Body's Fire

di mikeychan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Viola in due vie ***
Capitolo 2: *** Segreti ***
Capitolo 3: *** Tanti Sfoghi per un Dolore Comune ***
Capitolo 4: *** La Storia di Ambra ***
Capitolo 5: *** Ritorno ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Viola in due vie ***


-Allora a più tardi, ragazzi!- salutò Donnie, con una mano sul borsone a tracollo.
-Sicuro che non vuoi che veniamo?- chiese Leo, un po’ titubante.
Donnie scosse il capo: -Posso farcela, tranquilli. Ho bisogno di un po’ d’aria fresca-.
E girando i tacchi, se ne andò, sparendo nelle fogne per prendere la moto di Raph.
Erano trascorsi circa due mesi da quando Donnie si era trasformato in un coccodrillo mutante e in quelle otto settimane il genio si era sentito soffocare dalla sin troppa protezione riservatagli dalla sua famiglia.
Aveva provato a spiegare che stava bene e se la sentiva di tornarsene il “topo da laboratorio” di sempre, ma nulla. Gli erano sempre sul collo, a chiedergli come stesse, se avesse bisogno di qualcosa…
E lui, malgrado apprezzasse sentirsi così benvoluto, voleva un po’ di privacy.
“Non è mica chiedere tanto!”, aveva pensato molte volte.
E finalmente, dopo lunghe riflessioni, aveva capito come essere libero per un po’, almeno…
 
Donnie rombava sulle strade della Grande Mela con occhi brillanti di felicità. Attraverso il suo casco viola fissava la sua città natale. La parte scoperta della sua pelle era accarezzata dalla gelida aria di novembre. Con quella giacca nera addosso, freddo non ne sentiva molto.
Le ombre lo nascondevano dal caos serale delle 22:10 mentre qualche passante cercava di raggiungere frettolosamente la sua casa, per evitare rogne. I grattacieli si stagliavano maestosi contro il cielo notturno, riflettendo la splendida luna piena che ammorbidiva i contorni di soffici nubi blu.
-Finalmente un po’ di pace!- si disse felicemente, svoltando a destra.
Era sulla 45esima e aveva da poco superato l’appartamento di Casey Jones.
-Anche se odio dirlo, i miei fratelli mi stavano soffocando!-.
Donnie accelerò sino ai 190 km/h, curvando in avanti il suo busto. File di lampioni illuminavano la carrozzeria rossa della moto, lasciando brillare le parti cromate e la marmitta.
Ben presto, però, l’attenzione della tartaruga ricadde su un urlo, delle risate e un groviglio di ombre che si muovevano confuse in un vicolo sul lato destro della strada.
-Che diavolo sta succedendo lì?- mormorò Don, ora decisamente più serio.
Rallentò la sua moto sino a quando usò entrambi i piedi come fermi, sull’asfalto un po’ umido di precedenti piogge. Gli occhi nocciola si mossero rapidamente e un altro buio vicolo, sul lato opposto della strada, gli offrì un rapido parcheggio per la sua vettura…
 
-Che cosa ci fa una balena nel nostro territorio?!- schernì sonoramente una voce dura.
-Facciamone salsicce, così potremo venderle e rimorchiare soldi!- ne seguì un’altra, meno intensa.
-Io dico di ucciderla e basta!- ringhiò la terza, intrisa di veleno.
Donnie, che nel frattempo aveva raggiunto il vicolo, si bloccò all’ultima frase. Era buio, è vero, ma una luce rossastra, proveniente da un night club, mise in evidenzia tre tipi loschi e una figura incastrata fra un cassonetto della spazzatura e il muro est.
Donnie avrebbe giurato di aver visto un paio di occhi nocciola, lustri di pianto. Dalla fugace veduta di un familiare tatuaggio a forma di dragone viola, il genio intuì che i nemici erano i Purple Dragons.
-D’accordo, allora- mormorò Don, afferrando il Bo: -Stasera si balla-.
Il Purple Dragon con la cresta da punk azzurra si avvicinò alla vittima con un coltello a serramanico; il suo ghigno fu ben evidenziato dai riflessi dei piercing sulle labbra. Gli altri due teppisti sghignazzavano, agitando i loro tubi di ferro.
-Game over, balena!-.
Alzò il coltello, la vittima chiuse gli occhi per non guardare. Il suo cuore batté intensamente, aspettando il dolore che avrebbe messo fine alla sua vita.
Fu questione di un attimo: l’urlo di vittoria che l’uomo aveva dato fu bruscamente interrotto da un tintinnio e un affondo nelle membra. Ben presto, un odore ferroso si levò nell’aria fredda, catturando l’attenzione della figura nascosta nell’ombra.
-Che… che cosa?- balbettò l’uomo, attonito.
Donnie alzò il capo, mostrando il suo letale sguardo. Fece una smorfia al sangue che continuava a cadere lungo la sua mano, dal palmo dove il coltello si era affondato.
-Mai sentito parlare di giustizieri notturni?- schernì Don.
Ignorando il dolore nella mano, tirò il braccio destro del nemico verso di lui e una testata violenta lo stordì. Il genio si sfilò con forza l’arma dalla mano, scagliandola lontano. Lanciò il suo Bo rotante verso l’altro teppista che stava avvicinandosi alla vittima e lo fece cadere pesantemente in terra.
-Ti faccio vedere io!- urlò l’ultimo Purple Dragon, alle spalle del genio.
-Tu credi?-.
Don si accorse del tubo che stava scontrandosi contro la sua nuca e si accovacciò sulle ginocchia: calcolando mentalmente un tempo minimo di reazione, si destreggiò in una mossa sorprendente.
Eseguì un calcio, portando la gamba sempre più in alto, trasformandola in una spettacolare rovesciata: la caviglia della tartaruga colpì sonoramente la testa del nemico, il quale emise un gemito e crollò K.O.
Donnie si portò alle spalle del nemico prono in terra, rimettendosi in piedi e afferrando il suo Bo.
-Ecco fatto-.
Da un debole piagnucolio, Donnie si ricordò del paio di occhi nocciola che aveva visto prima e si avvicinò cautamente alla vittima ancora accanto al cassonetto.
-Sta bene?- chiese dolcemente: -Non è ferita, spero-.
-L… la ringrazio- gemette con voce cristallina ma incrinata: -La prego, non mi faccia del male-.
Don sospirò: -Non ne ho alcuna intenzione-.
-La prego, signore… non mi guardi, non si avvicini a me!- implorò la ragazza, singhiozzando.
Il genio, il quale si stava avvicinando sempre più, cercò di rassicurarla.
-Andrà tutto bene. Il mio nome è Donatello e ho 17 anni. Tu?-.
L’altra si schiacciò contro il muro: -Ambra… ho anch’io la tua età, Donatello…-.
-Hai un bellissimo nome, come i tuoi occhi- sorrise il genio, accovacciatole dinanzi.
-Ti prego, non guardarmi- implorò Ambra: -Sono un mostro orribile-.
-Non credo proprio- rispose il genio: -Sai, anch’io non sono un comune ragazzo-.
Ambra si rilassò un po’ e si ritrovò la mano di Donnie sulla sua; arrossì un po’ ma la paura di mostrarsi la assalì nuovamente. Ricordi tristi la spaventarono terribilmente.
-Dove abiti?- chiese Don, con tono dolce e sensuale.
-Sulla… 47esima, al quarto piano-.
-Allora ti accompagno- si offrì Don, rimettendosi in piedi: -Non mi va di lasciarti da sola. Ti fidi di me?-.
-Mi fido, ma…- sospirò Ambra: -Donatello, sono orrenda-.
Il genio scosse il capo e sorrise: -Non credo affatto, Ambra-.
Ambra cedette e si rialzò in piedi, togliendosi il mantello ampio e terra d’ombra che le ricopriva il corpo.
Don la osservò e capì il motivo di tanta riluttanza nel farsi vedere.
-Sono obesa- disse, in un sussurro.
Ambra aveva dei lunghi capelli castani, che ricadevano dolcemente sulle spalle. Le sue gote erano lustre di lacrime; indossava una candida collana di perle, in tono al braccialetto. Portava un ampio maglione viola, a collo alto, su una gonna nera, come i tacchi corvini ai piedi e le calze.
-Sono un mostro Donatello-.
Fu allora che, grazie alla luce del night club, la ragazza notò la mano rugosa e verde di Don. Il suo sguardo memorizzò le tre dita, le gambe verde oliva, le ginocchiere marroni e i piedi nudi con due dita.
Il genio sorrise colpevolmente, distogliendo lo sguardo.
-Sei diverso anche tu- mormorò Ambra, in un sussurro meravigliato.
-Adesso hai capito?- disse Don, afflitto: -Io credo che non ci sia nessuno più carina di te, Ambra-.
La ragazza arrossì e dolcemente afferrò il casco di Don, il quale non era entusiasta di farselo togliere.
-Permettimi di guardarti, ti prego. Ti fidi di me?-.
Il genio ridacchiò alla stessa frase già detta prima e annuì. Il casco fu rimosso e un piccolo sospiro sfuggì dalle labbra rosee di Ambra. Non era spaventata.
-Abbiamo gli stessi occhi- ammise con semplicità: -Indossi una bandana, perché?-.
-Sono una tartaruga mutante ninja e il viola è il mio colore preferito. Il Bo è la mia arma-.
-Il viola è anche il mio colore preferito. Mi fa sentire protetta e al sicuro- rivelò Ambra.
Don si sentì imbarazzato e distolse lo sguardo solo per evitare di farsi vedere completamente rosso.
-Andiamo a casa?- chiese Ambra, mentre il vento le scosse i capelli.
-Sicuro. Andiamo con la mia moto-…
 
