In girum imus nocte et consumimur igni

di Neal C_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Omnes homines liberi aequique dignitate atque iuribus nascuntur ***
Capitolo 2: *** Nihil morte certius ***
Capitolo 3: *** Quo vadis, baby? ***
Capitolo 4: *** Absit iniuria verbis ***



Capitolo 1
*** Omnes homines liberi aequique dignitate atque iuribus nascuntur ***



TITOLO: In girum imus nocte et consumimur igni *
NOME: Neal C.
FANDOM: Hyperversum
RATING: giallo
PAIRING : Ian/Isabeau, Martewall/Nuovo Personaggio, Daniel/Jodie
AVVENTIMENTI: linguaggio forte, het
GENERE: generale, drammatico, storico, introspettivo, avventuroso
TITOLO CAPITOLO : Omnes homines liberi aequique  dignitate  atque iuribus nascuntur*



In girum imus nocte et consumimur igni







1. Omnes homines liberi aequique  dignitate  atque iuribus nascuntur



All’imbrunire di una tranquilla giornata estiva un messaggero si presentò alle guardie di Chatel-Argent con un messaggio urgente per il Signore di Montmayeur, Jean Marc de Ponthieu.
Ian dovette abbandonare a malincuore il suo posto accanto al figlio Marc, immerso nei suoi studi di “latinorum”, e il ragazzino tirò un sospiro di sollievo guardando con simpatia una giovane guardia imbarazzata, forse al suo primo giorno di servizio, rigida e con il volto in fiamme davanti all’espressione seccata del Conte.
“Monsieur, mi dispiace disturbarvi ma è urgente”
La sua frase cadde nel vuoto mentre il Signore del castello fulminava con uno sguardo il figlio minacciosamente, affinchè non si sentisse dispensato dagli studi, ma alla fine si rassegnò a seguire il soldato, di buon passo.
Tutte le volte che qualcuno si faceva annunciare con un messaggio urgente in genere c’erano guai in arrivo.
Ian pregò con tutte le sue forze che niente rovinasse, quest’anno, il compleanno del suo secondogenito, Michel. Era una data importante, il suo decimo compleanno e Ian aveva pensato ad un piccolo ricevimento per pochi intimi. Ma il solo pensiero del messaggero che lo attendeva nel cortile dell’ “alta corte” lo innervosiva profondamente.
Era quasi un anno che si era ritirato dalla corte di Francia e dalle politiche spietate che inseguivano le lotte sanguinarie dei baroni in Inghilterra, sulla quale la presa francese si faceva sempre più debole ogni giorno che passava e la Regina Bianca di Castiglia, da due anni reggente al trono di Francia per il figlio Luigi IX, aveva dovuto affrontare anche l’ostilità dei baroni francesi del sud e trovava sempre più difficile controllare la situazione oltre Manica.
Ian aveva temuto più volte di essere strappato alla sua pace e invece quei mesi erano trascorsi fra i rapporti di Monsieur Thibald de Chailly, i registri dell’attività agricola-mercantile del feudo, i colloqui e le mille richieste dei suoi sudditi, il cantiere per quel nuovo mulino, a poche miglia da Arras, e un secondo cantiere per  restaurare la torre del monastero di Saint Michel di cui aveva promesso di occuparsi in uno slancio di generosità “aristocratico-feudale”. Se non ci fosse stata sua moglie a soccorrerlo con la sua esperienza e la sua grande conoscenza dei terreni Ian avrebbe avuto un esaurimento nervoso.
Il momento che preferiva arrivava nel pomeriggio tardo, in cui raggiungeva Marc e Michel e li assisteva nello studio del latino, della geografia, del francese e dell’inglese.
