D, my sweet angel.

di Giu_911
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo. ***



Max/Harry Styles; Daniel/Louis Tomlinson

Capitolo Primo.
 

Dal retro della scrivania la signora Blanket si preparava all’incontro con il prossimo paziente della clinica psichiatrica dove lavorava ormai da quasi venti anni, e dove aveva avuto a che fare con svariate problematiche ma non sfioravano minimamente il caso del giovane ragazzo che, accompagnato da Doris, una vecchia infermiera, stava varcando la porta dello studio.
T-shirt bianca perfettamente pulita e stirata, un pantalone di cotone color blu notte e pantofole del medesimo colore: gli occhi verdi meravigliosi erano nascosti dai ricci castano scuro che gli ricadevano sulla fronte e il labbro inferiore lievemente arrossato che faceva intendere che i suoi denti bianchissimi e perfetti lo avevano martoriato fino a poco prima.
La donna, mentre lo guardava avvicinarsi alla sedia, non poteva non pensare a quanto fosse bello quel giovane. Max però non aveva voglia di parlare.
Max non aveva un bel niente da dire, voleva solo tornare da Daniel, l’unica persona in tutta la vita che gli aveva dato una speranza, l’unica persona che aveva amato e che amava.
“Non hai intenzione di parlare neanche oggi” affermò la signora Blanket, rendendosi conto solo allora che il ragazzo non aveva ancora alzato lo sguardo dal momento in cui era entrato nella stanza.
“..di cosa?” rispose lui, mentre le sue dita picchiettavano con insistenza con il ginocchio.
Non voglio parlare, voglio solo andarmene da qui.
“Non so, di quello che vuoi”
“Non ho un bel niente da dire” la interruppe lui freddamente.
“Max..”
“Voglio andarmene. Voglio tornare a casa da Daniel”
Nella stanza piombò il silenzio e ci fu solo uno scambio di sguardi tra la signora Blanket e l’infermiera che era rimasta in piedi all’angolo della stanza.
E’ morto, voleva ripetere al ragazzo che ancora, dopo quasi un anno, non era riuscito ad affrontare la cosa, ma non serviva a nulla…non più almeno.
“Daniel?..” chiese la psicologa.
Il ragazzo alzò lo sguardo di scatto, incontrando per la prima volta quello della donna di fronte a lui; aveva dei lunghi capelli biondo dorato, legati in una grossa coda di cavallo, le labbra carnose messe in risalto da un rossetto rosso e una camicetta di raso, di un giallo acceso che spuntava fuori dal camice bianco. La dottoressa continuava a studiarlo, mentre lui se ne restava immobile a fare lo stesso: gli parve strano e assolutamente assurdo il fatto che non avesse mai parlato a quella donna dell’uomo più importante della sua vita. Lo faceva sempre…con tutti.
“Chi è Daniel, Max?..” chiese ancora la donna, sistemandosi gli occhiali che pian piano le erano scivolati sul naso “..tuo fratello, un parente, o magari un amico?!..”
“Il mio fidanzato” la interruppe lui, sprofondando lentamente sulla sedia di legno lucido.
“E da quanto tempo siete innamorati?”.
Lui alzò lo sguardo e lo puntò sul calendario alle spalle della donna che tornò a guardare un attimo dopo, esitando prima di darle una risposta: gli sembrava un interrogatorio.
“Domani sono due anni” disse sentendo le gote arrossarsi, mentre un debole sorriso si dipingeva sulle sue labbra rosee. Sei un cretino Max.
La signora Blanket sorrise a sua volta.
Era incredibile: quel ragazzino provava un amore smisurato per il suo defunto fidanzato e quel sorriso, il primo sorriso che aveva potuto ammirare da quando Max era stato ricoverato, ne era la prova.
La donna si sporse in avanti, poggiandosi con i gomiti sulla scrivania,  scrutando con attenzione i lineamenti perfetti del ragazzo.
“Come vi siete conosciuti?”
“Perché le interessa tanto saperlo?” rispose corrucciato Max, mettendosi nuovamente sulla difensiva: odiava parlare di se stesso, e quella donna, dopo tutto quel tempo non lo aveva ancora capito. Cosa diavolo vuole da me?
“Non lo so.” Rispose prontamente la donna “Sai, Max. Ho avuto modo di conoscere tante persone durante la mia esistenza ma mai prima d’ora ho visto uno sguardo come il tuo.”
“Che intende dire?”
“Che al giorno d’oggi è raro trovare un amore bello, intenso, come lo deve essere il tuo” disse, lasciando che quella frase si disperdesse nell’aria, quella frase che continuava però a rimbombare nella testa di Max che guardava la donna senza battere ciglio.
“Allora?..” chiese ancora la donna, sperando in qualche modo che raccontando, Max potesse guardare realmente in faccia la realtà ed accettare così la morte del suo amato Daniel.
Max poggiò le mani sui braccioli della sedia attraversando lentamente la stanza, andando poi ad accomodarsi sul divanetto accanto al quale Doris era rimasta in piedi tutto il tempo. La signora Blanket senza troppe esitazioni si alzò, andando a sedersi al suo fianco e attese.
“Come ho già detto prima, tutto è cominciato poco più di due anni fa..”

