un po’ strano, ma è nato così e ogni mio proposito di modificarlo e cambiarlo si è rivelato vano, è una sorta di transizione che è nata da sola e mi rende combattuta tra l’essere soddisfatta e il non esserlo affatto.

A voi l’ardua sentenza.

Come sempre ringrazio tutti quelli che con pazienza continuano a seguirmi, ricordami, preferirmi e leggermi e soprattutto chi si ferma a lasciarmi una recensione.

Grazie davvero di cuore.

Per qualsiasi cosa, non esitate a dirmela  ;)

Spero, buona lettura ;)

 

12 – Dialoghi persi nell’Est

 

22 dicembre 2005

 

«Come mi hai trovato?»

«Trovare le persone, è una parte del mio lavoro.»

Il ragazzo si guardò intorno, era un locale alquanto lugubre, che gli dava i brividi, così cupo e nascosto in mezzo a chissà dove, che gli parve di essere stato trasportato in qualche antica leggenda dell’Est Europa.

«Al Ministero hanno abbassato di molto gli standard.»

«Può darsi, ma questo significherebbe che lei è ben peggiore di me se io, così scarso, sono riuscito a trovarla. Oppure deve ammettere che sono maledettamente bravo nel mio lavoro.» “Tipica spavalderia Grifondoro”, pensò Snape che lentamente muoveva il bicchiere tra le dita, osservando con attenzione il liquido ambrato che si agitava al suo interno, come se dentro ci fosse una piccola tempesta che spingeva onde di whisky addosso alle pareti di vetro.

«Se voleva passare inosservato, avrebbe dovuto nascondersi meglio, cambiare nome, modo di vestire e perché no, persino tagliarsi i capelli e tingerli in stile Malfoy.» In un attimo il giovane Potter si figurò il suo ex insegnante di Pozioni in abiti diversi da quelli che era solito portare, con un taglio militare che aveva visto sulla testa di un vicino dello zio Vernon, anni orsono.

Fu un secondo e Harry si ritrovò a ridere spudoratamente di quell’immagine, mentre Snape lo guardava piuttosto accigliato.

Gran parte degli avventori del locale si voltò per osservare quegli strani individui che era evidente non fossero del posto, anche se uno di loro ormai erano settimane che lo vedevano lì, a quello stesso tavolo, che sorseggiava in silenzio.

Snape non riuscì a non farsi contagiare dall’ilarità del ragazzo e stirò entrambi i lati della bocca in un timido sorriso che ormai era da parecchio tempo che non gli capitava di fare.

Harry ad un tratto tornò serio e si sedette accanto al mago che per anni aveva odiato ingiustamente. «Sono qui per un altro motivo.»

«Sarebbe?»

«Per prima cosa volevo dirle che la professoressa McGonagall sta bene. Ed è merito suo.»

«Ho solo dato le istruzioni per una pozione.»

«Se non lo avesse fatto, però, non sarebbe guarita e forse sarebbe…» Harry non riusciva a pronunciare quella parola, aveva creduto che anche lei gli fosse portata via come tanti altri affetti dalla sua vita, e aveva pianto anche per lei. E aveva pianto anche per il mago che gli sedeva di fronte che si era di nuovo arreso alla vita.

“Sono un uomo, ormai, e non devo piangere”, si era ripetuto molte volte; ed era stata l’ostinazione di Hermione a fargli capire che un uomo non smette di essere tale se cede ai propri sentimenti, e allora aveva pianto, a lungo, finché pian piano quelle lacrime non si erano trasformate in sorrisi quando l’anziana strega si era infine svegliata.

E il sorriso poi si era fatto preoccupazione quando la sua amica aveva iniziato a scivolare velocemente verso un oblio dal quale sarebbe stato difficile tirarla fuori.

Quello era uno dei motivi che l’aveva condotto lì, ma ce n’era anche un altro.

«Ci sarebbero arrivati lo stesso» puntualizzò Severus che per un attimo alzò lo sguardo verso il ragazzo, verso quegli occhi che celavano Lily, ma non erano più i suoi, erano il verde di Harry. Solo di Harry, e questo lo fece, stranamente, sorridere.

«Sì, probabile, ma nel frattempo avrebbe potuto…» stavolta si fece coraggio, perché sapeva che adesso la donna stava bene, «morire» disse infine.

Snape riprese a guardare il liquore, in silenzio, senza berne alcun sorso, quella visita e quelle poche parole, lo avevano agitato più di quanto stesse dando a vedere. Aveva creduto che la sua strada potesse finalmente condurlo lontano, dividerlo per sempre da ciò che aveva lasciato al di là del mare, e invece…

«Comunque,» Harry spostò nuovamente gli occhi intorno al tavolo in cui sedeva con Snape; quando gli avevano riferito dove avevano trovato il soggetto della sua ricerca, non era riuscito a crederci, e invece si trovava proprio in uno strano e tetro locale nascosto in una zona oscura della Romania.

Era partito non appena gli avevano riferito l’esatta ubicazione di quel particolare soggetto.

Pensare a Snape come ad un “soggetto”, era strano, ma il pensiero lo fece sorridere.

«Abbiamo scoperto che cosa ha avvelenato la professoressa McGonagall.»

Severus rimase in silenzio a fissare il giovane mago, sapeva benissimo che era stato un veleno a ridurre Minerva in quello stato e conosceva esattamente quale fosse il veleno da esperto Pozionista qual era, ciò che non sapeva era come fosse venuta in contatto con tale tossina, era così rara che era del tutto impossibile che una persona ne venisse a contatto in maniera casuale.

Piegò appena il volto mentre un sopracciglio si alzava, in quel modo cercò di spronare il giovane Potter a continuare a parlare.

«Quella mattina mentre conversava con la professoressa Sprout, le è stato recapitato un pacco regalo che non conteneva assolutamente nulla.» Severus non capiva.

«Come ha fatto ad avvelenarsi se non conteneva nulla? E poi una strega esperta come lei di certo si sarebbe accorta della presenza della Mortis Viridis all'interno della confezione o quello che era.»

«È proprio questo il problema. L'essenza mortifera della pianta era nel nastro che chiudeva il pacco. Nessuno fa mai caso al nastro o alla carta intorno, e questo è stato fatale, anzi, fortunatamente non è stato fatale. Grazie a lei.»

Snape grugnì malamente, quello che proprio non voleva, era essere ringraziato ogni pochi minuti, desiderava soltanto essere lasciato da solo, stare lontano da tutti loro perché ne aveva abbastanza di far del male alle persone.

La felicità non era per lui, ormai gli era chiaro, era stato uno stupido a credere che fosse stato possibile per lui vivere finalmente una vita degna di essere chiamata tale, con accanto persone che gli volevano bene e persino con qualcuno da amare.

Harry si era accorto dello strano disagio del suo vecchio professore quando lo ringraziava, e questo lo fece sorridere, anche se dentro di sé gli faceva male vederlo di nuovo così solitario, estraneo al mondo come lo era stato per lungo tempo.

Aveva davvero creduto possibile che potesse essere felice, insieme con tutti loro e con Hermione.

Doveva ammettere che, dopo un iniziale scetticismo, quei due erano fatti veramente l'uno per l'altro e si ritrovò di nuovo a sorridere, mentre Severus faceva vagare lo sguardo nel locale, soffermandosi su ogni persona seduta ai tavoli.

Vide una coppia di anziani che sorrideva con i pochi denti che le erano rimasti e brindava al tempo che le rimaneva da vivere insieme, poco o molto che fosse, non importava.

