Victims

di Ezrebet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Paziente n.7 ***
Capitolo 2: *** Acqua dalla Luna ***
Capitolo 3: *** Sopravvissuti ***
Capitolo 4: *** Bella Addormentata ***
Capitolo 5: *** Risvegli ***
Capitolo 6: *** Pensieri e Parole ***
Capitolo 7: *** Un Modo Nuovo ***
Capitolo 8: *** Insonnia ***
Capitolo 9: *** Solo Ricordi ***
Capitolo 10: *** Nata Babbana ***
Capitolo 11: *** Turbamento ***
Capitolo 12: *** Granger non deve andare ***
Capitolo 13: *** Conflitto ***
Capitolo 14: *** Specchi Riflessi ***
Capitolo 15: *** Nonostante Tutto ***
Capitolo 16: *** Il Tempo Ritrovato ***
Capitolo 17: *** Non Ti Conosco ***
Capitolo 18: *** Guarda che non sono io ***
Capitolo 19: *** Anima Innamorata ***
Capitolo 20: *** Le Ceneri della Fenice ***
Capitolo 21: *** Viva e Vegeta ***
Capitolo 22: *** Sono qui per te ***
Capitolo 23: *** Mai più promesse ***
Capitolo 24: *** Sentirla addosso ***
Capitolo 25: *** Era Mio Padre ***
Capitolo 26: *** Dolore e coraggio ***



Capitolo 1
*** Paziente n.7 ***


Prologo
Paziente n.7

I passi ruppero il silenzio improvvisamente, attirando le infermiere fuori dalle stanze. Molti sguardi seguirono l’uomo alto e biondo che percorreva il corridoio del reparto, di norma chiuso al pubblico. Nessuno, però, s’attentò a fermarlo. Sapevano tutti che il primario aspettava visite per la degente n.7. Ed infatti, l’uomo si fermò proprio davanti alla porta contrassegnata dal numero sette; sulla soglia, c’era il dottor Jordan, che si spostò per lasciarlo entrare.
“La paziente è monitorata ventiquattr’ore su ventiquattro, nutrita e idratata tramite flebo. E’ sottoposta a sollecitazione motoria tre volte al giorno e si esegue check up completo ogni settimana” sussurrò Jordan, mentre il nuovo venuto puntava lo sguardo sulla donna distesa tra le coperte candide e lo lasciava poi scorrere sul braccio, trafitto dagli aghi per le flebo e per gli indicatori di pressione e battito cardiaco. Poi, fissò ancora il viso di lei.
“La situazione, come ben sa, è stabile da mesi” aggiunse il medico sospirando “Non mi sento di esprimere un parere definitivo, ma la mia precedente esperienza in casi come questo mi porta a ritenere che non sia possibile invertire il coma”.
Jordan era perplesso. Gliene avevano parlato come di un grande chirurgo e si era aspettato un uomo molto più vecchio, non il ragazzo che aveva di fronte, che sembrava appena uscito dal liceo.
Come se avesse sentito i suoi pensieri, questi si voltò ed incontrò i suoi occhi, lasciandolo interdetto; lo scrutava con un’espressione molto più adatta ad un anziano scienziato che ad un giovanotto quale era lui.
“Vorrei vedere la cartella, se possibile”disse.
Jordan gli porse i fogli che teneva in mano “Naturalmente. Provvederò oggi stesso a mandarle il file”.
Passarono alcuni minuti, durante i quali Jordan lo osservò scorrere velocemente i dati riportati e poi riconsegnargli il tutto.
“Crede di poter organizzare il trasferimento domani stesso?” gli domandò in tono cortese e distaccato, mentre tornava a guardare la paziente addormentata.
“Ma si, certo” fece Jordan “Il ministero ha già mandato le autorizzazioni necessarie. Mancava soltanto il suo consenso, dottor Malfoy”.
Draco Malfoy si avvicinò di più al letto, girò intorno alle sponde rialzate, abbassò lo sguardo sul volto della donna, pallido, rilassato in un sonno senza sogni. Le guardò i capelli castani, tagliati corti e ben pettinati, le braccia abbandonate sulla coperta, le forme del corpo appena accennate.
“E’ stata ritrovata nei pressi della stazione ferroviaria. Dallo stato dei suoi vestiti, siamo quasi certi che sia stata coinvolta in un incidente o in una esplosione e poi abbandonata. E’ un vero mistero, dal momento che non ci sono state evenienze del genere né quel giorno né nella settimana precedente” lo informò il primario “La polizia ha sospeso le ricerche. Nessuno è venuto a reclamarla e così non è stato possibile darle un’identità. Pare che sia uscita dal nulla”.
Malfoy annuì senza voltarsi.
“Il ministero, in accordo con i vertici dell’ospedale, pensa che nella sua clinica la paziente possa trovare adeguata assistenza” aggiunse “Noi abbiamo fatto quanto abbiamo potuto”.
Proprio in quel momento, suonò il cercapersone di Jordan, che mormorò “Devo andare. Il trasferimento è fissato per domani, allora”.
Rimasto solo, Draco si concesse di riprendere fiato. Lo fece, ma non riuscì a distogliere lo sguardo dalla ragazza. Era proprio lei.
Quando Arthur Weasley l’aveva contattato, aveva rispedito il gufo al mittente per tre volte. Aveva letto il quarto messaggio, nella speranza di porre fine a quell’indesiderata corrispondenza. E ciò che aveva letto l’aveva lasciato esterrefatto.
Dopo l’iniziale sbalordimento, aveva deciso di rendersi conto di persona e dopo quasi un anno di isolamento, era uscito dalla villa sotto gli sguardi spaventati degli elfi, materializzandosi davanti a quell’ospedale di babbani.
Weasley non aveva mentito, era proprio Hermione Granger.
Pallida, magra, niente riccioli, sospesa tra la vita e la morte. L’espressione del viso di lui s’irrigidì mentre gli scorrevano davanti agli occhi le immagini delle battaglie e sentì di nuovo il braccio bruciare… ma era un’illusione, solo un’illusione.
Rimase a guardarla a lungo, incapace di schiodarsi da quel letto, incapace di muoversi da lì. Hermione Granger, la sanguesporco, la Grifondoro che aveva attraversato la sua strada mille volte, l’essere che aveva costituito un affronto per lui per il solo fatto di esistere.
Anche adesso, la sua presenza lo sgomentava, ma per tutt’altre ragioni che non riusciva a chiarire nemmeno a sé stesso.
Fu l’infermiera ad avvertirlo che da lì a poco sarebbe arrivato il fisioterapista per la seduta. Così, dovette uscire, non prima di aver lanciato un’ultima occhiata alla donna.
Percorse a ritroso il corridoio, trovò la toilette, vi si chiuse dentro. Si appoggiò alla porta, chiuse gli occhi, sentì il battito del cuore rimbombargli nelle orecchie come impazzito.
Tutto il suo isolamento non era servito a niente; suo malgrado, la realtà lo scaraventava indietro, in un vortice che aveva tentato di sfuggire.
Barcollò fino al lavandino, si spruzzò frenetico un po’ d’acqua gelata sul viso, voleva riprendersi, dominare quelle sensazioni, riconquistare il distacco. Ma c’era un solo posto dove l’operazione gli riusciva.
Raccogliendo tutte le sue forze, si smaterializzò alla volta di casa.

Gli elfi gli corsero dietro fin sulla soglia dello studio. Senza nemmeno voltarsi, disse loro “Lasciatemi in pace. Non voglio essere disturbato. Da nessuno” precisò.
Fu Dobby ad intervenire, tenendo gli occhi fissi al pavimento “E’ arrivato un gufo, padrone”.
Draco si bloccò, le mani strette sulla maniglia della porta “Smettila di chiamarmi così” lo redarguì, poi “Portatemi il messaggio e sparite”.
Nel giro di dieci secondi stringeva tra le dita la pergamena, arrotolata stretta  da un nastro dorato. Chiuse la porta, si fermò in mezzo alla stanza e sciolse in fretta il nodo, leggendo frenetico.

“La paziente giungerà alla villa domani mattina alle otto e mezza. Ci sono per te una cartella clinica e alcuni indumenti forniti dalla clinica. Procederemo all’Oblivion alla stessa ora. Attendiamo notizie. A. Weasley”

Slacciò il mantello, lasciandolo scivolare a terra, e sprofondò nella poltrona, coprendosi il volto con le mani.
Avevano tutti troppa fiducia in lui. E poi, quello stesso pensiero appena formulato, lo fece ridere. Era a tal punto frastornato da non ricordarsi chi era veramente, un Serperverde.
Forse io posso dimenticarlo, ma nessun altro lo farà.
L’isolamento che si era auto imposto l’aveva illuso. Chiudersi nelle antiche mura della villa avita, lasciare fuori il mondo, magico e babbano, con la scusa di dedicarsi alla sua attività di ricerca. Una scusa che in qualche modo l’aveva salvato dalla morbosa curiosità dei maghi. Nessuno aveva mai osato avvicinarsi. All’inizio qualcuno aveva provato ad invitarlo a convegni, a situazioni mondane, gli avevano perfino offerto di insegnare, ma nel giro di poco tutti avevano capito l’antifona. Draco Malfoy, unico superstite della dinastia, graziato dal Tribunale speciale per la Guerra Magica, non voleva essere disturbato. In sostanza, voleva essere dimenticato dal mondo.
Certo, era più elegante lasciar credere che si fosse dedicato anima e corpo alla ricerca medica, ad elaborare nuovi antidoti e pozioni per debellare ogni genere di morbo magico o babbano, ma la realtà era che Malfoy voleva essere dimenticato, disperatamente.
Alzò gli occhi sul ritratto che dominava la stanza. Lucius e Narcissa lo fissavano alteri, rinchiusi per sempre nel tondo sulla parete est dello studio. Non avrebbero approvato il suo esilio volontario, avrebbero detto che uno come lui, erede di così alto lignaggio, meritava un ben altro stile di vita. Erano considerazioni che aveva già fatto e che di certo avrebbe fatto ancora. In quell’anno, la solitudine gli aveva permesso di scoprire molto di sé stesso, senza avere il fiato sul collo da parte di nessuno. Aveva scoperto di provare un certo interesse per la tecnologia, una notevole invenzione babbana, di apprezzare i loro computer, la loro musica, perfino la loro moda. Di questo suo padre si sarebbe senza alcun dubbio rammaricato.
La sua professione di ricercatore in medimagia e pozioni era alla base dell’interesse per lui da parte di Arthur Weasley, ministro dei rapporti col mondo babbano da un anno a quella parte.
Ripensò alla lettera che gli aveva mandato, alle parole che aveva usato.

 “Hermione Granger è l’unica rimasta, è la superstite della Battaglia Finale, non merita ciò che la sorte avversa ha deciso per lei. So che tu puoi provare a modificare ciò che pare inevitabile, perciò ti chiedo, come suo amico prima che come ministro, di tentare”.

La storia era ormai stata scritta. Harry Potter e il suo gruppo di eroi grinfondoro erano morti nella battaglia epocale contro Voldemort; pur uccidendo lui e il suo esercito di mangiamorte, gli eroi erano morti tutti, il loro sangue aveva bagnato la terra magica, era penetrato in essa, restituendola a nuova vita. Anche Hermione Granger era morta, e il suo corpo non era stato trovato, probabilmente disintegrato in una delle terribili esplosioni che avevano caratterizzato la lotta. C’era una targa in marmo bianco, all’ingresso del Palazzo del Governo Magico, posta a ricordo del sacrificio dei giovani dell’Ordine.
Draco si massaggiò le tempie, nel tentativo di lasciar scivolare da sé le immagini del Funerale di Stato, cui aveva assistito da sorvegliato speciale. Sulla sua testa pendeva l’accusa di aver contribuito al terrore voluto dal Signore Oscuro, la condanna a vita era data per scontata. E invece il nuovo governo, tra cui spiccava la figura di Weasley, i cui figli erano tutti periti in guerra, lo aveva graziato. Niente processo, niente accuse, nessun provvedimento. Il giorno successivo alla cerimonia funebre, una pergamena controfirmata da tutti i membri governativi lo dichiarava libero.
Ricordava perfettamente il suo spaesamento, la sensazione di poter morire subito, l’onda di sollievo e terrore insieme che l’avevano assalito mentre l’avvocato gli leggeva il foglio.
Ed era tornato alla villa. Vi si era rinchiuso dentro, le parole di Weasley, le uniche parole che il ministro gli aveva rivolto, la mattina della sua liberazione che gli riempivano cervello e stomaco e cuore.
“Sei l’unico rimasto, Draco Malfoy. Abbiamo il dovere di lasciarti vivere, di lasciarti provare”.
Fosse campato cent’anni, Draco non avrebbe mai scordato lo sguardo che l’uomo gli aveva rivolto, pieno di dolore e speranza mescolati insieme, un sentimento così vivo ed intenso da averlo trafitto da parte a parte.
 
 
La prima cosa che vide svegliandosi furono gli occhi verdi e sporgenti di Dobby. Lo fissava, fermo ai piedi della poltrona, nella penombra della stanza.
“Che ci fai qui” mormorò muovendosi appena “Avevo detto di non disturbarmi”.
L’elfo sbarrò ancora di più gli occhi, parve che le orbite si allargassero oltre misura “Padrone deve mangiare. La cena è pronta”.
Draco sospirò “Non voglio che mi chiami così”.
“Ma vorrete mangiare” insisté l’esserino, cocciuto come al solito.
“Si, vorrò mangiare” l’accontentò lui.
Si alzò e lo seguì attraverso i corridoi della villa, fino alla sala da pranzo. Dobby lo fece accomodare e cominciò a servirgli pietanze d’ogni tipo, senza dare rilievo al fatto che Draco assaggiasse appena i manicaretti.
“Dobby, da domani avremo un ospite” disse ad un tratto. L’elfo sembrò petrificarsi all’istante. Se non fosse stato per il movimento frenetico degli occhi, sembrava davvero un statua.
“Suvvia, non esagerare con le tue reazioni” fece Malfoy sollevando le sopracciglia “So che non sei abituato ad avere gente per casa, ma si tratta di una paziente, una persona che tu conosci” lo fissò attentamente “Hermione Granger”.
A quel punto, Dobby si mosse di scatto, malamente, rovesciando un po’ del vino dalla brocca che teneva tra le mani.
“Ti ricordi, dunque”riprese il ragazzo “Starà qui, finché sarà necessario. Non so esattamente quanto, ma starà qui. Ho bisogno di sapere se riuscirai a tenere il segreto” si sporse verso l’elfo, fissandolo “E’ molto importante che nessuno sappia che lei è qui”.
Solo allora Dobby riuscì a parlare “Granger è.. morta con Harry Potter e tutti gli altri”.
Draco scosse la testa “No. Non è morta. Ma ha bisogno di cure”.
Il silenzio non era cosa da elfi, normalmente, ma Dobby era un elfo particolare, da quando Potter l’aveva liberato e, successivamente, Malfoy l’aveva assunto come maggiordomo, in cambio di una piccola rendita, vitto ed alloggio. Così, in quel momento, Dobby stava zitto e Draco era più che certo che stesse rapidamente assimilando la sorprendente rivelazione e meditando sul da farsi. Alla fine, lo vide annuire lentamente.
Solo allora, il Serpeverde poté rilassarsi ed accettare un po’ di vino elfico.
 
L’ambulanza si fermò davanti alla villa alle otto e mezza in punto. Draco e Dobby erano sulla soglia dell’enorme portone, già spalancato. Gli incaricati del ministero fecero levitare la lettiga fino all’ingresso e su per le scale, seguendo l’elfo. Draco si accodò.
La stanza preparata per Hermione si trovava al primo piano, lungo il corridoio che conduceva alla camera padronale. Dobby l’aveva preparata durante la notte, utilizzando lenzuola e tende color glicine, sistemando sul tavolo un bel mazzo di ortensie azzurre, profumando l’ambiente di una delicata fragranza floreale. E ora guardava la ragazza addormentata, incredulo.
Una volta che i messi se ne furono andati, Draco estrasse dalla tasca dei pantaloni una pergamena e la posò sul comodino.
“Questa è la terapia per questa settimana. Trovi le pozioni nell’armadietto in bagno” con un impercettibile movimento della bacchetta fece comparire la flebo ed nello stesso modo inserì gli aghi nel braccio sinistro della paziente “Ogni mattina ne versi una dose nella flebo. Hai capito bene?” al suo assenso proseguì “Al resto, penso io”.
Rimase per un po’ ritto accanto al letto, gli occhi fissi sulla donna, congelata nella stessa espressione da mesi ormai. Un’eroina in bilico tra la vita e la morte.. chissà che cosa penserebbe se sapesse di essere stata affidata alle mie cure, un inaffidabile furetto, il suo tormento.
Sanguesporco, non so nemmeno io che cosa pensare, ammise a se stesso, turbato. Weasley si aspettava troppo dalle sue capacità di medimago. Non aveva mai esercitato in un ospedale, lui era un ricercatore, un pozionista, non aveva mai nemmeno provato a fare diagnosi. Sospirando, mosse ancora la bacchetta e fece muovere le gambe di lei, secondo la scheda di fisioterapia che il dottore babbano gli aveva inviato. La stessa cosa fece con le braccia.
Poi, le sistemò nuovamente le lenzuola ed uscì.
Dobby era seduto sulle scale, un’espressione pensosa stampata in faccia. Draco cominciò a scendere le scale e, senza guardarlo, gli domandò “Possiamo fare colazione?”.
Pensava che fosse meglio non assecondare le elucubrazioni di quello strano elfo, suo unico interlocutore da mesi ormai, e che fosse necessario mantenere la normale routine alla villa. Così, si lasciò servire in silenzio e mangiò tutto, per non dargli nessuna occasione di cominciare un discorso.
Rimase tutta la mattina nel laboratorio a lavorare, cullato dalla musica babbana che riempiva ogni stanza. Mozart. Aveva faticato a convincersi che fosse solo un babbano l’inventore di una melodia simile.
Soltanto nel pomeriggio, si decise a salire sulla torre per mandare il messaggio a Weasley. Con le mani sprofondate nelle tasche, guardò il gufo allontanarsi rapidamente.
 
Prima (e forse unica) ff che scrivo sulla storia di Harry Potter. Spero vi piaccia.
Ezrebet

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Capitolo 2
*** Acqua dalla Luna ***


I- Acqua dalla Luna

"Volevo essere un grande mago
incantare le ragazze e i serpenti
mangiare fuoco come un giovane drago
dar meraviglie agli occhi dei presenti
avvitarne il collo e toglierne il respiro
un tuffatore in alto un trovatore perso
far sulla corda salti da capogiro
passare muri e tenebre attraverso
come un cammello entrare nella cruna
librarmi equilibrista squilibrato
uno che sa stralunare la luna
polsi di pietra e cuore alato..."





Quando lavorava nel laboratorio, Draco indossava un camice bianco, un indumento babbano di cui aveva scoperto l’utilità nel corso dei mesi. Anche quella mattina lo indossava, mentre studiava attentamente il contenuto dei preparati che erano stati fino a quel momento somministrati alla Granger. Si trattava di farmaci tesi a mantenere costante la pressione sanguigna e a controllare il battito cardiaco, piuttosto comuni in terapie di quel tipo. Inoltre, il medico babbano aveva predisposto una serie di sostanze idratanti e nutritive che la paziente assumeva tramite flebo. Nel complesso, una buona terapia, l’unica possibile in casi come questo.
Ciò che lui poteva fare, era cominciare a sostituire alcuni principi attivi babbani con altri magici, dosandone attentamente la quantità e monitorando i cambiamenti che avvenivano. Se mai ne fossero avvenuti.
I casi di coma profondo erano molto rari nel mondo magico, quasi inesistenti quelli senza causa apparente. Una maledizione cruciatus troppo intensa o somministrata a più riprese nel giro di poco tempo poteva generare uno stato comatoso di lunga durata, questo era quanto aveva trovato nei testi, ma i casi si contavano sulle dita di una mano. La cruciatus, di norma, conduceva alla morte, se reiterata, o ad uno stato catatonico che non equivaleva comunque ad uno stato di coma profondo. Di questo era più che certo per esperienza diretta.
Continuando a leggere gli appunti, afferrò la bacchetta e chiamò a sé un altro testo, di origine babbana, sulle terapie farmacologiche somministrate in casi di catatonia. Sfogliò fino al capitolo desiderato e poi s’immerse nella lettura. Nel corso del tempo, si era reso conto dei passi importanti fatti dalla scienza medica babbana e spesso attingeva dai testi universitari e dalle riviste di settore più aggiornate. Era riuscito, tramite Internet, altra sorprendente invenzione, ad iscriversi ad alcune riviste on line che si erano rivelate fondamentali per i suoi studi.
Continuò così per molte ore. Non utilizzava alcun orologio, ne babbano né magico, aveva rinunciato al tempo da subito; non gli importava sapere niente dello scorrere dei minuti, delle ore, dei giorni, non più. Certo, quest’abitudine sconvolgeva gli elfi, soprattutto Dobby, ma era qualcosa che avevano dovuto accettare. Per Malfoy, il tempo che scorreva non aveva più alcuna importanza.
Sollevò lo sguardo al libro soltanto quando le parole cominciarono a sovrapporsi impedendogli di comprendere il significato delle frasi. Si strofinò gli occhi, rendendosi conto solo in quel momento che il suo stomaco brontolava.
Si sfilò il camice e si diresse alla porta. Per poco non travolse Dobby, che trovò fermo nel corridoio proprio davanti all’entrata.
“Per Merlino!” esclamò Draco tentando di mantenere l’equilibrio “Che ti salta in mente di sostare proprio qua davanti?”.
Gli occhi verdi e sporgenti dell’elfo rimasero fissi su di lui “Padrone deve mangiare”.
L’uomo sospirò. Era troppo stanco per mettersi a discutere con quell’essere cocciuto, così prese a camminare “Si, andiamo. Ho fame”.
Dobby gli trotterellò dietro e una volta in sala da pranzo gli servì quanto preparato.
“E come sta oggi la nostra paziente?” gli domandò Malfoy bevendo un po’ di burro birra “Hai fatto come ti ho detto?”.
“Sì. Sta come ieri, padrone”.
“Ti ho detto mille volte di non chiamarmi padrone” lo redarguì distogliendo lo sguardo.
“Dobby non sa come altro dire” fece l’elfo testardo.
“Può chiamarmi dottore” suggerì Draco, “E’ quel che sono”.
Dobby annuì ma era chiaro che non era affatto convinto.
Poco dopo, Draco salì in camera di Hermione. La guardò dalla soglia. Nella stessa posizione del giorno precedente, la stessa da molti mesi, sembrava addormentata. Mentre la guardava, l’immagine di lei a Hogwarts gli attraversò la mente; sempre troppo impegnata, sempre troppo preparata, sempre troppo coraggiosa… quanto gli era bruciato quello schiaffo a sorpresa. Gli sembrava passato un secolo da quando i corridoi di quell’antica dimora rappresentavano i confini del loro mondo.
Entrò nella stanza, allontanando da sé quelle immagini così remote eppure così pronte a ricordargli tutto quanto era successo e tutto quanto aveva perduto, si avvicinò al letto, osservò la flebo e la regolarità del flusso. Poi, tornò a guardare la ragazza e posò una mano sulla fronte di lei, successivamente prese il suo polso e rilevò le pulsazioni. Infine, muovendo appena la bacchetta, le fece eseguire alcuni esercizi di fisioterapia.
A fare da sottofondo a quel momento era la musica di Mozart, diffusa come sempre in ogni angolo della villa. Chi avesse scorto Draco, l’avrebbe forse scambiato per un direttore d’orchestra, mentre eseguiva gli incantesimi seguendo la meravigliosa melodia. E al contempo, avrebbe pensato ad Hermione come ad una ballerina intenta ad esercitarsi a tempo di musica…
Quando fu uscito dalla stanza, Malfoy tornò in laboratorio, indossò di nuovo il camice e riprese da dove aveva lasciato. La visione del sonno profondo della Granger lo aveva turbato ancora, spingendolo a tornare a studiare, a cercare qualcosa che modificasse la situazione. Si rendeva conto che era praticamente impossibile, allo stato attuale, riuscirci, ma la sua indole non gli consentiva di rassegnarsi. Profondamente, dentro di sé, si rifiutava di gettare la spugna. Uno scienziato doveva almeno provarci.

Durante la notte, il temporale gli impedì di prendere sonno. Si rigirò nel letto, guardando le finestre, a tratti illuminate dai lampi cui seguivano fragorosi tuoni che parevano scuotere la villa dalle fondamenta. Draco non aveva mai avuto paura dei temporali, non era mai stato uno di quei bambini che si rifugiava nel letto dei genitori, e d’altro canto Lucius non glielo avrebbe mai permesso. Ma adesso… quei rumori irregolari, quelle luci accecanti risvegliavano in lui i ricordi delle battaglie, dei colpi dati e ricevuti… ecco perché non riusciva a dormire, ogni volta…
Si alzò. Infilò la vestaglia ed attraversò il corridoio, trovandosi di fronte alla camera della sua paziente. Entrò e subito si avvicinò alla finestre, tirò le tende in modo da non scorgere i lampi e le saette, poi evocò un incantesimo per diffondere musica nella stanza e si sedette sul bordo del letto.
L’aveva creduta morta, insieme ai suoi amici di sempre,insieme a Potter, agli Weasley, a Lightbottom…tutti. Non aveva fatto che immaginare la violenza, le esplosioni, l’atrocità di quell’ultima, decisiva battaglia, lui, che era stato rinchiuso alla villa da suo padre, nell’estremo tentativo di salvargli la vita.
“Non permetterò a questa pazzia di ucciderti” gli aveva detto incarcerandolo nelle segrete, trascinandolo come fosse stato un fuscello, abbattendo ogni sua resistenza. Lui voleva andare, fare la sua parte, mostrare il suo valore… ed invece era rimasto chiuso là sotto, per tutto il tempo.
Nel vederla inerme, non riuscì ad immaginarsela impegnata in un duello all’ultimo sangue con un mangia morte, forse con lo stesso Voldemort. Eppure, lei era stata là, aveva combattuto, scagliato maledizioni senza perdono a ripetizione, battendosi come il suo cuore griffondoro le imponeva, senza cedere alla  paura.
“Che ti è successo, Sanguesporco” sussurrò seguendone i lineamenti nella penombra. Con lo sguardo, seguì la linea delicata del profilo, del piccolo naso spruzzato di efelidi, del disegno perfetto delle labbra, delle delicate palpebre abbassate ormai da troppo tempo. E i capelli, quei bizzarri capelli ricci, indomabili, infiniti, che erano stati sacrificati… gli parve di vederli risplendere tra i corridoio austeri della scuola.
Se almeno avesse capito come era entrata in quello stato di sospensione, quale era stata la causa scatenante. Da escludere un trauma, perché sia gli esami babbani che quelli magici da lui stesso eseguiti, avevano dato esito negativo. Non erano state trovate ferite importanti sul corpo, fratture o lussazioni, che giustificassero duelli corpo a corpo, niente.
Draco fissò quel volto immerso nell’oblio a lungo, dimentico ormai del temporale e del suo fragore, concentrato, come se dall’osservazione di quell’espressione assente avesse potuto dare risposta al suo interrogativo. E il sonno lo colse improvviso, costringendolo ad appoggiarsi alle coltri, ad affondare il viso sul cuscino,  accanto al respiro regolare di Hermione.

Fu la luce dell’alba che filtrava dalle tende tirate a svegliare Draco. Si mosse sul cuscino, sollevò le palpebre ed incontrò il profilo della paziente, immobile come sempre. Era sdraiato accanto a lei, su un fianco, in vestaglia.
Mentre riemergeva dal sonno, ricostruì quanto accaduto la notte precedente. Si passò una mano sul viso, sospirando. Erano mesi che trascorreva giorni e notti da solo e anche se in queste condizioni la Granger l’aveva salvato dalla sua paura dei temporali… Se l’avesse saputo, che il mago purosangue Draco Malfoy aveva sviluppato un insuperabile odio per lampi e tuoni forse, anzi, certamente, avrebbe riso e l’avrebbe canzonato. Certo che si, avrebbe usato l’informazione contro di lui.
Si sollevò guardandola “E avresti ragione, sanguesporco” scosse la testa, ricordando tutte le volte che l’aveva insultata usando quell’odioso epiteto. La fissò ancora per qualche istante, poi si alzò e si diresse alla porta.
Nel corridoio incontrò Dobby che si stava dirigendo dalla paziente.
“Buongiorno pad… dottore” fece un piccolo inchino “Dobby sta andando a medicare Granger. La colazione è in tavola”.
Draco annuì “Mi raccomando Dobby, con attenzione” ed attese di vederlo sparire nella camera. Poi, invece di dirigersi in sala da pranzo, scese in laboratorio, indossò il camice sopra il pigiama ed accese il computer. Si collegò alla rete e scaricò alcuni articoli sull’utilizzo della terapia naturale nel trattamento degli stati catatonici, decidendo di dedicare tutta la giornata a quelle letture. Se mai ci fosse stato qualcosa d’interessante, lui l’avrebbe scovato ed utilizzato per curare Hermione. Non si soffermò su quell’idea, impensabile solo poco  mesi prima, e s’immerse nello studio.
Ricevette il gufo qualche ora dopo. Proveniva da Arthur Weasley.

“Draco, stiamo cercando di ricostruire gli avvenimenti successivi alla Battaglia Finale nel tentativo di capire che cosa è accaduto a Hermione. Immagino che sapere la ragione del coma sia un buon aiuto nella ricerca della terapia. Lei è una figlia, per me, e sto veramente facendo quanto in mio potere per scoprire se è vittima di un qualche incantesimo nero. So che anche tu ci stai provando e te ne sono grato. Ti terrò informato sul lavoro degli Auror. A.W.”