Con grande disappunto di Marc, Michel, pochi mesi prima era stato invitato dal barone di Dunchester, Geoffrey Martewall a passare da lui il mese di agosto e il bambino aveva pregato il padre di accettare l’invito.
Ian era restio all’idea di mandare suo figlio in Inghilterra da solo e aveva risposto che ci avrebbe pensato su.
Fortunatamente Dunchester e Glevehen erano al riparo dalle guerre intestine e Martewall si manteneva neutrale nonostante le sue collaborazioni segrete con Bianca di Castiglia e la sua fedeltà alla corona francese.
Ci avrebbe pensato su ancora un po’. In fondo non c’era fretta.
Dopo il compleanno di Michel ne avrebbe parlato con Isabeau e poi avrebbe scritto a Geoffrey la sua risposta. Questo si ripeteva fra se e se Ian quando finalmente si trovò davanti il messaggero.
In abiti scuri da viaggio e mantello con il cappuccio in testa, nonostante la calura estiva di pieno luglio, questi si guardava intorno frettolosamente e ciò rese Ian ancora più nervoso e maldisposto di quanto non fosse già.
“Monsieur Comte, J'ai un message pour vous” annunciò, inchinandosi profondamente, quasi tirando un sospiro di sollievo “de l'Angleterre”
“Dovete aver fatto un lungo viaggio, sarete stanco.” Esordì Ian pazientemente, annuendo, in tono serio.
“I miei uomini si occuperanno di voi affinchè vi rimettiate in forze prima di partire. Siete mio ospite.”
“Grazie, Monsieur.”
Seguì un attimo di silenzio, attesa da parte di Ian mente l’uomo raccoglieva le idee.
“Mi manda il barone di Dunchester. ” a quelle parole Ian ebbe un brivido, come un cattivo presentimento;
che fosse successo qualcosa? Cattive notizie da Londra?
“vi avverte che egli sarà vostro ospite in occasione del compleanno di vostro figlio che sarà festeggiato presso la dimora di vostro fratello, in Piccardia.
E”” aggiunse davanti allo stupore del Conte “Monsieur de Ponthieu vi fa sapere che saranno presenti anche Sua Altezza la Regina Bianca di Castiglia e Monsieur Tebaldo IV, Conte di Champagne.”
Ian rimase sconvolto a fissare il portone d’ingresso presidiato da un manipolo di soldati, tutti sull’attenti nel momento in cui il conte era sceso in cortile.
Gli uomini dovettero sentirsi addosso lo sguardo del loro signore poiché gonfiarono il petto e si fecero più dritti e attenti, osservando concentrati il portone come se questo potesse spalancarsi da un momento all’altro.
Ma Ian non vedeva niente di tutto questo e sentiva la mente in subbuglio, assediata da una valanga di domande.
Perché questa riunione urgente? Si sarebbe parlato della questione inglese? E perché proprio il giorno del compleanno di Michel?
“Monsieur, vi sentite bene?” Ian dovette tranquillizzare l’uomo che lo osservava preoccupato ma anche conscio di non aver portato esattamente delle buone notizie.
Sicuramente questo significava tornare alla vita di intrighi politici nello stagno degli squali, dove Guillaume avrebbe approfittato del suo “occhio di falco” ,come lo chiamava lui, per tessere nuove strategie e formare nuove alleanze a corte.
Dopo aver congedato il messaggero nelle mani delle guardie, Ian si riavviò pensieroso, non verso la biblioteca dove il figlio lo attendeva, ancora intento nella lettura di San Tommaso ma bensì per raggiungere Isabeau e schiarirsi le idee.

