AS WE WERE...AS WE ARE

di onlydreams
(/viewuser.php?uid=153404)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** una ragazza da romanzo ***
Capitolo 2: *** La maschera ***
Capitolo 3: *** Il principio ***
Capitolo 4: *** Lo scagnozzo e il colpevole ***
Capitolo 5: *** L'amante. ***
Capitolo 6: *** Nella gabbia dei leoni ***
Capitolo 7: *** Il leone e l'agnello ***
Capitolo 8: *** In perfetto stile burlesque ***
Capitolo 9: *** Il lupo di cappuccetto rosso ***



Capitolo 1
*** una ragazza da romanzo ***












Una ragazza da romanzo!



















Il passato il più delle volte è sinonimo d'insegnamento ma qualche volta imparare significa anche accettare conseguenze inaspettate.

Il fato è qualcosa che non sempre corre a nostro favore, per questo è sempre difficile accettare che la malasorte costringa due persone a lasciarsi qualcosa d'importante alle spalle come l'amore, ma si sa il fato è imprevedibile ma soprattutto ha sempre le sue buone ragioni.

Qualcosa che è stato diviso un tempo torna a farsi vivo nel presente... stesse emozioni, stessa presa al cuore con un'unica a differenza.. a viverli sono i loro antagonisti..Crhistine-Josh.                              

Due persone che sembrano reincarnare le loro stesse sembianze..

Si troveranno..

Si conosceranno..

E in qualche modo il passato tornerà a bussare alla loro porta e forse non saranno gli unici a ritrovarsi.

Perché si sa .. " certi amori fanno dei giri immensi e poi ritornano "

 

L'università.

Poteva considerarsi l'unico obiettivo che avevo momentaneamente prefissato per la mia vita e carriera, già perché alla domanda " cosa vuoi fare dopo l'università? " sicuramente avrei risposto con un'espressione sconvolta al pensiero di non aver calcolato minimamente questo pensiero.

Eppure non era una domanda così difficile

Ahimè io non avevo la più pallida idea di cosa volessi fare terminati gli studi, in realtà non l'avevo mai avuto, ero iscritta alla facoltà di lingue solo per seguire quelle che erano le mie passioni.

Volevo viaggiare, girare ogni singolo posto del mondo, ma non ero certa che questo desiderio potesse considerarsi una variante per decidere cosa fare della propria vita.

Purtroppo non faceva parte di me l'essere decisa sulle proprie scelte ed avere già in mente un piano di vita.

La mia vita era una confusione e ci stavo anche bene per dirla tutta.

A complicare la mia possibile scelta su una vita futura, si aggiungeva i continui e assidui ritardi del professore Costance,al quale gli avevano affibbiato il compito di tenerci uno stage,  un uomo sulla cinquantina, sempre in perfetto ordine, con il suo completo antico, al quale teneva parecchio a quanto pare, dato che era sua consuetudine indossarlo più volte nella stessa settimana, abbinato ad una camicia giallastra che dava l’impressione di essere macchiata di candeggina piuttosto che essere un colore del tutto naturale.

Ma tralasciando i suoi gusti in fatto di moda, potevo affermare con assoluta certezza, che quel professore avesse un talento naturale per spiegare letteratura antica, e lo dimostrava tutte quelle volte che durante una spiegazione, non lasciava in sospeso nessun particolare per quanto riguardava un determinato momento storico che stavamo affrontando.

Mi ridestai dai miei pensieri, quando sentii una mano sulla mia spalla destra, istintivamente mi voltai, trovando le mie due più care amiche prendere posto accanto a me, mentre con noncuranza spostavano le sedie, incuranti del suono fastidioso che emettevano nel gesto di strisciarle.

< Allora? Vogliamo sapere tutto > Sentenziò Caryn, guardandomi come se fosse in trepidante attesa per uno dei suoi telefilm preferiti.

< La curiosità è donna > Si aggiunse subito dopo Taylor, spronandomi a parlare.

< Avete presente il matrimonio di Elena e Logan? Bene… perché è stato sabotato..dalla stessa sposa – precisai con aria divertita - > e alla mia presunta allusione del sabotaggio, ricevetti diversi sguardi coinvolti ma sempre curiosi che mi spronarono a continuare.

 

INIZIO FLASHBACK

 

 

< Sul serio? Stai scherzando vero? > E in quel secondo mi paragonai tanto a Caroline Forbes del telefilm “ The vampire diaries “ per l’espressione utilizzata così spontaneamente, imitandone perfino la mimica facciale.

Certo, non ero una bionda tinta come lei, ma vi garantisco che sembravo tanto la sua gemella, quella cattiva ovviamente.

 

Percorse velocemente quei pochi passi che ci dividevano e con qualche piccola difficoltà causata dal suo pomposo abito da sposa,  si abbassò alla mia altezza,dato che ero seduta sul divano,  prendendomi le mani, mentre sul suo viso appariva un’espressione di implorazione.

 

< Sei l’unica che possa aiutarmi e non solo perché di dietro sembreresti me, ma perché sei l’unica di cui io mi fidi veramente > Alzai il viso, dapprima abbassato sulle sue  mani che stringevano le mie, per poi incrociare i suoi occhi impauriti, consapevoli che forse quella non era la scelta tanto giusta per sfuggire da una crisi familiare.

 

Indossare quell’abito da sposa l’aveva scombussolata, dandole la consapevolezza che un’ulteriore passo equivaleva a tante responsabilità, ma lei non era ancora pronta  per quelle, soprattutto se ad incitarla a questa scelta era stata la volontà di lasciarsi andare i problemi familiari alle spalle.

 

< Ok… indosserò il tuo abito da sposa, aspetterò che tu possa fuggire da questo incubo, ingannandoli che la sposa è ancora chiusa nella sua stanza intenta a prepararsi per la grande cerimonia, per poi fuggire dalla stanza accanto, solo perché ti voglio bene >

 

Non passarono nemmeno qualche secondo dal momento in cui avevo terminato la frase che mi ritrovai distesa sul divano, a causa del suo tanto inaspettato quanto affettuoso abbraccio che mi costrinse ad arretrare indietro.

 

< Grazie. Grazie. Grazie! > Ripeté insistentemente più volte affinché mi fosse chiara la sua gratitudine.

 

E in qualche minuto mi ritrovai di fronte ad uno specchio a contemplarmi in abito da sposa, mentre leggevo sul telefonino che la fuggitiva adesso si trovava lontana qualche miglio.

 

Molto velocemente uscii dalla stanza nella quale ero stata prigioniera per diversi motivi per intrufolarmi nella stanza accanto, per mia fortuna il corridoio era come il deserto del sarah, completamente vuoto, e nel caso in cui fossi stata scoperta, non sarebbe stato un gran problema, tanto ormai la vera sposa non si trovava più nella suddetta abitazione, io avrei dovuto inventare una scusante del momento per poi uscire di soppiatto, indifferente alle loro facce incredule.

 

Entrai nella stanza.

 

A pochi centimetri da me c’era la rinomata veranda, che conduceva a una breve scalinata che mi portava all’uscita di quel labirinto tortuoso.

 

Ma nel tentativo di fuggire, a mio discapito mi accorsi che la maniglia che mi conduceva alla libertà era bloccata.

Iniziai ad abbassare e ad alzare quella maniglia, ma l’unico effetto che ne riscontravo era il rumore di quest’ultima che non scattava.

 

< Questo momento fa tanto Julie Robert in “ se scappi ti sposo “. È il terzo o quinto matrimonio anche per lei ? >

 

Solitamente, quando venivo colta in flagrante in una delle mie abituali scene da censura, mi voltavo assumendo quell’aria tipica di un carcerato, al quale,  stanno per essergli scattate quelle che saranno le ultime foto della sua vita. Eppure, il mio corpo stava agendo in modo completamente differente, forse era il suo tono di voce, che per quanto accusatorio e deridente potesse essere, mi aveva in  qualche modo rapito.

 

A una bella voce non risponde sempre un bel volto, una frase non tratta da qualche citazione di un qualsiasi scrittore, ma cagionata dalla quotidianità.

 

Presi un respiro profondo e mi voltai.

 

Un viso simile al quello di un uomo mai cresciuto, il cui completo nero, spezzato da una camicia bianca, i quali primi bottoni sfibbiati, gli donavo quell’aria adatta da procurarti il batticuore per attrazione.

 

Si, perché per la prima volta, capii cosa si  prova quando il narratore di  un romanzo cerca le parole più adatte per descrivere quel fatidico momento quando il cuore è in tumulto per una semplicissima attrazione fisica.

 

Fu quando il mio viso leggermente rosato incrociò il suo, le cui labbra inizialmente stupite, si contrarranno in una smorfia divertita data dall’imbarazzo che il mio viso goffo metteva in mostra, che mi accorsi che i suoi occhi erano in lotta con i miei.

 

Mi ritrovai a pensare che quell’abito mi stesse troppo stretto ma in realtà, la colpa era da attribuire ai suoi occhi che vagando dapprima sul mio viso e poi sul corpetto, mi procurarono quella strana sensazione quando ti senti inadeguata.

 

< Bè… allora potresti calarti nel ruolo dell’aiutante o della madrina di Cenerentola ed aiutarmi ad uscire no...  - in quel secondo il mio sguardo si sforzava di capire quale potesse essere il suo nome basandomi sull’intuito -   > Roteai la testa  mentre  i tratti del mio viso mostravano  l’ovvietà della situazione , compii qualche passo verso di lui, elogiando falsamente la sua figura nel caso in cui fosse accorso in mio soccorso.

 

Ma si limitò ad aiutarmi con l’affermazione che stavo esprimendo, dicendomi il suo nome.

 

< Josh > Con aria tremendamente presuntuosa, come se stesse nominando un rinomato principe azzurro completò la frase, notando la mia difficoltà nell’affibbiargli il nome corretto, accentuando la sua arroganza con un mezzo sorrisetto divertito che per quanto gli donasse una certa aria sexy, non riuscii a non pensare quanto fosse grande la sua autostima.

 

< Josh > Confermai.

 

< E cosa ci guadagnerei? > Ripropose con tono soffuso,  accentuando la scetticità che comparve sul suo viso in merito alla mia proposta, lasciando trapelare tutta la malizia possibile con un sorrisetto che iniziavo ad odiare.

 

< Sicuramente nessuna proposta indecente > Controbattei irrefutabile, permettendo ai miei occhi di inviperirsi al contatto con i suoi.

 

Sorrise di sbieco sorpassandomi, forzando quella maniglia antica in una casa moderna che non aveva nessuna attenzione di lasciarsi andare sotto il tocco della sua mano.  

 

< Magari…è anche inadeguato il contesto, ammetto di essere davvero tentato di chiederle di uscire insieme… qualche sera, ma se sta lasciando il suo futuro marito in bianco, non oso immaginare cosa possa riservare a me – terminò con finta amarezza  > Confessò inaspettatamente, mentre il suo viso assumeva la stessa espressione di sforzo, con la quale cercava di aprire quella veranda, per poi lasciarsi andare ad un sorissetto allusivo.

 

Imbronciai il viso, mentre istintivamente portavo le braccia a stringersi sotto il decolté.

 

A differenza mia, alla centesima pressione su quell’ammazzo di ferro riverniciato di un bianco perla, la serratura si liberò, concedendomi così la via di fuga.

 

Spontaneamente sul mio viso apparve un’espressione di sollievo, e anche se si trattava solo di un significato letterale piuttosto che come una cosa che successe realmente, saltai in preda alla felicità, ovviamente in senso metaforico.

 

In contemporanea al suo gesto eroico, una volata di vento gelido mi fece trasalire da piccoli brividi, da un abito che purtroppo lasciava più spazio alla fantasia, mettendo in bella  mostra la mia schiena.

 

< La favola e quello che riguarda la felicità di Cenerentola ha trovato inizialmente la sua terribile fine a mezzanotte, a quanto pare ti dovrai accontentare di soli dodici ore in attesa del lieto fine. > Asserii sarcasticamente in modo quasi silenzioso, mentre si sfilava la giacca per poi porla e sistemarla sulle mie spalle scoperte, non trattenendo quel sorriso che l’aveva accompagnato fin dal principio, fin dal momento in cui aveva varcato quella porta, scoprendo così il mio piano di fuga.

 

< Grazie > Sussurrai in modo flebile.

 

Quello fu l’unico secondo riempito dai nostri sguardi.

 

< Josh! > Una voce all’esterno di quella porta richiamò la sua attenzione, mi lasciò lì in quella posizione, compiendo frettolosamente qualche passo verso la porta principale di quella ampia stanza, forse, aspettandosi di ritrovarmi lì quando scoprendo che chi l’aveva chiamato non meritava la sua attenzione, si sarebbe voltato a guardarmi, non trovando nessun’altra  che una porta appena aperta. Almeno, questo era il modo in cui mi aspettavo che agisse, in realtà non potevo saperlo, dato che avevo approfittato della sua breve lontananza per fuggire via.

 

 

FINE FLASHBACK

< L’hai lasciato così? Senza nemmeno scambiarvi i numeri di telefono? > Sbraitò Caryn mentre sulla sua fronte lucida apparivano diverse vene di collera.

< Poteva anche essere quel classico tipo di ragazzo che si vede nel telefilm Baywatch?   > Aggiunse, incrementando il suo stupore con la sua mano che stringeva la mia in cerca di conferma.

Sorrisi, perché in realtà mi aspettavo una frase del genere da colei che aveva collezionato qualsiasi cosa riferente a quel telefilm.

<  Non tutti i romanzi raccontano un lieto fine > Affermai con falsa amarezza dando uno sguardo poco propenso a Tyler, che dopo averci notato, stava prendendo posto accanto a noi.  Un particolare che lo accumunava al signor Costance sicuramente era quello di essere sempre in ritardo.

< Buongiorno! > Sbuffò

< Sempre in ritardo tu? > Rispose di rimando lei, non riuscendo a trattenere un sorrisino divertito.

< Certo che il professore ne perde di tempo!  Che palle! > Esordì Tyler, portando le mani dietro la testa come se stesse per sbadigliare da un momento all'altro.

Sorrisi condividendo a pieno il suo status.

< Spero tanto che almeno tutta questa attesa valga un corpicino da guardare > Con un sorriso malizioso e sicuramente un'immagine poco casta proiettata nella sua mente, mi svelò quella che sembrava essere la sua unica preoccupazione del momento.

< A quanto pare questa volta dovrai accontentarti > Affermai notando due gambe affusolate e un volto che non coincideva a pieno all'immagine tanto sperata da lui, poteva avere più o meno una quarantina d'anni.

< Buongiorno a tutti  sono la signora Looner... colei a dato l’iniziativa per questo corso.  Il professore Costance per problemi personali non potrà dedicarsi alla stesura di questo corso > Lo disse adottando quel tipo di espressione che si utilizza, quando intendi ricevere dei ringraziamenti senza sottolineare l'intenzione, ma lasci comunque la pretesa sottintesa.

Dopo aver dato un'occhiata  riprese subito a parlare.

< Non sono il tipo di persona che perde tempo in chiacchiere.. quindi.. arriverò al sodo.. non sarò io che vi terrò il corso ma per qualsiasi cosa potete rivolgervi a me  >

Come se volesse enfatizzare la grande parola " cosa " che aveva utilizzato assunse un sorriso a doppio taglio, per quanto chiudendo un occhio potevi vedere un sostegno sincero, aprendoli insieme ti saresti resa conto dell'astio che provava nel dover dire una frase del genere, il suo viso e i suoi occhi leggermente dilati erano conferma del contrario, sembrava che stessero urlando: " non osate recarmi fastidio "

In quel secondo, prestai attenzione alle scarpe della signora Looner e mi resi conto quanta strada dovesse ancora fare per capire il concetto di moda nonostante il suo sguardo fiero desse prova del contrario, dei sussurri  pettegoli e dei passi decisi mi costrinsero a deviare l'attenzione alla mia destra.
                                                                                                                 
Tenendo sempre gli occhi bassi intravidi un paio di scarpe nere lucide, istintivamente la mia curiosità mi condusse a scrutare con attenzione l'individuo, così con una lentezza sconosciuta all'essere umano, sollevai gli occhi cogliendone tutti i particolari: pantaloni aderenti neri, camicia il cui colore mi ricordava molto il cielo limpido per quanto fosse chiaro, maniche arrotolate accuratamente fino all'avambraccio, qualche bottone aperto dandogli così un aspetto intraprendente e infine il suo volto.. mi spiazzò

Forse era stata la mia incredulità o insistenza nel fissarlo,  a fargli deviare l'attenzione su di me piuttosto che posarlo in altri che lo guardavano ammaliati dal suo sguardo.

Come se avesse voluto essere l'ultimo pezzo di un puzzle adottò quella stessa espressione che avesse potuto aiutarmi a ricordare il contesto in cui avevo incrociato i suoi occhi, azzurri come il mare in tempesta.

 Le sue labbra disegnate in un sorrisetto di lato soddisfatto

 Il tutto ricreava quell'espressione che tanto avevo odiato per quanto fosse prova della sua innata superbia.

Quando mi resi conto con quanta superbia si era sostato a fissarmi, come se con i soli occhi volesse farmi capire che si sarebbe sciolto se l'avessi guardato un altro po’, misi il broncio e  in un gesto soddisfatto mi voltai al lato opposto.

Maledetto presuntuoso! Mi ritrovai a pensare.

< Buongiorno e ben arrivati! Sono Josh Somerhalder, sostituisco il professore Costance, non che mio caro amico.  Vi darò tutte le dritte per raggiungere gli obiettivi prefissati da questo corso e superarlo. Voglio precisare una cosa non accetto favoritismi di nessun genere. > La sua voce assottigliata, declinava a quelle che lo stavano già puntando, la possibilità di passare una notte con lui in cambio di un punteggio alto, ma lasciava anche intendere che fosse stato  propenso a qualche notte di puro divertimento ma senza ripercussioni.

Non c'era nessun punto di sospensione nella sua frase, né nessuna forma di indugio nella sua voce.                                                                                                                                        
Era un muro di cemento certo che nessuna variazione sismica l'avrebbe potuto gettare giù.

Il suo sguardo sorprendentemente deciso, era la constatazione che la sicurezza che reggeva le sue parole fosse reale e non finzione..

Un continuo vocifero sulla persona di fronte a noi, mi fecero comprendere che il bel tenebroso non era differente proprio a nessuno, perfino i muri erano intenti ad ascoltare ogni sua sillaba.

Approfittai del momento per strappare un pezzo di carta dal mio quaderno e ci scrissi sopra, dopodiché lo indicai alle mie due amiche sedute accanto.

Non sapevo se i loro visi fossero stupiti e pronti a dare incandescenza perché avevo scritto che il presunto ragazzo di Baywatch fosse lì o perché il ragazzo in questione era a pochi metri da noi, i cui occhi erano puntati nella nostra direzione.

 

 

SPAZIO AUTORE !

Principalmente mi scuso per il disagio creato dato che ho riscritto la storia dal principio, spero che questa nuova versione possa conquistarvi lo stesso, quindi esprimete pure un parere di preferenza. =D

Un bacio!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La maschera ***










La maschera










 

 
 
Ero appostata in un piccolo atrio nascosto, dove solitamente gli insegnanti e tutti coloro che svolgevano mansioni differenti, inerenti comunque  a faccende burocratiche universitarie, passavano di lì per entrare.
 
Non passò molto tempo dal mio arrivo, quando una voce mi fece deviare l’attenzione alla struttura che stavo fissando noiosamente, in attesa che la persona interessata facesse il suo ingresso.
 
Mi voltai.
 
Il suo aspetto giovanile, reso quasi maturo da un completo pantalone e camicia, le cui maniche erano arrotolate accuratamente a metà braccio, e  per quanto questo particolare,  gli donasse un dozzina di anni a salire, lo rendeva quel prototipo affascinante che era l’uomo in cravatta.
 
Anche se in realtà, lui la cravatta non la stava indossando.
 
< Dunque è solo mattiniera o mi stava aspettando > sapeva o forse ignorava quale fosse il motivo della mia presenza ma i suoi occhi sembravano presi da qualcos’altro.
 
Forse, la mia, non era stata tanto brillante come idea, concedermi ore piccole solo per la premura di riportagli la giacca, senza essere vista da occhi indiscreti, non dopo il suo discorso di presentazione. Non volevo essere l’ennesima conferma delle sue allusioni infondate, rappresentando la stragrande maggioranza delle ragazze che frequentavano il corso insieme a me.
 
< Chi dice che stavo aspettando proprio lei? > Affermai non riuscendo a evitare la scetticità che comparve nel mio viso davanti a tanta sicurezza.

< Intuito > Propose, trovando giustificazione nel suo intuito e nel suo innato egocentrismo da uomo, precisando la fierezza che provava nel fare una simile constatazione, non limitandosi a parlare ma sollecitando la sua affermazione con uno sguardo deciso.
 
Presi la busta contenente la giacca e gliela passai, mentre in conseguenza al mio gesto, diede un’occhiata curiosa  dentro, ottenendo conferma anche dalle  mie parole,  che ne derivarono successivamente  sul contenuto.
 
< Volevo ridarle questa, in realtà non sapevo neanche se avessi avuto mai  l’opportunità di riconsegnargliela.  >
 
La voce della signora Tatania, segretaria della facoltà di letteratura ci fece voltare, cercando l’attenzione del professore, rientrando subito dentro.
 
< Signor Somerhalder deve firmare alcuni documenti >
 
Diede una breve occhiata alla busta, per poi riportare i suoi occhi su di me, facendo un cenno con la testa in segno di ringraziamento, mentre un sorriso che dava l’aria di uno che doveva andare, lo accompagnava mentre si avviava all’interno di quella struttura antica ma di immenso valore.
 
 
____
 
 
< Ogni singolo individuo si comporta diversamente in merito al contesto nella quale si trova, quotidianamente indossa una maschera diversa che nasconde la sua vera personalità, questo vuol dire che il modo di comportarsi e di porsi varia a seconda del tipo di situazione >
 
Spiegava gli autori e la letteratura come se stesse parlando della sua vita o addirittura delle sue vacanze, in modo scorrevole e privo di intoppi, era certo, che non avesse studiato quei paragrafi a memoria per paura di cadere in dubbi o in espressioni sbagliate e fuori luogo.
 
Parlava perché in realtà conosceva quello che stava esprimendo, non aveva nemmeno sentito la necessità di far riferimento a qualche appunto scritto nel caso in cui si fosse dimenticato di qualche particolare.                                                         

Colloquiava e gesticolava compiendo diversi passi, che lo conducevano alla vista di tutti, cercava con gli occhi gli sguardi tutti, perché voleva essere sicuro che loro fossero consapevoli che lui stesse parlando per loro.
 
< Pirandello riporta il concetto di maschera in quasi tutte le sue opere > Terminò, fermandosi al centro di quell’enorme stanza, cercando uno sguardo d’intesa dai presenti.
 
< Per oggi finiamo qui e dato che  siete fin troppo intelligenti iniziamo con i primi 40 capitoli di questo piccolo  libricino – sollevò il libro in questione sventolando in aria divertito fingendo un volto serio, smentendo quello che lui si era ostinato a chiamare piccolo mentre in realtà avevo lo stesso spessore della sua testa - >
 
La sua proposta ottenne una risposta, forse non quella che si aspettava, ma era pur sempre una reazione alla sua domanda.
 
Un tumulto di fischi inondarono quell’enorme classe, scaturendone perfino l’eco di quella che era una negazione alla possibilità di prendere in considerazione quel libro, che continuava a sventolare perentorio, mentre dei lamenti continuavano a dissentire la sua scelta.
 
 
 
 
****
 
 
< Forse questo vestito è troppo audace > Sbuffai.
 
Si affiancò a me, di fronte a quello specchi antico, nella quale ci eravamo trovate di fronte svariate volte per criticarci o per riempirci di complimenti, e in un modo del tutto naturale appoggiò la sua testa nel mio braccio destro.
 
< Questa potrebbe anche essere quell’occasione, la tua di occasione, chi potrebbe dirlo >
 
Per quanto la dolcezza delle sue parole mi avesse toccato nel profondo, ne smorzai l’effetto, cogliendo l’occasioni di beffeggiarla.
 
< Che cosa hai fatto alla mia amica? > Allusi con finto stupore.
 
Sorridemmo e senza un’apparente motivo, ci trovammo coinvolte in uno dei nostri abbracci.
 
< Andiamo o Taylor ci porterà via i migliori partiti > Affermò con finto allarmismo facendomi sorridere istantaneamente.
 
< Certo che la famiglia Potter quando si mette in testa l’idea di beneficenza non ci sono soldi che tengano > Involontariamente espressi quel pensiero privato ad alta voce, per mia fortuna non troppo alta.
 
Ero talmente presa da quelle luci accecanti e fastidiose che contornavano l’intera casa, che mi offuscarono la vista, facendomi imbattere contro qualcuno.
 
< Mi scusi > Affermai ancora interdetta dal bagliore, pronta ad andarmene, quando la sua voce mi costrinse a prendere una posizione differente.
 