************************************
 
L’appartamento di Ambra era molto confortevole. Le mura erano tinte di crema, mentre lucide toghe di legno erano accompagnate da mobili di noce e tappeti prevalentemente viola, di varie tinte. Il soggiorno presentava un divano, una tv e una libreria.
La cucina, invece, era bianco panna e un grosso frigo metallizzato accompagnava perfettamente quei colori. L’unico bagno era rosato, con una doccia, una vasca e una lavatrice. Infine, la camera da letto di Ambra era graziosa.
Completamente lilla, dalla scrivania all’armadio, era piena di poster di ragazze magre, computer e band famose, come i Simple Plan.
-Hai un bell’appartamento, sai e si gode una vista meravigliosa di New York- disse Donnie.
Si affacciò alla finestra del soggiorno, osservando le perle di luci all’orizzonte, contrastanti con il bianco splendente della luna piena.
-Grazie- sorrise Ambra: -Puoi toglierti la giacca se vuoi-.
Il genio annuì: -Sì, non serve qui. La temperatura è più gradevole-.
-Ho i riscaldamenti accesi, Donatello-.
Il genio e Ambra scoppiarono a ridere, dopo un lungo sguardo buffo. Quello che il viola non poté fare a meno di notare fu il dolce sorriso che mostrava la fossetta sulla guancia di Ambra. Era un animo dolce, peccato per l’alone di tristezza che l’avvolgeva.
-Sei carino, lo sai?- disse, poi, notando anche la macchia rossa sulla mano gonfia: -Sei ferito!-.
Il genio ricordò il coltello del Purple Dragon che aveva parato nella sua mano e osservò il profondo taglio bluastro sulla sua pelle. Adesso comprese perché si sentiva anche un po’ deboluccio.
Ambra lo fece accomodare dolcemente sul divano lilla e gli chiese di attenderla un istante.
Nella pace che regnava sovrana in quell’appartamento, il viola sentì una vibrazione proveniente dalla cintura. Guardò e raccolse il tarta-cellulare, dove lo aprì e osservò la serie di chiamate e messaggi.
-Leo, sei sempre lo stesso- borbottò con una risatina.
Ambra tornò dalla zona notte con una cassetta del pronto soccorso in mano. Non appena vide Don che armeggiava con il cellulare si ritrasse un po’.
-Scusami, ti ho interrotto?-.
-No, no!- la stoppò il genio: -Figurati, controllavo solo i messaggi di mio fratello, tutto qui-.
Ambra si sedette accanto a lui, incuriosita: -Hai un fratello?-.
-Tre, per la precisione- spiegò Don, mentre Ambra cominciò la pulizia della ferita: -Leonardo è il primo, Raphael, poi ci sono io e infine Mikey, più giovane di un anno. Il nostro maestro e padre è un topo mutante di nome Splinter-.
-Incredibile!- mormorò Ambra, affascinata: -Ma… come puoi raccontarmi tutto questo se mi conosci appena?-.
-Il tuo sguardo mi ha fatto capire che cuore puro hai. Quindi no, non ho alcun timore nel parlarti di me!-.
-La tua famiglia è molto fortunata ad averti sai?- espresse Ambra, avvolgendo la mano nelle garze.
Donnie spalancò gli occhi, con un battito in meno. Aveva sentito bene? Guardò il volto paffuto di Ambra… lei era così sincera ma tanto triste.
-Ambra…- disse gentilmente: -Posso… posso chiederti perché sei tanto triste?-.
Lei sorrise amaramente: -Perché mi odio perché non posso cambiarmi. Sono orrenda… insomma, guardami! Ho cominciato a buttarmi sui cibi dopo la morte di mio padre, la persona che tenevo di più e mi sono persa-.
Il genio non poté fare a meno di notare una fotografia appena alla parete dove capeggiava la porta della cucina, dinanzi a lui. Era sicuramente Ambra, ma molto magra e bella. Abbracciava un alto uomo dai capelli castani e gli occhi verdi, sorridenti.
-Quella ero io, prima che mio padre morisse di cancro, due anni fa- spiegò Ambra.
-Sei ancora bella per me- disse Donnie.
-Ho provato a dimagrire, ho provato a uccidermi, ma continuo a mangiare- pianse l’altra: -Ero una ragazza di sessanta chili… ora sono quasi sui 185-.
-Ambra, io ti aiuterò a realizzare il tuo sogno!- sorrise il genio, più che convinto.
-L… ho farai d… davvero?-.
Donnie annuì ma prima che potesse rispondere, la vibrazione del telefono catturò la sua attenzione con un lieve solletico al fianco destro.
-Scusami- disse e si affrettò a leggere il numero sul display: -E’ Raphael. Pronto?-.
-DONNIE! Dove sei?-.
-Calmati, Raph. Sto bene e…-.
-Donnie, è successa una cosa terribile! Ci serve il tuo aiuto!-.
Donnie guardò Ambra, spaventata e deglutì: -Cosa è accaduto?-.
-Mikey… l… lui…-.
-Calmati, Raph e dimmi tutto!-.
-L… lui si è bruciato! Corri, ti prego!-.
Il genio udì un urlo di dolore proveniente dal suo fratellino e il suo cuore affondò…
Chiuse il telefono e guardò Ambra, spiegandogli la chiamata.
-Vai Donatello e… se puoi, torna a trovarmi. Mi piace la tua compagnia-.
-Anche a me…- e Donnie se ne andò, mentre lo sguardo di Ambra lo seguiva…

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Capitolo 2
*** Segreti ***


Mikey urlava, incapace di calmarsi con tutto il dolore che masticava le sue povere mani. Splinter lo stava cullando, cercando di placare quelle lacrime, ma non ci riusciva.
-DO… DONNIE!- strillò ancora, mentre Leo e Raph pregavano per il loro genio.
Neanche a farlo apposta, ecco che il mutante viola ritornò, lasciando sbattere rumorosamente la porta. Ancora correndo, si sfilò la giacca nera, gettandola in terra. I suoi occhi erano intrisi di lacrime mentre osservava Mikey singhiozzare.
-Don…- mormorò Leonardo, afflitto.
-Che cosa è accaduto?- chiese il genio, inginocchiandosi dinanzi al fratellino.
Era stato adagiato sul tatami del dojo, con un cuscino sotto il capo. La maschera arancione era oramai più scura, a causa della moltitudine di lacrime.
-Donnie…- biascicò Mikey, riaprendo i suoi occhi arrossati.
Il genio gli accarezzò la testa: -Sono tornato, piccolo… andrà tutto bene-.
-L’acqua calda non funzionava- spiegò Leo, colpevolmente: -Ho pensato di riempire metà vasca con l’acqua riscaldata sul fuoco-.
-E?- incitò Don, spalancando gli occhi.
-Ho preso io la prima pentola, ma non mi sono accorto che Mikey stava entrando in cucina. Mi sono scontrato e mi è scivolato tutto di mano-.
-M… meglio io c… che n… non Leo…- gemette Mikey, continuando a piangere.
Don controllò le mani: i polsini erano già stati tolti e si potevano notare bene i palmi rossi e gonfi, con bruciature sino a metà avambracci.
-Mi dispiace di non essere stato qui…- e Donnie spiegò del suo incontro con Ambra, della lotta contro i Purple Dragon e del chiacchierare piacevole finale.
-Hai deciso di aiutarla, quindi?- chiese Raph, guardando Mikey, un po’ più calmo.
Don annuì: -Era disperata, ragazzi. Però, adesso, occupiamoci di Michelangelo-.
Raph prese in stile sposta il bambino dagli occhi azzurri, conducendolo nel laboratorio di Donnie.
-Raph- gracchiò Mikey: -Mi dispiace-.
-Per cosa? Sei tu quello che sta male-.
L’arancione esitò: -Per essere un buono a nulla-.
Raph lo depositò sul lettino del laboratorio, dandogli un’affettuosa carezza sulla guancia destra.
-Stai zitto, è meglio-.
Mikey sorrise, sapendo che suo fratello maggiore stava cercando di rincuorarlo.
Come Don arrivò, seguito da Leo e Splinter, iniziò immediatamente a curare il poveretto, sperando che suo fratello leader non sarebbe sprofondato in un dannato senso di colpa auto-accusatorio.
 
************************************
 
Velocemente erano già trascorse due settimane. Mikey aveva le mani completamente fasciate di bianco e sebbene era tornato apparentemente quello di sempre, aveva in mente un solo desiderio.
-Donnie!- chiamò fuori dal laboratorio.
Il genio intento a lavorare su qualcosa di cartaceo, si voltò incuriosito. Vide il fratellino che camminava a passo deciso verso di lui, sorridente più che mai.
L’immagine di Michelangelo che piangeva, però, era ancora fissa nella mente.
-Che succede, Mikey?- chiese il viola, con un sorrisino.
-Ritornerai da Ambra?-.
Donnie arrossì un po’: -Certo. Infatti sto lavorando su un piano di dieta niente male-.
Mikey annuì: -Sai una cosa? Posso capirla molto bene come si sente. Il dolore che si può provare ha diverse cure, ma molte sono solo apparenti-.
Il genio rimase parecchio perplesso dalle parole udite: Mikey, adesso, aveva mutato la sua espressione. I suoi occhi erano indecifrabili e una lieve angoscia era crescente sul suo volto. Perché?
-Ricordi da piccoli? Raph ha sempre avuto problemi di peso- continuò afflitto: -Amava mangiare a dismisura e per questo ingrassava-.
-Sì, lo ricordo. Aveva una piccola disfunzione ormonale-.
Mikey guardò Donnie come se avesse detto una grande bugia. Donnie poggiò le mani sulla poltrona nera e il fratellino gli si sedette sulle gambe.
-Può darsi, ma io so la verità-.
Donnie rimase sbigottito: -L… la verità?-.
-Raph mangiava molto perché era molto triste. Non accettava che il sensei avesse occhi solo per Leo. Lo vedevo abbuffarsi con tutto quello che trovava… lo vidi sempre più grosso ma piangeva-.
Donnie, senza capire perché, sentiva parlare il cuore di Mikey in quel racconto. Era tutto vero.
-Io non lo sapevo, non mi ha mai detto nulla-.
-L’ho aiutato- l’arancione continuò, fissando il vuoto: -Il suo peso iniziale era di 50kg, a sette anni. Ci pesammo insieme… Raph aveva raggiunto quasi i 95 ed era molto affaticato-.
Donnie rimase in silenzio: non poteva fare a meno di trovare delle somiglianze con il racconto di Ambra.
-Io ero sempre pelle e ossa. Decisi di aiutarlo, anche se avevo solo sei anni-.
-Mikey… perché mi stai dicendo questo?- chiese Don.
L’altro si alzò dalle sue gambe e si girò di guscio: -Gli proposi di aiutarmi a mangiare di più. Io odiavo farlo e il mio peso era sempre sui 30 kg. Come un anoressico. Monitoravo Raph e parlavamo. Ci confortavamo e alla fine dimagrì. Diventò forte e sano… ma…-.
Donnie rimase sconvolto e si alzò dalla poltrona: -Ma?-.
-Le cose sono cambiate. Ora sono diventato io quello lontano dall’affetto del maestro. Pensi che non lo sappia? Lui ama sempre Leo, te e Raph-.
-Mikey, non essere ridicolo. Il sensei ci vuole bene in misura uguale-.
L’altro tese le spalle: -Ora che sono ustionato, sono del tutto inutile!-.
Ancor prima che Donnie potesse abbracciarlo, Mikey scappò via dal laboratorio, incurante di Raph (basito) fuori la porta. Si chiuse in camera sua, gettandosi sul letto.
“Ecco perché capisco Ambra… solo che io ho fatto qualcosa d’inverso. Ho rifiutato il cibo!”, pensò.
Mikey iniziò a singhiozzare e afferrò dal cassetto del suo comodino un kunai. Accese il lume per rischiarare il buio e si specchiò nella lucentezza della lama.
-Il dolore ha diverse vie per essere curato- disse atono.
S’incise un taglio sul polso sinistro e il sangue prese a gocciolare. Un sorriso sadico comparve sulle sue labbra e sfinito, spense tutto e si addormentò.
Erano le 11:30 del mattino, però!
 