**********


Daniel Freeland si disse che quello era proprio un buon giorno per fuggire, indietro di ottocento anni.
Il lavoro in laboratorio era stato massacrante, per poco non aveva fatto fallire l’esperimento di elettromagnetismo che avrebbe dovuto presentare alla conferenza di quel liceo tecnico-linguistico, la settimana successiva e aveva dovuto completare in fretta e furia la presentazione power point per l’occasione. Reclutare nuove matricole era fra i compiti affidati a Ricardo che però in quel  momento era spaparanzato su una spiaggia della Florida a spassarsela e gli aveva affibbiato per e-mail questo sgradito onere.  Grazie al cielo aveva ancora il week-end per poter respirare e poi, dopo quel dannato progetto si era ripromesso di prendersi una bella vacanza con Jodie.
 Anche lei prima di Agosto non avrebbe avuto le ferie e mancava ancora poco.
Ma quel giorno era il 25 luglio, il compleanno di Michel e Daniel non sarebbe mancato per niente al mondo.
Fu semplice programmare Hyperversum e caricare la partita salvata, controllare il backup dei dati che era solito fare, persino quello su memoria esterna e, dopo aver lasciato un biglietto di spiegazioni a Jodie, immergersi nel mondo virtuale, e ritrovarsi a camminare al confine con il monastero di Saint Michel, al limitare del boschetto.
Quando fu vicino alla cinta esterna delle mura di Chatel-Argent vide che c’era troppo movimento al di fuori delle mura, anche per un semplice compleanno. Ian doveva essere vicino poiché Daniel sentì per un attimo le sue percezioni amplificarsi mentre la magia della macchina del tempo lo catapultava nel medioevo.
Con suo sollievo accanto a lui c’era il suo cavallo, con una sacca da viaggio che prometteva di contenere le fantomatiche provviste che lo avevano accompagnato fin dalla sua partenza dalle isole della Scozia.
Al posto della sua T-shirt nera da casa, sformata, aveva addosso camicia e calzoni e stivali, mantelllo da viaggio e un fresco cappello per proteggersi dal sole estivo. Con sé aveva il suo arco e la spada nel cinturone, simbolo della sua posizione di cavaliere, sebbene quest’ultima fosse molto meno amata da Sir Freeland.
Si riscosse, tornando a concentrarsi sul convoglio da viaggio che stava uscendo dalle porte del castello diretto a est,  verso Bearne a quanto ricordava.
Salito in sella, lo inseguì al trotto per stargli dietro e man mano che si avvicinava riconobbe le divise dei soldati di scorta, bianche e azzurre dei Ponthieu.
Alcuni subito lo identificarono e Daniel su annunciato ancor prima di dire A.
Il convoglio si fermo per un attimo mentre Ian scendeva da cavallo per andare a salutare il suo più caro amico di sempre, anche se un po’ in ritardo all’appuntamento.
“Ehi, signor conte, dove te ne vai di bello?”
Ian gli sorrise dandogli una pacca sulla spalla e invitandolo a cavalcare accanto a lui mentre dava ordine di riprendere il cammino. Si giustificò dicendo che aveva cercato di ritardare la partenza il più possibile per non dover perdere il loro appuntamento mensile.
“Ma non dovevamo festeggiare quel farabutto del tuo figlioletto?” scherzò Daniel, cercando con lo sguardo Isabeau che però era nascosta dalle tende di una rudimentale carrozza. Infatti Ian aveva preferito rinchiudere li moglie e figli per non far sforzare Isabeau e non costringere i bambini a cavalcare tutto il tempo.  
“Ma non è un po’ anacronistico un carrozzone alla cenerentola?” motteggiò l’inglese e ricevette un’occhiataccia dall’amico.
“Non me ne importa niente.  Diciamo che in genere si usa per il trasporto dei malati. Ma è meglio così. Se dovessi controllare quella furia di Marc che va a cavallo avrei un esaurimento nervoso dopo il primo chilometro.”
“Allora signor conte, che si dice? In che guaio mi stai cacciando?”
“Sono stato richiamato a corte praticamente” brontolò Ian e Daniel quasi carpì una punta di preoccupazione e infelicità che lo misero sull’attenti. Forse che veramente sarebbero andati incontro a qualche guaio?
“Temo che dovremo festeggiare Michel alla presenza della Regina Bianca e del suo alleato prediletto Monsieur de Champagne”
“Wow, l’importante è che il vino lo garantisce de Champagne” tentò di mostrarsi spiritoso Daniel ma Ian si rabbuiò al pensiero della folla che lo aspettava presso il fratello.
“Ma non eri tu il preferito di Bianca di Castiglia?”
“Ho felicemente ceduto il primato al Conte Henri Grandpré. E adesso la Regina ha trovato un solido alleato, ancor più potente di Grandpré.”
“Quindi Champagne è uno che conta?”
“Teobaldo IV è figlio di Bianca di Navarra e di Teobaldo III di Champagne, un fedelissimo della corona francese e anche un uomo del Papa. Ha partecipato alla IV crociata al primo appello di Innocenzo III e il figlio è stato un protetto del Re Filippo Augusto. ” recitò quasi a memoria Ian sempre più scontento della caterva di personaggi storici che si affacciavano all’orizzonte e con cui, presto o tardi avrebbe avuto a che fare.
Daniel fischiò scherzosamente per esprimere tutto il suo stupore e aggiunse quasi malizioso:
“E così la Regina si è sistemata ben bene con questo qui”
Ian lo guardò curioso mentre abbassava la voce per non farsi sentire da Monsieur de Chally che cavalcava poco dietro di lui. L’uomo gli aveva fatto un cenno amichevole di saluto che voleva essere una sorta di inchino  a cui Daniel aveva risposto chinando il capo con rispetto.
Ma quando Ian lo aveva preso in disparte Chally aveva distolto lo sguardo tornando ad osservare gli alberi che incorniciavano la strada di pietra, sobbalzando sul suo cavallo.
“Cosa ne sai? Hai letto qualcosa sull’atlante storico?”
“No, ho tirato a indovinare” aggiunse Daniel inarcando il sopracciglio perplesso “vuoi dire che fra i due c’è veramente qualcosa?”
“Chi può dirlo? ” commento con un tocco amaro Ian “alcuni dicono che si tratta solo di una decina di lettere al mese,  un amore platonico e passeggero, altri pensano ancora peggio, che la regina stia tradendo la sua vedovanza. E tutto ciò ovviamente non aiuta quando sei una donna avversata da almeno una decina di baroni che ti vorrebbe quieta come una casalinga del Massachuttes.”
“Ehi, vedo che ogni tanto rispolveri un po’ il vocabolario del ventunesimo secolo. Allora non sei diventato un vecchio conte medievale obsoleto.”
Ian gli scoccò un’occhiataccia quasi offesa e ribatté minaccioso: “dovrei sfidarvi a duello per quest’offesa Messere…”
“Come non detto” ridacchiò Daniel restituendo al compagno il sorriso.