< A quanto pare ci incontriamo in contesti inadeguati > I suoi occhi si ridussero a due piccole fessure,  stupiti di incontrarmi nei luoghi poco probabili.
 
Non ebbi il tempo di rispondere che la mano di Caryn, inconsapevole in chi mi ero appena andata ad imbattere,  mi trascinò via, trovandomi dall’altro lato della sala, in compagnia di alcuni ragazzi, la cui età era conosciuta ma le intenzioni molto prevedibili.
 
 
POV JOSH
 
< La conosci? > La voce di Marcel seguita dal continuo bisbigliare dei miei compagni di college, mi destarono dalla sua immagine che continuava a colloquiare e interagire con un piccolo e ristretto numero di uomini.
 
< Frequenta il corso che sto presidiando all’università > Risposi ottenendo uno sguardo poco propenso a quello che avevo detto, come se quella, non fosse la risposta che voleva ascoltare
 
< Allora, non hai proprio idea di chi sia? > Domandò sorpreso, chiedendo un’ulteriore conferma se quello che alleggiava intorno alla sua affermazione equivalesse realmente  per me al buio più totale.
 
Lo guardai scettico, spronandolo a continuare, sapeva bene che odiavo i mezzi termini, così, mentre un sorriso smanioso prendeva largo scampo sulle sue labbra, quasi entusiasta di quello che stesse per dire, nascose le sue mani nelle tasche dei suoi pantaloni costosi,in modo del tutto naturale portò  il suo busto  in avanti e dopo aver preso un respiro, mi confessò il motivo di tanta eccitazione.
 
Si avvicinò al mio orecchio e costringendomi a guardare nella stessa direzione puntata dai suoi occhi mi svelò la sua vera natura.
 
< è la stessa persona che cercavi al matrimonio di Logan >
 
Diede uno sguardo poco propenso al contesto che lo circondava, e ricomponendosi continuò a parlare.
 
< Non cambia nulla vero? >
 
< Assolutamente > Controbattei e involontariamente la presa sul quel calice diveniva più ferrea.
 
POV CRHYSTINE
 
Ma di cosa stavano parlando?
 
Continuavo a sorridere falsamente, fingendomi molto propensa ad ascoltare le loro assurde concezioni sulla vita e sull’Europa, forse la colpa era da attribuire al mio vestito che mi donava qualche anno in più alla mia vera età, ingannando coloro che mi si avvicinavano o mi sussurravano qualcosa, convinti che i loro discorsi da adulti potessero adocchiarmi, inconsapevoli che in realtà, ero molto più piccola di quel che sembravo e quindi non ero per nulla interessata ai loro grandi pensieri.
 
La voce di mio padre, mi costrinse a ridestarmi dalle continue paranoie che stavano offuscando la mia testa.
 
< Posso rubarvela un attimo? >
 
< Certamente > Risposero all’unisono le mie amiche e quei ragazzi che ci circondavano.
 
Con una mano dietro la mia spalla, si assicurò che prima fossi qualche metro lontana da loro, ma soprattutto da occhi che avevano anche la capacità di ascoltare, presone conferma, smorzò questo suo strano comportamento adocchiando due calici, passandomene uno, mentre con un sorriso tirato che sembrava volesse capire l’irruenza delle sue parole, parlò.
 
<  Stai lontana da quell’uomo >
 
Sorrisi di sollievo pensando che questo strano comportamento era solo dettato dalla gelosia.
 
< Ah non preoccuparti, conosci quelle due, non c’è mai una festa che io non finisca per conoscere qualcuno > Con un cenno della mano, gli indicai quelle che lui stranamente  riteneva un pericolo per la mia incolumità, ricordandogli quanto in realtà fossero simili a me.
 
< Non parlo di loro, parlo di quello che hai salutato all’ingresso, la stessa persona che adesso sta guardando qua  >
 
E istintivamente alla sua affermazione, mi ritrovai a vagare con gli occhi nella sala, alla ricerca di colui, che a quanto pare non possedeva determinati requisiti per piacere a lui, e lo trovai.
 
Immobile.
 
I suoi occhi fermi a fissarci, come se guardandoci avesse appena trovato una conferma a quello che stesse cercando.
 
***
Lo ignorai.
 
Ma lui rendeva particolarmente difficile questo compito assai semplice.
 
Mi ritrovai costretta ad ignorarlo, ero lontana mille miglia dall’essere quel tipo di persona che prende in considerazione solo il consiglio di un genitore escludendo il proprio, ma qui, il contesto era differente, lo conoscevo, e conoscevo molto bene anche il suo carattere, sapevo che sarebbe andato in incandescenza di fronte a tutti, e per quanto fossi abituata alla sue scenate, non ero ancora pronta a subirle  sotto gli occhi indagatori dei qui presenti.
 
 
Il suo modo di guardarmi improvvisamente, divenne più esigente e non importava dove spostavo i miei occhi, perché ero sicura che avrei trovato i suoi, che mi seguivano e mi scrutavano in ogni piccolo dettaglio.

E mi ritrovai per la prima volta a dare più credibilità alle parole di una persona più grande di me.
 
 
 
Senza rendermene conto, per sfuggire ai suoi occhi,  mi ritrovai in un balconcino, nella quale ne assaporai il sapore dell’aria fresca.
 
La sua voce non tardò a raggiungermi dietro le spalle, obbligandomi a voltarmi.
 
Cos’era quello che vedevo nei suoi occhi?
 
Rabbia?
 
 
< è molto semplice ignorarmi, non trova? >  Sibilò tagliente,  in merito al mio intento di scambiare la mia volontà di ignorarlo con una totale indifferenza, che lui aveva scoperto subito essere strana.
 
Non era da me deviare il discorso e magari attraverso sotterfugi arrivare al nocciolo della conversazione, così evitai inutili giochi di parole e centrai il perno di ciò che mi interessava sapere.
 
< Cosa vuole? >Domandai stizzita  incrociando i suoi occhi vispi,  attenti che non avessi nessuna via di fuga.
 
Sorrise beffardo avvicinandosi a me.
 
Non si scompose nemmeno per un secondo, continuava a stringere e nascondere le sue mani nelle tasche dei suoi pantaloni, le stesse che fece uscire allo scoperto, quando obbligatomi ad appoggiarmi al muro dietro di me, queste andarono a posarsi ai lati della mia testa.
 
<  Le basta sapere che sono venuto a riscuotere l’errore di sua madre  > I suoi occhi andarono di pari passo ai miei.
 
Si chinò verso di me, in direzione del mio orecchio, nascosto dai miei lunghi capelli che fino a quel momento, mi avevano dato una certa sicurezza, sensazione che scemò una volta che  la sua mano prese a spostarne diverse ciocche.
 
< Essere ipocrita non fa proprio parte di me, farò un torto a Pirandello contraddicendo la sua teoria della maschera perché a prescindere del contesto e delle persone che mi circondano, non esiterò a mostrarle quanto la mente di un uomo possa essere ricca di mostruosità e cariche esplosive che non attendono altro che scattare > Sotto forma di sussurro, le sue mani si spostarono dalle tasche dei suoi pantaloni al mio viso sfiorandolo con  così tanta dedizione che, mi considerai un mano fatto alquanto raro, quando però, le sue parole smentirono i suoi gesti, rendendomi quasi, la cosa più provinciale e  grossolana che poteva essere una piccola pietra di pochissimo valore.

Sussultai, spalancando gli occhi, al suono del sorriso maligno formatosi sulle sue labbra, nascosto codardamente dal suo viso,  percependo quell’asta di legno sotto le mani sgretolarsi, per quanto fosse forte la presa con la quale mi stringevo ad esso.
 
Ingoiare un groppo di saliva bloccatosi alla gola equivaleva a dimostrare che le sue parole erano riuscite a scalfire seppur lievemente, quella barriera che duramente, quotidianamente avevo imparato a rinforzare, affinché nessuno fosse stato in grado di penetrarvi.
 
Alla fine, ingoia quel peso che mi opprimeva, smorzai quello sgradevole tremolio alla mano e costrinsi i miei occhi ad acquisire quel senso di decisionismo, che in fondo non mi apparteneva, affinché testimoniassero la veridicità della mia affermazione.
 
Così, strinsi i denti e approfittando del suo viso nascosto nel mio collo, sussurrai con fermezza la mia replica al suo intento di destabilizzarmi.
 
< Ho superato prove più difficili >
 
Con estrema lentezza si allontanò dal mio collo, ma non per questo fece qualche passo per mettere distanza anche tra i nostri corpi, si limitò a stare qualche centimetro vicino al mio viso.
 
< Bene. Allora giochiamo > Fece un’ulteriore sforzo affinché il suo viso potesse sfiorare il mio naso e assumendo quell’aria vittoriosa fece di un sussurrò un’affermazione sicura priva di indugio.
 
 
 
 
SPAZIO AUTORE.
 
Buonasera.
Stranamente, e in effetti è davvero strano, sono riuscita a pubblicare prima del previsto, considerando che ho riscritto la storia dal principio “ spero che per questo non mi vogliate male T.T “
Tralasciando questo piccolo particolare, parlando invece della storia, come vi sembra questa nuova  stesura?
In questo secondo capitolo si capisce che Josh cercava una determinata persona al matrimonio, che guarda caso scopre essere Cristhine, il motivo per il quale la cerca? A quanto pare centra sua madre e qualcosa che verrà svelato successivamente.  Adesso vi lascio e ringrazio tutte coloro che mi appoggiano in questa storia. Grazie!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il principio ***


Il principio






































 

Non era un dato di fatto, che fossi stupita dalla sua capacità di travestirsi d'indifferenza mentre varcava la porta di quell'aula.

Sotto il suo completo, jeans e  una  camicia con qualche bottone sfibbiato, le cui maniche arrotolate accuratamente, nascondevano quella che era la sua vera natura insipida.

Dissimulava in modo attento e preciso i suoi artigli dietro una facciata felice, della quale non si era posto il problema di far precipitare ai miei occhi, mostrandomi in realtà, quanto fosse subdola e progettata per crollare in un momento preciso.


Quel preciso secondo, che a quanto pare lui aveva ritenuto corretto, mentre io, non ero riuscita a cogliere nessun particolare della ragione che l'avesse spinto a mettere un punto al suo travestimento.

Lo vidi togliersi i suoi occhiali firmati, qualche istante prima posati di fronte ai suoi occhi, per impedire agli altri di incontrare le sue iridi, e posarli su quella cattedra appena lucidata insieme alla valigetta.

< Se dico Alexander Dumas, qual è la prima cosa che vi viene in mente? > Interrogò così, improvvisamente, incrociando le braccia in modo del tutto naturale, avanzando verso quei numerosi tavoloni, lasciando che il suo viso facesse da tramite alla voglia di spronarci, attraverso un sorriso laterale, che riuscii a sciogliere i cuori più deboli, tranne il mio ovviamente, avevo lasciato che si fondesse con il cemento la sera precedente, così da essere incolume a tutte le sue attenzioni .

< Il conte di Montecristo > Sussurrò una voce poco sicura in fondo alla classe, tralasciando trapelare la paura che quella, forse, non fosse la risposta che chiedeva.

Abbozzò una smorfia di indecisione mentre con una mano lasciava intuire che c'era qualcos'altro di non meno importante.

Lo vidi compiere qualche passo in direzione della scrivania, per poi sedersi sopra, giocherellando con un libro che lui si ostinava a rotolare intorno a se, mentre per accompagnare quei puntini di sospensione, che lui stesso aveva calcato, rivolgeva uno sguardo verso il soffitto, il quale nonostante fosse intatto, portava con se i segni del tempo dell'inverno, che aveva lasciato chiazze di umidità un po’ dappertutto.

< Nient'altro? > Ripropose quasi deluso, lasciando cadere il suo sguardo con eccelsa attenzione, lungo i diversi volti, che ricambiavano quello sguardo con altrettanta curiosità, in attesa di intuire, anche attraverso le sue espressioni, cosa fosse quello che in realtà voleva sentirsi dire.

Tutti quanti iniziarono a guardarsi, cercando di  capire se magari c'era tra loro qualcuno che sapesse la parola giusta, quel termine che lui cercava nei loro volti, così da urlarla ad alta voce, prendendosene il merito solo per accalappiarsi la sua fiducia, dimostrando in qualche modo così, di essersi appena distinto dal resto dell'aula.

< Il senso di vendetta > Proruppe lasciando intuire che quello, era solo il titolo che precedeva il discorso che ne avrebbe seguito dopo.

Riprese a parlare qualche secondo dopo.

 < Il tema predominante che gira intorno al romanzo, rendendolo quasi come quell'unica ancora a cui lui può aggrapparsi per sopportare in silenzio  > Constatò con decisione, mentre frugava i volti di chi lo seguivano, rendendosi conto che lo ascoltavano consenzienti, come se in quel secondo stessero riflettendo sulla veridicità della sua affermazione.

Abbassai lo sguardo.

Tutto ad un tratto, mi ritrovai più propensa a dedicare attenzioni alle mie unghie, dipinte solo il giorno precedente, e stranamente ancora intatte, preferivo di gran lunga concedere uno sguardo rabbioso alle mie mani, piuttosto che dargli la possibilità di vedere, come le sue parole avevano colto nel segno.

Ero consapevole che se mi avesse guardato, l'avrebbe fatto con una certa nota di disappunto e piacere nel constatare che le sue parole mi avevano toccato, perchè entrambi eravamo a conoscenza del motivo che l'aveva spinto a scegliere questo tipo di argomento, era perchè voleva toccarmi.

Non importava se non lo faceva attraverso gesti, le parole erano più che sufficienti per farmi capire il suo intento.


La sua voce, quanto inaspettata arrivò diretta, costringendomi ad alzare gli occhi.

< Questi generi di romanzi non si adeguano al suo interesse letterario signorina Crhistyne Morgan? > Proruppe non perdendo neanche un velo di quella eccessiva  scompostezza che lo accompagnava mentre compieva brevi passi,  le sue sopracciglia si sollevarono crudeli e i suoi occhi mi scrutavano impazienti di vedermi al baratro di un precipizio.

Ero io il suo bersaglio, per questo si era volutamente accostato a studiare il mio profilo disattento,  disinteressato che forse, altri stavano facendo lo stesso, richiamando la mia attenzione.

Mi sentii sola, spogliata dalle sue stesse iridi, che mi scrutavano, sola a pagare l'assenza delle mie amiche dalle quali avrei potuto anche avere uno sguardo di confronto, dal quale trarre quel pizzico di coraggio in più per continuare a reggere e controbattere il suo modo di fissarmi

Ispirai, corrucciando le labbra, incrociando le sue di labbra dischiuse in una smorfia astiosa e i suoi occhi attendevano impazienti.

Non volevo dargli la soddisfazione di  farmi rimanere con la bocca spalancata mentre lui con nonchalance si allontanava con un  sorriso sornione come se avesse appena vinto alla lotteria.

< " L'odio è cieco, la collera stordisce e colui che si versa la vendetta rischia un'amara bevanda " ( citazione ) > Pronunciai in modo lento e deciso, la lentezza di ogni parola era dovuta alla volontà di costringerlo ad  andare oltre al significato letterario di quella citazione.

La mia risposta, non era stata solo la dimostrazione che conoscevo quei testi, forse anche meglio dello stesso scrittore, mi ero trovata svariate volte tra quelle righe perchè quella realtà narrata, mi aveva fatto completamente immergere nella storia, comprendendo che molti dei dettagli scritti, corrispondevano alla vita reale.   

 Oggi giorno essere tradito da un amico è diventato un processo naturale, essere arrabbiati o trovare nella vendetta la voglia di ribellarsi e di vivere altrettanto, nessuno va via senza soddisfare l'amaro del proprio cuore.

Quello che non sapevo fino a ieri, era che presto ne sarei diventata la protagonista principale.

In fondo era quello che stava facendo lui, il senso di ribellione e quello che l'aveva condotto ad esso, aveva annebbiato anche le più piccole cose concrete.

< Anche se conosce Dumas, le consiglio di prestare attenzione. Molti autori hanno fatto della vendetta un perno determinante  > Proruppe, assumendo un’aria quasi di rimprovero, pronto a fare l’ennesima paternale riguardante le mie conoscenze letterarie.

< Conosce Otello? >

Non risposi.

In realtà, sapevo solo chi l’avesse scritto.

Come potevo acconsentire, sapendo che lui, certamente, sarebbe andato fino in fondo alla cosa, per scovare quell’unica cosa in grado di contraddire la mia poca conoscenza della letteratura, voleva dimostrare che fare quella critica ne era valsa la pena,  perché il mio studio non era paragonabile al suo, voleva dimostrare di avere ragione.

Non potevo mentire per una sola ragione.

Amavo mentire se riuscivo ad ottenere la reazione tanto sperata.

Non ero molto portata per le bugie, perchè il mio corpo riusciva sempre a contraddire quello che avevo detto con qualche sintomo involontario, che poteva trattarsi di un rossore improvviso oppure incapacità di guardare negli occhi le persone prestando  attenzione alle  scarpe che indossavo, chissà perchè ma in quelle occasioni era l'unica cosa che riuscivo a fissare.

Sorrise sornione.

Quello stesso sorriso che ormai avevo identificato come una smorfia simile ad un compiacimento, in quel breve periodo di tempo avevo visto quella smorfia in sole due occasioni: quando la sua testa lo incitava a stuzzicarmi o quando si dilettava nel vedermi assumere espressioni nervose , che non potevano essere paragonate alle sue, sempre decise.

Mentre continuava a tenere le sue mani ben riposte dentro quelle immense tasche dei suoi pantaloni, ritenne più corretto voltarsi verso di me continuando però a compiere passi indietro nello stesso momento, senza perdere mai quel contatto visivo.

< Otello uccide sua moglie Desdemona, quando gli viene fatto  credere che quest’ultima l’abbia tradito > Fece correre i suoi occhi su di me, facendo ricadere l’attenzione nei volti di chi mi circondavano.

< Non è il senso di vendetta che lo spinge ad un atto così irruento? >

La sua era simile a una domanda retorica, anche se avesse ottenuto risposte differenti, lui sicuramente avrebbe cercato di inculcare il suo pensiero al riguardo a tutti quanti, perché era il suo carattere, ed io stavo iniziando a conoscerlo.

Approfittai sul suo indugiare sul nulla,  per scrutare la sua immagine nei minimi particolari, per quanto potessi affermare di non conoscere assolutamente nulla di  quell'uomo, ebbi l'impressione di vedere dell'astio nei suoi occhi semichiusi, troppo concentrati a pensare.




****






< Crhistyne! >

La voce della segretaria, nonché amica di confidenze e degli ultimi pettegolezzi riguardanti i professori, mi chiamò arrestando la mia folle corsa verso l'uscita.

Mi voltai, vedendola fare una piccola corsetta, quando alzando lo sguardo e trovandosi in punta di piedi, a causa della bassa statura  intralciata anche, dalla folla che inondava l'uscita di quell'aula non permettendole così,  un'ottima visuale, si accorse che mi ero fermata ad aspettarla.

In pochi secondi si affiancò a me.

Prese un lungo respiro e dopo aver dato uno sguardo stanco alla marea di studenti che spintonavano per uscire, si voltò verso di me, sottintendendo il contesto.

< Potresti per favore portare questi documenti al reparto 625? Purtroppo devo scappare e  >
Non le diedi il tempo di terminare la frase, che con un cenno della mano la  feci zittire, sorridendo, presi la parola.

< Tranquilla. Vado io >

Sibilai, nascondendo con un sorriso un'aria stanca e stufa al solo pensiero che la soglia d'uscita era momentaneamente un sogno lontano, il numero 625 indicava una stanza reclusa, posta lontana qualche migliaia di metri, un luogo desolato privo di essenze umane.

Ma certo!

Il problema non sussisteva, dovevo semplicemente superare migliaia di corridoi per raggiungere quella stanza, posta nell'angolo più nascosto di quell'enorme edificio, pari ad un enorme labirinto.

Forse era il mio solito modo per esagerare le situazioni  e farla più grande del dovuto.
Quando si trattava delle mie percezioni, lasciavo correre fin troppo la fantasia.

In realtà, non era nel punto più remoto del pianeta, ma io e la mia camminata corrispondente a quella di una lumaca, avevamo molto da dire sull'arrivare incolume fin laggiù.

Era soprannominata " l'ultima porta " forse perchè più avanzavi e meno i corridoi si facevano affollati, fino a raggiungere un tratto completamente  spento e disabitato, nessuno si addentrava lì da solo se non in compagnia e con intenzioni alquanto eloquenti e maliziose.

Voltai l'angolo, di quello che doveva essere il penultimo tratto di quegli immensi corridoi.
Dei respiri affannati resero quel luogo meno desolato.

Sussultai di fronte alla scena molto dettagliata e priva di censure alla quale mi trovai costretta ad assistere.



La professoressa Capra con uno studente dell’ultimo anno.

Ovviamente, Capra, non era il soprannome di quell'insegnante ma il suo reale cognome, nullo di contrario, ma quel cognome, sinceramente parlando era la carta d’identità di quella donna, non solo perché non riusciva a spiegare i termini basilari, ma anche perché il suo viso era simile a una pecorella di Haidi.

Che cosa ci vedevano gli uomini.

Impulsivamente portai un piede indietro, quei pochissimi secondi erano stati più che sufficienti per trarre delle conclusioni inerenti alla loro apparente passione e alla mia volontà di non farmi scoprire, rischiando una pessima figura.

Ahimè io e la fortuna non andavo di comune accordo, tanto meno eravamo pratici nell'essere sincronizzati.

La carta plastificata di una caramella, identificata non visivamente ma lo dedussi dal rumore che ne conseguii al contatto con il mio piede, decise che era quello il momento più propenso per  uscire fuori.

E in quel silenzio assordante, anche una mosca che si schianta contro il muro avrebbe prodotto del rumore, così, percepii  il suono della carta sgretolarsi, raggiungere le mie orecchie.

Mi arrestai sul colpo, non riuscendo a fare altro se non rimanere completamente paralizzata.
Prontamente strinsi gli occhi chiudendoli.

Non ero psicologicamente pronta ad incontrare i loro occhi sbarrarsi alla visione di una guardona che si era piombata lì innocentemente e che era riuscita a malapena a comprenderne il contesto, dettaglio che loro ovviamente non potevano conoscere.

Sussultai in preda allo spavento, quando percepii una mano dietro di me sfiorarmi la spalla, e prevedendo il mio gesto di voltarmi tappò la mia bocca, scaraventandomi dall'altra parte del muro.

Istintivamente socchiusi gli occhi.

Li riaprii subito dopo e me ne pentii nello stesso momento.

Di fronte a me trovai il suo sguardo prepotente, i quali occhi chiusi come due piccole fessure che  mi scrutavano insidiosi, pronti ad incidere sul battito del mio cuore che solo adesso si stava normalizzando.

Sorrideva sfrontato mentre vedeva che continuavo a non reagire alla sua vicinanza.

Guardai dapprima me e poi la minima distanza che ci divideva e che il suo sorrisetto laterale insinuante si ostinava a rincalcare e marcare.

Agii d'istinto.

Trasalii, appoggiai le  mani sul suo petto, che scoprii essere tonico, e questo non fece altro che surriscaldare i miei palmi, che scivolavano al contatto della sua camicia, alla quale probabilmente avrei lasciato dei segni, ma che adesso non m'importava, e continuavo a calcare la mia forza, cercando di spostarlo, almeno giusto qualche centimetro per farmi ritornare a respirare.

Le mie gote arrossatosi, contribuirono a rendere piuttosto contraddittorie le mani che premevano invano per spostarlo.

I punti salienti erano tre.

La colpa era da attribuire alla mia momentanea mancanza di forza sulle braccia, alla mia finta volontà di volerlo scostare almeno cinque metri lontano da me o alla sua capacità di piantarsi come cemento e non compiere nessun tipo di sforzo per rimanere tale.

Mi arresi.

Corrucciai le labbra in una smorfia stanca e irritata.

Incrociai il suo volto, propenso a continuare con la sua testardaggine e fissarmi con aria tra lo spavaldo e il vittorioso, mentre con nonchalance portava le mani dentro le tasche dei suoi pantaloni.

< Che co-sa fa? > Sbottai.

< Io l'ho appena salvata da una situazione piuttosto imbarazzante...mentre lei,Crhistine  Morgan - sussurrò flebile- stava ansimando nella mia mano > Sorrise sghembo, mentre nei suoi occhi, vidi apparire uno strano luccichio che ne reclamava la vittoria.

Mi voltai allarmata, al pensiero che involontariamente mi ero lasciata andare a degli impulsi poco riflessivi.

Sorrise di sghembo.

Qual era il suo scopo? Riuscire a convincere me stessa che ero andata in bisilio quando, la mia bocca era stata costretta a trovare contatto con la sua mano, che premeva più sulle labbra piuttosto che fare pressione nei polpastrelli sulla mia guancia.

L'altra invece continuava a rimanere salda lungo il mio fianco.


Spalancai gli occhi.

Perchè?

Perchè mi aveva colto alla sprovvista il suo gesto oppure, a stupirmi era stato il mio stesso corpo che per la prima volta dava segno di possedere degli ormoni e reagiva alla sua vicinanza.