«Queste cose avresti potuto scrivermele in una lettera, perché sei qui?» Severus tornò a guardare Harry, inclinando appena la testa, lo osservò con curiosità, come se fosse un piccolo gufo in attesa della sua ricompensa dopo una nottata di volo.

«Perché sappiamo chi è stato. E...»

«Chi è stato?»

Harry rimase in silenzio, serrando le labbra per non dover pronunciare quel nome che sapeva benissimo quale reazione avrebbe causato, l'aveva già vista sul volto di altri ed era rimasto immobile mentre la rabbia montava dentro ognuno di loro.

Il suo lavoro gli aveva insegnato ad essere più riflessivo, a non agire d'impulso, ma quel giorno aveva dovuto frenarsi con tutte le sue forze per non esplodere e far saltare in aria chi si era macchiato del peccato di tentato omicidio.

«Dimmi chi è stato» ma il giovane mago rimase muto, anche se sapeva perfettamente che con Snape sarebbe stato del tutto inutile.

Severus si alzò di scatto, stringendo con forza il bicchiere prima di gettarlo sul pavimento; fissò quel liquido ambrato farsi strada tra la moltitudine di frammenti di vetro, come un fiume che poco a poco lambiva le rocce posate sul suo letto.

«Che cosa sei venuto a fare esattamente, qui?» la voce di Snape era pacata, troppo quieta, e questo spaventò il giovane Potter che ormai conosceva perfettamente il suo ex insegnante e sapeva che bisognava temere di più la sua finta quiete, piuttosto che le urla che, in ogni caso, si concedeva raramente.

«Io...»

«Io cosa? Mi hai riempito la testa di chiacchiere per tutto questo tempo, quindi se non hai intenzione di dirmi nient'altro, puoi benissimo tornare da dove sei venuto e assicurarti di non tornare mai più, né tu né chiunque altro.» Senza degnarlo di uno sguardo, prese la bacchetta e in un attimo eliminò ogni traccia del suo whisky da terra, mentre molti dei presenti li guardavano piuttosto incuriositi, chiedendosi il perché di tutto quel concitare.

«Deve aiutare Hermione» dichiarò infine Harry, puntando i suoi occhi verdi su quelli neri di Snape che era tornato ad osservarlo, forse per quel nome o forse per qualcos'altro, ma il giovane mago sapeva perfettamente che qualcosa lo aveva colpito da dentro.

«Che significa? È stata Hermionechiese incredulo Severus.

«No, Merlino, certo che no! Ma potrebbe comunque commettere una sciocchezza.» Snape si gettò nuovamente sul piccolo divanetto nascosto dalla penombra, con pesantezza, come se tutto quello lo affaticasse, e il non capire lo rendeva irrequieto.

«Una volta andavi dritto al punto senza farti il minimo problema, quindi vedi di parlare chiaro o ci metto un istante ad entrare nella tua testa!»

«D'accordo. Le dirò tutto, ma deve promettermi che starà calmo e mi aiuterà in questa situazione e soprattutto a salvare Hermione da se stessa,» ma il mago per tutta risposta grugnì non molto d'accordo. «Me lo prometta!»

«Va bene, te lo prometto.» Harry sorrise, sapeva che Snape era un uomo di parola e non sarebbe mai venuto meno ad essa, era un aspetto del mago che lo confortava sempre.

«Deve sapere che in questi ultimi sette anni lei ha accumulato una nutrita schiera di fan,» non era facile dirgli quelle cose, sapeva che Snape a sentire quelle inutili chiacchiere lo avrebbe volentieri Schiantato e, in una situazione diversa, sarebbe stato il primo a ridere dell'orda adorante di donne che desideravano anche solo un centimetro del mantello del suo ex insegnante. «Le devo dire tutto, quindi non inizi ad agitarsi prima che abbia finito, lo so che sono cose che non le interessano, ma è stato lei a dire che voleva sapere ogni cosa» spiegò Harry che si era accorto del nervosismo crescente di Snape.

«Alcune di loro rasentavano i limiti della follia; se vogliamo, sono i rischi del mestiere» sorrise, ma Severus non era dello stesso avviso.

«Vai al punto, se non ti è di troppo disturbo, grazie.»

«Ok. Quello che voglio dirle è che una di loro aveva una vera e propria ossessione, era innamorata di lei e andava dicendo che presto vi sareste sposati e cose del genere, ma non pensavamo fosse pericolosa.»

Quella volta, quando Hermione stava leggendo qualcosa...

Severus sgranò gli occhi, incredulo perché non credeva possibile che ci fossero persone che potessero essere ossessionate da uno come lui, la cosa lo disturbò parecchio, ma soprattutto non capiva cosa c'entrasse Minerva in tutto quello.

«Quando si è svegliato, quella donna si trovava al San Mungo, ma è stata cacciata da Hermione e dalla professoressa McGonagall che l'ha addirittura minacciata di spedirla al Polo quando ha offeso Hermione e quando non voleva lasciarla in pace.» Nella mente di Severus si formò l'immagine di Minerva che con tutta la sua forza e pacatezza, parlava a quella donna, come una madre stava di nuovo proteggendo tutti loro, senza alcun pensiero o dubbio, e questo lo fece sorridere, un sorriso spontaneo e ampio che per un attimo lo riportò a pochi mesi prima, a quando si era concesso di essere finalmente felice.

E invece hai di nuovo abbandonato tutti, hai abbandonato tutti loro, Minerva che ti ha sempre protetto e voluto bene come un figlio, hai lasciato Hermione che ami e che ti ama.

Svegliati da questo tuo nuovo torpore, Severus, ti prego...

Per un attimo gli parve di sentire la voce di Dumbledore nella testa, e questo gli fece male, come se qualcuno lo avesse colpito forte.

«Perché non se l'è presa anche con Hermione?»

«Perché per lei non era una minaccia, non aveva alcuna idea che voi avevate una relazione.» Era disappunto quello che scorse nel tono di Harry? Sì, decisamente, e anche nei suoi occhi poteva vedere la tristezza per quel “tempo passato” che aveva dovuto usare.

«Quando siamo andati a casa della donna, abbiamo trovato le pareti letteralmente tappezzate da sue foto, era abbastanza raccapricciante. Non le sue foto lo erano, lei era... cioè, io...»

«Non preoccuparti, ho capito perfettamente,» e gli venne quasi da ridere nel vedere l'espressione imbarazzata di Harry che faceva fatica a sostenere il suo sguardo.

«La donna non c'era, è sparita e non sappiamo dove sia, setacceremo ogni angolo d'Europa o del Mondo se fosse necessario. Ma è sparita anche Hermione, ha sentito per caso il nome di quella donna ed è scomparsa. Non so come sia potuto accadere, io... deve aiutarmi, so quali sono le sue intenzioni, ho visto la sua rabbia e il suo dolore, potrebbe fare qualcosa di stupido, dobbiamo trovarla prima che faccia qualcosa dalla quale non potrà più tornare indietro.»

«Dimmi quel nome.»

«No.»

«Dimmelo.»

«No! Ha promesso!»

«Allora non posso fare niente per te.»

«Dannato testardo che non è altro, pensa che io non voglia farla pagare a quella donna per ciò che ha fatto? Siamo in parecchi a volerlo! Ma non siamo più ragazzini sciocchi ed io la getterò nella cella più profonda di Azkaban, ne stia pur certo, ma non permetterò che nessuno si sporchi le mani di sangue, per quanto lo voglia anch’io! Né lei né Hermione! Ma Hermione in questo momento è debole per colpa sua e non ragiona lucidamente!»