**************  

Daniel non aveva mai visto Ian così teso e attento mentre salutava con un finto sorriso Teobaldo di Champagne e la sua consorte Agnese di Beaujeu.
Ma non appena ne ebbe l’occasione, si appartò poco lontano, all’uscita del giardino verso cui sciamavano molti degli ospiti oppressi dalla calura della sala e invitò Daniel a raggiungerlo.
Aveva un’aria talmente afflitta e pensierosa che l’amico attese spiegazioni al suo fianco con il sopracciglio inarcato e un’ombra di curiosità negli occhi chiari.
“Non posso credere che Guillaume abbia invitato mezzo mondo per il compleanno di Michel”
Il biondo avvertì irritazione e risentimento del giovane nei confronti del fratello e lanciò un’altra occhiata alla sala, annoiato. C’erano parecchi personaggi a lui conosciuti, in primis l’energico Etienne che parlava a voce altissima attirando l’attenzione della famiglia de Bearne al gran completo, e persino i Courtenay.
Daniel riconobbe Pierre de Courtenay *che Ian aveva battuto in torneo almeno quindici anni prima.
Era parecchio invecchiato, la capigliatura si era ingrigita e schiarita del tutto ma sembrava in salute e si accompagnava ad una dama che doveva essere sua moglie da come lei gli dava il braccio.
La dama era parecchio più giovane di lui ma sembrava comunque piuttosto affettuosa con il suo consorte.
“Il conte si è risposato da poco. La sua storica consorte è morta almeno un anno e mezzo fa.”
“Beh, non sono poi una coppia così male assortita.”
Ian scosse il capo funereo mentre volgeva la schiena al gruppetto per non dover essere costretto a incrociarne lo sguardo e il saluto.
“Io non potrei mai risposarmi dopo Isabeau”
“A Isabeau non capiterà mai nulla.” Asserì serissimo Daniel cercando di cancellare i pensieri che ronzavano in testa dell’amico. Tentò quindi di cambiare argomento e soddisfare la sua curiosità:
“Embè, a parte Ponthieu che ha trasformato il compleanno di tuo figlio in un nido di intrighi politici qual è il problema?”
Ian sgranò gli occhi e ribattè truce:
“E ti pare poco?!” guadagnandosi un’occhiata paziente e un sospiro da parte del fisico.
“Senti, Io non conosco neanche la metà della gente in questa sala. Si può sapere cos’è che ti rende così… nero? ”
“Vedi quei due?” indicando due gentiluomini uno in nero,  all’apparenza molto giovane in abiti ecclesiastici impreziositi da una  lunga sottile catena che culminava con una croce d’argento e l’altro invece vestiva i colori di un casato a Daniel sconosciuto, in giallo e nero, e aveva tutta l’aria di essere “duca di qualche cosa”.
“Quelli sono Hugues de Lusignan e Pierre de Dreux*.
Il giovane Lusignan è uno che promette di fare carriera. È invischiato fino al collo nelle beghe fra  il Papa e il Patriarca di Gerusalemme, per non parlare dell’appoggio del padre Jacques I de Lusignan che in futuro diventerà il re di Cipro, di Armenia e di Gerusalemme.”
“E l’altro?”
“L’altro è il figlio del Duca di Britannia, Robert II de Dreux,  e secondo cugino del Re.”
“Filippo Augusto?” azzardò Daniel ma ricevette un’occhiata di fuoco.
Ecco che in qualche secondo rinasceva il professore di storia anche se più intollerante che mai davanti all’ignoranza altrui.
“Daniel, attualmente è re di Francia e Conte di Artois Sua Maestà Luigi IX detto ‘il Santo’ ”
“Scusa tanto se non sono aggiornato sull’ultimo pettegolezzo fra i feudatari di Francia.
Tu mica sai chi è stato eletto ultimamente alla presidenza degli Stati Uniti d’America?”  rimbeccò arrabbiato il fisico, incrociando le braccia per rimarcare il concetto.
“Lo so benissimo, invece. Quell’Obama, il senatore junior dello stato dell’Illinois.” Ribattè Ian esasperato
“non smettevi di ripetere che non ti pareva vero di vivere il primo presidente afroamericano della storia.”
 “Ok, ok, grazie tante, professore. Allora cos’hanno quei due che non va?” tagliò corto Daniel, indispettito.
Ian  gli fece segno di uscire in giardino. In effetti sembrava proprio che Etienne e De Bar si erano accorti della sua scomparsa e lo cercavano ansiosamente.
“Quei due hanno entrambi cospirato contro la Regina Bianca di Castiglia quando ella era ancora reggente”
rivelò Ian lasciando l’amico stupefatto e allarmato.
“E cosa diavolo ci fanno due traditori della corona in casa tua e di Ponthieu?!” si pronunciò indignato.
“Pare che si siano pentiti. Li ha scagionati proprio Teobaldo de Champagne.”
Alla domanda muta dell’amico Ian aggiunse, per completezza di dettagli, con tono pensoso:
“D’altra parte anche de Champagne era un traditore prima di invaghirsi della Regina Bianca.”
“Ma che tormentata storia d’amore” commentò il fisico sarcastico.
“C’è solo un tassello di questo intricato puzzle che non riesco a posizionare;” confessò Ian, a mezza voce, lo sguardo perso verso l’aiuola del giardino che era stata potata di fresco probabilmente proprio in occasione di quel giorno. “cosa c’entriamo noi? Io , la mia famiglia e soprattutto Michel?”
“Beh, magari tuo fratello voleva fare le cose in grande” disse Daniel per poi stupirsi lui stesso dell’appellativo con cui aveva definito Guillaume de Ponthieu.