Mi strinsi nelle braccia imbronciandomi.

< Era solo una respirazione affannata > Sbottai inclinando la testa, dandogli del visionista.
Istintivamente sollevò il viso verso l'alto, roteandolo, sorridendo furbescamente, mentre lasciava intravedere l'incredulità in seguito alle mie parole.

Riabbassò lo sguardo, scrutandomi con incredulità.

< Si certo. Erano solo spasmi dovuti alla mancanza d'aria - Sbuffò lasciandomi credere che avessi ragione. > Inarcò le sopracciglia verso l'alto, scettico, sorridendo insidiosamente.

< Ovviamente > Sentenziai rendendomi conto solo dopo sconvolta, che in realtà stavo
accondiscendendo il suo pensiero riguardante l'istintività del mio corpo che lui classificava come eccitazione.


< La smetta > Sprontai, lasciando che i miei pugni si strinsero più del dovuto.

Iniziai a sospettare che lui adottasse questa espressione per una sua questione di principio, come se essendo consapevole dell'effetto che aveva avuto su molte delle sue occasioni, questo gli dava il diritto di credere e convincersi che io potessi essere paragonata alle altre.

< Di fare cosa esattamente ? > Sarcasticò, accorciando quei minimi passi che ci impedivano di sfiorarci, fingendo il nulla a parole, mentre con quelle iridi allusive si contraddiceva.

< Di dire qualcosa mentre in realtà sta alludendo a qualcos'altro! > Proruppi stizzita, fingendo disinteresse al fatto che si era fermato a pochi centimetri da me in contemporanea alle mie parole.

In modo lento e a rallentatore, lo vidi sporgersi in direzione del mio viso, lasciandomi solo quei piccoli millimetri per respirare, quella stessa distanza che venendo accorciata fece dilatare le mie pupille, scurendo il colore chiaro che le circondava.

La respirazione mi si mozzò nella gola, impedendomi di prendere anche un briciolo d'aria che il suo viso mi ostruiva.

Fece ricadere i suoi occhi sulle mie labbra, puntandoli subito dopo sul mio sguardo.
Sorrise sornione.

< é solo l'inizio del principio > bisbigliò sottovoce.

Non era un avvertimento, tanto meno una minaccia, lo disse come se fosse qualcosa d'inevitabile.

Con estrema lentezza, nascose le mani dentro le tasche dei suoi pantaloni, e continuando a tenere un'espressione dura, rafforzata da un sorriso, che sembrava essere la forma più malsana dell'essere un uomo spietato, compii qualche passo indietro, tenendo sempre lo sguardo su di me per poi voltarsi e continuare a camminare.
 
 
 





SPAZIO AUTORE.
 



Buonasera!

Eccomi qui con il terzo capitolo, allora bando alle ciance, qui scopriamo alcuni lati interessanti di quest’uomo, per adesso si limita a stuzzicarla con molto poco, ma successivamente le cose inizieranno a farsi pesanti, posso solo dirvi che lei si troverà un po’ spaesata dalla diverse cose che si troverà a vivere.
Ne approfitto per ringraziare le/i  ragazza/i del gruppo che mi incoraggiano sempre, chi ha messo la mia storia tra le varie categorie e chi recensisce! *.*
Spero continuerete a seguirmi.
Niente, credo di aver detto tutto, vi lascio qui sotto il link per il gruppo inerente alla storia, quindi cliccate, cliccate ù.ù
Un bacino.
Alessia. XD
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Lo scagnozzo e il colpevole ***


Lo scagnozzo e il colpevole
















Mi svegliai di soprassalto.

Oh my God.

 Per qualche strana ragione a me sconosciuta in quella mattina appena iniziata, nacque spontaneamente la voglia di esprimere il mio stupore con un'affermazione in  inglese, forse perchè l'italiano mi morì nella gola quando concepii il sogno appena fatto.

Quello non era un incubo o una possibile, azzardata e tremenda  visione di una scena futura, quella era l'apocalisse.

Anzi,  molto peggio.

Forse anche l'apocalisse avrebbe fatto le valigie fuggendo via, ritardando la sua tanto clamorosa quanto inattesa  entrata in paragone al  mio sogno.

Passai una mano tra i capelli, non riuscendo a trattenere un viso corrucciato quando appoggiando una mano sopra quella canottiera intrisa di sudore, percepii il mio cuore battere spazientito.

Scostai malamente con i piedi quella leggera copertina che adoperavo nella notti più freddi, e quella precedente lo era stata notevolmente, decisi che una doccia fredda fosse l'unica soluzione per calmare i miei ormoni che si erano leggermente triplicati.

Il getto d'acqua fredda mi risvegliò.

< La nostra unica soluzione è conoscere nuovi ragazzi > Sbuffò Caryn aggrappandosi alla sua tracolla mentre tentava con i suoi occhiali da sole di sfuggire da quel sole tremendamente fastidioso.

< Sì. Magari che rispecchiano anche le caratteristiche della tua lunga e infinita lista > Beffeggiò Taylor.

Sorrisi complice.

Istintivamente spalancò gli occhi, guardandoci corrucciata per poi porsi di fronte a noi.

< Ragazze quella è la base. Bello, palestrato e magari anche pieno di soldi > Sussurrò maliziosa.

Il nostro ingresso nell'aula,  venne intralciato da un personaggio alquanto sospettoso, che si pose di fronte a noi senza batter ciglio, obbligandoci a frenare la nostra camminata a passo svelto, di colpo.

Jeans, felpa con cappuccio, occhiali fondi come quelli della professoressa Capra che utilizzava solo durante le ore di lezioni e  che invece, preferiva nascondere quando si trattava di incontri occasionali nei corridoi.

Uno sguardo, che per quanto l'aria misteriosa di natura, fosse fonte di intrigo a lui non si addiceva, anzi gli dava un'aria da segugio, il classico tipo di personaggio che nel film gioca nel ruolo del classico scagnozzo che fa sempre una brutta fine.

Come se stesse estraendo qualche arma dalla sua grande tasca posta al centro della felpa, tirò senza indugio una busta, la quale mi pose in uno scatto veloce del braccio che in qualche secondo vidi distendere e puntare verso il mio viso.

Impulsivamente portai la testa indietro.

< Tieni > Affermò secco.

Non riuscivo a comprendere se a incupirmi fosse il suo modo trasandato, poco curato e quasi sospettoso modo di vestirsi o il suo essere così criptico e incisivo quando si trattava di esprimere una frase.

Inarcai le sopracciglia scettica, spronandolo con il leggero movimento del viso a parlare.

< é tutto scritto lì dentro >  Ribatté come se fosse stato in grado di leggermi nel pensiero.

Non mi diede nemmeno il tempo di pensare o tanto meno realizzare l'ipotesi che lì dentro ci potesse essere qualche piccolo esplosivo, che mi porse la busta.

Non volevo sembrare esagerata ma il suo modo di guardarmi pari a quello di un serial killer alle prime armi mise in serio dubbio la mia poca volontà nell'afferrare quello che mi stava ponendo con rigidità.


Nascondendo un leggero tremolio impossesatosi della mia mano l'afferrai.
Come se fosse stato progettato solo per quello, si volatilizzò non aggiungendo nient'altro sotto gli occhi increduli miei e delle mie amiche.

< Aprila  > Mi incitarono all'unisono.

L'aprii.

Sorrisi incattivita seguita dai versi di stupore di quelle che mi erano accanto.

Adoravo fare la parte della cattiva, particolarmente se poi si trattava di far attendere o addirittura far vacillare quel pulsante di cui lui non ne aveva un buon uso che era la pazienza.



****

ORE 19.20




< Molto originale. Il modo di contattarmi - precisò accennando a una smorfia spazientita continuando a deporre del materiale dentro quella valigetta nera  > Si ritrovò costretto a precisarlo quando notò che la mia mimica facciale, completamente allibita, non corrispondeva a quel tipo di persona che aveva cercato la sua presenza.
Ignorai il suo inutile e futile intento di sentirsi importante, lasciando ricadere a me l'amaro compito di averlo invitato ad incontrarci, e presi la parola.

< L'unico che qui è privo di inventiva è lei. -Imperterrii  con finto sguardo dispiaciuto, lasciando cadere la borsa dalla mia spalla, intorpidita a causa del peso, in una sedia posta qualche centimetro più avanti - è sempre lei mi ha chiesto di venire, ha per caso sbattuto la testa ? >  Continuai con sguardo accusatorio.

Mi bloccai.

Un suono lento, simile a quello di una chiave che gira intorno alla serratura, mi destò da  ciò che stavo esprimendo, obbligandomi a deviare la mia attenzione a quel rumore, rimasi lì inerte di fronte a lui, sicuramente stranito dal mio viso che aveva smesso di rivolgersi a lui e che adesso si trovava immerso in quel suono.

Mi chiesi se si trattasse di un miraggio, prodotto dalla mia stessa mente macchinatrice, quando istintivamente spalancando gli occhi, presi consapevolezza che quel suono, doveva essere  udibile solo da un essere sovraumano o da una persona con udito spiccato proprio perchè, chi aveva fatto schioccare quella chiave voleva che non ci accorgessimo di niente.

Mi voltai.

Dandogli le spalle mi avvicinai a quella porta, incurante della sua presenza che cercava un motivo al mio strano modo di agire.

La guardai.

E prima di afferrare quella maniglia, rimasi ferma a fissarla domandandomi se la mente fosse capace di fare simili scherzetti, convincerti di aver sentito o visto qualcosa che in realtà non è mai successo.

L’ afferrai agitandola inizialmente lievemente, come se fossi sicura che il suono percepito fosse solo frutto della mia fantasia.

Mi voltai verso di lui leggendo la stessa forma di stranezza che vigeva sul mio viso, ma non mi lasciai incantare perchè mentre la mia era spontanea, la sua sicuramente era finta come le numerose maschere che aveva indossato.

< Ok... davvero divertente. Adesso apra. > Sbottai mettendomi ai lati di quella porta mentre con le mani gli indicavo di avvicinarsi per aprirla.

< Allora? > Continuai imperterrita notando la sua figura esile indifferente e per niente scomposta.

< Mi sto domandando se soffre di  serie allucinazioni. Ero accanto a lei  fino a qualche secondo fa. Come sarei riuscito a chiudere? Con la forza del pensiero? > Sbuffò simulando con la mimica facciale l'ovvietà della situazione, sorridendo sornione come se di fronte a se avesse una pazza.

Pazza?

Sorrisi basita, immaginando che un leggero tic avesse deformato il mio labbro superiore in preda agli spasmi nervosi.

Non riuscivo a capire se il mio stato nevrotico-ansioso, fosse dovuto alla sua totale nonchalance di fronte ad una situazione prevenuta sicuramente dai suoi attacchi di vendetta o alla sua capacità di sminuirmi, lasciando solo a me il compito di ricoprire quella che lui aveva osato immaginare come il ruolo di una pazza.

< Quello è certo. - Sbottai allibita, Invilendo gli occhi, rafforzando così la mia determinazione nell'accusa che gli avevo appena rivolto. Se c'era una cosa che vantava di certezza, quella sicuramente era l'esclusione della possibilità che fosse stato lui a barricarci dentro. - Qualcuno dei suoi scagnozzi intendevo -  Sussurrai  ritrovandomi a sbuffare impacciata e istintivamente, portai le braccia a stringersi, lanciando qualche sguardo poco propenso a quello che mi circondava, lontano dal suo raggio visivo >

< Scagnozzi? - Ripeté con maggiore enfasi esaltando tanta credulità, e delle labbra che a stento riuscivano a trattenere un sorriso deriso mentre gli occhi  si spalancarono scettici.-Signorina Chrystine non sono mica della CIA >  Sbuffò portando le sue mani, come di consuetudine, dentro i suoi pantaloni, concedendosi una breve risata divertita guardando altrove.

Lo guardai basita.

Non potevo affermare con assoluta certezza se quello che si stava divagando nella mia testa fosse un sentimento ripugnante come l’odio, ma lo disprezzai nel constatare con quanta facilità rendeva le mie affermazioni in puri elementi di esagerazione, lasciando trasparire quanto le mie accuse fossero  superflue e prive di fondamento, mentre lui poteva assolutamente concedersi di indossare le vesti di egoista, gettando minacce come se fossero tante mine esplosive, progettate per scoppiare ognuna di loro in un momento preciso.

Sghignazzai irritata.

Passai nervosamente una mano tra i capelli, cercando in quel banale  gesto un metodo con effetto immediato e duraturo per calmare i miei torpori.

< Mi dica > Pronunciai a denti stretti, provando una sorta di eccitazione formatosi alla bocca dello stomaco al pensiero di ciò che stavo per dire.

Avanzai di qualche passo.

Il mio viso prese a contrarsi prima che iniziassi a parlare, forse,  evidenziando due gote infuocate istigate dal nervosismo e occhi più interessati a dilatare le grandezze delle pupille, rendendomi quasi inumana.

< La fa sentire appagato catalogarmi con nome e cognome? > Ghignai tutto d'un fiato e all'improvviso quella porta sigillata, quel contesto che ci rivedeva chiusi in un'ampia stanza tetra e poco luminosa costituiva quell'unico dettaglio, incapace di recarmi anche un minimo di fastidio, invece, mi  trovai più propensa a compiere a falconi quei brevi passi che ci dividevano.

< Si decisamente > Constatò con voce flebile, abbozzando una smorfia di totale indifferenza, e i suoi occhi si dilatarono decisi di fronte alla mia accusa, come quando chiedi qualcosa a qualcuno e quest'ultimo per scherzo o divertimento ti conficca un no secco.

Come se confermarlo fosse una goduria che sperava di vivere, lo disse nel modo più semplice del mondo, lasciando trapelare quell'immensa volontà che possedeva nel volermi scalfire.


******



< Sono chiusi? >

Il suono di una breve risata riecheggiò nell'aria, gettando una stecca di sigaretta di quell'unica marca che ormai ne faceva un abuso costante, la Marlboro,  in quel prato incontaminato dalla sporcizia.

Lasciando che quel mozzicone e quel suo modo prepotente di sorridere fosse un pretesto per convincere che quello fosse abbastanza da lasciar vedere mentre si nascondeva.

< Si > Confermò

< Bene. >

 

****

 

< La sua estenuante e inutile agitazione non ci aiuterà ad uscire da qui > criticò stizzito allentando malamente  il nodo della cravatta,  quando stanco, appoggiò le mani ai lati di quel tavolo a cui era appoggiato. Alzò lo sguardo, incrociando i miei occhi vispi quanto i suoi , che tentavano di farmi capire che il suo modo di guardarmi adirato fosse già abbastanza in quella situazione.

Sbuffai di spalle di fronte all'ennesima critica rivolta.

Mi voltai.

Abbozzai un falso sorriso, avvicinandomi con passi cauti ma che celavano l'istinto omicida nei suoi confronti, che tentavo di reprimere.

< Certo ha ragione > Portai le mani ai lati dei miei fianchi, fingendomi propensa a dargli ragione, lanciando uno sguardo poco attento verso quell'unica finestra, che inizialmente sembrava la nostra unica via di fuga, ma che in realtà era risultata un amaro tranello che conduceva nel luogo più desolato e privo di vegetazione del pianeta, a quella constatazione espressa nel pensiero, incollerii lo sguardo verso la sua direzione.

< Meglio agire con la sua calma apparente -  Infervori fingendo un sorriso accondiscendente - e perchè no, valutare perfino l'ipotesi di dar fuoco all'aula mandando segnali di fuoco, oltre ai nostri corpi carbonizzati > Suggerì allibita abbozzando una smorfia adirata e corrucciando le labbra.

Si lasciò andare ad un breve sorriso contenuto, che tornò ad essere una gelida espressione subito dopo.

< La smetta > Sentenziò.

< Di fare cosa? – sbottai annoiata – Di trattenere i miei impulsi omicidi?  > Scattai cercando un minimo di ritegno.

< Lasciar sottintendere che sia stato io > Ritrattò, come se fosse sicuro che le accuse che gli avevo rivolto e le sue contro risposte non erano  state in grado di alleviare la scetticità sul mio viso.

Sbuffai, lasciando intravedere quanto poca fiducia riponessi nelle sue parole, era impossibile credere che anche lui come me avesse lasciato il proprio telefono da qualche altra parte.

< Le assicurò che non ho nessun interesse nel passare una notte in bianco > Riprese bisbigliando, lasciando che il suo volto fosse una doppia contraddizione, per quanto le sue labbra dischiuse in un sorriso laterale lasciava intuire da se il significato della sua frase, sicuramente una mia possibile affermazione gli avrebbe fatto invertire la rotta, facendomi passare per maliziosa.

Arrossii di colpo.

< Non dormirò qui. Con lei  - precisai stizzita - >

< Preferisce la scorciatoia? > Valutò adirando lo sguardo, alzando le braccia verso quell'unica possibilità,  abbassandole subito dopo,  inclinando la testa verso il pavimento svariate volte.

Strinsi i pugni.

A mali estremi, estremi rimedi.

Se proprio dovevo trascorrere quella lunga notte in sua compagnia avrei dovuto imporre dei limiti, sì perchè una mezza e chiara  luna aveva appena fatto la sua comparsa nel cielo e sembrava voler rimanere attaccata a quel pezzo di cielo, rallentando il tempo, facendo in modo che le ore trascorressero in modo lento e inesorabili.

Il vero eufemismo era che la serata era appena iniziata e si pronunciava già complicata.

Sapevo che il mio guardarmi intorno, l'avrebbe insospettito al punto da seguirmi con lo sguardo disinteressato.

< Le sembra il momento opportuno per mascherare il pavimento > Canzonò mentre con gli occhi sembrava giudicarmi dal basso verso l'alto, abbozzando quell’usuale smorfia di derisione.

Sospirai, inclinando la testa, domandandomi come quella lunga linea appena tracciata,  potesse essere scambiata per uno scarabocchio.

Mi alzai da terra spolverandomi le mani, cercando nel modo più pulito possibile di eliminare il residuo del gesto che aveva la brutta abitudine di lasciarle ruvide.

< Sto disegnando una linea di confine. Una linea che lei non dovrà sorpassare > Smentii con tono pacato il suo continuo intento di ridicolizzarmi, portando qualche ciocca indietro, dimenticandomi di avere le mani intrise di bianco.

Apparve un sorriso smanioso sul suo viso,  inizialmente chino verso quella linea immaginaria, sollevando gli occhi subito dopo, scrutandomi seriamente e le sue sopraciglia si inarcarono verso il basso, dandogli uno sguardo più profondo e mentre continuava a sfidarmi con lo sguardo iniziò a compiere passi cauti e lenti verso quella linea.

Ingoiai un groppo di saliva bloccatosi alla gola, quando mi apprestai  a vedere con quanta  arroganza si dilettava ad avvicinarsi.

< é solo un tratteggio disegnato da un gessetto non indelebile. Non c'è modo più semplice che cancellarlo - Sussurrò deciso con tono opaco ma con occhi che ne mostravano la propria fermezza.  > Restò a qualche millimetro distante da quella linea, mimetizzandone la fragilità.

Talmente impegnata ad ascoltare le sue parole, ma sopratutto il modo con cui lo disse,  che rimasi completamente stupita quando, non mi accorsi che lui in quel frangente aveva allungato una mano verso i miei capelli, lasciando che quest'ultimi sfilassero tra le sue dita, per togliermi quella fastidiosa polverina bianca.

E nel modo di farlo, percepii i capelli sfiorarmi la mia guancia destra, come se ci fosse appena stata una breve folata di vento.

Non fece nessuna battutina né mi congelò con uno dei suoi sguardi smaniosi, si limitò a nascondere le sue mani nelle tasche dei suoi pantaloni.

Uno di fronte all'altro, sembrò ascoltare le mie parole, non sorpassò quel confine imposto, si limitò a restarci di fronte, per poi voltarsi e andarsene.
 

****



Lo guardai, come se in realtà quella fosse la prima volta che lo stessi facendo veramente, realizzando che la sua immagine addormentata fosse solo un pretesto per scrutarlo nel modo più attento che potessi.

Sorrisi.

Sentendomi per la prima volta libera di poterlo fissare senza dover distogliere lo sguardo per timore che lui potesse farmi sentire debole, libera di guardarlo senza limiti di tempo o almeno,  fino al mattino successivo.

Stretto a se da due braccia che tentavano di proteggersi dal freddo e furtivamente lasciavano far credere che quello fosse il solo e unico motivo per il quale si stringeva, nascondendo quanta solitudine racchiudeva quel gesto.

E i suoi occhi saldi delle sue idee e convinzioni di dover rimanere sveglio solo per non mostrare la propria debolezza, alla fine ne erano usciti sconfitti facendosi dominare dal sonno.

Un'espressione che non sembrava fatta per lui, labbra serrate che cercavano di lottare contro la rigidità giornaliera con la quale ogni giorno si travestivano, ma che comunque lasciavano spazio ad una smorfia simile a un sorriso.

Un sorriso al quale non ero abituata ad assistere, non aveva nulla a che fare con le sue solite smorfie di piacimento, era l'innocenza quella che gli lessi.

Impulsivamente, come se qualcosa mi avesse dato una gelida spinta nelle spalle, mi sollevai da terra, scoprii  quanto fosse difficile fare qualcosa  che apprendiamo senza nessun libro: respirare, rendendomi conto come in realtà  le cose più semplici  e banali da fare a volte siano le cose più ardue perfino da spiegare.

In modo del tutto inaspettato e involontario, sentii la mia mano premere sulla mia pelle nascosta da un pezzo di stoffa  che non riuscii ad impedirmi di percepire qualcosa battere lestamente contro la cassa toracica.

Cos era?

Perchè il mio cuore aveva iniziato a battere così ferocemente?

Sentii dentro di me il mio stomaco contorcersi.

La causa molto probabilmente era da attribuire alla freddezza naturale dei mattoni che mi avevano congelato completamente la schiena, non c'era nessun'altro motivo, non doveva esserci.

Anche lui, il cuore, batteva per il freddo che mi era  penetrato fin dentro le ossa.
Come un 'automa, con estrema lentezza mi accucciai nella posizione precedente, distesa su un fianco verso la sua direzione, mentre una mano gravava sotto la mia testa affinché quel gelo naturale non mi condizionasse la mente.

E come ripresi la posizione antecedente, ripresi quegli stessi sguardi lasciati in sospeso a causa di un colpo di gelo, sensazioni, che iniziavano a scemare quando inconsapevolmente gli occhi divenivano  più pesanti.

Chiusi gli occhi dimenticandomi del freddo.

 
POV JOSH.

Mi svegliai di soprassalto.

Questa non era la prima volta che a svegliarmi fosse un incubo unito dai soliti raggi solari che mi stordivano accecandomi.

Istintivamente, portai una mano negli occhi strofinandomeli.

Mugugnai dolorante a causa del ruolo principale che aveva svolto il pavimento  sul mio corpo completamente intorpidito.

In quel secondo, compresi qualcosa che in parte non poteva interessarmi, pensai a come facessero gli orientali a dormire sui pavimenti senza riscontrare nessun tipo di problema fisico l'indomani mattina.

La sensazione di dolore a differenza di un corpo intorpidito era amplificata.

Sollevai il  viso verso il mio busto e quello che vidi mi destabilizzò,quello che gravava sul mio corpo, quello che mi costrinse a strabuzzare gli occhi dilatandoli era l'immagine di quella ragazza che volente o non, si era stretto al mio petto, nel quale aveva lasciato che i suoi capelli si disperdessero nella mia camicia abbracciandomi.

Mi lasciai andare al pavimento, sentendo per la seconda volta la sua freddezza avvolgermi, mentre percepivo in modo flebile il battito del suo cuore combaciare con il mio.

Sorrisi allibito.

Aveva lottato perfino contro le sue forze per convincere se stessa che io fossi la causa di quella situazione, al punto da lasciarmi un minimo di  dubbio a me.

Ma io ero estraneo a quel contesto obbligatorio, passare un'intera notte, chiuso in un'ampia ma pur sempre restrittiva stanza in sua compagnia, non era in nessuno dei miei piani.

Il suono di una chiave che gira intorno alla serratura mi destò dai miei pensieri, con una lentezza ed eleganza che non mi apparteneva  assolutamente, allontanai quel corpo caldo da me.

Aspettai qualche secondo, in modo da non far insospettire e volatilizzare colui che ci aveva rinchiuso dentro.

Presone conferma uscii da quella porta.

L’immagine di un uomo in tuta, simile pressoché ad un ragazzino, si allontanava con lentezza verso quei lunghi corridoi, con il cappuccio che gli copriva la testa annullando l'effetto che lui voleva trasmettere, che era quello di una persona indifferente, attirando invece  l'attenzione su di  se, inconscio che lo stessi seguendo.
 
