Amore nel 1864;

di Symphoniies
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dove tutto ha inizio. ***
Capitolo 2: *** Villa Veritas. ***
Capitolo 3: *** Zdravei, Katerina. ***
Capitolo 4: *** Ci divertiremo molto insieme. ***
Capitolo 5: *** Come la cacca e il pane. ***



Capitolo 1
*** Dove tutto ha inizio. ***


 


DOVE TUTTO HA INIZIO
-Capitolo uno-






Inghilterra, 1492. 







Grida. 
Rumore di passi. 
Puzza. 
Silenzio e poi di nuovo da capo.
Grida, di bambini e di donne. 
Passi, di uomini che si scontrano l’uno con l’altro per…sfuggire, ma sfuggire da cosa?
Puzza, uno starno odore di bruciato.
Lissa aprì lentamente gli occhi.
La stanza era immersa nell’oscurità della notte.
La ragazza si girò su un fianco, coprendosi la testa con le coperte, il cuore che le batteva forte per la paura.
Ma che stava succedendo?
In quel momento qualcuno entrò nella sua stanza, spalancando la porta e facendo entrare una fortissima puzza di bruciato.
'Oh, Dio ti prego, fa che non mi accada nulla!', pensò.
“Lissa!” disse una voce, chiamandola.
La giovane si irrigidì di colpo, chiudendo gli occhi e strizzandoli fino a farle venire il mal di testa.
“Vasilisa, sono io, svegliati!”
Lissa aprì gli occhi di scatto e si mise a sedere.
“Elijah!” esclamò impaurita, “Ma che stà succedendo?!”
“Non c’è tempo per spiegare. Dobbiamo andarcene. Subito” disse il ragazzo, prendendo una valigetta e iniziando a buttarci dentro alcuni effetti personali della ragazza.
“Ma dove andremo?” chiese, con un nodo in gola.
Non voleva andarsene.
Quella era casa sua, in fin dei conti.
“Lontani da Nicklaus”
“Tutto questo è opera sua?” chiese sconvolta Lissa, prendendo la vestaglia e mettendosela sopra la camicia da notte, lunga fino alle caviglie.
Elijah annuì, “Ha preso mamma e papà”
La ragazza si mise una mano sul cuore.
Come poteva, suo fratello, essere così crudele?
“E..gli altri?” domandò, timorosa della risposta.
“Se ne stanno andando adesso”
“Come adesso? E non ci aspettano?”
“Noi non andremo con loro” rispose il ragazzo, chiedo la valigetta.
“Noi non andre..cosa?! E allora cosa faremo?”
Il fratello non le rispose, la prese per una mano e la trascinò fuori dalla stanza, iniziando a correre.
“Di qua!” gridò il ragazzo, cercando di sormontare con la voce le grida dei servi che correvano impauriti nella direzione opposta alla loro.
“Elijah, ti prego rallenta!” gridò Lissa, “Mi fanno male i piedi!”
Il fratello si fermò di colpo, si girò e la afferrò per le spalle, in modo da poterla guardare meglio negli occhi, “Vasilisa, so che ti chiedo molto, ma ci dobbiamo sbrigare. Fra poco questo posto cadrà e io non voglio che questo succeda quando ancora tu ci sei dentro, quindi ora ti chiedo di tirare fuori la forza che caratterizza la nostra famiglia e tenere duro finchè non saremo al sicuro su quella carrozza, va bene?”
La ragazza serrò la mascella e poi annuì determinata. 
Stavano per rimettersi a correre, quando Lissa si ricordò di una cosa di vitale importanza per lei.
“Elijah?”
“Si?”
“Hai preso il mio carillon?”
“Quale carillon? comunque no, ho preso solo vestiti e altri oggetti”
“Devo tornare indietro a prenderlo!” urlò la ragazza, girandosi per tornare nella propria stanza.
Il ragazzo la bloccò, “Ma è solo uno stupido oggetto!”
“Sarà anche solo uno stupido oggetto, ma per me è di grandissimo valore affettivo!”
“Ok,va bene” esclamò Elijah, passandosi una mano fra i capelli lunghi, “Vado a prenderlo, ma tu aspettami qui!”
Lissa annuì.
Intorno a lei vi era il caos, ma non poteva andarsene senza quell’oggettino.
Era l’unico ricordo che aveva della sua vera famiglia.
“Sei ancora viva?” domandò una voce femminile, alle spalle della ragazza.
Lissa sentì dei brividi freddi percorrerle la spina dorsale.
La ragazza si irrigidì e poi molto lentamente si girò.
“Rebekah!” esclamò, tirando un sospiro di sollievo.
Sua sorella se ne stava li a fissarla, con i lunghi riccioli biondi che le ricadevano morbidamente sulle spalle, le labbra dischiuse in un sorrisetto furbo e gli occhi di un color blu, quasi nero.
“Vasilisa…non sei ancora morta?”
'Cosa?'
A Lissa si smorzò il fiato in gola.
“C-come prego?”
“Fammi indovinare…tu e Elijah pensavate di scappare vero?”
“C-cosa stai d-dicendo?” domandò Lissa, spaventata.
“Oh, andiamo, Lissa, smetti di fare l’ingenua, ormai hai 18 anni, devi fare una scelta..”
'Ok, è ufficiale, mia sorella è impazzita!'
“Senti Reb, non capisco di cosa tu sia parlando e non voglio neanche saperlo, l’unica cosa che voglio fare è uscire di qua!” disse la ragazza, iniziando a tossire per il troppo fumo.
“Non osare..!” disse Rebekah, afferrandola per un polso e avvicinando il viso della ragazza al suo.
“Se vuoi soggiogarmi è tempo sprecato, sai benissimo che sono munita di verbena” disse Lissa, recuperando un po di coraggio.
Sua sorella la squadrò e poi scoppiò a ridere, “Non ci credo! Elijah non ti ha ancora trasformato!”
Vasilisa serrò la mascella.
“Ecco allora perché vuole scappare. Teme per la tua vita..” continuò lei, “Prevedibile”
L’umana rimase ancora in silenzio.
Negli anni in cui aveva vissuto con la sua nuova famiglia, aveva imparato che per non dare alcuna soddisfazione alla vampira, doveva restare in silenzio e indifferente.
“Che ne dici se ti rendo un membro della nostra famiglia a tutti gli effetti?” domandò la vampira, sorridendo maleficamente, “E’ da 14 anni che sogno di farlo”
In quel momento gli occhi della ragazza divennero rossi come il fuoco, circondati da delle vene blu scuro.
Lentamente schiuse le labbra, mostrando i canini bianchi e appuntiti.
“Spero che tu abbia bevuto la tua razione di sangue quotidiana” aggiunse Reb, avvicinando la bocca alla giugulare di Lissa. 
Questa deglutì a vuoto.
'NO, NO, NO!
Non adesso!
Non in questo momento!
Elijah, dove sei?
Non puoi privarmi della scelta!'