Non era stato facile accettare l’idea che il suo migliore amico di sempre viveva nel medioevo, gareggiando ai tornei, ballando qualche strana Carola medievale, andando a caccia con il Re di Francia e i suoi più fedeli feudatari e rischiando ogni giorno di essere spedito in qualche insensata crociata da cui avrebbe potuto non uscirne vivo. Si era abituato all’idea ormai, accettando che Jean Marc de Ponthieu prendesse il posto di Ian Maayrkas, consapevole che qualunque vita lontano dalla sua famiglia e soprattutto da Isabeau lo avrebbe distrutto.
Ma chiamare Guillaume de Ponthieu fratello era qualcosa che andava aldilà delle sue forze.
Anche Ian doveva essersene accorto perché per un attimo lo osservò con gli occhi spalancati e poi si sciolse in un sorriso, il primo di quella mattinata.
“perché non glielo chiedi?” suggerì Daniel e stava per aggiungere qualcosa ma apri la bocca e la richiuse senza emettere suono.
Ad un cenno di Daniel, Ian si girò per accogliere Sua Maestà la Regina Bianca di Castiglia, accompagnata da Guillaume de Ponthieu e Teobaldo de Champagne.
La donna avanzava regale in uno splendido vestito bianco con un intreccio di fili d’argento fra i capelli e sulla gonna un motivo di gigli d’oro si rincorrevano sull’azzurro mare del raso, simbolo della monarchia francese. A Daniel apparve molto più severa,  appena un po’ invecchiata, come testimoniavano sottili rughe intorno agli occhi e sulla fronte e soprattutto gli occhi stanchi e un po’ infossati di chi non dorme sonni tranquilli da molto tempo.
Al suo fianco il Conte di Champagne la seguiva con lo sguardo, quasi adorante, incapace di nascondere la sua ammirazione per la sua regina; non sembrava rendersi conto di Ponthieu che  osservava la scena divertito.
“Vostra Maestà” fece un profondo inchino Ian, seguito da Daniel  “spero che la nostra ospitalità sia di vostro gradimento. È un onore per noi avervi qui.”
“E voi siete un cavaliere come vostro solito, Monsieur Jean” gli sorrise amichevole Bianca di Castiglia mentre incrociava, per un istante, lo sguardo di Daniel.
“Monsieur Freeland, siete tornato a farci visita. Presso la corte di Francia sarete sempre il benvenuto. Speriamo di avervi al più presto, voi e il vostro signore.”
Ian si sentì in dovere di rettificare, forse troppo precipitosamente
“Mia Signora, Daniel per me è un amico e un fratello. Non ci lega alcun vincolo di vassallaggio.”
La Regina accettò la cosa con un cenno e un sorriso.
“Siete un uomo libero dunque Monsieur Freeland. Di nome e di fatto.”  Aggiunse amara
“Sono in pochi ad essere uomini liberi di fare le proprie scelte. Non è così Monsieur de Ponthieu?” chiamò in causa Guillaume che acconsentì chinando lievemente il capo ma rimanendo silenzioso.
“Ciascuno di noi è nato perché il suo destino si compia così e non altrimenti. Nessuno di noi ha potuto scegliere. Neppure adesso che reggiamo le fila del potere possiamo donare la libertà ai nostri cari.” Concluse la dama con un sospiro.
Ian non sapeva come interpretare quel discorso eppure sentiva che avrebbe finalmente scoperto il perché di quella strana, urgente e misteriosa convocazione.
Cercò aiuto presso il fratello, gettandogli uno sguardo smarrito che denunciava tutta la sua confusione ma il conte rimase impassibile come un busto di marmo.
“Maestà, vi prego di spiegarvi. ” confessò con voce supplichevole Ian mentre i cattivi presentimenti aumentavano.
“Monsieur, voi siete al corrente della situazione in Inghilterra. Ormai siamo in una situazione di stallo e io ho bisogno più che mai che i baroni, sia inglesi che francesi mi siano fedeli. Eppure prevedo che molto presto mio figlio riuscirà a portare dalla sua parte quei Signori ancora titubanti che non osano schierarsi apertamente con la Francia perché guidata da una donna” parlò con voce ferma e con freddezza facendo quasi rabbrividire Daniel che, fino all’ultimo trattenne il fiato.
“So bene cosa si dice di me a corte. Che sono una strega, che dovrei starmene buona e lasciare la politica nelle mani degli uomini come sempre è accaduto e sempre accadrà. D’altra parte sono anche stanca di combattere e accetto con piacere la prospettiva che mio figlio finalmente diventi l’unico sovrano di Francia. Non sono certo un avvoltoio assetato di potere” con un sorriso e uno sbuffo  il suo volto sembrò rischiararsi e la sua espressione si fece quasi divertita “alle mie spalle già mi chiamano tiranna e mi paragonano ad Agrippina”.
Daniel rimase un attimo perplesso. Come al solito la sua ignoranza in storia non lo aiutava e in questo momento avrebbe voluto almeno ricordare vagamente chi fosse Agrippina e Ian sembrò intuirlo poiché gli gettò un’occhiata di rimprovero senza però osare interrompere la Regina.
“Proprio per questo mi rivolgo a voi, Jean de Ponthieu. Ho bisogno della vostra fedeltà, di tutto ciò che potete darmi perché il progetto di mio marito, di mio figlio e dei nostri antenati si compia.”
Ian ascoltava emozionato e turbato. Sapeva che la Regina gli avrebbe chiesto qualcosa, qualcosa che lui avrebbe voluto poter rifiutare e invece avrebbe dovuto accettare. Forse qualcosa di terribile.
Si sentiva in trappola, come un pesce all’amo mentre lo sguardo freddo del fratello lo trafiggeva quasi minaccioso.