Donnie rimase attonito da quello che gli aveva raccontato Michelangelo e la sua mente maturò un’unica idea: portarlo con sé da Ambra. Fece per sedersi sulla sua poltrona quando Raph entrò, con uno sguardo cupo.
-Raph- mormorò il genio, un po’ sorpreso.
Raph si poggiò le mani sui fianchi: -Te lo ha detto, vero?-.
-Del tuo sovrappeso infantile?-.
Raph annuì: -E dato che io conosco tutto di Michelangelo, è meglio che tu sappia che lui conosce un modo infame per non essere triste-.
-Q… quale sarebbe?- gemette il viola, deglutendo.
Raph appoggiò una mano sul bordo della scrivania, fissando il vuoto; chiuse gli occhi e lasciò che la sua mente vagasse nel passato.
-Michelangelo è sempre stato un bambino felice ma poi, vedendomi tanto depresso, ha adottato la strada dell’anoressia, solo che si è fermato in tempo- raccontò Raphie: -Io potevo benissimo essere considerato un bulimico e obeso, se è per questo-.
-Non lo sapevo- fece Donnie, un po’ irritato.
-Una notte lo vidi vomitare e mi promise che avrebbe mangiato, ma non ha sempre mantenuto la parola. Quando persi i quaranta chili di troppo, lui si allontanò da me-.
-Perché?- chiese Donatello, triste per queste rivelazioni.
Raph sospirò e riaprì gli occhi: -Mi disse che avevo vinto la mia battaglia e che lui doveva ritirarsi perché aveva fallito con il suo corpo-.
-Perché ho l’impressione che non sia questo il nocciolo della questione?- chiese il genio.
Raph esibì un sorriso amaro: -Un anno fa ho scoperto che lui è disperato. Il maestro Splinter, talvolta, non si rende conto che lo ferisce. Io ho imparato a superare questo dolore, ma lui no e sai perché?-.
Don negò debolmente con il capo.
-Perché non è solo Leonardo che il sensei osserva con affetto. Siamo anche io e te e lui si è ritrovato da solo- ammise il rosso: -Mikey agisce da bambino perché sa che non può mostrare il suo vero io-.
-Sconvolgerebbe l’equilibrio che regna qui- completò Don, un po’ disgustato.
-Esatto- fece il rosso, ora di spalle: -Mikey ha il suo kunai portafortuna, però-.
-Aspetta!- gelò Donatello: -Non mi dirai che Michelangelo si auto-punisce?!-.
Raph si limitò a guardarlo senza dire nulla.
-E’ bravo a nascondere queste cose. Ma non a me. Portalo con te, da Ambra- e Raph se ne andò.
-Hai avuto la mia stessa idea- mormorò sottovoce Donnie.
Si sedette sulla poltrona, accavallando una gamba sull’altra e guardò i fogli. Calcoli, parole e grafici non servivano a niente. Mikey poteva aiutarlo a capire il problema profondo di Ambra, non i testi, non la logica.
“Sono tanto intelligente quanto stupido.”, pensò, fissando il suo pc: “Non mi sono reso conto dell’abisso che inghiotte Michelangelo.”…
 
Verso sera, Donatello si decise ad andare a casa di Ambra, dato che si era limitato a chiamarla in quelle settimane, senza farsi vivo. S’infilò la sua giacca e uscì dalla sua camera da letto, fermandosi alla porta socchiusa di Mikey.
“Mikey è la soluzione.”, si disse mentalmente, bussando.
-Avanti-.
Donnie sorrise ed entrò. Mikey stava leggendo, malgrado le sue mani gli impedivano di fare altre cose.
-Vuoi venire con me?- chiese Donnie, con un dolce sorriso.
-Dove?-.
-Da Ambra. Le ho parlato di te e sarebbe felice di vederti, sai?- rispose il 17enne.
Mikey s’illuminò e gettò il suo libro di tematiche alimentari via; corse al suo armadio di noce e afferrò una giacca nera, con il cappuccio. C’erano delle imbottiture arancioni sui bicipiti, i gomiti e i polsini.
-Aspetta, lascia che ti aiuti. Con quelle mani bendate, non puoi fare molto-.
Mentre Donatello si occupava del fratellino, i suoi occhi vagavano alla ricerca del kunai “maledetto”. Come già detto da Raph, però, egli era bravo a nascondere le emozioni e i segreti.
-Andiamo- fece il genio, spingendo Mikey fuori la camera.
Chiuse la porta dietro il suo guscio e tenne lo sguardo basso…
 
************************************
 
Ambra era così felice che Donatello stesse per venire a trovarla, A stento conteneva la sua felicità e sperava anche che avrebbe incontrato qualche altro suo fratello, maggiore o minore.
Nel salotto, guardò l’orologio da parete: mancavano due minuti per le 21:00. Lei sorrise e si sedette sul divano, aggiustandosi il pullover lilla che indossava sui jeans. Si sistemò meglio la collana e i capelli, scurendosi di rabbia alla vista delle sue grasse dita.
-Odio il mio corpo. Odio tutto di me…- gemette sottovoce.
In quell’istante, il campanello squillò selvaggiamente, spaventando Ambra. La ragazza balzò in piedi e corse a vedere chi fosse.
Attraverso lo spioncino della porta, intravide due figure ingobbite e capì: era Donatello e… forse uno dei suoi fratelli. Eccitata, aprì immediatamente.
Era buio nelle scale e questo permise alle due tartarughe di non tenere i caschi sulla testa, anche se erano venuti con la moto di Raphael.
-Ciao, Ambra- salutò Don, mentre la luce lo illuminò.
-Ciao, Donatello- sorrise l’altra, notando il paio di occhi azzurri gentili.
-Lui è il mio fratellino- presentò il genio: -Coraggio, presentati-.
Mikey annuì e non appena Ambra chiuse la porta lo fece: -Sono Michelangelo e ho 16 anni, piacere-.
-Piacere mio. Mi chiamo Ambra e ho 17 anni-.
La ragazza notò che Michelangelo non la guardava inorridito, bensì dolcemente e con perfetto agio, come se fosse stato già abituato. Ella non si sentì a disagio, per la prima volta. Notò le bende sulle mani e capì che Mikey era il fratellino ustionato.
-Complimenti, Don!- fece l’arancione: -La tua amica è davvero carina! E ha degli splendidi occhi!-.
Ambra arrossì: -Grazie, sei gentile. Ma… cosa ti è accaduto alle mani?-.
-Mi sono ustionato perché sono un idiota-.
Donnie e Ambra si scambiarono un’occhiata perplessa ma non dissero nulla. Il genio si tolse la giacca, mentre Mikey chiese il permesso di accomodarsi sul divano, mantenendo lo sguardo basso.
I due 17enni se ne andarono in cucina, per parlare velocemente.
-Ho detto qualcosa di male? Perdonami, talvolta sono così invadente!- sussurrò Ambra.
-Non è colpa tua. Lui, in genere, non fa mai così- rispose Don: -E’ depresso, credo-.
-Mi dispiace moltissimo-.
-Inoltre… se c’è qualcuno che può aiutarmi con la tua dieta speciale, quello è Mikey- proseguì Don.
-Sul serio?-.
-Sono serio!- e Don cominciò a raccontargli brevemente il motivo del disagio di Michelangelo…
 

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Capitolo 3
*** Tanti Sfoghi per un Dolore Comune ***


-Ho capito- annuì Ambra, intenta a preparare della cioccolata calda.
-Ed è lo stesso motivo che mi ha spiegato Raphael- aggiunse Donatello, seduto al tavolo.
-Sarò ben felice di farmi aiutare- sorrise Ambra, girando il cucchiaio nella pentola.
-Che cosa cucini?-.
-Spero vi piaccia la cioccolata calda- rispose la ragazza.
-L’adoriamo!- sorrise Donnie, leccandosi le labbra: -Vado a prendere Mikey-…
 
L’arancione sedeva sul divano, osservando le fasciature che ricoprivano le sue mani: egli sospirò pesantemente, sentendosi un po’ rabbioso. Perché il sensei non gli voleva bene? Perché gli sembrava di essere fuoriposto?
Spinto dalla rabbia, Michelangelo afferrò le sue bende e le strappò rumorosamente, ringhiando alla pelle raggrinzita e bruciata. Strinse i pugni, distogliendo lo sguardo.
-Sono patetico- mormorò sottovoce, mentre Don rimase a bocca aperta.
Gli andò vicino, poggiandogli la mano sulla spalla: Mikey sembrò tornare in sé e si ritrasse, sospirando.
Ancor prima che potesse aprir bocca, la voce melodiosa di Ambra sbucò dalla cucina.
-E’ pronto!-.
-Che cosa?- chiese Michelangelo, piegando la testa da un lato.
-Ambra ha fatto un po’ di cioccolata calda, per noi- sorrise il genio, accompagnandolo in cucina.
Mikey non aveva fame. Lui voleva solamente voglia di tornare a casa e sparire.
 