 
 






SPAZIO AUTORE
 
Bonsoir!
Eccomi qui con il terzo o quarto capitolo… in realtà non ricordo XD Ma, tralasciando questa mia piccola dimenticanza, parliamo di questo nuovo capitolo, abbastanza importante, perché c’è un motivo del perché questi due sono rimasti chiusi in una stanza, ho lasciato un particolare che farà trapelare più avanti il colpevole di questa situazione, quindi leggete bene care mie ù.ù
Ho voluto riportare una breve conversazione tra il colpevole e quello che in questo capitolo è stato un suo complice, ma non mi sono dilungata molto dato che non potevo spiegare i motivi di questo gesto o addirittura chi sia, dato che verrà svelato successivamente.
Approfitto di questo spazio per ringraziare tutti coloro che mi appoggiano e leggono la storia,
Un bacione

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** L'amante. ***


L'amante






 

Quello era il centesimo starnuto che facevo, ma nello stesso momento era la centesima maledizione che urlavo contro i muri, sperando di riuscire a battere quelle barriere affinché le mie imprecazioni potessero colpirlo.

E in qualche modo era impossibile  non ritrovarmi ad imprecare contro di lui, che in galanteria faceva rabbrividire, non aveva nemmeno avuto la cortesia di svegliarmi, si era volatilizzato codardamente nello stesso modo in cui ci aveva fatto chiudere dentro, fingendo ai miei occhi indifferenza  e un totale disinteresse alla situazione.

Poteva anche trattarsi di un miraggio giocato dalla spossatezza e dalla volontà di fare qualche ora di sonno, ma avevo notato, come la mia entrata all'università a differenza delle altre volte in cui l'avevo varcata, avesse attirato l'attenzione di tutti, che in modo sincronizzato si erano voltati a fissarmi  e anche per chi aveva altro per la testa veniva invogliato dagli altri a dedicarmi fin troppa attenzione.

Mi sentii quasi una star, una star non sotto i riflettori ma dentro un turbine di pettegolezzi.
Fino a quando non incrociai tra tutti quegli sguardi il volto di Taylor, così decisi di ignorare i visi che mi circondavano per raggiungerla.

< Sola? Caryin? > Domandai continuando a camminare.

< Non c'è >

< Non... senti un leggero ronzio? >  Proruppe all'improvviso guardandosi intorno, simulando indifferenza con un leggero tossicchio abbassando e alzando gli occhi più volte, lasciando intuire quanti sguardi si fossero posati su di noi, in particolare su di me, che dopo avermi lanciato qualche sguardo maligno continuavano a confabulare.

Inarcai le sopracciglia verso l'alto abbozzando una smorfia di scetticità, questa non era la stagione delle mosche o forse in realtà, non esisteva nemmeno una stagione prestabilita.

< No... fortunatamente le mosche hanno smesso di torturarmi molto tempo fa > Replicai pacata roteando gli occhi, fingendomi sollevata.

< Scema.. lo sai di che parlo > Mi schernì dandomi una leggera spinta.

< Stavo cercando di ironizzare. > Mi difesi corrucciando le labbra fingendomi offesa, passando una mano nella parte lesa come se la sua mano mi avesse fatto veramente male.

< Sai anche il perchè sono il loro oggetto del desiderio? > Aggiunsi sussurrando, guardandola indispettita da tutta questa attenzione.

< Sì, parlano di una presunta notte di passione tra te e il professore playboy > Affermò con nonchalance quasi incredula e divertita dalla storiella che le persone annoiate e senza una loro vita privata erano riuscite ad inventare, quando incrociando il mio viso quasi accondiscendente a quelle che lei, aveva appena giudicate noiose la sua espressione tramutò in terrore.

Il sorriso mi morì nelle labbra.

Impulsivamente mi bloccai sul posto mentre una mano si posava sulle mie labbra per smorzare quello che era un viso in preda ad uno shock e questa mia espressione fu più che sufficiente per sostituire quelle brevi parole che avrei utilizzato per spiegare l'intera situazione.

Il mio silenzio per Taylor equivalse ad una conferma, mi conosceva, sapeva che di fronte ad una critica o qualche pettegolezzo falso smentivo imperterrita, si fermò bloccandomi per un braccio cercando la verità nei miei occhi.

< Mi sono persa qualcosa? > Domandò lasciando che il suo volto serio e preoccupato facesse da testimonianza all'ansia che vigeva sul suo viso

< Sì. - Sibilai - Tranquilla niente a che fare con la notte di passione, ti spiegherò dopo – Continuai consapevole che avrei dovuto dare diverse spiegazioni >




*****



 

Respira.

Non c'era nulla da temere a parte una leggera sensazione che mi induceva a pensare che  questa situazione alla fine sarebbe sfuggita via dalle mie mani, ma in fondo non c'era nulla di cui meravigliarsi, lui aveva la possibilità di confermarmi quanto meschino potesse essere o darmi una smentita, dimostrandomi che fosse in grado di dividere la vita privata da quella lavorativa.
Presi un profondo respiro e ignorando i diversi sguardi che si erano posati su di me mi avvicinai a lui.

Istintivamente, come se avesse sentito la mia ombra su di se, alzò gli occhi verso di me, inizialmente chini su un libro di letteratura antica, che si premurò di chiudere, e incitarmi con il movimento degli occhi a prendere posto di fronte a lui, così seguii quel consiglio.

< L'amante di Marguerite Duras > Proruppe simulando indifferenza, accavallando una gamba sopra l'altra e le sue labbra ne smentirono l'intenzione quando si schiusero in un sorriso divertito.

La sua richiesta non poté che attirare non solo la mia attenzione, che in seguito alle sue parole avevo spalancato gli occhi, maledicendolo in lingue che non mi appartenevano mentre percepivo il mio viso colorarsi  dei colori più bizzarri di un arcobaleno, dal verde che indicava la mia ira nei suoi confronti al rosso, per la vergogna di quello che i presenti potevano dedurre dalle sue parole e che adesso pazientemente aspettavano una mia replica.

Questa non era un'interrogazione.

Ero consapevole che la mia risposta secca e decisa sarebbe stata decisiva per questa valutazione finale, ma questa in realtà, non poteva considerarsi una prova scolastica, la mia risposta era una conseguenza al suo intento di prendersi qualche sorta di rivincita nei miei  confronti.

< Non c'è molto da dire. Si incontrano. Si innamorano. Fine della storia > Sentenziai stizzita, evitando discorsi espansivi sulla vera trama del romanzo.

< Davvero? -  Proruppe simulando curiosità con lo sguardo - Eppure ricordavo diverse notti di passione - Aggiunse smentendomi, dando l'aria di uno che era appena caduto dalle nuvole, propenso ad ascoltare qualcosa che lo potesse illuminare. >

Strinsi i pugni.

Mi stava davvero chiedendo di scendere nei particolari?

Potevo perfino percepire l'ansia di chi mi stava circondando, magari insultandomi anche nei loro pensieri, attendendo pazientemente qualche mia risposta che accondiscendesse le sue affermazioni allusive.

Infastidita dall'intero contesto mi voltai  fulminea verso quei visi posati su di me, che percependo l'ira nei miei occhi si voltarono dal lato opposto, fingendo di dedicarsi ad altro.

< é l'inconscio - Inventai al momento - La protagonista agisce  in modo irrazionale - Continuai a difendere una tesi appena inventata >

Mi bloccò, prendendo la parola non per contraddirmi ma per fare della mia teoria un modo per ribaltare la situazione a suo piacimento.

< Molte sono le cose che un uomo o una donna compiono inconsciamente, a volte è semplicemente l'espressione di un desiderio represso, come  è visibile nel romanzo.  > Riprese prontamente come se qualche minuto prima, quando avevo appena iniziato ad esporre la mia tesi lui aveva già progettato questo stacco per prendere parola, aspettava solo il momento opportuno. Perchè questa situazione era pressoché simile ad uno scambio di opinioni divergenti piuttosto che l'esposizione di una tesi.

La sua finta spontaneità nel parlare scomparve subito, lasciandosi andare ad un sorriso laterale, una smorfia che lasciava intendere la sua curiosità nell'attendere pazientemente una mia possibile crisi isterica.

E la sua affermazione non poté che attirare l'attenzione dei presenti che in un gesto perfettamente sincronizzato si voltarono in direzione del nostro tavolino, scrutandoci con gli occhi dilatati, svogliati nel portare a termine tanto duro lavoro, più propensi invece  a cercare quella smorfia o parola adatta che fosse prova di quelle voci di corridoio in relazione alla sera precedente.

Assottigliai gli occhi invitandolo a zittirsi, non volevo diventare lo zimbello di tutti, odiavo l'idea che la gente che mi passava accanto mi scambiasse per una facile, per una che vendeva la propria dignità solo perchè vuole sentirsi orgogliosa nell'uscire con il massimo dei voti.

Ma lui continuava a scambiare i miei sguardi, indifferente.

Era palese.

Solo dopo compresi che quella breve pausa non fosse una semplice casualità, anche quello era un dettaglio calcolato, anche lui come me, era bloccato in quel turbine di voci e chiacchiere eppure sembrava non infastidirlo minimamente, anzi, si era ritorto la situazione a suo piacimento.

< Farsi prendere da terminate emozioni. Rabbia, rancore sono anche queste condizionate dall'inconscio ? > Sbraitai fingendo tranquillità stringendo i pugni sotto il tavolo, abbozzando un'aria di ripicca tipica di una persona che non si faceva intimorire dai suoi giochetti.

E trovai la reazione che cercavo.

Digrignò i denti, lasciando che le sue sopracciglia inarcate e gli occhi limpidi si infuocassero nei miei, mostrando interesse d'ascolto con la sua mano che tamburellava decisa sul tavolo di fronte a me, non cessando di fissarmi.

Era il gioco della debolezza.

Entrambi ci ricoprivamo di frecciatine, le quali erano sentimenti e debolezze personali e chi esagerava non moderando i termini, veniva decretato vincitore di un gioco in cui venivamo stuzzicati o feriti a prescindere se ricoprivamo il ruolo di perdente o vincente.

Lui decise di giocare un'altra carta, una carta che per quanto gli donasse molteplici punti per quanto riguardava colpire in basso, ne prendeva altri in stronzaggine, aveva utilizzato il ruolo che ricopriva, per riprendersi una rivincita personale, solo perchè io avevo osato difendermi dai suoi attacchi invece di subire come auspicava.

< 18. prendere o lasciare? > Sibilò vittorioso, lasciando intuire quanto la mia affermazione l'avesse toccato nel profondo.

Ero esterrefatta e nello stesso tempo irritata.

Sorrisi.

Ma questo non poteva considerarsi un vero sorriso, era una smorfia irritata, preda del tic nervoso che ormai aveva consumato i miei ultimi neuroni.

Si alzò, con la soddisfazione che faceva da cornice al suo viso, intuendo la mia risposta, non sapendo che in realtà volevo aggiungere qualcos'altro oltre ad una risposta monosillaba.

Questo sotto gli occhi di studenti, professori e assistenti che avevano dimenticato il motivo per il quale si trovavono lì, scambiando quel contesto per una partita di basket alla quale nessuno poteva mancare.  
             
Spostavano gli occhi da una parte all'altra in base a chi parlava, quasi come se ci fosse una telecamera che riprendeva le varie parti, i loro occhi continuavo a muoversi, fino a quando la sua alzata improvvisa da quella sedia e il mio mutismo, equivalse per loro alla decretazione del vincitore, inconsapevoli che il mio silenzio era la sola volontà di non rovinare una media sacrificata e lavorata.

Non potevo stare ferma a rigirarmi i pollici, passeggiando nell'atrio dell'università consapevole di avere gli interi sguardi dell'edificio su di me, circondata dai loro continui vociferi mentre spettegolavano sulla mia vita sessuale con il professore, dosando fin troppo l'immaginazione con scene prive di censure ma che soprattutto non avevo mai vissuto, ma che a quanto pare i loro occhi e le loro orecchie avevano visto e sentito.

Mi sorse un dubbio.

Io dov'ero?

Dov'ero in tutte quelle scene intrise di passione che loro descrivevano quasi con una sorta di eccitazione mentre raccontavano di incontri segreti avvenuti a casa sua e perfino in macchina.
Io non sapevo neanche che macchina avesse quello lì.

Esatto, quello lì, adesso non aveva più un nome, era un perfetto estraneo, certo lo era anche prima, ma adesso era completamente invisibile ai miei occhi.

Non resistetti più e feci ciò che l'istinto mi suggeriva.

Poco importava se lo spogliatoio fosse completamente maschile e la mia irruente entrata avrebbe sconvolto i volti più puri, avevo perso il rispetto verso me stessa ma soprattutto la faccia di fronte a docenti e ragazzi più grandi di me, questa mia figuraccia imminente era una sciocchezza in confronto all'umiliazione ricevuta precedentemente.

Spalancai la porta.

I miei dubbi e tutte quelle possibili scuse che mi sarei trovata costretta ad adottare svanirono nel momento in cui, varcando quella porta mi accorsi che lì c'era solo Josh e in parte, mi sentii sollevata perchè in fondo questa mia irrazionalità avrebbe solamente peggiorato la mia situazione.

Si voltò credendo di trovarsi di fronte un uomo, quando invece resosi conto che in realtà i miei tratti non corrispondevano a quelli di un ragazzo, tramutò la sua espressione in curiosità  e arroganza  come se in fondo si aspettasse questa mia entrata improvvisa.

E guardandolo, le parole mi uscirono spontaneamente, quasi dal cuore aggiungerei.

< Lei è un emerito bastardo > Sibilai stizzita chiudendo la porta avvicinandomi a lui.

Istintivamente alle mie parole si voltò verso di me guardandomi meravigliato ma con la strana consapevolezza disegnata in viso che in fondo si aspettava e meritava quell'insulto, girandosi e continuando a cercare qualcosa dentro il suo armadietto

< Come scusa? > Replicò con una lieve nota di divertimento disegnata sulle sue labbra

< Non lo ripeterò. - Sentenziai con fermezza - Non perchè sono intimorita dal suo ruolo ma perchè temo di andare oltre i miei limiti  - Precisai assottigliando gli occhi sorridendo decisa, temendo che lui potesse scambiare questa mia inversione come una mancanza di coraggio dopo un'affermazione così forte >

< Delusa che stamani non ero lì accanto a lei ? > Beffeggiò dilatando gli occhi fingendosi dispiaciuto per questa enorme mancanza da parte sua, mettendo fine alla sua espressione addolorata con un sorriso arrogante.

Sorrisi di sbieco di fronte a tanta sicurezza.

< Non dico che lei dovesse obbligatoriamente indossare una veste bianca e portarmi in braccio come se fossi una principessa - Asserii roteando gli occhi, sottintendendo quanto le mie pretese sulla sua possibile e a quanto pare inesistente galanteria equivalesse a zero - ma nemmeno lasciarmi lì, da sola, in balia di possibili assassini o pervertiti - Continuai imperterrita pronunciando ogni sua singola mancanza con tono secco e consapevole >

Se avevo un difetto, quello sicuramente era la capacità di ingrandire e appesantire le parole che adoperavo, perchè se c'era qualcosa che mi feriva o in qualche modo mi scalfiva, io volevo essere la prima e l'ultima persona a inferire il colpo di grazia.

Con lo sguardo chino verso il suo armadietto, simulando indifferenza e chinando la testa spazientito in senso di ascolto , con nonchalance e con la presunzione di  farmi sentire scomoda in quella situazione sciolse il nodo della sua cravatta, riponendola senza averne cura lì,  per poi iniziare a sbottonare i primi bottoni della sua camicia.

Arrossii di colpo.

Non potevo certamente negare che l'immagine di lui intento a spogliarsi mi fosse del tutto indifferente, perchè eliminando il contesto e i ruoli che ricoprivamo ero pur sempre una ragazza mentre lui un uomo, che continuava a sbottonare i bottoni, completamente indifferente alla mia presenza che stava assistendo al suo spogliarello imminente.

Con uno scatto improvviso, spazientito dalla mia estenuante parlantina lasciò la presa sulla sua camicia voltandosi verso di me, facendomi sussultare.

< Che cos'è che l'ha ferita? - Sputò in uno scatto di follia sgranando gli occhi - La mia obiettività nel giudicarla di fronte ad una materia o il suo orgoglio che si è appena reso conto di aver fin troppe pretese?! - Sbraitò abbozzando una smorfia di irritazione e i suoi occhi si ingrandirono soddisfatti come se avessero centrato a pieno il bersaglio >

Strinsi i pugni, non riuscivo a capire se a toccarmi nel profondo fossero state queste sue parole o il fatto che ambissi davvero  qualcosa da uno che rivendicava il proprio riscatto personale.
Un suono grossolano simile a quello di uno che pazientemente aspettava dietro quella porta ci destò dalla nostra conversazione, i suoi occhi istintivamente seguirono quel suono scrutandone con sorpresa e quasi con un pizzico di timore i lineamenti di quella porta, seguito a ruota da me, che ne imitai il gesto voltandomi impulsivamente verso di essa, ritornando a fissarlo con trepidazione e ansia.

Condividemmo lo stesso sguardo di preoccupazione,  quando inaspettatamente notai le sue pupille dilatarsi insieme ai suoi occhi che si spalancarono, quasi come se  un improvviso barlume di pazzia gli fosse appena attraversato nella mente.

Istintivamente si affiancò ai lati della porticina di fronte a noi, mentre con uno sguardo ovvio e le mani sollevate verso di essa mi incitò ad entrarvi.

< Non entrerò con lei dentro la doccia > Protestai con le gote arrossate, fissando dapprima la sua mano distesa, utilizzata quasi come una segnaletica stradale, che mi invitava a proseguire quella conversazione costretta e voluta da me, in quello che era l'interno di una doccia, per poi  trovarmi a scrutare il suo volto che mi affrettava nel prendere una scelta.

< Ah certo dimenticavo. - Fece una brevissima pausa - Meglio lasciar credere che una delle migliori studentesse dell'università, per giunta casta, in realtà... -  lasciò qualche secondo in sospeso la frase, quasi volesse creare un po’ di suspense - non è poi così puritana - sussurrò fingendosi sconvolto, spalancando gli occhi dando così maggiore veridicità alla sua constatazione - >

Corrucciai le labbra, consapevole che in fondo avesse ragione, una volta aperta quella porta, scoprendo l'esile figura di un professore che il mondo intero reputava attraente accanto a l'immagine di una ragazza che sembrava fingere l'innocenza mentre in realtà, auspicava al massimo dei voti dilettandosi con il proprio insegnate equivaleva alla mia rovina, significava dimostrare che i sacrifici ottenuti fino ad adesso, derivavano da notti occasionali.

Mi morsi il labbro interno mentre il senso d'ansia e confusione mi pervase la testa, offuscandomi con le due uniche possibilità che mi trovavo costretta a percorrere.     
                  
 Il dubbio eterno, reputazione o qualche minuto chiusa in un luogo simile ad un vicolo ristretto in sua compagnia?

Il suono della maniglia abbassarsi unita da un chiacchierio maschile mi tolse dal bivio, una mano, la sua mano, mi scaraventò dentro, seguita da lui che una volta assicuratosi di aver messo il lucchetto si espose verso di me, premendo con il suo corpo contro il mio costringendomi ad aderire a quella parete, mentre lui incollato a me, mi privava di quei pochi millimetri per respirare.

Come se il mio viso fosse un chiaro avvertimento a delle urla che avrei gettato a momenti, premette con la sua mano sulla mia bocca e con l'indice appoggiato sulle sue labbra, mi incitava al silenzio assoluto e l'altra si afferrava all'asta di acciaio dietro di me, mentre in contemporanea, i suoi occhi assottigliati assumevano una forma strana.

Il mio cuore prese a battere talmente forte che avevo paura che lui potesse sentirlo, scalpitava così velocemente che il mio seno continuava a sollevarsi e abbassarsi infrangendosi con il suo petto, senza che io potessi fare niente per fermarlo e mi convinsi che fosse l'ansia e il timore di essere scoperta in una situazione così compromettente a dettarne le pulsazioni così inferocite.

E ringraziai quelle voci che mi tolsero dall'imbarazzo di ascoltare i miei lievi affanni come colonna sonora di quel contesto immaturo e dai suoi occhi che erano fermi nei miei dal momento in cui avevamo varcato quella soglia.

< Guarda la Capra è diventata una mela a cui tutti possono arrivare > Affermò una voce che istintivamente paragonai a quella del professore di ingegneria e che me ne diede conferma il suo strano modo di parlare ormai abbastanza conosciuto.

< Tranne noi. Noi puntiamo più in alto > Controbatté l'altro di cui la voce mi era completamente sconosciuta.

E come se avessero appena detto qualcosa per la quale meritassero il premio nobel, sentii il suono di due mani infrangersi tra di loro procurando un sonoro schiocco, immaginando così, che si fossero appena dati un cinque, gesto seguito da risatine divertite per la battutina più stupida del mese che nelle loro menti bacate invece, veniva proiettata come un'affermazione intelligente mentre anche una sola persona normale avrebbe letto sopra le righe quanto insensata fosse.

Riconobbi in quella futile conversazione un diversivo per deviare la mia attenzione da lui, che mi opprimeva con il suo corpo e che la mia mente si ostinava a regalargli più dell'attenzione dovuta.

Ma c'era qualcosa in quel contesto, un dettaglio che era sfuggito ad entrambi, ma molto di più a lui dato che era sua consuetudine frequentare quelle docce. Non avevamo calcolato che quel rubinetto, fosse programmato per far scorgere l'acqua su di noi dopo qualche secondo dal tocco della pedana che sostava sotto i nostri piedi e che sfortunatamente, proprio quel giorno il tubo dell'acqua calda era rotto.

E i miei dubbi divennero reali, un getto d'acqua gelata ci travolse costringendomi istintivamente a trattenere il respiro.

< Josh sei tu? > Proruppe la voce sconosciuta.

< Sì. Avevo bisogno di una doccia fredda > Lo zittì prontamente fissandomi, lasciando che solo io potessi cogliere quel doppio senso, dato che loro all'esterno fossero estranei a ciò che stava succedendo all'interno di quella cabina.

E in contemporanea alle sue parole, sentii un profondo vuoto crearsi nel mio stomaco e non potei che sentirmi completamente svuotata dentro e fuori, riuscendo perfino a tenere gli occhi spalancati sotto quel getto d'acqua che mi aveva dato sempre una sorta di timore.

Ok.

Bastava riuscire a distogliere i miei occhi dal suo viso,così li abbassai, cercando in quella situazione stretta e scomoda qualcosa che potesse distrarmi.

Ma sembrava che lui mi costringesse a ritornare a quella realtà.

Percepii, il rumore dell'acciaio quasi sgretolarsi nelle sue mani per quanto fosse tanta la prestanza con la quale impugnava quell'oggetto , come  se stesse stringendo con forza quell' asta dietro di me per il getto d'acqua improvviso o al fine di frenarsi dal fare altro.

Non furono proprio le sue parole a farmi deviare l'attenzione da quella porta che fissavo come unico sfogo in quella stanzetta ristretta, ai suoi occhi, ma il modo in cui lo disse, che mi obbligò a cercare un doppio senso in quella frase in combutta con i suoi occhi che mi spronavano a farlo.

Ad aggravare ma soprattutto a rendere difficile le nostre posizioni, non furono soltanto la poca distanza che ci marcava e l'acqua che faceva aderire perfettamente i nostri vestiti ai nostri corpi modellandoci, o i nostri occhi che non cessavano di guardarsi, ma il mio corpo che agiva in modo imprevedibile, mostrando l'affanno dei miei respiri attraverso l'alzarsi del mio seno, che involontariamente aveva risvegliato in lui la natura di uomo, che lui cercava in tutti i modi di trattenere dal farlo uscire allo scoperto.

E per quanto sicuramente, mi sarei trovata a benedire l'acqua in una situazione in cui l'unica cosa che mi circonda è il deserto più assoluto, in quel momento la maledii per come incollava e lasciava poco spazio all'immaginazione quella sua camicia turchese che al contatto con l'acqua divenne trasparente e gli rendeva quegli anni trascorsi in palestra.

Respirare.

Era proprio questo, quello  che dovevo fare.

Ma questo strano contesto equivalse per me a un dejavu, la situazione precedente seguita a ruota da questa, erano un chiaro segnale che in realtà io e le cose fredde non avevamo una buona comunicazione.

Queste strane sensazioni, questo blocco allo stomaco l'avevo già vissuto quando a farmi compagnia c'era lui e il gelo, ma la possibilità che fosse lui a farmi questo effetto era da escludere, era sicuramente tutta colpa di tutte quelle cose fredde.

La voce di quell'uomo mi fece deconcentrare per un solo minuto da quell'acqua che scorreva diretta senza il minimo di sosta.

< Noi andiamo. Non farla lunga questa doccia > Beffeggiò sempre lo stesso sconosciuto ridendo sotto i baffi, dando chissà quale significato all'affermazione appena fatta, imitato dallo stesso professore di ingegneria che si unì alle risate.

Le loro risate e i loro passi decisi divennero un pensiero lontano, quando il rumore di una porta aprirsi sostituì il loro chiasso, ponendogli fine nel momento in cui la porta si chiuse per la seconda volta.

Tirai un sospiro di sollievo e senza batter ciglio mi svincolai dal suo corpo, premendo sul suo petto infradiciato senza la minima difficoltà non riscontrando una possibile resistenza da parte sua, seguita da lui che imitò il mio gesto uscendo.