“Mia signora, avete la mia stima e avrete per sempre la mia fedeltà, in nome di Dio, di San Michele e San Giorgio.”  Fu costretto a giurare, con la voce fioca come un prigioniero che pronuncia le sue ultime volontà e attende la sua condanna.
La donna annuì soddisfatta e addolcì il tono, quasi materna: “So quanto vi costa farmi questo giuramento e so quanto vi costerà prendere in considerazione la mia proposta. Non vorrei mai essere costretta ad ordinarvelo con l’autorità che Dio e gli uomini mi hanno concesso.”
Dopo un minuto di silenzio Guillaume de Ponthieu, rimasto in silenzio fino a quel momento si pronunciò cercando di suonare il più freddo e asettico possibile.
“Jean, con Sua Maesta la Regina Bianca abbiamo concordato che è necessario rinsaldare i legami con l’Inghilterra. È necessario che Sua Altezza Luigi IX possa contare sui domini di Dunchester e Glevenhel e da lì cominciare la riconquista di ciò che è sempre appartenuto alla Francia, fin dai tempi dei normanni.”
Ian avrebbe voluto urlargli contro, di farla finita, di dirgli cosa veramente pretendessero da lui, cosa sarebbe stato costretto a sopportare per i suoi giuramenti e i suoi vincoli feudali.
“Per questo pensiamo che sia necessario, per il bene delle nostre nazioni, annunciare il fidanzamento fra Madmoiselle Leowyn Martewall, figlia di Monsieur Geoffrey Martewall e Michel de Ponthieu, mio nipote”
Mio figlio.
Ian sentì il grido strozzarsi in gola. Gli tremavano i denti e le labbra come se improvvisamente avesse avuto un colpo di freddo. Fu costretto a voltarsi, di tre quarti, per non dare le spalle alla regina e per nascondere lo sgomento.
Suo figlio quel giorno festeggiava il suo decimo compleanno ignaro di ciò che era già stato deciso dalle alte sfere della politica francese.
Era promesso.  Avrebbe contratto un matrimonio di interesse. Sarebbe stato obbligato a sposare la figlia di Martewall. Ma perché Michel?  Perché non il giovane figlio di Guillaume?
La risposta affiorò fulminea e maligna, come un veleno.
Michael era il secondo di un ramo cadetto. Il suo destino era già segnato dalla nascita.
Non avrebbe ereditato nulla secondo i codici medievali. Tutto ciò che poteva chiedere al fratello era una lettera di raccomandazione per il convento semmai avesse avuto la vocazione di farsi prete oppure una piccola somma di denaro con cui procurarsi le armi e vendersi al miglior offerente.
Era orribile. Un orribile incubo.
Fu richiamato all’ordine da Teobaldo di Champagne che commentò, con voce profonda
“Questo è un giorno importante per la Francia Monsieur. Apprezziamo la vostra fedeltà e ne terremo sempre conto” come se Ian avesse già accettato.
Daniel era profondamente indignato. Il suo istinto di uomo moderno si ribellava a quella barbarie e fu tentato di rispondere sarcasticamente davanti al ringraziamento affettato di de Champagne.
La Regina Bianca, saggiamente, alla fine si pronunciò in una sorta di congedo  “attenderò con ansia la vostra risposta Monsieur. Prima di partire vorrò vedervi. ” fece prima di allontanarsi silenziosamente con Teobaldo al seguito.
“Isabeau ne è già al corrente?” chiese infine con voce strozzata al fratello che non accennava ad allontanarsi studiando le sue reazioni.
“Si e approva.”
L’ennesimo macigno si abbattè sulla schiena di Ian Maayrkas che scoppiò in singhiozzi come un bambino.
Ormai la tensione si era rotta. Adesso desiderava solo sfogarsi.
“Come hai potuto farmi questo Guillaume?! È mio figlio! Ed è tuo nipote! Tu…” non riusciva a trovare le parole, balbettava istericamente “tu non capisci quanto è pericoloso! E fra sei anni non sarà diverso! L’INGHILTERRA NON SARA’ MAI FRANCESE!” ruggì fuori.
Con grande stupore e costernazione, Daniel si accorse che il suo amico bestemmiava a voce bassa, in francese. Ormai era così radicata in lui quella lingua, quell’identità non sua che il francese gli appariva la lingua più naturale, la sua lingua madre. Non aveva potuto ignorare in quelle ore in cui si era intrattenuto solo ed esclusivamente con lui che il suo inglese era sempre più musicale, sempre più venato di un accento francese che anche in quel momento lo inquietavano, mentre il suo migliore amico soffriva le pene dell’inferno.
“Dovresti essere orgoglioso del ruolo che Michel avrà in tutto questo.  Deve considerarsi molto fortunato di godere del favore della regina. Così avrà l’occasione che a tanti secondogeniti è stata negata. Avrà un nome rispettabile, avrà suoi terreni da amministrare e per di più servirà il suo re imparentandosi con una nobile famiglia che ci è cara e amica. Cosa potrebbe desiderare di più un padre per il proprio figlio?”
La Libertà.
Questo avrebbe voluto gridargli ancora e ancora Ian eppure, ad ogni secondo che passava si sentiva raggelare sempre di più poiché la logica medievale a cui si appellava Ponthieu era stringente.
Il suo ragionamento non faceva una grinza, anzi, l’americano stesso sembrò avvertire l’orgoglio del francese e la sua delusione nei confronti del giovane.
“Speravo che con il tempo, vivendo al nostro fianco, mio e di Isabeau avresti compreso anche ciò che al tuo paese deve apparire estraneo e incivile. Alcune volte è necessario fare sacrifici per un bene superiore.”
 Replicò duramente Ponthieu prima di allontanarsi con passo pesante.