Si sedettero a tavola, mentre Mikey si sforzò di sorridere, come suo solito. Donnie si strofinò la nuca e intravide qualcosa di sbagliato. C’era una zuccheriera al centro del tavolo e Ambra ne sollevò il coperchio, prendendosi circa tre cucchiai da minestra di zucchero.
-Ehm…- disse Donnie, non sapendo come dire esattamente.
-Ambra- interruppe Michelangelo: -La vita è bella e non va sprecata, per quanto ci sembri ingiusta-.
La ragazza lo guardò attentamente, anche quando l’arancione si alzò e le andò vicino.
-Ambra, perché dovresti trovare la risposta nel cibo?- proseguì, alle sue spalle.
-Io non lo so- rispose lei, sinceramente: -E’ qualcosa che mi ha aiutato-.
-No, tesoro. So per esperienza che il cibo è un amico infido e apparente-.
Gli occhi nocciola di Ambra si spalancarono e s’incrociarono in quelli azzurri della tartaruga. Il genio osservava la conversazione in silenzio e con un sorriso.
Non aveva bisogno di grafici o testi per capire che la risposta per cambiare era nelle parole del cuore.
-Mi guardo allo specchio ogni volta… e mi dico “questa non sono io”- sospirò Ambra.
Mikey le appoggiò le mani sulle spalle e avvicinò le labbra al suo orecchio destro, dove degli orecchini di perle bianche danzavano per ogni movimento della testa.
-Io vedo ancora una ragazza meravigliosa, Ambra-.
-Tu dici, Michelangelo?- gracchiò l’altra: -Perché non credo sia così. Gli insulti mi hanno sempre isolato-.
Michelangelo si ammorbidì e s’infilò la mano nella cintura sotto la giacca. Tirò fuori una piccola foto sgualcita di un bambino tartaruga grasso, con un altro scheletrico e in lacrime.
-Sono adorabili, ma…- gemette Ambra, con le lacrime che pizzicavano il suo naso.
-Questo bambino magro ero io a cinque anni, quest’altro Raphael- spiegò Mikey, atono: -Tengo sempre questa foto con me per ricordare che c’è sempre una speranza per tutto-.
Ambra deglutì e guardò nuovamente il pezzetto di carta colorato. Socchiuse leggermente gli occhi e osservò Donatello. Quest’ultimo si limitò a sorriderle, senza dire nulla.
Dopotutto, Michelangelo stava facendo un ottimo lavoro.
-Ho aiutato Raph a tornare sé stesso, ho impedito all’anoressia di portarmi via- continuò Michelangelo.
-Hai… hai ragione- gemette, infine Ambra.
-Noi possiamo aiutarti- ora disse Donnie, prendendole la mano.
Il trucco cominciò a creare striate nere sulle gote di Ambra, la quale permise al dolore di una vita infame di liberarsi. Era stufa delle taglie calibrate, degli sguardi disgustati dei suoi coetanei.
Di come appariva.
-Voglio tornare me stessa-.
Mikey sorrise in approvazione e Donnie fece per spostare la cioccolata calorica di Ambra, quando la tazza si rovesciò e la bollente bevanda cremosa cadde sulle dita dell’arancione.
-Oh, no!- gridò Donnie: -Mikey, mi dispiace! Scusami!-.
L’arancione inarcò un sopracciglio e osservò il liquido marrone che galleggiava intorno alla sua mano sinistra. Rimase impassibile, sino a quando sentì la sua mano sollevata tirata verso il lavandino della cucina.
Tornò in sé: Donnie gli stava parlando ma lui non riusciva a capire molto bene. Si concentrò e fu allora che i suoni divennero nuovamente chiari.
-Mikey, ti brucia? Dannazione, che idiota che sono!-.
-Don…- mormorò il fratellino, sentendo un peso sul suo cuore: -Don, non sento nulla-.
Ambra e il genio si bloccarono: i loro occhi si spalancarono enormemente allo shock.
-C… che c… cosa?- balbettò il viola, attonito: -Co… come non senti nulla?-.
Mikey fece le spallucce ma Donatello gli prese anche l’altra mano e la porse sotto l’acqua gelata, per fare un veloce test.
-Mikey, come senti l’acqua?-.
-Non lo so. Non riesco a percepire- rispose l’altro, con un fil di voce.
Donatello capì: -L… le ustioni ti hanno… danneggiato le terminazioni nervose. Ma… controlliamo se sono attive con il dolore-.
Inghiottendo le lacrime di dolore, il viola prese una forchetta e cominciò a premere dolcemente ma abbastanza forte sui palmi e i dorsi di quelle mani rovinate in eterno.
-Donnie, non sento nulla- si lamentò Michelangelo, con voce sconfitta.
Il genio lo guardò, lasciandosi scivolare la forchetta di mano; abbracciò il fratellino con foga, mordicchiandosi le labbra per placare la lacrime.
-Ma… anche se non sento nulla, niente m’impedirà di aiutarti, Ambra- pronunciò Michelangelo.
La ragazza si sentì lusingata e arrossì, malgrado il suo cuore piangesse per la situazione.
-Cominceremo stesso da domani sera, se per te va bene- continuò l’arancione.
Ambra annuì: -Eviterò le bevande e i cibi grassi. Te lo prometto-.
-E’ questo lo spirito giusto, Ambra!- sorrise Donnie, con voce tremolante di lacrime…
 
**********************************
 
Tornati a casa, Mikey non ebbe voglia di incontrarsi con suo padre o Leonardo e si richiuse nella sua camera. Donatello lo vide sparire dietro la porta castana della camera notturna: non lo fermò.
-Siete tornati- fu la voce di Leo.
Il genio si voltò verso il fratello apparentemente sorridente e si sfilò la giacca, annuendo.
-Problemi qui?- formulò Donnie, notando Raph andare verso la camera del fratellino.
-No, nessuno. Ma… il sensei vuole parlarci entrambi-.
Il viola ebbe un fremito: -Qualcosa di grave, forse?-.
-Non lo so. Non mi ha accennato nulla, per la verità-.
Leonardo e Donatello si diressero verso la porta shoji del maestro Splinter, mentre Raphael riuscì a entrare nella stanzetta del fratellino con un permesso di quest’ultimo…
 
Un po’ titubante, Leo bussò alla porta del maestro Splinter, il quale rispose con un “avanti”. Le due tartarughe convocate si guardarono attentamente ma cercando il coraggio, entrarono.
Il topo era inginocchiato sul tatami marrone, con gli occhi chiusi e varie candele come illuminazione.
-Inginocchiatevi, figlioli-.
Leo e Don non se lo fecero ripetere due volte e così fecero, guardando distrattamente le ombre che le fiamme traballanti proiettavano in terra.
-Figlioli, c’è un motivo se vi ho chiamati- continuò Splinter, riaprendo gli occhi.
I due fratelli rimasero in ascolto, attentamente.
-Michelangelo è molto distante da me, ultimamente- mormorò Splinter: -Non ho chiamato Raphael perché egli non potrebbe rivelarmi il vero motivo della rabbia in vostro fratello minore-.
-Vuoi che scopriamo il motivo, vero, sensei?- chiese Donnie, un po’ cupo.
Il topo annuì: -Ma voglio che lavoriate insieme. Questa famiglia non deve cadere a pezzi-.
-Hai, sensei!- risposero le due tartarughe, in coro.
Si alzarono e inchinandosi, uscirono dalla camera, anche se Leo aveva un’aria davvero pensierosa.
-Il sensei non è l’unico a essere evitato, sai- pronunciò sottovoce: -Anche per me è lo stesso-.
Donnie, che conosceva il motivo, sospirò ma non disse nulla; sperava davvero che il suo fratello bambino si riprendesse…
 
Raph era seduto sul lettino di Mikey, guardando quelle mani rovinate. Né caldo, né freddo e né dolore avrebbero più percepito. Gli occhi miele manifestarono la classica pellicola delle lacrime ma non caddero per il fin troppo orgoglio.
-Ho conosciuto Ambra- raccontò Michelangelo, tenendo lo sguardo nel vuoto.
-E com’è?-.
-Carina, paffuta ma con un triste passato- rispose Mikey, incupendosi: -Voglio aiutarla perché lei mi somiglia moltissimo-.
Raph annuì: -Come vanno le tue mani?-.
-Non me ne importa niente visto che non funzionano più- mormorò acido l’altro, raccontando la vicenda a casa di Ambra.
A racconto terminato, il rosso rimase con la bocca spalancata e lo sguardo sbarrato. Non poteva credere alle sue orecchie! Il piccolo, dolce Mikey… no!
Raph lo abbracciò strettamente, poggiandogli il mento sulla testa. Sentì Mikey rilassarsi nel suo petto e una lacrima sfuggì dal suo occhio.
-Mikey…- sussurrò sottovoce: -Come posso aiutarti se sei distante da tutti noi?-.
L’arancione strinse le palpebre, continuando a imbottigliare il suo dolore. Lui era così arrabbiato che a stento si rese conto del suo corpo tremante.
-Dimmi cosa c’è che non va…-.
Lo sguardo azzurro di Michelangelo si ingrandì, rivelando le iridi ristrette di rabbia. Spinse il fratello lontano e si alzò dal letto, livido di pura ira. Strinse le palpebre e cominciò a respirare superficialmente.
Proprio in quel momento, Leo e Don erano quasi arrivati alla sua cameretta.
-Vuoi saperlo proprio?!- ruggì Michelangelo, voltandosi con odio: -Tutto non va! TUTTO E’ SBAGLIATO! Non c’è posto, per me, in questa famiglia, lo capisci?-.
Raph rimase attonito ma i suoi occhi catturarono le immagini di sconvolti Leo e Don, sulla soglia della porta.
-Io sono stanco…- piagnucolò l’arancione: -Da quando siamo cresciuti, mi sono sentito solo. Il maestro Splinter mi ha abbandonato… ha mostrato preferenze! Dapprima verso Leo, poi su di te, Raph e infine verso Don!-.
Leo non ebbe il coraggio di dire nulla. In fondo era vero.
Mikey scoppiò in lacrime: -Non trovo il mio posto, qui. Il sensei ha sempre creduto che io fossi uno stupido bambinone, ma ho scelto io di esserlo! Non potevo dimostrare il mio valore, perché lo siete già voi!-.
In quell’istante, venne il sensei, raggelato dalle parole udite.
Michelangelo guardò tutti con rancore.
Raph tentò di abbracciarlo, ma l’arancione lo respinse con uno spintone sul petto.
-Stammi lontano, Raph!- ruggì: -Io… io non voglio più essere un Hamato!-.
Guardò le sue mani: ringhiò frustrato; gettò i nunchaku lontano e sbatté la maschera contro il muro. Corse via, evitando con rapide schivate i disperati tentativi di presa degli altri.
-MICHELANGELO!- urlò Splinter, per niente arrabbiato: -Torna qui!-.
L’arancione, però, riuscì a raggiungere l’uscita e a fuggire. Non si voltò neppure indietro: singhiozzando, ignorò bellamente le grida della sua famiglia, troppo lenta per fermarlo.
“Lasciatemi in pace!”, pensò…
 
