The memory man

di Laylath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. The outsider. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. 1890. Rules of game ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. 1894. See you later ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. 1898. You're not him ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. 1900. On the right side ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. 1900. My first team ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. 1900. Find my enemy ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. 1900. Between past and present. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. 1900. Tears for a betrayed hero ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9. 1900. Chaos and confusion. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10. 1901. War and love. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11. 1903. A space between us. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12. 1905. Changes. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13. 1905. Commander and nobility ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14. 1905. Believe in something. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15. 1905. Unexpected help. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16. 1905. Shot. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17. 1905. Towards the future. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18. 1909. New life ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19. 1909. In desks ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20. 1909. Observation and strategy. ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21. 1909. An odd couple. ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22. 1909. The real birth of a team. ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23. 1912. Parenthood. ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24. 1912. Separation ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25. 1914 News and arrivals. ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26. 1914. Decisions that can change your life. ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27. 1914. Meetings. ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28. 1914. An immortal roommate. ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29. 1914. Nichis tai. ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30. 1915. Phone calls. ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31. 1905. Without coat. ***
Capitolo 33: *** Epilogo. 1920. Rules of game. Reprise. ***



Capitolo 1
*** Prologo. The outsider. ***


Prologo.
The outsider.


 
Briggs, 1915.
 
Neve, tanta neve, troppa.
Il sottotenente Vato Falman fissò il paesaggio esageratamente bianco al di là della Parete di Briggs.
Si chiese per l’ennesima volta cosa lo disturbasse così tanto in quella vista, innegabilmente bella e incontaminata: eppure l’aveva lasciato a bocca aperta la prima volta che l’aveva vista, qualche settimana prima.
Aveva letto tanti libri e riteneva che un autore veramente bravo fosse in grado di descrivere paesaggi in maniera realistica, ma con Briggs si era reso conto che la sua amata parola scritta non sarebbe riuscita a rendere le emozioni che quel paesaggio suscitava nell’animo umano.
Silenzio, quiete, bianco.
Solo alcune parti delle pareti dei monti e qualche tronco d’albero che riusciva a svettare libero da quel colore. Ma per il resto era tutto immacolato, fino a dove l’orizzonte bianco sfiorava quello azzurro del cielo, in una linea luminosa, quasi dolorosa da vedere.
E’ un bianco troppo perfetto: – capì Falman –hai quasi paura di contaminarlo con la tua presenza. Non avrei la forza di camminarci sopra per lasciare le mie impronte.
Sì, doveva essere quello il motivo per cui sentiva che qualcosa non andava in quel paesaggio… o, per meglio dire, non era in sintonia con lui.
Per stare in un posto simile dovevi essere forte quanto la natura stessa, sfidandola con la tua stessa presenza. Proprio come faceva la Parete di Briggs: forte, orgogliosa, calzante emblema della potenza dell’esercito; quel grigio muro d’acciaio non aveva timore di spezzare il candore della neve. Bianco e grigio avevano impattato tra di loro fino a raggiungere una sintonia perfetta: un riconoscimento di forza, un’alleanza di potenze.
Ed i soldati di Briggs erano forti, su questo non c’erano dubbi.
Falman pensò con un sospiro malinconico a quando, dopo il suo arrivo a North City, era stato quasi subito trasferito in quel posto ai confini di Amestris… e, tutto sommato, ai confini del mondo.
Gli uomini di quella base erano al di fuori della norma: duri, compatti, fedeli servi di una legge del più forte che ben si adattava a quel posto selvaggio. Erano come un branco di lupi che la fa da padrone tra le nevi delle montagne. Per non parlare del Generale Amstrong.
Falman l’aveva vista qualche volta di sfuggita e si era chiesto come una persona così fredda, al solo vederla, potesse essere imparentata con il ben più bonario Maggiore. Se non fosse stato per un’innegabile somiglianza nei capelli biondi e nell’aria di famiglia, Falman avrebbe ritenuto improbabile un legame di parentela.
“Ehi, occhi strabici – esclamò una voce secca avvicinandosi a lui – guarda che il tuo turno a staccare ghiaccioli è finito”
“Oh… - annuì Falman, girandosi con riluttanza verso il soldato che l’aveva avvisato – sì, certo”
“Qui ci penso io, adesso, tu vai al settore 3: ci sono dei materiali da immagazinare e una mano serve sempre. Non perdere tempo a guardare il panorama!”
“Va bene” sì imbarazzò Falman.
Non aveva nemmeno fatto caso al grado del soldato che gli aveva appena parlato e del resto non avrebbe fatto molta differenza se era inferiore a lui. Era ancora un estraneo in quel gruppo così orgogliosamente elitario, lo sapeva benissimo. A Briggs esistevano norme particolari, regole non scritte, che dicevano che il rispetto andava guadagnato con le azioni e non per il grado che uno portava.
Lui era ancora in fase di studio, lo sapeva benissimo. Non era ancora stato accettato del tutto in quel posto.
Del resto, forse, sono pure io a non voler essere accettato in questo gruppo. – si disse il sottotenente, mentre rientrava al relativo caldo dell’interno della struttura e si dirigeva verso i magazzini – Nutro per loro un grandissimo rispetto, senza dubbio… ma, io ce l’ho già una squadra.
 
“Sottotenente Falman a disposizione, signore!” salutò portandosi davanti al responsabile del magazzino
“Sì sì, certo – disse un soldato in tuta da lavoro, senza nemmeno guardarlo in faccia – tieni, questo è l’elenco di quello che dovrebbe esserci giunto con l’ultimo carico, in queste quindici casse qui. Controlla ogni singola voce, spuntala e inventaria tutto… lo schedario è in fondo a sinistra. Ehi! – esclamò poi rivolgendosi ad altri uomini – Qualcuno di voi sa dirmi che fine hanno fatto i materiali richiesti la settimana scorsa? Sapete che il Generale non vuole ritardi!”
Lasciato solo con quell’elenco, Falman sospirò malinconicamente, accostandosi alla prima cassa e aprendola. La sua memoria fotografica fece un rapido paragone su quanto scritto nell’elenco ed il materiale presente e annuì: avrebbe finito quel lavoro in poco tempo.
Già, perché ora, in quel posto, la sua grande capacità mnemonica era utilizzabile solo per queste cose.
Niente più dossier o archivi da spulciare: non c’era il colonnello a riconoscere questa sua grande dote e sfruttarla come si conveniva…
Forse a Briggs non serviva uno come lui.
Il suo posto era altrove, la sua fedeltà era per un’altra persona, un altro gruppo.
E ne aveva passate tante prima di giungere a loro…



_________________________

E finalmente ci siamo!

Per somma gioia di qualcuna, ho finalmente trovato l'ispirazione giusta per immergermi nel passato del nostro Maresciallo preferito, prima che entrasse nel team di Roy. Così con lui posso chiudere il cerchio!
Solita situazione di partenza con un prologo del "presente", per poi immergeci nel passato.
E, solita situazione mia, ho più o meno in mente alcuni passaggi, ma non ho scritto altro oltre che il prologo... as usual! XD
Ma sono sicura che qualcosa tirerò fuori!

Enjoy!

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. 1890. Rules of game ***


Capitolo 1.
1890. Rules of game.


East City.
 
La campanella della scuola suonò finalmente la fine delle lezioni e le classi risuonarono del rumore di sedie spostate impazientemente, risate, frusciare di fogli. Le porte delle aule si aprirono e decine di ragazzini corsero via da quell’edificio che li aveva tenuti prigionieri per un’altra mattina. Adesso le loro giovani vite potevano dedicarsi ad attività molto più consone: giocare, scherzare, combinare guai. I libri sarebbero stati accantonati sino al giorno successivo.
Eccetto per uno di loro.
Mentre tutti i suoi compagni si erano affrettati a riporre i libri di testo nelle cartelle per poter scappare via, Vato Falman aveva eseguito l’operazione con calma. Aveva chiuso il libro di storia con religiosa devozione, facendo attenzione che non ci fossero orecchie nelle pagine pulite, senza alcun segno di matita; anche i quaderni avevano subito lo stesso trattamento e così il materiale per scrivere.
In tutto quel tempo gli altri bambini si erano già catapultati nelle vie della città.
“Vato, vogliamo andare? – disse la maestra con voce gentile, aspettandolo all’ingresso della classe – Non vedi che gli altri sono già usciti?”
“Arrivo, signora maestra” sorrise educatamente lui, alzandosi dal banco e mettendosi la borsa a tracolla.
La donna gli accarezzò la testa dai capelli bianchi e neri, così strani per un bambino di appena dieci anni, e si avviarono insieme verso l’uscita.
“Sei stato molto bravo all’interrogazione di storia, oggi: – si complimentò – si vede che hai studiato tanto. Però dovresti passare meno tempo sui libri, Vato: perché durante l’intervallo non vai a giocare con gli altri invece che startene a leggere?”
“Oh, dice che dovrei, signora?” chiese perplesso lui, fissandola con i suoi occhi dal taglio allungato
“Beh, deve far piacere a te, prima di tutto. Fai quello che ritieni giusto; ma ora vai a casa, altrimenti arriverai tardi per il pranzo”
“Va bene, signora maestra. Arrivederci!” salutò il bambino avviandosi in direzione opposta rispetto a quella della donna.
Percorrendo le strade di East City con passo tranquillo, Vato pensò che, ad essere sinceri, per preparare l’interrogazione di storia gli ci erano voluti massimo venti minuti. Erano argomenti per la maggior parte già visti e la lezione nuova era relativamente breve: aveva immagazzinato quei dati con enorme facilità e dunque rispondere alle domande era stata una passeggiata.
Passare meno tempo sui libri… giocare con gli altri invece di leggere
Facendosi serio in viso il bambino rifletté che, forse, avrebbe dovuto dare ascolto alla maestra. Ma se doveva dirla tutta lui continuava a preferire i libri alla compagnia degli altri ragazzi, per tutta una ragione di motivi. Non che gli dessero fastidio, per carità, ma si era accorto sin dai primi anni di scuola di avere interessi totalmente opposti rispetto a loro. Gli altri studenti non vedevano l’ora di accantonare i libri, mentre lui ne divorava uno dopo l’altro: da quando aveva imparato a leggere, a quattro anni, gli si era aperto un mondo incredibile, fatto di milioni di informazioni, storie, definizioni che il suo cervello adorava assorbire per ritirare fuori al momento giusto.
Dopo che aveva iniziato la scuola si era reso conto che era il solo tra i suoi compagni a possedere questa dote. Aveva cercato di capire se ci potesse essere qualche problema in loro, ma era stato costretto a rendersi conto che il diverso era lui. Agli altri non importava di memorizzare tutte quelle cose meravigliose: i libri erano solo un pesante ingombro che occupava le mattinate.
Ingombro… come si poteva definire la parola scritta con un simile vocabolo dispregiativo?
Nel frattempo era arrivato nel palazzo dove stava il suo appartamento.
Salì al terzo piano ed entrò in casa
“Ciao mamma, sono tornato!” salutò, andando in camera sua a posare la borsa e levando i libri per metterli con cura sulla scrivania.
“Ciao Vato, - salutò la voce della madre dalla cucina – lavati le mani che è pronto in tavola!”
“Va bene” annuì lui
Il tavolo era ancora una volta apparecchiato per due: suo padre non sarebbe rientrato a pranzo nemmeno quel giorno… già il quarto di fila. Mentre mangiava, Vato osservò pensieroso sua madre, chiedendosi che cosa ne pensasse della continua assenza del padre. Era anche vero che, essendo un membro della polizia di East City, Vincent Falman doveva essere sempre reperibile: il suo ruolo di assistente di uno dei capitani era molto importante e il bambino era molto fiero del genitore. Ma gli dispiacevano queste continue assenze…
“Allora, oggi non avevi l’interrogazione di storia?” chiese la madre, Rosie, vedendolo così pensieroso
“Oh, sì.E’ andato tutto bene, mamma. La maestra mi ha fatto i complimenti, come sempre”
“Bravo, bambino mio” sorrise lei accarezzandogli la chioma bianca e nera.
“Mamma, questa sera posso andare ad aspettare papà all’uscita da lavoro?” chiese speranzoso
“Vato – mormorò lei, con indulgenza – lo sai che, anche se dovrebbe uscire per le sette, spesso papà fa più tardi del previsto”
“Oh dai, mi porto un paio di libri da leggere! E poi alla stazione di polizia mi conoscono – sorrise Vato – e mi piace parlare con i colleghi di papà”
“Beh, va bene… del resto questo pomeriggio sono di turno al negozio e dovresti stare a casa da solo. Ma mi raccomando di non disturbare troppo”
“Ovviamente, mamma! – esclamò il bambino finendo di mangiare e andando entusiasta in camera sua per preparare la sua inseparabile tracolla – Prima però passo in libreria, posso?”
“Tesoro, hai la stanza che esplode di libri – lo rimproverò bonariamente la donna – non esagerare come al solito!”
“Va bene! – sorrise lui, già alla porta – massimo due, promesso!”
 
Massimo due… quello sì che era un grosso limite.
Vato fissò addolorato gli scaffali della sua libreria preferita, ricolmi di libri che aspettavano solo di essere sfogliati. Le copertine dai diversi colori, con i titoli così invitanti, sembravano chiamarlo con insistenza.
Però doveva prendere una decisione: ed erano già tre ore che stava là dentro.
Seguendo uno schema di priorità aveva ridotto la scelta a una decina di libri: già escluderne alcuni era stata una sofferenza, ma la questione ora era davvero spinosa.
Uno doveva essere per forza Storia di Amestris dalla fondazione ai giorni nostri: il libro di storia che usava a scuola era troppo semplice e sicuramente trascurava un sacco di dati; bastava pensare che non era nemmeno la metà del volumone presente in libreria.
Per quanto riguardava la seconda scelta…
“Oh, ma perché ne posso prendere solo due!” sospirò il bambino con aria mogia
“Ma perché devi sempre finirla in questo modo?” chiese una bambina accanto a lui
“Ciao Elisa – la salutò Vato, senza nemmeno guardarla - … proprio non capisci come sia difficile scegliere?”
La bambina lo guardò con rassegnazione, scostandosi un ciuffo di capelli castani dagli occhi verdi: avevano la stessa età e frequentavano la stessa scuola, sebbene in classi diverse. Elisa era la nipote del proprietario della libreria e dunque conosceva Vato da quando lui si era trasferito ad East City, tre anni prima. Era probabilmente l’unica che sapeva veramente quanto fosse profondo il suo amore per i libri ed era anche l’unica che avesse un’interazione abbastanza intensa con lui. Per esempio non si era fatta scrupoli di chiedergli come mai i suoi capelli fossero bicolore.
Sono sempre stati così. E prima che tu me lo chieda, no, non sono albino, altrimenti avrei tutti i capelli bianchi e gli occhi di un colore differente.
Elisa, che quando avevano avuto quel confronto aveva sette anni, l’aveva fissato perplessa
Cosa c’entra adesso l’albume delle uova?
No! Non albume! Albinismo! E’ un fenomeno consistente nella totale o parziale deficienza di pigmentazione melaninica nella pelle…
Ma lo sai che sei strano?
Lei l’aveva interrotto in modo così brusco e in quel modo era nata la loro amicizia.
A Vato piaceva Elisa perché in qualche modo faceva parte del mondo dei suoi amati libri. Certo, non ne leggeva quanto lui e, se doveva essere sincero, le sue preferenze letterarie non rientravano nei suoi gusti. Ma almeno era una bambina con cui avere un minimo di dialogo e che non si spaventava troppo quando si metteva a parlare di argomenti a lei sconosciuti.
“Non concluderai nulla se continui a fissarli in quel modo” ribadì la bambina
“E secondo te cosa dovrei fare?”
“Tieni i due che hai in mano e basta. Per gli altri ci sarà tempo”
“Ma ne arriveranno altri ancora – protestò lui – e poi, magari, tra una settimana scoprirò nuovi titoli e la lista delle mie priorità cambierà ancora!”
“Che lagnoso che sei, Vato!”
“Senti, uno l’ho già scelto, vedi? – disse orgoglioso mostrando il libro di storia – Quindi non puoi rimproverarmi più di tanto”
“Perfetto – dichiarò la bambina – allora alla seconda scelta ci penso io!” e senza dargli il tempo di ribattere, chiuse gli occhi si diresse allo scaffale opposto e pescò un libro a caso da un ripiano. Senza nemmeno dargli un’occhiata tornò dal bambino, che per tutto il tempo dell’operazione l’aveva guardata perplesso, e glielo consegnò.
Giochi per tutti i tipi e tutti i gusti
“Ma è un manuale di giochi – constatò Vato, sfogliando le pagine – non è proprio il genere di cosa che avevo in mente”
“Beh, meglio così! Magari ti sorprende. Adesso devo andare: purtroppo a me non ci vogliono pochi minuti per imparare una lezione di storia” sorrise Elisa, lasciandolo a rigirare il nuovo libro tra le mani.
“Ciao…” mormorò distrattamente Vato, mentre sfogliava l’indice.
Come al solito un argomento che fino a pochi secondi prima gli era sembrato stupido, adesso gli si presentava carico di aspettative. Notò che fra i giochi erano presenti anche quelli che facevano i suoi compagni durante l’intervallo… e non poté far a meno di pensare al consiglio che gli aveva dato la maestra quella stessa mattina.
 
 La stazione di polizia dove lavorava suo padre si trovava vicino al quartier generale dell’esercito.
Seduto sopra un muretto, con i libro sui giochi aperto sopra le ginocchia, Vato osservava con perplessità la differenza d’imponenza tra i due edifici: quello dell’esercito era molto più grosso. La bandiera verde e argento con dragone, simbolo di Amestris, svettava fiera in cima all’edificio, mossa dalla leggera brezza d’aprile.
“Ciao Vato, sei venuto a prendermi?” chiamò il padre uscendo dalla stazione di polizia
“Ciao papà! – salutò il bambino, scendendo agilmente dal muretto e correndo ad abbracciare il genitore – Certo che sono venuto a prenderti! Ho chiesto il permesso alla mamma!”
“Mi dispiace di non essere potuto tornare a casa per pranzo, - si scusò Vincent – ma purtroppo c’è un caso molto importante di cui ci stiamo occupando”
“Quando sarò grande potrò venire a darti una mano? – chiese il bambino, mentre si avviavano verso casa – Così farai molto prima”
“Ma certo, sono sicuro che ti piacerebbe lavorare tra tutte quelle scartoffie che abbiamo negli archivi – rise Vincent, arruffando la testa bianca del figlio – e probabilmente ci capiresti molto più di noi”
La prospettiva di poter lavorare negli archivi della polizia assieme a suo padre piaceva molto al bambino. Considerava il genitore una persona meravigliosa e lavorare con lui era la cosa che desiderava di più al mondo: per questo aveva deciso sin da quando aveva cinque anni che sarebbe diventato un poliziotto.
Certo, era un tipo di mestiere che richiedeva anche molta azione, ma lui riteneva di potersela cavare come i protagonisti di tante storie che aveva letto che, solo grazie agli indizi e a un grande intuito, avevano risolto casi difficilissimi.
Suo padre gli aveva spiegato che le cose non andavano proprio così, ma Vato continuava a credere che con una corretta analisi le situazioni si sarebbero potute risolvere senza nessun problema. Bastava conoscere le regole e farle rispettare, tutto qui.
“Come ti stai trovando a scuola?” chiese Vincent interrompendo le sue entusiastiche riflessioni
“Bene, papà. Oggi sono stato molto bravo all’interrogazione di storia”
“Non parlavo solo di questo. Come va con i tuoi compagni?”
“Bene, perché?”
Vato fissò il genitore con perplessità. Sapeva che ogni tanto lui e sua madre si preoccupavano del fatto che non stesse molto con il resto dei suoi coetanei. Sulle prime avevano pensato che fosse stata colpa del trasferimento ad East City nel bel mezzo delle scuole elementari, ma non era mai stato un bambino molto socievole, anche nella città dove stavano prima.
Il problema era che se ne preoccupavano gli altri, non lui. Semplicemente a Vato andava bene così.
“Ho visto il libro che hai in mano… - continuò Vincent – è un argomento strano per le tue letture”
“Oh, questo! Me l’ha imposto Elisa, sai la bambina della libreria: ho promesso a mamma che ne avrei preso solo due e siccome ero molto indeciso, lei ha scelto per me. Però è interessante… non pensavo che ci fossero così tanti giochi e con così tante regole”
“Le regole dei giochi sono come le regole della vita, figliolo. – sentenziò Vincent – Credo che imparerai parecchio da quel libro”
 
La sua cameretta esplodeva di libri, letteralmente. Purtroppo non era molto grande, considerato che vivevano in un appartamento, ma ogni spazio disponibile era stato utilizzato per la grande passione del bambino. Un’intera parete era occupata da una libreria ripiena di volumi di ogni argomento, mentre altri erano impilati sotto la scrivania e sotto il letto. I libri scolastici stavano su una mensola sopra la scrivania, e una mensola gemella stava sopra il letto.
Era sera inoltrata e la luce era ancora accesa: il bambino, già in pigiama, stava sdraiato prono nel letto, continuando a sfogliare il libro che Elisa gli aveva dato quel pomeriggio.
Si stava rendendo conto di molte cose e non vedeva l’ora che arrivasse la mattina successiva.
 
“Ma stai scherzando, spero” esclamò un suo compagno di classe, fissandolo a braccia conserte
“No, non sto scherzando – disse Vato con sicurezza – state giocando nel modo sbagliato. Le regole di questo gioco non sono così!”
“Senti Vato, - disse un altro, tenendo la palla in mano – ci giochiamo da anni a questo gioco e le regole le conosciamo bene”
“Ma le regole ufficiali non sono così! – ribadì il bambino, non riuscendo a capacitarsi del fatto che non capissero – Le squadre devono essere da cinque giocatori e non da otto… e poi la palla non è della grandezza giusta. Inoltre bisognerebbe verificare che le linee tracciate siano uguali a…”
“Ma la vuoi smettere? – sbottò il primo compagno, perdendo la pazienza – Hai chiesto se potevi giocare, e va bene! Però gioca!”
Vato non seppe cosa rispondere. Come poteva giocare con loro se non seguivano le regole?
“Che succede?” chiese Elisa, avvicinandosi al gruppetto nel cortile della scuola
“Stavamo giocando a Palla Nera e Vato ci ha chiesto se poteva unirsi a noi – spiegò il bambino con la palla – però poi ha iniziato a tirare fuori un sacco di regole assurde”
“Non sono assurde. Sono quelle ufficiali”
“Le regole ufficiali?” si sorprese Elisa
“Sì, le ho lette ieri sera nel libro che mi hai suggerito tu – replicò Vato recuperando la sua solita calma – Però loro non le vogliono applicare”
“Perché sono assurde! Cavolo, Vato! Siamo a scuola, vogliamo giocare tutti… e se facessimo squadre da cinque invece che da otto, qualcuno resterebbe fuori!”
“Ma le regole…”
“Me ne faccio un baffo di quelle regole! O giochi secondo le nostre o niente! Abbiamo ancora dieci minuti di intervallo e non voglio perderli in questa discussione… andiamo ragazzi!”
Vato si grattò la nuca con aria sconsolata, mentre guardava i suoi compagni allontanarsi. Elisa, accanto a lui, si mise a giocherellare con un bottone della sua giacca blu scuro.
“Vato… è solo un gioco… perché devi farla difficile?” gli chiese
“Se le regole esistono c’è un motivo… E poi, alle loro condizioni non potrei giocare. Mi conosco: continuerei a pensare a tutte le norme che stanno ignorando e non mi divertirei… e li farei arrabbiare”
Elisa sospirò, dispiaciuta per quanto era successo. Forse non era stata una buona scelta quel libro che gli aveva imposto ieri in libreria.
“C’era qualche gioco per due persone con le regole abbastanza semplici. Che si possa terminare in dieci minuti?” chiese all’improvviso con un sorriso
“Sì, almeno dieci giochi di quelli presenti nel libro” annuì lui distrattamente
“Oh, perfetto! Allora scegli il terzo in ordine crescente e spiegamelo! Ci giochiamo io e te, prima che finisca l’intervallo!”
 
“Papà, è giusto fare a meno delle regole?” chiese quella sera Vato, quando l’uomo entrò per dargli la buonanotte.
“Che intendi dire?” chiese Vincent sedendosi nel letto accanto a lui
“E’ che stamane a scuola…”
E gli raccontò quanto successo durante l’intervallo, esprimendo tutta la sua perplessità: se un gioco aveva determinate regole era giusto rispettarle, altrimenti non aveva senso giocarci.
“Non dovresti essere così rigido e schematico, figliolo – gli spiegò il padre, accarezzandogli i capelli – è stato solo un gioco”
“Sì, ma le regole del gioco sono come le regole della vita, l’hai detto tu ieri”
“Appunto. Fai attenzione Vato: le regole vanno applicate, ma a volte è meglio usare il buon senso. Hai detto tu stesso che, seguendo le regole di Palla Nera, alcuni sarebbero rimasti fuori dal gioco. E non sarebbe stato bello. Devi sempre valutare la situazione: le regole sono una cosa oggettiva certo, ma pensa anche con la tua testa, ragazzo mio”
“Mmh” annuì il bambino a capo chino, fissando le coperte verdi del letto.
Si sentiva oggettivamente uno stupido: era andato dai suoi compagni convinto di migliorare il gioco e invece aveva fatto solo la figura dello scocciatore. Forse era davvero troppo diverso da loro.
“Pensaci su, Vato – gli consigliò il padre, con un ultima arruffata di capelli – sono sicuro che ci arrivi”
E lui ci pensò tutta la notte, andando con difficoltà fuori da quanto dicevano i libri e capendo che, tutto sommato, era necessario uscire dagli schemi se voleva andare d’accordo con gli altri.
Suo padre aveva ragione: quel gioco e le sue regole erano un ottimo esempio anche per affrontare la vita.
Però, se doveva essere sincero, avrebbe continuato a leggere durante gli intervalli scolastici… o, al massimo, a fare qualche gioco a due con Elisa.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. 1894. See you later ***


Capitolo 2.
1894. See you later



“Che cosa stai leggendo, Vato?” chiese Elisa, accostandosi al banco del suo compagno
“Mi sto documentando su come diventare un poliziotto – rispose lui con entusiasmo – è una procedura differente rispetto a quella per entrare nell’esercito”
“Ma perché ti preoccupi adesso che abbiamo quattordici anni? – chiese perplessa la ragazza – Ci mancano ancora due anni di scuola prima di decidere cosa fare. Stai anticipando troppo i tempi”
“Dici? – chiese lui pensieroso. Poi scosse il capo con convinzione – Ma no, in fondo è sempre meglio essere preparati”
“E se poi cambi idea?”
“Questo mai. E’ tutta la vita che voglio fare il poliziotto come mio padre” sorrise
Gli anni delle scuole elementari e delle medie erano trascorsi, portando i due amici dall’infanzia all’adolescenza. La schietta Elisa iniziava a far intravedere la donna che sarebbe diventata: oltre che dal suo corpo, lo si intuiva soprattutto dagli atteggiamenti più tranquilli e riflessivi. I capelli castani non erano più sciolti, ma raccolti in un’alta coda dietro la testa, anche se non erano spariti i ciuffi ribelli che andavano a sfiorare gli occhi luminosi.
Anche Vato era cresciuto, soprattutto in altezza: era sicuramente il più alto dei suoi coetanei (Elisa gli arrivava appena all’altezza del cuore). A questa statura inusuale si aggiungeva anche un’eccessiva magrezza che lo slanciava ulteriormente. Ad essere onesti poteva essere scambiato per uno dei ragazzi dell’ultimo anno per via della sua espressione seria e concentrata. E anche la sua voce stava iniziando a prendere una tonalità più profonda rispetto all’anno precedente.
Nonostante fossero chiaramente in piena adolescenza, i due non avevano rinunciato al loro stretto legame. Vato continuava a frequentare la libreria del nonno di Elisa e le loro discussioni erano all’ordine del giorno, specie da quando, a partire dalle scuole medie, erano diventati compagni di classe.
“Sai, non ti ci vedo a fare il poliziotto. – dichiarò la ragazza – Sei sempre chino sui libri: quella è la tua vera vocazione”
“Mi piace leggere e adoro memorizzare tutte le informazioni possibili, è vero. Però voglio che questa mia capacità sia utile alla gente”
“Scusa, ma non riesco a vedere l’utilità di un poliziotto con una prodigiosa memoria”
“Oh certo, perché tu credi che il lavoro del poliziotto sia solo andare a fare le ronde per la città, vero?”
“Beh, di certo c’è anche altro, però…”
“Tu non hai idea di quanto siano interessanti gli archivi della polizia e del reparto investigativo dell’esercito! Mio padre me ne ha parlato una volta: decine, anzi centinaia di scaffali pieni di fascicoli, più di quanti la libreria di tuo nonno potrebbe mai averne! E quando diventerò poliziotto avrò la possibilità di accederci: memorizzando tutte quelle informazioni avrò tutti i dati che servono per risolvere i casi”
“Hai letto troppi romanzi polizieschi…”
“Fidati che sarà così! Comunque, ti serviva una mano con la ricerca di scienze, vero?”
“Sì, esatto… purtroppo con l’influenza di due settimane fa ho perso un paio di lezioni fondamentali”
“Stasera vado da mio padre e quindi non posso aiutarti, ma domani sera, se vieni a casa, posso spiegarti le cose che non hai capito e aiutarti a farla”
“Perfetto! Visto che sei così gentile, porterò anche una torta fatta da me. Sei troppo magro, Vato, dovresti mangiare di più”
“Io mangio normalmente – alzò le spalle lui – ma evidentemente il mio corpo non assimila molto”
 
“Ecco fatto, signore, questi erano gli ultimi!” sorrise Vato posando una pila di documenti sulla scrivania dell’ufficio.
“Così in fretta? – si sorprese Eric, uno dei giovani colleghi di suo padre – Accidenti Vato, sei proprio in gamba con quelle scartoffie: chiameremo sempre te quando c’è da mettere in ordine!”
“Era semplicemente stata fatta molta confusione con le cartelle durante l’ultimo cambio d’ufficio, signore – spiegò il ragazzo con serietà – si trattava solo di ripristinare la catalogazione corretta”
“Sembri già un esperto del settore, fra un paio di anni ci sarai davvero utile”
“Lo spero tanto, signore. Per me sarebbe un vero onore”
Il suo sguardo corse poi alla scrivania del padre, purtroppo vuota. Era successo di nuovo: quando era arrivato in ufficio aveva trovato Vincent che stava per uscire con buona parte della sua squadra. Purtroppo negli ultimi mesi un nuovo caso teneva impegnata la polizia di East City: una banda di criminali particolarmente aggressivi stava seminando il panico.
Anche l’esercito sta prendendo parte alle indagini – aveva detto Vincent mentre cenava a casa, due settimane prima – questo vuol dire che ci deve essere anche altro di mezzo. Forse qualche faccenda di spionaggio: pare che Drachma non sia molto tranquilla negli ultimi tempi.
Ma Drachma è a Nord… come hanno fatto ad arrivare sino ad East City? – aveva chiesto Vato con perplessità
Infiltrazioni, spionaggio. E’ una questione molto complicata, Vato… ma ti posso garantire che non è per nulla impossibile penetrare ad Amestris.
Quelle parole risuonarono nella mente del ragazzo, mentre passava un dito nella scrivania di legno e andava a toccare una penna lasciata sul lato destro. La mise perfettamente parallela al bordo del mobile e poi sospirò: non che gli fosse dispiaciuto mettere a posto tutto quel materiale, ma avrebbe preferito di gran lunga che suo padre fosse presente. Invece avevano fatto in tempo a scambiarsi solo un rapido saluto.
Scuotendo il capo per allontanare quei tristi pensieri, Vato fissò il giovane Eric nella sua divisa marrone scuro e provò ad immaginarsi con il medesimo abbigliamento tra qualche anno. L’idea gli piacque così tanto che non poté far a meno di sorridere.
“Beh, se non c’è altro da fare, io tornerei a casa” propose, rivolgendosi ad Eric. Non gli piaceva stare con le mani in mano e di certo non poteva pretendere che lo mettessero a fare altro.
“Va bene, Vato. Mi dispiace solo che tuo padre sia dovuto uscire così di fretta”
“Oh, nessun problema: so bene che il suo lavoro richiede di essere sempre reperibili. A presto, signore” salutò, prendendo il suo zaino e avviandosi alla porta.
“A presto, ragazzo”
 
Era appena uscito dall’edificio della polizia quando, dal vicino Quartier Generale dell’esercito, vide uscire diversi militari e si fermò ad osservarli.
Per quanto si sentisse molto più vicino al corpo di polizia, l’esercito regolare non poteva fare a meno di suscitare in lui un senso di ammirazione: c’era una disciplina più marcata nei movimenti di quei soldati, un maggiore senso di autorità nelle loro divise blu, con quel cordino dorato e i galloni con i ranghi sulle spalle della giacca.
Vato aveva studiato parecchio e aveva scoperto che tra polizia ed esercito c’erano notevoli differenze. Era il secondo ad avere maggiore peso, in quanto Amestris era uno stato pesantemente militarizzato: non per niente a capo della nazione c’era il Comandante Supremo che era anche al comando delle forze armate. Una situazione governativa simile era perfettamente concepibile: Amestris si era espanso tantissimo nei secoli precedenti, andando a conquistare paesi limitrofi ed eliminando così gli stati cuscinetto che lo separavano dalle grandi potenze che ora erano vicini diretti. Creta, Drachma, Aerugo… a volte alleati, a volte nemici: i confini non erano mai veramente stabili; era ovvio che il paese dovesse avere un esercito forte. Per diventarne membri bisognava frequentare due anni di Accademia Militare, mentre per entrare nella polizia bastava un anno di un Corso meno specifico.
A rigor di logica vedere differenze simili avrebbe dovuto dargli fastidio, ma non era così infantile. Sapeva bene che la polizia aveva funzione di ordine pubblico nelle città e lui era fierissimo del lavoro che svolgeva suo padre: era a più diretto contatto con le persone e si risolvevano problemi più vicini alla gente comune.
L’unica cosa che forse dispiaceva al ragazzo era il fatto che la documentazione e gli archivi a cui poteva accedere un membro dell’esercito erano molto più vasti rispetto a quelli a disposizione della polizia: fatto ugualmente inevitabile data la differenza d’importanza delle due istituzioni.
Ma nonostante questa piccola crepa, il desiderio di Vato era sempre quello di seguire le orme paterne.
I militari sparirono dalla sua visuale e lui si riscosse per riprendere la strada verso casa.
 
“Quindi dubiti che tuo padre tornerà a cena anche stasera?” chiese Rosie, mentre armeggiava nella cucina.
“Sì, mamma – sospirò Vato, mentre apparecchiava per due – purtroppo la sua squadra è dovuta uscire di corsa e sembra che la cosa li terrà impegnati per molto. Sai, è il caso di quella banda di cui ci ha parlato tanto”
“Capisco. – annuì lei, portando in tavola la pentola con lo stufato e versandone una porzione nei piatti – Purtroppo è un caso così complicato... Mi dispiace che questo pomeriggio tu sia andato da lui invano”
“Oh, stai tranquilla, mamma. – sorrise Vato – Ho dato una mano a sistemare della documentazione e mi sono divertito tanto. Certo, non era niente di importante, però è stato interessante”
Che poi avesse memorizzato la maggior parte di tutto quello che aveva visto era un particolare che preferiva tacere. Non che ci fosse qualcosa di sbagliato, altrimenti non gli avrebbero mai messo in mano documenti di una certa importanza, però non poteva far a meno di sentirsi leggermente in colpa.
Ma gli veniva così naturale…
“Ah! – si ricordò all’improvviso – Domani pomeriggio viene Elisa a casa, la devo aiutare con una ricerca di scienze”
“La tua compagna? – sorrise la madre, con una punta di malizia – E’ molto carina”
“Eh? – arrossì lui, capendo il sottinteso – Ma no, la devo solo aiutare perché ha perso alcune lezioni quando è stata malata. Ha detto che porterà anche una torta: secondo lei sono troppo magro, ma le ho detto che mangio normalmente”
“Che sei magro è un dato di fatto, tesoro: – lo canzonò Rosie, passandogli un dito sullo zigomo prominente – se non ti vedessi tutti i giorni pranzare e cenare, direi pure io che non mangi abbastanza. Ma è chiaro che assimili tutto in altezza… ormai sei alto come me, ed hai appena quattordici anni”
“Anche papà è molto magro”
“Oh, in questo vi assomigliate tantissimo, hai preso molto da lui”
Altezza, occhi allungati, fisico asciutto e slanciato: Vato era effettivamente molto somigliante al genitore,  anche se in lui quelle caratteristiche venivano estremizzate. Solo i capelli di due colori così contrastanti erano una sua peculiarità: suo padre infatti era bruno di capelli e solo negli ultimi anni erano iniziati ad ingrigire proprio nella parte dove Vato li aveva bianchi dalla nascita.
Dalla madre invece non aveva preso molto: c’era un’aria di famiglia, certo, forse in alcuni atteggiamenti o movimenti, ma niente di così evidente. Vato le era molto affezionato: da sempre capitava che restassero soli per diversi giorni, dato il lavoro di Vincent. Rosie era maggiormente consapevole dei silenzi del figlio per l’assenza del padre, delle piccole sfumature nelle sue espressioni a seconda di quello che leggeva. Ma se la madre era la figura rassicurante che sei sicuro di ritrovare a casa, il padre era l’eroe, colui del quale vuoi seguire per forza le orme.
A volte il ragazzo pensava a queste sfumature nel rapporto con i suoi genitori. Si era chiesto se era giusto eroizzare uno e non l’altra, ma sembrava che a sua madre andasse bene quel tipo di rapporto più tranquillo, fatto di chiacchierate durante i pasti o durante la sera.
Ed in ogni caso, Elisa è soltanto una mia compagna di classe.
 
Era mezzanotte passata e proprio non riusciva a prendere sonno.
La cosa gli dava molto fastidio perché non era una di quelle notti in cui rimaneva a rimuginare su qualcosa: semplicemente il suo corpo non ne voleva sapere di addormentarsi. Con un sospiro si scostò le coperte di dosso e si alzò dal letto; i piedi scalzi solleticarono lievemente al contatto con il freddo pavimento della stanza, ma lui proseguì fino ad accendere la luce.
Piuttosto che stare a rigirarsi tra le coperte, tanto valeva prendere un libro.
Si portò davanti alla libreria più grande della sua stanza e fece vagare lo sguardo tra le decine di volumi che conosceva a memoria: se avesse voluto un libro specifico non avrebbe avuto nessun problema a conoscerne la dislocazione, ma quella notte cercava solo qualcosa che lo potesse aiutare a passare il tempo.
Il suo sguardo cadde sul libro dei giochi, quello che quattro anni prima Elisa gli aveva rifilato perché lui non riusciva a decidere cosa comprare. Prendendolo in mano lo sfogliò distrattamente: conosceva a memoria la storia di qualunque gioco contenuto in quel libro. Lo scopo principale di quel testo era insegnare al lettore come giocare, ma, se doveva essere sincero, Vato l’aveva usato anche per riflettere, proprio come gli aveva suggerito suo padre. C’erano molte analogie tra i giochi e la vita e lui se ne era reso piano piano conto, andando oltre la semplice memorizzazione. Regole semplici nascondevano in realtà sfumature più profonde ed inoltre si era convinto che, alla fine, bisognava sapersi adattare.
Effettivamente dopo queste riflessioni era riuscito ad avere maggiori rapporti con i suoi compagni: per lo meno erano riusciti a giocare insieme senza discutere sulla validità o meno di alcune norme. Però non si era mai sentito molto entusiasta di questa socializzazione: erano bravi ragazzi, divertenti, ma non riusciva a sentire nei loro confronti l’esigenza di instaurare un legame che andasse oltre qualche occasionale conversazione assieme. L’unica che aveva questo privilegio era Elisa, ovviamente.
Ma se sua madre voleva insinuare qualcosa solo per il fatto che la aiutava nella ricerca di scienze, beh, le cose non erano per niente così… anzi!
 
Un improvviso bussare alla porta di casa lo fece sobbalzare così violentemente che il libro gli cadde di mano.
Guardando la sveglia sulla scrivania vide che era mezzanotte e mezza… chi poteva essere?
Sentì la porta della camera dei suoi genitori che si apriva, i passi soffocati di sua madre, la sua voce che chiedeva qualcosa.
Un bruttissimo brivido gli corse lungo la schiena.
Si costrinse ad andare alla porta ed aprirla.
Le luci erano accese ed il corridoio gli sembrò estremamente lungo da percorrere. Le voci erano sempre più vicine e finalmente arrivò alla porta d’ingresso.
Polizia?
Lui… lui conosceva diversi di quei volti: erano colleghi di suo padre. Aveva parlato decine di volte con loro quando andava a prenderlo alla stazione. Ma perché erano a casa sua a quell’ora? E perché avevano quelle espressioni addolorate? Alcuni avevano gli occhi pieni di lacrime.
Le loro figure circondavano sua madre, in camicia da notte coperta da una vestaglia rosa chiaro. I capelli neri erano sciolti sulle spalle… il viso nascosto tra le mani, le spalle che sussultavano.
“Oh Vato! Sei sveglio” uno dei poliziotti, Steve, si accorse di lui.
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma era imbambolato alla fine del corridoio, ancora scalzo, ma con un freddo molto più intenso dentro il cuore. Perché non bisognava essere dei geni per capire cosa stava succedendo.
Dov’è mio padre?
 
Nei libri che amava leggere l’eroe non moriva mai.
Stare davanti a quella fossa mentre la bara veniva calata al suo interno lo faceva sentire male.
In quella bara c’era il suo eroe… ma prima di tutto era suo padre.
Lo sapeva, lo sapeva benissimo che in un lavoro come quello del poliziotto si poteva rischiare la vita. Ma nella sua stupida ingenuità aveva pensato che suo padre fosse esente da questo rischio.
La mano di sua madre che cercava la sua e la stringeva convulsamente lo riportò alla realtà. Rifiutandosi di guardare ancora quella fossa, si girò di lato… oh, avesse potuto escludere dai suoi sensi anche il rumore della terra che veniva gettata sopra. Così pesante, così brutto.
Vide i colleghi di suo padre, in uniforme, sull’attenti… i visi incredibilmente mesti.
Parenti, amici di famiglia, qualche suo compagno di scuola… Elisa, assieme ai suoi genitori.
Si girò dall’altra parte per incontrare il volto di sua madre. Le stavano male i capelli tirati indietro in quel modo così forzato: levavano quel poco di colore al viso già pallido per il dolore delle ultime trentadue ore.
Lacrime, pianti, tutto in maniera profondamente discreta… forse in questo si somigliavano davvero.
L’unico gesto convulso era stato quell’abbraccio che l’aveva stretto, quando si era resa conto che lui era lì fermo nel corridoio. Ed era rimasto immobile e rigido mentre le braccia di lei lo cingevano, nel cercare un conforto per lui e allo stesso tempo un appiglio emotivo per se stessa.
Papà non torna più… è morto
Ucciso nell’inseguimento di quei criminali.
Morto in servizio e dunque funerali con onorificenza per Vincent Falman.
Ma non c’era nessun onore nel rumore così brutto di quelle zolle di terra sulla sua tomba.
 
La casa era silenziosa, nonostante tutte le persone presenti.
Amici e parenti che confortavano sua madre, che parlavano discretamente dell’orribile sorte che era toccata a quella famiglia così tranquilla.
Vato vagava tra di loro, sentendosi stranamente assente. Intuiva che, come lo vedeva arrivare, la gente smetteva di parlare, sicuramente per non turbarlo. Del resto tutti l’avevano sempre definito un ragazzo silenzioso e sensibile.
Il peso che aveva nel cuore era tremendo e stare in mezzo a quella gente lo faceva star peggio. Loro non potevano capire cosa significasse aver perso il proprio padre. Per quanto intuisse che in loro c’erano le migliori intenzioni, non vedeva l’ora che andassero via e lasciassero lui e sua madre soli.
Sentendo una lieve vertigine decise di andare nella sua camera.
Il libro sui giochi giaceva ancora nel pavimento, dove era caduto quella notte.
Vato lo raccolse distrattamente e si sedette nel letto, fissando la libreria davanti a lui. I titoli sui dorsi delle copertine scorrevano davanti ai suoi occhi: la sua mente prese a scavare sul contenuto di ciascuno di loro, ma non c’era nessuna risposta al dolore sordo che gli invadeva l’anima.
Tutto quello che aveva memorizzato… adesso era nullo.
Scuotendo il capo si impose di reagire. Aprì convulsamente il libro sulle sue ginocchia ad una pagina a caso… scacchi.
Gioco di strategia che vede opposti due avversari il bianco e il nero. Consiste in una tavola quadrata composta di 64 caselle di due colori alternati e contrastanti…
La sua mente iniziò a ripetere a memoria la storia e le norme di quel gioco a caso.
Sedici pezzi… pedoni, torri, cavalli, alfieri, regina, re…
Un senso crescente di nausea gli fece serrare gli occhi. Si costrinse a continuare
L’alfiere, uno dei pezzi leggeri... si muove diagonalmente per il numero di caselle libere che trova davanti. Accede solo a 32 delle 64 caselle…
Si accorse di essere al limite e fece in tempo a raggiungere il bagno prima di vomitare.
Bile. Solo bruciante bile uscì dai suoi conati disperati… perché non aveva altro nello stomaco.
Rimase inginocchiato davanti al gabinetto, sentendo gocce di sudore sulla fronte e lungo il collo.
Contò mentalmente fino a venti, respirando profondamente e controllando il tremito delle gambe.
Si diresse al lavandino e si lavò il viso con acqua fredda, guardando poi le gocce che cadevano dai ciuffi di capelli bianchi sulla fronte.
…hai preso molto da lui.
No, non è vero. Non assomigliava per niente a suo padre. Lui non si sarebbe mai ridotto così, non avrebbe mai avuto quella faccia così devastata dal dolore.
Abbassò lo sguardo dallo specchio e tornò in camera sua.
 
Aprendo la porta fu sorpreso di vedere Elisa, vestita di nero, seduta nel suo letto.
“Ciao Vato… - mormorò girandosi a guardarlo, la fronte libera dalle solite ciocche ribelli, tenute indietro da delle forcine – è… è che non ti ho visto più con tutti gli altri”
Lui non rispose e le si sedette accanto
Notò distrattamente che teneva un pacchetto in grembo.
“Oh – arrossì lei, accorgendosi dell’oggetto della sua attenzione – è… una fetta della torta che ti avevo promesso a scuola. Ho pensato che…”
“Mi… mi dispiace, ma proprio non riuscirò ad aiutarti nella ricerca di scienze”
Disse quelle parole in tono sommesso, la prima frase di senso compiuto che riuscisse a tirare fuori dopo quelle ore da incubo.
“Non devi preoccuparti! – esclamò lei – L’importante è che ti riprenda da questo momento! Davvero, non devi pensare alla scuola, adesso”
No… dammi qualcosa a cui pensare! Non lasciarmi ad ammazzarmi in questo vuoto
Si lasciò cadere all’indietro nel letto, rischiando quasi di sbattere la testa contro la parete.
“Ci vediamo più tardi…”
“Vuoi che vada? – disse lei – Beh, posso capire che voglia stare solo, anzi scusami per essere entrata in camera tua senza…”
Vato allungò un braccio e afferrò la mano di lei, impedendole di alzarsi
“Sono… sono le ultime parole che gli ho detto” mormorò
Si mise una mano davanti agli occhi e rimase in silenzio per il resto della serata, anche dopo che Elisa fu andata via. Nemmeno lei aveva detto una parola.
La fetta di torta rimase intatta nel suo letto.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. 1898. You're not him ***


Capitolo 3.
1898. You're not him




Dossier.
Una semplice parola che da un anno era diventata il suo mondo.
La grande stanza che conteneva l’archivio della polizia era occupata interamente da dieci file di scaffali, ciascuna con sette ripiani, colmi di cartelle e scatole contenenti documenti. Più di cinquemila casi riguardanti l’ultimo cinquantennio della vita di East City, altrettanti documenti relativi al periodo precedente, tra cui diversi manoscritti da maneggiare con cautela per via del loro stato di degrado avanzato.
L’odore della carta, dell’inchiostro, il silenzio interrotto solo dal frusciare della carta. E soprattutto milioni di informazioni che venivano assorbite nella sua testa a velocità incredibile.
Ecco perché il poliziotto Vato Falman raramente si vedeva in strada a fare le ronde.
Per volontà sua e dei suoi colleghi gli era stato affidato l’archivio della stazione di polizia che, dopo il suo arrivo, aveva assunto un aspetto decisamente migliore.
 
Sistemando la documentazione relativa all’ultimo caso avuto il mese scorso, Falman sospirò e si stiracchiò con soddisfazione, prima di alzarsi dalla sedia e dirigersi allo scaffale dove riporlo.
Era entrato nella polizia da circa un anno, dopo aver superato il corso con estrema facilità. Ad essere sinceri non si era trattato di un impegno molto gravoso: sembrava che i poliziotti dovessero sapersi destreggiare con ben poche materie. Anche le lezioni per imparare a sparare erano state piuttosto sommarie: era un chiaro segno di come il ruolo della polizia stesse sempre di più venendo meno, relegandosi a mere ronde sulla strada.
Non era difficile capirne i motivi: gli ultimi anni avevano visto un'ulteriore militarizzazione di Amestris. Il Comandante Supremo King Bradley aveva dichiarato che era priorità dare nuova linfa all’esercito: e questo voleva dire che la situazione di relativa tranquillità degli ultimi anni stava per terminare. Non si sapeva ancora da che confine sarebbe giunta la minaccia, ma tutti si aspettavano che il precario equilibrio di quella pace si spezzasse da un momento all’altro.
Le forze erano dunque tese a formare nuovi soldati in Accademia, mentre i poliziotti regolari si erano dovuti accontentare di corsi più rapidi.
E così, in nemmeno un anno, Falman era entrato nel corpo di polizia, realizzando il suo sogno di una vita.
Ma le cose non erano proprio come aveva desiderato: forse tutto era cambiato dalla morte di suo padre.
Sentiva che quella divisa marrone non riusciva a rappresentarlo come doveva e le poche ronde che aveva compiuto l’avevano lasciato con un profondo amaro in bocca.
Dov’era il suo grande desiderio di aiutare le persone comuni, di essere vicino alla gente?
Non c’era niente di meraviglioso come invece gli era sembrato quando il medesimo lavoro era svolto da suo padre. La paura di aver erroneamente mitizzato tutto quell’ambiente gli attanagliava il cuore diverse volte al mese, ma ancora cercava di nascondere a se stesso la realtà dei fatti: ossia che quello non era il posto per lui.
L’unica cosa che gli desse conforto era l’archivio: almeno quello era come se l’era immaginato.
Memorizzare tutti quei dati era una cosa che aveva sempre voluto fare, aver accesso a tutte quelle informazioni gli dava l’impressione di avere una preziosa chiave. Non sapeva ancora che scrigno avrebbe aperto, ma sapeva che sarebbe stato così un giorno o l’altro.
Vagando tra quegli scaffali arrivò a un punto che conosceva bene: sesto dalla parete di destra, quarto piano, secondo fascicolo partendo da sinistra. Sfiorò con un dito quella cartelletta che aveva letto decine di volte, sebbene l’avesse memorizzata dalla prima visione.
Il dossier relativo alla banda che aveva ucciso suo padre.
Sebbene fossero passati sei anni, quel caso restava ancora aperto: altri tre poliziotti e due soldati erano morti per colpa di quei malviventi, ed ora tutto era in mano esclusivamente all’esercito.
Era da circa due anni che non si avevano più notizie sulle indagini e alcuni ipotizzavano che la banda si fosse spostata altrove, forse a Central. Purtroppo Falman non poteva che fare supposizioni: le informazioni di quel fascicolo si fermavano, appunto, a due anni prima e nelle ultime parti erano veramente poco esaustive.
Scosse la testa con disappunto, rimproverandosi per essere così sciocco da rimuginare ancora su quella storia.
 
Controllando l’orologio sulla parete della stanza vide che il suo turno era ormai finito.
Recuperando la sua giacca dallo schienale della sedia, uscì dalla centrale di polizia, assaporando l’aria fresca della sera settembrina.
Sua madre lo attendeva per cena.
Al contrario di quanto succedeva quando era vivo suo padre, Falman aveva raramente saltato un pasto a casa. Certo, il suo ruolo era meno importante rispetto a quello di Vincent, del resto era ancora alle prime armi e non aveva incarichi impegnativi; tuttavia si era ripromesso di essere presente nella vita di sua madre il più possibile. Sapeva bene il senso di tristezza che si provava nel vedere un posto vuoto a tavola e ora che erano solo in due la cosa per sua madre doveva essere ancora più dolorosa.
Si erano ripresi da quel tremendo momento di sei anni prima: ovviamente la vita era andata avanti.
Nei primissimi mesi era vacillata anche la sua idea di fare il poliziotto, ma era stata sua madre a spronarlo a proseguire per la propria strada.
Non lo farai felice se rinunci ai tuoi sogni…
Già, i suoi sogni.
Sempre più vicini dopo la fine degli studi, dopo quel corso… ma una volta raggiunto l’obbiettivo non si era ritrovato con quello che si aspettava.
Forse aveva avuto ragione Elisa quando, anni prima, gli aveva detto che la sua vera vocazione erano i libri.
Adesso lei lavorava nella libreria del nonno, ma non aveva rinunciato alla sua idea di diventare infermiera (decisione che aveva maturato durante l’ultimo anno di scuola) e così continuava a studiare per conto proprio.
Ogni tanto a Falman capitava di passare ancora in quella libreria, ma non spesso come una volta: la maggior parte dei libri avevano perso la loro attrattiva… specie i romanzi polizieschi. La sua attenzione si era focalizzata su argomenti enciclopedici e annalistici, senza contare tutti i dossier con cui aveva a che fare ogni giorno.
Pensò che, tutto sommato, poteva farci un salto, dopotutto erano due settimane che non passava…
I suoi pensieri furono interrotti da un grido da una strada laterale.
Era fuori servizio ormai, ma il senso del dovere veniva prima di tutto: prendendo la sua pistola dalla fondina alla cintura corse verso quella voce.
 
L’impatto con il marciapiede era stato più duro del previsto, ma considerata la potenza della detonazione era andata bene. Riaprendo gli occhi vide che anche la donna che aveva protetto col suo stesso corpo sembrava illesa, mentre attorno a lui iniziavano a ronzare decine e decine di voci.
Delle braccia volenterose lo aiutarono a rimettersi in piedi e solo allora si girò per guardare l’edificio da cui erano usciti appena in tempo: l’esplosione non era stata così potente da far cedere i muri portanti, ma il primo piano era stato completamente sfondato e ora un denso fumo nero continuava ad uscire da quelle che una volta erano porte e finestre.
“Agente, che è successo?”
Una voce alle sue spalle lo fece girare e, nonostante lo stordimento, trovò la forza di fare un saluto militare davanti a quello che era un tenente dell’esercito.
“Agente Vato Falman a rapporto, signore! – esclamò con voce leggermente roca per il fumo; la polizia era subordinata all’esercito e lui doveva a quella persona il medesimo rispetto che avrebbe dato a un suo superiore. – Si è trattato di una detonazione, signore. Ma sia io che la signora siamo andati via in tempo”
“Che posto era quello, signora?” chiese il tenente rivolgendosi alla donna che era stata accompagnata accanto a loro
“Era l’ufficio amministrativo della compagnia commerciale per cui lavoravo. Ero la segretaria”
“Ed il proprietario dove si trovava?”
“Il signor Kenos è scomparso qualche settimana fa – rispose lei ad occhi bassi – e non ne abbiamo avuto più notizie”
“Leonard Kenos, noto commerciante: caso 245. – recitò Falman ricollegando il nome – Denuncia di scomparsa il 3 agosto 1898: le indagini non hanno portato a nessun risultato”
“Mh, - annuì l’uomo fissando Falman – capisco. E le dinamiche dell’incidente di qualche minuto fa?”
“Stavo tornando a casa dopo il mio turno alla centrale di polizia, quando ho sentito un grido provenire da questa direzione; ho fatto in tempo a vedere tre persone che uscivano di corsa dalla porta di quell’edificio. Sentendo che le grida continuavano sono entrato dentro e ho trovato la signora legata ad una sedia… ho iniziato a slegarla e lei mi ha detto che c’era una bomba dentro alcuni armadi. Non c’è stato molto da fare signore: purtroppo mi è bastato vederla per capire che era un ordigno che poteva essere disinnescato solo da personale altamente qualificato… l’unica cosa che ho potuto fare è stato liberare la signora e uscire da lì. Fortunatamente la detonazione non ha causato danni al di fuori dell’edificio”
“Capisco…”
Il tenente iniziò a passarsi la mano sul corto pizzetto grigio. Falman lo studiò attentamente, notando gli occhi azzurri sul quel viso scarno e la cicatrice biancastra che andava dal sopracciglio sinistro fino all’orecchio
“Il caso Kenos è ancora in mano alla polizia?” chiese l’uomo dopo aver riflettuto
“Sì, signore”
“Bene. Agente Falman, entro due giorni vorrei un rapporto dettagliato tra quanto successo oggi e tutto il materiale sul caso Kenos. A quanto pare si va oltre il rapimento di una persona: un ordigno simile significa che c’è altro sotto… e di questi tempi, la cosa passa sotto la giurisdizione dell’esercito.”
“Sissignore, le farò pervenire il mio rapporto entro due giorni come richiesto”
“Molto bene. Adesso vada a farsi vedere da un medico, giusto per verificare che sia tutto in ordine”
“Grazie per l’interessamento signore, vado subito”
“Ah, un ultima cosa… Vato Falman, eh?” chiese, fissandolo con attenzione per la prima volta
“Sì, signore” annuì perplesso lui
“Il rapporto portalo personalmente tu al Quartier Generale dell’esercito. Venerdì alle dieci di mattina: chiedi del tenente Alaric Mc Dorian”
“Sì, signore!”
 
Suo padre aveva avuto un piccolo studio nel loro appartamento.
Era una stanzetta relativamente piccola che aveva come arredamento solo una scrivania e una piccola libreria.
Falman raramente vi aveva messo piede quando il padre era vivo, ritenendolo un luogo troppo sacro per violarlo. Dopo la sua morte aveva chiesto alla madre di lasciare tutto intatto, motivando quella richiesta col fatto che, tanto, quella stanza non serviva. Per rafforzare quella scusa l’aveva utilizzata come ripostiglio per metterci alcune scatole di libri quando lo spazio in camera sua era diventato veramente poco.
Solo dopo che era diventato poliziotto si era sentito pronto a prendere possesso di quella stanza. Aveva passato un’intera giornata a ripulirla e a sistemare i suoi libri da una parte; aveva spulciato ogni singolo volume presente nella libreria, scoprendo che si trattava di testi di legislazione, saggi di investigazione: insomma quanto era utile per un poliziotto del calibro di suo padre.
Frugando tra i cassetti della scrivania vi aveva trovato diversi appunti sui casi che stava trattando quando la morte l’aveva colto: aveva passato giorni e giorni a studiarli, ricollegandoli ai dati a cui aveva finalmente accesso. Nella sua mente le informazioni venivano unite tra di loro con tante piccole linee invisibili, trovando, nel loro insieme, un senso molto chiaro. Era incredibile come dei casi apparentemente senza alcuna relazione tra di loro, fossero invece derivati dalla stessa matrice rivoluzionaria che ormai appestava Amestris. Tanti piccoli segnali che, se colti in tempo, facevano capire che si stava degenerando verso una guerra civile.
Guerra civile.
Quelle parole risuonarono nella mente di Falman come si sedette alla scrivania, quella sera, con una risma di fogli bianchi davanti a sé. Perché quello in cui era stato coinvolto quella sera era un attentato e l’uomo sparito un mese prima non era un semplice commerciante: era anche originario di Aerugo.
Impiegò solo dieci minuti a stilare il rapporto di quanto era successo quella sera.
Ma rimase tutta la notte per scrivere una relazione molto più dettagliata su quanto stava emergendo.
Aveva finalmente capito quale scrigno avrebbe aperto la chiave della sua memoria.
 
La porta si aprì con discrezione per far entrare sua madre.
“Vato, è mattina. Non hai dormito nulla: sei rimasto chiuso in questo studio anche questa notte”
“Oh, davvero? – mormorò lui, rendendosi conto che la luce del giorno illuminava la stanza, rendendo superflua la lampada della scrivania. Abbassando lo sguardo vide una risma di almeno cento pagine ricoperte della sua scrittura ordinata. Non si era reso conto di aver lavorato così tanto – Non ti preoccupare, mamma, non sono molto stanco”
“Almeno vieni a fare colazione” sospirò lei
“Certo, arrivo”
Si alzò dalla sedia, accorgendosi di essere particolarmente indolenzito e di avere una gran fame.
Era venerdì mattina e lui aveva passato le ultime due notti a buttare giù e rivedere quel lavoro. Non sapeva perché aveva voluto compiere un’opera simile, considerato che gli era stato chiesto solo un rapporto dell’attentato. Tuttavia il tenente Mc Dorian aveva acceso in lui qualcosa di inaspettato.
“Stamattina devi andare a lavoro?” chiese la madre mettendogli davanti una tazza di caffellatte e riscuotendolo dai suoi pensieri
“Non proprio. Devo incontrarmi con un tenente dell’esercito per consegnarli un rapporto”
“Esercito?”
“Sì, ma niente di importante”
E allora perché mi sento come se fossi ad un bivio fondamentale?
Improvvisamente si accorse di non avere più tanta fame.
La madre tagliò una fetta di torta e gliela mise davanti
“No, non è che ne abbia tanta voglia…”
“Credo che tu debba essere veramente in forma per l’incontro di stamattina” mormorò Rosie, fissandolo con un sorriso comprensivo.
 
Mentre un soldato lo scortava verso l’ufficio del tenente Mc Dorian, Falman si sentiva completamente fuori posto. Quelle divise blu, che contrastavano così tanto con la sua marrone scuro, quei corridoi molto più grandi rispetto a quelli della centrale di polizia… era tutto decisamente più maestoso e più… giusto.
Falman si sentiva come se vedesse per la prima volta una realtà che gli era sempre stata tenuta nascosta. Sentiva che quell’ambiente gli lanciava stimoli incredibili: nessuno dei soldati aveva lo sguardo annoiato o rassegnato dei membri della polizia. Nei loro volti, nella loro camminata, c’era una grande motivazione, un orgoglio incredibile.
Ed io sono sempre stato dalla parte sbagliata del fiume…
Era questo il pensiero che gli ronzava in testa mentre seguiva il suo accompagnatore fino all’ufficio del tenente Mc Dorian.
Non sapeva niente di questo personaggio: gli archivi della polizia non avevano informazioni di questo tipo, di conseguenza Falman dovette affidarsi a quello che gli diceva l’istinto. Mentre quell’uomo sulla cinquantina leggeva il rapporto con estrema attenzione, Falman lo osservò con discreta curiosità.
Nonostante la sua divisa fosse in perfetto ordine, la portava con una disinvoltura dettata da anni ed anni di esperienza; le mani che tenevano il rapporto erano segnate da numerose piccole cicatrici e questo indicava che era una persona che aveva vissuto esperienze sul campo. Gli occhi azzurri erano estremamente magnetici, con un qualcosa che a Falman ricordava un rapace; rughe d’espressione sulla fronte e ai lati della bocca, tuttavia, indicavano che era anche una persona tendente al riso e al divertimento.
Quell’uomo si prese tutto in tempo necessario per leggere le pagine che Falman aveva scritto senza che nessuno glielo chiedesse. La sua attenzione era molto maggiore rispetto a quella mostrata per il rapporto sull’esplosione.
Come concluse la lettura, Mc Dorian posò i gomiti sulla scrivania, appoggiando il mento sulle mani e fissò Falman.
“E così tu sei il figlio di Vincent”
A quelle parole Falman sussultò lievemente: mai si sarebbe aspettato una dichiarazione simile, specie da parte di un tenente dell’esercito.
“Conosceva mio padre, signore?”
“Sì, ho avuto occasione di lavorare con lui alcune volte, prima che la situazione diventasse così delicata. E prima che il corpo di polizia venisse ridotto a mere ronde. Cavolo – emise una risata sarcastica – due giorni fa ho creduto di vedere un fantasma: ho dovuto far appello a tutto il mio autocontrollo per tenere un tono distaccato e avere anche la faccia tosta di chiedere il tuo nome”
“Perché tutta questa discrezione, signore?”
“Purtroppo c’è chi non vedeva di buon occhio la mia stretta collaborazione con un membro della polizia come Vincent Falman. Tempi duri, ragazzo mio: l’esercito si sta chiudendo in se stesso nell’attesa che scoppi la guerra… una notizia che non ti sorprende a quanto vedo: - gli occhi azzurri lampeggiarono d’approvazione – e come potrebbe sorprenderti? In questa relazione spieghi le cose meglio di quanto farebbe la maggior parte degli uomini con cui lavoro”
“La ringrazio per queste lodi, signore”
“Vincent mi parlava spesso di te, – scrollò le spalle Mc Dorian – della tua grande memoria ed intelligenza. E oggi ho avuto la conferma che non erano le vanterie di un padre troppo orgoglioso: sei sprecato nella polizia, Falman”
Falman a quell’affermazione si irrigidì nella sedia: da una parte sì sentì ferito nell’orgoglio nel sentire la professione tanto amata da suo padre trattata in quel modo. Ma una parte segreta di lui esultava nel sentire Mc Dorian esternare quelli che erano stati i dubbi di tutti quei mesi da quando aveva finito il corso.
“Mio padre…” iniziò
“Vincent Falman era un grande poliziotto: un uomo d’azione in un periodo in cui polizia ed esercito potevano dare molto l’una all’altro. Ma nell’ultimo decennio la situazione è radicalmente cambiata.
Ma, soprattutto, da questa relazione emerge un fatto molto importante: tu sei sprecato in una polizia ridotta a fare ronde”
“Signore, io non credo di essere un uomo d’azione…”
“No, non nel modo in cui lo era Vincent. – annuì il tenente – Ma tu sei suo figlio, Vato, non sei lui. Quello che andava bene per lui non deve per forza andar bene a te”
Falman emise un sospiro tremante. Quell’uomo in cinque minuti gli aveva esposto la realtà dei fatti con brutale franchezza, facendolo sentire un completo idiota.
“Ho seguito… - mormorò – ho seguito la sua strada perché è sempre stato…”
“Dossier, archivi, informazioni… memoria e capacità di collegamento, ecco la tua forza, ragazzo mio. – disse pacatamente Mc Dorian alzandosi e andando a posare una mano sulla spalla di Falman – Ma questa tua dote non troverà mai la sua vera applicazione nella polizia. Tu sai benissimo cosa vuoi davvero… e sai altrettanto bene che stando con questa divisa marrone non lo otterrai mai”
“Gli archivi dell’esercito…”
“Eh già. Lì ci sono i dati che mancano e che tu cerchi, vero?”
“Ma signore – si disperò Falman – ormai sono un poliziotto. Ho fatto una scelta sbagliata e…”
“Quanti anni hai?”
“A gennaio diciannove”
Mc Dorian annuì e tornò dietro la scrivania per frugare dentro un cassetto, tirandone fuori alcuni documenti
“Alcune materie del corso per la polizia sono le stesse che in Accademia, quindi è come se uno dei due anni fosse già fatto. Farò una richiesta speciale e ti recuperi le materie che ti mancano… non penso che ci siano problemi per una testa come la tua.”
“Vuole che entri nell’esercito?”
“Un po’ in ritardo rispetto ai normali soldati, ma faremo un’eccezione: la voce di Alaric Mc Dorian conta ancora parecchio nell’esercito. E sono certo che il Colonnello Grey prenderà a cuore un caso come il tuo, specie se verrà a conoscenza delle tue doti. Uno come te non si lascia indietro, parola mia”
“Però…”
“Però cosa?”
“Le regole…”
“Le regole del gioco si adattano alla situazione, Falman. E’ la prima regola che dovrai imparare quando verrai a giocare con la mia squadra. Allora… un anno in Accademia e facciamo di te un soldato. La questione finale è… quale divisa rappresenta meglio la tua persona, Vato? Quella che indossi in questo momento o quella che ho addosso io?”
Falman fissò per lunghissimi cinque secondi quell’uomo, quella luce in fondo al tunnel del dubbio.
“Mi dica cosa devo fare per entrare in accademia, signore” disse con voce sicura, come mai gli era successo.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. 1900. On the right side ***


Capitolo 4.
1900. On the right side




“Bene, adesso nella mia carriera di Rettore dell’Accademia Militare posso dire di aver visto di tutto, persino un poliziotto diventare soldato” ammise il Colonnello Grey, squadrando con orgoglio misto a sorpresa Falman e la sua nuova divisa blu da soldato regolare dell’esercito
“Mi creda, signore – ridacchiò il tenente Mc Dorian, al suo fianco – è stato uno dei migliori acquisti che l’esercito abbia fatto negli ultimi anni”
“Oh, mi sono bastate poche settimane per capirlo. – scrollò le spalle quell’uomo dai capelli grigio ferro che si era tanto interessato al caso di Falman – Doti come le tue, soldato Falman, ci saranno preziose. Non posso che rinnovarti le mie congratulazioni”
“La ringrazio, signore!” esclamò Falman, scattando sull’attenti
“Bene, adesso vi lascio… ho un discreto numero di nuovi soldati con cui voglio complimentarmi. Ma sono sicuro che sentirò ancora parlare di te, soldato”
“Figura autoritaria il nostro Colonnello Grey, vero Falman? – sorrise furbescamente Mc Dorian, mentre osservavano il Rettore dell’Accademia allontanarsi quietamente nel grande cortile allestito per la cerimonia di fine corso – Ma fidati di me quando ti dico che dietro quell’aria paterna si nasconde una delle menti più fini di tutta Amestris”
“Il Colonnello Grey è stato un grande sostegno in quest’anno. E’ stato molto gentile a dedicarsi al mio caso”
“La sua aspirazione è formare soldati in gamba e tu sei stato una bella sfida, arrivando già dalla polizia. Credimi, lui non fa mai nulla per caso: se si è interessato a te è perché ne valeva la pena”
Falman annuì, non faticando a credere a quanto gli veniva detto. Lo sguardo acuto con cui il Colonnello Grey l’aveva guardato fin dal primo giorno era stato molto eloquente.
“Bene, adesso sei un soldato a tutti gli effetti, Falman – lo riscosse Mc Dorian – come ti trovi con questa divisa blu? A me sembra che ti stia molto meglio rispetto a quella della polizia… quella andava bene a Vincent non a te”
“Penso di essere d’accordo con lei, signore” arrossì il neo soldato, non potendo fare a meno di rimirare per l’ennesima volta la divisa che indossava.
Quando l’aveva messa per la prima volta, quella mattina prima della cerimonia, si era guardato allo specchio e gli era sembrato di vedere un nuovo Vato. Più adulto, maturo, sicuro e con quel qualcosa di maledettamente giusto che gli era sempre mancato. Si era sentito subito a suo agio con quei colori, quella stoffa, quelle decorazioni, con tutto quello che rappresentavano e offrivano.
I suoi pensieri erano corsi a quando, da bambino, si fermava spesso ad osservare il Quartier Generale dell’esercito, confrontandolo con la sede della polizia. Forse già da allora una parte intima di lui sapeva che era in quella divisa blu la sua vera vita. E anche se c’era voluto un anno per capire l’errore che aveva fatto, era stato così fortunato da aver modo di rimediare.
“Adesso ti lascio andare a festeggiare con tua madre ed i tuoi colleghi. – disse Mc Dorian, battendogli dei colpi sulla spalla – Ma domani ti voglio al Quartier Generale alle otto e mezza in punto: sei mio sottoposto, ragazzo”
“Certamente, signore”
 
A dire il vero non aveva molto da festeggiare con gli altri neo soldati.
In quell’anno di Accademia non aveva stretto nessuna particolare amicizia con quei ragazzi più piccoli di lui. Anagraficamente parlando c’erano circa due anni di differenza, ma era soprattutto l’esperienza precedente a farlo sentire di nuovo diverso da tutto il resto dei suoi compagni. Mentre gli altri cadetti erano già abbastanza compatti dal primo anno, lui era arrivato nel mezzo del nuovo semestre. Le voci sulla sua precedente esperienza di poliziotto si erano diffuse rapidamente e tutti gli altri cadetti l’avevano sempre guardato con un misto di curiosità e sospetto. Tuttavia Falman non ci aveva fatto molto caso: sin da quando aveva conosciuto il Colonnello Grey, che gli aveva creato un piano di studi apposito, aveva scoperto tutte quelle materie che gli erano mancate nel corso per la polizia. Per lui l’Accademia era solo un nuovo passo per raggiungere il suo nuovo obbiettivo: lavorare con il tenente Mc Dorian. Si era dunque buttato anima e corpo nello studio, nelle esercitazioni, recuperando incredibilmente in fretta tutte le lacune che aveva.
Per quanto non avesse raggiunto dei voti eccellenti, si era dimostrato uno dei migliori allievi del secondo anno e nessuno aveva messo in dubbio il suo ingresso nell’esercito di Amestris.
Quell’anno era passato così in fretta che Falman non se ne era nemmeno reso conto.
E così, quando si ritrovò a camminare affianco a sua madre per tornare a casa, fu quasi sorpreso nel realizzare che quella notte avrebbe dormito nella sua stanza, dopo un anno di dormitorio.
“Sarà bello averti di nuovo a casa – disse quietamente Rosie – è stato strano passare un anno senza di te”
“Mi dispiace di essere stato assente così tanto, mamma”
“Il risultato è valso il sacrificio, no?” sorrise lei, girandosi a guardarlo.
Si fermarono in mezzo al marciapiede deserto e Falman quasi si mise sull’attenti davanti a quell’ispezione materna che, in fondo, temeva da parecchi mesi. Una delle cose di cui si era illuso, quando era diventato poliziotto e aveva messo quella divisa marrone, così simile a quella di suo padre, era di poter colmare il vuoto che si era creato nella vita di sua madre. Ma lui era il figlio, non il marito: due cose completamente diverse, due tipi d’amore differenti… non poteva sostituire Vincent.
Però gli occhi scuri della donna erano sereni e felici mentre osservava il figlio. Allungò la mano e sistemò il cordoncino che pendeva dalla spallina destra.
“Ti sta molto bene, Vato. Sembra fatta apposta per te”
“Non sei dispiaciuta che sono entrato nell’esercito?” chiese lui, lievemente imbarazzato
“No, e perché dovrei esserlo? Per la prima volta, dopo sei anni, ti vedo finalmente felice e realizzato”
“Tu sapevi che la polizia non era il mio posto, vero mamma?” chiese, senza nessun accusa
“La polizia era il tuo sogno da quando avevi cinque anni, Vato. No, non è corretto: stare con tuo padre era il tuo sogno… non vedevi l’ora di diventare poliziotto per poterlo aiutare, stare assieme a lui. – Rosie sospirò, alzando gli occhi verso il cielo che si stava tingendo del primo rosso del tramonto – Quando Vincent è morto mi sono spesso chiesta se il tuo desiderio di entrare nella polizia fosse ancora… giusto, se posso usare questo termine. Avevo il timore che tu stessi solo continuando a cercare tuo padre”
“Forse è stato così… -ammise lui, imitandola nel gesto di fissare il cielo – forse mi illudevo di… ritrovarlo, una volta che avessi messo quella divisa”
“E’ stata anche colpa mia… avrei dovuto parlarti”
“No, non ti avrei ascoltato – scosse il capo lui – Ho dovuto sbatterci la testa personalmente per capire che non era il posto giusto per me. Ho dovuto sentirmelo dire dal tenente Mc Dorian che quello che andava bene per mio padre non andava bene per me”
“Vincent parlava spesso di lui, anche se non ho mai avuto occasione di conoscerlo”
“Non credo di ricordarmi papà che parlava del tenente Mc Dorian – si sorprese a pensare Falman – mi sembra strano”
“No, non è strano che non te ne ricordi. – spiegò Rosie – Tuo padre e il tenente Mc Dorian… anzi, all’epoca era Maresciallo, finirono di collaborare insieme che tu avevi sette anni. Purtroppo c’erano stati alcuni dissapori tra polizia ed esercito e Vincent non ne voleva parlare molto a casa, specie in tua presenza. Ma di Mc Dorian ha sempre parlato con grande stima… credo che in fondo fossero amici sinceri”
Vincent mi parlava spesso di te… della tua grande memoria ed intelligenza.
Senza volerlo, suo padre gli aveva in qualche modo spianato la strada verso l’esercito. Forse, se non fosse stato per suo padre, il tenente Mc Dorian non l’avrebbe preso sotto la sua ala protettiva.
“Il tenente Mc Dorian doveva conoscere molto bene papà”
“Sì, forse meglio di molti degli stessi colleghi della polizia – annuì con certezza Rosie – Oh, ma non dovremmo stare qui a parlare di queste cose. Perché invece, mentre io torno a casa a preparare la cena, tu non passi da Elisa? Chiedeva spesso di te in questo anno che sei mancato… certo che potevi scriverle qualche lettera”
“Ma mamma!” arrossì Vato, come succedeva ogni volta che Rosie tirava fuori la questione di Elisa. Riusciva a far sembrare la loro amicizia così carica di sottintesi…
“Oggi se non sbaglio è in libreria fino a tardi… se ti sbrighi fai in tempo a salutarla. Tanto prima di un’ora e mezza non troverai niente per cena a casa”
 
Da quando Elisa era cambiata così tanto?
E soprattutto… quando e perché si era tagliata così drasticamente i capelli?
“Oh, sei sorpreso del mio taglio di capelli? – chiese la ragazza, toccandosi con disinvoltura le ciocche castane appena alla base del collo – Li ho tagliati circa tre mesi fa. Sai, lavorando in ospedale ho scoperto che possono essere fastidiose”
“Potevi legarli!” esclamò Falman impulsivamente
“Eh? Ma che ti prende? Non ti piacciono?” si sorprese lei
“No… non è questo – arrossì lui – è che… è una vita che ti conosco con i capelli lunghi”
“Si cambia nella vita, sai? – ridacchiò la ragazza, mentre uscivano dalla libreria ed una leggera brezza agitava le corte ciocche castane – Per esempio il Vato che conosco da una vita diceva di voler diventare un poliziotto a tutti i costi, mentre invece stasera si è presentato da me come soldato dell’esercito”
Taglio di capelli o meno, la capacità di Elisa di zittire Falman era sempre la stessa.
Grattandosi i capelli neri dietro la nuca, il soldato fissò imbarazzato la sua amica. Le conosceva quella gonna verde e quella camicetta rosa da almeno due anni, eppure non si era mai accorto di quanto le stessero bene. Notò che al collo aveva un ciondolo a forma di goccia, con una pietrina rosa incastonata al centro.
“Eh, no – sospirò Elisa, prendendo una delle ciocche bianche di Falman tra le dita – decisamente, nonostante i tuoi capelli, non sei albino… e l’albinismo non ha niente a che vedere con l’albume delle uova, come pensavo a sette anni”
Falman sorrise, ricordandosi di quel buffo episodio con il quale era iniziata la loro amicizia. Finalmente riuscì ad andare oltre tutti i cambiamenti e a ritrovare la ragazza di sempre.
“Come procedono i tuoi studi?” le chiese
“Oh, ormai sono un’infermiera a tutti gli effetti – sorrise lei con soddisfazione – ma mi piace continuare ad imparare: stavo appunto leggendo qualcosa sull'albinismo in questi giorni. Chi l’avrebbe detto, eh? Io che di scienze, nei primi anni di liceo, non ci capivo niente e dovevo sempre chiedere aiuto a te”
“Già. A quattordici anni se ci avessero detto che l’avremmo finita come infermiera e soldato non ci avremmo mai creduto”
“Adesso che cosa farai? – chiese Elisa, mentre si avviavano  – Verrai spedito da qualche parte?”
“No, lavorerò qui ad East City con un tenente che si occupa di investigazioni. Era un amico di mio padre”
“Questo conta molto per te” constatò la ragazza con un sorriso comprensivo
Falman non rispose: con Elisa non ce n’era bisogno. Era come quando le aveva confessato le ultime parole che aveva detto a suo padre: non c’era bisogno di una risposta vera e propria. Sapevano entrambi cosa si nascondeva in quelle frasi lasciate cadere in apparenza così per caso.
Rimasero in silenzio per tutto il resto del percorso, assaporando quella piacevole serata e godendo della reciproca presenza. Ogni tanto il braccio di Elisa urtava lievemente quello di Falman, ma entrambi sembravano non farci caso. Nel frattempo erano arrivati davanti al palazzo dove abitava lei.
Si fermarono davanti al portone e solo in quel momento Falman si accorse che era la prima volta che la riaccompagnava a casa.
“Allora resterai ad East City – sorrise lei, inclinando la testa di lato – ne sono felice. Ora che hai finito l’Accademia potremo vederci più spesso, lavoro di entrambi permettendo”
“Mi farebbe piacere – annuì lui – davvero…”
“Allora, buonanotte Vato! Ricorda, in libreria mi trovi sempre dopo le sette di sera” ed entrò nell’atrio iniziando a salire la prima rampa di scale
“Non ti stanno male!” esclamò il soldato arrossendo
“Eh?” chiese Elisa, fermandosi a metà rampa e fissandolo con curiosità
“I… i capelli corti – balbettò lui – ti stanno bene, davvero”
La ragazza sorrise e ridiscese le scale, portandosi davanti a lui
“Grazie soldato Falman… e prima che me ne scordi: congratulazioni per la fine dell’Accademia” e si alzò sulla punta dei piedi per dargli un lievissimo bacio sulla guancia magra. Senza aspettare una sua reazione, corse di nuovo sulle scale, non girandosi a guardarlo.
Falman dal canto suo restò imbambolato in quell’atrio per un minuto buono, trovando solo all’ultimo la forza di portarsi la mano alla guancia, dove le labbra morbide di Elisa avevano sfiorato la sua pelle. Si doveva riprendere dall’inaspettata scarica elettrica che l’aveva fulminato così all’improvviso.
Possibile che un anno di lontananza avesse cambiato così tanto le cose tra di loro?
Oppure era solo un’evoluzione inevitabile che sarebbe maturata a prescindere dalla lontananza?
Non si era mai soffermato a leggere qualcosa sull’amore, era un genere di lettura più adatto alle ragazze ovviamente; tuttavia si domandò se nei libri era spiegato il motivo di quelle sensazioni così incredibili che stava provando in quel momento. Ma un lampo d’intuizione gli disse che, forse e giustamente, i libri non avevano la risposta a tutto.
La cosa migliore era godersi quella giornata perfetta in cui si sentiva, veramente, dalla parte giusta.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. 1900. My first team ***