***

Max non amava particolarmente il caos, ma quella sera, a causa del sedicesimo compleanno di una ragazzina, era stato richiamato dal suo datore di lavoro per fare gli straordinari. Non era entusiasta all’idea, ma erano sempre soldi in più che entravano direttamente nelle sue tasche, il che era un bene…soprattutto di quei tempi, e con quella crisi terribile.
Fortunatamente non doveva servire ai tavoli, così non avrebbe dovuto preoccuparsi degli schiamazzi continui della festeggiata e delle sue invitate che, mezze sbronze, cercavano di far colpo su qualsiasi ragazzo presente nel locale quella sera.
“Una coca con ghiaccio, grazie” ordinò un ragazzo, alzando il tono di voce, cercando inutilmente di sovrastare il volume assordante della musica; Max chiuse il frigorifero sotto il bancone prima di alzarsi. Aveva incontrato lo sguardo del giovane che gli stava di fronte un paio di volte, ma non si era reso conto di quanto i suoi occhi fossero belli: erano di un azzurro meraviglioso, con delle piccole striature blu. Erano da togliere il fiato.
Più li osservava più continuava a ripetersi di non aver mai visto niente di più bello in vita sua: i capelli biondi erano perfettamente curati e pettinati e i lineamenti del viso sembravano essere geometricamente perfetti…praticamente era un modello uscito dalla copertina di una delle migliori riviste di moda.
Max si rese conto che lo stava fissando solo quando Lucas, un suo compagno di lavoro chiamato anche lui dal capo per fare il doppio turno, gli andò addosso per sbaglio: lui si limitò a scuotere la testa quando l’amico si scusò, poi tornò a guardare il ragazzo che, poggiato al bancone, era ancora in attesa della sua ordinazione.
“Mi scusi…con questo chiasso non credo di aver capito. Cosa desidera?”
Il ragazzo sorrise, prima di sporgersi leggermente verso Max, alzando ancora di più la voce, almeno per quello che poteva: aveva un tono di voce flebile, nonostante stesse gridando.
“Una coca con ghiaccio” ripeté, prima di accomodarsi su uno sgabello che, proprio in quel momento per sua fortuna, si stava liberando.
“Arriva subito”.
Max, cerca di riprenderti. Si rimproverò lui, mentre si voltava per prendere un grosso bicchiere che riempì quasi per metà con del ghiaccio, versando poi della coca cola. Sentiva lo sguardo insistente del biondo su di se, ma cercava di non farci troppo caso e soprattutto stava combattendo con se stesso per non farsi sopraffare dall’imbarazzo.
“Il peggio è passato, no?” chiese il ragazzo cercando in qualche modo di attirare l’attenzione di Max, che non capiva di cosa stesse parlando.
“Come scusa?”
“Anche io lavoro in un locale simile, dall’altra parte della città. Di solito dopo quest’ora il via vai inizia a rallentare..”
“Oh beh, io comunque fra esattamente…37 minuti finisco il mio turno, quindi..” lasciò la frase in sospeso prima di voltarsi verso il gruppo di ragazzine che avevano praticamente invaso l’angolo del locale, poi tornò a guardare il ragazzo “..tu invece?”
“Io cosa?” chiese il biondo confuso, dopo aver sorseggiato un po’ della sua coca cola.
“Quando finisce il tuo turno di baby-sitter?”
Il biondo scoppiò a ridere e per Max fu quasi un sollievo sentire quel suono soave invadergli la testa e coccolare le sue orecchie martoriate dalla musica tecno che rimbombava nella sala.