«Dannato stupido Grifondoro, se non mi dici quel nome come pretendi che possa aiutarti a trovare quella donna ed Hermione? Inizio una caccia a tentativi descrittivi?»

Nonostante la situazione fosse delle più serie, Harry scoppiò in una sonora risata che echeggiò per tutto il locale, ma stavolta nessuno dei presenti si voltò verso di loro, si erano ormai abituati a quei due strani maghi seduti al tavolo più isolato del locale.

Snape lo guardò piuttosto contrariato, anzi, sembrava stesse scrutando un pazzo che poco prima era serio e un istante dopo iniziava a ridere, in sette lunghi anni di coma si era perso molte cose.

«Ha ragione, mi scusi. La donna si chiama Bo Batter, 40 anni, nata a Hogsmeade ma residente a Londra da una decina di anni, dove lavora come farmacista, per questo era un'esperta nel preparare veleni. È alta pressappoco 1,57 metri, corporatura normale, carnagione chiara, occhi grigi e capelli biondi. Ovviamente è una strega e quindi potrebbe con facilità cambiare connotati.»

«Potevi darmi una foto, avresti fatto prima.» Harry gli sorrise, sembrava così calmo e freddo, come se niente gli importasse, ma in tutti quegli anni aveva imparato molte cose sul conto di Snape, e una delle quali era che fosse molto bravo a mascherare le sue vere emozioni, maledettamente bravo. D'altronde si era preso gioco di moltissime persone in tutti quegli anni, ormai la sua era una tecnica affinata nel tempo, ed Harry si chiese se in realtà stesse soffrendo anche per la separazione da tutti loro e soprattutto da Hermione, a maggior ragione adesso che era sparita e in pericolo.

“Certo che sta soffrendo, stupido! Quei due sono innamorati, è così evidente”, gli aveva detto una sera Ginny mentre insieme guardavano il loro bambino dormire.

Sì, adesso sapeva con certezza che il cuore di Snape era dilaniato dal dolore, di nuovo, e questo lo faceva infuriare dopo tutta la fatica che aveva fatto per liberarsi da quei pesi sull'anima, l'avrebbe preso volentieri a schiaffi se fosse servito, anche se gli era ben chiaro che non sarebbe riuscito nemmeno ad avvicinare le mani.

Quel pensiero gli tese le labbra.

«Hai finito o c'è altro?»

«Finito.»

«Bene.»

«Ah, aspetti, dimenticavo una cosa.» Severus alzò un sopracciglio, in quel cenno che ormai era sinonimo di “prosegui”. «Se dovesse trovare la donna ed io non ci sono, per favore, non l'ammazzi. La prenda, ma non l'ammazzi, e mi aspetti.»

Severus Snape si alzò dal piccolo divano marrone che lo aveva ospitato in quelle ultime settimane, lanciò alcune monete sul bancone e si fermò alcuni istanti a guardare Harry, quel piccolo petulante Potter che era diventato uomo e molto più saggio di quanto si fosse aspettato, anche se ancora poteva vedere alcuni aspetti dell'irritante moccioso che ogni tanto emergevano con prepotenza.

Sul suo volto passò una strana ombra che per un attimo gli illuminò gli occhi per poi rigettarli in un buio ancora più denso, le sue labbra si mossero non per parlare, la sua bocca sorrise, un sorriso disteso, spontaneo, ma che aveva in sé una traccia d'inquietudine e un piccolo bagliore oscuro che fece tremare il giovane uomo: non sapeva come interpretare quell'espressione.

I due maghi uscirono da lì, inspirando il freddo della Romania a pieni polmoni, riempiendosene prima di sparire lasciando la neve a vorticare in un punto in cui non c'era più nessuno.

 

 

 

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Capitolo 13
*** Verrò a salvarti ***


13 –

Dunque, con mio sommo rammarico, mi sono accorta di essere stata una grossa maleducata e di non aver fatto neppure gli auguri per le feste :( Mi dispiace tantissimo, ma vi assicuro che vi ho pensato e anche se sono in ritardo, tantissimi auguri ve li faccio adesso! :D

 

Tornando alla storia, ormai ci siamo, questo è davvero il penultimo capitolo, ne manca ancora uno perché c’è qualcosa di importante ancora da dire: che cosa? Lo scoprirete ;D

La prima parte del racconto, “narra” una leggenda realmente esistente del mio paesello, lo dico per dovere di cronaca ;D

 

Adesso vi lascio al capitolo e per qualsiasi cosa non esitate a dirmela, ma prima ringrazio tutti quelli che continuano a seguirmi e leggermi con pazienza, chi mi preferisce e ricorda e chi mi recensisce e chi farà tutte queste cose :D

Spero, buona lettura!

All’ultimo capitolo!

 

13 – Verrò a salvarti

 

23 dicembre 2005

 

L'ampia radura era silenziosa e deserta, doveva essere così da secoli, nonostante il presente aveva cancellato anni di superstizioni, la paura ancora aleggiava come la nebbia fitta d'inverno, come gli spettri della leggenda che ogni notte tornavano a popolare il terreno sul quale avevano versato il loro sangue.

Alla luce del sole, il paesaggio non era così spettrale, ma l'ombra stava iniziando pian piano a coprire ogni cosa e ad allungare i rami della foresta lungo la terra umida.

Non era il clima ideale per l'attesa, ma la strega non aveva altra scelta che stare lì ed aspettare che il passaggio a quel piccolo villaggio di maghi si aprisse, e mancava ancora qualche ora al buio più completo, e non le rimaneva da fare nient'altro che starsene lì, appoggiata ad un albero, a pensare a cosa avrebbe fatto una volta varcato quell'ingresso.

 

Aveva impiegato più tempo del previsto a raggiungere quella rupe tufacea dalla quale poteva vedere ogni cosa, i problemi con la lingua gli erano costati inutili lungaggini di cui avrebbe fatto volentieri a meno, ma non aveva la benché minima idea di com'era quella parte d'Italia in cui era dovuto andare, e gli era stato necessario chiedere informazioni.

Se avessero ancora parlato latino, non avrebbe di certo avuto problemi.

Nonostante gli abiti Trasfigurati, aveva ricevuto ben più di un'occhiata di gelo, forse perché risultava comunque strano agli occhi estranei e la naturale ritrosia di quel posto, rendeva difficile fidarsi di chiunque non fosse nato lì o vi abitasse da anni.

Da lassù vedeva tutto intorno, ma non riusciva a scorgere ciò che realmente gli interessava e stava iniziando a perdere la pazienza, quando una strana nebbia si addensò con estrema lentezza lungo tutta la valle, in uno strano colore che dal bianco pian piano sfumava nel rosa per condensarsi in un rosso che però era strano, familiare, come l'odore che s’innalzava nell'aria.

 

Quando la strega alzò gli occhi da terra, lo spettacolo che le si presentò davanti era terrificante e le gelò il sangue che il lungo mantello aveva mantenuto caldo fino ad allora, era una strana nebbia quella che si stava addensando in forme che assumevano l'aspetto di una moltitudine di uomini, uomini armati, fantasmi che si muovevano come se stessero in battaglia.

La strega non riuscì a trattenere un'espressione di puro terrore sul viso, ma si fece forza, d'altronde, benché fosse ancora giovane, nella sua vita aveva visto cose ben peggiori e, in fondo, era cresciuta con fantasmi che sfrecciavano in ogni angolo del Castello.

Corse attraverso quella folla incorporea, ed era come attraversare una coltre gelida, ma ciò che più la lasciò senza fiato, fu la sensazione di poggiare i piedi su qualcosa di viscosa, dal caratteristico aroma di ferro: non c'era alcun dubbio, quello era veramente sangue e colorava la radura che si allungava sotto i suoi piedi.