Fissò a lungo quelle poche righe, che provenivano da un mondo a cui aveva rinunciato. Weasley si fidava di lui e delle sue capacità a tal punto da affidargli la donna che considerava sua figlia, la sua unica figlia rimasta. Il cuore gli batteva forte in petto, e non sapeva nemmeno spiegarsi il motivo. Poi, pensò che forse era per la paura di fallire. Era pressoché impossibile riuscire a curare la sanguesporco, e questo Weasley lo sapeva, eppure confidava in lui, sperava che accadesse il miracolo.

Non so fare miracoli. Sono Malfoy, sono un Serpeverde, sono figlio di un mangiamorte, ho un marchio infamante sul braccio, sono fuggito davanti al pericolo.. Non riuscirò a salvare la Granger.

Avrebbe voluto scrivere questo al ministro, dirgli che la sua era una speranza irrealizzabile, che si fidava della persona sbagliata. Invece, si trovò a vergare poche righe, rapidamente.

“Farò del mio meglio per sua figlia, ministro. D.M.”.

Volevo diventare un pifferaio
stregare il mondo e ogni sua creatura
crescere spighe di grano a gennaio
sfidar la morte senza aver paura
mettere la testa in bocche di leoni
un domatore vinto un cantastorie muto
far apparire colombi e visioni
l'uomo invisibile l'uomo forzuto
lanciar coltelli e sguardi come gelo
saper andare in punta delle dita
uno che si getta a vuoto nel telo

del lungo inverno della vita"

 Ps: Grazie a tutti coloro che seguono la mia storia.
Ezrebet

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Capitolo 3
*** Sopravvissuti ***


III-Sopravvissuti

“Pur non esistendo certezze, possiamo senz’altro affermare che esistono evidenze nella prassi clinica circa le abilità sensoriali dei pazienti in stato di coma profondo. L’esperienza riportata da molti stimati colleghi e la testimonianza di pazienti che si sono svegliati da tale stato consente di sottolineare alcuni importanti punti:
1.     I pazienti risvegliati riportano di aver ascoltato voci e suoni nello stato di coma. Questo fatto dimostrerebbe la possibilità della reazione allo stimolo uditivo.
2.    Alcuni pazienti reagiscono alle variazioni di luce cui sono sottoposti. La pupilla si contrae e si distende in seguito a sollecitazione diretta.
3.    Il risveglio dallo stato comatoso avviene spesso in seguito ad una forte sollecitazione esterna, anche a distanza di giorni.
E’ dunque ragionevole raccomandare la continua sollecitazione sensoriale del paziente comatoso, attraverso i sensi dell’udito, della vista, del tatto e dell’olfatto, e la continua idratazione e nutrizione tramite strumentazione adeguata”.

Draco lesse e rilesse l’articolo su una delle più moderne riviste di medicina babbana, trovandolo interessante. La luce artificiale del laboratorio illuminava lo schermo del computer da molte ore costringendolo spesso a levare lo sguardo. Sapeva di esagerare, ma aveva bisogno di incamerare quante più nozioni possibili per intravedere una strada da seguire.
La medicina babbana, anche quella non ufficiale, era piena di studi in merito e forniva una vasta gamma di possibilità di intervento i cui risultati erano riscontrabili a lungo termine; ammirava moltissimo i ricercatori che spendevano molto del loro tempo in indagini così difficili e dai risultati spesso contraddittori. Dal canto suo, aveva provato con la legilimanzia, ma la Granger era un muro impenetrabile. Se si trattava di un incantesimo nero, era molto ben fatto.
Verso sera si sollevò e si diresse in biblioteca. Cercò a lungo tra i volumi che quella stanza buia e polverosa custodiva da secoli. Con cenni della bacchetta, muoveva i libri, ne sfogliava qualche pagina, poi li rimetteva a posto e ricominciava da altre mensole. Continuò così per un bel po’, cullato dalla quinta sinfonia di Mahler, una delle sue preferite.
Finché Dobby non fece il suo ingresso nella stanza. Si fermò a pochi passi dalla soglia, in attesa che Draco si accorgesse della sua presenza. Il ragazzo lo vide con la coda dell’occhio e si fermò subito.
“Dimmi” lo sollecitò chiudendo il volume che teneva in una mano.
Gli occhi verdi dell’elfo sembravano ancora più sporgenti e, incredibilmente, pareva a corto di parole. Malfoy sollevò le sopracciglia, sinceramente stupito e preoccupato, ma poi Dobby riprese il suo solito contegno e disse “Ci sono visite per il Dottore”.
Questa volta furono gli occhi di Draco ad allargarsi oltre misura. Fissò l’elfo come fosse stato un fantasma, mentre riusciva per un soffio a non farsi sfuggire il libro di mano. Passarono alcuni secondi di silenzio, prima che recuperasse un po’ di fiato per chiedere “Visite?”.
“Si, Dottore. Una strana carrozza si è fermata davanti al cancello e chiede il permesso di entrare. Dobby non sa che cosa deve fare”.
Dopo un momento di esitazione, Draco si affrettò fuori dalla biblioteca, alla volta del portone massiccio, seguito dall’elfo. Spalancò con gesti decisi le ante, un’espressione seria e corrucciata in volto. Poi, guardò verso la cancellata. Era un’automobile scura, lo stemma del Ministero della magia ben visibile sulla targa. Un attimo dopo, oltre le sbarre, comparve Arthur Weasley, sempre lo stesso, che lo guardò per un lungo momento.
Draco non incontrava nessuno da un anno. Era stato proprio Weasley l’ultimo con cui aveva parlato faccia a faccia. E rivederlo gli provocò un vero e proprio tuffo al cuore. Ripensò a quei giorni in cui aveva creduto di essere destinato a Azkaban, come suo padre, o addirittura di essere passato per le armi in quanto amico dei mangiamorte. Ripensò al discorso che il ministro gli aveva fatto, lasciandolo andare, lasciandolo tornare a casa. Sentì un improvviso peso addosso.
In quella prima settimana da che era arrivata la Granger, aveva corrisposto con lui un paio di volte, ma vederselo davanti, adesso, lo turbava più del necessario. Si trattenne dal ricorrere alla legilimanzia; non voleva utilizzare un’arte oscura proprio con l’uomo che gli aveva concesso una seconda possibilità.
Con un cenno della bacchetta, spalancò il cancello. Weasley s’incamminò a piedi lungo il vialetto, lasciando l’automobile oltre il confine della proprietà.
Draco gli andò incontro. Si fermarono quando furono a un passo uno dall’altro. Weasley lo osservò un momento, poi tese la mano “Buongiorno, Draco”.
Esitò, Malfoy. Guardò la mano del ministro, poi i suoi occhi e vi lesse un innegabile incoraggiamento. La strinse, mentre un calore improvviso lo sommergeva. Si vergognò della forte emozione che per un istante aveva minacciato di travolgerlo. Eppure, così si sentiva davanti all’uomo che gli aveva concesso di ricominciare a vivere.
“Buongiorno” riuscì a mormorare sperando che non troppo della sua emozione trasparisse dalla sua espressione e dal suo tono.
“Mi rendo conto che la mia visita ti giunga inaspettata, ma ci sono cose che richiedono di essere dette di persona e non tramite corrispondenza” fece l’uomo serio.
Draco non colse subito il significato di quella frase, mentre un po’ impacciato faceva strada al ministro. Soltanto quando furono nella sala e Dobby si fu eclissato, riuscì a chiedere “Di che cosa si tratta?”.
Weasley si guardò intorno, evidentemente impressionato dalla solennità dell’ambiente. Draco attese,perché sapeva benissimo che effetto faceva la villa sui nuovi venuti. Lui stesso, in quel momento, si sentiva sgomento. Dopo tanta solitudine e silenzio, che non fossero le chiacchiere degli elfi, un’altra presenza umana alla villa era scioccante.
Alla fine, il ministro sospirò “Quel che devo dirti, Draco, non è facile” poi, vedendolo diventare ancora più pallido di quanto naturalmente fosse,  aggiunse “Non voglio farti attendere oltre. Tuo padre” si fermò un attimo, come a cercare le parole “…tuo padre è morto stanotte, ad Azkaban”.
A Draco parve che un fulmine l’avesse colpito in pieno petto, attraversandolo dalla testa ai piedi, riempiendolo e svuotandolo nel giro di un secondo. Pur rimanendo immobile, i suoi occhi si spalancarono come davanti ad uno spettacolo raccapricciante, le sue mani si strinsero a pugno, i suoi denti cozzarono, stringendo la mascella fino a fargli male.

Tuo padre è morto.

Le parole di Weasley risuonavano come un’eco nella sua mente, dove ad un tratto venne a mancare qualsiasi contenuto, riempiendosi di specchi e di corridoio vuoti, dove quelle poche lettere, così definitive, rimbombavano e rimbalzavano come palle impazzite. Riuscì a muoversi solo per voltare la testa e nascondere agli occhi dell’uomo che aveva davanti tutto quanto stava passando nel suo sguardo.
“Si è spento nel sonno. Non ha sofferto, almeno in quel momento” sussurrò Weasley.
Draco mosse appena il capo, le labbra stirate e il corpo teso nello sforzo di non crollare.
E’ dunque così che ci si sente quando si è soli, pensò perdendo lo sguardo nella parete della stanza, quando si perde anche l’ultimo, remoto, filo con ciò che è stato. Perché era vero che suo padre marciva da molti mesi in prigione, ma era vivo, era presente, era da qualche parte, anche se lontano, e Draco sapeva che quell’idea l’aveva sostenuto in un nascosto angolino della sua anima. Ma le cose erano cambiate.
La voce di Weasley si fece largo nella nebbia che lo avvolgeva.
“Non ti dirò che so come ti senti, ragazzo. Non ti dirò che so il vuoto che hai dentro” con un movimento lento ma deciso gli pose una mano sulla spalla “Sappi soltanto che devi sopravvivere. E andare avanti” cercò il suo sguardo, inutilmente “Hai il preciso dovere di sopravvivere”.
Draco si voltò solo allora, mentre una solitaria lacrima scivolava lentamente sulla sua guancia scavata e non si oppose quando Weasley lo abbracciò, anzi, seppellì il viso in fiamme sulla sua spalla, reprimendo a stento i singhiozzi.
Per un momento, Malfoy Manhor risuonò del suo pianto disperatamente trattenuto. 
 
Weasley osservò a lungo Hermione. Era più magra e sciupata, certo, ma era sempre la ragazzina che veniva alla Tana, ogni tanto, e la donna che aveva affrontato il Signore Oscuro. Era sempre lei. Mentre la guardava, ripensava a Ron, a Ginny, a Harry, a tutti i suoi figli che avevano combattuto e vinto, indomabili e coraggiosi come solo i Grifondoro sapevano essere, e ripensava all’urlo straziante di Molly, alla notizia del massacro e all’urlo che il suo cuore aveva trattenuto… perché così ci si aspettava da chi aveva tante responsabilità.
E tu sei viva.
Oh, certo, imbrigliata in una dimensione sospesa, ma viva. Il fatto di averla trovata quasi per caso in un ospedale babbano a molti mesi dalla battaglia gli era sembrato un miracolo. Lui e Molly l’avevano riconosciuta subito, nonostante le sue condizioni, ed entrambi avevano pianto dalla gioia, perché avevano creduto di averli persi tutti ed invece una era tornata da loro.
L’idea di affidarla alle cure di Malfoy gli era venuta subito. Sapeva bene che cosa faceva il ragazzo chiuso nella sua villa, isolato dal resto del mondo, e sapeva che se c’era un medimago che poteva fare qualcosa, quello era proprio lui. Non ci aveva pensato due volte.
Si voltò verso Draco, che se ne stava in piedi appoggiato alla porta chiusa della camera della paziente.
“Ci sono… novità?” domandò esitante, ben sapendo quale sarebbe stata la sua risposta.
“No. La paziente non ha mostrato alcun cambiamento in questa settimana” fece Draco, gli occhi infossati per le lacrime di poco prima, il volto scavato, lo sguardo fisso su Hermione “Ma sto facendo delle ricerche su alcune variazioni da apportare alla terapia”.
Weasley annuì “Non ti ringrazierò mai abbastanza” gli rivolse un piccolo sorriso “Lei è tutto… tutto quel che rimane. Insieme a te” i suoi occhi si piantarono in quelli del ragazzo “Tutta una generazione di Grifondoro e Serpeverde è stata spazzata via da una guerra assurda e fratricida e…” tentò di mantenere ferma la voce “…e voi siete quello che rimane. Non consegnerò alla morte Hermione” si girò di scatto stringendo la sbarra d’ottone “Farò… faremo quanto è nelle nostre possibilità”.
Le parole del ministro arrivarono dentro a Draco, s’incunearono nel suo cervello e nel suo cuore, riempiendo ancora un po’ del vuoto che sembrava incolmabile. Ecco che cosa succedeva, la voce, il tono, le parole di Weasley lo facevano sentire importante per qualcuno, proprio come era già accaduto un anno prima.

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Capitolo 4
*** Bella Addormentata ***


III  Bella Addormentata

“Le passioni violente hanno violenta fine, e si dissolvono nel loro trionfo, come fuoco e polvere che si annientano al primo bacio. il più delizioso miele diviene stucchevole per la sua stessa dolcezza, e basta assaggiarlo esserne sazio. perciò ama moderatamente; l'amore che dura fa cosi; chi ha troppa fretta, arriva tardi come chi va troppo adagio”

Leggere opere babbane era diventato il suo passatempo preferito. Dopo aver cercato nella biblioteca in lungo e in largo tra gli scritti dei più importanti autori magici, aveva deciso di dare un’occhiata anche agli autori babbani e si era imbattuto in Shakespeare. Per Merlino, l’aveva amato da subito. Durante quei mesi di isolamento, non aveva smesso di ringraziare Dio o chi per lui per averlo messo sulla terra. E adesso, lo stava leggendo alla sua paziente.
Stava seduto in fondo al letto, sprofondato in poltrona, le gambe allungate sul bel tappeto, e leggeva pagine su pagine, o sarebbe meglio dire, recitava, i versi dell’autore, cercando di cambiare intonazione, intensità e ritmo, all’occorrenza. Qualche volta doveva fermarsi, e rileggere, altre volte recitava alcune parti a memoria, guardando Hermione, immobile, sperando che la sua voce riuscisse a penetrare il muro che nemmeno la legilimanzia riusciva ad espugnare.
Riusciva a passare interi pomeriggi a leggere, dopo mattinate trascorse in laboratorio a modificare la terapia di base, nella speranza di trovare la pozione giusta.
La pozione giusta per cosa?
Nessun intruglio al mondo avrebbe risvegliato la Granger dal coma fin tanto che non avesse capito la ragione di quell’oblio. E va bene, forse la ragione era già nota, una maledizione, un incantesimo, qualcosa del genere, ma nessun serio pozionista avrebbe potuto avanzare ipotesi sulla formula senza conoscere la causa scatenante.
Erano passati pochi giorni dalla visita di Weasley, pochi giorni da quando era diventato a tutti gli effetti l’ultimo erede delle due famiglie, Malfoy e Black, padrone unico della villa e di tutte le loro sostanze.  Un tempo, il pensiero avrebbe anche potuto riempirlo d’orgoglio. Adesso, l’unica cosa che sentiva era dolore, un peso sul petto continuo, la certezza della sua solitudine.
In quei momenti, ricordava le parole del ministro, le risentiva nelle orecchie e nel cervello, ne sentiva la portata, il rimpianto, la speranza. Vi si aggrappava come un naufrago alla scialuppa. E ogni mattina, malgrado tentasse di non soffermarsi troppo su quel pensiero, si trovava davanti alla finestra dello studio, lo sguardo perso all’orizzonte, sperando di scorgere un gufo o la macchina con lo stemma del governo.
E invece, trovava Dobby fermo sulla soglia, che aspettava che si accorgesse della sua presenza. Draco si voltò “Dimmi”.
L’elfo appoggiò sul tavolo il vassoio con the e pasticcini e poi disse “Dobby crede che a Granger piaccia la musica del pad… del Dottore”.
Sollevando un sopracciglio, chiese “Tu dici? Sarei senz’altro d’accordo con lei e mi congratulerei per il suo gusto” sospirò “Non lo sappiamo in realtà. Ci speriamo”.
“Dobby è sicuro, Dottore. Dobby sa” insisté l’essere.
“Mm…e da dove ti viene questa sicurezza?” abbozzò un sorrisetto canzonatorio.
“Dobby ha visto che quando suona la musica del Dottore, Granger ha sollevato le dita”.
Draco, che stava avvicinando alle labbra la tazza del the, si fermò di botto. Fissò per un lungo momento gli occhi sporgenti dell’elfo, poi mormorò “Che stai dicendo?”.
“Granger ama la musica del Dottore perché quando la sente muove le dita…” ma la voce gli morì in gola perché Draco gli passò accanto quasi volando e gli fece perdere l’equilibrio. Salì le scale di corsa e spalancò la porta, fissando lo sguardo su Hermione, trovandola immobile come sempre. Balzò accanto al letto, osservando tutti gli indicatori babbani attaccati al suo braccio, ma non vide nulla di anomalo; poi si chinò su di lei, sollevandole le palpebre, ma non trovò niente di rilevante.
Si rese conto di avere il fiatone e il cervello in fiamme. Cerco di riprendere il controllo e ragionare. Doveva eseguire un esame completo, studiare attentamente le reazioni agli stimoli, insistere col tipo di pozione che le stava somministrando…
Dobby l’aveva raggiunto e se ne stava in fondo alla stanza. Alla fine, Draco gli domandò “Quando, Dobby, quando…?” lo disse mentre controllava il flusso della flebo, cercando di mantenere ferme le mani.
“Ho visto stamattina Granger muovere le dita” lo informò scorrendo con lo sguardo la paziente “Mentre Dottore era in laboratorio”.
Draco trattenne un gemito, indeciso se ridere o rimproverare l’elfo per non averlo chiamato subito. Non voleva cedere alla speranza, ma non poteva ignorare quanto Dobby gli aveva detto. Se fosse stato vero… se fosse stato vero.
Senza distogliere lo sguardo dalla ragazza raggiunse la poltrona e si sedette. Con un breve incantesimo, alzò il volume della musica, decidendo all’istante di dedicare molte più ore al giorno all’osservazione della paziente. Avrebbe dovuto stare di meno in laboratorio e di più nella stanza con lei, avrebbe dovuto poter osservare i movimenti di cui Dobby aveva parlato, scoprirne le caratteristiche e la regolarità, se erano riflessi automatici, allucinazioni elfiche o se davvero Hermione stava facendo progressi. Congiunse le mani sotto il mento immerso in quei pensieri che galoppavano impazziti dentro di lui. E poi c’era Weasley.. Doveva dirglielo? Certo che no, rispose subito una vocina dentro di lui, che senso avrebbe avuto riferirgli qualcosa che nemmeno lui aveva potuto ancora osservare?  No.
Dobby si mosse, distraendolo. Lo guardò avvicinarsi al letto, detergere la fronte della Granger con una pezza bagnata, sistemare meglio le coperte e poi tornare sui suoi passi. Si fermò davanti a lui e disse “Il Dottore desidera qualcosa?”.
Draco scosse la testa, riprendendo a fissare la paziente, ben deciso a passare il resto della giornata in quella posizione.

Il buio lo avvolgeva. I sotterranei erano un territorio che gli era quasi sconosciuto. E poi il silenzio.. Riusciva soltanto a starsene rannicchiato in un angolo della cella, la testa affondata tra le braccia, il cuore che rimbombava nel petto, la testa sul punto di scoppiare. Non sapeva nemmeno da quanto tempo fosse rinchiuso lì. L’ultimo rumore che aveva sentito era stato il rapido allontanarsi dei passi di suo padre, poi più nulla.
Eppure sapeva. Il braccio gli doleva, a tratti la sofferenza si faceva insopportabile. Non aveva dubbi su che cosa stesse succedendo.. solo che.. il buio e il silenzio lo rinchiudevano in un bozzolo oscuro ed insormontabile, molti metri sotto il pavimento del salone. Se anche nella villa ci fosse stato qualcuno, non avrebbe potuto sentirlo. Ma dubitava che ci fosse davvero anima viva.
Per un po’ aveva gridato il nome del padre, perché tornasse indietro a liberarlo, perché gli permettesse di combattere, aveva gridato a lungo sbattendo contro il duro ferro delle sbarre, provocandosi dolorosi segni sul torace.. ma aveva smesso quando si era reso conto di quanto inutile fosse il suo sforzo. Non sarebbe successo niente, nessuno sarebbe venuto a liberarlo, nessuno… Così, si era rintanato in un angolo, lasciandosi cadere a terra. Aveva il viso congestionato bagnato di lacrime, aveva freddo e batteva i denti, ed era convinto che sarebbe morto lì, come molti dei nemici di suo padre prima di lui. E se quel pensiero l’aveva spaventato, alla fine gli si era attaccato addosso quasi a consolarlo; la morte, in fondo, la morte era preferibile a quel buio e a quel freddo. Lentamente, forse per lo sfinimento, il torpore l’aveva invaso, facendolo scivolare in una semi incoscienza quasi piacevole.. era quasi svenuto sul duro pavimento di roccia e di muschio.
Le luci gli avevano colpito gli occhi come un lampo. Era riemerso in superficie con uno scatto, si era schiacciato contro la parete umida, cercando di distinguere le forme che gli si muovevano intorno.. ma i suoi occhi, disabituati alla luce, non gli permettevano di vedere bene.. Si era sentito afferrare per un braccio e tirare. Qualcuno l’aveva messo in piedi, sorreggendolo sotto la spalla.
“Malfoy”.
Gli pareva di conoscere la voce che lo chiamava, era un ricordo improvviso, di un tempo che gli pareva ormai sepolto chissà dove, così lontano da fargli dubitare di averlo veramente vissuto.
“Malfoy, Draco.. mi senti?” ripeté la voce, calma.
E lui aveva annuito, troppo stanco per fare qualsiasi altra cosa. Poi, l’aveva condotto fuori dalla cella e fatto salire le scale. Dalle finestre del salone entrava la luce del sole, costringendolo ad abbassare la testa e chiudere gli occhi. Soltanto quando si fu abituato a quel chiarore li riaprì e guardò l’uomo cui apparteneva la voce e le braccia che lo sorreggevano.
Moody.
“Sei vivo” gli disse fissandolo “Ce la fai a reggerti in piedi da solo?”.
Draco deglutì ed annuì. Allora l’auror si staccò da lui e fece “Draco Lucius Malfoy ti comunico che da questo momento sei in arresto in quanto mangia morte figlio di mangia morte e che sarai giudicato da un tribunale equo per i tuoi misfatti. Nel frattempo, soggiornerai ad Azkaban e riceverai visite solamente dal tuo avvocato, che il ministero ti fornirà gratuitamente”.
Malfoy era troppo debole per ribattere qualcosa. La vista si stava di nuovo oscurando, le spalle erano così deboli…e le gambe non lo reggevano più…scivolò svenuto tra le braccia dell’auror.


Si svegliò nel cuore della notte. Era sprofondato nella poltrona, nella camera della Granger, un dolore al collo insopportabile per la posizione tenuta così a lungo. Faticosamente si sollevò e raggiunse il letto, accese la abat jour e guardò la paziente. Cercò di concentrarsi su di lei, cercò di dimenticare il sogno e rinchiuderlo a tripla mandata tra i ricordi che voleva dimenticare di avere, ma era difficile. Era sempre troppo difficile.
Si sedette sul materasso, respirando a fondo, tentando di calmare l’ansia che lo divorava e senza nemmeno pensarci su toccò le dita della Granger con le proprie, immerso nei suoi incubi. Le sfiorò appena, le accarezzò, risalendo piano il dorso della mano e il polso, inerme sulle lenzuola. E poi sentì qualcosa sotto le dita, qualcosa di ruvido e regolare. Si avvicinò un poco, stringendo gli occhi ancora velati dal sonno e vide.
Mudblood.
Immediatamente ripensò a ciò che era accaduto, mentre non lasciava con lo sguardo quei graffi appena percepibili, finestre su un episodio che aveva voluto dimenticare con scarso successo.
Forse fu troppo. Forse la tensione accumulata nella giornata e nel sonno agitato non poté essere trattenuta oltre, ma si ritrovò abbandonato sul braccio della ragazza, scosso da singhiozzi così profondi da squassarlo dentro, incapace di frenarsi. E continuò, sfregando il viso sulla pelle fresca della sangue sporco, sulla cicatrice del passato che la deturpava e di cui lui stesso era in parte responsabile, per non aver saputo fare altro, fare di meglio.
Riuscì a calmarsi dopo un po’, recuperando lentamente il controllo, fermando il proprio sussultare, posando la guancia congestionata sul braccio di lei, la mano chiusa sulle sue dita.
Con estrema lentezza, come se il peso che aveva dentro lo inchiodasse in quell’assurda posizione, si sollevò e la guardò in viso.
Il cuore gli si fermò, scivolato in un attimo in fondo alle sue viscere, togliendogli il respiro, quando si trovò ad incrociare lo sguardo d’oro e confuso della Granger, lo stesso sguardo che l’aveva disprezzato così tante volte per i corridoi di Hogwarts.








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Capitolo 5
*** Risvegli ***


IV  Risvegli

La stanza era immersa nella penombra, i loro respiri appena percepibili.
Draco, immobile come una statua, ancora chinato sul suo braccio, le dita sulla sua mano, aveva gli occhi piantati in quelli di lei, sbalordito. E Hermione era ugualmente ferma, il suo sguardo era confuso, ma vigile.
Draco mosse le labbra, voleva sul serio dire qualcosa, ma si trovò senza parole. Senza lasciarle la mano, si sollevò incapace di distogliere l’attenzione dal volto di lei. Era sveglia, vigile, sbalordita, probabilmente, quanto lui anche se per motivi diversi, certo… Mosse la mano, prendendole il polso tra le dita. Le pulsazioni erano regolari.
Alla fine, le posò la mano sulle lenzuola e si raddrizzò. Si sedette composto sul materasso, sperando che nel buio la Granger non si accorgesse del suo turbamento. Parlò solo dopo aver ritrovato un po’ di fiato.
“Bentornata” mormorò cercando di mantenere un tono controllato.
Hermione aggrottò la fronte, in un gesto che Malfoy riconobbe. Aprì la bocca, ma poi la richiuse, come se non sapesse trovare la cosa giusta da dire o troppe parole tutte insieme… Era ovviamente confusa. E forse stava pensando ai loro scontri e alla ragione per cui si trovava lì con lui.
“Non sforzarti” le disse “Sei debole. Ci sarà tempo per le spiegazioni”.
La vide assottigliare lo sguardo e un momento la sentì dire “Che cosa mi è successo?”.
La voce le tremava un po’ pur mantenendo il cipiglio che ben conosceva.
“Sei mia paziente” le disse “Da qualche settimana”.
La ragazza spalancò gli occhi e Draco notò che stringeva più forte le lenzuola nei pugni.  Un ottimo segno.
“Tua paziente?” ripeté confusa “Che cosa… che cosa mi è successo?”.
Draco si alzò in piedi, si passò una mano sul viso, come per schiarirsi le idee, le diede le spalle, fece qualche passo, poi si voltò di nuovo puntando lo sguardo in quello di lei “Io..” prese fiato “Io non so precisamente che cosa ti sia accaduto Granger. Sei qui da un po’, in uno stato di coma profondo che ho tentato di.. di combattere.. e ora sei sveglia..”.
“Ma… coma profondo…” sussurrò con un filo di voce “…da quanto tempo..” respirò a fondo “…da quanto tempo sono in…in questo stato?”.
Draco esitò, prese tempo, si chiese se fosse giusto dirle tutto. Poi, fissandola, mormorò “Pensiamo da quasi un anno”.
Il silenzio li avvolse di nuovo. La guardò abbassare lo sguardo, tentare di dire qualcosa, muovere la testa sul cuscino per guardarsi intorno. Infine, lo fissò a sua volta “E gli altri…”.
Le parole rimasero sospese tra loro un lungo momento, e poi fu proprio Hermione a sussurrare “Dovrei essere morta anch’io”.
Le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni scuri, Malfoy non disse nulla. Non era preparato. Aveva sperato nel risveglio di lei, senza mai veramente prepararsi ad esso. E ora, mille cose voleva dire, e mille cose rimanevano incastrate nella sua gola in fiamme. Si limitò a guardarla, aspettando che continuasse a parlare, a fare domande senza risposte… Si sentì inutile perché non sapeva che cosa fare per lei, adesso, ma nello stesso tempo qualcosa di molto simile alla commozione gli stava allagando lo stomaco, perché era tornata.
Infine, riuscì a muoversi. Si avvicinò al letto e si chinò su di lei. In silenzio, cominciò a toglierle cerotti, a sfilare gli aghi, staccandola da tutte le macchine che l’avevano monitorata per tutto quel tempo.
Lei lo lasciò fare, seguendo i suoi movimenti.
“Adesso… adesso ti farò un breve esame clinico. Devi avere un momento di pazienza” la informò senza incrociare il suo sguardo “Ti chiedo solo di fare i movimenti che ti dirò e avvisarmi se non riesci a farne qualcuno”.
Hermione obbedì, dandogli modo di constatare che il programma di fisioterapia aveva dato i suoi frutti. Il corpo di lei si muoveva come se non si fosse mai fermato, solo qualche rigidità nei movimenti delle dita, comprensibile dopo tutta quell’immobilità. Draco notò che il pigiama che indossava le era troppo largo; si rese conto che davvero non l’aveva osservata adeguatamente nei giorni precedenti.
“Se te la senti, vorrei provare a metterti in piedi”.
Lei annuì. Lasciò che lui scostasse le lenzuola, la aiutasse a posare i piedi sul pavimento e a sollevarsi; le tenne un braccio attorno alla vita.
“Lascerò la presa quando ti sentirai pronta” l’avvisò. Hermione fece un cenno e lui allentò la stretta, senza scostarsi troppo. E lei rimase in piedi. Le tremavano vistosamente le gambe, ma non perse l’equilibrio, e fece persino alcuni passi. Un lieve sorriso le illuminò i lineamenti sciupati. Draco non sorrise, ma si sentì sollevato. Ad un primo esame, la Granger non sembrava aver subito nessun genere di danno fisico.
La aiutò a sedersi sul bordo del letto.
“Dovremo fare altri esami, più approfonditi, magici e non” le disse piegandosi lievemente sulle ginocchia “Ci vorrà un po’ di tempo e pazienza”.
Hermione lo fissò a lungo, poi sussurrò “Avete vinto voi?”.
Come colpito da un fulmine, Draco scattò in piedi, allontanandosi. La fissò ad occhi spalancati.
Ma lei riprese, senza nemmeno notare la sua reazione “Se sono tua paziente.. so da che parte stavi, non ho perso la memoria..” lo guardò, seria “Ha vinto Voldemort, non è così?”.
Il cuore di Malfoy prese a battere come un tamburo sotto quello sguardo rassegnato. Non si era davvero aspettato che affrontasse quell’argomento. Lui, non voleva tornare a quei giorni, ne aveva abbastanza dei propri incubi. E del proprio passato… della solitudine…
La porta si spalancò proprio in quel momento e Dobby comparve sulla soglia, gli occhi sporgenti aperti a dismisura, puntati sul letto.
“Dobby non crede..” balbettò, fissando Hermione “..Granger è sveglia”.
La ragazza lo guardò, sorridendogli. E un momento dopo, Dobby era stretto fra le sue braccia, la testa sepolta sul suo petto, il corpo scosso dai singhiozzi.
 