**********************************
 
Mikey raggiunse la superficie: in piedi su un cornicione, si strinse la testa nelle mani, piagnucolando. La luna lo illuminava dolcemente, battendo d’argento sul suo corpo. Poi si ricordò cosa lo alleviava: controllò nella sua cintura, ma del kunai non ci fu traccia.
-No…- mormorò inorridito: -D… devo averlo lasciato a c… casa!-.
Singhiozzò ancora ma egli aveva altro metodo per calmarsi ed era qualcosa di sbagliato.
Mikey era proprio sul tetto di un edificio abbandonato da anni che conosceva molto bene. Adocchiò una vecchia e arrugginita cabina di un ascensore, dirigendosi a passo spedito.
Fece il giro e si fermò dinanzi alla facciata senza la porta ignifuga: un tubo d’acciaio a gomito presentava un’intercapedine.
Mikey c’infilò la mano e tirò fuori qualcosa; appena soddisfatto si sedette con il guscio contro l’ascensore e osservò il pacchetto bianco in suo possesso.
Sigarette.
Non gli importava se contribuiva a rovinarsi i polmoni. Mikey aveva fumato la sua prima sigaretta a quattordici anni, in gran segreto e per gioco. Lo aveva visto fare in un film e voleva provare: in una rissa contro i Purple Dragon, uno dei teppisti perse un pacchetto di sigarette ed egli lo raccolse.
Lo studiò a lungo sino a quando si decise a compiere il passo: la fumò…
La fiamma rossa dell’accendino contenuto nelle sigarette light fece brillare gli occhi lustri di Michelangelo: il filtro arancione fu stretto nelle sue labbra e non tossì, essendo già abituato. Si rialzò in piedi e infilando il pacchetto nella sua cintura, osservò New York.
Non voleva tornare a casa…

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Capitolo 4
*** La Storia di Ambra ***


Ambra si svegliò alle 06:20, spaventata da un incubo che neppure ricordava.
Si spostò i capelli dal viso e guardò la sua stanza buia: dalle tende del balcone fitravano i primi raggi dell’alba, ancora di un cobalto. Il suo stomacò brontolò rumorosamente.
Ieri sera aveva scelto una cena leggera: si era scaldata delle verdure, un panino, qualche mela e una piccola fettina di carne arrostita. Niente a che vedere con i fast food che ingurgitava stupidamente.
Ella sospirò e scese dal suo letto; la sua mano scostò una delle tende lilla e guardò la luna ancora presente. Si chiedeva quand’è che avrebbe rivisto i suoi amici.
“Sono così simpatici…”, pensò con un sorriso: “Mi chiedo perché la gente abbia paura di loro!”.
Si voltò e si allontanò dalla finestra desiderosa di pesarsi ma la sua attenzione ricadde su un lieve tonfo contro la finestra. Il suo cuore prese a martellare così duramente che ella si avvicinò cautamente al comò, estraendo qualcosa.
Una Tanto.
Guardò quella custodia corvina, con impresso un dragone dorato e indietreggiò, sbloccando la serratura del balcone. Un alito di vento fece danzare dolcemente le tende ed ella si appiattì contro la parete destra, in silenzio.
Un’ombra entrò nella stanza: Ambra attese il momento proprizio. Il suo pollice sollevo la custodia della Tanto e impugnando il manico nero, colpì il nemico.
Un bagliore di metallo e un fruscio di una catena si scontrò con un tonfo di metallo. La Tanto rimase bloccata ma la luna evidenziò un paio di occhi azzurri.
-Ambra, sono io, Michelangelo!-.
La ragazza sobbalzò al suono della voce del suo amico e si affrettò ad accendere almeno un lume. Una luce soffusa e rosata illuminò tutta la stanza. La figura esile di Michelangelo venne chiaramente evidenziata.
Così come la Tanto bloccata nelle catene del nunchaku sinistro del mancino mutante.
-Una Tanto?- si chiese confuso: -Ambra, quest’arma è tua?-.
La ragazza annuì e accese la luce principale, mentre Michelangelo chiuse il balcone e le tende. Si guardarono goffamente sino a quando Ambra notò il pacchetto di sigarette nella cintura dell’amico.
-Tu fumi?-.
-In questo momento mi serve proprio- rispose l’altro, con voce grave: -Scusa per l’intrusione. Non sapevo dove altro andare-.
-Come mai, se posso chiedere?-.
Mikey sospirò e raccontò della crisi di rabbia che aveva avuto, sottolineando la caccia che gli stavano dando i suoi fratelli maggiori.
-Loro staranno sicuramente cercandomi-.
-Sono certa che sei esploso a causa del dolore che provavi- mormorò Ambra, abbracciandolo.
Mikey annuì con gli occhi lucidi e le riconsegnò la Tanto.
-Non sapevo avessi un’arma ninja. E hai una mano molto forte, complimenti!-.
Ambra arrossì al complimento e rinfoderò l’arma nella custodia, stringendola al petto, con fare protettivo. Si voltò e la nascose nel comò, nuovamente.
-Questa era di mia madre. Lei era una grande judoka, vincitrice delle Olimpiadi- raccontò: -Io l’ammiravo e volevo diventare come lei, ma un giorno, ella venne brutalmente assassinata da un uomo-.
Mikey s’incupì: -Ricordi il suo volto?-.
Ambra annuì: -Era lo stesso tizio che mi voleva uccidere nel vicolo dove ho conosciuto Don-.
-Quindi potrebbe aiutarti quel geniaccio di mio fratello- costatò Mikey, riponendo i nunchaku nella cintura.
Ambra lo guardò tristemente, ma sorridente: -Puoi stare da me, se vuoi-.
-Solo per tornare noi stessi- annuì l’arancione: -Promettimi, però, che non dirai nulla di me-.
-Con la tua famiglia?-.
La tartaruga piegò la testa da un lato e sospirò: -Non voglio vederli, ora-.
-Va bene. Non dirò assolutamente nulla- acconsentì Ambra, sedendosi sul letto.
-Vado a prepararti la giusta colazione. Per dimagrire, bisogna mangiare le giuste porzioni, attivando il metabolismo e allenandosi, anche!-.
Detto ciò, la tartaruga scomparve dalla camera di Ambra, la quale sorrise appena di gratitudine. Il suo cuore era felice… Mikey le stava dando un’altra opportunità di liberare la ragazza magra che era…
 
*************************************
 
Sui tetti, tre ombre scure saltavano, senza mai rallentare il veloce ritmo di corsa.
Leonardo, Donatello e Raphael erano così preoccupati per il loro fratellino e non sapevano dove cominciare esattamente.
-Non può essere andato da April o Casey- sottolineò Leo: -I nostri amici non sono in città, al momento-.
Don annuì: -Sono partiti per una mostra d’antiquariato-.
-E quindi?- chiese Raph, l’ultimo della fila.
-Non saprei, ragazzi- gemette il viola, osservando Leo dinanzi a lui.
-Mikey era piuttosto sconvolto e dubito che si lascerebbe trovare facilmente, ora- mormorò Leonardo.
I tre Hamato saltarono una gola fra due palazzi e continuarono a proseguire verso nord.
-Don, niente sul tuo rilevatore?- chiese ancora Leonardo, decisamente sconvolto.
Dopo quello che aveva gridato Michelangelo, egli era rimasto basito dal risentimento e la sofferenza che provava il suo fratellino. Non lo aveva mai immaginato.
-No. Il suo cellulare è rimasto a casa, purtroppo- rispose il genio, afflitto.
Fecero per saltare ancora quando udirono i classici scricchiolii di uno scassinamento di una serranda. Leonardo si fermò all’istante, su un cornicione, osservando la strada sgombra verso il basso.
C’era una figura dinanzi a una gioielleria, con un piede di porco nella mano. La torcia che aveva in bocca, illuminò appena i capelli azzurri a punk e i nomerosi piercing.
Donnie ridusse gli occhi a due fessure e spalancò la bocca, incredulo.
-Quello è il tizio che…- gemette: -Voleva uccidere Ambra, la prima notte che l’ho incontrata!-.
-Sai come si dice, no?- ghignò Raph: -Il lupo perde il pelo ma non il vizio!-.
-Andiamo- ordinò Leonardo, il primo a saltare verso il basso…
 
L’uomo era, ormai, riuscito a manomettere il sistema d’allarme della gioielleria e agiva indisturbato con la serranda; la sua intenzione era quella di rubare un set di diamanti orientali.
-Sarò ricco e potrò fare la bella vita- mormorò a bassa voce.
Il suo piede di porco spinse ancora, quando un tintinnio lo fece trasalire. Osservò le tre ombre stagliate contro la luna, dietro di lui. Il teppista riconosciuto da Don ringhiò e portò la mano al coltello a serramanico che aveva nella cintura.
Si voltò con scatto felino ma rabbrividì alla vista di una lucente katana contro la sua gola.
-Un passo falso e ti ritroverai all’aldilà- ringhiò freddamente Leonardo.
Era troppo buio per riconoscere le tartarughe ma la torcia in terra le avrebbe mostrate. Raphael intervenne immediatamente e con una veloce capriola, afferrò e spense l’unica illuminazione presente. Il teppista ringhiò inferocito e intimorito.
-Chi siete voi?- imprecò sonoramente.
-Non ha importanza- rispose Donnie, gelidamente: -Vedo che non ti è servita la lezione-.
Il teppista ridusse gli occhi ma un flash passato lo paralizzò sul posto. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte prima di riuscire a parlare ancora.
-Tu sei quel tizio che voleva aiutare la balena!-.
La katana fu accompagnata da un Sai e un Bo: le paia di occhi colorate fissavano il nemico fumanti di rabbia.
-Dillo ancora e sei morto!- ruggì Raphie.
-Come fai a conoscere Ambra?- sputò Donatello, decisamente arrabbiato.
Il Purple Dragon scoppiò a ridere: -La balena non ti ha raccontato la sua storiella strappalacrime, eh?-.
Leonardo strinse la mano sul manico della katana, mentre sguainò anche l’altra, avvicinandola alla gola del cretino 48enne.
-Parla!- ordinò Donatello.
Il nemico fu costretto a obbedire, vuotando il sacco…
 
“E ancora una volta Lin Lang vince un oro per la squadra americana, alle Olimpiadi!”.
Una ragazza bionda, dagli occhi nocciola e un kimono bianco alzava la coppa e la medaglia, sul podio della sua vittoria. Brillante e felice, era la campionessa indiscussa.
Un uomo alto, dai capelli castani e gli occhi verdi si avvicinò timoroso, con un mazzo di rose rosse in mano.
Lin salutò velocemente la sua sensei e raggiunse l’uomo di cui si era follemente innamorata.
-Volevo farti i complimenti, Lin Lang- sorrise, porgendole le rose.
-Grazie, Mark Johnson- ricambiò la giovane 22enne: -Le rose sono i miei fiori preferiti-.
Mark sorrise: -Beh… ecco… dovresti guardare meglio, allora-.
Con uno sguardo curioso, Lin tirò fuori un piccolo scrignetto di velluto blu. Lo aprì e un appariscente anello d’argento la colpì con quella gemma di diamante incastonata.
-Lin… vuoi sposarmi?-.
La ragazza si asciugò una lacrima e lo saltò al collo, baciandolo.
-Ti basta come risposta?-.
Mark sorrise, raggiante di gioia…
 