Ad un tratto le vide, quelle mura diroccate che si estendevano a protezione di un pesante portone di quercia sbarrato magicamente, quell'entrata che aspettava di vedere dalla mattina, da quando un mago che aveva incontrato per caso poco lontano dal villaggio, le aveva detto di aver visto quella strega varcare proprio quel portone un istante prima di lui.

 

Il terreno si era coperto completamente di rosso, mentre quelle anime si lanciavano contro un nemico immaginario, facendo echeggiare un grido di battaglia che si spargeva nell'aria in nient'altro che silenzi spaventosi; poi, ad un tratto, vide un'ombra squarciare quel bianco e correre su quel velluto porpora verso un portone che era apparso all'improvviso.

In un istante il suo corpo iniziò a scomporsi in spire di fumo denso che lente si librarono in aria finché, con un'improvvisa sferzata, si gettarono verso quelle mura, roteando intorno ad un invisibile asse.

Quella sua abilità faceva parte di un oscuro passato che aveva creduto di aver relegato in una parte nascosta del suo essere, invece era bastato un attimo e tutto era tornato a galla, era bastato leggere quella lettera e vedere Minerva in quelle condizioni, per far crollare di nuovo tutto.

Eppure non tutto è perduto.

Sei qui per salvarla. Sei qui per salvarti.

Entrò nel villaggio mentre l'aria fredda di dicembre s’insinuava tra le pieghe del suo mantello, che in un attimo si avvolse intorno al suo corpo, creando una sorta di guscio protettivo da quel gelo che colpiva le stradine addobbate per il Natale.

Era uscito di corsa da quel locale con Harry, senza pensieri, voleva soltanto prendere quella donna, guardarla negli occhi, guardare la strega che aveva tentato di uccidere Minerva McGonagall, la madre che c'era sempre stata per lui, anche quando l'odio aveva preso il sopravvento sull'affetto.

Non appena Harry aveva pronunciato quel nome, si era trasformato nel suo principale desiderio, e l'avrebbe persino uccisa per ciò che aveva compiuto, ma aveva fatto una promessa al giovane Potter e lui non era uomo che veniva meno alla sua stessa parola.

Eppure c'era qualcos'altro dentro di lui, una sensazione che conosceva, ma aveva timore di figurarsela nella testa, perché in quei giorni aveva cercato con tutto se stesso di ricacciare dentro quei sentimenti.

Essi, però, erano ancora lì, ed era bastato il suo nome, il ricordo del suo sorriso, del suo profumo, di lei, per far cedere ogni suo rigoroso sforzo, era del tutto inutile fingere che non fosse nulla per lui, si prendeva solamente in giro.

È inutile che menti a te stesso, Severus, tu la ami, e non hai mai smesso.

Salvala. Salvala da se stessa e riportala da te, riportala a casa, stretta tra le tue braccia.

Torna a casa con lei.

Affrettò il passo tra la folla con il solo desiderio, adesso, di trovare Hermione.

 

***

 

Finalmente l’aveva trovata.

Se ne stava lì, sorridente in compagnia di due maghi, con l’aria di chi sa di aver commesso qualcosa di malvagio, eppure si sente innocente e intoccabile, come se mai nessuno sarebbe stato in grado di scoprirla.

E persino lei aveva creduto che non sarebbe mai riuscita a trovarla, tantomeno a fargliela pagare, perché le sue intenzioni erano proprio quelle di vederla soffrire, poco importava delle conseguenze che avrebbero prodotto i suoi gesti.

Ormai si sentiva come se non avesse nient’altro da perdere.

In un attimo la sua vita era andata completamente in frantumi, disintegrata come un vetro gettato con forza a terra; non riusciva ancora a credere che la sua felicità fosse svanita del tutto, che le forti braccia di Severus non l’avrebbero più stretta, che non avrebbe più sentito il cuore del mago battere sotto le sue dita, quelle labbra stirarsi in un sorriso che gli illuminava tutto il volto.

E invece era tutto finito, evaporato come gli oceani del deserto, avrebbe voluto gridare, sbriciolare ogni cosa come il suo cuore che era andato in mille pezzi, eppure doveva guardare quella gente che festeggiava il Natale e sorrideva, si stringeva nel caldo di un abbraccio che lei non avrebbe mai più sentito.

Ed era tutta colpa di quella donna che le era poco lontana.

Come può un amore finire così? Se fosse stato forte, avrebbe dovuto resistere a tutto questo, è invece è scoppiato come una bolla di sapone.

Come aveva potuto fare del male alla professoressa McGonagall?

Gliel’avrebbe pagata, fosse stata l’ultima azione della sua vita.

Sentì la rabbia salirle lungo la spina dorsale mentre camminava verso di lei, era come una catena che le stringeva lo stomaco ad ogni passo che faceva, e voleva soltanto sgretolare quel pezzo di ferro, anello dopo anello; era una sensazione che non aveva mai provato, o, forse, l’aveva solamente dimenticata.

«Tu!» in un attimo gli occhi le si colorarono di una strana sfumatura di rosso. «Non ti perdonerò mai per ciò che hai fatto.»

La strega si voltò di scatto, sul volto una strana paura, «come… come hai fatto a trovarmi?» domandò mentre i suoi due accompagnatori si frapposero fra Hermione e la loro amica.

«Perché sei una lurida stupida strega ed io ti ucciderò.»

 

***

 

Quella giovane donna non era la sua Hermione, l’odio e la rabbia avevano preso il sopravvento e l’avevano trasformata, lo sapeva bene quali effetti potessero avere quelle due emozioni, ma lui non era stato abbastanza forte da combatterle, si era lasciato sottomettere e vincere.

Adesso, però, lo sarebbe stato, e lo sarebbe stato anche per lei, non avrebbe mai permesso all’ombra di inghiottire anche Hermione, la sua Hermione, la sua vita, il suo futuro e il suo sorriso.

Nello sguardo della giovane strega poteva vedere i suoi stessi occhi, quello che erano stati per lungo tempo e una fitta di dolore gli attraversò il petto: era stata tutta colpa sua, del suo comportamento egoista che lo aveva allontanato da lei.

Basta attribuirsi delle colpe che non sono tue e basta scappare, Severus.

Severus Snape non aveva più intenzione di fuggire, era determinato a riprendersi quella felicità che era stata sua per troppo poco tempo, che aveva sfiorato senza mai stringerla veramente, e voleva Hermione, la voleva sempre al suo fianco, la desiderava stretta tra le sue lenzuola scure che troppo spesso lo avevano guardato piangere con gli occhi fissi al soffitto o che non si chiudevano.

No, adesso avrebbe guardato lei e gli occhi li avrebbe chiusi stringendola tra le sue braccia.

L'arto della giovane strega era così teso che aveva timore che si spezzasse da un momento all'altro, poteva vedere la collera, sentirla persino sulla sua stessa pelle.

 

«Hermione.»

Quella voce le gelò il sangue, le sembrava che provenisse da dentro di lei, da un luogo lontano dov'era stata relegata da tempo, e ora cercava di venire fuori, forzava per tornare in superficie.

Ebbe la sensazione di qualcosa che spingeva la sua anima verso la sua pelle che resisteva con forza e sentiva quella voce, quel sentimento stringerle la gola e accelerarle il battito.

Era davvero lui?