Era uscito frettolosamente dalla stanza, era scappato, in pratica. Giù per le scale, e ancora giù, nel laboratorio. Si era chiuso dentro, si era appoggiato alla porta, gli occhi chiusi, il fiato corto. L’arrivo di Dobby e le sue lacrime l’avevano salvato, dandogli l’occasione di uscire di scena, almeno per il momento.
La sanguesporco si era svegliata ed era in buone condizioni; era successo qualcosa che aveva invertito l’oscuro processo che l’aveva spinta nel pozzo nero dell’incoscienza per tutti quei mesi permettendole di tornare. E aveva già cominciato a scagliarsi addosso a lui, a colpirlo, a metterlo di fronte a se stesso, come se da solo non si torturasse già abbastanza.
In un sussulto di rabbia, batté un pugno sul legno della porta, reprimendo poi il gemito di dolore. E poi, dopo un’imprecazione, si ritrovò a ridere. Di sé, della situazione, di ciò che lo aspettava.
Riuscì a calmarsi qualche minuto dopo. Aprì gli occhi, si guardò la mano arrossata ed indolenzita per il colpo. E riaprì la porta. A passo deciso, si diresse alle scale, prese a salire, diretto alla torre. Scrisse brevemente su un pergamena, la sigillò e la affidò ad un gufo.
Guardò l’animale allontanarsi nelle luci dell’alba finché non fu inghiottito dall’orizzonte.
 
 
 

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Capitolo 6
*** Pensieri e Parole ***


Pensieri e parole
 

Non intendeva incontrarla. Non intendeva parlarle e spiegarle la situazione. Creda quel che ritiene, si ripeteva mentre fissava gli appunti, i gomiti appoggiati al tavolo, la testa tra e mani, lo sguardo perso tra le righe del foglio. Si ripeteva la frase come un mantra, al solo scopo di convincersi del fatto che fosse veritiera. Riviveva la scena del suo risveglio, gli occhi scuri che lo fissavano smarriti, e poi seri e accusatori. O se l’era solo immaginato?
L’euforia che l’aveva invaso aveva ben presto lasciato il posto ad un senso di angoscia che l’aveva prostrato.
Per Merlino, si è svegliata! Forse sono stato io, con le mie pozioni, o forse è andata come doveva andare…
Era certo che non sarebbe stato possibile scoprire cosa veramente fosse successo, avrebbe dovuto essere contento, orgoglioso del risultato, un successo degno della sua fama.
Ma, c’era un ma. La Granger l’aveva guardato con lo stesso sguardo di allora. L’aveva guardato e aveva visto un mangiamorte. L’euforia si era spenta, trascinata via dalla disperazione come una canna dalla corrente di un fiume in piena. In un istante, si era sgretolato in lui quello strano sentimento di appartenenza che Arthur Weasley aveva risvegliato in lui, portandogli la paziente.
Gli occhi di Weasley avevano detto qualcosa che gli aveva toccato il cuore, rimarginando in parte le ferite e consolandolo delle perdite, quelli della Sanguesporco l’avevano scagliato ancora una volta nel pozzo nero, dicendogli chi sarebbe stato per tutti e per sempre.
Il picchiettio lo risvegliò dai suoi tetri pensieri. Un gufo stava reclamando attenzione. Si sollevò e con gesti rapidi aprì la finestra e prese il messaggio. Srotolò la pergamena.
“Caro Draco, la notizia che ci hai dato ha riempito me e Molly di commozione. Ti saremo per sempre grati. Arriveremo in giornata. A.W.”.
Lesse varie volte quelle poche righe, poi, infilò il foglio nella tasca dei pantaloni e uscì dallo studio. Chiamò a gran voce Dobby, fermandosi in fondo alle scale. Nel giro di pochi secondi, l’elfo era davanti a lui.
“Prepara le camere degli ospiti. Gli Weasley stanno arrivando” lo informò sgarbato, senza nemmeno guardarlo. Immaginava i suoi occhi spalancati per la sorpresa e rossi per tutti le lacrime che aveva speso per la Granger.
“Dottore” mormorò l’essere “Granger vorrebbe parlarle. Vorrebbe…” ma Draco l’interruppe “Sta forse male?” al cenno di diniego riprese “Allora, dirà quel che deve al Ministro. Puoi darle da mangiare del brodo e falla bere molta acqua. Non deve alzarsi dal letto” detto questo, gli diede le spalle e tornò a rintanarsi nello studio.
Si appoggiò alla porta chiusa, esausto, teso come una corda di violino.
 
Draco accolse gli Weasley sulla soglia della villa. Guardò gli occhi commossi e pieni di speranza dei due coniugi e si sentì rimescolare dentro. Cercò di mantenere un certo distacco, ma capì che era una battaglia persa in partenza non appena si sentì avvolgere dall’abbraccio di Molly, che lo strinse come se fosse stata la cosa più preziosa al mondo.  Da qualche parte, dentro di sé, risentì lo stesso abbraccio che Narcissa riservava ad un bambino in lacrime, e gli si mozzò il respiro.
“Possiamo… possiamo vederla..?” mormorò il Ministro.
Draco non riuscì a dire niente. La voce era persa, bloccata nella gola da una sensazione invadente e scomoda, rievocata dall’abbraccio in cui era imprigionato e dal ricordo che era riemerso. Riuscì a fare un cenno con la testa.
Solo allora, Molly lo lasciò lentamente andare. Non riuscì a guardarla negli occhi, mentre Dobby si materializzava alle loro spalle e faceva strada, cominciando a salire le scale.
“Tu non vieni?” gli domandò Weasley, voltandosi a guardarlo ancora fermo sulla soglia.
Malfoy respirò a fondo, riuscendo a malapena a rispondere “Non… non ora. Vi raggiungo dopo” e stirò le labbra in una smorfia tesa che voleva essere un sorriso. Un’operazione che non gli era mai riuscita, figuriamoci in quella situazione. Era scosso, assalito da ricordi ed emozioni che aveva creduto sepolti con la guerra, spaventato… e di sopra c’era la Granger, pronta a ricordargli chi realmente era.
L’uomo lo scrutò, ma parve accettare la sua decisione e riprese a salire le scale.
Quando furono spariti alla sua vista, si precipitò lungo il corridoio, come avesse avuto il fuoco alle calcagna, entrò nello studio e si versò una generosa dose di whiskey, che gli scivolò nella gola, bruciante. Ne versò ancora e bevve. Solo allora si sentì soddisfatto. Lasciò il bicchiere, voltandosi verso il caminetto acceso. Rimase a fissare le fiamme e le braci, le mani abbandonate nelle tasche, mentre il liquore faceva il suo dovere, scavando una scia incandescente in mezzo al petto, avvolgendolo in un bozzolo lieve, ma sufficiente a calmare il tremito interiore che l’aveva squassato nel giro di pochi secondi.
L’esistenza che si era imposto in quell’anno l’aveva reso impreparato. Uno sguardo, un’emozione, una voce nuova, si era reso conto, costituivano per lui una sorta di miccia pronta a far esplodere quanto aveva dentro, sedimentato, cementato, tollerato. L’impeto d’affetto di Molly Weasley gli aveva ricordato che aveva avuto una madre affettuosa, e il solo pensarlo l’aveva annientato, facendogli perdere l’uso della parola, così come le parole del Ministro, qualche tempo prima, l’avevano colpito profondamente, facendogli credere di non essere solo un mangiamorte figlio di mangiamorte. E poi la Sanguesporco, che con un unico sguardo gli aveva rammentato che invece aveva un marchio, impossibile da cancellare.
Ravvivò la fiamma usando l’attizzatoio, sentendo che lentamente si stava calmando. Il respiro si faceva regolare, lo stomaco non era più stretto in una morsa, il fiato era tornato.
Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando gli Weasley erano saliti al piano di sopra; capì di aver perso la nozione del tempo quando Dobby comparve sulla porta dello studio e dopo un breve inchino disse “Dottore, Dobby deve servire la cena?”.
“Per Salazar. Che ore sono?... Non immaginavo…”borbottò, notando solo allora, attraverso i vetri delle finestre, che il sole stava tramontando “Ma certo, si. Hai preparato per gli ospiti?”.
L’elfo annuì “Si, Dottore”.
“Sono ancora con la paziente?” domandò poi, appoggiandosi alla mensola del camino, a mezza voce.
“Si, Dottore. Dobby si domanda perché Dottore non sale”.
Draco alzò le sopracciglia ed incontrò gli occhi sporgenti del maggiordomo “Hanno forse chiesto di me? La paziente ha chiesto di me?”.
L’elfo scosse la testa. Draco annuì “Non c’è ragione per cui io debba rovinare questo momento di ricongiungimento” si voltò e riprese a fissare il fuoco scoppiettante nel camino “La Granger fa parte della famiglia Weasley ed è giusto così. Io non c’entro”.
“Non è così, Draco. Dovresti saperlo”.
La voce del Ministro lo fece girare di scatto. L’uomo era entrato proprio in quel momento, in tempo per sentire le sue ultime parole. Lo fissava, serio.
“Hermione si è risvegliata in casa tua” disse semplicemente Arthur “Ho ragione di credere che il tuo intervento sia stato determinante, proprio come speravo, e dunque, sei parte della nostra gioia”.
Malfoy distolse lo sguardo, abbassando il capo. Non sapeva che cosa rispondere. Ogni cosa che il Ministro diceva fluiva dentro di lui come una dolce melodia, facendosi spazio nei tetri pensieri che occupavano ogni angolo del suo essere. Eppure, in quel momento, voleva resistere alla malia di quelle sensazioni, perché sapeva che prima o poi, la Sanguesporco l’avrebbe risvegliato anche troppo bruscamente.
“La Granger era la fidanzata di…”s’interruppe un momento, incerto se proseguire il discorso o meno, poi riprese “..di vostro figlio Ronald, Ministro. Era ed è parte integrante della vostra famiglia. Avete ritrovato una figlia. Ho pensato che avreste voluto..” ma Weasley l’interruppe “E’ vero, Hermione avrebbe sposato Ron. Ma la guerra, ragazzo, la guerra ha deciso diversamente” parlava con voce ferma, anche se Draco poteva indovinare la pena che provava ricordando la sorte dei suoi figli “La guerra. Il destino. Dio. Non lo so, Draco, e ad essere sinceri ho smesso anche di chiedermelo. La realtà è che nonostante tutto Hermione è viva e tu c’entri. C’entri con la sua guarigione e quindi c’entri con me e la mia famiglia. Sei, parte della famiglia” abbozzò un sorriso “Che tu lo voglia o no”.
Il silenzio era sceso tra loro. Per molti minuti i due uomini si osservarono; forse Weasley si aspettava una replica da parte di Malfoy, ma lui non riuscì a dire niente.
Dei passi veloci ruppero il momento; Molly comparve accanto al marito, rossa in viso e sorridente, sprizzava gioia da tutti i pori, mentre rimbalzava lo sguardo da un all’altro, e poi diceva “La nostra paziente ha fame!!!” puntò gli occhi su Draco “Non potrebbe avere qualcosa di più sostanzioso di quell’insipido brodo che Dobby le propina da ore?”.
“Oh, per l’amore del cielo, cara, non sei un medimago, non puoi certo sapere che cosa serva ad Hermione” la riprese subito il marito.
“Infatti, lo sto chiedendo al suo medico” ribatté Molly.
“Non sono un medimago, in verità” provò a dire Draco, ma la donna intervenne “…la domanda è: può Hermione mangiare qualcosa di solido e sostanzioso anziché quella robaccia senza sale preparata dal tuo maggiordomo?”.
“Credo che un po’ di arrosto non comprometterebbe nulla” disse Draco annuendo “Ma senza esagerare. Deve riabituarsi agli alimenti solidi poco alla volta”.
 
Consumarono rapidamente la cena. Gli Weasley volevano stare con Hermione il più a lungo possibile, così mangiarono velocemente e poco, con grande dispiacere di Dobby, che si era oltremodo impegnato in cucina. Draco rimase così solo, a sbocconcellare il dolce sotto lo sguardo attento dell’elfo.
“So già che cosa pensi” fece Draco ad un tratto, senza distogliere gli occhi dal piatto.
Dobby rimase immobile alle sue spalle.
“Pensi che dovrei salire, visitare la paziente, stare con loro a parlare con lei. Pensi che mi stia comportando da maleducato” si pulì le labbra con il tovagliolo e si appoggiò allo schienale della sedia, chiuse gli occhi con un sospiro “Ma è successo tutto troppo in fretta. Ho bisogno di tempo, ho bisogno di pensare”.
L’elfo cominciò a riordinare. Nella stanza, solo il rumore delle stoviglie e dei suoi passi leggeri.
 
Entrò nella camera della paziente a notte inoltrata. Si fermò accanto alla porta, la guardò distesa sul letto, nel buio. L’aveva vista così a lungo immobile in quella posizione… Vide che si muoveva. Ebbe un sussulto. Doveva farci l’abitudine.
Si avvicinò al letto. Cercando di non fare rumore, posò due dita sul polso e misurò le pulsazioni, poi controllò il battito cardiaco e il ritmo respiratorio. Dormiva placidamente.
La guardò un altro istante, poi si voltò e si diresse alla porta, uscendo silenziosamente.
Hermione sollevò le palpebre solo allora, fissando la porta chiusa, chiedendosi quando Malfoy le avrebbe finalmente rivolto la parola, dandole la possibilità di spiegarsi.
 
 

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Capitolo 7
*** Un Modo Nuovo ***


Un Modo Nuovo

Weasley lo osservava da un po’, seduto all’altro capo del tavolo, nel laboratorio. Draco stava finendo di ricopiare alcuni appunti e l’operazione era particolarmente difficile, soprattutto con lo sguardo dell’uomo addosso. Con la scusa di voler ammirare le sue attrezzature magiche e i suoi testi antichi, l’aveva seguito al piano sotterraneo subito dopo colazione, e a Draco era stato subito chiaro che al Ministro interessava soprattutto parlargli da solo.
A tavola, Molly non aveva fatto altro che parlare della Granger, di quanto era pallida e smunta, e tuttavia sorprendentemente lucida per una che aveva trascorso un anno in una sorta di limbo tra la vita e la morte, e si era più volte lamentata del fatto che non potesse ancora alzarsi per uscire all’aperto.
Draco le aveva spiegato pazientemente che darebbe successo quanto prima, non appena Hermione avesse ripreso i suoi esercizi di fisioterapia e avesse riacquistato un po’ di forze. Il Ministro si era detto d’accordo con lui e aveva tentato di far tacere la moglie, senza peraltro riuscirci. Ma Draco aveva sopportato quel fiume di domande, rispondendo in modo professionale, perché aveva capito che la donna aveva più che altro bisogno di essere rassicurata, di essere convinta che la ragazza sarebbe tornata esattamente come prima. In cuor suo, era convinto che sarebbe successo, anche prima di quanto immaginavano, tuttavia tentò di attenersi ai fatti.
“La paziente” aveva detto “si sta riprendendo in fretta. E’ riuscita a mangiare cibo solido, si è già alzata in piedi sotto i miei occhi, nonostante avesse bisogno di aiuto. C’è più di una ragione per elaborare una prognosi più che positiva. Si tratta di rispettare i tempi della convalescenza e di sottoporla a tutti gli esami del caso” poi si era rivolto a Weasley “Credo che al San Mungo siano perfettamente in grado di eseguirli. Hanno un’eccellente equipe di medimaghi”.
“Oh, no” aveva obbiettato l’uomo “Penso sia meglio per Hermione rimanere qui, nell’ambiente in cui si è svegliata. Non pensi sia meglio evitarle lo stresso di uno spostamento?”.
Draco l’aveva guardato, senza nascondere la sua perplessità “Ministro, io..”.
“Arthur” l’aveva corretto.
Dopo un istante di esitazione, Malfoy aveva ripreso “Arthur, io non sono un medico. La mia competenza non si spinge molto oltre quel che ho già fatto. Non sono nemmeno sicuro che le mie pozioni abbiano avuto un ruolo nel risveglio della Granger”.
“Le tue pozioni e tutto quanto hai fatto in queste settimane. Dobby ci ha detto, a modo suo, che hai letto per lei e ci ha detto della musica” aveva mormorato a quel punto  Molly in tono commosso.
A toglierlo da quel momento, ci aveva pensato Bobby, servendo caffè e biscotti.
Dieci minuti dopo, Draco si era alzato e con un certo disagio, aveva lasciato che il Ministro lo seguisse in laboratorio. Era evidente che il discorso non era ancora chiuso.
“Dicevo sul serio, Draco. Hermione non ha bisogno di essere sballottata, non in questo momento. Lo sai bene. Ha bisogno di riprendersi, di riacquistare una routine normale, di vivere in un luogo tranquillo” fece l’uomo interrompendo il silenzio.
Draco alzò lo sguardo dagli appunti “Si, ma vedete, io non sono esattamente la persona che può avere quest’effetto sulla Granger” sospirò appoggiando la penna sul tavolo “Non ha perso la memoria, come avete potuto constatare”.
Weasley lo scrutò, aggrottando la fronte “Sa benissimo dove si trova e… le abbiamo detto ciò che le è accaduto in quest’anno… ma non sa che cosa l’ha ridotta in coma”.
“Intendo” intervenne il pozionista distogliendo lo sguardo “Ricorda chi sono”.
L’espressione del Ministro si fece seria “Si, certo. Sa che sei Draco Malfoy e noi le abbiamo raccontato che cosa hai fatto in queste settimane”.
Draco si alzò in piedi, dandogli le spalle. Non riusciva a spiegarsi o forse Weasley faceva finta di non capire? A quel pensiero, si voltò di scatto e lo affrontò “Per Merlino, Arthur” strinse i pugni lungo i fianchi, cercando di trattenere l’angoscia “Sono Draco Lucius Malfoy, sono un mangia morte. Figlio di un mangia morte” disse, odiando quelle parole che lo marchiavano più del macabro tatuaggio che sporcava la pelle del suo braccio “Sono il Serpeverde che l’ha perseguitata ed insultata per anni, sono quello… quello che è sempre stato dalla parte sbagliata”.
“Questo è vero” fece Weasley fissandolo “Eri dalla parte sbagliata. E tuo padre ha fatto delle scelte sciagurate  coinvolgendoti nel disastro. E’ così” sospirò “Ma vedi,  quei tempi sono passati. Finiti. E non dobbiamo lasciare che influenzino ancora le nostre vite. Molte persone” si fermò un momento, poi riprese “Molte persone sono morte per porre fine all’orrore che ci ha coinvolti per troppo tempo. Adesso basta. Non credi che abbiamo patito già abbastanza?”.
Le parole del Ministro lo stavano riportando indietro, ai giorni successivi alla fine della guerra, quando si era ritrovato solo, in una cella, ad aspettare la sentenza che avrebbe deciso la sua sorte. Ricordò la paura, il terrore per quello che l’attendeva, per la sorte della sua famiglia, il dolore per tutto quanto era successo mentre lui se ne stava chiuso al buio dei sotterranei della villa.
Weasley dovette leggergli tutto in faccia, perché disse “E’ finita. La guerra è finita. Siamo vivi e possiamo ricostruire. Il marchio che hai nel braccio” fece una pausa “Il nome che porti non significano più niente. O meglio, sarai tu a dover dar loro un nuovo significato. Per quel che mi riguarda, ho avuto ragione a darti fiducia, mi hai riportato Hermione, mia figlia, e questo è tutto ciò che volevo. Ti sto chiedendo di aiutarla a riprendersi completamente, ma solo se ti senti di farlo” lo scrutò “Non penso che sia solo una questione che riguardi la medimagia”.
Istintivamente, Draco si massaggiò il braccio, proprio in corrispondenza del marchio. Deglutì, senza riuscire a trovare risposte adeguate. Alla fine sussurrò “La Granger mi ha sempre odiato, Arthur. Dal suo punto di vista aveva le sue ragioni. Io, dal canto mio, l’ho sempre trattata come… come mi era stato insegnato, come un purosangue deve considerare i nati babbani” alzò lo sguardo, infilandosi le mani in tasca “Non so se c’è speranza di cambiare le cose, fra noi”.
Un sorriso illuminò il volto del Ministro “Oh, be, figliolo, questo non potrai mai saperlo se non provi” sospirò “Hermione non ignorerà il ruolo che hai avuto nella sua guarigione come non dimenticherà tutto il resto” allargò le braccia “Sta a voi trovare un modo nuovo. Le divisioni del passato hanno smesso di avere senso da tempo, ormai”.
 
Nel pomeriggio, Molly si chiuse nella sua stanza per riposare, mentre il Ministro si smaterializzò al Ministero per svolgere alcuni affari importanti. Draco, dal canto suo, si immerse nella lettura di alcuni testi medici babbani, in biblioteca. Provava a concentrarsi, ma tutti i suoi pensieri erano rivolti alla conversazione avuta con Arthur e alla Granger, di sopra. Non c’era modo di pensare ad altro. Sapeva di apparire come un codardo, uno che non vuole mettersi in gioco, mentre tutti, dal Ministro all’ultimo mago vivente ci stavano provando. E lui, chiuso alla villa, solo, in compagnia di un elfo strano e anche troppo intraprendente. Ignorare la possibilità che la sorte gli stava offrendo era da stolti. Da codardi, appunto.
Rinunciò alla lettura. Chiuse il libro e si sollevò. Un momento dopo, era al piano di sopra, fermo davanti alla porta chiusa della camera della Granger, la mano sulla maniglia, incerto, combattuto su che cosa fosse giusto fare.
Che domanda sciocca.
La trovò appoggiata ai cuscini, sveglia, il viso rivolto alle finestre, dai cui vetri penetrava la luce del sole. I capelli, un tempo lunghi e ricci, erano corti e ben pettinati e la frangetta le dava un’aria da bambina che lo sorprese. La ricordava seria e concentrata, sempre più adulta della sua età.
Ben presto si trovò a fissare i suoi occhi scuri.
“Ciao, Granger” la salutò avvicinandosi al letto.
“Malfoy” rispose lei di rimando.
Si guardarono a lungo, sembrava che nessuno dei due sapesse che cosa aggiungere. Eppure, se una cosa non era mai mancata fra loro erano state proprio le parole. Alla fine fu la ragazza a mormorare “Mi chiedevo quando saresti venuto a visitarmi”.
Lui annuì e si fece più vicino.
“Devo prenderti la pressione, la temperatura e controllare gli altri parametri vitali. Inoltre, dovremmo iniziare la fisioterapia” disse in fretta, armeggiando con la cartella clinica.
“Si. Dunque, rimarrò qui” fece Hermione.
Draco incontrò il suo sguardo.
“Se per te va bene” disse mantenendosi impassibile. O almeno ci provò.
Lei annuì “Si” mormorò semplicemente, poi aggiunse “Potrò uscire un po’? Vorrei proprio vedere il sole e il cielo direttamente, senza i vetri in mezzo” fece un cenno in direzione delle finestre.
Come risvegliandosi da un’apnea, Draco seguì con lo sguardo la direzione del suo gesto e rispose precipitoso “Ma certo, si. Forse non subito sulle tue gambe”.
Hermione non replicò. Abbassò gli occhi sul libro posato sul comodino “Vorresti leggermi qualcosa? Non riesco da sola e anche la magia non mi è d’aiuto. Temo…”parve cercare le parole “…temo di essere ancora troppo debole per fare incantesimi sulle cose”.
Senza rispondere, Draco girò intorno al letto, prese il libro, “Giulietta e Romeo”, e si sedette nella poltrona lì accanto.
Cominciò a leggere,  e lesse, finché la luce del tramonto non invase la stanza.


Un capitolo breve, l'ideale seconda parte del precedente. Spero vi piaccia la piega che stanno prendendo gli eventi.
Un saluto, Ezrebet

 

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Capitolo 8
*** Insonnia ***


                                                                                                      E dire che io e lui abbiamo un nemico in comune: lui me, io pure.
 

I Weasley assistettero in silenzio alla seduta di fisioterapia. La camera era invasa dalla luce del sole che penetrava dalle finestre spalancate e il sottofondo della Primavera di Vivaldi rendeva il momento particolarmente toccante. Vedere Hermione muovere gli arti senza troppa fatica con l’espressione concentrata che le conoscevano bene, era uno spettacolo che scaldava il cuore del Ministro e della sua signora. Se ne stavano seduti non lontano dal letto; tra loro e la ragazza, Draco, che, in piedi, le diceva che cosa fare, lentamente. Ed Hermione ubbidiva come riusciva, sollevando gambe e braccia, muovendo piedi e mani, girando la testa verso destra e verso sinistra, quasi come un burattino.
Arthur cercava di rimanere tranquillo, ma il cuore gli scoppiava nel petto, al pensiero di avere di nuovo Hermione, nonostante la morte che aveva devastato le loro vite. E voltandosi verso Molly, si rendeva conto che la donna tratteneva a stento le lacrime di gioia, mescolate a quelle del dolore che era costretta a rivivere ogni volta che incontrava lo sguardo della ragazza. Sapeva che cosa ricordava in quel momento la donna: il momento in cui aveva dovuto lasciare andare i suoi figli in battaglia, il momento in cui aveva capito che avrebbero combattuto, tutti loro, fino alla fine, il momento in cui si era resa conto che forse non sarebbero tornati da quell’orribile guerra. E l’ammirava per non sciogliersi in lacrime in quel momento, nonostante tutto, l’ammirava perché voleva donare la sua forza e il suo affetto a quella ragazzina che, per volere del fato, era tornata da loro.
“Va bene. Possiamo fermarci” la voce di Draco interruppe i suoi pensieri e i movimenti di Hermione. Il ragazzo si avvicinò al letto e prese i parametri vitali di lei, segnandoli sulla cartella clinica. Poi, si voltò verso i Weasley “Adesso la paziente ha bisogno di riposarsi un po’”.
I coniugi annuirono all’unisono. Ma prima di avviarsi alla porta, Molly prese la mano di Hermione “Stai sempre meglio, mia cara. Vedrai che presto potrai rimetterti in piedi”.
Hermione le sorrise, era evidente che era affaticata, ma, in cuor suo, aveva deciso di non cedere. Voleva sbrigarsi, voleva veramente tornare quella di prima al più presto.
“Dobby ti porterà la cena” le disse Draco, prima di chiudersi la porta alle spalle.

Una volta sola, Hermione respirò a fondo e chiuse gli occhi. Per quanto non ricordasse ancora niente, sapeva che cosa era accaduto, Arthur non le aveva nascosto nessun particolare. Immaginava l’infuriare delle battaglie, i colpi senza perdono che risucchiavano le vite dei suoi amici più cari, del suo fidanzato, degli adulti che tanta parte avevano avuto nella sua formazione. E anche solo immaginare le provocava dolore e rabbia, per non aver potuto fare di più e di meglio. Forse i ricordi sarebbero tornati, ma anche così era straziante. Più e più volte si era trovata con gli occhi lucidi, decisa a trattenersi, perché non voleva che Molly ed Arthur la vedessero piangere e disperarsi. Non avevano alcun bisogno di rivivere a causa sua quanto era avvenuto un anno prima, era giusto che fossero sereni, e sapeva che lo erano, perché l’avevano ritrovata… L’animo di Hermione era pieno di emozioni forti e contrastanti e sebbene tentasse in ogni modo di tenerle a bada, soprattutto con i Weasley, esse c’erano, erano vive e incancellabili in lei. Ecco perché apprezzava quei momenti di solitudine in camera, erano i momenti durante i quali poteva lasciarsi andare all’emozione e versare anche qualche inevitabile lacrima.
Dobby le portò la cena e rimase con lei mentre ne mangiava qualche boccone. Si sedette sulla sedia accanto al letto, enorme per lui, e la fissava in silenzio. Come ogni volta, mentre prendeva il vassoio recante i piatti ancora mezzi pieni, le disse “Dobby crede che Granger deve mangiare di più” un momento di pausa e poi “Anche il Dottore crede così”.
Lei piegò appena la testa “Il Dottore?”.
“Il Dottore non vuole che Dobby lo chiama padrone” chiarì l’elfo.
La ragazza spalancò gli occhi, incredula “Vuoi dire che Malfoy non vuole essere chiamato padrone?” rimase incredula nonostante il cenno d’assenso di Dobby “Tecnicamente, tu sei libero, Harry ti ha reso tale” rifletté, sentendo una fitta al cuore mentre pronunciava il nome dell’amico perduto “Ma immaginavo che… dal momento che sei qui…” lo fissò, interdetta.
“Il Dottore paga Dobby” fece l’essere “Dà i vestiti, lo stipendio, il cibo”.
Hermione era sinceramente esterrefatta. Mai si sarebbe aspettata una cosa del genere dal rampollo dei Malfoy, ma non poteva far altro che credere alle parole di Dobby.
“Beh, Dobby, sono molto felice per te” gli sorrise e quello disse “Dobby continua a pensare che Granger dovrebbe mangiare di più” si avviò alla porta “Il Dottore è preoccupato per Granger”.
La ragazza lo richiamo subito. L’elfo si voltò, spalanco le orbite immense.
“E’ preoccupato?” ripeté lei, non riuscendo a capacitarsi di quanto le stesse dicendo l’amico “Dobby. So che mi ha curato mentre ero in coma, rispondendo ad una richiesta del Ministro, ma…”. S’interruppe, ricordando lo sguardo di Arthur mentre le rivelava quanto successo, mentre parlava di Malfoy e della sua opera di pozionista. Ricordò il tono usato dall’uomo. L’aveva sentito chiaramente, l’affetto che Arthur non aveva neanche tentato di nascondere.
Si sentì avvampare.
Alzò di nuovo lo sguardo su Dobby “Grazie..” lo congedò, troppo turbata per continuare la conversazione.
Dunque, era così. Malfoy era preoccupato per lei, usava la sua scienza per guarirla, e anche se fosse stato unicamente per rispetto al Ministro o per obbedienza ad una sua precisa richiesta, era comunque una notizia scioccante.
 