Due anni dopo la loro unione, Mark e Lin ebbero Ambra, la loro unica figlia. Proprio il giorno della nascita, però, Mark scoprì di essere malato di cancro. La sua agonia era giornaliera, ma con le chemioterapie sembrava migliorare.
Nonostante avesse una famiglia, Lin era ugualmente tornata nelle vesti di maestra di kung-fu e nella sua palestra, allenava gli allievi pulcini. Lei adorava i bambini.
Una sera, tornando dalla sua abituale sessione serale d’allenamento, Lin fu testimone di uno stupro su una bambina di due anni. La piccola Ambra era con lei e la guardò felice. La mamma le rivolse un piccolo sorriso.
Si avvicinò e intravide il volto del teppista: capelli azzurri da punk, piercing e pericolosi tatuaggi da dragone viola. Si guardarono e il bambino terrorizzato riuscì a scappare dalla presa del nemico.
-Accidenti!- urlò adirato: -Maledetta! E’ tutta colpa tua! Quel moccioso mi avrebbe reso ricco con un riscatto dei suoi genitori!-.
Lin evitò abilmente la serie di pugni che il nemico voleva darle e lo inchiodò facilmente al muro, puntandogli lo stesso coltello a serramanico che aveva l’altro. Ambra guardava affascinata la mamma in azione.
-Tu… tu sei Lin Lang, la vincitrice delle Olimpiadi!- gemette il teppista.
-Mi conosci, ma non il piacere con te-.
-Law Pitt! Ma non vivrai abbastanza a lungo per raccontarlo!- ringhiò l’altro.
Con una gomitata a sorpresa, Law si liberò dalla presa e riacciuffò il suo coltello. Poi si accorse di Ambra e una sadica idea le venne in mente. Corse verso la bambina, intenzionato a ucciderla.
-Mamma!- squittì Ambra, impaurita.
Lin non seppe cosa fare se tentare un’impresa disperata: si gettò contro Law, mentre un fiore rosso di sangue sbocciò sulla sua gola, all’arrivo del coltello.
Ambra urlò…
Ling la guardò per l’ultima volta e chiudendo gli occhi, cadde pesantemente in terra, privata della sua vita.
Law guardò con odio Ambra: la colpì allo stomaco con un calcio, facendola svenire…
.
Anni dopo la morte di Lin, Mark sia ggravò. Il tumore era ritornato più aggressivo che mai, nonostante tutte le chemio. Sul letto di morte, confessò che avrebbe voluto un futuro radioso per Ambra, la quale cadde in depressione, senza più riprendersi.
Lei era ormai orfana…”…
 
Law venne sbattuto pesantemente in terra, dopo un calcio nello stomaco, da parte di Donatello, furioso.
-COME HAI POTUTO?!- urlò.
Law si strofinò il sangue dal labbro con il dorso della mano e ghignò, rialzandosi debolmente.
-Meglio così! Quella famiglia mi stava sulle scatole!-.
 
Un’ombra era, intanto, in piedi sul cornicione dello stesso palazzo della gioielleria quasi scassinata. Aveva osservato e ascoltato tutto. La sua rabbia era immensa e nella mano sinistra un arma tagliente luccicava. Egli voleva giustizia.
-Fallo- ordinò a bassa voce un’altra figura, accanto a lui.
-Va bene-.
 
-SIETE FINITI!- urlò Law, afferrando dalla cintura una pistola nera con sei colpi.
Il grilletto avrebbe sparato sicuramente: le tartarughe osservarono con orrore il lampo rossastro che sconvolse la calma nottura con un boato. Chiusero gli occhi ma due gemiti sfuggirono.
Leonardo fu il primo a riaprire gli occhi quando non sentì che il silenzio: ancora tremando intravide Law con la testa rovesciata all’indietro e gli occhi spalancati al cielo. La sua bocca era aperta e del sangue stava scorrendo copiosamente sulla sua giacca nera.
La pistola era ancora nella sua mano.
Il leader alzò la testa alla gioielleria, correndo con lo sguardo su fino al cornicione. Un’ombra lo guardò… poi scomparve.
Un tonfo: Law era crollato in avanti, al suolo, con un’arma affondata nella schiena, all’altezza dei polmoni e del cuore. La chiazza di sangue si allargò sotto il petto dell’uomo: era morto.
Raph deglutì e si avvicinò all’umano, notando l’arma: la tirò fuori dalla schiena e la osservo.
-E’ una Tanto- mormorò Leonardo.
-Strano- fece Raphael: -Ehi, Donnie, tu che ne pensi?-.
Il genio tremava, osservando la macchia scarlatta sul suo fianco. Chiuse gli occhi al dolore intenso e crollò in terra, privo di sensi.
-DONNIE!-…

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Capitolo 5
*** Ritorno ***


-Adesso sei contenta, vero, Ambra?- chiese Michelangelo.
-Sì. Ho vendicato mia madre-.
La 17enne guardava la custodia della Tanto, con una piccola smorfia di rabbia. Finalmente, l’uomo che le aveva portato via Lin era stato ucciso, come meritava. Michelangelo si lasciò abbracciare, senza il minimo rimorso per aver compiuto un omicidio.
-Mio fratello Don…- gemette poi: -Immagino che… saranno in grado di vedersela-.
Senza esitare, una sigaretta fu bloccata nelle labbra della tartaruga, le cui mano tremavano di pura rabbia. Ambra non disse nulla e osservò New York che veniva lavata da una forte pioggia temporalesca. Un lampo brillò nei suoi occhi: ella rimase del tutto impassibile.
-Non vuoi tornare a casa?-.
Mikey si mise a braccia conserte: -Non prima di averti aiutata. Non importa quanto tempo ci vorrà-.
-Grazie, Michelangelo…-.
 
********************************
 
Alla tana, Splinter era già stato messo al corrente della vicenda che i suoi tre figli avevano affrontato. Non poteva che essere orgoglioso di loro, ma vedere Donatello in tanto dolore, lo scuriva di tristezza.
La ferita nel fianco era profonda, ma nulla di estremamente grave.
-Leonardo, scaldami la lama di un coltello sul fuoco, per favore!- ordinò.
Il leader annui, mentre Raphael continuava a frignare di odio.
-Raphael, portami più asciugamani possibili-.
Il rosso scattò dalla sua momentanea trance e annuendo, si precipitò in tutte le camere per raccogliere quanto chiesto.
Rimasto momentaneamente da solo nel salotto, Splinter guardò ancora una volta suo figlio genio. Il sangue scorreva copioso e lo strato di sudore sulla sua pelle brillava sotto i faretti collocati agli angoli della stanza immensa.
In realtà, i pensieri del topo erano rivolti altrove o, più precisamente, a suo figlio Michelangelo. La sua mente continuava a riprodurre quelle parole, senza trovare una traccia di menzogna.
“Un genitore non mostra preferenze…”, pensò con una lacrima sulla guancia: “Ma io l’ho fatto.”.
Accarezzando la fronte di Don, non si accorse del ritorno dei suoi figli maggiori. Leo aveva un coltello appuntito e rovente, mentre Raph una serie di asciugamani.
-E’ tempo di rimuovere il proiettile- sospirò Splinter: -Mettete Donatello su quel tavolo-.
Raph si liberò momentaneamente del suo carico e si affettò a spostare il tavolo nel vagone al centro del dojo. Ritornò e raccogliendo il fratellino in stile sposa, lo adagiò delicatamente sul piano ligneo.
Il genio gemette, respirando affannosamente, ma non si svegliò.
Leo consegnò il coltello a suo padre, il quale si concentrò e infilò la lama nella carne rossa del poveretto.
Un urlo agonizzante si levò con tanto di riverbero: Leonardo e Raphael tennero bloccato Donnie, in modo che il sensei avrebbe lavorato indisturbato.
-M… MIKEY! MIKEY!- gridò il genio, muovendo la testa come in un incubo.
Leo distolse lo sguardo, mentre Raph ringhiò di frustrazione. Entrambi i fratelli desideravano ardentemente che il fratellino ritornasse. Nessuno era arrabbiato con lui.
Splinter affondò la lama più in profondità, sino a quando un lieve tintinnio gli fece comprendere di aver trovato il proiettile. Guardò i suoi figli e concentrandosi ancora, con un colpo secco, lo rimosse.
Il proiettile più rosso che dorato era appoggiato sul coltello sporco di sangue. Donnie ansimava pesantemente e Leo gli asciugò immediatamente la fronte.
-Adesso dovremo cucire e bendare la ferita- spiegò Splinter, andando in cucina.
-Mikey… mi dispiace…- piagnucolò il genio: -T… torna…-.
Raph sospirò pesantemente: -Mi sembra ovvio, Leo. Dobbiamo trovare Michelangelo al più presto-.
-Sì, ma abbiamo controllato dappertutto- rispose Leo, afflitto.
-New York è immensa- sottolineò il rosso, palpandosi il mento.
Leo rimase in silenzio sino a quando un flash gli balenò in mente: rimase con gli occhi fissi nel vuoto. Raph preferì aiutare il sensei col portare una bacinella gialla d’acqua, ago e filo.
-Raph…- chiamò Leo, basito: -La 47esima! E’ lì che dobbiamo andare!-.
Il rosso e il sensei si scambiarono un’occhiata perplessa. Prima che potessero chiedere il motivo di un’esclamazione tanto convinta, il leader narrò dell’ombra dagli occhi azzurri, sul tetto della gioielleria.
 