Improvvisamente, ad un passo della porta senza nessun preavviso mi afferrò per un braccio stringendolo saldamente facendomi voltare.

Incrociai i suoi occhi.

Capelli scompigliati, una camicia con le maniche arrotolate, che l'acqua aveva completamente fatto aderire alla sua pelle.

No, non era sexy in quello stato.

Era solo il mio peggior nemico più attraente con il quale avevo combattuto fino ad adesso.

< Tieni. Aspetterò fuori >  Sibilò porgendomi la sua tuta, quella che in realtà, doveva essere il suo unico cambio, sorpassandomi.

Attonita.

Ecco com'ero.

Mi stupii perchè sotto la sua innata freddezza forse c'era anche un minimo di profondità nel suo carattere tanto misterioso quanto criptico.





 

****



 

I piedi mi dolevano e quel cappottino nero, riusciva a malapena a smorzare quel vento gelido che imperterrito continuava ad inveirmi contro.

La tanto attesa quanto inaspettata cena con mio padre si era conclusa con l'ennesima litigata.

Ma non riuscivo a non aspettarmi troppo, a non ingannarmi che quella sera forse, sarebbe stata differente rispetto a tutte le altre, alla fine dopo l'ennesima scenata, come di consuetudine era una scena che ha continuato a ripetersi all'infinito nel corso degli anni, mi ero alzata e dopo averlo lasciato lì, avevo preso un taxi, perchè non ero mai riuscita a guardarlo negli occhi durante il tragitto di casa, ormai abbandonarlo durante la scena e ritornare a casa da sola, era diventata un'amara abitudine alla quale mi ero abituata.

All'improvviso in quel buio accecante sminuito da qualche lampione antico che con difficoltà emetteva una luce soffusa, lo scricchiolio di una porta aprirsi attirò la mia attenzione.

Mi voltai.

Spalancai gli occhi.

Li chiusi e li riaprii nello stesso secondo.

Josh che usciva da casa di Caryin.

Non credevo negli incubi capaci di indurti ad un possibile infarto e tantomeno riponevo fiducia nella possibilità che questa situazione fosse indotta da una candid camera, nessuno aveva un motivo per giocarmi questo brutto tiro, certo, tutti fuorché lui, ed è proprio per questo che ero sicura che quella scena a cui stavo assistendo non era tratta da qualche sceneggiatura di un film famoso, perchè lui non si accontentava di  farmi vivere uno scherzo, pretendeva la realtà.

Aveva appena fatto canestro.

Nel vero senso letterale della frase, aveva tirato a segno la palla come aveva distrutto qualcosa dentro di me.

Camminò lungo il vialetto con entrambe le mani riposte dentro il suo giaccone e avvicinandosi alla portiera dell'auto prima di disattivare l'allarme, alzò gli occhi verso di me.

Un sorriso laterale soddisfatto quanto vendicativo incorniciò il suo viso e immaginai sorridesse maligno, peggio di un fumettista che tenta di dar vita all'antagonista attraverso una risata che lascia intuire da se la sua natura cattiva.

< é brutto? - Beffeggiò simulando curiosità, camuffando la smorfia precedente caratterizzata ancor di più da una linea sottile di derisione  - Sentirsi improvvisamente soli e traditi - Recitò con finto rammarico abbozzando una smorfia annoiata intenta ad annuire verso il basso >
 
 


SPAZIO AUTORE.


Eccomi qui finalmente con un nuovo capitolo, che ci tengo a dire mi piace parecchio forse perché mi sono divertita a descrivere i contesti che hanno vissuto Josh e Crystine e spero che abbia avuto lo stesso impatto su di voi. Spero che non mi ucciderete per il modo in cui ho terminato il capitolo, ma ammetto che mi piace lasciare un po’ di suspense alla fine di ogni capitolo, questo tradimento inaspettato dell’amica sarà fonte di diversi guai che non sto qui a spiegarvi, dato che voi lettori/trici avete il compito di scoprire ù.ù
Approfitto di questo spazio per ringraziarvi per seguirmi e recensire
Un bacione enorme. 

 


Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Nella gabbia dei leoni ***


Nella gabbia dei leoni





 
Mi svegliai.
 
Questa forse era la settima o nona volta in cui aprivo gli occhi, disturbata nei sogni e nell'oscurità della mia stanza a causa della notte che a parte le stelle e la luna, che accennavano a un briciolo di luce ero completamente immersa nel buio a rammentare l'immagine a cui avevo assistito per pochi secondi ma che comunque erano stati devastanti.
 
Questa volta però, riuscivo a vedere la mia stanza senza problemi, la notte aveva lasciato il posto al giorno.

Mi sollevai dal letto, appoggiandomi allo schienale e istintivamente portai una mano a massaggiare la tempia dolorante a causa della notte in bianco passata, percependo tanta confusione e una leggera sensazione di nausea.

 
Sospirai.
 
Mi maledii mentalmente rendendomi conto quanto fossi incapace nel riuscire a non pensare per qualche secondo a quel momento che a quanto pare, sarebbe rimasto impresso dentro di me per molto tempo.
 
Scostai le coperte.
 
Entrai in cucina.
 
Portai una mano sulla bocca quando un breve sbadiglio mi ricordò la volontà della mia mente che era quella di voler ritornare sotto le coperte, di fronte  alla soglia della cucina intravidi la figura di mio padre intento a versarsi il caffè  appena riscaldato.
 
< Buongiorno Papà > Esclamai avvicinandomi allo sportello del frigorifero che aprii senza la minima difficoltà.
 
Il suono dei miei piedi scalzi al contatto con il pavimento appena lucidato lo destarono dalla sua tazza e incuriosito portò lo sguardo su di me, che sentendo il mio flebile buongiorno, annuì prendendo subito dopo la parola.
 
< Fai sempre tesoro del mio consiglio vero? >
 
Le sue parole furono subito seguite dal mio gesto istintivo di beffeggiarlo di fronte allo sportello del frigorifero che gli impediva di scoprire le mie espressioni che si dilettavano ad insultarlo.
 
< Tu prenderai mai in considerazione l'ipotesi di spiegarmi? > Controbattei retoricamente affacciandomi dallo sportello, tenendo sempre una mano appoggiata su esso mentre strabuzzavo gli occhi inclinando lievemente la testa in segno di ovvietà.
 
< Non c'è molto da dire... > Sussurrò continuando a tenere gli occhi rivolti verso il suo caffè.
 
Mi stupii notandolo più propenso a parlare rispetto a tutte le altre volte in cui avevamo cercato di aprire una conversazione invano.
 
Dopo essermi riempita una tazza di latte e caffè presi posto nello sgabello accanto a lui mentre lui iniziava a parlare.
 
< Suo padre non lo ha mai riconosciuto come suo figlio. Ha lasciato la sua totale custodia alla madre, abbandonandoli entrambi. é per questo che prova rancore verso tua madre, ai suoi occhi è vista come la causa principale dell'abbandono del padre. Considerata come la sgualdrina di turno che non è mai stata cancellata dalla mente di un uomo che ha preferito dimenticarsi le sue responsabilità quando tua mamma ha scelto me in passato. > Parlò in modo lento e conciso, ribadendo più volte lo stesso significato attraverso parole differenti e come se in qualche modo queste parole furono una sorta di buchino proiettato verso il passato, il suo sguardo si perse nel vuoto in un modo a me sconosciuto.
 
< Ridicolo > Constatò con leggera ironia, lasciando intuire dai suoi occhi pensierosi che provasse una sorta di pena nei confronti di quell'uomo, continuando a sorseggiare il suo caffè nella sua abituale tazza blu. 
 
Le sue abitudini erano dure a morire come il suo carattere che nel corso degli anni era rimasto invariato, completamente immune alle possibili esperienze del passato che solitamente portano cambiamenti nella vita e nella personalità di una persona, ma lui nulla era l'eccezione.
 
Mi persi in quel racconto e inconsciamente, nella mia testa venivano proiettate le immagini delle sue parole, creando una sorta di video di quella che era la vita di Josh e provai dispiacere nei suoi confronti.
 
Rimasi inerme, zittita da quel racconto che mi aveva lasciato solo polvere in bocca.
 
Non sapevo cosa dire o addirittura pensare.




 
******



Presi un profondo respiro di fronte alla grandezza dell'edificio dell'università che era posto qualche metro più avanti ma in realtà a incupirmi e a farmi sentire piccola era il pensiero di dover affrontare la mia amica.
 
Camminavo con svogliatezza come se le mie gambe camminassero senza il mio reale permesso, indotte in realtà da una mente macchinatrice abituata a dettare con monotonia gli stessi ordini. 
Sollevai il viso verso il cielo e involontariamente quel celeste limpido per qualche assurda ragione, fece apparire sulle mie labbra un piccolo sorriso.
 
Mi diedi della stupida a sorridere senza nessuna ragione, solo perchè il cielo sopra la mia testa in qualche modo nel mio inconscio, mi aveva obbligato ad accennare una smorfia che non appariva sulle mie labbra dalla sera precedente.
 
E quasi inciampai quando la mia spalla destra si scontrò con quella di qualcun'altro, avrei giurato di vedere il mio viso spiaccicato sul pavimento quando invece, la mano di quello sconosciuto fortunatamente mi afferrò, passando un braccio di fronte al mio busto e prendendomi di pancia mi riportò indietro, evitandomi una pessima figura, terminando con una posa simile ad un casché.
 
Percepii i battiti del mio cuore accelerare per lo spavento improvviso e per i riflessi pronti di quell'uomo che involontariamente mi avevano indotto a chiudere gli occhi con estrema forza.
 
Li aprii.
 
Mamma mia.
 
Questa fu l'unica cosa che realizzai nella mia mente quando presi consapevolezza del contesto mieloso che girava intorno alle nostre figure.
 
Chiusi e riaprii gli occhi più volte rendendomi conto della vicinanza tra i nostri visi.
 
Ingoiai un groppo di saliva bloccatosi alla gola quando mi soffermai sul suo viso.
 
Mi fissava.
 
Avevo già visto questo viso e forse c'era perfino la possibilità che anche lui avesse già notato il mio.
 
Sul viso aveva dipinto la piena espressione della maliziosità, labbra che socchiuse in una smorfia laterale gli davano un non so che di intrigante, mentre i suoi occhi chiari come i miei si erano quasi rimpiccioliti diventando più profondi.
 
Mi svegliai da quello stato di trance in cui ero caduta e incitandolo con lo sguardo mi sollevò, riprendendo una posizione più composta, tossicchiai leggermente imbarazzata e passai una mano tra i miei jeans, fingendomi indifferente quando percepii i suoi occhi ancora  posati su di me.
 
Mi costrinsi a ritornare quella di prima, cercando di annientare la ragazza innocente e intimidita che ero apparsa ai suoi occhi.
 
< Ci siamo già visti? - Accennò un piccolo sorriso laterale, simulando con le sopracciglia inarcate, che resero più profondo il suo sguardo, una scetticità che non gli apparteneva- Hai un viso molto familiare - Continuò con tono audace lasciando intendere contesti che giravano intorno al suo letto >
 
Avevo già visto questi occhi glaciali, ma a differenza delle sue aspettative non mi avevano colpito per il fascino naturale che i suoi occhi chiari portavano a vedere, ma per la sua innata freddezza che si ostinava a nascondere dietro un sorriso, il quale compito era quello di deviare l'attenzione dai suoi occhi freddi alle sue labbra che tentavano di ricomporre un volto dolce.
 
Era impossibile non ricordarsi il luogo in cui avevo incontrato questo tipo con atteggiamento altezzoso, certo non avevo avuto l'opportunità di parlargli ma la sua figura snella e sicura di sé aveva attirato la mia attenzione e quella di mio padre che impulsivamente si era affiancato a me nel momento in cui l'aveva trovato in compagnia del mio professore.
 
< Sai... dovresti cambiare tattica - Asserii annuendo lievemente con il capo,  adottando quello stesso tono di una persona quando reputatoti un caso perso ti da un consiglio spassionato. >
 
< Potresti darmi qualche dritta - Suggerì  nascondendo le mani dentro le tasche dei suoi pantaloni, gesto che impulsivamente mi rammentò Josh, riducendo gli occhi a due piccole fessure lasciando intuire che quella frase lasciata in sospeso, fosse un chiaro segnale nel mostrare che voleva conoscere il mio nome. >
 
< Crhystine > Affermai.
 
< Crhystine - ripeté con tono particolarmente audace e allusivo, lasciandosi andare ad un'espressione riflessiva. - Marcel - Si presentò dando libero sfogo alla sua sicurezza tramite un sorriso straffottente dipinto sulle sue labbra carnose, premurandosi di allungare una mano in altezza del mio busto che mi incitò ad afferrare con il solo movimento degli occhi. >
 
L'afferrai, fregandomene della sua provenienza e del tipo di rapporto che lo collegava a Josh.
Mano che lui strinse con eccessiva premura accentuando quel lieve sorrisetto con arroganza.
 
< Forse dovrei prendere in considerazione l'ipotesi di iscrivermi all'università - Accennò una smorfia pensierosa fingendosi propenso all'idea che aveva appena realizzato, portando gli occhi al cielo.  > Sciolse la presa sulla mia mano e nel gesto di portarsi le mani dentro le tasche dei suoi pantaloni spinse lievemente la sua giacca nera indietro.
 
< Potremmo incontrarci - Continuò sussurrando, inchiodando i suoi occhi nei miei abbozzando un sorriso malizioso - Parlarci e magari forse anche.. - Si avvicinò a  me con passo suadente, lasciando che il suo sguardo facesse da tramite dei suoi pensieri. >
 
Strabuzzai gli occhi posizionando un braccio tra me e lui, ma forse questo lo immaginai ricordandomi le molteplici scene di cartoni che avevano riprodotto questo mio stesso gesto in senso ironico.
 
< Magari anche ignorarti no? > Asserii stizzita dilatando gli occhi e roteando lievemente la testa, ricordandogli anche quest'ultima ipotesi inerente ai suoi progetti futuri.
 
Sorrise divertito compiendo qualche passo indietro, quasi volesse rassicurarmi che il suo era solo un modo per stuzzicare il mio animo ribelle.
 
< Marcel? > Il suo nome ripetuto da una voce dietro le sue spalle ci destò dalla nostra conversazione, spronandoci a guardare dietro le sue spalle.
 
Josh.
 
Si avvicinò a noi guardandoci straniti.
 
Mi sentii strana.
 
Ero intimidita e infastidita nello stesso modo.
 
Vederlo avvicinarsi con indifferenza mi procurava l’orticaria. 
 
Si salutarono con un lieve cenno della testa e per qualche assurda ragione mi sentii scomoda, volevo soltanto scappare da lì.
 
Fu naturale per lui spostare i suoi occhi da quell’uomo con la quale si erano scambiati uno sguardo d’intesa a me, che fissò i miei occhi con particolare attenzione, sguardo che prontamente evitai guardando dietro le sue spalle.
 
< Notte insonne? > Beffeggiò come se nulla fosse, lasciando quasi intravedere un pizzico d’orgoglio nell’essersi appena reso conto dei miei occhi contornati da aloni neri.
 
Roteai gli occhi infastidita, trattenendo un sonoro sbuffo che trovò spazio nel mio viso scocciato. 
 
< è stato un piacere conoscerti > Prendendo spunto dai suoi mille sbalzi d’umore cambiai espressione quando invece incrociai gli occhi di Marcel.  < La stessa cosa vale per me > Rispose fulmineo accennando un sorriso sincero e un po’ malizioso.
 


 
*****


 
POV JOSH

 
< A cosa devo questa improvvisata? > Domandai continuando a tenere un passo moderato.
 
Con estrema galanteria si pose una sigaretta sulle labbra per poi porgermi l'intero pacchetto che attraverso un’ occhiata mi accorsi  essere le Marlboro, sorrisi fra me pensando che la sua, fosse una tipica ossessione da bambino ostinandosi a cambiare il tipo di marca di sigaretta per il semplice piacere di assaporarne i diversi sapori.
 
Inclinai la testa.
 
< Nulla - fece una breve pausa - Mi annoiavo - Proruppe guardandomi svogliato, dando un'occhiata poco propensa ma finta interessata a quel piccolo paesaggio che contornava l'intero edificio scolastico. >
 
Lo guardai scettico.
 
Non riuscii a nascondere un sorriso laterale che lasciava intuire da se la poca fiducia che riponevo nelle sue parole.
 
< Ok. - Ammise sbuffando, alzando le braccia al cielo e roteando gli occhi fingendosi colpevole. - Volevo sentire il dolce clima da studentesse dagli ormoni a mille - Terminò lasciandosi andare ad un mezzo sorrisetto malizioso e perso in qualche immagine fuori contesto >
 
< Sei il solito burlone > Commentai roteando con lentezza la testa non riuscendo a trattenere una brevissima risatina che contagiò anche lui che però, si concesse solo una smorfia divertita
 
< E tu? Hai fatto il burlone ieri notte con la brunetta? > Mi provocò dandomi una leggera gomitata, facendo quello strano giochino con gli occhi quando voleva lasciare sottintendere tutto il possibile e inimmaginabile.
 
Sorrisi malizioso.
 
< Avevi qualche dubbio? >Avanzai leggermente con la testa verso la sua direzione incitandolo a contraddirmi.
 
< é cosi che ti voglio. Privo di dubbi e meschino > Appoggiò una mano sulla mia spalla destra, dandomi una piccola pacca, rafforzando la presa imitando così la stessa forza delle parole che stava adoperando.



 
******



POV CRHISTINE.

 
Guardandola sorridere, persa sicuramente in un mondo tutto suo contornato da tutte una serie di lucine colorate che giravano intorno all'immagine sua e di Josh, mi sentii tanto la perfetta spina sul fianco o il prezzemolo nell'insalata, c'erano diversi modi di dire o proverbi che rispecchiavano il mio stato da rovina felicità.
 
Potevo fingere cecità, potevo semplicemente voltarmi dandole le spalle, prendendo una direzione opposta alla sua ma in entrambi i casi, non potevo mancare alle mie responsabilità da amica. 
 
Sospirai sonoramente.
 
Percepii il mio cuore pulsare come una mina intenta ad esplodere, le gambe tremare ma che comunque riuscivano a sostenere una camminata decisa e veloce, e un volto che nonostante non avessi uno specchio di fronte a me, immaginai fosse bianco perchè il colorito che avevo provato a donargli tramite il trucco, non era riuscito a nascondere l'ansia, che a sua volta aveva trovato rifugio nei lineamenti del mio volto.
 
< Perchè non date un'occhiata qua in giro?  > Urlò entusiasta cercando con gli occhi una conferma che li facesse volatilizzare in seguito alle sue parole.
 
I ragazzi che l'avevano seguita in questo breve  ma comunque intenso tour provarono una sorta di sollievo ascoltando le sue parole, scambiandosi degli sguardi estasiasi al pensiero di quei 5 minuti senza dover ascoltare la sua lunga e interminabile parlantina, dileguandosi sotto gli occhi di tutti come se sotto i piedi avessero dei pattini.
 
Molto probabilmente, se avessero capito che il suo improvviso silenzio era dovuto alla mia presenza mi avrebbero onorata come una Dea greca.
 
Questa reazione che ne conseguì stupì perfino lei stessa che abbozzò uno sguardo stranito, passandosi una mano tra i capelli imbarazzata, quasi sicura che questa loro sparizione frettolosa in fondo fosse dovuta alla sua capacità di parlare per ore e ore senza darsi un minimo di tregua.
Ma la sua testa non le fece prestare molta attenzione a quei matricolanti, anzi sembrò dimenticarsene subito.
                                                                                                                 
Alzò lo sguardo verso di me per poi scendere da quella pedana che le dava qualche centimetro in più raggiungendomi, e nel suo viso vidi la tentazione, quella strana felicità che ti colpisce quando la tua vita è scombussolata da qualcosa di straordinario ed è questa stessa sensazione che ti tenta di urlarla al mondo intero.  
Forse l'aveva dipinta sul viso da molte settimane ma io mi ero accorta di questo solo adesso, a fatto compiuto della tresca che lui stava costruendo intorno a me e a chi mi stava intorno.

 
Cercai di abbozzare un sorriso, ma uscì dalle mie labbra una smorfia finta che tentava di assomigliare ad un vero sorriso.
 
< Che fine hai fatto ieri? Ti aspettavo> Affermò entusiasta corrucciando subito dopo le labbra fingendosi offesa.
 
Ed ecco che mi trovavo al bivio di una situazione abbastanza difficile.
 
Avevo due sole possibilità saltare in quella fossa di leoni, facendomi sbranare da tutte quelle possibilità che mi spaventavano, perdere la mia migliore amica era un enorme rischio che  avrei dovuto valutare.
 
Ma a quanto pare diventare un miserabile pasto da leoni era un finale già prestabilito.
 
Presi la parola sentendo il mio cuore scalpitare contro la cassa toracica.
 
< Ieri notte, ti ho visto con...  > Sibilai insicura non riuscendo a terminare la frase.
 
Stavo veramente per dire quello per cui ero venuta?
 
Stavo veramente permettendo alle mie parole di gettare terra, seppellendo la nostra amicizia? Avrei potuto lasciarla libera, in fondo Dio aveva concesso nella sua enorme bontà il libero arbitrio, chi ero io per impedirle di conoscere la vera natura di quello che lei probabilmente credeva come primo amore?
 
Bastarono le prime due parole ad allarmare il suo viso che impulsivamente tramutò in confusione e ansia, e i suoi occhi scattarono sull'attenti dilatandosi violentemente.                                                   
La sua reazione istintiva lasciava intendere che non ci fosse bisogno di terminare la frase, perchè entrambe eravamo consapevoli dove portasse quella discussione, lasciò cadere i suoi occhi al contesto che ci circondava, cercando la sicurezza che nessuno fosse appostato lì per ascoltare.  
                                                                                                                                   
Appoggiò una mano sulla mia spalla invitandomi a seguirne il movimento, appartandoci solo qualche metro più avanti ma comunque nascoste da occhi indiscreti.

 
< Aspetta. - Affermò alzando le braccia verso di me zittendomi sicura che avrei preso la parola non riuscendo mai a trovare un punto nella mia tremenda parlantina - So bene cosa stai per dirmi è il nostro insegnante, rispetto a me forse è un vecchietto, ma sono tutte cose che sapevo dal momento in cui ho deciso di buttarmi a capofitto in questa storia. - Continuò sorridendo entusiasta e consapevole  in cosa stesse andando incontro, o almeno lei credeva di esserlo - Mi piace Cryistine, non farmi la morale. Ho bisogno della mia amica - Sussurrò prendendo le mie mani stringendole mentre il suo sorriso cercava di entusiasmare anche me >
 
< é una falsa > Ingoiai quel boccone amaro bloccato in gola che facendomi tremare le labbra mi impediva di parlare.        
                                                                                                            
Senza ripensamenti o dubbi, gettai la bomba incurante del fatto che il suo effetto sarebbe stato devastante e che molto probabilmente ci sarebbero stati più morti che feriti.
 
I suoi occhi dapprima sinonimi di speranza e imploranti nel chiedere un minimo di comprensione, quasi certi che sarebbero scattati di allegria ottenendo il mio appoggio, si spensero, perchè quella che lei riteneva conoscere in ogni gesto si era appena presentata come un'estranea.
 
E mi odiai.
 
Ripresi a parlare prima che perdessi la forza di farlo.
 
< Tutto quello che tu credi sia vero da parte sua in realtà è una falsa. - Affermai con fermezza, certa che questa stessa sicurezza che lasciavo trapelare nelle parole senza il minimo indugio era la stessa che dettava l'ira nei suoi occhi - Odio essere lo scalpello che sta distruggendo tutto questo, ma ti prego non vederlo mai più. Tutto ciò che sta facendo lo fa solo per farmi una ripicca perchè accusa mia madre di essere la causa scatenante dell'abbandono del padre. >
 
< Sei invidiosa > Proruppe abbozzando una smorfia contrariosa, inclinando la testa sdegnata. simulando un'aria consenziente di ciò che le stava capitando.
                                                           
Sorrise di dolore nel constatare quanto fosse stata stupida  nell'essersi corrotta in mille sensi di colpa inutili per aver dubitato che la sua migliore amica potesse essere invidiosa di quell'unico briciolo di felicità che le apparteneva. In realtà solo adesso capiva che quest'ultimo non avevano motivo di sussistere, dato che la verità, quella che lei aveva cercato di eliminare si era appena ritorta contro lei  stessa.
 
Dilatai gli occhi.
 
< No. No-n è cosi  > Risposi sconvolta dalla cattiveria che le vidi apparire negli occhi.
Il suo sguardo furioso non era molto interessato ad ascoltarmi tanto che, mi concesse di pronunciare solo quelle quattro parole per poi svanire di fronte ai miei occhi, allontanandosi da me a passo svelto.
 
Mi sentii svuotata.