«Hermione abbassa quella bacchetta.» Sentì le dita del mago stringere la sua carne, i muscoli tesi, percepì un calore irradiarsi dal braccio fino ad inghiottire ogni fibra del suo essere e le sue certezze per un attimo vacillarono, costringendola ad abbassare il legno.

«Non sei poi così tanto coraggiosa» parlò la strega che le era di fronte, celata dai due maghi suoi amici.

Snape si voltò verso l'irritante fonte di quelle parole, piegando le labbra in una smorfia, e con sorprendente velocità estrasse la bacchetta dai suoi abiti che erano rimasti Trasfigurati, e lanciò un incantesimo verso di loro che in un attimo si ritrovarono legati da corde magiche argentee e senza più la possibilità di emettere alcun suono.

La comunità magica di quel piccolo villaggio iniziò a chiedersi cosa stesse succedendo e molti si fermarono a guardare, indecisi sull'intervenire o meno.

«Hermione, so perfettamente qual è il bisogno che ci spinge a compiere tali atti, fidati, lo so benissimo. Ed è un bisogno che non ti porterà nulla, nient'altro che dolori e rimorsi.»

«Ha cercato di uccidere Minerva!» e il suo braccio ritornò teso, con i nervi che si potevano scorgere tant'era forte la stretta delle sue dita sulla bacchetta. «E ha distrutto...»

Questa volta, però, davanti c'era Severus, immobile come una statua, e sul viso aveva una strana espressione che non riusciva a decifrare.

Cos'era?

Era dolore quel lampo che gli attraversava gli occhi? Dispiacere o compassione?

«Lo so cosa ha fatto, ma ucciderla non ti porterà a nulla, porterà soltanto ombre nella tua vita.»

«Tu dovresti capirmi, un tempo non avresti esitato a farla fuori. È di Minerva McGonagall che stiamo parlando, la donna che consideri una madre!»

"Testarda, stupida, ragazzina!"

«So perfettamente di chi stiamo parlando e credimi, un tempo non ci sarebbe stato desiderio più grande al mondo che vedere quella strega morta, ma adesso il mio desiderio maggiore è un altro, e mi basta vederla rinchiusa per sempre in una cella di Azkaban.»

 

Dal momento in cui i suoi occhi l'avevano sfiorato, aveva capito che per lui non ci sarebbe stato più spazio per la vendetta, il suo desiderio aveva lo sguardo di Hermione, il suo sorriso e il suo cuore.

Era stato uno stupido a permettere che quella situazione lo allontanasse da lei, era stato un codardo, e la giovane donna aveva sempre avuto ragione nel dirgli che era un vile nei sentimenti.

Ormai, però, era deciso a non esserlo più.

Non sarebbe più stato un vigliacco e sarebbe rimasto al fianco di Hermione a qualsiasi costo, non le avrebbe permesso di rovinarsi la vita e distruggersi l'anima per una donna che avrebbe scontato le sue colpe in una gelida cella, accompagnata dai Dissennatori fino alla pazzia, e non ci sarebbe stata pena migliore per quell'essere, la morte sarebbe stata soltanto una liberazione, un nulla in confronto a ciò che aveva fatto.

E si sarebbe aggrappato con tutte le sue forze alla giovane donna pur di non farla precipitare nell'abisso com'era accaduto a lui tante volte, così tante che l'ombra era diventata parte integrante del suo essere.

«Io voglio che marcisca all'inferno!»

«Hermione, smettila! La tua famiglia è in pensiero per te, così come i tuoi amici.»

«E a te cosa importa, non fai parte di nessuna delle due categorie.» Severus non rispose, rimase immobile ad osservarla, ad osservare la copia di oscurità che non le apparteneva, che nascondeva ciò che era in realtà, perché la strega davanti a sé non era di certo l'ostinata e irritante So-Tutto che aveva conosciuto e non era neppure la donna di cui si era innamorato, che lo aveva riportato in superficie dopo essere sprofondato anno dopo anno.

«Vattene se non vuoi che Schianti anche te.»

«Avanti, fallo, anzi, fai di meglio, uccidimi. Poni fine alla mia vita, perché senza di te non ha più alcun senso viverla.»

L'espressione di Hermione mutò di colpo, sgranò gli occhi come se fosse stata colpita da un pugno in pieno stomaco, ma non le sarebbe uscito del sangue dalle labbra; sentiva le sue certezze disintegrarsi di nuovo, e la rabbia e l'odio che le venivano sradicate da dentro, come se qualcuno le avesse infilato una mano in bocca e gliele avesse tirate fuori con la forza, estirpate come si estirpa l'erba cattiva; era visibilmente sconcertata da quelle parole: che significava tutto quello?

 

«Severus... io...» furono le uniche parole che riuscì a pronunciare prima di gettarsi a terra, tra le lacrime che avevano preso a scorrerle con impeto sul viso che coprì con le mani per la vergogna di farsi vedere così debole e stupida da lui.

In quel frangente non le importava nient'altro, sarebbe voluta sprofondare, cadere in uno squarcio che la terra avrebbe aperto sotto i suoi piedi, avrebbe voluto correre lontano da lì per non farsi guardare.

«Non guardarmi, ti prego.»

«Non c'è mare, fiore, tramonto o tempesta che vorrei guardare più di te, Hermione.»

La strega si strinse ancora di più a sé, cercando di nascondere se stessa a Severus e per un attimo le parve di sentire la sensazione del suo sorriso sulla pelle, sorrideva di quell'immagine che gli si era figurata davanti: doveva proprio dare l'impressione di una piccola bambina spaurita, per questo il mago aveva stirato le labbra.

Doveva dare l'impressione di essere così fragile, ma in quel momento nulla aveva importanza, non aveva neppure le forze per combattere contro se stessa, era come se tutto il peso accumulato in quei giorni, le fosse piombato addosso tutto in quello stesso momento e in un unico punto.

Percepiva il suo cuore come se fosse un macigno che nessun incantesimo sarebbe stato in grado di dissolvere.

Ad un tratto si sentì avvolgere da uno strano calore e, tra la miriade di sensazioni che volavano nella sua mente come molteplici farfalle, riuscì a percepire quel profumo.

Non c'era niente al mondo che la confortasse come il profumo di Severus, perché sapeva che lui era lì, vicino a lei, ogni volta che lo sentiva, lui la stringeva a sé, cosi forte da farle male, ma non gli avrebbe permesso di lasciarla andare, aveva bisogno di quel dolore, di sentire la loro carne così vicina.

 

Severus Snape la abbracciò con tutto l'amore che aveva, sorridendo, come se avesse passato anni di dolore e rimorsi solamente per vivere quel momento, come se non aspettasse nient'altro.

Rimase stretto a lei anche quando Harry arrivò con altri Auror per portare via la strega che aveva cercato di uccidere Minerva e aveva provato a portare Hermione nell'ombra; un tempo l'avrebbe uccisa, adesso non l'aveva neppure guardata mentre la conducevano lontano da lì, da loro.

Per lui in quel momento c'era solamente Hermione, in quel villaggio in cui tutti si erano fermati a guardare senza muovere alcun passo, c'erano soltanto loro due, stretti l'uno nell'altra in un mondo parallelo che li teneva fuori da tutto.

Hermione tra le sue braccia si rilassò e persino le lacrime smisero di scenderle sul volto così segnato da quegli eventi che si faceva persino fatica a riconoscerla.

Alzò gli occhi verso di lui, la vista ancora un po' appannata perché la vide che cercava di mettere a fuoco strofinandoseli con le mani.

«Hai la cravatta. E sei vestito con un completo Babbano.»

«Però, che perspicacia.»