A racconto ultimato, Raph deglutì, appoggiando la bacinella sul porta-riviste.
-Se è vero, questo significa che ha scagliato lui la Tanto!-.
-Michelangelo ha sempre avuto una mira eccezionale con kunai, shuriken e coltelli- ammise il sensei.
Leo socchiuse gli occhi e annuì: -Ha ucciso una persona, anche se era la peggiore che avessimo mai incontrato. Immagino sia sconvolto, ora-.
-Per questo avrà bisogno del suo tempo- sottolineò il maestro, pulendo il sangue essiccato.
-Come?- chiese Raph, infilando il cotone nell’occhiello dell’ago.
Il topo annuì: -Michelangelo ha bisogno di riflettere su tutto e sarà lui stesso a tornare, quando si sentirà pronto-.
Leo guardò Don, stringendo i pugni: -Lui ci ha salvati, però. I proiettili ci avrebbero uccisi-.
-Quando vuole, il lamebrain sa come arrivare al momento giusto- ghignò Raphael.
-M… Mikey…- gemette ancora il genio, nel dolore evidente.
Il topo si fece consegnare l’ago e iniziò a cucire i lembi della pelle bruciati di Donatello, rivedendo le grida di Michelangelo, ancora una volta. L’acqua nella bacinella era ormai rossastra e gli occhi miele di Raph si specchiarono in essa.
Erano vitrei di lacrime.
-Va bene- si arrese: -Lasceremo che sia Mikey a tornare a casa-.
Leo sentì una fitta di dolore ma annuì in approvazione. Sconfitto, prese la mano di Donnie e la strinse, sperando che suo fratello avrebbe percepito la sua forza…
 
********************************
 
1 settimana dopo…
 
Tutti i telegiornali della Grande Mela annunciavano instancabilmente la morte misteriosa di Law Pitt, ex contrabbandiere e talpa della mafia italo-americana. La polizia stava indagando sulle possibili piste che avrebbero condotto al colpevole, ma erano decisamente lontani.
Solo due persone conoscevano esattamente la verità.
Pioveva a New York, con lampi e tuoni; l’aria era molto fredda e nelle 18:30, in un salotto buio, un piccolo alone rossastro bruciava con del fumo.
Michelangelo era seduto in poltrona, a fumare il quarto pacchetto della settimana. Fissava stancamente la pioggia battente contro i vetri dell’appartamento di Ambra, la quale si stava facendo una doccia.
Era riuscita a perdere, finora, circa cinque chili ed era arrivata a 180.
Lei era così felice del risultato che ammirava ancor di più il suo tetro amico. La risposta, più che altro, era stata davvero semplice: mangiare cinque volte al giorno, alternando e bilanciando le porzioni.
Pasta con leggero condimento, niente sale. Carne arrostita, insalata, niente dolci o alcolici.
Non che Ambra ne facesse uso. Niente dolci o fast food: Mikey aveva consigliato di bere circa due litri d’acqua al giorno.
Ambra, ora, aveva cominciato a praticare sport. Mikey l’aveva fatta correre dapprima un minuto sul posto, per poi arrivare costantemente a due, cinque, dieci e infine, venti minuti. Il salto della corda era utile ma per evitare un rilassamento della pelle, Mikey l’allenava nelle arti marziali.
Era il suo sensei. Calci, pugni e una piccola dritta su come maneggiare la Tanto.
La ragazza era orgogliosa e cominciava a credere in lei: si sentiva felice ma anche triste del cambiamento radicale di Michelangelo. La tartaruga felice, difatti, era diventata torva, cupa e non la smetteva di fumare.
Lui ripeteva che, essendo un mutante, malattie come cancro e cose varie non lo attaccavano.
-Michelangelo!- chiamò Ambra, uscendo dal bagno con un accappatoio bianco.
L’altro si girò e le sorrise, attendendo il seguito della frase.
-Sono riuscita a perdere altri cinque chili! Ora peso 175!-.
-Sono davvero felice, Ambra- annuì l’arancione: -C’è sempre speranza per tutti-.
Mikey dette un’ultima tirata alla sigaretta e la spense nel posacenere, sul porta-riviste. L’unica fonte di luce proveniva dal bagno ma a nessuno dei due disturbava il buio. L’arancione sospirò e guardò l’amica con occhi vitrei.
Ambra capì immediatamente: -Chiamali. Loro ti aspettano, Michelangelo-.
-N… non posso- gemette l’altro, stringendo il pacchetto di sigarette: -Ho paura, capisci?-.
-Sì, ti capisco- rispose la ragazza, abbracciandolo: -Vai a casa, adesso. Segui il tuo cuore-.
Mikey cominciò a piangere silenziosamente nella spalla dell’amica, stringendo i denti.
-Li ho trattati male… la rabbia mi ha fatto dire cose che volevo tenere per me!-.
-Mikey dovevi liberarti. Era necessario spezzare l’equilibrio della tua famiglia- gli ricordò Ambra.
-E poi… Donnie è stato ferito. Vorrei sapere come sta- continuò l’arancione.
Ambra lo baciò sulla guancia, amorevolmente. Guardò la porta con un sorriso. Mikey deglutì mentre calde lacrime continuavano a rotolare giù per il suo viso. Fu allora che capì che non voleva più separarsi dalla sua famiglia.
Indietreggiò e s’inchinò dinanzi ad Ambra, con immenso rispetto.
-Ambra, io tornerò. Tu continua ad allenarti e… credi in te-.
-Grazie… maestro- rispose l’altra.
Quando Ambra riaprì gli occhi che aveva chiuso, Michelangelo era già andato via, attraverso la finestra. Le tende ondeggiavano nel vento, mentre la pioggia divenne rabbiosa…
 
********************************
 
Era da una settimana che Donnie aveva la febbre, dovuta alla quantità di sangue persa dalla ferita al fianco. Egli era cosciente, ogni tanto, ma dormiva la maggior parte del tempo. Se si svegliava, guardava la sua camera, sperando nel ritorno del fratellino.
Erano le 21:10 e il silenzio snervante regnava in tutta la tana. Leonardo stava incamminandosi verso la stanza di Don con un vassoio contenente una tazza di tè verde fumante. La porta della camera in questione era aperta e le forti luci del dojo illuminavano appena il suo interno.
Leo notò un movimento delle coperte e costatò, felicemente, che il genio era sveglio.
-Chi è?- chiese quest’ultimo, con voce appena percettibile.
-Sono io, Leo-.
Il leader entrò, mentre il braccio del viola si allungò pigramente sino al lume, sul comodino. Lo scatto dell’interruttore anticipò il fascio soffuso di luce, che s’irradiò per tutta la camera.
-Ti ho portato una tazza di tè- spiegò Leo, sedendosi sul suo letto: -Come va?-.
Don gemette al dolore meno selvaggio del fianco: -Un po’ meglio, credo. Grazie-.
Soffiò sul tè, nonostante non fosse un grande amante come il sensei o Leo e lo bevve. I suoi occhi nocciola si magnetizzarono in quelli ramati del leader, le cui emozioni erano del tutto indecifrabili.
-Sono passati sette giorni- mormorò, infine, Leo, distogliendo lo sguardo.
-Sì- gemette l’altro: -Mi manca molto. E poi… con quelle mani rovinate…-.
Leo rabbrividì alle urla che risuonarono nella sua mente. Chiuse e riaprì gli occhi, alzandosi. Don gli porse la tazza vuota e si ristabilì supino sotto le coperte.
-Mi dispiace, Donatello- fece Leo, ora sulla soglia della porta: -E’ colpa mia-.
-No- sbadigliò l’altro: -Abbiamo tutti la stessa percentuale di colpevolezza…-.
Leonardo avrebbe detto qualcos’altro, ma il russare morbido di Donnie gli fece capire che era sprofondato nel sonno tranquillo.
“Notte, Don…”.
 
Ore 02:20
 
Donnie si risvegliò in lacrime. Aveva appena avuto un incubo sulla lontananza definitiva di Michelangelo. Egli spalancò gli occhi e fissò il buio nell’intera tana. Il fianco non gli doleva quanto il petto: il suo cuore era incrinato in più punti.
-Mikey… dove sei?- sussurrò alla stanza che sembrava più grande.
Si strofinò il volto e tossì un po’.
-Forse più vicino di quanto immagini-.
Il genio sobbalzò per la paura e guardò alla sua sinistra: un paio di occhi azzurri lo guardavano dolcemente. C’era un sorriso e delle lacrime sulle guance. Donatello non ebbe bisogno di luci per capire chi era quella figura.
-M… Michelangelo?-.
-Sì, fratellone, sono io- rispose dolcemente l’altro: -Non stai sognando. Sono tornato-.
Il genio seppe cosa fare: si spostò più verso destra nel suo letto, accogliendo il fratellino che scivolò nel caldo giaciglio senza esitazioni. La braccia muscolose di Don avvolsero il gelido Mikey, il quale singhiozzò silenziosamente nel suo petto.
-Mi sei mancato- soffocò l’arancione: -Ero addolorato per averti visto sparare-.
-Ero addolorato solo perché tu non eri qui-.
Donatello sorrise e baciò suo fratello sulla testa. Era così felice ora, che l’incubo che avuto non era che uno stupido ricordo da rimuovere. Il genio avrebbe voluto dare la bella notizia ma si accorse che suo fratello era caduto in un sonno profondo.
Ancora un sorriso: la tartaruga cervellona sentì le palpebre sempre più pesanti e si addormentò facilmente perché sapeva che al suo risveglio, Michelangelo sarebbe stato ancora con lui.
“Sei tornato…”…

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


Quanto cambiamento poteva esserci in sei mesi?
Quanto le persone potevano trasformarsi?
Quanto un’amicizia poteva durare?
Tante erano le domande ancora da porre, ma per qualcuno di nostra conoscenza tutto questo aveva ben poca importanza.
Nascosta agli occhi degli umani, nelle fogne, la tana di cinque mutanti era radiosa come al solito, sebbene un po’ di oscurità regnasse ancora.
Sei mesi fa, Michelangelo era fuggito di casa, rifugiandosi da Ambra. Insieme, poi, erano riusciti a uccidere un pericoloso criminale omicida e a vendicare Lin Lang.
La tartaruga aveva seguito pazientemente tutti gli sforzi di Ambra, per poter tornare quella di un tempo e di tanto in tanto, anche Don, Raph, Leo e il sensei (che l’avevano conosciuta), l’andavano a trovare. Michelangelo aveva, inoltre, chiesto scusa e spiegato che aveva il vizio del fumo.
La sua famiglia, sebbene non condividesse questo, avevano proposto di aiutarlo a eliminare il tabacco.
Le cose stavano tornando lentamente alla normalità…
 
Donnie stava lavorando al suo pc, in un mite serata di maggio. La ferita al fianco non era che una linea cicatrizzata in “via d’estinzione” e non doleva più.
-Donnie- chiamò Leonardo, bussando sulla cornice della porta.
-Dimmi-.
-Hai visto Michelangelo?- proseguì l’azzurro, con un po’ di preoccupazione.
-Credevo fosse con Raph ad allenarsi- rispose l’altro, con occhi sbarrati.
Una figura comparve sulla porta, con un ghigno e le braccia conserte.
-Direi che il piccolo ninja è appena uscito. E conoscendolo, credo sia andato da Ambra- aggiunse Raph.
Improvvisamente, il telefono di Donnie squillò con quel tipico motivetto simpatico.
-Sì, pronto?-.
-Ehi, Donnie!-.
Il genio sospirò di sollievo: -Mikey, dove sei?-.
-A casa di Ambra. Potete raggiungerci?-.
-Certo, ma…-.
-Niente ma! Vi aspettiamo! E’ una sorpresa! Fai venire anche il sensei, per favore!-.
Donnie avrebbe detto qualcos’altro ma la chiamata terminò. Spegnendo i suoi pc, egli spiegò il tutto ai suoi fratelli maggiori, i quali annuirono.
Erano le 22:00 e potevano tranquillamente uscire per i tetti…
 
10 minuti dopo…
 
Il Battle Shell e la tarta-moto erano dinanzi al palazzo dove vi era l’appartamento di Ambra. I quattro mutanti osservarono la stessa gioielleria dove, sei mesi fa, Law aveva trovato la morte. Rabbrividirono appena al ricordo, ma Leo si affrettò a parcheggiare in un vicolo e a scendere.
Raph fece lo stesso per la sua moto e si sfilò il casco rosso.
-Quarto piano, ragazzi- sottolineò Donnie, a bassa voce.
I quattro Hamato notarono una scala antincendio e vi ci saltarono su, intenzionati a raggiungere la meta finale alla “maniera dei ninja”.
La luna brillava nel cielo, accompagnata da flebili stelle offuscate dalla luminosità eccessiva della Grande Mela. Le auto strombazzavano nelle srade affollate dalle persone e forse, l’unico posto meno intasato era proprio Central Park.
Sebbene questo era qualcosa di molto suggestivo, ai nostri amici non fregava proprio. Loro erano solo curiosissimi di sapere il motivo della telefonata di Michelangelo.
 