***************


Note

* Famoso palindromo latino  – tr.  “Andiamo in giro di notte e siamo consumati dal fuoco.”
Detto delle falene che, attratte dalla fiamma, finiscono per bruciarsi.  
Famosa frase attribuita a Virgilio  e considerata, nel medioevo, una formula magica [WIKI]

* Universalis de iure hominum declaratio  –  Art. I
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo  –  “Tutti gli uomini nascono liberi e pari per dignità e diritto.”  

*Pierre de Courtenay , primo sfidante di Ian al torneo contro Derengale (Hyperversum vol.1)

*Hugues de Lusignan [WIKI] , Pierre de Dreux  [WIKI]




Angolo dell’autrice

Questo titolo ha un suo perché. Anzi ne ha ben due.
Intanto quello del destino per Ian (come per gli uomini in generale) è una sorta di chiodo fisso e la possibilità di conoscere la sorte propria e dei propri cari è un tarlo che erode continuamente la mente del protagonista e di ciascuno di noi.  Insomma Ian è in tutto e per tutto una falena attratta dalla fiamma.
Se poi finirà per bruciarsi lo vedremo insieme.
E poi non si può negare che Hyperversum è un fantasy e il catapultarsi nel medioevo è magia.
Dunque direi che anche come formula magica, cade a fagiolo.
Non ho stesso delle vere e proprie note storiche, ma vi ho lasciato, come indirizzo orientativo i link di wikipedia, sempre utile e efficiente per ogni curiosità.
Ad ogni modo in genere cerco di essere piuttosto precisa con l’ambientazione storico-fantastica (della Storia e del libro insomma) qualunque errore, imprecisione, incoerenza, non chiarezza, dimenticanza, vi prego, fatemelo notare.
Mi scuso in anticipo ma sono piuttosto lenta negli aggiornamenti.   Uomo avvisato mezzo salvato.
Ed è la prima volta che scrivo in questo fandom ma i suoi personaggi hanno spesso popolato le mie fantasie, dunque spero di non essere OOC (altrimenti, tell me please).
Grazie a chi vorrà leggere, commentare, e soprattutto criticare (nel bene e nel male, anche spietatamente),

Neal C.

P.s inutile dire che non ho alcun diritto su nessun personaggio (tranne quelli inventati da me, tipo la figlia di Martewall)  e ogni cosa che scrivo è pura fantasia
Ebbene si, chiamasi  disclaimer.

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Capitolo 2
*** Nihil morte certius ***




2. Nihil morte certius*


Ian scuoteva il capo sordo ad ogni suono, rumore o parola che sia.
Davanti a lui Isabeau gli spiegava ancora una volta, pazientemente, quale grande onore e quale immenso vantaggio sarebbe stato per il loro figlio cadetto quel matrimonio con la figlia di Martewall.
“è tuo amico Jean. È una famiglia di cui fidarsi. ”
“è l’Inghilterra! È un paese pericoloso!”  le urlava addosso l’americano e sentiva le lacrime pungergli gli occhi tanto che dovette trattenersi con veemenza.
Non era bene che l’uomo si mostrasse debole, anche davanti alla propria moglie.
é il codice di qualunque cavaliere degno di questo nome, pensò Ian con amarezza.
Ormai si ritrovava sempre più spesso ad ammettere a sé stesso che la sua identità di americano del ventunesimo secolo stava lentamente sbiadendo.   E ogni volta se ne pentiva.
Gli sembrava di fare un passo indietro, dalla civiltà alla barbarie.
Un mondo e un tempo barbaro dove lui era l’uomo e Isabeau la donna, dove Bianca di Castiglia invece che essere una  donna in quota era una strega, dove si frustava chi commetteva un furto e si mandava a morte chi si macchiava di omicidio, un mondo dove si combinavano i matrimoni per non soccombere.
L’amarezza si trasformò in disgusto e si ritrovò a desiderare, solo per un momento di fuggire aldilà del tempo, di viaggiare verso casa, verso il suo appartamento e la sua cattedra alla  University of Phoenix, le cene da John e Sylvia, i pomeriggi ai videogames con Daniel e Jodie e le partire di basket di Martin.
Poi guardava la moglie che si adoperava disperatamente per farlo sorridere e rassegnare e scacciava ogni pensiero con tutte le sue forze.
“Tra l’altro Michael era entusiasta di andare in Inghilterra da Geoffrey. Si piaceranno vedrai, questo renderà tutto più facile. Si conosceranno. È la cosa migliore che potesse capitargli, Jean”
Per un attimo il mondo si fermò.
E se si fosse preso un paio di giorni? Se ne avesse riflettuto con Daniel e con Jodie davanti ad una bella pizza, dopo una doccia calda?  E se si fosse allontanato per un po’ da quel mondo stressante, dalla tana del lupo e dai suoi famelici ospiti?
Il suo pensiero saettò subito al codice di famiglia che aveva nel cassetto del suo ufficio all’Università.
La cattedra era stata istituita per lui, in fondo non potevano averlo spostato senza attendere il suo consenso. Tutti i suoi materiali di ricerca dovevano essere lì.
L’idea di sbirciare fra le pagine di un atlante storico il destino di suo  figlio lo colpì come un fulmine a ciel sereno. Ci sarebbe riuscito? Valeva la pena di provarci.
“Jean? Amore? Mi ascolti?”
“si, si” rispose Ian in fretta guardandola con i suoi occhi chiari e arrossati, desiderando perdersi in quelli nocciola di lei. Era lo sguardo di un cucciolo smarrito, ferito nell’anima e bisognoso di calore.
Isabeau si addolcì con un sorriso luminoso andandosi a sedere vicino a lui sul letto a baldacchino preparato sontuosamente con lenzuola di lino e inserti in seta.
I piedini bianchi spuntavano timidamente da una lunghissima camicia da notte bianco latte e lei lasciò che lo scialle di cotone azzurrino scivolasse timidamente lasciandole le spalle scoperte.
Rabbrividì al tocco freddo della mano  di Ian che le sfilava lo scialle dalle spalle e la invitava gentilmente a stendersi accanto a lui.
Nonostante il caldo degli ultimi di luglio che promettevano una notte afosa, Isabeau appoggiò la massa di ricci biondi sul petto nudo del marito lasciandosi accarezzare il viso con dolcezza.
Lui mormorò dolcemente al suo orecchio “speriamo”
E si ripromise di farle domani la sua proposta mentre la spostava dolcemente da se e si chinava a baciarle la fronte protettivo.