La villa era immersa nel silenzio della notte. Hermione stentava ad addormentarsi. Guardava fuori, il cielo stellato, la luna che, enorme, rischiarava la stanza. In quei momenti, ricordava le notti a Hogwarts, quando tutto sembrava facile e anche lo spettro di Voldemort e dei suoi seguaci sembrava solo una favola nera. Ricordava lo studio, la polvere dei libri, le chiacchiere con Harry e Ron, ricordava Malfoy ed i suoi insulti.
Come se lo avesse chiamato, si accorse di lui, fermo sulla soglia. Aveva tra le dita una candela.
“Passando qui davanti, ho sentito che non dormivi” sussurrò. Hermione si morse la lingua. Non aveva sentito un bel nulla, era entrato e basta..
“Vuoi che ti legga qualcosa?” le domandò in tono imbarazzato, senza togliere la mano dalla maniglia.
“Si” fece lei “Non riesco a dormire… nemmeno tu, a quanto pare”.
Draco chiuse la porta e si avvicinò. Fermo ai piedi del letto mormorò “Sono stato nello studio. Dovevo finire una cosa” si mosse verso la poltrona, si sedette.
Ci fu un momento di silenzio, mentre il ragazzo sfogliava il libro per trovare il segno, durante il quale Hermione lo studiò nella penombra. Il suo viso era sempre magro, appuntito, pallido, i capelli gli ricadevano sulla fronte ampia, l’espressione corrucciata.
 Sì, era lui, era Malfoy, la sua nemesi.
“Malfoy” disse, e lui alzò di scatto lo sguardo, puntandole addosso gli occhi, così chiari come li ricordava “Perché sono qui?”.
Lui non parve reagire alla domanda, così diretta. Si limitò a guardarla, per un istante che ad  Hermione parve durare ore. Alla fine, mormorò, abbandonando il libro aperto sulle ginocchia “Non c’era altro modo…” sembrò cercare le parole “… per fare qualcosa per te”.
Lei non distolse lo sguardo e chiese ancora “Perché hai accettato?”.
Lo vide allungarsi sulla poltrona, appoggiare la schiena, sollevare le sopracciglia, senza abbandonare i suoi occhi “Lo dovevo a Weasley”.
Arthur le aveva spiegato a grandi linee quanto accaduto a Malfoy dopo la guerra e le parve credibile come spiegazione. Tuttavia, non era abbastanza, non per la Granger.
Prima che lei potesse aggiungere qualcosa, Draco abbozzò un sorrisetto nel quale la ragazza rivide il ghigno dell’adolescenza, da cui era però scomparsa gran parte della malignità che l’aveva sempre ferita, e disse “So che sarà dura per te, Granger, ma non ho intenzione di affrontare questa cosa adesso” la fissò “Almeno, non ancora”.
Si fissarono a lungo, come cercando risposte e conferme l’uno nell’altra. Hermione avrebbe voluto obbiettare, insistere, avere qualche risposta. Ma decise di non farlo. Qualsiasi fossero le motivazioni di Malfoy, lei era in debito. Doveva accontentarlo.
Così, sospirò, sistemandosi meglio tra le coperte e fece “Va bene, ma ne riparleremo” gli scoccò un’occhiata e lui fece altrettanto. Poi, Draco cominciò a leggere e lesse finché non si accorse che Hermione si era addormentata.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** Solo Ricordi ***


Il gufo annunciò a Weasley che era necessaria la sua presenza al ministero. La sua espressione mostrava chiaramente il conflitto che si stava svolgendo dentro di lui. Da una parte, avrebbe voluto spiegare ai collaboratori l’impossibilità del suo rientro, dall’altra sapeva bene la responsabilità che gravava su di sé. Così, a colazione informò Molly della sua intenzione di partire in giornata.
“Io rimango qui” fece subito lei, ma Arthur sospirò “Mia cara, l’associazione ha bisogno del suo presidente” la fissò “Si sta avvicinando Natale, sei al centro dell’organizzazione degli eventi di beneficienza e devi occuparti dei rapporti col ministro babbano”.
“Ma Hermione è ancora troppo debole” ripeté testarda.
Fu a quel punto che Draco, fino a quel momento rimasto in silenzio, intervenne “La mia casa è sempre aperta, signora Weasley. Se i suoi impegni glielo consentiranno, potrà tornare quando vorrà, anche senza preavviso” si pulì le labbra col tovagliolo ricamato “La convalescenza procede bene. Presto la paziente sarà in grado di lasciare la villa”.
Arthur alzò le sopracciglia “Non credo proprio che Hermione muoia dalla voglia di affrontare ciò che la aspetta”.
Malfoy gli lanciò un’occhiata penetrante “Che cosa intende? So per certo che non vede l’ora di uscire da qui”.
“Naturalmente vuole uscire e fare una bella passeggiata” annuì il Ministro “Ma io parlavo di ciò che l’aspetta nel mondo magico. Dovremo presto informare tutti che l’eroina della guerra non è morta, ma che è fra noi, dovremo modificare la targa di commemorazione, dovrà presenziare alle cerimonie e all’inchiesta” sospirò profondamente “Il tribunale vorrà accertarsi di come sono andati i fatti e condurre un’inchiesta”.
Molly sbuffò “Tutte sciocchezze. Dovrebbero soltanto organizzare una festa per il suo ritorno”.
“Per ora è troppo debole, ma sono certo che riacquisterà le forze per affrontare ogni cosa” riprese Arthur “Anche se, come ho detto, dubito che ne sarà entusiasta”.
Draco si era alzato e si era diretto alla finestra. Lo sguardo perso nei giardini della villa, che gli elfi curavano con maniacale attenzione, ripensò a quella targa commemorativa, la lunga lista di nomi Grifondoro caduti in battaglia, purosangue e nati babbani, ricordò il momento in cui era passato attraverso la porta del ministero, attratto come da una calamita da quelle parole, “Il Mondo Magico ai Suoi Caduti”, il peso che gli aveva schiacciato il petto, molto più della paura di Azkaban, della morte, della vendetta.
“L’inchiesta è una pura formalità, ovviamente” precisò Weasley, alzandosi a sua volta “Ma sarà un’ulteriore fonte di stress per la nostra Hermione”.
Draco si voltò “Credo che per quel momento, la paziente avrà recuperato la memoria. Sto lavorando a qualcosa, in questo senso” disse infilando le mani nelle tasche dei pantaloni scuri “Non è niente di sicuro, ma spero di aiutarla”.
Molly sorrise, lo sguardo pieno di gratitudine e speranza “Non ti ringrazieremo mai abbastanza” sussurrò.

 
Al tramonto, Draco si trovò fermo sulla soglia della villa, a fissare il punto oltre la collina dove l’automobile del ministero era scomparsa. Niente metropolvere per i Weasley. Doveva essere sincero con se stesso ed ammettere che quell’improvvisa partenza lo lasciava spiazzato. Si era quasi abituato, nel giro di pochi giorni, ai pranzi insieme, alla loro presenza tra le mura silenziose di casa sua ed adesso doveva fare i conti con la Granger. Da solo.
Rientrò lentamente in casa. Si fermò un momento ai piedi della scala, poi cominciò a salire e quando fu davanti alla porta di lei, ci pensò un momento prima di bussare. Era suo preciso dovere accertarsi delle sue condizioni, farle sapere che era monitorata ogni minuto del giorno, eccetera eccetera. Era un impegno che aveva assunto con Weasley.
La trovò seduta sul letto, i piedi nudi posati sul pavimento, lo sguardo fisso a terra, l’espressione assorta. Non si era nemmeno accorta della sua presenza.
“Granger” la chiamò chiudendo la porta.
La ragazza si voltò di scatto.
“Non è prudente” le disse avvicinandosi “Non da sola”.
“Allora aiutami” fece lei.
Draco la fissò un momento. Per quanto ne sapeva, se non l’avesse fatto, se non l’avesse aiutata ad alzarsi da lì, lei l’avrebbe fatto lo stesso da sola, rischiando di cadere. Tutto in lei si era indebolito, tranne che la testardaggine grifondoro, ovviamente.
Così, le passò un braccio attorno alla vita, tenendola saldamente stretta a sé, e la aiutò a sollevarsi. Si rese conto che era leggerissima, troppo magra, che i suoi muscoli avevano bisogno di ulteriore allenamento per riprendersi, e che ogni singolo passo le costava una fatica immane. Eppure, in silenzio, assecondò i suoi movimenti. La accompagnò davanti alle finestre, dove sostò qualche momento per guardare fuori, poi fece qualche passo per la stanza, fermandosi a guardare da vicino i ritratti che ornavano le pareti. La guardò leggere i nomi dei suoi antenati, osservarne i lineamenti e l’abbigliamento, poi la aiutò a scorrere i titoli della libreria, tutti testi babbani, di poesia e prosa. La vide concentrarsi, lievi rughe d’espressione le solcarono la fronte mentre compiva quel breve giro sorretta dalle sue braccia, e si rese conto che, nonostante tutti glia anni trascorsi a Hogwarts a scontrarsi nei corridoi e ad insultarsi, non si era mai soffermato a guardarla. Non aveva mai visto davvero i suoi lineamenti, il colore dei suoi occhi, la sua espressione concentrata. I capelli corti evidenziavano ogni particolare del suo viso, pallido e magro, molto più magro di quanto ricordasse.
“Vuoi incenerirmi con lo sguardo, Malfoy?” gli disse scoccandogli un’occhiata “So di non essere un bello spettacolo, ma potresti non fissarmi come se fossi una strana e repellente creatura magica?”.
Lui si riscosse, sbarrando appena gli occhi. Gli ci volle qualche secondo per recuperare la sua espressione distaccata.
“Ti stavo osservando con occhi clinico, Granger” puntualizzò, mentre lei riprendeva a camminare dirigendosi alla poltrona “Il tuo aspetto emaciato denuncia il tuo stato di salute. Sei debole, troppo. Devi sforzarti di mangiare di più e dovremo aumentare le sedute di fisioterapia per la tua muscolatura. Inoltre, devo prepararti una blanda pozione rimpolpa sangue per ovviare al tuo pallore”.
La aiutò a sedere in poltrona, poi si sedette a sua volta di fronte a lei. La guardò negli occhi e capì che quella passeggiata l’aveva spossata. Non c’era traccia di sfida o arrabbiatura, solo una grande stanchezza. La vide appoggiarsi allo schienale, le braccia abbandonate sui braccioli.
“Lo so Malfoy” sussurrò socchiudendo le palpebre “Mi stavo auto commiserando”.
L’ammissione lo lasciò esterrefatto. E imbarazzato. Gli pareva una confidenza, e non riusciva a capacitarsene. Non trovò niente da ribattere, ma lei non aveva finito. La sentì dire “Per quanto indomabili e spesso ispidi, mi piacciono i miei capelli. Mi sono sempre piaciuti. Sono sempre stati una parte importante della mia persona” voltò lo sguardo verso la finestra “E adesso, non ci sono più”.
Era evidente che la Granger stava parlando a se stessa, più che a lui, e tuttavia c’era lui, lì con lei. Avrebbe dovuto dirle qualcosa. Sebbene imbarazzato dalla piega che stava prendendo quella strana conversazione, il ragazzo disse “Se sei preoccupata, posso assicurarti che non ne hai motivo. I tuoi riccioli ricresceranno”.
Hermione si girò ad incontrare i suoi occhi “Si… ti sembrerà assurdo che con tutti problemi che ho io stia a pensare ai miei riccioli” tentò di giustificarsi.
“Da che ti conosco, Mezzosangue, sei sempre stata assurda, per me” le disse serio. Bastò quella frase a riportarli nei corridoi della scuola magica, ai loro scontri, agli schiantesimi. Draco avrebbe voluto mordersi la lingua, ma con sorpresa si accorse che qualcosa di simile ad un sorriso illuminava lo sguardo della ragazza.
Sorrideva!
Si trovò a fissarla ad occhi sgranati, mentre un colorito lievemente più roseo si estendeva alle sue gote. Sorrideva. Forse perché non aveva abbastanza forza per schiantarlo.
“Immagino di si” sussurrò “Un grifondoro deve essere un mistero per l’inesistente sensibilità serpeverde. D’altra parte, i serpeverde sono un puzzle anche per i grifondoro”.
Il tono di lei era sorprendentemente serio. Draco riconobbe il tono da maestrina per cui era famosa a scuola. Si rilassò, trattenendo un ulteriore, provocatorio commento.
Rimasero in silenzio qualche minuto, poi lei chiese “Credi che domani potrò uscire di qui?”.
“Non è prudente” rispose Draco.
“Ma puoi trasfigurarmi in giardino, solo per poco” insisté corrugando nuovamente la fronte “Non hai idea che significhi trascorrere le giornate chiusa qui senza aria, sola e…”.
“Va bene” la interruppe esausto “Non ti trasfigurerò, non è possibile in questa casa. Ma troverò un altro modo. E solo per poco” la redarguì.
Hermione annuì. Non sorrideva più, ma era evidentemente soddisfatta perché non ribatté più niente.
Rimasero in silenzio. Forse erano entrambi immersi nei ricordi che quella convivenza li costringeva ad affrontare. Draco si accorse, quasi con sgomento, che quel breve scambio di battute con la Granger l’aveva distratto. Per un po’, anche se per poco, i ricordi avevano perso le sembianze degli incubi a cui era abituato. Erano stati solo ricordi.

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Capitolo 10
*** Nata Babbana ***


L’aveva chiamata mezzosangue e lei non l’aveva nemmeno notato. Diceva a se stessa che forse era ancora troppo debole per reagire adeguatamente, che una volta recuperate le forze glieli avrebbe fatti rimangiare tutti i suoi insulti da purosangue. E mentre lo diceva, sapeva che non era questo il punto. Da che Arthur Weasley le aveva spiegato che cosa era successo, dopo la sua iniziale convinzione della vittoria di Valdemort, qualcosa in lei era cambiato. Non aveva senso continuare a prendersela con Malfoy, era questo il pensiero su cui si arrovellava da giorni. Malfoy era la persona che la stava assistendo, che aveva avuto, forse, un ruolo importante nel suo risveglio e che continuava ad occuparsi di lei.

E’ un ex mangiamorte.

Oh, si, lo era. Aveva di certo un marchio sul braccio a dimostrare che era stato dalla parte del mago oscuro responsabile della guerra che le aveva portato via tutto. Tutti.
Nel tentativo di allontanare quei tetri pensieri, alzò lo sguardo sul laghetto. Le ninfee vagavano sull’acqua, di un brillante verde smeraldo, in cui si specchiava il sole del pomeriggio. L’aria era fredda, ma Hermione si lasciava accarezzare dai raggi autunnali del sole, di cui per così tanto tempo non aveva potuto godere. Respirava a fondo, sfiorava l’erba con le mani, osservava il paesaggio. Si sentiva viva, in un certo senso. Nonostante tutto.

Malfoy era entrato in camera, con un breve incantesimo le aveva fatto indossare un paio di jeans ed un maglione, poi l’aveva presa in braccio, ignorando le sue proteste, ed era sceso al piano terra, sotto gli occhi sgranati di Dobby, che reggeva un cestino e che li aveva seguiti fuori.
“Dove mi stai portando” aveva chiesto lei, in tono ostile, incapace di credere che la stesse trasportando con le sue preziose braccia di purosangue.
“Dove mi hai chiesto” aveva risposto asciutto.
“Fammi scendere” gli aveva intimato, agitandosi un po’, ma lui l’aveva fermata stringendola di più “Risparmia le energie, Granger”.
L’aveva fatta sedere sulla coperta che Dobby aveva steso tra l’erba, a qualche metro dalla sponda del laghetto, nel luogo più splendido che avesse mai visto.
“Nel cestino c’è la merenda” le aveva detto “Se riesco a finire in laboratorio, vengo a mangiare con te” ed era rientrato, lasciandola sola con Dobby.

L’elfo se ne stava da quasi un’ora in silenzio, seduto poco lontano da lei, attento ad ogni sua esigenza. Hermione non poteva sollevarsi, così si limitava a cambiare posizione di tanto in tanto, leggendo distrattamente uno dei libri che aveva portato con sé. Era distratta e confusa. Forse era l’amnesia, questo non ricordare chi l’aveva ridotta in quello stato, o forse era tutto insieme… la guerra, la situazione anomala che stava vivendo… C’erano momenti in cui il ricordo di Ron, che l’abbracciava e rideva con lei, si faceva così intenso da pungerla proprio in mezzo al petto, e girava e rigirava come la punta di un coltello pronto a passarla da parte a parte. Sentiva la sua voce e le sue mani come se fosse stato lì, in carne e ossa, e non fatto di nebbia, come sono i ricordi. E poi Harry, dallo sguardo serio, lo ricordava sorridente ed arrabbiato, così com’era, quello strano miscuglio di rabbia e coraggio che aveva adorato.
Weasley le aveva detto che erano morti tutti. Neville, Lavanda, Luna, Ginny. Erano tutti i morti, i Grifondoro, sotto i colpi della magia oscura dei Mangiamorte che non si rassegnavano alla sconfitta del loro padrone. La battaglia era durata giorni, aveva impregnato di sangue e dolore la terra del mondo magico, distruggendo un’intera generazione di maghi e streghe. E quando il clamore si era placato, era toccato a lui, a Weasley, ai sopravvissuti, fare la conta. Un mesto compito.
“Granger ha fame?” le chiese improvvisamente Dobby, distogliendola dai suoi pensieri.
“Insomma” gli rispose accennando un sorriso. Questo bastò a convincere l’elfo a scoperchiare il cestino e a riempire un piatto. Torta di mele, panna, perfino qualche pallina di gelato. Hermione lo accettò, per fargli piacere, ma aveva lo stomaco chiuso.
“Granger deve mangiare. Così si riprende” la incoraggiò l’esserino.
Lei fissò il contenuto del piatto, sospirando.
“Dobby ha ragione”. Alzò la testa di scatto ed incontrò lo sguardo serio di Malfoy “Un’alimentazione varia e sana non può che aiutare il processo di guarigione”.
La ragazza non trattenne un commento sarcastico “Oh, non preoccuparti. Toglierò presto il disturbo. Sto già benone”.
Draco la osservò un lungo momento, poi si sistemò sulla coperta, poco lontano da lei.
“Immagino che accadrà. Il mondo magico sarà ben contento di riabbracciare la sua eroina” disse, servendosi di torta. Dobby si affrettò a versargli il the, ma, sotto lo sguardo esterrefatto di Hermione, Malfoy gli fece cenno di rimanere seduto e si servì da solo. Fu lei, stavolta, ad osservarlo.
“Sei cambiato” le sfuggì. Poi si pentì. Quella sua terribile abitudine di non riuscire a frenare la lingua l’avrebbe rovinata, prima o poi.
Malfoy finì di versarsi il the, lo zuccherò, con un lieve sorrisetto sulle labbra. Poi alzò le spalle “Non saprei” sorseggiò dalla tazza di fine porcellana “Immagino che sia possibile. Si”.
Lo guardò bere e mangiare un po’ della torta. Si sorprese a considerare che il Malfoy che aveva di fronte sembrava sul serio diverso dall’indisponente ed altezzoso ragazzetto che la perseguitava ad Hogwarts. E come poteva essere altrimenti. La guerra e la sofferenza avevano colpito anche lui, lasciandolo solo in una villa enorme e piena di orrendi ricordi. Odiò se stessa per la compassione che la pervase.
“Come fai..” cercò le parole quando si riscosse dalla contemplazione di lui “Come fai a sopportare la presenza di una sangue sporco nella tua casa..” avrebbe voluto dare un’intonazione più sarcastica, più cattiva a quella domanda, ma non le riuscì. Forse perché era davvero curiosa di sapere le ragioni del suo comportamento.
“Te l’ho detto, Granger. Lo devo a Weasley” lo disse senza distogliere lo sguardo dal lago.
“Non potresti essere meno vago?” lo redarguì. Il tono che usò fece voltare Draco, e lei poté rivedere il ghigno che aveva odiato tempo prima.
Meno male, si disse, meno male che è sempre lui. E poi si vergognò di quel senso di sollievo che l’aveva invasa all’istante.
“Potrei. Ma non voglio farlo” posò sulla coperta il piatto vuoto e si distese, incrociando le braccia sotto il capo.
Hermione sospirò e lo imitò. Con cautela, posò il piatto e si sdraiò, mettendosi faticosamente nella stessa posizione di lui.
“Perché no, Malfoy. Siamo rimasti noi…” sussurrò ad un tratto, sentendo le lacrime pungerle gli occhi “Se anche tu mi confidassi questa cosa, tra te e Weasley, io non lo dirò a nessuno”.
E ora perché le lacrime! Si arrabbiò con se stessa, perché aveva improvvisamente un mattone in mezzo al petto, che spingeva e spingeva e le impediva di controllarsi. Sperò con tutto il cuore di aver usato un tono fermo e sperò che lui non si voltasse a guardarla.
Draco non si mosse. Continuò a guardare il cielo, di un azzurro terso da accecare, e rispose “Non è per questo…” e poi di nuovo il silenzio.
Il momento parve dilatarsi all’infinito. Hermione ebbe paura perfino di muoversi. Infine, fu un volteggiare di ali che li riscosse. Un gufo si stava dirigendo alla torre della villa. Malfoy fu in piedi in un attimo.
“E’ Weasley” disse seguendo il volo con lo sguardo “Devo andare” e dopo averle dato una breve occhiata, si diresse all’ingresso.
Rimasta sola, Hermione si tirò a sedere, e si passò una mano sugli occhi, respingendo le lacrime. Aiutò Dobby a rimettere ogni cosa nel cestino e si stupì nel sentire l’elfo sussurrare “Il Dottore sempre triste e sempre solo”.
Lei sospirò, guardando la villa, un luogo così bello e così tetro. Con le dita, si sfiorò la cicatrice sul polso. Lo faceva spesso, da quando si era risvegliata, come a volersi ricordare ciò che invece, per lungo tempo, aveva tentato di cancellare da sé.
“E’ il destino di alcuni” mormorò “Di coloro che fanno scelte sbagliate, Dobby”.
L’elfo scosse la testa con aria afflitta “Il Dottore non ha scelto niente, Granger. Mai”.
Hermione scrutò Dobby, incapace di ribattere qualcosa. Né ebbe il tempo di pensare a qualcosa da dirgli, perché vide Draco che si stava avvicinando.
“Andiamo” le disse, prendendola in braccio.
“Vorrei provare con le mie gambe, Malfoy” fece indispettita.
“Lo farai. Ma adesso andiamo. E’ ora della fisioterapia” e si avviò sul vialetto, in direzione della villa.
 
La missiva di Arthur l’aveva salvato da quel momento con la mezzosangue. Era letteralmente scappato, cosa che gli riusciva benissimo in quegli ultimi tempi. Rise amaramente tra sé. In realtà, scappare quando le cose si facevano difficili gli era sempre riuscito. Era rientrato di corsa, aveva letto con mani tremanti la lettera, in cui il Ministro chiedeva notizie della paziente, e poi si era appoggiato esausto alle colonne della torre. Aveva guardato giù, in direzione del lago, scorgendo la ragazza seduta dove l’aveva lasciata in fretta e furia.
Per merlino, sembrava nata per farlo stare male. L’aveva sempre fatto, fin dai tempi della scuola. Era nata babbana, ed era la migliore. Un controsenso per uno come lui, cresciuto nel mito della razza purosangue. Hermione Granger, l’amica di Harry Potter, era la migliore strega della sua generazione. Ricordava ancora le occhiate terribili e sprezzanti che le lanciava ogni qualvolta la vedeva alzare la mano per rispondere, nelle antiche sale della scuola di magia. Non c’era niente in cui la Granger non primeggiasse. Ed avrebbe voluto essere come lei, così sicura, così pronta. Così pura. Lo era sempre stata, pura. L’esatto contrario di come lui si era sempre sentito, per assurdo:  sporco, inutile, impuro.

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Capitolo 11
*** Turbamento ***


Si svegliò di soprassalto, si guardò intorno, cercando di distinguere qualcosa nel buio. I suoi occhi si fermarono sulla sagoma abbandonata sulla poltrona. Draco si era addormentato, il libro aperto sulle ginocchia, la testa posata sul morbido schienale imbottito.
Hermione si sollevò a sedere, allungò un braccio ed accese la luce della abat jour. Il ragazzo era profondamente addormentato, il petto si sollevava impercettibilmente ad ogni respiro. Non era certo una novità che trascorresse la notte nella sua stanza, in quella scomoda posizione, era così da quando si era svegliata dal coma e forse anche prima, le aveva confidato Molly.
Un brivido di freddo la attraversò. Decise di scendere dal letto. Cautamente, posò i piedi sul tappeto e si mise ritta, tenendosi saldamente alla testata di ferro battuto. Le gambe le tremavano un po’, certo, ma ci riusciva, riusciva a stare dritta. Mollò con lentezza la presa, rendendosi conto di poter stare in piedi. Un sorriso le illuminò il volto. Poi, provò a fare un passo, vi riuscì, ne provò un altro, riuscì a fare anche quello. Più sicura, prese il plaid ai piedi del letto e camminò cauta fino alla poltrona. Cercando di non svegliarlo, sistemò il panno addosso a Draco, prendendo il libro e  posandolo sul tavolino accanto.
Si sentiva abbastanza sicura sulle gambe e, piuttosto euforica per quella scoperta, prese a passeggiare lentamente per la stanza, perdendosi ben presto nella lettura dei titoli dei libri sugli scaffali. La massiccia presenza di titoli babbani la stupiva sempre un po’.
“Non è prudente” la voce di Draco la fece sobbalzare. Riuscì a non perdere l’equilibrio mentre si voltava, una mano al petto “…Malfoy!” fece “Vuoi farmi venire un infarto?”.
Lui, assonnato, sospirò “Non credo, Granger. Il tuo cuore è a posto”. Lo vide passarsi una mano tra i capelli e stirarsi lievemente, per poi riassumere il suo solito algido contegno. La guardò “Non potevi aspettare domattina per fare questo esperimento?”.
“Mi sono alzata unicamente per quella” indicò indispettita la coperta, che nel frattempo era scivolata ai piedi del biondo.
Solo allora Draco parve accorgersi del panno. Lo raccolse e lo posò sul bracciolo della poltrona. Tornò a puntarle lo sguardo addosso “Non avresti dovuto essere così imprudente”.
Certo non si era aspettata un ringraziamento. Alzò le spalle “Come vedi, non solo sto in piedi da sola, ma cammino, perfino. Sono guarita”.
“Sicuramente fai progressi” le concesse alzandosi in piedi.
Solo in quel momento Hermione realizzò di avere indosso soltanto la camicia da notte bianca, corta sopra le ginocchia, dalle spalline sottili. Si sentì avvampare e sperò che lui non s’accorgesse del suo imbarazzo. Durante il giorno indossava pigiami o tute, ma la notte, sotto le pesanti coltri, stava bene così. Cercò di dominare il disagio e decise di far finta di nulla, così alzò lo sguardo ed incontro quello di Draco, serio.
Forse nemmeno si era accorto della sua striminzita mise. Anzi, ne era pressoché certa. La guardava con una freddezza clinica degna di lui. Si rilassò. Ricominciò a camminare, dirigendosi al letto, lentamente, mettendo un piede davanti all’altro. Lui seguì i suoi movimenti in silenzio e solo quando fu di nuovo sotto le coperte, parlò.
“Capisco il tuo desiderio di stare bene e tornare alla vita normale. Lo capisco perfettamente. Ma devi agire con calma. Il tuo corpo si sta rinforzando ogni giorno che passa e così il tuo spirito” si fermò un momento, scoccandole un’occhiata indecifrabile “Ma devi avere pazienza”.
Hermione disse “Non mi sarei alzata se non mi fossi sentita in grado di farlo” lo fissò “Ma hai ragione, lo so. Non devo avere fretta”.
Un lampo di sorpresa passò negli occhi chiari del ragazzo, che annuì. Poi, si guardò intorno “Be’, credo che andrò a dormire” si diresse alla porta “Hai bisogno di qualcosa? Ti mando Dobby”.
Ma lei scosse la testa “No, grazie. Sto benissimo”.
Lo seguì con lo sguardo mentre si avviava alla porta, e sussurrò “Buonanotte, Malfoy”.
Lui si bloccò, la mano sulla maniglia. Si voltò, la guardò un  momento, poi fece un breve cenno con la testa.
Una volta fuori, si trovò con la fronte appoggiata alla porta chiusa della camera, il respiro mozzo, la testa in fiamme.