“Ma, bene, bene, bene, vedo che Nick non è solo in questo progetto. Giù le mani da lei, sorellina!” esclamò Elijah, prendendo Rebekah per i capelli e scaraventandola contro la parete di sassi che si trovava dietro alle sue spalle, facendola così crollare.
“Stai bene?” chiese poi il ragazzo a Lissa.
“Si..” rispose lei, abbracciando il fratello.
“Ehi, ehi, tranquilla. Ora ci sono io, va tutto bene”
“Per un attimo ho…ho avuto paura di..” la ragazza scoppiò in lacrime.
“Shh..” disse Elijah, staccandosi dalla sorella e asciugandole il viso con un dito, “Non piangere, ok? Per fortuna sono arrivato in tempo e non è successo niente”
Vasilisa annuì, “Hai il carillon?”
“Eccolo” rispose il ragazzo, porgendole il piccolo oggettino.
L’umana lo prese fra le mani e poi lo mise nella tasca interna della vestaglia, “Grazie”
Elijah le sorrise per poi tornare serio subito, “Ora mettiti questo” le disse lui, porgendole un mantello, “Dobbiamo uscire immediatamente”
La ragazza indossò il mantello e si coprì la testa con il cappuccio, afferrò la mano del vampiro e poi, insieme, si rimisero a correre.
Una volta fuori dalle mura del castello, Elijah condusse Lissa vicino a una carrozza.
Stavano per salirci, quando si sentì un urlo di agonia, provenire dal castello.
“Katerina..” sussurrò il ragazzo, girandosi.
Lissa lo afferrò per il braccio.
Sapeva cosa voleva fare.
“Ti prego Elijah, non andare!”
Di nuovo un urlo.
“Devo salvarla..”
“No, no! Non andartene!” esclamò la ragazza, presa dalla disperazione.
Il vampiro abbracciò la sorella, “Le nostre strade si dividono qui, сесtра*”
“No”
“Ma ti prometto che un giorno ci rincontreremo”
“No, no! Vai a prendere Katerina! Io ti aspetterò qua!”
Elijah continuò, ignorando la ragazza, “E, quando quel giorno arriverà, spero tu mi possa perdonare per questo..”
Vasilisa era confusa.
Perdonarlo per cosa?
In quel momento la giovane sentì una fitta alla pancia, che la lasciò senza fiato.
Si sciolse dall’abbraccio del fratello e si portò una mano la, dove sentiva quel dolore lancinante.
Quando si toccò la stoffa leggera della vestaglia, Lissa sentì qualcosa di umidiccio bagnarle le dita.
Lentamente abbassò lo sguardo.
Era buio, ma grazie alle fiamme che arrivavano dal castello, Vasilisa poté accorgersi di avere le dita sporche di sangue.
Il SUO sangue.
La ragazza guardò il vampiro, iniziando a boccheggiare, lasciandosi poi cadere in avanti.
Elijah la prese al volo.
“Mi dispiace davvero tanto, piccola mia, ma ho dovuto farlo”
Per Lissa, la voce del fratello era ormai lontana e, mentre il corpo tremava per il freddo, la ragazza si prestava a morire…pronta a rinascere dalle proprie ceneri come la fenice.
Pronta alla dannazione eterna.
Il vampiro prese tra le braccia la ragazza e poi la pose delicatamente sulla carrozza, coprendola con una coperta e sistemandole una ciocca di capelli dietro alle orecchie.
“Dormi ora, mia piccola princesa**, domani, quando ti risveglierai, tutto cambierà per te”
Elijah tirò fuori dalla tasca interna del suo gilet di cuoio marrone una busta che, delicatamente, mise tra le mani della fanciulla.
Guardò la sorella per l’ultima volta e poi chiuse la porta della carrozza.
“Dylan!” disse il vampiro, chiamando il cocchiere.
Questo si girò verso di lui, le redini dei cavalli già fra le mani.
Il ragazzo si avvicinò all’uomo, tanto quanto bastasse per poterlo guardare negli occhi.
Tanto bastasse per poterlo soggiogare.
“Porta la principessa, lontano da qui, da Aradia. Da alla strega questa busta” Elijah tirò fuori dal gilet un’altra lettera e la porse all’uomo.
Dylan prese la busta e la mise nella giacca lurida e piena di toppe.
“Assicurati che Vasilisa arrivi da lei sana e salva. Non dovrà succederle niente, ci siamo intesi? Dovrai proteggerla con la tua stessa vita e se fallisci..bè..spera di non rincontrarmi..”
L’uomo annuì.
Il vampiro si allontanò di qualche passo dal veicolo, in modo da poter permettere al cocchiere d partire.
Mentre la carrozza, contente la cosa più preziosa che avesse mai posseduto durante la sua vita di non-morto, sfrecciava nel buio della notte, Elijah sentì il suo cuore stringersi.
Lei non l’avrebbe mai perdonato.
Il tristezza però scomparve subito.
Un giorno si sarebbero rivisti, ne era certo.
Il ragazzo alzò lo sguardo al cielo.
Era scritto nelle stelle.







Angolo autore:
Salve a tutti!
Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto e vi abbia messo voglia di leggere anche il prossimo.
E' la terza volta che pubblico questa storia su EFP.
Ho cambiato lo stile di scritto e spero che uesta volta bbia più 'successo'.
Un bacio♥



*Sorella in Bulgaro.
**Principessa in Bulgaro.

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Capitolo 2
*** Villa Veritas. ***


VILLA VERITAS
-Capitolo due-

 







Mystic Falls, 1863.