“Sei qui per tenere a bada la tua fidanzata?” chiese, senza capire il motivo per il quale sperava in cuor suo di ricevere una risposta negativa.
Il ragazzo di tutta risposta si limitò ad abbassare la testa e sorridere: le sue dita stringevano il bicchiere di vetro, mentre le sue labbra fine si arricciavano lievemente.
“Pensi che, semmai avessi una fidanzata, sarebbe contenta di vedere il suo ragazzo che flirta con il barista?” chiese il biondo corrugando la fronte.
Max avvampò e per la prima volta da quando avevano iniziato a parlare si chiese se il bellissimo ragazzo fosse sbronzo o era del tutto consapevole di quello che stava dicendo.
Lui si scostò una ciocca di ricci che gli era ricaduta sulla fronte, prima di posare le mani sul bancone, cercando in qualche modo di mostrarsi sicuro e tranquillo e non impacciato ed intimidito come in realtà era. “Quindi stai flirtando con me?”
Il biondo alzò lo sguardo e sorrise ancora e Max sentì le gambe farsi molli: dovette appoggiarsi al bancone per avere la sicurezza di non crollare.
Il ragazzo si poggiò con i gomiti sul ripiano in legno, avvicinandosi al viso di Max, scrollando le spalle “Io ho detto che sto flirtando con il barista, nessuno ha parlato di te”
“Quindi non stai flirtando con me?” ribatté Max, sorridendo.
“Non ho detto neanche questo.”
“Ti scegli sempre i ragazzi migliori” cinguettò una ragazza non troppo alta che spuntò improvvisamente alle spalle del biondo, che ancora fissava il riccio “..ti unisci a noi?”
“Sto lavorando” disse Max, distogliendo solo per un attimo lo sguardo dal ragazzo.
“Ma fra…” guardò l’orologio “..24 minuti finisci il turno no? Non puoi dire di no a mia sorella” aggiunse il biondo, prima di stringere appena il labbro tra i denti.
“Mi piacerebbe tanto..” rispose Max sincero. Voleva conoscere quel ragazzo, ma era già troppo tardi per lui “..ma domani ho il primo turno, attacco prestissimo.”
“Ma ti fermi solo cinque minuti” lagnò la ragazzina.
Doveva essere una di quelle bambine viziate che non erano proprio in grado di accettare un ‘NO’ come risposta, ma lui non poteva proprio restare.
“Non insistere Jackie. Sarà per un’altra volta, vero?” chiese il ragazzo con gli occhi che potevano far invidia anche al cielo limpido.
Max, ipnotizzato dal suo sguardo, si limitò ad annuire, prima di guardare il ragazzo che si alzava dallo sgabello e che si lasciava trascinare via dalla sorella.
“Ci vediamo presto allora…non mi hai detto come ti chiami.” disse il ragazzo mentre spariva tra la folla.
“Neanche tu l’hai fatto”
Il biondo sorrise, divertito da quella scena “Daniel…mi chiamo Daniel”.
“Bene Daniel. Quando tornerai saprai il mio nome” urlò Max, prima di fargli l’occhiolino. Si tolse il grembiule e, con un gran sorriso stampato sulle labbra, si dileguò nel retro del locale: lo appese in quello che doveva essere una specie di attaccapanni e recuperò la sua giacca di pelle in un angolo dello stanzino.
Non era la prima volta che faceva incontri di quel tipo, ma spesso e volentieri erano le ragazze a fare le cretine e a cercare di attirare la sua attenzione, con quel giovane invece era stato diverso: già dal primo gioco di sguardi aveva sentito una sensazione strana allo stomaco. Non credeva al colpo di fulmine, né tantomeno all’amore, ma c’era un’attrazione tra i due che era quasi impossibile non percepire.