Capitolo 5.
1900. My first team




Alle otto e mezza precise del giorno successivo, il soldato semplice Vato Falman era sull’attenti davanti alla scrivania del suo superiore, il tenente Alaric Mc Dorian.
L’ufficio era sempre lo stesso, ma durante la prima visita in quel posto, Falman non si era preoccupato di studiarlo bene. Era una stanza rettangolare, con la scrivania dal tenente sulla parete di fondo, dietro una delle due finestre che si affacciavano sul cortile centrale. Le restanti pareti erano interamente occupate da armadi a vetri con decine e decine di libri e fascicoli, accuratamente catalogati e con chiare etichette ad indicare il loro contenuto. C’era poi un lungo tavolo al centro della stanza con diverse sedie attorno ad esso: non era una scrivania, l’unico ad avere quell’onore era Mc Dorian.
Proprio il tenente stava seduto dietro di essa, con la faccia molto soddisfatta nel vedere il suo nuovo sottoposto; in piedi alla sua destra stava un giovane soldato, di circa venticinque anni, il rango di sergente: sebbene i suoi capelli fossero castano chiaro, come gli occhi, a Falman non sfuggì la forte somiglianza con Mc Dorian.
“Sì, mi somiglia parecchio nonostante il colore di occhi e capelli: – annuì Mc Dorian, indicando il giovane – quelli li ha presi dalla madre: Falman lascia che ti presenti il sergente Alexis Mc Dorian. Sarà lui a darti una mano ad inserirti in questi primi giorni”
Il sergente scrutò attentamente Falman per qualche secondo e poi gli rivolse un lieve cenno del capo.
“E’ un piacere conoscerla, signore” disse il nuovo arrivato
“Ora, - continuò il tenente – avrei voluto avere più tempo per farti fare un giro in questo ambiente, ma temo che dovrò lasciare questo piacere ad Alexis: proprio ieri mi è giunta una convocazione da parte dei piani alti e questo vuol dire che c’è qualcosa che bolle in pentola. Insomma capiti proprio al momento giusto, Falman”
“Farò del mio meglio per essere utile, signore”
“Non avevo dubbi: sicuramente sarai…”
Il tenente venne interrotto dalla porta che si apriva per far entrare una donna sulla trentina, con il rango di sergente maggiore. Con passo disinvolto e sicuro, la soldatessa si portò accanto a Falman e rivolse un perfetto saluto al tenente: aveva il viso lievemente abbronzato e uno sguardo furbo e sveglio, con gli occhi neri simili a quelli di un furetto. I cortissimi capelli neri avevano come unica decorazione una piccola forcina sul lato sinistro, appena dietro l’orecchio
“Signore, è arrivato il Maggiore Lewis” annunciò
“Ecco la convocazione di cui ti dicevo, Falman, – sospirò Mc Dorian – purtroppo devo andare. Ma prima lascia che ti presenti l’altro componente della squadra: lei è il sergente maggiore Dorothy Miran, il nostro personalissimo cecchino… una delle migliori del suo corso ai tempi dell’Accademia e con una notevole esperienza nel confine ovest. Sai, molto spesso, nelle nostre operazioni, non ho tempo di chiamare rinforzi e ho bisogno di qualcuno che sappia usare molto bene le armi e che sia silenzioso e rapido. Miran, lui è il soldato semplice Vato Falman, il nostro nuovo acquisto”
“E’ un piacere conoscerla, signora” salutò impeccabilmente Falman
“Ah, allora sei tu l’autore di quel rapporto sull’esplosione – si sorprese lei – Volevo complimentarmi con te per la descrizione dell’ordigno: era davvero accurata e ho potuto identificarlo facilmente come un modello artigianale prodotto nei distretti più meridionali del settore Est. Hai per caso esperienze nel campo degli esplosivi?”
“Ho una grande memoria fotografica, signora – spiegò Falman, leggermente sorpreso da quelle lodi – e mi è capitato di leggere qualcosa in proposito. Ma non ho nessuna formazione in merito”
“Vuoi dire che… che non hai mai toccato con mano un ordigno esplosivo?”
“No signora”
“Ma… ma la descrizione che hai fatto…” rimase a boccheggiare lei
“Ve l’avevo detto che il nuovo arrivato sarebbe stato una bella sorpresa per tutti: – sorrise maliziosamente Mc Dorian – il nostro caro Vato Falman è una delle memorie più perfette che abbia mai conosciuto. Nella sua testa immagazzina una grandissima quantità di dati e li elabora perfettamente, giungendo a conclusioni molto interessanti: – toccò significativamente un rapporto sulla sua scrivania, che Falman riconobbe come quello che aveva scritto più di un anno prima – è il componente che mancava alla nostra squadra. Bene, adesso vado dal maggiore Lewis: nel frattempo voi fate amicizia… Alexis, dopo accompagnalo a fare un giro all’archivio, anche se non ho dubbi che lui stesso saprà come muoversi. Ah, ovviamente provvedi a fargli un’ autorizzazione speciale: deve poter accedere a tutto, chiaro?”
“Certamente, signore – scattò sull’attenti Alexis – provvederò ad ogni cosa”
“Bene, e adesso andiamo ad incontrare il nostro paranoico Lewis! - dichiarò con una smorfia Mc Dorian, alzandosi dalla scrivania e suscitando una lieve risatina da parte del figlio e di Miran. Mentre passava accanto a Falman gli diede una pacca sulle spalle – Benvenuto a bordo, ragazzo mio”
 
“Il maggiore Lewis, eh? – rifletté Alexis avvicinandosi a Falman e Miran – Credo che questo pomeriggio avremo un bel resoconto. Papà non aspettava altro che questa convocazione”
“Dici che finalmente ci daranno l’autorizzazione a procedere?” chiese la donna, lanciando una rapida occhiata al suo compagno
“Hm, – mormorò il giovane, accarezzandosi il mento con la mano, in un gesto molto simile a quello del genitore – molto probabile. Se le voci che circolano in proposito dello scoppio della guerra sono vere, allora gli stati maggiori molleranno i casi simili a questo per lasciarli a noi”
Non sapendo se poter parlare o meno, Falman rimase tra quei due, cercando di soppesare quanto aveva appena sentito. Si sentiva leggermente spaesato a stare in mezzo a quei soldati che, chiaramente, si conoscevano da parecchio ed avevano una forte affinità con il loro superiore.
“Allora, Falman – lo riscosse Alexis – finalmente ci si conosce: è un anno che mio padre parla di te”
“La ringrazio, sergente”
“Oh no, ti prego – ridacchiò lui – per i membri della squadra sono Alexis. Avendo lo stesso cognome del mio superiore si possono creare delle confusioni, quindi finché si tratta di noi, ti prego di chiamarmi per nome”
Falman esitò un secondo, riflettendo sul fatto che dare del “tu” ad un proprio superiore non era una mossa molto cortese. Certo, Alexis aveva qualche anno più di lui, ma l’espressione era molto aperta e vivace e lo faceva sembrare più giovane.
In fondo… il tenente Mc Dorian non aveva detto che si doveva giocare secondo le regole della squadra?
“Va bene… Alexis” si costrinse a dire
“Come inizio non c’è male – annuì soddisfatto il ragazzo dandogli una pacca sulla spalla – ah, anche al sergente maggiore puoi chiamarla semplicemente Miran”
“Sì, per favore – sospirò lei – una delle cose peggiori di non essere al fronte è tutta questa maledetta formalità. Nelle missioni non c’è tempo da perdere con il rango: Miran è più breve di sergente maggiore e dunque lo preferisco”
“Sì, signora” annuì Falman, rifugiandosi in quella soluzione piuttosto che pronunciare il cognome della donna. Ma evidentemente lei si accorse dell’accorgimento perché ridacchiò
“Signora lo posso accettare, se ti viene così difficile dire Miran”
“Vieni con noi a fare il giro del quartier generale?” chiese Alexis
“Mi dispiace, ma non posso – scosse il capo la donna – ho alcune faccende da sbrigare nel reparto d’armeria. A quanto pare le modifiche che avevo chiesto alla pistola non funzionano bene: devo dare una strigliata al caporale Jahnon”
“Uh, non vorrei essere nei suoi panni”
“E’ stato un piacere conoscerti Falman… o forse preferisci che ti chiamiamo Vato? Come hai visto qui ci facciamo un po’ beffe dell’etichetta”
“Falman andrà benissimo, signora” arrossì il soldato
“Come vuoi! Ci vediamo dopo la pausa pranzo”
“Un bell’uragano la nostra Miran, vero?” sorrise Alexis come la porta si fu chiusa
“Eh già…”
 
Mentre Alexis gli faceva fare il giro del Quartier Generale, Falman si ritrovò a pensare che quel ragazzo era riuscito ad ottenere quello che lui aveva tanto voluto: lavorare fianco a fianco del proprio genitore. Al contrario di quello che era successo a lui nella polizia, Alexis sembrava nato per indossare la divisa militare e negli occhi castani si leggeva un immenso orgoglio per il lavoro che svolgeva.
“Sai, ho sempre voluto diventare soldato – gli raccontò mentre camminavano nei corridoi – non ricordo di aver mai voluto fare altro in vita mia. A dire il vero, quando superai i corsi dell’Accademia, ero lievemente preoccupato perché mio padre aveva grosse aspettative su di me… sai è sempre così: quando sei figlio di qualche ufficiale particolarmente importante ti guardano tutti con molta attenzione”
“Ha lavorato subito con il tenente, signore?”
“Riformula la domanda, Falman” lo prese in giro lui
“Hai… hai lavorato subito con il tenente, Alexis?”
“Molto meglio… e non fare quella faccia, è questione di abitudine. Comunque no, non ho lavorato da subito con mio padre. Non volevo nessun favoritismo e, del resto, nemmeno papà aveva intenzione di farmene: nei sei anni che sono nell’esercito sono stato caporale di un plotone che ha fatto diverse missioni prima contro Creta e poi contro Aerugo… poi a ventidue anni ho fatto alcuni corsi di specializzazione in investigazione e solo dopo aver acquisito il rango di sergente, un anno e mezzo fa, mio padre mi ha preso nella squadra. Prima erano solo lui e Miran”
“E com’è lavorare con il proprio genitore?” chiese Falman, pentendosi subito di quella domanda
“Oh beh, mio padre è grandioso. Stando accanto a lui ho imparato tantissimo… e poi hai visto anche tu che siamo un po’ fuori dal comune come squadra”
Falman rimase in silenzio, assimilando quella risposta
Alexis e suo padre erano tutto quello che lui avrebbe voluto essere con Vincent.
Ma, oggettivamente, non aveva alcuna garanzia che diventando poliziotto avrebbe avuto la stessa soddisfazione che provava nell’indossare la divisa dell’esercito. Forse avrebbe nascosto la sua insoddisfazione per un maggior tempo, ma alla fine…
“Mi è dispiaciuto per tuo padre” mormorò Alexis
“Lo conoscevi?” si sorprese Falman, senza nemmeno rendersi conto di aver dato del “tu” al giovane
“L’ho visto qualche volta quando ero bambino e lui e mio padre collaboravano spesso… da quello che mi ricordo di lui, gli assomigli molto fisicamente. Sai, mi sembrava sempre altissimo e col passare del tempo credevo che fosse solo l’impressione di un bambino piccolo, ma ora che ti vedo, capisco che era alto davvero tanto. Invece non credo che tu abbia conosciuto mio padre prima di quell’attentato”
“No, non l’avevo mai incontrato prima”
“Beh, è anche vero che sei più giovane di me. Quanti anni hai?”
“Venti”
“Io venticinque… beh, cinque anni di differenza sono tanti per dei bambini. E poi gli ultimi anni non sono stati molto facili per loro…”
“Che intendi dire?” chiese Falman
Alexis lo guardò con aria imbarazzata e sembrava che stesse valutando su quanto dire
“Non ne so molto – sospirò infine – del resto mio padre non è mai stato molto loquace in proposito: pare che polizia ed esercito stessero venendo ai ferri corti. Discussioni sulle relative aree d’influenza o qualcosa di simile… insomma stava iniziando la militarizzazione che oggi è quasi compiuta, in vista della guerra civile”
Falman annuì
“I nostri genitori collaboravano molto spesso e trovarsi su due fronti che erano in aperta contesa tra di loro non fu facile. Adesso non so i dettagli, ma credo che ci furono anche discussioni tra di loro… insomma per questo motivo ed altri di forza maggiore smisero di lavorare insieme. Poi, proprio in quel periodo, papà fu trasferito a Central per delle questioni molto delicate… quando tornò a East City era da poco successo l’incidente in cui hai perso… beh insomma lo sai. ”
“Ha detto qualcosa in merito?”
“No, almeno non ha me: del resto ero al secondo anno d’Accademia e quindi ero parecchio tagliato fuori dal mondo. Ma di certo ne è rimasto molto turbato”
“Capisco… grazie per avermi detto queste cose” disse Falman, capendo che Alexis si era trovato leggermente in imbarazzo a parlare di una questione così delicata
“Forse un giorno papà ti dirà di più. - dichiarò il giovane con una scrollata di spalle. Poi guardò davanti a loro e il suo viso si rallegrò - Bene, credo che siamo arrivati nel posto che ti interessa di più!”
Archivio Militare
Una grande scritta sopra lo stipite di una porta con due grandi ante di legno. Quella visione fece sparire dalla mente di Falman tutti i pensieri che la chiacchierata con Alexis aveva suscitato. Ora si trovava davanti a quello che aveva bramato davvero per anni.
Con un gesto teatrale, il sergente si portò davanti alla porta e fece una sorta d’inchino. Si girò e prese le maniglie delle due ante, facendo una calcolata pausa prima di spalancarle.
 “Sai – disse la sua voce, come se provenisse da molto lontano – non credo di aver mai visto una faccia così eloquente come quella che stai facendo in questo momento”
 
Quel pomeriggio il tenente Mc Dorian era posato con disinvoltura sulla sua scrivania, mentre la sua squadra era seduta intorno al tavolo al centro della stanza
“Allora Falman – sorrise l’uomo – che te ne pare dell’archivio? Leggermente più grande di quelli con cui hai avuto a che fare, vero?”
Leggermente più grande era un eufemismo. Falman non avrebbe dimenticato mai la visione di quelle stanze così grandi, di quegli scaffali che arrivavano quasi fino al soffitto ai cui piani alti si arrivava solo con delle scale. Tutte le informazioni che aveva sempre desiderato, tutti i dossier completi, i fascicoli mancanti nella stazione di polizia: lì c’era il suo mondo. Aveva sfiorato con reverenza quelle rilegature così perfette, aspirato profondamente l’odore della carta e dell’inchiostro… aveva assaporato la sua vera passione fino all’ultima fibra del suo essere. C’era voluta tutta la buona volontà di Alexis per farlo risvegliare da quel sogno ad occhi aperti.
“L’ho dovuto letteralmente trascinare via” ridacchiò Alexis
“Accidenti, abbiamo un vero e proprio maniaco dei libri” commentò con sorpresa Miran
“Come tu sei una maniaca delle armi, mia cara” le ritorse conto il tenente
“Beh, mi toccherà essere l’ago della bilancia tra voi due opposti” dichiarò Alexis
“Oh, non credo ci saranno problemi tra di voi”
“Assolutamente, signore” assicurò Falman
“Bene, adesso vi rendo partecipi di quanto successo stamattina: ho passato tre ore della mia vita ad ascoltare le preoccupazioni di quell’uomo sulla situazione pericolosa di Amestris, sulla possibilità della guerra civile, sulla precarietà dell’esercito…”
“Insomma la solita musica” scrollò le spalle Miran
“Ormai ci siamo, ragazzi miei – disse Mc Dorian con uno sguardo tagliente – entro il prossimo anno scoppia la guerra, è sicuro. Ishval ha creato troppi problemi e ora i piani alti di Central sono stanchi di tenere a bada i ribelli…”
“Se pensano di concludere una guerra in fretta si sbagliano – commentò Alexis – Ishval non è un cliente facile, senza contare che avrà anche aiuti esterni… ipotizzo da Aerugo, ma non escluderei anche Drachma e Creta”
“Falman, tu che ne pensi?”
“Sono d’accordo. – annuì il soldato. Poi dopo una lieve esitazione continuò – Molti degli ultimi disordini, per non dire la maggior parte, hanno tutti una chiara matrice terroristica. La cosa interessante è che accanto a caratteristiche tipiche di azioni di membri di Ishval, non mancano quasi mai componenti di Aerugo: armi, tipo di equipaggiamento, e oserei dire anche organizzazione… Ishval è un paese parecchio chiuso nelle proprie tradizioni: certi espedienti provengono da chi è più avanzato a livello bellico e organizzativo”
“Ma non credo che si arriverà ad un’alleanza vera e propria” dichiarò Miran
“No, Aerugo non è sciocca e non rischierà così apertamente – disse Mc Dorian incrociando le braccia – Il principe di quel paese è un opportunista che vuole solo vedere Amestris in difficoltà per prendersi qualche fetta di confine. L’alleanza con Ishval non sarà mai dichiarata: forniranno armi e rifornimenti, questo è certo, ma non si schiereranno mai apertamente con loro… sanno già che prima o poi Amestris avrà la meglio”
“E Creta e Drachma?” chiese Alexis
“Loro sono una bella incognita…” ammise Mc Dorian
“Drachma, da quanto si sa, è in aperto contrasto con Aerugo negli ultimi anni: – spiegò Falman – ci sono stati molti malintesi su accordi finanziari. Creta non si sbilancia né da una parte né dall’altra: ha troppi interessi da ambo i lati. No… non si alleeranno tra di loro, ma attaccheranno separatamente, sperando di trovare i fronti indeboliti dalla guerra civile”
“Insomma, Amestris sarà impegnata su tutti i fronti” disse Miran
“Ci aspettano tempi duri, ragazzi miei – commentò Mc Dorian – ecco perché voglio che alcuni casi vengano risolti prima che la guerra esploda in tutta la sua violenza. Perché qui abbiamo a che fare con cellule terroristiche”
“L’attentato a cui ho assistito…” iniziò Falman
“E’ solo un piccolo tassello – annuì il tenente – ma io sono certo che c’è un’organizzazione molto forte dietro a tutto questo ed il nostro obbiettivo è stanarla”
“Ha ottenuto l’autorizzazione a procedere, signore?” chiese Alexis
“Sì, ragazzo… finalmente abbiamo carta bianca. Sono anni che l’attendo”
Lo sguardo degli occhi azzurri di Mc Dorian si spostò su Falman e rimase così tanto sul soldato che questi si agitò leggermente sulla sedia
“Signore?” chiese con perplessità
“Falman, voglio che tu riprenda in mano tutti i dossier sui casi di attentato terroristico dal 1885 ad oggi: tu conosci solo quelli della polizia, mentre quelli dell’esercito sono decisamente più completi. Trova punti di congiunzione, qualsiasi collegamento tra armi, vittime, tracce… ogni minimo dettaglio”
“Sissignore”
“Entro una settimana dammi una prima bozza di relazione su cui lavorare”
“Sarà fatto”
Mc Dorian stette in silenzio per qualche secondo. Sembrava soppesare attentamente le prossime parole che avrebbe detto; alla fine sospirò e disse
“Rapporto numero 21579, attentato del 3 marzo 1894… c’è anche quello, è bene che lo sappia. Qui nell’esercito è stato catalogato come attentato terroristico”
Falman sbiancò e il suo sguardo incontrò quello di Mc Dorian.
Gli occhi allungati del soldato rimasero fissi su quelli del tenente
Ci vediamo più tardi…
La sua voce di quattordicenne gli rimbombò nella testa, con l’immagine di suo padre che gli rivolgeva un gesto di saluto, mentre usciva dall’ufficio. E poi quei poliziotti alla porta di casa, le lacrime di sua madre… il rumore della terra sulla bara e quella tremenda sensazione di doloroso vuoto.
La voce di Mc Dorian parlò ancora
“Troviamo questi bastardi, Falman… troviamo gli assassini di tuo padre”

 



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Piccolo avviso.
Dal 1 al 22 agosto sono in vacanza, quindi anche se magari continuerò a scrivere, dubito che posterò altri capitoli prima del mio rientro!
Buone vacanze a tutti *__*

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Capitolo 7
*** Capitolo 6. 1900. Find my enemy ***


Capitolo 6
1900. Find my enemy




Dal 1885 al 1900 erano ben ventinove gli attentati terroristici che erano avvenuti nel territorio di Amestris ed in particolare nel settore Est. A questi se ne aggiungevano un’altra decina che l’esercito non era riuscita ad attribuire con sicurezza ai movimenti ribelli.
Appena iniziò a lavorare su quei dossier, Falman si accorse di una cosa: erano incredibilmente più completi rispetto a quelli che la polizia era solita compilare. I militari annotavano dettagli ed osservazioni che tendevano a sfuggire ai poliziotti: questo evidentemente era conseguenza di una preparazione differente, a causa del ruolo predominante dell’esercito.
Per questo motivo anche i casi che conosceva dagli archivi della polizia erano completamente da ristudiare.
Per tutta la settimana che gli era stata concessa passò intere giornate seduto in una delle scrivanie dell’archivio, riassumendo quei casi, trovando relazioni, facendo collegamenti. La sua mente macinava quelle informazioni con la stessa smania con cui un assetato berrebbe ad una fonte: era completamente sparito il senso di frustrazione che provava quando leggeva i dossier della polizia. Adesso aveva a disposizione le informazioni complete, senza alcun ostacolo.
Fu quindi con relativa facilità che, sotto la sua infaticabile penna, prendesse corpo una relazione molto più consistente di quella che aveva redatto un anno prima. Adesso la situazione era molto più chiara: solo cinque casi erano totalmente da escludere come appartenenti ai movimenti ribelli. Per il resto era tutto ricollegabile ad un’unica grande organizzazione, come aveva intuito Mc Dorian, che disponeva di cellule dislocate in diversi punti di Amestris. Solo in pochi casi si era riusciti a prendere dei prigionieri e le confessioni erano sempre state scarne: Falman si accorse che accanto a un sincero convincimento di quelle persone, specie quelle provenienti da Ishval, vi era anche una genuina ignoranza di chi fosse ai vertici dell’organizzazione.
Ma certo, tenendo all’oscuro i ranghi minori, i vertici non incorrono in possibilità di tradimento.
Era un chiaro segnale che a manovrare quelle persone era qualcuno proveniente dai paesi tradizionalmente nemici di Amestris: Aerugo?
Scrisse il nome di quel paese meridionale su un foglio che stava utilizzando per gli appunti ed accanto ci pose un grosso punto interrogativo. Era la conclusione più logica, anche ripensando a quello che avevano detto in ufficio qualche giorno prima: che Aerugo fosse l’alleato non ufficiale di Ishval era un dato di fatto.
Ma era davvero disposto a rischiare così tanto?
Si stava comunque parlando di un’organizzazione veramente grossa che, se scoperta, poteva compromettere seriamente la posizione di quel paese. Ora, tra i tre nemici tradizionali di Amestris, il principato a meridione era notoriamente quello che si defilava da azioni troppo rischiose: era il motivo principale per cui a periodi di guerra ne seguivano altri di relativa pace e, addirittura, di accordi commerciali. Il principe di quel paese sapeva bene quando era il caso di tirare le redini delle ostilità.
Possibile che si sbilanciasse così tanto mettendosi a capo di una banda che operava in maniera così palese?
Drachma?
Scrisse anche questo secondo nome, sotto quello di Aerugo.
Quello sì che era un paese che non si sarebbe fatto scrupoli: sovrastava Amestris per superficie e forze dell’esercito. Se non fosse stato per Briggs e la sua Parete d’Acciaio, le truppe nemiche sarebbero sciamate ad Amestris come un branco di cavallette. Ecco perché il confine Nord era fondamentale da proteggere: Creta ed Aerugo erano clienti tutto sommato gestibili, ma una volta che Briggs avesse ceduto, non sarebbe rimasta alcuna possibilità.
Ed infine Creta.
Il terzo nome scritto su quella lista era una vera incognita.
A volte alleato, altre volte, come ora, nemico: era un paese veramente ambiguo. Probabilmente era forzato a dover giocare in questo modo: come Amestris si trovava stretto tra altre potenze e doveva sempre considerare se e quanti fronti di guerra poteva gestire. Oggettivamente, che convenienza aveva a mettere una cellula terroristica ad Amestris?
“Signore, l’archvio sta per chiudere” lo avvisò una delle ragazze che lavorava alle informazioni
“Sì, capisco – mormorò Falman, ridestandosi dai suoi pensieri – inizio a rimettere in ordine”
Impilò ordinatamente i fogli della relazione che stava stilando e li mise dentro una cartelletta, assieme a quel foglio di appunti: avrebbe continuato a lavorarci a casa. Poi rimise a posto tutti i dossier che aveva preso dagli scaffali, fino a quando gli rimase in mano quello che aveva deliberatamente lasciato per ultimo e non aveva ancora aperto.
Dossier 21579. East City, 3 marzo 1885.
“Mi scusi, signorina – disse, rivolgendosi alla ragazza che stava sistemando alcuni fascicoli a pochi metri da lui – sarebbe possibile portare questo dossier al di fuori dell’archivio per una giornata?”
“Mi faccia vedere – commentò lei prendendo in mano il fascicolo e controllando i dati – No, di norma non si può: è un caso ancora irrisolto e dunque non dovrebbe uscire di qui. Però lei è in possesso di quell’autorizzazione speciale del tenente Mc Dorian, vero?”
“Sì”
“Allora è autorizzato a farlo, in via del tutto eccezionale – sospirò lei – ma la prego di fare attenzione e di riportarlo entro domani. Ovviamente sono informazioni che vanno assolutamente tenute riservate”
“Ovviamente” annuì Falman
 
“Vato, tesoro, oggi non è che hai mangiato molto a cena” constatò sua madre, mentre il figlio le passava il piatto ancora mezzo pieno
“Non ho molto appetito, se devo essere sincero” ammise lui
“Che cosa ti turba?” sorrise la donna posando i gomiti sul tavolo e appoggiando il mento sulle mani
“Niente di particolare… solo un lavoro impegnativo a cui mi sto dedicando. Ho molti pensieri per la testa e questo mi ha levato l’appetito. Anche quando ero in Accademia succedeva così quando preparavo gli esami”
“Ti stai trovando bene a lavorare con il tenente Mc Dorian?”
“Oh sì, lui e la sua squadra sono molto affiatati. Mi sono inserito molto bene…”
“Come ti senti a lavorare con Alexis?”
“Che intendi?”
Rosie sospirò e fissò il figlio con profonda comprensione
“Beh, lui lavora assieme a suo padre…”
Piuttosto che dare una risposta frettolosa a quell’affermazione, Falman ci riflettè sopra: dopo un primo momento di sbandamento e leggera invidia, la questione gli era letteralmente scivolata di dosso. Era come se l’idea di lavorare con suo padre iniziasse a far parte di unap vecchia vita che stava piano piano venendo sostituita da quella dell’esercito.
“Credo che sia diverso – disse dopo qualche minuto – negli occhi di Alexis si legge chiaramente che l’esercito è sempre stata la sua strada e lavorare con suo padre era la giusta conclusione di tutti i suoi sforzi. Ma io non ho alcuna garanzia che lavorando con papà nella polizia mi sarei potuto sentire appagato come si sente lui… E’ un po’ dura ammetterlo, ma sto iniziando a prendere coscienza che io e papà eravamo molto diversi”
“Diversi? – chiese Rosie guardando il figlio con sorpresa – Tesoro, tu e tuo padre vi somigliavate molto fisicamente, ma per il resto eravate… anzi, siete, due opposti. Non te ne sei mai reso conto?”
“No, almeno non a questi livelli”
“Vincent era un uomo d’azione – spiegò lei – aveva un grandissimo intuito per le indagini, ma detestava profondamente arrovellarsi sui quei fascicoli come invece fai tu. Lui era impulsivo dove invece tu sei attento e riflessivo… siete due personalità completamente differenti. Caratterialmente tu assomigli più a me, tesoro”
“Un’ulteriore conferma che forse sarebbe stato impossibile lavorare insieme” sospirò Falman senza nascondere un accenno di delusione
“E perché dici questo? – sorrise Rosie accarezzandogli i capelli bianchi – Gli opposti a volte, anzi spesso, si attraggono. Tuo padre ti adorava, Vato, non mettere mai in dubbio questo fatto. Per quanto riguarda il lavorare assieme… beh, non pensi che una squadra abbia bisogno di un braccio e di una mente? Il tuo problema, a parer mio, non sarebbe stato lavorare con tuo padre, ma lavorare nella polizia”
Quanta verità c’era in quelle parole. A volte Falman restava sorpreso da quanto sua madre lo conoscesse più profondamente del previsto… sembrava quasi che riuscisse a dare voce ai suoi pensieri più di quanto facesse lui stesso.
“Probabilmente hai ragione” sorrise a sua volta, scrollando le spalle
“Va bene, ora vai pure… so che stai smaniando dalla voglia di tornare nel tuo studio a lavorare su quel fascicolo che hai portato a casa”
“Grazie mamma, la cena era davvero buona”
 
Il suo studio.
Sì, ormai era suo, non c’era niente da obbiettare. Tutte le cose di suo padre erano state spostate e messe da parte per lasciare spazio ai suoi fascicoli, ai suoi libri. Era stata una cosa iniziata piano piano, quasi col timore di commettere una violazione, ma alla fine la realtà aveva preso il sopravvento sui ricordi del passato.
Però proprio il passato stava prepotentemente tornando con quel dossier al centro della scrivania.
Falman rimase seduto diversi minuti ad osservarlo: aveva timore di aprirlo e scoprire cosa c’era scritto. Per quanto conoscesse a memoria quello che era stato detto dalla polizia, era certo che avrebbe trovato altre cose in quei documenti.
Troviamo questi bastardi, Falman… troviamo gli assassini di tuo padre
Le parole di Mc Dorian risuonarono nella sua testa: sì, molto probabilmente la chiave di tutto poteva essere in quel fascicolo. L’anello di congiunzione tra tutti gli altri casi, la prova definitiva per poter dare un nome al suo nemico.
Con un sospiro tremante, aprì la copertina rigida e si immerse nella lettura di quelle pagine.
In genere gli bastavano pochi minuti per memorizzarne una: le parole scorrevano veloci nella sua mente e venivano impresse nella memoria per poi trovare un senso in una successiva elaborazione. Ma in questo caso, Falman si prese tutto il tempo per leggere attentamente ogni singolo dettaglio di quel rapporto.
I fatti erano molto semplici: la sera del 3 marzo 1885, una squadra di cinque poliziotti, capitanata da Vincent Falman era uscita in seguito ad una segnalazione. Alcuni testimoni avevano notato delle persone sospette attorno a un palazzo, probabile obbiettivo di un attentato, in quanto sede provvisoria di alcuni uffici amministrativi: le descrizioni sommarie fatte parlavano di persone con tratti somatici tipici di Ishval, ma anche di altre con caratteristiche meno definite e dunque di difficile attribuzione. La squadra della polizia era arrivata sul posto e c’era stata una sparatoria che era proseguita in un inseguimento per le vie della città: e durante quella corsa un proiettile aveva colpito in pieno petto Vincent Falman. I suoi uomini si erano fermati per soccorrerlo e gli attentatori ne avevano approffittato per scappare.
Queste erano le informazioni che anche Falman conosceva: fino a quel momento non c’era nessuna discrepanza con il rapporto dell’esercito e quello della polizia. Tuttavia il fascicolo militare proseguiva anche laddove quello della polizia si fermava: l’autopsia di suo padre.
Perché non era presente anche nel fascicolo della polizia? Eppure era stata effettuata il giorno dopo la sua morte, prima della sepoltura: il caso non era ancora in mano all’esercito.
Non uno ma due proiettili calibro 5: uno aveva colpito senza provocare alcun danno ad organi vitali; era stato il secondo ad essere letale, andando a colpire in pieno il cuore. L’autopsia indicava che erano colpi sparati con una grande precisione e la forza con cui avevano colpito Vincent indicava che la distanza non era ravvicinata.
Falman si fermò: qualcosa non quadrava.
Tornò indietro, alle pagine che descrivevano l’inseguimento, redatte secondo le testimonianze dei poliziotti supersititi: la distanza tra loro e i malviventi era di circa venti metri, tanto che le descrizioni dei nemici erano state abbastanza accurate. Venti metri era una distanza ravvicinata.
Ora, i proiettili calibro 5 venivano usati non con le pistole, ma con dei fucili. Solo che negli inseguimenti non venivano usati i fucili, per l’ovvia impossibilità di ricaricarli immediatamente. La sua memoria scavò nei libri di armi che aveva letto in Accademia: mettendo a confronto quanto c’era scritto nell’autopsia, la posizione del primo proiettile… era inclinato.
“Il colpo non è stato sparato ad altezza d’uomo – mormorò Falman – è stato sparato da un’altezza di almeno venti metri”
Fece mente locale della strada menzionata come luogo del delitto: c’erano diversi palazzi che potevano offrire rifugio ad un cecchino… perché per colpire una persona che correva ed era così distante ci voleva una buonissima mira.
“Una copertura? Possibile che avessero una copertura?”
Scuotendo il capo con disperazione si rese conto che queste scoperte lo stavano mettendo in difficoltà.
Aveva paura di spingersi troppo oltre con le sue supposizioni, rischiando di farsi coinvolgere troppo dall’emotività.
Eppure una parte intima di sé gli diceva che non erano i vaneggi di un figlio che vuole trovare per forza una risposta a quell’omicidio. Il suo ragionamento era logico e giusto, a prescindere dal coinvolgimento emotivo.
Si costrinse ad abbandonare quei dubbi e proseguire con l’analisi del caso: che altro non gli tornava?
Prendendo il foglio degli appunti accanto a lui disegnò rapidamente uno schizzo delle strade che avevano fatto da ambientazione a quella sparatoria. Seguedo quanto era detto nel rapporto disegnò cinque puntini per indicare i poliziotti e altri cinque per la banda. Mise una “V” su quello che indicava Vincent…
Si fermò improvvisamente: nel rapporto non c’era assolutamente scritto in che posizione si trovava suo padre. Lui aveva messo quell’indicazione con sicurezza perché sapeva, dai numerosi racconti che aveva sentito da bambino, che nella squadra, Vincent tendeva sempre a stare leggermente indietro a sinistra, mentre avanti stavano Steve e Den.
“No… non è possibile” balbettò
La posizione del proiettile indicava che lo sparo era partito da almeno venti metri e dallo stesso lato dove stava la squadra di suo padre. Ora, non era un esperto in materia, ma nelle esercitazioni in Accademia aveva imparato alcuni principi base e sapeva benissimo che… era molto più facile e sicuro sparare ai bersagli che stavano più lontani rispetto all’angolo di tiro oppure a quelli che stavano in prima fila, in modo da spaventare gli altri. In quel caso, Vincent era il bersaglio più difficile da raggiungere
“Non è stato colpito a caso… volevano uccidere lui!”
Quelle parole risuonarono nella studio, mentre i pugni di Falman si serravano con forza sopra quelle pagine.
Quella scoperta gettava una nuova luce su tutto quanto, persino sul dolore accumulato in tutti quegli anni: non si trattava più di un incidente, di un rischio che un poliziotto correva. Era un caso di omicidio intenzionale e mirato nei confronti di suo padre.
L’eroe nei libri che leggeva non moriva mai… e altrettanto aveva sempre un nemico principale da combattere. La prima regola di quei romanzi era stata spezzata dalla realtà, ma c’era ancora la seconda che aspettava di essere confermata.
Guardando accanto allo schema che aveva appena disegnato, rilesse il nome dei tre paesi.
La voce di suo padre risuonò nella sua testa come se lui fosse presente nella stanza:
Forse qualche faccenda di spionaggio: pare che Drachma non sia molto tranquilla negli ultimi tempi.
Ma Drachma è a Nord… come hanno fatto ad arrivare sino ad East City?
Infiltrazioni, spionaggio. E’ una questione molto complicata, Vato… ma ti posso garantire che non è per nulla impossibile penetrare ad Amestris.
Con la penna cerchiò il nome di quel grande paese a nord di Amestris.
Che Vincent fosse avesse scoperto qualcosa che un poliziotto non doveva sapere?
Scuotendo il capo cercò di riportare i suoi pensieri alla relazione che doveva presentare domani al tenente Mc Dorian: le informazioni richieste c’erano tutte e sicuramente costituiva un buon punto di partenza per poter chiudere il cerchio intorno a quelle persone.
La problematica era inserire l’omicidio di suo padre in tutto quel tremendo gioco di strategia.
Sospirando, andò alle ultime pagine di quel rapporto, dove c’erano le note conclusive.
L’ultima frase attirò la sua attenzione
Caso considerato archiviato il 24 settembre 1896. Riaperto su ordine del tenente Mc Dorian il 12 Dicembre 1896.
Posandosi pesantemente contro lo schienale della sedia, Falman guardò come ipnotizzato la lampada sul soffitto: a cosa li avrebbe condotti questa vicenda?
 
“Sì, le tue supposizioni sono corrette – gli disse Miran la mattina successiva, controllando lo schema riproposto in un foglio pulito – un cecchino posizionato in quella posizione ha il bersaglio più semplice nella persona più esterna, oppure in una di quelle che stanno davanti… in genere colpendo quello che precede tutti, si inducono gli altri a fermarsi per soccorrerlo o comunque li si disorienta”
“Insomma questo che sta lungo lo stesso margine…” chiese Falman indicando un pallino
“E’ oggettivamente il più difficile da colpire, specie se sono in movimento: l’angolo che il fucile deve prendere è veramente stretto e le possibilità di errore sono alte. Bisogna essere molto bravi per colpire un bersaglio in quella posizione. Ma perché me lo chiedi?”
“Niente di particolare, è solo una dinamica di agguato che mi sono ritrovato in uno dei dossier – spiegò Falman con noncuranza, riprendendo il foglio – volevo solo la conferma di un esperto come lei, signora”
“Miran… Oh, va bene, lascia stare: sei così imbarazzato che “signora” è il massimo che potrò ottenere da te”
“Non spremerlo troppo, Miran – la rimproverò scherzosamente il tenente Mc Dorian entrando in ufficio – anche lui ha i suoi limiti”
“Come vuole, tenente” scrollò le spalle lei, avviandosi verso la porta
“Piuttosto, ho mandato Alexis in magazzino con una lista di tutti i materiali che ci potrebbero servire: ti conviene raggiungerlo per controllare che non manchi niente di quello che potrebbe essere utile a te”
“Vado subito, allora. Mi sono giusto venute in mente un paio di cose di cui potrei aver bisogno”
Falman e il tenente rimasero soli in quell’ufficio. Proprio Mc Dorian si diresse alla sua scrivania dove, al centro, giaceva la relazione preparata dal soldato: un ordinato fascicolo di almeno duecento pagine.
“Ti avevo chiesto una bozza, Falman – si sorprese Mc Dorian, prendendo in mano quel volume – questa è una relazione completa”
“Il tempo è bastato per andare oltre una prima stesura, signore” si giustificò Falman portandosi davanti alla scrivania
“Sei davvero sorprendente, ragazzo mio” ammise l’uomo sfogliando quei fogli
“La ringrazio signore, però sono costretto ad avvisarla che non è proprio completa”
“Che intendi dire?”
Falman esitò, cercando le parole con cui spiegarsi. Ma poi decise che la cosa migliore era essere schietti
“Ho preferito omettere il caso 21579”
Gli occhi azzurri di Mc Dorian lo gratificarono di un’occhiata penetrante che lo trapassò da parte a parte. Tuttavia l’espressione del tenente rimase assolutamente impassibile
“Perché?” chiese con voce neutra
“Signore, perché ha voluto riaprire il caso?” ritorse Falman
“Perché non c’è ancora nessun colpevole in prigione o sulla forca per tutto questo… dovrebbe essere una motivazione sufficiente, non credi?”
Falman annuì, ma senza troppa convinzione
“Ma effettivamente c’è anche una motivazione più personale – ammise Mc Dorian, scrollando le spalle – Non riuscirò mai a liberarmi dell’idea che, se non fossi stato a Central City, Vincent sarebbe ancora vivo. Trovare il suo assassino è il minimo che possa fare per lui… era questa la risposta che cercavi, Falman?”
“Aveva scoperto…” iniziò Falman
“Vieni, - lo bloccò Mc Dorian, alzandosi dalla sedia – andiamo a farci una passeggiata: queste mura mi opprimono”
Ma l’occhiata significativa che lanciò a quell’ufficio, faceva intendere che più che oppressione si trattava di paura di essere ascoltato.
 
Il Quartier Generale dell’Est aveva un cortile interno che di estendeva per alcuni ettari: mentre verso nord si apriva nel campo di parata, dal lato opposto, restando dalla parte degli edifici, presentava alcuni viali incorniciati da alti alberi dalle piccole foglie di verde brillante. Una fresca brezza muoveva queste ultime, permettendo alla luce del sole di fare spettacolari giochi nei tronchi e nei rami.
Nonostante quel clima quasi idilliaco, Falman non poteva fare a meno di sentirsi a disagio mentre passeggiava fianco a fianco di Mc Dorian. Il sospetto che ci fosse qualcuno all’interno del quartier generale che potesse essere loro ostile lo metteva in apprensione. La sua convinzione che l’esercito era qualcosa di giusto veniva messa a dura prova.
“Oh, polizia, esercito… ci sarà sempre qualcuno contro di te, ricordalo – commentò Mc Dorian, come se avesse letto nei suoi pensieri – E questo è valido soprattutto quando entri a far parte della mia squadra: che ho nemici è un dato di fatto… e quelli silenzioni e striscianti all’interno dei ranghi militari tendono ad essere i più fastidiosi, fidati di me”
“Perché ha tanti nemici, signore?” chiese Falman
“Perché il tipo di lavoro che svolgo io può andare a toccare gli interessi di altri militari… Purtroppo per me, ho il difetto di fregarmene di corruzioni e favoritismi e questo può infastidire parecchio chi compie qualcosa di illecito. Cosa credi? Nella guerra civile che sta per scoppiare sono parecchi quelli che ci mangeranno”
“Signore, vuole sottintendere che anche dietro la rete di attentati ci siano alti ranghi dell’esercito?”
“Dico solo che mi pare molto strano che in un inseguimento sia morto proprio il poliziotto che, qualche giorno prima, mi aveva fatto una telefonata avvisandomi di aver scoperto qualcosa di grosso”
Si girò verso Falman, per osservarne la reazione: il soldato continuava a camminare, guardando fisso davanti a se
“Signore, posso chiederle cosa successe esattamente tra lei e mio padre?”
“Aspettavo questa tua domanda da giorni, ormai” ammise Mc Dorian
“Alexis mi ha parlato di… discussioni fra voi due”
“Beh sì, alla fine è stata una discussione anche quando tuo padre mi ha preso per il colletto e strattonato con una violenza tale che mi è rimasto il segno per due giorni”
Falman si irrigidì: aveva sempre visto suo padre tranquillo e pacifico. Non riusciva proprio ad immaginarselo in versione furiosa. Che cosa poteva averlo spinto a un tale gesto contro una persona che lui reputava amica?
“Tanto vale iniziare da principio, non credi?”
“Come ritiene giusto, signore”




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Piccolo capitolo di corsa, in una breve puntata a casa ^^

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Capitolo 8
*** Capitolo 7. 1900. Between past and present. ***


Capitolo 7.
1900. Between past and present.

 


“Conobbi Vincent Falman nell’aprile del 1878: - iniziò il tenente - all’epoca io ero un sergente maggiore dell’esercito che si faceva strada nel reparto investigativo, mentre lui iniziava a farsi un nome tra i suoi superiori… se c’era una cosa che non è mai mancata a tuo padre era l’intuito per risolvere i casi. Era come se all’improvviso gli arrivasse l’intuizione giusta che dava la svolta decisiva alle indagini: ancora oggi mi chiedo come fosse possibile. Ma vedendo te, non mi stupisco più di niente: si vede che è tradizione di famiglia avere delle doti eccezionali”
Falman accolse quel complimento con un lieve cenno del capo
“In ogni caso, sia io che lui stavamo a New Optain: lui ci lavorava e aveva da poco sposato tua madre, mentre io ero stato mandato lì da East City. Penso che l’intenzione di molti, spedendomi in quel paese così piccolo rispetto al centro del distretto Est, fosse di seppellirmi e dimenticarmi per far avanzare di carriera altre persone; peccato che non avessero calcolato che lì avrei incontrato tuo padre e che insieme avremmo fatto faville.
Me lo ricordo come se fosse ieri: era un aprile particolarmente freddo… sembrava che la primavera proprio non volesse arrivare. Venni chiamato la mattina prestissimo per un caso di omicidio: un pezzo grosso della città che poi si sarebbe rivelato essere a capo di traffici illeciti di armi, ma all’inizio sembrava assurdo che quel rispettabilissimo signore, che faceva parte anche del consiglio cittadino, fosse stato ucciso a sangue freddo nella propria casa.
Ero appena arrivato in quel posto e non avevo nessun collaboratore a mio fianco, così mi ritrovai davanti a quel cadavere, sfregandomi le mani per il freddo e cercando di capire che cosa diamine era successo. Ed ecco che tuo padre compare nella stanza, incurante del freddo e dell’ora ingrata: si presenta come l’agente incaricato di affiancarmi, dato che non c’erano soldati disponibili… mphf, dubito che qualche soldato mi avrebbe potuto affiancare meglio di come ha fatto lui. Una settimana, capisci? Nell’arco di una settimana tra me e lui abbiamo sradicato completamente un’intera organizzazione di traffico illecito di armi che aveva contatti persino con Central… a distanza di anni quello è ancora il risultato più incredibile che abbia mai ottenuto nella mia carriera”
“Quindi polizia ed esercito collaborarono”
“Io e Vincent collaborammo: soldati e poliziotti intervennero solo l’ultimo giorno quando procedemmo alle sortite che portarono agli arresti dei capi di quell’organizzazione. Siamo stati io e lui a predisporre tutto: Vincent ha sempre avuto una grande dote nel riuscire a muoversi senza destare troppi sospetti, d’altro canto io avevo le competenze giuste per individuare davanti a che tipo di organizzazione ci trovavamo… insomma eravamo un’accoppiata vincente: il suo intuito completava le mie conoscenze.
E fu così che iniziò la nostra collaborazione… quasi dieci anni di successi, Falman!”
“New Optain vi deve molto, signore”
“New Optain… già: quella che sembrava essere la fine della mia carriera in realtà si trasformò nel più grande trampolino di lancio della mia vita. A posteriori sai qual è stata la chiave vincente? Il fatto che in quella città l’apparato militare non era così grande: i vertici erano quasi sempre assenti ed il personale scarseggiava… avevo ogni volta carta bianca e sapevo dove trovare la giusta collaborazione. Non ti nego che proposi a tuo padre di entrare a far parte dell’esercito, proprio come ho fatto per te”
“E mio padre che rispose?”
“Ah, me lo ricordo come se fosse ieri: tu eri nato da pochi mesi. Gli avevo proposto di diventare soldato, di fare squadra con me: insomma la possibilità di carriera era maggiore e con una famiglia da mantenere avrebbe fatto comodo. Ma lui mi rispose che il suo posto e il suo cuore erano nella polizia: Vincent era così… aveva una sua maledettissima questione di principio da mantenere. Nel 1880 la militarizzazione di Amestris non aveva ancora la forza che avrebbe assunto a distanza di pochi anni: c’erano le prime avvisaglie, ma in un posto come New Optain erano solo echi di qualcosa che sembrava non dovesse arrivare mai… la polizia aveva un suo ruolo definito, un’importanza non indifferente, e Vincent ci credeva veramente. Credo che lui ritenesse l’esercito come qualcosa di troppo estremo: capiva i soldati che combattevano nei fronti, certamente, ma riteneva che nelle città, nei rapporti coi civili, fosse la polizia a dover operare. Non nego che è una logica con un suo perché, ma tuo padre preferiva ignorare il fatto che Amestris è nata come dittatura militare e continua ad esserlo… forse l’esercito in determinati periodi storici di relativa pace può apparire come non indispensabile, ma tu sai benissimo che sono archi di tempo che durano al massimo una cinquantina d’anni”
“Per non parlare della guerra civile che sta per arrivare: è da un secolo che non c’è un avvenimento di simile portata” commentò Falman
“Appunto. Insomma, se posso dirlo,Vincent ha sempre avuto ideali democratici…Con me collaborava volentieri, certo, ma credo che spesso preferisse ignorare la divisa che indossavo”
Falman si irrigidì: se suo padre l’avesse visto con la divisa dell’esercito non sarebbe stato affatto contento.
“Lui sarebbe stato fiero di te in ogni caso. – gli disse Mc Dorian, leggendo ancora una volta i suoi pensieri – Un padre sa riconoscere qual è la strada giusta per il proprio figlio, fidati. Se mi fossi reso conto che l’ingresso di Alexis nell’esercito era dovuto a puro spirito emulativo, l’avrei bloccato e l’avrei fatto ragionare, con le buone o con le cattive. Non ti avrebbe mai voluto vedere costretto in una divisa che non era tua”
“Anche se l’alternativa era vedermi in una divisa che lui, in fondo, odiava?”
“Non la odiava, Vato… in primis lui distingueva la persona dalla divisa e questo è fondamentale. Diciamo che preferiva vederla solo lungo i confini, ecco. Non ha mai affermato che l’esercito non dovesse esistere, assolutamente. Sarebbe fiero di quello che sei diventato, credimi”
“Stava dicendo che, dunque, mio padre rifiutò di entrare nell’esercito” riprese Falman per allontanare quei pensieri
“Ah sì. Beh, nonostante queste vedute differenti, la nostra collaborazione continuava e fino al 1885 tutto filò in maniera più o meno liscia. Tuttavia anche i migliori idilli sono destinati a finire e il nostro ebbe come causa di rottura una persona ben precisa: Trevor Leon”
“Il diretto superiore di mio padre? – si stupì Falman, ricordando quel poliziotto così serio che suo padre aveva seguito ad East City, portando con sé lui e sua madre – Cosa c’entra lui?”
“Adesso non fraintendermi, non ho niente da dire contro di lui come poliziotto. Anzi, forse qualcosa avrei da dire sul suo essere troppo rigido e integerrimo… in ogni caso, non vedeva di buon occhio la collaborazione tra me e Vincent: ecco, lui era una di quelle persone che ritenevano che esercito e polizia non dovessero collaborare. Solo che fece la grandissima cazzata… perché di cazzata si è trattata, di andare a sbandierare questa sua posizione ai quattro venti, facendo piombare nel caos un posto tranquillo come New Optain”
“Proprio non ce lo vedo a compiere un gesto simile…” scosse il capo Falman
“Oh, perché ha imparato la lezione. Ma vatti a spulciare gli atti dei disordini del 1886 a New Optain e vedrai quanti problemi ha causato: è una persona carismatica e in quegli anni si fece portavoce dei malumori che iniziavano a serpeggiare nella polizia. Come se non bastasse a capo del distretto militare della città c’era appena stato un cambio di vertici ed il nuovo arrivato non vedeva l’ora di farsi un po’ di fama… insomma, quei disordini gli capitarono proprio a fagiolo.”
“E mio padre come si comportò in questo frangente?”
Mc Dorian scosse la testa con rassegnazione
“Leon non tardò ad individuare le doti di Vincent e lo volle come suo assistente… e chi può dargli torto? Penso che in fondo a tuo padre facesse enormemente piacere vedere che la polizia aveva una guida così carismatica. Ma il risultato pratico fu che Leon non voleva più la mia presenza nelle indagini: sosteneva che la polizia se la poteva cavare benissimo da sola… e non nego che la maggior parte delle volte potesse essere così. Ma, porca miseria, nel momento in cui tu inizi a fare certe dichiarazioni che possono arrivare ad indisporre la popolazione civile nei confronti dell’esercito, allora mi incavolo persino io. Sono il primo a dire che ci sono persone con questa divisa che sono delle buone a nulla o persino dannose, ma tu, soprattutto in quanto poliziotto, non puoi sobillare la popolazione contro un’istituzione fondamentale come l’esercito! Falman, tu sai benissimo quanto poco ci voglia a scatenare una guerra civile… non puoi che darmi ragione!”
“Non posso che confermarlo, signore” annuì Falman
“Leon e Lee, ecco come si chiamava quello che mandarono a capo del settore militare… una miscela esplosiva che stava per essere accesa”
“Il generale Lee? E’ ancora di stanza lì”
“Generale eh? Ha fatto carriera il nostro amico. In ogni caso, dopo nemmeno un anno di quella convivenza così pericolosa, la bomba esplose. Ci fu un caso di omicidio riguardante una persona molto vicina all’esercito: Leon pretendeva che il caso restasse in mano alla polizia, ma era una provocazione bella e buona; si trattava di un collaboratore militare ed il caso era, legittimamente, competenza dell’esercito e dunque mia. Ma si sa, a volte il pretesto non conta e si scatenarono dei disordini: diversi feriti, fortunatamente nessun morto… ma la polizia aveva fatto il passo più lungo della gamba e così molte cariche saltarono: mi chiedo ancora oggi come mai quella di Leon rimase intaccata… di certo aveva diverse influenze per passarla così liscia.”
“E mio padre?”
“A tuo padre dovetti tappare la bocca io, – sospirò Mc Dorian – e forse lì feci la scelta che portò alla fine della nostra amicizia, almeno da parte sua. Sostenni davanti a coloro che eseguivano le indagini sui disordini che Vincent non c’entrava assolutamente niente, ed era la verità, e che anzi, stava collaborando con me. Lo feci passare per un voltagabbana, capisci? E questo lui non lo poteva sopportare… ma io non avrei potuto sopportare che venisse usato come capro espiatorio per quella vicenda. Loro volevano un nome, Falman, tutto qui… Leon era a quanto pare intoccabile e dopo di lui c’era Vincent. Feci solo l’unica cosa che mi sembrava giusta, ma tuo padre non la prese bene”
“E come andarono a finire i disordini? Ha detto che cercavano un nome”
“Alla fine, dopo diversi mesi infuocati, lasciarono stare: – scrollò le spalle il tenente – bastarono soltanto quelle degradazioni di cui ti ho parlato prima. Era preferibile non ingigantire ulteriormente la situazione… l’unico vero problema fu che Vincent non me la perdonò. Dannazione, non dimenticherò mai quella sera: era la fine del 1886 e lui si presentò a casa mia. Aveva l’aria furente e si trattenne dall’aggredirmi sulla porta solo perché c’era anche Alexis presente, aveva appena undici anni: posso ancora vedere Vincent posare lo sguardo su mio figlio e deglutire vistosamente per evitare di esplodere davanti al bambino. Capivo perfettamente che il litigio era alle porte e così uscimmo fuori; camminammo in silenzio per le strade della città, ciascuno nella sua divisa. Aspettavo che tuo padre esplodesse da un momento all’altro e infatti così successe.
Improvvisamente mi prese per il colletto della divisa e mi sbatté contro il muro di un palazzo: non mi dimenticherò mai la sua faccia… è stata l’unica volta che l’ho visto davvero incazzato. C’era tanto orgoglio ferito e tanta rabbia nella sua espressione che per un attimo mi dispiacque di avergli fatto fare quella figura. Ma durò solo un attimo… se il suo odio era il prezzo da pagare per avergli salvato il culo, che fosse così. Ovviamente glielo dissi in faccia, non mi faccio scrupoli per certe cose, specie se sono convinto di essere nel giusto, ma Vincent non era disposto a sentirci da quell’orecchio. Disse che sarei dovuto restare fuori da quella faccenda, che lui era perfettamente in pace con se stesso… che la polizia non aveva bisogno di nascondersi dietro le sottane dell’esercito. Forse era quello il più grosso difetto di tuo padre: era convinto che se lui era nel giusto allora era intoccabile. Gli diedi del cretino e dell’ingenuo se credeva che sarebbe stato risparmiato senza il mio intervento, ma fu come parlare al vento. Insomma, volarono parole grosse… peggio di due scolaretti: non venimmo alle mani, non eravamo tipi da farlo. Ma ci lasciammo con parole roventi.
A inizio anno successivo, Leon fu trasferito ad East City e portò Vincent con sé: tu avevi appena compiuto sette anni. Era chiaro che si preferiva portare quella testa calda in un posto dove non sarebbe stato tanto facile per lui fare di nuovo scenate simili. Io dovetti aspettare ancora un anno e poi venni inviato a Central City: venne richiesta la mia collaborazione per alcuni casi delicati e tra una cosa e l’altra ci rimasi fino al 1896. Ma fosse dipeso da me sarei rientrato ad East City nel 1894, quando ebbi notizia della morte di Vincent”
“Ha parlato di una telefonata, poco prima che morisse”
“Sì: – si incupì Mc Dorian – era il 27 febbraio, quattro giorni prima di quel maledetto giorno. Ero nel mio ufficio quando mi passarono una telefonata da East City. Pensavo fosse qualche mio collaboratore o qualche richiesta di aiuto per qualche caso particolare… puoi immaginare la mia sorpresa quando dall’altra parte del ricevitore parlò la voce che non sentivo da circa sette anni. Il suo tono era urgente e sommesso: si capiva che aveva paura di essere ascoltato; mi disse che ad East City stava succedendo qualcosa di molto grosso e che io ero l’unica persona di cui si poteva veramente fidare… Sì, Falman, disse proprio queste parole e questo la dice lunga: se Vincent mi veniva a cercare voleva dire che non aveva proprio nessuno su cui fare davvero affidamento. Mi parlò sommariamente di una banda a cui stavano dando la caccia, ma capivo che c’era sotto altro… tzè, anni di distanza non potevano cancellare l’affiatamento che avevamo. Quei sottintesi erano chiari come la luce del sole: c’erano pezzi grossi in mezzo a tutta quella vicenda e lui aveva scoperto qualcosa che non doveva scoprire”
“Ma perché non dirlo al capitano Leon?” chiese Falman
“Perché , come ti ho detto prima, il nostro Leon aveva imparato la lezione di non pestare i piedi a chi era più grosso di lui. Ma se Vincent un silenzio simile poteva tollerarlo per dispute ideologiche tra polizia ed esercito, non poteva concepirlo per qualcosa di criminale… e così tornò a rivolgersi a me, perché sapeva che non avevo paura di invischiarmi in queste cose. Rimanemmo d’accordo che ci saremmo sentiti ancora e che io avrei fatto in modo di tornare al più presto ad East City, ma quattro giorni dopo arrivò quella maledettissima notizia. Questa volta non ero con lui a proteggerlo...”
Mc Dorian si bloccò e chiuse gli occhi.
Falman lesse un grande dolore nel suo volto, come se il lutto fosse recente e non di sei anni prima. Era una pena così profonda che il soldato si trovò a confrontarla con tutte le persone presenti al funerale di suo padre… solo lui e sua madre avevano mostrato un dolore simile. Mc Dorian aveva perso un amico sincero
“E poi…?” mormorò
Il tenente riaprì gli occhi, lievemente lucidi e proseguì.
“Per quanto volessi prendere il primo treno e partire, dovetti restare a Central. Se tornavo immediatamente dopo la morte di Vincent avrei destato troppi sospetti e sicuramente la guardia su di me era molto alta: era meglio aspettare che la situazione sbollisse un po’. Mi assicurai che tu e tua madre stesse bene e che niente vi minacciasse, ovviamente con la massima discrezione. Ma sembrava che, con la morte di Vincent, chiunque ci fosse dietro si sentisse al sicuro: probabilmente l’avvertimento era stato lanciato.
Ed invece dopo due anni, senza fare troppo clamore, ottenni di essere trasferito ad East City. A dire il vero sembrò che mi ci mandassero per forza… del resto un trasferimento da Central può apparire come un degradazione. Ma in realtà non aspettavo altro di poter mettere le mani su quel maledetto caso… e cosa successe? Lo trovai archiviato. Sai cosa vuol dire un caso archiviato senza che ci sia un colpevole?”
“Mancanza di risorse, signore?”
“No, volontà di mettere a tacere la cosa”
Falman annuì, incupendosi in volto
“Se hai letto quel fascicolo capirai benissimo che le indagini non sono state condotte con la giusta attenzione: certo, molti potranno dire che, considerata la situazione instabile, c’è ben altro a cui pensare specie col passare degli anni e l’arrivo di altri casi. Ma non puoi fare una cosa simile per quello che palesemente è un omicidio volontario per far tacere qualcosa di importante. Io e te l’abbiamo capito in pochissimo che era un’azione volta ad uccidere Vincent”
“Signore, a chi stiamo andando a pestare i piedi?” mormorò Falman
“A qualcuno di grosso, stanne certo… Comunque, per terminare la storia, tornato ad East City da nemmeno due mesi, ti incontrai dopo quell’esplosione e il resto lo sai.
Voglio essere sincero con te, Falman, non so che favore ti ho fatto prendendoti sotto la mia ala protettiva: presto o tardi, o l’hanno addirittura già fatto, il tuo cognome riporterà alla memoria la collaborazione tra me e tuo padre. E ovviamente sarà palese che nessuno di noi due ha accettato l’archiviazione di quel caso”
“Signore, il mio posto è nell’esercito, ne sono sicuro. E voglio far luce sulla morte di mio padre”
“Parole degne del figlio di Vincent.– sorrise Mc Dorian con orgoglio quasi paterno, posandogli una mano sulla spalla – Non voglio sostituirmi a tuo padre, Vato, non potrei mai… ma, davvero, per qualsiasi cosa sappi che puoi contare su di me”
“La ringrazio, signore”
“Ora che abbiamo risolto questa questione… dimmi, era per questo che non avevi inserito il caso 21579 nel rapporto che mi hai consegnato?”
“Anche per questo signore… ma la verità è che…”
“Sì?”
“Signore, credo che più con Aerugo, come avviene in quasi tutti gli altri casi di terrorismo, qui abbiamo a che fare con Drachma”
Il nome di quel paese settentrionale risuonò tra le foglie degli alberi. Mc Dorian squadrò l’ultimo arrivato nella sua squadra con i suoi profondi occhi azzurri: Drachma… il cliente più difficile.
“Se è così, allora Vincent aveva scoperto qualcosa di davvero grosso” sussurrò
 

 

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Eccomi di ritorno dalle vacanze pronta riprendere la persecuzione del nostro Falman :D
Ho diversi capitoli già scritti, quindi per i prossimi giorni l'aggiornamento sarà costante.
Enjoy

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Capitolo 9
*** Capitolo 8. 1900. Tears for a betrayed hero ***


Capitolo 8.
1900. Tears for a betrayed hero


 
Per entrare ad Amestris un abitante di Drachma aveva come passaggio quasi obbligato il confine di Briggs. In alternativa doveva scendere fino a Creta o dall’altra parte verso il deserto orientale.
Era per tali motivi che l’infiltrazione di componenti di quel paese era più inverosimile rispetto a quella di abitanti di Creta o Aerugo: Briggs era rigidissimo nel controllo di quel confine, specie in periodi di ostilità come quello attuale.
“Se abbiamo a che fare con persone provenienti da Drachma – commentò Mc Dorian qualche ora più tardi il colloquio avuto con Falman – stiamo certi che hanno qualche aggancio importante”
“Quindi dobbiamo seguire due filoni differenti: – constatò Alexis, congiungendo i palmi delle mani e poi separandoli uno verso destra e l’altro in direzione opposta – da una parte abbiamo cellule terroristiche che fanno capo ad Aerugo e che, probabilmente, sono strettamente connesse con i movimenti ribelli di Ishval, mentre dall’altra c’è un caso isolato, ovviamente in teoria, di membri di Ishval che si appoggiano a Drachma”
“Se c’è Drachma di mezzo allora stai certo che è lì solo per fare i propri interessi: di Ishval non gliene importa niente. Al massimo lo utilizza come copertura, magari per confondere l’esercito e far pensare ad un'unica organizzazione… così eventualmente le colpe saranno date solo ad Aerugo” scrollò le spalle Miran.
Falman annuì.
Incrociando tutte le informazioni il quadro si delineava più complicato del previsto con quei due filoni separati da seguire.
“E’ chiaro che la questione più urgente è il fronte terroristico guidato da Aerugo. – disse, mettendosi a braccia conserte – I loro attentati sono sempre più ravvicinati e quindi la priorità è sgominarli prima che scoppi la guerra vera e propria”
Gli altri annuirono a quelle parole, anche se Falman avrebbe ovviamente voluto spendere tutte le sue energie e risorse per occuparsi del secondo caso. Ma era anche vero che, dopo l’attentato in cui aveva perso la vita Vincent, non se ne era più sentito parlare.
“Drachma non è interessata al terrorismo che sta precedendo la guerra civile: – scrollò le spalle Mc Dorian – ha sicuramente in mente altro. Lo testimonia il fatto che come è stata tappata la bocca a chi sapeva, non c’è stata alcun altra azione da parte loro”
“Come dobbiamo muoverci, signore?” chiese Miran
Il tenente rimase qualche minuto in silenzio, fissandosi la manica della divisa. Poi si rivolse alla donna
“Tu e Alexis, grazie alla relazione di Falman, avete elementi abbastanza  buoni per poter restringere il cerchio delle cellule terroristiche presenti ad East City. Incrociate i dati delle vie di fuga presenti nei rapporti e delle descrizioni dei componenti: sono certo che nell’arco di un paio di giorni mi fornirete una zona precisa dove cercare”
“Certo, signore” garantì Alexis scattando sull’attenti
“Nel frattempo che aspettiamo questi risultati – continuò Mc Dorian – io e te, Falman, cerchiamo di capire se Vincent aveva altro in mano, oltre al nome di Drachma. Mi pare strano che l’abbiano fatto secco solo perché aveva indovinato quale dei tre nostri vicini ci dava fastidio… dobbiamo scoprire che altro sapeva. Perché se devo essere sincero, mi preoccupano di più nemici silenziosi piuttosto che quelli che operano apertamente”
“Va bene, signore” annuì Falman soddisfatto di quella scelta
“Ricordiamocelo, ragazzi: la guerra è alle porte. Prima risolviamo queste due vicende, meglio sarà!”
 
 
Nonostante l’entusiasmo iniziale per la decisione presa dal tenente, Falman si dovette rapidamente ricredere sulla facilità del compito che si apprestava a svolgere.
Se per Alexis e Miran il lavoro si presentava relativamente tranquillo, per Falman e Mc Dorian non si poteva dire lo stesso: non c’era nessuna traccia al di fuori di quel nome che Vincent aveva lasciato come scomoda eredità.
Nei giorni successivi il soldato spulciò tutta la documentazione che suo padre aveva lasciato a casa, ma come era prevedibile, non c’era niente che poteva confermare o smentire i loro sospetti. Era come se Vincent avesse portato tutte le prove che aveva raccolto nella tomba, proprio come volevano le persone che l’avevano ucciso.
Per Falman era difficile affrontare quel tipo di situazione perché si arrivava ben presto al punto in cui i dati a disposizione terminavano e sembrava di brancolare nel buio. Era come cercare una scintilla di fuoco in dei carboni spenti da anni.
Fece decine e decine di volte il punto della situazione, ma nulla gli venne in mente e, purtroppo, non aveva altri dossier e fascicoli su cui appoggiarsi.
Un grande senso di fastidio iniziò a impossessarsi della sua persona: si sentiva per la prima volta con le spalle al muro e proprio per il caso che riguardava la morte di suo padre. Era una sensazione di frustrazione mista a fallimento così sgradevole che se ne sentì schiacciato in poco tempo, per quanto si sforzasse di restare calmo e freddo come al solito.
E così una sera invece di tornare direttamente a casa, sentì il bisogno di sgomberare la sua mente dagli schemi su cui si stava arrovellando. Prese una via diversa e iniziò a camminare senza una particolare meta, guardando distrattamente la strada che veniva sempre di più illuminata dalla luce dei lampioni, mano a mano che il sole tramontava.
Ad un certo punto si accorse che il marciapiede aveva assunto un aspetto particolare e curiosamente familiare: quelle lastre di marmo le aveva già viste altre volte, sebbene fossero rare in città. Voltando lo sguardo vide che si trovava davanti al cimitero, con i suoi cancelli di grigio ferro battuto.
In genere erano aperti, ma data l’ora erano chiusi, sebbene non ci fosse alcun lucchetto a limitare l’accesso a quel posto. Falman ne studiò la decorazione della parte centrale, con quelle volute così delicate e allo stesso tempo così pesanti: la leggerezza di un luogo di riposo e pace eterna, la pesantezza del dolore di chi accompagnava le bare, restando a piangere…
La sua mano magra si posò delicatamente su una di quelle volute, risultando ancora più bianca in mezzo a quel grigio scuro, quasi nero. Facendo una lieve pressione si accorse che il cancello si apriva con un lieve rumore, la parte inferiore che andava a sfiorare l’erba verde che costeggiava il sentiero principale.
Falman si chiese da quanto tempo non veniva in quel posto, ma preferì non ricordare, per una volta tanto.
Aveva accompagnato sua madre, qualche volta, specie nel primo anno dopo il funerale. Ma quelle visite gli avevano sempre lasciato un senso di vuoto tale che, dopo un po’, la donna aveva smesso di chiedergli se voleva andare con lei.
I suoi stivali si mossero automaticamente in quel posto: aveva impresso a fuoco la strada nella sua memoria quel tremendo giorno da quattordicenne, quando il piccolo corteo di persone vestite in nero gli era sembrato così assurdo e destabilizzante.
Così, dopo nemmeno un minuto di camminata in mezzo a quei prati verdi, illuminati da rari lampioncini, dove spiccavano tante lapidi, si trovò davanti alla tomba di suo padre. Era lievemente cambiata, forse nel marmo era leggermente scurito e l’erba non era tagliata pari intorno ad essa.
Ma la sensazione di tremendo vuoto che l’aveva attanagliato il giorno che aveva scoperto che la realtà era ben diversa dai libri che amava leggere era sempre la stessa.
Vincent Falman. 5/10/1851 – 3/03/1894. Capitano di polizia, morto in servizio.
Si sorprese a pensare che quelli erano i dati semplici e reali che lui poteva memorizzare senza problemi, senza rischi. Non c’erano voli di fantasia, trame inventate, sogni, speranze: solo la verità cruda e semplice. Era quello il motivo per cui i romanzi, soprattutto quelli polizieschi, ora gli sembravano letture così vuote: da piccolo aveva costruito un vero e proprio castello in aria su di essi e quel castello gli era rovinosamente crollato addosso.
Si era sentito tradito dall’amata parola scritta e questo non lo poteva tollerare.
Oh, andiamo! – pensò con rabbia – In realtà mi sono sentito tradito e abbandonato da te, papà! E mi sento ancora così, perché mi sto accorgendo che, in realtà, di te sapevo veramente poco!
Scosse il capo, sorpreso da quell’improvviso pensiero rovente che gli aveva attraversato la mente.
Cercò di allontanare quelle spiacevoli sensazioni riflettendo se era il caso di riavviarsi verso casa, ma si accorse che aveva esigenza di stare lì e riflettere, forse per la prima volta in maniera lucida e distaccata, sulla figura di suo padre. Basta vederlo come l’eroe di un libro: aveva bisogno di scoprire chi era l’uomo e il poliziotto… con tutti i suoi pregi, certo, ma anche con i difetti e gli sbagli.
Perché se hai dovuto chiamare Mc Dorian dopo anni di silenzio, è perché ti sei accorto che ti sei fidato delle persone sbagliate!- pensò in tono quasi accusatorio.
Ecco il lampo d’intuizione che cercava.
Il suo tono era urgente e sommesso: si capiva che aveva paura di essere ascoltato; mi disse che ad East City stava succedendo qualcosa di molto grosso e che io ero l’unica persona di cui si poteva veramente fidare… Sì, Falman, disse proprio tali parole e questo la dice lunga: se Vincent mi veniva a cercare voleva dire che non aveva proprio nessuno su cui fare davvero affidamento.
Le parole che gli aveva detto il tenente qualche giorno prima non lasciavano spazio a dubbi. C’era qualcuno a cui suo padre si era rivolto e che non si era dimostrato degno della sua fiducia: ecco come Vincent si era scoperto troppo.
Ma chi era?
Si mise le mani nelle tasche del cappotto nero da militare e, con quel gesto, la stoffa si mosse leggermente: l’interno dell’indumento andò ad impigliarsi in uno dei bottoni della divisa. Cercando di risolvere quel piccolo imprevisto, si sorprese a pensare alle idee di suo padre nei confronti dell’esercito.
Mc Dorian gli aveva garantito che Vincent sarebbe stato fiero di lui, a prescindere dalla divisa che indossava. Era davvero così?
E’ dura per te vedermi con questa divisa blu? E dura sapere che la persona più affidabile a cui potessi fare riferimento era un militare e non un poliziotto?
Ancora pensieri rabbiosi, degni di un bambino abbandonato e solo che se la prende con il genitore assente… ma sembrava che quella sera dovesse sputare fuori tutto quello che si stava tenendo dentro da anni. Si mise la mano sul petto, andando a stringere la giacca della divisa dell’esercito: era quello il suo posto, non la divisa scura della polizia. Una divisa che gli stava iniziando a dare fastidio: così bella e rassicurante addosso a suo padre, simbolo di un mondo giusto e grandioso di cui non aveva visto l’ora di fare parte. Ma in realtà non era niente di speciale: era Vincent a renderla così.
…lui distingueva la persona dalla divisa e questo è fondamentale.
La voce di Mc Dorian risuonò di nuovo nella sua mente, ammonendolo sul non fare errori grossolani dettati dal dolore e dalla rabbia.
No, Vato Falman doveva restare calmo e freddo: era questa una delle doti che gli consentiva di ragionare correttamente e non poteva assolutamente permettersi di perderla.
“Va bene, ho scoperto che eri una persona completamente diversa da come ti conoscevo. – mormorò rivolgendosi alla lapide, sentendo l’esigenza di dirgli tutte queste cose – E per tutta la vita non ho potuto fare a meno di inseguirti, come se tu fossi una chimera. E la divisa che indossavi, e che poi ti ha portato via da me e dalla mamma, era il modo più semplice per… poter stare con te. Volevo essere poliziotto solo per…”
La voce gli si strozzò in gola e si accorse che gli occhi gli stavano bruciando per le lacrime vecchie di sei anni.
“… per avere un padre che era troppo assente nella tua vita” terminò una voce dietro di lui.
Girandosi di scatto, la  vista offuscata da quelle lacrime, vide Mc Dorian che si faceva avanti e gli si portava accanto. Il tenente fissò la lapide per qualche secondo.
“Mi sembrava giusto passare a salutarlo dopo tutto questo tempo…” spiegò, quasi volesse giustificare la sua presenza in quel posto
“Non c’era ancora passato, signore?” chiese Falman, tentando di controllare la voce e cercando un qualsiasi argomento che lo potesse liberare da quel momento di debolezza
“No, - scosse il capo lui – non ne avevo ancora avuto la forza: avevo quasi paura del suo giudizio, perché non sono intervenuto in tempo per salvarlo”
“Mi dispiace per le parole che mi ha sentito dire prima, signore, la prego di dimenticarle”
“Dimenticarle? – mormorò Mc Dorian, gratificandolo di un’occhiata tagliente degli occhi azzurri – Sono le parole che ho avuto il terrore di sentire pronunciate da Alexis per anni: come potrei dimenticarle?”
“Lei non è stato un padre assente, signore: – scosse il capo Falman – mi basta guardare Alexis per capirlo”
Io il mio dovevo cercarlo nei libri… ogni volta che non tornava a cena, andavo in camera a leggere qualche storia poliziesca e immaginavo di essere accanto a lui
“Vincent aveva la tendenza a buttarsi molto sul proprio lavoro, ma si preoccupava molto per te, ne sono sicuro…” iniziò Mc Dorian
“Certo! Perché ero sempre sui libri, perché a scuola non avevo molti amici… ma non si è mai preoccupato di chiedersi se il vero problema fosse che lui non c’era mai… quando…” non continuò la frase, accorgendosi che era un pensiero veramente egoistico. In fondo suo padre lavorava per tenere sicura la città, per le persone che avevano bisogno di lui.
Io e la mamma avevamo bisogno di te! Ossignore… basta, Vato, basta. Non farti catturare da questi pensieri…
“Va bene, giovanotto, – sospirò Mc Dorian, battendogli affettuosi colpetti sul braccio – sfoga queste maledette lacrime che ne hai davvero bisogno. Trattenerle ti renderà le cose solo più difficili…”
Quasi avessero ricevuto l’autorizzazione a farlo, le lacrime iniziarono a scorrere libere sulle sue guance magre, seguendo la linea dello zigomo pronunciato. Ignorando il fatto di essere in presenza di Mc Dorian, il dolore di un ragazzino quattordicenne trovò finalmente sfogo in un pianto silenzioso, davanti a quella tomba di un uomo strappato via alla propria famiglia.
 