Vasilisa si svegliò.
Sapeva che era presto, lo percepiva anche senza dover aprire gli occhi.
Lo percepiva dalla leggera brezza al di là della finestra, che solo al sorgere del sole faceva capolino.
Lo percepiva dal fatto che Meredith, sua madre, cioè, la sua madre adottiva, 'cavolo!', la sua seconda madre adottiva, si muoveva il più lentamente possibile, per evitare di svegliare i suoi due fratelli minori.
Lo percepiva dal fatto che il gallo dei vicini non aveva ancora iniziato a cantare come un matto per svegliare tutti.
Lissa si concesse ancora qualche minuto prima di alzarsi dal letto.
Voleva imprimersi nella mente il profumo di menta che il suo cucino emanava, la troppa durezza del suo materasso, le lenzuola ruvide, il rumore gradevolmente leggero che l’acqua del ruscello vicino a casa faceva, il profumo di pane appena fatto che proveniva dalla cucina.
Insomma, tutto. Tutto quello che lei considerava “quotidianità” da ormai diciassette anni.
Era grata per essere stata accolta in quella famiglia.
Davvero, non avrebbe potuto chiedere di meglio e ora, ora doveva lasciarli.
Doveva lasciare quelle persone che, anche se non avevano legami di sangue, avevano costituito la sua unica famiglia per tanti anni, senza emarginarla o addirittura, senza trattarla come una diversa, come un mostro.
Sì, perché lei era un mostro.
Le persone le camminavano da parte, la guardavano come se fosse un individuo uguale a loro, indaffarata con il lavoro, presa da mille preoccupazioni e magari anche sull’orlo di una crisi di nervi. 
Si sbagliavano. 
Lei era un predatore. Il più pericoloso predatore che esistesse al mondo.
Era la protagonista delle storie che le donne raccontavano ai propri figli quando facevano cose che non andavano fatte.
Era una creatura della notte.
Lei era un vampiro.
Era un vampiro da ormai 371 anni.
Trasformata dalla persona di cui più si fidava al mondo.
Trasformata dall’uomo a cui teneva di più.
Dal suo migliore amico.
Da suo fratello.
'No, smettila di chiamarlo così. Elijah non era veramente tuo fratello'
Vasilisa si girò su un fianco.
La doveva smettere di pensare a lui.
Elijah non l’aveva più cercata da quella notte.
In tutti questi anni, non una volta si era fatto vivo, non una volta le aveva mandato un segno, non una volta l’aveva cercata.
Per quel che ne sapeva, avrebbe potuto benissimo essere stato ucciso da Nicklaus.
No, suo fratello era in gamba e, ne era sicura, lui non era morto. 
'E allora perché non è venuto a prendermi?'
La giovane era così immersa nei propri pensieri, che non sentì la porta della stanza aprirsi e, sua sorella minore, entrare.
“Bu!” urlò la bambina, accovacciandosi davanti al letto.
Lissa trasalì, preparandosi ad attaccare.
La bambina, appena vide la faccia seria della sorella, si morse il labbro, “Scusa”
Vasilisa sbattè uno, più volte gli occhi, come se si fosse appena svegliata e, vedendo la sua sorellina sull’orlo delle lacrime ,cercò di alleggerire la situazione, “Cosa? Tu volevi spaventarmi?” domandò la ragazza in modo scherzoso, prendendo per i fianchi la sorellina e trascinandola sul letto, “Te l’ha mai detto nessuno che non bisogna mai, e dico MAI, spaventare un vampiro?”
La bambina sorrise.
“Ora sarai punita!” esclamò Lissa, iniziando a farle il solletico.
La piccola iniziò a ridere.
Poco dopo la giovane si fermò, “Cosa ci fai in piedi a quest’ora, Ariel?” domandò, sorridendo.
Non voleva spaventarla prima, ma era stata colta di sorpresa e non era molto lucida.
“Volevo aiutarti a preparati”
“A prepararmi? Ma non devo andare a una festa”
“Sì, ma non ti puoi presentare a casa Salvatore con il tuo solito abito da lavoro”
Ariel aveva sette anni, ma a volte sembrava ne avesse venti.
Parlava correttamente, senza mai impappinarsi, cosa che molto spesso succede hai bambini.
“Mamma l’altro giorno è andata a casa loro..” continuò la bambina, alzandosi e scendendo dal letto.
“Ah, sì?” chiese con non curanza la ragazza, mettendosi seduta, poggiando i piedi nudi e candidi sul legno freddo e ruvido del pavimento.
Meredith aveva cercato di dissuaderla molte volte nell’andare a lavorare in quella casa.
‘I salvatore sono a conoscenza del mondo dei vampiri’, continuava a ripeterle sua madre, ‘Ti scopriranno e ti uccideranno’, aggiungeva poi, con voce strozzata e con il volto contratto da una smorfia di preoccupazione.
Lissa però rispondeva sempre con la stessa frase: ‘I soldi sono molto più importanti della mia vita. Questo è il mio modo di sdebitarmi.’
Dopo essersi risvegliata nella casa della strega Aradia, dopo essersi addestrata ad essere un vampiro, dopo aver deciso di essere pronta per tornare a vivere normalmente, come una qualsiasi persona, Aradia l’aveva affidata a un uomo.
Questo, era infatti in cerca di una persona capace di svolgere compiti molto duri e faticosi, in quanto lui, sia per il lavoro, sia per dei problemi fisici, non poteva più fare.
E chi meglio di un vampiro?
Dopo aver dimostrato la sua forza e aver spiegato all’uomo cos’era, lui la portò con se, via dall'Inghilterra.
Stranamente non aveva avuto paura di lei.
Quell’uomo sarebbe stato sua padre per i successivi dieci anni, per poi morire di tubercolosi. 
Tobia, questo era il suo nome.
Il nome di un uomo che fu capace di andare oltre le apparenze, di andare oltre l’esteriorità. Un uomo capace di amare.
“Allora, quale metti?” le chiese la bambina, sfiorando i vestiti appesi nell’armadio con le dita.
Vasilisa sbattè le palpebre.
Doveva smetterla di perdersi in vecchi ricordi.
Sospirando andò a prendere i quattro vestiti che componevano il suo guardaroba e li stese sul letto.
Due erano gli abiti che di solito usava tutti i giorni.
Vesti sgualcite, che ormai avevano perso il loro colore naturale ,piene di toppe e cuciture.
Gli altri due, invece, erano dei vecchi cimeli della sua vita da ragazza nobile che, anche se rovinati dal tempo, erano ancora decenti.
“Credo che indosserò questo” disse la ragazza, indicando l’abito che utilizzava di solito per svolgere i lavori giornalieri.
“Non ci pensare nemmeno!” rispose sua sorella, andandole vicino.
“E perché, scusa?” chiese Lissa, divertita.
“Mamma ha detto che i Salvatore non ti hanno ancora assunta e che oggi ci parlerà lei con il signor Giuseppe”
“Il signor Giuseppe?” chiese la vampira, corrugando la fronte.
“Sì, Giuseppe Salvatore, il tuo futuro capo, non che membro del consiglio dei fondatori” rispose la bambina.
“Consiglio dei fondatori?” chiese di nuovo Vasilisa.
Ariel roteò gli occhietti azzurri e si sistemò i lunghi capelli biondo cenere sulla schiena, “Sì, esatto. A Mystic Falls, le famiglie che hanno fondato la città e che sanno dell’esistenza dei vampiri, si sono riunite in un consiglio, in modo da poter tenere sotto controllo la città”
“E tu come fai a sapere tutte queste cose?”
Sua sorella abbassò gli occhi sulle assi di legno del pavimento, “Ho sentito la mamma che ne stava parlando con un uomo”
“Un uomo? Chi era?”
“Non lo so…parlavano a bassa voce e l’uomo aveva il viso coperto dal cappuccio del mantello”
“Mh, va bè..” disse Lissa, decisa a far cadere l’argomento, “Quindi, cosa metto?”
Ariel si avvicinò al letto e, sicura, toccò uno dei due abiti che utilizzava di solito la mattina quando fingeva di andare in chiesa con la sua famiglia.
Non perché i vampiri non potessero entrare in chiesa o fossero “allergici” all’acqua santa. Quelle erano tutte dicerie. 
Semplicemente non credeva in Dio. 
“Va bene, prendo questo” acconsentì la ragazza afferrando l’abito.
Questo era di un rosino molto chiaro.
Aveva il corsetto, anche se ormai non si poteva stringere più di quel tanto e le maniche lunghe fino ai polsi, dai quali poi usciva del pizzo bianco.
Il pizzo si trovava anche alla fine dell’abito, che toccava terra, e anche sulla non profonda scollatura a “U”.
Lissa andò dietro al separé di legno e iniziò a spogliarsi.
“Posso pettinarti capelli?” chiese la bambina.
“Certo” rispose la giovane, uscendo da dietro il separé e sedendosi su una vecchia sedia posta davanti a uno specchio.
Ariel andò a prendere una scatola e con attenzione ci salì sopra, iniziando poi a spazzolare i lunghi capelli della sorella che, con le loro leggere onde e il color cioccolato, le arrivavano ai fianchi.
Le sarebbero mancate quelle piccole cose che facevano durante la giornata.
Mentre la sorellina cercava di domare la sua lunga chioma castana, la ragazza si concesse qualche minuto per specchiarsi.
Era stata trasformata in vampiro quando aveva solo diciassette anni e da quel momento in poi era rimasta sempre la stessa.
Da 371 anni aveva gli stessi occhi grandi color nocciola scuro, le stesse ciglia lunghe, le stesse labbra rosee.
Non una ruga aveva osato toccare il suo viso.
Non un capello bianco vi era tra la sua lucida chioma.
Forse l’unica cosa che era cambiata era il colore della sua pelle, diventata ancora più candida.
“Finito!” cinguetto la bambina.
Vasilisa che, per la terza volta quella mattina si era persa nei suoi pensieri, si rese conto che Ariel, oltre ad averle pettinato i capelli ne aveva raccolti un po dietro, facendole un piccolo codino fermato con un nastro intonato al vestito.
“Grazie tesoro” disse, alzandosi, “Mi aiuti a sistemare la stanza ,mentre preparo la valigia?”
La bambina annuì entusiasta e, mentre Lissa andava a prendere la valigia, Ariel le sistemò il letto.
La piccola valigia era la stessa usata la notte dalla sua fuga.
La ragazza la sistemò sul letto, aprendola.
Con l’aiuto della sorella iniziò a piegare i tre vestiti rimanenti e la camicia da notte.
Poi, prese il piccolo porta gioie d’argento, anch’esso ricordo del suo passato da nobile e lo sistemò sopra i vestiti.
Non conteneva gioielli, ma qualcosa di ancora più prezioso.
Una lettera.
La lettera.
L’unico ricordo che le era rimasto di Elijah.
Prese anche alcuni dei suoi libri preferiti, un paio di scarpe da lavoro e il sacchettino contenete della lavanda.
Infine, con molta cautela, ci mise dentro pure il suo carillon.
L’unico ricordo delle sua vera famiglia, quella della Bulgaria.
Nei primi anni, quando era stata “Adottata” dalla famiglia dei vampiri, prendere sonno era stato davvero un supplizio, però, quando iniziava ad ascoltare la dolce melodia magicamente si addormentava. 
“Bene, qui abbiamo finito!” disse Lissa, “Scendiamo?” chiese poi alla bambina.
Questa annuì.
Il vampiro chiuse la valigia, prese Ariel in braccio e insieme si diressero in cucina.
Vasilisa non si girò per dare un’ultima occhiata alla stanza.
Arrivate in cucina, trovarono Meredith, la loro mamma, indaffarata cucinare chissà cosa.
“Buongiorno mamma!” disse Lissa, sorridendo.
Non le aveva mai dato del “Voi” come era giusto che si facesse. Lei non glielo aveva mai permesso.
La donna alzò gli occhi dall’impasto, la guardò per qualche secondo e poi tornò al suo lavoro.
Qualcosa non andava.
“Senti Ariel, perché non vai fuori a chiamare Louis?” chiese, posando a terra la sorellina.
La bambina annuì e uscì dalla cucina.
“Che buon profumino” disse Vasilisa, facendo la vaga.
“Frittelle al mirtillo” rispose Meredith, continuando a cucinare.
“Cosa c’è mamma?” chiese, avvicinandosi al piano di lavoro di qualche passo.
“Niente. Cosa ci dovrebbe essere?”
“Sai che lo faccio per noi, per VOI”
“No, tu lo stai facendo solo perché te ne vuoi andare da questa casa!” urlò sua madre, alzando il viso rigato dalle lacrime.
“Mai!” disse Lissa andando ad abbracciare la donna, “Mai dovrai ripetere una cosa del genere! Te l’ho detto, avete bisogno di soldi. Non solo perché stai invecchiando, ma anche per permettere ad Ariel e Louis di avere un adeguata istruzione. Questo è quello che avrebbe voluto Tobia. Questo è quello che avrebbe voluto papà”
“Sì, ma perché proprio dai Salvatore? Perchè proprio a Mystic Falls?” le domandò sua madre, con voce straziante.
“Perché è l’unica città vicina. Inoltre, il Signor Salvatore era amico di papà ed è stato così gentile a offrirmi questo lavoro”
“Ti uccideranno, lo sai?” domandò Meredith, staccandosi dalla figlia.
“Non succederà” rispose, guardando la donna negli occhi.
Sapeva i rischi che correva entrando in quella casa, ma DOVEVA farlo.
Meredith si asciugò il viso, “D’accordo” disse annuendo.
Vasilisa sorrise, sedendosi di fronte a sua madre.
“Hai fame?” le chiese Meredith.
La giovane annuì.
La donna si avvicinò a un armadietto e ,dopo averlo aperto, tirò fuori una caraffa di vetro contente del liquido rosso.
Agli occhi delle altre persone poteva sembrare del semplice succo al lampone, ma non lo era.
Era sangue.
Sangue umano.
“E’ l’ultima dose rimasta” disse sua madre.
Lissa annuì e, avida, iniziò a bere anche se non aveva fame.
Questo era il problema dei vampiri.
Loro bevevano, uccidevano, dissanguavano, portavano dolore solo per puro divertimento, solo perché era nella loro natura.
“Non puoi uscire con quello" disse Meredith.
“Mh?”
La donna indicò la sua mano destra.
La giovane posò la brocca, ormai vuota, sul tavolo e si guardò la mano ,iniziando a giocherellare con il piccolo anello fatto di lapisluzzi.
La maggior parte delle dicerie sui vampiri non erano reali, ma su una cosa gli umani ci avevano azzeccato: erano creature della notte.
Se anche un solo raggio solare entrava in contatto con la loro pelle, questi si tramutavano in cenere.
L’unica cosa che gli permetteva di camminare sotto la luce del sole erano i lapisluzzi, ovvero pietre che le streghe legavano a un incantesimo che permetteva così ai vampiri di uscire come tutti gli umani.
“Perché non posso?”
“Perché una contadina non può possedere un anello simile” le fece notare lei.
“Oh, emm, me lo legherò al collo con una catenina”
In quel momento si sentì uno scalpitare si zoccoli provenire dal cortile.
“E’ Geremia” disse la donna, guardando fuori dalla finestra, “E’ arrivato il momento”
E così dicendo, dopo essersi asciugata le mani in uno straccio ed essersi tolta il grembiule, sua madre uscì.
Lissa, dopo aver preso la valigia e essersi infilata il mantello nero, la seguì.
Geremia e sua moglie Luisa, non che loro vicini, erano appena arrivati.
Geremia avrebbe accompagnato Meredith e sua figlia dai Salvatore ,mentre Luisa sarebbe restata a casa con Ariel e Louis.
Era una giornata umida e nuvolosa.
Il giorno prima aveva piovuto e ancora nell’aria si sentiva il profumo di erba bagnata.
“Ci vediamo domenica, va bene tesoro?” domandò Vasilisa alla sorellina, mentre l’abbracciava.
“Mi mancherai” disse lei.
“Anche tu. E tu..” disse rivolgendosi a Louis, “Ora sei l’uomo di casa. Vedi di pretenderti cura della mamma e di Ariel”
“Lo farò!” disse il ragazzino, che ormai aveva quattordici anni.
Il vampiro prese la valigia e poi salì sul carro.
Gli sarebbero mancati tutti, ma Villa Veritas la stava aspettando.