“Così ieri sera hai fatto colpo eh?” chiese Lucas la mattina successiva, mentre tirava fuori l’ennesimo cestello dalla lavastoviglie: lui era diventato il suo unico amico, il suo unico confidente, l’unico a sapere dell’omosessualità di Max.
Lui stava conteggiando quanti litri di latte erano rimasti nel frigorifero quando l’amico gli fece la domanda: era così chiaro che quel biondo aveva colpito così tanto Max?
Alzò lo sguardo, corrugando la fronte “Di cosa parli?” chiese fingendo di non capire di cosa l’amico stesse parlando e prima che Lucas si girasse a guardarlo, abbassò lo sguardo.
“Su, sai benissimo di cosa parlo. Il modello superfigo, con la voce da femminuccia”
“Non aveva la voce da femminuccia” lo rimproverò il riccio.
“Allora sai di chi sto parlando!”
Max alzò gli occhi e fulminò l’amico con lo sguardo: odiava quel genere di giochetti.
Sentì la porta del locale aprirsi, ma restò comunque piegato sulle ginocchia e ricominciò a conteggiare i litri di latte rimasti nel frigorifero: il cliente aspettò un poco per parlare e l’unica cosa che Max udiva di sottofondo era la risatina di Lucas. Non riusciva a capire cosa lo divertisse tanto…solo qualche istante dopo capì.
“Mi può preparare un caffè? E magari se possibile un litro di latte da portar via”.
Aveva sentito quella voce solo il giorno prima, eppure era certo di averlo riconosciuto.
“Io penso al caffè. Max, al latte ci pensi tu?” chiese l’amico facendogli l’occhiolino, e prima che lui potesse finire di fare la domanda recuperò un cartone di latte, alzandosi in piedi.
Il biondo sorrise: dai suoi occhi il riccio capì che aveva fatto le ore piccole ma sinceramente gli importava veramente poco. Era stranamente contento di rivederlo.
“Quindi abbiamo svelato il grande mistero, Max”
“E’ un piacere vederti Daniel. Le bambine ti hanno fatto far tardi a quanto pare!” rispose il riccio, cercando in qualche modo di sviare e non rispondere all’affermazione del biondo.
Lui non disse nulla, si limitò a sorridere e a sistemarsi di fronte al piattino che Lucas aveva sistemato sul bancone, aspettando il suo caffè.
Se la sera prima era perfettamente in tiro, quel giorno Daniel sembrava aver aperto l’armadio e aver preso le prime cose che gli erano capitate sotto mano: indossava una camicia blu aperta, con sotto una canotta aderente bianca che metteva ben in risalto il suo fisico longilineo e un paio di jeans chiari che gli calavano leggermente. La frangia gli ricadeva piatta sulla fronte e gli occhiali da vista erano ben saldati sul suo nasino perfetto.
Era perfetto, nonostante quella mattina somigliasse ad un barbone.
I due non si rivolgevano la parola: tra di loro c’era solo un continuo scambio di sguardi e sorrisi che mettevano in imbarazzo anche il povero Lucas che non aveva idea di cosa dire per spezzare quel silenzio decisamente imbarazzante.
“Max, quando hai un attimo di tempo dovresti iniziare a fare l’inventario…oh, buongiorno!” il tono del datore di lavoro era serio e autorevole quando aveva ordinato al dipendente di fare quel lavoro per lui e si era trasformato in amichevole quando aveva notato il cliente che se ne stava comodo sullo sgabello a sorseggiare il suo caffè.
“Lo faccio immediatamente..” sbuffò il ragazzo, mentre si dirigeva nello stanzino sul retro.
“Quindi ci vediamo presto?..” chiese il biondo, costringendo Max a voltarsi in sua direzione: lui gli sorrise, rispondendo solo con un cenno di capo, prima di sparire dietro la porta bianca malandata.