Il giorno dopo si svegliò con la sensazione di essere prosciugato.
Non si ricordava nemmeno di essere rientrato a casa e il fatto di essere con l’intera divisa addosso, gli fece capire che era letteralmente crollato nel letto.
Gli occhi gli davano leggermente fastidio e andando in bagno e guardandosi allo specchio vide che erano leggermente arrossati. Quanto aveva pianto anche dopo che era rincasato?
Scuotendo il capo si lavò il viso per liberarsi finalmente da quel senso di secchezza sulle palpebre.
Dopo essersi preparato per andare a lavoro, mettendosi una divisa pulita, si diresse in cucina per salutare sua madre: non aveva voglia di fare colazione, decisamente il suo stomaco era ancora chiuso.
“Ciao mamma; – salutò sedendosi al tavolo, per farle compagnia – colazione la faccio direttamente più tardi, a lavoro. Scusa ma in questo momento non ho proprio appetito.”
“Come vuoi, Vato. – annuì lei. Poi stette in silenzio qualche secondo, prima di guardarlo con dolce attenzione – Passato tutto?”
“Eh?” la fissò lui con sorpresa. Non la sentiva pronunciare quella frase da quando era piccolo e si faceva male: allora lei lo medicava e dopo gli sorrideva chiedendogli se era “passato tutto”.
Poi si ricordò di essersi svegliato con una coperta addosso, mentre era sicuro di essersi buttato nel letto senza nemmeno preoccuparsi di levarsi gli stivali neri.
“Oh, mamma – sospirò – mi hai sentito… piangere?”
“Mi sono alzata durante la notte e… sì, tesoro ti ho sentito piangere. Allora sono entrata in camera tua e ho visto che eri già mezzo addormentato; però singhiozzavi ancora”
“Grazie per la coperta” mormorò lui
“Hai anche chiamato tuo padre nel sonno…”
A questa affermazione Vato arrossì. Non voleva tirare fuori un altro momento di debolezza con sua madre: non voleva riaprire quella ferita anche a lei. Ma la sua maledetta linguaccia parlò da sola
“Ne senti la mancanza?”
Idiota!
“Ogni, singolo giorno - sorrise lei alzandosi e abbracciandolo con forza – ma per fortuna che ho te, figlio mio”
Non succedeva da anni, ma lui si trovò a restituire con la medesima intensità quell’abbraccio. Per la prima volta si rendeva conto che era sua madre il vero punto fermo della sua vita, la sicurezza di una figura che ci sarebbe sempre stata. Si ricordò che una volta si era chiesto se era giusto eroizzare Vincent e dare a sua madre un ruolo meno esaltante… in realtà aveva semplicemente elaborato la diversa importanza che avevano i suoi genitori nella sua vita: perdere lei sarebbe stato molto più destabilizzante. Non era un’eroina, era semplicemente sua madre: non aveva bisogno di una divisa o di romanzi con cui idolatrala. Bastava solo che ci fosse.
“Ti ho mai detto quanto sei importante?” si trovò a chiederle, con la voce mezzo soffocata dal fatto che aveva il viso nascosto nella sua spalla
“Non c’è bisogno che tu me lo dica, Vato, – gli rispose lei – me lo dimostri ogni giorno”
 
Quando, circa un’ora dopo, fu davanti alla scrivania del tenente Mc Dorian non sapeva come comportarsi.
Sapeva di aver avuto un classico esempio di crollo emotivo, la sera prima; ed era altrettanto consapevole che quell’uomo l’aveva consolato come un bambino, seppure in maniera lievemente rude. Eppure non poteva fare a meno di pensare che aveva ricevuto uno strano conforto da quella mano che gli batteva dei colpetti sul braccio, da quella presenza così tangibile accanto a lui.
Tuttavia non era proprio una bella dimostrazione di maturità da parte di un soldato di vent’anni.
Ma sembrava che Mc Dorian non desse nessuna importanza a quanto era successo
“Tutto bene, Falman?” si limitò a dire
“Sissignore”
“Ottimo. Allora, ti è arrivata qualche intuizione?”
Intuizione.
Quella parola fece sparire tutto quello che era successo davanti alla tomba di suo padre e gli fece tornare in mente i pensieri produttivi che aveva avuto prima di quei momenti di crollo: forse avevano qualcosa su cui lavorare.
“Signore, - iniziò - se mio padre ha chiamato lei dicendo che non aveva nessuno di cui fidarsi, può darsi che in precedenza si sia rivolto a qualcuno che…”
“Che ha tradito la sua fiducia?” gli occhi di Mc Dorian lo scrutarono con attenzione
“Ha detto che sicuramente c’erano interessi di pezzi grossi in questa storia e di certo avranno avuto, uhm, informatori”
“Un informatore, eh? Bene, è un punto di partenza: – il tenente giochicchiò con una penna della scrivania – cerchiamo di dargli un volto, Falman: una persona di cui tuo padre si fidava ma che, allo stesso tempo, aveva legami con i piani alti”
Il soldato seguiva come ipnotizzato i movimenti di quella penna.
La risposta gli venne di nuovo dal ricordo della storia che gli aveva raccontato Mc Dorian qualche giorno prima.
“Una persona corrisponde a questa descrizione, signore… il capitano Trevor Leon” si scoprì a dire
La penna si fermò di colpo, puntata proprio contro di lui.
Ma a Falman colpì di più l’espressione di ghiaccio che aveva assunto il volto di Mc Dorian
“Ma certo: ha imparato bene la lezione, il nostro capitano. Ora non osa pestare i piedi di chi è più grande di lui, anzi è disposto persino a sacrificare il suo uomo migliore per pararsi il fondoschiena. Se è davvero lui, – il sussurro aveva un tono profondamente minaccioso – la pagherà davvero cara”
Falman non disse nulla né fece alcun gesto: il capitano Trevor Leon gli era sempre sembrato una persona così professionale e seria. Gli sembrava il capo giusto per suo padre: gli aveva persino fatto le congratulazioni quando era diventato poliziotto, augurandogli di essere allo stesso livello del compianto Vincent. Con che coraggio gli aveva potuto dire parole simili, guardandolo negli occhi?
Voglio vedere se avrà il coraggio di guardarmi di nuovo quando gli chiederò di mio padre
“Falman, – lo riscosse Mc Dorian – non facciamo mosse false… cautela prima di tutto. Fidati di me”
“Sissignore” rispose lui, scoprendo di fidarsi davvero di quell’uomo.
Rimasero in silenzio a fissarsi, quando la porta si aprì e Alexis e Miran fecero il loro ingresso.
I due si accostarono al tavolo che stava al centro della stanza e srotolarono una grossa piantina di East City.
Falman e Mc Dorian si avvicinarono e videro che c’erano alcune zone segnate con un grosso cerchio nero, mentre una, poco distante dalla zona dove abitava Falman era cerchiata in rosso.
Miran indicò i vari cerchi neri
“Queste sono le zone dove probabilmente sono dislocate alcune delle cellule che hanno operato negli ultimi mesi. Questa invece – ed indicò la zona cerchiata in rosso – è la zona dove sta lo stato maggiore dell’organizzazione”
“Abbiamo fatto delle stime: – continuò Alexis – le cellule singole sono composte da circa cinque uomini ciascuna… quindi un totale di una trentina di persone. Per quanto riguarda i vertici dell’organizzazione, possiamo stimare massimo una decina di persone”
“Ottimo lavoro, ragazzi, – sorrise Mc Dorian sfregandosi le mani – tanto per questi clienti possiamo contare sull’aiuto dell’esercito. C’è tutto l’interesse a fare fuori questi maledetti… ma dei pezzi grossi – ed indicò il cerchio rosso – ci occupiamo noi personalmente. Stasera pronti all’azione”
“Sissignore!” risposero in coro Miran e Alexis
“Stasera stessa?” si sorprese invece Falman
“Rapidità, ragazzo mio – gli spiegò Mc Dorian – è questa la nostra chiave di successo. Non ti preoccupare: la prima missione è sempre emozionante, ma poi fila liscia come l’olio”

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Capitolo 10
*** Capitolo 9. 1900. Chaos and confusion. ***


Capitolo 9.
1900. Chaos and confusion.

 


La zona dove Falman abitava era sempre stata tranquilla, con un tasso di criminalità veramente basso.
I palazzi erano abitati da gente perbene che, spesso e volentieri, si conosceva da anni e si salutava quotidianamente per strada. Lui e gli altri bambini avevano camminato e giocato tranquillamente in quelle vie, facendo da soli il percorso che portava alla poco distante scuola.
Aveva visto migliaia di volte quel vecchio palazzo signorile con le finestre sempre chiuse. Nel quartiere tutti sapevano che i proprietari si erano trasferiti a Central City e che non avevano ancora provveduto a disfarsi della loro vecchia proprietà.
Venire a conoscenza che in quell’edificio, a nemmeno due isolati da casa di Elisa, aveva preso base lo stato maggiore di un’organizzazione terroristica gli fece rizzare i capelli dietro la nuca. Non aveva mai pensato che il pericolo potesse essere così vicino a lui e alle persone che amava.
“Falman, tutto bene?” lo chiamò Alexis dandogli una gomitata.
Si girò a guardare il suo compagno: Mc Dorian aveva deciso di affiancarlo al figlio, considerato che era la sua prima missione. A dire il vero Falman era rimasto sorpreso nell’apprendere che il tenente avrebbe portato avanti l’attacco insieme a Miran e ad altri due soldati, tiratori scelti, che aveva convocato all’ultimo momento, prima di uscire dal Quartier Generale.
“Oh, non preoccuparti, erano stati allertati una mezz’ora fa e quindi sono perfettamente pronti all’azione” gli aveva spiegato Alexis quando i due uomini vestiti di nero si erano affiancati a loro, senza dire una parola.
“Credevo che sareste stati tu e Miran a guidare l’attacco” aveva commentato ancora Falman, quando avevano preso quella posizione di copertura, in una strada secondaria.
“No, non è conveniente. – aveva replicato lui – Non sono ancora all’altezza di papà nelle azioni di questo tipo e quindi rimango di copertura: sono più soldato da organizzazione che d’assalto, ma va bene così. In ogni caso stai pronto: se sono effettivamente una decina vuol dire che ci potrebbe essere lavoro anche per noi. Hai mai sparato?”
“Al poligono di tiro, signore.”
“Non intendevo ad un bersaglio, ma ad una persona… e dalla tua faccia intuisco di no.”
“Mi dispiace di avere questa lacuna, signore.”
“Alexis, Falman, quante volte te lo devo dire? Comunque, questo è un problema che dobbiamo gestire: mi sembri un tipo che resta abbastanza calmo, quindi te la dovresti cavare bene. Il trucco è lasciar fare all’istinto: le esercitazioni al poligono di tiro servono a creare riflessi incondizionati che saltano fuori quando meno te lo aspetti.”
“Capisco…”
 
Lui e il figlio di Mc Dorian erano nascosti in quel vicolo che dava sulla strada dove si apriva il portone principale dell’edificio. Avendo studiato la tipologia di costruzione, sembrava che non ci fosse altra possibilità d’uscita in quanto era letteralmente attaccato ad altri palazzi sui restanti tre lati.
Alle ventidue precise, quando le strade erano praticamente deserte, scattò l’operazione e Falman vide le quattro figure che correre sui gradini dell’ingresso e aprire con rapide mosse il portone.
“Stai calmo – mormorò Alexis tenendo d’occhio l’entrata dell’edificio – se e quando dovremmo entrare in azione te lo dirò io.”
Falman annuì e si accorse di avere i palmi delle mani sudatissimi.
Fissava quel portone come ipnotizzato, focalizzandosi sulla debole luce che proveniva dall’interno, probabilmente accesa da Mc Dorian e dagli altri. La cosa che lo sconcertava maggiormente era di non sentire alcun rumore, alcuno sparo: era come se quell’edificio avesse ingoiato il suo superiore e gli altri militari.
Sentendosi oppresso da quel vicolo e da quella vista, scosse il capo e volse gli occhi al cielo. Andando oltre i muri dei palazzi individuò uno spicchio di firmamento particolarmente limpido dove si vedevano le stelle, nonostante le luci della città. Involontariamente la sua mente ricacciò fuori i nomi di quelle stelle e la loro posizione: ecco la stella polare, così luminosa e bella, la guida per i viaggiatori dispersi perché indicava sempre il nord…
Il rumore di spari lo svegliò improvvisamente da quella trance in cui era caduto.
Volgendosi verso Alexis vide che il giovane era pronto a scattare come una molla.
“Erano davvero lì dentro: – disse con voce roca il figlio di Mc Dorian – abbiamo fatto centro!”
“Che facciamo?” chiese Falman, imitando il gesto del compagno di prendere la pistola dalla fondina.
“Per ora niente…”
Ma quell’inerzia durò solo un altro minuto, quando dal palazzo giunse un richiamo, quasi un urlo.
“E’ il segnale! Stanno tentando la fuga: vieni, dobbiamo bloccarli! – esclamò Alexis uscendo dal vicolo e avviandosi verso l’edificio – Ricorda, cerca di sparare in punti non vitali: ci servono vivi per le informazioni!”
Falman non riuscì nemmeno a rispondere per quanto era teso. Vedeva il volto del suo compagno completamente trasformato, privo dell’aria pacifica e amichevole che aveva di solito: adesso assomigliava straordinariamente al padre, specie nello sguardo tagliente e nella mascella contratta.
Ma non ebbe tempo di pensare ulteriormente a questi dettagli, perché una prima figura tentò di uscire dall’edificio. Falman prese la mira e cercò di sparare, ma venne abbondantemente preceduto dal suo compagno: il rumore dello sparo accanto a lui lo fece quasi sobbalzare e quasi contemporaneamente vide l’uomo che crollava nelle scale del portone.
“Pensa a quello! – gli ordinò Alexis – Ammanettalo con le mani dietro la schiena e disarmalo!”
“Sissignore!”
“Se ne arrivano altri cerca di bloccarli! Io vado dentro ad aiutare gli altri!”
“Che?” boccheggiò Falman.
Ma Alexis non lo ascoltò nemmeno e si catapultò dentro l’edificio, superando agilmente l’uomo ferito sui gradini d’ingresso, che ancora si rotolava per il dolore provocato dalla ferita.
Falman si accorse con terrore di essere da solo a gestire quella situazione per lui così insolita e pericolosa.
Facendosi coraggio e assumendo un’aria decisa si avvicinò al prigioniero, puntandogli la pistola addosso
“Fermo dove sei! – gli intimò – Non osare muovere le mani!”
L’uomo si accorse della sua presenza e lo squadrò con doloranti occhi castani. Doveva avere una trentina d’anni ed era una persona dai lineamenti del tutto comuni: anche i suoi vestiti non avevano niente di eccezionale. Era un uomo che poteva tranquillamente passeggiare in mezzo alla folla senza destare alcun sospetto.
Cercando di non far trasparire la sua ansia, Falman si accosto a lui e gli mise le mani dietro la schiena, per immobilizzarle con le manette, preparate per l’occasione.
“Ahia! – protestò l’altro – E fai piano, figlio di puttana!”
Falman si dovette trattenere per non far uscire un involontario “scusa” dalla sua bocca. Così come dovette trattenere la bruciante risposta per quell’insulto a sua madre. Si limitò a mantenere un’espressione impassibile e procedette a disarmare l’uomo, levandogli dai vestiti una pistola e un piccolo coltello. Il proiettile di Alexis gli aveva colpito la gamba e dunque era praticamente impossibilitato a muoversi: tutto sommato era andata bene.
Ma quel pensiero gli passò di mente perché gli spari all’interno dell’edificio proseguivano.
“Quanti siete?” chiese all’uomo seduto davanti a lui.
“Non ti riguarda, maledetto” sibilò il ferito con occhi roventi.
“Ripeto la domanda. – disse con tono impassibile che sorprese lui stesso – Quanti siete là dentro?”
Forse la sua faccia doveva aver assunto un’espressione convincente, perché il prigioniero abbassò lo sguardo e disse, con voce rassegnata.
“Senza di me, tredici”
E noi ne avevamo ipotizzato una decina... più o meno ci siamo.
Un urlo mezzo strozzato proveniente dall’interno gli fece prendere la decisione che stava iniziando a frullargli in mente.
“Vieni!” mormorò a denti stretti, tirando il suo prigioniero per la giacca e trascinandolo all’interno del portone. Ignorando la scia di sangue che l’uomo lasciava dietro ed i suoi lamenti, lo portò all’ingresso, facendolo posare all’anta interna del portone che provvide a chiudere.
“Muoviti di qui e sei morto” minacciò.
“Come pensi che possa muovermi con la gamba così?” chiese sarcasticamente l’altro.
“Meglio per te che sia vero” concluse Falman avviandosi su per le scale.
 
Tuo padre era un uomo d’azione, tu non lo sei, Vato.
Era questa la frase che continuava a suonargli in testa mentre, scalino dopo scalino, saliva verso il primo piano. Teneva stretta la pistola tra le mani sudate, cercando di controllare i battiti del cuore.
Alexis gli aveva detto di restare a bloccare la fuga di altri eventuali fuggitivi, ma lui stava disobbedendo all’ordine. Eppure un istinto di cui non era mai stato consapevole gli diceva che la sua squadra, i suoi compagni, avevano bisogno di lui.
Man mano che gli spari si facevano più vicini si accorse che braccia e gambe iniziavano a tremare in maniera incondizionata. Arrivato al pianerottolo vide due cadaveri, nessuno dei due militare, accasciati contro la ringhiera.
Accostandosi ad una parete trasse un profondo respiro e si morse con violenza il labbro, cercando in quel dolore una medicina alla sua paura.
Tredici meno due fa undici – si costrinse a pensare.
“No! Papà!” esclamò la voce di Alexis.
 Quel richiamo fece sussultare Falman che si ritrovò ad avanzare nel corridoio da cui era provenuta la voce. Il percorso gli sembrò incredibilmente lungo, proprio come quando i poliziotti erano venuti a casa ad avvisare lui e sua madre della morte di Vincent: il corridoio dalla sua camera all’ingresso sembrava non finire mai… ma lui ora vedeva quell’unica stanza aperta poco distante. Luci ed ombre che si muovevano sembravano essere giochi di una lanterna magica, ma non si fece ipnotizzare da quel dettaglio.
Puntando la pistola davanti a se, entrò con decisione.
Undici meno quattro fa sette.
La stanza sembrava un campo di battaglia, anzi d’assedio: era molto ampia, sicuramente doveva essere stata una sorta di salone per le feste. Il mobilio era stato tutto accatastato contro le pareti, lasciando libero il pavimento di legno. Quattro corpi giacevano in quelle assi marrone chiaro, al centro dell’ambiente, con chiazze di sangue che si ampliavano sotto di loro. Dalla parte opposta della sala c’era un enorme tavolo, di quelli per le cene importanti, rovesciato a fare da protezione, da dove spuntavano visi a lui sconosciuti e mani armate di pistole.
L’ingresso di Falman doveva aver colto di sorpresa tutti quanti perché i colpi erano cessati all’improvviso.
Ma quella tregua durò solo pochi secondi perché da dietro di lui arrivò un nuovo sparo che lo superò; il riflesso incondizionato di cui gli aveva parlato Alexis arrivò quasi in contemporanea e anche lui sparò contro quella sorta di rifugio dove si erano accatastati i nemici.
“L’ha colpito!” esclamò una voce dietro di lui, mentre i secondi rallentavano e il tempo sembrava bloccarsi. Un uomo dietro il tavolo lasciò cadere la pistola e si afferrò il braccio con espressione dolorante.
 
“Merda, Falman, vieni qui!” disse una voce, mentre una mano lo afferrava per il braccio, sbattendolo contro la parete. Subito dopo quell’impatto doloroso, la stessa forza lo trascinò lungo il muro, per farlo arrivare dietro un altro tavolo non dissimile a quello dietro cui stavano i terroristi.
Una volta seduto dietro quella protezione, il tempo riprese a scorrere alla velocità giusta e anche le grida e gli spari proseguirono. Falman si accorse che si trattava anche in questo caso di un grosso tavolo di noce rovesciato, abbastanza spesso da impedire ai proiettili di passare: quasi sicuramente era il gemello di quello usato dai criminali.
Miran ancora gli stringeva la manica della divisa: era uscita dal nascondiglio e l’aveva strattonato fino a lì… salvandogli probabilmente la vita.
“Sei scemo o cosa, Falman? – gli chiese con rabbia – Guarda che questi sparano!”
“S… scusi, signora” riuscì a dire Falman, cercando di recuperare il contatto con la realtà.
“Che fine ha fatto quello al piano di sotto?” chiese la voce di Alexis.
Girandosi verso di lui, Falman vide che stava premendo un pezzo di stoffa macchiato di sangue contro il braccio destro di Mc Dorian. Il tenente, nonostante la smorfia dolorante, era perfettamente lucido e squadrava Falman con gelidi occhi azzurri.
“Credevo che fossi meno imprudente di tuo padre, Falman.” gli disse.
“Io… sono… sono desolato, signore. L’altro è legato e impossibilitato a muoversi” balbettò arrossendo.
“Va bene, stanno per cedere! – avvisò uno degli altri uomini che affiancavano l’azione, mentre ricaricava la pistola – Stanno finendo le munizioni e sono rimasti in pochi a poter sparare.”
“Ottimo! – bisbigliò Mc Dorian. Poi alzò il tono di voce – Va bene, bastardi! Noi abbiamo ancora diversi rifornimenti di munizioni e, come avete visto stanno iniziando ad arrivare i rinforzi! Avete due possibilità: o arrendervi o cadere sotto i nostri colpi… a voi la scelta!”
Sono morti in ogni caso – pensò Falman con perplessità – verranno giustiziati. Che senso ha per loro…
“Va bene… ci arrendiamo” dichiarò una voce dall’altra parte della stanza.
“Perfetto; – annuì Mc Dorian, senza però alzarsi dalla sua posizione – adesso gettate tutte le vostre armi al centro della stanza: nessuna esclusa… vi avviso che i miei uomini vi tengono sotto tiro, quindi niente mosse false. Peggiorereste solo la situazione.”
Ci furono una decina di secondi riempiti dal clangore di armi che venivano lanciate nel pavimento.
“Si sono davvero arresi…” mormorò Falman.
“Che cosa pensavi?” lo prese in giro Miran tenendo il tono di voce basso.
“Miran, Thomas, David, fate uscire i nostri clienti da dietro quel tavolo e allineateli lungo il muro.”
“Sissignore!” risposero in coro i tre soldati alzandosi con cautela.
Sbirciando oltre la protezione, Falman vide i tre portarsi al centro della stanza, dove erano state gettate le armi e puntare le loro pistole contro il tavolo dove stavano i criminali. Questi, uno alla volta, uscirono da quel nascondiglio con le mani dietro la schiena e si allinearono contro il muro come era stato loro ordinato. Le loro facce erano tra il rabbioso e rassegnato: due erano chiaramente abitanti di Ishval.
“Alexis – ordinò Mc Dorian – vai ad avvisare gli altri che li abbiamo presi: servono almeno altri cinque uomini per fare pulizia qui.”
“Sissignore!” annuì prontamente il giovane, facendo cenno a Falman di sostituirlo nel tenere premuta la stoffa contro la ferita del tenente. Come questo cambio di consegne fu effettuato, si alzò in piedi e si diresse fuori dalla stanza.
“Come si sente, signore?” chiese Falman.
“Oh, solo una pallottola nel braccio,niente di grave. – lo rassicurò Mc Dorian – Piuttosto tu cerca di fare meno l’eroe la prossima volta… ci sei stato d’aiuto con quell’attimo di sbandamento che hai procurato a questi scemi, ma la fortuna non è sempre al tuo fianco, ricordalo. L’ultima cosa che voglio è dover dire a tua madre che non sono riuscito a salvare la pelle anche a te!”
“Domando scusa, signore: – disse Falman abbassando la testa con sincero pentimento – è che… ho ritenuto che aveste bisogno di me.”
“Dannazione, Falman, – sospirò Mc Dorian, arruffandogli i capelli bianchi e neri in gesto di conforto – lascia stare, per questa volta è andata. Adesso aiutami ad alzarmi… questa maledetta ferita ha perso più sangue di quanto mi aspettassi.”
 
“La ferita del tenente Mc Dorian non è molto grave, anche se ha perso molto sangue: tra due, massimo tre giorni, potrà essere dimesso” dichiarò il medico quando uscì dalla stanza dove era stato ricoverato Mc Dorian.
Alexis emise un sospiro di sollievo fin troppo evidente, tanto che Miran gli batté un colpetto sulla spalla con comprensione.
Dopo circa cinque minuti dalla fine della colluttazione, Alexis era tornato con otto uomini. Questi, assieme ai due soldati che avevano affiancato la squadra del tenente, avevano provveduto a legare i terroristi e a condurli via dall’edificio. Così nella stanza erano rimasti solo Mc Dorian e i suoi uomini: proprio il tenente era stato colto da vertigini per la notevole perdita di sangue che aveva subito e dunque era stato necessario portarlo in ospedale con una macchina dell’esercito.
“Posso andare da lui? – chiese Alexis – E’ mio padre.”
“Va bene, ragazzo, – annuì l’uomo col camice bianco – ma non stancarlo troppo.”
Come Alexis fu andato via, Falman fu gratificato di uno sguardo infuocato da parte di Miran.
“Diamine, Falman! Credevo che tu fossi uno che sta sempre sui libri! – esclamò – Da quando ti metti a fare l’uomo d’assalto?”
“Io…”
“Non hai idea del rischio che hai corso: sono dovuta uscire di corsa per recuperati e portarti dietro al tavolo. Guarda che le pallottole uccidono… e tu eri in campo aperto!”
“La prossima volta farò più attenzione, lo giuro” si scusò lui.
“Mamma mia, quando siete ancora privi d’esperienza, voi soldati semplici siete  davvero imprevedibili. - sospirò la donna, prima di dargli una pacca sulla spalla – Ora vado a fare rapporto al Quartier Generale: considerate le condizioni del tenente, tocca a me provvedere a queste incombenze. Tu torna a casa e fatti una bella dormita: per il tuo rapporto e quello di Alexis c’è tempo.”
“Sissignora!” esclamò lui, scattando sull’attenti.
“Riposo, Falman, riposo” ribadì con un sorriso stanco la soldatessa, prima di girare i tacchi e avviarsi nel corridoio.
 
Falman rimase un minuto fermo dove stava, cercando di rimettere in ordine le idee.
Ora che era solo e la scarica di adrenalina era finita, tutto il peso della giornata gli stava cadendo addosso all’improvviso: nemmeno un’ora prima aveva preso parte alla sua prima missione e ne era uscito illeso per miracolo.
Questa consapevolezza gli fece tremare le gambe e fu costretto a sedersi in una delle sedie accostate lungo il muro bianco. Chiuse gli occhi e si mise la testa tra le mani, posando i gomiti sulle ginocchia: respirando profondamente cercò di far fronte al senso di malessere che lo attanagliava.
Era come se i suoi sensi avessero deciso deliberatamente di ignorare l’odore di polvere da sparo e del sangue per tutto il tempo della missione, salvo farli tornare in modo molto più intenso in quel momento; si chiese se prima o poi sarebbe arrivata anche l’esigenza di rigettare.
“Continua a respirare dal naso – gli disse una voce rassicurante, mentre delle mani fresche e gentili si posavano sulle sue tempie accaldate – e tieni gli occhi chiusi.”
“Elisa…” mormorò Falman riconoscendola. L’odore di bucato fresco del camice da infermiera gli invase le narici, riuscendo in parte a cancellare quello amarognolo della polvere da sparo.
“Sssh, non parlare – mormorò lei, accarezzandogli i capelli e facendogli posare la testa sul proprio ventre – stai solo somatizzando la tensione: passa in fretta, tranquillo.”
E lui non poté far altro che restare lì, a farsi cullare da quella voce così conosciuta e rassicurante. Si accorse che non aveva nessuna forza di parlare, voleva solo che quelle mani continuassero ad accarezzargli i capelli, cacciando via quelle pessime sensazioni che lo stavano attanagliando.
Non si rese conto del tempo che passava, non seppe mai per quanto rimase con la testa posata contro il ventre di lei. E, soprattutto, non si rese conto di quando, ad un certo punto, le sue mani si protesero in avanti per cingere la vita della ragazza e spingerla di più contro la sua testa.
“Vato?” bisbigliò lei con sorpresa.
Quel tono interrogativo lo fece riscuotere e prese coscienza del gesto palesemente equivoco che aveva appena compiuto. Con un’esclamazione di sorpresa si tirò indietro nella sedia, spezzando qualsiasi legame fisico con la ragazza.
“Scusa! – balbettò imbarazzato, sentendo un’improvvisa vampata di calore lungo il collo e sulle guance – Scusa! Io… non volevo… non…”
“Va tutto bene, tranquillo. No, aspetta… non dovresti alzarti così all’improvviso!” gli disse Elisa, guardandolo con preoccupazione.
“Sto benissimo! Davvero! – disse, cercando di controllare il rossore che era perfettamente consapevole di avere in viso – E che… sicuramente ho bisogno di una boccata d’aria!”
“Prima eri così pallido e ora sei tutto rosso: – costatò lei, facendosi avanti e posandogli una mano sulla fronte – forse dovresti sdraiarti un attimo.”
“Oh, scusate! – disse una terza voce – Non pensavo che…”
Girandosi verso quella direzione, Falman vide Alexis che li fissava con sincera sorpresa. Ed Elisa, proprio in quel momento, lo teneva per una mano e con l’altra gli tastava la fronte…
“Non è come può…” iniziò Falman.
“E’ un tuo collega?” chiese Elisa.
“Infermiera, – spiegò Alexis – la flebo di mio padre si è staccata: potrebbe venire a sistemarla?”
“Oh, ma certo! Arrivo subito! Che? Sono già le due meno dieci? – si sorprese la ragazza guardando l’orologio appeso alla parete - Allora tra poco finisce il mio turno! Vato, se aspetti ancora dieci minuti possiamo fare la strada di casa assieme. Io ora vado a sistemare la flebo del tenente Mc Dorian!”
Con un sorriso smagliante, Elisa sparì nella camera del tenente.
Falman rimase imbambolato, ma subito Alexis gli si accosto e gli diede una maliziosa gomitata sullo stomaco.
“Non mi avevi detto di avere una fidanzata! – sorrise compiaciuto – Ed è davvero carina! Come si chiama?”
“Elisa… - iniziò Falman, ma subito si sentì in dovere di chiarire – Ma non è… noi non…”
“Oh, dai che si capiva! Ti ha pure chiesto di tornare a casa insieme. Sei un ragazzo fortunato, Falman; spero di trovarne una così pure io!” ridacchiò Alexis.
Sospirando Falman capì che non c’era niente da fare: Alexis aveva assunto la stessa aria smaliziata di sua madre quando parlava di Elisa.
Ma perché tutti dovevano equivocare su quella questione?
 
Poco dopo, mentre camminava con la sua amica per le strade silenziose di East City, Falman cercava di non pensare più a quanto era successo poco prima: finalmente era riuscito a riprendere il controllo delle sue emozioni e delle reazioni del suo corpo e sembrava che tutto dovesse filare liscio come sempre.
Ma sì, non c’era assolutamente niente di strano nel riaccompagnare Elisa a casa: era successo altre volte.
“E così stanotte eri in missione” disse la ragazza ad un certo punto, girandosi a guardarlo.
Falman si girò e ricambiò quell’occhiata: sotto la luce dei lampioni gli occhi verdi di lei assumevano una colorazione così strana e brillante.
“Sì, è andato tutto bene per fortuna.”
“Ho sentito quella donna dire che hai rischiato grosso: – mormorò la ragazza riprendendo a fissare davanti a se – non avresti dovuto.”
“Perché non sono un uomo d’azione come Vincent?” chiese lui con un briciolo d’amarezza.
“Eh?”
“No, lascia stare. Beh, tu dicevi sempre che il mio posto era in mezzo ai libri: capisco che può sembrarti strano sapermi in mezzo all’azione. E’ stato strano persino per me” cercò di usare un tono leggero in quelle frasi, ma l’effetto che ottenne fu l’esatto opposto: il viso di Elisa si rabbuiò.
“Non dovresti parlare di queste cose con un tono così leggero” lo rimproverò.
“Stavo scherzando, lo sai” sospirò Falman.
“Il tuo superiore aveva una pallottola sul braccio che, per fortuna, non ha provocato danni gravi. Tu illeso per miracolo… Vato, devo ammettere che la cosa mi…”
“Sconvolge?”
“Spaventa” corresse lei.
 “Mi dispiace, Elisa, – si scusò – non avrei mai voluto che tu sapessi di queste cose se è questo l’effetto che ti provocano. Ma sono un soldato e le missioni faranno parte della mia vita, è inevitabile.”
“Lo so, però… Sai, altre volte ho assistito dei soldati feriti, anche in maniera più grave del tenente Mc Dorian. Vato, ti giuro che quando facevi parte della polizia non pensavo che venissi coinvolto in queste cose.”
“La polizia ormai non prende più parte a queste azioni: - spiegò Falman, seriamente – lì non potevo fare che lavoro d’archivio o al massimo delle ronde. Ma nell’esercito è diverso: per quanto lavorerò sempre con dossier e fascicoli, le missioni come questa non mancheranno.”
A quelle parole lei si fermò di colpo, il corpo teso. Si girò verso di lui e alzò lo sguardo.
“Giurami che non ti accadrà mai niente! Che non ti vedrò mai in un letto d’ospedale. – disse con voce sommessa – Giurami che non… succederà quello che è accaduto a tuo padre!”
“Elisa…”
“Scusa se ritiro fuori questa storia, ma tu non hai bisogno di essere un eroe: – spiegò lei – a me vai bene così! Non c’è motivo di dimostrare cose che tu non…” una lacrima colò sulla guancia destra, seguita immediatamente da una sulla sinistra.
Cosa?… diamine, perché ora piange?
Con imbarazzo le cinse le braccia attorno alla schiena e la strinse delicatamente a sé. Si sentiva tesissimo nell’avere quel corpo così morbido premuto contro il suo; si sorprese a pensare che avrebbe voluto ricreare quel momento di pace assoluta di quando erano le mani di lei a cingerlo, ad accarezzagli i capelli.
In tutti gli anni che la conosceva non l’aveva mai vista così sinceramente preoccupata per lui. In genere era una ragazza molto forte che tendeva a controllare le sue reazioni: vederla in quelle condizioni gli suscitò un infinito senso di tenerezza che mai aveva provato a cui si aggiunse immediatamente un grande istinto di proteggerla a tutti i costi.
“Eh… si sta mettendo vento: – disse con voce flebile – viene da nord e porta il freddo dei monti di Briggs. E’ tipico di questo mese e indica che nei prossimi giorni con molta probabilità pioverà… Lo sai che c’è una leggenda in proposito? Parla di una bellissima principessa del nord che, per seguire il suo amore perduto, chiese agli dei di essere trasformata in qualcosa che le permettesse di girare il mondo con rapidità. E così loro la trasformarono in questo vento così freddo, simbolo di un amore non ancora ritrovato… e le lacrime versate dalla principessa sono la pioggia che arriva quasi sempre assieme ad esso”
Si accorse che i singhiozzi di lei erano cessati e ora si teneva aggrappata alla sua divisa, come una bambina.
“Continua…” lo supplicò con voce flebile.
“Forse, dovremmo tornare a casa…” propose lui.
“Per favore, Vato. Parlami… continua a parlarmi e a tenermi stretta.”
Falman annuì e la lasciò giusto il tempo di levarsi la giacca della divisa. La mise sulle spalle di lei e poi la cinse di nuovo a sé.
E parlò di leggende, di favole, di cose meravigliose che i libri gli avevano regalato nelle loro pagine: permise a un mondo incantato di avvolgere lui ed Elisa, escludendoli dal freddo e dal mondo di caos e confusione che li circondava. E si accorse che non desiderava altro che stare così per sempre.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10. 1901. War and love. ***


Capitolo 10.
1901. War and love.

 


Lo scoppio della guerra civile, quasi un anno dopo, colse tutti completamente impreparati.
Era una cosa davvero strana perché sapevano che ormai era questione prima di mesi e poi di settimane prima che arrivasse quel fatidico momento. Però i giorni erano continuati a trascorrere e così, per la bizzarria della mente umana, le persone si erano convinte che l’inizio delle ostilità sarebbe stato sempre rimandato ad un prossimo domani.
Persino Mc Dorian e la sua squadra non poterono fare a meno di restare leggermente scombussolati quando lessero il comunicato emanato dal Comandante Supremo King Bradley con cui si dichiarava l’inizio delle operazioni militari sul territorio di Ishval.
“Ci siamo: – sospirò Mc Dorian, riprendendosi prima di tutti gli altri – del resto lo sapevamo che prima o poi doveva succedere, no?” e, fatto insolito per lui, si protese per arruffare leggermente i capelli castani di Alexis, in un istintivo gesto paterno.
“Chissà perché speravo che non accadesse mai” ammise il ragazzo abbassando gli occhi colpevolmente.
“Signore, - chiese Miran – quali saranno i nostri ruoli durante la guerra civile?”
“Noi siamo una squadra investigativa – spiegò Mc Dorian – e dunque non c’è bisogno di noi al fronte. Resteremo a disposizione del governo per eventuali casi di terrorismo come quello che abbiamo sgominato l’anno scorso o quello di contrabbando bloccato tre mesi fa.”
“Io potrei essere richiamata, signore: – gli ricordò la donna – i soldati specializzati in ordigni esplosivi a volte sono molto richiesti, specie se si inaspriranno le situazioni anche sugli altri fronti.”
“Mh, – annuì il suo superiore – capisco. Beh, in quel caso sappiamo bene che non posso farci niente: è successo anche tre anni fa quando sei stata richiamata contro Creta.”
“Ho voluto soltanto ricordarle quest’eventualità: potreste dover fare a meno di me” dichiarò Miran abbracciando con lo sguardo gli uomini presenti nella stanza.
Falman non aveva ancora detto niente. Stava seduto nella sua sedia, con davanti a sé numerosi documenti e fascicoli, l’espressione seria e impassibile.
L’anno che aveva passato con la squadra del tenente Mc Dorian l’aveva maturato in una maniera incredibile. Dopo quella prima missione in cui aveva agito di testa sua, non gli era più capitato di commettere una simile ingenuità: le sue reazioni erano ormai sotto controllo nella maggior parte dei casi ed era diventato molto meno imprudente. Era come se, lavorando a fianco di persone così esperte, fosse riuscito a levarsi di dosso lo strato di impulsività dettato dall’inesperienza per trovare finalmente il giusto feeling con se stesso e le proprie possibilità.
E, a conferma di ciò, anche il suo ruolo all’interno della squadra era diventato molto più definito. Per quanto partecipasse attivamente alle missioni, il suo compito principale era quello di mente e memoria per il tenente: a lui stava il ruolo di reperire tutte le informazioni possibili tramite gli archivi, memorizzare le mappe, le piante degli edifici per poter offrire ai suoi compagni un quadro il più completo possibile della situazione in modo da poter creare piani precisi.
Durante la sua terza missione, era inoltre saltata fuori una sua dote molto particolare: lui e Alexis erano penetrati in un ambiente dove, fino a poco tempo prima, stavano i criminali a cui davano la caccia. Sembrava che non ci fosse niente che potesse offrire indizi, ma lui era riuscito a trovarne una quantità incredibile memorizzandoli in maniera prodigiosa e riportandoli su una piantina che aveva disegnato lui stesso la sera successiva in ufficio.
Insomma in un anno si era integrato perfettamente nel team di Mc Dorian, tanto che anche Miran era arrivata a riconoscere le sue indubbie doti.
La sua squadra aveva ottenuto notevoli risultati quell’anno, ma quello che bruciava ancora a Falman era il blocco delle indagini sulla morte di suo padre. Il capitano Trevor Leon era infatti stato improvvisamente trasferito a Central City poco prima che Mc Dorian e Falman potessero iniziare a muoversi nella sua direzione, l’unica che avessero in mente.
Lo stanno allontanando da noi: questo vuol dire che avevamo ragione a sospettare di lui.
Così aveva commentato Mc Dorian a quella notizia e, subito dopo, gli aveva ordinato di lasciare perdere quel caso per qualche tempo. La faccia che aveva fatto Falman doveva essere stata abbastanza eloquente, perché il tenente l’aveva gratificato di una delle sue penetranti occhiate rapaci
Non lo stiamo mollando, Falman. Ma adesso si aspetterebbero una nostra contromossa: bisogna saper aspettare, fidati.
Aspettare.
In genere non era una cosa che gli creava problemi, ma Falman sentiva l’esigenza di tagliare definitivamente i ponti con il passato e ciò non poteva avvenire finché non avesse almeno in parte vendicato la morte di suo padre. Ma purtroppo l’attesa si stava facendo più lunga del previsto, ormai era passato un anno, senza contare che le loro missioni erano aumentate di mese in mese. A volte si chiedeva se il tenente pensasse ancora al caso di Vincent, preso com’era da tutto quel lavoro, ma poi si ricordava sempre di quel dolore così sincero e della sua determinazione. Altro che dimenticarsi: semplicemente Mc Dorian sapeva quando e quanto aspettare. Alcune missioni richiedevano velocità, altre invece dovevano lievitare lentamente.
Solo che… era davvero difficile allungare così i tempi.
“Accidenti, Miran, proprio non riesco ad immaginare la squadra senza di te” commento Alexis, distogliendo Falman dai suoi pensieri.
“Ce la puoi fare, Alexis. E poi non è detto che venga richiamata al fronte, almeno non in questo primo periodo” lo consolò la donna.
 
“Certo che è strano vedere il Quartier Generale così mobilitato” ammise Alexis qualche settimana dopo, mentre insieme a Falman passeggiava per i corridoi.
“Già – annuì lui – ma è normale: il territorio di Ishval si trova totalmente nel distretto Est. E’ ovvio che le prime truppe ad essere mobilitate sono quelle di questo Quartier Generale”
“Pensi che durerà molto questa guerra?”
Falman fissò il soffitto bianco del corridoio con aria pensosa. Gli sarebbe piaciuto dare risposte rassicuranti ad Alexis che, molto spesso, sembrava il più giovane tra loro due, ma tutti i segnali parlavano di una guerra che sarebbe durata parecchio, forse anche alcuni anni. Era una cosa che stava bollendo in pentola da troppo tempo per avere una soluzione rapida e relativamente indolore.
“Non lo so, Alexis – si trovò a dire; finalmente riusciva a dare del tu al suo superiore senza troppi problemi – me lo auguro vivamente”
“Sai, sono molto contento che facciamo parte della squadra di mio padre. Ho paura che questa guerra sarà più violenta del previsto e non vorrei proprio trovarmi in quel fronte. Se devo essere sincero sono anche preoccupato per Miran: se la richiamano nelle squadre speciali di certo andrà molto vicino alle prime linee”
“Il sergente maggiore se la saprà cavare splendidamente: – cercò di rassicurarlo – del resto ha già avuto notevoli esperienze nei fronti. Io sono l’unico nella squadra che non le ha mai avute”
“Te ne senti in colpa?” chiese Alexis, fissandolo con comprensione.
“In colpa… non è proprio questo il termine. Non saprei nemmeno descrivere la sensazione”
“Come se ti mancasse un’esperienza importante e ciò ti fa sentire in difetto nei nostri confronti”
“Sì, forse è così”
Alexis aveva una grande dote: era capace di capirlo al volo, ma in un modo diverso da quello del tenente che, invece, sembrava leggere nei suoi pensieri. Alexis lo capiva in una maniera più vicina a quella di sua madre o di Elisa. Col passare dei mesi, Falman si era accorto di provare per quel ragazzo una sorta di sentimento fraterno: Alexis intuiva sempre quando lui aveva qualche dubbio o qualche indecisione nei piccoli problemi quotidiani. Ma interveniva sempre con discrezione, riuscendo a venire incontro al carattere riservato di Falman. Riusciva persino a fare commenti su lui ed Elisa senza risultare così malizioso come sua madre.
Con la domanda che gli aveva appena rivolto, aveva ulteriormente dimostrato di conoscerlo davvero bene.
Sì, Falman si sentiva in leggero difetto rispetto ai suoi compagni che avevano avuto esperienze al fronte: ormai era abbastanza maturo per sapere che aver letto di qualcosa era totalmente differente che averla provata di persona. Sicuramente andare in guerra era una cosa che segnava profondamente una persona, però non poteva capire quanto.
“Fidati, Vato, - gli sorrise Alexis – sono del parere che esistano dei soldati che non sono assolutamente fatti per il fronte, e tu sei uno di quelli. E non lo dico per sminuirti: l’esercito è fatto da tantissime persone, ciascuna con doti differenti che si applicano a vari settori. Uno che lavora di mente e di memoria come te sta bene dove ci sono gli archivi e i dossier: è con loro e la tua capacità di elaborare che dai il tuo grande apporto alla squadra e dunque all’esercito”
“L’esercito ha anche bisogno di persone che tengano a bada i turbamenti di soldati come me”
“E’ a questo che servono i compagni di squadra, no?” sorrise lui
“Comunque se non fossi nella squadra di tuo padre, di certo verrei mandato al fronte”
“Un altro buon motivo per cui papà ha fatto bene a volerti”
“Non richiameranno al fronte nemmeno te, vero?” si accorse di essere leggermente in apprensione a quella possibilità.
“A me? No, non credo. Un conto è Miran che potrebbe essere reclutata per squadre specialistiche, ma io non ho esperienze simili: quindi dubito che si prendano la briga di richiamare un semplice sergente, levando un altro componente ad una squadra investigativa”
Falman sospirò intimamente di sollievo a quella rivelazione. L’idea di essere separato da Alexis lo turbava parecchio, ma ora che sapeva che il suo amico sarebbe stato risparmiato dal fronte, si sentiva molto sollevato.
Tutto sommato, forse la guerra sarebbe passata senza toccarlo in modo particolare.
 
Quella sera passeggiava con Elisa per i vialetti di un parco.
Le sere di quel marzo erano piacevolmente frizzanti, senza più il freddo intenso dei primi due mesi dell’anno, e i due avevano preso l’abitudine di fare delle brevi camminate prima di tornare a casa per la cena, per lo meno quando gli orari di entrambi lo permettevano.
Non erano fidanzati, anzi non c’era stato nemmeno un bacio tra di loro. Nessuno dei due aveva tirato fuori l’argomento, ma Falman si era convinto che erano in uno strano limbo tra il “più che amici” e il “meno che fidanzati”: insomma erano una sorta di ibrido che ancora non era sbocciato.
La situazione, almeno dal suo punto di vista, aveva iniziato ad evolversi in maniera seria dopo che aveva tenuto stretta Elisa la notte della sua prima missione. Non era così stupido da non capire che la preoccupazione della ragazza andava oltre la semplice amicizia e la cosa gli aveva fatto enormemente piacere. Pure lui si era reso conto che provava nei suoi confronti qualcosa di davvero molto profondo e che, la cosa che desiderava di più era starle accanto.
Qualche volta si erano abbracciati, quasi sempre su iniziativa della ragazza, ma lui si sentiva molto bloccato in quel senso. Era come se tutta la sua inesperienza a livello sociale si stesse concentrando in quell’imbarazzo con Elisa: eppure una volta che le cingeva le braccia attorno alla vita e la stringeva a sé, si sentiva in pace con il mondo.
Perché non riusciva mai a prendere l’iniziativa?
Fortunatamente Elisa sembrava comprendere il suo stato d’animo e non faceva azioni troppo azzardate. Qualche volta lo prendeva scherzosamente per mano, ridendo nel vederlo arrossire, oppure cercava il suo abbraccio, con una tenerezza infinita che faceva sciogliere il cuore del soldato.
Era come se entrambi fossero consapevoli che le loro tempistiche erano differenti da quelle degli altri e dunque non si preoccupavano di correre o cercare un bacio per cui non erano ancora pronti… o per lo meno lui pensava di non esserlo.
“E così è cominciata la guerra. – sospirò la ragazza, mentre passeggiavano – Speravo che questo momento non arrivasse mai” La sua mano cercò istintivamente quella di Falman che la strinse nella propria.
I capelli castani erano finalmente ricresciuti e ora cadevano delicatamente sulla schiena della ragazza in una folta coda. Indossava un pesante cappotto marrone per proteggersi dal freddo e il colore faceva risaltare ancora di più il verde dei suoi occhi. Falman la trovava bellissima con le guance arrossate per il fresco della sera.
“Non devi preoccuparti. – le disse – L’esercito cercherà di mantenere il conflitto circoscritto a quella parte di territorio: non credo che ci saranno ripercussioni ad East City”
“Dici? In ogni caso non è una bella situazione: ho sentito che stanno mobilitando le truppe proprio dal Quartier Generale della città”
“Perché Ishval è parte del distretto Est… è dunque competenza di questo distaccamento”
“Manderanno in guerra anche te?” la stretta sulla sua mano si accentuò.
“No, non lo faranno quasi di sicuro. La mia squadra fa parte del reparto investigativo e i nostri servigi non sono molto richiesti nelle zone di guerra: siamo più utili in città” sorrise lui.
“Sai...- iniziò lei, ma poi si bloccò e gli sorrise – Sono molto felice di questa notizia: vuol dire che nemmeno i tuoi colleghi verranno richiamati, vero?”
“Forse Miran, ti ricordi di lei, no? Ha delle precedenti esperienze che potrebberlo farla richiamare al fronte… Ma ovviamente è tutto incerto per adesso: – alzò le spalle – è una situazione in pieno divenire e sarebbe abbastanza azzardato fare delle ipotesi.”
Elisa si fermò in mezzo al viale e parve riflettere profondamente.
“La situazione è in divenire, eh?… un po’ come noi, allora” disse infine posando la punta del suo indice sul naso di lui e seguendone il dorso.
“Noi?” chiese lui imbarazzato da quel gesto.
“Sei alto, Vato… ti arrivo appena alla spalla. Puoi chinare la testa un secondo?”
“Certo, - annuì, eseguendo quanto richiesto - ma perch…mh!”
Le labbra di Elisa si posarono sulle sue, in un bacio inaspettato.
Falman si era chiesto più volte che sensazione si doveva provare con un bacio, ma era qualcosa di completamente indescrivibile: le labbra di lei erano così morbide e dolci e gli trasmettevano piacevolissimi brividi in tutto il corpo. Per la prima volta la cinse delicatamente a sé senza esitazioni, mentre le braccia di lei gli passavano intorno al collo.
Rimasero così fermi per una decina di secondi, in un infantilissimo bacio a stampo, degno dei bambini della scuola elementare. Fu solo dopo essersi perso in quell’infinito per un po’ che Falman lasciò scivolare via tutta la sua timidezza e osò mordicchiare con estrema delicatezza il labbro inferiore di lei, assaporandone appieno il sapore dolce. Come la sentì ricambiare il bacio, con medesima tenerezza, e accarezzargli i capelli neri della nuca, si sentì in piena estasi.
Elisa era qualcosa di incredibilmente tangibile e rassicurante: la persona che più lo faceva sentire in pace con se stesso e con il resto del mondo. Averla accanto era la cosa che voleva di più al mondo perché sapeva che solo con lei poteva considerarsi veramente completo.
E forse era il momento di dirglielo
“Elisa io…” mormorò quando si staccarono
“Io sono sempre stata innamorata di te” sussurrò lei, con le guance che arrossivano ancora di più.
Sì, era stato ampiamente preceduto da lei perchè era una dichiarazione quella che gli era appena stata fatta. Ancora una volta era stata capace di prenderlo alla sprovvista… ma che si aspettava?
In ogni caso, essendoci appena stata una dichiarazione era giusto che dovesse esserci una degna risposta
“G… grazie! – balbettò – Io… cioè, anche io! Pure io ti amo da tantissimo tempo… e il bacio è stata la cosa più bella che... Elisa, vuoi essere la mia fidanzata?” riuscì infine a dire tutto d’un fiato.
Ma che le sto dicendo?! Non è così che avrei…
“Vato, - ridacchiò lei – io credo che siamo sempre stati fidanzati, ma mancava solo questo bacio per renderlo ufficiale”
“Davvero? – riuscì a sorridere lui, cingendola di nuovo accanto a sé – Allora te ne posso chiedere un altro? Giusto per… rendere davvero uffici…mh!”
Le labbra di lei gli impedirono di nuovo di terminare la frase.
Ma era bellissimo essere zittiti in quel modo.
L’unica nota stonata sarebbe stato affrontare i commenti smaliziati di sua madre quando quella sera gli avrebbe raccontato la novità. Ma in quel momento non aveva nessuna voglia di pensarci.
Non voleva pensare a nulla, nemmeno alla guerra che si era appena affacciata nella vita del paese: l’unica cosa che importava in quell’istante era godersi la bellezza dell’amore.
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11. 1903. A space between us. ***


Capitolo 11.
1903. A space between us.



 
“Falman, presto vieni! – esclamò Alexis aprendo la porta dell’ufficio – C’è stata una sommossa della popolazione poco fa, al mercato generale vicino alla stazione. Sono necessari tutti gli uomini possibili: papà è già sul posto”
“Arrivo subito!” scattò Falman, alzandosi dalla sedia e mollando i fascicoli su cui stava lavorando.
Di corsa attraversarono i corridoi del Quartier Generale ed uscirono nelle strade, accodandosi ad altri soldati che si recavano sul posto della colluttazione: se erano richiesti tanti uomini voleva dire che il disordine doveva essere stato parecchio violento.
Purtroppo, a più di due anni dall’inizio dell’ostilità, la guerra civile non accennava a terminare, tutt’altro: il fronte contro Ishval era sempre bollente e il governo da diversi mesi aveva iniziato a inviare truppe anche dagli altri distretti. Ed era successo quanto i più esperti avevano ipotizzato, ossia la ripresa di violente ostilità con Creta e Aerugo. Solo Drachma restava ancora fermo, ma era solo questione di tempo.
In ogni caso, dopo due anni di relativa tranquillità, anche le zone distanti dal fronte iniziavano a subire le conseguenze della guerra: alcuni beni avevano iniziato a scarseggiare, per fortuna non quelli fondamentali…non ancora. Ma per una città come East City che si era sempre trovata relativamente distante da simili situazioni, dato che non aveva confini pericolosi per la presenza del grande deserto dell’Est, la situazione era nuova e destabilizzante. Nel corso di quel 1903 si erano verificati i primi disordini che mano a mano si erano intensificati: gente comune che non sapeva ancora adattarsi a quella situazione così particolare e che, a volte, veniva anche sobillata da elementi esterni.
Le sommosse di quel tipo erano un qualcosa a cui Falman non era mai preparato: sapeva benissimo che erano solo dei cittadini spaesati davanti alla nuova situazione e non riuscivano a capire per quale motivo determinati diritti venissero a loro levati. I comunicati fatti dall’esercito, per quanto esaustivi, non riuscivano a placare il senso di ingiustizia che provavano le persone.
Per ora sono come bambini a cui si nega un giocattolo, – aveva commentato Mc Dorian qualche giorno prima – ma aspetta che la guerra porti all’inevitabile razionamento di altri beni… allora diventeranno adulti a cui si nega il cibo.
Si sarebbe arrivati davvero a questo?
“Eccoci arrivati! – annunciò Alexis mentre sbucavano in una piazza dove la folla iniziava a disperdersi, controllata dai soldati – Oh, a quanto pare hanno già gestito la situazione: devono aver catturato i capi della rivolta. Cerca di individuare mio padre, così ci riuniamo a lui”
“Va bene” annuì Falman guardandosi intorno.
La gente sembrava stranita, come se si fosse appena risvegliata da una trance. Persone comuni guardavano i soldati con un misto di sorpresa e timore: finita l’adrenalina dell’assalto sembrava che nessuno capisse davvero cosa era successo. Questo fece intuire a Falman che la rivolta era stata accesa da qualcuno che sapeva bene cosa stava facendo e ne ebbe conferma quando vide alcuni soldati portare via, ammanettati, tre uomini dallo sguardo irato.
“Ah ecco, papà!” lo richiamò Alexis accanto a lui, indicando un punto della piazza.
“Andiamo pure. Oh, ma quella… Mamma!” esclamò Falman staccandosi dal compagno e correndo verso la donna che era appoggiata pesantemente contro il muro di un palazzo, in un punto dove la ressa era quasi del tutto scomparsa.
“Vato! – lo riconobbe lei, stringendosi a lui con gratitudine – Grazie al cielo!”
“Mamma, stai bene? – si preoccupò lui, abbracciandola e sentendo che tremava – Sei così pallida… ti sei trovata in mezzo a questa folla?”
“E’ cominciato tutto così all’improvviso – cercò di spiegare lei, mettendosi una mano sulla fronte – e… la gente sembrava come impazzita”
“Vieni, la cosa migliore è andare via da qui” suggerì lui sostenendola.
“Tutto bene, Falman?” chiese Mc Dorian accostandosi con Alexis.
“Mia madre, signore, – spiegò il soldato – non sembra ferita, ma è meglio portarla via di qui”
“Più che giusto. Venga, signora, la accompagnamo a casa”
 
Elisa chiuse discretamente la porta della camera di Rosie e si diresse nella cucina, dove i tre uomini stavano seduti al tavolo. Come arrivò Falman si alzò immediatamente in piedi e la fissò con preoccupazione.
“Va tutto bene, Vato – lo tranquillizzò la ragazza – non è ferita. Era solo molto scossa: vedrai che con un po’ di riposo e tranquillità si riprenderà in fretta”
“Grazie al cielo!” sospirò pesantemente lui, risedendosi al proprio posto.
Fortunatamente mentre riportavano la donna a casa si erano imbattuti nella ragazza che usciva dall’ospedale, dopo aver finito il proprio turno: così si era unita a loro e aveva assistito Rosie che si stava rivelando più traumatizzata del previsto.
“E’ stata una rivolta violenta e improvvisa: – spiegò Mc Dorian che era arrivato quando i disordini erano in pieno svolgimento – sta succedendo sempre più spesso.Gli infiltrati ci impiegano poco a manovrare le persone… e a volte non si tratta nemmeno di infiltrati veri e propri, ma di teste calde che non sanno accettare il periodo di sacrifici che la guerra richiede”
“East City sta diventando un posto pericoloso” commentò Alexis.
“L’ospedale ha sempre più spesso pazienti feriti in rivolte come questa: – sospirò Elisa – molta gente ha paura ad uscire per strada, specie nelle ore tarde”
“E’ la guerra, signorina. – le disse Mc Dorian con un sorriso gentile – Siamo riusciti a far crescere voi ragazzi in un periodo relativamente tranquillo, ma era inevitabile che prima o poi la assaporaste anche voi”
Elisa annuì tristemente, andando accanto a Falman e posandogli le mani sulle spalle.
“Durerà ancora tanto?” chiese, rivolta al tenente.
L’uomo la guardò con comprensione, notando che anche Alexis e Falman avevano la stessa domanda nei loro volti.
“Ah, ragazzi miei, mi fate sentire così triste con i vostri sguardi così timorosi e speranzosi. – mormorò scuotendo il capo – Vorrei dirvi che questa guerra finirà presto e tutto tornerà normale… ma purtroppo non sarà così. Per come stanno procedendo le ostilità, ho il fondato timore che questi primi tre anni sono solo l’inizio: la situazione peggiorerà, specie quando Drachma tornerà in guerra”
“Si aprirà anche quel fronte?” chiese Elisa.
“A breve, bambina, non è un mistero”
“I centri minori sono più sicuri in questo momento, vero signore?” chiese Falman all’improvviso, dopo che era stato in silenzio ad ascoltare quelle parole.
“Sì, - annuì Mc Dorian – di certo le città più piccole hanno un minor rischio di sommosse: c’è maggior possibilità di avere rifornimenti perché sono meglio collegati alle campagne, indipendentemente dalla linea ferroviaria e dunque la popolazione risente meno dei razionamenti. Inoltre i sobbillatori esterni sono più interessati a grossi centri come le capitali dei distretti. Perché me lo chiedi?”
“Stavo pensando di far tornare mia madre a New Optain” disse laconicamente.
“Capisco: – commentò il tenente – sia lei che tuo padre erano originari di quella città”
“Esatto e lì abbiamo diversi parenti da cui potrebbe stare. – spiegò Falman – Mi sentirei più tranquillo sapendola lontano da East City”
Sentì le mani di Elisa che stringevano convulsamente le sue spalle, ma non osò fissare la sua fidanzata. Per lui era una decisione abbastanza difficile da prendere e non voleva mostrare alla ragazza il turbamento interiore che stava provando. Amava profondamente sua madre e saper di poter tornare a casa e trovarla ad accoglierlo era un pensiero che gli aveva sempre scaldato il cuore: l’idea di averla così lontano da lui, in quel momento storico così difficile, era difficile da mandare giù. Ma era più difficile saperla in pericolo ogni giorno nelle strade di un’East City non più sicura: andare a lavoro, uscire per comprare da mangiare, erano tutte cose che potevano far rischiare ad una persona di essere coinvolta in quelle sommosse.
E se per ora l’esercito riusciva a controllare abbastanza agevolmente la cosa, presto si sarebbe potuti degenerare: e in quel caso qualche colpo involontario sulla folla sarebbe stato sparato, senza guardare chi colpiva.
“Vincent avrebbe fatto la stessa scelta, Falman. – commentò Mc Dorian – E’ meglio metterla al sicuro”
“Ti aiuterò ad organizzare il trasferimento: – si offrì Alexis – per ora i treni sono ancora abbastanza regolari e riuscirò a trovare quello migliore per lei”
“Grazie, Alexis”
 
Due settimane dopo, Falman accompagnò sua madre alla stazione centrale, per farle prendere il treno che l’avrebbe condotta al sicuro a New Optain. I loro parenti si erano mostrati più che felici di accogliere la donna ed il trasferimento era stato organizzato più in fretta di quanto si sperasse, grazie anche all’aiuto di Alexis.
“Tesoro, – mormorò Rosie, abbracciando il figlio – mi dispiace tantissimo di lasciarti solo”
“Non ci pensare, mamma: – sorrise Falman, ricambiando l’abbraccio – la cosa più importante per me è saperti al sicuro a New Optain”
“Sarà difficile non vederti ogni giorno… ma del resto è già successo quando eri in Accademia, no?” disse coraggiosamente lei, pur sapendo che questa separazione sarebbe durata molto di più.
“Infatti. E poi a New Optain avrai così tante cose da fare che sarai troppo impegnata per sentire la mia mancanza: le zie e la nonna saranno felicissime di rivederti. Scommetto che ti chiederanno di riprendere a lavorare nel negozio di famiglia”
“E potrò raccontare loro le novità. – scherzò la donna lanciando un’occhiata significativa in direzione di Elisa che attendeva poco distante – Non mi stancherò mai di ricordarti che avevo visto giusto sin da quando avevi tredici anni”
“Mamma! – arrossì Falman – Ma perché devi ritirare fuori ancora una volta questa storia?”
“Perché sono tua madre, e per certe cose ho un sesto senso. Tra qualche anno non mi dispiacerebbero dei nipo…”
“Il treno ora sta partendo! – esclamò Falman – E’… è meglio che tu vada a prendere posto nel vagone”
“Oh, Vato – lo prese in giro lei, accarezzandogli un ciuffo bianco – sei sempre il solito. Mi mancherai tanto, bambino mio” disse quell’ultima frase con sincera malinconia e Falman la strinse di nuovo a se, cercando di trasmetterle tutto l’amore possibile. Sarebbe stata dura, ma ce l’avrebbero fatta.
“Mi raccomando, fammi sapere quando arrivi”
“Va bene, caro. E tu cerca di essere prudente”
Con un ultimo gesto di saluto, Rosie salì gli scalini del vagone.
Falman osservò in silenzio le ruote del treno che piano piano iniziavano a muoversi sulle rotaie, verso nord, verso un posto più distante dalla guerra che stava imperversando. Quando il binario fu ormai vuoto e le persone iniziarono ad andare via dalla banchina, Elisa lo prese gentilmente a braccetto.
“Sarà al sicuro, Vato: – disse sommessamente – non devi più stare in pensiero per lei”
“Già…” mormorò lui, facendosi trascinare via.
 
“E così, ti traferirai nei dormitori del Quartier Generale” mormorò Elisa mentre uscivano dalla stazione.
“Sì, il tempo di finire il trasloco delle cose di mia madre. Non ha molto senso stare in quella casa”
che ormai mi appare tremendamente vuota.
Aveva preso quella decisione non appena sua madre aveva acconsentito a trasferirsi a New Optain. Stare da solo in quel posto l’avrebbe fatto cadere in una malinconia decisamente profonda ed era l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
A guardarla da un lato positivo, quella separazione sarebbe servita a smorzare leggermente il legame troppo forte che lo univa alla figura materna. Era anche ora che prendesse una maggiore indipendenza da quel punto di vista, anche per via della presenza di Elisa.
Insomma, era abbastanza chiaro che prima o poi le avrebbe chiesto di sposarla: avevano entrambi ventitré anni, di cui due passati da fidanzati. Era scontato che prima o poi la cosa si evolvesse ulteriormente; certo, non era il caso di pensarci ora che imperversava la guerra, ma una volta cessate le ostilità avrebbe potuto chiederle di fare quel grande passo.
“Vato, senti, - disse Elisa, distogliendolo dai suoi pensieri matrimoniali – ti devo parlare di una cosa molto importante”
“Dimmi”
La ragazza fissò la strada davanti a loro, con il suo viavai di persone, nell’ora di punta. Sembravano tutti così indaffarati e niente faceva pensare che quelle persone nell’arco di un minuto potessero trasformarsi in una folla inferocita, come ormai accadeva spesso.
“Ecco… pare che lungo i fronti ci sia carenza di personale medico: sai, Ishval ha risucchiato parecchie risorse anche nel mio ambito lavorativo. Per cui, per non lasciare altri fronti scoperti… hanno iniziato a chiamare medici e infermieri anche da East City e da altre grandi città”
Falman si voltò di scatto a guardarla, mentre un brivido freddo gli percorreva la schiena.
“Sei stata chiamata al fronte?” chiese, cercando di controllare il tremito della voce.
“Nel fronte contro Aerugo – annuì lei, abbassando lo sguardo colpevolmente – nel giro di qualche settimana dovrebbero ufficializzare il trasferimento mio e di altre due mie colleghe. Sai, io ho una discreta esperienza per le ferite di una certa importanza e…”
“Non ci devi andare!” esclamò il soldato prendendola con forza per le spalle, in un gesto violento non da lui.
“Vato… - bisbigliò lei, spaventata – per favore… mi stai facendo male”
“Scusa. – mormorò, rendendosi conto che la sua stretta era davvero forte. La cinse con tenerezza a sè, accarezzandole i capelli – Scusami, non volevo”
“Perdonami se ti do una notizia simile, proprio ora che tua madre è partita. – si scusò lei, ricambiando l’abbraccio – Ma purtroppo era qualcosa che poteva succedere, sin dall’inizio della guerra; non te ne ho voluto parlare perché non avrebbe avuto senso preoccuparti finchè non era sicuro che succedesse a me”
Falman non rispose, limitandosi a stringerla ancora di più.
Aveva appena mandato sua madre in un posto sicuro, lontano dalla guerra, e ora gli toccava vedere la donna che amava andare vicinissima al fronte di battaglia. Era una cosa ridicola: era lui il soldato, a lui sarebbero dovuti toccare le guerre e i pericoli del fronte. Ed invece sarebbe rimasto relativamente al sicuro ad East City, mentre la sua fidanzata andava a poche centinaia di metri dalle trincee.
“L’hai detto ai tuoi?” le chiese.
“Sì e sono molto preoccupati anche loro. Ma del resto è il mio dovere di infermiera, no?”
“Non puoi rifiutare?”
Elisa si staccò da lui e gli sorrise con dolcezza.
“Una volta mi hai detto che le missioni, per quanto pericolse, facevano parte del tuo essere soldato. La stessa cosa vale per me: la missione di un’infermiera è curare le persone… fa poca differenza che siano gente comune o soldati feriti al fronte. Per quanto sia spaventata all’idea di quello che vedrò, non posso tirarmi indietro”
Non solo la sua fidanzata gli aveva dato quella notizia scioccante, ma gli aveva appena rivoltato contro le parole che lui aveva detto più di due anni prima. Quella situazione riuscì a far apparire un timido sorriso sul volto allungato del soldato.
“Prima o poi la guerra finirà – continuò lei, passando il dito su una delle decorazioni di metallo della divisa del fidanzato – forse durerà ancora degli anni, come ha detto il tuo superiore… ma si tratterà di attendere, no? Mi aspetterai?”
“Ma che domande fai? – le chiese dolcemente Falman accarezzandole una guancia – Certo che ti aspetterò, anche un’intera vita. Elisa, tu sei l’unica donna che voglio al mio fianco”
E non permetterò a questa guerra di separarmi da te.
Lei sorrise, sollevata da quelle parole, come se la garanzia che lui l’avrebbe aspettata sempre fosse l’unica cosa che importasse. Gli prese la mano e lo incitò a riprendere a camminare per le strade di East City.
 
Una decina di giorni dopo, l’ultima scatola era stata chiusa col nastro adesivo e fatta partire col treno per New Optain, mentre tutti i suoi effetti personali erano già nel dormitorio del Quartier Generale. Il trasloco era definitivamente finito.
Guardando quella casa così vuota, Falman si sentì spaesato: gli sembrava assurdo che in quel posto aveva trascorso sedici anni della sua vita. La sua mente esplorò ogni angolo, rimettendo illusoriamente a posto ogni singolo soprammobile, ogni foto, ogni libro; andando nella cucina così vuota, riuscì persino a immaginare sua madre che si girava per dargli il buongiorno con un sorriso.
Ma erano tutte immagini fugaci che duravano il tempo di un battito di ciglia e poi lasciavano la casa di nuovo vuota.
Falman sentiva il suo respiro rimbombare tra quelle pareti e si sorprese a pensare come quell’appartamento apparisse veramente enorme: gli oggetti e le persone che l’avevano riempito non c’erano più, morte o distanti centinaia di chilometri. Restava soltanto lui, ancora per qualche ora.
Passeggiando in quegli ambienti, si ritrovò nella sua camera, ormai vuota: si sedette nel letto dove avrebbe dormito per quell’ultima notte. Davanti a lui stava la parete, stranamente vuota: ancora una volta cercò di immaginare la libreria con tutti i suoi libri e le loro disposizioni e l’illusione fu così forte che si trovò ad allungare una mano per sfiorare i dorsi delle copertine.
Fu un rumore all’ingresso che lo fece uscire dal sogno ad occhi aperti.
“Vato, ci sei?” chiese la voce di Elisa.
“Vieni è aperto: sono in camera mia” la chiamò.
“Ehi, ciao. – lo salutò la ragazza, entrando e sedendosi accanto a lui. Si levò il cappotto marrone per posarlo ai piedi del letto e si sistemò i capelli dietro la schiena – Attacco di nostalgia?”
“A quanto pare – ammise lui, grattandosi la nuca con un sorriso imbarazzato – del resto ho vissuto qui per la maggior parte della mia vita”
“Accidenti, che strana quella parete senza la libreria. – si sorprese lei – Ti giuro che a volte ho pensato che sarebbe crollata per i troppi libri. Che fine hanno fatto?”
“La maggior parte li ho spediti e New Optain da mia madre. Una parte minore l’ho portata al dormitorio del Quartier Generale… e se ti può interessare, tra quei libri c’è anche quello che mi hai suggerito tu tanti anni fa”
“Quello dei giochi? - ridacchiò lei – Mai suggerimento fu più azzeccato”
“E già…”
Rimasero in quella stanza, seduti nel letto, senza dire niente e ricordando i tempi passati. Ma dopo un po’ Elisa spezzò il silenzio.
“Vato, tra due giorni dovrò prendere il treno per il fronte: hanno deciso di anticipare la nostra partenza”
Falman non si girò a guardarla: sapeva che ormai era questione di tempo e in parte aveva accettato quell’idea. Ma sentire che mancavano solo due giorni fu come una pugnalata e solo con notevole autocontrollo riuscì a restare impassibile: l’unica reazione visibile fu la sua mano che strinse convulsamente le lenzuola del letto.
“Vato?” lo chiamò lei, posando la mano proprio sopra la sua.
“Ti amo, lo sai?” le disse.
“Certo che lo so” sospirò Elisa, posando la testa sulla sua spalla, rivestita dalla camicia della divisa.
“Mi fa strano pensare che ora ci saranno centinaia di chilometri tra me e te” mormorò l’uomo fissando la parete vuota. La sua mano passò intorno alle spalle della ragazza, per stringerla ulteriormente a sé.
“Ti scriverò, promesso: – iniziò lei, alzando il capo per guardarlo – non può essere una guerra a dividerci! Manco fossimo in due schieramenti dive… mh!”
Per la prima volta fu lui a zittire Elisa con un bacio.
Ed era un bacio completamente diverso da tutti quelli che fino a quel momento si erano scambiati: era la ricerca d’acqua di un assetato che non sa quando incontrerà la prossima fonte, il respiro di chi si sta tuffando senza sapere se mai riemergerà… era la disperazione di un uomo che si stava per separare dalla propria donna.
Sulle prime Elisa si irrigidì, sopresa dalla novità di quel bacio, ma poi lo ricambiò con la medesima intensità, anche lei in preda agli stessi sentimenti. Le mani della ragazza strinsero con forza i capelli bianchi e neri del soldato: una presa priva del solito senso giocoso e invece carica di un’ondata di desiderio.
“Elisa…” mormorò Falman staccandosi da lei e rendendosi conto che le cose potevano rapidamente andare troppo oltre. Cercò di riprendere il suo solito controllo, ma non potè non notare come il seno di lei, sotto la camicetta rosa, si muovesse al ritmo di un respiro lievemente ansimante, come il suo. Ed il suo corpo non poteva fare a meno di reagire a tutto questo.
Sei così bella… troppo bella.
“Sono solo tua, Vato, a prescindere dalla distanza che ci sarà tra di noi” dichiarò lei, prima di baciarlo ancora.
Dopo essersi staccata da quel bacio, il viso della ragazza rimase vicinissimo al suo, tanto che il soldato poteva sentire il calore emanato dalla pelle di lei
Vorrei che tu fossi mia, in questo momento, in questo letto…
Questa frase non la pronunciò a voce alta, ma fu come se Elisa avesse intuito.
“Se devo partire con quel treno – mormorò – allora lo farò da donna e non da ragazza”
“Noi non dovremmo…” balbettò lui, ma allo stesso tempo le mise la mano sul collo, sopra il ciondolo a forma di goccia e poi inziò a scendere lentamente dove non aveva mai osato fino a quel momento. Arrivato alla vita della ragazza, prese con delicatezza un lembo di stoffa della sua camicetta e la sfilò fuori dalla gonna che indossava, sfiorando la pelle del ventre di lei e avvertendo il brivido di piacere che la percorse.
Lei iniziò a ricambiare con la stessa moneta, sbottonandogli la pare alta della camicia e accarezzandogli la pelle del petto.
“L’ho sempre detto che sei troppo magro…” ridacchiò con timidezza, mentre le guance arrossivano in maniera vistosa, come mai le era successo, rendendola ancora più bella.
“Semplice costituzione” le rispose lui con un sorriso prima di abbracciarla e lasciarsi cadere all’indietro nel letto, trascinandola con sé; le sue mani si insinuarono sotto il tessuto della camicetta di lei, accarezzando la schiena nuda, memorizzandone ogni singolo poro.
Dopo qualche minuto erano petto contro petto, senza più indumenti a separarli. Falman sentiva ogni centimetro di pelle di lei, assaporandone il contatto, percependo il brivido intenso che l’attraversava.
“Hai freddo?” le chiese con tenerezza, scostandole una ciocca di capelli dal viso.
“Un po’” ammise lei.
“Aspetta; – disse, scostandola il tanto che bastava per sollevare coperta e lenzuola e permettere ai loro corpi di infilarsi in quel nido caldo – direi che così va decisamente meglio”
Lei non rispose, ma chiuse gli occhi, insinuandosi di nuovo tra le sue braccia.
Come può una persona diventare così calda?
La pelle di lei sembrava bruciare sotto le sue dita. Con incredibile delicatezza esplorò con le mani ogni centimetro del suo corpo, scendendo delicatamente a sfilarle la gonna che indossava ancora.
Dal canto suo Elisa chiuse gli occhi e gli baciò dolcemente il petto mentre le sue mani imitavano le mosse del fidanzato…
“Vato… - mormorò ad un certo punto – i tuoi…pantaloni”
Il soldato sentì l’indecisione di lei e capì, scendendo con le mani ad aiutarla
“Un secondo bottone a sinistra – spiegò – del resto si usano anche in missione e devono essere resiste… mh!” le labbra di lei impedirono a quell’inutile spiegazione accademica di continuare: tutte le nozioni potevano andare al diavolo in quel momento.
Quando i loro corpi non riuscirono a negare oltre il desiderio, Falman si portò sopra di lei, fissandola negli occhi, capendo che quello era davvero il punto di non ritorno.
“Mio Dio, Elisa… – mormorò, cercando di controllarsi – Tra due giorni gli eventi ci separeranno e non sappiamo quando ci potremmo… E’ davvero giusto quello che ti sto per fare?”
“Vato… - sospirò lei, alzando la mano per accarezzargli la fronte – quello che stiamo per fare… e sì, per me è la cosa più giusta del mondo. Hai dubbi su di noi?”
“No” scosse il capo lui, scoprendo che non poteva resistere ancora al desiderio.
“E allora, non aver paura…”
Quest’ultima frase fu un sussurro quasi impercettibile, ma spezzò gli ultimi residui di dubbio, facendo solcare loro il confine tra essere ragazzi ed essere uomo e donna. Adagiandosi sopra il corpo di lei, Falman sentì la sua mente che si distaccava completamente da qualsiasi pensiero terreno, riducendo il mondo a quel letto dove stava amando la propria donna.
Proprio lei si contrasse violentemente e all’improvviso e questo lo riportò bruscamente alla realtà. Immediatamente fece per ritrarsi, ma lei gli cinse la vita con le braccia e gli impedì di spostarsi.
“Ti sto facendo male” mormorò.
“Non è vero – mentì lei ad occhi chiusi – va tutto bene… adesso mi passa”
Sentendo che la ragazza gli stava lasciando carta bianca, riprese a muoversi con delicatezza, lasciandole il tempo di abituarsi a lui. Come la sentì rilassarsi leggermente si adagiò completamente su quel corpo così morbido e caldo.
Le prime movenze furono leggermente impacciate, ma poi il desiderio si riaccese e spinse entrambi a cercare di più da quell’unione fisica, ritrovando la foga di quei primi baci che si erano scambiati qualche minuto prima. Tuttavia dopo un iniziale inevitabile sfogo, il soldato impose un ritmo lento e dolce, cercando le labbra della fidanzata per imprimersi il loro meraviglioso sapore dolce.
L’avrebbe ricercato nella propria anima quando sarebbe stato in difficoltà; avrebbe ricordato la morbidezza di quel corpo stretto al suo quando si sarebbe sentito solo; si sarebbe perso nel verde degli occhi di Elisa, nella sua voce, quando avrebbe avuto bisogno di conforto.
Ma in quelle ore non ne aveva bisogno, perché non c’era nessuno spazio tra di loro…
Non ancora.



_________________
Nda.
E con questo capitolo finiscono quelli che avevo scritto durante le vacanze e che aspettavano solo di essere revisionati.
Questo tuttavia l'ho modificato profondamente, specie nella parte finale: le scene d'amore sono sempre abbastanza delicate, specie se si tratta di prime volte e di personaggi particolarmente delicati come Falman. Tuttavia credo di aver raggiunto un equilibrio abbastanza buono tra la sua timidezza ed un desiderio che, date le circostanze, non poteva essere negato. E' una situazione diversa da quella che avevo trattato nella ff di Breda, ma diverse erano anche le situazioni e l'età dei personaggi.
Adesso non posso più garantire l'aggiornamento quotidiano, ma spero di tenermi nei miei soliti canoni temporali :D

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Capitolo 13
*** Capitolo 12. 1905. Changes. ***


Capitolo 12.
1905. Changes



Se c’era un momento della giornata che amava era la mattina quando poteva leggere il giornale.
Gli sembrava di essere in contatto con tutto il paese e, sfogliando quei piccoli frammenti di vita quotidiana dei vari angoli di Amestris, dentro la sua mente costruiva un mondo alternativo dove tutto era a sua portata. Era come se quelle pagine che sapevano d’inchiostro fresco, gli fornissero piccoli tasselli per formare un mosaico di dimensioni poderose: e lui al momento giusto avrebbe saputo in quale angolo cercare per trovare l’informazione desiderata.
Ovviamente la maggior parte dei quotidiani era occupata dalle notizie di guerra.
Erano sempre le stesse: bollettini, cambi di comandanti, invio di nuove truppe, piccole vittorie e quasi mai sconfitte… perché non era bene che la popolazione ne venisse a conoscenza. Il morale dei civili, infatti, era sempre più basso: l’ingresso nel quarto anno consecutivo di guerra si faceva sentire e la gente era stanca dei razionamenti. Come se non bastasse, il governo centrale aveva stabilito dei coprifuoco in alcune delle città più grandi, compresa East City, e questo aveva indisposto ulteriormente i cittadini.
L’esercito aveva più volte sedato rivolte interne, e in più di un caso c’era scappato anche il morto. La popolazione si rabboniva per qualche settimana ma poi tutto ricominciava dall’inizio, in un logorante circolo vizioso tra militari e civili.
Lo stesso esercito iniziava a patire pesantemente quegli impegni bellici: tutte le risorse venivano utilizzate sui fronti e gli edifici del Quartier Generale iniziavano a risentire di tale mancanza d’attenzione. Per ora si trattava di piccole cose: qualche corridoio non illuminato, alcuni pezzi da cambiare in vari ambienti, tutti imprevisti che si sarebbero potuti risolvere con qualche settimana di lavoro. Ma ogni giorno, invece di diminuire, queste incurie aumentavano segno tangibile della mancanza di qualcuno che si occupasse veramente dei soldati rimasti nelle città. Gli stati maggiori avevano tutti gli occhi puntati ai vari fronti, in attesa del loro turno di avere la possibilità di gloria in quella guerra: perché per un ufficiale non c’era modo migliore di farsi un nome che distinguersi nelle azioni militari.
O per lo meno, questo succedeva nella maggior parte dei casi… c’era chi, come Mc Dorian, preferiva volgere la sua attenzione su campi meno battuti.
“Pare che la situazione contro Creta sia stabile” commentò Alexis sbirciando sulla pagina aperta.
“Sì, c’è una fragile tregua che sta durando da due settimane. – annuì Falman, ricollegandosi anche alle notizie pervenute al Quartier Generale – Pare che entrambi gli eserciti abbiano bisogno di respiro: gli ultimi scontri sono stati davvero pesanti. Credo che per almeno altre due settimane su quel fronte ci sarà una situazione abbastanza tranquilla.”
“L’ultimo rapporto di Miran diceva che Creta non ha alcuna intenzione di cedere” disse il sergente, pensando con malinconia alla loro collega che era stata richiamata al fronte qualche mese prima.
“Cedere? – chiese Mc Dorian dalla sua scrivania, alzando lo sguardo dal foglio che stava leggendo – Fidati, figliolo, finché non si chiude la guerra contro Ishval nessuno dei nostri vicini cederà. E’ un’occasione troppo appetitosa per non tentare fino all’ultimo di ricavarne qualcosa.”
“Drachma come sempre è bloccata egregiamente da Briggs, – disse Falman – mentre il fronte di Aerugo è caldo come al solito: stanno per giungervi nuove truppe da Ovest City.”
“Elisa come sta?” chiese Alexis.
“Abbastanza bene. Nell’ultima lettera mi ha scritto che, purtroppo, i feriti sono sempre tanti e molti non ce la fanno… anche loro risentono della carenza di medicinali e attrezzature adeguate, ma con così tanti fronti aperti devono spartirsi i rifornimenti” scosse il capo, incupendosi lievemente.
“E’ una ragazza forte: – scrollò le spalle Mc Dorian – vedrai che stringerà i denti e ce la farà.”
“Sissignore.”
“Ma ora, fatemi il favore di distogliere le vostre menti dai fronti di guerra: ho una notizia da darvi.”
Alexis e Falman volsero la testa verso il loro superiore, avendo intuito dal tono di voce che c’erano importanti novità. Infatti Mc Dorian girò nella loro direzione il foglio che stava leggendo fino a poco prima
“Preparatevi a partire, ragazzi miei, andiamo a Central City: hanno bisogno di noi per risolvere alcuni casi di omicidi. – lo sguardo penetrante degli occhi azzurri si spostò su Falman – E direi che è arrivato il momento di riaprire quella faccenda in sospeso con il nostro amico Trevor Leon.”
Falman annuì impassibilmente, ma dentro di sé esultò.
Erano anni che aspettava questo momento.
“E questa volta chiudiamo i conti con lui, Falman, hai la mia parola” dichiarò Mc Dorian.
 