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Capitolo 3
*** Zdravei, Katerina. ***


ZDRAVEI, KATERINA
-Capitolo tre-
 
 
 
 
 
 



Era appena l’alba, quando Geremia decise di fermarsi per far riposare Lillà, la sua preziosa giumenta dal manto color crema, che fino a quel momento gli aveva condotti in un piccolo paesino non molto distante da Mystic Falls.
A volte vivere in campagna era davvero una gran seccatura.
“Tesoro” disse Meredith, rivolgendosi a Vasilisa, scendendo dal carro aiutata dall’uomo, “Io devo sbrigare alcune commissioni. Vuoi venire con me?”
“No, mamma. Credo che andrò a fare un giro. Ho visto una libreria e mi piacerebbe prendere un nuovo libro” rispose, scendendo dall’altro lato dal carro, con un salto.
Sua madre si guardò intorno e poi le si avvicinò, “Lissa” le disse con un tono di rimprovero.
“Cosa c’è?” domandò lei, con aria innocente, sistemandosi la gonna del vestito.
“Sei saltata giù dal carro, con i tacchi e avvolta in almeno quattordici metri di stoffa, senza il minimo sforzo. Un po strano, non trovi?”
“Oh, hai ragione” rispose Lissa, mordendosi il labbro inferiore, “Non ci avevo fatto caso. Scusami”
“Tesoro” sussurrò, poggiandole una mano ricoperta di calli e di taglietti sulla guancia, “Come posso lasciarti andare in quella casa se mi cadi anche nelle cose più semplici?”
“Devi fidarti, solo questo. Prometto che non riaccadrà e che farò più attenzione” rispose la giovane, poggiando la propria mano su quella della madre.
La donna annuì rassegnata, “Dov’è l’anello?” chiese poi, ritraendo la mano dal viso del vampiro.
Vasilisa si scostò lievemente il mantello, rivelando così una catenina sottile che andava poi a concludersi all’interno della scollatura dell’abito, “Almeno così è coperto”
“Va bene. Allora io vado. Mi raccomando Lissa, cerca di non dare nell’occhio” le raccomandò, prima di dirigersi verso un negozio con Geremia.
La ragazza finì di sistemarsi il vestito e poi, stringendosi il lungo mantello al collo con una mano, in modo che l’aria gelida non le colpisse la gola, si diresse verso un edificio che, grazie a un’insegna, identificò come la libreria.
Arrivata davanti all’imponente struttura, Lissa spinse lievemente la porta, facendo così suonare il campanellino.
Si guardò intorno.
Il bancone era vuoto e l’enorme locale pieno di scaffali, poco illuminato, emanava un forte odore di muffa e di carta.
“Buongiorno. C’è nessuno?” chiese un po timida Vasilisa, facendo qualche passo avanti.
Silenzio. “Ehilà..?”
Dopo qualche secondo, da dietro uno scaffale, comparve una donna sulla sessantina, con i capelli legati un uno chimion disordinato alla base della testa e un vestito troppo stretto per la sua corporatura. Questo era di un rosa così accesso che la faceva sembrare un confetto gigante.
“Salve!” squittì la donna, andando a posizionarsi dietro al bancone, “Sono Madame Boucher. In cosa posso esservi utile?”
“Mh, mi piacerebbe dare un’occhiata al reparto di letteratura inglese. Mi saprebbe indicare qual è?”
“Terzo scaffale a sinistra”
Dopo aver ringraziato la donna con un lieve inchino, Lissa si incamminò.
Dopo circa trenta minuti, la giovane decise di comprare una nuova copia di ‘Romeo e Giulietta’ visto che la sua si stava ormai riducendo in brandelli e poi comprò anche una nuova piuma e un nuovo calamaio.
“In tutto sono dieci monete” disse Madame Boucher.
Vasilisa le sorrise e poi passò il denaro alla donna.
“Vuoi non siete di qui, vero signorina?” le chiese, mentre la ragazza afferrava cautamente la borsa contenete i suoi acquisti.
“No, infatti. Come avete fatto a capirlo?” chiese curiosa Lissa.
“Avete un accento diverso, anche se cercate di imitare quello Americano. Da dove venite?”
La giovane si sorprese.
Nessuno le aveva mai fatto una domanda simile, visto che nessuno aveva mai fatto caso al suo modo di parlare, “Ho origini Bulgare. Quando ero molto piccola i miei genitori morirono…morirono in un incendio e io venni affidata a dei miei parenti in Inghilterra, ma purtroppo anche loro morirono, così fui costretta a trasferirmi qui, da un’amica di mia zia”
“Oh, capisco” disse la donna, “E ora dove siete diretta?”
“Vado a lavorare nella tenuta dei Salvatore, a Villa Veritas, per aiutare la mia nuova famiglia”
“Volete dirmi che state andando a Mystic Falls?” chiese Madame Boucher, con una strana espressione in volto.
“Esatto” rispose il vampiro, cercando di decifrare l’espressione dell’anziana.
“Oh, povera cara! Ve ne prego, finchè potete non dirigetevi in quel luogo! E’ una cittadina piena di demoni!”
“Demoni?” chiese confusa, “Quali demoni?”
“Da qualche tempo ormai, più o meno da quando è scoppiata la guerra, nella cittadina di Mystic Falls si sono verificate diverse morti, tutte causate da animali. Persino la futura sposa del signor Stefan Salvatore, figlio di Giuseppe Salvatore, è stata aggredita da un coyote” rispose la donna, poggiandosi una mano sul cuore.
“Animali? Demoni? La prego” disse la ragazza, seria, “Mi spieghi bene”
“Tutti credono che siano stati attacchi animali, ma la gente lo sa”
“Sa cosa?”
“Che i demoni sono tra loro. Che nessuno è più al sicuro ormai, perché loro…loro portano morte e non risparmiano neanche i bambini”
Lissa avrebbe voluto fare altre domande a Madame Boucher, ma in quel momento un uomo entrò nel negozio.
“La prego di scusarmi, signorina” disse l’anziana rivolgendosi alla giovane, cercando di ricomporsi.
“Certo. E’ stato un piacere conoscerla e grazie mille per le sue informazioni”
E così dicendo, il vampiro uscì dall’edificio.
 