Hermione scoppiò a ridere, non sapendo bene per quale motivo, se fosse per Severus vestito in quel modo, o perché lui era sempre lui e nulla sarebbe cambiato.

«Torniamo a casa, Hermione.» E nel suo sorriso c’era tutta l’importanza di quella frase.

«Portami ovunque vuoi, purché tu stia con me.»

«Ti porto a casa, dalla tua famiglia e dai tuoi amici.»

«Tu sei mio amico, sei la mia famiglia. Sei il mio tutto, Severus. Grazie per essere venuto a salvarmi.»

«Mi hanno costretto.» Ed Hermione rise di nuovo aggrappandosi alla sua ancora di salvezza, appoggiando il suo viso sul petto del mago per sentire il battito del suo cuore che aveva il potere di calmarla e farla sentire viva e amata.

«Hai mai volato?» le chiese prendendola in braccio.

«Cosa? Io... no. Aspetta, che vuoi fare?»

Severus sorrise mentre la stringeva a sé. «Quell'imbranato del tuo amico non ci ha lasciato nessuna Passaporta e non possiamo Smaterializzarci così lontano, quindi devo improvvisare in qualche modo.»

«Non vorrai mica...»

«Esattamente.»

Severus Snape ed Hermione Granger sparirono nei cieli d'Italia, stretti nell'amore che li aveva salvati entrambi.

 

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Capitolo 14
*** Il valore della vita stessa ***


14 – Il valore della vita stessa

Ok, sono un po’ in ritardo con quest’ultimo capitolo, chiedo venia XD ma è stato un periodo alquanto frenetico.

Comunque adesso ci siamo, la storia finisce davvero perché questo è davvero l’ultimo capitolo, e un po’ mi mancherà, ma qui non ho più nulla da raccontare :D

Spero che il finale sia all’altezza delle aspettative e che vi piacerà ^^

Ringrazio veramente di cuore tutti quelli che hanno seguito questa storia, che l’hanno ricordata, preferita e che anche solo l’hanno letta, e ringrazio immensamente chi si è fermato a recensirla.

Siete meravigliosi!

 

Voglio dedicare questo capitolo alla mia meravigliosa nipotina che forse leggerà queste storie quando sarà grande :D, al mio meraviglioso raggio di sole nella mia vita! ^_^

 

Vi lascio all’ultimo capitolo e spero, buona lettura!

 

 

14 – Il valore della vita stessa

 

24 dicembre 2005

 

La stanza era silenziosa e avvolta completamente dall'oscurità e chiunque avrebbe fatto fatica ad orientarsi, ma non lui. Non Severus Snape che conosceva alla perfezione ogni angolo buio e nascosto, e ricordava ogni singolo sussurro che era stato compiuto e ogni singola lacrima che lui stesso aveva versato quando, assassino e traditore, aveva usurpato e corrotto quel posto che non gli era mai appartenuto e che mai lo aveva voluto.

Sarebbe stato per sempre l'assassino e il traditore?

Per un attimo chiuse gli occhi e la mente, e lentamente camminò per la stanza, posando rapide carezze su ogni superficie, veloce, come se ognuna di esse avrebbe nuovamente trasudato sangue al suo tocco. Con la sua sola presenza.

Sospirava, Severus, tra quei passi, sospirava al ricordo di tutto ciò che era stato e che aveva fatto, a quelle mani coperte di morte che avrebbero dovuto sfiorare la sua Hermione ogni giorno della sua vita.

Non avrai di nuovo dei ripensamenti, vero?

Severus sorrise alla sua coscienza, a quella parte di sé che spesso lo aveva tirato fuori dal baratro in cui era caduto molte volte e dove aveva rischiato di finire di nuovo quando aveva sbattuto Hermione fuori dalla sua vita.

No. Non aveva alcun ripensamento.

Severus Snape aveva perso troppe occasioni negli anni, per paura, per dovere, per un senso di colpa che lo aveva reso immeritevole di ogni cosa bella, ma adesso era venuto il momento di mantenere la stretta su quella, di occasione, quella che gli era entrata d’improvviso in una stanza d'ospedale.

E stavolta non l'avrebbe lasciata andare.

Sorrise nuovamente, Severus, sorrise a lei, a se stesso, alla sua nuova vita e all'amore, un brindisi inebriante sulle labbra che mai aveva fatto, un dipinto che mai gli aveva colorato il viso.

Non in quel modo e non con quel valore.

Il valore della vita stessa.

E adesso ce l'aveva a portata di mano, ce l'aveva a pochi passi.

«Allora è qui che ti sei rintanato!» quella voce l'avrebbe riconosciuta in qualsiasi luogo ed era così felice di sentirla di nuovo, che un ampio sorriso proveniente dal profondo della sua anima, gli disegnò le labbra, e l'avrebbe persino abbracciata se non fosse stato un gesto non da Severus Snape.

«Già. Mi ero immerso per un attimo nel passato rimasto legato a questa stanza.»

«E di cosa ti parla adesso questa stanza, Severus?» gli chiese mentre si avvicinava a lui con passo ancora malfermo, sorreggendosi ad un bastone sul cui manico era intarsiato un leone, e quell'immagine lo fece ridere: tipica spavalderia Grifondoro!

«Di ricordi. Di dolori. Di risate. E di speranze» le rispose mentre l'aiutava a sedersi su quella sedia che anche lui aveva occupato senza alcun diritto, ma nei suoi pensieri non c'era più alcuna amarezza, perché ormai era finito il tempo per dolersi ancora di tutto ciò che era successo, ormai era il momento di andare avanti e di guardare al futuro con un sorriso sulle labbra.

«Come stai, Minerva?»

«Oh, beh, sono sempre un Grifondoro tosto. Ci vuole ben altro per mettermi al tappeto!» e rise appena mentre lo guardava con quello sguardo materno che sempre gli aveva riempito il cuore e che nei giorni in cui si era impadronito di quella stessa stanza, avrebbe voluto ricevere, anche solo per pochi secondi, anche solo per un istante, uno soltanto, accennato mentre di nascosto guardava il quadro che ritraeva Dumbledore: unicamente una tavolozza di colori di un mago che non c'era più.

«Sono felice che tu stia bene. Non avrei sopportato anche la tua...»

«Andiamo, Severus, non è successo niente, si è tutto risolto per il meglio. Io sto bene, tu sei finalmente felice e innamorato: non potrei chiedere nulla di più.»

Snape le sorrise e senza dirle una parola le strinse le mani tra le sue, carezzandole appena, carezzando quella pelle che raccontava degli anni che erano passati e di tutte le battaglie che aveva vinto; le sfiorò lentamente ogni singola vena e ruga con i polpastrelli, come se volesse infondergli tutto il suo calore, come se volesse con quei gesti dirle tutto ciò che non aveva mai avuto il coraggio di dirle apertamente.

«Minerva, io...»

«Severus, è tutto a posto, non devi dire niente.»

«No. Non questa volta. Minerva, io non ti ho mai realmente detto quanto tu sia stata importante per me in tutti questi anni» e continuava ancora a stringere forte le sue mani. «Non ti ho mai detto che per me sei stata una madre, la madre che non ho mai avuto. La mia famiglia. Un punto di riferimento fondamentale della mia vita.»

Minerva si alzò a fatica dalla sedia, sorretta dalle forti braccia di Snape e iniziò a piangere, a piangere forte, ma il suo non era un pianto di dolore, erano lacrime di gioia e di felicità, perché ascoltare quelle parole da Severus, erano per lei il più prezioso dei doni che la vita le aveva concesso.