 
 
****



ORE 21.00
 
Trovarla in quel cumulo di gente fu difficile quanto facile, il problema più grande non era individuare tra quei mille volti i lineamenti di Caryin che ormai avevo memorizzato nella mente, dato che l'abitudine mi aveva portato a scrutarla con ammirazione svariate volte ma accettare l'ipotesi che quella stessa persona che pensavo di conoscere era cambiata in sole poche ore.

Una ragazza timida e quasi diffidente con persone la cui età era un abisso, si era appena tramutata in una donnetta da quattro soldi circondata da spavaldi ricconi.

 
Prendendo spunto dalle espressioni che abbozzavano, la vidi guardare con estrema attenzione i suoi interlocutori per poi copiarne i gesti e i sorrisi, riuscendo così a confondersi in quella mischia di snob che pensavano di aver creato una sorta di club privato, seduti in quei divanetti appartati, ridendo e giudicando dall'alto al basso chiunque fosse nei paraggi.
 
Sospirai.
 
Mi avvicinai a loro.
 
E istintivamente al mio gesto di compiere diversi passi nella loro direzione, spostarono la loro attenzione dalle loro chiacchiere superflue a me.  
                                                                 
Presero a studiarmi e a scrutarmi nei minimi dettagli, quasi allibiti che avessi appena varcato la soglia massima consentita dai loro occhi, che prontamente si dilatarono sconvolti, quasi avessi appena confuso una Louis Vuitton con una Gucci.
 
Tutti mi fissavano allarmati dallo stesso motivo, tutti tranne lei che condivideva con me uno sguardo differente, il suo viso non era allarmato perchè la mia postura non era tipica di una che amava attirare l'attenzione, ma perchè in fondo anche lei, anche se si ostinava a nasconderlo con orgoglio, odiava farsi vedere in compagnia di persone che noi ci dilettavamo ad imitarne parole e movimenti.
 
Passò nervosamente una mano tra i capelli alzandosi e cambiò il movimento dei miei passi che invertirono la traiettoria seguendola fino al bancone degli alcolici.
 
Il suo viso era contratto in un'espressione decisamente affranta che si ostinava a mostrare i suoi lineamenti tesi come una corda di violino che non può che essere perfettamente dritta senza la minima imperfezione, lei era così, obbligava il suo volto a sostare in una posa che non le apparteneva per quanto fosse rigida.
 
< Mi dispiace. - Sussurrai prendendo posto accanto a lei, che simulava indifferenza sorseggiando la vodka con Red Bull - Essere invidiosa, non lo ero prima e non lo sono neanche adesso, voglio solo proteggerti da lui e da quelli che lui reputa brave persone da farti frequentare. - Continuai con tono  sincero ma nello stesso tempo provato, sorridendo amaramente. >
 
< Voglio capirlo da sola. Mi piace davvero. > Sussurrò trattenendo le lacrime.
Annui silenziosamente.
 
< E se un giorno capissi che avevo ragione > Sibilai tenendo gli occhi verso il basso, troppi fifoni per trovare il coraggio davanti un'affermazione simile ad una constatazione speranzosa, piuttosto che una domanda.
 
< Non tornerò nei miei passi. - Dichiarò- Sai quanto è difficile per me ammettere che gli altri avevano ragione ed io torto - Continuò ricambiando con la stessa intensità e difficoltà il mio sguardo con una strana consapevolezza dipinta sul viso che lasciava intuire una sorta di rassegnazione di fronte ad una situazione che non poteva cambiare.  >
 
Entrambi eravamo abbastanza coscienti di quale fosse il  vero significato di quella breve discussione, era una sorta di arrivederci, una pausa al nostro rapporto, almeno questo fino a quando lei stessa non sarebbe impacciata nell'immagine che lei stessa aveva costruito sopra di lui.
 
Sospirai, sentendo una mano tremare mentre la sfregavo tra i miei capelli e gli occhi inumidirsi, quasi incapaci di trattenersi dal lasciarsi andare ad un pianto liberatorio.
                   
Uno strano nodo alla gola si dilettava nel rendere tremolanti le mie labbra spronandole ad urlare piangendo.
 
Rimasi in silenzio.
 
Mi conoscevo.
 
Sapevo che se avessi detto una qualsiasi cosa non sarei più riuscita a contenere quel grande vagone e sperai che anche lei imitasse il mio stesso silenzio, perchè anche in quel caso la mia debolezza avrebbe preso il soppravvento mostrando in realtà il mio vero volto.
 
Mi voltai.
 
E nel gesto di farlo era visibile la poca sicurezza che dettava i miei gesti, ogni singola cosa in quel momento, poteva rivoltare l'intera situazione, l'unico problema era capire chi sarebbe stato a compiere il passo decisivo.
 
Camminai.
 
Entrambe eravamo orgogliose ma questo lo sapevamo molto bene, come eravamo coscienti che nessuno avrebbe fermato l'altra costringendola a fare un passo indietro.
 
Qualche metro più avanti, lontano da lei e vicina alla porta d'uscita una voce mi destò dai miei passi lenti e vuoti.

< Vuole brindare insieme a me? > Propose con tono sarcastico e molto probabilmente già parecchio brillo e immaginai di vederlo accennare un sorriso laterale mentre i suoi occhi si fingevano sbalorditi ed estranei al contesto.
 
Impulsivamente, mi bloccai su quell'ultimo gradino che dettava la mia libertà, la libertà di poter riporre quella maschera ipocrita che avevo adoperato e quello che mi aveva frenato dal porci fine era stata la sua cattiveria gratuita nascosta dietro una falsa proposta. 
 
Un'affermazione che non si precludeva la possibilità di infierire.
 
Strinsi i denti mentre percepivo la rabbia annebbiarmi la mente e prendere il totale controllo del mio corpo che in uno scatto fulmineo si voltò verso la sua direzione,  percorrendo quei brevi passi che mi dividevano da lui.
 
Un bicchiere di bourbon.
 
La mia mente era completamente accecata da quell'immagine.
 
Il desiderio infrenabile di vendere la mia anima all'ira afferrando quel pezzo di vetro gettandogli in pieno volto il contenuto era più grande della consapevolezza che la razionalità, anche se qualche metro indietro mi seguiva passo passo.
 
Sentii le unghie conficcarsi nella carne quando le strinsi con forza contro il palmo, cercando in quel gesto masochista un modo per calmarmi.
 
Presi la direzione opposta, nonostante il mio istinto unito alla rabbia mi urlava di conficcare i miei  artigli nella sua carne, diventando io stessa quel leone di cui ero caduta vittima stamani solo per il piacere di fargli sentire cosa si prova nel vedere il proprio mondo crollare pezzo per pezzo, senza avere la possibilità di rimetterli a posto perchè il contatto con la terra li aveva ridotti a piccoli frammenti.
 
Sbattei la porta di entrata con forza, percependo quasi la nube sopra di me svanire di fronte a quel tocco d'aria fresca che prontamente mi risvegliò.
 
Ma il rumore della stessa porta aprirsi e poi richiudersi con calma apparente dietro le mie spalle, mi costrinse ad allontanare quel breve momento di tranquillità che mi aveva percorso il corpo.
 
Non feci tempo a voltarmi che colui, che aveva imitato il mio gesto uscendo da quel locale superandomi.
 
Lo riconobbi subito.
 
La sua camminata altezzosa, poco semplice per essere quella di un normale essere umano mi irritò al punto di sentire il mio corpo vibrare in  preda agli spasmi nervosi.
 
< Sono diventata quella che se la spassa con l'insegnante, ho perso la mia migliore amica - imprecai con tono amaro trattenendo i miei occhi dal lasciarsi andare ad un pianto liberatorio quando percepii quest'ultimi inumidirsi - Mi dica ha in serbo, qualche altra mossa? - Continuai velenosa e ascoltando la domanda posta si voltò verso di me. > 
 
Portò entrambe le mani dentro le tasche dei suoi pantaloni abbozzando uno sguardo imprecatorio contro di me e la strada che fissava svogliato, simulando l'aria di uno spazientito che si forzava di ascoltare, quando lanciando uno sguardo dietro di me, colse un dettaglio che gli fece tornare quel sorrisetto laterale che lo spinse a prendere la parola.
 
Lo fissai stranita.
 
Persi anche se per poco, quei piccoli dettagli che erano uno sguardo arrossato e occhi accusatori che lasciavano intravedere la mia ira nel semplice gesto di guardarlo.
 
Provai una sorta di curiosità di fronte alla sua innata facilità con la quale riusciva a dominare il suo umore e cambiare le sue espressioni costantemente senza riscontrare la minima difficoltà ma soprattutto indifferente a chiunque lo circondasse.
 
Nel movimento di voltarmi fui frenata dalle sue parole che mi costrinsero a riportare lo sguardo su di lui.
 
< Festeggiare insieme a lei > Presenziò con arroganza.
 
Dilatai gli occhi confusa.
 
In un gesto inaspettato quanto irruento fece seguire alle parole appena pronunciate i fatti, i miei occhi non poterono che dilatarsi impulsivamente, quando stese la sua mano in direzione sul mio viso,e senza rendermene conto la sentii premere contro la mia nuca che spinse violentemente verso di se.

Quella stessa mano che mi stava obbligando a sostare tra la sua spalla e il collo, improvvisamente rafforzò la presa, consapevole che avessi fatto pressione per allontanarla nel momento in cui percepii le sue labbra appoggiate sul mio collo.

 
A differenza dei suoi timori non riuscii a svincolarmi dal suo braccio, non perchè non possedevo quella minima forza per respingerlo ma perchè la mia testa e il mio corpo erano talmente assenti da rendermi incapace di muovere anche un singolo muscolo.
 
Fu quando sentii le sue labbra succhiare un lembo della mia pelle che i miei occhi attoniti e quasi privi di vita acquisirono la ragione, quella stessa sensazione che mi spinse ad accanirmi contro il suo corpo che spinsi senza il minimo sforzo ansimando, e in contemporanea al suo sguardo colpevole e compiaciuto la mia mano si posò sulla parte lesa.
 
I suoi occhi catturarono ogni singolo lineamento del mio viso che lentamente perdevano la loro armonia, e fu quando colse il mio gesto istintivo della mia mano che mi scrutò con particolare interesse.
 
Riportò i suoi occhi a fissare quello stesso punto dietro di me che qualche minuto prima aveva studiato nei minimi dettagli.
 
Anche se l'istinto mi stava urlando di fuggire da quella situazione senza voltarmi indietro, feci il contrario di ciò che la mia voce interiore mi stava urlando, perchè speravo di riuscire a prendermi una sorta di rivincita contro quella vocina insistente, dimostrandole che anche lei poteva sbagliare.
 
Mi voltai.
 
Aveva vinto.
 
Come tutte le altre volte in cui avevo provato a contraddirla e lei prontamente mi aveva smentito, dimostrandomi quanto sbagliato fosse non ascoltare il proprio istinto interiore.
 
Percepii il mio cuore cessare di battere.
 
Anche se questo solo in senso letterale, dentro di me sentii qualcosa di profondo morire o forse era soltanto quello che la mia mente mi spingeva a credere quando realizzai che ciò che avevo di fronte a me non era un semplice miraggio, quelle lacrime che scorrevano lungo il suo viso erano veritiere tanto quanto la mia voglia di soccombere per fuggire da quella situazione.
 
Cos'era quel suo sghignazzare dietro le mie spalle.
 
E udendo il suono del suo sorriso corrompersi in una smorfia di piacere, sperai che gli occhi di Caryin di fronte a me, smettessero di trattarmi come la cosa più ripugnante che casualmente la sua innocenza l'aveva condotta a fissare, cosicché  il suo sguardo potesse catturare quell’'espressione dietro di me che tradiva a pieno la sua finta aria da indifferente al contesto.
 
Non lo fece.
 
Perchè in fondo, in quel contesto travisato lui era e rimaneva comunque un estraneo mentre io ero pur sempre la sua migliore amica o almeno lo ero fino a qualche ora prima, ai suoi occhi intrisi di odio non sussisteva nessun tipo di scusante o spiegazione che potesse dare un'alternativa a quella situazione sbagliata, io ero l'unica da odiare, lui era il perfetto stronzo dalla quale molto probabilmente lei sarebbe ritornata.
 
< Caryi.. > Sussurrai in modo flebile.


 
SPAZIO AUTORE
 
Eccomi qui circa dopo un secolo… che fatica -.- ma spero sia ricompensata con le vostre opinioni. Penso che sia molto lungo questo capitolo rispetto ai precedenti anche perché ci sono diversi dialoghi e diversi momenti che spero diano un quadro completo della situazione. :P
Ammetto di avervi parecchio confuso con il personaggio di Josh che cambia umore peggio di una donna, ma quello che volevo trasmettere è la sua insicurezza riguarda l’intero contesto, ma questo verrà fuori più avanti.
Ringrazio chi ha messo la mia storia tra le diverse categorie, chi l’ha letta e commentata.
Vi lascio come sempre il link per accedere al gruppo. UN bacio

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Il leone e l'agnello ***


Il leone e l'agnello








 
 
< Caryn... > Sussurrai in modo flebile.

Panico.

Il cuore palpitava veloce quasi avessi appena terminato una lunga corsa, la sensazione che l'oscurità avesse offuscato la mia mente rendendo tutto particolarmente confuso, contribuì a rendere più chiara la debolezza delle mie gambe, convincendomi così di averne perso la sensibilità.

Labbra tremolanti che tentavano di nascondersi dietro una mano che istintivamente corse a mimetizzare quel gesto istintivo dettato dallo shock ma i suoi occhi traditori, contraddicevano a pieno quello che la sua mano tentava di fare, nascondere il dolore, perchè anche essi come il cuore non possedevano una loro razionalità, erano le emozioni a dettarne le loro azioni.

Ero Bloccata in una visione  in cui tutto ciò che mi circondava era soltanto una marea di gente che affievoliva, lasciando sussurri poco gentili sul mio conto sovrastati da altrettanti sussurri che mi deridevano.

Quelle stesse voci che erano riuscite a tramutare il mio stato emotivo rendendolo traballante e insicuro come un ciclista principiante che perde il proprio equilibrio .

Feci un passo avanti verso di lei.

Un gesto che Caryn valutò sbagliato.

Corse via spingendo quella poca gente che avevano assunto il ruolo di telespettatori, che propensi a cogliere ogni minimo particolare di quel momento imbarazzante, ci chiusero a cerchio.

Mentre nelle loro menti, avidi di scoprire come sarebbe uscita la protagonista da questa umiliazione, ringraziavano quella santa creatura del cielo per averli graziati dal non aver vissuto quel ruolo scomodo.

La mia gamba che istintivamente si era mossa verso di lei arretrò codardamente nascondendosi dietro l'altra, dando così vita al mio desiderio di poter trovare anche io un rifugio sicuro.

Restai immobile;

Frenata dall'evidenza, dalla consapevolezza che un passato di cui ignoravo l'esistenza aveva appena fatto sorgere dei paletti nella mia vita.

< È... soddisfat-to? > Sussurrai percependo le mie labbra vibrare.

Era più un'affermazione detta a me stessa piuttosto che una domanda retorica di cui già conoscevo la risposta. No, perchè il suo senso di rivendicare quell'infanzia rubata era insaziabile, niente e nessuno gli avrebbe fatto allentare la presa su quella che era la sua possibilità di dar senso al dolore che lui da bambino aveva vissuto.

Il suo piano di infelicità peccava di un difetto, gli anni di dolore gli avevano dato la legittimità di definirsi vittima del percorso dei nostri genitori, ma anche io come lui ero vittima di una situazione di cui non mi è stato possibile tramutare gli eventi.

Adesso capivo.

La mia unica colpa era quella di essere figlia di una donna che aveva sconvolto indirettamente un'altra vita.

Il mio volto divenne l'esatta espressione della rabbia.

< È SODDISFATTO? > Sbraitai voltandomi verso di lui e non mi vergognai dell'istintività del mio corpo che reagiva al dolore mostrando delle lacrime, tantomeno prestai attenzione alle mie dita infilzate nella pelle per quanto fosse tanta la prestanza con le quale le stringevo ai palmi.

< È la vita Crhistine. Bene e male, guerra e pace. é continuo conflitto a cui lei non può porre fine > Sentenziò con arroganza, quasi come se questo processo naturale indotto dalle sue azioni fosse  qualcosa che non poteva essere evitato, incolpando la natura di qualcosa che invece era stata scaturita dai suoi stratagemmi.

Con l'amarezza dipinta sul volto, dipesa dal suo modo naturale di interpretare l'esperienza maestra di vita piuttosto che dalle sue perle di saggezza, sorrisi basita.

Le sue parole mi indussero al masochismo, strinsi fino a farmi male i polpastrelli delle mie dita contro il palmo.

Quella stessa mano che in un gesto istintivo prese a fuoco quando entrò in contatto con la sua guancia.

< Questo invece è il dolore. Lo sente? Anche a questo non c'è nessun rimedio  > Sussurrai stringendo i denti scontrandomi con i suoi occhi che fissai cercando un minimo di umanità.

Non gli concessi la possibilità di mostrarmela perchè delusa mi voltai.

E in  quel secondo per lui fui una fonte di stupore, anche se io preferivo definire quel momento come qualcosa dettata dall'istigazione perchè quando si gioca con il fuoco si finisce sempre per scottarsi.

Il mio gesto fu un fulmine a ciel sereno, una bevanda piena di schifezze dopo una sbornia o un improvviso risveglio dopo un incubo. I suoi occhi dapprima persi in qualche dimensione sconosciuta, nella quale si erano rifugiati imponendosi così di non vedere ciò che la sua mente l'aveva indotto a compiere  quella sera, si ritrovarono nuovamente su quel corpo di cui lui aveva tentato di fuggire.

Con una violenza quasi non programmata, prevista mi afferrò per un braccio incitandomi a guardarlo o addirittura schiaffeggiarlo per la seconda volta.

< Non vorrà picchiarla? > Era questo, quello che i presenti si domandavano e avevano sussurrato involontariamente, temendo perfino di aver  buttato benzina sull'ira del soggetto qui presente, quando capirono che quello era proprio il momento di tacere.

In tutto quel trambusto, non mi ero accorta che Marcel era in quel locale o comunque nelle vicinanze e che adesso aveva afferrato Josh incitandolo a lasciarmi andare.

< Josh. Josh! Lasciala andare! >

La voce di Marcel trasformò il suo volto rabbioso in uno lucido, una lucidità un po’ anomala per certi versi, le sue labbra erano contratte in un sorriso maligno, che rendevano quella chiarezza come quella di un folle che era stato appena preda di un attacco di fantasia cattiva.

Nonostante Marcel lo stesse trattenendo per le spalle impedendogli di compiere anche un solo passo in più verso di me, che in quel secondo ero per la gente un agnello che stava per essere sbranato dal leone inferocito, riuscì a chinare il viso a pochi centimetri dal mio orecchio, e nel gesto di aprire la bocca per parlare, il suo sorriso si colorò di cattiveria.

< È solo l'inizio. L'inizio di qualcosa da cui lei non può scappare. Si carichi di pazienza perchè alla fine del romanzo mancano ancora molte pagine. > Sussurrò con goduria Josh per poi arretrare con la testa non distogliendo lo sguardo da me neanche per un secondo.

Non voleva perdersi neanche il minimo cambiamento nel mio viso di marmo, aspettava pazientemente anche la più piccola delle variazioni per rinfacciarmelo con un sorriso ancora più ampio.

La mia volontà di rimanere impassibile era più grande di riempire il suo ego smisurato.

Lasciò la presa sul mio braccio per poi sistemarsi la giacca, dimostrando quasi di essere quel tipo di persona che è il primo ad andarsene senza mai scomporsi un minimo.

La folla in modo sistematico, creò una sorta di passaggio, lasciando che i suoi passi rimbombassero mentre si allontanava, ed essa tornava a circondarci.

Io a differenza sua, non avevo bisogno che la folla si aprisse per me lasciandomi fuggire da quel contesto imbarazzante, sorpassai ogni singola persona a testa alta, in fondo potevo permettermelo, perchè anche se l'opinione della gente era differente rispetto a quella che io mi ero fatta di me stessa, avrei continuato ad andare avanti, perchè l'importante era stare bene con me stessa.

Io ero l'unica che dovevo accettare me stessa, non bisognavo del permesso di nessuno.

A diversi metri, lontana da tutta quella massa di persone, una voce, quella di Marcel mi riportò in quella confusione e nonostante cercai di ignorarla continuando a camminare, lui non destò dal suo intento che mi afferrò per un braccio.

< Aspetta > Affermò stanco dopo una breve corsa per raggiungermi, incitandomi  con la sua mano a voltarmi verso di lui, proposta che rifiutai ostinandomi a dargli le spalle.

< Sta bene? > Continuò con tono pacato.

Fu quella frase, quella domanda molto probabilmente poco sincera, ma che sembrava l'unica che mi avesse toccato nell'animo, perchè era l'unica cosa che volevo sentirmi dire, fu questa a  spingermi ad ascoltare il suo invito a guardarlo in viso.

Stavo bene?

Era questo, quello che volevo, che qualcuno si accorgesse di me.

< Che succede, ha smesso di scodinzolare per Josh > Risposi in modo sarcastico, inarcando gli occhi verso l'alto mentre assumevo un'aria quasi derisa, divertita dal mio modo del tutto spontaneo con il quale mi prendevo gioco di lui, anche se in realtà lui era estraneo a quel contesto.

Sorrise altrettanto divertito.

< In questa vita non ho mai scodinzolato semmai ho tenuto il guinzaglio. > Mi contraddisse simulando con i lineamenti del suo volto la sicurezza e il piacere che provava ripetendo a voce alta il ruolo che assumeva nella vita, come se lui avesse bisogno di ripeterselo per non perdere mai la strada.

Fu quando arrivai a casa, chiusa nella mia stanza, nel buio più totale che mi sentii libera di buttare la maschera e iniziare a respirare.   
                      
Mi appoggiai alla porta, accasciandomi ad essa, lasciando che le lacrime uscissero fuori senza temere di essere giudicate.

Solo quando mi concessi una pausa da quell'estenuante pianto che riuscii a concretizzare una sensazione di dolore sulla mia pelle a cui prima non prestai attenzione.  
                                                                                               
 Portai gli occhi dove il dolore bruciava e sorrisi mentre le mie lacrime contraddicevano la bellezza di questa smorfia sulle mie labbra quando notai del sangue sul palmo della mia mano. Per tutta la sera non mi ero accorta che la rabbia si era ripercossa su me stessa.

*****



Il nuovo giorno era trascorso molto velocemente, percossi svariate svolte gli stessi metri che mi conducevano ad un piccolo supermarket sempre aperto e che in quella stessa giornata ne avevo ammirato le sue leccornie.

Il sole era tramontato da qualche ora, avevo deciso di recarmi per l'ultima volta in quel negozio per fare il mio ultimo rifornimento.

Mi guardavo intorno mentre la commessa rideva ascoltando le mie divertenti lamentele sulle marche strane riportate nelle confezioni, che lei stava passando nel battitore.

Accadde tutto in un attimo.

Quell'attimo in cui i miei occhi per pura coincidenza incrociarono gli occhi di colei che mi stava di fronte, che aveva smesso di ridere per la mia pessima battutaccia quando dietro di me catturò qualcosa che nei suoi occhi si tradusse in terrore.

Mi voltai, o almeno  provai a farlo.

Un braccio violento con uno strano tatuaggio disegnato mi si materializzò di fronte al  viso mentre la sua mano impugnava un coltello a pochissimi millimetri dal mio collo.

 Il mio cuore subì un duro colpo ma fu quando il mio respiro affannoso mi costrinse  a percepire la consistenza di quella lama sulla mia pelle che mi convinsi di non riuscire a farcela.

< I soldi bella signorina > Sghignazzò l'uomo dietro di me, nella quale le mie esili spalle erano state costrette a ritrovare rifugio in corpo che mi teneva prigioniera al confine di una lama assottigliata che riduceva al minimo le possibilità di fuga da quell'incubo.

Rise incattivito.

Questa voce ben presto sarebbe diventata un’eco fastidiosa, un ronzio ripetuto nella mia mente come un cd inceppato, una sveglia che mi avrebbe svegliato ogni ora della notte.

Il cuore batteva veloce, le gambe tremavano, paralizzata dalla paura concentrai la mia attenzione sulla ragazza che con fare confuso aveva perso la presa su quella bottiglietta di vetro che  passata sul battitore di cassa, frantumandosi contro il pavimento, facendola sussultare sul posto mentre terrorizzata apriva la cassa e estraeva il contante appoggiandolo sul bancone.

Alla vista di quei soldi, lui non poté che ridere estasiato al pensiero di uscire da quella porta con una somma di denaro equivalente a più che un mese di paga, sicuro di averci lasciato così tanto terrore negli occhi  al punto da indurci a identificarci come cieche e sorde di un momento di cui noi non saremmo mai riuscite a parlarne.

< Stasera potremmo divertici?! > Sussurrò con malizia, lasciando intuire il significato che aveva appropriato ad una parola come divertimento con molteplici modi di interpretazione, scoppiando dopodiché in una fragorosa risata, lasciando così che il suo alito intriso di alcol mi risvegliasse da quello stato di paralisi in cui ero caduta.