Un’ora dopo erano arrivati a Mystic Falls.
Vasilisa continuava a scervellarsi per capire bene quello che le aveva detto Madame Boucher.
Che ci fossero altri vampiri a Mystic Falls?
No, impossibile o in qualche modo sarebbe di certo venuta a saperlo; sua madre glielo avrebbe detto.
La signora si sbagliava.
Erano semplicemente animali. Solo quelli.
“Grazie Geremia, aspettami pure qui” disse Meredith, scendendo dal carro con la figlia e incamminandosi poi verso l’entrata principale dell’enorme villa, costeggiata da numerosi vasi in cui crescevano rigogliosi gigli anche se ormai l’estate stava lasciando spazio all’autunno.
Sul portico, numerose colonne bianche risplendevano sotto i raggi del sole mattutino che ormai non riscaldava più.
Quella sarebbe stata la sua nuova casa e avrebbe dovuto imparare ad amarla.
Vasilisa seguì la madre, senza proferir parola.
Meglio non parlare, anzi pensare, più a questo argomento.
Sua madre le aveva raccontato di quanto fosse grande Villa Veritas, ma vedendola di persona era tutta un’altra cosa.
Costruita su un terreno di duecento acri, la tenuta era divisa in varie zone.
La villa dei Salvatore, dove si stavano dirigendo ora loro, delle dependance per gli ospiti, una grande stalla, dove Geremia stava portando Lillà, gli alloggi per la servitù e poi chissà quali altri posti che da li non riusciva a vedere.
La donna, una volta arrivata davanti alla porta, bussò e dopo qualche secondo, questa fu aperta da una donna abbastanza robusta, con i capelli legati in un severo chignon.
“Si?” disse la donna, che doveva essere una cameriera, squadrandole da capo a piedi.
“Ho un appuntamento con il Signor Salvatore” rispose Meredith.
La donna scomparve e dopo qualche minuto si presentò davanti a loro un uomo alto e snello, dal portamento fiero che di certo avrebbe intimorito chiunque, con delle rughe in fronte che di certo non lo aiutavano ad ammorbidire i tratti del volto.
I capelli erano corti e castani, accompagnati da degli occhi azzurri non molto gradi.
Era vestito di tutto punto con un bellissimo e raffinato completo da giorno.
L’uomo guardò la madre di Lissa e poi le sorrise, “Meredith!”
“Giuseppe” rispose lei, inchinandosi.
“Che piacere vederti!” disse lui, baciandole la mano, “E questa deve essere tua figlia, Vasilisa” aggiunse lui, girandosi verso il vampiro.
La giovane si tolse il cappuccio, “Lissa, la prego. E’ un vero onore per me fare la vostra conoscenza” disse lei, inchinandosi.
“I racconti di vostra madre non vi rendono giustizia. Siete incantevole” disse Giuseppe.
“La ringrazio. Lei è troppo gentile”
“Bene, ora sei vuoi seguirmi Meredith, io e te dobbiamo discutere di alcune faccende. Lissa, intanto tu puoi fare una passeggiata nel cortile” disse il Signor Salvatore, indicandole con un gesto della mano un sentiero di pietra che si perdeva poi dietro a alcuni cespugli.
La ragazza annuì, e lentamente iniziò a incamminarsi sul sentiero fatto di ciottoli, fino a ritrovarsi davanti a un enorme statua.
Vasilisa si mise a fissarla.
“Buongiorno” disse una voce alle sue spalle.
La giovane si girò, ritrovandosi davanti un bambino.
“Buongiorno” disse a sua volta, sorridendo.
“Siete una principessa?” domandò il bambino, che dall’aspetto doveva avere sui dieci anni.
Lissa scoppiò a ridere, “Purtroppo no”
“Peccato” disse, un po deluso.
“Come mai ti interessava saperlo?” chiese lei curiosa, inclinando la testa.
“Fra qualche anno sarò pronto a prendere moglie e voi siete davvero una bella ragazza”
“Ti ringrazio” rispose, dandogli del ‘tu’.
“Quindi, se non posso avervi come moglie, mi posso scordare un vostro bacio vero?” domandò lui.
‘Ma quanti anni ha questo bambino? Ne dimostra dieci, ma si comporta come un ventenne!’
“Oh, bè, non potrò essere tua sposa, ma credo che un bacio possa dartelo senza problemi”
E così dicendo, Vasilisa si avvicinò al bambino.
Si scostò i lunghi capelli dal viso, mentre lentamente si chinava in avanti.
Le sue labbra stavano per toccare la sua guancia destra ,quando qualcuno li interruppe.
“Claudio!” gridò una voce maschile.
La ragazza si rialzò, incontrando due enormi occhi verdi.
“Claudio, ma che fine avevi fatto?” domandò il ragazzo dagli occhi verdi, avvicinandosi al bambino.
“Stavo parlando con una principessa” rispose.
“Non sono una principessa” ripetè il vampiro, gentile.
In quel momento comparve un altro ragazzo, una ragazza e, infine, sua madre accompagnata dal signor Salvatore.
“Oh, bene!” disse Giuseppe, rivolgendosi a occhi verdi, “Vedo che hai già conosciuto Vasilisa, Stefan. Lei sarà la nostra nuova domestica”
“In realtà, non ci siamo ancora presentati ufficialmente” rispose il ragazzo, “Piacere di conoscerti Vasilisa, io sono Stefan Salvatore”
Stefan doveva avere la sua stessa età. Cioè, l’età che avrebbe dimostrato per sempre.
Aveva i capelli castano chiaro e gli occhi verdi, un sorriso gentile e la carnagione chiara.
“La prego, mi chiami Lissa, signorino Salvatore” disse educata.
“Io sono Claudio, il cugino di Stefan” disse il bambino, aggrappandosi alla giacca di Stefan.
Lissa gli fece un inchino cortese.
“Lui, invece” disse Giuseppe, “E’ il mio primo genito, Damon, che dovrebbe essere a combattere per il proprio paese, invece di stare qui a fare il fannullone”
Vasilisa si girò verso l’altro ragazzo, comparso da poco e…ne rimase incantata.
Incantata dalle labbra rosee e carnose.
Dal sorriso perfetto.
Incantata dai capelli neri e curati.
Dalla carnagione olivastra.
Incantata da due occhi color del cielo, circondati da delle ciglia nere e folte.
Damon face un piccolo inchino, “Spero ti divertirai…a rifarmi il letto” disse, sussurrando le ultime parole.
Appena udita quella frase, l’immagine del ragazzo bello e gentile formatosi nella testa dalla giovane, andò in mille pezzi.
‘Arrogante’, pensò.
“Lei è Katherine Pierce” disse poi il Signor Salvatore, “E’ nostra ospite da un mese ormai”
La signorina la guardò con sufficienza, mentre Lissa si prestava a fare un altro inchino.
“Sai, dolce Katherine, anche Vasilisa sa parlare il Bulgaro” disse Giuseppe.
“Davvero?” domandò sorpresa la ragazza.
“Sì, signora” rispose il vampiro, sorridendole gentile, “Me lo hanno insegnato delle suore” mentì.
Solo perché era scorbutica, non voleva dire che anche lei avrebbe dovuto esserlo.
“Perché non mi fai sentire qualcosa?”
“Zdravei, Katerina” disse Lissa, guardandola dritta negli occhi.
Quella donna aveva qualcosa di familiare.
 
 
 
 
Angolo autore
Buonasera  a tutti, anzi buona notte ahha
Terzo capitolo della FF.
So che sono stata abbastanza misteriosa sul passato di Lissa, ma piano, piano, scopriremo tutto quello che la riguarda, che fine ha fatto la sua vera famiglia in Bulgaria, dove sono gli Originali e soprattutto dov’è Elijah.
Grazie a tutti quelli che hanno recensito gli scorsi capitoli.
Un bacio

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Capitolo 4
*** Ci divertiremo molto insieme. ***


CI DIVERTIREMO MOLTO INSIEME
-Capitolo quattro-











Katherine rimase a fissarla con gli occhi sbarrati e la bocca semi chiusa, in un espressione alquanto stupita.
“C-come mi hai chiamata?” chiese l’aristocratica, guardandosi intorno allarmata.
“Mi scusi” disse Vasilisa, “Ho usato il suo nome in bulgaro. Spero di non averla offesa”
Più la guardava e più aveva l’impressione di averla già vista.
Di aver già visto quegli occhi così scuri e di aver già sentito la sua voce.
Come in un vecchio sogno, dove le immagini erano tutte sfuocate.
“State bene, Katherine?” chiese Stefan in quel momento, vedendo la strana espressione sul suo viso.
“Sì, certo” rispose, riprendendosi e serrando le labbra, “Credo che mi ritirerò per la mattinata, con il vostro permesso”
Così dicendo, dopo aver fatto un inchino, Katherine si incamminò sul sentiero di pietra, prendendo una strada opposta a quella della villa.
“Non vi preoccupate” disse il signor Salvatore, rivolgendosi a Lissa e a Meredith, “E’ una ragazza con una salute molto cagionevole, purtroppo”
 