Poche parole che per lei erano il valore della vita stessa, e lo furono ancora di più quando Severus, inaspettatamente, la strinse a sé, in un forte abbraccio che aveva il sapore di tutta la loro esistenza, di tutto quello che non si erano mai detti; e di quei sentimenti contrastanti che avevano avvolto l'anziana strega in quegli interminabili mesi in cui aveva dovuto guardare giorno dopo giorno l'uccisore di Albus, l'uomo che li aveva ingannati tutti, l'uomo che aveva odiato profondamente nelle notti in cui non riusciva a darsi alcuna spiegazione.

«Pensandoci bene, però, c'è qualcos’altro che potrei chiederti.»

«Sarebbe?»

«Potresti far ballare questa vecchia scopa» parlò scostandosi appena dal petto di Snape che rise a quelle parole, rise serenamente a quel presente che lo stava aspettando.

«Sarà per me un vero onore» le rispose, e Minerva pianse tra le braccia di Severus mentre un sorriso le piegava le labbra.

Pianse felice nell'abbraccio di quel figlio che non aveva mai avuto.

 

***

 

La festa andava avanti in tutta tranquillità, la Sala Grande ospitava tutti gli studenti e gli insegnanti che erano rimasti a scuola per le vacanze di Natale, ma c'erano anche tante altre persone che si erano riunite in quel luogo che rappresentava il calore di una famiglia per molti di loro.

Hogwarts era stata ed era una casa per tutte le persone che in quel momento si trovavano tra le sue mura, tra quell'abbraccio di pietra che nonostante tutto li aveva sempre protetti.

Severus camminava tra i maghi e le streghe, stranamente sereno per quegli sguardi che riceveva e per quella festa dalla quale in un tempo lontano si sarebbe defilato in silenzio e nell'ombra, ma non in quel momento.

Non in quel presente.

Molti lo guardavano con ammirazione, altri invece avevano sul volto ancora qualche traccia di reticenza, ma lui avanzava incurante di ogni occhiata, perché gli sguardi che realmente lo interessavano erano pochi, ed erano ciò che realmente aveva importanza nella sua vita.

Hermione era là, sorridente a parlare con i suoi amici, con quelli che erano diventati la sua famiglia da tanto tempo – e anche la tua –, felice come non la vedeva da giorni, da prima che tutto gli scivolasse nuovamente dalle mani.

Ed era stata di nuovo colpa sua, colpa delle sue paure e della sua stupida ostinazione che lo aveva portato a credere per anni di non meritare nient'altro che sofferenza e solitudine.

Invece, adesso, era tutto diverso.

Lui era diverso.

E aveva lei. Lei che sorrideva e aveva permesso a lui di sorridere, sorridere alla vita.

Afferrò un calice di vino continuando ad avanzare verso il fondo della sala, là dove per anni era stato seduto al lungo tavolo degli insegnanti, come se fosse uno di loro, come se non fosse una bambola di pezza manovrata da due diversi padroni.

Adesso, però, aveva tranciato quei fili, ed erano spariti, e non c'era nient'altro che la sua volontà in ogni passo che compiva su quella terra che lo aveva reclamato a lungo, che lo aveva reso un dormiente per sette lunghi anni.

Mandò giù un sorso di vino, lentamente, mentre guardava Hermione tra tutti gli altri, mentre la osservava voltarsi verso di lui e sorridergli con quelle labbra che voleva assaporare ogni giorno e ogni notte, e anche in quel momento avrebbe voluto assaporarle, baciarle e morderle con tutta la passione che aveva dentro.

La giovane strega gli si avvicinò e gli chiese dov'era stato fino a quel momento.

«Nell'ufficio di Dumbledore a parlare con Minerva.»

«Va tutto bene?» gli domandò preoccupandosi e ben sapendo cosa significasse ancora quel luogo per lui; d'altronde gli ultimi passi nel Castello li aveva compiuti da omicida impostore, per questo motivo non doveva essere facile per lui tornare lì, inspirare quella stessa aria che aveva respirato a lungo nel buio della sua stessa esistenza.

«Tutto bene. Adesso va tutto bene» e le sorrise, serenamente, sfiorandole il viso con le dita.

«Bene. Molto bene. Devo dirti una cosa.»

Si era ripresa, Hermione, si era ripresa come se quegli ultimi giorni non fossero mai esistiti, come se quella mattina di novembre fosse nient'altro che una fotografia sbiadita, poggiata sul fuoco a bruciare.

E lei era rimasta ad osservare le immagini del loro amore ardere sulle fiamme, guardare senza poter fare nulla, senza poter allungare le mani su tutto quello che gli stava scivolando via; su quegli occhi neri che le erano svaniti davanti al viso.

In quel momento, però, gli occhi neri di Severus erano di nuovo davanti a lei, sfumati di una felicità che forse non gli aveva mai visto addosso.

Camminarono verso un angolo in disparte per poter parlare in tutta tranquillità senza correre il rischio di essere ascoltati da tutti gli avventori della Sala Grande.

«Abbiamo un piccolo problema» gli disse mentre si torturava il vestito, nero come lo sguardo del mago che le era di fronte e la guardava sorridente, con un sorriso strano, che, ammise Hermione, nascondeva una certa sfumatura di malizia.

«Sarebbe?»

«Beh, ecco...» il suo guardare insistente quel vestito che non la copriva poi molto, la rese irrequieta, e quelle parole facevano fatica ad uscire.

«Allora?»

«È successo tutto così in fretta ed io non è che prima di te avessi avuto una vita...»

«Una vita?» la invitò a continuare con sguardo curioso.

«Una vita sessuale attiva,» ma Hermione parlò così piano che Severus non aveva capito una parola.

«Puoi ripetere?»

«E dai che hai capito.»

«Se tu parli con un tono di voce così poco udibile, mi è davvero difficile comprenderti, a meno che non diventi un pipistrello capace di captare gli ultrasuoni.» Snape si bloccò alzando entrambe le sopracciglia. «E non ti conviene fare alcuna battuta in proposito.»

Ad Hermione venne da ridere, ma cercò di darsi un contegno per non rischiare di finire affatturata da qualche parte nel Castello.

«Quindi, se gentilmente potresti ripetere ciò che hai detto, te ne sarei grato.»

«Ho detto: “vita sessuale attiva”! Hai capito, adesso?» ma Hermione stavolta aveva parlato con un tono di voce troppo alto che fece voltare tutti.

«Temo che adesso abbiano capito tutti» e sorrise cercando di rimanere il più serio possibile. «Cosa c'è che non va nella tua vita sessuale?» aggiunse piuttosto piccato, incrociando le braccia al petto come se fosse un bambino capriccioso qualunque, e se non fosse stata una situazione piuttosto seria, Hermione sarebbe di certo scoppiata a ridere.

«Io non ho detto che la mia vita... oh, Merlino...» sospirò così a lungo da rimanere senza fiato. «Credo di essere incinta.»

«Cosa?» anche stavolta la giovane strega aveva parlato solo con se stessa.

«Sono incinta!»

«Ti è così difficile mantenere una conversazione privata, “privata”?» le disse mentre tutti si erano voltati di nuovo a guardarli con espressione piuttosto sbigottita. «Aspetta un attimo. Che cosa hai detto?»

«Io... mi dispiace. È successo, non so come. Cioè, lo so come, ma è stato tutto così... così veloce ed io non ho pensato minimamente a ciò che sarebbe potuto succedere. Agli inconvenienti. Avrei dovuto prendere delle precauzioni.»

«Hai finito?»