Che cosa era successo?

Quando l’aveva scorta, sollevando le palpebre, per poco il cuore non gli era saltato fuori dal petto. Era mezza nuda davanti a lui, il tessuto candido della veste lasciava intravedere la curva perfetta dei suoi glutei, l’incavo della schiena, le cosce tornite. Prima di parlare, aveva dovuto schiarirsi la gola, e quando si era voltata di scatto, ad occhi sgranati, per poco non gli veniva un infarto davanti alla trasparenza sui suoi seni. Un’immagine che gli era scoppiata davanti agli occhi come un fuoco artificiale, improvviso e spiazzante.
Per dominarsi, aveva detto qualcosa sulla cautela di cui sinceramente ricordava poco e aveva distolto l’attenzione di lei, perché altrimenti se ne sarebbe accorta che faticava a non fissarle le forme nella penombra.
La rivedeva camminare lentamente, attraversare la stanza attenta ad ogni passo, muovendosi sinuosa, nonostante tutto, e tremò al ricordo dell’effetto che questa visione aveva provocato in lui. Era rimasto ipnotizzato dalle sue caviglie sottili, dai suoi polpacci torniti, dalle ginocchia nervose e perfettamente disegnate… eppure le aveva avute tra le mani non più di qualche ora prima, mentre le mostrava gli esercizi da svolgere per la riabilitazione… Nella stanza fiocamente illuminata, la mezzosangue gli era parsa un’apparizione sensuale ed irresistibile.
Rimase fermo, contro il freddo legno della porta finché i battiti del  cuore non ripresero un ritmo accettabile, finché il suo respiro non si fu regolarizzato, finché quel bruciante ed improvviso desiderio non si spense nel petto e nei lombi.
Quando riconquistò il controllo su di sé, si allontanò un poco e dalla soglia notò che la luce era ancora accesa. La scoperta lo inchiodò di nuovo lì, incurante del freddo contro cui la sua elegante camicia bianca poteva fare ben poco. Se la immaginò sdraiata tra le coperte, forse leggeva un libro, forse tentava di addormentarsi… Corrugò la fronte e si passò nervoso una mano tra i capelli, sgomento per la sensazione che stava provando. Era così tanto tempo che aveva dimenticato che cosa voleva dire desiderare… ed ora il suo corpo glielo stava ricordando, in modo brutale.
Si voltò di scatto, incapace di sopportare oltre quei pensieri e si rifugiò nella propria camera.

 
Dobby lo attendeva sulla soglia della sala da pranzo, gli occhi fuori dalle orbite più del solito. Malfoy si fermò “Che cosa succede?”.
L’elfo suoteva la testa, afflitto, ed indicava la stanza “Dobby non ha potuto evitarlo”.
Senza attendere oltre, Draco oltrepassò la soglia e vide subito la Granger seduta al tavolo, intenta a spalmare un po’ di marmellata sul pane tostato. Lo guardò sorridendo “Buongiorno”.
Lui non rispose. Prese il suo posto al tavolo e si versò il caffè “Non ti sembra di esagerare?”.
Lei alzò le spalle “Forse un pochino. Ma ce l’ho fatta” accentuò il sorriso “Sono scesa da sola”.
L’uomo annuì “Quindi, tutto il buon senso di stanotte è evaporato”.
“Ho voluto provare” si giustificò Hermione “Non sai che significa per me”.
“Penso di poterlo immaginare” disse con sincerità Malfoy.
Lo sguardo stupito di lei lo imbarazzò. Aveva avuto una nottata d’inferno, aveva fatto incubi in cui si mescolavano scene del passato a visione impudiche della mezzosangue, e sapeva che non poteva reggere la sua compagnia e il suo sguardo tutto il giorno. Così si sentì dire “Ho molto da lavorare in laboratorio, oggi”.
La ragazza annuì “Ma certo, si”.
“Non potremo fare gli esercizi” continuò senza alzare gli occhi dal piatto “Dobby è a tua disposizione per ogni cosa, come al solito”.
“Va bene”.
Draco finì velocemente di fare colazione e si rintanò in laboratorio, deciso a non incontrare più lo sguardo della mezzosangue.
 
 

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Capitolo 12
*** Granger non deve andare ***


Hermione si aggirava per la villa, sempre più sicura sulle gambe, e perdeva lo sguardo per le stanze, infinite ed immense, sui dipinti, sui volumi, sugli arredi, su ogni particolare di quel luogo che aveva per tanto tempo odiato. Anche adesso, il salone, sebbene luminoso ed arredato con le comodità babbane più moderne, cosa stupefacente per uno come Malfoy, la metteva a disagio. Faceva finta di non averla, ma c’era, la cicatrice che Bellatrix, la pazza invasata mangiamorte, le aveva lasciato sulla pelle. C’era luce, nel salone, e le segrete non esistevano più, al loro posto il laboratorio del padrone di casa; la più bella musica babbana accompagnava le sue giornate, da Mozart, a Vivaldi, a Brahams. Anche in quel momento, mentre sedeva in biblioteca immersa nella lettura di un manuale di artimanzia, ora che le era possibile un minimo di concentrazione, le note della primavera di Vivaldi riscaldavano l’ambiente. E pazienza per la solitudine, dal momento che Draco, da un paio di giorni, a parte i momenti del pranzo e della cena, sempre consumata in fretta, era sparito. Le aveva lasciato una lista di cose da fare per il programma di riabilitazione – camminare mezz’ora nel parco, seguire Dobby nel giro d’ispezione, aiutare Dobby a pulire le verdure, attività che a suo dire la risvegliavano la muscolatura – e le prescrizioni medicali, e si era dileguato. Era sempre rintanato nel laboratorio, nel piano interrato, sempre preso dalla pozione che le avrebbe consentito, forse, di riacquistare la memoria dell’episodio che l’aveva ridotta in coma.
Hermione immaginava che non volesse incontrarla troppo spesso; aveva capito il tipo di vita che Malfoy conduceva da un anno a quella parte, per la verità non molto diversa da quella che aveva condotto lei in coma. Arthur le aveva detto del suo isolamento, del suo rifiuto di uscire dalla proprietà, delle sue resistenze a qualsiasi coinvolgimento. Era logico pensare che anche la sua presenza, fortemente voluta da Weasley, era vissuta dal serpeverde come un male necessario. Così si spiegava quell’improvvisa sparizione. Non era più venuto a leggere per lei o a salutarla prima di andare a dormire. La conclusione logica era che fosse giunto il momento di levare le tende. In fin dei conti, ormai camminava, era in grado di prendere le medicine da sola, poteva andare alla Tana, dai Weasley, e poi pensare ad una sistemazione sua, insomma, ce l’aveva quasi fatta. E per la memoria, be’, sarebbe tornata prima o poi e Draco poteva sempre mandarle la pozione via gufo o tramite il Ministro.
Più ci pensava, più si rendeva conto che era proprio il momento di andare e di provare a ricominciare. Certo, le sarebbe mancata la presenza di Dobby e le chiacchiere con lui, ma anche a questo si poteva trovare rimedio. L’elfo aveva dei giorni liberi e sarebbe potuto andare da lei. Insomma, si, Malfoy forse le stava facendo capire che era arrivato il momento di andarsene ognuno per la propria strada.
A parlare, era la ragione. Perché nella pancia, nel cuore, sentiva di avere paura. Uscire dalla villa significava tornare in un mondo dove Ron non c’era più, dove Harry era morto, dove tutto quanto rappresentava l’intera sua esistenza era scomparso. E il pensiero della solitudine che l’aspettava, nonostante le amorevoli cure dei Weasley, era nero e le impediva di dormire. Trascorreva la notte sveglia, a rigirarsi tra le lenzuola, poi si alzava e fissava a lungo oltre la vetrata, il panorama immerso nella notte. Aveva terrore della vita che l’attendeva, pur sapendo che ogni singolo abitante del mondo magico l’avrebbe salutata come l’eroina sopravvissuta, onorandola per il suo sacrificio e per il suo inaspettato ritorno.
Fu così che il terzo pomeriggio di quella solitudine, si decise a scendere nel laboratorio. Rimase ferma qualche minuto davanti alla porta ben chiusa, poi notò una specie di campanello sulla parete destra e lo premette. Un momento dopo, Malfoy comparve sulla soglia. Indossava il camice semi abbottonato, un paio di occhiali attraverso cui i suoi occhi sembravano enormi, e i guanti.
Hermione rimase interdetta. Le parve così simile ad uno scienziato pazzo, di quelli del telefilm babbani, che dovette trattenersi dal ridergli in faccia. Non c’era traccia del mantello, né della bacchetta.
Dopo averla fissata per un po’, sollevò gli occhiali sul capo e si tolse i guanti.
“A cosa devo questa visita?” le domandò guardandola impassibile “Stai male? E’ successo qualcosa?”.
Lei scosse il capo “No… ho bisogno di parlarti”.
Draco esitò un attimo, e lei colse quella ritrosia, rimanendone un po’ mortificata. Allora è vero, pensò, sta sempre qui per colpa mia.
Si spostò per farla passare e poi richiuse la porta “Dimmi, ti ascolto”.
Hermione lanciò un’occhiata in giro e rimase stupefatta per la modernità dell’ambiente. Tavoli d’acciaio, armadi scorrevoli con ante di metallo, ampolle dalle forme moderne e perfino il calderone sembrava una scultura d’avanguardia. C’erano pc dell’ultima generazione, dallo schermo piatto, e un forno a microonde.
“Granger ho da fare e…” ma lei l’interruppe subito “Si, lo so, non voglio farti perdere tempo” disse velocemente “Ecco. Ho deciso di andarmene”.
Lo vide sgranare gli occhi, pur mantenendo il suo aplomb.
“Si, vedi, sto bene” allargò le braccia tentando un sorriso “Cammino, mangio, sono autonoma quasi in tutto. Penso di poter andare. Starò qualche tempo alla Tana”.
Draco la osservò un momento, poi si mosse. Tornò alla sua postazione di lavoro e prese a sfogliare alcuni appunti. Passarono alcuni minuti, poi fece “Non credo che sia il caso”.
Hermione insisté “Lo dico seriamente. Sto bene, manderò un gufo ad Arthur”.
Lui alzò lo sguardo “Non capisco. Pensi di essere a posto solo perché ti reggi in piedi?” affilò lo sguardo e la ragazza, per un istante, rivide il vecchio Malfoy, pronto a colpire. Ed infatti lo sentì dire “Sei la solita so-tutto-io, a quanto pare”.
Lei non seppe che cosa rispondergli. Anzi, lo sapeva, ma non aveva intenzione di litigare. Lui l’aveva aiutata, tanto, e anche adesso lo stava facendo con la storia della pozione, così provò a contenersi, ma Malfoy proseguì con lo stesso tono “Ti ho già detto che ti sei alzata troppo presto, ma tu hai voluto farlo lo stesso. Adesso vuoi anche dimetterti da sola?”domandò tagliente “Ci vuole tempo per recuperare”.
“Posso farlo anche alla Tana” intervenne.
“Preferirei averti sott’occhio”.
A quelle parole, Hermione sospirò “Non è vero” lo fissò “Sai che non è così”.
Il ragazzo corrugò la fronte “Che stupidaggine, Granger”.
“Mi sento di troppo, a questo punto” proseguì come se nemmeno l’avesse sentito “Ti costringo a stare chiuso qui sotto, capisco che la mia compagnia non è esattamente la migliore per te…” sussultò, ad un tratto, e tacque, quando lo vide sbattere i pugni sul tavolo.
Perché non ho la bacchetta, pensò subito, sicura che l’avrebbe schiantata. Fece due passi indietro, tentando di mettere un po’ di distanza tra loro. Lo fissò ad occhi spalancati finché non alzò la testa ad incontrare il suo sguardo.
“Per dio, sanguesporco!” esclamò e a quell’appellativo Hermione ebbe un tuffo al cuore. Non lo sentiva parlare con quel tono da così tanto tempo…
Lo vide sollevarsi ed andarle vicino. Si fermò a pochi passi da lei “Sai perché sto chiuso qui? Sto qui per trovare la pozione per te! Per la tua memoria!” le abbaiava quasi, sporgendosi per rimarcare meglio le sue parole “Se è questo che intendi quando dici che mi costringi a stare qui, si, hai ragione!”.
Lei si era portata la mano alla bocca, sentendo le gambe tremare. Si rese conto di non averlo in realtà mai visto così alterato. Non stava ghignando, o canzonando, o facendo le cose che di solito faceva… No, Malfoy era arrabbiato, era furioso e lei non l’aveva mai visto così.
Tremò da capo a piedi quando si sentì afferrare per le spalle e scuotere.
“Non sai… non sai quel che faccio per ridarti la memoria…per te, per Weasley, per…. Per….” La voce si andò progressivamente smorzando, finché non fu che un sussurro. Sgomenta, Hermione lo sentì chinarsi ed appoggiare la fronte nell’incavo del suo collo. Tremante, la teneva così stretta da farle male… Dovette cercare un appoggio dietro di sé, sul bordo del tavolo.
Rimasero fermi in quella posizione per minuti che parvero secoli. Lui che respirava profondamente, forse cercando di recuperare un ritmo normale, lei che non osava muovere un muscolo per paura sia di perdere l’equilibrio sia di provocare una qualche reazione inaspettata.
Alla fine, Draco si sollevò, staccò le mani da lei, passandosele sul viso, stranamente arrossato. Per la prima volta, Hermione vedeva scomparso il pallore che lo contraddistingueva. Non la guardò negli occhi, mentre si ricomponeva, e non parlò. Dopo un attimo d’incertezza, le diede le spalle, si tolse il camice e gli occhiali e si avviò alla porta, lasciandola sola.
Quando si sentì abbastanza in forze, Hermione lo seguì. Salì le scale più rapidamente possibile e andò a cercarlo nello studio. Non c’era. Allora salì le scale e si fermò col fiatone davanti alla porta della sua stanza. Senza soffermarsi a pensare, bussò.
“Vattene” la voce di lui era ancora alterata.
“Devi lasciarmi spiegare”.
“Ho detto di andare. Non ora”.
Appoggiata alla porta chiusa, posò il viso sul legno freddo e chiuse gli occhi. Era sconvolta. La reazione di lui l’aveva colta di sorpresa e l’aveva spaventata. Fino a quel momento le era parso controllato, freddo, ed improvvisamente si era trovata davanti una furia. Le braccia ancora le dolevano per la stretta…
Sollevò le palpebre e vide Dobby, a pochi passi da lei. Sgranò gli occhi quando notò le lacrime scendere silenziose sulle guance scavate dell’elfo. Sussurrò “Che succede, Dobby?”.
L’elfo scosse la testa, abbassò lo sguardo, e poi di nuovo la fissò negli occhi.
“Granger non deve andare” scosse piano la testa “Non deve andare”.
 
Chiedo scusa a tutti per la lunga attesa. Spero da ora di riuscire ad aggiornare con maggiore continuità.
Ezrebet

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Capitolo 13
*** Conflitto ***


Le parole di Dobby, lungi dall’averle chiarito le ragioni di quella reazione inaspettata, le avevano per la verità suscitato un senso d’angoscia inspiegabile. Che entrambi non fossero più gli stessi era un fatto acquisito. Per qualsiasi motivo lo stesse facendo, Malfoy la stava aiutando ad uscire dal suo problema, si stava impegnando per renderle la vita migliore e di certo una grifondoro come era lei non poteva prescindere da questa certezza.
L’esitazione che aveva avuto in laboratorio, quando aveva rimpianto di non avere con sé la bacchetta, le pareva, adesso, assurda e perfino comica. Potevano essere rapporti cortesi e freddi, i loro, ma di certo Draco Malfoy non le avrebbe torto un capello, allo stato attuale.
E dunque?
Dobby, che col pianto in gola le aveva spiegato della solitudine del Dottore, della vita di lui, rintanata in una villa deserta e triste, piena di ricordi di morte e violenza, del silenzio invincibile che dominava quegli ambienti immensi, non le aveva in realtà chiarito nulla. Certo, le era parso evidente che Malfoy non provasse più alcuna repulsione per il suo sangue misto, che avesse del tutto abbandonato le teorie di Valdemort e di quel mangia morte di suo padre, che provasse addirittura un certo imbarazzato piacere nel parlare con lei… ma era sicura di essere fuori posto al Manhor, era sicura che la cosa più giusta da fare fosse andare via, tornare per un po’ alla Tana e ricominciare.
Ma Dobby. Dobby l’aveva quasi pregata di aspettare, in quella sua lingua strana e sgrammaticata, fra le lacrime a stento represse, e le smorfie assurde del suo muso da elfo. E Dobby era sincero, lo era sempre stato. Harry lo aveva considerato suo amico e un essere di cui fidarsi, perciò… In quegli occhi così sgranati Hermione aveva letto una supplica e ne era rimasta invischiata.

“Volevi parlarmi”.
La voce di Malfoy la riscosse. Si voltò e lo vide fermo sulla soglia del salone, lo sguardo serio puntato in quello di lei.
“Si” si affrettò a rispondere “Era per quanto successo in laboratorio..” ma lui la fermò con un cenno della mano “Non importa. Hai tutte le ragioni per volertene andare da qui” disse in tono frettoloso, avviandosi verso il camino, dove il fuoco stava languendo. Si chinò per riattizzarlo, senza aggiungere altro.
Hermione rifletté un momento, indecisa su come proseguire la conversazione.
Inutile negarlo; sapeva esattamente a che cosa si riferiva Malfoy. Sapevano entrambi che nessuno avrebbe voluto trascorrere del tempo nel luogo in cui aveva rischiato di morire in seguito ad una atroce tortura. Ma non era questo il punto. La convinzione di lei di andarsene si basava su una sensazione, la sensazione di essere di troppo, perché il padrone di casa aveva preso ad evitarla molto di più di quanto non avesse fatto all’inizio di quella strana convivenza. L’idea che lui volesse sottrarsi alle proprie responsabilità mosse non poco il suo animo grifondoro.
Respirò e disse “Non è di me che intendo parlare”.
Lui mosse appena la testa, senza girarsi. Si sollevò e si appoggiò alla mensola, sospirando.
“Credevo che volessi andartene. L’hai detto non più di un paio d’ore fa”.
“Mi sembra naturale. Credevo che potessimo mantenere un rapporto civile, che potessimo parlare senza evitarci. Ma a quanto pare, certi pregiudizi sono duri a morire” lo provocò, cercando una reazione, che puntualmente avvenne.
Malfoy si voltò, gli occhi ridotti a due fessure “Che cosa stai dicendo?”.
“Che sono stanca di essere evitata per un assurdo pregiudizio” alzò le sopracciglia “Se la mia presenza qui è di così grande disturbo, be’, io me ne vado subito”.
Lui rimase a fissarla per qualche secondo. Hermione non poteva nemmeno sospettare il marasma che si era scatenato in Draco. La sua presenza alla villa, il modo in cui riusciva a parlarle, nonostante tutte le sue paure, l’attrazione che gli aveva risvegliato dentro l’altra notte… e ora, che lo fissava con sguardo fiero, così da lei, da annientarlo e rendergli impossibile qualsiasi discorso.
Strinse la mascella, Draco, s’irrigidì, stringendo i pugni abbandonati lungo i fianchi.
Trascorsero così un paio di minuti, finché non si sentì dire “Vai, se devi andare” le parole gli uscirono incontrollate, e lui era troppo spaventato per poterle contrastare “Non posso certo trattenerti contro la tua volontà”.
Hermione sentì montare la rabbia dentro, in un moto così improvviso da lasciarla senza fiato. Si sentì il viso in fiamme, il cuore che martellava, il respiro affannato.
Intrattabile, maledetto ex mangiamorte. Codardo.
“Codardo” sibilò senza neanche accorgersi di parlare a voce alta.
Lo vide sgranare gli occhi. Sarebbe anche indietreggiato se la parete non glielo avesse impedito. Lo fissò dritto negli occhi, chiedendosi dove si fosse perso quell’insopportabile, spocchioso ragazzetto purosangue dalla smorfia sprezzante stampata in faccia. Le pareva di avere a che fare con un impenetrabile muro di gomma, e la cosa la faceva imbestialire.
“Codardo” ripeté più convinta “Perché non dici la verità? Che hai condotto una vita di merda, chiuso qui dentro? Che hai paura di tutto, del tuo passato, del  tuo futuro, che ti sei seppellito vivo per paura?” sputò quasi ringhiando.
Draco non riuscì a ribattere. Era come congelato nella sua posizione, la fissava ad occhi spalancati, sembrava un’ombra, un fantasma, una esile canna pronta a spezzarsi… Ma Hermione non ebbe pietà. Lui, che la spronava a raccogliere le forze, che si impegnava per farla rivivere, che l’aveva accolta per aiutarla a guarire… Ipocrita.
“Ipocrita” inveì.
Il silenzio fu rotto dai passi di lui, che marciavano verso la porta. A testa bassa, furente, il ragazzo le passò accanto e lei poté quasi sentire la sua rabbia repressa. Quando fu alla sua altezza, lo prese per un braccio, trattenendolo.
Lui si voltò di scatto, fissò la  sua mano su di sé, poi incontrò i suoi occhi.
“Come ti permetti? Lasciami” la strattonò, liberandosi.
“Oh, disonore! Macchiato da una sanguesporco” lo redarguì, tirando le labbra in una smorfia sprezzante “Che disonore… mangiamort….” Ma non finì la frase, perché Draco si avventò su di lei, bloccandola tra le sue braccia, e le cercò la bocca, in un bacio improvviso e doloroso.
Hermione, troppo scioccata per reagire, non si divincolò. Si lasciò baciare, ferire dall’impeto. Ma non durò più di un attimo.
Malfoy si allontanò, come scottato, e dopo averle riservato un’occhiata che le parve disperata, si allontanò di corsa. La ragazza sentì chiaramente lo sbattere della pesante porta del laboratorio.
Ancora tremante per la rabbia e per lo shock, cosciente di averlo spinto lei stessa a quell’eccesso, si sfiorò le labbra. Poi guardò le dita. Sangue.

Quando si fu calmata, si avviò alle scale. Le discese e si fermò all’ultimo gradino, gli occhi puntati sulla porta del laboratorio. C’era Dobby, fermo, che fissava il legno ed ascoltava i rumori che provenivano dall’interno. Il fracasso rimbombava per i corridoi del manhor; Malfoy stava distruggendo vetri, ribaltando tavoli e sedie, strappando appunti… Sospirando, Hermione si sedette sul penultimo scalino, i gomiti puntati sulle ginocchia, le mani a sorreggere il viso. Solo allora Dobby si voltò e lentamente la raggiunse, sedendole accanto.
Dopo un tempo che parve infinito, non si sentì più nulla.
“Merlino, che reazione” sussurrò lei in tono preoccupato “Ho esagerato. Ho sbagliato. Avrei dovuto agire diversamente”.
“Harry Potter diceva che Granger non sbagliava” ribatté l’elfo.
Sentir nominare l’amico, le strappò un sorriso triste “Si… forse lo diceva. Ma era diverso. Tutto è cambiato” tornò a guardare in direzione del laboratorio.
“Non era mai successo. Il Dottore non aveva mai… distrutto tutto” rivelò Dobby.
“Mi dispiace…io…” ma Dobby scosse la testa “Granger non deve dispiacersi. E’ giusto così. Poi, Dobby rimette tutto a posto”.
Molto dopo, sentirono la serratura scattare e Draco comparve sulla soglia. Alzò la testa e quando li vide, non parve sorpreso.
Hermione si sollevò e così fece l’elfo. Lo guardò avvicinarsi esitante, tentare, inutilmente, di evitare gli occhi di lei.
Stava per dire qualcosa, ma la ragazza lo precedette “Mi dispiace. Non avrei dovuto”.
“Mezzosangue, lasciami parlare” la interruppe.
Si guardarono e poi, come fosse la cosa più naturale del mondo, Hermione gli scivolò tra le braccia, affondando il viso nel suo petto.

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Capitolo 14
*** Specchi Riflessi ***


Hermione guardava distratta il giardino, al di là dei vetri, mentre mescolava lentamente lo zucchero nella tazza di latte. Era notte fonda, ma il giardino era ben illuminato dall’impianto elettrico che Malfoy aveva installato. La scoperta, all’inizio, l’aveva sorpresa, ma adesso ne era felicissima. I fiori e i vialetti di ghiaia erano meravigliosi anche di notte.
Nonostante la stanchezza accumulata e la debolezza, non era riuscita a prendere sonno. Tutto ciò che era accaduto durante il giorno l’aveva scombussolata, aveva in qualche modo messo in una nuova luce tutta la questione. Si era trovata a consolare un Draco scosso, confuso, dispiaciuto, che mostrava una fragilità impensabile. L’abbraccio, così spontaneo, aveva vinto ogni resistenza e il biondo purosangue l’aveva seguita docilmente di sopra, davanti al camino, recuperando l’autocontrollo, spiegandole perché avrebbe dovuto rimanere.
“Sei ancora convalescente, Granger” aveva cominciato, ma l’occhiata di lei l’aveva indotto ad abbandonare ogni tentativo di dissimulare la realtà. Così, l’aveva sentito dire “La tua presenza qui è necessaria. A te e anche a me” aveva aggiunto a voce bassa “Avere a che fare con te, ora che ti sei svegliata, è stimolante… ma anche prima” esitò un momento, corrugando la fronte “… anche prima, quando eri in coma, rappresentavi un forte stimolo per me, per studiare, per darmi da fare…” la fissò risoluto “E devo a Weasley troppo per lasciarti andare via prima della completa guarigione”.
Hermione rise tra sé, ricordando lo sguardo scettico che gli aveva riservato “Insomma, mi stai usando”.
Malfoy aveva sgranato gli occhi “No! Io…no”.
E poi avevano cenato, con Dobby che saltellava intorno alla tavola più agitato del solito. Forse era il suo modo per dimostrare la sua contentezza.

Sorseggiò il latte, poi posò la tazza sul tavolo e si alzò. Trasalì quando vide Draco fermo in mezzo alla stanza, le mani affondate nella tasca della vestaglia, gli occhi puntati su di lei.
“Nemmeno tu riesci a dormire, a quanto pare” le disse abbozzando un sorriso.
Hermione annuì, imbarazzata per non essersi accorta della sua presenza.
“Ma dovresti” la redarguì muovendosi verso il mobile bar. Si versò una generosa dose di liquore “Ne vuoi un po’? Non interferisce con la terapia, stai tranquilla” scherzò prima di berne un sorso.
“No, grazie. Bevo solo latte e burrobirra” sorrise lei, chiudendosi i lembi della vestaglia sul seno.
Draco annuì “Ottima scelta”.
Incerta su come muoversi, la ragazza rimase immobile un lungo momento, poi, alla fine, decise di tornare in camera. Sussurrò “Be’… io salgo… buonanotte” fece per andare quando lui la richiamò “Mezzosangue”.
Le si voltò ed incontrò i suoi occhi nella penombra. Lo vide esitare, passarsi distrattamente una mano tra i capelli biondissimi, sospirare, e poi dire “Quel che intendevo, oggi, è che sono contento…” s’interruppe e la fissò “…sono contento che ti stia riprendendo e che tu lo faccia qui”.
Hermione sentì le lacrime pungerle gli occhi.

Se fossi qui, Harry, non crederesti alle tue orecchie. E’ Malfoy, lo stesso che ha perseguitato te e me per anni, lo stesso che ha tentato di ammazzare Silente, lo stesso che ha il marchio del tuo peggior nemico.

Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma Malfoy riprese a parlare “Mi dispiace… che le cose siano andate così. Che siano tutti morti, che tu abbia perduto i tuoi amici…e Weasley…” la guardò “Mi dispiace”.
Il cuore di lei era impazzito nel petto. Batteva e batteva, rendendole impossibile respirare. E poi lo sforzo per trattenere quelle odiose lacrime, così inadeguate per una grifondoro. Non riusciva a pensare lucidamente a che cosa dirgli, mentre lui sembrava così sicuro.
“La mia parte, quella sbagliata, ha provocato tutto questo. Io stesso non ho fatto nulla per fermare lo scempio… Non sai che significa portare questo peso” con uno scatto, bevve tutto il contenuto del bicchiere, sbattendo poi il vetro sul tavolo.
Hermione lo ascoltava, sgomenta ed incapace di dire alcun che. Lui stava dicendole quanto lei e Harry e tutti gli altri avevano sempre saputo e le ragioni per cui avevano combattuto, sempre, fino in fondo. Ma vedere le cose dalla prospettiva di Malfoy era ancora più insopportabile. La guerra gli aveva portato via tutto, madre, padre, amici, lasciandolo solo nella villa in cui molti avevano sofferto ed erano morti.
Un supplizio cui non si era sottratto nemmeno per un minuto.
“Credo che prendermi cura di te mi abbia dato una ragione” confessò alla fine, con un filo di voce, abbassando il capo.
Ci fu un lungo silenzio, durante il quale Hermione non gli staccò gli occhi di dosso, quasi ipnotizzata dall’uomo che si trovava davanti. Dentro di sé, sapeva che era sincero, che non c’era più nulla della serpe che aveva conosciuto, ma ugualmente non sapeva che cosa fare, né cosa dire. Le pareva così fragile da poter spezzarsi con un alito di vento. Si domandò che cosa avrebbero detto di lui i suoi amici serpeverde nel sentirlo parlare così.
Come leggendole nella mente, lui fece “Chissà che direbbe di me Zabini… o mio padre” aggiunse scuotendo la testa. Poi, si versò dell’altro alcool.
Fu allora che Hermione riuscì a dire “Basta alcool, Draco. Non ne hai bisogno” si accorse che stava tremando “Non c’è Zabini, né tuo padre… solo io ti sto ascoltando”.
Le dita di Malfoy si strinsero di più attorno al bicchiere, che rimase sul tavolo, pieno. Alzò lo sguardo e la fissò “Non avere pietà di me, Granger” il suo tono era soffocato “Non mi merito niente. Figuriamoci la tua compassione”.
Le gambe di lei si mossero di propria volontà. Si trovò accanto a lui, la mano sul braccio, a fermare il suo atto. Il bicchiere rimase a mezz’aria. Poi, superato il momento, glielo prese dalla mano e lo appoggiò di nuovo sul ripiano.
Draco si voltò a guardarla “Non voglio la tua pietà” ribadì. I loro sguardi si scontrarono, vicinissimi. Hermione poteva vedere il suo turbamento, il rimorso che lo dilaniava, la tensione che gli stirava i lineamenti. Era sorprendente come riuscisse a leggergli dentro, in quel momento.
Un pensiero la colpì improvvisamente, come uno schiaffo in pieno viso.