“Sicura che non vuoi che resti con te ancora un po?” le chiese Meredith.
“Sicurissima!” rispose la giovane, “Ormai è l’una passata. E’ il momento che tu torni a casa. Dovevi fermati solo qualche minuto e invece sei stata qui per tutta la mattinata. Non preoccuparti, andrà tutto bene”
“Oh, bambina mia!” esclamò la donna, abbracciandola e scoppiando in lacrime.
“Mamma” sussurrò il vampiro, ricambiando l’abbraccio.
“Ti prego, fai attenzione” le raccomandò, a bassa voce.
“Come sempre” disse Lissa, staccandosi.
“Sembra solo ieri quando hai varcato la porta di casa e sei entrata far parte della nostra famiglia” disse sua madre, asciugandosi gli occhi inumiditi dalle lacrime con il dorso della mano.
“Ci vediamo questa domenica” disse la giovane, semplicemente.
Meredith annuì, forzò un sorriso, fece un inchino in direzione del signor Salvatore, che si trovava davanti alla porta d’ingresso e poi si incamminò verso Geremia, che paziente la stava aspettando per aiutarla a salire sul carro.
Vasilisa guardò per l’ultima volta la madre per poi voltarsi verso villa Veritas.
Giuseppe era rientrato in casa, ma al suo posto vi era la donna che qualche ora prima le aveva accolte.
“Vasilisa?” chiese lei.
“Sì, sono io” rispose, avvicinandosi.
“Mi chiamo Cordelia e sono la capo cameriera”
Lissa annuì.
Cordelia era una donna anziana dai capelli biondo cenere, gli occhi color smeraldo, dalla carnagione chiara, bassa e dalla corporatura abbastanza robusta.
Lo chimion, portato basso e l’abito dai colori scuri, le davo un’area seria e austera.
“Se vuoi seguirmi, ti mostrerò la tua stanza” disse, incamminandosi verso un sentiero che portava a un enorme casa non molto distante dalla villa principale.
La ragazza prese la sua valigia e poi seguì la donna.
“Noi domestici abbiamo dei nostri alloggi. Non ti aspettare un gran che. Noi donne facciamo il bagno in stalla, domani ti farò sapere i turni. Inoltre, colazione, pranzo e cena li farai con me in cucina” spiegò Cordelia.
Le due entrarono nell’enorme edificio.
Percorsero un lungo corridoio, affiancato a sinistra da numerose porte e a destra da delle finestre.
L’anziana poi iniziò a salire delle scale di legno.
Arrivate al secondo piano dell’edificio, Cordelia si avviò verso una grande porta di legno un po scolorita.
La capo cameriera frugò nell’enorme tasca del grembiule mezzo rattoppato che indossava e ne tirò fuori una chiave con cui aprì la porta, “Questa è la tua stanza” disse, facendosi da parte per permettere a Lissa di passare.
La giovane fece qualche passo avanti, fino a ritrovarsi al centro della stanza.
Non era molto grande, ma almeno non era messa male e sembrava accogliente.
Le pareti ero bianche e in alcuni punti il colore si stava staccando o, addirittura, era già staccato, mostrando il colore bordeaux con cui i muri erano stati dipinti una volta, mentre il pavimento era stato realizzato con del legno molto scuro.
In un angolo, addossato al muro, vi era un letto.
Non troppo distante vi era un tavolino con sopra una lampada.
Nel lato opposto, ovvero a sinistra, vi era una armadio e, accanto ad esso, uno sgabello alto con sopra una ciotola bianca e una brocca di ceramica.
Nella parete da vanti a lei, invece, vi era una finestra, con appeso accanto uno specchio con il vetro rotto e arrugginito.
“Non è il massimo, ma d’inverno si sta bene” disse l’anziana, come se si dovesse scusare per la situazione della stanza.
“Sono certa che andrà benissimo” disse, poggiando la valigia.
Cordelia annuì, “Quello è il tuo vestito” disse, indicando con un cenno della testa l’abito steso sul letto, “Tutte le cameriere lo indossano. Il signor Salvatore è un uomo che tiene all’ordine e alla pulizia, perciò, oltre a legarti i capelli, dovrai tenere anche la tua divisa ben pulita”
“Certo” disse Vasilisa, annuendo e prendendo nota di tutto mentalmente.
“Questa è la tua chiave” disse, porgendole il piccolo oggetto di ferro alla ragazza.
Lissa prese la chiave e poi se la mise in tasca.
“Sistemerai le tue cose più tardi, ora vieni con me”
E così dicendo, Cordelia uscì dalla stanza, seguita dalla giovane che si chiuse la porta alle spalle.
“Buon pomeriggio, Cordelia” disse una ragazza, avvicinandosi alla capo cameriera, una volta che lei e Vasilisa furono uscite dall’alloggio dei domestici.
“Anche a te, Wendy”
La ragazza sorrise e poi spostò la sua attenzione sul vampiro.
“Tu devi essere la nuova cameriera, giusto?”
Vasilisa annuì.
“Piacere, io sono Wendy” disse, porgendole la mano.
“Piacere, Lissa” disse, stringendo la mano di Wendy.
Wendy aveva i capelli color rame raccolti in una treccia, attorcigliata poi sulla testa. I suoi occhi erano verde acqua, la sua pelle candida e aveva il naso ricoperto di lentiggini.
Era molto magra e un po più bassa di lei.
“Quanti anni hai?”
“Quasi diciotto”
“Oh, finalmente qualcuno della mia età! Sono due anni che lavoro in mezzo ai vecchi” disse la ragazza, “Senza offesa, Cordelia” aggiunse poi, rivolta all’anziana.
“Tranquilla” disse la donna, forzando un sorriso, “Però, visto che ti annoi così tanto, perché non porti tu la signorina a fare un giro? Ho faccende più importanti da fare”
“Agli ordini capo!” rispose Wendy, imitando il saluto dei soldati.
Cordelia roteò gli occhi e poi se ne andò.
“Non farci caso, sembra scorbutica all’inizio, ma una volta conosciuta potrai scoprire che in realtà è un pezzo di pane. Comunque” disse la ragazza, prendendo il vampiro a braccetto, “Come sei finita qui?”
“La mia famiglia ha bisogno di soldi. Tu, invece?”
Wendy alzò semplicemente le spalle, “I miei non mi hanno dato altra scelta. Una giorno mi hanno detto: ‘O ti sposi o te ne vai’ e visto che io sono allergica al matrimonio, me ne sono andata. Dopo aver lavorato nella taverna, qui a Mystic Falls, ho incontrato il signorino Damon, che mi ha offerto questo lavoro”
“Intendi dire l’arrogante dagli occhi azzurri?” chiese Vasilisa, storcendo un po la bocca, ricordandosi quello che le aveva detto quella mattina.
“Oh, l ’hai già conosciuto?”
“Più o meno”
“Quello è il genere di ragazzo da cui i tuoi genitori ti mettono in guardia” disse Wendy, sospirando, “Dai retta a me, non cascarci”
“Stai pur certa che non succederà!” disse la ragazza, sicura.
“Sì, dicono tutte così all’inizio. Va bè, chiudiamo questo discorso. Siamo arrivate a Villa Veritas. Da quella parte ci sono le dependance degli ospiti, dove alloggia la signorina Katherine”
“Il signor Salvatore mi ha detto che ha problemi di salute”
“Sì...e non solo quelli”
“In che senso?”
“Oh, è vero che sei nuova! Praticamente, la Dolce Katherine, come la chiama il padrone, ha una relazione segreta con entrambi i fratellini”
“Davvero?” chiese stupita, Lissa.
“Sì, e pare proprio che non sappia decidere. La capisco!”
“E Damon e Stefan lo sanno? Che lei fa il doppio gioco, intendo”
“Mh, non credo. Anche se secondo me hanno qualche sospetto. Per quel che mi ha detto Cordelia, che li ha accuditi fin da quando erano in fasce, i due fratelli sono sempre andati molto d’accordo, ma da quando è arrivata quella donna i rapporti tra loro sono diventati un po tesi”
“Dovrebbero sapere la verità” disse la giovane, aumentando il passo e dirigendosi verso la villa.
“Ehy” disse l’amica, bloccandola per il braccio, “Che intendi fare?”
“Andare a dire tutto quello che mi hai appena raccontato”
“Prima regola: mai, e dico MAI, immischiarsi in affari che riguardano i padroni”
“Ma..”
“Nessun ‘ma’, Lissa. In questa casa siamo considerati dei fantasmi, silenziosi e non esistenti, è così ci dobbiamo comportare. Se vuoi rimanere viva e non perdere il lavoro ancor prima di cominciare, non fare nulla”
Il vampiro annuì rassegnato.
Forse Wendy aveva ragione.
Non doveva cacciarsi nei guai solo perché il suo spirito da ragazza della libertà si faceva sentire.
Sorrise.
Elijah la chiamava Фрее девојка*.
“Lissa vieni, voglio presentarti una persona” disse Wendy, distogliendo Vasilisa dai propri tristi, pensieri.
La ragazza le sorrise e poi la seguì, verso le stalle.
“Buon pomeriggio, Robert!” urlò Wendy, alzando il volto e coprendoselo con una mano per ripararsi dal sole.
Dal tetto del fienile comparve un uomo.
Era lontano, ed era difficile da vedere…per un occhio umano.
Lissa socchiuse un po gli occhi e poi si mise a fissare l’uomo.
Doveva avere più o meno l’età del signor Salvatore.
Aveva la pelle abbronzata, i capelli castani corti e la barba ispida che stava assumendo dei toni simili al grigio e al bianco.
“Anche a te, signorina!” urlò, togliendosi il capello come forma di saluto per poi rimetterselo.
“Robert è il fattore della famiglia Salvatore, non che grande consigliere del signor Giuseppe” spiegò. “Sembra simpatico”
“Bè, lo è molto di più quando si ubriaca, credimi” disse Wendy, ridacchiando.
“La sapete l’ultima?” chiese Robert, sedendosi sul tetto.
“A dire il vero, non ho ancora letto il giornale” ammise la cameriera, “Cosa combina il generale Gloom?”
“Quello che so non c’entra nulla con la guerra, piccola Wendy. Attacchi di bestie selvatiche. Di nuovo. Là dai Wesley hanno perso tre pecore. Tutte morti. Tutte con il collo squarciato”
“Sarà di certo stato qualche animale” disse, alzando lievemente le spalle.
“Bene, allora spero che uno di questi animali non vi trovi mentre passeggiate insieme a Angelo, come ormai fate ogni sera verso il tramonto”
Wendy arrossì e il fattore soddisfatto si alzò, riprendono il proprio lavoro.
“Stupito ubriacone” sussurrò la cameriera.
“Cosa intendeva dire?” chiese il vampiro, ricordandosi quello che Madame Boucher le aveva detto quella mattina e alla sua espressione di terrore.
 