“…I feriti aumentano di giorno in giorno, ormai è da settimane che non c’è più una tregua nel fronte. I medicinali scarseggiano e spesso siamo obbligati a scegliere chi salvare e chi no: molti soldati hanno ferite gravissime ed i dottori, purtroppo, devono dare la precedenza ha chi ha sicure possibilità di farcela. Lo so che è il procedimento giusto da seguire, altrimenti perderemmo ancora più uomini, ma ti giuro che ogni volta non posso fare a meno di tentare di salvare almeno qualcun altro.
Tuttavia, per le condizioni in cui lavoriamo, a volte non mi resta che tenere la mano a questi poveri sventurati mentre trapassano, senza nemmeno il conforto di antidolorifici che sono davvero limitati.
Essere al fronte mi ha fatto capire come lavorare in un ospedale cittadino voglia dire essere viziati… altro che pulizia, camici immacolati, silenzio. Qui è un vero inferno di urla e dolore e sangue.
Ed è soprattutto un senso di impotenza che ti attanaglia la notte, quando ti rendi conto che, nonostante tu abbia lavorato come una bestia per più di dodici ore, non sei riuscita a salvarne che pochi.
Scusami se sfogo su questi fogli tutte queste emozioni che provo, ma so che tu sei l’unica persona con cui posso confidarmi veramente. E’ indispensabile che qui mantenga un atteggiamento forte e non mi lasci andare, ma non so che darei per essere di nuovo tra le tue braccia a sentire la tua voce che mi racconta cose meravigliose e fantastiche che mi fanno scappare via da questa guerra orribile.
Sono ormai quasi due anni che sto qui al fronte: purtroppo, come ben sai, non è possibile un grande ricambio di medici, figuriamoci di infermiere. A volte ci concedono di passare una decina di giorni in ospedali di qualche cittadina non troppo distante, ma dopo questa boccata d’ossigeno ricomincia tutto.
Ma è il mio dovere di infermiera, la mia missione: non posso abbandonare questi soldati che fanno affidamento su di me.
Tuttavia se, come sperano molti, tra qualche settimana la situazione migliorerà, spero di poter ottenere un periodo di permesso per poter tornare ad East City.
Mi manchi, amore mio, non hai idea di quanto possa essere dolorosa per me la separazione.
Scrivi presto: le tue lettere sono come un raggio di sole per me!
Un bacio.
La tua Elisa”
 
Falman rilesse per la decima volta l’ultima lettera che Elisa gli aveva spedito dal fronte e per la decima volta si odiò profondamente per la situazione di relativa tranquillità che lui stava vivendo, mentre la ragazza subiva quelle dure prove nell’ospedale da campo.
Con un sospiro rassegnato ripiegò i fogli e li rimise dentro la busta; depose quindi la lettera nella scatola  dove teneva tutta la corrispondenza che in quei due anni Elisa gli aveva mandato: quasi trenta… prima si scrivevano ogni due settimane circa, ma da quando le comunicazioni avevano iniziato ad essere più difficili si erano limitati ad una lettera al mese.
Dopo i primi tempi di relativo timore, aveva ormai la certezza che la zona dove operava la sua fidanzata era relativamente al sicuro dal pericolo delle trincee; era stato davvero uno sciocco a preoccuparsi così tanto: sapeva benissimo che il regolamento militare prevedeva che gli ospedali da campo venissero attrezzati ad una distanza di sicurezza di almeno due chilometri rispetto alla linea di combattimento più arretrata, in modo che non venissero mai colpiti dai bombardamenti. La paura l’aveva fatto lavorare troppo di fantasia, facendogli dimenticare dettagli che sapeva già.
Tuttavia se dal punto di vista fisico la ragazza era al sicuro, le lettere che riceveva parlavano di un’Elisa profondamente giù di morale che aveva impattato pesantemente contro la crudeltà della guerra. Se un carattere forte come il suo si trovava in difficoltà, la situazione doveva essere davvero difficile e spesso Falman si era chiesto se sarebbe mai riuscito a confortarla da un orrore così forte.
Scrollando la testa cercò di non pensare a quell’eventualità.
Tornando a problemi più pratici, terminò di fare i bagagli e depose sulla scrivania la lettera che doveva spedire alla ragazza la mattina successiva: in realtà l’aveva terminata il giorno prima, ma era stato costretto a riaprirla per aggiungere la novità del suo trasferimento a Central City. Avrebbe voluto essere più specifico circa la durata di quella trasferta, ma purtroppo Mc Dorian era stato molto vago. L’unica cosa certa era che tra tre giorni lui e la sua squadra avrebbero preso il treno delle 8:20 per Central City.
Persino i dettagli della missione erano oscuri… omicidi non meglio specificati. Ma Falman aveva il sospetto che Mc Dorian stesse tenendo nascosti diversi dettagli di proposito: ormai conosceva abbastanza il suo superiore da sapere che preferiva rivelare le cose a tempo debito.
Posando la scatola di cartone dentro la valigia e chiudendo la stessa, si concesse finalmente di pensare a Trevor Leon.
Anni di silenzio e di attesa, ma finalmente la caccia si poteva riaprire: si accorse che il suo desiderio di vendetta non si era minimamente placato, le braci erano ancora accese dopo tutto questo tempo. L’assassino di suo padre era ancora in libertà, così come il mandante: ora, lui non era assolutamente sicuro che gli omicidi di cui si dovevano occupare avessero a che fare con la stessa vicenda. Ma una cosa era chiara: un’occasione migliore per potersi avvicinare al loro nemico non sarebbe più capitata e dovevano sfruttarla senza il minimo errore.
 
Awrosut stava scomparendo dietro al treno, con le sue case color mattone e i suoi campi di grano tutto attorno.
Falman trasse un sospiro e si rese conto che avevano appena lasciato l’ultima centro del distretto dell’Est. La prossima fermata, Geob, era già nel distretto centrale, nella zona più importante di tutta Amestris, sotto il diretto controllo di Central City.
Continuava a fissare il paesaggio dal finestrino, aspettandosi quasi di vedere un netto confine tra i due distretti, ma dopo un po’ la monotonia della campagna lo fece desistere da questo proposito.
“A che stai pensando?” gli chiese Mc Dorian, seduto davanti a lui, con Alexis accanto che sonnecchiava beatamente ormai da diverse ore.
“Niente di particolare, signore. – ammise Falman, scrollando lievemente le spalle – Pensavo solo che non sono mai stato nel distretto centrale. E mi chiedevo come potesse essere Central City”
“Hai presente la differenza tra New Optain ed East City?”
“Si, signore”
“Bene, moltiplicala per dieci e ottieni Central City”
Falman sgranò gli occhi davanti a questa affermazione. Davvero la capitale di Amestris era così grande da valere dieci volte un centro come East City? Effettivamente riflettendo su quanto aveva studiato, la superficie e la popolazione di Central erano molto superiori rispetto a qualsiasi altra città del paese: avendoci sede il governo centrale e il Comandante Supremo in persona era normale che fosse molto più importante. Improvvisamente si sentì come un campagnolo, estremamente inadatto ad andare in un posto simile.
“Arriveremo a Central domani mattina. – spiegò Mc Dorian, riscuotendolo da quelle sensazioni – Al Quartier Generale ci attendono: mi aspetto molto da te, ragazzo.”
“Farò il possibile, signore, come sempre.”
“Bravo, ma adesso rilassati pure e goditi il viaggio. Anzi, tieni, ho pensato ad una lettura per te: qualche notizia su Central non potrà che aiutarti.”
Con un sorriso gli porse un libricino che Falman prese con aria perplessa. Notizie su Central City? Da quando il suo superiore si preoccupava così tanto di fargli da guida turistica? Ma poi aprì la prima pagina e annuì seriamente: era la scrittura pulita e quadrata di Mc Dorian stesso e non erano informazioni sulla città, ma su quello che stavano andando a fare.
Quattro omicidi nell’arco di un mese, praticamente uno alla settimana. Due alti gradi dell’esercito e due mercanti di Central: nessun collegamento tra le vittime, nessuno di loro si conosceva. In quelle pagine coperte da scrittura a mano libera c’erano gli scarni dossier che erano stati redatti da quelli che a Central si erano occupati delle indagini: Falman immagazzinò tutte quelle informazioni con estrema cura, cercando i bandoli della matassa, quei fili che potevano essere congiunti tra di loro per iniziare a formare una pista.
Uno ucciso in un vicolo con un colpo di pistola, uno pugnalato nel proprio negozio, uno trovato morto per apparente attacco cardiaco, uno trovato strangolato a casa propria… nessuna legame tra le modalità d’omicidio, orari, posti. Quattro casi completamente differenti tra di loro, ma proprio per questo legati da qualcosa che ancora dovevano scoprire.
“Ah, dimenticavo un interessante particolare” disse all’improvviso Mc Dorian.
“Signore?”
“Sai, l’autore di quelle notizie è sparito senza lasciare traccia. Pare che facesse troppe domande in giro… ma sono sicuro che noi sapremmo essere più discreti, vero Falman?”
“Ovviamente signore” annuì lui con un lieve sorriso.
“A Central il gioco si fa serio – commentò Mc Dorian – è una realtà completamente diversa da East City. Nella capitale tutti si spintonano per arrivare in alto e niente dà più fastidio di nuovi arrivati che possono essere d’impiccio per la propria carriera: mettere i bastoni tra le ruote è quasi una tradizione.”
“Signore, posso chiederle perché hanno chiamato proprio la nostra squadra?” chiese Falman incuriosito.
“Perché è un caso su cui vogliono far davvero luce – spiegò il tenente, fissando fuori dal finestrino – e sanno che se vogliono trarre qualche ragno dal buco devono chiamare qualcuno di esterno ai loro giochi. Gli interessi personali a volte sono così forti che ci si limita a girare in cerchio, senza andare avanti: adesso che c’è anche la guerra la situazione è ulteriormente peggiorata… e fidati che ci sono diversi interessi anche in questi quattro omicidi”
Falman restituì il libricino a Mc Dorian e si mise a braccia conserte, riflettendo sui rischi che avrebbero inevitabilmente corso. Da una parte sentiva la scarica di adrenalina lungo tutte le sue vene, dall’altra una piccola parte di lui non poteva fare a meno di rimpiangere la relativamente tranquilla realtà di East City che si erano lasciati alle spalle.
 
Central City era destabilizzante anche per chi proveniva da realtà relativamente grosse come East City.
A Falman ci vollero diversi giorni per venire a patti con quell’imponenza che emanava ogni singola strada della capitale, ogni muro del Quartier Generale.
Dalle finestre dell’ufficio che era stato loro assegnato, al quarto piano dell’edificio, poteva vedere la città estendersi per chilometri e chilometri, con le colline circostanti che sembravano lontanissime. Anche il ritmo degli abitanti era completamente diverso da quello di East City: erano tutti molto più frenetici e laboriosi.
Stare in una delle strade principali nell’ora di punta significava entrare a far parte di un vorticoso balletto in cui tutti conoscono i passi tranne te e dunque, seppur per qualche secondo, si andava a disturbare quei movimenti così perfetti. Sembrava che la madre con i bambini sapesse esattamente in che istante infilarsi nel varco lasciato libero da un garzone del fornaio e una venditrice di frutta… mentre un estraneo finiva per sbattere contro entrambi.
“Cavolo che vitalità! – commentò Alexis mentre riuscivano finalmente ad andare in una via meno affollata – Sembra quasi che la guerra qui non faccia sentire minimamente i suoi effetti”
Ed era vero: Central aveva la precedenza rispetto al resto del paese. La sua popolazione era molto più numerosa e dunque era importante tenerla a freno, evitando di far mancare loro qualsiasi bene. Una rivolta ad East City era relativamente facile da domare, ma se tutta la gente di Central si fosse messa contro il governo, sarebbero stati veramente dolori: il numero di vittime sarebbe stato davvero incalcolabile, sia tra i civili che tra i militari.
E così la popolazione di Central viveva in una sorta di cupola di cristallo, dove la guerra era solo un avvenimento lontano di cui parlavano la radio ed i giornali. Un qualcosa che non li avrebbe mai minacciati davvero e dunque si potevano tranquillamente prendere un caffè o una cioccolata seduti nei bar… senza che nessuno aizzasse la folla perché mancava qualche bene di prima necessità, senza che infermieri o soldati venissero trasferiti al fronte.
Central City voleva dire privilegio.
“Quattro anni di guerra e non sentirli” commentò Falman, leggermente irritato
“Oh, beh, in ogni caso eccoci arrivati: secondo le indicazioni di papà dovremmo girare l’angolo e ci ritroveremo nella piazza dove sta… ehi Falman?”
“La Biblioteca Centrale!” esclamò Falman stringendo convulsamente la manica del collega.
Una sola parola: enorme. Un immenso edificio di più piani con al suo interno centinaia e centinaia di volumi: tutto il sapere concentrato in quelle centinaia di metri quadri, con migliaia di scaffali, libri, documenti. Era qualcosa di così commovente che al soldato vennero le lacrime agli occhi.
“Se hai finito di commuoverti direi che potremmo andare alla prima sezione; – ridacchiò Alexis – tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno sono lì: scommetto che non vedi l’ora di entrare e…”
“O sto sognando, oppure davanti a me ho proprio Vato Falman!”
Falman si irrigidì, dimenticandosi completamente della presenza di Alexis.
Quella voce non la sentiva da almeno sei anni, anche se nei suo sogni e nei suoi pensieri era sempre presente. Girandosi verso quella voce vide un uomo che avanzava verso di loro.
Trevor Leon era sempre stato un uomo avvenente e anche se aveva già superato la cinquantina non mancava di esercitare un certo fascino. Aveva il viso dai lineamenti regolari, segnato da diverse rughe d’espressione che però non andavano ad intaccarne la bellezza, anzi. I bei occhi verdi, ben si accostavano ai capelli biondo chiaro che ora mostravano diverse ciocche più vicine al platino.
Vedere quella figura riemergere dal passato fu un vero colpo per Falman, ma lo fu ancor più vedere che la divisa che indossava non era quella scura del corpo di polizia, ma quella blu dell’esercito.
Trevor Leon ora era un tenente, al pari di Mc Dorian.
 
“Che c’è Falman, non ti ricordi di me? – chiese il nuovo arrivato con un sorriso del tutto disarmante – Eppure in passato ci siamo visti diverse volte, specie quando venivi a trovare tuo padre in ufficio”
“E’ impossibile dimenticarla… tenente Leon” si costrinse a dire Falman, cercando di tenere un tono di voce neutro, mentre dentro di lui il sangue ribolliva. Con un tremendo sforzo di volontà riuscì a fare anche il saluto militare dato che si trovava davanti ad un suo superiore, gesto che fu imitato da Alexis
“Ma guardati – sorrise Leon dandogli una pacca sulla spalla – sembra di vedere Vincent se non fosse per i capelli. Sul serio, ragazzo, assomigli ogni giorno di più al tuo povero padre… beh, che cosa ti porta qui a Central?”
“Questioni riservate – rispose per lui Alexis facendosi avanti – Mi dispiace, tenente, ma non siamo autorizzati a dare informazioni in merito”
Solo allora Leon parve rendersi conto della presenza dell’altro soldato e lo squadrò con attenzione prima di sorridere di nuovo… sempre in modo maledettamente innocente.
“Oh, ma tu devi essere senz’altro il figlio di Mc Dorian! Gli assomigli parecchio, figliolo”
“Sergente Alexis Mc Dorian a rapporto, tenente – annuì Alexis, con tono gelido – Scusi la franchezza, ma il signor Leon di cui mi parlava mio padre era un poliziotto e non un militare”
“Oh già, è questa divisa che vi sorprende tanto? – Leon si tirò la manica con un gesto quasi imbarazzato – Beh, sapete, dopo il mio trasferimento a Central ho avuto modo di offrire il mio aiuto all’esercito e così poco dopo mi è stato chiesto di entrarne a far parte… non è un discorso che ti è del tutto nuovo, vero Falman?”
Peccato che io fossi nella polizia da nemmeno un anno, mentre lei c’era da almeno trent’anni, tenente.
Falman ingoiò questa risposta rovente, limitandosi a fare un cenno del capo.
“Allora, ragazzi, se siete qui con il vecchio Mc Dorian vuol dire che avrete qualche caso da sbrogliare… mi raccomando, se vi serve una mano non esitate a chiedere a me. Sul serio, Vato – e mise una mano sulla spalla di Falman – farei di tutto per il figlio di Vincent.”
Senza aspettare risposta, l’uomo riprese a camminare per la sua strada, lasciando i due soldati in piedi davanti all’ingresso della Biblioteca Centrale. Fu solo dopo una decina di secondi che Falman si riscosse e vide che Alexis lo osservava con attenzione.
“E così è quello il famoso Trevor Leon – commentò il sergente – Mhpf! E pensare che papà ne parlava come se quell’uomo fosse il portabandiera della polizia di Amestris… chissà che gli hanno offerto per passare all’esercito”
“Credi che sia il caso di andare a riferirlo al tenente?” chiese Falman
“No, non adesso. A qualcuno che ci osserva questo cambiamento di programma apparirebbe troppo evidente; andiamo a fare le ricerche che ci ha ordinato papà e poi torniamo al Quartier Generale: avremo tempo per capire cosa c’è dietro questo incontro stranamente casuale.”
E con un gesto verso il suo compagno si avviò sopra gli scalini che portavano all’ingresso dell’edificio.
Falman sospirò, pensando a come tutta la sua aspettativa di entrare in quel tempio del sapere fosse stata cancellata da quell’incontro. Vedere Leon con la divisa dell’esercito gli aveva procurato più fastidio di quanto credesse possibile.

 





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nda.
Passo dopo passo continuo a procedere... accidenti a Falman, con lui ci sono da dire un sacco di cose perché è uomo di pensiero. E così sono a più di 70 pagine di documento word e mi sono accorta di essere circa a metà storia!! O_ò I quindici capitoli della ff di Breda mi sembrano così lontani... ^_^''
Come se non bastasse continuano a frullarmi idee per la testa... una one shot che spero di finire al più presto, Un'altra multicapitolo in fase embrionale nella mia mente (che spero di abortire perché sarebbe davvero davvero complicata) e che altro? ah sì... continuare Falman. 
Ma sì! Ce la posso fare!

Intanto sono finalmente riuscita a far entrare in scena il nostro fantomatico Leon! Ed è già un bel peso che mi sono levata dallo stomaco... peccato che ora il rospo se lo sia ingoiato Vato XD

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Capitolo 14
*** Capitolo 13. 1905. Commander and nobility ***


Capitolo 13.
1905. Commander and nobility

 


La notizia dell’improvvisa comparsa di Leon nelle nuove vesti di tenente dell’esercito, più che sorprendere, fece notevolmente irritare Mc Dorian. Quella sera, come i suoi sottoposti gli raccontarono di quel particolare incontro sbatté il pugno sulla scrivania, in gesto di stizza.
“Ed ha anche la faccia tosta di venire da te e di offrirti il suo aiuto? – esclamò – Dopo che ha sacrificato tuo padre senza pensarci due volte!? Dannazione! Quell’uomo non solo ha imparato a non pestare i piedi a chi è più grosso di lui, ma ha anche imparato a giocare all’arrampicata sociale! E’ quando ho a che fare con gente come lui che mi vergogno della divisa dell’esercito!”
Falman non disse niente, sorpreso di vedere il suo superiore così arrabbiato. Era la prima volta in cinque anni che il tenente perdeva la calma in quel mondo, almeno davanti a Falman. Ma lanciando un’occhiata ad Alexis, il soldato si accorse che era una novità anche per lo stesso figlio di Mc Dorian.
“Evidentemente i nostri movimenti sono tenuti sotto controllo: – ammise il sergente – Leon non sembrava affatto sorpreso di vederci e non si è preoccupato nemmeno di nasconderlo”
“Che eravamo tenuti d’occhio era chiaro. – scrollò le spalle Mc Dorian, riprendendo la calma – Mi sorprende piuttosto la sicurezza di queste persone: si permettono anche di mandarci un avvertimento proprio tramite Leon… sapete questo cosa significa?”
“Che è tutto collegato più di quanto pensassimo – rispose Falman, dopo qualche secondo – Che questi omicidi di cui ci dobbiamo occupare sono legati anche a quello di mio padre”
“Appunto! – Mc Dorian gli puntò il dito contro – Capisci quello che voglio dire, Falman? Facendoti incontrare Leon ti hanno spiattellato in faccia il fatto che sono sempre le stesse persone con cui abbiamo a che fare! Quel qualcosa di grosso di cui Vincent aveva cercato di avvisarmi… adesso è ancora più grosso se è ben piantato a Central City e ha fatto diventare un capitano di polizia tenente dell’esercito”
“Insomma la pista che dovevamo trovare da soli ce la stanno servendo su un piatto d’argento” commentò Alexis con perplessità.
“E questo ci deve preoccupare più del previsto. Qui abbiamo a che fare con persone che sono sicure di tenerci in pugno: per ora ci stanno avvertendo… con quel “rivolgiti a me se hai bisogno”, Leon ti sta dicendo di andare a parlare con lui, Falman. Ma tu non osare farlo, non senza il mio consenso… quella serpe ha già ucciso tuo padre e non gli permetterò di fare lo stesso con te”
“Allora come ci dobbiamo comportare, signore? - chiese Falman, leggermente esasperato da quella situazione che si era venuta a creare – Ogni nostra mossa è controllata e sono sicuri di bloccarci. Ma, nonostante tutto, Leon è la migliore pista che possiamo seguire… da quanto abbiamo scoperto negli archivi della prima sezione della Biblioteca Centrale c’è ben poco che ci possa aiutare in quegli omicidi. Non posso non andare a parlare con lui”
Mc Dorian si alzò dal tavolo e andò con passo deciso davanti a Falman. Si fermò davanti a lui, d’altezza gli arrivava appena al mento, ma i suoi occhi rapaci fecero sentire il soldato come un ragazzino sgridato dal genitore.
“Ascoltami bene, Vato, – disse il tenente con voce calma, ma proprio per questo più temibile – te lo dirò una sola volta. Capisco benissimo le tue motivazioni, che poi non sono dissimili dalle mie… ma è proprio questo il momento in cui voglio che tu sia più calmo e freddo del previsto. E’ difficile, maledettamente difficile, lo so, ma non puoi permetterti di fare il loro gioco. Ti chiedo di fidarti di me come non hai mai fatto sino a questo momento, Vato… anche se certe mie decisioni si potranno scontrare contro la tua volontà. Dimmi che sei disposto a farlo, ragazzo”
Falman esitò per qualche secondo, valutando quanto il tenente gli stava chiedendo di fare. Una parte di lui si voleva ribellare a tutto questo e prendere l’iniziativa nelle indagini per la morte di suo padre… del resto non aveva aspettato anche troppo? Tuttavia gli occhi azzurri del suo superiore lo intrappolavano e gli sbattevano in faccia tutte le sue responsabilità in quanto soldato… e gli ricordavano che quell’uomo era l’unico di cui Vincent si era davvero potuto fidare. In fondo anche questa era un’eredità importante che suo padre gli aveva lasciato.
“Mi fido di lei, signore – sospirò infine – e mi atterrò a quanto mi ordinerà”
“Perfetto, Vato, perfetto. – mormorò con uno stanco sorriso il tenente – Ci vogliono sfidare così apertamente eh? Ma abbiamo ancora diverse carte da giocare”
 
Quella notte, nella stanza del dormitorio che condivideva con Alexis, Falman era sdraiato nel proprio letto con le braccia incrociate dietro la testa.
Poteva e doveva fidarsi di Mc Dorian, su questo non c’erano molti dubbi, ma una parte di lui avrebbe preferito gestire questa situazione da solo. Sarebbe stato prudente in ogni caso, tuttavia avrebbe scelto di andare subito da Leon a parlare: forse gli avrebbe estorto la confessione sull’omicidio di suo padre… quell’uomo un minimo di dignità doveva ancora averla. Non poteva rimanere impassibile davanti al figlio di un uomo che aveva lavorato così tanto con lui.
Ma che vado a pensare? Che dignità può avere una persona che mi ha sorriso in quel modo come se fosse innocente?
“Papà è veramente furioso, – disse Alexis distogliendolo dai suoi pensieri – non credo di averlo mai visto così in tutta la mia vita”
“Credi che questa novità di Leon cambierà i suoi piani?”
Alexis rimase qualche secondo a riflettere prima di rispondere
“Non abbiamo idea di quali siano i piani di mio padre e dunque non possiamo sapere se e in che misura li cambierà alla luce di quanto è successo. Ma credo che prima di fare qualsiasi mossa azzardata, papà si premurerà di avere le spalle coperte”
“Mh… - Falman rifletté – spalle coperte. Mi chiedo come potrebbe mai fare: qui a Central siamo praticamente isolati, mentre Leon e i suoi compari paiono farla da padrone. Non so a chi può rivolgersi per ottenere questa copertura che ci porterebbe in posizione di vantaggio”
“In ogni caso per ora l’ordine è di continuare con le indagini, senza fare niente di particolare: archivio e documentazione lasciata dal nostro predecessore. Finché ci teniamo a questi livelli non credo che nessuno ci darà fastidio: così rimaniamo attivi, aspettando la mossa di papà”
“Ma sì, in fondo hai ragione”
Quattro… anzi cinque omicidi su cui lavorare. Il filo conduttore di tutta questa vicenda passa per Leon… forza e coraggio Falman, sono sicuro che hai già in mano gli elementi che ti servono per ottenere qualcosa di più.
Rimuginando su questi pensieri cadde in un sonno profondo e sognò di quando era molto piccolo, ancora un bimbetto a New Optain. Suo padre lo prendeva in braccio, quando tornava a casa dopo una giornata di lavoro e spesso pronunciava il nome di Mc Dorian… il nome di Leon mai.
 
Qualche settimana dopo, tutto quello che si poteva ottenere dalla documentazione era stato passato sotto setaccio per almeno tre volte.
Falman era seduto alla scrivania dell’ufficio con le mani posate sopra le tempie ed un’emicrania in sicura preparazione. Giorni e giorni che rimuginava su quelle informazioni e niente che gli venisse in mente, se non di andare da Leon e spaccargli la faccia.
Iniziava ad odiare anche Mc Dorian: il suo superiore doveva rendersi conto che la situazione era di stallo assoluto. Avevano disperato bisogno di uscire, fare domande, andare nei luoghi del delitto… anche se, considerato quanto tempo era passato, la cosa sarebbe stata completamente inutile. Perché non chiedeva il permesso di interrogare il tenente Leon? Del resto la procedura consentiva, legalmente, di fare domande a qualunque membro dell’esercito che era obbligato a collaborare. Almeno controllare la documentazione relativa alla sua persona.
Avevano una pista e gli strumenti per procedere… quanto ancora voleva attendere Mc Dorian?
Falman si era ormai convinto che niente avrebbe potuto coprire loro le spalle: erano tre contro un’intera città che stava dalla parte di Leon. Nessun potere li avrebbe messi al sicuro; a questo punto tanto valeva buttarsi e scoprire quanto era possibile…
… prima di essere fatti fuori.
La parte razionale della sua mente concluse quella frase, ricordandogli di restare calmo.
Tormentando l’angolo destro del foglio di carta che aveva davanti, Falman si accorse di odiare profondamente la capitale: avrebbe dato chissà cosa per tornare ad East City. Chissà, magari Elisa avrebbe davvero ottenuto un periodo di congedo e sarebbe tornata a casa. Avrebbe pagato tutto l’oro del mondo per poter essere lì ad attenderla alla stazione.
“Alexis, Falman – chiamò Mc Dorian, comparendo dalla porta – venite con me.”
I due soldati si alzarono immediatamente in piedi e seguirono il tenente lungo i corridoi del Quartier Generale.
Camminarono per diversi minuti, senza apparente meta: sulle prime Falman pensò che il tenente li volesse portare in qualche luogo appartato per poter parlare con loro senza aver paura di essere ascoltato; ma più andavano avanti più sembrava che Mc Dorian stesse portando lui e Alexis a fare una passeggiata, come due bravi bambini.
“Certo che questo posto non sta cadendo a pezzi come il Quartier Generale di East City, vero ragazzi?” commentò con noncuranza Mc Dorian, facendo loro cenno di ammirare le pareti perfettamente intonacate di bianco e i pavimenti puliti.
“Ha ragione, signore – annuì Alexis – tutta Central non risente della guerra. Abbiamo avuto ampio modo di notarlo in queste settimane”
“Già… uno di questi giorni vi devo portare a cena da qualche parte. Si trovano pietanze che nel distretto dell’Est ormai non si vedono da diversi mesi, e i costi sono decisamente a portata di mano. Che ne dici Falman? Tu che sei sempre così magro hai bisogno di farti una bella mangiata ogni tanto”
“Eh?... certo, signore” mormorò Falman a denti stretti.
Che cavolo c’entrava adesso progettare una cena tutti insieme?
Erano da settimane in fase di stallo e tutto quello che Mc Dorian aveva da dire era che a Central City si stava meglio che altrove?
Falman respirò profondamente, cercando di convincersi che dietro quell’aria noncurante ci doveva essere altro… per forza!
Mi sto fidando… mi sto fidando ciecamente. Ma, per l’amor del cielo… dammi un maledetto segnale!
“Tenente Mc Dorian” disse una voce da un corridoio laterale.
“Comandante Supremo King Bradley!” salutò Mc Dorian, scattando sull’attenti, immediatamente seguito da Alexis.
Per fortuna Falman aveva ormai un riflesso incondizionato per il saluto militare e dunque si ritrovò a seguire i suoi compagni di una frazione di secondo, riuscendo ad ignorare la sorpresa che invadeva la sua intera persona.
Il Comandante Supremo in persona.
Discretamente, con un pizzico di timore, Falman portò lo sguardo sulla più alta carica di Amestris, colui che deteneva il controllo dell’esercito e che poteva decidere le sorti dell’intero paese.
Aveva una cinquantina d’anni ed un volto abbronzato e decisamente interessante: la fronte spaziosa e il naso dritto indicavano un carattere forte e deciso, così come la mascella pronunciata. Una benda nera gli copriva l’occhio destro, ricordo di chissà quale combattimento: un uomo decisamente d’azione, adatto a tenere le redini di una realtà complicata come Amestris. Nonostante il peso della nazione che quell’uomo si portava sulle spalle, non c’erano che pochi fili bianchi sui capelli nerissimi e il fisico asciutto e dritto, sotto la divisa, era perfettamente in forma.
C’erano delle rughe attorno alla bocca e ai bordi degli occhi: segno che comunque non gli mancava il senso dell’umorismo. Quasi a conferma l’uomo scoppiò a ridere: una risata improvvisa quanto contagiosa e sincera.
“Ah, è sempre un piacere per me vedere padre e figlio che lavorano insieme. – dichiarò Bradley, guardando Alexis – La somiglianza tra di voi è davvero notevole”
“La ringrazio, signore – rispose Mc Dorian, abbandonando la posizione di saluto – E’ motivo di grande orgoglio avere mio figlio in squadra”
“Ah, posso immaginare! Mia moglie ed io stiamo pensando di adottare un figlio, se devo essere sincero: e vedere questo bel quadretto familiare mi convince che stiamo facendo la scelta giusta”
“Ne sono certo signore.”
“Allora, parlando di cose serie, – il viso del Comandante Supremo riprese l’iniziale contegno, tanto che a Falman sembrò impossibile che fino a qualche secondo prima quell’uomo stesse parlando del più e del meno con Mc Dorian – come procedono le indagini per cui siete stati chiamati?”
“Abbiamo messo mano a quanto lasciato dal nostro predecessore – scrollò le spalle Mc Dorian, seguendo Bradley che aveva ripreso a camminare – adesso inizieremo a muoverci.”
“Quattro omicidi in un mese, in un posto come Central che deve restare tranquillo. – commentò il Comandante Supremo, senza girarsi a guardare Mc Dorian e il suo gruppo – Ho una guerra da tenere sotto controllo a sud: Ishval è una questione su cui devo vegliare con la massima attenzione. I disordini stanno creando fin troppi problemi nelle zone limitrofe… guerra civile.”
“Sì signore” annuì Mc Dorian.
“L’ultima cosa che voglio è che a Central City imperversino persone come i mandanti di quegli omicidi. C’è sicuramente qualcosa di grosso sotto, non ho bisogno di spiegarlo a lei, tenente… La guerra è già una problematica molto difficile da affrontare, non ho bisogno di seccature come questa. Per cui sarei grato se risolvesse questi casi il più rapidamente possibile: ha tutto il mio appoggio. Se ha bisogno di mezzi e uomini non ha che da chiedere: le lascio carta bianca.”
“La ringrazio per questa fiducia, signore!” ringraziò Mc Dorian con uno scintillio negli occhi azzurri. Si fermò, capendo di essere stato congedato, con Falman e Alexis che si bloccarono un passo dietro a lui.
“La storia di questo paese sta per arrivare ad un punto cruciale. – dichiarò Bradley mentre si allontanava – Niente deve disturbare il corso degli eventi.”
Dopo qualche secondo il corridoio era di nuovo deserto: sembrava quasi che l’arrivo del Comandante Supremo fosse stato una sorta di epifania divina di cui non restava nessuna prova. A Falman sembrò di uscire da uno stato di trance, tanto che per qualche secondo fu davvero incredulo del fatto che avevano incontrato davvero King Bradley in persona.
Ci pensò Mc Dorian a riportarlo alla realtà dei fatti.
“Bene, adesso abbiamo le spalle coperte. – dichiarò, il tenente, sfregandosi le mani con impazienza – Mi dispiace avervi fatto attendere, ragazzi, ma il Comandante Supremo era in viaggio per ispezionare alcune truppe ed è tornato solo ieri”
“Hai parlato personalmente con lui della questione?” chiese Alexis, dimenticandosi addirittura di usare la forma di rispetto nei confronti del padre.
“Certo che no! Non ho certo confidenza con il capo della nazione: ma quando ero qui a Central ho imparato che è un uomo che sa perfettamente cosa accade nella sua capitale… e sa benissimo quando serve il suo intervento. Non pensiate che questa breve conversazione che abbiamo avuto con lui sia passata inosservata, ragazzi… adesso siamo noi ad essere in vantaggio”
Falman annuì a metà tra l’incredulo e il vergognoso. Negli ultimi tempi aveva maturato così tanto astio nei confronti del suo superiore… mentre invece Mc Dorian stava preparando questo colpo di scena inaspettato.
Sono stato un completo idiota…
“Signore io penso di doverle delle scuse….” Iniziò contrito
“Smettila, Falman: sono sicuro che questo periodo di inerzia stava iniziando a stancarti ed è per questo che eri così nervoso. – lo bloccò Mc Dorian - Che ne dici di svolgere qualche indagine sul nostro amico?”
“Certo, signore”
“Vita, opere e miracoli del nostro caro Trevor Leon… sulla mia scrivania entro due giorni.”
“Assolutamente!” sorrise Falman.
“Alexis, tu invece cerca di scoprire cosa è successo a chi si è occupato delle indagini prima di noi… sono certo che molte persone saranno più sciolte adesso.”
“Certo, signore”
“Iniziano i giochi, signori – sorrise compiaciuto Mc Dorian – si trattava solo di aspettare.”
 
Se ad East City l’autorizzazione del tenente Mc Dorian aveva aperto le porte degli archivi a Falman, ora l’interessamento del Comandante Supremo spalancò le porte della Biblioteca Centrale, anche laddove prima non si sarebbe potuti accedere.
E così, con somma soddisfazione, nell’arco di un’ora, il soldato era in possesso del fascicolo che riguardava l’ex capitano di polizia, ora tenente dell’esercito. Si sedette su un tavolo vicino alla finestra, isolato rispetto al resto della sala di consultazione, e si immerse nella lettura.
La prima fase della vita di Leon non sembrava presentare particolari interessanti: famiglia altolocata di North City, ottima educazione,carriera spianata, ma indubbie capacità. Un giovane promettente che non aveva faticato a farsi strada all’interno della polizia della capitale del distretto nord.
E poi il trasferimento a New Optain nel 1885, a circa trentuno anni, senza apparente motivazione. Questo era già un punto oscuro: perché un poliziotto con una carriera praticamente assicurata in una città grossa come North City si trasferisce in una realtà minore come New Optain? Non c’era nessun provvedimento disciplinare a giustificare un simile “degrado”.
Quel quesito fu momentaneamente messo da parte perché nella pagina successiva si parlava dei disordini del 1886, quelli che avevano portato ai ferri corti Mc Dorian e suo padre.
La grande sorpresa fu leggere le deposizioni dei processi che seguirono quelle sommosse: in base a quanto gli aveva raccontato Mc Dorian, Leon era una persona estremamente convinta delle sue posizioni pro polizia. Da una figura del genere Falman si sarebbe aspettato dichiarazioni roventi a discapito delle conseguenze… invece gli atti dei processi parlavano di un Leon abbastanza ambiguo, a metà tra il pentito e il convito di cavarsela. Dalle sue parole emergeva una profonda componente di doppiogiochismo: sembrava quasi di vedere un gemello cattivo della persona che aveva guidato la polizia.
In alcune dichiarazioni si parlava anche di suo padre… e Falman sgranò gli occhi.
“… in tutta onestà, non posso assolutamente garantire sulla condotta del mio assistente Vincent Falman. E’ sempre stata una persona profondamente devota alla causa della polizia e forse potrebbe aver frainteso i miei propositi, contribuendo ad aumentare i disordini”
Atti di un processo militare, senza giuria presente: solo imputato e alcuni membri dell’esercito. Nessuno a smentire queste frasi.
“… Quindi lei ritiene che il poliziotto Falman possa essere un elemento pericoloso?”
“Sì, decisamente”
“Ma che razza di persona sei?” sussurrò Falman, mentre la rabbia gli montava in corpo.
Adesso si rendeva conto che Mc Dorian aveva davvero salvato suo padre. Se fosse dipeso da Leon, Vincent sarebbe stato arrestato.
“E allora perché te lo sei portato dietro ad East City, visto che era un elemento pericoloso?” mormorò ancora il soldato, sfogliando le pagine di quel fascicolo.
Ma la parte relativa ad East City era immacolata: casi di normale amministrazione, addirittura collaborazione strettamente personale con membri dell’esercito. Sull’assassinio di suo padre assolutamente niente… come c’era d’aspettarsi.
E poi il trasferimento a Central City nel 1900 e due anni dopo il passaggio all’esercito… “su richiesta del colonnello Karter”.
Ecco un altro personaggio su cui indagare.
Dato che il resto del fascicolo non presentava informazioni degne di nota, Falman rimise in ordine i fogli, impilandoli con la prima pagina sopra tutte le altre. Prese quindi la cartelletta per riporvi il materiale dentro, quando l’occhio gli cadde su un dettaglio che prima non aveva notato.
Trevor Leon. Nato il 4 ottobre 1854 a North City.
Padre: Timothy Leon, alto funzionario del governo, ex ambasciatore presso Drachma.
Madre: Elina Tojanev, nobile.
Tojanev? Una nobile?
Falman fece mente locale di tutte le famiglie nobili di Amestris, ma quel cognome non gli risultò; eppure c’era un elenco ufficiale dal quale non si poteva prescindere.
Del resto quel cognome così particolare… un’etimologia simile non era di Amestris, e anche il nome Elina. Più che di Amestris si poteva parlare di Drachma.
Falman si irrigidì nella sedia, prima di sorridere lievemente.
Sangue misto, allora. Del resto se il padre era un ex ambasciatore… nella prima metà del secolo scorso i rapporti tra Drachma e Amestris erano abbastanza distesi da consentire persino un matrimonio simile. 
E se la madre era nobile voleva dire che alle spalle aveva una famiglia discretamente potente… che poteva essere interessata a combinare qualcosa in Amestris per puro interesse economico.
La sua mente recuperò i fili che erano lasciati a penzolare e li congiunse.
“Sì, decisamente un quadro molto interessante” mormorò soddisfatto.

 


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nda
Questo pomeriggio ci ho dato dentro come una matta... la sacra ispirazione si era impossessata di me XD

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Capitolo 15
*** Capitolo 14. 1905. Believe in something. ***


Capitolo 14.
1905. Believe in something.



 
“Tojanev, eh? – commentò Mc Dorian, quando Falman fece rapporto il giorno dopo – Sai di chi stiamo parlando, Falman?
“Aristocrazia di Drachma, signore” rispose prontamente il soldato.
“Sì, ma un’aristocrazia molto particolare. Il bisnonno del nostro caro Leon, fu il generale che guidò l’ultima grande sortita di Drachma contro Amestris, prima che Briggs diventasse un punto di forza nei confini del nostro paese: sto parlando della fine del 1700 o poco prima. E’ una storia molto interessante, anche se, per la solita propaganda, si preferisce dimenticarla… ti presterò il libro che ne parla.”
“Mi riesce davvero difficile pensare a un confine nord privo della protezione di Briggs; – ammise Alexis, in piedi accanto a Falman – erano proprio altri tempi.”
“Già. E comunque troviamo finalmente la risposta ad un quesito interessante: come è possibile che infiltrati di Drachma abbiano un passaggio così facile verso il nostro paese. Una pista tra i monti, o qualcosa di simile… impossibile da usare per un esercito, ma perfettamente praticabile da poche persone.”
“Crede che sia il caso di avvisare il Comandante Supremo? – chiese Falman – E’ un passaggio che eventualmente va chiuso o quantomeno sorvegliato, no?”
“Il governo di Drachma non ne è a conoscenza, credimi. Altrimenti dal 1700 ad oggi avrebbe tentato di sicuro qualcosa… Hai letto qualcosa sul sistema aristocratico di quel paese, Falman?”
“Sì, signore, ma solo di carattere generale. Si tratta di famiglie ascese al potere da diversi secoli che sono molto spesso in competizione tra di loro per spartirsi i favori della famiglia governante… non c’è una dinastia che duri più di qualche generazione e quindi c’è sempre lotta per garantirsi la successione, magari tramite matrimonio.”
“Un passaggio verso Amestris è un segreto di famiglia che viene tenuto ben custodito; – scrollò le spalle Mc Dorian – ed in ogni caso, il nostro Leon deve esserne a conoscenza. Quindi una volta che avremo messo le mani su di lui, non mancheremo di farci dire anche questo dettaglio e lasceremo tutto nelle mani di Briggs. Torniamo a noi, che mi dici di questo colonnello Karter che tanto si è interessato al nostro amico al punto di farlo entrare nell’esercito?”
“Da circa quattro mesi si trova ad Aerugo, – spiegò Falman – per il resto la sua scheda non presenta particolari che possano interessarci. Pare quasi un elemento estraneo in tutta questa vicenda.”
“E allora che interesse avrebbe mai avuto ad appoggiare l’ingresso di Leon nell’esercito?” si chiese Alexis.
“Karter… Karter… - Mc Dorian continuava a ripetere quel nome, come se stesse cercando di ricordare qualche cosa di estremamente importante – perché questo nome mi dice già qualcosa? Ma certo! E così tutto torna di nuovo… sai chi aveva lo stesso cognome, Falman? Il primo caso che risolsi assieme a tuo padre: quell’insospettabile vecchietto di New Optain che stava in mezzo ad un traffico d’armi enorme! Sono certo che se fai qualche ricerca, quei due risultano imparentati tra di loro.”
“Vuol dire che un caso vecchio quasi trent’anni…” iniziò Alexis.
“Sì – confermò Mc Dorian – a quanto pare io e Vincent avevamo grattato solo la superficie di qualcosa di ancora più grosso. O meglio, noi abbiamo eliminato un pesce piccolo prima che lo facesse un pesce davvero enorme, proveniente da Drachma.”
“Ed ecco il motivo del trasferimento di Leon in una realtà piccola come New Optain. – capì Falman – In realtà doveva preoccuparsi degli affari di famiglia: sostituirsi a quello che era stato appena distrutto”
“North City, New Optain, East City e poi Central… una bella scalata, vero? – sorrise compiaciuto Mc Dorian – Mi chiedo fino a che punto Vincent avesse capito la situazione.”
“Ora che ci penso, tutti e quattro gli uccisi qui a Central sono stati o ad East City o a New Optain in diverse occasioni; – rifletté Alexis – può darsi che sia stato lì che si siano incontrati con Leon o con qualcuno dell’organizzazione.”
“Con quante persone abbiamo a che fare?” chiese Falman, rivolgendosi a Mc Dorian.
“Mh… - rifletté il tenente – questa è davvero una bella domanda. Ma posso ipotizzare, senza rischiare di esagerare, circa un centinaio di persone divise tra i quattro centri dove l’organizzazione è presente. E’ un bestione bello grosso da affrontare.”
“La chiave di tutto è Leon! – dichiarò Alexis, con entusiasmo – Se prendiamo lui abbiamo in pugno il resto dell’organizzazione.”
“Sì, senza dubbio prendere lui sarebbe dare una bella svolta alle indagini. – confermò il tenente con un sorriso a metà tra il furbo e rassegnato – Ma non ti illudere che ci aspetterà nel suo ufficio. Andate immediatamente a richiedere un ordine di interrogatorio per lui e cercatelo subito… ma ho paura che quello sia già scomparso.”
 
Le intuizioni di Mc Dorian erano esatte.
Falman e Alexis scoprirono che Leon si era volatilizzato dal quartier generale nell’arco di poche ore. Nessuno l’aveva più visto da quella mattina e con lui erano scomparsi alcuni dei suoi uomini, segno che anche loro erano implicati nell’organizzazione criminale.
“Dannazione! – sbottò Alexis, sbattendo il pugno contro il muro – Potevamo pensarci prima ed andare da lui non appena finito di parlare con il Comandante Supremo. Tanto sapevamo che c’entrava di sicuro qualcosa! Mi chiedo perché papà non ci abbia pensato.”
Falman questa volta rimase tranquillo, cercando di capire che motivazione ci fosse dietro questa clamorosa svista del loro superiore. Gli era bastata la lezione precedente per capire che non doveva agire d’impulso, ma riflettere su quanto stava accadendo.
“Credo che la scelta di tuo padre sia stata voluta e giusta” disse con calma, dopo qualche minuto.
“Che intendi dire?” chiese incredulo Alexis.
“Se andavamo da Leon senza alcuna prova in mano poteva farsi rilasciare nell’arco di cinque minuti. Ci devono essere prove concrete e non sospetti: fino a quando non prendevo in mano il suo fascicolo, non c’era la conferma della sua colpevolezza… cosa che, se dobbiamo essere sinceri, non c’è nemmeno adesso.”
“Dici?”
“Sì. Insomma, abbiamo ricostruito un quadro perfettamente plausibile che noi sappiamo essere vero. Tuttavia che prove reali portiamo? Nessuna. E senza prove per lui sarebbe facile liquidare tutto come “coincidenze””
“La sua fuga mi pare una prova abbastanza chiara.” commentò Alexis.
“E’ sparito e i sospetti su di lui sono più forti… ma non è ancora ufficialmente colpevole. Quello che dobbiamo fare e trovare qualcosa che lo inchiodi senza ombra di dubbio.”
“Chiederò un mandato di perquisizione nel suo ufficio e nel suo alloggio – dichiarò Alexis – speriamo di trovare qualcosa.”
Falman annuì, ma non era certo che quelle indagini avrebbero portato a qualche risultato. A conti fatti, comparendo davanti a loro, Leon sapeva di avere la via di fuga pronta in ogni caso: l’intervento del Comandante Supremo aveva solo accelerato la sua decisione di sparire. Avevano a che fare con un avversario davvero notevole a cui piaceva agire a metà tra l’esibizionismo ed il sotterfugio: una personalità che era stato capace di ingannare persino un uomo navigato come Vincent.
Mi chiedo che cosa abbia in mente… non è persona da far passare tutto questo senza muovere un dito.
 
E fu così che iniziò una caccia all’uomo che Falman non dimenticò mai. Anzi, più che di caccia all’uomo era corretto parlare di ricerca di un ago in un pagliaio: per quanto ci fosse la certezza che Leon era ancora a Central City, le settimane e le perquisizioni passavano senza che riuscissero a cavare ragno dal buco.
A volte sembravano essere a qualche punto di svolta, quando magari riuscivano a catturare qualche complice dell’organizzazione: riuscirono perfino a prendere i quattro colpevoli degli omicidi. Tuttavia nessuno di loro aveva fornito informazioni precise: l’organizzazione aveva dei principi per cui ai “collaboratori” non veniva detto nulla. Persino i contatti con i mandanti erano sempre avvenuti tramite lettere che dovevano essere bruciate entro pochi minuti dalla lettura. Insomma chi lavorava per Leon sapeva di essere controllato a sua volta e non si poteva permettere mosse false.
“Come se avesse una sfera magica con cui controlla tutto e tutti. – commentò Mc Dorian, dopo l’ennesimo interrogatorio andato male – Tutti sanno che esiste questo fantomatico capo, ma nessuno l’ha mai visto. Eppure sanno anche che se osano sgarrare la pagheranno cara. E’ quasi da ammirare: tutela sia se stesso che gli altri, sebbene indirettamente.”
“Controlla anche noi, senza dubbio” sospirò Alexis, salendo al posto di guida in macchina.
“Certo – annuì con noncuranza Mc Dorian, sedendosi dietro, mentre Falman prendeva posto accanto ad Alexis – su questo non abbiate alcun dubbio. Ma non osa toccarci: non vuole andare contro l’ira di Bradley. Sa bene che se il Comandante Supremo si occupasse personalmente del caso sarebbero dolori… specie perché sarebbe molto seccato di essere stato distratto dalla questione di Ishval.”
“E così preferisce continuare con questa caccia al fantasma. – mormorò Falman – Cerca di esasperarci e nel frattempo se ne sta buono a fare i suoi affari. Ci manca qualcosa da cui ripartire…”
Nel frattempo il Quartier Generale era appena entrato nella loro visuale.
 “Ehi Falman, ma quella non è Elisa?” chiese all’improvviso Alexis, distogliendo il soldato dai suoi pensieri.
Falman alzò lo sguardo incredulo e notò la ragazza che stava davanti ai cancelli d’ingresso della zona militare. Era lei, non c’erano dubbi in merito: l’avrebbe riconosciuta in una folla di migliaia e migliaia di persone. Era la sua fidanzata, lì, a Central City, con una valigia in mano, i capelli castani tagliati di nuovo corti.
Alexis accostò la macchina al marciapiede e Falman scese, senza nemmeno aspettare che il veicolo si fosse fermato del tutto.
“Elisa!” chiamò.
“Vato!” si sorprese lei mentre il soldato la raggiungeva e la stringeva a sé con disperazione. La ragazza non ebbe nemmeno la forza di restituire l’abbraccio: lasciò cadere la valigia a terra e rimase stretta tra le sue braccia. Fu solo dopo interminabili momenti, sparita l’incredulità, che alzò il capo permettendo a Falman di cercare le sue labbra.
“Elisa… - mormorò l’uomo, dopo quel bacio. Si staccò da lei e prese il suo viso tra le mani, accarezzando le guance con il pollice – amore, amore mio…”
“Scusami… - sussurrò lei con le lacrime agli occhi – non ti ho avvisato che sarei venuta…”
“Non ti devi scusare, ma sarei venuto a prenderti. – spiegò lui – Devi essere esausta dal viaggio, e dalla stazione al Quartier Generale è una lunga strada… Elisa – disse ancora quel nome, come una parola magica che avrebbe tenuto la ragazza lì, senza farla sparire – Elisa…”
“Ehi, Falman – lo interruppe Mc Dorian, facendosi avanti – che ne dici di accompagnare la signorina in un posto dove possa riposare?”
“Tenente Mc Dorian, sono felice di rivederla” riuscì a sorridere pallidamente la ragazza.
“Il piacere è mio, bambina. Forza, salite in macchina… c’è un albergo proprio per i conoscenti dei soldati”
 
Dopo che Mc Dorian ed Alexis li ebbero accompagnati all’albergo, Falman scortò Elisa nella stanza che le era stata assegnata. Rimasero in silenzio mentre salivano le scale e percorrevano i corridoi.
Il soldato, dopo la prima ondata di felicità, si era accorto dei profondi cambiamenti che aveva subito la sua fidanzata. La cosa che si notava maggiormente era un cambiamento fisico: era dimagrita notevolmente, tanto che ora risultava più slanciata del previsto. Indossava un vestito azzurro che Falman non le aveva mai visto prima, ma che era chiaramente più stretto rispetto a quelli che era solita mettere. Ma era nel viso e nell’espressione che si concentrava la maggiore novità, la testimonianza di quegli anni terribili che aveva passato nell’ospedale da campo. La corta pettinatura evidenziava un volto stranamente affilato, dove gli occhi verdi risaltavano nel pallore generale. Non c’era più quella freschezza che l’aveva sempre contraddistinta, quella luce meravigliosa che le illuminava il volto ogni volta che sorrideva.
L’ha colpita… la guerra ha colpito anche lei ed io ero lontano, senza fare niente per difenderla.
Falman si sentì un mostro mentre posava la valigia nel pavimento della stanza ed osservava la ragazza che si guardava distrattamente intorno. Aveva lo sguardo sfuggente, quasi avesse paura di farsi vedere bene in viso, e teneva le braccia strette intorno al corpo come a proteggersi da un freddo inesistente.
Dopo quel primo spasmodico abbraccio era rimasta leggermente distante da lui, quasi avesse paura del contatto.
Con gentilezza Falman si accostò a lei e le accarezzò una ciocca di capelli castani che era caduta sulla fronte. Non avrebbe fatto nessun gesto che l’avrebbe potuta mettere a disagio.
“Perdonami – mormorò Elisa, con voce flebile ed un pallido sorriso – so che preferisci i capelli lunghi… ma in ospedale…”
“Tu sei bellissima comunque: capelli lunghi o corti, non fa differenza.”
Lei nascose il viso nella sua spalla, permettendogli finalmente il contatto fisico: Falman la abbracciò con tutta la tenerezza che poteva, cercando di trasmetterle il maggior conforto possibile e, dopo qualche secondo, sentì un primo singhiozzo a cui ne seguirono rapidamente altri. Condusse la ragazza nel letto e la fece sdraiare, stendendosi poi accanto a lei e riprendendola tra le braccia, come avrebbe fatto con una bambina spaventata. Si sentiva dannatamente impotente davanti allo sfogo così doloroso della donna che amava: non sapeva cosa dire, qualsiasi parola di conforto gli sembrava sciocca e inutile, soprattutto detta da parte sua che era rimasto al sicuro a casa.
…non so che darei per essere di nuovo tra le tue braccia a sentire la tua voce che mi racconta cose meravigliose e fantastiche che mi fanno scappare via da questa guerra orribile.
Quel passo dell’ultima lettera che la ragazza gli aveva spedito gli tornò in mente.
“Ehi, lo sai che con i capelli così corti ricordi un folletto delle favole? – le disse – Di quelli che vivono nei boschi e conoscono tutti i segreti della natura e, a volte, nel passato, si mostravano ai passanti che si erano persi…”
E cominciò ad intessere racconti meravigliosi solo per lei. Andava a ricercare nella sua memoria tutte le favole infantili che tanto lo avevano incantato e che a volte aveva raccontato anche a lei, quando erano bambini… perché gli sembrava quasi di dover confortare una piccola Elisa e non una donna.
 Tutte le indagini su Leon sparivano davanti alla necessità di tranquillizzare quell’anima in pena, come se la sua voce e quelle storie potessero in qualche modo allontanare l’orrore che aveva visto durante la guerra.
Continuò a raccontare fino a quando non fu sicuro che Elisa si era addormentata tra le sue braccia.
“Scusami… - mormorò, seguendo il contorno del suo orecchio – non ero con te… non ero lì a proteggerti.”
Rimase a vegliarla chiedendosi che questi cambiamenti così drastici erano definitivi, oppure da qualche parte giacesse ancora la voglia di vivere e la spensieratezza che tanto amava di lei.
Ma non importava: Elisa era la sua fidanzata, la persona che lo completava. Lei era rimasta in silenzio, a tenergli la mano quando era morto suo padre, unico vero conforto in quel momento di doloroso vuoto. Le sarebbe stato accanto per tutta la vita, anche in questa situazione così difficile.
 
La mattina successiva fu svegliato da un discreto bussare alla porta.
Andando ad aprire, un fattorino dell’albergo lo avvisò che c’era una chiamata per lui da parte del tenente Mc Dorian.
Cavolo… - pensò mentre scendeva le scale per andare a rispondere – adesso mi tocca lasciarla sola.
Allora, Falman, come sta?” chiese la voce del tenente dall’altra parte del telefono.
“Eh?... Beh, provata, signore” si trovò a rispondere, leggermente sorpreso.
Provata? Mi sembra un eufemismo considerata la faccia che aveva ieri. Senti, io e Alexis stamane andiamo a fare i soliti giri, con te ci vediamo direttamente domani.
“Ma signore, non…”
E’ venuta qui per te, Falman. Per ventiquattro ore io ed Alexis ce la possiamo cavare, non credi? Lei ha più bisogno di te.
“Grazie, signore.” mormorò Falman con sincera gratitudine.
Vai da lei e dimenticati di Leon per tutta la giornata.
Tornato in camera chiuse silenziosamente la porta alle sue spalle e si concesse di levarsi la giacca della divisa militare con cui aveva dormito. Si stiracchiò distrattamente, pensando a cosa potesse fare per aiutare Elisa ad uscire da quello stato nervoso in cui si trovava. Però si rese conto che, almeno, la ragazza aveva dormito profondamente per diverse ore e dunque poteva già aver avuto qualche giovamento.
Si accostò silenziosamente al letto e vide che era sveglia: stava ancora sdraiata supina, una mano sul ventre e l’altra sul cuscino e fissava la finestra dalle cui tende spesse entrava un filo di luce mattutina.
“Ciao – la salutò Falman, sedendosi accanto a lei e prendendole la mano che giaceva sul cuscino – come ti senti?”
Lei si girò a fissarlo, gli occhi arrossati dal pianto della sera precedente. Tuttavia aveva un aspetto leggermente più riposato rispetto a quando l’aveva incontrata.
“Scusami – mormorò – non ti ho detto che poche parole da quando ci siamo visti. Sono stata brava solo a piangere.”
“Ma no – sorrise Falman, accarezzandole i capelli – eri solo esausta. Si chiama crollo nervoso… non dovrei essere io a spiegarlo ad un’infermiera. Ripeto la domanda: come ti senti?”
“Meglio: – rispose Elisa con un primo sorriso – svuotata, ma decisamente meglio.”
“Allora che ne diresti di farti un bagno caldo mentre io vado giù al ristorante e ti procuro la colazione?”
“Davvero lo faresti?”
“Concedimi di viziarti per una volta tanto.”
 
La gonna e la camicia che Elisa aveva indossato dopo il bagno erano indumenti che Falman conosceva: adesso si vedeva veramente che era dimagrita di almeno una decina di chili. Sembrava difficile credere che quello stesso corpo, due anni prima, era morbido e caldo: con la memoria il soldato ripercorse ogni curva, ogni centimetro di pelle che aveva esplorato in quella perfetta notte d’amore. Li sovrappose idealmente a quella ragazza così magra che guardava il vassoio con la colazione e si sorprese a pensare
Tu sei lì, dietro questo tuo alter ego così sconvolto…
“Non mangi?” le chiese.
“Una volta ti rimproveravo che eri troppo magro… adesso puoi rivoltarmi la cosa contro.”
“La mia è costituzione, la tua è solo magrezza.”
La ragazza interpretò quelle parole come un invito a mangiare e prese in mano una fetta di torta. Sulle prime la sbocconcellò svogliatamente, come se fosse un dovere necessario per far stare funzionare il corpo. Ma poi Falman, con grosso sollievo, vide che iniziava a gustare ogni boccone: era come se piano piano si stesse risvegliando da un torpore che l’aveva privata del gusto.
“Non sono buone come le torte che fai tu, ma non se la cavano male, non trovi?” disse, prendendo lui stesso una fetta di torta.
“Mh – commentò lei, mandando giù il boccone – non mi ricordavo nemmeno che sapore avesse una torta alla crema”
Falman si limitò a sorridere, cercando di evitare qualsiasi riferimento all’esperienza che aveva passato e che l’aveva portata, tra le altre cose, a dimenticare il sapore di determinate cibarie.
La guardò mangiare con sincero appetito buona parte della colazione che era stata portata in camera, convincendosi di aver intravisto un briciolo della vecchia vitalità riaffiorare in lei.
“Non credo ti vada di uscire, vero? – le chiese, quando terminarono di mangiare – Ho una giornata di permesso: posso stare qui con te tutto il giorno.”
“Dovrò ringraziare il tenente Mc Dorian – sorrise lei – ti sta concedendo una giornata libera. Si vede che gli ho fatto davvero paura quando mi avete incontrata ieri.”
“Oh, lui ed Alexis se la caveranno egregiamente anche senza di me” sorrise Falman con una scrollata di spalle.
“Sai… - riprese lei, dopo qualche minuto di silenzio – ero a Kadayr, aspettando il treno che sarebbe partito per East City. Poi all’improvviso il capostazione ha gridato che il treno per Central sarebbe partito entro dieci minuti… è stato tutto così improvviso: dieci secondi dopo ero alla biglietteria a farmi cambiare destinazione. Che sciocca… non sapevo nemmeno dove cercarti. L’unica cosa che mi è venuta in mente è di andare al Quartier Generale.”
“Beh, era destino… – rispose Falman – se proprio in quel momento io e gli altri stavamo rientrando e ti ho vista un motivo ci sarà.”
“Destino, sì… – quelle parole vennero pronunciate in maniera piatta. Elisa si alzò dalla sedia e si diresse verso il letto dove si risdraiò supina, fissando il soffitto – Ti va di sdraiarti accanto a me?”
“Ma certo” annuì Falman, raggiungendola.
Una volta che furono uno accanto all’altro, lei cercò di nuovo il suo abbraccio.
“Credi davvero nel destino… credi in qualche dio, Vato?” gli chiese improvvisamente lei.
Falman rimase sorpreso da quella domanda: Elisa non era una ragazza che pensava spesso a queste questioni così filosofiche. Lui stesso non aveva mai pensato molto alle divinità, eccetto in qualche sua lettura… se credeva in qualcosa di superiore era comunque incredibilmente astratto. Preferiva parlare di destino che, tutto sommato, era un concetto adattabile a più situazioni e non implicava una fede vera e propria.
“Credo che certe cose succedano davvero per destino – rispose quindi, alla fine – ma non credo in una divinità. Gli dei sono solo il riflesso delle nostre paure e speranze, tutto qui.”
“Allora non posso prendermela che con gli uomini per quanto ho visto in guerra” sospirò lei.
“Mi dispiace… Elisa, dai, cerca di non pensare più a quel posto. Adesso ci sono di nuovo io con te e ti amo tantissimo: la cosa che voglio di più al mondo è saperti felice.”
“Mi ami anche in queste condizioni?” chiese lei con un sorriso amaro.
“Ma certo! Che domande fai? Sei solo stanca e provata da questi due anni. Chi non lo sarebbe? Ma adesso ti riprenderai: in questo periodo di riposo mi prenderò cura di te e vedrai che andrà decisamente meglio”
“Tra due mesi dovrò tornare in quel posto” sospirò lei, tremando lievemente.
“Se la cosa è così tremenda cercherò di evitarlo… Elisa, non ti devi ammazzare di fatica e di rimorsi”
“E’ il mio dovere di infermiera… - scosse il capo lei, con la vecchia ostinazione – non posso abbandonare quei feriti. C’è bisogno di me in quel posto, anche se riuscirò a salvarne poche decine ne varrà comunque la pena”
“Ah, ecco la mia solita, testarda, ragazza – ridacchiò Falman, accarezzandole i capelli – Ti amo, lo sai? Quando sono in difficoltà non posso fare a meno di pensare a te… a quella notte meravigliosa che abbiamo passato assieme.”
Pensava di aver fatto bene a citare quell’episodio che per lui era così importante e che li aveva uniti in maniera così intima e profonda. Tuttavia vide gli occhi verdi di lei incupirsi in maniera drastica, tanto che si chiese se lei aveva avuto qualche terribile ripensamento.
Del resto eravamo entrambi sconvolti… a mente fredda non avremmo mai…Cavolo, avrei dovuto controllarmi maggiormente!
“Vato senti… c’è un qualcosa che tu è giusto che sappia. Che mi è successa in quel posto…”
Falman si irrigidì. Si era aspettato qualche recriminazione in merito a quanto era successo, ma quella frase non era l’inizio giusto. Non gli piaceva per niente il tono sommesso con cui la donna aveva parlato: la sua mente iniziò ad immaginarsi scene raccapriccianti di violenze subite da Elisa. Da parte di nemici, di soldati, di medici… del resto aveva sempre parlato di quel posto come di un inferno.
“Elisa, che è successo?” le chiese con calma, vedendo che lei non continuava a parlare.
“Non me ne sono nemmeno resa conto – ammise lei, abbassando lo sguardo – e certe volte mi sembra un fatto così surreale che… mi chiedo se sia successo davvero. Forse… forse se non fossi partita non mi sarebbe successo: devo solo incolpare me stessa” la voce era incrinata, segno che stava per rimettersi a piangere.
Falman le prese il mento tra le mani e la indusse a guardarlo.
“Elisa – dichiarò – qualunque cosa l’affronteremo insieme, te lo prometto. Ma, per favore, dimmi che cosa è successo.”
“Non ho mai avuto il coraggio di scrivertelo, perdonami. – una singola lacrima le scese dalla guancia - Ero… ero rimasta incinta e… e dopo tre mesi ho avuto un aborto” riuscì finalmente a dire.
“Incinta…” Falman ripetè incredulo quella parola. Una parte della sua mente gli disse che era chiaro che poteva succedere una cosa simile considerato quel rapporto privo di qualsiasi precauzione; ma dall’altra gli sembrava così incredibile che loro avessero… concepito.
Poi la realtà dei fatti gli piombò addosso: quel bambino non era mai nato ed ora Elisa se ne stava addossando tutte le colpe.
“Ehi, non fare così. – la consolò accarezzandole il braccio – Va tutto bene. Non sono arrabbiato perché non me l’hai detto, davvero. Solo che… mi dispiace: davvero, hai vissuto tutto questo senza che io ti fossi accanto. Per il bambino, ecco, non sono esperto in queste cose… ma credo di aver letto che può succedere le prime…uhm… volte. Non devi darti la colpa di quanto successo, sul serio.”
“Se magari fossi rimasta a casa non avrei abortito. Lo so che… è molto probabile abortire le prime volte… però non posso fare a meno di pensare che… ” serrò gli occhi ed altre lacrime scesero sulle guance.
“Elisa…” Falman mormorò ancora il suo nome, incapace di dire altro.
La situazione era più difficile del previsto, anche perché un notevole dispiacere si era impossessato di lui: si era appena reso conto che l’idea di avere un figlio con Elisa gli sarebbe davvero piaciuta.
Ma che cosa ci poteva fare? Non credeva assolutamente che quell’aborto fosse stato provocato dall’impatto con la realtà di un ospedale da campo: in fondo Elisa era una ragazza forte ed il fatto che avesse resistito due anni in quel posto la diceva lunga. Semplicemente era successo… era destino.
“Senti – si ritrovò a dire – lo so che non è… il momento giusto. Ma, come finisce questa maledetta guerra, vuoi sposarmi?”

Perché se alla fine devo credere in qualcosa, voglio credere in noi.





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nda.
Mamma mia, questo capitolo è stato veramente difficile da buttare giù, non tanto per la prima parte, quanto per il ritorno di Elisa.
Sono rimasta indecisa fino all'ultimo riguardo all'inserimento dell'aborto della ragazza. E' un avvenimento molto doloroso, ma abbastanza plausibile e secondo me è anche fondamentale per questa coppia così particolare. E' stata abbastanza dura ridurre un personaggio fresco come Elisa nello stato in cui si trova in questo capitolo, spero non se la prenda troppo ^^''

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15. 1905. Unexpected help. ***


Capitolo 15.
1905. Unexpected help.

 


Quando il giorno dopo Falman tornò a lavoro era ufficialmente fidanzato con Elisa.
“Finita la guerra ci sposeremo” spiegò ad Alexis, quando questi gli chiese delle condizioni della ragazza.
Fortunatamente lo scoglio più grosso per Elisa era stato raccontargli dell’aborto che aveva avuto pochi mesi dopo la sua partenza. Era stata un’esperienza molto sconvolgente per il suo essere donna e, purtroppo, era stata costretta a tenersi tutto dentro per non venire meno al suo dovere di infermiera. Era stato quello il momento in cui aveva sentito maggiormente la mancanza del sostegno emotivo di Falman.
Ma dopo quelle lacrime, quello sfogo da tempo trattenuto, una piccola parte di lei aveva iniziato a credere veramente che era una triste eventualità che sarebbe potuta succedere in ogni caso. Nonostante fosse provata, Elisa restava nel suo intimo una donna molto forte e razionale… si trattava solo di far tornare a galla questi suoi tratti caratteristici.
Vai pure a lavoro, me la caverò benissimo fino a stasera.
Il sorriso che gli aveva rivolto quella mattina, quando lui aveva espresso qualche perplessità in merito al lasciarla sola, l’aveva rassicurato: il peggio era passato.
E oltre a questo c’era la bellissima novità del loro fidanzamento. Quando aveva posto quella fatidica domanda, in un momento non certo opportuno, Falman aveva avuto il terrore che la ragazza rifiutasse, che non fosse più pronta ad una loro vita insieme.
Invece lei aveva detto di sì.
Con quella nuova promessa, quella speranza di un futuro come marito e moglie, si stavano dichiarando un amore molto più profondo, così distante da quello relativamente spensierato degli anni precedenti la loro separazione. Erano cambiati entrambi e avevano la reale necessità di un amore più maturo e consapevole, capace di affrontare situazioni difficili come quella che si era loro presentata.
E fortunatamente erano entrambi pronti per questa nuova evoluzione.
“Allora speriamo che questa guerra finisca il più in fretta possibile! – sorrise Alexis, dando una pacca nella spalla al compagno per congratularsi – Mi offro volontario come testimone!”
“Proposta accettata” sorrise imbarazzato Falman
“E prima che tu me lo chieda: no, nel tuo giorno di assenza non è successo niente di nuovo. Io e papà abbiamo fatto altre ispezioni in luoghi sospetti, ma di Leon nessuna traccia. Ti confesso che a volte dubito che sia ancora a Central City”
“A volte verrebbe da pensarlo anche a me. Eppure la personalità di quell’uomo è così contorta che preferisce restare qui per poterci sfidare, me lo sento”
“E la sfida la sta vincendo lui, per adesso. Ci manca sempre quell’elemento in più per incastrarlo; è sempre di un passo davanti a noi”
“Prima o poi commetterà un passo falso, ne sono certo”
 
Il passo falso non lo fece Leon stesso, ma la situazione subì una radicale svolta una quindicina di giorni dopo.
Elisa si era ripresa discretamente, tanto che era riuscita a riprendere qualche chilo e a non sembrare più così deperita. Stanca della vita troppo monotona in albergo o nel parco lì vicino, dove a volte si concedeva di passeggiare, aveva proposto a Falman di invitare a pranzo Mc Dorian e Alexis. E così, per compiacere la ragazza, i tre soldati si erano ritrovati a mangiare in un ristorante della città.
“Scusate per questo invito – sorrise imbarazzata Elisa – ma avevo bisogno di stare un po’ in compagnia di altre persone. Non è per te, Vato, ma mi sentivo troppo isolata e qui non conosco nessuno oltre a voi”
“Oh, tranquilla signorina – scrollò le spalle Mc Dorian, sinceramente divertito di quel particolare invito a pranzo – Fa piacere staccare ogni tanto. E poi sono felice di vederti in piena ripresa: si vede che la proposta del nostro Falman ti ha tirato su di morale, eh?”
Elisa e Alexis ridacchiarono, mentre Falman arrossì abbastanza vistosamente. Ovviamente quel pranzo significava anche frecciatine maliziose sul futuro matrimonio suo e di Elisa e gli sarebbe toccato sopportare anche questo.
Però è così bello vederla sorridere così…
Quel pensiero lo fece sentire così leggero e sereno che si ripromise di portare fuori a pranzo la sua ragazza più spesso.
In ogni caso, era pressoché inevitabile che la conversazione si spostasse sulla realtà del fronte contro Aerugo. Fu la stessa Elisa ad introdurre l’argomento dopo  diverso tempo: nessuno degli uomini cercò di bloccarla… se lei sentiva l’esigenza di parlarne l’avrebbero ascoltata.
Falman ancora una volta ebbe la conferma che la parola scritta spesso non poteva paragonarsi al sentire di persona quelle vicende, figuriamoci a viverle. C’era qualcosa di particolare nel tono di voce di Elisa, nei suoi gesti, nella sua espressione, mentre raccontava le sue esperienze in quel posto… era come se li rendesse partecipi in maniera molto più diretta di quanto potesse fare una lettera o un rapporto. A Falman sembrava quasi di vedere quelle file di brande, quelle lenzuola sporche di sangue, quei soldati che lottavano tra la vita e la morte…
Sei davvero una persona forte, Elisa. Non molti riuscirebbero a fare quello che hai fatto tu.
A quella realistica e impietosa descrizione della realtà della guerra, Elisa aggiungeva dei particolari molto interessanti: si ricordava perfettamente delle vicende di diversi soldati che lei aveva vegliato nella notte, quando era di turno. Spesso quelle anime in pena cercavano qualcuno con cui parlare, sfogarsi… raccontare della loro famiglia, di una vita che sembrava così distante.
“Credo che poterne parlare aiutasse loro a credere che sarebbero potuti tornare alle loro case; – spiegò la ragazza con voce triste – ed in ogni caso era per loro un grande conforto riuscire a dimenticare per qualche minuto la realtà dove si trovavano.”
“Sei una grande infermiera, Elisa: – si complimentò Alexis – sono stato in un ospedale da campo, quando prestai servizio contro Creta. Niente di grave, per carità, però ti giuro che niente era più gradito di trovare una persona comprensiva con cui poter scambiare una parola… Se te lo dico io che avevo solo qualche scheggia nel braccio, figurati che cosa può aver significato per persone ferite in maniera più grave”
“Già… sapete a volte loro, sono così disperati che chiedono anche scusa per i loro peccati”
“Quando ci si trova davanti alla morte si cerca l’assoluzione, bambina” spiegò Mc Dorian
“Proprio il giorno prima di partire ho assistito un poveretto che sicuramente non ce l’ha fatta. Era in preda ad una forte febbre per l’infezione di una brutta ferita… continuava a chiedere scusa alla sua famiglia perché era stato così debole. Ricordo che mi ha afferrato il polso, non mi riconosceva nemmeno per la febbre, e mi ha detto qualcosa tipo “spero che qualcuno trovi quel maledetto registro e gliela faccia pagare”.”
“Chissà, magari era una questione di debiti di famiglia” propose Alexis, interessato alla storia
“Mah, non credo… era un grado abbastanza alto dell’esercito: mi ricordo della sua giacca e delle sue decorazioni e sono certa che era un colonnello.”
“Ha detto altro?” chiese Mc Dorian, fissando con attenzione la ragazza
“Altre frasi in cui chiedeva di essere perdonato per aver ceduto a qualcosa… pareva c’entrasse una persona, ma non ha mai fatto un nome preciso. Però molto spesso tornava su quel registro e sul fatto che prima o poi qualcuno l’avrebbe trovato. Perché mi fa questa domanda, tenente?”
“Aveva i capelli neri e una cicatrice sulla guancia destra per caso? Cerca di ricordare bene, Elisa, è importante”
“Lo conosceva signore? – chiese la ragazza – Perché la descrizione corrisponde”
“Non proprio, ma era da tanto che volevo sapere qualche notizia su di lui. – l’occhiata del tenente fu molto eloquente per Falman e Alexis, ma poi l’uomo cambiò argomento – In ogni caso, mia cara, che ne dici di ordinare anche un dolce? Dato che sei a Central City tanto vale che provi qualche specialità locale”
 
“E così il nostro Karter ci ha lasciati, confortato solo dalla presenza della piccola Elisa. Che coincidenza eh?” Mc Dorian sospirò tra il risentito e il compiaciuto quando quel pomeriggio tornarono in ufficio.
“E’ sicuro che fosse lui, signore?” chiese Falman con sorpresa
“Sì, ne sono sicuro: una cicatrice simile su un grado così alto è rara. Comunque per sicurezza andate a controllare nei bollettini dei decessi: una copia viene sempre inviata qui a Central.”
La verifica confermò l’ipotesi di Mc Dorian: a morire in quell’ospedale da campo, una quindicina di giorni prima, era stata la stessa persona che aveva permesso a Leon di entrare nell’esercito.
“E così un altro filo si spezza” sospirò Alexis con rassegnazione
“Al contrario – lo corresse il padre – adesso sappiamo cosa dobbiamo cercare: un registro misterioso”
“Sarà probabilmente nelle mani dello stesso Leon. – scosse il capo Falman – Non lascerebbe una cosa così preziosa in giro”
“Oh, invece è proprio la cosa migliore da fare, in questi casi. – Mc Dorian si alzò dalla scrivania e si girò a guardare dalla finestra – Se sono nello stesso posto nel momento in cui trovi l’uno prendi anche l’altro: troppo rischioso, non credete? Se invece la prova è in un altro posto rispetto al colpevole ci sono buone possibilità che questo la scampi anche se viene trovato”
“Allora noi dobbiamo trovare quel registro e solo dopo Leon”
“Se lo incontri per strada non ti dico di lasciarlo scappare – scherzò Mc Dorian – Ma trovare quel registro sarebbe un buon modo per far uscire allo scoperto il nostro amico. E sono sicuro di un’altra cosa: Karter sapeva dove stava”
“Allora l’organizzazione che lei e mio padre avevate sgominato anni fa in realtà era ancora presente” rifletté Falman
“Mh, ipotesi interessante, Falman.- annuì Mc Dorian – Il nostro Karter eredita l’attività di famiglia che aveva basi anche a Central City e quindi non era stata cancellata del tutto da me e da Vincent; inizia a riprendersi ma poi arriva Leon e nasce una specie di intesa, in realtà volta a controllarsi vicendevolmente. Ma il nostro ex poliziotto è un avversario troppo forte e così a Karter non resta che sparire andando a combattere nel fronte sud, dove trova la morte. E ci lascia la traccia di questo fantomatico registro… ci scommetto che dentro ci sono scritti tutti i nomi, le cifre, le armi. Fogli che faranno scoppiare una bomba, ve lo dico io”
“Signore, - esclamò Alexis – cosa aspettiamo ad andare a perquisire l’abitazione e l’ufficio di Karter?”
“All’ufficio ci penso io, ragazzo – disse Mc Dorian – voi andate a casa sua. Controllate ogni centimetro: siamo vicini, lo sento”
 
La perquisizione durò ben due giorni considerata la minuzia con cui controllarono ogni palmo della casa.
Fu un lavoro difficile e snervante perché non sapevano esattamente che indizio cercare: di conseguenza qualsiasi cosa veniva vagliata attentamente per vedere se poteva essere collegata al registro che andavano cercando. Fu Falman a suggerire ad Alexis di procedere in questo modo, senza andare a cercare chissà quale nascondiglio e lo fece per un motivo molto semplice: i libri.
Quando fecero un primo giro nella casa del colonnello, al soldato saltò immediatamente all’occhio la grande libreria che stava nello studio. Con aria affascinata si era avvicinato a quei volumi, anche rari e preziosi, sfiorandone i dorsi con reverenza e amore. Concedendosi un minuto di svago, mentre aspettava che Alexis finisse di fare la cernita di tutte le stanze della casa e quindi stilasse un piano di lavoro, aveva iniziato a leggere i diversi titoli… e aveva fatto una scoperta interessante.
Karter aveva un’intera collezione dei romanzi polizieschi che Falman stesso amava leggere quando era ragazzo. Molti di quei titoli li aveva letti lui stesso, immaginandosi di trovarsi accanto a suo padre e aiutandolo a risolvere i casi con trovate geniali degne del grande protagonista di quelle storie.
L’autore era notevole, senza alcun dubbio: le sue descrizioni erano sempre realistiche e riusciva a dare ai suoi personaggi una psicologia originale ma credibile. Per quello gli era sempre piaciuto tanto…
“Possiamo iniziare?” gli aveva chiesto Alexis, raggiungendolo
“Sì, certo… senti, ti dispiace se ti suggerisco un metodo particolare di procedere?”
E così avevano cominciato a cercare, con Alexis che si era fidato dell’intuizione di Falman e invece di rivolgere la sua attenzione verso le cose sospette, si era soffermato sui particolari anche più insignificanti che lui avrebbe normalmente tralasciato.
Fu difficile, estremamente difficile, perché psicologicamente bisognava calarsi in una mentalità di lavoro del tutto nuova ed insolita. In qualche modo bisognava annullare le proprie precedenti esperienze per mettersi nei panni dell’autore di quel libro. Furono diversi i momenti in cui Falman si sentì un’idiota e pregò con tutto il cuore di aver avuto l’idea giusta… altrimenti stava obbligando il suo compagno a perdere più tempo del previsto in quella perquisizione.
Ma alla fine trovarono quello che stavano cercando ed era proprio in un posto così evidente che l’avrebbero scartato di sicuro se avessero proceduto col metodo normale.
“Ti prego – mormorò Alexis, guardando con incredulità sulla parete – dimmi che quel cerchio nero su questa piantina di Central City, appesa in bella vista nello studio, non è il posto dove dobbiamo cercare”
“Ed invece sì – sorrise imbarazzato Falman – la traccia è in un posto così evidente che tutti lo scarterebbero a priori…”
“Ed è in un posto così vicino al Quartier Generale che mai avremmo pensato che… Mamma mia che assurdità!”
“Aiutami a staccare questa cartina – disse Falman, protendendosi verso il primo chiodo – dobbiamo farla immediatamente vedere a tuo padre”
 
“Un fottuto magazzino dell’esercito in disuso! In pieno terreno militare… proprio sotto il nostro naso! – sbottò Mc Dorian quando i due soldati gli mostrarono il risultato delle loro ricerche – Maledizione alla letteratura poliziesca! Falman, se ci hai preso in pieno stai certo che verrai promosso non appena mettiamo le mani su quel dannato registro! Il rango di caporale non te lo leva nessuno”
“La ringrazio signore” sì imbarazzò Falman
“Giuro che leggerò tutti i libri di quell’autore… – sospirò Alexis con aria di contrito divertimento – Potrebbe essere utile in futuro”
“Ti regalo l’intera collezione non appena questa storia finisce, figliolo. Adesso, so che siete stanchi e che sono le nove di sera passate… ma non voglio correre alcun rischio: andiamo in quel posto immediatamente!”
“Signorsì, tenente!” scattarono all’unisono i due soldati.
 