E’ perché anch’io provo quel che prova lui… Il rimorso per essere ancora qui, mentre tutti gli altri se ne sono andati, il rimpianto di non aver fatto di più e di meglio, tutta la mia bravura non è servita a niente.

Una lacrima a lungo repressa scivolò sulla sua gota mentre scuoteva la testa “No. Non ho pietà per te, Malfoy”.
Gli occhi di lui le scrutarono il volto, frenetici. E di nuovo di ritrovarono stretti l’uno all’altra, in un abbraccio da togliere il respiro.
Draco respirava a fatica, sentendo il suo calore. La mezzosangue era così magra, eppure il suo corpo lo stava avvolgendo come un caldo mantello, lo stava riscaldando, lui che il calore credeva di averlo perduto per sempre nei sotterranei del Manhor. Se la strinse contro, una mano attorno alla vita, l’altra affondata nei capelli scuri, corti, così diversi da quelli che aveva sbeffeggiato ai tempi di Hogwarts. Si staccò appena per cercarle gli occhi, trovarli, vederli luminosi ed appannati, forse sgomenti ed increduli per quel che stava accadendo. Le sfiorò le labbra, le guance, i contorni del viso, quegli stessi occhi che si chiusero per ricevere il bacio. E poi affondò di nuovo il volto nell’incavo della spalla di lei, sollevandola tra le braccia.
Non c’era mai stato, nel suo mondo, un luogo così caldo ed accogliente.

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Capitolo 15
*** Nonostante Tutto ***


Dobby si bloccò un attimo prima di entrare. Di solito, a quell’ora, pochi minuti prima dell’alba, faceva un giro del piano del terra del manhor, un’abitudine che era dura a morire. Controllava che non fosse rimasto in giro nulla, bicchieri, stoviglie, cose fuori posto, e che tutto fosse pronto e immacolato al risveglio dei padroni. Il Dottore l’aveva dispensato dal compito, da quando era divenuto padrone unico della villa, e tuttavia Dobby non riusciva a smettere.
Ma quella notte, dovette fermarsi sulla soglia. I suoi sensi di elfo, acuti e pronti, lo avvisarono che c’era qualcosa di diverso. La pesante porta intarsiata era aperta a metà, una debole luce proveniva dalle braci del caminetto ed illuminava la parte della stanza che vedeva dalla sua posizione. Posò le mani sul legno e si sporse leggermente, mostrando la sommità del capo e delle lunghe orecchie. Guardò in direzione del camino e strabuzzò gli occhi, trattenendo a stento l’urletto di sbalordimento che gli gonfiò petto e gola. Si ritrasse, come scottato, poi, come per accertarsi di aver visto bene, ritornò ad occhieggiare, trattenendo il fiato. Non si era per nulla sbagliato.
Sul divano che occupava il lato sinistro della sala, dando le spalle alle finestre, erano sdraiati il Dottore e Hermione Granger. Avvolti nelle vestaglie di seta, giacevano insieme tra i cuscini; la ragazza, girata lievemente di fianco, posava la schiena al torace di lui, avvolta dalle sue braccia. Dormivano placidamente, e dallo stato del fuoco nel camino, Dobby comprese che era un po’ che lo facevano.
Col cuore in subbuglio, e una strana frenesia che lo percorreva tutto, impedendogli di muoversi con la consueta fluidità, corse al piano di sopra, aprì rapidamente il grande armadio che custodiva coperte di ogni tipo e dimensione, ne prese una e tornò sui suoi passi. Ma a pochi metri dalla soglia della sala si fermò. Una coperta avrebbe di certo scaldato maggiormente i due, ma avrebbe anche svelato il suo passaggio nella stanza,  e Dobby sapeva che qualsiasi cosa fosse successa in sala era senz’altro meglio che restasse privata, che si svolgesse senza interferenze. Era un elfo, dopotutto, un maggiordomo, e non aveva alcun diritto di interferire, soprattutto dal momento che le cose stavano andando benissimo lo stesso.
Così, cercando di fare meno rumore possibile, girò sui tacchi e tornò alle sue mansioni.
 
Nel dormiveglia, Hermione si accorse vagamente che qualcuno si era mosso, le aveva sistemato addosso una coperta e si era allontanato. Le ci vollero alcuni secondi per ricordare. Quando lo fece, si sollevò un poco, e guardandosi intorno, vide Draco intento a riattizzare il fuoco. Indossava la vestaglia scura della sera prima e, dando una rapida occhiata a se stessa, vide che anche lei era nelle stesse condizioni.
Il frusciare della coperta fece voltare Draco. I loro occhi s’incontrarono e lui sorrise “Buongiorno. Mi spiace averti disturbato, ma faceva freddo.. è appena l’alba” le spiegò, sollevandosi e infilando le mani nelle tasche.
“…abbiamo dormito qui?” chiese lei stupita.
Al suo cenno d’assenso, scosse la testa “…non riesco a ricordare di essermi addormentata…” poi ripensò al bacio di lui, al suo abbraccio, inaspettato e caldo, e si trovò ad arrossire. Forse Malfoy s’accorse del suo imbarazzo, perché disse “Vuoi fare colazione? E’ un po’ presto, ma io ho un certo languorino”.
Ripresasi dal momento, Hermione lo seguì. Percorsero il corridoio deserto del piano terra e entrarono in cucina. Di Dobby nemmeno l’ombra.
“Be’, è strano” fece Draco aprendo il frigorifero “A quest’ora, di solito, è già qui che spignatta” prese dal ripiano il latte e lo versò nel bollitore “Ci vuoi i biscotti o un po’ di pane e marmellata?” le domandò, aprendo vari sportelli per cercare zucchero e cacao.
“Biscotti” gli rispose, sbalordita dalla sicurezza con cui lui si muoveva in cucina. Aveva immaginato che non sapesse neanche dove fosse, la cucina, che non fosse in grado di mescolare da solo lo zucchero nel the, dati i suoi trascorsi, ed invece, eccolo lì, a preparare una cioccolata calda davanti ad una modernissima stufa a gas.
“Ti stupisci, Granger?” fece, lanciandole un’occhiata divertita al di sopra della spalla “Un uomo deve sapersi arrangiare” le spiegò, continuando a mescolare il latte e il cacao.
“Indubbiamente” fece lei, senza distogliere lo sguardo “E non di meno sono stupita” ammise, sedendosi al tavolo.
Lui rise, gettando indietro la testa, facendole sgranare gli occhi ancora di più. Non aveva mai visto Malfoy ridere. Ghignare, fare smorfie simili a sorrisetti, fare battute, specialmente su di lei, ma mai ridere con spontaneità.
“Per Merlino” Draco spense il fornello e posò la pentola sul tavolo “Non che io passi le notti a fare cioccolata calda, intendiamoci” versò nelle tazze. Gliene porse una e si mise a sedere “Ma credo di saperla fare”.
Mentre l’assaggiava, Hermione rivide quanto successo qualche ora prima. Si erano abbracciati e baciati, a lungo, intensamente, e le era piaciuto… Si era inaspettatamente rilassata tra le sue braccia, e poi si era accoccolata, lasciandosi andare al sonno. Aveva dormito così ed era stata bene.
Sentì un nodo allo stomaco, mentre fu sicura di essere arrossita. Sperò che la luce soffusa nascondesse questo particolare al ragazzo, intento a sgranocchiare biscotti. Quando alzò gli occhi, lo trovò intento a fissarla, serio.
Stava sicuramente ripensando anche lui a quanto accaduto. Lo vide finire la cioccolata e sedersi più comodo sulla sedia, sempre guardandola.
“Granger, riguardo a stanotte…” cominciò corrugando la fronte. Lei sussultò, non aveva creduto che volesse essere così diretto. Strinse la mascella e lo stesso fece con la tazza, tanto che le si sbiancarono le nocche.
“Non importa, Malfoy” fece, troppo agitata per lasciarlo continuare “Abbiamo avuto una discussione, uno scambio d’idee, e ci siamo chiariti e…” ma lui si alzò, zittendola, girò intorno al tavolo e quando le fu di fronte, la costrinse a fare altrettanto. Le prese una mano tra le proprie e parve studiarla a lungo prima di dire “E’ un anno ormai che vivo fuori dal mondo, per mia scelta. E l’anno precedente…” fece una pausa, mantenendo lo sguardo basso “…i miei rapporti con le persone erano contorti, sbagliati… basati su presupposti privi di consistenza o sulla minaccia” finalmente incontrò i suoi occhi “Sono…” parve cercare le parole “Sono contento che tu sia qui”.
Hermione, che era rimasta come in apnea durante tutto quel discorso,riprese a respirare e tentò un sorriso. Draco la guardò ancora, poi si avvicinò di più, le circondò la vita con le braccia e la attirò a sé. Le trovò le labbra e la baciò, prima timidamente, poi, quando s’avvide che non si ritraeva, intensificò il contatto, premendole dolcemente una mano sulla schiena. Lei lo ricambiò, lasciandosi invadere da lui, lasciandosi stringere e guidare, e che, quando si staccarono per prendere fiato, s’appoggiò al suo petto e chiuse gli occhi.
Passarono alcuni momenti, poi fu Draco a interrompere il silenzio dicendo “Forse è meglio che tu riposi un po’. Sei in convalescenza e non è il massimo dormire su un divano”.
Hermione non disse niente. Insieme, ripulirono la cucina e poi si avviarono al piano nobile. La scortò fin davanti alla porta. Si guardarono un momento, poi le accarezzò una gota con un lieve sorriso e si allontanò.
Nonostante l’agitazione ed il languore che le avevano improvvisamente invaso cuore e cervello, la ragazza, esausta, cadde in un sonno profondissimo.
 
Draco trascorse gran parte della giornata in laboratorio. Lavorò a lungo tra tomi magici e testi della medicina babbana, cercando indizi e spunti per proseguire la sua ricerca. Ora più che mai era necessario che la Granger ritrovasse la memoria e la causa del suo coma. Cercava di concentrarsi, Draco, ma era difficile, perché non sentiva altro che la voce di lei, non vedeva altro che i suoi occhi, non avvertiva altro che le sue labbra. E tutto questo, lo distoglieva dal suo impegno. E più si affannava sui libri e al microscopio, e più sentiva la presenza della mezzosangue nella stanza, vicino a lui, davanti a lui, stretta a lui.
Esausto, sospirò, chiudendo con un tonfo il volume che stava consultando. Aveva tentato di evitarla in ogni modo, di ignorare il turbamento, di immergersi nello studio, ma non era servito a niente. In verità, l’aveva sottovalutata. La Granger aveva chiesto spiegazioni, l’aveva messo all’angolo, senza neppure immaginare dove li poteva portare quel confronto.
Era stato sincero con lei, l’isolamento autoimposto era stato per lui totale, da più di un anno non comunicava regolarmente con un essere umano, tantomeno aveva rapporti di qualunque genere con una donna. Aveva quasi dimenticato la dolcezza, la passione, la voglia di qualcuno. Quasi. Perché era bastato mollare l’autocontrollo un attimo per trovarsi immerso fino al collo nella tentazione, nel desiderio, nella necessità di stringerla, parlarle, baciarla, accarezzarla.
Stinse le mani a pugno, mentre la rivedeva abbandonata nelle sue braccia, rapita, arrendevole. Chiuse gli occhi, riassaporando la sensazione del corpo di lei, così magro ed ancora debole, abbracciato al suo. Il desiderio lo fece boccheggiare. Si alzò dal tavolo di lavoro,appoggiò le mani alla parete opposta, piegò la testa, tentando di recuperare il controllo.
Non poteva fare quel che tutto il suo essere gli stava chiedendo, e cioè correre di sopra, e prendersi tutto, corpo, anima e cuore della mezzosangue. Non poteva cedere all’istinto di salire e sbatterla sul letto e prenderla e riprenderla, facendola affondare insieme a lui in quel mare di puro desiderio che gli aveva risvegliato dentro in così poco tempo. Non poteva.
Nella sua esistenza, Draco aveva avuto soltanto un paio di ragazze, Pansy Parkinson e Astoria Greengrass, con cui era uscito ai tempi di Hogwarts. Aveva voluto bene e desiderato entrambe, e la loro morte durante la guerra l’aveva lasciato frastornato ed incredulo. Entrambe le ragazze avevano perso la vita a Hogwarts e senza nemmeno sapere perché, o forse lasciandosi coinvolgere perché troppo deboli per opporsi ad un destino imposto. Pensava anche a loro, nelle notti insonni alla villa, quando, invece di dormire, vagava da una stanza all’altra maledicendosi per essere sopravvissuto, per non essere morto ammazzato come tutti gli altri.
Aveva creduto di non poter più stringere nessuno a sé come aveva stretto loro, aveva creduto che il desiderio, la voglia di qualcuno non l’avrebbe più sfiorato, dopo la tragedia che l’aveva investito.
E invece, improvvisamente, voleva la Granger. La voleva al manhor, la voleva nella sua vita, la voleva vicina.
Si decise ad uscire dal laboratorio che era ormai pomeriggio. Salì piano le scale e si bloccò sull’ultimo gradino quando sentì la risata cristallina di lei. Proveniva dall’esterno. Velocemente, raggiunse l’ingresso e rimase senza fiato nel vederla in mezzo ai fiori ed alle siepi che attorniavano il vialetto di ghiaia. Un cappello sghembo in testa, una tuta da giardiniere addosso, era inginocchiata davanti ad un vaso insieme a Dobby; stavano trapiantando petunie.
Gli esplose qualcosa in mezzo al petto, qualcosa che lo bloccò sulla soglia dell’enorme portone, che gli impedì di fare un passo in più, costringendolo a rimanere così, fermo, a contemplarla. E non perché fosse particolarmente bella o affascinante, no. Perché era vita. Vita allo stato puro, nonostante tutto.


 

Un saluto e un augurio di un fantastico 2013!
Ezrebe
t

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Capitolo 16
*** Il Tempo Ritrovato ***


Fece un passo indietro, dicendo tra sé “Solo, non stancarti” e la vide alzare lo sguardo, come se lo avesse sentito. Senza smettere di sorridere, gli fece un cenno di saluto, sollevando il vasetto che reggeva tra le mani, la buffa espressione che seguì sembrava dirgli “Chissà che ne esce fuori!” e rise anche lui.

Era troppo. Si rendeva conto da solo che non avrebbe retto a lungo. Non dopo un anno di solitudine e rifiuto, non dopo aver sentito la morte, averla desiderata, averla voluta con tutta se stesso. Era come essere investito dalla luce dopo il buio assoluto, impossibile accettarla immediatamente. Era ironico, addirittura crudele che quella luce avesse il nome e il volto della mezzosangue. Hermione Granger.
Al riparo, nella penombra dell’ingresso, Draco si trovò a fissare il prezioso pavimento in marmo, rivedendo alcune scene di anni prima che credeva di aver dimenticato. Rivide se stesso circondato dalla corte di Serpeverde, vagare per i corridoi di Hogwarts, lanciare insulti e occhiati sprezzanti in giro, senza risparmiare niente a nessuno, nemmeno a lei. Soprattutto, a lei.
Mezzosangue, zannuta, sangue sporco, so tutto io.
Assottigliò lo sguardo, a quei ricordi, adesso più pungenti che mai. Emergevano da un momento della sua vita che aveva creduto morto e sepolto con tutti gli altri suoi protagonisti, insieme a quel mondo assurdo e violento in cui era cresciuto.
“Malfoy” la voce di lei lo riscosse. Alzò lo sguardo e incontrò i suoi occhi, scuri e ficcanti, dai quali sembrava impossibile fuggire. Pensò che fossero come il petrolio, denso e vischioso, in cui rimanere invischiati. Una trappola.
“Spero di non combinare un guaio, in giardino. Io e Dobby non siamo certo giardinieri provetti” sorrise ferma sulla soglia. Lui scosse la testa, riuscendo a mostrare un mezzo sorriso “Dobby ci sa fare”.
Rimasero così, fermi, a un metro di distanza, incapaci, forse, di muoversi in quella nuova situazione che si era creata. Malfoy la fissava, chiedendosi che cosa si aspettasse da lui, dopo quando accaduto la notte precedente, e nello stesso tempo, si dava dello stupido.
Lei è la Granger, tu sei un mangiamorte…
Ma Hermione si mosse, coprendo la distanza. Quando gli fu davanti, senza perdere il sorriso, sussurrò “Immagino che tu non abbia mangiato. Ti preoccupi così tanto per me e poi non ti curi di te stesso” lo rimproverò dolcemente “A pranzo, Dobby ha cucinato delle ottime crepes” gli voltò le spalle e si diresse verso la cucina.
La seguì in silenzio. La guardò accendere i fornelli e preparargli la tavola lì, nella cucina del manhor, proprio come la notte precedente aveva fatto lui. Gli fece cenno di sedersi. Trafficò qualche minuto, poi gli mise davanti un piatto anche troppo abbondante.
Si sedette e lo guardò sbocconcellare. Ma Draco aveva lo stomaco stretto, era imbarazzato, a disagio, la testa in fiamme. E si stava dando dello sciocco. L’altro Draco, quello della vita precedente, avrebbe saputo che cosa fare. La testa piena degli insegnamenti di Lucius , avrebbe preso quel che voleva senza nemmeno chiedere; e in quel momento, voleva disperatamente un abbraccio da lei.
Alzò lo sguardo, appoggiando la forchetta sul tavolo, ed incontrò di nuovo quello di lei. Non sapeva interpretare le sue espressioni, o forse era troppo annebbiato dalla confusione che aveva dentro per poterlo fare. Riuscì a dire, dopo essersi schiarito la voce con un colpetto di tosse “Devo mandare un gufo a Weasley per informarlo dei tuoi progressi…” gli mancò la voce quando sentì la mano di lei sfiorargli le dita. Abbassò lo sguardo e sussurrò “Granger…”.
E poi non disse altro. Hermione intrecciò le dita con le sue, la sentì un po’ tremante, e capì che stava provando le stesse cose che provava lui. Alzò gli occhi e li piantò in quelli di lei, trovandoli increduli, pieni di speranza, paura, forse.
Si alzarono insieme e si abbracciarono, in quel modo famigliare, che avevano imparato a conoscere e condividere. Draco posò la fronte a quella di lei, col cuore che gli rotolava nel petto, impazzito.
“Granger… io… non so se è una buona idea…” ma i suoi occhi dicevano un’altra storia “E’ così tanto tempo che non…” ma le labbra di lei fermarono il suo balbettio. Gli accarezzò le labbra e lui si trovò a ricambiare.
Si baciarono a lungo, appoggiati al tavolo della cucina, lei incastrata perfettamente tra le gambe di Draco, con le braccia posate sulle sue spalle. Baci e baci, lievi, più profondi, imbarazzati, lunghissimi.
Hermione si sentiva accaldata, e incredula. Incredula di quel che stava facendo e, soprattutto, sentendo. Era un languore delizioso, acceso dalla mano di lui, che le accarezzava lentamente la schiena, stringendosela addosso in una morsa invincibile.
Entrambi sapevano quel che stava per accadere. Con un sospiro, Draco si staccò e le sussurrò sulle labbra “Sei in tempo, Granger…”.
Per tutta risposta, lei lo costrinse a guardarla “Ho perso anche troppo tempo, Malfoy. E anche tu”.
Si guardarono un momento. Poi, Draco si sciolse dall’abbraccio senza lasciarle la mano e si avviò con passo deciso verso la scalinata.
In un attimo, erano davanti alla porta di camera sua, dentro, camera sua, di nuovo stretti l’una all’altra. Le slacciò la tuta, lasciandola cadere a terra. Magra, troppo magra, eppure così desiderabile, in quella biancheria intima semplice, bianca, da Granger. Le baciò il collo, e le spalle, accarezzandole piano, quasi con reverenza, il seno, la curva del fianchi, dei glutei, sentendo le mani di lei che lo liberavano della camicia, gli slacciavano i pantaloni, lo stringevano a sé.
Si sedette sul letto, appoggiandosi alla testiera, portandola con sé, lasciando che gli circondasse i fianchi con le gambe, lasciandole il comando ed insieme la possibilità di ritrarsi. Ma lei lo accolse guardandolo dritto negli occhi, abbandonando ogni imbarazzo, e poi lasciando che appoggiasse il capo sui seni, in quel momento così frenetico e dolce.
Era così tanto che, entrambi, non sentivano tutta quella vicinanza, quel calore, e non era soltanto un fatto fisico. C’era dell’altro, oltre due corpi che si univano, c’erano due mondi, due solitudini, due distanze che si congiungevano. Due esistenze credute perdute che ritrovavano la luce.



Ciao! Voglio ringraziare tutti quelli che seguono questa storia d'amore e redenzione. Siamo quasi alla fine e spero che la direzione presa dagli eventi non deluda nessuno.
Un abbraccio, Ezrebet

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Capitolo 17
*** Non Ti Conosco ***


Le braccia di Malfoy la circondavano morbide, le dita di lui erano intrecciate sotto il suo seno, il viso che sfiorava i capelli.
Impossibile dormire, con quel sole autunnale che invadeva la stanza. Nessuno dei due dormiva, nessuno dei due parlava.
Hermione non voleva muoversi, forse per timidezza, forse per non spezzare quel momento tranquillo, forse perché le piaceva quel contatto con lui. Forse, tutte e tre le cose.
Sentì la scossa, quando le labbra di Draco si posarono lievi tra i suoi capelli, non era un vero bacio, solo uno sfiorarsi. E per lei fu come un segnale.
Si mosse, rigirandosi nell’abbraccio, ed incontrò i suoi occhi. Si guardarono un momento, poi lo sentì dire “Pensavo stessi dormendo”.
“No… stavo…” parve incerta “…pensando”.
Lui sorrise “Ci mancherebbe altro. Il cervellino della Granger è sempre in azione” non c’era sarcasmo nella sua voce e questo la intenerì. Sollevò una mano e gli sfiorò una guancia “Sempre…”.
“E stavi pensando a…” lasciò la frase in sospeso, muovendo la testa per seguire la carezza.
Hermione sollevò le sopracciglia e non rispose. E lo fece ridere di nuovo. La strinse a sé, muovendosi tra le coperte, affondando una mano tra i suoi riccioli.
“Ok, ok” fece “Posso immaginarlo”.
Hermione sapeva che avrebbero dovuto parlare. Due come loro, con i loro trascorsi, avrebbero per forza dovuto parlare di quanto stava accadendo. Lo sapeva ma nello stesso tempo qualcosa la frenava. Le parole, alla fine, non avrebbero di certo cambiato la situazione, anzi, tra loro, da sempre, le parole erano fonte di liti furibonde, offese e duelli. Quindi, magari era meglio tacere, per stavolta.
Così, non replicò. Rimase ferma lì, in quell’abbraccio, e chiuse gli occhi.
 
Si alzarono dal letto al tramonto. Hermione non poté credere di essersi davvero addormentata in quella posizione, eppure era accaduto. Si rivestirono in silenzio e si sfiorarono le labbra uscendo nel corridoio. Draco le aprì la porta e la seguì al piano di sotto, dove Dobby aveva apparecchiato per un the. Entrambi fecero onore al suo impegno, mangiarono i pasticcini e bevvero il the, all’inizio in silenzio, poi fu Hermione a dire “Credo che dovremmo informare Arthur che sto meglio. Che sono guarita”.
Malfoy annuì “Si. Magari vorrà venire a trovarti”.
“Sarebbe bello” sorrise lei, guardando fuori dalla finestra, la luce rossa del tramonto che colorava il cielo e la collina su cui si ergeva la villa. Rivedere i Weasley significava tornare ad immergersi nella realtà che mai, come in quel momento, le era parsa così lontana. C’era Draco Malfoy, davanti a lei, seduto nel salone del manhor a prendere il the, e fino a pochi minuti prima l’aveva stretta tra le braccia e baciata e desiderata… Lo stupore era così vivo in lei da lasciarla imbambolata. Si chiese se anche lui si sentisse così. Lo guardò, cercando di cogliere qualcosa, ma Malfoy era impassibile, era il solito impassibile e algido purosangue.
Lo vide sollevarsi “Vado a scrivere il messaggio. Vuoi farlo tu?” le domandò ricambiando lo sguardo.
Ma lei scosse la testa “No. Fai pure”.
Un’ultima occhiata, e Draco era già scomparso su per le scale, per raggiungere la torre.
Dobby cominciò a sparecchiare, gli occhi fissi sulle stoviglie, i movimenti rapidi. Hermione si alzò e prese a dargli una mano. Lo seguì in cucina e lo aiutò a riporre tutto nella lavastoviglie. Poi, si appoggiò al tavolo e lo guardò trafficare. Rovistava nella dispensa e nel frigo, già indaffarato per la cena.
“Dobby” lo chiamò. L’elfo si fermò e si voltò.
“L’altro giorno, in giardino, mi hai detto una cosa su Malfoy. Rispetto al fatto che non ha mai scelto” lo scrutò.
Dobby abbassò il capo, un’espressione dolente gli comparve in viso.
“Potresti spiegarmi meglio…?”gli sorrise, sperando che non si ritraesse.
L’elfo sospirò “Niente da spiegare. Il Dottore non ha scelto mai. Padron Lucius sceglie, il Dottore no. Sempre così” la fissò, gli occhi sgranati più che mai “Il Dottore sceglie di combattere e morire, padron Lucius decide che deve vivere. E adesso è qui” stirò le labbra in una specie di sorriso “Vivo”.
Hermione sentì il cuore battere più velocemente. Non sapeva niente di Malfoy, da che era cominciata la guerra. L’ultima volta l’aveva visto proprio lì, al manhor, il giorno della tortura. Prese un forte respiro, al ricordo, ma si controllò. Erano solo ricordi, adesso. Ricordava il tentativo di Draco; forse per paura forse per aiutarli, non poteva saperlo, non li aveva riconosciuti, dando loro una chance… anche se non era stato abbastanza. Aveva di certo sentito le sue grida di dolore alle maledizioni di Bellatrix.
“Non ha combattuto la guerra” disse piano fissando Dobby. Lui scosse la testa “No, padron Lucius rinchiude nel sotterraneo”.
Hermione alzò il mento, sentendo improvvisamente le lacrime agli occhi. Annuì lentamente e uscì dalla cucina, salì le scale della torre e spalancò la porta, trovando Malfoy. Stava guardando il gufo, che si allontanava rapido.
Si accorse subito della sua presenza, si voltò.
“… che succede?”.
La ragazza disse “E’ che… che…” lo fissò, i contorni della sua figura sfuocati a causa delle lacrime trattenute “…é che in realtà non so niente di te e tu… in fondo, che cosa sai di me…?”.
Draco lasciò vagare lo sguardo sul suo viso, con espressione indecifrabile.
“Ci conosciamo da anni, Granger”.
“Forse tu, sai tutto di me, ma io” s’interruppe cercando le parole “Io che cosa so di te?”.
Un momento dopo, lui annuì “Odio doverti dare ragione, mezzosangue”.