“Oh, povera cara! Ve ne prego, finchè potete non dirigetevi in quel luogo! E’ una cittadina piena di demoni!”
“Demoni? Quali demoni?”
“Da qualche tempo ormai, più o meno da quando è scoppiata la guerra, nella cittadina di Mystic Falls si sono verificate diverse morti, tutte causate da animali. Persino la futura sposa del signor Stefan Salvatore, figlio di Giuseppe Salvatore, è stata aggredita da un coyote”
“Animali? Demoni? La prego, mi spieghi bene”
“Tutti credono che siano stati attacchi animali, ma la gente lo sa”
“Sa cosa?”
“Che i demoni sono tra loro. Che nessuno è più al sicuro ormai, perché loro…loro portano morte e non risparmiano neanche i bambini”
 
“Ma niente, non starlo a sentire. A Robert piace raccontare strane storie” rispose Wendy, “Su, vieni, ti porto in cucina!”
E così dicendo, la ragazza prese Vasilisa e la trascinò sul retro di villa Veritas.
“Siamo tornate!” esclamò la cameriera, entrando in cucina.
Cordelia, che era intenta a lavorare a maglia raccolta in un angolo vicino al camino, alzò lo sguardo verso di loro, “Molto bene. Lei hai mostrato tutto?”
“Le cose principali, con il tempo le insegnerò il resto”
L’anziana annuì e poi si alzò, “Wendy, c’è un cambio di programma. Da ora in poi, tu servirai il signorino Stefan”
“Cosa?! E chi si occuperà di Damon?”
“Lei” rispose, indicando Lissa con un cenno della testa.
“IO?!” chiese stupita la giovane.
“Ma è nuova! Il signorino Damon le farà patire le pene dell’inferno!” esclamò Wendy.
“Conosco il signorino da quando era in fasce e so che a volte può essere difficile, ma credo che Lissa potrà cavarsela egregiamente”
La cameriera stava per replicare, ma Cordelia la bloccò con un gesto della mano, “E anche il signor Giuseppe lo crede”
“Aspettate un attimo. Mi state dicendo che io dovrò servire quell’arrogante?”
“Sono certo che ci divertiremo molto insieme” disse una voce dietro di lei, “Cameriera” aggiunse poi.
'Oh, no.'
Vasilisa chiuse gli occhi, ma di certo essere un vampiro in quel momento non le sarebbe servito a nulla.
Persino una persona comune avrebbe capito a chi appartenesse quella voce anche solo dopo averla sentita una volta.
Quella voce roca, ma fluida allo stesso tempo.
Damon Salvatore.
Quel nome sarebbe stato per lei una grande sfida.
 
 
 
 
*Ragazza della libertà in bulgaro.



 

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Capitolo 5
*** Come la cacca e il pane. ***


COME LA CACCA E IL PANE
-Capitolo cinque-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Elijah?”
“Sì, tesoro?”
“Posso farti una domanda?”
“Dimmi tutto” rispose il ragazzo, prendendo la bambina di ormai otto anni in braccio e facendola sedere sulle sue ginocchia.
“Perché io cresco, il mio viso cambia, divento più alta, mentre tu, così come il resto della nostra famiglia, non cambi mai?”
“Lissa, te l’ho già spiegato” rispose paziente il fratello, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Ma così, prima o poi, io diventerò più grande di te” disse dispiaciuta, “Non posso diventare anch’io come te?”
“Vasilisa, ascoltami, ora sei troppo piccola e non ti potresti godere il meglio dell’essere vampiri. Quando sarai più grande potrai decidere se diventarlo o no”
“Tranquillo, io ho già deciso! disse convinta Lissa, annuendo.
“Che ne dici se ne riparliamo fra qualche anno?”
“Però, se poi non vorrò più essere un vampiro, potrò decidere di rimanere come sono adesso, un’umana, giusto?”
“Lissa ti prometto che non ti priverò mai della scelta”
“Sei il miglior fratello del mondo!” esclamò la bambina, buttando le braccia al collo del vampiro per poi stampagli sulla guancia un sonoro bacio.
“Ma dimmi, chi ti ha messo in testa quelle cose?”
“Bè, prima Bekah me l’ha fatto notare”
“Tesoro, tu sei troppo intelligente per darle retta. Promettimi che se ti dirà ancora delle cose simili la ignorerai”
“Te lo prometto, fratellone”
 