Magazzino numero 12.
Utilizzato fino al 1870 per custodire i pezzi di ricambio dei carri armati.
Tuttavia in quell’anno era stato introdotto un nuovo modello di cingolato che aveva in poco tempo soppiantato quello vecchio. Tutti i precedenti modelli erano stati distrutti o pesantemente modificati e così quei pezzi di ricambio non erano più serviti. Una buona parte erano stati smaltiti, altri invece giacevano ancora in quel magazzino praticamente dimenticato da tutti coloro che lavoravano in quella zona del Quartier Generale.
Era un capannone di metallo come tutti gli altri suoi fratelli, con il numero 12 scritto in rosso per tutta l’altezza dei grandi portoni di metallo: apparentemente non c’era niente che lo distinguesse dagli altri, se non per il fatto che nessuno ci metteva piede da anni… o almeno così si era creduto.
Mc Dorian squadrò con aria furba quelle grandi ante di metallo davanti a loro.
“Dobbiamo aprirle, signore?” chiese Alexis
“No, farebbero un rumore infernale e non voglio che la gente si accorga della nostra presenza. E poi voglio iniziare a confermare le nostre ipotesi… seguitemi”
Falman ed Alexis si scambiarono un’occhiata perplessa e si misero dietro il loro superiore che si era messo a fare il giro dell’edificio. Non avevano altri soldati ad accompagnarli: erano solo loro tre. Non c’era stato tempo per avvisare e, considerata l’ora tarda, avrebbero dovuto attendere troppo.
Ma Mc Dorian sapeva bene che qualsiasi loro mossa era osservata e dunque aspettare la mattina successiva voleva dire dare a Leon dodici ore di vantaggio.
“Sai che cosa è il patto della mela?” chiese improvvisamente Mc Dorian, rivolgendosi ad Alexis
“No, signore”
“Falman?”
“Non lo so, signore” si rammaricò lui
“Vecchia tradizione di Drachma: non sapete quante cose ho imparato su quel paese da quando ho scoperto che Leon in qualche modo ne fa parte. Quando due famiglie volevano stipulare qualche accordo tra di loro, specie per questioni riservate o scottanti, cercavano entrambe di tutelarsi. Nessuno aveva garanzia che l’altro avrebbe mantenuto i patti… e così crearono questo giochino interessante: al più debole, quello che ha maggiori possibilità di essere tradito, viene dato qualcosa che all’altro serve in maniera incredibile: qualcosa la cui perdita, o ritrovamento nel nostro caso, lo metterebbe in estrema difficoltà. Così si ha la garanzia che entrambi giocheranno pulito l’uno con l’altro… e così le due metà della mela sono uguali e non una più pesante dell’altra”
“Leon ha affidato il registro a Karter senza sapere dove questi l’avrebbe custodito?” chiese incredulo Alexis
“Sì, molto probabilmente nel momento in cui Karter l’ha fatto entrare nell’esercito. Ma poi gli eventi militari li hanno separati e Karter è morto senza rivelare dove fosse il registro”
“Ma secondo quanto ha raccontato Elisa, Karter voleva che qualcuno lo trovasse” obiettò Falman
“Qualcuno come noi. – sorrise Mc Dorian – Karter era un elemento debole e sapeva che prima o poi Leon l’avrebbe fatto fuori negli affari. Del resto il nostro amico è arrivato a Central e gli ha bloccato qualsiasi possibilità di ripresa a livello organizzativo… gli ha praticamente imposto questa alleanza. E come garanzia ecco il patto della mela. Ed ecco la conferma che volevo: – mise la mano sulla piccola porta che si trovava nel muro laterale sinistro – uscita di sicurezza che è stata usata di recente… si apre con facilità e senza nessun cigolio dovuto all’usura. Accendente le torce, ragazzi”
 
Falman non aveva mai avuto occasione di entrare in un posto simile e sulle prime rimase impressionato dalle dimensioni di quell’edificio. Dall’esterno non si comprendeva appieno quanto fosse vasta l’area che occupava ed era un’unica grande stanza, senza muri divisori, solo con alcuni pilastri in punti chiave per la statica del tetto.
I fasci di luce delle loro torce illuminarono quell’ambiente dove giacevano casse e casse di materiale, ricoperto della polvere di oltre trent’anni d’abbandono. Alexis puntò la torcia verso l’alto e Falman seguì d’istinto quella direzione: ganci e meccanismi pendevano immobili dal soffitto.
“E quelli?” chiese e la sua voce rimbombò così tanto tra quelle pareti di metallo che si mise la mano in bocca.
“Argani per il montaggio e altre strumentazioni simili – spiegò Mc Dorian, tenendo il tono basso – a volte questo posto doveva essere usato anche come officina per montare i pezzi sui cingolati: molto più pratico che spostarli da un’altra parte”
“Signore, come procediamo?” chiese Falman
“Iniziate dal lato nord: cercate qualsiasi cosa che non abbia uno strato di polvere di almeno trent’anni. Io procedo dal lato opposto”
“Va bene… allora Falman io vado a destra e tu a sinistra: copriremo una superficie maggiore in minor tempo”
“D’accordo”
Iniziarono a muoversi in quel magazzino sconosciuto, senza rendersi conto che qualcuno li stava seguendo da quando erano usciti dal Quartier Generale.

 
 

_________________
nda.
Va bene, non ditemelo: ho interrotto ancora una volta sul più bello... u.u
Ma come al solito non ho ancora deciso cosa succederà nello specifico in quel magazzino e quindi il povero Falman attende tremante il suo destino XD
La verità è che in questi ultimi due giorni mi sto buttando anima e corpo su un'altra ff che mi ha preso il cuore (e di cui ho già scritto due capitoli a tempo record ^^') e dunque Falman deve dare spazio anche a questa nuova opera. 
Un po' è stata anche un'esigenza: in tutte le multicapitolo che ho scritto, al capitolo 15 ero praticamente all'epilogo... qui per svariati motivi (arco temporale molto più lungo da coprire, personaggi inventati da gestire a cui dare giusto spazio per conoscerli, missioni che devono essere descritte etc etc...) ne sta venendo fuori una cosa parecchio lunga. Ma vi garantisco che la metà è stata superata u.u

Ps: il magazzino numero 12 esiste davvero... è il 13 che è solo una stupida leggenda metropolitana. (Avete colto l'omaggio-riferimento? XD)

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Capitolo 17
*** Capitolo 16. 1905. Shot. ***


Capitolo 16.
1905. Shot.



Per quanto fosse consapevole di non essere solo in quel magazzino, Falman si sentiva completamente inghiottito da quell’universo di polvere e buio. Era come se l’unica protezione che avesse fosse quel flebile fascio di luce procurato dalla torcia, ad evitare che le tenebre ingoiassero pure lui.
Oltre al buio quasi totale, la cosa più inquietante di quel posto era il silenzio: era come se anni e anni di abbandono avessero amplificato l’assenza di rumore. Il suo respiro, i suoi passi, gli sembravano così forti e fuori luogo che ne era quasi spaventato.
Era un ambiente così particolare e agghiacciante che sì sentì inevitabilmente intimorito, tanto che per i primi minuti vagò senza meta, dimenticandosi il motivo per cui si trovava lì.
Quando poi vide, poco distante, il riflesso della luce di un’altra torcia, si ricordò che non era solo e che doveva cercare una cosa ben precisa.
Il registro… devo trovare quel maledetto registro.
Ma in quelle condizioni e nel buio quasi totale era davvero un’impresa improbabile.
In primis aveva una visione veramente limitata tutto quel posto: c’erano casse? Quante? In che ordine erano disposte? Come poteva individuare tutti i possibili nascondigli se non riusciva a vedere che a pochi metri dalla sua persona? Avrebbe avuto bisogno di una visione totale dell’ambiente.
Rischia solo di essere una grandissima perdita di tempo e noi non possiamo permettercela.
“Signore?” si arrischiò a chiamare, la sua voce che rimbombava tremendamente nel buio
“Che succede, Falman?” rispose Mc Dorian, da molto lontano
“Lo so che forse apparirà inappropriata come richiesta, ma… questi magazzini non hanno delle lampade nel soffitto? Non c’è un interruttore principale?”
“Vorresti accendere le luci?” chiese la voce di Alexis più vicina a lui
“Sì… lo so che è azzardato, ma senza una visione d’insieme qui non otterremo nulla – spiegò – è troppo grande come posto e se continuiamo ad avanzare alla cieca rischiamo solo di perdere ore preziose. Del resto il magazzino è completamente chiuso… dubito che qualcuno vedrà le luci”
Non ottenne nessuna risposta da parte del tenente e questo lo imbarazzò moltissimo.
Forse ho detto una cosa così stupida che nemmeno merita risposta.
“Alexis, Falman, raggiungetemi – li chiamò il tenente dopo qualche minuto, mentre la luce della torcia si alzava in alto per indicare il posto dove stava – mi serve il vostro aiuto”
I due soldati raggiunsero il loro superiore e videro che stava davanti a un pannello attaccato alla parete.
Illuminandolo maggiormente videro che si trattava dell’interruttore principale.
“Alexis tu sei il maggior esperto in queste cose – disse Mc Dorian – sai venirne a capo di tutti questi pulsanti?”
“Posso provarci, signore” annuì il giovane facendosi avanti e iniziando a studiare le sigle impolverate sopra ogni pulsante o leva. Si dovette mettere d’impegno per almeno cinque minuti, ma alla fine azionando i giusti meccanismi si sentì un ronzio improvviso e le fredde luci del soffitto si accesero.
“Sono riuscito ad attivare uno dei generatori autonomi: – spiegò Alexis – quello centrale non funziona più e ci dobbiamo accontentare di questa soluzione. Ma non posso garantire che durerà per molto: sono sistemi che hanno bisogno di manutenzione e questo è da anni che non viene usato”
“Un motivo in più per muoverci: forza ragazzi, riprendiamo a cercare”
Adesso che era decentemente illuminato dalle luci del gruppo elettronico d’emergenza, quel magazzino si presentava ai soldati in tutta la sua grandezza. Falman poté vedere le numerose casse dei materiali che si impilavano in ordinate file per tutta la superficie dell’ambiente.
Sono tantissime e maledettamente uguali… come possiamo anche solo pensare di trovare quest’ago nel pagliaio.
Alzando gli occhi al soffitto per la disperazione, vide che al di sopra della sua testa c’erano delle lastre di metallo.
“Una passerella?” chiese
“Oh sì, - rispose Mc Dorian, fissando la medesima cosa – serviva per fare manutenzione agli argani e agli altri dispositivi appesi al soffitto”
Falman annuì distrattamente, ma poi gli venne un pensiero improvviso: se saliva sopra quella passerella e otteneva una visione dall’alto, avrebbe potuto scorgere qualcosa di interessante. Seguendone il percorso con lo sguardo, riuscì ad individuare la scala metallica da cui salire, proprio al lato opposto del magazzino. Con determinazione si diresse verso quel posto: doveva assolutamente avere una visione completa.
 
I meccanici e gli operai che avevano lavorato in quel posto dovevano certamente aver avuto notevoli doti di funambolismo: quella passerella ondeggiava sinistramente ad ogni minimo movimento che faceva. Sulle prime Falman si chiese se era il caso di proseguire la sua camminata verso il centro dell’ambiente, considerato che i sostegni di metallo che tenevano quelle passerelle attaccate al soffitto mostravano diversi segni di usura… Ma era anche vero che lui era particolarmente leggero e forse il suo peso sarebbe stato sostenuto senza particolari rischi.
Così, passo dopo passo, arrivò finalmente al centro della stanza.
Un mosaico grigio e marrone si apriva sotto di lui, con quel labirinto di casse che spuntava dal pavimento ricoperto di lastre. Tuttavia, nonostante a prima vista potesse sembrare un labirinto da cui era impossibile uscire, Falman vi individuò la razionalità tipica dell’esercito: c’era sempre lo stesso schema tra le file di casse e dunque i passaggi tra di esse erano destinati a incontrarsi per poi ricongiungersi all’uscita o agli spazi vuoti, evidentemente destinati al lavoro. C’erano anche diversi segni in cima alle casse, cosa che non aveva avuto modo di notare: sigle in vernice nera che ne indicavano il contenuto a chi fosse stato in grado di riconoscerne il significato.
Distrattamente vide Alexis e il tenente che si muovevano tra quelle casse, ma lui si focalizzò sulla propria ricerca.
Anche qui è stato seguito lo stesso metodo, ne sono certo. E’ in un posto così evidente che nessuno si curerebbe mai di controllare…
I suoi occhi si mossero rapidamente su tutta la superficie di quel posto, vagliandone ogni singolo dettaglio, cercando quel particolare che l’avrebbe condotto vicino a quel registro. Quella ricerca durò una decina di minuti, ma alla fine ci arrivò.
Quella vecchia scrivania in fondo a tutto… dove ci sono i registri del magazzino. Certo! Il primo posto dove uno cercherebbe un registro!
Con un sorriso soddisfatto, si girò e tornò verso la scaletta metallica. Non si preoccupò nemmeno di avvisare gli altri che stavano controllando la parte opposta del magazzino: voleva essere lui a mettere le mani su quel registro… gli sembrava quasi un suo diritto dopo tutto quello che aveva passato per colpa di Leon. Voleva assolutamente toccare l’arma con cui l’avrebbe portato alla rovina, vendicando finalmente suo padre.
Dandogli finalmente giustizia! Chiudendo la missione che aveva iniziato anni prima.
Con passo affrettato si diresse verso il lato opposto del magazzino, fino a quella scrivania polverosa, in parte nascosta da grosse casse messe lì sicuramente negli ultimi giorni di utilizzo, che giaceva attaccata al muro. Sul ripiano non c’erano che vecchi fogli legati da pezzi di spago ormai logori.
Polvere di almeno trent’anni, certo… ma il pomello di questo cassetto non mi pare così sporco.
“Eccolo…” sussurrò incredulo, quando il cassetto venne aperto e un registro dalla copertina nera, palesemente recente, apparve davanti ai suoi occhi. Con mano tremante il soldato lo prese, constatando quanto fosse grosso: lì dentro c’erano anni e anni di traffico illecito di armi che si era espanso per buona parte del paese; c’erano nomi e cognomi di persone insospettabili che si erano arricchite in questo modo, o erano morte.
Qui ci sono tutte le prove che cerchiamo.
Avrebbe dovuto chiamare subito il tenente e Alexis, ma la sua curiosità era troppa: così aprì la prima pagina di quel registro, percorrendo ogni singola riga con lo sguardo.
Era così concentrato che non si accorse di niente, fino a quando non sentì lo scatto della sicura di una pistola proprio accanto al suo orecchio destro.
“Ciao Vato, - disse Leon – a quanto vedo sei proprio come tuo padre: non puoi fare a meno di mettere il naso in affari che non ti riguardano. Adesso non fiatare e andrà tutto bene.”
 
Avrebbe voluto chiamare aiuto, tentare qualche mossa per disarmare quell’uomo, ma la consapevolezza che la pallottola l’avrebbe colpito in nemmeno una frazione di secondo lo paralizzava totalmente. Non riuscì nemmeno a volgere lo sguardo verso il suo avversario: i suoi occhi continuarono a fissare quelle pagine fittamente scritte, con le parole che diventavano stranamente offuscate.
Non riusciva nemmeno a pensare che Alexis ed il tenente si sarebbero potuti chiedere che fine avesse fatto: gli sembrava che fossero distanti chilometri e chilometri in quel labirinto di casse.
“Adesso chiudi quel registro e vieni con me: – sussurrò Leon, facendolo riscuotere – lasciamo i tuoi amici a giocare alla caccia al tesoro”
Falman annuì lievemente, conscio che in quel momento non poteva fare altro che obbedire a quell’uomo.
Chiuse il registro e lo tenne con entrambe le mani, mentre Leon, dopo aver provveduto a disarmarlo, gli afferrò il braccio destro e lo incitò a camminare.
Perché!? Perché il tenente e Alexis sono proprio dall’altra parte di questo labirinto maledetto!?
Gli vennero le lacrime agli occhi mentre raggiungevano l’uscita di emergenza e sgattaiolavano fuori senza che nessuno li notasse: adesso era in totale balia del suo avversario.
Nonostante fossero fuori dall’edificio, Leon lo incitò a proseguire lungo il viale dove si affacciavano gli ingressi dei magazzini: lo fece quindi infilare nel piccolo vicolo che c’era tra il numero 10 e il numero 11… proprio dove un lampione aveva la lampadina fulminata.
Con una rapida mossa, Leon si portò davanti a lui, puntandogli la pistola direttamente alla fronte: Falman poteva sentire il freddo del metallo contro la sua pelle accaldata.
“Allora, Vato, – disse Leon, a voce più alta – che cosa devo fare con te? Ti ritenevo un ragazzino più giudizioso rispetto a Vincent… ero quasi tentato di lasciarti in vita. Ma il vecchio Mc Dorian ti ha messo strane idee in testa, vero?”
“Io…”
“Dovevi restare nella polizia, ragazzo. Lì non ti sarebbe successo nulla: ti saresti dimenticato di me e di Vincent e avresti vissuto la tua vita, in piena tranquillità”
Falman rimase rigido davanti a quelle parole; nonostante la paura si accorse di esigere delle risposte
“Perché… perché l’ha ucciso? Poteva… poteva lasciarlo a New Optain”
“Ti riferisci a Vincent? Tsk, se lo lasciavo lì con Mc Dorian quei due sarebbero arrivati in fretta a me… meglio separarli e tenerne d’occhio uno. Lontani non potevano pararsi il culo a vicenda, hai visto pure tu cosa è successo”
“Che aveva scoperto mio padre? Perché… ha aspettato sette anni per ucciderlo?”
“Aveva iniziato a capire che tutte le volte che si avvicinava all’obbiettivo, questo scappava via come se fosse stato informato… a fare due più due ci si impiega poco, no?”
“Certo… lei era uno dei pochi al corrente delle indagini…”
“Anche l’unico, fidati. In ogni caso, quando fu chiaro che Vincent stava iniziando a capire troppo, fu il caso di levarlo di scena. Ora, finite queste spiegazioni, capirai che non posso lasciarti in vita, vero?”
Mi ha praticamente confessato tutto quanto… ovvio che non aveva intenzione di risparmiarmi…
La vita era davvero ingiusta: aveva finalmente tutte le risposte, l’assassino di suo padre a portata di mano… tutto quello che aveva cercato per anni. Eppure questa verità la stava per pagare con il prezzo più alto: che senso c’era nell’averla seguita così disperatamente?
Aveva letto che nei secondi precedenti la morte una persona ripensa a tutti i momenti più importanti della sua vita… ma nella sua mente c’era soltanto il vuoto più totale. Gli uscì solo un pensiero, mentre lacrime involontarie iniziavano a scivolargli sulle guance magre.
Papà… papà, mi dispiace…
“Sparagli e ti faccio fuori, maledetto” esclamò una seconda voce
Senza abbandonare a posizione di totale immobilità, Falman spostò lo sguardo verso l’ingresso del vicolo e vide Mc Dorian e Alexis che tenevano le pistole puntate contro Leon. Nonostante le lacrime gli offuscassero la vista, il soldato non poté fare a meno di notare come l’espressione del tenente fosse glaciale e impenetrabile come mai aveva visto.
“Tenente Mc Dorian, ci si rivede – salutò Leon, senza smuovere la pistola dalla fronte di Falman – peccato che l’occasione non sia delle migliori, vero?”
“Figlio di puttana, ti do dieci secondi per abbassare la pistola dalla fronte del mio uomo”
“Già… il tuo uomo, il figlio di Vincent. Se non riuscissi a salvare nemmeno lui sarebbe un’altra sconfitta, vero? Secondo te ci impiega più il tuo proiettile a raggiungere me o il mio a raggiungere il cervello di Vato?”
“T…tenente – mormorò Falman – mi… mi dispiace…”
“Finiscila, Falman: – disse Mc Dorian, senza spostare lo sguardo da Leon – hai trovato quel maledetto registro e questo è quello che conta. Il resto è tutta colpa di questo maledetto”
“Allora, la situazione è di stallo: – disse Leon, con un freddo sorriso – come la mettiamo? Per come la vedo io possiamo morire in due e l’esercito avrà il suo registro… oppure non muore nessuno, ma non avrete né me né il registro. C’è sempre un prezzo da pagare, no? E questa volta l’offerta più conveniente mi pare palese… oppure questo giovane è solo una pedina per salire in alto, tenente?”
“Non osare parlare di pedine… proprio tu, schifoso bastardo!”
“Allora, abbassa l’arma… e ordina di farlo anche a tuo figlio”
Una parte di Falman avrebbe voluto gridare al tenente di non compiere un simile gesto, ma la parte più umana e vulnerabile di lui tirò un sospiro di sollievo come vide l’uomo abbassare davvero la pistola e segnalare ad Alexis di fare altrettanto. Ebbe quasi l’illusione che certamente ne sarebbero potuti uscire vivi.
“Molto bene…” annuì Leon
“Adesso tocca a te levare la pistola dalla testa del ragazzo, Leon – disse gelido, Mc Dorian, senza levare lo sguardo da lui – io ho fatto la mia parte”
“Vato, dammi il registro” ordinò Leon, tendendo la mano libera verso di lui
“Si…” ansimò Falman, ma mentre la sua voce diceva questo, si strinse al petto il grosso volume con la copertina nera.
Perché sto facendo questo? Daglielo, Vato, dagli questo maledetto registro!
“Andiamo, ragazzo, non farmi perdere tempo…”
“Tu hai ucciso mio padre…” pianse Falman appoggiandosi pesantemente contro il muro dietro di lui.
Si sentiva la testa pesantissima, lo stomaco aggrovigliato... un forte senso di nausea lo invase, mentre i ricordi del funerale gli tornavano di colpo come un pugno.
Ci vediamo dopo…
Quelle ultime parole, il sorriso di Vincent mentre gli arruffava rapidamente i capelli prima di uscire dall’ufficio verso quell’ultima fatale missione.
“Vuoi raggiungerlo? Se non mi dai quel registro ti accontento subito”
“Falman! – intervenne Mc Dorian – fai un respiro profondo, ragazzo… e dagli quel cazzo di registro. La tua vita vale molto di più”
La voce del suo superiore riuscì per qualche secondo a superare la follia che lo stava circondando e le sue braccia abbandonarono la presa sul registro che cadde a terra con un tonfo.
“Idiota… avanti raccoglilo”
“Non… non ci ri… riesco…” disse Falman in tutta sincerità
Ed era vero: era come se il suo corpo avesse perso qualsiasi capacità di reazione o movimento
“Non dire stronzate!”
“Calmo Leon, non vedi in che condizioni è? Non riesce davvero a muoversi… e sotto shock”
“Va bene… allora vieni tu qui, ragazzo – disse, facendo un cenno ad Alexis – raccoglilo e passamelo: io la pistola dalla sua fronte non la levo”
Alexis annuì e si fece avanti, raccogliendo il volume da terra e porgendolo con cautela a Leon. Annuendo lievemente, l’uomo lo prese e gli fece cenno di tornare indietro, accanto a Mc Dorian.
“Adesso hai il tuo maledetto registro – mormorò Mc Dorian – avanti, leva quella cazzo di pistola dalla sua fronte”
“Certo, ma prima buttate le vostre armi lontano, non vorrei che mi sparaste appena levo l’arma da lui”
Con il viso sempre più rabbioso, Mc Dorian ed Alexis fecero quanto era stato detto.
Una volta avuta anche quella garanzia, Leon allontanò finalmente la pistola dalla fronte di Falman.
La fine di quel contatto col freddo metallo fu come se liberasse il soldato da catene invisibili, tanto che iniziò a scivolare lentamente a terra.
“Papà…” mormorò in preda a un forte crollo nervoso
“Tsk… non vali nemmeno un briciolo di lui, Vato” lo brutalizzò Leon dandogli un calcio sullo stomaco e facendolo piegare in due dal dolore.
Nonostante tutto, lo sguardo di Falman si alzò verso quella voce, ma non vide Leon, vide solo il registro nero nella sua mano.
L’oggetto che aveva tanto cercato… il suo obbiettivo.
Non era più cosciente della situazione e con uno scatto improvviso, dimenticandosi delle fitte allo stomaco, si buttò con tutto il suo peso verso Leon, sbattendolo al muro.
Il colpo partì dalla pistola che l’uomo ancora teneva in mano.
Falman sentì un fortissimo e bruciante dolore all’altezza della spalla destra e poi più nulla.
 





___________________
nda.
Yeeeh! Ed eccomi tornata ad occuparmi di Vatino! Purtroppo per lui la ripresa è stata davvero col botto, è proprio il caso di dirlo. u.u Ma del resto che ci possiamo fare? Bisogna arrivare alla resa di conti con Leon, no? Forza e coraggio Falman! Le vacanze sono finite!

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Capitolo 18
*** Capitolo 17. 1905. Towards the future. ***


Capitolo 17.
1905. Towards the future.

 


Il primo senso a risvegliarsi fu l’udito, ma era chiaro che qualcosa non andava.
Sentiva suoni e voci attorno a lui, ma erano tutti ovattati e distorti tanto che non riusciva a capire che cosa dicessero. Conseguentemente si risvegliò anche il cervello: iniziò a chiedersi che cosa stava succedendo e perché gli fosse consentito solo di udire: che fine avevano fatto gli altri sensi?
Realizzare di non aver nessun controllo del suo corpo, che non sentiva per niente, fu alquanto destabilizzante: ma il suo cervello non poteva far altro che mandare impulsi, sperando che prima o poi il resto della sua persona si facesse più collaborativo.
Alla fine fu un altro senso a destarsi, ma non era uno dei canonici cinque: sentiva delle presenze attorno a sé. Percepiva le persone che gli stavano accanto, ma non perché le vedesse, sentisse o toccasse… era solo semplice e pura consapevolezza. Questa scoperta lo fece sentire in qualche modo più sollevato: per quanto voci e presenze venissero recepite in momenti differenti, Falman intuiva che erano legati tra di loro.
Non si rendeva conto del tempo che scorreva in quel limbo: non sentiva esigenza di riposare o di mangiare. Era tutto molto ovattato e rilassante.
Non ricordava nemmeno cosa lo avesse portato in quella condizione e, a dire il vero, non gli importava.
Aspettava semplicemente che la natura facesse il suo corso: se e quando i suoi sensi si fossero risvegliati, non sarebbe certo dipeso da lui.
 
“Vato… Vato, amore mio…”
Fu quella voce la prima ad essere perfettamente capita e ad essere collegata ad una presenza specifica accanto a lui. Quasi immediatamente il suo cervello registrò il segnale della sua mano sinistra che veniva sollevata e tenuta stretta. Fu come una forte scarica elettrica ed il suo corpo riprese consapevolezza, fino alla punta dei suoi capelli, con anche gli altri sensi che tornarono ad essere improvvisamente attivi.
L’odore di disinfettante gli punse le narici, il contatto con la stoffa morbida di quello che indossava gli solleticò la pelle, nella sua bocca sentiva un fastidioso sapore amarognolo non meglio identificato, la vista… beh, per quella spettava a lui decidersi ad aprire gli occhi.
Mosse la testa debolmente, sentendola molto pesante, ed emise un gemito di protesta.
“Vato! Mi senti? Sono io, Elisa!”
Cercò di parlare ma si accorse di avere la bocca fastidiosamente impastata. Le labbra secche si schiusero con uno sforzo immane, quasi fossero sigillate dalla colla.
“Sssh, no… amore, non parlare. – disse la voce, mentre un qualcosa di bagnato e fresco gli veniva passato sulle labbra, con suo sommo sollievo – Non devi sforzarti, sei in ospedale”
Ospedale? Perché era in ospedale? Non ricordava affatto di essersi fatto male… lui aveva solo trovato il registro che avrebbe finalmente inchiodato Leon.
Aprì gli occhi, ma fu costretto a serrarli con violenza: la luce luminosa che si rifletteva sulle pareti bianche gli sembrava più accecante del sole.
“Aspetta! – disse Elisa – chiudo le tende”
La sensazione di ombra venne immediatamente percepita da dietro le palpebre e si arrischiò di nuovo a fare un tentativo: questa volta l’impatto fu meno fastidioso e riuscì a mettere a fuoco la stanza d’ospedale e la figura di Elisa.
“Eli…?” riuscì a chiamarla
“Va tutto bene, amore mio, - sorrise lei, baciandolo in fronte – la tua ferita non è grave, grazie al cielo. Hai solo bisogno di stare tranquillo”
Ferita?
Quella parola gli fece ritornare in mente quanto era successo: sentì di nuovo la pistola puntata contro la sua fronte, vide di nuovo Leon che gli intimava di dargli il registro… nella sua mente rivisse la scena con maggiore lucidità, rendendosi conto di quanto fosse andato vicino alla morte.
Fu una scoperta troppo destabilizzante e con un altro gemito perse di nuovo i sensi.
 
La pistola aveva sparato da una distanza di circa venti centimetri, colpendo il bersaglio poco sotto la spalla destra. Nessun organo era stato toccato, ma l’impatto aveva spinto Falman contro il muro del vicolo, facendogli sbattere pesantemente la testa.
Era rimasto privo di sensi quasi due giorni: i medici dell’ospedale avevano estratto la pallottola senza troppe difficoltà ed avevano constatato che il colpo alla nuca, per quanto forte, non aveva provocato alcun danno alla scatola cranica o qualche emorragia.
Tutto sommato, era andata davvero bene.
Queste cose Falman le apprese il terzo giorno, quando finalmente recuperò del tutto coscienza ed Elisa, sempre accanto a lui, gli fece un rapido quadro delle sue condizioni cliniche.
“Non sai che paura quando ho ricevuto quella telefonata in albergo. – disse la ragazza, mentre gli sistemava meglio il cerotto sul gomito che teneva fermo l’ago della flebo – Ti giuro che mi stava crollando il mondo addosso”
“Oh, Elisa, mi dispiace: – sospirò Falman – non era proprio il momento per farti preoccupare così”
“Beh, almeno qualcosa di positivo c’è: posso essere qui a prendermi cura di te. Se fosse successo mentre ero al fronte sarei impazzita di preoccupazione”
La ragazza sorrise, sedendosi nel letto proprio accanto a lui e accarezzandogli i capelli. Nonostante in testa avesse una lieve fasciatura, le mani della ragazza sapevano essere delicate e leggere e non gli procuravano altro che benessere. Non gli era mai capitato di essere curato da lei: quel crollo nervoso che aveva avuto dopo la sua prima missione, anni prima, era qualcosa di totalmente diverso. Adesso si poteva rendere perfettamente conto dell’efficienza della sua ragazza come infermiera e ne rimase conquistato: c’era qualcosa nel suo modo di fare incredibilmente rassicurante ed iniziò a capire l’importanza che doveva avere un simile atteggiamento nel lavoro in un ospedale da campo.
Ma egoisticamente, in quel momento, era felice di poterne avere l’esclusiva.
“Vuoi ancora sposare questo scemo capace di farsi sparare a venti centimetri di distanza?” le chiese
“Che sei scemo mi sa che è vero, – sospirò lei con un sorriso, accarezzandogli la guancia – ma si dà il caso che io ti ami e quindi non rinuncio a te. E poi… Vato non c’è nessuna scemenza in quanto è successo: l’importante è aver chiuso i conti con il tuo passato. Senti di averlo fatto?”
Falman ci rifletté parecchio, abbassando lo sguardo sulla propria mano poggiata sul lenzuolo bianco. Non aveva alcuna notizia di quello che era successo, anche perché ad Elisa non era stato detto molto di quello che era accaduto dopo il suo ferimento. Sapeva solo che Mc Dorian e Alexis erano stati in ospedale fino a quando i medici non avevano detto che l’operazione per estrarre la pallottola era andata bene.
Sicuramente sarebbero voluti restare ancora, ma credo avessero molto da fare… c’era del sangue nelle loro divise e credo che sia stato quando ti hanno soccorso…
C’era stata una lieve esitazione in quell’ultima frase che Elisa gli aveva detto, ma aveva preferito non pensarci. Non poteva sapere che sorte era toccata a Leon: l’avevano preso? Era vivo? La situazione in quel vicolo era davvero movimentata e nell’arco di pochi secondi era successo il finimondo. Con la mente cercò di ricordare gli ultimi secondi di coscienza che aveva avuto, provando a cercare qualche indizio utile per capire qualcosa… ma tutto quello che ricordava era il dolore alla spalla, così intenso da non poter pensare ad altro, e poi il buio improvviso.
“Non lo so. – rispose tristemente, all’ultima domanda della sua fidanzata – In tutta sincerità, ora come ora non posso dirlo”
Ammetterlo a se stesso lo fece piombare in uno stato di profonda riflessione: gli sembrava che dalle risposte che avrebbe avuto dal tenente e da Alexis dipendesse il percorso di un’intera vita. L’idea di vendicare suo padre adesso gli sembrava così strana… perché aveva usato quel verbo invece di qualcosa come dare giustizia? Perché tutti gli eventi capitati da quando gli era stato annunciato che sarebbero andati a Central City gli sembravano tremendamente dettati dall’egoismo?
Ricordava che Leon gli aveva detto qualcosa come “tu non vali nemmeno un briciolo di tuo padre”
Possibile che in fondo avesse davvero ragione?
 
Quando il giorno dopo Mc Dorian ed Alexis vennero a trovarlo scoprì di essere quasi in ansia.
Aveva paura di sapere il risultato di quella missione notturna.
“Rilassati, Falman, - disse Mc Dorian, entrando e vedendo che lui cercava di accennare un saluto militare – hai la spalla ferita e non devi fare movimenti bruschi. Allora, come stai?”
“Molto meglio, signore. I dottori dicono che in due settimane potrò essere dimesso… anche se pare che dovrò stare fermo per un buon mese: i muscoli hanno un tempo di ripresa più lento”
“Non ti preoccupare. Non devi assolutamente forzare la tua guarigione e la nostra esperta infermiera ti terrà d’occhio… oh non fare quello sguardo sorpreso, signorina – disse rivolto ad Elisa – anche se dovresti partire tra una decina di giorni, ho fatto richiesta che tu resti qui per almeno un altro mese”
“Tenente, non avrebbe dovuto: in trincea hanno…”
“Hanno mandato dei nuovi rinforzi anche per l’ospedale da campo. Finalmente anche Central dà il suo bravo contributo: ci potrà essere un buon ricambio in tutti i fronti, almeno per l’immediato futuro”
“Oh, questa è una buona notizia! – sorrise lei, sentendosi sollevata all’idea di poter assistere il suo fidanzato senza troppi rimorsi di coscienza – La ringrazio moltissimo, tenente!”
“E di che: del resto è giusto che mi prenda cura dei miei uomini… anche se vedendoti nel letto d’ospedale, Falman, direi che non sono stato molto bravo nel farlo”
“Non dica così, signore – arrossì Falman – sono stato uno sconsiderato io a non chiamarla nel momento in cui avevo scoperto il nascondiglio del registro. E’ stata una mia negligenza dettata… dall’egoismo”
Si accorse di pensare veramente quelle cose e di provarne vergogna: aveva agito come un pazzo, rischiando di compromettere tutta la missione.
“Vato, – intervenne Alexis che fino a quel momento era stato zitto – in fondo era giusto che lo trovassi tu quel registro. Non è che abbia molto da rimproverarti…”
Il silenzio piombò in quella stanza e durò per interminabili minuti: tutti aspettavano che fosse Falman a parlare e fu solo quando Elisa gli si accosto e gli prese la mano che il soldato si decise a fare la fatidica domanda.
“Che ne è stato di lui?”
“E’ morto” disse Mc Dorian senza mezzi termini.
Quelle parole caddero piatte nella stanza.
Falman non disse niente: dentro di sé sentiva che un grosso macigno veniva finalmente sollevato, ma al suo posto restava una stranissima sensazione di vuoto. Uno strano sapore amaro gli invase la bocca, simile a quello che l’aveva travolto il giorno del funerale di suo padre.
“Che è successo?” si costrinse a dire, alzando lo sguardo su Mc Dorian
“Come ha sparato contro di te, – spiegò il tenente, guardandolo con quella che si poteva definire tristezza – io e Alexis siamo scattati in avanti per fermarlo. C’è stata una colluttazione in cui lui ha sparato una seconda volta: Alexis è stato ferito nel fianco… alla fine si è rivelata solo una ferita superficiale: la pallottola l’ha preso solo di striscio”
Ci fu un’altra pesante pausa di silenzio, mentre l’uomo spostava lo sguardo da Falman al figlio. Poi respirò profondamente e disse.
“Se fossi stato un buon superiore avrei intimato ad Alexis il silenzio e ti avrei raccontato la versione che sta nel rapporto ufficiale e che, effettivamente, non è affatto lontana dalla verità. Tuttavia come uomo non posso nasconderti quanto è realmente accaduto… Quel bastardo aveva appena ferito mio figlio e l’altro giovane che ormai considero come tale… non ci ho visto più: ho perso qualsiasi controllo e l’ho aggredito. Non chiedermi quanta consapevolezza avevo di quello che stavo facendo, perché non saprei risponderti. So solo che nel lottare per levargli quella pistola sono riuscito a rivoltargliela contro proprio quando stava per sparare di nuovo… il proiettile l’ha colpito in piena fronte ed è morto sul colpo”
Falman stette in silenzio: aveva avvertito l’angoscia di cui erano intrise le ultime parole di Mc Dorian. Non era stato il soldato a parlare, ma l’uomo a cui era stato levato l’amico e a cui avevano tentato di uccidere il figlio… anzi i figli.
Spostò lo sguardo su Alexis e solo allora si accorse di un lieve rigonfiamento nel fianco destro, sotto la divisa, dove doveva esserci la fasciatura. Il volto del giovane sergente era imperturbabile mentre fissava il proprio genitore.
“Io… - mormorò Elisa, inaspettatamente – posso capirla, tenente”
“Bambina, tu non dovresti essere nemmeno in questa stanza ad ascoltare queste follie…”
“Sono stata in un ospedale da campo, signore, – gli ricordò lei con un triste sorriso – dove la follia è ben altra e dove spesso ci si chiede per che cosa tanta gente muoia. Ma qui… qui ho sentito solo di un padre che ha difeso i propri figli da una persona malvagia: in questo trovo un senso e una giustizia, per quanto possa apparire terribile la morte di una persona”
“Vedi, Elisa, - fece Alexis – quello che turba mio padre è che… anche se, con molta probabilità, sarebbe finita nel medesimo modo, lui ha agito accecato dai sentimenti, mentre un soldato non dovrebbe…”
“Tenente Mc Dorian, - scosse il capo la giovane, andandogli incontro e prendendogli la mano – è giusto che sia stato il padre ad agire e non il soldato: perché lei è prima di tutto questo”
“Mh, – sbuffò Mc Dorian, accarezzando i capelli di Elisa – sei fin troppo brava come infermiera, signorina”
Poi il tenente si avvicinò al letto di Falman e gli disse
“Davanti alla tomba di Vincent mi sono ripromesso che ti avrei difeso a qualunque costo e che in un modo o nell’altro avrei trovato il colpevole della sua morte. Ho fatto la seconda cosa, ma sulla prima sono in parte venuto meno. Perdonami, Falman”
“Sono vivo grazie a lei, signore, – scosse il capo il soldato – ed è finita nel modo migliore, tutto sommato. In fondo, per le accuse che pendevano su di lui, Leon sarebbe stato condannato alla forca… anche se in questo momento la cosa le può apparire come una stupida giustificazione. Ma… sul serio, io la ringrazio per tutto quello che ha fatto per me in questi anni… per quello che avete rappresentato lei ed Alexis. E’ che… appare strano aver finalmente chiuso i conti con il passato, adesso posso dire che è così”
“Già, in questo ti posso capire benissimo”
 
Sì, era vero: il tenente era forse la persona che poteva meglio capire la sensazione che attanagliava Falman.
Per qualche giorno il soldato rimase molto quieto e silenzioso, parlando poco persino con Elisa: dentro di sé cercava di venire a patti con il vuoto che sentiva, analizzandolo, trovandone le cause… dialogandoci.
La verità era che gli sembrava di aver finalmente raggiunto l’obbiettivo per cui aveva lottato tanto: sentiva di essere arrivato, eppure al posto della gioia e del senso di vittoria non gli restava niente, nemmeno il classico pugno di mosche.
Quando aveva preso in mano quel registro aveva raggiunto l’apice dell’eccitazione, aveva pensato di aver finalmente in mano tutta la sua vita: la sua prodigiosa memoria ripercorse quelle pagine che aveva sfogliato prima che Leon lo catturasse. Nomi, cognomi date… una sequela di persone importanti che sarebbero cadute inevitabilmente in rovina: non dubitava che l’esercito avrebbe finalmente posto fine a quell’organizzazione. Leon era il pesce grosso, il capo di tutto: senza di lui il resto era destinato a crollare come un castello di carte.
Ma non era nemmeno questo che…
“Elisa…” chiamò all’improvviso
“Dimmi” rispose subito lei che, in quei giorni, aveva accettato con tranquillità la sua esigenza di riflettere
“Ti ricordi la torta che mi avevi portato il giorno del funerale di mio padre?”
“Oh quella! – sorrise lei – Ero stata una sciocca: chissà perché avevo pensato di poterti tirare su di morale con quella torta. Avevo messo tutto l’impegno possibile per farla, per ringraziarti dell’aiuto che mi avresti dato in scienze… non pensavo te la ricordassi”
“Poi non ero riuscita a mangiarla, mi dispiace. Proprio non me la sentivo”
“Ma non devi nemmeno pensarci, Vato! Eri così provato! L’ultimo pensiero che potevi avere era quello di accontentare i miei capricci di cuoca dilettante!”
“E’ una sensazione strana… - confessò Falman, fissando il vassoio del pranzo davanti a lui dove c’era anche una fetta di torta che Elisa gli aveva portato – è come se avessi corso per tanto tempo cercando di raggiungere mio padre… ma solo ora… solo ora mi rendo conto che lui non tornerà mai più, in maniera definitiva. E se da una parte provo un senso di vuoto, dall’altra c’è anche uno strano sollievo, come se qualcosa di estremamente pesante e non mio mi fosse stato levato dalle spalle”
“Tesoro, la verità, secondo me… - esitò per qualche secondo - è che tu hai rincorso tuo padre per troppo tempo. Prima hai cercato di ritrovarlo nella polizia, poi nel suo migliore amico… e poi nella cattura di Leon. E ora che avete chiuso i conti con lui questa ricerca nella tua anima e nel tuo cuore è giunta al termine”
Falman fissò con sorpresa la donna: in genere la persona che aveva sempre saputo leggere con chiarezza i suoi sentimenti nei confronti di Vincent era sua madre. Ma ora si accorgeva che Elisa l’aveva capito anche meglio, anche se in tutto questo tempo non aveva mai detto nulla, limitandosi ad un silenzioso sostegno… come aveva fatto anni prima nella sua stanza, con quella fetta di torta tenuta in grembo e quella pallida mano che si era lasciata stringere.
“E cosa rimane dopo questa ricerca?” chiese lui con perplessità
“Oh, - sorrise la ragazza, baciandolo dolcemente – semplicemente resta tutta la vita, restiamo noi due… non mi pare tanto male come prospettiva, no?”
“No – ammise Falman, mentre sentiva che il vuoto trovava un bellissimo modo per essere riempito. Prese il mento di Elisa tra le dita e la baciò intensamente – Direi che non è affatto male come prospettiva”
Anzi era un ottimo nuovo inizio.
 
In poco meno di un anno tutta l’organizzazione criminale venne sgominata.
Sotto la guida di Mc Dorian e della sua squadra, ogni singola persona presente in quel registro venne interrogata ed accusata di aver preso parte al traffico illecito di armi. Erano centinaia di persone, molte insospettabili, diverse parecchio altolocate a testimoniare quanto Leon e la sua famiglia fossero riusciti a penetrare nel tessuto del paese.
Della famiglia di Leon non si trovarono tracce: voci insistenti parlarono di una loro repentina fuga a Drachma, presso i parenti della madre. Del passaggio tra Amestris e il paese confinante non fu trovata traccia, ma le misure precauzionali di Briggs aumentarono.
Al defunto Leon vennero imputate decine di accuse, tra cui l’essere mandante di almeno una cinquantina di omicidi. Fra di essi vi era anche quello del capitano di polizia Vincent Falman.
“Caso 21579: – mormorò Mc Dorian, prendendo in mano per l’ultima volta quel fascicolo maledetto, davanti agli occhi di Falman e Alexis – archiviato in maniera definitiva. Riposa in pace, amico mio”
Fu Falman stesso a portare quel fascicolo nella biblioteca centrale della capitale, dove ovviamente stava una copia di tutti i dossier del paese.
Con calma entrò nella Prima Sezione, dove ormai aveva libero accesso: percorse i lunghi corridoi fatti di scaffali e scaffali, tanto che gli sembrò quasi di essere in un labirinto di cui conosceva perfettamente l’uscita. Salì qualche gradino della scala a pioli e depose il fascicolo nello spazio vuoto tra altri due. Rimase per qualche secondo a sfiorare la copertina giallo chiara, dove ad inchiostro nero erano scritti gli estremi del dossier.
Probabilmente mai nessuno l’avrebbe ripreso in mano.
“Beh, papà – mormorò Falman – io… spero di averti reso fiero di me. E spero di renderti ancora tale, adesso che inizio una vita veramente mia… ma forse, era questo che volevi davvero, mi sa. In fondo sono le regole del gioco, no?”
E con quelle ultime parole di commiato, accompagnate da un sorriso, il caporale Vato Falman scese da quella scala e, senza girarsi, si diresse verso l’uscita di quel labirinto di scaffali… verso la sua vita, senza più alcun legame ad incatenarlo al passato.
 
Era la fine dell’anno 1905 e, nonostante la guerra civile stesse per entrare nel suo quinto anno, Falman non poteva fare a meno di provare una grande speranza per il futuro.

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Capitolo 19
*** Capitolo 18. 1909. New life ***


Capitolo 18.
1909. New life.

 

A svegliare il sergente Falman fu il rumore della città in festa per la domenica mattina.
Risate di bambini, voci allegre che chiacchieravano, da qualche parte c’era qualcuno che suonava il violino. Perché dopo che finisce una guerra durata sette anni, la gente si accorge di quanto sia bella la vita e di quanto sia importante godere di ogni istante e festeggiarlo.
Girandosi supino sul morbido letto, l’uomo sorrise, pensando che era bello essere svegliati in quel modo. E gli piacque ancora di più quello che vide volgendo appena lo sguardo alla sua destra: Elisa era ancora profondamente addormentata, il lenzuolo e la coperta a proteggere dal fresco ancora frizzante di aprile il corpo nudo.
Perché il giorno prima, quella donna era diventata sua moglie.
Falman ripercorse con la mente tutti gli eventi delle precedenti ventiquattro ore: la sua tensione mentre si preparava, non riuscendo a capire come mai la camicia della divisa fosse così poco collaborativa proprio quel giorno; sua madre che, con un sorriso e la solita aria maliziosa, lo aiutava a sistemarsi… la sua lacrima di commozione nel vederlo così bello. E poi quella piccola e tranquilla chiesa di East City, con parenti e amici ad attenderlo: il capitano Mc Dorian ed Alexis a fargli da testimoni, con il giovane che non aveva smesso di lanciargli occhiate maliziose, almeno fino a quando era arrivata la sposa…
Falman allungo la mano per accarezzare gli arruffati capelli castani di Elisa, di nuovo lunghi fino a metà schiena. Nemmeno un venti ore prima erano raccolti dietro la testa, con quel leggerissimo velo a proteggerli: a Falman era sembrato di vederla per la prima volta in assoluto ed era rimasto folgorato dalla bellezza di quella donna… della sua donna. La guerra era finita, le privazioni pure: Elisa gli si era presentata come simbolo di quanto c’era di buono e bello nella vita.
E poi il ricevimento, discreto e privato, però pieno di allegria e felicità, come era giusto che fosse ed infine a casa loro… almeno fino a quando non avessero capito cosa riservava il destino.
Fare l’amore da marito e moglie era stata una cosa completamente diversa, nonostante si conoscessero già da tempo. C’era una nuova consapevolezza, una maturità che richiedeva quasi che tutto venisse riscoperto una nuova volta… come se i loro corpi avessero subito dei cambiamenti.
Ma era stato meraviglioso, di questo ne era certo, anche perché…
La donna si agitò sotto le coperte ed emise un mormorio assonnato.
“Ehi, - la salutò Falman abbracciandola e baciandola in fronte – buongiorno, amore mio”
“Dimmi che non ci dobbiamo alzare e rifare tutto quello che abbiamo fatto ieri, ti prego” supplicò lei con la voce ancora impastata dal sonno
“Ce lo possiamo concedere – sorrise lui – in questo giorno ci siamo solo noi due. E direi che oggi possiamo fare a meno dei numerosi brindisi di ieri, non credi mia giovane ubriaca?”
“Quanti ne abbiamo fatti?”
“Non lo so, - ammise Falman trattenendo una risata – ma stanotte eri particolarmente… uhm… allegra, prima di crollare del tutto”
“Non credo di aver mai bevuto così tanto in vita mia – protestò la donna, rifugiandosi ancora di più nel suo abbraccio – ti prego, impediscimi sempre di compiere di nuovo un’idiozia simile”
“Stai male?”
“No, ma mi sento completamente rintronata… voglio solo evitare di alzarmi per le prossime ore”
Iniziare la propria vita coniugale con una moglie con palesi sintomi di sbornia era qualcosa che non si sarebbe mai aspettato. Che Elisa non fosse abituata a bere era apparso palese: mentre lui con Alexis aveva imparato a reggere l’alcool in modo discreto, la sua ragazza non aveva mai fatto una simile esperienza.
Ma al proprio matrimonio può succedere anche questo.
 
Con addosso la sua camicia della divisa e seduta a gambe incrociate nel letto disfatto, Elisa sembrava molto più giovane dei suoi ventinove anni.
“Dose extra di caffè bollente: – annunciò Falman, entrando nella camera e porgendole una tazza – non pensavo fossi così viziata”
“O semplicemente esausta. - sospirò lei, mandando giù un sorso – Dammi dieci minuti e mi riprendo del tutto, magari dopo una doccia. A che pensi?”
Falman infatti si era di nuovo sdraiato supino nel letto, a braccia aperte, ed aveva la faccia concentrata.
“Niente, facevo progetti”
“Su che cosa?”
“Sul futuro, su di noi”
Effettivamente la loro condizione era tutto meno che stabile e non avevano la minima idea di cosa sarebbe accaduto nei mesi successivi. Elisa aveva finalmente terminato di operare presso l’ospedale da campo nel fronte sud, ma ad East City il suo posto era stato rimpiazzato da altro personale, un qualcosa di inevitabile.
Per Falman la situazione era differente ed ancora più incerta: infatti all’inizio del mese la sua squadra si era sciolta. Purtroppo Miran era morta durante un’operazione militare contro Creta tre mesi prima che la guerra finisse e dunque già un elemento era andato perduto. A questo si aggiungeva il fatto che il capitano Mc Dorian ormai aveva quasi sessant’anni e, nonostante fosse relativamente in forma, il peso di tante missioni e di un lavoro così attivo si faceva sentire. Gli era stato proposto di tenere corsi di specializzazione in Accademia e lui, dopo qualche tentennamento iniziale, aveva accettato: era una sorta di congedo, ma preferiva essere ancora utile in quel modo all’esercito.
Il problema è che sono sempre stato abituato a compiere missioni in cui prendevo parte attiva. – aveva detto l’uomo il giorno in cui aveva comunicato la sua decisione – Non posso più continuare ora che il mio corpo non ha più i riflessi di una volta.
Ma la verità, secondo Falman, era che lo stesso Mc Dorian desiderava una vita più tranquilla. E lui, tutto sommato, non poteva dargli torto. Quell’uomo aveva passato oltre quarant’anni nell’esercito in un settore tra i più spietati a livello sia fisico che psicologico: l’esigenza di smettere era più che naturale.
Ma la conseguenza era che lui ed Alexis erano rimasti senza un diretto superiore.
Falman si era chiesto se avrebbe continuato a lavorare con il giovane che, nel frattempo, era diventato sottotenente, ma non era stato possibile. Alexis non aveva ancora un grado sufficiente per poter pretendere di avere il comando diretto di un subordinato.
“Quindi il capitano Mc Dorian andrà all’Accademia, mentre Alexis rimarrà a Central City?” chiese Elisa, distogliendolo dai suoi pensieri
“Sì – annuì Falman – considerati suoi precedenti, Alexis ha buone possibilità di stare nel settore investigativo”
“E perché lo stesso non è successo anche a te?”
“Perché io sono stato preso subito da Mc Dorian: per quanto abbia un curriculum notevole alle spalle, a molti non va bene che abbia avuto solo una squadra e per giunta per un tempo così lungo. – si alzò a sedere scrollando le spalle – E’ la mentalità dell’esercito: temono che la fedeltà di un uomo resti visceralmente legata alla squadra di vecchia data”
“Ed è così?”
“Io… - Falman esitò, prima di incontrare lo sguardo della moglie – beh, forse non hanno tutti i torti. Io non ho conosciuto altra realtà che lui. In genere, nei primi anni, ai soldati viene fatta cambiare spesso squadra, eccetto casi particolari come è stato per me. Ti confesso che… sono effettivamente restio all’idea di andare sotto gli ordini di un’altra persona che non sia il capitano… o Alexis”
“Credi di aver fatto la scelta giusta nel voler tornare qui ad East City?”
“Sì, su questo ne sono convinto – annuì con decisione – è qui la mia casa, il mio posto originario. E’ qui che devo ricominciare… anche se non so in che modo”
“Potresti lavorare negli archivi dell’esercito, no? – propose la donna – Del resto sei più che qualificato per compiere un simile lavoro”
“Non lo so, amore. Non sono decisioni che dipendono da me. L’unica cosa certa è che dalla settimana prossima, tornerò al Quartier Generale e sarò messo a disposizione.”
L’idea non gli piaceva per nulla, doveva ammetterlo: si sentiva leggermente sperduto a dover in qualche modo ricominciare dall’inizio, senza il sostegno di nessuno. Si rendeva conto che la stragrande maggioranza delle persone del Quartier Generale gli era sconosciuta perché aveva stretto rapporti quasi esclusivamente con la sua squadra.
Però dai, in fondo sono un sergente e ho ventinove anni… dovrei essere in grado di camminare da solo.
 
Stare in piedi da solo non fu un grosso problema per il sergente.
Tornando al Quartier Generale dell’Est si accorse che le attività fremevano e che dunque c’era bisogno anche del suo contributo.
La fine della guerra aveva permesso all’esercito di tornare a prendersi cura dei suoi edifici e delle sue sedi, ampiamente trascurate durante la guerra civile. In particolare ad East City era cambiato lo stato maggiore ed il Quartier Generale era ora in mano al Generale Grumman: per quanto avesse già sentito quel nome, Falman non aveva idea di che cosa potersi aspettare da quell’uomo, tuttavia i suoi provvedimenti per migliorare le condizioni dei militari in città, suscitarono la sua approvazione.
Era metà aprile quando Falman riprese servizio e per i successivi due mesi si trovò a lottare contro anni di incuria e abbandono nell’archivio e nella documentazione generale. Infatti, era stato riconosciuto da una delle impiegate che lavoravano presso l’archivio militare che, ricordandone le particolari abilità, gli aveva immediatamente proposto di collaborare con quel settore per riportare un minimo di ordine.
Fu un lavoro impegnativo e duro, ma tremendamente stimolante per la sua mente e la sua memoria. Tutto quello che gli passava sotto mano veniva accuratamente studiato e trovava il giusto ordine nel labirinto in cui doveva collocare quei tasselli. Rapporti, dossier, semplice documentazione di trasferimenti o chiamate alle armi… tutta la guerra civile stava passando tra le sue mani, con una scia  di ricordi tristi.
Quanti soldati che non ritorneranno a casa? Quante famiglie che piangeranno?
Ishval aveva consumato l’esercito quasi fino allo stremo ed era stato solo con lo sterminio di quel paese che la guerra si era conclusa.
Ordine numero 3066.
Prendendo in mano una delle copie di quell’ordine che era stato diramato in tutte le sedi dell’esercito, Falman si sentì raggelare. Una pagina, una singola pagina di nemmeno venti righe che segnava definitivamente la fine di un popolo.
Il sergente riportò alla memoria la figura del Comandante Supremo, la volta che l’aveva visto nei corridoi di Central City: quell’uomo dalla risata così contagiosa, con quel carisma così evidente…
Sterminio… era davvero necessario tutto questo?
Per la prima volta pensò davvero alla guerra che lui aveva solo sfiorato. Non aveva ancora realizzato fino a che punto lui fosse stato un privilegiato: racconti di morti, di uccisioni, bollettini di soldati che erano vissuti o che erano dispersi… e lo sterminio di un intero paese.
Donne, bambini, vecchi… civili.
Se era terribile pensare alle conseguenze della guerra per l’esercito e per la popolazione delle città e delle campagne, anche solo immaginare l’annientamento volontario di un intero popolo gli appariva inconcepibile.
Ed io che facevo in quei momenti?
Era un semplice foglio di carta con nemmeno venti righe scritte… la copia di un documento che sarebbe di certo divenuto storico data l’importanza della decisione ivi scritta.
A Falman sembrò di tenere in mano la lapide di un intera popolazione.
E’ davvero questo l’esercito in cui ho creduto?
 
Passarono alcuni mesi e, mentre il Quartier Generale tornava alla normalità, lui si rese conto che gli mancava qualcosa. Il lavoro all’archivio era ormai terminato: la documentazione rimessa in ordine e si sentiva fuori posto ad aiutare in quella che era normale amministrazione.
Era da qualche settimana che sentiva il senso d’insoddisfazione crescere dentro di lui: vedeva che gli altri soldati che erano venuti in quella sede senza nessun assegnamento stavano tutti trovando una squadra dove inserirsi, ma per lui si stava verificando quanto aveva predetto.
Era un outsider: il nome di Mc Dorian era marchiato sulla sua persona e nessuno se la sentiva di prenderlo. Anche perché, oggettivamente, era difficile poter collocare un membro del reparto investigativo in squadre normali che di investigazione non si occupavano.
Purtroppo quel tipo di reparto era stato quasi totalmente convogliato a Central City, decidendo che i vari settori si sarebbero occupati autonomamente delle varie questioni criminali: ufficiali di quella specializzazione sarebbero stati inviati solo in caso di reale necessità. Tutto faceva parte della nuova e necessaria riorganizzazione delle forze dopo le perdite della guerra.
E così, spesso e volentieri, Falman passava le sue giornate senza fare nulla di concreto.
“E’ solo una fase, amore: – gli aveva detto Elisa – vedrai che prima o poi qualcuno noterà che uomo di valore sei e ti chiederà di entrare nella sua squadra”
Falman aveva sorriso davanti a quella sicurezza, ma in cuor suo iniziava a temere che la sua carriera militare fosse ad una battuta d’arresto.
E un altro problema sono i miei gradi… ho ventinove anni e sono appena un sergente.
Ecco un’altra conseguenza del reparto investigativo: gli avanzamenti di grado erano decisamente più lenti rispetto ai soldati che facevano normali missioni. Questo perché  si preferiva tenere in qualche modo nascoste e tutelate le persone che operavano in quei settori: gradi troppo alti erano maggiormente individuabili. E poi c’era da dire che in periodo di guerra avanzava di grado chi combatteva nei fronti… era per quello che c’erano ufficiali più giovani di lui ma di grado molto più avanzato.
Diamine… perché mi sembra di essere tornato alle scuole elementari? Solo che… adesso non posso fare a meno di odiare questo isolamento…
 
Fu quindi del tutto impreparato quando una mattina gli venne consegnata una lettera dall’ufficio personale.
Falman guardò con perplessità il suo nome stampato sulla busta: provenendo da un simile ufficio non poteva che essere relativa ad una sua nuova collocazione.
Da una parte sentì una scarica di sollievo, ma dall’altra non poté fare a meno di sentirsi in apprensione.
Era dunque arrivato il momento di voltare davvero le spalle a Mc Dorian e ai suoi otto anni nella sua squadra.
Aprì la busta e spiegò il foglio di semplice carta stampata.
Sergente Vato Falman… ordine di comparsa mercoledì alle 8:30… Tenente Colonnello Roy Mustang.
“Ma che…?”
 
“Proprio non ti capisco, Vato, - disse Elisa quella sera, mentre iniziava a lavare i piatti dopo cena – Credevo che tu desiderassi essere preso in qualche squadra! Questa convocazione invece sembra averti gettato nel panico più totale”
“Panico… non è proprio la parola che userei – rispose Falman, andandole accanto e iniziando ad asciugare le stoviglie appena lavate: dopo i primi giorni di vita assieme si erano accorti che era piacevole collaborare in queste faccende domestiche – E’ che… questa persona…”
“Lo conosci?”
“Non proprio… ma è molto famoso. E’ stato uno degli alchimisti di stato che ha preso parte alla guerra civile… lì ad Ishval”
Tese la mano per prendere il piatto, ma si accorse che Elisa era rimasta immobile, mentre l’acqua continuava a scendere dal rubinetto.
“Eli?” la chiamò Falman
La donna scosse il capo ed una ciocca di capelli castani le cadde sulla fronte
“Li chiamiamo eroi, in città non si fa altro che osannare queste persone… ma non posso dimenticare la faccia che hai fatto il giorno in cui mi hai raccontato di quel documento che dichiarava lo sterminio.  – gli porse quell’ultimo piatto e poi chiuse l’acqua – Vato, noi due abbiamo una visione della guerra molto diversa rispetto alla gente là fuori… io l’ho vissuta nell’ospedale da campo e tu…”
“Io non l’ho vissuta, Elisa. – disse piatto Falman – Non sono mai stato in quei posti a vedere la gente morire: ero qui o a Central a dare la caccia a poche persone… “
“A fermare terroristi o un traffico d’armi che aveva fatto decine e decine di morti, tra cui tuo padre. – lo bloccò lei – Hai reso il paese più sicuro dall’interno e questo vale quanto essere stato in trincea. Vato, guardami! Proprio qui hai una cicatrice lasciata da una pallottola che poteva ucciderti: hai rischiato la vita in ogni missione per migliorare questo paese… perché tu credi sinceramente di poterlo migliorare con il tuo lavoro. E lo fai! Non devi assolutamente sentirti mancante di qualche cosa sia nei miei confronti, sia nei confronti dei soldati che sono stati in trincea”
“E’ questo il punto, Elisa! – esclamò Falman irrigidendosi – Come posso pensare di lavorare con una persona che, a conti fatti, ha seminato morte invece che aiutare a vivere? Tutti guardano Ishval come un nemico, come un paese straniero… ma è stato annesso ad Amestris decine di anni fa. E’ parte del paese… è come aver sterminato noi stessi!”
Elisa rimase ferma per un secondo e poi lo abbracciò
“Io non so perché questo Mustang ti abbia chiamato – ammise – ma so che ho sposato un uomo con ottime capacità di giudizio e una grandissima morale. E sono certa che domani mattina saprai cosa fare”
“Hai così tanta fiducia in me – sorrise tristemente lui, chinandosi a baciarla – a volte non penso di meritarmela”
“Questo lascialo giudicare a me, Vato. Tu domani pensa a giudicare quella persona… e capisci se è davvero lui quello che sei destinato a seguire”
 
Il giorno dopo, mentre camminava per quell’appuntamento, Falman era teso come una corda. Aveva passato la notte a rigirarsi nel letto, chiedendosi come avrebbe fatto ad usare il metro di giudizio giusto con l’alchimista di stato Roy Mustang. Gli erano tornati alla mente tutti i resoconti e le dicerie che circolavano nel quartier generale e che parlavano di una belva con la sua alchimia del fuoco: sembrava che avesse fatto più morti lui di tutti gli altri scesi in campo.
Non posso stare al servizio di un assassino – continuava a ripetersi – Se non me la sentirò, rifiuterò la sua chiamata… dovrebbe essere mio diritto.
Nel frattempo era arrivato in una sorta di salottino creato in una parte particolarmente larga del corridoio. Vide che c’erano altre due persone sedute e si sorprese: allora non era stato il solo ad essere convocato; si trattava di suoi superiori: un maresciallo ed un sergente maggiore.
“Siete qui su convocazione del tenente colonnello Mustang?” chiese mettendosi sull’attenti
“Sì, sergente. – disse quello più tarchiato, dalla corta capigliatura rossa – Maresciallo Heymans Breda e lui è il Sergente Maggiore Jean Havoc”
A sentire quei nomi il cuore di Falman smise di battere per un secondo, mentre capiva che la situazione si faceva più assurda del previsto: quei due non erano soldati qualsiasi.
“Sergente Vato Falman – salutò con rispetto – E’ un onore conoscere due membri della Squadra Falco”
Due membri… ma che dico? Questi sono gli esponenti più importanti di quel corpo d’elite!
“Oh dai, non farci arrossire: – sorrise sfacciatamente il biondo, Havoc – siediti pure assieme a noi”
“Grazie, signore” annuì, sedendosi accanto a loro con un briciolo d’apprensione,
La Squadra Falco… gli sembrava quasi incredibile di aver appena conosciuto due membri di quella leggenda. Quel corpo d’elite aveva praticamente eliminato la guerriglia che devastava le campagne del settore est e circolava voce che il suo capitano si fosse rifiutato di condurre quei soldati ad Ishval, preferendo portarli contro Aerugo. Se una cosa simile era vera…
“Ma che hanno i tuoi capelli?” gli chiese Havoc all’improvviso
Falman si dovette sforzare per apparire impassibile: nessuno, dal periodo scolastico, era stato così indiscreto da fargli osservazioni sui suoi capelli bicolore.
“Sono sempre stati così, signore” si trovò a rispondere con semplicità
“Che? Eh, son ben strani… senza offesa” continuò il biondo fissandolo con curiosità.
Jean Havoc, uno dei migliori cecchini dell’esercito: sapeva che era molto più giovane di lui, aveva circa ventidue anni. Però… c’era qualcosa di strano: dai membri di un corpo d’elite come la Squadra Falco non si aspettava un personaggio di quel tipo. C’era una sfacciataggine palese nei suoi modi di fare, nella sua voce che… non era cattiva, ma semplicemente parte di lui.
Però mi aspettavo una persona più… uhm… matura?
Il maresciallo Breda sembra effettivamente andare più vicino al suo ideale di maturità, sebbene il viso fosse imperscrutabile. Falman si accorse che il rosso lo stava studiando e si irrigidì leggermente: quegli occhi chiari erano molto astuti ed in qualche modo gli ricordavano quelli di Mc Dorian. Se quell’uomo dall’aspetto tozzo era una punta di diamante di un corpo d’elite, voleva dire che aveva una grandissima intelligenza o qualche altra abilità a lui sconosciuta.
Un cecchino d’eccezione ed una mente raffinata… probabilmente si stanno chiedendo cosa ci faccio io tra di loro. E devo dire che la domanda mi pare più che pertinente! Che cosa c’entro io con persone simili?
“Maresciallo Breda, Sergente Maggiore Havoc, Sergente Falman” chiamò una voce che li fece girare.
E Falman vide una ragazza, palesemente giovanissima, dai corti capelli biondi e gli occhi castani… ed il grado di maresciallo.
“Sono il Maresciallo Riza Hawkeye, assistente personale del Tenente Colonnello Roy Mustang. Se volete seguirmi”
Mentre seguivano quella donna per il corridoio, Falman sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena, ma si costrinse ad andare avanti. Con un moto d’orgoglio respinse la paura che aveva dentro di sé, mentre le parole di Elisa gli tornavano alla mente.
Lui non aveva niente di meno rispetto a quelle persone: il capitano Mc Dorian aveva riconosciuto le sue capacità e gli aveva permesso di applicarle come meglio poteva. Insomma, era grazie a lui che si era venuti a capo di molti casi… era inutile negarlo. Potevano anche essere cecchini eccezionali o strateghi di alto livello, ma, in tutta onestà, anche Vato Falman poteva dire la sua per molte cose.
Lo devo a me stesso e a chi ha creduto in me… non devo farmi sminuire.
La donna si fermò e chiese loro di attendere un attimo al di fuori di un ufficio.
Havoc fece un commento riguardante l’identità di quella donna
“La conosce, signore?”
“No, ma è una vera leggenda: ha circa vent’anni, ma è stata uno dei cecchini più forti ad Ishval. Era così brava che l’hanno chiamata dall’Accademia che ancora non aveva terminato il secondo anno” rispose il biondo.
Bene, si trovava ad avere a che fare con tre leggende viventi a cui,ovviamente, andava aggiunto l’alchimista di fuoco. Facendo un rapido calcolo su quanto sapeva anche di Roy Mustang, Falman si sorprese a pensare che lui era il più anziano tra quelle persone.
Si stavano creando dei paradossi assurdi.
Infine la porta si aprì e il maresciallo Hawkeye li fece accomodare in quell’ufficio così grande e così vuoto.
La mente di Falman fece subito un confronto con quello dove aveva lavorato per anni con Mc Dorian: più piccolo, essenziale, con un contatto fianco a fianco quasi obbligatorio. Qui le sei scrivanie erano attaccate tra di loro, ma erano abbastanza ampie perché ci fosse spazio tra i vari occupanti.
Le pareti erano dolorosamente spoglie, se non per qualche schedario solitario: mancava tutta la poderosa documentazione presente nell’ufficio del reparto investigativo.
Qui si lavora d’azione, Vato, non ci vuole molto a capirlo. Perché mi hai convocato, Roy Mustang, che cosa vuoi da uno come me?
Rivolse quella silenziosa domanda alla figura che dava loro le spalle, impegnata com’era a guardare fuori dalla finestra. Capelli neri e fini scendevano alla base del collo, spalle decise su una figura snella ma carica di autorità. Innegabilmente era un uomo portato per il comando.
Dopo qualche secondo l’uomo si voltò a guardare i suoi nuovi sottoposti.
Era molto affascinante, col viso ovale, dalla pelle chiara, incorniciato da quei capelli neri come la notte. Ma furono gli occhi ad imprigionare Falman: erano neri e sottili, ma avevano quel magnetismo rapace che il sergente aveva conosciuto solo in Mc Dorian… ma c’era anche qualcosa di più nell’espressione: Falman la riconobbe come profonda ostinazione.
Quest’uomo ha ucciso centinaia di persone… eppure… chi diavolo sei, Roy Mustang? Perché nonostante tutto mi sento attratto all’idea di essere un tuo uomo?
“Sono il tenente colonnello Roy Mustang – disse l’uomo – e vi ho convocati qui perché ritengo che voi siate le persone giuste per formare il mio team”
Una voce destinata al comando.
Una voce a cui Falman non seppe dire di no.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19. 1909. In desks ***


Capitolo 19.
1909. In desks



 
“Allora, come va con la tua nuova squadra?” chiese Elisa, durante la cena.
Falman si irrigidì leggermente a quella domanda e posò con aria pensosa la forchetta sul piatto.
Fece un rapido riassunto mentale della settimana appena trascorsa e poi disse due sole parole
“E’ strano”
“Strano?” ripeté Elisa, sbattendo gli occhi verdi con perplessità
Il sergente si grattò la testa, cercando di spiegare meglio le sue impressioni dopo quei primi giorni in compagnia della sua nuova squadra, ma la confusione era tale che non riuscì a concludere nulla.
“Dammi ancora qualche giorno di adattamento e cercherò di venirne a capo” disse
“Ma, hanno qualcosa che non va?”
“Non è proprio questo… è che…”
“Sì?” gli fece Elisa, con uno sguardo incuriosito
“Credo che abbiamo tutti qualche difficoltà a relazionarci”
Era strano per lui dire queste cose relativamente a soldati di un certo livello, ma era l’unico modo che aveva di spiegare la situazione di tensione che c’era ogni giorno in quell’ufficio. In genere da delle persone adulte ci si aspetta la maturità per superare questi disagi iniziali, ma effettivamente c’erano dei grossi ostacoli che era difficile oltrepassare.
“Forse state tutti aspettando che uno faccia il primo passo”
“Può darsi…”
“Non lo vuoi fare tu, vero?”
Chissà perché a Falman tornò in mente il primo tragico tentativo di quando aveva voluto fare proprio un primo passo nei confronti dei suoi compagni di scuola. Si immaginò le eventuali reazioni dei suoi neo compagni… specie di Havoc, e scosse il capo con fermezza.
“In questo momento preferisco stare in osservazione. Anche perché sono il minore di grado”
 
La verità era che in ufficio la situazione era decisamente difficile ed in tutto questo lui era l’outsider.
Infatti non gli ci era voluto molto per capire che c’erano due coppie ben affiatate tra di loro: da una parte i due membri della squadra falco, dall’altra Mustang ed il maresciallo Hawkeye. Si capiva perfettamente che tra loro il legame era molto forte e Falman non faticava a capirne il perché: il tenente colonnello ed il maresciallo biondo avevano partecipato entrambi ad Ishval e con molta probabilità si erano già conosciuti in quelle battaglie; lo stesso si poteva dire per Havoc e Breda e la loro permanenza nella squadra falco.
E in tutto questo io sono tagliato fuori…
Questo pensiero lo attanagliò per la centesima volta mentre finiva di redigere alcuni documenti. Con un sospiro tormentò il lato destro del foglio e cercò di esaminare la precaria situazione da tutti i punti di vista possibili.
Innanzitutto analizzò la figura del suo superiore.
Roy Mustang gli aveva fatto una grandissima impressione al primo impatto, ma nei giorni successivi era come se avesse spento quella parte di sé. Stava seduto nella scrivania a leggere il giornale o firmare documenti con aria annoiata: a volte Falman lo sorprendeva a fissare a turno tutti loro, con un misto di curiosità e perplessità.
Del resto ha solo ventiquattro anni. Il titolo di alchimista di stato ed il suo contributo in guerra l’hanno fatto salire di grado molto in fretta… ma, molto probabilmente, non ha mai comandato una squadra. Forse è frenato da questo motivo.
Effettivamente l’alchimista, eccetto i saluti e qualche occasionale richiesta sembrava evitare i rapporti troppo diretti con i tre subordinati che aveva convocato lui stesso.
Il maresciallo Hawkeye era un vero enigma, ancora più del suo superiore. Sempre dritta e rigida, con lo sguardo impassibile, sembrava che fosse lei a dirigere l’ufficio: la sua voce era sempre cortese e pratica mentre dava disposizioni ad inizio giornata. Sembrava che fosse tutto meno che interessata a relazionarsi con le altre persone, ad esclusione del tenente colonnello. Si vedeva che con lui c’era un intesa, probabilmente dovuta all’aver lavorato insieme in guerra: sembrava conoscere qualsiasi sfumatura dell’alchimista e agire di conseguenza.
Spostando lo sguardo alle scrivanie davanti a lui, Falman si soffermò a riflettere su quelli che, in teoria, avrebbero dovuto essere i suoi compagni più vicini.
Erano molto silenziosi, ma si capiva che stavano tenendo a freno la loro vera personalità in quella prima fase di studio. Facevano il loro lavoro con efficienza, dimostrando di essere esperti anche nella parte amministrativa oltre che quella d’azione. Havoc sembrava quello più propenso al dialogo, almeno a giudicare dalla faccia, ma raramente gli aveva detto qualcosa che andasse oltre il saluto… ed inoltre fumava parecchio. Si vedeva che era dipendente da quel vizio: il giorno dopo la formazione della squadra il maresciallo Hawkeye gli aveva gentilmente fatto notare che non avrebbe dovuto fumare dato che c’erano anche altri soldati… ma dopo qualche ora di tregua si era notato un netto nervosismo nella persona del sergente maggiore, tanto che il giorno dopo nessuno aveva fatto più commenti sulla sua sigaretta perennemente accesa.
Tuttavia, se Havoc era quello che poteva dimostrarsi più propenso al dialogo, sembrava bloccato dal suo compagno, come se ne aspettasse l’autorizzazione. Si vedeva che il maresciallo Breda era meno propenso a dare confidenza alle persone e di certo voleva essere sicuro di aver ben compreso i suoi nuovi colleghi prima di consentire qualche sprazzo di amicizia. Falman lo classificò come persona estremamente selettiva.
Ma sicuramente è conseguenza di aver fatto parte di un corpo elitario. E guarda soprattutto me perché in teoria sono io che sto rimpiazzando gli altri suoi commilitoni.
Già… e lui stesso? Elisa gli aveva chiesto come mai non faceva lui la prima mossa. Si era rifugiato dietro la scusa che, essendo il più basso di grado, non era appropriato, ma la verità era un’altra. In quelle persone aveva ricercato la sua vecchia squadra e non l’aveva per niente trovata. Provava una forte nostalgia per la solida amicizia con Alexis ed il bellissimo rapporto che aveva instaurato con lui sin dal primo giorno. Sentiva la mancanza di Miran, per quanto con lei avesse collaborato di meno, prima che gli eventi della guerra li separassero per sempre…
Ma soprattutto mi manca il capitano Mc Dorian… queste persone non riescono a farmi sentire accettato come nella mia vecchia squadra. La verità è che nessuno di noi sa cosa vuole dall’altro.
Come potevano anche solo sperare di rompere il ghiaccio in questo modo?
 
Forse fu quella situazione di silenzio forzato a stimolarlo, ma in quel periodo si accorse di essere di nuovo ossessionato dal dover leggere qualcosa. Anche nei momenti di pausa non sentiva la necessità di andare a prendersi un caffè o di fare un giro: preferiva restare nella sua scrivania a leggere.
Ma non erano libri l’oggetto della sua lettura, erano i dossier.
La mattina andava all’archivio, ne prendeva alcuni e se li portava dietro per poterli consultare durante i momenti di pausa: la sua mente compensava la mancanza di dialogo con quelle informazioni scritte, tornando a memorizzare con quella che si poteva definire ferocia.
Per quanto fosse in qualche modo contento di riprendere un’abitudine che tutto sommato gli infondeva sicurezza, dall’altra non poteva fare a meno di provare delusione. Le sue aspettative stavano venendo deluse giorno dopo giorno, anche se, a fare un esame di coscienza, lui era il primo a non fare nulla per cambiare le cose.
Ero troppo dipendente dalla mia vecchia squadra…
 
Ma fu inaspettatamente la sua memoria ad aiutare la sua squadra a fare un primo passo in avanti.
“Scusa, Breda, fai un po’ vedere il tuo rapporto…” disse Havoc, una mattina
Il rosso senza dire nulla passò il mucchio di fogli al suo vicino di scrivania… già persino nelle scrivanie erano tutti separati: Havoc e Breda erano vicini; il maresciallo Hawkeye stava di fronte a Breda, mentre Falman si trovava lontano da tutti… in teoria avrebbe dovuto occupare la scrivania davanti ad Havoc e affianco alla donna, ma chissà perché il primo giorno si era seduto in quella all’estremità.
Altro chiaro segnale di come si sentisse escluso.
“No… qui c’è qualcosa che non torna – borbottò il biondo – ho dati completamente diversi…”
“Che?” si sorprese Breda
“Controlla pure. Non credo sia possibile venire a capo… Maresciallo Hawkeye, anche lei ha dati differenti?”
La donna si alzò dalla scrivania e andò verso di loro, facendo un confronto con i fogli che aveva in mano e la sua aria di disapprovazione mostrò che decisamente qualcosa non tornava.
Falman guardò la sua parte di rapporto, infatti stavano lavorando tutti allo stesso caso, sebbene a sezioni diverse. Il fatto che ci fosse questa differenza di dati non lo sorprendeva del tutto: diversa documentazione era stata ricopiata da atti molto rovinati dalla cattiva conservazione durante la guerra e spesso c’erano incongruenze… A dire il vero il suo lavoro non gli era sembrato difficile, ma questo perché lui sapeva cosa e come poteva essere sbagliato: gli era quasi istintivo correggere gli errori.
“Falman, - lo chiamò il maresciallo Breda – anche tu hai difficoltà? Se è sbagliato anche il tuo non vale la pena che continui a lavorare”
“Che? – mormorò lui, sorpreso di essere stato chiamato in causa – Oh no, signore, non si preoccupi. Io ho già corretto le mie parti”
“Cosa?” sgranò gli occhi Havoc
“Sì…” balbettò Falman, arrossendo lievemente. Nella vecchia squadra era una dote che ormai tutti davano per scontata: non si era affatto preoccupato che persone estranee ne potessero essere sorprese
“Ma come hai fatto? – chiese il maresciallo Hawkeye, accostandosi a lui e guardando meravigliata i fogli – I dati che abbiamo…”
“Oh, i refusi sono perfettamente individuabili, signora. – spiegò Falman – In primis questi codici hanno le ultime due cifre sbagliate, perché si sta parlando dell’anno scorso… quest’abbreviazione invece è sicuramente riferita alla sezione del Primo battaglione e non al terzo come c’è scritto qui, perché il settore a cui si riferisce il rapporto era sotto la giurisdizione…”
Iniziò a dilungarsi in una sequela di informazioni, continuando a guardare il foglio e preoccupandosi di indicare i punti di volta in volta spiegati. Così facendo non si accorse che gli si erano avvicinati anche Havoc, Breda e lo stesso Mustang.
“… e quindi si può tranquillamente risalire… oh…” alla fine, quando alzò lo sguardo verso il maresciallo Hawkeye, si accorse che il suo pubblico era notevolmente aumentato. Rimase in silenzio, riportando lo sguardo sulla scrivania.
“E così, - disse Mustang con quella che Falman interpretò come soddisfazione – quello che si diceva di te era vero, sergente Falman”
“Signore?”
“Correva voce che un ex membro del reparto investigativo fosse qui al Quartier Generale dell’Est e non a Central City… ma quando ho letto la tua scheda, beh, hai doti di cui si fatica a credere, Falman. Ma oggi me ne hai dato ampia dimostrazione: con un problema del genere si resterebbe fermi per giorni”
“Reparto investigativo?” chiese Havoc
“Sì, sergente maggiore, – annuì Mustang – il nostro Falman non ha mai visto un campo di battaglia, ma ti assicuro che anche lui ha un po’ di storie da raccontare: devo dire che la lettura del tuo fascicolo è stata davvero interessante”
Falman annuì non sapendo cosa dire: era imbarazzato dal fatto di trovarsi improvvisamente al centro dell’attenzione. Per fortuna ci pensò il maresciallo Hawkeye a spezzare quel momento di stallo.
“Ottimo! Allora, Falman, spostati nella scrivania vicino alla mia, così siamo tutti e quattro vicini: aiutaci a capire quali sono i refusi di questo rapporto; perderemo meno tempo del previsto”
“Va bene, signora” disse Falman, vedendo che la donna aveva già preso la sua documentazione e la stava spostando nella scrivania vuota accanto alla sua.
Poi non ebbe più tempo di dire altro perché il lavoro li assorbì completamente.
Ma si rese conto che i suoi compagni erano molto svegli: bastava che spiegasse loro le cose una volta ed erano perfettamente in grado di gestire il problema. In particolare notò che Breda gli lanciava occhiate interessate, come se finalmente avesse capito qualcosa di lui che per tutto quel tempo gli era stata oscura.
Ma in ogni caso, per la prima volta, sentì che c’era un minimo di collaborazione tra tutti loro.
 