Mossa dal pensiero che il bivio non mi era mai piaciuto, che tra una serata in sua compagnia e la possibilità di diventare apatica provando cosa significasse sentire un coltello conficcato nella pelle avrei scelto la seconda, scalciai all'indietro centrando il punto debole di ogni uomo.

Un gesto inaspettato il mio, che nella sua natura umana lo costrinse a deviare la sua attenzione sul dolore scaraventandomi a terra per poi piegarsi istintivamente su se stesso arretrando di diversi passi.

Quando il dolore sembrò essere alleviato, cercò con difficoltà di tornare ad una posizione quasi dritta imprecando contro di me, spostò i suoi occhi da un lato all'altro, scoprii subito cosa cercava e per un momento persi il coraggio, rimanendo immobile su quel punto invece di prendere spunto della ragazza che si era volatilizzata cogliendo l'attimo.

Accadde tutto velocemente.

Afferrò bruscamente una bottiglia di birra, appoggiata casualmente in uno scafale a pochi passi da lui, lasciata da qualche cliente che nel dubbio della scelta l'aveva lasciata lì, e il sorriso maligno che aleggiava sul suo viso  rendeva chiare le sue intenzioni.

L'attimo prima di chiudere gli occhi, l'unica immagine che catturai fu quella di una bottiglia in direzione sul mio viso di cui non vidi lo schianto giacché prontamente chiusi con forza gli occhi.

Sentii perfettamente il suono del vetro andare in frantumi ma la cosa che mi lasciò stupita fu che quello stesso suono non si ripercosse sul mio corpo come avevo immaginato, non percepii neanche le schegge di vetro sulla mia pelle dovuto allo schianto, fu questa sorpresa che mi incoraggiò ad aprire gli occhi con lentezza e preoccupazione.

Ma di quell'orso pauroso era rimasto soltanto un uomo svenuto per terra circondato dal vetro.

Sospirai, sentendomi sollevata e percependo il mio cuore diminuire la velocità con la quale aveva iniziato una lunga corsa.

Inizialmente rimasi indifferente al motivo o alla cosa che l'aveva steso, quando alzando gli occhi incontrai quelli intriganti di Marcel e in quel secondo, fui curiosa perfino di quanto fosse doppia la consistenza del ghiaccio nel polo nord.

 < Se non sei in grado di trasformarti in qualche super eroina ricordarti di non attaccare mai un uomo nel suo punto debole > Asserì Marcel con naturalezza con entrambe le mani poste ai lati dei suoi fianchi e lo sguardo sfaticato come se stendere un uomo di quella portata fosse stata un'impresa ardua. Quello che doveva essere interpretato come un rimprovero lo vidi come una lezione di vita.

Appoggiai la mia schiena gettando un respiro di sollievo.

Lo vidi prendere il telefono e digitare probabilmente il numero di soccorso, ma non prestai attenzione alla sua chiamata tanto meno alle sue parole, socchiusi gli occhi e mi concessi un attimo per ristabilire la respirazione.

Li aprii subito dopo che la sua voce fu tanto vicina da mettermi in allerta.

< Vieni. Ti aiuto ad alzarti > Il suo fu quasi un sussurro accompagnato dal gesto caloroso di pormi una mano.

Guardai i suoi occhi.

Guardai la sua mano e senza indugio l'afferrai, gesto che mi slanciò verso di lui, quando con uno scatto veloce mi fece scontrare con la sua camicia.    

Sembrava l'immagine di un abbraccio, qualcosa di cui non esistevano  i presupposti per essere considerato tale ma che io avevo necessariamente bisogno per sentirmi meno sola.

Era la consolazione che cercavo, anche se dall'uomo sbagliato, poteva anche trattarsi di un estraneo nulla cambiava il mio bisogno estremo di affetto.

< Stai tremando > Sussurrò lui stupefatto, quando il suo gesto di aiutarmi divenne il rifugio perfetto in grado di garantirmi la sicurezza di cui avevo bisogno, anche se si trattava di qualche secondo mentre per lui, rappresentava la scoperta della mia paura.

La sua voce era calma, pacata, come quella di ogni essere umano, nulla lo riconduceva dall'essere il segugio di Jonathan, sembrava avesse quel qualcosa che lo differenziava da lui, il cuore, ma anche questa poteva trattarsi di una meschina apparenza.

Sussultai spaventata quando staccandomi da lui, apparvero dalla porta quattro uomini armati mentre uno di questi prendeva  subito la parola.

< State bene? > Chiese con sincera preoccupazione facendo un cenno ai suoi colleghi per prendere il malvivente stordito nel pavimento.

< Sì. Tutto bene, se non ci sono problemi vorrei accompagnare la ragazza a casa. > Rispose prontamente Marcel non lasciando la presa sul mio fianco, quasi avesse paura che fossi svenuta da un momento all'altro oppure solo perchè mostrare la sua indole dolce era qualcosa che non poteva prevedere nè tantomeno gestire.

Con un lieve cenno della testa ci lasciò uscire dalla scena del crimine, con l'unica clausola di lasciare il mio numero di telefono a loro disposizione, affinché lasciassi  una deposizione una volta ripresa dallo shock.

Fortunatamente i metri che mi distanziavano da casa erano davvero pochi, il tragitto fu breve e intriso di silenzio.
Dopo avermi aperto la portiera e invitata ad accomodarmi, nessuno dei due aprì bocca, forse stava semplicemente assecondando la mia poca volontà di parlare o meglio ancora aveva esaudito il mio desiderio di comprensione.

Solo quando le luci della sua macchina illuminarono il mio vialetto rischiarato da un solo palo che tentava di resistere alla concorrenza delle villette accanto che mi resi conto di essere arrivata a casa.

Accostò  solo qualche metro lontano.

< Grazie > Sussurrai aprendo la portiera pronta per scappare via. Mi costava dirlo.

Una portiera che rimase semichiusa quando il suo braccio mi frenò dal mettere un piede fuori, costringendomi con lentezza ad alzare lo sguardo verso di lui, sguardo colorato dall'imbarazzo dovuto non solo all'umiltà della parola che avevo adoperato ma dalla sua innata capacità di rendermi ai suoi occhi piccola come un chicco d'uva ancora troppo acerbo per essere guardata dagli occhi di un adulto.

Era così che mi sentivo, come la più piccola delle cose, guardata dall'alto verso il basso non per una questione di superiorità ma per il mio semplice complesso di sentirmi in soggezione dallo sguardo di un uomo.

Ed era strano, in un contesto assurdo avevo riconosciuto che lui ai miei occhi era un uomo.

Per quanto paurosa potesse essere come consapevolezza ne ero attratta.
Lui mi guardava stranito e stupito nello stesso modo.

Dalla tasca dei suoi pantaloni tirò fuori un bigliettino di visita che si affrettò a passarmi lasciando la presa su di me.

Guardai dapprima basita il biglietto e poi lui che mi guardava altrettanto incuriosito dalle mie espressioni che a quanto pare non combaciavano con la reazione sperata.

 < Agenz-ia Pompe... - Tossicchiai e non riuscendo a leggere il resto del nome decisi di sorvolare arrivando dritta al punto - Non ho intenzione di suicidarmi se è quello che crede >  Precisai con un non so che di rassicurazione nella mia voce.

Le sue pupille si ingrandirono e le sue labbra si lasciarono andare a una risata divertita.

< Scusa ho sbagliato. > Bisbigliò

Involontariamente mi lasciai contagiare da quel sorriso che le mie labbra ne imitarono il gesto.

< Almeno sono riuscito a farti scappare un sorriso > Vantò silenziosamente.
Non mi lasciò il tempo di ribattere o smentire che continuò a parlare.

< Qui c'è il numero del mio ufficio e del mio cellulare, puoi chiamarmi. Se ti va  > Mi chiarii indicandomi i rispettivi numeri riportati in quel pezzo di cartoncino, accennando ad un sorriso quando precisò la mia libertà nel volerlo chiamare o meno.

Non risposi tanto meno diedi cenno della mia volontà di volerlo fare, dentro di me sapevo che quel numero sarebbe rimasto posto in qualche cassetto della mia scrivania. Chissà, forse sarei riuscita ad usarlo a mio piacimento, a renderlo la pedina perfetta di un gioco che si sarebbe ripercosso su Jordan, diventando così la perfetta copia di una vita vendicativa o forse sarei stata l'unica a rimetterci.







SPAZIO AUTORE.



Inizio col dirvi che mi dispiace veramente tanto per questo ritardo, tra i vari impegni e la perdita di fantasia sono riuscita solo adesso ha trovare un pò di tempo per continuare.
Che dire? L'idea era quella di far passare Josh per un pazzo XD Spero di essere riuscita nell'intento, nel frattempo c'è chi si diverte a fare il doppio gioco ma tutto verrà spiegato a tempo debito no?
Ringrazio i fanciulli e le fanciulle ù.ù che hanno avuto la cortesia di aspettarmi e che sono arrivate fin qui.
Per i nuovi lettori lascio qui sotto il link per accedere al gruppo su face!
Grazie ancora, al prossimo capitolo >.<

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** In perfetto stile burlesque ***


In perfetto stile burlesque









 
Il salone centrale era completamente affollato da ragazzi e professori che si erano sbizzarriti nella scelta dell'abito più adeguato ad una serata il cui tema principale era il burlesque.                                                                                                                                 
Anche se l'ambiente era abbastanza loquace e urlava alla pura bellezza, che molteplici ragazze erano riuscite a evidenziare con abitini succinti e un trucco che nella propria raffinatezza, fomentava alla naturalezza di se stesse, risultava comunque pericoloso gironzolare tra quelle vie traboccanti di uomini i cui ormoni stavano per dare in escandescenza.

Sussultai quando le sue dita affusolate entrarono in contatto con le mie, così piccole e minute a differenza delle sue che erano possenti e sicuri come quelle di un uomo di 30 anni che era lui.

Con fare timido mi voltai verso di lui, trovandomelo a diversi centimetri dal mio viso che contraddiceva il mio imbarazzo, smorzandolo con le sue labbra che riassumevano quella che era la sua sicurezza interiore.

Premendo leggermente sulla mia mano  mi invitò a seguirlo in quel cumulo di occhi che impulsivamente  al suo pensiero, avevano smesso di guardarsi e sorridere tra di loro. Lo scalpitio dei nostri passi aveva attirato la loro attenzione, quando di propria volontà o per semplice caso istigato dal destino la mia folle corsa si stoppò.

Era la scena di una guerra di trincea.

Ognuno posto al lato opposto dell'altro.
 


 
12 ORE PRIMA
 


< Sai quanto odio essere tirata in mezzo in questo tipo di situazioni > Affermò Taylor non riuscendo a nascondere l'amarezza per la situazione che si era venuta a creare.

< Posso dire che la mia infanzia sia girata intorno a questo discorso > Confessò dispiaciuta abbassando gli occhi, come se stesse dando un assaggio amaro al passato.

< Esci con Jordan! > Esclamò entusiasta, unendo istintivamente le mani come a voler simulare con il gesto un applauso privo di rumore che però, sottolineava la grandezza della sua idea.

< Vedendoti entusiasta con un altro forse non vedrà più i tuoi consigli con occhi critici > Continuò annuendo con gli occhi stessi, dando maggiore enfasi e credibilità alla realizzazione del suo pensiero.

< Anzi ancora meglio, invitalo al ballo studentesco. Un’occasione per far tacere le voci no? >

Questa ragazza era davvero simile ad un avvocato quando si trattava di parlare o vincere una determinata causa, riusciva sempre a farti inquadrare nella sua prospettiva, risultava difficile trovare pecche o difetti nelle sue parole.

 

 
*****
 

Michelle era una semplice commessa di un piccolo minimarket di cui facevo scorta svariate volte ma nella sua estrema semplicità era un'amica di consigli.

Quello stesso minimarket in cui avevo visto passare la mia vita in un attimo, era davvero come si diceva in giro, quelli che sono gli ultimi momenti di tranquillità sono anche quelli in cui l'esame di coscienza e un assaggio di ricordi sono d'obbligo.

< Sai già con chi andrai? > Esultò lei entusiasta delle mie esperienze universitarie.

Sembrava quasi che il ballo e il ragazzo che galantemente mi avrebbe evitato di fare una pessima figura, presentandomi da sola era la domanda, quella frase incompleta che bisognava di un finale per definirsi risolta. 
                              
La risposta, d'altro canto non era così difficile da cercare; fin da bambini ci viene insegnato che la maggior parte delle volte, la risposta stessa non è così poi lontana dai nostri occhi, basta semplicemente guardare con più attenzione la domanda, perchè sarà da essa che verrà ricavata la misteriosa incognita.

Riflettendoci però, io non mi trovavo tra i banchi di scuola a risolvere un questionario allegato ad un testo, non avevo nessun punto di riferimento da cui partire. La mia sola risorsa era quella domanda, che lasciava intuire un finale inconcludente perchè il resto era semplicemente questione di coraggio.

< No. Cioè... ho in mente qualcuno, solo che... > Divagai non sapendo nemmeno io come terminare la frase.

< Tranquilla. Questione di timidezza no? Non riesci a farti invitare > Mi anticipò

< Bè... se ci metti che è un tipo losco di cui è meglio diffidare, la prospettiva cambia. Non è più questione di timidezza ma mancanza di fiducia. > Affermai più a me stessa che a lei.

L'auto convincimento non era sempre così semplice, a volte ci mettevo anche ore ad arrivare a una conclusione che soddisfacesse i miei inutili complessi mentali.

< Chi è? Lo conosco > Increspò curiosa lasciando sparpagliata la merce nel bancone, trovandosi più interessata ad ascoltare i miei drammi.

<  L'amico di un amico.  > Risposi disinteressata.

E mi sentii tanto ad un colloquio tra genitori figli o una coppia di amici quando l'altro cerca disperatamente di attirare l'attenzione lasciando il dubbio della gelosia.

< Pessimo amico > Mi corressi prontamente quando sentii l'esigenza di dare una giusta definizione al grado di parentela che legava quei due, camuffando un'espressione di consapevolezza.

Sorrise divertita ed entusiasta e io mi ritrovai a seguirla.

Lo scalpitio rumoroso di alcuni passi dietro di noi ci indusse a voltarci.

Marcel.

Era davvero lui.

Il viso di Marcel era l'espressione della curiosità mescolata alla confusione, era il volto di qualcuno stupefatto come se avesse ricevuto un regalo o una notizia inaspettata.
Ghiaccio.

Il mio viso era un blocco di ghiaccio.

Anzi, quello non era il solo, sentivo le gambe tremare come se fossi caduta nella trappola del lupo, anche se mi raccomandavo di rimanere impassibile per non destare in lui quell'ulteriore conferma, che gli permettesse di capire che parlavo di lui, non riuscivo a smorzare quella sensazione simile al panico che aveva appena deformato i miei lineamenti.

Come se le mie parole fossero state per lei quel riferimento fondamentale per intuire che quel contesto imbarazzante girava proprio intorno alla figura dietro di noi, iniziò a tossicchiare, lasciando in me paura e mille domande irrisolte: da quanto era appostato la? Aveva sentito l'intera discussione ?  
                                                                                                                                         
Se i miei dubbi fossero stati fondati, non c'era più conferma per lui del modo di agire di lei, che dai suoi comportamenti ovvi aveva permesso che lui si appropriasse di quel ruolo.

< Vado a cercare una cosa. > Improvvisò tutto d'un tratto lei.

Era alquanto palese che la sua ricerca improvvisa fosse semplicemente un diversivo per fuggire da quel contesto in cui si sentiva il terzo incomodo, quella breve risatina scomoda fu un ulteriore conferma.

Istintivamente al suo modo di parlare a rallentatore mi voltai verso di lei.

Il mio sguardo accusatorio era un chiaro rimprovero al suo pessimo tempismo e alla sua incapacità di trattenere una parlantina che aveva trovato fine al momento sbagliato.

Con un piccolo cenno della testa e un sorriso divertito, trasformò questi semplici gesti in una forma di saluto che potesse farmi sentire meno imbarazzata.

E mentre lui tornava ad occuparsi della sua spesa, fingendosi forse interessato ad essa, io cercavo stupidamente tra le parole scritte negli oggetti un consiglio, un indizio di come agire, come quando si aspetta un segno dal cielo, ecco questo era un modo po’ strano ma forse efficace.

Chissà perché, colsi tra quelle parole, quella che impulsivamente non riuscii a mettermi a freno la lingua.

Piselli invitanti.

Forse era la mia stupidità o la voglia di potermi sentire libera di fare ciò che si vuole, che trasformai quell'aggettivo " invitanti " in un verbo " invitare "

< Volevo chiederle > Iniziai abbassando gli occhi quando notai che le mie parole preludio di un invito, attirarono prontamente la sua attenzione, che smise di cercare quello che c'era nella sua lista per alzare gli occhi su di me.

La mia bocca parlava ma la mia mente in realtà  era a cercare e a realizzare trai i mille pensieri una bambola voodoo per maledire colei che mi aveva dato quel consiglio spassionato di fare l'opposto di ciò che in realtà volevo, solo per recuperare qualcosa che sicuramente era andato perso.

Il suo modo di guardarmi fu per me consapevolezza.

La sicurezza che lui sapeva già quello che stavo per chiedergli.

Le sue sopracciglia inarcate verso l'alto erano una chiara sfida a terminare quella frase, quella proposta, che ai miei occhi risultava sbagliata e pericolosa, ma che nella mia natura di seguire l'istinto a prescindere delle conseguenze, mi incitava a correre il rischio solo per la frenesia di sapere cosa mi avrebbe riservato il futuro.

Mi zittì io stessa non volevo essere per lui il premio del giorno.

< Sì cosa? > Replicò fingendo indifferenza e poca conoscenza del motivo che mi portava a sentirmi così a disagio.

< Assolutamente nulla. > Sbottai imbarazzata, agendo come se nulla fosse entrai in un circolo vizioso, iniziai a prendere e posare bottigliette di spezie piccanti senza una ragione precisa se non quella di smorzare quel contesto che mi faceva sentire impacciata.
La sensazione che i suoi occhi fossero puntanti su di me, indusse il mio corpo ad affrettarsi, aumentando la velocità con la quale la mia mano si spostava da un lato all'altro, mentre in realtà volevo ardentemente coprirmi il viso.

< Le piacciono le pietanze piccanti? > Mi domandò con naturalezza.

Mi voltai verso di lui.

< Eh?..No. Sì  > Risposi prontamente senza rifletterci più di tanto.                                                        
Vidi nella sua curiosità un modo per fuggire da quel contesto imbarazzante, quando capendo la mia incoerenza nel perdere tempo a cercare tra gli aromi piccanti qualcosa che in realtà non rientrava nei miei gusti mi ripresi negando l'evidenza, affermando l'opposto di ciò che in realtà pensavo.

Sorrise.

Un sorriso diverso.

Non capii se in realtà sorrideva per il mio modo impacciato e poco credibile di recitare su qualcosa che nella quotidianità evitavo come la peste oppure, cosa altrettanto improbabile, ero diventata quasi adorabile ai suoi occhi.

< Adesso mi sento meno solo > Ironizzò sorridendo,  portando le mani dentro le tasche dando al suo volto l'espressione delle sue parole, camuffandolo in un viso quasi buffo.
Feci di quel momento amichevole un modo per proporre quel dannato invito, ai miei occhi lui doveva prendere le sembianze di quell'occasione per riallacciare un rapporto la cui corda era quasi slegata.

< Stasera ci sarà un ballo stile burlesque, nulla di particolare in realtà. Mi chiedevo se volessi... accompagnarmi> Diretto e privo di dubbi, era questo il tono che avrei dovuto utilizzare se non fosse stato per quel sottile velo d'imbarazzo che rese la mia voce timida.
Il suo viso non fece un salto di gioia né tantomeno rimase impassibile o assunse un'aria corrucciata, era difficile da interpretare, forse perchè non lo conoscevo così abbastanza da capire al primo sguardo il significato dei cambiamenti delle sue espressioni.

< Ho sempre avuto un debole per gli eventi universitari, difatti è l'unica cosa che rimpiango > Confessò con tono confidenziale, quasi stesse svelando un segreto di se stesso lasciando intuire una stonatura di amarezza alla fine delle sue parole.

< Ad ogni  cosa c'è una buona ragione dietro. Lei avrà avuto la sua > Sussurrai con tono consolatorio.

< Magari stasera mi accenni cosa mi sono perso > Sarcasticò maliziosamente accennando ad un sorriso laterale interrompendo quei toni quasi tristi.

Mi stupii.

Ecco, lui era quel prototipo di uomo che non accettava su due piedi un invito, era quel tipo di persona pacata che preferiva dare di sé un’aria impassibile piuttosto che esternare le proprie reazioni, una persona razionale che seguiva di gran lunga la testa prima di parlare o di agire, una persona diffidente.


 
****
 

Il salone centrale era completamente affollato da ragazzi e professori che si erano sbizzarriti nella scelta dell'abito più adeguato ad una serata il cui tema principale era il burlesque.                                                                                                                                
 Anche se l'ambiente era abbastanza loquace e urlava alla pura bellezza che molteplici ragazze erano riuscite a evidenziare con abitini succinti e un trucco che nella propria raffinatezza, fomentava alla naturalezza di se stesse, risultava comunque pericoloso gironzolare tra quelle vie traboccanti di uomini i cui ormoni stavano per dare in escandescenza.

Sussultai quando le sue dita affusolate entrarono in contatto con le mie, così piccole e minute a differenza delle sue, che erano possenti e sicuri come quelle di un uomo di 30 anni che era lui.

Con fare timido mi voltai verso di lui, trovandomelo a diversi centimetri dal mio viso che contraddiceva il mio imbarazzo, smorzandolo con le sue labbra che riassumevano quella che era la sua sicurezza interiore.

Premendo leggermente sulla mia mano mi invitò a seguirlo in quel cumulo di occhi che impulsivamente al suo pensiero, avevano smesso di guardarsi e sorridere tra di loro, lo scalpitio dei nostri passi aveva attirato la loro attenzione, quando di propria volontà o per semplice caso istigato dal destino la mia folle corsa si stoppò.

Era la scena di una guerra di trincea.

Ognuno posto al lato opposto dell'altro.

Caryin mi guardava come una ragazza guarda la sua amica quando il suo volto entusiasta è un preludio, un dolce anticipo a parole che quella sera non avrebbe adoperato.

Lo sguardo di Josh era l'opposto di ciò che il sorriso di lei rifletteva nello specchio, un sentimento di orgoglio che smorzava e nascondeva in realtà quel velo di curiosità che i suoi occhi urlavano.

Senza una ragione ben precisa percepii un grosso peso nello stomaco che mi incoraggiò ad allontanarmi e riprendere fiato solo dopo che le figure di Caryin e Josh erano ormai nascoste nella mischia.
 
Non era stato molto educato da parte mia nascondermi, trovando come scusante quelle conversazioni futili, iniziate da coloro che  non provavano nessuna vergogna nel dimostrare che la timidezza e l'indiscrezione erano principi posti nell'ultimo gradino dei valori, solo per capire quale fosse il mio ruolo in quel brano di pettegolezzi.

Non mi piaceva la posizione che stavo prendendo, mescolandomi con quelli che il loro unico scopo era rubarmi piccoli frammenti di vita quotidiana, solo per dimostrare di avere qualcosa d'interessante di cui parlare con quelli che loro consideravano grandi e che nel buio invidiavano, bramando di suscitare la stessa sensazione di grandezza negli altri.

Era questa la società in cui vivevo.

Era semplicemente una questione di potere, tutti volevano assaggiare la stessa quantità di torta che i " grandi " avevano divorato grazie alle finte apparenze.

All'improvviso i miei stessi pensieri divennero dettagli superflui e le loro risate stridule lontane, quando quelle lucine dorate che contornavano l'intero soffitto, richiamarono l'attenzione dei miei occhi, che troppo pigri per alzare lo sguardo al cielo coglievano solo adesso quel panorama così perfetto.

Mi ritrovai a sorridere.

La sensazione di avere quei colori lucenti dipinti negli occhi, caduta quasi in un sonno profondo, si rivelò ben presto un sogno quando il tocco freddo di una mano sfiorò la mia spalla nuda, scendendo verso il braccio afferrandolo e invitandomi a seguire i suoi movimenti mi ritrovai a faccia a faccia con Marcel.

< Non vorrai non concedermi un ballo neanche dopo aver fatto tanta fatica per invitarmi? > Sibilò con tono pacato e quasi silenzioso, lasciando che il suo modo di schernirmi, di avvicinarsi forse, fosse l'introduzione al suo gesto per appoggiare nuovamente la sua mano sul punto scoperto della mia spalla e invitarmi a danzare.

Aveva la capacità di apparire naturale anche quando si complimentava con stesso a discapito della sensazione d'imbarazzo che ti avrebbe travolto.

Arrossii di colpo non solo perchè indubbiamente mi ero lasciata scoprire ma anche per il suo modo di far apparire quell'invito qualcosa di inevitabile.

Abbassai gli occhi.

< Stavo solo... > Non riuscii nemmeno a mettere in piede una banale scusa che il suono del suo telefonino squillare mi tolse questo vagone zittendomi.