 

SPAZIO AUTRICE:
Visto che non mi batava avere due storie aperte ho deciso di aggiungerne una terza.
Questa è quella dove mi sono impegnata un poco di più, e che ha una storia più intricata.
I protagonisti hanno nomi differenti dai soliti, perché inizialmente non era nata come fanfiction.

Spero sia di vostro gradimento.
Baci, Giu.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo. ***



Max/Harry Styles  Daniel/Louis Tomlinson
Capitolo Secondo. 


La dottoressa riusciva a vedere quanto amore c’era negli occhi di quel giovane uomo: forse il vero problema era uno. Lui era cosciente di quello che era accaduto a Daniel, ma la sua testa si rifiutava di accettarlo e lui sperava sempre di vederlo varcare la porta, così che potesse corrergli incontro e stringersi tra le sue braccia forti.
Max si sentiva bene, amava raccontare la sua storia, perché sapeva che era unica, sapeva che di quei tempi trovare la persona che ti completava non era cosa da poco, ma lui c’era riuscito: lui aveva trovato la sua anima gemella ed era fiero, era fiero di loro come coppia.
Non amava particolarmente sedersi a tavolino e mettersi a raccontare gli affari propri ad una sconosciuta, ma in quel momento detestava particolarmente la donna che era andata a bussare alla porta della signora Blanket, interrompendo il suo racconto.
“Abbiamo un’urgenza” aveva detto la donna e la signora Blanket si era voltata verso il ragazzo, dicendogli che avrebbero continuato a parlare il giorno a seguire, prima che Doris si avvicinasse a lui, aiutandolo ad alzarsi come se non fosse abbastanza in grado da farlo da solo. Lui si lasciò trascinare fuori dallo studio, attraversando poi il lungo corridoio, dirigendosi verso la sua piccola stanza dall’altra parte dell’edificio.
Sulle sue labbra apparì l’ombra di un sorriso quando vide l’amico in piedi di fianco alla porta e scosse il braccio, obbligando l’anziana infermiera a mollare la presa; Max corse verso Lucas, buttandogli le braccia al collo e scoppiando in lacrime, come faceva sempre quando qualcuno di caro andava a fargli visita.
Lucas strinse più che poteva il corpo dell’amico tra le braccia, iniziando poi a massaggiargli la schiena, sorrise appena all’infermiera che era rimasta impietrita a guardare la scena.
“Non si preoccupi, mi occupo io di lui” mormorò, prima di portare una mano tra i ricci di Max: erano morbidissimi, e sempre in perfetto ordine, così come lo era il suo aspetto.
“Che ne dici di entrare?” chiese lui, e in tutta risposta il riccio si limitò ad annuire, staccandosi quasi in modo brusco dall’amico, come se improvvisamente lo sconforto di poco prima fosse cessato. Lucas entrò dopo di lui nella stanza, guardandosi intorno come faceva sempre: quando camminava per il corridoio della clinica riusciva a scorgere le piccole stanze grazie alle porte semiaperte, ed erano tutte uguali. Claire, la mamma di Max, aveva fatto il possibile per rendere quella stanza confortevole, aveva fatto di tutto per far si che, ogni volta che il figlio varcasse la porta di quella camera, si sentisse a casa. Era una piccola stanza, con le pareti bianche, sulle quali la mamma aveva attaccato foto e poster di ogni genere: in un angolo, appesa al muro, c’era un piccolo televisore a schermo piatto e sotto una piccola mensola dove vi erano sistemati i suoi libri preferiti. Una piccola finestrella, proprio vicina al letto, si affacciava sul cortile della clinica, dove vi era una grossa fontana, circondata da mucchi di rose bianche. A vederla da quella prospettiva era quasi difficile pensare che in quel momento si trovava in una clinica.
“E’ venuto oggi Daniel?” chiese Max; Lucas si voltò di scatto e sospirò pesantemente.
Non di nuovo. Ogni volta era la stessa storia.
“Daniel?..”
“Si, è venuto a fare colazione stamattina? Gli hai messo un po’ di cacao sopra la schiuma di latte? Adora il cacao..” disse a raffica, mentre sistemava i dischi in vinile che la madre aveva sistemato sulla mensola, di fianco ai libri.
“Non è venuto, Max” disse lentamente l’amico, mentre il ragazzo si voltava in sua direzione: corrugò la fronte, avvicinandosi poi al letto dove Lucas si era già accomodato.
“Non viene da quasi un anno..” continuò lui.
“Da quasi un anno, ma di cosa parli?” la voce di Max sembrava essersi fatta improvvisamente tremante: era preoccupato per il suo Daniel, era preoccupato per un ragazzo che era morto già da tanto, troppo tempo. Come poteva Lucas spiegare al suo migliore amico che il suo grande amore non sarebbe mai tornato?
“Daniel è morto, Max. Non ricordi?”
Sta delirando? Sono scherzi da fare questi? Pensò Max mentre sentiva i suoi occhi colmarsi di lacrime che non accennavano minimamente a scivolare sulle sue guance che improvvisamente si erano fatte terribilmente fredde.