“Sei felice” dichiarò quella sera Elisa, quando erano già a letto
“Eh?”
“Sì, tu sei felice – annuì la donna, andando a sdraiarsi sopra di lui – e questo vuol dire che ti è successo qualcosa di bello in ufficio e non me l’hai ancora detto”
“A dire il vero non è che sia successo qualcosa di particolare – disse Falman, prendendole il viso tra le mani e seguendone i contorni – il solito lavoro d’ufficio”
“Oh, andiamo Vato! – sospirò lei – Sono almeno due settimane che non ti vedevo così tranquillo e felice. Ti conosco da sempre… non pensi che meriti di sapere cosa sia successo?”
“Niente. Ho lavorato con i miei compagni e…”
“Fermo! – disse lei, mettendogli una mano in bocca – Hai appena detto compagni.”
“E quindi…?” chiese lui librandosi da quella presa. Quando Elisa si comportava in quel modo adolescenziale oscillava tra l’affascinante e l’esasperante
“Tesoro! Non li avevi mai chiamati così! Ti rendi conto? Significa che finalmente state riuscendo ad interagire tra di voi… è meraviglioso”
“Beh sì. Abbiamo lavorato insieme e non è stato così male…”
“Lo sapevo, era solo questione di tempo! Voi uomini a volte vi mettete in difficoltà da soli, sono sicura che è stata quella donna, il maresciallo Hawkeye a fare la prima mossa”
…Falman, spostati nella scrivania vicino alla mia, così siamo tutti e quattro vicini…
Effettivamente Elisa ci aveva preso in pieno. Forse le donne possedevano davvero un sesto senso per risolvere determinate situazioni.
“Va bene – disse, abbracciando la moglie – te lo concedo: sono felice”
 
Il giorno successivo, quando aprì la porta dell’ufficio, fu sorpreso di trovarci solo il maresciallo Hawkeye.
“Buongiorno, signora” salutò educatamente
“Buongiorno Falman” rispose lei
“Il tenente colonnello oggi non viene?”
“No, è stato chiamato dal Generale Grumman e verrà in ufficio quando potrà”
“Capisco…” annuì il sergente, andando verso la sua solita scrivania. Mise la mano sulla spalliera della sedia e poi lanciò uno sguardo verso la donna. Anche lei si soffermò a guardarlo con quella che si poteva definire indecisione.
“Ecco… io…”
“Falman, perché non ti siedi accanto a me, come ieri? Del resto, non ha molto senso essere nella stessa squadra se poi creiamo da soli divisioni simili”
Un’ondata di sollievo e di gratitudine travolse il sergente mentre si spostava nella scrivania più vicina alla donna. Aveva temuto che lo sprazzo di complicità che avevano ottenuto ieri fosse stato un episodio a se stante, ma a quanto sembrava c’era chi, come lui, sentiva che qualcosa non stava andando.
Ora che erano soli sembrava che la donna fosse un attimo più sciolta rispetto al solito atteggiamento rigido che manteneva sempre.
Se non erro ha una ventina d’anni… non dev’essere facile per lei avere il comando di persone come noi.
“Maresciallo Hawkeye”
“Sì?”
“Se c’è qualche problema con i rapporti o qualcosa di simile… io sono a completa disposizione, non ha che da chiedere. Nella mia vecchia squadra ero io che mi occupavo sempre di queste cose”
“Il tenente colonnello ieri ha parlato di tue grandi doti – sorrise lei – ma non è stato molto specifico. Potresti spiegarti meglio?”
Falman esitò per qualche secondo, ma poi vide che la donna aveva nella sua scrivania il rapporto stilato il giorno prima.
“Apra una pagina a caso – disse – e inizi a leggere, non necessariamente a inizio foglio o inizio frase…”
Il maresciallo lo guardò con perplessità per qualche secondo, probabilmente chiedendosi se si trattasse di uno scherzo. Poi aprì il dossier in una pagina a caso e disse.
“… condotte nel settore del terzo battaglione, hanno rivelato che la mancanza…
“… la mancanza di strutture adeguate – continuò Falman - ha impedito al personale di adempiere ai compiti che gli erano stati preposti. E’ stata dunque fatta richiesta, si veda a riguardo il protocollo 425, affinché venissero condotte delle indagini a proposito della sparizione di materiale dai magazzini dell’esercito…. E’ questa una delle doti di cui parlava il tenente colonnello Mustang, signora. Io mi ricordo tutto quello che leggo”
Lo disse con voce neutra, ma in cuor suo nutriva un certo timore. Per Alexis ed il capitano Mc Dorian questa sua dote non aveva mai costituito motivo di sorpresa, se non i primissimi giorni; ma adesso aveva la strana paura di poter essere visto come una sorta di fenomeno da baraccone.
Da bambino sapeva di essere differente dagli altri, eppure non si era mai fatto problemi simili… forse perché gli bastava la comprensione e l’amicizia di Elisa. Ma nell’esercito e nella nuova squadra che, inevitabilmente, avrebbe fatto della sua vita, gli premeva di essere accettato con una relativa normalità.
Per questo incontrò con molto timore, misto ad aspettativa, lo sguardo del maresciallo Hawkeye.
La ragazza lo fissava con quella che si poteva definire sorpresa, ma poi sorrise con comprensione.
“Il tenente colonnello Mustang vi ha scelto per un determinato motivo, Falman. Questa tua dote è certamente eccezionale, e se vorrai aiutarci con questa documentazione ne sarò più che felice, ma non cadere in errore: il nostro superiore ha guardato anche… anzi soprattutto altro, quando ha scelto voi tre”
“E cosa…”
“Questo dovrete scoprirlo da soli” scosse il capo lei, con un sorriso che si poteva dire divertito.
Falman non capì, non poteva capire.
Ma intuiva che la situazione stava diventando interessante.
E soprattutto non c’erano più scrivanie di divisione, almeno tra lui e il maresciallo Hawkeye.
 




____________________
nda.
Scusate il ritardo con questo aggiornamento, ma word qualche giorno fa ha fatto lo scherzetto di non salvarmi le prime pagine di questo capitolo che avevo già buttato giù e quindi sono dovuta ripartire dall'inizio -.-

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Capitolo 21
*** Capitolo 20. 1909. Observation and strategy. ***


Capitolo 20.
1909. Observation and strategy.

 



La mattina successiva il suo avvicinamento al maresciallo Hawkeye, Falman notò qualcosa di strano nel tenente colonnello Mustang: se ne stava fermo nella sua scrivania, senza l’aria annoiata che aveva imparato ad attribuirgli, gli occhi erano desti e vigili e al sergente sembrava quasi di vedere i fumi uscire dalla sua testa.
Per quanto questo cambiamento fosse palese a tutti, nemmeno il maresciallo Hawkeye sembrava farci caso: anzi era ostinatamente china sul suo lavoro, come se fosse consapevole che il cervello del suo superiore dovesse fare tutto da solo.
Ritornando anche lui ad occuparsi dei suoi documenti, Falman iniziò a riflettere che forse la situazione in ufficio stava per fare un ulteriore passo in avanti e…
“Falman, Breda, venite qui, voglio parlarvi” chiamò Mustang all’improvviso.
L’ordine sembrò spiazzare entrambi gli interessati che, dopo essersi scambiati una rapida occhiata, come a chiedersi: tu sai di che vuole parlarci?, si alzarono dai rispettivi posti per andare davanti alla scrivania del loro superiore.
Mustang li squadrò entrambi, come se stesse valutando le parole da dire.
“Abbiamo un compito da svolgere – disse infine, con voce neutra – e, prima di tutto, ho bisogno del lavoro di voi due in particolare. E’ una questione che richiede uno studio perfetto, in modo che l’azione possa essere svolta con efficienza e massima rapidità, con il rischio ridotto al minimo, mi sono spiegato?”
“Sissignore!” esclamarono i due soldati.
Dal lieve crepitio nella voce di entrambi si capiva che erano ansiosi di uscire dallo stato di relativa inerzia e occuparsi finalmente di qualcosa di nuovo.
Siamo soldati d’eccezione, - pensò Falman, scoprendosi carico d’adrenalina – non siamo fatti per marcire in un ufficio con banale documentazione.
“Havoc, maresciallo Hawkeye – continuò Mustang – massimo una settimana di tempo e passeremo all’azione: ci sarà bisogno della vostra mira e anche di un determinato sincrono tra di voi… potete farlo?”
Falman con la coda dell’occhio sbirciò l’occhiata che i due soldati, esperti cecchini, si lanciarono: sembravano due rapaci pronti a contendersi la stessa preda.
“Sissignore!” la loro risposta fu rapida e concisa, ma il sergente capì che tra loro doveva per forza nascere un’intesa.
I cecchini anche quando sono in squadra lavorano come singoli… sarà un bell’impegno per loro. Mi chiedo se il tenente colonnello sia consapevole di quanto ha appena chiesto loro, sapendo che non si conoscono nemmeno tanto bene.
“Tornando a voi due, - riprese Mustang, rivolgendosi a Breda e Falman – ho bisogno che lavoriate assieme: Falman tu hai un grandissimo spirito d’osservazione e una grandissima memoria, mentre tu, Breda, sei un’eccellente stratega. Unite queste vostre qualità e datemi il meglio di voi”
“Che dovremo fare, signore?” chiese il maresciallo, mettendosi a braccia conserte… la prima volta che Falman lo vedeva uscire dall’atteggiamento composto.
“Il Generale Grumman mi ha affidato un incarico speciale: negli ultimi rapporti che avete letto si evidenza la sparizione di materiale dai magazzini dell’esercito”
“Sciacallaggio post guerra: – si intromise Havoc – sicuramente qualche gruppo di soldati privo di scrupoli”
Ma Falman scosse il capo: la sua mente era abituata al modo di pensare del reparto investigativo che sapeva uscire al di fuori dell’esercito stesso.
“Falman?” chiese Mustang
“Una componente dell’esercito è certamente presente, – disse il sergente – ma per il trasporto, la contraffazione e lo smercio del materiale hanno bisogno di appoggi. Organizzazione clandestina… considerata la tipologia dei materiali che è stata sottratta ai magazzini direi che abbiamo a che fare con persone di Amestris, senza alcun intervento dei nostri nemici storici. Dato il quantitativo portato via di volta in volta, se i rapporti che abbiamo letto sono completi, ipotizzerei almeno una quindicina di soldati e altrettanti componenti esterni. Pare un caso circoscritto alla sola East City, quindi una trentina di persone è il numero più probabile”
Nella squadra di Mc Dorian una simile analisi non avrebbe suscitato altro che un cenno d’approvazione, ma in questo caso Falman si accorse di avere lo sguardo di tutti puntato addosso. Breda in particolare sembrava guardarlo con aria di sfastidiata sorpresa.
“E’… è una tipologia di organizzazione con cui mi è capitato di avere a che fare…” balbettò Falman quasi in tono di scusa
“Non credo che tu mi debba spiegazioni, Falman. – disse Mustang – Del resto ti ho scelto per le tue indubbie capacità: molti fanno l’errore grossolano di discriminare il reparto investigativo, io no”
“E da un ex componente della Squadra Falco che si aspetta, signore?” chiese Breda
“Che mi organizzi un piano degno di questo nome. Voi due andrete in ricognizione sia nei magazzini dove sono avvenuti i furti, sia in città… Falman, tu se hai avuto a che fare con casi simili saprai come muoverti. Ed inoltre hai vissuto ad East City la maggior parte della tua vita. Individuatemi dei punti chiave… Breda, tu sei esperto di strategia e la devi applicare allo spazio cittadino. Tieni conto che siamo solo in cinque a dover operare: non voglio altre intromissioni”
“Capito, signore” annuì il maresciallo rosso
“Io svolgerò alcune indagini per conto mio, – annunciò Mustang – ma tra tre giorni dobbiamo mettere assieme i pezzi di questa prima fase. So che non sono nemmeno venti giorni che lavoriamo assieme, ma ho bisogno che troviate tra di voi l’affiatamento giusto. E’ il momento di dimostrare quanto valiamo”
“Sissignore!”
 
Ricognizione.
Ne aveva fatte decine e decine durante la sua carriera con Mc Dorian.
Erano sempre lui ed Alexis ad andare e l’affiatamento che avevano sviluppato era talmente forte che sapevano lavorare senza intralciarsi l’uno con l’altro.
La ricognizione con Breda gli pareva un’esperienza surreale, non tanto per l’operazione in sé, quanto per la tensione che sentiva in tutta la sua persona. Infatti negli ultimi giorni aveva capito una cosa fondamentale: lui e Breda erano le menti del gruppo, al contrario di Havoc e del maresciallo Hawkeye che propendevano per l’azione.
E così, mentre prima aveva individuato due coppie affiatate, ritrovandosi a fare l’outsider, adesso aveva scoperto che c’erano altre due coppie, questa volta rivali. Da una parte Havoc e l’assistente del tenente colonnello, dall’altra lui e Breda.
Non sapeva se Mustang ne fosse consapevole e li avesse messi di fronte a questa sorta di collaborazione forzata per farli venire a patti, ma Falman intuiva che questa loro prima missione era il banco di prova: o la squadra funzionava o andava tutto a rotoli.
Da parte sua, se doveva essere sincero, non sentiva tutto quell’antagonismo.
Stratega: persona capace di disporre ogni cosa in vista del raggiungimento di una meta. Possibile che Breda non si renda conto che ha delle competenze completamente diverse dalle mie?
Falman lanciò un’occhiata al maresciallo rosso, che si guardava intorno nel magazzino, con aria distratta.
No, non erano ancora arrivati ad un chiara definizione dei ruoli.
“Vieni qui, sergente” lo chiamò Breda
“Signore?”
“Direi che qui abbiamo finito: ho ricontrollato di nuovo l’elenco dei pezzi che ci servono e possiamo confermare tutto. – disse il rosso con voce tranquilla, ricontrollando i fogli che aveva in mano, dove in realtà non c’era scritto nulla – Appena possiamo lo stiliamo con il modulo ufficiale e lo facciamo firmare al nostro superiore.”
Falman lo guardò perplesso, ma  Breda gli diede una pacca sulle spalle e aggiunse
“Lo so, sergente, anche a me piacerebbe prolungare questa pausa da quelle noiosissime relazioni, ma dobbiamo tornare a lavoro”
Falman annuì e seguì il suo superiore fuori dai magazzini: non disse una parola, aspettando che fosse Breda a dargli le dovute spiegazioni. Tuttavia dopo qualche minuto di silenzio iniziò a spazientirsi
“Maresciallo Breda…” iniziò
“Secondo te quante delle persone lì presenti facevano parte della banda?” chiese il rosso continuando a guardare davanti a sé.
Falman rimase paralizzato a quella domanda e si fermò nel corridoio.
Persone… oh cavolo!
Quello era un particolare a cui non aveva proprio fatto caso: nelle sue ricognizioni aveva sempre un mandato e dunque non si era mai preoccupato delle persone presenti o meno. Si sentì profondamente imbarazzato per quell’errore così grossolano che poteva costare la missione.
Adesso mi considererà un imbecille… e avrebbe anche ragione.
“Non ti preoccupare, – sospirò Breda – ti sei mosso con disinvoltura tale che sembravi solo profondamente incuriosito da quell’ambiente. E considerato il tuo grado di sergente e quindi di relativo novellino, nessuno ci avrà fatto caso”
“Mi scusi, signore, ho commesso un’ingenuità” disse Falman contrito.
“Mhpf… non fa male essere ridimensionati ogni tanto”
“Non ho mai voluto…”
“Stavo scherzando, Falman”
Ma il sergente non poté fare a meno di chiedersi se era vero.
“Abbiamo bisogno di un posto sicuro dove poter lavorare: – riprese Breda – so per esperienza che muri e uffici possono avere orecchie ben tese. Suggerimenti, dato che conosci East City meglio di me?”
“Casa mia…?” si trovò a proporre Falman
“Ah, non stai nei dormitori?”
“No… a dire il vero io sono sposato e vivo con…”
“Sposato” Breda disse quella parola con un briciolo di sorpresa, come se Falman fosse l’ultima persona che avrebbe ritenuto adatta al matrimonio
“Sì, signore…”
Il maresciallo rosso si passò la mano sui capelli, come se stesse riflettendo su quell’offerta.
Beh, sì, capisco che un invito a casa si fa ad amici e non certo a persone che non si conoscono ancora bene… però che altro posso offrigli? Se vuole la massima discrezione, casa mia è il posto più indicato.
“Va bene… - disse infine Breda – a tua moglie seccherà molto se porti un collega a cena?”
“No, stia tranquillo signore”
 
“Eli, sono a casa; – chiamò Falman aprendo la porta e facendo entrare Breda – Stasera abbiamo…”
“Vato! – rispose la voce di Elisa dalla cucina – Tu non puoi capire il disastro che sta succedendo in cucina! Ma perché! Perché?!”
Falman impallidì, ricordandosi solo in quel momento che Elisa era in periodo di sperimentazione culinaria. La mancanza di lavoro l’aveva spinta a trovare altri modi di occupare il tempo, ed ultimamente si era lanciata nel mondo delle pietanze. Non che non sapesse cucinare, tutt’altro… solo che al posto dei soliti piatti, spesso decideva di lanciarsi in esperimenti. A volte con ottimi risultati, altre volte meno.
“Va… va tutto bene?” chiese il sergente mentre vedeva lo sguardo divertito di Breda
Tuttavia gli rispose un clangore di stoviglie cadute
“Ti serve una mano?”
“Magari!”
“Mi scusi, signore – disse il sergente – si accomodi pure sul divano… io devo…”
“Vato!” chiamò la voce dalla cucina con un tono disperato
Falman non poté far altro che accorrere in soccorso della sua cuoca provetta. Come entrò in cucina gli sembrò di essere in un campo di battaglia, dove l’impavida eroina cercava di averla vinta su cose misteriose che bollivano e facevano strani rumori. Il tavolo ed i fornelli erano invasi da stranissimi impasti ed ingredienti sparsi.
“Eli… - balbettò Falman – che… che diamine è quella cosa che sta palesemente per esplodere se non la levi dal fuoco?”
“Ho il terrore di avvicinarmi! – esclamò la donna tormentando il grembiule con le mani – Giuro che non doveva gonfiarsi in quel modo… e così rapidamente poi!”
“Va bene…” annuì il soldato facendosi coraggio e avanzando verso il nemico. Prese un paio di presine dal tavolo e si diresse verso quella casseruola dove una strana forma di vita si ribellava e sembrava pronta ad attaccare chiunque si fosse avvicinato.
“Oddio, amore, fai attenzione!” mormorò Elisa, dietro di lui
“Fai spazio nel tavolo!” ordinò lui, avvicinandosi con cautela ai fornelli. Trattenne il fiato per due secondi e poi con una mossa rapida prese la casseruola per i manici, ignorando il rumore inquietante della cosa che vi stava dentro e la portò sopra il tavolo.
Con una mossa degna di un soldato di trincea, afferrò Elisa e la portò a distanza di sicurezza.
Insieme guardarono quella strana massa dorata calmarsi e poi afflosciarsi clamorosamente su sé stessa.
“Oh no! – esclamò Elisa – Si è sgonfiato… che delusione!”
Con aria rassegnata si avvicinò alla defunta pietanza e la pizzicò con una forchetta, causandone il definitivo afflosciamento.
“Che… che diamine era?”
“Soufflé al formaggio… mi ero fatta dare la ricetta da tua madre, ma…”
Falman guardò quella cosa che assomigliava a tutto meno che alla pietanza cucinata da sua madre. Si grattò la nuca con imbarazzo, non sapendo cosa dire.
“Ed io che volevo farti una sorpresa” sospirò la ragazza
“Oh, amore, apprezzo tantissimo… – la abbracciò Falman – però dimmi che per cena hai preparato anche altro, ti prego”
“Beh, qualcosa mi tocca ad arrangiarla, no?”
“Eli” mormorò Falman tenendola ancora stretta
“Sì?”
“Lo so che forse è la serata peggiore che potevo scegliere… ma se ti dicessi che abbiamo un ospite a cena?”
Elisa si staccò da lui e lo fissò con allucinata sorpresa, come a chiedergli: un ospite stasera dopo tutto questo disastro? Ma quell’espressione durò solo un secondo.
“Ceniamo in salone! – ordinò – Servizio buono, non ti preoccupare, penso a tutto io! Dammi venti minuti e vedrai che tiro fuori una cena che il nostro ospite non si dimenticherà! A proposito, chi è?”
“E’ un mio compagno di squadra – rispose Falman – il maresciallo Breda. Dopo dovremmo lavorare ad una cosa…”
“No!”
“Che?”
“Io… come faccio a passare dalla cucina al bagno per andare a lavarmi da questo disastro se lui è in salotto?”
 
Nonostante quel piccolo incidente di percorso, Elisa si dimostrò un’ottima padrona di casa.
Nell’arco di mezz’ora riuscì a trasformare uno dei suoi fallimenti culinari più clamorosi in una cena ottima e abbondante.
Certo, era stata una scena notevole quando era uscita dalla cucina con tutta la disinvoltura possibile, cercando di non fare caso alle macchie d’impasto sul suo grembiule, sui vestiti e sui capelli, e si era presentata al maresciallo.
"Mi scusi se non le do la mano adesso, ma come vede le mie condizioni non sono proprio eccellenti."
"Oh, non si preoccupi signora! – aveva risposto Breda, in un misto di imbarazzo e divertimento – Mi dispiace piuttosto di essere capitato così all’improvviso e…"
"Non dica così! Si accomodi pure con mio marito e lasci fare tutto a me! Nonostante le apparenze sono un’ottima cuoca! Andiamo Vato, servi un aperitivo al tuo collega… adesso mi scusi, signore, io vado a sistemarmi e poi vi preparo la cena."
 
“Originale tua moglie” commentò Breda, quando rimasero soli nel tavolo del salotto ormai sparecchiato.
“Originale… beh, sì, effettivamente Elisa è fuori dal comune” ammise Falman con un sorriso, mentre sistemava sul tavolo delle piantine di East City che si era procurato.
“E così è stata all’ospedale da campo nel confine con Aerugo… chissà, magari ci siamo anche visti, qualche volta.”
“E’ stato ferito in guerra, signore?”
“Quando prestava servizio lei, no… o almeno niente di grave: qualche escoriazione, ma niente che un cerotto messo al volo non potesse rimediare. La ferita grave la ricevetti nemmeno cinque mesi fa quando la guerra civile era ormai finita da tempo. Schegge di granata su tutto il fianco… mi davano per spacciato, nonostante gli organi non fossero stati colpiti”
Falman si irrigidì nel comprendere la gravità della ferita che aveva subito Breda. Le schegge di granata erano tra le cause di morte più frequenti in trincea, come gli aveva spiegato Elisa, perché si infettavano con molta facilità. Il fatto che Breda, dopo nemmeno cinque mesi, fosse di nuovo in piena attività confermava quanto fosse eccezionale come soldato… anche se, con molta probabilità, era stato in parte protetto dalla sua robustezza.
“Posso chiederle – iniziò Falman – come si è salvato…?”
“Hai presente quell’incallito fumatore biondo che mi sta accanto a lavoro? Beh, ha minacciato i medici con una pistola e sono stato trasferito nel più vicino ospedale cittadino… Havoc ha tra le sue caratteristiche uno spirito di persuasione molto diretto”
“Lo conosce da tempo?”
“Dall’Accademia Militare” disse piatto Breda, facendo capire che preferiva che non si andasse oltre con quei discorsi che, evidentemente, riguardavano un’amicizia molto stretta.
Falman si limitò ad annuire, concentrandosi sulle mappe.
“Hai mai partecipato ad azioni armate, sergente?” chiese Breda dopo qualche secondo
“Sì, signore… io… sono un soldato come lei”
“Non era per offenderti, – scosse il capo il rosso – ma per tirare fuori un piano decente voglio sapere fino a che punto posso utilizzare anche la tua persona. Se il tenente colonnello vuole che operiamo solo noi cinque, devo calcolare tutto quanto. Purtroppo non ho molta dimestichezza con il lavoro del reparto investigativo e non conosco le tipologie di missione da voi effettuate. Siete sempre stati l’incognita dell’esercito”
“Le parti d’azione non sono molto dissimili da quelle che farebbe un corpo speciale in un agguato. – disse Falman dopo qualche esitazione, cercando di venire incontro alla richiesta di Breda – Calcoliamo rischi e possibilità e poi passiamo all’azione: il mio precedente superiore era particolarmente predisposto a lanciarsi nella mischia” sorrise pensando a Mc Dorian
“E tu, invece?”
“Ecco, io in genere fungevo da copertura, anche se in casi eccezionali mi è capitato di essere… uhm… protagonista di alcune sparatorie. Ma tutto contro la mia volontà”
La sua mano andò istintivamente alla spalla destra dove c’era la cicatrice di quella pallottola. Se ne dimenticava per mesi e mesi, ma ogni tanto il ricordo di Leon e di quella folle notte gli tornava alla mente.
“Sei stato fortunato: – commentò Breda, notando il gesto – in quella parte non ci sono organi vitali”
“Mi ha sparato a venti centimetri di distanza… - mormorò Falman a sguardo basso – e, sì, sono stato fortunato, considerando che nemmeno un minuto prima quella stessa pistola era puntata sulla mia fronte”
“Bel botto, sergente – annuì il maresciallo – Ti devo confessare che sei una continua scoperta: ti ritenevo il classico uomo della memoria, ed invece hai doti ed esperienze notevoli”
“Ma tra queste doti non rientra quella di essere uno stratega” dichiarò Falman alzando la testa e fissando Breda con quella che poteva definirsi sfida. Il maresciallo resse lo sguardo senza alcun problema
“Non fraintendermi, Falman, – replicò – non ho mai messo in dubbio il fatto che tra noi due, lo stratega fossi io: hai determinati atteggiamenti che fanno capire come tu sia un fine osservatore e abbia ottima intuizione. Ma la strategia, sergente, è ben altro… fidati di me” concluse la frase con un sorriso sarcastico… niente di veramente rivolto contro Falman.
No, è semplicemente parte della sua personalità.
“Crede che osservazione e strategia possano creare qualcosa di interessante?” chiese Falman
“E’ quello che intendo scoprire stanotte. Adesso inizia ad espormi filo per segno quello che hai notato in quel magazzino”
E andarono avanti per molte ore.

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Capitolo 22
*** Capitolo 21. 1909. An odd couple. ***


Capitolo 21.
1909. An odd couple

 


Nei tre giorni che passò a lavorare con Breda, Falman si accorse di avere a che fare con un compagno d’eccezione la cui mente era davvero brillante. Nonostante fosse poco pratico di East City, il maresciallo dimostrò uno spirito di adattamento che poche persone possedevano e nell’arco di poche ore era in grado di muoversi con la stessa disinvoltura di uno nato e vissuto nella città.
Falman notò che il rosso possedeva un particolare orecchio per il modo di parlare. Nonostante provenisse da un paese di campagna e dunque avesse un accento ed una pronuncia più marcate, riusciva ad annullarle completamente per scivolare nella cadenza cittadina senza alcuna difficoltà.
Quando gli fece notare questa cosa, Breda si limitò ad alzare le spalle e dire.
“E’ una dote che possiedo da sempre: ho un orecchio molto sensibile. Chissà, se non fossi entrato nell’esercito avrei avuto un futuro come musicista”
Già… al secondo giorno Breda si era aperto abbastanza da fare battute simili senza problemi. Sembrava che dopo quella sorta di chiarimento che avevano avuto la sera del primo giorno, il soldato rosso si fosse convinto che Falman era una persona con cui valeva la pena avere a che fare. E dunque, seppure non si potesse parlare ancora di amicizia, il rosso aveva deciso di ammetterlo nella ristretta cerchia delle persone con cui andare oltre i convenevoli.
Fu un bene che loro due stessero trovando tutto sommato una buona intesa, perché sembrava che l’altra coppia avesse qualche difficoltà ad interagire. Havoc ed il maresciallo Hawkeye, infatti, avevano assunto un’aria di sfida che invadeva tutto l’ufficio: per Falman era strano vedere quel biondo così rigido e impostato e notò che anche lo stesso Breda era leggermente perplesso dall’atteggiamento del suo amico. Dall’altra parte, il maresciallo Hawkeye evitava qualsiasi parola con lui che non fosse strettamente necessaria.
Persino Mustang sembrava leggermente preoccupato da quella rivalità così accesa, ma sembrava che non avesse nessuna intenzione di intervenire: se la dovevano sbrigare da soli.
Tuttavia Havoc aveva decisamente bisogno di sfogarsi.
Così, la sera del secondo giorno, mentre Falman e Breda stavano uscendo per andare a lavorare assieme, Havoc li raggiunse.
“Stasera fanculo tutto il lavoro… ho bisogno di uscire!” dichiarò con piglio deciso
“Havoc, - sospirò Breda – io ho da fare con Falman e…”
“Non me ne importa! Può venire anche lui se vuole… ma giuro che devo uscire e sfogarmi! Offro la cena a tutti e due e anche da bere se volete, basta che andiamo!”
Falman lanciò un’occhiata interrogativa a Breda, ma il rosso si limitò a scrollare le spalle con fare rassegnato: a quanto sembrava era il caso di assecondare il sergente maggiore.
 
Falman aveva sempre sospettato che il vero Havoc fosse ben differente dal soldato che vedeva tutti i giorni in ufficio, ma non sospettava che potesse essere così rumoroso.
Costrinse lui e Breda ad andare a cenare in un locale e rimase per tutto il tempo a fare battute oscene e pessime, commenti piccanti sulle cameriere e cavolate simili. L’immaturità che il sergente aveva intravisto in Havoc stava trovando pieno sfogo.
Ovviamente lui, in tutta questa situazione, non sapeva che dire. Si limitava a mangiare in silenzio e a sperare che le persone degli altri tavoli non facessero troppo caso a loro, cosa abbastanza difficile considerati i toni di voce del biondo.
“Se la smettessi di fare lo scemo – disse Breda ad un certo punto – sarebbe meglio. Stai dando spettacolo”
“Smettila di rompermi le scatole, Breda. – replicò Havoc mandando giù l’ennesimo bicchiere di vino. Falman non aveva mai visto una persona con una resistenza simile all’alcool: Havoc non era minimamente ubriaco, questo era chiaro – Voglio godermi la vita: fammi respirare un po’ di aria pura… e non quella viziata che c’è a lavoro”
Breda lanciò un’occhiata penetrante a Falman, quasi a chiedergli di non fare caso a quanto stava succedendo. Effettivamente il sergente avrebbe voluto far a meno di essere presente a quello che chiaramente era uno sfogo destinato solo a Breda, ma si era trovato trascinato dallo stesso Havoc.
“Devi fare l’imbecille ancora per molto? Perché non arrivi al punto?”
“Non c’è nessun punto dove arrivare, amico mio. Siamo già arrivati! Nel regno delle fighe di leg…ahia!”
“E che diamine, Havoc – sbottò il maresciallo, dopo aver rifilato un calcio negli stinchi all’amico – mantieni un tono decente! Andiamo, che cosa è successo?”
“Non è successo niente ti ho detto!”
“E allora perché stai tenendo in ostaggio me e Falman, che sicuramente si starà chiedendo con che razza di cretino immaturo ha a che fare?”
“Veramente io…” iniziò Falman
“Breda mi ha detto che sei sposato, è vero?” chiese Havoc, fissando il sergente con una serietà totalmente fuori luogo.
“Sì” annuì Falman, irrigidendosi leggermente. Aveva chiaramente capito che Havoc ce l’aveva con il maresciallo Hawkeye, ma non avrebbe tollerato eventuali insulti gratuiti nei confronti di Elisa.
“Havoc…” lo ammonì Breda
“E tu hai avuto il coraggio… di sposare una di loro?” chiese il sergente maggiore con un sibilo
“Una di loro?” chiese Falman perplesso, non essendo per niente abituato alla logica di Havoc
“Ti dico una cosa, Falman, e lo faccio perché tra uomini bisogna essere solidali e anche perché in fondo mi sembri un bravo ragazzo. Loro sono tutte contro di te… e lei ti distruggerà, quando meno te lo aspetti. Maledette! Femmine del cazzo! Cerca di fare più attenzione, sergente maggiore Havoc. Il tenente colonnello vuole il meglio da noi… ma vaffanculo! Brutta…”
“Fermati! – sbottò Breda, sbattendo il bicchiere nel tavolo. Il maresciallo aveva l’aria profondamente irritata – Mi stai dicendo che siamo qui da ore, a sentire una cavolata dopo l’altra, perdendo un’intera serata di lavoro… perché lei ti ha battuto al poligono di tiro?”
“Non è questo il punto! – ribadì il biondo arrossendo colpevolmente – E’ che quella piccola saccente…”
“Ha fatto dei centri migliori dei tuoi”
“No! Cioè sì… ma non ero molto in forma… ma non…” cercò di difendersi Havoc
“E a te non va giù che una ragazza, per giunta più piccola di te, ti abbia fatto il culo dove in genere non hai rivali”
“Smettila immediatamente!”
“No, dai, continuiamo! – disse Breda con sarcasmo cattivo fatto apposta per scatenare la reazione dell’altro, tanto che Falman temette il peggio – Tanto la serata è andata a rotoli! Almeno fammi ridere un po’, Havoc! Allora, cecchino infallibile, come ci si sente, eh?”
“Senti un po’, grassone! Vuoi la lite?” scattò Havoc alzandosi in piedi
“Se la cerchi sono a tua disposizione, idiota! – gli fece eco Breda, imitandolo – Quando ti deciderai a crescere e mettere un minimo di giudizio in quella testa vuota? Ti ha battuto, e allora? La prossima volta battila tu!”
“Ci puoi scommettere che la batterò!”
“E dunque dove sta il problema?” ribatté Breda mettendosi a braccia conserte
“Non c’è nessun problema! Non capisco nemmeno perché vi ho invitato a cena!” dichiarò Havoc risedendosi e fissando col broncio il suo bicchiere vuoto.
Breda squadrò il suo amico con rassegnata sorpresa e poi si sedette e guardò Falman
“Bene, Falman, – disse con un sorriso sarcastico – questo imbecille che mi ha appena trascinato nell’ennesima sceneggiata, è il mio miglior amico e mi ha salvato la pelle più di una volta. Adesso che si è sfogato è anche capace di essere simpatico… mi dispiace che tu sia venuto così presto a contatto col suo lato immaturo, ma è fatto così. Se passi sopra questo ed un altro centinaio di difetti, scoprirai che molto in fondo è un bravo diavolo”
Falman guardò Havoc con perplessità ed il biondo gli rivolse un sorriso quasi di scusa. La sua rabbia sembrava sparita come neve al sole e ora restava solo un ragazzone dal viso arrossato ed i capelli scompigliati; ma per quanto ci potesse essere una componente di scusa, gli occhi azzurri erano profondamente smaliziati.
Ma che razza di coppia sono?
“In fondo scommetto che tua moglie non è come quella là. – disse Havoc giocherellando col bicchiere – Mi ha detto Breda che sa cucinare molto bene e che è stata infermiera al fronte dove stavamo noi. Se è una bella ragazza magari mi ricordo anche di lei… ahia! E basta con questi calci negli stinchi, Breda!”
“E’ sposata, Havoc, – sospirò il maresciallo – quindi evita qualsiasi commento in merito. La signora Elisa Falman è al di fuori di qualsiasi discussione, va bene?”
“Non volevo offendere nessuno. Era solo per…”
“Va bene, abbiamo capito”
 
Dopo che la situazione fu ritornata relativamente tranquilla, Falman poté analizzare meglio quella strana coppia che, sulle prime, gli era sembrata totalmente assurda. Ma ad osservali meglio, il sergente colse una strana complementarietà: era come se la rumorosità e l’immaturità di Havoc si riflettessero nel buonsenso e nel sarcasmo di Breda. Tra di loro c’era un forte feeling ed il litigio di poco prima era chiaramente parte di un rapporto collaudato da anni di esperienze assieme.
Proprio come due fratelli che litigano, ma che sono legatissimi tra di loro.
“Quanto è stato il punteggio finale che ha decretato la tua sconfitta?” chiese Breda ad un certo punto
Falman temette che Havoc si riscatenasse, ma sembrava che il rosso sapesse perfettamente con quali tempistiche fare domande all’amico.
“Centottanta lei, centosettantotto io…”
Falman per poco non sputò il vino che stava bevendo
“Che? – disse con sorpresa – Ma… ma significa che avete fatto quasi novanta spari consecutivi andati praticamente tutti a segno!”
“Sì, – ammise Havoc, come se fosse la cosa più normale del mondo – solo che nel penultimo tiro ho lisciato malamente e sono andato a colpire il cerchio esterno a quello centrale… questione di un paio di millimetri. Maledetta sfortuna”
Che… che razza di mostri sono? Hanno fatto punteggi assurdi!
“Allora il nostro maresciallo Hawkeye se la cava bene come si diceva” sorrise Breda
“Sì, non è affatto male, non vedo l’ora di risfidarla” rispose Havoc
Questo era Havoc: nemmeno venti minuti prima stava pesantemente insultando quella donna, ma adesso ne riconosceva le doti ed era galvanizzato all’idea di sfidarsi di nuovo con lei. Se doveva essere sincero, Falman stava iniziando a trovare simpatica quella strana coppia: erano completamente diversi da Miran o Alexis e questo in fondo era un bene, così non si sarebbe lanciato in dannosi paragoni. Pur trovandosi ad essere maggiore di sette anni rispetto a loro, non c’era nessun problema di interazione: sembrava che una volta che Havoc e Breda avessero deciso che una persona gli andava a genio, si facessero beffe dell’età o di altri dettagli simili.
Inoltre Falman notò che in compagnia di Havoc, il maresciallo rosso era decisamente più sciolto, quasi fosse stato tranquillizzato dal parere positivo che il biondo aveva dato sul nuovo compagno.
“Che ne pensate del nostro tenente colonnello Mustang?” chiese Havoc ad un certo punto. E Falman notò che, quando voleva, quel ragazzo sapeva essere perfettamente serio.
“E’ completamente diverso dal mio precedente superiore” disse Falman
“Anche dal nostro” ammise Breda scrollando le spalle
Rimasero in silenzio per qualche secondo, aspettando che fosse l’altro a spingersi con qualche commento in più. Alla fine fu Havoc a parlare
“Non si sta concedendo molto in ufficio”
“Forse è in fase di studio pure lui, – disse Falman, ricordandosi di sue precedenti riflessioni – credo che siamo la sua primissima esperienza come squadra”
“Lo penso anche io, – annuì Breda – e nel caso mi complimento con lui per l’audacia. Ci vuole un bel fegato a prendere come subordinati dei soldati d’eccezione come noi. Al minimo tentennamento possiamo cambiare completamente opinione su di lui e rendergli la vita un inferno… ma gli concedo che fino a questo momento si sta comportando molto bene: non si espone, non ancora, ma ci tiene sul chi vive. Cogliete le sue mosse, ragazzi: ci a messo a lavorare con quello che in teoria poteva essere il nostro rivale”
“Rivale… - sospirò Havoc – ma no, il maresciallo Hawkeye non è un rivale…”
“Adesso lo dici, ma finché non siamo stati messi a confronto potevamo incorrere in pensieri simili. Ti do subito la dimostrazione: parlami del modo di sparare di lei, Havoc”
“Il suo modo di sparare? Uhm vediamo: molto diverso dal mio… lei dà il suo meglio se si trova nel lato destro, l’ho capito da come inclina la spalla. Ottima vista, ma credo abbia maggiore potenzialità sul raggio dei cinquanta – ottanta metri. Se devo fare copertura con lei io mi metterei in una posizione più distante e a sinistra, credo che riuscirei ad incrociare i suoi tiri senza intralciarla: considerando che impiega massimo cinque secondi per essere pronta a colpire di nuovo…”
“Basta così. Lo vedi? Sei perfettamente in grado di lavorare con lei… ma hai dovuto conoscerla per capire che in realtà non ti intralciava. E’ furbo il nostro tenente colonnello Mustang” sorrise enigmaticamente Breda
Gli occhi azzurri di Havoc sembrarono scintillare come si accorse di quanto era appena saltato fuori.
“Notevole…” commentò
“Le sue doti sono indiscutibili – ammise Falman – tuttavia… lui è stato uno degli alchimisti che…”
Non terminò la frase, ma la domanda gli bruciava dentro da tempo. Cosa stava spingendo uomini come loro a seguire uno dei più grandi assassini della storia recente del paese?
Breda mosse il bicchiere, guardando pensieroso il fondo di vino che si muoveva.
“Io ho visto i suoi occhi, il primo giorno… e quello mi è bastato. E da come mi guardate, lo stesso è stato anche per voi… Non so che esperienze hai vissuto tu, Falman, ma noi avevamo bisogno di poter credere in qualcosa, o meglio in qualcuno che… cambierà le cose”
Credere.
Era un verbo molto difficile da pronunciare per dei soldati che avevano vissuto le esperienze della guerra civile. E anche Falman si accorse che in fondo aveva bisogno di credere: voleva fare qualcosa di più per il suo paese, voleva aiutarlo a risollevarsi, voleva che ci fosse una guida sicura e che…
Una visione gli balenò nella mente, ma subito la cancellò
No… nessun paragone… Vato, non pensare cose simili. Tu l’hai visto di persona. Non può essere spodestato…
Ma gli occhi brucianti di Mustang potevano voler dire anche questo.
Del resto, se vogliamo un cambiamento… così radicale…
“Bene, signori, - sospirò Havoc alzandosi in piedi – mi dispiace di avervi fatto perdere una serata di lavoro. Ma come promesso vi offro la cena”
 
Circa una decina di minuti dopo stavano camminando per le vie deserte di East City.
Sembravano amici di vecchia data e Falman pensò che, tutto sommato, l’interazione con i membri della sua squadra non stava andando così male. Forse potevano essere degni sostituti di Mc Dorian ed Alexis.
Sostituti… semplicemente persone diverse che faranno parte della mia vita.
Con un sospirò guardò l’ora e vide che era mezzanotte passata: di certo Elisa era già andata a dormire e Falman sperava che non si preoccupasse troppo di questo suo ritardo. L’idea di saperla sola a quest’ora tarda non gli piaceva, ma considerato l’enorme passo avanti fatto con Havoc e Breda ne era valsa la pena.
Mi è sembrato una bravissima persona… spero davvero che diventerete amici.
Chissà che avrebbe pensato Elisa di Havoc. Guardando il biondo che si accendeva una sigaretta, la luce della piccola fiamma che gli illuminava per un secondo i bei lineamenti, si disse che probabilmente anche lui sarebbe piaciuto a sua moglie e…
Ma quello…
“Havoc, Breda…” mormorò a voce bassa, fermandosi e dimenticandosi addirittura di usare i loro titoli come ci si aspettava da un minore di grado
“Mh?” fece Havoc con la sigaretta in bocca
“Quello oltre il ponte è uno dei soldati che c’erano nel magazzino… non posso sbagliarmi”
“Ma guarda – sogghignò Breda – chissà che combina con aria così furtiva a quest’ora tarda…”
“Andiamo a chiederglielo? Tanto le pistole le abbiamo tutti e tre, mi pare”
“No, Havoc – lo bloccò l’amico – piuttosto andiamo a vedere se ci porta in qualche posto interessante. Non sarebbe male avere qualche cosa in più da riferire al tenente colonnello domani mattina, vero Falman”
“Decisamente no”
E così il terzetto si incamminò a distanza di sicurezza dall’obbiettivo.
Falman non si sentiva per niente impaurito: l’istinto gli diceva che con Breda ed Havoc era in una botte di ferro.
 
Erano le due e mezza di notte quando il sergente aprì il più piano possibile la porta di casa.
Senza nemmeno accendere le luci si levò la giacca della divisa e la lasciò sopra una sedia e si avviò nel corridoio cercando di fare il minor rumore possibile.
Nel letto matrimoniale della loro stanza intravide la sagoma addormentata di Elisa.
Con un sospiro si levò il resto della divisa e si infilò sotto le coperte, andando ad abbracciare la moglie.
“Mh… Vato?” mormorò lei con voce assonnata, senza nemmeno aprire gli occhi
“Sssh, scusa amore… rimettiti a dormire”
“Che… che ore sono?”
“E’ tardi, - le spiegò lui, accarezzandole i capelli – dormi…”
“Tutto bene con il maresciallo Breda?” chiese lei, sprofondando tra le sue braccia
“Ottimamente direi” la baciò in fronte, constatando che si era riaddormentata
Anzi, meglio di qualsiasi aspettativa…
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22. 1909. The real birth of a team. ***


Capitolo 22.
1909. The real birth of a team

 



Come se i chiarimenti della sera precedente avessero risolto tutta una serie di problematiche latenti, quella mattina in ufficio si respirava un’aria diversa. I tre soldati avevano perso quasi del tutto la loro rigidità iniziale e finalmente iniziavano a mostrare i loro veri tratti distintivi; inoltre il cattivo umore di Havoc era scomparso del tutto, tanto che quando entrò il maresciallo Hawkeye la salutò come se niente fosse successo.
Falman osservò con interesse la reazione della donna a quel cambiamento d’atteggiamento da parte di Havoc e si accorse che, nonostante le solite apparenze marziali, c’era una notevole componente di sollievo.
Probabilmente credeva di essersi inimicata Havoc e la cosa le dispiaceva… è azzardato dirlo, ma inizio a sospettare che stiamo legando l’uno con l’altro.
Lasciarsi alle spalle le precedenti esperienze umane era certo difficile, ma loro tre stavano dimostrando di potersela cavare egregiamente. Discorso diverso, ovviamente, andava fatto per Mustang ed il maresciallo Hawkeye: loro non avevano una precedente squadra da cui liberarsi emotivamente, ma forse proprio per questo era abbastanza difficile accettare tutto quello che far parte di un gruppo comportava.
Falman era abbastanza sensibile da accorgersi di questa loro difficoltà: era come se da una parte si volessero lanciare, specie ora che vedevano che lui, Havoc e Breda stavano facendo enormi passi avanti, ma dall’altra erano bloccati dal rango e da quella che si poteva definire paura.
Però devono venirci a patti… senza di loro non possiamo essere davvero una squadra.
In ogni caso, Mustang non ebbe alcuna esitazione nel chiamare Breda e Falman alla propria scrivania e domandare loro cosa avessero ricavato dai tre giorni di lavoro.
Con un sorriso, Breda srotolò una piantina della zona sud di East City.
“Abbiamo trovato il luogo di stoccaggio dei materiali rubati, signore”
A quell’affermazione gli occhi di Mustang brillarono di aspettativa e annuì con approvazione
“Ottimo lavoro. Non preoccupatevi di abbondare con i dettagli”
E ne avevano da raccontare: il pedinamento della sera prima li aveva portati ad un vecchio palazzo abbandonato dove quasi tutta la banda era riunita. Come aveva predetto Falman, si trattava di un gruppo di una trentina di persone, contando anche eventuali assenti, di cui buona parte erano componenti dell’esercito. Falman e gli altri li avevano ascoltati con attenzione mentre parlavano di un prossimo saccheggio nei magazzini, la notte successiva: le merci così accumulate sarebbero state sufficienti a fare un unico grande blocco che poteva essere portato fuori dalla città, verso il deserto dell’Est, dove spesso i contrabbandieri avevano le loro piste più sicure.
“Intendono agire stasera stessa, dunque” commentò Mustang
“Sì, signore, – annuì Breda – e non nego che sia un’occasione molto ghiotta: li potremmo prendere con le mani nel sacco”
Falman annuì a sua volta. Ne avevano parlato e sapeva che tutto sommato era abbastanza rischioso: dovevano fare a meno di almeno tre giorni di ulteriore preparazione. Ma c’era anche la possibilità che, dopo questo colpo, la banda decidesse di fermarsi per un certo periodo: la notizia che qualcuno si stava occupando dei furti nei magazzini non sarebbe rimasta segreta per molto tempo.
Le condizioni favorevoli c’erano tutte quante… si trattava solo di osare.
Mustang rimase in silenzio per diversi minuti, fissando a turno tutti i membri della squadra. Anche Havoc e il maresciallo Hawkeye si erano accostati alla scrivania del loro superiore e tutti attendevano con trepidazione la decisione dell’alchimista di fuoco.
Ce la possiamo fare – annuì Falman impercettibilmente, cercando di trasmettere la propria forza di volontà a quel giovane dai capelli neri in cui stavano riponendo tanta fiducia – Si tratta solo di fidarci uno dell’altro. Lo so che è difficile, ma…
“Va bene. – disse Mustang all’improvviso, alzandosi in piedi – Sono le nove e mezza… Breda, a che ora dovrebbe partire l’operazione per il nuovo furto?”
“Parlavano di muoversi verso le dieci di notte, signore: dopo la fine dell’ultimo turno”
“Bene: per prendere tutta la banda è necessario andare nel loro covo… in questo palazzo. Falman, gli hai dato un’occhiata? Sai più o meno cosa possiamo aspettarci da edifici come questo?”
“E’ una tipologia abitativa che conosco bene, signore”
“Havoc, maresciallo, siete in grado di…”
“Nessun problema, signore – sorrise Havoc, prima che la ragazza potesse dire qualcosa – siamo pronti all’azione”
“Allora iniziamo: abbiamo dodici ore per prepararci all’azione”
Falman sorrise.
E così inizia la nostra avventura come squadra…
 
Quella notte, alle dieci, erano tutti piazzati ai loro posti seguendo un piano che avevano elaborato tutti insieme.
Nelle precedenti missioni Falman aveva sempre svolto un ruolo di copertura assieme ad Alexis, ma questa volta si trovò in una posizione completamente nuova: Mustang lo volle accanto.
Potrei aver bisogno di altre informazioni, Falman… tieniti accanto a me.
Stare accanto all’alchimista di fuoco, mentre attendevano nascosti all’interno dell’edificio, era un evento che Falman non avrebbe mai pensato possibile. Tuttavia la sua naturale curiosità ebbe la meglio e così impegnò l’attesa osservando con discrezione il suo superiore.
Era più basso di lui di circa cinque centimetri ed i capelli nerissimi erano sottili e folti. Il viso, nonostante l’esperienza bellica, non aveva nessuna cicatrice e conservava una bellezza innegabile, accentuata dagli occhi scuri dal taglio affilato. Nonostante l’ovvia tensione, era perfettamente a suo agio a far parte di un’azione come quella: sopra la divisa indossava un cappotto nero che conferiva alla sua figura un particolare fascino tenebroso.
Poi, all’improvviso, Falman gli vide mettere le mani in tasca e, dopo qualche secondo, sfilò un paio di guanti. Al sergente non ci volle molto per capire che erano diversi da qualsiasi altro tipo: bianchi, chiaramente di una stoffa particolare, avevano sul dorso degli strani disegni rossi.
Erano segni alchemici.
Falman non aveva la minima idea di come funzionasse l’alchimia del fuoco: non aveva mai visto nemmeno un normale alchimista all’opera, figuriamoci uno così particolare come Roy Mustang. Ora che ci pensava… come era possibile per una persona creare le fiamme? Più che alchimia gli sembrava di avventurarsi nel campo della magia…
E quante persone possono uccidere le fiamme…
Improvvisamente i suoi pensieri tornarono a quel foglio di carta con l’ordine di King Bradley.
Mustang intercettò il suo sguardo e a sua volta fissò i suoi guanti. Sembrava in procinto di dire qualcosa, ma alla fine scosse lievemente il capo e se li infilò con mosse sicure: ora che aderivano perfettamente alle sue mani, sembrava che quei segni avessero preso vita e fossero pronti a scatenare le fiamme.
Del resto è un alchimista… è questa la sua arma principale.
Si chiese che odore potesse avere la carne umana bruciata e sperò vivamente di non sperimentare tale sensazione proprio quella notte.
 
Non erano gli ultimi arrivati: erano soldati d’eccezione e quella sera lo confermarono.
Erano in cinque contro trenta, ma il piatto della bilancia pendette a loro favore.
Falman e Mustang erano posizionati dietro alcune casse di materiali, immediatamente dopo l’ingresso: il loro compito sarebbe stato impedire la fuga di eventuali uomini. Havoc e il maresciallo Hawkeye si erano sistemati rispettivamente ai due lati di una sorta di loggiato tipico di quelle vecchie costruzioni: si erano spartiti gli uomini da tenere sotto controllo per eventuali azioni di disarmo. Breda invece, nonostante la sua stazza aveva avuto il ruolo di “sfondamento”, considerato che doveva essere lui a presentarsi ai nemici e a metterli in confusione.
Per altre persone un piano simile sarebbe stato da suicidio.
Ma si trasformò nella prima grande vittoria della loro squadra.
Certo, un grosso contributo venne dal fatto che, tutto sommato, avevano a che fare con una banda poco organizzata e professionale, nata più che altro dalla situazione ancora instabile dell’esercito dopo la guerra civile.
Nessun vero professionista: – rifletté Falman, mentre vedeva quelle facce, mano a mano che si riunivano nella stanza – le vere organizzazioni sono ben altro. Le uniche difficoltà proverranno dai soldati che sono armati…
Facendo un rapido conteggio degli uomini presenti, Falman annuì lievemente al tenente colonnello, segnalandogli che potevano iniziare le danze. A sua volta l’uomo fece un cenno verso l’alto, verso Havoc ed il maresciallo che quindi provvidero a comunicarlo a Breda.
Il vociare discreto degli uomini fu subito interrotto dalla voce del maresciallo rosso.
“Mi dispiace interrompere questa discussione, ma siete tutti in arresto”
La squadra del tenente Mc Dorian non avrebbe mai fatto un’entrata in scena così sfacciata, eppure c’era un grande calcolo dietro quella teatralizzazione: trenta uomini furono completamente colti di sorpresa da quella singola apparizione. Breda teneva sguainata la propria pistola e, oggettivamente, era una minaccia irrisoria per una banda la cui maggior parte dei componenti era armata.
Ma in gioco c’era anche una forte componente psicologica: Breda, dopo chissà quante missioni con la Squadra Falco, aveva enormi capacità di gestione del nemico. Non indietreggiò, non fece gesti eclatanti… era come se quello che stava facendo fosse un gesto di ordinaria amministrazione. E questo contribuiva a prolungare l’effetto sorpresa.
I soldati ovviamente furono i primi a reagire, cercando di estrarre le proprie armi dalle fondine. Falman se lo aspettava: non solo erano quelli con maggiore disciplina, ma erano anche coloro che incorrevano nella pena più grossa, considerando che quel contrabbando equivaleva ad un tradimento nei confronti dell’esercito.
Ma a bloccare eventuali azioni contro il maresciallo rosso ci pensarono spari improvvisi provenienti dall’alto. Falman rimase a guardare gli uomini che uno dopo l’altro cadevano, feriti, come tante mosche… era un tiro a segno così continuo e preciso che quelli ancora illesi si limitavano a sparare verso direzioni indefinite, non riuscendo a capire da dove provenissero i colpi.
Certo non possono immaginare che se la stanno vedendo con due tra i migliori cecchini dell’esercito.
In ogni caso, mentre i soldati restavano a combattere contro quegli invisibili nemici, a cui si aggiungeva anche qualche sparo di Breda, i restanti componenti della banda si diressero in massa verso l’uscita.
Falman si irrigidì, stringendo la presa sulla pistola, ma venne bloccato da un gesto di Mustang.
“A loro ci penso io” dichiarò l’alchimista
“Signore…” provò a bloccarlo Falman, vedendo con terrore una mano guantata protesa in avanti.
Non sapeva cosa sarebbe successo, non aveva idea di come l’alchimista si sarebbe comportato.
Ma l’immagine di quel decreto del Comandante Supremo gli tornò alla mente.
Ti prego, non uccidere! – supplicò Falman, serrando gli occhi.
 
Tutto quello che udì, come se gli altri rumori della stanza fossero annullati, fu uno schiocco di dita.
E poi il fuoco che divampava: ne sentì il calore, il rombo fremente, da dietro le palpebre serrate intuì anche la luce più intensa.
E le urla!
No! Dimostrami che ho visto giusto! Non puoi…
“Vi consiglio di restare fermi dove siete e di non tentare la fuga” disse la voce di Mustang
A quelle parole gli occhi di Falman si aprirono e guardarono con sorpresa di fianco a lui. Il suo superiore aveva abbandonato la sua posizione dietro le casse e si era portato in campo aperto, con un muro di fiamme immediatamente dietro di lui… un muro che si frapponeva tra i nemici e l’uscita.
“Sono il tenente colonnello Roy Mustang: vi dichiaro tutti in arresto per contrabbando e sottrazione di materiale appartenente all’esercito. Adesso fate cadere tutte le armi a terra.”
 
Nemmeno dieci minuti e la missione era completata.
Mentre osservava i contrabbandieri ammanettati che venivano portati via da altri soldati, Falman si concesse di esultare: aveva funzionato.
Adesso potevano definirsi davvero una squadra.
“Ottimo lavoro, sergente maggiore” sorrise, mentre Havoc si accostava a lui, seguito dopo qualche secondo da Breda
“Oh, niente di che. Ve l’avevo detto che non ci sarebbero stati problemi”
“Però… – ammise Breda, con un sorriso – devo ammettere che non è affatto male lavorare con tutti voi. E’ una cosa completamente diversa da quello che facevamo nella Squadra Falco, ma non posso negare che mi piaccia”
“Maresciallo Hawkeye – salutò Havoc, mentre la donna si avvicinava – ha visto? Sono stato preciso come le avevo promesso”
E c’era un sorriso sfacciato sul viso del biondo, una cosa che non si era mai permesso di fare davanti a lei.
E come Falman prevedeva, Riza rispose a quel sorriso
“Non mi aspettavo altro da te, Havoc. E’ stato un bel lavoro di squadra, non c’è che dire”
“Sì, davvero. – annuì Mustang avvicinandosi a sua volta – Devo ringraziare tutti voi: siete stati grandiosi, non solo stasera, ma anche nei giorni precedenti”
“La ringraziamo per queste lodi, signore” sorrise Falman, mettendosi sull’attenti, seguito da Havoc e Breda
L’alchimista sorrise appena, tirando fuori le mani dalla tasca del cappotto nero e il sergente notò che non aveva i guanti.
Se li è levati appena finita la missione… si vede che ogni volta che li mette vede ancora Ishval. Del resto è passato davvero troppo poco tempo da quella vicenda.
“Bene – disse Mustang – andante pure a godervi il meritato riposo, ragazzi. Ci vediamo domani in ufficio”
“Buonanotte, signore” salutò Breda, mentre l’uomo si allontanava seguito dal maresciallo Hawkeye
“Ma che gli è preso? – chiese perplesso Havoc, grattandosi la nuca bionda – Volevo proporgli di andare a bere qualcosa tutti assieme”
“Lascia stare, Havoc. – sospirò con un sorriso il maresciallo, dando un pugno alla spalla del compagno – Credo che lui sia fatto così: non è abituato ad essere di grande compagnia come te… ma fidati che oggi siamo stati una squadra. Che ne dici, Falman?”
“Sì, direi proprio di sì… l’esame è stato superato a pieni voti”
“E che voto dai all’alchimia che ha usato?” chiese ancora Breda con uno sguardo tagliente
Falman tornò serio e fissò la figura ormai lontana, con quel cappotto nero che sembrava quasi un mantello.
L’associazione con il documento della guerra di sterminio non ci fu.
“Direi che la userà per cambiare le cose in meglio”
“Era quello che mi aspettavo di sentire”
“Va bene – sbottò Havoc – basta con questi discorsi: dopo una bella vittoria ci vuole una bevuta tutti assieme. Che dici, Falman, un bicchierino con noi prima di tornare da tua moglie?”
“Si può fare, sergente maggiore” sorrise Falman.
 
Il bicchierino in realtà durò molto di più e Falman si ritrovò a rientrare a casa a l’una di notte.
Con sua sorpresa vide che la luce della stanza da letto era ancora accesa ed entrando vide che Elisa era sdraiata prona a letto a leggere un libro, le gambe sollevate come quando era una ragazzina.
“Come mai ancora in piedi?” chiese il sergente
“Ti aspettavo, no?” rispose lei con un sorriso
“Non sapevi a che ora tornavo…”
“Beh, sono stata fortunata allora… sei tornato prima che cedessi al sonno. E hai bevuto parecchio, mi sa”
Lasciamo perdere il conto dei bicchieri… Havoc è un grande trascinatore
“Uh, scusa… è che dovevamo festeggiare la riuscita della missione e…”
“Lo sapevo! – esclamò la ragazza, gettando via il libro e saltandogli addosso – Lo sapevo che sareste riusciti a lavorare tutti assieme! Oh, amore! Sono così felice per te”
“Eli…mh!”
Era da parecchio che non veniva zittito da un bacio di Elisa.
E fu un bacio passionale che si accorse di voler continuare all’infinito.
“Ehi… - mormorò, staccandosi da lei – ti avviso che se si continua così potrei voler continuare i festeggiamenti”
“Oh, allora continuiamo pure, sergente! La vittoria ti dà un non so che di affascinante”
Ed i festeggiamenti di Falman continuarono in una maniera molto differente rispetto ai brindisi con Havoc e Breda.
 
Il giorno dopo, per la prima volta, Falman entrò in ufficio con la certezza di avere a che fare con la sua squadra. E non si sbagliò.
Finalmente qualsiasi residuo di riservatezza era sparito.
“Ehi, Falman, - lo salutò Breda – che ne dici di una ciambella?”
“Ma l’ora della colazione è già passata” obiettò lui
“Oh, per queste delizie non c’è un’ora precisa… che ne dice maresciallo Hawkeye, ne vuole una?”
“Magari dopo, Breda – rispose la donna mentre andava verso la scrivania di Mustang – Signore, lei deve assolutamente controllare e firmare queste cose e…”
“Adesso?” chiese l’alchimista con aria annoiata, distogliendo lo sguardo dal giornale
“Adesso” annuì lei
“Ma c’è tempo…”
“Se inizia a rimandare poi non resterà tempo, signore”
“No, Havoc – disse intanto Breda – fammi il favore di non far cadere la cenere sulle mie ciambelle”
“Scusa tanto! E allora tu vedi di non appiccicare tutta la scrivania con quello zucchero e quella glassa”
“Mai fatto in vita mia!”
Sì, decisamente – sorrise Falman – siamo tutti fuori dall’ordinario anche in queste scene di vita quotidiana.

 



_________________________________
nda.
Uh, meno male! Sono riuscita a terminare il capitolo giusto prima della mia partenza!
Starò via fino a martedì e mi dispiaceva lasciarvi in pausa per così tanto. 
Ci si vede la settimana prossima :D
 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23. 1912. Parenthood. ***


Capitolo 23.
1912. Parenthood

 

“Fury, smettila di gingillarti con quella radio e vieni a prendere qualcosa con noi. – disse Havoc, levando le cuffie dalla testa del ragazzo e prendendolo per il colletto della divisa – Mi innervosisce vederti sprecare così le ore di pausa”
“Ma, veramente, io…” protestò debolmente l'interessato, costretto ad alzarsi in piedi.
“Forza, nanetto, – fece Breda, arruffandogli i capelli neri e sospingendolo verso la porta – sto morendo di fame e pure tu devi mangiare se vuoi crescere. Falman, tu vieni?”
“Devo terminare una cosa” scosse il capo il maresciallo.
“Che? – si intristì Fury – Se vuole le portiamo qualcosa, signore.”
“Grazie, Fury – sorrise Falman – sei molto gentile.”
Come la porta si richiuse e tutto si fece silenzio, Falman scosse il capo con un sorriso, pensando al piccolo Fury in balia del tremendo duo. Guardando la scrivania del ragazzo, occupata da una grossa radio a cui stava lavorando, il maresciallo pensò per la millesima volta che prendere Fury in squadra era stata la scommessa più rischiosa che il colonnello Mustang avesse mai fatto… ma anche la sua vittoria più grossa.
Era ormai passato quasi un anno da quando quel ragazzino aveva fatto la sua comparsa nelle loro vite e, se doveva essere sincero, Falman non capiva ancora come avessero potuto fare senza di lui fino a quel momento.
Tornando indietro con i pensieri, ripercorse l’arrivo in squadra del soldato semplice Kain Fury, l’ottobre dell’anno precedente. Un giorno, per caso, la radio che avevano in dotazione aveva deciso di non collaborare più, non che prima l’avesse fatto con maggiore docilità, e così era stato chiamato un tecnico. Ad entrare nell’ufficio era stato quello che a Falman era sembrato un bambino vestito con la divisa rubata al padre: era quella la prima idea che si era fatto di Fury. Allora aveva appena diciotto anni, uno dei rari casi di cadetti a cui veniva concesso di terminare l’Accademia in un solo anno ed aveva subito dimostrato il perché: in pochi istanti quel ragazzino dai buffi capelli neri e dritti e gli occhi scuri dietro un paio di spessi occhiali, era riuscito a rimettere in sesto la radio.
La cosa sembrava finita lì, ma il colonnello Mustang aveva improvvisamente deciso di volerlo nella squadra. La motivazione era stata apparentemente semplice: per essere completamente autosufficienti, mancava un esperto in comunicazioni e Fury sembrava la persona adatta a ricoprire quel ruolo. Ma Falman aveva intuito che c’era anche altro dietro… ed i suoi sospetti si erano fatti più forti nel momento in cui aveva letto il fascicolo sul soldato semplice che il colonnello gli aveva chiesto. Fury era il classico ragazzino solitario non per scelta ma per volontà degli altri: le note caratteriali parlavano di difficoltà di socializzazione e a Falman era bastato pensare al viso del ragazzo per intuire che non era una cosa dipendente da lui: si capiva subito che Fury era il tipico secchione timido e impacciato, caratterialmente dipendente dagli altri. Ed il colonnello doveva aver tenuto conto di quel dettaglio nel momento in cui aveva preso la sua decisione.
Tuttavia, ad un primo impatto, farlo entrare in squadra era sembrata una mossa davvero sconsiderata… per un principale motivo: Havoc.
Negli anni Falman aveva imparato a conoscere bene il suo collega biondo e sapeva che era una delle persone più buone del mondo; tuttavia aveva anche dei preconcetti molto forti, uno dei quali era proprio contro i secchioni come Fury. Per il sottotenente era stato odio a prima vista e la decisione del colonnello l’aveva reso completamente irritabile.
Come se non bastasse, per colpa del ragazzo, si era creata una sorta di nuova rivalità tra Havoc e il tenente Hawkeye: mentre il sottotenente aveva preso in odio Fury, la donna, al contrario, l’aveva messo sotto la propria ala protettiva. Probabilmente era stata una richiesta dello stesso Mustang, ma Falman aveva intuito subito che Fury aveva scatenato in Riza Hawkeye qualcosa di definibile come “senso materno”.
E come darle torto?
Fury allora era appena diciottenne ed era parecchio piccolo per la sua età, con un viso dai lineamenti molto dolci ed infantili. A questo aspetto fanciullesco si aggiungeva un carattere timido e buono, con la voce non ancora del tutto adulta: qualsiasi donna si sarebbe affezionata a lui.
E così, se da una parte Havoc l’aveva tormentato in ogni modo possibile, dall’altra il tenente l’aveva difeso in maniera quasi spietata con Fury che si  era trovato in mezzo a questa strana disputa senza sapere cosa fare.
Lui, Breda ed il colonnello si erano tenuti leggermente in disparte da quella situazione. Il sottotenente rosso non era stato molto convinto dell’arrivo di Fury, ma non aveva mostrato un’ostilità così palese come quella di Havoc, tuttavia, per il profondo legame che aveva con l’amico, aveva preferito aspettare di vedere l’evolversi della vicenda.
Mustang non aveva preso una posizione apertamente pro Fury, per evitare di indisporre eccessivamente Havoc: si era limitato anche lui ad osservare, concedendo al nuovo arrivato solo dei lievi, ma basilari, incoraggiamenti. Era chiaro che si aspettava che il soldato semplice uscisse da solo da quella situazione.
Per quanto riguardava lui… beh, si era sentito molto perplesso. Da una parte quel ragazzino gli aveva ispirato immediata simpatia ed istinto di protezione, ma dall’altra si era chiesto se un soldato così giovane ed inesperto fosse adatto ad entrare in una squadra particolare come la loro.
Tuttavia, dopo un inizio non proprio incoraggiante, Fury si era dimostrato più tenace del previsto nel sopportare le angherie di Havoc: a dire il vero Mustang aveva forzato un po’ le cose, obbligando il sottotenente biondo a dare lezioni al poligono di tiro al ragazzo (l’unica pecca negli altissimi voti accademici di Fury erano le esercitazioni pratiche che risultavano nella media), ed era stata proprio quella l’occasione in cui Havoc si era reso conto dell’enorme forza di volontà del soldato semplice.
E così nell’arco di una decina di giorni era passato dall’ostilità all’amicizia.
Solo in quel momento l’intento di Mustang era apparso chiaro a Falman: in realtà alla squadra oltre che un esperto in comunicazione, serviva anche un membro più piccolo ed inesperto inserito ex novo. In questo modo l’attenzione e il senso di protezione di tutti sarebbero stati volti verso di lui, unendo ulteriormente i loro rapporti già abbastanza stretti. Insomma Fury era diventato una sorta di collante che aveva fatto evolvere il concetto di squadra a quello di famiglia.
Guardando le cuffie lasciate nella scrivania, Falman pensò che, nonostante tutto, non era stato un percorso tutto rose e fiori. Uno degli effetti collaterali di far entrare un soldato così giovane in una squadra come la loro, era stato di doverlo inserire nelle missioni prestissimo.
Già, la prima disastrosa missione di Fury, a diciotto anni compiuti da nemmeno cinque mesi: doveva fare solo da copertura ed invece si era ritrovato ad uccidere per la prima volta, in una situazione da cui era miracolosamente uscito illeso.
Diciotto anni… a quest’età si è ancora in Accademia. Forse è stato l’unico errore che il colonnello abbia commesso con questo ragazzo.
Falman ricordava perfettamente il senso di vuoto che aveva provato nel levare la vita ad una persona e aveva capito benissimo che per un carattere sensibile come quello di Fury, una simile esperienza sarebbe stata devastante. E così, lui, Havoc e Breda avevano passato quella tremenda notte a consolare il ragazzo… quante lacrime aveva versato? Falman ricordava solo quel corpo esile stretto a lui che singhiozzava disperatamente.
Sì, in quel momento avevano tutti avuto paura che qualcosa si fosse irrimediabilmente spezzato e…
“Maresciallo, - lo interruppe la voce di Fury – le ho portato una tazza di cioccolata”
“Eh? Oh grazie, Fury, sei stato molto gentile”
“Oh ma si figuri – sorrise il ragazzo mettendo le mani dietro la schiena – Mi dispiaceva che lei restasse in ufficio da solo, proprio oggi che il tenente ed il colonnello non ci sono”
Falman si portò la tazza fumante alle labbra. Cioccolata… Havoc e Breda gli avrebbero portato un caffè od un the, invece Fury mostrava ancora i suoi caratteri infantili in queste scelte. Bastava pensare che, molto spesso, mangiava merendine al cioccolato ed il tenente lo rimproverava di pulirsi il viso dalle briciole.
No, Fury non si era spezzato… era uno strano miscuglio di innocenza e tenacia, di bontà e forza di volontà.
Si era visceralmente attaccato a tutti loro, dimostrandosi estremamente dipendente a livello affettivo… faceva quasi paura pensare queste cose di un soldato, ma per Fury non se ne poteva fare a meno. Non aveva mai avuto grandi rapporti con i suoi coetanei e trovarsi in una squadra di persone più grandi che, nonostante il primo impatto, gli avevano rivolto tutta l’attenzione desiderata, l’aveva portato ad essere fedele più a loro che all’esercito stesso.
E mi chiedo se tu te ne renda conto, piccolo amico mio… e se se ne renda conto il colonnello. Si tratta di implicazioni molto pesanti che in futuro potrebbero condizionare la tua vita.
“Maresciallo, poi finisce di raccontarmi la leggenda del deserto dell’Est di cui mi parlava stamattina?” chiese con entusiasmo il ragazzo.
Già, perché a Fury piacevano le storie, proprio come ad un bambino piccolo.
Sotto questo punto di vista Falman in qualche modo si sentiva soddisfatto: amava i suoi compagni ed era disposto a fare qualsiasi cosa per loro… tuttavia Fury era l’unico che si fosse dimostrato interessato alle sue grandi conoscenze. Breda ed Havoc erano troppo razionali per pensare a queste cose, e con il tenente ed il colonnello non c’erano determinati livelli di confidenza.
Ma Fury… oh, come il ragazzo aveva scoperto la sua grande conoscenza e amore per i libri, era letteralmente impazzito di gioia. A quanto sembrava la sua passione non erano solo le radio e l’elettronica, ma anche le storie. E Falman si era sorpreso a scoprire che, tutto sommato, gli piaceva avere quel giovane ascoltatore che lo fissava incantato, sempre pronto a porre domande intelligenti o fare commenti estasiati.
In fondo Fury faceva coppia perfetta con lui, così come la facevano Havoc e Breda.
Aveva ragione il colonnello nel pensare che quel giovane avrebbe completato la squadra.
“Beh – sorrise Falman – considerato che ho finito, direi che posso continuare a raccontartela anche adesso”
“Sul serio? Oh grazie signore! Lei è davvero…”
“Fury! Eccoti qui!” esclamò Havoc entrando e portandosi davanti al ragazzo.
Il sottotenente biondo squadrò il compagno più piccolo con occhio critico mentre anche Breda faceva il suo ingresso nell’ufficio e si avvicinava a loro.
“Allora, che ne dici?” chiese Havoc
“Mh… meno di sessanta, di questo sono certo. Ma più di cinquanta”
“Eh?” chiese perplesso Fury, con un briciolo di preoccupazione negli occhi scuri: aver catalizzata su di lui l’attenzione di Havoc e Breda non era proprio rassicurante.
“Quanto pesi, nanetto?” fece improvvisamente Havoc
“Pesare? Beh, all’ultimo controllo di una settimana fa pesavo cinquantacinque chili, signore ma perché…”
“Perfetto! Allora tre giri al pub, Breda?”
“Tre giri al pub confermati, Havoc” annuì il sottotenente rosso, mettendosi a braccia conserte
Falman fissò perplesso la scena: lo scambio di battute tra i due sottotenenti parlava chiaramente di una scommessa ma non riusciva a capire cosa…
All’improvviso Havoc si chinò lievemente e con il braccio destro avvolse la sottile vita di Fury, sollevandolo a da terra. Poi, con una folle torsione lo fece volare a mezz’aria per un secondo, bloccandogli lo stomaco col palmo della mano…
“Sottotenente!” squittì Fury, disperato
“Non osare dimenarti, Fury! O ti ammazzo! Mi sto giocando tre giri di bevute!” minacciò Havoc, concentrandosi. Con una smorfia per lo sforzo, il biondo iniziò a tendere il braccio verso l’alto, mentre Fury oscillava pericolosamente, annaspando con le mani per cercare di appoggiarsi alla testa bionda.
“No, no! – fece Breda con un sogghigno – Se si appoggia a qualcosa non vale”
“Ti ho detto di non muoverti, tappo!” esclamò Havoc, volgendo lo sguardo irato verso Fury
“Forse non dovremmo…” disse Falman alzandosi in piedi e tendendo le mani verso il ragazzo, obbligato a stare immobile in quella posizione di pericolo.
“Oh finiscila, Falman! – protestò Havoc, che intanto aveva raggiuntò la massima tensione del braccio: ora Fury stava almeno quaranta centimetri sopra la testa bionda – Inizia a cronometrare, Breda: un minuto esatto di sollevamento nano con una mano sola”
“Vediamo se ce la fai” annuì Breda controllando l’orologio
E a Falman non restò che sperare che Havoc resistesse nel tenere sollevato in quel modo il povero Fury. Cinquantacinque chili erano comunque molti per un braccio solo… e a questi si dovevano aggiungere almeno due chili della divisa e dei piccoli attrezzi che il ragazzo aveva sicuramente nelle tasche.
Sembrava quasi di vedere i muscoli del sottotenente tesi per lo sforzo: lo sguardo degli occhi azzurri era puntato verso l’alto, a fissare Fury quasi ad ordinargli di stare il più fermo possibile. Il ragazzo aveva serrato gli occhi e cercava di tenere la posizione, sperando di evitare una rovinosa caduta da oltre due metri di altezza.
La porta si aprì e la voce del tenente Hawkeye fece la sua comparsa
“Abbiamo terminato prima del previsto e… Havoc, Fury! Che state facendo?!”
“Tenente!” esclamò Fury colto di sorpresa, abbandonando la sua posizione rigida
“No, ferm…!” fece in tempo a dire Havoc prima che il ragazzo gli crollasse letteralmente addosso
“Che peccato! – sogghignò Breda – Solo quarantasei secondi… mi devi tre giri di bevute, amico mio”
“Tutta colpa di questo imbecille! – sbottò Havoc, mettendosi a sedere dopo quel disastroso crollo e imprigionando il collo di Fury con un braccio – Ti avevo detto di stare immobile, stupido!”
“Ma io…” piagnucolò il ragazzo, mentre il sottotenente gli dava dei lievi pugni sulla testa
“Che ti salta in mente di sollevarlo in quel modo? – protestò il tenente, andando accanto a loro e facendo risollevare Fury – Ti sei fatto male, soldato?”
“No, signora” scosse il capo lui, rimettendosi dritti gli occhiali
“Havoc, ricordati che Fury non è di gomma: – disse Mustang ridacchiando, mentre andava verso la sua scrivania – se cade si fa male”
“Non sarebbe caduto se fosse rimasto fermo” bofonchiò il sottotenente rialzandosi a sua volta e accendendosi una sigaretta. Lanciò uno sguardo irato verso Fury che fece un passo indietro, cercando rifugio tra Falman ed il tenente.
“L’importante è che non sia successo niente di grave…” sospirò il maresciallo, arruffando i capelli neri del ragazzo in un gesto paterno.
Chissà perché quella era una frase che si trovava a dire spesso negli ultimi tempi.
 
 
Quella sera, tornando a casa, Falman ripensò al gesto paterno che aveva fatto nei confronti di Fury quella mattina.
Paternità… la parola gli sembrava così strana e meravigliosa, eppure piano piano ci stava facendo l’abitudine. Da quando Elisa gli aveva comunicato di essere di nuovo incinta, quattro mesi prima, gli sembrava di vivere in un altro mondo. A dire il vero non avevano più parlato di bambini dopo che lei gli aveva raccontato di quell’aborto avuto anni prima: sembrava che entrambi non volessero pensare ad una simile eventualità… insomma se doveva succedere sarebbe successo. E a quanto pare il momento era arrivato.
Elisa era nata per essere una madre, su questo non aveva dubbi… e lui? Che tipo di padre sarebbe stato? Se doveva essere sincero non aveva mai avuto approcci con dei bambini e forse non era la persona più indicata per essere padre però…
Maresciallo, poi finisce di raccontarmi la leggenda del deserto dell’Est di cui mi parlava stamattina?
Beh, Fury non era proprio un bambino… ma forse non sarebbe così male poter raccontare delle storie ad un figlio proprio.
In ogni caso era ancora presto… mancavano almeno quattro mesi alla nascita del piccolo: c’era tempo di potersi scoprire genitore.
“Eli, sono tornato” salutò, entrando a casa
Si aspettò di vederla arrivare dalla cucina, con l’entusiasmo tipico di quelle ultime settimane. In genere ogni giorno correva ad abbracciarlo e baciarlo, salutandolo con un “ti stavamo aspettando” carico di aspettativa.
Perché Elisa era letteralmente impazzita di gioia all’idea di aspettare un figlio.
“Eli?” chiamò perplesso, non vedendola arrivare
Non sentendo alcun rumore dalla cucina si diresse verso la camera da letto. Effettivamente ogni tanto la donna era colta da attacchi di nausea e quindi era probabile che si fosse sdraiata a letto… e magari si fosse addormentata.
Così, quando aprì la porta della camera lo fece in maniera assolutamente discreta, per non disturbare un eventuale riposo di lei…
“Elisa!” esclamò, vedendola sdraiata nel letto, piegata in due e con una smorfia di dolore che le contraeva i bei lineamenti del volto
“Vato! – supplicò lei, tendendogli la mano, mentre l’altra restava serrata al ventre – Mi dispiace… oddio! Perché!?”
Le lenzuola sotto di lei erano inzuppate di sangue e nonostante il panico il maresciallo capì immediatamente cosa era successo: aveva appena abortito.
“Eli… amore, amore mio – la chiamò, accostandosi al letto e prendendole la mano – va tutto bene. Respira…”
“Il mio bambino…” singhiozzò lei
“Ssh! Non fare movimenti bruschi e…”
Lei serrò gli occhi come se fosse in preda ad un fortissimo dolore e Falman notò il suo ventre contrarsi di nuovo, come per uno spasmo… altro sangue sulle lenzuola, questa volta più scuro…
“Merda! – sibilò – Eli, tu hai un’emorragia… vado subito a chiamare un dottore”
“Non lasciarmi! – supplicò lei, stringendogli la mano, le lacrime che gli solcavano le guance pallide – Non lasciarmi!”
Ma Falman scosse il capo
“Elisa ascolta! Ascoltami! Io sono qui… non ti lascio. Ma devo telefonare immediatamente ad un medico. Due minuti… due minuti e torno da te! Continua a respirare!”
Con prontezza afferrò la parte del lenzuolo ancora pulita e la strappò, procedendo a compattarla in una sorta di tampone. Trattenendo il fiato si accostò alla moglie e con delicatezza glielo mise tra le gambe, cercando di arginare in qualche modo la perdita di sangue.
“Vato…” ansimò lei in preda alla disperazione e al panico
“Resta ferma… da brava…torno subito”
Saltando via dal letto, corse nel soggiorno dove stava il telefono che, proprio in quel momento iniziò a squillare
Merda… non ora!
“Pronto?” esclamò con urgenza
Ehi, Falman, sono Breda…. Senti, credo che tu abbia dimenticato…
“Giusto lei signore! Chiami un medico e gli dica di venire subito a casa mia!”
Eh? Che cosa è successo!?
“Elisa…”
Merda… il bambino?
“Ha abortito… e ha bisogno di cure!”
Te lo chiamo subito, amico… stiamo arrivando!
“Grazie!”
 