Vasilisa si svegliò di colpo.
Qualcuno stava bussando alla sua porta.
“C - chi è?” chiese incerta, mettendosi a sedere.
“Lissa sono Wendy, sbrigati che dobbiamo andare a servire la colazione!” esclamò, dall’altra parte della porta.
“V - va bene. Mi vesto e arrivo subito”
“Ok, ma non fare tardi!”
Il vampiro sbadigliò, si stiracchiò e poi si alzò.
Ma perché non poteva sognare come tutte le persone normali?
Perché doveva sempre tuffarsi nei ricordi della sua vecchia vita?
Lissa si avvicinò alla finestra.
Il cielo era limpido e il sole era già sorto, illuminando villa Veritas e facendola quasi risplendere.
La ragazza si diresse verso la ciotola bianca posta sullo sgabello alto, prese la brocca contente l’acqua che poi ci versò dentro.
Dopo essersi lavata il viso, si tolse la camicia da notte e indossò il suo nuovo abito da lavoro composto da una camicia bianca dalle maniche larghe terminati con dei polsini stretti, un gilet di stoffa marrone aderente e una gonna lunga fino alle caviglie dello stesso colore del gilet.
Velocemente, si diresse verso lo specchietto mal concio appeso vicino alla finestra, si spazzolò i lunghi capelli e poi li sistemò in uno chimion alto.
Una volta uscita dalla sua stanza si diresse verso il retro di villa Veritas, nelle cucine.
“Buongiorno!” esclamò Vasilisa.
“Buongiorno” le disse Cordelia, sorridendole, “Sei arrivata giusto in tempo per andare a servire la colazione”
“Questo è per te” disse Wendy, passandole un grembiule.
In quel momento in cucina entrò un uomo, vestito in modo abbastanza elegante, “I signorini Salvatore, la signora Penelope con i figli sono pronti per ricevere la colazione”
“Chi è la signora Penelope?” chiese a bassa voce all’amica.
“E’...”
“E’ la sorella del signor Salvatore” rispose l’uomo, interrompendo Wendy, “Mi chiamo Alfred, sono il maggiordomo personale del signor Giuseppe, e tu mia cara?”
“Mi chiamo Vasilisa, signore, ma tutti mi chiamano Lissa”
“Oh, ti prego, non sono un signore. Alfred, va benissimo”
“D’accordo”
“Tieni” disse Alfred, porgendole un vassoio stracolmo di tortine, “Pronta?”
“Un po agitata, ma sì, sono pronta”
“Ricorda” disse lui, sistemandosi la camicia, “Cortese e sorridente”
Lissa annuì e quando le porte delle cucine si aprirono, un sorriso a trenta due denti si dipinse sul suo volto.
Con passo svelto la giovane seguì Alfred verso l’enorme tavolata.
“Buongiorno!” esclamò, tutta contenta, ricevendo però in cambio una serie di sguardi seri e altezzosi.
Ma che aveva fatto?
Aveva detto qualcosa di sbagliato forse?
Alfred la rimproverò con lo sguardo, tossendo per attirare l’attenzione su di lui.
Il vampiro prese un respiro profondo, poi iniziò a servire le tortine, iniziando da Stefan, che sedeva a sinistra della sedia posta a capotavola, destinata al signor Salvatore, probabilmente.
“Buongiorno, Lissa” disse lui, sotto voce, facendole un cenno con la testa.
“Buongiorno signorino” disse a sua volta, sorridendogli lievemente.
In quel momento, Giuseppe Salvatore entrò nella sala da pranzo.
Aveva un’aria severa, tutto il contrario del giorno precedente quando la madre di Lissa, Meredith, era andata a fargli visita.
“Buongiorno” esordì freddo.
“Buongiorno” risposero tutti i componenti della famiglia Salvatore presenti alla tavola, ricoperta da qualsiasi tipo di leccornia.
“Buongiorno, Lissa” disse poi, spostando lo sguardo sulla giovane che, sorpresa, si fermò con la pinza contenete la tortina alla crema di lamponi che stava per servire a una ragazzina seduta vicino a Stefan.
Ad essere stupita, però, non era la sola, in quanto tutti i presenti in sala, servi compresi, si girarono a fissarla.
“B - buongiorno, signore” disse il vampiro, un po impacciata.
“Hai dormito bene questa notte? La camera era di tuo gradimento?”
“Oh, sì, signore, il letto più comodo in cui abbia dormito in diciassette anni” rispose Vasilisa, servendo un’altra tortina al bambino che aveva incontrato il giorno prima, Claudio.
La stanza le era piaciuta veramente, ma per quanto riguardava il letto aveva leggermente mentito.
Lei non poteva sapere se questo era comodo o no, in quanto, essendo un vampiro, per lei era indifferente.
“Ah, quasi dimenticavo” disse l’uomo, sistemandosi il tovagliolo sulle ginocchia, “Famiglia, voglio presentarvi Vasilisa Johnson. Suo padre mi aiutò a costruire villa Veritas e fu anche un mio caro e grande amico, quindi, anche se lei è qui per servirci, vi chiedo di trattarla” Giuseppe spostò lo sguardo su suo figlio maggiore, Damon, “Con rispetto”
“Perché avete guardato me, padre?” chiese il ragazzo, con aria di sfida.
“Sono onorata” disse la giovane, anticipando il signor Salvatore, “Signore” aggiunse poi, quando tutti si girarono di nuovo a fissarla, “P - per essere stata accolta in questa casa, intendo”
“Finalmente qualcuno che ringrazia” disse l’uomo, buttando ancora un’occhiata al figlio, per poi mettersi a parlare con Stefan.
Lissa sospirò, senza però farsi vedere da nessuno.
Litigio scampato.
Già dal giorno precedente si era accorta che tra Damon e suo padre non correva buon sangue, ma non pensava che ci fosse così tanta tensione.
Forse perché non le era mai successo di vedere padre e figlio odiarsi così tanto.
Forse perché, anche se era stata adottata, Mikeal e Esther l’avevano sempre tratta come parte integrante della famiglia e non come una diversa, così come Meredith e Tobia.
La ragazza riprese a servire le tortine. Prima alla sorella di Giuseppe, Penelope, che non la degnò di uno sguardo e infine al più grande tra i fratelli Salvatore.
“Quale tortina preferisce, signorino?” chiese gentile.
“Preferirei un altro tipo di tortina” rispose lui, malizioso, squadrandola da capo a piedi.
Vasilisa lo guardò confusa, poi quando capì quello che in realtà voleva dire arrossì violentemente, un po per l’imbarazzo, un po per la vergogna.
Il suo istinto da vampiro le diceva di sbattere il vassoio per terra e sgozzare a morsi il ragazzo lì, in quel preciso momento, davanti a tutta la sua famiglia. La parte umana, invece, quella più razionale ed equilibrata, le impedì di farlo.
La giovane sorrise e avvicinò le labbra all’orecchio di Damon, “Scusi, la tortina che lei desidera non è in menù e mai lo sarà” disse, digrignando i denti.
“Peccato” commentò, alzando le spalle, “Allora credo che ne prenderò una al mirtillo”
Lissa prese il dolcetto e poi glielo servì.
Stava per allontanarsi, quando il ragazzo l’afferrò per il polso.
Si guardò in giro.
Nessuno sembrava aver notato il gesto di Damon.
Nessuno aveva notato nulla, come se fosse un comportamento normale.
Il vampiro si chinò di nuovo, “Desidera altro, signorino?”
“No, ma vorrei lamentarmi”
“Riguardo cosa?”
“Questa mattina mi aspettavo la colazione a letto, ma tu non sei arrivata”
Vasilisa sorrise.
Cordelia le aveva detto che Damon amava mettere in difficoltà le povere cameriere che di solito lo servivano e Wendy aveva confermato.
“La signora Cordelia mi ha detto quali sono i miei compiti e servirvi la colazione a letto non era tra questi signorino, ma, se la volete, la prossima volta potete dormire in cucina”
Il giovane stava per dire qualcosa, ma si fermò e lasciò la presa al polso, quando il padre si rivolse a Vasilisa, “Quando hai finito di servire la colazione, vorrei che venissi nel mio studio”
“C - certo signore”
Dopo essersi inchinata, uscì dalla stanza.
Oh ,mio Dio, che avesse sentito tutto?
Magari voleva rimproverarla per come aveva risposto a Damon e magari l’avrebbe anche cacciata!
No, non ci voleva pensare!
 
Una volta tornata in cucina, la trovò completamente vuota.
Meglio, pensò.
Sicuramente le avrebbero chiesto come fosse andata e non ne voleva proprio parlare.
Si guardò un po in giro e, accorgendosi che il lavandino era stracolmo di piatti e pentole sporche, decise di mettersi a pulirle.
Distrarsi l’avrebbe aiutata a non pensare a cosa avrebbe detto a sua madre una volta che l’avrebbe vista tornare a casa dopo un solo giorno di lavoro.
“Cordelia?” chiamò una voce maschile, proveniente dal cortile, “Zio Alfred?”
Lissa alzò lo sguardo da una pentola incrostata, “Non sono qui!” urlò per poi tornare a grattare.
“Sai per caso dopo posso trovarli?” chiese un ragazzo, affacciandosi alla porta della cucina.
La giovane alzò di nuovo lo sguardo e il respiro le si fermò in gola.
Era proprio bello.
“No, mi spiace” rispose, sorridendogli.
“Grazie comunque…” lui non completò la frase, facendole intendere che doveva dire il suo nome.
“Lissa”
“Angelo” disse il ragazzo, sorridendole a sua volta.
Il giovane aveva i capelli lunghi fino alle spalle, leggermente arricciati e dello stesso colore del grano, gli occhi costano/dorati e un sorriso favoloso.
“Tu sei la nuova cameriera, giusto?” chiese lui, entrando nella stanza, sedendosi su una sedia.
“Si nota così tanto?” chiese Lissa, lasciando perdere la pentola.
“No, è solo che Wendy è un po pettegola ,ma devo dire che su una cosa ha avuto ragione”
“Ovvero?” chiese, asciugandosi le mani nel grembiule.
“Sei davvero carina”
“Oh, grazie” disse, arrossendo.
Non era abituata a ricevere complimenti, soprattutto dai ragazzi.
I due si guardarono intensamente negli occhi.
“Lissa!” esclamò Wendy, entrando improvvisamente nella stanza, “Il signor Salvatore ti sta cercando” disse, cercando di prendere fiato, “Buongiorno Angelo!” esclamò poi, “Vi siete già conosciuti?”
Il vampiro annuì.
“Hai per caso visto mio zio o Cordelia?” chiese Angelo, rivolgendosi alla rossa.
“Sì, stanno parlando con Robert”
“Grazie mille, Wendy” disse lui, gentile, “Spero di vederti a pranzo Lissa. Buona giornata”
E così dicendo, il giovane se ne andò.
“Oddio!” esclamò Wendy.
“Cosa c’è?”
“Gli piaci!”
“Eh?! Non credo proprio!” disse Vasilisa, togliendosi il grembiule.
“Ma allora sei proprio cieca! Ci mancava poco che si metteva a sbavare!”
“Non esagerare Wendy”
“Almeno…almeno ammetti che è bellissimo, naturalmente dopo il signorino Damon” disse, con gli occhi lucidi per l’emozione.
“E’ carino”
E così dicendo, anche lei se ne andò, diretta verso lo studio del signor Salvatore.
Ora doveva solo incrociare le dita implorare di avere un’altra possibilità.
Passò davanti a una finestra e vide Angelo intento a parlare con Alfred e proprio in quel momento, dallo studio di Giuseppe uscì Damon.
“Mio padre ti aspetta” disse lui, con uno strano ghigno sulla faccia.
Oh, no, chissà quali menzogne gli avrà raccontato per farmi passare per cattiva.
Buttò ancora un’occhiata al ragazzo aldilà dell’enorme vetrata e poi al figlio del suo padrone.
Erano completante diversi.
Erano come la cacca e il pane.
 
 
 
 
Angolo autore:
Buona sera a tutti!
Scusate se è da tanto che non aggiorno, non ho scusanti.
Avete iniziato la scuola? Io purtroppo sì D:
Anyway, vi è piaciuto il capitolo?
Chissà se Lissa donerà il suo cuore a Angelo…

 

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