 

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Capitolo 18
*** Guarda che non sono io ***


Il fatto che le avesse raccontato di quegli ultimi giorni di guerra, di quelle ore trascorse al buio e al freddo umido dei sotterranei per volere di suo padre, non cambiò molto per Hermione.
L’aveva guardato parlare, serio, il viso  scolpito nella pietra, il pallore sempre lo stesso, gli occhi tenacemente puntati su di lei, come fosse lei, non lui stesso, quello che stava raccontando.
Hermione sapeva bene che la stava studiando, che affondava le sue iridi chiare nelle sue per scoprire anche la più piccola scintilla. Sentiva, nel profondo di sé, che le stava dicendo la verità, per filo e per segno quanto gli era accaduto in quel frangente e che tentava di spiegare il suo stato d’animo nel dopo.
“Quando mi hanno tirato fuori di là, ero stremato dal freddo e dalla fame. Credevo che nessuno si sarebbericordato di me, convinto com’ero che mio padre fosse morto, per mano dei suoi nemici o di Voldemort” fece appoggiandosi alla parete “Mi hanno arrestato e mi hanno letto e riletto le accuse, e io non sentivo, preso com’ero dalla morte. Erano morti tutti e io ero vivo” solo allora distolse gli occhi da lei e guardò verso il cielo “Non mi parve, e non mi pare nemmeno adesso, una fine giusta”.
“Tuo padre ti ha salvato la vita” sussurrò la ragazza, immaginando che quella era stata forse l’unica decisione sensata che Lucius Malfoy avesse mai preso nella sua esistenza. Perché Draco era vivo e le stava parlando… Ripensò alle parole di Arthur e alla forza con cui aveva difeso il giovane ex mangiamorte che aveva salvato da Azkaban e lo capì. Proprio in quel momento, capì la decisione di Weasley.
Lo scatto di Malfoy la fece indietreggiare appena.
“Mi ha salvato?” esclamò, e poi rise, una risata amara “Mi ha condannato, vorrai dire” sospirò, infilando le mani in tasca e tornando a fissarla “Al rimpianto, al rimorso, alla solitudine”.
“E’ una condanna che ti sei autoinflitto, Draco” intervenne subito, recuperando un po’ del coraggio grifondoro “Nessuno ti ha chiuso qui dentro”.
Le scoccò un’occhiata scettica “Tu credi?”.
“Si, credo a quel che i Weasley mi hanno detto” annuì con vigore, stringendo forte le mani a pugno “Nonostante quel che pensi, chiunque là fuori non potrebbe che accoglierti”.
“Dimentichi chi sono”.
“No, non lo dimentico. Ma vedo chi sei ora” la voce le mancò, per l’imbarazzo, poi riprese “Sei un ricercatore, un uomo che tenta di dare il meglio, che ha sbagliato e si è ripreso… Mi hai salvato, Malfoy” cercò i suoi occhi, adesso sfuggenti “E continui ad impegnarti per me e per Arthur e Molly…” lui si staccò dal muro e le si fermò a un palmo “Credi che basti? Che sia sufficiente?”.
Hermione scosse appena la testa “Deve esserlo per te…” lo fissò “Non puoi ottenere dagli altri qualcosa che neghi a te stesso”.
Si guardarono un lungo momento, poi Draco sussurrò “Io non sono l’uomo che credi sia diventato. Non sono…” si fermò un momento “…non sono pieno dei valori in cui tu credi, le mie convinzioni sono sempre state sbagliate, le mie azioni riprovevoli. E non c’è niente che io possa fare per colmare questo… questo vuoto che mi porto dietro. Le mie ricerche, il fatto che tu sia qui e che io stia cercando di aiutarti…ecco, non sarà abbastanza, non cancellerà niente. Il passato non scompare soltanto perché noi lo vogliamo. Lui è lì, intorno e dentro di me, e non confonderti, lui mi definisce, come ha definito mio padre e mio nonno prima di me… serpeverde, mangiamorte, Malfoy”.
Deve aver rimuginato a tutto questo, rifletté Hermione. Si rese conto che era come un mantra negativo che propinava a se stesso e agli altri, che gli serviva da armatura, che gli impediva di esporsi. In fin dei conti, era un modo come un altro per difendersi dalla vita stessa.
“Tu non sai come ci si sente. Tu eri dalla parte giusta, Granger” sorrise amaro, recuperando l’autocontrollo.
“Questo non mi ha impedito di sopravvivere. Di essere qui, con te, adesso. Di parlarti…” ripensò al pomeriggio trascorso tra le lenzuola, tra le sue braccia, e seppe che anche lui ci stava pensando “Io, sono cambiata” proseguì “Posso credere che lo sia anche tu”.

L’espressione di Malfoy era imperscrutabile. Se ne stava lì davanti, le mani abbandonate nelle tasche, gli occhi nei suoi, come se fosse annoiato dalla piega presa dalla conversazione; ma Hermione sapeva che non era così. Si rese conto che lo comprendeva e che tutta quella ostentata freddezza non l’abbindolava più. Così, sorrise e mormorò “Ne parleremo quando sarai pronto a farlo…” e poi si voltò e prese a scendere le scale.
Scese fin in biblioteca e s’immerse nella lettura del volume che aveva scelto poc’anzi. Non poteva soffermasi troppo su quanto Draco le aveva detto, perché anche lei, altrimenti, sarebbe scivolata nella tristezza e nel rimorso. Non voleva trovarsi a pensare a Ron o a Harry o a tutti i suoi amici che erano morti in quella guerra assurda…
A scuoterla fu un lieve ticchettare al vetro. C’era il gufo di Arthur.

“Cara Hermione, so che ti stai riprendendo e sia io che Molly ne siamo felicissimi. Ti invio questo messaggio per informarti che a breve il Ministero renderà noto alla popolazione che sei viva e, col tuo consenso, stilerà il calendario degli impegni cui dovrai presenziare. Cercherò di far sì che non siano eccessivamente gravosi, per non intralciare la tua completa ripresa, ma dovrò chiederti di rientrare in città per qualche giorno. Chiederò a Draco il permesso.
Attendo tue notizie, A.W.”

“E’ Weasley, non è così?” la voce di Malfoy la fece sussultare. Si voltò di scatto ed annuì “Si..” gli porse la missiva. Ma lui scosse la testa “No, immagino perché ti abbia scritto” la guardò “E’ ora che tu rientri”.
 

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Capitolo 19
*** Anima Innamorata ***


Sentiva lo sguardo di Hermione addosso, mentre si sedeva alla scrivania e con calma controllava i documenti sul ripiano. Avrebbe voluto dirglielo, che la voleva lì, alla villa, che avrebbe voluto conservare la sua luce tra quelle antiche mura, che la sua presenza gli era diventata necessaria. Ma decise di tacere. In fin dei conti, il momento delle scenate c’era già stato, lei lo aveva visto dare il peggio di sé in quelle settimane, e di certo non si meritava un’altra sfuriata. Ma per riuscire a dominarsi, Draco aveva bisogno di non guardarla, di far finta che quella missiva non l’avesse colpito come una stilettata in una parte di sé che per tanto tempo aveva dimenticato di avere, un cuore, forse, un’anima innamorata, forse. Preferì non soffermarsi su quel pensiero molesto, proprio adesso che lei aveva bisogno di un supporto per tornare nel mondo, a raccogliere parte della gloria che a lungo il destino le aveva negato. Era stata lei, insieme agli altri grifondoro morti sul campo, ad impedire a Voldemort di imporre la sua follia, era stata lei, ragazzina, a sbaragliare le potenti armi magiche dei mangiamorte più esperti al mondo, era stata lei a salvare tutti loro.
Così, Draco preferì non mostrarsi. Preferì abbassare lo sguardo sulle carte che aveva davanti, ingoiare il terrore che aveva di rimanere solo, di nuovo, la voglia di gettarsi ai suoi piedi ed implorarle di rimanere con lui.

“Intendi dire che in quanto mio medimago mi dai il permesso di andare?”.
La voce di lei gli giunse come da dietro un muro. La sentì perplessa. Si limitò ad annuire, continuando a scorrere le pagine senza vedere nemmeno una parola di quando c’era scritto.
Hermione lo fissò, incerta. Avrebbe voluto dire a se stessa, be’, eccolo il vero Malfoy.. sloggia, finalmente, mezzosangue.. Ed invece non riusciva a farlo. Anzi. In quell’atteggiamento improvvisamente freddo ed accondiscendente, ci leggeva ben altro… rabbia trattenuta, voglia di sbottare, voglia di mettere mano alla bacchetta e schiantare qualcuno. Ma il fatto che non lo facesse, che preferisse il comodo nascondiglio del gelo al rischio di una esposizione di sé ritenuta eccessiva, la intristì.
Si voltò, Hermione, e si diresse alla porta “Vado a rispondere a Arthur”.
Solo allora Malfoy alzò lo sguardo, vedendola uscire dalla stanza. Dovette combattere con il desiderio di alzarsi e correre da lei, pregandola di non andare, di rimanere, di dare una speranza a… a che cosa?
Per la prima volta, Draco si rese conto pienamente di che cosa era diventata la Granger per lui. Era vita, amore, comprensione… boccheggiò quando si ritrovò a pensare che era diventata tutto, tutto ciò che riempiva la sua casa, le sue giornate, la sua esistenza. La guardò sparire su per la scala, trattenendo a stento il richiamo che gli risalì dalle viscere ma che non trovò il fiato giusto. Lasciò cadere la piuma che teneva fra le dita e si accasciò allo schienale, le mani sul viso, il respiro mozzo.
Fu Dobby a scuoterlo. Fermo accanto alla scrivania mormorò “Dottore”.
Malfoy lo guardò, lo sguardo annebbiato, il pallore più innaturale che mai. L’elfo se ne stava fermo, col vassoio del the tra le mani, gli occhi sgranati, l’espressione afflitta.
“Dimmi” fece il ragazzo sospirando.
“Granger aveva chiesto il the” disse quello senza staccargli lo sguardo di dosso. Draco si sentì a disagio. Si mosse sulla sedia, cercando di recuperare l’autocontrollo.
“E’ salita in camera, portaglielo su” parlò in fretta, sperando che il tono non tradisse l’emozione.
“Sarà fatto, Dottore, ma..” Dobby parve cercare le parole, mentre Draco tentava con tutto sé stesso di ignorare quel suo sguardo, quel suo tono, quel suo modo di mostrarsi afflitto che lo confondeva “..ma Dobby non vuole che Granger vada”.
Un colpo al cuore, una reazione più intensa di quel che era lecito. Sollevò le sopracciglia, dominando la voglia di schiantarlo “La signorina Granger farà quel che vuole. E deve. E devo ricordarti che non sei autorizzato ad origliare” gli lanciò un’occhiata ammonitrice.
“Dobby non l’ha fatto” l’elfo scosse il capo, gli occhi già pieni di lacrime “Granger chiesto me di aiutarla con la valigia”.
I loro sguardi rimasero incatenati un lungo momento, prima che il mago si decidesse di abbassarlo e annuire “Allora vai, che aspetti?” e riprese a leggere, mostrando di ritenere chiusa la conversazione.
Dobby uscì in silenzio, chiudendosi la porta alle spalle. Solo allora, Draco riprese a respirare regolarmente. Si alzò,  si diresse alla finestra e prese a fissare fuori, il giardino che sembrava rinato, nonostante il freddo dell’inverno. Tutto era rinato, da quando era arrivata la mezzosangue.
 
“Caro Arthur, il parere di Malfoy è favorevole. Mi ha dato il permesso di venire in città a svolgere il mio dovere al Ministero. Non ti nego che sono spaventata da quanto sta per accadermi, perché qui, al Manhor, sto molto bene, e questa è stata una sorpresa anche per me. Aspetto tue istruzioni per la mia partenza, con affetto, Hermione”.

Scrisse in fretta, per non ripensarci e rinunciare. Corse alla torre, ignorando Dobby che le stava portando il the, e inviò il gufo. Rimase a fissarlo allontanarsi finché fu possibile, poi tornò in camera. Guardò in silenzio l’elfo che le versava la bevanda calda e poi la sorseggiò. Dobby non accennò ad andarsene.
“Ho bisogno del tuo aiuto” gli disse ad un tratto. L’elfo spalancò gli occhi.
“Dobby aiuta a fare bagagli, a malincuore” le rispose.
Ma lei scosse il capo “No, Dobby. Ho bisogno che tu badi a Malfoy” lo fissò seria “Voglio che badi a lui notte e giorno, so che l’hai sempre fatto, ma in questo periodo che non ci sarò voglio che tu lo faccia più attentamente” sospirò “Sarai in grado di farlo?”.
L’espressione di lui cambiò. Sparì l’afflizione. Hermione lo vide respirare a fondo ed annuire “Si”.
Lei gli sorrise, l’elfo fece altrettanto. Poi, si mise a riempire la valigia che la ragazza aveva già aperto sul letto, improvvisamente frenetico. Granger sarebbe tornata. Su questo non aveva più alcun dubbio.

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Capitolo 20
*** Le Ceneri della Fenice ***


La risposta di Arthur non si fece attendere. Al tramonto, arrivò il messaggio. Hermione, che era rimasta in camera tutto il pomeriggio, lo lesse rapidamente, ben contenta che il Ministro la invitasse a soggiornare alla Tana per quel periodo così intenso che si stava aprendo. Lo sguardo cadde sulle due valigie che aveva preparato, già pronte accanto alla porta, e si trovò a pensare alle cose da dire a Draco.
Lei, chiusa in camera, lui probabilmente rintanato nel laboratorio, con l’intento di evitarsi.. Discese lentamente le scale, giù, fino nei sotterranei. Dopo un momento di esitazione, bussò ed entrò. Lo vide chino su alcuni appunti, con addosso il camice. Le parve bellissimo e si stupì ancora una volta per queste sensazioni.
“E’ arrivato il gufo di Weasley” gli disse, schiarendosi la voce “Parto tra poco”.
Draco si voltò appena “Bene” si sollevò e cominciò ad armeggiare con le fialette “Ricordati la terapia. Ho consegnato tutto a Dobby, dovrebbe…” lei lo interruppe con un cenno della mano “Si, lo so. E’ tutto nella borsa”.
Si guardarono un momento, poi fu Hermione a dire “Vieni con me”.
Malfoy la fissò, e lei pensò di averlo sbalordito, sebbene cercasse di mantenersi controllato. Lo vedeva nella luce che gli aveva acceso lo sguardo, nell’improvvisa immobilità, nell’assottigliarsi delle labbra.
“Si tratta di qualche giorno” proseguì calma “Arthur ci ospiterà in casa sua”.
L’espressione di lui non cambiò; continuò a fissarla, in silenzio, mettendola a disagio. Avrebbe forse preferito sentirlo sbottare, o esibire il suo ghigno, o ridere apertamente di lei… Invece, quel silenzio la inquietava.

Ci stai forse pensando, Malfoy?

Quest’idea le attraversò la mente, ma decise di respingerla per non illudersi e poi disilludersi subito. Così, sospirò “Bene.. io credo di dover andare..” fece per voltarsi, ma lui le andò vicino e la trattenne, facendola girare. La abbracciò stretta, poi le alzò il viso e le sfiorò le labbra “Riguardati, Granger” le sussurrò, accarezzandole la gota.
Col cuore in tumulto, Hermione annuì appena e quando la lasciò andare, corse in fretta fuori dalla stanza e su per le scale, trovando Dobby all’ingresso con i bagagli. L’elfo la guardò, trafelata, gli occhi lucidi, il fiatone… ma non fiatò. Le sistemò le valigie accanto, dopo averla aiutata ad infilarsi il cappotto.
“Mi raccomando, Dobby” riuscì a dirgli, seria, e lui annuì, prima di vederla scomparire.

La villa parve ripiombare nel buio. Dobby si guardò lentamente intorno, frastornato da tutto quel silenzio. Certo, sapeva che sarebbe tornata, ma nel frattempo era come tornare indietro di settimane, quando il sole sembrava essersi dimenticato del Manhor. Si accorse di Draco poco dopo. Era salito e se ne stava appoggiato alla parete, accanto alla porta dello studio.
“Dottore, Granger è partita” lo informò, scuotendosi, facendo un breve inchino.
Ma quello non disse niente. Si avviò con passo stanco verso la sala, al mobile bar, a versarvi un po’ di liquore ambrato nei preziosi bicchieri di cristallo. Prese a sorseggiarlo, sotto lo sguardo dell’elfo.
Quando parlò, la sua voce suonò così bassa che Dobby dovette tendere le orecchie per sentirlo.
“So quel che pensi. E forse hai ragione. Avrei dovuto oppormi, trattenerla, convincerla a stare qui” bevve ancora un sorso, poi posò il bicchiere sul ripiano “Ma ci sono cose a cui… a cui non posso oppormi…” sospirò.
Dobby rimase zitto, e quello riprese “Lei deve completare la sua opera. Ha combattuto, ha perso tutti nella guerra…” gli mancò il fiato “E’ giusto così”.
L’elfo fece qualche passo verso di lui e poi mormorò “Dobby pensa che Dottore poteva andare con Granger”.
Draco si voltò di scatto, piantando gli occhi in quelli spalancati di lui. Si guardarono un lungo istante, poi l’elfo fece un breve inchino ed uscì discretamente dalla stanza.
 
Arthur e Molly la accolsero con grande affetto, la abbracciarono e baciarono, felici di rivederla alla Tana. Hermione si rese conto che non era cambiato niente tra quelle pareti. Solo il silenzio le parve innaturale.
Molly le mostrò la sua stanza e a cena la costrinse a mangiare tutto, perché era troppo magra e ancora in convalescenza e lei non si sottrasse, commossa da tutte quelle attenzioni.
Non parlarono di Ron o della guerra, ma solo delle novità del mondo magico, della nuova organizzazione ministeriale, dei progetti per migliorare i rapporti con i babbani, e si trovò ad ammirare l’impegno e la determinazione di Arthur.
Solo più tardi, mentre sedevano davanti al camino scoppiettante, fu proprio il Ministro a dire “Non voglio che il sacrificio di tanti cada nell’oblio della memoria. E non perché Ron, Harry, Ginevra, Bill…e gli altri hanno perso la vita in battaglia. Non è per questo” sospirò “Io e Molly siamo quasi morti per il dolore, all’indomani della disfatta di Voldemort. Sul campo c’erano troppi cadaveri…” lo sguardo perso tra le fiamme e tra i ricordi “…volevamo un colpevole, era lì, in cenere… e poi? A che cosa serviva un mucchietto di cenere?...” allungò un braccio e con un breve incantesimo ravvivò il fuoco “Quel che serviva era una rinascita. Come la fenice rinasce dalla sue ceneri, noi saremmo rinati dalle ceneri dei nostri morti” finalmente si voltò ed incontrò lo sguardo commosso di lei “E’ per questo che ho protetto Draco. Ho pensato che fosse un segno di Dio, o di chi per lui, il fatto che fosse sopravvissuto” sospirò “E l’ho protetto come un figlio ritrovato”.
Hermione annuì, e quello riprese “Domani è un giorno importante per te e per tutti noi. Tu sei viva” le sorrise “Le nostre preghiere non sono cadute nel nulla…”.
Con la coda dell’occhio, Hermione vide Molly, ferma sulla soglia, asciugarsi rapidamente una lacrima con l’orlo del grembiule.

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Capitolo 21
*** Viva e Vegeta ***


Il comunicato suscitò grande impressione.
Arthur aveva usato tutti i gufi del ministero per annunciare il ritrovamento di Hermione Granger, eroina della battaglia di Hogwarts,  e subito il suo ufficio era stato invaso da pergamene provenienti da ogni dove, con cui i maghi chiedevano, si congratulavano, proponevano di eleggerla a qualche carica di governo.
Fu una giornata molto intensa, soprattutto per Hermione, che veniva informata in tempo reale dal Ministro stesso. Le faceva ovviamente piacere tutto quell’affetto e quell’entusiasmo, ma la preoccupava l’udienza in Tribunale, per chiarire i fatti che la riguardavano successivi alla battaglia. La sua memoria era ancora annebbiata, non ricordava nulla se non le armi, la morte di Harry e di Voldemort, e soprattutto l’immagine di Ron che scivolava a terra come un fuscello, colpito a tradimento da una maledizione senza perdono. Dopo, il nulla, fino al risveglio a Malfoy Manhor.
Rivide lo sguardo incredulo di Draco, sentì la stretta della sua mano, la sua voce affievolita dallo stupore… Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, improvvisamente colpita dal ricordo del loro intrecciarsi a quelle di lui, che l’avevano stretta, accarezzata, posseduta..amata?
Non poteva essere certa che Draco Malfoy l’amasse, ma quando si erano abbandonati l’una all’altra tra le lenzuola aveva sentito… Aveva sentito il suo trasporto, la sua attenzione, la sua incredulità. Draco Malfoy l’aveva trattata con passione, le aveva dimostrato col corpo di volerla, di curarsi di lei, di aver bisogno di lei. Chissà se tutto quel trasporto poteva veramente essere la spia di un sentimento.
Certo, aveva pensato che lui si fosse lasciato prendere dall’urgenza a causa della solitudine che si era autoimposto, che l’avesse in fin dei conto usata per soddisfarsi… l’aveva pensato, ma istintivamente rifiutava quell’idea, l’aveva scacciata come una mosca fastidiosa fin da quando le si era affacciata alla mente. A confortarla c’era il suo comportamento, quella sua volontà di aiutarla, quei suoi sguardi così freddi e, paradossalmente, così profondi e rivelatori.
Sentiva, Hermione, che l’illusione era un pericolo che stava seriamente correndo soffermandosi su quelle considerazioni, ma non poteva fare a meno di ricordare ed indugiare su quanto aveva condiviso con Malfoy da che si era risvegliata.
Sarebbe tornata al Manhor, come aveva promesso a Dobby, avrebbe tentato di aiutare Draco ad uscire dall’isolamento in cui viveva da troppo tempo, ormai, e avrebbe chiarito a se stessa i sentimenti che provava nei suoi confronti, prima ancora di trovare risposta alle proprie domande su di lui.

“E’ ora, cara. Dobbiamo andare all’udienza” la riscosse Arthur, porgendole il soprabito “Dalla tua espressione, capisco che sei in ansia. Non esserlo. Tutti ti aspettano con affetto e non vogliono altro che rivederti e sentirti parlare. Qualche volta, anche se i ricordi sono così dolorosi, ascoltarli aiuta ad andare avanti”.
“Ma io non ricordo nulla di quanto accaduto dopo… dopo la morte di Ron” sussurrò.
Il Ministro la osservò un lungo momento, poi disse “Faremo luce su questa amnesia che ti ha colpito, per il momento, godiamoci il tuo ritorno al mondo magico”.
Si smaterializzarono poco dopo, per comparire nella hall del palazzo di giustizia. Con stupore, la ragazza notò l’immensa folla di maghi e maghe che l’aspettavano e che cominciarono ad applaudire, scandendo il suo nome più e più volte. Con le bacchette alzate, coloravano il cielo di scintille che formavano figure inneggianti.
Ne fu commossa. Sentì le lacrime pungerle gli occhi, mentre Arthur salutava col sorriso la folla e la prendeva sottobraccio, entrando nell’edificio.
L’udienza si teneva a porte chiuse. Intorno al tavolo, c’erano altri Ministri e alcuni giudici, il cui sguardo mostrava chiaramente la gioia per averla ritrovata. Tutti si alzarono, al suo ingresso, e le andarono incontro per stringerle la mano o abbracciarla. Hermione, frastornata da quell’accoglienza, accettava i baci, gli abbracci e i sorrisi, sentendo un bruciore in mezzo al petto. Era commossa oltre ogni limite e faceva fatica ad articolare qualche parola.. Si trovò seduta a fianco di Arthur senza nemmeno rendersene conto.
“Carissima Hermione” inziò subito il giudice più anziano “Con enorme piacere abbiamo accolto la notizia del suo ritrovamento e del suo rientro tra noi. Gli scopi di quest’udienza sono quelli di verificare il suo stato di salute, di sentire da lei il racconto degli ultimi momenti di vita degli eroici esponenti dell’Ordine della Fenice” dopo queste parole, l’uomo fece una breve pausa, trattenendo la commozione, come anche gli altri presenti “e le circostanze che ricorda rispetto alle ferite che le hanno provocato l‘amnesia”.
Il Ministro intervenne “Inoltre, dobbiamo inaugurare la nuova targa, proprio all’ingresso. L’abbiamo corretta” e sorrise, stringendo la mano tremante della ragazza.
“Naturalmente” annuì il giudice “Lei è un’eroina della battaglia ed è viva” gli occhi si illuminarono “E’ viva!”.
 
Tornarono alla Tana nel pomeriggio, con ancora nel cuore e nelle orecchie le parole, la commozione, l’abbraccio che i maghi tutti le avevano tributato. Molly li aspettava sulla soglia col sorriso sulle labbra, felice e ansiosa di conoscere le novità. Arthur le raccontò tutto a grandi linee, mentre prendevano il the nello studio.
Hermione li guardava incantata, rendendosi conto solo in quel momento di come erano sereni, nonostante la perdita enorme che avevano subito poco più di una anno prima. E capì che era il sollievo, la gioia di averla ritrovata che permetteva loro di vivere e sperare ancora… Il cuore le si allargò a quella consapevolezza.
Ad un tratto, Molly si alzò e la guardò attentamente “Hermione… è stata una giornata molto intensa… non so se è il momento giusto per dirti..”.
La fissò a sua volta, la fronte leggermente aggottata “Mi dica, Molly…”.
Ma la donna fu interrotta da un’altra voce, che Hermione riconobbe all’istante “Volevo… congratularmi”.
Sulla soglia dello studio c’era Draco. La fissava, imperturbabile come sempre.

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Capitolo 22
*** Sono qui per te ***


Fu Arthur il primo ad alzarsi. Con un’espressione sbalordita e commossa insieme stampata in viso, percorse il breve tratto che lo divideva da Malfoy e quando gli fu davanti, gli prese a forza la mano e la strinse, per poi abbracciarlo.
“Oh, ma che sorpresa… che meravigliosa ed inaspettata sorpresa!” disse senza nascondere l’emozione “E tu, Molly… che aspettavi a dirci del suo arrivo!”.
Malfoy, pur stretto nell’abbraccio del Ministro, non perse il contatto con gli occhi di Hermione, che lo fissava incapace di dire qualcosa. Lo sapeva, lo sapeva che si sarebbe congelata sul posto, che avrebbe tentato in ogni modo di nascondere i suoi pensieri. Eppure, quel che cercava lo trovò nel suo sguardo castano, così denso e scuro in quel momento da poterlo immobilizzare come sabbie mobili.

Aveva preso la scopa, Draco, e aveva volato di nuovo, dopo tanto tempo, godendosi la visuale, lasciandosi sferzare dal vento ad alta quota, senza pensare ad altro che ad arrivare prima possibile, prima che il mondo magico reclamasse per sé colei che gli aveva ridato la speranza. La Tana, il luogo in cui mai avrebbe pensato di mettere piede, be’, gli era sembrata un rifugio accogliente, caldo, e lo sguardo di Molly, che per poco non era svenuta per lo stupore di vederlo sulla soglia di casa, gli aveva rubato perfino un sorrisetto.
Ed eccolo, quindi, uscito dai confini autoimposti del Manhor, eccolo spinto via da un impulso che non aveva potuto ignorare, da uno sguardo strano di Dobby, da un silenzio troppo profondo di mura che mai gli erano parse così fredde e vuote. Il tempo di rimuginarci appena, di vagare un momento per il laboratorio, di riempire una piccola borsa con quanto gli serviva, il tempo di raccomandare a Dobby di fare da guardiano attento… raccomandazione peraltro inutile.
E non si era voltato nemmeno una volta, impaurito che il buco nero del passato e del rimorso lo attirassero indietro come calamita invincibile.
Adesso, il lungo sguardo non voleva finire. C’era Molly, che aveva ripreso colore e perfino sorrideva, Arthur che lo stritolava felice, ma soprattutto c’era lei, la Mezzosangue che sedeva silenziosa, quasi assente, se non per quegli occhi che lo scavano, che lo vedevano come forse nessun altro aveva mai fatto prima.
Avrebbe voluto parlarle, e dirle… ma non era mai stato spontaneo, abituato com’era a valutare, studiare la situazione, prima di mostrarsi. Non sapeva Draco, o forse non aveva ancora compreso a fondo la portata del suo gesto, ciò che significava per Hermione la sua presenza lì.

La ragazza era rimasta seduta, a fissarlo con la testa appena voltata, inchiodata ai suoi occhi. Mille pensieri ed immagini la stavano attraversando, come se qualcosa le fosse scattato dentro. Harry, Ron, la McGrannit, Silente, Piton… tutti visi e voci che le vorticavano intorno e in fondo a quel carosello sfuocato, c’era Draco, che immerso nell’abbraccio di Arthur continuava a fissarla con una muta domanda stampata in viso.
Le parve di essere sott’acqua, in apnea, rallentata dai flutti, trattenuta, incapace di risalire… Una sensazione di blocco, che la tenne ferma sulla poltrona, pur se lontanissima con i pensieri.
“Non potevi farci regalo migliore” riprese il Ministro, lasciando il Serpeverde per dirigersi al mobile. Estrasse una bottiglia e, con voce emozionata disse “Avevo detto che avrei assaggiato questo liquore solo in una occasione speciale, e credo che sia arrivato il momento”. Presi alcuni bicchieri, ne versò il contenuto “Dobbiamo festeggiare. Ne abbiamo così tante ragioni…” si mosse nella sala, porgendo i bicchieri a tutti, anche ad Hermione, che continuava a stare zitta e ferma. Poi, sollevò il proprio “A noi, a cui il destino ha concesso di vivere e riparare gli errori del passato e a coloro che non ci sono più” la sua voce s’incrinò e lo sguardo corse a Molly “…la cui presenza, tuttavia, è viva nei nostri cuori”.
E bevve, seguito da un’emozionata Molly. Malfoy li fissò, il battito del cuore accelerato, poi guardò ancora Hermione, ed infine bevve, lasciando che il liquore arrivasse alle sue viscere, riscaldandole. Poi respirò a fondo, e riuscì a dire “Sono qui… sono qui per te, Granger”.
Quel richiamo la costrinse ad abbandonare i pensieri in cui era precipitata nel giro di pochi secondi. Lo sentì dire “Ho con me la pozione”.
Il silenzio che seguì fu rotto dal Ministro che gli si fece vicino “Per Merlino… vuoi dire che hai elaborato la pozione per l’amnesia?”.
Draco fece un cenno d’assenso “E’ solo sperimentale, ma credo che per il momento sia quanto di meglio possa offrire” infilò la mano nella tasca della giacca “Eccola”.
Tra le dita bianche comparve una fialetta contenente un liquido trasparente. Lo sollevò verso la luce delle candele “Ne basta poco. Funziona come un pass partout. Apre tutte le porte”.
Subito, Arthur andò da Hermione e disse, fissandola intensamente “La scelta è tua, mia cara. Te la senti?”.
La Mezzosangue ricambiò quell’occhiata e poi rispose “Si”.
“Non sei obbligata” fece l’uomo “Non importa affatto, tu sei qui, sei viva tra noi, hai visto il tributo del mondo magico…”.