Havoc fumava nervosamente una sigaretta vicino alla finestra, per evitare di lasciare l’odore troppo intenso all’interno della casa.
Breda invece stava seduto nel divano, a braccia conserte e col viso impassibile. Accanto a lui c’era Fury, lo sguardo basso e spaventato.
Sì, perché i suoi amici erano accorsi immediatamente per aiutarlo: erano arrivati anche prima del medico con Breda che, facendosi beffe del pudore, era entrato in camera e aveva costretto Elisa a bere un calmante.
Calmati, ragazza! Sei una dannata infermiera, dovresti sapere come gestire le cose.
Ma se Elisa era un’infermiera, era totalmente impreparata a vivere in prima persona le cose che in genere curava agli altri: era completamente fuori di sé dal dolore e dalla paura.
Fury emise un lieve singhiozzo e Breda gli passò il braccio attorno alle spalle
“Fai il bravo, ragazzino – gli mormorò discretamente – non è il caso di piangere”
“Mi scusi, signore…” ansimò lui, cercando di recuperare il controllo
Falman osservava quella scena poggiato pesantemente contro il muro, la giacca della divisa slacciata e la camicia sporca di sangue. Era in una sorta di trance da quando il medico era entrato nella stanza quasi un’ora prima: che cosa stava succedendo là dentro? Doveva esserci lui accanto a sua moglie… perché non…?
“Falman, - lo chiamò Breda – levati quella giacca, amico mio e buttala in bagno”
La giacca? Giusto era sporca di sangue…
Ma non si mosse, continuando a fissare la porta della camera da letto.
Sembrò passare un’eternità prima che il medico uscisse e si portasse davanti a Falman
“Allora?” chiese lui, apparentemente impassibile
“L’emorragia si è fermata, per fortuna, – annuì il medico – e considerate le sue condizioni è preferibile lasciarla qui, senza provarla ulteriormente con un trasporto in ospedale”
“Va bene” annuì Falman, lievemente sollevato dal saperla a casa
“Deve stare a riposo per almeno una settimana… non deve assolutamente muoversi da quel letto. Deve recuperare tutto il sangue che a perso… le ho somministrato alcuni medicinali che eviteranno il ripetersi dell’emorragia: alcune perdite lievi saranno normali, ma se sono troppo ravvicinate o grosse, chiamatemi immediatamente”
“Capisco… grazie mille, dottore”
“E’ stato un brutto aborto, considerato che era al quinto mese avanzato. E’ andata davvero bene… bravi che avete avuto la prontezza di metterle quel tampone e di farle prendere il calmante. La sua agitazione poteva portare a conseguenze ancora più gravi”
Come il medico fu congedato, Falman vide che i suoi amici si erano alzati e si erano portati davanti a lui
“La signora Elisa si riprenderà, signore – cercò di sorridere Fury, il volto straziato dal dolore – ne sono certo… e… io…”
Falman non lo fece continuare e con un gesto impulsivo lo strinse a se, cercando di confortarlo come avrebbe fatto con un bambino… cercando un conforto anche per se stesso.
“Cacchio… che situazione – sospirò Havoc – Falman, vuoi che restiamo qui?”
“No, - ammise lui, dopo qualche secondo – non è il caso. Sul serio, ragazzi, grazie… siete stati la mia salvezza e io ed Elisa vi dobbiamo tanto e…” la voce gli si spezzò in gola e strinse una ciocca di capelli neri di Fury.
“Ehi – lo consolò Breda, battendogli una pacca sul braccio – va tutto bene, maresciallo. Lei è salva e si riprenderà… e ha bisogno che tu le stia accanto. Non osare presentarti in ufficio per una settimana intera: ci pensiamo noi ad avvisare il colonnello.”
“Giusto… le devo stare accanto. – disse Falman, più a se stesso che agli altri – Va bene, dai… adesso andate. Scusa Fury non ti volevo spaventare così…”
“Ci pensiamo noi al piccoletto” assicurò Breda, staccando il ragazzo dal petto di Falman e tenendolo per le spalle
“Sto bene, lo giuro” mormorò Fury asciugandosi le lacrime
“Sì, stai bene – sorrise Havoc, arruffandogli i capelli corvini – ed io sono bravissimo in matematica ed elettronica. Vieni nanetto, torniamo al Quartier Generale”
 
Rimasto solo, in quel salotto silenzioso, Falman si rese conto che i suoi amici gli mancavano tantissimo… ed erano solo pochi minuti che erano andati via.
Ma devo essere forte per lei…
In silenzio entrò nella stanza da letto, dove Elisa dormiva profondamente, grazie ai sedativi.
Il volto di lei era pallidissimo ed i capelli lievemente umidi.
“Sono qui con te, amore mio – le disse Falman, sdraiandosi accanto e prendendole la mano – va tutto bene”
Per un secondo fu tentato di portare l’altra mano al ventre di lei, come faceva ormai ogni giorno.
Ma il pensiero di quella tremenda contrazione che aveva portato all’espulsione del feto gli tornò alla memoria.
No, non era proprio il caso.

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Capitolo 25
*** Capitolo 24. 1912. Separation ***


Capitolo 24.
1912. Separation



 
A svegliarlo fu la mano di Elisa che gli accarezzava i capelli.
Aprendo gli occhi e trovandosi il viso della moglie a pochi centimetri dal suo, Falman si ricordò degli avvenimenti della sera prima e questo bastò a renderlo perfettamente desto e vigile. Non si ricordava quando era crollato addormentato accanto a lei, ma sicuramente doveva essere tardissimo.
“Eli, amore, come ti senti?” le chiese con premura, pronto a scattare in piedi e a chiamare i soccorsi.
Lei non rispose, si limitò a prendergli il colletto della divisa per indurlo ad avvicinarsi ulteriormente: quando fu praticamente attaccato a lei, la donna nascose il viso sul suo petto e rimase in silenzio. Falman si aspettò di sentirla singhiozzare, ma Elisa rimase tranquilla e quieta: solo il lieve respiro che gli passava attraverso la camicia gli faceva capire che era viva.
Con gentilezza le accarezzò la schiena, cercando di iniziare un discorso che…
E cosa le dovrei dire? Che mi dispiace? Che in fondo è andata bene? Sarei solo un pessimo marito…
“Scusami…” mormorò la donna, interrompendo i suoi pensieri
“Che? Ma no, amore mio, non devi nemmeno pensare che…”
“Vato… che… che cosa c’è di sbagliato in me?” chiese Elisa con voce rotta
“Assolutamente nulla! – la consolò – Purtroppo succede e tu non potevi certo… Eli, tu non hai sbagliato niente”
“Ho ucciso il bambino… proprio come anni fa!” pianse lei
Fu un tremendo déjà vu per Falman: gli sembrava di essere di nuovo in quella stanza d’albergo a Central City dove aveva scoperto di aver concepito con la donna che amava un bambino che non era mai nato. Ma se lì non aveva potuto capire fino in fondo che cosa aveva provato lei… adesso invece sapeva appieno cosa voleva dire: il ricordo di quel sangue e del feto espulso così violentemente non avrebbe mai abbandonato la sua mente.
Era mio figlio… mio figlio! E non ho nemmeno avuto la forza di guardarlo veramente
Sì, perché il dottore aveva provveduto a portare via quel pietoso corpicino che aveva vagamente le caratteristiche di un essere umano. Poco prima di lasciare la stanza, Falman aveva visto quel fagottino avvolto in un lenzuolo, dall’altra parte del letto rispetto ad Elisa.
Avrei dovuto scostare quel lenzuolo… avrei dovuto prenderlo tra le braccia…
“Smettila di piangere – supplicò, accorgendosi che le lacrime iniziavano ad uscire anche dai suoi occhi – Ti prego… ti prego Elisa…”
“Nostro figlio è morto!” singhiozzò la donna
E quella realtà fu davvero sconvolgente da accettare: l’unica cosa che poterono fare fu piangere amaramente per quell’inizio di famiglia che era andato distrutto in pochissimo tempo.
 
Il corpo di Elisa era giovane e forte e non ebbe difficoltà a riprendersi dall’aborto.
Nell’arco di pochi giorni la donna era perfettamente in grado di alzarsi dal letto, anche se Falman le impediva di compiere qualsiasi cosa la potesse affaticare.
“Sul serio, Vato – sospirò lei il terzo giorno – se non mi lasci almeno apparecchiare ti giuro che esplodo. Fammi fare qualcosa
“Non dovresti… - iniziò lui, ma poi si arrese davanti all’evidente esigenza di lei di uscire da quell’inerzia – Va bene, ma appena ti senti stanca, giurami che lo dici e ti fermi”
“Sono un’infermiera, Vato, e so bene fino a che punto posso spingermi… si spera”
Infermiera… Era da tempo che non la sentivo chiamarsi così.
Quel pensiero gli fece osservare Elisa con attenzione: c’era qualcosa di strano mentre apparecchiava la tavola. I suoi occhi verdi esprimevano qualcosa che Falman interpretò come insoddisfazione…
Tuttavia quell’impressione durò solo un secondo e subito ritornò ad essere la solita Elisa.
Ma Falman sapeva che spesso quelle fuggevoli sensazioni erano le cose più veritiere a cui aggrapparsi.
Così quella sera, dopo che Elisa fu andata a dormire, andò alla libreria del salotto e cercò tra i volumi di medicina di lei.
Psicologia… elaborazione del lutto… forse è da qui che devo partire.
Rimase a leggere per diverso tempo e i suoi sospetti furono confermati, almeno in parte.
Elisa stava effettivamente elaborando il lutto, ma lo stava facendo in maniera completamente diversa rispetto alla passata esperienza. L’altra volta il trauma era stato assorbito dal pressante lavoro nell’ospedale da campo e lo sfogo con lui era stato puramente dovuto a tutta la tensione accumulata in quegli anni, alla guerra, alla separazione.
In questo nuovo caso invece non c’erano eventi esterni a poterla tenere occupata e…
…Sei una dannata infermiera, dovresti sapere come gestire le cose.
Falman si irrigidì… possibile che le parole di Breda avessero in qualche modo scatenato qualcosa in sua moglie?
Effettivamente non ha gestito per nulla quella situazione. Insomma, capisco che viverla di persona è diverso, però…
Falman provò per qualche secondo a riflettere su Elisa: non si era mai lamentata da quando si erano sposati e lei era diventata una casalinga, tuttavia era innegabile che sua moglie fosse una donna profondamente attiva. In lei la vocazione per curare le persone era fortissima, così come per lui lo era l’esigenza di memorizzare le cose… non si era sentito profondamente depresso nelle settimane di inattività che avevano preceduto il suo ingresso nella squadra del colonnello?
Posandosi pesantemente sullo schienale della poltrona rimase a riflettere a lungo.
 
“Eli, ti posso chiedere una cosa?” disse qualche giorno dopo, mentre con la moglie faceva colazione.
Ormai fisicamente era in forma, tanto che dal giorno prima aveva ripreso ad occuparsi lei della cucina e l’aveva convinto a tornare a lavoro.
“Dimmi pure”
“Dopo che ci siamo sposati hai mai cercato di rientrare a lavoro in ospedale?”
Elisa si fermò con la tazza a metà strada tra il tavolo e le sue labbra: guardò il marito come se fosse stata appena colta in flagrante e, dopo qualche secondo sospirò.
“No, non l’ho fatto…”
“E perché?”
“Ecco… - disse lei, arrossendo lievemente – a dire il vero non c’era bisogno di personale e dopo che tu sei stato preso nella squadra del colonnello Mustang ho pensato che… forse… era più conveniente che la moglie di un soldato si occupasse della casa e dei bamb… scusa…” si interruppe bruscamente
Falman posò il suo caffè e mise i gomiti sul tavolo, posando poi la testa tra le mani, come se fosse in preda ad una forte emicrania.
“No… Eli, questo non dovevi farmelo – iniziò, sentendosi incredibilmente colpevole – Perché hai sacrificato te stessa per me? Che cosa cavolo… speravi di ottenere?”
“Cosa speravo di ottenere? – esclamò lei, con voce tesa… per la prima volta c’era una notevole rabbia volta verso Falman – Che cosa diavolo speravo di ottenere? Quasi tre anni lontani, ti sembrano niente, Vato Falman? O forse per te non era importante poter finalmente stare assieme?!”
“Certo che era importante! – ribadì lui, scoprendosi arrabbiato a sua volta – Ma questo non voleva dire che tu dovessi metterti in secondo piano”
“Ho fatto le mie scelte di donna e di moglie! – sibilò Elisa, gli occhi verdi socchiusi – Ma a quanto pare a te non sembrano importare molto… Forse ho sbagliato a pensare di poter trovare l’appagamento stando a casa; forse avrei dovuto accettare quella proposta del dot…” si interruppe e arrossì colpevolmente
“Che proposta?” chiese Falman impassibile
Elisa rimase in silenzio per diversi minuti, non osando alzare gli occhi sul marito. Ma alla fine cedette.
“E’ stato circa un mese dopo che c’eravamo sposati – spiegò – Incontrai per caso una mia amica che era stata con me all’ospedale da campo. Mi disse che il medico presso cui avevamo servito, il dottor Ewans, aveva intenzione di tenere dei corsi di formazione per medici ed infermieri… in modo che ci fosse personale altamente preparato per andare negli ospedali da campo. Alla mia amica era stato chiesto di partecipare per formare le infermiere e a quanto sembrava il dottor Ewans aveva intenzione di chiamare pure me…”
“E dove…”
“Central City, South City… tutte le capitali di distretto. Almeno sei mesi ad ogni tappa”
“Cavolo…” sospirò Falman
“Capisci? Non era il lavoro in ospedale… non era tornare a casa e dirti “Sai, mi hanno chiamato all’ospedale della città, riprenderò a fare l’infermiera”… No, Vato. Voleva dire più di due anni lontana da te, di nuovo… cerca di capirmi… non ero disposta ad accettarlo. Non ero…” le lacrime iniziarono a scendere sulle guancie di lei.
“Eli… - si riscosse Falman, alzandosi e andando ad abbracciarla – scusami, scusami. Sono stato un perfetto idiota ad accusarti in questo modo, senza sapere minimamente della situazione.”
“E’ stato così sbagliato? – chiese lei tra le lacrime – E’ stato così orribile che per una volta io abbia scelto te e non il mio lavoro?”
“Orribile? Eli, è una delle prove d’amore più profonde che tu mi abbia mai fatto… io non…”
“E allora smettila di avercela con me” singhiozzò lei restituendo l’abbraccio
“Avercela con…? Oh no, non era questo che… Cavolo Eli, forse è meglio che nemmeno oggi vada a lavoro: chiarire questa situazione è molto più importante”
 
Quella mancanza di dialogo aveva colto di sorpresa entrambi.
Erano sempre stati insieme, fin dalle elementari e davano in qualche modo per scontato il capirsi al volo. Ma questa convinzione li aveva fatti cadere in un grosso errore e dunque il loro matrimonio si trovava improvvisamente privato delle solide basi su cui avevano creduto di costruirlo.
Non che mancasse l’amore, tutt’altro… ma proprio per questo sentimento uno dei due aveva fatto dei sacrifici senza dire niente all’altro.
“Se fossi partita sicuramente mi sarei sentita infelice per tutto il tempo. - disse Elisa alla fine – La verità, Vato, è che forse nessuna delle due opzioni era quella giusta”
Falman annuì, constatando che nelle parole di sua moglie c’era la pura e semplice verità: per come la conosceva lei sarebbe stata infelice in ogni caso.
“Sei… sei stata infelice in questi anni che sei rimasta a casa?” le chiese all’improvviso
“Che cosa? Ma no, che vai a pensare! – sospirò Elisa, alzandosi dal divano per andare a sedersi in grembo a lui – Vato, era una vita che volevo diventare tua moglie, stare con te, e questi anni sono stati stupendi. E ogni giorno mi ritengo la donna più fortunata del mondo ad averti…”
“Però?” continuò per lei, Falman
“Però non posso negare che mi manchi fare l’infermiera. E la perdita del piccolo… - si bloccò per un istante, portandosi la mano al ventre – mi ha fatto capire che ho perso molto controllo su me stessa: se non fosse stato per te ed il sottotenente Breda…”
“Eri terrorizzata”
“Sì, ma avrei dovuto pensare subito a mettermi un tampone tra le gambe per fermare tutto quel sangue. Non dico che l’avrei salvato, ma…”
“Elisa… tu vuoi tornare a fare l’infermiera, vero?”
Lei sospirò e lo abbracciò, nascondendo il viso sulla sua spalla
“Sarei una moglie così orribile se ti dicessi di sì?”
“Saresti semplicemente la donna di cui mi sono innamorato…”
 
“Ti trasferirai nei dormitori?” chiese Havoc con sorpresa qualche settimana dopo
“Sì” annuì docilmente Falman, guardando il rapporto sulla sua scrivania ed evitando di alzare gli occhi sull’amico.
“Ma Eli…” iniziò il sottotenente biondo
“Finiscila, Havoc – lo bloccò Breda, dandogli una gomitata sullo stomaco – se il maresciallo vuole tornare nei dormitori, torna nei dormitori, chiaro?”
“Sì, ma…”
“Ma niente. Quando ti trasferirai, Falman?”
“Dalla settimana prossima” disse l’interessato
Fury, che fino a quel momento non aveva detto nulla, si accostò a lui
“Se vuole può venire a stare in camera con me…” propose timidamente
Falman alzò lo sguardo su quel viso timido e gentile e finalmente riuscì a sorridere.
“Tranquillo Fury, provvederò da solo a queste cose. Però mi farà piacere avere la tua compagnia in mensa”
“Eh? Oh, ma certo, signore! – sorrise il ragazzo, felice di poter in qualche modo essere utile – Ogni volta che vuole!”
Sì, era vero: sarebbe tornato a stare nei dormitori, ma la situazione era lontanissima da quella che certamente si stava immaginando Havoc. Non c’era stato alcun litigio tra lui ed Elisa, nessuna catastrofica lite con stoviglie lanciate a suon di urla ed isteria.
Semplicemente Elisa sarebbe partita e a lui non andava di restare solo in casa. Proprio come era successo quando sua madre si era trasferita a New Optain, anni prima, lui non se l’era sentita di tornare ogni giorno in un posto vuoto e deserto.
Il dottor Ewans farà altri corsi a Central City e poi a North City… poi sarà ad East City, South City ed Ovest City… insomma il giro del paese. Quasi un anno che non ci vedremo, amore mio. Sei sicuro?
Sì ne era stato sicuro: negli occhi verdi di lei c’era l’esigenza di partire, cambiare aria per potersi liberare del tutto del lutto. Lasciarla a casa significava farla sprofondare nella depressione. Quasi un anno di separazione sarebbe stato duro, ma lei ne aveva l’esigenza fisica e mentale.
Stai tranquillo, non mi innamorerò di nessun altro.
No, non era l’idea del tradimento a preoccupare Falman e infatti Elisa aveva pronunciato quella frase in tono assolutamente scherzoso. Quella era una cosa di cui era assolutamente tranquillo: erano troppo fedeli l’uno all’altra per poter anche solo prendere in considerazione l’idea di un’altra persona accanto a loro.
L’unica cosa sarebbe stata la solitudine.
“Da lunedì allora? – disse Havoc, intromettendosi nei suoi pensieri – Perfetto! Lunedì si va a cena fuori!”
Falman sorrise.
No, in fondo non sarebbe stato affatto solo; e la cosa lo confortava tantissimo.
 
Vedere Elisa in tenuta da viaggio era davvero strano.
Falman fu colto da un nuovo déjà vu e gli parve di essere alla stazione per salutare una giovanissima infermiera che partiva per il fronte, chiamata dalle esigenze della guerra civile. Ma non era così: in quella stazione affollata non c’era più gente tesa e preoccupata, persone che si salutavano con il terrore di non rivedersi più.
“Io vado a prendere i posti, Eli, va bene?” disse la compagna di Elisa, salendo nel treno e prendendo anche la valigia di lei.
“Va bene, Laura, grazie!”
“Arrivederci, maresciallo, e grazie per averci accompagnate”
“Di niente, signorina Laura” salutò Falman, mettendosi sull’attenti
“Come sei formale - ridacchiò Elisa, aggiustandogli il colletto della divisa – eppure Laura era nell’altra sezione alle scuole superiori. La vedevi tutti i giorni a scuola”
“La situazione è diversa” protestò lui
“Già, diversa… completamente diversa”
“Anni fa ero tentato di tirarti giù da quel treno e non farti partire… non che adesso…” sorrise tristemente lui
“Oh, Vato, così non parto davvero!” scherzò lei, con una nota di sincera malinconia, abbracciandolo
“Inutile mentire: sento già la tua mancanza, Eli. Voglio lettere e telefonate, mi raccomando: non hai la scusa della guerra per non farti sentire”
“Stessa cosa per te, maresciallo Falman. Comportati bene e…”
“Signora Elisa! Maresciallo!”
I due si girarono con sorpresa e videro Fury arrivare di corsa. Il ragazzo si fermò accanto a loro, piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato.
“E tu che ci fai qui? – chiese Falman preoccupato – Dovresti essere in ufficio. Se lo scopre il tenente…”
“Lo so, lo so – arrossì il ragazzo, recuperando la posizione eretta – ma il colonnello mi ha dato delle commissioni da fare e poi i sottotenenti Havoc e Breda mi hanno praticamente obbligato a…”
“Riprendi fiato, Fury” sorrise Elisa, mettendogli le mani sulle spalle
Perché ovviamente Elisa, come tutte, adorava il piccolo soldato… sin da quando Falman gliel’aveva presentato sei mesi prima.
“Signora Elisa – sorrise il giovane, frugando nella tracolla nera che indossava – è un regalo da parte di tutti noi. Per augurarle un buon viaggio!”
“Una scatola di cioccolatini?”
“Eh… i soldi li abbiamo messi tutti, però non sapevamo che prenderle: pensavo a dei fiori, ma si sarebbero potuti rovinare nel viaggio e magari le sarebbero stati d’impiccio. Invece il cioccolato piace a tutti, quindi sono andato sul sicuro!” le ultime parole furono dette con profondo orgoglio
“Grazie, caro – rise Elisa, baciandolo sulla guancia – sei stato davvero un tesoro! Ringrazia tutti quanti!”
“Oh – arrossì lui – è stato un piacere, signora. Lei è sempre stata molto gentile con noi e le volte che ci ha invitato a cena è stata meravigliosa”
Il fischio della locomotiva avvisò che il treno stava per partire.
Fury alzò lo sguardo su Falman e disse
“La aspetto all’uscita della stazione, signore”
E prima che Falman potesse dire altro, corse verso la direzione da cui era venuto.
“E’ adorabile – commentò Elisa – prendetevi sempre cura di lui. Tanto lui fa lo stesso con voi, ne sono certa. Vato…”
“Ti amo: – disse lui – sei la cosa più importante che…”
Le sue labbra cercarono quelle di Elisa e i due si strinsero in un bacio appassionato.
Torna da me, amore mio. Conterò con impazienza i giorni che mi separano da te.
“Devo andare, - sospirò la donna, staccandosi da lui – ti chiamo stasera come il treno fa sosta”
“Sì…”
“Ti amo, Vato Falman… lo sai?”
“Lo so”
Con un sorriso la donna salì sul treno, esitando per un istante in un’ultima carezza alla guancia magra di lui.
E ancora una volta al soldato non restò che guardare quel treno che lo allontanava dalle persone che amava: prima sua madre, poi la sua fidanzata, ora sua moglie… iniziava ad odiare profondamente quelle rotaie e quei vagoni.
Ma anche questa volta è stata la scelta giusta…
Come il treno scomparve dalla sua visuale si diresse verso l’uscita della stazione.
Fury era seduto su un muretto proprio lì davanti e come lo vide, scese agilmente e gli corse incontro.
Il ragazzo sembrava molto incerto su cosa dire, ma Falman lo precedette.
“Sei stato davvero molto gentile, Fury. Così come gli altri”
“Spero solo che i cioccolatini piacciano alla signora Elisa – sospirò lui – Che ne dice, signore?”
“Oh, le piaceranno: lei adora il cioccolato. Vogliamo tornare in ufficio?”
“Va bene, maresciallo” annuì il ragazzo.
 



____________________
nda.
Oh bene, sono riuscita a far tornare il punto su cui mi stavo rincitrullendo da tempo.
Falman, nel manga, quando Fury porta Black Hayate sta nei dormitori... dovevo far tornare questo particolare. E dunque ecco l'allontanamento di Elisa. Anche questo salto mortale è riuscito... adesso posso andare in discesa! :D

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 25. 1914 News and arrivals. ***


Capitolo 25.
1914. News and arrivals



 
“Aspetta, aspetta, aspetta! – esclamò Havoc, con grandissimo orgoglio, vedendo Fury entrare in ufficio – Sbaglio o sulla tua spallina vedo una stellina in più, Fury?”
“Attenzione! – gli fece eco Breda – Adesso in squadra abbiamo ufficialmente un sergente maggiore… anche se è davvero ridicolo chiamarti così considerata la tua altezza”
Fury rise imbarazzato, passandosi una mano sui capelli neri e avvicinandosi ai suoi colleghi.
Nell’ultimo anno il ragazzo era davvero cresciuto tanto ed aveva fatto progressi tali da raggiungere il rango di sergente maggiore... già un mese prima, ad inizio anno nuovo, anche se aveva avuto il permesso di cambiare il rango sulla divisa solo quel giorno: un’ulteriore dimostrazione del suo valore, considerato che erano in periodo di pace e dunque gli avanzamenti di grado non erano così rapidi come durante la guerra.
“Sono veramente fiera di te, Fury” sorrise il tenente Hawkeye
“La ringrazio, signora”
“Ve l’avevo detto che avevo visto giusto su di lui: – annuì Mustang dalla sua scrivania, nascondendo in parte l’enorme orgoglio, quasi Fury fosse una sua creatura – ho intuito per queste cose, non c’è nulla da fare”
Falman sorrise soddisfatto quando il ragazzo si girò verso di lui, cercando anche la sua approvazione.
Era incredibile, ma erano passati più di due anni da quando era arrivato in squadra.
Praticamente è passato da caporale a sergente a sergente maggiore in poco più di ventiquattro mesi.
“Beh, adesso che hai quella stelletta in più non pensare di adagiarti sugli allori, giovanotto – disse Havoc con finta serietà – Anzi, visto che sei diventato così grande direi che potresti fare anche lavoro in più”
“Che?” si sorprese Fury, non riuscendo mai ad abituarsi agli scherzi dei suoi compagni
“Hai ragione, Havoc – gli fece subito da spalla Breda, strizzando l’occhio a Falman – da stasera un’ora supplementare di lavoro per almeno una settimana: è la tradizione quando si passa al rango di sergente maggiore”
“Tradizione?” chiese Fury girandosi verso Falman
“Oh sì – annuì lui, partecipando una volta tanto a quei giochi – E’ prassi consolidata in ogni Quartier Generale”
“E va bene! – sospirò il giovane, mettendo il broncio – Però è un peccato… volevo festeggiare con voi, stasera. Oh beh, aspetterò di finire questa tradizione”
“La tradizione della tua idiozia e ingenuità! – scoppiò a ridere Havoc, arruffandogli i capelli neri – Ci caschi sempre!”
“Uno scherzo! – arrossì il ragazzo – Ma! Maresciallo… lei non…”
“Scusa Fury, - ammise Falman – ma una volta tanto non succede nulla a partecipare a questi scherzi”
La verità era che il maresciallo si sentiva particolarmente felice in quel periodo: la settimana prossima finalmente Elisa sarebbe tornata ad East City. Più di un anno senza di lei, nonostante le telefonate e le lettere: negli ultimi tempi, quando l’attesa ormai era quasi al termine, Falman si era reso conto di quanto sentisse la sua mancanza. Per sei mesi lei sarebbe stata assieme a lui e finalmente avrebbero potuto ricostruire il loro rapporto con basi molto più mature e solide.
Tutti in ufficio sapevano di questa novità ed erano molto felici per lui. Certo, poi dopo quei mesi ci sarebbe stato un altro anno di lontananza, tuttavia…
Il telefono alla scrivania del colonnello squillò ed i festeggiamenti per la promozione di Fury si interruppero.
“Colonnello Mustang” rispose l’uomo, dopo aver alzato il ricevitore.
Tutti portarono lo sguardo su di lui, pronti a scattare ed entrare in azione: oramai avevano sviluppato una sintonia tale da non aver bisogno di ordini superflui. Le missioni in quei due anni si erano succedute rapidamente, portando Mustang ad avere un ruolo di grande importanza nel Quartier Generale dell’Est. Falman era entrato abbastanza dentro i meccanismi di quella piccola società per sapere che il Generale Grumman aveva particolari aspettative sul giovane alchimista e che dunque gli lasciava il comando di missioni che sarebbero dovute andare a gente più esperta di lui.
Forse si trattava proprio di uno di quei casi, perché gli occhi scuri del colonnello si stavano restringendo.
“Va bene” disse l’uomo riagganciando il telefono ed alzandosi in piedi.
Tutta la squadra fece altrettanto e si misero sull’attenti.
“Andiamo, ragazzi – disse il colonnello – a quanto pare c’è stato un dirottamento ferroviario… e pare ci sia un pezzo grosso tra i passeggeri”
 
La sala operativa era in pieno fermento: per casi come questi la squadra di Mustang non poteva agire in maniera singola e doveva tener conto anche del resto dei soldati. Fury si mise immediatamente ad una postazione radio, sistemandosi le cuffie sui capelli corvini: l’aria concentrata del soldato faceva capire chiaramente come avesse messo da parte la sua idea di festeggiare la promozione. Il dovere prima di tutto.
Come si raccolsero le prime informazioni il tenente disse
“Il treno assaltato è il rapido 04840 partito da New Optain. Gli assalitori sono i guerriglieri blu, un gruppo di estremisti dell’Est”
Falman annuì a quella notizia: non era strano che ad anni di distanza dalla guerra ci fossero ancora gruppi estremisti di quel genere.
“C’è un comunicato?” chiese il colonnello
“Sì, e paiono molto sicuri di sé. Glielo leggo?”
“No, lascia stare. Tanto so già che sarà pieno di insulti contro di noi” scosse il capo Mustang
“Proprio così - annuì il tenente, dando una rapida occhiata al foglio in questione – Vogliono la liberazione del loro capo attualmente detenuto nelle nostre prigioni”
“Tipico. Allora mi confermate che il generale Hakuro è davvero su quel treno?”
Falman osservò Fury che stava trascrivendo le informazioni che gli arrivavano via radio
“Stiamo controllando ora – disse – ma è molto probabile”
“Che fastidio – sospirò Mustang – Stasera avrei un appuntamento…”
Breda, che nel frattempo stava controllando sul giornale gli orari dei treni, per verificare se si rischiasse lo scontro con qualche coincidenza, rispose sarcasticamente
“Vorrà dire che per una volta tanto farà un romantico straordinario con tutti noi”
Il colonnello sembrava tutto meno che soddisfatto da quella possibilità e assumendo un tono falsamente serio rifletté
“Il modo più rapido per concludere questa vicenda sarebbe sacrificare il generale, così potremmo…”
“Non dica sciocchezze, colonnello. – fece Fury, leggermente contrariato, porgendogli un foglio – Ecco l’elenco dei passeggeri”
Mustang lo osservò attentamente, mentre anche Havoc gli si accostava con curiosità.
“Ah, c’è davvero anche il vecchio Hakuro con tutta la famiglia…” commentò il biondo
“Certo che anche lui… mettersi a fare una vacanza all’Est pur sapendo che la situazione è bollente – iniziò il colonnello, pronto a prendersela contro il generale. Ma poi il suo sguardo si fece furbo ed un sorriso gli apparve sulle labbra – Signori, vi informo che stasera ce ne andremo a casa prima di previsto…”
Falman come tutti gli altri si girarono a guardarlo con perplessità.
Il sorriso di Mustang si fece ancora più malizioso
“…su quel treno c’è l’Alchimista d’Acciaio”
 
E così Edward ed Alphonse erano tornati ad East City dopo uno dei loro innumerevoli viaggi alla ricerca del modo per aver indietro i loro corpi.
Falman, quella sera, mentre si preparava per uscire, rifletté e si ricordò che Ed ormai doveva avere circa quindici anni… il più giovane alchimista della storia.
Non scambierei mai il mio talento con il suo – aveva commentato Mustang tempo prima – Non al prezzo che ha pagato lui con il fratello.
Già, perché la storia di Ed e Al, sebbene sconosciuta a quasi tutti, era molto tragica. Falman sapeva poco di alchimia, l’unica a cui fosse relativamente abituato era quella del colonnello, ma non pensava che le conseguenze di un’azione come la loro potessero essere così tragiche.
Certo che quello che hanno cercato di fare…
Falman scuoteva il capo ogni volta che ci pensava: tentare di riportare in vita la loro madre.
Poteva capire il loro desiderio, considerato anche che all’epoca erano ancora più giovani e praticamente orfani, dato che il loro padre era andato via da casa… ma per quanto si amasse una persona…
No, io non avrei mai fatto una cosa simile per mio padre… o per mio figlio…
Ed e Al erano comparsi nelle loro vite circa due anni fa, quando Mustang aveva praticamente fatto da tutore ad Ed per fargli passare l’esame per diventare Alchimista di Stato. Falman ed il resto della squadra intuivano che il colonnello aveva preso a cuore la sorte di quei ragazzi, nonostante mascherasse tutto dietro la solita ironia e ambizione. Certo, una buona dose di calcolo era presente nei piani dell’alchimista di fuoco… come era stata presente nel momento in cui aveva preso in squadra tutti loro.
Per i primi tempi lui e gli altri avevano creduto che Ed sarebbe in qualche modo entrato a far parte della loro squadra, considerato che, per l'esercito, lui era un sottoposto di Mustang. Ma alla fine il giovane e suo fratello non stavano mai al Quartier Generale: erano sempre in giro per Amestris e ormai l’eco delle loro imprese era sulle bocche di tutti.
Voglio bene a quei due ragazzi – aveva detto Breda una volta che loro quattro erano usciti a cena e il discorso era caduto sui fratelli Elric – ma sono una cosa completamente diversa. Voi, il tenente ed il colonnello siete la mia squadra… Ed e Al sono delle persone che aiuterò come posso, ma non sono paragonabili a quelli che sono i miei veri compagni.
Sì, Falman era d’accordo con Breda: non era questione di insensibilità, ma l’affiatamento, l’intesa… tutto quello che avevano costruito negli anni era qualcosa di cui andavano troppo fieri e orgogliosi. L’arrivo di Fury aveva completato la squadra, lo sentivano tutti quanti: non avevano bisogno di altri elementi a incrinare il prezioso equilibrio che avevano raggiunto.
L’unico che potevano accettare, da circa un mese, era il cane…
“Allora stasera si va a cena assieme! – esclamò Fury, raggiungendo Falman assieme a Breda ed Havoc – Meno male… mi dispiaceva rimandare”
“Mi raccomando di non fare troppo tardi” lo reguardì il tenente, passando accanto a loro con il colonnello
“Certo, signora – assicurò Fury – mi saluti tanto Black Hayate”
“Stai tranquillo. – sorrise lei – Domani lo porto in ufficio per fartelo salutare, va bene?”
“Sul serio? – si illuminò il giovane – Grazie mille, tenente! Così potrò vedere quanto è cresciuto!”
“Fantastico…” brontolò Breda che, si era scoperto, aveva una tremenda fobia dei cani.
“Buonanotte a tutti, ragazzi – salutò Mustang con un cenno della mano – E speriamo che l’arrivo del nostro caro Acciaio non ci porti guai come al solito”
 
Quasi le parole del colonnello si fossero rivelate profetiche, circa una settimana dopo la squadra era radunata nell’ufficio ed i pensieri non erano dei migliori: avevano un nuovo problema da affrontare ed il suo nome era Scar.
“Ha mandato in frantumi l’automail di Acciaio – commentò Breda, scuotendo il capo – e ha messo in difficoltà l’Alchimista Nerboruto…”
“E il colonnello…” commentò Havoc con un’occhiata maliziosa a Mustang
“Havoc oggi non piove ed incenerirti non mi sarebbe difficile!” esclamò Mustang guardando di sbieco il sottotenente e cercando di dimenticare la grandiosa figuraccia che aveva fatto due giorni prima.
E già – sospirò Falman tra dentro di sé – il fuoco non può molto nei giorni di pioggia… il colonnello se lo dovrebbe ricordare prima di lanciarsi in attacchi spericolati… meno male che c’era il tenente.
Certo, l’atterramento di Mustang per lo sgambetto da parte della donna non era stato molto dignitoso, ma almeno era sano e salvo.
“Otterrà lei l’incarico di occuparsi di Scar, signore?” chiese Fury, leggermente preoccupato
“Sì, sergente, - annuì Mustang – stai tranquillo che lo stanerò e metteremo fine a questa sua folle sete di vendetta”
Il ragazzo sorrise debolmente, ma tutti condividevano la sua preoccupazione. Scar era uno dei superstiti di Ishval e Mustang era uno dei maggiori artefici di quello sterminio… uno dei principali obbiettivi di quella vendetta.
Già… Ishval in fondo non è ancora finita e forse non finirà mai.
Falman sapeva, come tutti gli altri, che la guerra doveva pesare molto nel cuore di Mustang, così come in quello del tenente Hawkeye. Lui e gli altri erano convinti che questo pentimento e la determinazione a cambiare le cose fossero sufficienti per poter in qualche modo perdonare quanto era successo in quella guerra. Erano soldati e, eccetto Fury, avevano vissuto le difficoltà della guerra, sebbene in modo differente.
Lo sterminio di quel popolo era un dato di fatto, così come l’indubbia colpevolezza dei loro superiori… ma la guerra aveva insegnato loro che spesso c’erano anche altri fattori per giudicare delle persone. Il colonnello ed il tenente ne erano la prova più lampante.
Falman non aveva dubbi che lui e gli altri avrebbero fatto di tutto per difendere quelle due persone: a loro avevano affidato le loro speranze ed i sogni per un futuro migliore.
Non sarà Scar a fermare Roy Mustang… non lo permetteremo.
“Signore – si trovò a dire – vuole che le facciamo da scorta anche noi fino a quando non si avranno notizie certe di Scar e della sua sorte?”
“No, Falman – scosse il capo Mustang – Per ora quell’uomo è ferito e non può fare molto. Sta ancora ad East City, di questo non ho dubbi: dobbiamo assolutamente stanarlo… l’ultima cosa che mi serve è una scorta. Basterà il tenente come sempre”
“Conti su di me, colonnello” annuì la donna
“Piuttosto fate attenzione tutti voi – ribadì l’uomo – Non credo che Scar se la prenda anche con voi, considerato che è stato appurato che caccia esclusivamente gli Alchimisti di Stato. Ma vi ha visto assieme a me e potrebbe riconoscervi come membri della mia squadra… ora è altamente improbabile che vi attacchi, ma tenete gli occhi aperti, chiaro? E non lanciatevi in azioni isolate contro di lui… avete visto che cosa combina”
“Sì, signore” annuì Breda, mettendo una mano sulla spalla di Fury con fare protettivo.
“Va bene. Adesso abbiamo un contatto diretto con Central grazie al tenente colonnello Hughes: se Scar torna nella capitale ne verremo informati... ma cerchiamo di bloccarlo noi. Ora che Acciaio è tornato al suo paese per far rimettere in sesto il suo automail e l’armatura di suo fratello, abbiamo carta bianca per agire”
“Sissignore”
 
Ma quella sera Falman non aveva nessuna intenzione di pensare a Scar.
Come uscì dal Quartier Generale si diresse con passo affrettato verso la stazione ferroviaria: sperava di non essere in ritardo, ma la situazione d’emergenza l’aveva trattenuto in ufficio più del previsto.
Salì a due a due i gradini che conducevano all’interno della stazione e si diresse verso i binari.
Con suo sommo disappunto vide che non c’era più nessuno. Leggendo il numero del treno che stava fermo e vuoto davanti a lui, lanciò un lamento: era arrivato in ritardo… il treno era sicuramente giunto in stazione da almeno mezz’ora e…
“Vato Falman, – esclamò una voce dietro di lui – è così che mi accogli? Con quaranta minuti di ritardo?”
Falman si girò di scatto e fece appena in tempo ad aprire le braccia prima di ritrovarsi Elisa stretta a lui
“Eli! – disse con voce rotta, abbracciandola – Amore mio, scusa! Sono in tremendo ritardo, lo so…”
Non fece in tempo a dire altro perché un bacio interruppe qualsiasi altra possibilità di conversazione.
Solo in quel momento si accorse di quanto gli erano mancate quelle labbra, quel corpo, quella presenza.
Sei qui… sei qui finalmente!
Quando si staccarono vide che anche lei aveva gli occhi lucidi per le lacrime. Ed era così bella, incredibilmente bella: quell’anno di lontananza l’aveva riportata agli antichi splendori. Falman trovò in lei qualcosa della vecchia Elisa che da tempo non vedeva… eppure c’era anche una nuova e profonda maturità.
Sono cambiato anche io così tanto? Oppure…
“Amore – sospirò Elisa, accarezzandogli i capelli della fronte – come sei… cambiato.
“Anche tu. Eppure, sei ancora più bella e… Vogliamo andare a casa? L’ho rimessa in ordine per il tuo arrivo”
“Ma stai ancora nei dormitori”
“Oh, se non dormo lì per qualche notte non succede niente. Del resto io sono ufficialmente residente in città” e con un sorriso prese la valigia e le passò il braccio libero attorno alle spalle.
Di Scar non gli importava nulla: quella sera esisteva solo Elisa.
 
 

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Capitolo 27
*** Capitolo 26. 1914. Decisions that can change your life. ***


Capitolo 26.
1914. Decisions that can change your life.


 
La sveglia squillò impietosa alle sei e venti di mattina, come succedeva sempre da quando Elisa era tornata.
I corsi iniziano alle otto e mezza, ma noi dobbiamo essere lì alle sette e mezza per preparare tutto.
Per Falman era così strano vedere la donna che si alzava prima di lui per prepararsi e andare a lavoro: mentre lui restava a letto a poltrire, considerato che doveva essere in ufficio alle otto e mezza e da casa ci impiegava nemmeno venti minuti per arrivare, Elisa si muoveva con silenziosa rapidità ed efficienza.
A conti fatti riuscivano a stare insieme solo dalla cena in poi che, spesso e volentieri, si trovava a dover preparare lui.
I corsi che svolgeva la donna erano infatti altamente intensivi, senza contare che spesso era richiesta la sua collaborazione anche all’interno dell’ospedale. Insomma, Elisa era tornata nel suo campo come un uragano e stava dimostrando di essere un elemento più che valido che la fine della guerra aveva solo messo in disparte per qualche tempo.
A ben pensarci ero davvero egoista a volerla solo per me. Con le sue mani questa donna meravigliosa allevia le sofferenze delle persone e salva vite.
“Va bene, sono le sette meno cinque. – annunciò lei, a voce bassa, per non disturbare la pace della stanza relativamente immersa nel buio – Io adesso vado, Vato: ci vediamo stasera come sempre. Il primo che arriva mette sù la cena, va bene?”
Si chinò per baciarlo, dato che lui era ancora a letto, ma Falman la imprigionò improvvisamente con le braccia, costringendola a sdraiarsi sopra di lui.
“Vato! – protestò lei con una risatina – Devo andare, dai! Non rovinarmi i capelli”
“Andare… - rifletté lui a voce alta – e se ti tenessi in ostaggio qui per il resto della mattina?”
“Devi andare in ufficio pure tu, mi pare”
Le diede un profondo bacio, gustando il sapore delle sue labbra così morbide e poi la lasciò andare.
“Va bene, mi hai convinto… ma un giorno ti imprigiono davvero” promise lui
“Vedremo, maresciallo” ridacchiò Elisa, libera di alzarsi dal letto. Con un ultimo sorriso si diresse verso l’ingresso della camera da letto e dopo qualche secondo Falman sentì la porta di casa chiudersi.
Stiracchiandosi vistosamente il maresciallo si sedette, ormai troppo sveglio per pensare di rimettersi a dormire: al contrario di altri lui era una di quelle persone che non amava stare a letto senza fare niente.
Alzandosi per prepararsi con tutta la calma possibile pensò che in quell’ultimo mese aveva praticamente condotto una doppia vita: il giorno lo passava in ufficio con tutti gli altri, svolgendo il solito lavoro, nonostante lo spettro di Scar aleggiasse ancora sull’intera squadra.
Come usciva dall’ufficio la sua mente dimenticava quasi del tutto di essere un soldato e si dedicava completamente ad Elisa. Quell’anno di lontananza aveva fatto in qualche modo bene ad entrambi: Falman aveva pensato di aver raggiunto l’apice della maturità del loro rapporto il giorno in cui l’aveva sposata, ma si sbagliava. Il matrimonio era stato solo un atto legale: erano altri gli eventi che portavano alla maturazione vera e propria di una vita insieme… l’aborto, la lontananza, il fatto che entrambi lavoravano e dunque dovevano trovare una sorta di equilibrio: erano quelle sfide quotidiane a farli crescere veramente.
Crescere ancora a trentaquattro anni compiuti… incredibile ma vero.
Ma Falman ormai aveva imparato ad accettare i fatti della vita.
 
Uscendo per andare a lavoro, vide che era ancora presto e decise di fare una lieve deviazione.
Arrivò alla zona transennata che impediva ai cittadini di avvicinarsi troppo a quel tratto di fogne esploso la settimana scorsa. Come lo videro i poliziotti di guardia fecero il saluto e gli permisero immediatamente di passare: era già stato un’altra volta in questo piccolo cantiere e sapeva che c’era una persona in particolare.
“Sottotenente Havoc – salutò, avanzando verso di lui – tutto bene?”
“Ehilà Falman, - sorrise il biondo, lieto di quell’inaspettata visita di prima mattina – sei mattiniero oggi”
“Ho pensato di passare a salutarla prima di andare in ufficio” ammise il maresciallo, mentre si avviava insieme al collega in quel labirinto di macerie dove l’esercito stava cercando di mettere ordine.
Il suo sguardo cadde su alcuni cadaveri coperti da lenzuola e Havoc commentò
“Siamo arrivati a quota dieci, ma nessuno di loro è Scar… di quell’uomo è rimasto solo il cappotto ritrovato il giorno stesso dell’esplosione”
“Non si è ancora arrivati a definire la causa di tutto questo, vero?” chiese il maresciallo
“No – scosse il capo, Havoc, accendendosi una sigaretta. Nonostante fossero appena le otto e un quarto e l’aria fosse ancora fredda, dato che erano in marzo, l’uomo era senza giacca e con una maglietta a maniche corte – Stiamo spostando macerie tutto il giorno, anche per mettere in sicurezza la parte che sta vicino al ponte: gli ingegneri non hanno parlato di rischio crolli, ma non si sa mai. Ma di una cosa il colonnello è certo: qui è stata usata una grande forza distruttrice…” gli occhi azzurri lanciarono una rapida occhiata a quelli di Falman ed il maresciallo annuì, capendo al volo quello che il suo collega voleva dire.
Sì, è stato Scar a provocare tutto questo… ma per quale motivo? Il sangue nella giacca poteva essere relativo alle ferite che ha ricevuto... non per forza mortali. Con chi si è scontrato per arrivare a far esplodere una porzione così grande di fogne, attirando così l’attenzione generale?
“Il colonnello ha davvero una bella gatta da pelare, – commentò con serietà – senza contare che ha gli occhi del Generale Hakuro puntati su di lui… pare che tutti aspettino una sua mossa falsa”
“Che ti aspettavi, Falman? – sorrise furbescamente Havoc – Il nostro superiore ha fatto carriera molto in fretta: quanti altri sono colonnello a ventinove anni? Il vecchio Grumman gli ha permesso di scalare i gradi della gerarchia militare, dandogli così tanta fiducia, ma a molti la cosa non piace. Aspettano tutti di vederlo crollare per la vicenda di Scar”
“Non crollerà” scosse il capo Falman
“No, non lo farà; ma noi dobbiamo dargli tutto il sostegno possibile. Crolla lui e crolliamo noi…”
Falman annuì, capendo bene i sottintesi di quella frase: la squadra era legata al destino del suo superiore.
“Mi sono trattenuto anche troppo – si scusò, guardando il cielo – è meglio che vada in ufficio”
“Salutami gli altri, – disse Havoc, dandogli una pacca sulle spalle – e dì a Breda che stanotte ho proprio voglia di un’uscita per bere. Coinvolgerei anche te, ma so che Elisa ti aspetta a casa… mi toccherà ripiegare su Fury”
“Non lo faccia bere troppo, signore, mi raccomando”
“Certo. Lo terrò solo per farci compagnia” sogghignò il sottotenente
 
“Salve a tutti – salutò, poco dopo, entrando in ufficio – scusate il ritardo e…”
Si sorprese vedendo che c’erano solo Fury e Breda: era strano che non fossero presenti anche il tenente ed il colonnello. Ma era anche vero che potevano esser stati chiamati per qualche motivo particolare e…
“Siamo in autogestione, maresciallo, – annunciò Breda con aria cupa, alzandosi in piedi e andando verso di lui – il tenente ed il colonnello sono partiti stamattina prestissimo. Prima di un paio di giorni non torneranno”
“Partiti? – chiese Falman con sorpresa – E per dove?”
“Central City – spiegò il sottotenente – è successo un imprevisto che rende le cose più complicate per il nostro superiore”
Falman guardò Breda con perplessità e notò che gli occhi grigio chiaro erano più cupi del previsto, come se il suo umore riuscisse a condizionare la gradazione del colore. Spostando l’attenzione verso Fury vide che questi stava seduto alla sua scrivania con lo sguardo basso e triste: le mani erano posate in grembo e sembrava totalmente immerso nei suoi pensieri.
“Che è successo?” chiese Falman con un sussurro
“Ieri notte hanno assassinato il tenente colonnello Hughes” annunciò il rosso col medesimo tono di voce.
 
Per tutto il giorno non fecero niente: rimasero in quell’ufficio seduti alle loro scrivanie aspettando una telefonata o una qualche comunicazione da parte del colonnello o del tenente. E tutti loro riflettevano sulle implicazioni che quell’omicidio avrebbe avuto.
“E’ tutto collegato, vero?” chiese Fury a un certo punto, alzando finalmente gli occhi scuri dalla scrivania
“Certo, ragazzo – annuì Breda, andando a sedersi accanto a lui, nella scrivania di Havoc – a quanto pare qualcuno ha deciso di eliminare il tenente colonnello Hughes e la sola motivazione per compiere un gesto simile è chiara: aveva scoperto qualcosa che non doveva scoprire”
Falman annuì.
Il tenente colonnello faceva parte del reparto investigativo e lui, più di tutto il resto della squadra, sapeva benissimo quanto potesse essere rischioso quel mestiere. Il pericolo di incappare in qualcosa che doveva restare nascosto era sempre dietro l’angolo e spesso si andava a pestare i piedi a pesci troppo grossi.
I suoi pensieri tornarono a Mc Dorian e alla sua abilità nel muoversi in quel campo.
Il tenente colonnello era coetaneo di Mustang: non aveva ancora l’esperienza e la discrezione giusta…
Era un pensiero freddo e impietoso, ma il Falman che aveva lavorato otto anni a fianco di Mc Dorian si risvegliò improvvisamente, andando ad analizzare quelli che erano stati gli errori del migliore amico del colonnello.
Nemmeno dieci giorni fa la prima sezione della biblioteca di Central City è misteriosamente bruciata e lì c’era tutta la documentazione militare a cui attinge il reparto investigativo… poi l’esplosione vicino al ponte con la giacca di Scar… e ora l’assassinio di un tenente colonnello che si occupava di quel caso.
La sua mente rapida collegò i vari fili tra di loro: ovvio che era tutto collegato.
Tuttavia c’era un filo che Falman aveva paura di tirare in ballo, ma non ne poté fare a meno, perché il suo istinto gli diceva che era un elemento che non poteva permettersi di tralasciare.
I fratelli Elric… l’alchimia…
Ecco, quello era proprio un qualcosa che non era in grado di affrontare: finché si trattava di organizzazioni criminali, terrorismo, traffico illecito d’armi, aveva molto da dire a riguardo. Ma se entrava in gioco l’alchimia allora Falman era tentato di battere in ritirata: l’unica alchimia che era arrivato ad accettare era quella di Mustang. No, non era corretto: era arrivato ad accettare che Mustang la usasse perché era pienamente convinto dei propositi del suo superiore.
Non aveva alcun dubbio nemmeno sull’uso che ne facevano i fratelli Elric, certo… però…
Colonnello, in che cosa ci stiamo andando ad immischiare?
“Falman?” lo riscosse Breda
“Sì?”
“Andiamo a prenderci un the assieme, va bene? – disse il sottotenente,  la robusta mano posata sull’esile spalla di Fury – Ne abbiamo tutti bisogno”
Il maresciallo annuì distrattamente, notando lo sguardo leggermente sconvolto del sergente.
Era un momento di crisi e dovevano dimostrare di essere uniti più che mai.
 
Il colonnello ed il tenente tornarono due giorni dopo.
Il rientro in ufficio del loro superiore fu abbastanza destabilizzante: per quanto sembrasse che Mustang fosse normale come al solito, sebbene più taciturno, tutti intuivano che il lutto gravava pesantemente sulla sua persona. E quello era un bel problema.
Falman e gli altri avrebbero voluto in qualche modo aiutarlo, ma non sapevano come. Pareva quasi di essere tornati nei primi faticosi giorni di socializzazione tra di loro, quando nessuno voleva sbottonarsi più del dovuto: solo che in questo caso un simile atteggiamento era tenuto solo dal colonnello… e per gli altri era difficile da sopportare.
Il tenente aveva fatto loro un cenno del capo, avvisandoli che era meglio non tentare alcuna mossa di quel tipo. Roy Mustang non voleva che i suoi subordinati lo vedessero in un momento di debolezza.
Sì, colonnello, capisco che si voglia mostrare forte. – sospirò Falman, accettando quel silenzio – Ma essere una squadra significa anche essere uniti in simili momenti.
Mustang non disse niente riguardo all’omicidio del tenente colonnello: spiegò soltanto che era stato promosso Generale di Brigata per essere morto in servizio… e c’era stata una cattiva ironia nel pronunciare quell’ultima frase. Certo, quelle promozioni post mortem facevano più bene ai vivi: servivano a placare le coscienze. Ma a Mustang di certo non bastavano.
Furono tre giorni circa di silenzio quasi totale, in cui spesso Falman coglieva lo sguardo del loro superiore fisso a turno su ciascuno di loro, anche sulla scrivania dell’assente Havoc. Era come se, dopo aver tralasciato quel profondo lutto che l’aveva colpito, l’alchimista avesse deciso di soffermare la sua attenzione sui suoi sottoposti.
Sta rimuginando su qualcosa, eppure c’è anche una lieve nota di preoccupazione sul suo sguardo… è come se fosse estremamente indeciso su qualcosa.
 
“Falman, tua moglie è tornata qui ad East City, vero?” la domanda di Mustang fu così improvvisa che il maresciallo alzò il capo con sorpresa.
Erano solo loro due nell’ufficio, considerato che gli altri erano già andati via ed il tenente era andata in un altro ufficio a procurarsi alcune cose per il giorno successivo.
“Sì, colonnello – annuì lui – è tornata da quasi un mese”
“Ma se non erro non resterà qui per molto”
“Dovrebbe ripartire tra cinque mesi per South City, signore”
“Cinque mesi…” Mustang fissò la propria scrivania
“Signore, – si trovò a dire Falman – mia moglie è un’infermiera e questo l’ha spesso portata lontana da me. Allo stesso modo io sono un soldato”
Sapeva che con quella frase stava dando il suo assenso a quell’uomo per disporre della sua vita come preferiva. Era una conclusione a cui Falman era arrivato due giorni prima: era chiaro che Mustang stava per tentare qualcosa di grosso e che la sua famosa indecisione era su quanto coinvolgere la propria squadra.
Ma tutti loro avevano fatto una scelta ben precisa nel momento in cui gli avevano detto di sì e lo sapevano benissimo. L’ambizione dell’alchimista di fuoco era molto alta e solo loro osavano saperlo…
Comandante Supremo… è questo il vero inizio della sua ascesa, signore?
In quell’eventualità, la squadra doveva essere al suo fianco.
Mustang lo guardò con penentranti occhi neri: aveva recepito appieno il sottinteso di quella frase
 
Quella notte lui ed Elisa fecero l’amore.
Falman si era accorto di aver provato una passione molto simile a quella della loro prima volta, quando il distacco era così vicino. Involontariamente si era voluto ancora una volta imprimere ogni singolo centimetro di lei nella mente e nell’anima.
“Che cosa c’è?” gli chiese dolcemente la donna, dopo che il marito si fu abbandonato ansimante sulla sua spalla
“Che vuoi dire?” rispose, baciandole i capelli castani
“C’è qualcosa che vuoi dirmi – mormorò Elisa, accarezzandogli la nuca – ma hai paura di farlo”
No, non le poteva nascondere nulla.
“Se ci fosse la possibilità di un mio trasferimento…” iniziò debolmente
“Chi te l’ha detto?”
“Nessuno. Ma credo che…”
Non terminò la frase e lasciò che fosse il silenzio a parlare. Non aveva bisogno di pronunciare il nome del colonnello: Elisa sapeva troppo bene quanta fiducia lui avesse riposto in quell’uomo.
“Ti fidi di lui?” gli chiese dopo qualche minuto di silenzio
“Sì”
“Allora lo seguirai, non ho alcun dubbio in merito” sorrise debolmente la donna, baciandolo in fronte
“Potrebbe essere prima della tua partenza… prima di quanto crediamo”
“Dicono che la lontananza rafforzi l’amore” dichiarò lei, cercando una consolazione a quella nuova separazione.
La guerra, il tuo lavoro, ed ora questo… quanto ancora lo dobbiamo rafforzare?
“Fra cinque mesi tu ripartirai e starai via un altro anno… - mormorò Falman – Ma dopo, Elisa, giurami che non  ci lasceremo mai più per così tanto tempo.”
La donna fissò la mano dove portava il delicato anello di fidanzamento che non si levava mai.
“Te lo giuro, amore mio… ti raggiungerò ovunque tu sarai” promise prima di baciarlo di nuovo con passione.
 
Il giorno dopo c’era solo lui in ufficio quando arrivò Mustang.
“Dove sono gli altri?” gli chiese il colonnello. E Falman notò che c’era una nuova decisione nella sua voce e nel suo atteggiamento.
“Il sottotenente Havoc è come sempre al cantiere, il sottotenente Breda credo che sia in sala ricreativa; Fury è stato chiamato a riparare un telefono vicino al deposito, mentre il tenente è al poligono di tiro”
“Va bene: vai a chiamare Breda e digli di venire qui; agli altri ci penso io”
Falman annuì, alzandosi in piedi, e dal tono di voce del colonnello capì che il momento era arrivato.
Mentre camminava per i corridoi si sentiva incredibilmente calmo: sapeva che le loro strade stavano prendendo una direzione molto pericolosa, ma era altrettanto sicuro che non si potevano tirare indietro.
Se si era fatto qualche problema era stato per Fury: sapere che anche il piccolo della squadra sarebbe stato coinvolto in quella storia…
Ma lui ha il diritto ed il dovere di esserci come tutti noi.
Come entrò in sala ricreativa vide che Breda stava esultando per una vittoria contro un altro soldato: il sottotenente rosso era una vera e propria macchina da guerra nei giochi di strategia. Falman l’aveva sfidato diverse volte, ma il risultato migliore che aveva ottenuto era stato metterlo in difficoltà, allungando la partita più del previsto.
“Un soldato perfetto deve avere questo!” stava dicendo il sottotenente con un ghigno soddisfatto, indicandosi con l’indice la testa
“Ehi, che succede qui? – chiese Falman avanzando e guardando la scacchiera sul tavolo – Oh, ma che gioco sarebbe questo?”
“Si chiama Shogi – rispose Breda, girandosi a guardarlo con un sorriso – è una specie di scacchi che viene da un’isola dell’est”
“Certo, lo conosco. – scattò subito il maresciallo, ricordandosi come la spiegazione di quel gioco fosse presente nel vecchio libro che gli aveva dato Elisa tantissimi anni prima – Shogi: gioco strategico per due sfidanti svolto su una scacchiera composta da ottantuno quadrati con venti pedine per lato. I giocatori muovono a turno le pedine in accordo alla loro funzione e devono cercare di prendere la pedina del re avversario. Sembra che sia stato inventato nel…”
“Va bene – lo bloccò Breda annoiato – Il prossimo.” disse poi, rivolgendosi agli altri soldati presenti, cercando un nuovo sfidante
“Ops! – esclamò Falman, rimproverandosi di essere scivolato nel suo solito vizio di iniziare ad elencare le definizioni di qualcosa – Stavo dimenticando perché sono venuto qui. Il colonnello vuole vederti e ha chiesto che io venga con te”
“Io e te?” chiese Breda perplesso
“Sì…”
 
Dieci minuti dopo erano tutti e cinque schierati davanti alla scrivania del colonnello: entrando nella stanza si erano scambiati rapide occhiate, ma dietro la perplessità tutti sapevano quello che stava per succedere.
“Allora… - iniziò Mustang, alzandosi in piedi e squadrando ciascuno di loro – Sergente Maggiore Kain Fury…”
“Sì” mormorò il giovane
“Maresciallo Vato Falman…”
“Sissignore”
“Sottotenente Heymans Breda…”
“Si”
“Sottotenente Jean Havoc…”
“Eccomi”
“Tenente Riza Hawkeye…”
La donna si limitò a chinare lievemente il capo in segno di rispetto
“Voi cinque sarete trasferiti con me a Central City. Non voglio sentire obiezioni. Seguitemi
Scattarono tutti e cinque sull’attenti, all’unisono, pronti a seguire quell’uomo per tutta la vita.
Il momento fu così solenne: era il punto di non ritorno, quello in cui avevano ufficialmente deciso di porre davanti all’esercito stesso il loro superiore. A conti fatti stavano ballando sul filo del tradimento, ma nessuno di loro se ne stava pentendo.
Erano davvero una squadra e…
“Ah! – fece all’improvviso Havoc – Colonnello, avevo dimenticato: c’è un problema”
Tutti rimasero perplessi davanti a quell’improvvisa dichiarazione: che cosa era successo?
“Cosa?” chiese Mustang contrariato
“Ecco… mi sono appena trovato una ragazza!” dichiarò il sottotenente con orgoglio
“Lasciala! – lo congelò Mustang – Trovatene un’altra a Central City”
La faccia di Havoc divenne immediatamente funerea… la solennità del momento rovinosamente distrutta da quell’assurdo imprevisto.
Girandosi verso la finestra, Mustang continuò ad infierire
“Siete ancora all’inizio del vostro rapporto. Il vostro amore è sicuramente all’acqua di rose. Considerati fortunato: non soffrirai tanto”
Fury quasi lacrimava per quella prova di crudeltà, non così strana considerato che le prese in giro per gli amori di Havoc erano ormai conosciute. Invece Breda, il tenente e lo stesso Falman, batterono delle pacche sulla schiena dello sconsolato Havoc…
Nel bene e nel male erano sempre una squadra… anche in queste “emergenze”

 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27. 1914. Meetings. ***


Capitolo 27.
1914. Meetings

 


“Guarda che bello, Hayate! Il paesaggio è stupendo, non trovi?” disse il sergente, accostando il cane al finestrino… che venne leccato con entusiasmo
“Fury, la pianti di comportarti come un bambino? – lo rimproverò Breda – Siamo militari… e tieni buono quel cane”
“Scusi, signore!” arrossì Fury, accorgendosi di essere effettivamente troppo eccitato da quel viaggio così lungo in treno. Prese Hayate in braccio e si risedette composto al suo posto, accanto al tenente che gli mise una mano sulla spalla, incitandolo a stare tranquillo.
Erano passati due giorni da quando il colonnello li aveva convocati per ordinare loro il trasferimento a Central City ed erano stati due giorni di caos per riuscire ad organizzare tutto in così poco tempo.
Erano partiti così presto che Falman era stato costretto a svegliarsi anche prima di Elisa.
Ciao, amore mio, ci sentiamo presto. Ti chiamo come arrivo a Central.
Elisa aveva mormorato qualcosa nel dormiveglia e Falman arruffandole con gentilezza i capelli castani l’aveva lasciata riposare.
“Com’è Central, maresciallo?” chiese Havoc, distogliendolo dai suoi pensieri.
Falman si accorse che tutti lo guardavano con curiosità: era l’unico che avesse prestato servizio nella capitale. Se doveva essere sincero Central suscitava in lui sentimenti contrastanti: alla fine era venuto a patti con quella grande città, ma il senso di disagio che l’aveva colto nei primi giorni della sua permanenza, anni addietro, non l’aveva mai abbandonato del tutto… l’idea di tornare in quel posto lo eccitava e spaventava allo stesso tempo.
“E’ molto diversa, sottotenente – si limitò a dire – ma per capirlo bisogna starci. Il mio precedente superiore, proprio quando eravamo in viaggio verso la capitale, mi disse di moltiplicare per dieci la differenza tra New Optain ed East City… giusto per farmi un’idea”
“Cavolo!” strabuzzò gli occhi Havoc, proveniente da una realtà molto piccola così come Breda e Fury.
“Non fatevi prendere dal panico, ragazzi, – li ammonì il colonnello che, comunque, conosceva discretamente la capitale – ricordatevi di stare uniti e andrà tutto bene”
“Signore, - chiese Fury – al Quartier Generale avremo un ufficio tutto per noi, come ad East City?”
“No, sergente – scosse il capo Mustang – non credo sarà possibile. A Central non ho la stessa fama e autorità che avevo nella giurisdizione di Grumman”
“Oh” mormorò sconsolato il ragazzo, per niente felice della notizia
“Non dimenticare che sarete sempre sotto il mio diretto comando – continuò il colonnello – non dovrai rendere conto a nessun altro, di questo puoi stare tranquillo”
“Va bene, signore!” annuì il giovane
 
Central City era proprio come Falman la ricordava: grande, caotica e con quell’aria di chi vive isolato in una sfera di cristallo a proteggere dagli eventi del resto del mondo.
Come uscirono dalla stazione gli ci volle qualche minuto per riabituarsi in qualche modo al clima di quella città. Guardando i suoi compagni si accorse che erano molto più smarriti di lui: Breda non lo dava a vedere, ma Havoc e Fury parevano estremamente disorientati.
“E io che credevo che East City fosse grande…” mormorò il sergente
“A chi lo dici, nano” gli fece eco Havoc
“Non state con la bocca aperta come dei bifolchi, ragazzi – li sgridò Breda, cercando di tenere la dignità del gruppo – andiamo: scommetto che gli alloggiamenti militari saranno uguali a quelli di East City”
“Speriamo – ammise Fury – almeno qualcosa di familiare in questa città la troverò”
Per amore dei suoi compagni, Falman stette con loro tutto il giorno, cercando di ambientarli come meglio poteva in quel posto: fortunatamente la realtà del quartier generale, per quanto amplificata, era molto simile a quella degli uffici di East City e almeno in quella situazione non si sentirono tanto a disagio.
Quando si sedettero per mangiare in mensa, tutti e quattro assieme, sembravano aver recuperato il giusto equilibrio.
“E così ci siamo, ragazzi: – annunciò Breda – Central City e tanti guai in arrivo. Il colonnello si gioca tutto nelle prossime mani”
“Anche se qui non ha l’appoggio di nessuno… solo il nostro” commentò Falman
“Come ci dovremo comportare?” chiese Fury, guardando tutte le facce estranee
“Senza dare nell’occhio e stando tranquillo. – gli consigliò Havoc – Non penso che ci vorrà molto prima che il colonnello faccia la prima mossa. Se ci ha portato con sé vuol dire che gli servono le sue pedine di fiducia”
“Mh… - sospirò Fury – credo di capire perché mi abbia fatto portare tutte quelle radio”
“Già… meno contatti abbiamo con i soldati di qui, meglio è” annuì Breda
Falman fece un cenno del capo, essendo pienamente d’accordo con lui
Beh, non proprio pienamente… c’è una persona che non vedo l’ora di rivedere.
 
Il giorno successivo, considerato che erano ancora liberi, Falman si diresse verso la parte del Quartier Generale riservata al reparto investigativo. Camminando verso l’ufficio che gli avevano indicato si sentì leggermente emozionato all’idea di rincontrare quella particolare persona: era così tanto che non la vedeva… dal suo matrimonio con Elisa. Eppure era stata una presenza fondamentale nella sua vita da soldato.
Bussò lievemente alla porta e aspettò che una voce ben nota gli dicesse di entrare.
Con una rapida occhiata, Falman si rese conto che l’ufficio era molto piccolo, evidentemente il suo proprietario non lo condivideva con nessuna squadra, tuttavia una serie di elementi, come le librerie colme di dossier, lo fecero sentire immediatamente a casa… la casa di cinque anni prima.
“Tenente Mc Dorian è un onore rivederla” salutò Falman mettendosi sull’attenti con un sorriso
“Vato Falman! – esclamò Alexis, alzandosi dalla scrivania e andandogli incontro – Sei proprio tu?”
“In persona, signore” annuì lui
Alexis prevenne qualsiasi altra formalità abbracciandolo con sincero affetto. Falman in genere era molto restio a questo tipo di contatto fisico con i propri compagni, ma in quel caso si trovò a ricambiare il gesto con il medesimo sentimento: anche se ora la sua squadra era un’altra, Alexis Mc Dorian era sempre il primo vero fratello che avesse mai avuto e gli anni passati accanto a lui erano qualcosa di indimenticabile.
Quando si staccarono, Falman ebbe occasione di osservarlo bene: era incredibilmente maturato in quei cinque anni di lontananza. Se era sempre stato molto simile al padre, eccetto nel colore degli occhi e dei capelli, ora, alla soglia dei quarant’anni, lo era ancora di più. Eppure manteneva sempre quell’aria gentile che l’aveva contraddistinto da quando l’aveva conosciuto e che aveva portato un riservato soldato a fidarsi ciecamente del suo nuovo compagno.
Tenente o signore… - sbuffò Alexis – da te non voglio sentirmi chiamato con questi appellativi. C’è voluto del tempo per indurti a chiamarmi per nome… cinque anni di lontananza ti hanno fatto dimenticare tutto?”
“Allora c’era la problematica di due Mc Dorian in squadra, Alexis, – sorrise Falman, scivolando automaticamente in quell’unica eccezione alla formalità che si sarebbe mai concesso – ma se ti fa piacere ti darò del tu come sempre”
“Non è che mi fa piacere: lo pretendo e basta! – rise lui, dandogli una pacca sulla spalla e rivelando il solito spirito socievole.  – Ma guardati, Vato Falman… anzi, Maresciallo Vato Falman! Che cosa ti porta qui a Central? Ti credevo ad East City a fare il piccioncino con Elisa”
“A volte capita che i soldati vengano trasferiti, ma è una storia lunga” scrollò le spalle il maresciallo
“E allora ti do una bella notizia – rise Alexis – Capiti proprio in tempo, perché oggi il mio vecchio è in città, anzi, il nostro vecchio
“Il capitano Mc Dorian è qui?” si sorprese Falman
“Una settimana di congedo dall’insegnamento in Accademia per venire a trovare il suo erede prima che questi parta ad South City per un caso abbastanza delicato. Sarà divertente vedere la sua faccia quando ci vedrà arrivare assieme. Coraggio, andiamo: l’appuntamento con lui è tra una quarantina di minuti”
A Falman sembrò di essere tornato indietro nel tempo e non ebbe alcuna esitazione a seguire Alexis.
 
I capelli ormai erano completamente grigi, ma per il resto nulla era cambiato nel capitano Mc Dorian.
Per Falman fu come indossare una sua vecchia divisa e scoprire che andava ancora a meraviglia: stare con quelle due persone gli veniva così naturale; otto anni di lavoro insieme che non erano stati minimamente intaccati… per lo meno nell’affiatamento.
Non ci fu nessun confronto con la sua attuale squadra: il capitano non venne minimamente paragonato a Mustang, così come Alexis non venne sovrapposto a nessuno dei suoi compagni, anche per una sostanziale differenza di ruolo. Falman infatti con loro era il più piccolo della situazione, l’esatto opposto di quanto succedeva nel team del colonnello, dove lui era il maggiore: con Alexis ed il capitano non c’era alcun bisogno di scivolare in atteggiamenti paternalistici o responsabili perché quelle due persone lo erano di carattere.
“L’alchimista di fuoco Roy Mustang… – annuì Mc Dorian, sorseggiando il caffè – sapevo che non saresti finito in una squadra qualsiasi, Falman: sei troppo speciale”
Il maresciallo avvertì una nota d’orgoglio nelle parole del capitano e ne fu sorpreso. Non credeva che la figura del colonnello gli fosse conosciuta.
“Mi dispiace solo che qui non ci sia anche Elisa, – sospirò Alexis – avrei voluto rivedere anche lei”
“Se starai a lungo ad South City allora la rivedrai – scrollò le spalle Falman – Fra meno di cinque mesi partirà per quella città”
“Ottimo! Spero che non sarai geloso se la inviterò a cena”
“No, stai tranquillo”
“Anche se ci provassi, la nostra bambina è troppo innamorata di questo spilungone; – sghignazzò Mc Dorian – e poi sarei il primo ad ammazzarti, Alexis: trovati una brava ragazza non impegnata
“Così la mamma la smetterà di tormentarmi con questa storia di mettere su famiglia: proprio non vuole accettare che io sia uno scapolo incallito” sospirò Alexis con divertita rassegnazione
“Tornando seri – disse Mc Dorian, gratificando Falman di una delle sue occhiate rapaci – Il colonnello Mustang è un’alchimista di stato e circola voce che sia stato attaccato da Scar… perché quella faccia Falman? Quel criminale ha seminato il panico qui a Central prima di andare ad est a trovare voi. E chi si occupava di Scar qui nella capitale era il tenente colonnello Hughes”
A Falman non rimase che annuire: ma certo, cosa si doveva aspettare da una mente affinata come quella di Mc Dorian? Se il suo ex superiore era tutt’ora una leggenda del reparto investigativo un motivo c’era.
“Non ho mai avuto occasione di lavorare con lui; – si intromise Alexis – ci occupavamo di cose molto differenti, ma l’ho visto qualche volta… il suo omicidio ha destato molto scalpore: un militare morto non è mai da prendere alla leggera”
“Fai attenzione Falman” disse Mc Dorian
“Signore?”
“Non c’è solo la storia di Scar dietro tutto questo, non bisogna rifletterci molto per capirlo. Quando si arriva a simili gesti vuol dire una sola cosa, giovanotto… ricorda quello che ti ho insegnato”
“Vuol dire che si sono appena pestati i piedi a qualcuno di più grosso” annuì Falman
“Per qualsiasi cosa non esitare a chiamarmi – disse Alexis – anche se sarò a South City farò il possibile per aiutarti”
Falman annuì, lieto di quella dimostrazione d’amicizia, ma sapeva che era una situazione che dovevano gestire lui e la sua squadra. E anche Mc Dorian ed Alexis lo sapevano bene, ne era certo.
Dopo qualche ora passata assieme, il gruppo si congedò.
“E’ stato un piacere rivederti, Falman – sorrise il capitano, dando una pacca sulla spalla al maresciallo – e la prossima volta cerca di portarti dietro anche Elisa”
“Va bene, signore” sorrise lui
“Adesso vi devo proprio lasciare – si intromise Alexis – ho un appuntamento importante in ufficio prima della partenza. A presto Falman”
“A presto, Alexis”
Il maresciallo ed il capitano guardarono l’uomo allontanarsi con passo affrettato.
“Falman...” iniziò Mc Dorian, senza smettere di guardare la figura del figlio
“Signore?”
“Fai molta attenzione, figliolo, promettimelo. Ricorda anche tu il motivo per cui tuo padre è stato trasferito da New Optain ad East City”
Falman annuì con un leggero brivido
E’ stato trasferito per essere controllato meglio…
 
Falman passò la settimana successiva a riflettere.
Sì, l’analisi di Mc Dorian era corretta: se il colonnello era stato trasferito a Centra City non era solo per i suoi indubbi meriti. Qualcuno lo voleva controllare.
Se non ci fosse stata la questione di Scar e dell’omicidio del tenente colonnello, Falman non avrebbe avuto molti dubbi sulla genuinità di quel trasferimento; ma erano troppe le coincidenze.
Anche gli altri la pensavano in questo modo: avevano fatto due più due nella stessa direzione.
Stiamo tutti aspettando che succeda qualcosa: presto o tardi arriverà un evento che inizierà a far muovere il colonnello.
Sì, Breda aveva perfettamente ragione con quelle parole. E quando sarebbe successo, era molto probabile che dal semplice controllo anche il loro sconosciuto nemico sarebbe passato all’azione.
E in tutta questa vicenda Falman aveva una sola certezza: non avrebbe mai permesso che qualcuno dei suoi compagni facesse la fine di suo padre… o del tenente colonnello Hughes.
No, non ho intenzione di perdere nessuno di loro. All’epoca avevo quattordici anni e non potevo fare nulla, ma questa volta la situazione è diversa.
Era una paura davvero sgradevole da affrontare, perché gli riportava alla mente sprazzi del passato. Sapeva che perdere qualcuno dei suoi compagni sarebbe stato come perdere una parte di se stesso. E vedeva che anche gli altri si comportavano alla stessa maniera: svolgevano il loro lavoro con efficienza e cercavano di adattarsi alla vita cittadina, ma quando riuscivano a riunirsi per una cena in mensa o per qualche altro motivo, sembrava che tirassero tutti un respiro di sollievo, come a dire Anche oggi non è successo niente di grave e siete tutti salvi.
Eppure, se da un lato erano lieti di quella relativa pace, dall’altro aspettavano con impazienza che l’azione iniziasse.
Effettivamente l’attesa può essere snervante – pensò Falman, una sera, mentre si dirigeva verso il suo alloggio – però è anche vero che…
“Falman – lo chiamò Breda, apparendo nel corridoio – vieni, il colonnello al telefono”
“Che? Strano, credevo fosse in ufficio e...”
Il sottotenente rosso scrollò le spalle ad indicare che non ne sapeva molto.
Così a Falman non restò che seguirlo.
Fu con somma sorpresa che il sottotenente non lo condusse verso il telefono degli alloggiamenti, ma lo fece uscire fuori, verso una cabina isolata.
“Signore?” chiese il maresciallo, vedendo Breda entrare dentro e comporre un numero
Poi il rosso gli passò la cornetta e gli fece cenno di entrare nella cabina
Falman sentì il telefono squillare
“Falman?” chiese la voce del colonnello
“Sissignore!” annuì lui, chiedendosi il motivo di quella chiamata dalle linee esterne
“Hai mai letto il dossier di Barry the Chopper?”
“Barry the Ch…? Beh sì, mi è capitato, signore, ma è un caso chiuso: è stato giustiziato”
“Non importa. Ti ricordi di tutti i suoi omicidi? Nel senso, luogo, data, nomi delle vittime…”
“Sì, signore…” disse Falman, sempre più perplesso
“Bene. Senti, fammi un favore: mettiti in borghese e raggiungi me ed il tenete nel magazzino che c’è in periferia, va bene? Quello che abbiamo ispezionato qualche giorno fa per vedere se poteva adattarsi a dei nostri eventuali…uhm… incontri”
“Va bene, colonnello… ma perché…?”
“E’ difficile da spiegare, maresciallo. E’ meglio che tu venga qui di persona”
C’era una strana perplessità nella voce di Mustang, tanto che Falman si chiese cosa potesse mai essere successo.
“Vai pure, Falman, agli altri ci penso io” disse Breda come fu uscito dalla cabina
“Ne sa qualcosa, signore?”
“Meno di te, amico – scrollò le spalle il rosso – so solo che il colonnello mi ha ordinato di chiamarti con urgenza e di contattarlo a quel numero. Adesso vai, non è il caso di farlo attendere”
Falman annuì e si diresse verso quello che sarebbe stato il più strano incontro della sua vita.
 