< Scusami > Sussurrò lasciando la presa su di me e stupendomi come se volesse adeguarsi a quel ruolo e a quel contesto antico, afferrò la mia mano baciandola.

Il suo gesto non fu soltanto la volontà di volermi stupire, non era un patetico baciamano ma il desiderio che questa immagine fosse impressa nella mia mente, voleva spiazzarmi quando in contemporanea al suo gesto inchiodò i suoi occhi decisi nei miei per poi sollevarsi e allontanarsi tra la folla.

Forse lui l'aveva capito, che nella vita non facevo altro che costruire un castello di scuse per giustificarmi o per sentirmi meno debole rispetto all’aspettative degli altri che mi sopravalutavano solo perchè indossavo una maschera d'ipocrisia che tingeva ad essere forte e mai una perdente.

La voce di Josh raggiunse le mie spalle perforandole.

< Si presuppone che quella vestita peggio balli con il più bello per guadagnare punti agli occhi degli altri >  Recitò con sorriso sornione.

Proruppe come un direttore impartisce ordini e si aspetti che questi vengano rispettati, come un uomo senza scrupolo lasciò che la sua arroganza fosse più forte del rispetto per la volontà altrui, ignorando i miei passi che stavano per allontanarsi quando la sua mano mi strinse a se, costringendomi ad imitare i suoi stessi passi.

< La sua è semplice ingenuità o una predisposizione al rischio? > Con tono stuzzichevole e un volto che aveva tramutato i propri lineamenti in pura curiosità, si accostò di qualche centimetro a me, al lato dove l'abito sfociava con una profonda scollatura e lasciava intravedere una gamba esile.

Le sue labbra si colorarono di compiacimento quando con un lieve movimento degli occhi, corse nel mio viso e nella postura rigida del mio corpo un'immagine spazientita, che si imponeva di ignorarlo ma che comunque non riusciva a nascondere quel sentimento di curiosità e confusione che le sue parole  avevano destato nel mio animo ribelle.

Con profonda presunzione e volontà di sminuire e perchè no, snobbare i miei comportamenti ai suoi occhi infantili, continuò a parlare.

 < Non c'è nessuna differenza. - fece una breve pausa - Tra lei e chi si offre volontario in una spedizione senza possibilità di ritorno. Avventarsi in un rapporto che può solo ritorcerle contro non è come andare felicemente incontro ad una mina intenta a esplodere?  >

Sarcasticò attonito, usufruendo di propria volontà della parola " felicemente " come se volesse evidenziare la drasticità della situazione, mentre nella mia mente veniva riprodotta la scena in formato animato. 
                                             
La sua era più simile ad una domanda retorica, che cercava con disperazione nei meandri più nascosti una risposta soddisfacente, che una domanda posta solo per fare quattro chiacchiere.

Lui era la tentazione.

Una sorta di peccato che come il serpente ti istiga a mostrare quel lato peggiore che a volte ci mette anni a mostrarsi.

Era difficile trattenere un sorriso quasi perfetto, quando nei dintorni si girava la sua figura, sempre impeccabile che trasmetteva quella fastidiosa sensazione di sentirsi fuori luogo o più personalmente sotto tiro.

Fu inevitabile.

Iniziò una lotta tra ragione e istinto.

Il sorriso che avevo cercato più volte di disegnare di fronte allo specchio aveva lasciato spazio alla forma più disumana della rabbia.

L'istinto mi pregava di dargliela vinta, di lasciar sì che quest'ultima prendesse il controllo delle mie parole e azioni
.
 La ragione mi imponeva di rispettare quell'immagine, che con fatica avevo costruito e costretta a  salire su un palco che tentava di recitare la felicità o almeno ci provava.                                                        

Come una perfetta marionetta che non aveva nulla fuori posto se non i fili che la reggevano e le davano quell'equilibrio indispensabile per essere all'altezza di quel mondo la cui abitudine era giudicare ogni minima piccolezza, purché si avesse qualcosa di cui parlare.

Aspettai che il cuore battesse regolarmente e la respirazione tornasse ad essere più pacata affinché la mia mente si riempisse di pensieri positivi, reprimendo quella mania omicida che aveva accecato i miei occhi.

< Lei invece? - Iniziai sorprendendo me stessa del tono tranquillo adoperato - ha maturato la dote da pettegolo frequentando salotti da tè oppure ha acquisito questa vena poetica divorando l'intera vita di Pascoli? > Beffeggiai simulando con gli occhi inarcati verso l'alto e un sorriso deriso elargito dalla volontà di infastidirlo e renderlo partecipe di un gioco a cui aveva dato inizio lui.

Divenni impaziente di vederlo crollare, di guardare i suoi lineamenti contratti, ero impaziente di vederlo simile a me.

Si voltò incrociando i miei occhi.

Sorrise marpione.

E alla fine colei che ne uscii con i muscoli tesi e il viso sbigottito fui proprio io, quando il suo viso dipinto d'indifferenza fu conferma della nostra diversità e della mia sbagliata capacità di presupporre le sue possibili reazioni, che a quanto pare il tempo gli aveva insegnato a gestire e controllare.

Il suo volto, la sua reazione alquanto inaspettata deluse le mie aspettative nel vederlo spegnere totalmente la vampata che tratteneva a sé le proprie scintille pronte ad un contrattacco, piuttosto che vederlo rispondere fuoco con fuoco.

< Ho l'intera collezione riposta accuratamente nella piccola ma accogliente biblioteca del mio appartamento. Vuole venire a vederla? > Sibilò fermandosi, scandendo ogni singola parola con estrema sensualità e i suoi occhi complici si dischiusero in due piccole fessure affascinando lo sguardo e predisponendo il suo tono a lasciar intuire a chiunque l'ascoltasse l'incoerenza e l'immoralità che la sua mente voleva destare nei pensieri altrui, conducendo così la povera vittima nel cammino della confusione, rendendo instabile il percorso da percorrere.

Lo scopo? Perdere la ragione.

Il mio cuore inaspettatamente perse un battito.

Il suo modo di fissarmi fu più che sufficiente per farmi vacillare ma a lui questo non bastò, sopraggiunsero le sue parole che mi diedero quell'effimero colpo di grazia.

Rifiutare sarebbe stato sinonimo di debolezza?!

 

 
SPAZIO AUTORE.
 
Non so ditemi voi è sinonimo di debolezza rifiutare? ahahahah XD Aspetto dunque le vostre risposte per conoscere aspettative e chissà speranze ù_ù                                                                          
Ancora adesso pubblicò i miei capitoli in ritardo, magari non sarà visibile ai vostri occhi ma sto migliorando notando la differenza di tempo trascorsa nei capitoli precedenti >.< Dai cerco di consolarmi da sola XD Che altro dire? Spero di non risultare noiosa o peggio di non riuscire a dare un quadro completo della situazione.
!
Grazie a tutti coloro che leggeranno e commenteranno! 
 
 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Il lupo di cappuccetto rosso ***


Il lupo di cappuccetto rosso
 
< Ho l'intera collezione riposta accuratamente nella piccola ma accogliente biblioteca del mio appartamento. Vuole venire a vederla? > Sibilò fermandosi, scandendo ogni singola parola con estrema sensualità e i suoi occhi complici si schiusero in due piccole fessure affascinando lo sguardo e predisponendo il suo tono a lasciar intuire a chiunque l'ascoltasse l'incoerenza e l'immoralità che la sua mente voleva destare nei pensieri altrui, conducendo così la povera vittima nel cammino della confusione, rendendo instabile il percorso da percorrere.

Lo scopo? Perdere la ragione.

Il mio cuore inaspettatamente perse un battito.

Il suo modo di fissarmi fu più che sufficiente per farmi vacillare ma a lui questo non bastò, sopraggiunsero le sue parole che mi diedero quell'effimero colpo di grazia.
Rifiutare sarebbe stato sinonimo di debolezza?!

Un tranello.

Sorrisi.

Se c'era qualcosa che nella vita fosse doveroso imparare quello era certamente attingere a chi nella vita con le loro beffe e false promesse ci avevano impartito a loro volta una grande  lezione di vita: dare ciò che si riceve, prendendo spunto proprio dagli inganni subiti.

Credere che basti abbassare di un tono la voce rendendola profonda o costringere i lineamenti del viso a simulare il volto di nuovo inizio è la presunzione dello stolto che crede che il proprio aspetto sia quel tassello indispensabile per cambiare le prospettive di una guerra che è già alle porte di una conclusione.

< Ci vuole sempre una buona dose di presunzione per fare determinate dichiarazioni, lei ne ha i requisiti  peccato pecchi di furbizia, è assurdo no? Credere che basti fare il faccino dolce per cascare ai suoi piedi  > Controbattei decisa quasi come se da altezzosa volessi sottolineare i difetti della sua affermazione per poi lasciarlo come un ebete al centro della pista.

Al termine della serata mi accorsi che il suo modo di sfogare la rabbia era piuttosto illecito, non sopportai l'immagine che avevo di fronte ai miei occhi.

Lasciandomi trasportare dal presupposto che io e la coerenza fossimo nemiche dalla nascita mi fiondai accanto a lui e facendo una piccola pressione sul suo braccio lo trascinai lontana da lei alla quale questo mio gesto le aveva appena dato conferma di quelle voci di corridoio sul mio presunto sentimento d'invidia.

< Deve essere una vera appassionata di Pascoli vedendo con quanta irruenza mi ha trascinato dentro la macchina > Canzonò fintamente sorpreso

<  L'unico motivo per il quale l'ho trascinata fuori è stato quello di sventare i suoi piani per la serata con la mia amica > Lo smentii assumendo un'aria quasi avvelenata.

< Accostata qua > Sibilai subito dopo e stranamente ascoltò la mia richiesta.

Cercai di ignorare il panorama da brividi che mi si presentava davanti e approfittando della presenza di quell'unico lampione funzionante mi appoggiai ad esso.

< Che sta facendo? > Domandò realmente curioso continuando a tenere un braccio teso su quello sportello ancora aperto, cercando di capire quale fosse il motivo che mi aveva spinto a scendere e  fiondarmi sul primo lampione acceso. 

< Aspetto un taxi  > Affermai stizzita.

Al suono della mia affermazione increspò gli occhi e con fare incredulo iniziò a guardarsi intorno mentre il suono inquietante di una civetta rendeva quel viale alberato ancora più isolato.

< Sì certo, forse intendevi qualche lupo affamato > Sbeffeggiò.

< Per quanto possa essere soddisfacente per il mio ego lasciarti qui in mezzo al nulla il mio senso di responsabilità me lo impedisce > Sbuffò estenuato dai miei capricci prima di prendermi di peso e caricandomi su una spalla mi costrinse ad entrare sulla vettura. Fui tentata di aprire lo sportello ma il suo dito puntato a mo' di avvertimento anticipò il mio pensiero.

< Chiamerò un taxi da casa tua, non voglio che qualcuno del mio vicinato mi veda con te fraintendendo più di quanto tu non abbia fatto > Esclamai.

E mentre la testa era persa in qualche parte di quel bosco fitto, appoggiai la testa sul vetro, stanca di parlare aspettavo con ansia di ritornare a casa per sentirmi più sicura più di quanto lo fossi accanto a Josh ed io inconsapevole che la sua immagine  riflessa sul vetro mi guardava, anche se per pochi secondi, i suoi occhi mi fissavano pensierosi.

Quell'appartamento era lo specchio che rifletteva la sua immagine: fredda e impenetrabile, nessun tipo di oggettistica che lasciava intendere se la sua personalità fosse stravagante o meno. Non c'era nessun dettaglio fuori posto tra quelle mura grigie, era tutto rigorosamente perfetto.

< Posso offrirti qualcosa? Acqua...vodka? > Propose fintamente dubbioso, la sua voce sembrò soffermarsi particolarmente sull'ultima parola e il suo modo di guardarmi la diceva lunga sul suo indugiare.

Che mi avesse visto affogarmi nell'alcol? affogare in realtà era un parolone, dire che mi  ero concessa all'alcol era il termine più adeguato.

< No grazie > Rifiutai stizzita.

< Strano, eppure non mi sei sembrata tanto astemia > Confessò portando gli occhi verso l'alto e il mio sguardo fu che più sufficiente per fargli passare la voglia di ricordare.

< Ok tregua > Affermò alzando le braccia in segno di arresa e togliendosi la giacca maliziosamente simulando una sorta di spogliarello si allontanò per chiamare il servizio taxi.

I miei occhi vagarono tra quelle stanze alla ricerca di un qualcosa che assomigliasse a un ricordo di una famiglia felice e quando pensai di averlo trovato mi accorsi di quel portafotografie posto sottosopra e capii quanto quel ricordo felice fosse anche il ricordo più triste.

Ero nella tana del lupo, quel luogo dove mostrava il vero se stesso, emozioni, sensazioni erano messe a nudo perché era qui dove si sentiva più al sicuro e il suo cuore, quello che cercava di tenere nascosto perfino ai suoi occhi era in quella fotografia.

Volevo sapere, scoprire cosa  l'aveva reso duro come il cemento.

Mossa dalla mia incontrollabile voglia di capire l'afferrai e capovolgendola sentii  la copertura di vetro frantumata, scricchiolare al contatto con le dita.

Per quanto assurdo potesse essere, quel leggero scricchiolio mi destò dai tutti quei pensieri negativi che con facilità avevo fatto in modo  calzassero perfettamente con la sua figura. E quando provando ad immaginare il modo e la rabbia con la quale accanitamente l'aveva lanciato sentii per la prima volta la voglia di abbracciarlo, di rassicurarlo.

Ignorai palesemente i pensieri di bontà che avevano invaso la mia mente e che comunque non sarei riuscita a giustificare e scuotendo lievemente la testa, come se volessi riprendermi, rimisi a posto la cornice ma proprio in quel secondo la sensazione di averlo alle spalle mi fece vacillare.

Presi un lieve respiro e mi voltai.

Era immobile.

POV JOSH


Si voltò e all'improvviso ciò che aveva tenuto per le mani passò in secondo piano, non mi importava che avesse scorto il mio lato debole nulla era più logorante del suo sguardo che mi studiava non più con occhi critici, era forse la compassione quella che leggevo nei suoi occhi?


INIZIO FLASHBACK 

Certe ferite sono difficili da guarire e a volte anche il tempo che si dice possa essere curativo lesiona quello che è già stato devastato, io ne ero l'esempio vivente. 

Tutte quelle volte che mi deludeva, mi convincevo che il tempo in qualche modo potesse smentire l'idea che la mia testa gli aveva appropriato ma i giorni, i mesi e gli anni mi dimostrarono che la sua immagine assente non poteva cambiare a prescindere se in realtà non c'era mai stata la voglia di essere partecipe nella mia vita.

Era il mio settimo compleanno.

Mia madre come ogni anno, nonostante le mie lamentele, aveva deciso di affittare un grande gazebo, avevo maturato una sorta di odio per le classiche feste con i compagni perché era proprio in quelle occasioni che si accorgevano di un'assenza genitoriale: quella di mio padre.

< Josh il tuo papà non c'è nemmeno quest'anno? >

Ricordo ancora quel momento come se fosse ieri.

Mi sentivo a disagio quasi colpevole della sua assenza ad ogni compleanno.

< No > Sibilai piano sperando di chiudere l'argomento.

< Ho sentito dire dalla mia mamma che il tuo papà ha scelto un'altra mamma e un'altra bambina > Affermò 

< Non è vero! Ho detto che non è vero! > Urlai ma loro mi guardavano con disattenzione.

FINE FLASHBACK

POV CRISTEL

I suoi occhi mi scrutavano come un dettaglio insignificante.

Istintivamente abbassai lo sguardo incapace di reggere il suo.

< Smettila > Asserì rudemente con tono staccato.

Sobbalzai, nonostante in quel breve lasso di tempo avevo provato ad immaginare le sue parole, ripetendomi perfino di essere pronta a parare ma alla fine mi colse ugualmente impreparata. Alzai lo sguardo e quando provai a dire qualcosa mi ritrovai completamente ammutolita

Forse era stato il fracasso del battito del mio cuore che aveva mimetizzato il suono delle sue scarpe ma mi accorsi della vicinanza forzata solo quando la pressione della sua mano sul mio braccio aveva messo in moto la soglia del dolore e le sua voce mi aveva sollecitata a guardarlo.

< Smettila di guardarmi come se mi stessi compatendo > Digrignò a denti stretti e il suo sguardo duro sembrava suggerirmi di aggredirlo perché spazientire me era soltanto uno stupido pretesto per sviare l'attenzione da lui.

Parla. Dì qualcosa.Continuavo a ripetermi ma era come se le parole mi morissero in gola prima  ancora di poterle rendere qualcosa di concreto.

Il silenzio.

Sorrise.

Sorrise un'altra volta e tutto nel suo modo di guardarmi lasciava intravedere lo stupore per la persona che aveva di fronte a se.

< Non provare a fare la schizzinosa non ti s'addice per niente e poi non mi piacciono per niente le ragazze silenziose > Asserì increspando lo sguardo e passando un braccio intorno alla vita mi strinse con forza.

Era strano il destino quanto lo era la storia che in qualche modo ci legava.
Come poteva mia madre essere talmente importante per suo padre da costringerlo a rinnegarlo come suo figlio?

Non è forse il ciclo della vita che ci costringe ad andare avanti? Non è la stessa che ci induce a credere che non abbiamo altra scelta se non quella di continuare a camminare perché chiunque si guarda indietro è perduto.

< Mi dispiace > Sussurrai tutto d'un fiato < Ma non lo comprendo, innamorarsi non è la certezza di un futuro insieme e qualcuno può restarne scottato ma non per questo... > Parlai così velocemente che quando arrivai al sodo di quella conversazione non ebbi il coraggio di terminare e il tono della mia voce stonò.

< Si abbandona una famiglia. è questo che vuoi dire? > Sibilò in cerca di conferma.

< Quindi mi chiedo perché essere così stupidi da correre dietro qualcuno che ha preferito lasciarti indietro? > Sussurrai  rendendomi conto solo dopo ciò che avevo detto. La durezza della mia frase che criticava chiunque rincorresse l'amore alludeva alla mancata saggezza da parte del padre toccando quindi chi aveva raccolto i suoi errori.

 < E' a causa di quella stupidità e chi la reso così che io sono arrabbiato > Asserì a denti stretti.

Con una lieve pressione eliminò quella poca distanza che era rimasta tra il mio e il suo busto.
< Il tuo ragionamento non fa una pecca... > Rifletté abbassando di un tono la voce.

< Amare implica anche giocare e sta a te capire chi bleffa e chi invece secondo il tuo saggio ragionamento pagherà le conseguenze solo perché le loro aspettative non combaceranno > Assottigliò la voce rendendo quella strana confidenza intima, più di quanto la vicinanza tra i nostri volti non aveva già sottinteso.

< La colpa non sarà mai del lupo ma della povera cappuccetto rosso che si è fidata > Concluse prima che l'uomo del taxi suonasse e mi desse la possibilità di fuggire da quel botta e risposta senza termini.

 
*****


Chiusi la porta alle mie spalle e la brezza fredda di quella serata mi stonò.

Per qualche strana ragione mi sentii svuotata.

Mi avvicinai alla macchina, dentro la quale l'uomo del taxi aspettava spazientito per la troppa fretta di finire quei turni strazianti di lavoro ma prima che potessi entrarci dentro una voce mi chiamò.

< Cristel >

Alzai gli occhi.

< Marcel > Sussurrai quasi sorpresa della sua presenza che subito dopo capii essere una  coincidenza: lui abitava nella palazzina accanto.

Mentre per me l'aspetto di quell'uomo rude fosse qualcosa per cui sorvolare pur di tornare a casa per Marcel, l'uomo maturo che dava l'impressione di non aver mai corso un rischio perché il suo essere così responsabile e corretto glielo impediva, non era un'azione saggia. E forse fu proprio questo sentimento di protezione che lo spinse in modo galante a patteggiare con il tassista che dopo aver trascorso diversi chilometri per guadagnare quei pochi soldi per vivere non era affatto contento di tornare indietro a mani vuote.

Tra una parola e un'altra qualcuno nascosto dietro la tenda fissava con attenzione la situazione.

Alla fine anche lui ne rimase in qualche modo affascinato.

Era semplice confondere quel bagliore di luce con calore familiare, un'immagine quasi suggestiva indotta da quelle fiamme ardenti che ingenuamente evidenziavano i dettagli di quella stanza, convincendoti di essere al sicuro tra quelle quattro mure e un fuoco che a malapena soffocava il freddo che intorpidiva ogni muscolo del tuo corpo.

< Ingenuità o vizio? > Domando con uno strano sorrisetto.

Sussurrai senza rendermene conto. Le sue parole mi presero alla sprovvista come quando nonostante la disattenzione riesci a capire ciò che ti è stato detto solo che la mente frettolosa ti spinge a chiederne conferma.

Forse era la prospettiva di come appariva ai miei occhi, seduto al mio lato destro in quell'antico ma quanto scomodo divano o i suoi occhi persi tra quelle fiamme che mi spinse a leggerla come una riflessione piuttosto che un'affermazione. 

Accennò un sorriso divertito, incuriosito da quale fosse il termine che s'addiceva maggiormente ai miei modi di fare, scuotendo lentamente la testa verso il basso per poi alzare lo sguardo verso di me.

< Ciò che per te è coraggioso in realtà agli occhi degli uomini è pura provocazione. Agisci con superficialità a prescindere dalla persona che hai di fronte > Rifletté con voce pacata e il mondo con cui si esprimeva e le sue espressioni lasciavano intuire uno stupore inaspettato perfino per lui.

Sorrise nuovamente quando la mia mancata reazione alla sua affermazione gli fece intuire che la mia mente non si era minimamente sforzata di leggere fra le righe cercando di vedere in quel consiglio una sorta di rimprovero alla mia personalità impulsiva.

Ricalcò quella smorfia simile ad un sorrisetto furbo, fautore di ciò che la sua mente maliziosamente nel silenzio stava realizzando e che contemporaneamente mi aveva messo in allarme.

Increspai gli occhi sospettosa, i suoi cambi umorali non accennavano a nulla che potesse assomigliare a qualcosa di buono.

Quel sorriso allusivo, quasi fuori posto su quelle labbra sempre sostenute e prive della capacità di essere più sensibili all'emozioni adesso mi apparivano chiare e leggibili.

< Quanto pensi rischioso sia stare qui da sola con me >Azzardò improvvisamente scandendo ogni singola parola con un tono stucchevole che celava la maturità di chi vuole impartirti una lezione di vita.

Assunsi un'aria pensierosa, sul mio viso c'era disegnato un enorme punto interrogativo.

Il suo sguardo dapprima intrigante si fece serio perdendo quel barlume di maliziosità che il suo sorriso ti portava a vedere, con le labbra dischiuse era possibile vedere l'altra faccia della medaglia, quel lato misterioso e quasi irraggiungibile.

Percepii anche se per poco il suono del divano scricchiolare al movimento del suo corpo che si poneva verso di me, soffermandosi qualche secondo vicino al mio viso il suo respiro solleticò il mio collo inondando la  schiena di brividi.                                                                                                                                          
< Fin dove ti spingerai? >

La sua affermazione era il perno di una questione che io ignoravo, il mio essere così avventata era qualcosa che ai suoi occhi appariva rischioso e irresponsabile.

Ciò che avevo fatto fino ad adesso era stato vivere alla giornata, continuamente impreparata agli ostacoli della vita avevo strizzato gli occhi per paura, lasciando che le mie improvvisazioni reggessero il peso delle mie azioni senza rifletterci più di tanto.

Il profumo del suo dopobarba solleticò il mio olfatto che preso alla sprovvista si trovò a lasciarsi cullare da quella dolce fragranza attenuando il senso della vista che preferì fingersi cieco costringendomi a socchiudere gli occhi  mentre quell'organo che palpitava contro la gabbia toracica reagì di conseguenza aumentando i suoi battiti.

Solo quando quella strana sensazione di calore abbandonò il mio collo mi convinsi ad aprire gli occhi pentendomene l'attimo dopo.

Il suo sguardo era fermo sul mio. 

Arrossii di colpo.  
                                                                                     
Era soddisfazione e giocosità quella che leggevo nel suo sguardo per aver visto la mia debolezza nell'essermi concessa di chiudere gli occhi come una richiesta di attenzioni.
Tossicchiò fintamente indifferente volgendo la sua attenzione a quei ceppi di legna che venivano consumati dalle fiamme, alleggerendo così quel vagone d'imbarazzo che mi aveva ammutolito.

Nonostante la sua accortezza di comportarsi come se nulla fosse successo, i miei occhi che di nascosto continuavano a guardarlo spudoratamente si accorsero di quei lineamenti istintivi che facevano trapelare un viso curioso, stupito e divertito.



SPAZIO AUTORE

Scusatemi per la lunga assenza è davvero difficile per me essere costante nella pubblicazione ^.^
Vi lascio questo piccolo capitolo, spero che vi piaccia. =)
Grazie a tutti coloro che perdono quei pochi minuti per leggere questa storia.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1755823