 Tante volte, in quelle settimane, si era ritrovata a pensare che alla fine non era poi così importante ricordare come era accaduto. Era sfuggita alla morte, cadendo in coma si era salvata, mentre tutti gli altri se ne erano andati sotto i colpi della magia oscura. La tristezza e il rimorso avevano combattuto dentro di lei, e si era vista riflessa nel dolore di Draco, un dolore che aveva la stessa radice, il rimorso. Eppure, dal profondo di sé, sentiva che doveva farlo, doveva tentare di recuperare quei momenti, fare luce su quanto successo… Non sapeva l’origine di quella certezza, eppure ne aveva accettato l’esistenza.
Devo sapere, disse a sé stessa,mentre fissava le dita di Draco strette intorno alla fiala.
 
La cena fu servita poco dopo. Per Draco era tutto nuovo. L’atmosfera familiare, la voce di Molly che lo invitava a mangiare un po’ di più, Arthur che illustrava alcuni progetti in cantiere, e lei, Hermione, che sbocconcellava qualcosa, gli occhi fissi sul piatto ancora pieno. Appena i Weasley si distraevano, lui si soffermava ad osservarla, imprimendosi nella mente i suoi lineamenti, i suoi capelli, le sue mani, anche quell’espressione assorta… Aveva molto da dirle ma aveva deciso di aspettare. Aspettare che quella giornata così importante finisse, che il siero avesse fatto il suo effetto, che lui stesso avesse ritrovato un po’ di autocontrollo. Perché, se avesse seguito il suo istinto, l’avrebbe abbracciata e baciata, l’avrebbe stretta a sé e avrebbe fatto l’amore con lei, per ritrovare quel momento perfetto che avevano condiviso.
Nessuno parlò più della fiala, comunque. Un tacito accordo fra loro aveva stabilito che solo Hermione, se e quando l’avesse voluto, avrebbe bevuto la pozione.
Fu nel cuore della notte che Draco la trovò ferma sulla soglia della sua camera, ancora vestita, gli occhi di chi non riusciva a prendere sonno. Gli bastò un’occhiata per capire. Prese in fretta la fiala e gliela consegnò, senza mai perdere il contatto visivo.
“Non so quando e come farà effetto, Granger” le disse sottovoce “Può darsi che accada subito o che non accada niente o che accada fra molto tempo. Non lo so, non voglio mentirti”.
Lei lo ascoltava in silenzio.
“E’ un tentativo” riprese lui.
Senza aggiungere altro, Hermione si sporse e gli sfiorò le labbra con un bacio, Premette lieve, accarezzandogli la bocca, poi si staccò.
“Grazie” gli disse soltanto. Poi si voltò e si diresse verso la sua camera.

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Capitolo 23
*** Mai più promesse ***


Il suo sonno fu agitato da incubi. Non dormì molto, e ogni volta che chiudeva gli occhi, ripiombava nell’angoscia. Si rivedeva chiuso nella cella umida del Manhor; ore, giorni che trascorrevano nel silenzio e nel terrore, tormentato dai morsi della sete, della fame e della paura. E ogni volta che riapriva gli occhi, spalancandoli nel buio, doveva respirare forte e a lungo per calmare il battito impazzito del cuore. La gola secca e dolorante era il segnale delle urla che avevano rotto il silenzio della stanza.
Più pallido del solito, si era vestito in fretta ed era sceso a colazione, non prima di aver sostato qualche minuto davanti alla porta della Mezzosangue. Nessun rumore ne era uscito, nemmeno un fruscio. Immaginò che fosse già in piedi, forse la pozione aveva fatto il suo effetto prima di quanto aveva creduto… Un brivido lo scosse, lasciandolo senza fiato. Che cosa doveva ricordare? Quale ricordo nascondeva dentro di sé così tenacemente la Grifondoro?

In sala da pranzo trovò Arthur e Molly intenti a leggere i titoli dei principali quotidiani del mondo magico. Lo salutarono con il sorriso amorevole che sempre gli riservavano, e ripresero a leggere. Draco si sedette e si versò un po’ di caffè nero, sperando di riuscire a recuperare un po’ di lucidità.
“Hermione non è ancora scesa” fece ad un tratto Molly “La giornata di ieri è stata davvero intensa per lei…” lo scatto di Draco le mozzò la parola. Lo videro sollevarsi, ad occhi sgranati, allontanare la sedia con ben poco garbo “Non è ancora scesa!”.
Lo guardarono volare su per le scale, e subito Arthur lo seguì, allarmato. Lo trovò che tentava di aprire la porta della camera di lei, che la chiamava a gran voce, battendo i pugni.
“Draco” lo chiamò il Ministro, senza ottenere risposta. Alla fine, l’uomo pronunciò l’incantesimo che apriva tutte le porte della Tana chiuse dall’interno. E docilmente, il legno si aprì su una stanza vuota, un letto intonso, un silenzio che suonò minaccioso ad entrambi.
Draco fece un passo all’interno “Granger!” quasi gridò, sotto lo sguardo preoccupato di Weasley “Per Dio, Granger! Dove sei!”.
Ma la ragazza non rispose. Hermione non era nella stanza. Era sparita anche la sua bacchetta, oltre alla piccola valigia e ai pochi indumenti che si era portata dal Manhor.
“Ma che cosa è successo!” fece Molly, che rimase impietrita sulla soglia.
“Se ne è andata” mormorò subito Malfoy, ritrovando l’autocontrollo.
Il Ministro si guardò intorno, confuso “Ma perché mai se ne è andata nel cuore della notte, senza avvertirci?”.
“Le ho dato la pozione, ieri sera” riprese il Serpeverde, fissando oltre i vetri chiusi “Forse l’ha presa. Ha ricordato”.
“Ma no, no!” ribatté l’uomo “Non è da Hermione un atto del genere”.
“La guerra ci ha cambiato, Arthur” disse Draco, incontrando il suo sguardo “Ha cambiato tutto”.
Il silenzio cadde come pietra tra loro.
Fu Molly e riprendersi più in fretta “Può darsi. Può darsi che sia sconvolta da ciò che ha ricordato, ma esistono molti incantesimi per rintracciarla”.
“Si, ma li conosce anche lei. E se ha deciso di non farsi trovare, niente servirà” la voce di Draco era quasi tranquilla. Ma dentro di lui, dentro di lui c’era la guerra. Sotto la maschera imperturbabile che stava riconquistando, c’era la lotta tra la voglia di correre a cercarla, facendo uso perfino della magia nera se necessario, e la consapevolezza di dover lasciarla andare. Se aveva bevuto la pozione ed aveva rivissuto il suo trauma o chissà che cosa, di certo aveva bisogno di pensarci, ripensarci, trovare il modo di convivere con i ricordi ritrovati… Sapeva che era un pensiero molto giusto, e tuttavia sentiva che tutto se stesso, ogni singola molecola che lo componeva gli urlava di abbandonare gli indugi e correrle dietro, con ogni mezzo, anche il più scorretto e che lei non avrebbe approvato, per riaverla, trovarla e tenerla con sé, a dare un senso alla sua misera vita di sopravvissuto.
Arthur diede una breve occhiata a Molly, poi tornò a fissare Malfoy e con la fronte aggrottata disse “Hermione è una ragazza assennata, se è partita così, in questo modo… ha sicuramente avuto le sue ragioni. Dobbiamo avere fiducia in lei. E sperare che torni quanto prima” attese che il ragazzo incontrasse il suo sguardo, poi continuò “Devi avere fiducia in lei anche tu, Draco”.
Draco mosse appena la testa, prima di dirigersi in silenzio verso la porta.
Arthur lo seguì nella sua camera e lo guardò preparare la borsa.
“Dove vai?”
“Torno al Manhor” disse continuando a riempirla alla rinfusa. Maledì il momento in cui le aveva dato la pozione, maledì il momento in cui era uscito dalle mura del Manhor, maledì il momento in cui aveva deciso di impegnarsi. Tutto il suo lavoro l’aveva portato lì, a perdere l’unica luce che illuminava quella sua esistenza dolorosa ed inutile. Pensò a quanto l’aveva disprezzata e poi accolta e poi amata, così, in una sequenza così naturale da apparire spaventosa… Ci sarebbe stato da ridere per l’assurdità della situazione, e di sicuro il vecchio Malfoy avrebbe ghignato e trovato il modo di uscire da quello stato di prostrazione e rabbia che lo schiacciava inesorabile.
Si voltò verso Arthur, stringendo il manico della borsa “Il mio compito è terminato”.
L’uomo lo studiò qualche momento “Forse non dovresti decidere ora. Puoi rimanere qui quanto vuoi” e magari la vedrai tornare, avrebbe voluto aggiungere, ma non poté farlo. Da quando la guerra era finita in modo così disastroso, Arthur Weasley aveva smesso di promettere. Si limitava a sperare, a lavorare perché la speranza diventasse realtà. Ma niente più promesse. Nemmeno in quel momento così tragico per il giovane Malfoy.
Draco sospirò “Lo so, e vi ringrazio, ma la mia casa mi aspetta. Ho molte cose da fare…” la voce gli morì in gola, al pensiero del silenzio che l’avrebbe accolto.

Sotto lo sguardo ansioso dei due coniugi, Draco si smaterializzò, tenendo strette la borsa e la scopa. Sparì nella nuvola verde, trovandosi nel giro di un attimo davanti ai cancelli del Manhor che si spalancarono davanti a lui. E poi corse, corse verso l’ingresso, cercando di ignorare le lacrime che gli appannavano gli occhi, cercando di ignorare il pensiero martellante che la Mezzosangue fosse fuggita per un ricordo troppo invadente e doloroso, che fosse fuggita da lui.
Lasciò cadere a terra ogni cosa stesse portando, ignorò gli occhi sgranati e terrorizzati di Dobby e fece per scendere le scale verso il laboratorio, quando una voce lo fermò.
“Aspetta, Draco. Fermati”.
Si voltò di scatto, temendo di aver sognato, di averla solo immaginata. Ed invece, eccola lì, Hermione Granger, seria, proprio accanto all’elfo, che tutto tremante non staccava lo sguardo da quello stralunato ed incredulo del Dottore.
 

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Capitolo 24
*** Sentirla addosso ***


Hermione si sentiva un po’ imbarazzata, davanti a quello sguardo. In tutto quel tempo, non aveva mai visto Malfoy sull’orlo di una crisi di nervi e trovarselo davanti in quelle condizioni la imbarazzava. Aveva gli occhi segnati e spalancati, più pallido del solito, i capelli scomposti, la bocca aperta, in una muta domanda o forse un’esclamazione rimasta in gola. Mai, in tutti gli anni trascorsi a Hogwarts, aveva avuto l’occasione di vederlo così. E anche Dobby sembrava… costernato. L’aria felice con cui l’aveva accolta era scomparsa non appena aveva visto fare irruzione il Dottore. I suoi occhi si erano dilatati a dismisura, il suo corpo aveva preso a tremare, le mani si erano appoggiate al capo, in un gesto disperato.
Certo, aveva immaginato una reazione scomposta da parte sua, quando non l’avesse trovata alla Tana, certo, non era ingenua. C’era troppo, ormai, fra loro, perché la sua fuga sortisse un effetto diverso. Eppure, trovarselo davanti così sconvolto, la commosse, sciolse i suoi dubbi circa ciò che li legava e se anche non poteva parlare d’amore, poteva essere sicura sul fatto che lui ci teneva, ci teneva sul serio…

Un momento dopo, Malfoy si voltò completamente e le puntò l’indice contro.
“Tu!..Tu!...” la sua voce suonò stridula. Il che non fece che confermare l’idea di Hermione “Tu!... Come hai potuto…perché..” ma un discorso filato non gli uscì. Dovette fermarsi, riprendere fiato, distogliere lo sguardo… Con le mani sui fianchi, si voltò verso la parete, respirando forte, poi si passò una mano tra le ciocche bionde, la guardò di nuovo, ed infine coprì la distanza fra loro, serrandola in un abbraccio così stretto da impedirle di respirare. Hermione si trovò col viso sepolto nel suo petto, le braccia di lui che la imprigionavano, il suo volto immerso nei capelli, impossibilitata a fare alcun che. E si scoprì non sorpresa, ma sempre più commossa da quel modo, da quel Draco che le si svelava davanti, che nulla aveva a che fare con l’indisponente ragazzino viziato che aveva conosciuto tempo prima.
La tenne così, stretta da farle male, recuperando il tempo perso, quando alla Tana aveva pensato di farlo ma aveva rimandato, trovandosi poi a rimpiangerlo quella stessa mattina. Mai più avrebbe resistito all’impulso di averla vicina, di stringerla e sentirsela addosso, mai più, perché ogni volta accettava il rischio troppo grosso di vederla andare via per sempre.
Attenuò la presa molto dopo, si staccò solo per poterla guardare in viso e sussurrare “Ma come hai potuto…” e le frugava gli occhi, la testa in fiamme, il cuore che scoppiava dentro il petto.
“Sono venuta qui” gli rispose lei accennando un sorriso, sollevando una mano per accarezzargli la guancia, trovandola fredda.
“Tu non puoi immaginare come mi sono sentito…” riprese lui, scuotendo la testa, stringendole le spalle, sfuggendo di nuovo il suo sguardo “Credevo… credevo che te ne fossi andata. Che mi avessi abbandonato…” e finalmente, la guardò di nuovo.
Hermione continuò a sorridere “Perché avrei dovuto” mormorò.
Malfoy parve cercare le parole, poi alla fine disse “…per la pozione.. perché hai ricordato…” la studiò, con sguardo esasperato “E ciò che hai ricordato…ciò che hai ricordato mi spaventa”.
La ragazza scosse la testa “Non sai che cosa ho ricordato. Non sai se ho ricordato qualcosa” poi si voltò verso Dobby “Dobby, per piacere, preparaci un po’ di the”.
E l’elfo parve svegliarsi dal trance. Mosse le orecchie e ricacciò indietro le lacrime, correndo  verso la cucina.
Stava per parlare di nuovo, la Mezzosangue, ma Draco le chiuse la bocca con la propria, coinvolgendola in un bacio intenso, quasi doloroso, che lei accolse arrendevole, abbracciandolo e lasciandosi invadere dal desiderio di lui. Si staccarono solo per riprendere fiato.
“Non farlo mai più..”balbettò il ragazzo e lei annuì, senza riuscire a dire una parola. Poi la tenne per un braccio mentre la accompagnava nel salone e le si sedeva accanto, sul divano. La guardò mentre si sistemava tra i cuscini, la studiò cercando di capire qualcosa delle sue ragioni, dei suoi ricordi, di ciò che le passava per la testa. Il silenzio gli parve insopportabile e d’altra parte si era già esposto abbastanza. Per la prima volta nella sua vita, aveva agito d’istinto. Quando se l’era trovata davanti, aveva perso la facoltà di ragionare e la prima cosa che aveva sentito, aveva fatto. Prenderla, abbracciarla, stringerla, legarla a sé, rimproverarla e nello stesso tempo implorarla di non farlo mai più, mai più.. Adesso che erano seduti lì, si sentì improvvisamente sciocco ed infantile. Lei era al Manhor, non era davvero fuggita da lui.
“Ho ricordato ogni cosa” la sentì dire, mentre con le dita attorcigliava nervosa le frange di seta dei cuscini che premeva a sé “La tua pozione ha funzionato subito. Sono caduta in uno strano stato di torpore. Sapevo di non dormire… sapevo che non stavo sognando e ho rivissuto tutto. Tutto quanto mi è accaduto”.
Draco continuò a fissarla, non intervenne. Le lasciò il tempo di organizzare i ricordi, di elaborare il discorso. Il suo cuore era stretto in una morsa.. In fondo, lui era dalla parte sbagliata, dalla parte che le aveva spezzato la vita, che le aveva tolto amici, amore, futuro. I mangiamorte l’avevano ridotta in coma, salva per miracolo, e lui era stato un mangiamorte, c’era quel segno sul braccio che glielo ricordava ogni momento.

“Ho ricordato la morte di Valdemort, il momento in cui Harry l’ha ucciso, ho rivisto Neville decapitare quell’orrendo serpente” sussurrò Hermione, fissando un punto davanti a sé “Poi, ho visto me stessa nella battaglia con i mangiamorte che ne è seguita. Loro non si rassegnavano e continuavano a lanciare maledizioni oscure, impazziti, erano fuori controllo… e una di quelle maledizioni ha colpito Harry. Si è accasciato davanti a me, in un attimo… prima mi stava dicendo che cosa fare, un momento dopo era a terra, morto…” la voce le si spense in gola. Poi riprese “Lo stesso è accaduto a Neville…e a Ron, che si è lanciato su di me per salvarmi da una Avadra Kevadra” una lacrima le rotolò improvvisa sulla guancia.
Draco la vide e resistette all’impulso di intervenire. Da qualche parte, dentro di sé, sapeva di dover lasciarla parlare.
“Tutti morti” riprese lei “Ma io… ad un tratto mi sono sentita tirare per un braccio, sollevare, incappucciare, il buio è calato su di me. Qualcuno mi stava portando via, lontano dal clamore della battaglia, dal crepitare delle fiamme, dalle urla dei maghi… Non sapevo dove stavo andando, mi dimenavo ma braccia più forti di me mi impedivano di liberarmi dalla presa. E alla fine, ho sentito che mi stavo smaterializzando. Solo allora, mi ha lasciato. Mi ha lasciato cadere a terra e mi ha tolto il cappuccio”.
Malfoy si fece attento. Dunque, Hermione sapeva chi l’aveva ridotta in coma. Si sentì improvvisamente in preda alla frenesia. Voleva saperlo, sapere chi le aveva fatto questo…
La vide alzare lo sguardo ed incontrare  suoi occhi.
“Era tuo padre. Era Lucius Malfoy”.
Qualcosa, nel petto di Draco, esplose. Gli arrivò alla testa, riempiendola di immagini, di ricordi, di voci… dovette appoggiarsi allo schienale del sofà, senza staccare gli occhi da quelli di lei.
“Mio padre…” sussurrò.
Hermione si piegò lievemente verso di lui “Tuo padre. Tuo padre, Draco, mi ha salvato la vita”.
 

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Capitolo 25
*** Era Mio Padre ***


L’uomo la guardava con un’espressione del tutto fuori luogo. Hermione, pur sconvolta per quanto appena accaduto sotto i suoi occhi impotenti, era abbastanza lucida da sapere che non ne sarebbe uscita viva nemmeno lei dalla battaglia. L’aveva capito non appena il suo rapitore si era tolto la maschera svelando gli inconfondibili lineamenti di Lucius Malfoy. Nonostante il fervore della lotta, il suo sguardo rimaneva algido e sprezzante. La fissava immobile, lui, in piedi davanti a lei, sbattuta contro una parete umida.
La penombra li avvolgeva, così come il silenzio. Il clamore della guerra era scomparso, le urla, le voci concitate, tutto scomparso. Ma nemmeno per un secondo Hermione aveva creduto di essere in un sogno; troppo intenso era stato lo strappo della smaterializzazione e troppo strette le braccia che l’avevano sorretta, lasciandole appena lo spazio per respirare. Si rendeva conto dello spettacolo che concedeva al mangiamorte; il fiatone, scarmigliata per il fervore della battaglia, le guance nere di fuliggine rigate dalle lacrime… gli occhi spalancati dallo shock. Erano tutti morti davanti a lei, scivolati via per sempre nello spazio di un attimo. Un singhiozzo le risalì la gola, squassandola, ma, con un moto di dignità, lo represse, abbassando di scatto la testa. Non davanti a lui, non davanti all’anima nera di un mangiamorte.
“Una grifondoro non dovrebbe abbassare lo sguardo” lo sentì dire, un tono gelido che le arrivò dritto nel petto come la punta di una lama affilata. Si ritrovò a fissarlo, senza riuscire a profferir parola.
“Devi riprenderti, sanguesporco” la apostrofò sollevando un sopracciglio “O morirai anche tu come quegli sciocchi dei tuoi compari”.
Ed Hermione parlò, col poco fiato che riuscì a racimolare dentro di sé  “A che cosa servirebbe? Morirò ugualmente”.
“Stupida babbana” fece l’uomo spazientito “Non sai dire altro? Credevo che a Hogwarts ti avessero insegnato qualcosa” strinse gli occhi senza distoglierli da quelli di lei “Saresti già morta, se avessi voluto ucciderti”.
Questa volta fu la ragazza a lanciargli un’occhiata diffidente.
“E non fissarmi in questo modo” disse Malfoy, appellando a sé la bacchetta di lei, che giaceva ai suoi piedi. Quando l’ebbe fra le dita la scrutò a lungo “Ottima fattura” poi di nuovo sulla grifondoro “Purtroppo dovrai rinunciarci, almeno per un po’, o sarà uno scherzo rintracciarti”.
Le sue parole la confusero ancora di più. Si schiacciò contro la parete fredda, stringendo i denti e sibilando “Cercate di essere chiaro! E uccidetemi, non è questo che fate voialtri? Uccidere babbani e sanguesporco” quasi abbaiò, affondando le unghie nel muro scrostato e ferendosi le dita. Aveva paura, certo che ne aveva, e aveva coraggio, come era sempre stato. Affrontare la morte con coraggio…
“Merlino, Granger, ti ho detto che non saresti qui a parlare con me se fosse questo il mio obbiettivo” la redarguì sospirando.
Il silenzio cadde di nuovo tra loro. Hermione, sconvolta e senza forze, non sapeva più che cosa pensare di quella situazione anomala e non riusciva a dire niente… forse per la prima volta da tanto tempo. Negli occhi ancora la visione di Ron e Harry che cadevano sotto i colpi nemici, il fumo nei polmoni, il tremore che la scuoteva da capo a piedi.
Poi, d’un tratto, Malfoy disse in un tono spiccio “Sei qui perché voglio che tu viva” uno sguardo duro, un’espressione tesa allo spasimo sul viso pallido “La terra intorno a Hogwarts è ricoperta di sangue, del sangue dei tuoi compagni, poco più che bambini. Non un…” parve perdere la voce, poi riprese “… non un sopravvissuto, nemmeno uno. Non permetterò che anche tu venga sacrificata a questa insensata guerra”.
Hermione spalancò gli occhi, fece per dire qualcosa, ma non un fiato le uscì. Forse era davvero un sogno, e lei era morta, in un altro mondo, il più improbabile dei mondi, un mondo dove Lucius Malfoy  le salvava la vita.
“Oh, non guardarmi in quel modo” la sgridò “Sono un mangiamorte, non un killer di ragazzini e niente mi trasformerà in ciò che non sono” le puntò contro la bacchetta “Tu vivrai, bambina, se non altro per salvare la mia sporca anima assassina. E non ricorderai niente di questo incontro” la fissò intensamente “Addio, Hermione Granger”.
 


Quando Hermione smise di parlare, si accorse che Draco le fissava le labbra con un’espressione assente e nello stesso tempo sgomenta che la impressionò. Temette per lui. Si mosse appena, e gli pose una mano sul braccio, sentendolo teso e freddo.
Sussurrò “Mi fece un incantesimo di magia nera, che la tua pozione ha annullato. Sono rimasta sospesa tra il sonno e la veglia, in quel vicolo del mondo babbano, finché qualcuno non mi ha soccorsa e poi, dopo qualche tempo, sono stata riconosciuta” gli accarezzò il braccio, lentamente, per scaldarlo, per confortarlo, per svegliarlo da quello stato “Penso che abbia voluto darmi un’altra possibilità, facendomi scordare ogni cosa. Senza bacchetta, forse ha pensato che avrei potuto vivere nel mondo babbano, lontano dalla guerra, dal terrore..Mi ha salvato. E ha salvato anche te”.
Solo allora, i loro occhi s’incontrarono. Hermione vi lesse stupore, certo, incredulità, certo, ma anche altro. Capì che Draco stava ripensando a suo padre, agli ultimi momenti concitati che avevano condiviso, alla sua ferma volontà di tenerlo lontano dalla battaglia, capì che stava facendo i conti con un’idea di Lucius che non l’aveva mai nemmeno sfiorato, l’idea di un uomo che, alla fine, aveva compreso i suoi errori ed aveva agito secondo coscienza.
Malfoy le prese la mano e tremante se la portò al viso, l’accarezzò con la guancia, poi, in tono appena percepibile mormorò “Tu credi… credi che fosse pentito…” il nodo in gola gli impedì di continuare. Deglutì, strinse gli occhi, dove le lacrime erano ferme “… credi che avesse compreso l’errore? ..che volesse… riparare?” l’ultima parola non fu che un tremolio, mentre posava le labbra sul palmo della mano di lei.
Commossa e rispettosa del sentimento che stava invadendo Draco proprio sotto i suoi occhi, sussurrò “Ha riparato. Tuo padre ha riparato, Malfoy”.
Lo vide chiudere gli occhi ed annuire.
Nessuno dei due si accorse di Dobby, che, in lacrime, stava ascoltando ogni cosa, appoggiato alla parete dietro alla porta della biblioteca. Sapeva che era sbagliato origliare, ma quella volta perdonò se stesso, immediatamente.


Mi voglio scusare per il ritardo ma gli impegni personali mi hanno impedito di scrivere e revisionare il capitolo in tempi più brevi. Il prossimo sarà l'ultimo e arriverà in settimana. Grazie a tutti voi che mi seguite. Un abbraccio, Ezrebet
 

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Capitolo 26
*** Dolore e coraggio ***


Quando varcò la soglia del palazzo del governo, Hermione si sentì addosso gi occhi di tutti i presenti. Sguardi d’affetto, di sorpresa, di sollievo. Era una scena che in parte aveva già vissuto, e, come allora, il cuore le batteva forte, era emozionata e grata di esserci per raccontare, per testimoniare, per costruire qualcosa. Come la fenice rinasce dalle sue ceneri, così tutto il valore, l’eroismo, la giustizia di quelle vicende e di quei sacrifici stava lentamente rinascendo, permeando di sé il nuovo ordine, proprio come Silente aveva voluto.
Camminava a passo svelto verso la sala delle riunioni, avvolta nel mantello nero, uniforme obbligatoria per i funzionari del mondo della magia, nella mente immagini e parole di quegli ultimi giorni, in cui tutto il suo mondo aveva cambiato direzione, grazie a poche gocce di una pozione incolore, inodore, all’apparenza innocua. Entrò in sala, e subito venne salutata dal gruppetto di persone che stavano chiacchierando. Le venne subito incontro Weasley, che la abbracciò e baciò sulle guance con fare paterno.
“Sei pronta, Hermione?” le domandò fissandola, con un’espressione quasi comica, tra l’ansioso e l’orgoglioso, e al suo cenno d’assenso sicuro e accigliato, così uguale a quello dell’Hermione di tempo prima, si voltò e la condusse a capotavola. Attese che tutti prendessero posto e poi esordì, col sorriso sulle labbra “Hermione Jane Granger è pronta a prendere il suo posto qui, a dare il suo contributo affinché i progetti di pace e rinnovamento abbiano il loro corso senza indugi e noi dobbiamo ringraziare Dio o chi per lui per questa opportunità. Era morta, ed è tornata, contro ogni probabilità, pronta ad aiutarci in questo difficile compito che mi onoro di guidare” le pose una mano sulla spalla “E’ il momento, mia cara”.
Ed Hermione raccontò, lo sguardo fermo, deciso, la voce sicura, raccontò dell’ultima battaglia, dei morti, degli atti di eroismo, del dolore e del coraggio, senza dimenticare un nome, senza dimenticare un gesto né un’espressione. Raccontò di Hogwarts come se quei fatti sanguinosi fossero accaduti pochi minuti prima, nel modo in cui nessuno, eccetto lei, poteva fare, che aveva visto e vissuto. Non sfuggì gli sguardi e le occhiate dei presenti, rivolse a tutti i suoi occhi marroni senza cedere alla commozione del ricordo nemmeno quando narrò della morte di Ron e di Harry, né quando sentì la mano di Arthur tremarle sulla spalla e il suo respiro farsi più pesante. Non cedette alle lacrime nemmeno quando ricordò il momento in cui il nemico l’aveva salvata. Pronunciò il nome di Lucius Malfoy  e le sue parole, dure e così giuste in quel momento, come se non si trattasse della cosa più stupefacente che si sentisse da un po’ di tempo a quella parte. Mentre gli occhi dei ministri si dilatavano per lo stupore, Hermione raccontò tutto, di come fosse salva per opera del nemico.
Alla fine, l’applaudirono quasi timidamente, forse sopraffatti da quelle verità troppo a lungo attese. Lei si lasciò andare a un sorriso accennato, accolse le congratulazioni, le strette di mano, gli incoraggiamenti, e poi, dopo un’ultima occhiata a Weasley e ai suoi occhi lucidi, uscì in fretta dalla sala. Discese rapida le scale, raggiunse l’atrio e uscì all’aperto.

Draco la aspettava nell’automobile di Arthur, seduto sul sedile posteriore. La lasciò entrare, mettersi comoda e poi finalmente disse “Non arrivavi più” con quel broncio che aveva imparato a tollerare; anzi, che aveva imparato ad amare.
“Be’, c’è voluto il tempo necessario” rispose sorridendo “Ma ora possiamo andare”.
Il ragazzo non cambiò espressione, mentre l’automobile partiva. Rimasero qualche momento in silenzio, poi fu lei a sussurrare “E comunque, la risposta è si”.
Lui si voltò di scatto, gli occhi sgranati “Si?”.
Hermione annuì tranquilla “Ma dovrai permettermi di mettere mano all’arredamento di casa tua”.
Draco sollevò le sopracciglia, lo sguardo luminoso, la voce quasi tremante, in quell’inutile tentativo di trattenere il sollievo e la gioia.
“Mi stai dicendo che non ti piace come l’ho rimodernata. Dobby ne sarà offeso a morte” ma ormai sorrideva apertamente, mentre le trovava la mano e la stringeva tra le proprie.
“A Dobby penserò io” lo rassicurò, accoccolandosi tra le sue braccia.


Ed eccoci alla fine. Dopo un lungo periodo di silenzio, di cui mi scuso, l'ultimo capitolo di questa storia, una fine naturale e giusta, io credo.
Un saluto affettuoso a tutti, che mi avete letto con costanza e partecipazione.
Ezrebet

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