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Capitolo 29
*** Capitolo 28. 1914. An immortal roommate. ***


Capitolo 28.
1914. An immortal roommate.


 
 
“Posso uscire fuori per fare a pezzetti qualcuno? Solo dieci minuti e sarò di ritorno, promesso”
“Per la centesima volta, Barry… no!”
L’armatura parve quasi sospirare, fissando il maresciallo con l’aria di un bambino a cui si era appena vietato di uscire a giocare. Per tutta risposta il soldato lo fissò con severità, con l’intento di ricondurre quel particolarissimo bambino all’ordine, e riprese a leggere il giornale, cercando di dimenticarsi dell’assurda situazione in cui si trovava almeno per i successivi dieci minuti.
Perché la situazione poteva esser definita solo con quell’aggettivo: assurda.
Nelle missioni che gli era capitato di fare, durante la sua carriera, spesso i suoi superiori l’avevano portato a vivere situazioni molto particolari, magari al limite della legalità... specie il colonnello. Alla fine ci aveva fatto l’abitudine, o così aveva creduto fino a quando era entrato nel magazzino dove stavano il tenente, il colonnello e… un’armatura.
Non era stato tanto quello il problema: avendo avuto a che fare con Alphonse Elric era stato abbastanza agevole accettare il fatto che dentro quel bizzarro involucro di metallo fosse racchiusa un’anima. Il vero guaio era che si trattava di quella di uno dei più efferati assassini degli ultimi anni che amava fare a pezzetti le sue vittime. Insomma uno di quei casi di lucida psicopatia che rendevano tale tipologia di criminale molto più pericolosa di qualsiasi altro killer.
Falman aveva letto il delirante fascicolo di Barry the Chopper: a suo carico c’erano almeno quindici omicidi… ed era su questi dati che il maresciallo aveva iniziato uno strano gioco con quella creatura. Il colonnello ovviamente voleva accertarsi della reale identità di quell’anima e così l’aveva incaricato di fare una sorta di strano e macabro interrogatorio. Compiti simili inizialmente se li era sempre addossati Mc Dorian, considerato che all’epoca lui era ancora troppo inesperto per mantenere la freddezza giusta davanti al nemico, ma con gli anni Falman aveva acquisito l’esperienza necessaria per condurre simili discussioni, dosando con sapienza verità e domande trabocchetto. Aveva imparato altresì a indovinare le reazioni dell’avversario: per esempio sapeva che, spesso, alcune confusioni erano possibili… ma con Barry non era successo.
Quel folle conosceva con dovizia di particolari ogni sua singola azione, proprio come lui conosceva a memoria ogni dettaglio del suo dossier. Non era caduto in nessun tranello e aveva risposto con sicurezza tale che avevano dovuto per forza confermare la sua identità.
A conti fatti quella era stata anche la parte più facile di quella nottata… quello che era saltato fuori dopo era ancora più macabro.
Pietra filosofale, sacrifici umani… laboratorio numero cinque…
La settimana prima Mc Dorian gli aveva detto di fare molta attenzione in quanto quel trasferimento a Central poteva tranquillamente significare guai grossi.
Ed ecco la conferma.
Mentre osservava il colonnello parlare con quella curiosa armatura, Falman si era reso conto che l’abisso in cui si era andato a cacciare il suo superiore era più profondo del previsto. Eppure in Mustang non c’era nessuna esitazione: era deciso ad andare sino in fondo e l’inaspettata carta di Barry gli aveva dato l’occasione per iniziare ad abbozzare un piano.
Solo un’ultima domanda… sei stato tu ad uccidere un militare in una cabina telefonica?
A quella domanda del colonnello, Falman ed il tenente si erano lanciati un’occhiata molto eloquente. Certo, la morte del tenente colonnello Hughes bruciava ancora nell’anima di Mustang, più del fuoco della sua alchimia. Sotto certi punti di vista ricordava il rimpianto di Mc Dorian per non essere stato ad East City a salvare Vincent.
Ma Falman sapeva che l’eventuale vendetta di Mustang sarebbe stata molto più feroce.
In ogni caso, forse spinto anche da questa nuova considerazione, il maresciallo aveva commesso… il più grosso errore della sua vita.
Puoi andare Falman. Dimentica tutto quello che hai sentito stasera. Sono di fronte ad un ponte pericoloso… non c’è bisogno che anche tu lo attraversi con me…
Quelle parole da una parte avevano commosso il maresciallo, dall’altra l’avevano anche leggermente irritato. Sapeva che Mustang stava solo cercando di tenerlo fuori il più possibile, come avrebbe fatto per tutti gli altri, tuttavia nel momento in cui si fidava così tanto di loro da portarli con sé a Central, non doveva avere dubbi sull’utilizzarli nelle missioni. E così, totalmente ignaro di quale fossa stava andando a scavarsi da solo, aveva risposto.
Si è vero. Però, sfortunatamente, colonnello, io ho una memoria di ferro. Non potrei mai dimenticarmi di qualcosa, nemmeno se me lo ordinano. Ormai sono sulla sua stessa barca e verrò con lei sino in fondo: se c’è qualcosa che posso fare per lei non esiti a chiedermelo.
 E ovviamente la risposta del colonnello l’aveva spiazzato…
Falman, grazie. Te ne sono veramente grato…Allora tieni d’occhio questo tipo! Portalo in un posto dove possa stare al sicuro lontano da civili e militari. Io ho delle cose da sbrigare e torno alla base. Farò il favore di darti anche qualche giorno di riposo, così non dovrai preoccuparti di niente all’infuori di Barry. Mi raccomando…
 
E dunque Falman si era ritrovato imprigionato in quell’appartamento di tre stanze a fare la guardia  a quella folle armatura vivente… bruciando tantissimi giorni di ferie che aveva a disposizione e che avrebbe voluto usare per ben altri scopi.
Per non parlare poi del suo coinquilino…
Nei dormitori l’unico compagno di stanza che avesse mai avuto era Alexis: un ottimo elemento, discreto e cordiale. Barry invece non rientrava assolutamente nella categoria di persone con cui Falman avrebbe potuto e voluto vivere, per una serie di motivazioni più che valide.
Prima di tutto lui stava condividendo quel piccolo e polveroso appartamento nella periferia della città con un assassino: anche se, ad essere sinceri, Barry non sembrava troppo interessato a tagliuzzare pure lui.
La tua carne non mi sembra molto morbida… non ti farò a fette.
Però era sempre inquietante andare a dormire e sapere che nella stanza accanto c’era un assassino sempre vigile e cosciente che poteva tranquillamente ammazzarlo nel sonno e tornare libero a perpetrare i suoi delitti. In fondo Falman poteva gestire Barry solo da sveglio, per il resto si doveva affidare alla promessa che l’armatura aveva fatto al colonnello.
Tuttavia Barry, nonostante avesse inevitabili momenti di impazienza, sembrava propenso ad affidarsi a loro: in lui Falman poteva leggere una sete di vendetta, contro chi l’aveva ridotto in quel modo, non dissimile da quella del colonnello.
Vendetta chiama vendetta, ma dobbiamo essere sicuri di non perdere la calma.
E poi, un altro dettaglio, magari meno importante, ma che a Falman dava enormemente fastidio, era che il suo coinquilino non era intellettualmente stimolante: solo quando giocava a scacchi dimostrava una strana forma d’intelligenza, ma per il resto il suo unico pensiero era rivolto a corpi tagliuzzati.
Purtroppo per Falman questa tremenda e forzata prigionia stava durando più del previsto: solo il giornale e le visite di Havoc, che gli portava novità e provviste, spezzavano la monotonia di quelle giornate.
Almeno, il sottotenente era più allegro del solito: sembrava che si fosse trovato una ragazza e che finalmente si fosse adattato all’ambiente della capitale.
Questo fatto aveva inevitabilmente riportato i pensieri del maresciallo ad Elisa: ancora pochi mesi e sarebbe partita per South City e da lì un altro anno senza poterla vedere.
Falman sospirò: purtroppo la sua condizione di custode di Barry gli impediva di chiamarla… non poteva permettersi una simile ingenuità, per quanto fosse abbastanza convinto della sicurezza di quella linea telefonica.
E poi, chissà perché, non ho alcuna intenzione di far sapere a Barry dell’esistenza di Elisa… anche se tra loro ci sono centinaia di chilometri di distanza.
No, effettivamente Elisa andava tenuta completamente fuori dal gioco che avevano appena iniziato.
“Senti – disse ancora Barry – ma credi che quella graziosa signorina bionda accetterebbe di farsi tagliare a fette da me? Giusto un po’… ha un corpo così perfetto e… morbido”
No, dai, adesso anche i commenti sul tenente…
“No, non si farebbe tagliare nemmeno un po’ da te”
“Ah, che donna affascinante… sono proprio innamorato di lei!” disse l’armatura, con quello che si poteva definire sospiro amoroso
“Ma se ti ha sparato più volte…”
“Appunto! Non trovi sia adorabile? – esclamò Barry, ma poi scosse il capo – Ma no, che cosa ne vuoi capire tu dell’amore?”
“Forse ne capisco più di te…” borbottò il maresciallo, dedicandosi alla lettura
Non poteva immaginare il disastro che sarebbe successo nell’arco dei giorni successivi, quando, aprendo il giornale, avrebbe trovato la foto di una soldatessa accusata dell’omicidio del tenente colonnello Hughes.
 
Cinque giorni dopo, uno stanchissimo Falman ancora in borghese tornava finalmente verso gli alloggi dei militari. La giornata era stata davvero pesante con l’improvvisa comparsa di quel mostro, che poi era il corpo originario di Barry, e la sparatoria che ne era seguita.
Aveva passato diverse ore a spiegare ai poliziotti che erano arrivati in seguito a quel caos che lui era stato solo coinvolto e non aveva la minima idea di quello che stava succedendo e, fortunatamente, gli avevano creduto.
Adesso era impaziente di avere notizie degli altri… e soprattutto di farsi una doccia e cambiarsi.
Grattandosi la testa, alzò lo sguardo e vide che, nonostante l’ora tardissima, c’era una figura seduta nei gradini che conducevano all’ingresso del dormitorio
“Sergente! – chiamò con sorpresa – Fury!”
“Oh maresciallo! – esclamò il giovane alzandosi, visibilmente lieto di vedere almeno un volto conosciuto – Meno male che è tornato! Sono così preoccupato… non ho alcuna notizia di loro”
“Purtroppo mi sono dovuto districare per spiegare la mia presenza in quel quartiere abbandonato: – spiegò Falman – da quando il colonnello ha caricato in macchina Havoc ed Alphonse e si è messo all’inseguimento di Barry non so nulla. Sei tu a dovermi aggiornare, mi sa”
“Ne so quanto lei, signore: – scosse il capo il giovane soldato – il colonnello ha salvato me ed il tenente da una stranissima creatura lardosa che… ecco… credo volesse mangiarci. Per fortuna è arrivato in tempo; i proiettili non hanno fatto nulla a quel mostro: solo l’alchimia l’ha messo fuori combattimento.”
Falman annuì, ricordando quell’esplosione dalla torre… lui non immaginava assolutamente che Havoc, il tenente e Fury fossero appostati così vicino al rifugio suo e di Barry.
Sono stato uno sciocco… non ho pensato che dopo la fuga di Maria Ross il colonnello decidesse così in fretta di passare all’azione.
“E poi?” incitò
“E poi ha ordinato a me di restare lì con Hayate e di far sparire qualsiasi traccia… cosa che ho fatto in maniera accurata. Dopo non mi è rimasto che tornare qui. Signore, è già mezzanotte… crede che sia successo loro qualcosa?”
C’era una nota di disperazione nella voce del sergente: sentirsi isolato dal resto della squadra lo spaventava più del previsto.
“E’ vero, non sappiamo nulla – sospirò Falman, accarezzandogli i capelli corvini – però sono certo che sono tutti sani e salvi: insomma stiamo parlando del colonnello, del tenente e di Havoc. Sono gli elementi più forti e…”
… e allora perché sono preoccupato pure io?
“La cosa migliore è aspettare – continuò, costringendosi ad assumere un tono rassicurante – vieni, torniamo dentro: tu sei a maglietta a maniche corte ed io con questi vestiti borghesi”
“… già, non mi sono ancora cambiato” ammise Fury, rabbrividendo leggermente
Ai due non restò che avviarsi nei alloggi dei soldati, confortati dalla reciproca presenza.
Per Falman non aver più a che fare con Barry era sicuramente una grandissima liberazione. Questa parte della missione era finita e finalmente sarebbe potuto tornare a svolgere compiti più consoni alle sue capacità, come era giusto che fosse.
Proprio mentre passavano accanto al telefono della sala ricreativa, questo squillò.
Vedendo che c’erano solo loro, considerata l’ora, Fury allungò la mano per prendere la cornetta e rispose
“Qui alloggiamento 4 del Quartier Generale di Central… oh, tenente!”
Falman vide il viso del giovane illuminarsi di sollievo, ma durò solo qualche istante
“Ospedale? – balbettò Fury – Ma state… Havoc ed il colonnello? Ossignore! Arriviamo subito!”
Chiudendo la telefonata, trattenne un singhiozzo disperato
“Fury, che è successo?” gli chiese Falman prendendolo per le spalle
“Dobbiamo andare subito in ospedale, signore! – esclamò il giovane, cercando di restare calmo – il sottotenente Havoc ed il colonnello sono stati feriti gravemente!”
 
“…e ha usato la sua alchimia per cauterizzare le ferite di entrambi. I medici dicono che sono fuori pericolo, ma se la sono cavata davvero per un pelo”
La voce del tenente era atona, ma dietro di essa si intuiva tutta la tragedia che la donna aveva vissuto nelle precedenti ore.
Falman scosse il capo, guardando ancora una volta i due malati, privi di sensi e sotto l’effetto di anestetici, che giacevano in due letti affiancati. Il tenente stava ovviamente accanto a quello del colonnello, l’aria stanca e distrutta, eppure tenuta in piedi da una feroce tenacia.
Accanto al letto di Havoc invece stava Fury, istintivamente andato a sostituire l’assente Breda in un silenzioso conforto al sottotenente biondo. Il viso del cecchino era così pallido… Falman non osava pensare a quanto sangue avesse perso: i medici gli avevano già fatto due trasfusioni.
Ma per lo meno il sottotenente aveva avuto la fortuna di perdere i sensi quasi subito dopo aver ricevuto quel colpo… la sofferenza maggiore l’aveva subita il colonnello.
Cauterizzare la propria ferita col fuoco… è folle anche solo pensarci per il dolore che…
Il maresciallo non mancò di notare le la mano destra fasciata, dove si era inciso il cerchio alchemico: la freddezza nel compiere un gesto così autolesionista doveva esser stata tremenda.
Eppure a guardalo in faccia, ora che gli anestetici stavano facendo il loro effetto, sembrava che stesse dormendo pacificamene, senza che niente lo disturbasse. L’esatto contrario di Havoc che invece tradiva un’espressione sofferente.
Dannazione… devo fare qualcosa.
Guardando Fury ed il tenente, Falman capì che era in qualche modo costretto a prendere in mano la situazione: quei due attualmente non erano nelle condizioni emotive per poter fare la minima mossa.
“Signora, lei è ferita?” chiese, gentilmente, accostandosi a lei
“No, Falman, stai tranquillo”
Ovviamente non lascerà mai il capezzale del colonnello…
Con un sospiro Falman prese una sedia e la accostò accanto alla donna
“Si sieda, tenente, la notte è lunga e almeno la sua veglia non sarà così scomoda”
“Non ti dovresti preoccupare così…” mormorò lei, sedendosi ma non distogliendo minimamente lo sguardo da Mustang
“E’ anche in questi casi, anzi… forse soprattutto in questi casi, che si vede la squadra” spiegò lui, prendendo dai piedi del letto del colonnello una coperta di ricambio e mettendola sulle spalle della donna, dato che era col maglioncino a maniche corte, senza la giacca della divisa.
Poi si avvicinò a Fury e procedette a coprirlo allo stesso modo, prendendo una coperta dal letto di Havoc
“Sergente, tu dovresti andare a dormire” gli disse
“Non posso lasciarlo… - balbettò Fury – se… se ci fosse il sottotenente Breda non lo farebbe ed io…”
“Rimango io con Havoc, va bene? Poi tu domani mattina vieni e mi dai il cambio… sul serio, Fury, sei stravolto. Vai e concediti almeno cinque ore di sonno”
“Vai, sergente, da bravo. Domani mattina dovrebbe tornare anche Breda” mormorò il tenente, dall’altra parte della stanza
“Va bene - tirò su col naso il giovane, levandosi la coperta dalle spalle e passandola a Falman – torno domani mattina assieme al sottotenente”
Come fu uscito, Falman si sedette su un’altra sedia e rimase a fissare la sagoma dormiente di Havoc.
“Signora, - chiese dopo una lieve esitazione – che ne è stato di Barry?”
“E’ finita…” mormorò la donna
Falman annuì con un sospiro: almeno l’anima dell’assurdo assassino avrebbe trovato la pace e il giusto destino che gli era stato negato.
E con sua sorpresa, il maresciallo non poté far a meno di provare un briciolo di tristezza.
 

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Capitolo 30
*** Capitolo 29. 1914. Nichis tai. ***


Capitolo 29.
1914. Nichis tai.*

 

Sia il colonnello che Havoc erano vivi e questo era l’importante.
Era l’unica convinzione a cui Falman potesse aggrapparsi negli ultimi giorni. Mustang era in piena ripresa e stava già pensando ad una nuova mossa da compiere contro i loro nemici: non si sarebbe mai arreso, considerando quello che era saltato fuori, grazie anche alle informazioni date dai fratelli Elric.
Ma il sottotenente Havoc se ne è tirato fuori… lui… lui non sente più le gambe.
Le parole singhiozzanti che gli aveva detto Fury qualche giorno prima l’avevano completamente destabilizzato: un danno alla spina dorsale che aveva portato alla paralisi di quel ragazzo così vitale e robusto. Anche per una persona razionale come Falman tutto questo era difficile da accettare.
Quell’evento aveva gettato la squadra in un profondo stato depressivo: il tenente ed il colonnello non si erano potuti permettere di venire meno ai loro impegni per quella spericolata missione, ma tutti gli altri erano in piena crisi. Persino Breda, a dispetto del suo stoicismo, era profondamente turbato.
E come potrebbe non esserlo? Havoc è il suo miglior amico, praticamente un fratello… dev’essere stato un durissimo colpo per lui.
Ma nonostante tutto il rosso sottotenente non mancava di rassicurare lui e Fury: ogni sera, per quanto fosse esausto, si sedeva a mensa con loro e parlava tranquillamente. Falman aveva notato che rivolgeva in particolar modo le sue attenzioni al sergente: dietro quelle arruffate di capelli, quei sorrisi, capiva che l’uomo stava cercando di proteggere almeno emotivamente il piccolo della squadra.
E’ già venuto meno all’amico, anche se lui non avrebbe potuto fare niente contro quel mostro… e ora cerca in qualche modo di compensare con Fury. Si sta addossando sulle spalle tutta la responsabilità del resto del gruppo, ora che Havoc e fuori combattimento ed il tenente ed il colonnello sono indaffarati contro quei… quei…
Homunculus.
La parola faceva rabbrividire il maresciallo, anche se capiva solo vagamente di cosa si trattasse: mostri, di un tipo che non aveva mai letto nei suoi libri. Creature legate all’alchimia e alla pietra filosofale.
Sono cose che noi umani non… non dovremmo mai…
Era così difficile da accettare: l’alchimia era stata l’unica cosa che Falman avesse accettato perché sapeva che in qualche modo seguiva regole a lui sconosciute ma umane. Creature come gli Homunculus andavano al di fuori di qualsiasi cosa la sua mente potesse comprendere.
No, quando aveva dato il suo assenso al colonnello per il trasferimento a Central City non avrebbe mai pensato di lottare contro delle simili creature.
Quante possibilità aveva il maresciallo Vato Falman contro uno di loro? Nessuna. La miglior formazione del Quartier Generale dell’Est era messa in ginocchio da quella situazione: solo il colonnello poteva qualcosa contro di loro… per il resto erano completamente inutili.
“Perché quella faccia, maresciallo?” lo riscosse Breda che si era avvicinato silenziosamente a lui.
“Pensieri, signore. – rispose laconicamente Falman – Credevo che lei fosse in ospedale…”
Il sottotenente scosse il capo e Falman seguì ipnotizzato i movimenti di quella chioma fulva.
“Sono già passato stamattina e Havoc sta bene: posso fare di più stando qui.”
La voce era stanca, un fatto che in Breda non si era mai riscontrato: quell’uomo aveva una resistenza incredibile, nascosta ai più dalla grossa stazza. Ma non era stanchezza fisica… il sottotenente rosso era esausto della situazione che l’aveva colpito in maniera così vicina. Falman sapeva che il tentativo di recuperare il dottor Marcoh e la pietra filosofale, che si supponeva lui avesse, era andato male. E così era svanita anche quella possibilità di curare Havoc.
Dev’essere stata una dura sconfitta per lui… e ora non ha più nessuna carta in mano. Eppure, nonostante tutto riesce a prendersi cura di noi: ha il coraggio di lasciarsi il dolore alle spalle e preoccuparsi del nostro morale…
“Il colonnello?”
“Si è fatto dimettere a forza e chissà cosa combinerà. – le robuste spalle si scossero: ormai lo stratega della squadra non poteva più fare niente – Speriamo che il tenente lo tenga d’occhio: la sua ferita non è guarita del tutto, anzi…”
“Sottotenente… a che serviamo noi, in tutta questa storia?” chiese Falman
“Mhpf, - sbuffò l’uomo – una domanda simile me la sarei aspettata maggiormente dal sergente. Vieni andiamo a cercarlo: scommetto che è raggomitolato da qualche parte con lo sguardo da cucciolo abbandonato”
Falman annuì e si incamminò con il compagno: rimasero entrambi in silenzio, il rumore dei loro stivali sul pavimento che rimbombava nei corridoi stranamente vuoti.
“Riguardo alla tua domanda – disse Breda ad un certo punto – cerca di non farla mai più, specie davanti al colonnello.”
“Ma io…”
“Havoc si è tirato fuori da tutto, va bene? E tu non eri lì a vedere gli occhi del nostro superiore: lasciarlo indietro, anche se solo momentaneamente, per lui è stata una delle sconfitte peggiori. Non credere che Roy Mustang sia emotivamente invulnerabile, Falman, è solo bravo a nasconderlo il più delle volte”
“Io…”
“Tu, io, Fury, Havoc ed il tenente siamo il suo gruppo, la sua squadra… la sua famiglia, soprattutto dopo la morte del tenente colonnello Hughes. Non pensare che in questi anni il legame si sia creato solo tra noi quattro minori di grado. Lui sente maggiormente la responsabilità su di noi, con l’unica differenza che non può esprimersi platealmente come farebbe Havoc o come farebbe Fury. Non dividiamoci, Falman, non ora che maggiormente necessario restare compatti…”
“Mi scusi, sottotenente, non ci avevo pensato” mormorò Falman, abbassando lo sguardo
“Finiscila, Falman. – commentò Breda, dandogli un lieve pugno sul braccio – Per ora la situazione l’hai gestita più che bene, e per il carattere che ti ritrovi non dev’essere stato facile. Vedrai che la situazione migliorerà, dobbiamo solo fare del nostro meglio per starci vicini. Ah, ecco il nanetto… lo sapevo che era solo a rimuginare i suoi cupi pensieri; adesso andiamo a recuperarlo noi, magari con una partita a scacchi, anzi, fai il favore: vai a recuperare la scacchiera”
 
Non dividiamoci, Falman, non ora che maggiormente necessario restare compatti…
Era quasi surreale che il sottotenente Breda avesse pronunciato una frase simile nemmeno ventiquattro ore prima. Era stato quasi un ammonimento in preparazione a quanto stava per succedere.
Sì, ma… come possiamo restare compatti se ci hanno spedito agli angoli opposti di Amestris?
Guardando per la centesima volta quel documento che gli ordinava il trasferimento nel Quartier Generale di North City, Falman scosse la testa con disperazione.
E così, alla fine, il colonnello aveva fatto un passo più lungo della gamba ed era stato scoperto: non bisognava essere dei geni per capire che questi ordini di trasferimento avevano lo scopo di allontanare dall’alchimista di fuoco le persone di cui si fidava ciecamente.
Breda ad ovest, Fury a sud, lui a nord… Havoc praticamente imprigionato in ospedale ed il tenente ostaggio del Comandante Supremo.
Falman si domandò che gioco stavano facendo. In occasioni simili, per un tradimento palese come il loro, ci sarebbe stato il plotone d’esecuzione o anche peggio… la sua mente tornò a Barry che, al posto di essere giustiziato, era stato usato come esperimento e guardiano per i perversi studi sulla pietra filosofale.
No, del resto Barry ha detto che tutti gli uomini che avevano preso parte a quegli esperimenti sono diventati a loro volta elementi della pietra filosofale… non hanno più nessuna ricerca da compiere.
Il fatto che li stessero tenendo vivi voleva dire che avevano in mente qualcosa per il colonnello: in fondo anche loro erano ostaggi, seppur in maniera minore rispetto al tenente Hawkeye.
Restare compatti… restare uniti. Ma adesso mi viene impossibile anche solo pensarlo…
Con un sospiro il maresciallo riprese a preparare la sua roba, considerato che sarebbe dovuto partire già il giorno dopo: non avevano lasciato loro il tempo di organizzarsi in qualche modo… o fuggire.
Da una scatola caddero alcune lettere che gli aveva spedito Elisa.
Forse avrebbe dovuto dirle almeno una mezza verità…
 
“Ciao, Eli – salutò al telefono – come va?”
“Vato! Amore, ero in pensiero… nelle ultime settimane ti sei fatto sentire pochissimo”
“Eh… ci sono stati degli imprevisti di notevole portata. Non era il caso che ti chiamassi”
Ci fu un improvviso silenzio dall’altra parte del telefono: Elisa era la moglie di un militare, dopotutto, certi sottintesi aveva imparato a capirli in fretta.
“Ora va tutto bene?”
“Insomma, diciamo che la crisi è momentaneamente rientrata anche se… il sottotenente Havoc è stato ferito in maniera grave e…”
“Oddio! Che gli è successo? E’ necessario che io venga? Posso dire al dottore che…”
“No, Eli, non è il caso. Anche perché penso che presto verrà rimandato ad est – la bloccò immediatamente Falman – Non è in pericolo di vita, assolutamente, solo che… - trasse un profondo respiro prima di confessare – probabilmente resterà paralizzato alle gambe”
“Cosa?... No, non può essere…”
“Lesione al midollo spinale…”
Sentì un singhiozzo dall’altra parte del telefono e per un istante si maledisse di averle dato quella notizia: ormai Elisa era profondamente affezionata ai suoi compagni di squadra… e Havoc era sempre stato così scherzoso e galante le volte che era venuto a casa.
“Amore…” la chiamò gentilmente
“Scusami… scusami, va tutto bene. E Breda e Fury come stanno? Devono esser distrutti, poveretti”
“Vanno avanti… insomma noi…”
“Già, voi… più che mai dovreste stare uniti, Vato. Mi raccomando pensate l’uno all’altro e…”
“Sono stato trasferito a North City…” confessò ancora Falman tutto d’un fiato, sentendo che il discorso stava prendendo una piega sbagliata.
Ancora silenzio dall’altra parte del telefono
“North City? Ma… ma perché…? Anche gli altri?”
“Eli, ascolta, la situazione non è delle migliori ed è meglio che non ti dica ulteriori dettagli…”
“Così non mi preoccupo di più? Tanto le notizie che mi hai dato erano tutte belle e piacevoli”
“E dai, non fare la sarcastica – sospirò Falman, sentendosi improvvisamente stanco – è che… non lo so nemmeno io che cosa…”
“North City, eh? – mormorò lei – Beh, dai ci sono stata e non è male come posto. Certo c’è neve per la maggior parte dell’anno, ma è piacevole se si è ben coperti. Sono sicura che la troverai interessante e da quello che ho visto ci sono anche parecchie librerie…”
La voce continuava a parlare con spensieratezza e Falman si immaginò il viso di lei illuminato da un sorriso rassicurante e dolce.
“Ehi, lo sai che in questo momento mi sono accorto di amarti ancora di più?”
“Che dichiarazione, Vato… ti amo anche io… forse la lontananza rafforza davvero l’amore. Senti, è un’informazione che puoi darmi o mi è vietato sapere anche quanto durerà questo tuo trasferimento?”
“Vorrei potertelo dire, amore, ma non lo so nemmeno io”
“Va bene…”
“Però i telefoni ci sono anche a North City: spero di poterti chiamare più spesso di questi ultimi tempi…”
“Lo spero anche io… tra un quattro mesi parto per South City: saremo agli opposti”
“Eh già…”
“Fatti forza, amore mio. Tu e tutti i tuoi compagni.”
“Grazie Eli. Ci sentiamo presto… in ogni caso ti faccio sapere quando arrivo lì”
“Va bene… nichis tai, amore”
“Nic…che?”
“Dialetto di North City – ridacchiò lei – vuol dire “a presto””
 
Il giorno dopo aveva preparato tutto e gli rimase solo l’arduo compito di salutare i suoi compagni.
Furono frasi abbastanza formali e di circostanza: la difficile situazione l’aveva fatto in qualche modo retrocedere ai primi giorni nella nuova squadra, quando dosava in maniera estrema qualsiasi parola. Ogni volta che si allontanava da uno di loro, dopo aver preso commiato, si rimproverava aspramente con se stesso per non essere riuscito a dire altro.
Persino con Fury era stato di poche parole, permettendo al suo stato d’animo di avere la meglio sulle parole di incoraggiamento che avrebbe dovuto dare al piccolo della squadra. E quel ragazzo stava per partire verso il confine sud, dove imperversava la guerra contro Aerugo: sarebbe stato completamente solo in una situazione dove invece avrebbe necessitato della presenza degli altri.
E invece tutto quello che ho avuto da dirgli è stato che il soggiorno a Central è stato davvero breve e che al Quartier Generale del Nord deve fare davvero freddo. Eppure tra qualche giorno io e lui saremo agli opposti del paese…
No, decisamente non era stato un bel modo di prendersi cura degli altri.
E la cosa peggiore è che loro hanno sicuramente capito e dunque non hanno alcun rimprovero da farmi…
Con un sospiro si incamminò nel corridoio dove stava l’ufficio del colonnello: sperava che almeno quel saluto non fosse così desolante come gli altri.
“Maresciallo” chiamò una voce dietro di lui.
“Tenente Hawkeye” si girò con sorpresa l’uomo.
“Stai andando a prendere congedo dal colonnello?” chiese la donna avvicinandosi
“Sì, signora… e, dato che ci sono, direi che è il caso che provveda a salutare anche lei”
Il tenente sorrise con dolcezza a quelle parole e Falman provò una grande pena per lei: sarebbe stata un ostaggio bello e buono in quanto assistente del Comandante Supremo. A dire il vero il maresciallo non aveva molti dubbi sul fatto che, in qualche modo, il colonnello l’avrebbe protetta… ma intuì che anche lei, come tutti gli altri, avrebbe sentito la mancanza di sicurezza che dava l’essere tutti assieme.
E sicuramente è già in pensiero per Fury ed il suo trasferimento a sud… così lontano e solo non può essere protetto.
“Giusto, commiato” annuì Riza
“Ce la caveremo tutti quanti” si trovò a dire Falman, sorpreso dalle sue stesse parole.
Il tenente lo guardò con sorpresa: di certo erano poche volte che l’aveva sentito dire frasi così spontanee; ma la sorpresa si trasformò subito in un sorriso.
“Ci conto, davvero… Tornate tutti sani e salvi, mi raccomando. Adesso devo proprio andare.”
“E lei si prenda cura di se stessa, signora” salutò Falman rispondendo al sorriso.
Guardandola allontanarsi per il corridoio con passo marziale, come se quella fosse una normalissima giornata di lavoro, Falman sospirò e si augurò che tutto andasse per il meglio.
Riprendendo la sua strada, arrivò finalmente all’ufficio del colonnello e bussò.
“Signore, - salutò entrando – sono venuto a riportarle la scacchiera”
Mustang era in piedi, davanti alla finestra, impegnato a fissare il cielo. Come lo sentì entrare si voltò verso di lui e sorrise lievemente.
“Ah, già, la scacchiera. – commentò, guardando l’oggetto che Falman aveva appena posato sulla scrivania – Beh, sarà difficile trovare qualcuno con cui giocare ora che tu e Breda partirete”
Falman annuì, mentre il suo superiore apriva la scacchiera e guardava i pezzi, prendendo poi in mano l’alfiere bianco.
“Signore…”
“Hai già salutato gli altri?”
“Sì, signore. Il sergente è già passato da lei?”
“Non ancora, perché?”
“Sono molto preoccupato, se devo essere sincero… avrei voluto prepararlo meglio a quello che sta per affrontare, ma…”
“Falman, dannazione, sia tu che Breda ed Havoc siete entrati in paranoia per quel ragazzo… per non parlare del tenente, anche se non mi ha detto nulla in merito” c’era una lieve irritazione nella voce di Mustang.
“E lei non è in pensiero?” si sorprese Falman
“Ce la farà… diamine, maresciallo, l’abbiamo praticamente cresciuto noi: Havoc e Breda sono stati nella Squadra Falco, tu nel reparto investigativo, il tenente ed io abbiamo fatto la guerra di… lasciamo stare. Fury è più che pronto ad affrontare quel posto maledetto”
“Da solo?” chiese dubbioso il maresciallo
“Quello è l’unico problema che deve affrontare: per il resto sono sicuro che se la caverà”
Non credere che Roy Mustang sia emotivamente invulnerabile… è solo bravo a nasconderlo il più delle volte.
Falman si ricordò improvvisamente delle parole di Breda e capì: non era spavalderia quella del colonnello… anche lui era preoccupato per la sorte del sergente, anzi per la sorte di tutti loro. Si era sicuramente pentito di averli portati a Central City, di averli coinvolti in quella storia che era già costata le gambe di Havoc.
“Ha ragione, colonnello – annuì quindi, cercando di apparire più sicuro – Ce la caveremo tutti quanti. Vuole che faccia qualche cosa di particolare quando sarò a nord?”
Mustang lo guardò con sorpresa, colpito da quel cambiamento d’atteggiamento, ma poi scosse il capo con un sorriso.
“Bada solo a te stesso, Falman. E quando sarà il momento…”
“Quando sarà il momento io tornerò da lei, signore, come gli altri.” concluse l’uomo con un sorriso.
Sì, decisamente quel commiato era stato migliore degli altri, perché in quelle ultime frasi c’era stata solo estrema e completa fiducia reciproca. La fedeltà che Falman provava per Roy Mustang non sarebbe stata minimamente scalfita dalle centinaia di chilometri di distanza.
“Allora la saluto, signore – disse infine, facendo il saluto - nichis tai
“Eh?” chiese perplesso Mustang
“Vuol dire “a presto” nel dialetto di North City”
“Allora nichis tai pure a te, maresciallo” sorrise il colonnello, posando l’alfiere bianco sulla scrivania.
 
 

*termine inventato per l'occasione 

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Capitolo 31
*** Capitolo 30. 1915. Phone calls. ***


Capitolo 30.
1915. Phone calls.


 
“Va bene ragazzi, qui abbiamo terminato: ci vediamo tra una settimana! Nichis tai!”
Il saluto di quel soldato di Briggs riportò Falman alla realtà. Guardando con sorpresa la scatola di materiali davanti a lui e l’elenco con tutte le voci spuntate, si rese conto di aver fatto il lavoro richiesto in maniera automatica, lasciando la mente libera di abbandonarsi ai ricordi… una cosa che gli succedeva molto spesso. A Briggs si era accorto di soffrire di attacchi di nostalgia.
Mentre gli altri si attardavano a scambiarsi qualche saluto o qualche invito per andare a cena, Falman uscì dal magazzino e si apprestò ad andare nella parte della fortezza riservata ai soldati che stavano di stanza lì.
Era deprimente avere la propria vita e le proprie azioni limitate a quel posto che, sebbene immenso, faceva sentire tutto il peso delle grandi mura che lo circondavano. Non era come stare al Quartier Generale di North City, dove aveva avuto il tempo di prestare servizio solo per due settimane, giusto il tempo di ricevere quella nomina a sottotenente: lì una volta finita la giornata poteva uscire e fare un giro in città, vedere i civili, sentirsi in qualche modo libero.
La realtà di Briggs era quella di una prigione per chi, come lui, sapeva di avere la propria vita altrove.
Arrivato nel dormitorio si levò la divisa e si mise una maglia nera prima di indossare un pesante maglione a collo alto: il freddo in quel posto in mezzo alle montagne era davvero pungente… il sistema di riscaldamento non poteva fare più di tanto.
Per fortuna la mattina successiva sarebbe potuto tornare a North City per il fine settimana: a turno tutti gli uomini avevano questa possibilità, anche se era una cosa che toccava solo una volta ogni mese e mezza.
Finalmente potrò tornare nel mio appartamento e potrò telefonare senza nessuno a seccare.
 
La mattina dopo, come il sottotenente aprì la porta del suo appartamento, la prima cosa che gli saltò agli occhi, anzi alle narici, fu l’odore di chiuso: certo non era stata una grande idea prenderlo in affitto, considerato che poi sarebbe stato trasferito a Briggs, ma non poteva certo immaginarlo quando era arrivato nella capitale del distretto nord, circa cinque mesi prima. L’affitto ormai era stato pagato ed in ogni caso c’era uno strano conforto nel sapere che aveva quel piccolo rifugio in cui gli era concesso di tornare.
Aprendo le finestre per far entrare l’aria frizzante, ma sicuramente più mite rispetto a quella della parete nord, Falman si fermò a guardare la città: era bella, Elisa su questo aveva ragione. In qualche strano modo ricordava East City, sebbene qui gli edifici fossero quasi sempre ricoperti da uno strato di neve. Ma era una neve molto più gentile di quella dei monti…
Se ne avesse avuto occasione, Falman avrebbe approfittato di quel finesettimana per uscire e andare alla ricerca di quelle librerie di cui Elisa gli aveva parlato, ma ora gli premeva solo fare delle telefonate.
Portandosi al tavolo, prese l’apparecchio e rimase per un attimo perplesso su quale numero fare per primo.
Ma fu un’esitazione che durò solo un secondo… aveva bisogno di sentirla e tanto di sabato lei non aveva alcun corso da fare.
Compose il numero del suo appartamento di South City e attese.
“Pronto?”
“Ciao, mia bellissima infermiera” sorrise, mentre un’ondata di felicità lo invadeva nel sentire quella voce.
“Vato! Tesoro! Era più di una settimana che non ti sentivo!”
“Scusa, ma lì a Briggs non è che il telefono si possa usare spesso”
“Ora sei a North City?”
“Sì, per il finesettimana, anche se lunedì dovrò di nuovo essere di servizio lì…”
“Ti stai coprendo bene?”
“Certo. Smettila di chiedermelo ogni volta”
“Hm, lo faccio solo perché non sono lì a poterti curare eventuali influenze o geloni. E non voglio che nessun’altra infermiera ti metta le mani addosso”
“Da quando sei così gelosa?” ridacchiò il sottotenente arrossendo
“Da quando mi manchi più del previsto… non lo so, ora che siamo agli angoli opposti del paese mi sembri ancora più lontano. Ah! Non vedo l’ora che tutta questa storia finisca! Ce ne torneremo ad East City, o a Central, se tornerai dal colonnello, e non ci lasceremo più”
“E vissero per sempre felici e contenti… - la prese in giro lui – forse ti ho raccontato troppe favole”
“E così brutto come finale?” sospirò lei
“No, anzi – ammise il sottotenente – non penso esista finale migliore…”
“Va bene… passiamo ad argomenti più immediati. Lo sai che ieri sono andata a cena con Alexis? Tra qualche settimana tornerà a Central: qui sta per terminare il suo incarico”
“Davvero? Sono felice per lui: sono certo che se l’è cavata egregiamente”
“Ma la parte migliore è che la sottoscritta gli ha procurato una fidanzata”
“Ad Alexis Mc Dorian? – si sorprese sinceramente Falman – Non ci posso credere”
“Oh, e allora chiedilo a lui e Laura”
“Laura? La tua amica infermiera?”
Elisa rise con estrema soddisfazione
“Ebbene sì! Anche il nostro tenente che tutti credevamo destinato a restare scapolo si è finalmente arreso all’amore. Come finiremo i corsi, Laura si trasferirà a Central… e credo proprio che abbiano intenzione di mettere presto su famiglia! Che teneri che sono insieme! Dovresti vederli”
“Io più che altro vorrei vedere la faccia del capitano Mc Dorian quando Alexis glielo dirà”
“Ne sarà felice, fidati…”
E rimasero a parlare di questi piccoli fatti di vita quotidiana. Era più che altro lei a raccontare: Falman non aveva molto da dire sulla sua vita a Briggs e certo non poteva parlarle dei disastri che erano successi quando un paio di mesi prima erano approdati i fratelli Elric anche in quell’avamposto del paese.
E come potrei anche solo accennarle del Giorno della Promessa e del pericolo che stiamo correndo tutti noi?
No, nei momenti che gli erano concessi, Falman voleva dimenticare quel dettaglio: voleva continuare a sperare che presto tutta questa storia sarebbe finita, che lui sarebbe tornato a riunirsi con la sua squadra, che Havoc sarebbe guarito e che lui ed Elisa sarebbero tornati assieme per sempre.
Faceva paura avere questi pensieri sapendo che stavano per combattere contro dei mostri… ma bisognava osare sperare.
Altrimenti non ci sarebbe alcun motivo per andare avanti…
 
Considerato che per l’altra chiamata avrebbe dovuto aspettare l’ora di pranzo, Falman compose un altro numero, desideroso di sentire anche un’altra persona.
“Qui Emporio Havoc”
“Sottotenente, è un piacere sentirla”
“Ehilà, Falman! Che cosa ti spinge a chiamare dal freddo nord?”
“Giornata libera, signore. E così mi sono preso la briga di chiamare anche lei: non la sento dalla mia partenza”
“E già, solo quel buon cuore di Breda ogni tanto si ricorda di avere un amico ridotto in sedia a rotelle”
“Non dica questo, signore, - disse Falman contrito – tutti noi siamo sinceramente preoccupati…”
“Stavo scherzando, maresciallo, anzi sottotenente! Ho saputo delle novità: adesso sei un pari grado”
“A quanto pare”
“E questa nomina a cosa si deve?”
“Forse un premio di consolazione prima di spedirmi a Briggs…” disse amaramente
“Mah! Per come la vedo io te la meritavi in ogni caso – il tono di voce faceva capire che l’uomo stava fumando – Se poi loro la mettono come un contentino, non sono cazzi nostri, vero Falman?”
“Sì, signore”
“Notizie degli altri? E’ da una ventina di giorni che non sento Breda”
“Lo dovrei sentire tra poco, quando sarà pausa pranzo ad Ovest City”
“Ah, l’hanno rispedito lì dal fronte di Pendleton? Non lo sapevo…”
“Beh, ha avuto quella ferita al braccio che l’ha costretto ad abbandonare il fronte” disse Falman perplesso
“Ferita al braccio? Non ne sapevo nulla! A quando risale il fatto?
“Due mesi fa”
“Che grande testa di cazzo! Certo che avvisare il suo miglior amico che è stato ferito…”
“Sicuramente non voleva farla preoccupare, signore - arrossì Falman, cercando di porre rimedio a quel piccolo disguido che aveva involontariamente causato – Non era niente di grave ed è guarito in poche settimane”
“Lo so… sicuramente pensava che mi sarei fatto tutto il paese in sedia a rotelle per andare a salvarlo… ma se ci credeva davvero, beh è un grandissimo imbecille”
“Se lo dice lei, signore…” sorrise Falman, sapendo che invece Havoc avrebbe fatto di tutto per raggiungere il suo migliore amico
“Altre ferite di cui devo essere messo al corrente? Fury è ancora vivo?”
“Sì, sta bene e anche io… va tutto… va tutto bene”
“Sembra strano dire una cosa simile, vero?”
“Lo ammetto, signore”
“Se ne usciamo fuori tutti, giuro che vi offro da bere per tre settimane di fila”
Falman non poté far a meno di sorridere
“Allora ci metteremo più impegno del previsto signore. Adesso la devo salutare”
“Grazie per la chiamata, Falman… quando vedrai gli altri salutali anche per me”
“Va bene”
 
Quando finalmente giunse l’ora di pranzo, Falman si poté mettere in contatto con il sottotenente Breda.
“In genere non amo essere disturbato quando mangio, – lo salutò l’uomo con la bocca chiaramente piena di cibo – ma per il mio soldato di Briggs preferito farò un’eccezione”
“Le auguro buon appetito, signore” sorrise Falman a quell’accoglienza e pensando che, effettivamente, avrebbe dovuto mangiare qualcosa pure lui.
“Beh, certamente qui il cibo non è male. Mi manca da provare quello del nord, ma chiedere pareri ad uno magro come te non conviene: sei una pessima pubblicità, Falman.”
“Le toccherà venire qui di persona”
“Pare proprio di sì. Allora, tutto bene in quel di Briggs?”
“Escluso il freddo direi di sì, signore”
“Perfetto. Ah, ho sentito il sergente proprio ieri”
“Davvero? E come sta?”
“Sta bene: il nostro soldatino è forte e si sa rialzare. Dopo un primo impatto ha saputo reagire alla trincea: ieri mi è sembrato addirittura allegro, era quasi sul punto di ridere”
“Meno male. Un bel cambiamento rispetto alla prima volta che l’ha sentito dopo che è stato trasferito”
“Già. Ma è un cucciolo intelligente, del resto l’abbiamo allevato noi”
“Vero, signore”
La voce di Breda si fece più bassa
“E così, a Central tu starai con le truppe di Briggs”
“Sì, signore – sospirò Falman – non ne posso fare a meno: hanno bisogno della mia conoscenza del quartier generale per poterlo prendere e…”
“Questo non mi piace, sottotenente… avrei preferito averti con noi”
“Il colonnello…”
“Lui lo sa bene che non ne puoi fare a meno, così come tutti noi. Però, cavolo Falman, ricordati che a Central fa più caldo che a nord… quel cappotto pesante, come finiamo la battaglia, te lo potrai anche levare, non credi?”
“Mi pare un ottimo consiglio” sorrise Falman
“Facciamoglielo vedere, amico… dimostriamo a questi bastardi cosa siamo in grado di combinargli. Pensavano di aver distrutto la squadra mandandoci ai quattro angoli del paese… idioti”
“A proposito del quarto angolo del paese: prima ho sentito anche Havoc. Credo di averla messa in difficoltà, signore: gli ho detto che era stato ferito al fronte”
“Oh, pazienza! Posso sopravvivere tranquillamente ai rimbrotti di quello scemo” rise il rosso
“E sempre parlando di Est, a quanto pare anche il vecchio Grumman è molto interessato a quanto succede”
“Quella vecchia volpe è stato il degno mentore del colonnello. Voglio proprio vedere che sorprese ha in mente”
“Sorprese?”
“Quello ha diversi assi nella manica, Falman, non dimenticarlo. Aspettiamoci qualche colpo di scena da parte sua…”
“Bisognerà fare attenzione anche a questo, allora. Dunque se tutto procede secondo i piani, tra un dieci giorni saremo tutti a Central”
“Almeno ridurremo drasticamente i chilometri che stanno tra di noi… è già qualcosa. L’abbiamo promesso al colonnello: quando avrebbe avuto bisogno di noi, saremo tornati in azione”
“In qualche modo sarò con voi, signore”
“Lo so bene, amico mio. E anche se combatteremo in posti diversi, ti aspettiamo per festeggiare la vittoria assieme, intesi?”
“Intesi”
“A presto, Falman”
“A presto”
 
Chiudendo anche quella telefonata, Falman tornò alla finestra e rimase a guardare il cielo sereno e pulito di North City.
Tra una decina di giorni si sarebbero decise le sorti del paese.
Faceva paura pensa che lui avrebbe preso parte attiva in quel gioco spietato, ma era un dovere a cui non si poteva sottrarre: aveva tutte le motivazioni di questo mondo per combattere con tutta la sua forza e la sua anima.
C’erano il gioco le vite di tutti quanti.

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Capitolo 32
*** Capitolo 31. 1905. Without coat. ***


Capitolo 31.
1915. Without coat


 
Se ci fu una cosa che Falman ricordò per sempre del Giorno della Promessa, fu la rapidità con cui senso di vittoria e di sconfitta si alternarono. Nell’arco di pochissimi minuti la situazione precipitava da un estremo all’altro, senza che lui avesse tempo di rendersene pienamente conto: un istante stavano festeggiando la presa del Quartier Generale, e quello dopo si stavano disperando per il ritorno del Comandante Supremo.
Fino all’ultimo non riuscì a capire veramente se erano salvi o meno: era come se la sua mente si aspettasse sempre un nuovo colpo di scena a stravolgere le sue certezze. Perché non c’era niente di normale in quel giorno: a partire dalla loro impresa per arrivare ai nemici che stavano combattendo, passando per quei tremendi minuti in cui la sua anima si era separata dal suo corpo per essere usata, insieme a quelle di tutto il resto di Amestris, come energia per quella mostruosa creatura che era stata denominata Padre.
Era stato un qualcosa che andava oltre il dolore, la disperazione e la sofferenza: tutte le volte che cercava di ripensarci per trovare le parole adatte a descrivere quello che aveva provato, la sua mente si rifiutava di andare oltre un certo punto.
Perché forse è qualcosa di così innaturale che non esistono parole giuste per descriverlo…
Dopo tutto quello che era successo gli sembrò quasi surreale vedere tutti quanti che festeggiavano, abbracciandosi, ridendo e piangendo lacrime di gioia. Si era ritrovato a rispondere automaticamente a quei sorrisi, troppo incredulo per credere davvero in una vittoria definitiva.
Aveva bisogno di una prova tangibile che gli facesse capire che era davvero tutto finito.
E quella prova gli arrivò mentre un gruppo di soldati di Briggs lo coinvolgeva nei festeggiamenti: sentì uno sguardo sulla sua persona così insistente che non poté fare a meno di girarsi verso quel richiamo.
Quel ragazzo basso e occhialuto, con i capelli neri e dritti e il cappotto bianco sporco e strappato… e accanto a lui un uomo robusto dai capelli rossicci, le braccia di entrambi che gli facevano ampi gesti di saluto.
“…Però, cavolo Falman, ricordati che a Central fa più caldo che a nord… quel cappotto pesante, come finiamo la battaglia, te lo potrai anche levare, non credi?”
Le parole che aveva detto Breda al telefono, nemmeno una decina di giorni prima, gli tornarono alla mente e gli sembrarono dannatamente giuste. Mentre andava verso i suoi compagni si slacciò il pesante cappotto nero di Briggs e lo lasciò cadere a terra proprio un attimo prima che Fury gli piombasse addosso e lo abbracciasse, ridendo e piangendo allo stesso tempo. Non aveva fatto in tempo a stringere il ragazzo che anche Breda li aveva raggiunti e li aveva stretti entrambi in un abbraccio da orso: a ripensarci avevano seriamente corso il rischio di soffocare il sergente in quel momento di felicità.
Falman si rese conto che per tutti quelle ultime ore non aveva nemmeno osato pensare che i suoi compagni erano così vicini a lui: l’idea di non poter condividere l’azione con la sua vera squadra l’aveva turbato così tanto che aveva deciso di relegarla in fondo al suo cuore.
Ma in quei momenti, ora che la vittoria era davvero arrivata, poteva permettersi di stare con le persone che contavano davvero: non perché i soldati di Briggs non fossero eccezionali… ma perché Vato Falman aveva posto la sua fedeltà e la sua fiducia in un altro gruppo di persone.
Ed era con loro che aveva atteso per tanto tempo quel momento.
Siamo insieme, siamo di nuovo insieme e abbiamo vinto!
Quella frase esclamata da Fury con la voce rotta dal pianto esprimeva al meglio le loro emozioni.
 
Per Falman quello fu il momento di ritornare con il suo vero superiore.
Mentre veniva accompagnato da Breda e Fury verso le improvvisate tende che fungevano da infermeria, i due lo aggiornarono su quanto era successo: quando gli dissero che il tenente era stato ferito gravemente al collo ed il colonnello aveva perso la vista, si fermò di colpo.
“Lui non…” mormorò
“Lui poco fa ha detto che c’è ancora molto da fare – dichiarò Breda – e ha bisogno della sua squadra”
Fu in gentile richiamo all’ordine e Falman abbandonò quella breve momento di sbandamento: come raggiunsero la tenda dove stava il loro superiore, non ebbe nessuna esitazione ad andare verso quella figura che stava seduta a capo chino con le mani fasciate da pezzi di stoffa intrisi di sangue.
“Colonnello, eccomi” chiamò
“Falman? – alzò il capo lui, le iridi di uno stranissimo colore grigio. Eppure quegli occhi erano ancora in grado di ipnotizzarlo, come era successo anni prima – Tutto bene?”
“Sì, signore” sorrise il sottotenente, sicuro che Mustang avrebbe intuito la sua espressione
“Come mai non sei con la Armstrong a festeggiare?” lo prese in giro l’uomo, allungando una mano per dargli una lieve pacca sul braccio. Era cieco, certo, ma quel gesto gli fu così naturale che aveva calcolato perfettamente la distanza a cui si trovava il suo uomo.
“Perché è più giusto festeggiare con la mia squadra, signore” rispose lui
“Qui a Central fa troppo caldo per indossare il cappotto pesante di Briggs, signore. – sogghignò Breda – Falman non aspettava altro che potersela levare”
“Bene così – annuì Mustang – perché ho bisogno di tutta la mia squadra in questo momento. Forza, aiutatemi ad alzarmi e andiamo a cercare il tenente”
“Credo che l’abbiano già portata in ospedale, signore” spiegò Fury
“Beh, forse ne ho bisogno pure io - sorrise amaramente il colonnello, mentre appoggiava la mano bendata alla spalla che Breda gli offriva. – Spero che per voi vada bene stare agli ordini di un povero cieco”
“Signore – sogghignò il rosso – se lei è povero, allora io sono un figurino”
E tutti non poterono far a meno di sorridere a quella battuta: anche dopo tutti quei momenti tremendi, dopo le ferite e i dolori ricevuti, loro trovavano il modo di tener alto il morale.
 
Le truppe di Briggs iniziarono il rientro verso nord circa una settimana dopo la vittoria, quando ormai la situazione aveva iniziato a stabilizzarsi. Tuttavia quegli uomini partirono senza il loro generale: dopo la morte di King Bradley il potere era vacante e Olivier Armstrong ovviamente avrebbe voluto dire la sua in quella faccenda; per cui rimase a Central con il maggiore Miles e una piccola rappresentanza dei suoi soldati.
A quel punto Falman capì di non poter rimandare oltre la questione.
Quel giorno spiegò a Breda e Fury che sarebbe andato in ospedale dal colonnello e dal tenente più tardi.
Dopo diversi giorni che vestiva sempre in borghese, indossò di nuovo la divisa militare, ma senza il cappotto nero e si diresse verso il Quartier Generale dove stavano i soldati che ancora stavano di stanza a Central.
Il Generale Armstrong aveva preso possesso dell’ufficio appartenuto al Generale Raven, una scelta sicuramente non casuale dato che era stata lei ad uccidere quell’uomo.
“Signora” salutò mettendosi sull’attenti e sentendo una leggera apprensione. Quella donna era pericolosa e Falman, avendola vista in azione, sapeva benissimo quanto quella situazione non fosse proprio piacevole. Stava in ogni caso per compiere una sorta di sgarbo nei suoi confronti…
“Tu? – lo squadrarono quegli occhi azzurri, la voce tagliente come la lama che portava alla cintura – Falman, vero?”
“Sottotenente Vato Falman a rapporto, signora” annuì lui
“Mi sembrava mancasse qualcuno in questi giorni” commentò il maggiore Miles e Falman sentì addosso anche lo sguardo di quegli occhi rossi, sebbene nascosti dalle lenti scure degli occhiali.
“Gli altri sono già tornati a Briggs, sottotenente – disse la donna – dovrai restare con me fino a quanto la questione sulla successione al governo di Bradley non sarà decisa”
“Sono qui proprio per questo, signora. – dichiarò Falman, tirando fuori tutto il suo coraggio – Sono venuto a prendere congedo da lei”
Si era aspettato che la lama scattasse verso di lui uccidendolo all’istante o che comunque ci fosse un’aggressione nei suoi confronti. Invece i tratti del viso rimasero freddi e impassibili, come se non avesse nemmeno sentito la sua dichiarazione.
Quella reazione lasciò perplesso il sottotenente che rimase in silenzio, chiedendosi se dovesse dire altro, ma prima che potesse farlo, Olivier Armstrong parlò.
“Sei un uomo di Briggs, Falman. – disse con voce stranamente vellutata – A chi va la tua fedeltà se non a me?”
Ma Falman, trovando uno strano nuovo coraggio dentro di sé, scosse il capo: uno degli attimi che gli era rimasto maggiormente impresso di quel Giorno della Promessa era stato quando si era trovato davanti a King Bradley in persona.
Apri quel cancello, Falman.
La voce calma e piatta di quell’homunculus che gli ordinava di aprire il cancello che avrebbe permesso alle truppe di Central di rientrale… la certezza di essere ormai morto, perché Vato Falman non poteva sopravvivere a quanto gli avrebbe fatto Bradley… la forza di tirare fuori la pistola e chiedere perdono al colonnello….
Mi dispiace Colonnello Mustang… io temo che morirò qui.
Quando si era trovato ad un passo dalla morte, anni prima, per mano di Leon, aveva invocato suo padre. Invece in quel momento aveva chiesto perdono al suo superiore.
“Mi dispiace, signora – disse con voce tranquilla – ma la mia fedeltà va al colonnello Mustang. La mia parentesi sotto il suo comando è stata voluta da Bradley, e ora lui è morto”
“Mustang… – c’era una nota di disprezzo nella voce della donna – da quello che so è in ospedale e ha perso la vista. Che senso ha continuare a stare con lui? Ti sei dimostrato un ottimo elemento, da quanto mi hanno detto, perché vuoi seguire quell’uomo? Briggs è sempre pronta ad accogliere uomini di valore come te.”
Ma Falman sapeva benissimo la motivazione della sua scelta.
Perché quando sono entrato nel suo ufficio per la prima volta e l’ho guardato negli occhi, ho capito che l’avrei seguito ovunque… e non mi ha deluso. Perché io non posso far parte di due gruppi così differenti: la mia fedeltà va ai miei compagni, non agli uomini di Briggs.
“Per lo stesso motivo per cui i suoi uomini seguiranno lei, signora” disse semplicemente, tenendosi quei pensieri per sé.
Olivier Armstrong rimase in silenzio per qualche secondo e poi le labbra piene fecero un sorriso sarcastico
“A quanto pare quel colonnello da strapazzo è in grado di ispirare fiducia anche a soldati come te… non capisco proprio come ci riesca. In ogni caso, se questa è la tua decisione, Falman, torna pure da lui: Briggs non ha bisogno di uomini così legati a Mustang.”
“E’ stato un onore stare al suo servizio, signora – salutò Falman, mettendosi di nuovo sull’attenti e capendo di essere stato congedato – le auguro una buona giornata”
E come le porte si richiusero alle sue spalle, il sottotenente tirò un sospiro di sollievo: ne era uscito indenne.
Quella sera stessa, riferì quei momenti anche al colonnello.
“Hai rischiato grosso, Falman – sorrise sinceramente l’uomo, seduto a gambe incrociate sul letto d’ospedale – quella donna poteva tagliarti a fettine per un simile sgarbo”
“Ho corso il rischio, signore – scrollò le spalle il sottotenente – del resto non abbiamo mai smesso di essere i suoi uomini”
“Già. – c’era una nota di gratitudine nel tono del suo superiore – Non avete mai smesso… Comunque fatti coraggio, Falman: tra qualche giorno il dottor Marcoh guarirà sia me che Havoc, poi risolveremo la questione della successione a Bradley ed infine torneremo ad East City: per pensare ad Ishval è meglio essere il più vicino possibile, non credi? Ed inoltre… ho l’impressione che Central sia ancora un po’ troppo per noi.Per adesso…
“E poi non dimentichiamoci che il nostro neo sottotenente deve riabbracciare la sua mogliettina – sogghignò Breda, dandogli una pacca sulla spalla – è anche troppo tempo che non vi vedete”
Già, Elisa…
Negli ultimi tempi Falman aveva deciso di relegare sua moglie in un angolino del suo cuore considerata la minaccia che incombeva su di loro. Preferiva non pensare all’eventualità di non poterla più rivedere, di saperla morta come tutto il resto della popolazione.
Si chiese se avesse sofferto molto in quei tragici minuti in cui l’anima si era separata dal corpo, se anche in lei il ricordo e la consapevolezza fossero presenti… oppure se, dato che era all’oscuro di tutti, quell’esperienza era miracolosamente obliata.
Potersi permettere di ripensare a lei e a cose umane era davvero incredibile.
E la voglia d riabbracciarla era così naturale che ne fu commosso.
Sì, Breda aveva ragione: era anche troppo tempo che non la rivedeva.
Ma a giugno cambierà tutto.
 
La stazione di East City era colma di persone, considerato che era l’ora di maggior traffico ferroviario.
E dunque era del tutto normale che qualche treno accumulasse ritardo…
E ovviamente doveva essere proprio quello che riporta a casa mia moglie.
Falman si grattò la testa con irritazione: sembrava che fino all’ultimo ci fossero imprevisti che si divertivano a tenerlo separato da Elisa. Con invidia guardava coppie che si rincontravano e si baciavano, famiglie felici che uscivano dalla stazione: perché dovevano far attendere tanto solo lui?
“Il treno da Central City è in arrivo al binario quattro”
Finalmente la voce dall’altoparlante annunciò il convoglio tanto atteso.
Con ansia crescente Falman si portò nella banchina del binario quattro, facendosi largo tra le altre persone che aspettavano qualcuno che arrivava.
Avanti, maledetto treno, ridammi mia moglie!
Non si era mai sentito così impaziente in vita sua: con ansia guardò i vagoni passare davanti a lui, sempre più lenti e osservò le porte aprirsi, con la gente che cominciava ad uscire e le voci del saluti che lo circondavano. Guardandosi intorno cercò di individuare il vagone dal quale sarebbe uscita Elisa, ma non ci riuscì: il treno proveniente dalla capitale era così maledettamente pieno.
Si sentì spintonare più volte, goffe parole di scusa da parte di gente che cercava di guadagnare l’uscita in mezzo a quella ressa: perché tutta East City sembrava radunata in quella banchina ferroviaria?
Non andava bene, proprio no. Tuttavia rimase impassibile, sentendo che piano piano la folla intorno a lui diminuiva.
“Vato! Ehi, Vato!”
Fu un tuffo al cuore.
La voce di Elisa risuonò limpida, sovrastando tutto il restante rumore. Girandosi verso sinistra la vide sugli scalini del vagone che gli faceva ampi gesti con il braccio. Indossava un vestito verde chiaro a maniche corte, perché ad East City a giugno faceva già caldo e non c’era assolutamente bisogno di cappotti.
“Eli!” esclamò, andando verso di lei, facendosi largo tra quelle persone sconosciute.
Gli ci vollero meno di venti secondi, ma a lui parvero un’eternità: finalmente le arrivò davanti, i loro visi alla stessa altezza considerato che lei stava ancora in parte sopra il vagone.
“Ciao, soldato! – lo abbracciò lei, con entusiasmo, nascondendo il viso sulla sua spalla – Questa volta sono io in ritardo! Scusa tanto”
“In ritardo…” fu tutto quello che riuscì a dire Falman, stringendola a sé e sollevandola di peso per portarla in una parte della banchina più tranquilla.
“Ehi, ho ancora le valigie in carrozza…” sussurrò lei, ma si capiva chiaramente che era l’ultima cosa che le importava.
Falman la mise a terra e le prese il viso tra le mani.
“Tu non hai idea di quanto mi sei mancata… e non hai idea di quanto ti ami” fu tutto quello che le disse prima di baciarla. Ma forse Elisa aveva i medesimi pensieri in testa, perché la passione con cui ricambiò quel bacio fu incredibile.
“Adesso non ci lasceremo mai più, Vato Falman – dichiarò quando si staccarono – Ti concedo in uso al colonnello Mustang per un certo numero di ore al giorno, ma per il resto sei esclusivamente mio. Ti seguirò ovunque tu vada: non ho più intenzione di stare lontana da te”
“Agli ordini, amore mio” sorrise lui accarezzandole le guance
“Andiamo a casa?”
“Sì, andiamo a casa” annuì il sottotenente prendendola per mano.
Finalmente era tutto al posto giusto.

 

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Capitolo 33
*** Epilogo. 1920. Rules of game. Reprise. ***


Epilogo.
1920. Rules of game (reprise)

 


Il treno per la capitale sarebbe partito tra una ventina di minuti: stranamente era un giorno in cui c’era poca gente che doveva andare verso quella direzione e dunque la banchina era notevolmente tranquilla. Era quasi surreale la calma della stazione di East City in quelle ore del primo pomeriggio.
Il capitano Vato Falman fece un rapido resoconto delle tappe del viaggio e dei bagagli, spuntando mentalmente ogni cosa che era sicuro di aver messo dentro il vagone.
Allora, partenza da qui alle tre e mezza, arrivo domani all’ora di pranzo a Central. Una settimana lì, andando a trovare anche Alexis, Laura e la bambina e poi a North City. I documenti che mi ha dato il Generale li ho presi, la relazione che devo presentare al Comandante Supremo pure... Ah e il dossier relativo al caso che…
“Ciuf ciuf!” esclamò una vocetta accanto a lui, facendolo girare.
“Brava, tesoro, dillo di nuovo a papà come fa il trenino”
“Ciuf!” la bambinetta in braccio ad Elisa fece il verso della locomotiva con un entusiasmo tale che le due codette castane parvero rizzarsi ancora di più. Poi, tese le manine verso Falman, ansiosa di essere presa in braccio dal genitore.
“Dada!” chiamò
Il capitano con un sorriso la prese tra le braccia e le baciò la guancia paffuta.
“Ehi, principessina, tra poco prendiamo il trenino, sei contenta?” le chiese
“Ciuf!” rise ancora lei, prima di acciambellarsi sulla sua spalla, la posizione che preferiva.
“E’ molto fiera del nuovo termine che ha appena imparato – sorrise Elisa, sistemandole meglio il vestitino che indossava – io a due anni mica sapevo cosa fosse un ciuf ciuf”
“Mamma! – chiamò un bambino dai capelli bicolore, tirandole la gonna – quando partiamo?”
“Tra poco, amore mio, – lo tranquillizzò Elisa, chinandosi ed accarezzando la parte castana della chioma – perché nel frattempo non ci facciamo un giretto nella banchina? Andiamo a vedere la locomotiva”
Lui annuì, felice di avere qualcosa da fare e tese la mano verso la madre, trotterellando poi accanto a lei, alla scoperta delle meraviglie della stazione ferroviaria. Falman li guardò allontanarsi con un sorriso divertito e poi si accorse che la piccola si era già mezzo appisolata addosso a lui.
“… e mi sa che ti sveglierai solo tra qualche ora: recuperi le ore piccole che hai fatto stanotte, eh? Ci provi gusto a tenere papà sveglio fino alle tre del mattino” dichiarò il capitano, ormai abituato alle sveglie notturne della figlia che, a periodi alterni, decideva di scambiare il giorno con la notte.
Meno male che il fratello aveva il sonno pesante e non si svegliava per i pianti della bambina.
Ma era uno dei tanti aspetti dell’avere due bimbi piccoli in casa…
Rey e Lisa, i più bei miracoli del mondo.
A distanza di quasi cinque anni, Falman a volte stentava a credere che lui ed Elisa erano davvero diventati genitori.
Non ne avevano più parlato dopo quel tragico aborto al quinto mese, ma era chiaro che entrambi avevano pensato che le conseguenze erano state tali da levare qualsiasi speranza per avere un figlio.
Sono incinta…
Quanta incredulità c’era nella voce di sua moglie quando, in quell’estate del 1915, una sera lui era tornato a casa e l’aveva trovata ad attenderlo seduta al tavolo di cucina con l’espressione mista tra sorpresa, gioia e preoccupazione.
Era stata una gravidanza incredibilmente facile, ma questo non era riuscito a tranquillizzare i futuri genitori: anche dopo che il quinto mese era stato superato senza problemi, erano stati continuamente in ansia. Ed invece a marzo, nella notte tra l’undici e il dodici, Elisa l’aveva svegliato colta dalle doglie… e alle prime luci dell’alba, teneva tra le braccia il piccolo Rey Vincent.
Per l’allora sottotenente era stata una sensazione incredibile prendere quel piccolo fagottino piagnucolante, accorgersi di quanto era leggero e incredibilmente delicato.
“Eh… mi sa che qui siamo proprio figli di papà”
Elisa aveva sorriso, esausta ma felice, e solo allora Falman si era reso conto che il piccolo, per quanto nato da nemmeno un’ora, aveva già il suo taglio di occhi… e anche i ciuffi sulla testolina erano chiaramente bicolori, ma non neri e bianchi… neri sotto e il castano scuro sopra.
Lisa emise un lieve lamento nel sonno e Falman le cambiò leggermente posizione, intuendo che le stellette sulla spallina della divisa dovevano darle fastidio.
Già, la sua principessa… era arrivata quasi due anni dopo Rey ed aveva avuto una gestazione più difficile, tanto che era nata con più di un mese d’anticipo. Era stata una cosa totalmente inaspettata, anche perché in quel momento, in un periodo in cui Elisa stava meglio del previsto, c’erano anche i suoi colleghi a cena da loro.
Erano stati attimi di panico: Falman si ricordava ancora di come Havoc avesse portato Rey in camera sua, restando con lui per distrarlo. Fury era corso a chiamare il medico, mentre lui e Breda avevano aiutato Elisa a distendersi nel divano. Il dottore era arrivato giusto in tempo per prendere tra le mani la piccola Lisa: nonostante la prematurità, lo strillo di protesta che aveva emesso era stato così forte che nessuno aveva avuto dubbi sulla sua salute.
“Mamma mia, signorinella – aveva commentato Breda rivolgendosi alla piccola avvolta nella copertina – avevi proprio voglia di incontrarci, eh? Non farci più scherzi del genere, mi raccomando”
Anche la piccola aveva il taglio di occhi di Falman, ma i capelli erano completamente castani, come quelli di Elisa.
Per le prime settimane erano stati tutti in apprensione considerata l’apparente fragilità della bambina, così minuscola sebbene perfettamente formata, ma sembrava che Lisa non avesse risentito per niente della gravidanza difficile e del mese d’anticipo.
Effettivamente, anche in quel momento, a Falman sembrava impossibile che la bambina che dormiva beatamente appellicciata a lui li avesse fatti penare così tanto.
“Cucciola di papà…” mormorò con infinita tenerezza accarezzandole il braccino.
Perché Lisa era timida e coccolona fino all’inverosimile. Mentre Rey era molto più vivace, la bambina aveva un’indole diametralmente opposta: Falman vedeva nel figlio maggiore molto del carattere materno e anche un qualcosa del nonno di cui portava il nome, mentre Lisa sembrava avere atteggiamenti più tranquilli e simili ai suoi… almeno quando non piangeva. Ed inoltre le piacevano i libri: certo, per ora era una passione più dannosa che altro, considerato tendeva ad afferrare le pagine con le manine e strapparle o mettersi la carta in bocca. Più volte Falman l’aveva recuperata al volo mentre lei, ancora leggermente malferma sulle gambette, cercava di prendere i grossi libri dalla libreria rischiando di farseli cadere addosso.
I “libi”, perché la “r” era troppo difficile da dire, esercitavano un grandissimo fascino su di lei. Mentre Rey amava ascoltare le storie, ma tutto finiva lì, Lisa invece era proprio attratta dall’oggetto in sé.
“Ah, sotto questo punto di vista allora te la gestirai tu” aveva riso Elisa, quando Falman aveva evitato per l’ennesima volta che un dossier finisse nelle mani della piccola.
 
“Tutto pronto per la partenza, capitano?”
La voce del Generale Mustang lo distolse dai suoi pensieri e vide il suo superiore che avanzava nella banchina assieme al Tenente Colonnello Hawkeye.
“Tutto pronto, signore” annuì Falman, impossibilitato a fare il saluto previsto.
Mustang sorrise ed arruffò con gentilezza i capelli castani della bambina addormentata.
Il maggiore dei figli di Falman doveva il suo primo nome all’alchimista di fuoco e sembrava che il generale si fosse particolarmente affezionato a quei bambini.
“Mi dispiace mandarti a North City, Falman, - disse in tono di scusa, tirando lievemente una codetta castana di Lisa – ma ho davvero bisogno di un uomo di fiducia nel nord e tu sei l’unico che abbia già avuto esperienza in quel settore”
Falman annuì: non c’era bisogno che il generale gli spiegasse ulteriormente la situazione.
Erano passati quasi cinque anni da quando il vecchio Grumman aveva preso il posto di Bradley, una giusta figura di compromesso prima che le nuove generazioni si facessero avanti per il potere.
Era stato un bene perché in questo modo Mustang si era potuto dedicare anima e corpo alla questione di Ishval: con la sua squadra era riuscito a ricostruire quel paese in pochissimo tempo. Dove c’erano solo rovine e sabbia ora il popolo dagli occhi rossi rifioriva timidamente, consapevole di far parte dello stato di Amestris e sicuro di essere ben protetto. Certo, erano stati anni anche di difficoltà con le ovvie tensioni tra superstiti Ishvalani e l’esercito: una guerra di sterminio non si poteva cancellare… ma era anche vero che il buonsenso doveva prevalere. Ci si era dovuti tendere le mani a vicenda per poter ripartire dall’inizio… ed il fatto che alcuni giovani di Ishval si fossero arruolati nell’esercito sembrava dare nuova speranza al progetto iniziato da Mustang.
Per tutti quegli anni l’alchimista e la sua squadra avevano fatto spola tra East City e Ishval, ma nell’ultimo periodo la loro presenza era stato poco meno che necessaria: adesso al Generale dell’Est premeva una nuova questione. Dopo la loro vittoria sugli homunculus, Mustang aveva affermato che Central City era ancora troppo per loro.
Ma a cinque anni di distanza non è più così.
Grumman ormai era davvero vecchio e stava parlando sempre più spesso di cedere il potere… e tutti sapevano che c’erano due persone pronte a contendersi quell’eredità: Roy Mustang e Olivier Armstrong. In quegli anni i due rivali erano rimasti ciascuno nel settore di propria competenza, ma ora la situazione era cambiata.
Falman lo sapeva benissimo: nessuno di loro sarebbe stato così folle da cominciare una guerra civile, ma erano certamente disposti a contendersi quel ruolo di comando fino all’ultimo.
Era anche in attesa di questo momento che Falman era tornato nella squadra del colonnello subito dopo la battaglia: sapeva che ci sarebbe prima o poi stata una contesa simile e lui voleva essere sicuro di trovarsi dalla parte che riteneva giusta.
“Starò a North City per il tempo necessario, signore” disse infatti senza alcun rimorso
“E ti porti dietro moglie e figli…”
“E’ una scelta mia e di mia moglie: – spiegò Falman – gli eventi ci hanno separato troppe volte e soprattutto ora che ci sono i bambini non vogliamo che si ripetano simili esperienze. Non sappiamo quanto starò in quel posto, ma sicuramente qualche anno, se non di più, è innegabile…”
“Già, – sospirò Mustang – in ogni caso conto di trasferirmi con gli altri a Central nel più breve tempo possibile: così una volta terminato il tuo compito avrai meno treni da prendere per ricongiungerti a noi e… signora, che piacere rivederla”
Già, a trentacinque anni suonati il generale Mustang non perdeva occasione per esercitare il suo grande fascino sulle donne, persino su Elisa. Con una perfetta mossa galante, baciò la mano della donna, provocando un lieve rossore sulle sue guance.
“Generale Mustang, – ridacchiò la donna – quando si deciderà a mettere la testa a posto pure lei? Eppure anche il Maggiore Havoc si è sistemato con Rebecca”
“E privare il gentil sesso della mia presenza. Oh no, signora: sono sicuro che perderei parte del mio fascino” e lanciò un’occhiata divertita prima a lei e poi alla sua assistente.
“Non è venuto Havoc?” chiese con impazienza Rey che aveva nel biondo soldato un grande compagno di giochi.
“L’hai salutato ieri, giovanotto – gli ricordò Falman con un sorriso – così come hai salutato il Maggiore Breda ed il sottotenente Fury”
“Appunto, - sottolineò Elisa – non credi di dover salutare anche il Generale ed il Tenente Colonnello”
“Va bene – annuì il bambino, mettendosi sull’attenti in modo estremamente preciso – e un giorno divento anche io soldato, promesso! Così ti posso aiutare, vero papà?”
Falman rimase abbastanza interdetto a quell’affermazione: non era la prima volta che Rey la faceva e il capitano si accorgeva che in quei momenti il piccolo non assomigliava né ad Elisa né a Vincent, ma a lui, quando credeva che diventare poliziotto fosse tutto quello che poteva desiderare.
Ma se c’era una cosa che Falman si era ripromesso era di essere presente nella vita dei suoi figli: Rey e Lisa non avrebbero mai dovuto provare il vuoto che aveva turbato così tanto la sua infanzia, quando i libri erano diventati un rifugio per le assenze di Vincent. No, per Rey sarebbe stato come per Alexis: se un giorno sarebbe entrato nell’esercito sarebbe stato perché era la cosa giusta per lui e non per la ricerca di un padre assente.
“Hai solo quattro anni, Rey – ridacchiò Riza, i capelli di nuovo corti come quando Falman l’aveva conosciuta – c’è tempo per decidere. Ed in ogni caso ci sono tanti modi di aiutare il tuo papà”
“Dici?”
“Ma certo – annuì la donna – Per esempio prendendoti sempre cura della tua mamma e della tua sorellina”
“Oh, ma quello lo faccio già”
Il rumore della locomotiva che avvisava l’imminente partenza del treno interruppe quei discorsi.
“Bene, - annunciò Elisa, prendendo la bambina dalle braccia del marito – io e i piccoli andiamo a prendere posto. Arrivederci generale, arrivederci tenente colonnello”
“A presto, signora” salutarono entrambi, con Mustang che diede un’arruffata di capelli anche al maschietto.
“Allora, capitano, - disse infine – mi chiami quando sarai a Central?”
“Certamente signore”
“Fai buon viaggio, mi raccomando, - salutò Riza, stringendogli la mano con affetto – ci mancherai in ufficio”
“Sono sicuro che terrà a bada la situazione come al solito, signora”
“Com’è quel saluto nel dialetto di North City, Falman?”
“Nichis tai, signore”
“Allora nichis tai, capitano Vato Falman. Ti aspetto nel momento in cui saremo in cima”
“Non mancherò signore, ne stia certo”
Perché Vato Falman non aveva alcun dubbio su chi avrebbe preso il comando di Amestris.
 
Rey dormiva già da qualche ora coperto dalla giacca di Falman, la testa bicolore posata sul grembo paterno, Lisa stava finalmente per cedere al sonno cullata dalle braccia della mamma.
“Crollata?” chiese Falman con un sussurro
“Sì, è crollata… - confermò lei, avvolgendo meglio la copertina attorno alla bimba e posandosi alla spalla del marito – cielo, quando finirà questa fase di poche ore di sonno alla volta sarà una benedizione. Il giorno che dormirà otto ore filate come Rey festeggeremo… ma per ora ho il terrore che lo stravolgimento per il viaggio e il cambio casa la terranno irrequieta e nervosa per settimane”
Falman sorrise a quell’esasperazione della moglie: Elisa era una madre meravigliosa ed i piccoli la adoravano, ma quando si lanciava in queste dichiarazioni era davvero fenomenale.
“Capito, Lisa? – fece il capitano – Tua madre è molto catastrofica in proposito… eppure stanotte chi ti ha cullato per ore è stato papà”
“E la notte prima io…”
“Ehi, signora Falman, che te ne pare?”
“Di cosa?”
“Di questi quasi vent’anni che stiamo assieme: era il 1901 e la guerra era appena scoppiata quando ci siamo dati il primo bacio. Otto anni da fidanzati e undici da sposati, non male direi”
“Non me ne posso di certo lamentare. – sorrise lei – Certo, me ne hai fatto passare di cotte e di crude e anche io ti ho dato i miei grattacapi, ma direi che funziona alla meraviglia, non credi? Specie ora che ci sono questi due folletti nelle nostre vite…”
“Che cosa pensi di così divertente?” le chiese Falman vedendo che ridacchiava
“Pensavo a quel bambino di dieci anni che pretendeva che i suoi compagni di classe giocassero a Palla Nera con le regole ufficiali che lui aveva imparato a memoria il giorno prima”
“Quella vecchia storia! – arrossì Falman – E poi sarei io quello dalla memoria perfetta… anche tu non scherzi”
“E ti ricordi come è andata a finire?”
Falman sorrise e le cinse le spalle con il braccio.
“Finì che la mia migliore amica mi chiese se conoscevo un gioco per due persone con regole abbastanza semplici che potesse esser terminato entro l’intervallo”
“E’ un gioco che sta durando un po’ di più dell’intervallo, – mormorò lei – ma devo dire che non sono per niente stanca di giocarci. E sai qual è la parte migliore?”
“Che le regole, in fondo, le facciamo noi”
“Esattamente”
Perché come una volta aveva detto Vincent, le regole del gioco sono le regole della vita.

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