Ma Hermione neppure lo stava ascoltando e continuò a parlare. «Sono stata così stupida e inesperta, e tu... mi dispiace, davvero.»

«Hermione la smetti di parlare?»

«Non avrei dovuto metterti in questa situazione. Mi dispiace.»

«Smettila!»

La giovane strega alzò a fatica gli occhi da terra, anche se non aveva il coraggio di guardarlo in viso, e bloccò la vista sul suo petto: era stata davvero un'incosciente e adesso aveva davvero paura delle conseguenze. L'avrebbe allontanata di nuovo?

Severus Snape rimase in silenzio, guardandola con un sorriso sulle labbra che lei non riusciva a vedere, e in un attimo la strinse a sé, con forza e con amore. Con tutto l'amore di cui era capace.

«Ci saranno davvero degli Snape alla conquista – e distruzione – del mondo! Insieme ai Potter.» alcune lacrime di felicità gli scesero sul volto mentre non riusciva a smettere di ridere, e non gli importava che tutti lo stessero guardando, non più, ormai. Avrebbero potuto dire o pensare ciò che volevano e potevano anche fissarlo mentre piangeva stringendo tra le braccia la donna che lo aveva riportato alla vita.

«Cosa?»

«Lo avevo detto ad Harry sulla tomba di Dumbledore.»

«Sarà anche un o una Granger, sai?»

«E di questo ho già paura!»

Risero entrambi mentre erano ancora stretti l'una nell'altro, e il mondo intorno a loro aveva smesso di muoversi e di gridare, mentre una donna se ne stava appartata in un angolo a sorridere e piangere nell'osservare quell'uomo; dopo tanto dolore e solitudine, era riuscito ad abbracciare quell'amore e quella felicità che avevano il volto di una giovane donna determinata e innamorata che gli aveva permesso di vivere per la prima volta e veramente la sua vita, come mai aveva fatto.

E risero nel momento in cui la piccola porzione di quel mondo levava alta i calici verso il cielo sopra di loro, festeggiando quel Natale che stava accogliendo una nuova vita.

 

***

 

5 ottobre 2006

 

«Ciao, mamma. Ciao, papà

Il cimitero era deserto e silenzioso, e la prima pioggia del giorno iniziava a cadere su quelle tombe che resistevano a fatica alle intemperie del tempo.

Alcune di esse stavano inesorabilmente crollando a terra, mentre altre sporgevano dal suolo come vecchie radici di alberi ormai morti che la luce del sole non avrebbe risvegliato né l'acqua del cielo li avrebbe più nutriti.

«Non sono mai venuto a trovarvi, è vero, anche se molti direbbero che non posso essere biasimato per questo, ma io so che non è così. È un'altra delle mie mancanze che ho accumulato nella vita, un'altra colpa di cui è costellata la mia esistenza.»

Guardava le lapidi piegate e sporche con uno sguardo che non nascondeva alcuna nostalgia, perché non c'era rimpianto in quel passato, nessuna malinconia legata a ciò che erano stati per lui quella madre e padre custoditi dalla terra, che non era mai riuscito a chiamare con serenità in quel modo.

Alla parola “padre” aveva sempre associato il viso di Dumbledore, e lo avrebbe fatto anche allora, in piedi davanti a quelle tombe, e persino alla parola “madre” non era mai riuscito a vedere a lungo il volto di Eileen così simile al suo: era un'immagine che durava il tempo di un istante perché quel viso veniva in un attimo soppiantato dal sorriso e dagli occhi di Minerva.

Era una reazione inconscia che non poteva controllare.

«Ma non sono qui a chiedervi perdono, no. Forse perché siete voi che per primi dovreste chiedermi scusa, ma non importa neppure questo. Il mio perdono lo avete ottenuto da tempo, anche se non sono persona che può arrogarsi il diritto di concederlo o no. Io non l'ho meritato per lungo tempo e ancora penso di non meritarlo per molte cose che ho fatto nella vita.»

Osservava immobile l'ultima dimora dei loro genitori, osservava come mai aveva fatto in tutti quegli anni, troppo tormento intriso in quelle pietre dove non c'era il frammento di una luce, di un ricordo piacevole come quelli che lo colpivano quando andava a trovare Lily o si fermava alla tomba di Dumbledore.

«Adesso, però, è tutto diverso. Adesso c'è lei. Adesso ci sono loro» un cenno di pianto interruppe Snape che sorrise, sorrise tranquillo, mentre si voltò appena a guardare la giovane donna che lo stava aspettando all'ombra di un albero.

«Lei è Sarah,» e delle manine si agitarono appena tra le braccia di Severus. «È ciò per cui è servita la mia vita, è il dono di tutti questi anni di dolore e solitudine, è il motivo per cui sono ancora qui. Per cui ho sopportato innumerevoli sofferenze.»

Strinse a sé quella piccola vita, la strinse e la avvicinò al suo viso per darle un delicato bacio sulla fronte, come aveva fatto tante volte fin da quando era nata e l'aveva stretta tra le braccia timoroso sentendosi inadatto per quel ruolo; era bastato vedere quelle piccole dita agitarsi appena per cancellare ogni paura, era bastato guardare gli occhi ancora chiusi di sua figlia per dissipare ogni briciolo di buio rimasto nella sua anima.

«È il valore della vita stessa.»

Severus s’inginocchiò sulla terra bagnata dalla pioggia per sfiorare quelle lettere che erano ciò che rimaneva dei suoi genitori, il loro ricordo e quel poco di bello che gli era rimasto nel cuore.

Stette per alcuni minuti immobile ad osservare la loro tomba mentre stringeva sua figlia tra le braccia, assonnata nel tepore del suo abbraccio, rimase lì mentre alcune rose che sua madre tanto amava, si stavano aprendo, rosso su quella pietra sporca.

La pioggia sembrava voler dare un po' di tregua quando Snape si alzò e in silenzio si allontanò dai suoi genitori, e smise di cadere mentre camminava verso Hermione che lo attendeva poco lontano con un tenero sorriso sulle labbra.

Si allontanarono da quel luogo chiudendo i conti con quell'ultimo passato che gli era rimasto dentro, con le ultime ombre della sua vita e si allontanò, con sua figlia stretta nel suo abbraccio e le dita della donna che amava legate alle sue: un intreccio che non era solo di carne, ma di corpo e anima e dell'essenza delle loro vite che come un fiume in piena li aveva travolti entrambi.

«Ti amo, Hermione» le disse mentre la piccola Sarah allungava le braccia per afferrargli i lunghi capelli neri.

«Ti amo anch’io, Severus» e lo baciò, con quella stessa passione che aveva provato la prima volta che aveva posto le labbra su quelle del mago, e lo baciava ancora quando sua figlia iniziò ad agitarsi e a piangere.

«Amiamo anche te, Sarah, stai tranquilla. Mamma e papà ti amano tanto e ti ameranno per sempre» e sorrisero quando si calmò sfregandosi distrattamente gli occhi, quello sguardo del tutto identico a quello del mago.

Era stato per sette lunghi anni addormentato in un letto d’ospedale mentre, senza saperlo, una giovane strega si era presa cura di lui, giorno dopo giorno e notte dopo notte.

Adesso erano lì, in quell’intimo abbraccio che li legava l’uno all’altra con il frutto dei loro più profondi sentimenti tra le mani, stringendo tra le loro anime quell’anno che lungo e difficile li aveva portati a scoprire finalmente l’amore.

Perché quando due persone sono destinate ad appartenersi, è sufficiente poco tempo per innamorarsi, per amarsi veramente, e a loro erano bastati dodici meravigliosi e intensi mesi.

 

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