Il mondo di Max gli stava letteralmente crollando addosso: aveva un senso di nausea terribile addosso, la testa gli girava, mentre le lacrime avevano iniziato a scendere copiose sulle sue gote arrossate. No, è sicuro, sta mentendo. E’ tutto uno stupido scherzo.
“Se questo è uno scherzo io non lo trovo affatto divertente..”
“Ti sei mai chiesto perché non è mai venuto a farti visita?” lo interruppe il suo amico.
“Lui viene ogni sera, sempre” rispose sicuro di se, alzando estremamente il tono di voce.
Lucas non riusciva a credere alle sue orecchie e ai suoi occhi: lui era certo che l’amico era consapevole della morte di Daniel, ne era sempre stato sicuro eppure lui voleva autoconvincersi che un giorno sarebbe tornato, che un giorno si sarebbe presentato in quella clinica e dopo averlo aiutato a raccattare tutte le sue cose, l’avrebbe portato via. Nonostante lui desiderasse vedere il suo amico felice dopo tutto quel dolore, nonostante pregasse ogni notte che avvenisse una specie di miracolo che portasse indietro quel ragazzo, non era possibile e doveva cercare di fare tutto ciò che era in suo potere per aprire gli occhi a Max.
Lui era giovane, lui doveva ricominciare a vivere la sua vita…senza Daniel.
Si avvicinò a lui, accarezzandogli i ricci, prima di dargli un bacio sulla tempia.
“Ti ricordi cosa accadde il 14 agosto dello scorso anno? Ricordi dov’eri?”
Sulla tomba di Daniel, dillo…io sono sicuro che tu possa riuscire a ricordarlo. Continuava a ripetere nella sua testa, mentre i suoi occhi color nocciola penetravano in quelli verde smeraldo del suo migliore amico. Cerca di ricordare, ti prego.
“Ora anche tu mi tratti come uno psicopatico?”  disse freddamente Max, spintonandolo.
Lucas dovette puntare bene i piedi a terra per cercare di non cadere a terra.
“Lo fanno già tutti qua dentro, lo fa la psicologa, Doris, anche la signorina che mi porta quello che dovrebbe essere cibo commestibile e tu, il mio migliore amico…non solo vieni qui a dirmi balle sul mio fidanzato, ma mi tratti anche come un pazzo”. Lucas riusciva a vedere le vene sul collo di Max ingrossarsi per quanto urlava: la voce graffiata e le lacrime che continuavano a rigargli il volto gli provocarono una scossa lungo tutto il corpo.
Odiava vederlo in quelle condizioni, ma visto che tutti fingevano che nulla fosse cambiato era giusto che qualcuno, per quanto crudele fosse, gli sbattesse in faccia l’amara verità.
“Non penso affatto che tu sia pazzo, è anche per questo che sto cercando di essere sincero..”
“Vuoi dire che il resto del mondo, mia madre e le mie sorelle, mi stanno mentendo?” lo interruppe lui, alzando se possibile il tono di voce.
Lucas chiuse gli occhi, sentendo il dolore alla testa con il quale si era svegliato aumentare sempre di più a causa delle sue grida; annuì, aprendo gli occhi e notando quanto Max si stava facendo scuro in volto “Credono sia la cosa migliore per te, mentire..”
“Tu non sai di cosa parli, tu non ne hai la minima idea…esci da qui” sbottò lui, scattando in piedi e dirigendosi a passo svelto verso la porta della stanza che spalancò: Doris, dietro la porta, aveva sentito ogni cosa. Max si sentiva come un carcerato, non aveva libertà.
Non era libero di dire quello che pensava, non era libero di piangere e urlare quando voleva, perché qualcuno era sempre pronto dietro la sua porta a dargli pasticche o tranquillanti.
Lucas, senza aggiungere altro si alzò, raggiungendolo verso la porta e prima di uscire si abbassò per dargli un piccolissimo bacio sulla guancia.
“Io voglio solo il tuo bene Max, non dimenticarlo” disse lui, prima di trascinarsi nel corridoio, senza mai voltarsi indietro. Sentì l’infermiera battibeccare con il ragazzo, per cercare inutilmente di entrare nella sua stanza e poi un tonfo terribile: si voltò e vide la stanza chiusa e l’infermiera che, scuotendo la testa, si accomodava su una piccola sedia che aveva sistemato proprio accanto alla porta.
Non era solo Lucas a volere il suo bene: tutti, a loro modo, cercavano di dare a quel ragazzo una seconda possibilità, tutti, anche i clienti del bar desideravano solo di rivedere Max dietro quel bancone, di rincrociare anche solo per sbaglio un suo sorriso. I suoi familiari desideravano rivederlo correre per casa mentre si preparava per andare al lavoro, i suoi amici volevano passare ancora del tempo con lui, anche solo quei pochi minuti che servivano per dividere una birra o una sigaretta e scambiare così quattro chiacchiere.
C’era chi, come Lucas, era convinto che sarebbe tornato il burlone di sempre che, anche se dentro avrebbe portato quel dolore che non lo avrebbe mai reso del tutto felice, sarebbe tornato alla sua vita di tutti i giorni. Solo una volta, mentre era a lavoro, una ragazza dai lunghi capelli biondi e dagli occhi azzurri, aveva detto una frase che lo aveva colpito e che lo aveva fatto ragionare.
In quell’incidente non è morto solo Daniel. L’anima di Max è andata via con lui e non tornerà mai più indietro”.

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