Raggiunta la finestra, Raphael bussò. C’era la luce accesa nel salotto e attraverso le tende lilla, una figura si avvicinò, scostandole. Michelangelo sorrise calorosamente e si affrettò a sbloccare il fermo.
-Ehi!- salutò, mostrando quelle mani rovinate permanentemente.
-Siamo venuti- sottolineò Raph, sghignazzante: -E adesso, dicci della sorpresa!-.
-Calma- frenò l’arancione, chiudendo la finestra e appannando le tende.
Leo notò nuovamente il pacchetto di sigarette nella cintura del fratellino e si scurì appena in volto.
-Mikey, hai fumato di nuovo?-.
-Una sola. Dovevo pensare, sai?- rispose semplicemente l’altro, tristemente.
Si voltò di spalle e si strofinò una mano sul volto.
-A cosa?- chiese Donnie, preoccupato che il fratellino fosse preda di una lieve depressione.
-Mi dispiace tanto. Per come vi ho trattati. Non lo meritavate- gemette Michelangelo.
Raph notò i pugni che stringevano sempre più e senza esitare, lo abbracciò strettamente, coccolandolo. Il giovane Mikey prese a singhiozzare, cercando di placarsi ma non ci riuscì granché bene.
-Va tutto bene. Siamo noi che non abbiamo mai capito- sorrise Leo, unendosi all’abbraccio.
-Impararemo dagli errori- pronunciò anche Don, completando l’abbraccio di gruppo.
Il topo sorrise ma avvolse le braccia intorno al suo figlio minore quando gli altri lo lasciarono andare.
-Papà…- gemette l’arancione, i cui occhi brillavano di lacrime.
-Ti voglio bene, figlio mio-.
Leo non poté fare a meno di guardare quelle mani tanto rovinate. Chiuse gli occhi per ricordare e non riuscendo a frenare la voglia di piangere, preferì cambiare argomento.
-Allora, fratellino. Qual era la sorpresa che volevi farci vedere?-.
L’arancione si staccò dal sensei e si strofinò la tristezza residua dagli occhi. Tentò di sorridere ma non ci riuscì proprio. Mikey tossì a causa di tutto il fumo che aveva sempre ingurgitato ma fermò la sua famiglia con una mano.
-Sto bene- mentì: -E adesso, la sorpresa. Ambra, dai, vieni!-.
Donnie, Leo, Raph e Splinter erano molto curiosi e Mikey fece un passo indietro. La porta della cucina, che era chiusa, si aprì con uno scatto.
Mikey era molto eccitato e non vedeva l’ora di mostrare cosa aveva creato in sei mesi.
Una ragazza dagli scintillanti occhi nocciola, capelli lunghi e lisci comparve. Le sue labbra rosee erano contratte in un sorriso. Il suo corpo snello era elegantemente racchiuso in una camicetta lilla tenue, con alcuni fiori sul fianco sinistro.
Una collana di perle bianche ornava il suo collo e un braccialetto capeggiava sul polso destro. Un jeans blu mostrava le sue gambe perfette e i tacchi neri erano perfetti per completare l’abbigliamento.
Donnie arrossì come un pomodoro e distolse lo sguardo.
-Ch… chi è quella ragazza?- chiese quest’ultimo.
Mikey e la ragazza scoppiarono a ridere sonoramente, soprattutto alle facce stupite degli altri Hamato.
-Donnie, non mi riconosci? Sono io, Ambra!-.
Il genio aprì la bocca e sbarrò gli occhi: stentava a crederci! Quella ragazza stupenda era davvero Ambra?
-Abbiamo lavorato duramente. Le ho insegnato a combattere e a padroneggiare la Tanto- spiegò Mikey.
-Una kunoichi? Hai fatto di Ambra una kunoichi?- chiese Leo, sorridente.
-Chi l’avrebbe mai detto!- rise Raph: -Mikey, potresti aprirti una palestra di fitness, lo sai?-.
-Potrei fare fortuna nel campo delle diete!- schernì l’arancione.
Ambra era perfetta: il grasso che ricopriva il suo corpo era completamente scomparso.
-Ambra, ora, pesa sessanta chili, ragazzi- rivelò Mikey, notando Ambra e Don arrossire.
Splinter si schiarì la gola e riprese il figlio genio imbambolato.
-Complimenti a te, Michelangelo e ad Ambra. Entrambi avete dimostrato una grande forza di volontà-.
-Grazie, maestro Splinter- risposero i due nominati, inchinandosi.
Ambra si alzò e corse in camera sua, senza dire nulla.
-Mikey… come hai fatto?- chiese Donnie, incredulo.
-Ho creduto in lei-.
-Hai dimostrato quello che vali a tutti. E a te stesso- si complimentò Leonardo, abbracciandolo.
-E noi siamo degli idioti- sospirò Raph: -Non ti abbiamo mai dato il giusto valore-.
-Acqua passata- sorrise Mikey, mentre Ambra ritornò con uno scatolo in mano.
Era un regalo. Una carta arancione con tartarughine verdi era elegantemente chiusa con un nastro e una coccarda bianca.
-Mikey, questo è per te-.
L’arancione sbatté le palpebre, senza parole. Egli non sapeva cosa dire: guardò la sua famiglia che annuì, chiedendogli di accettare. La tartaruga, seduta sul divano, iniziò a scartare lentamente il regalo, curioso. Ambra, intanto, si sedette accanto a Don, appoggiando la testa sulla sua spalla.
Il genio si sentì travolgere da un’ondata di emozione, tant’è che arrossì ancora una volta. Le sue dita raggiunsero le magre dita di Ambra, intrecciandosi dolcemente. Un braccio l’avvolse, stringendola al suo petto.
Leo e Raph guardarono il timido gesto di interagire di Donnie e ridacchiarono, ottenendo un sorriso a mo di rimprovero dal sensei.
-Wow- esclamò Michelangelo, estraendo qualcosa dal regalo.
Un paio di guanti privi di dita, estremamente resistenti. Erano neri con le bordature arancioni. Soffici, proteggevano le parti ustionate delle mani con quella morbidezza.
-Sono guanti molto particolari. Eviteranno che le lesioni si riaprano- spiegò Ambra: -Sono andata a richiederli in un negozio specializzato-.
La tartaruga, che aveva cambiato la sua cintura marrone con una nera, se li infilò e li guardò con grande orgoglio. Abbracciò Ambra e fece l’occhiolino a Donnie.
-Ragazzi, che ne dite di andare a prendere la pizza?- propose: -Don rimani con Ambra, il taglio fa male, vero?-.
-Cosa?- fece il genio: -M… ma-.
Capito il gioco, anche Leo, Raph e il sensei finsero.
-Mikey ha ragione, Don- sghignazzò Raph: -Torneremo presto, vedrai!-…
 
Rimasti da soli, Don e Ambra erano sul balcone, a osservare la luna piena. Il vento soffiava dolcemente fra i capelli, regalando più romanticità alla serata. Il genio guardò la ragazza: era talmente bella che sembrava un sogno.
Come gli occhi luccicanti di Ambra s’incontrarono in Don, i due non seppero come staccarsi. Spinti da mani invisibili si abbracciarono strettamente. Le mani della tartaruga raggiunse la vite di Ambra e l’altra cominciò ad accarezzargli il viso.
-Sei speciale, lo sai, Don?- gli sussurrò, a poca distanza dalle labbra: -L’ho capito la prima volta che ci siamo incontrati-.
-I… io sapevo che eri stupenda, ma… vederti ora, mi lasci senza aggettivi-.
Ridacchiarono e si avvicinarono ancora. Don scostò una ciocca di capelli da Ambra e la guardò. Una creatura tanto bella sembrava anche tanto fragile. Ma Don non poteva più rifiutarsi di capire l’amore.
Si avvicinò ad Ambra: le loro labbra percepirono a vicenda i fiati e con una leggera esitazione, si unirono. Don iniziò ad accarezzarle i fianchi, travolto da un tumulto di emozioni stupende.
Ambra continuava a strofinare dolcemente sulle guance verde oliva, incurante che quattro paia di occhi li guardavano, seduti su un tetto non molto distante.
-Visto? Quei due sono innamorati!- sorrise Mikey, seduto a gambe incrociate.
-Ed è solo merito tuo, fratellino- sorrise Leonardo, in piedi, dietro di lui.
Mikey alzò la testa, vedendo il volto del fratello al contrario; sorrise angelicamente ma non rispose.
-Lasciamoli soli ancora un po’. Se lo meritano- ridacchiò Raphael.
-Sì, ma intanto, perché non ci finiamo la pizza? Si raffredderà!- propose Mikey, affamato.
-Sei sempre lo stesso- rimproverò affettuosamente Leo, sedendosi accanto a lui: -Ed è proprio questo che ci  piace di te-.
Colto da una leggera tristezza, Michelangelo afferrò il pacchetto dalla cintura. Lo guardò come la sua famiglia e sospirò. Gli occhi di Leo gli dicevano di dominare la sua paura. Quelli di Raph imploravano di lottare. Splinter credeva in lui.
-Non ne ho bisogno-.
Mikey gettò il pacchetto nel vuoto, seguendone la caduta con gli occhi lustri. Le braccia dei suoi fratelli lo avvolsero: erano orgogliosi di lui. Mikey ridacchiò e addentò un pezzo di pizza, felice che tutto si era finalmente risolto.
Forse non avrebbe più potuto contare sulle sue mani, ma era ancora un ninja.
Aveva fatto scoprire l’amore a Don.
Aveva ricostruito il rapporto fraterno con Raph.
Aveva dimostrato il suo valore a Leo.
Aveva semplicemente ammesso che era un Hamato a suo padre.
 
Aveva regalato una vita migliore a una ragazza sola…
 
Teenage Mutant Ninja Turtles: Body’s Fire
 
The End

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