************

“Vuoi tornare nel futuro?!”
Daniel era sbalordito.  Non riconosceva quella stessa persona che lo aveva pregato strenuamente la prima volta di non allontanarlo dalla sua amata anche se pugnalato a morte e la seconda volta che gli aveva impedito di cambiare vita quando tutto sembrava perduto.
Non ne vedeva la ragione.  
“Che senso ha!? Non dovresti stare qua a combattere la tua battaglia per la sua libertà?!”
Ian sospirò funereo annunciandogli tetramente “Non c’è niente per cui combattere, Daniel.
Non è previsto che io rifiuti.”
“Non vorrai accettare una cosa del genere?! Ian, cristo, è tuo figlio!”
Lo vide alzarsi feroce e rosso in viso, quasi minaccioso nelle sue vesti principesche.
Ian aveva sempre torreggiato su tutti loro eppure aveva tentato di dissimulare la sua altezza e prestanza fisica in tutti i modi. Daniel ricordava uno Ian che voleva passare inosservato, che cercava di mettere ciascuno a proprio agio, deciso ma sempre cortese, umile e mai arrogante.
Ma davanti a lui c’era un feudatario francese la cui smorfia sul viso suggeriva che non fosse affatto un tipo abituato ad ascoltare consigli altrui o sentirsi apostrofare in quel modo brusco e poco rispettoso.
“COSA CREDI?! CHE IO NON LO SAPPIA?!”  si fermò per riprendere fiato e per abbassare lentamente il tono di voce; con i suoi ruggiti rischiava di attirare l’attenzione di tutto il castello.
“E allora dimostrami che non sei una testa vuota, riempita fino all’orlo di queste ridicolaggini medievali!
Dimostra di essere ancora Ian Maayrkas, quello che un tempo ha sfidato Ponthieau e a fregato a Mr cadetto il posto di preferito e la moglie più bella d’Europa.  Ragiona! Questa è follia! ”
Ian alzò gli occhi al cielo davanti alla sarcastica sintesi della sua vita fatta dal suo migliore amico e cercò di evitare il suo sguardo nel timore di leggervi lo stesso disgusto che aveva provato a sua volta.
Non voleva avere conferma che quella fosse una follia anzi, voleva in tutti modi convincersi che sua moglie avesse ragione.
 Ma solo  quel codice medievale poteva aiutarlo a fare luce su questo mistero, a costo di leggervi l’irreparabile.
“Daniel, ti ho già spiegato i motivi. Dovrai ammettere che sono tutti ragionevolissimi.
Inoltre non ho scelta e persino Isabeau sostiene che questo farà la fortuna di Michael.
Ti prego, non rendere tutto più difficile.”
L’altro si zittì percependo la disperazione nella voce dell’amico ma quando stava per riprendere a ribattere fu preceduto da Ian che cercò il suo sguardo annunciando con decisione:
“Adesso ho bisogno di te. Tu mi porterai con te questo week-end a New York.
Ho bisogno di sapere se mio figlio sarà al sicuro. Ti prego.”
Il biondo sbuffò e aggiunse, velenoso, con una stoccata che l’altro incasso faticosamente, con un singhiozzo
“E cosa farai se scoprirai che questo potrebbe portare alla sua morte? Lo darai lo stesso in sposo a quella  lì?”
“Non lo dire neanche per scherzo” si ribellò con tono rabbioso il giovane padre “Io so che non è così”
Daniel abbassò lo sguardo mortificato e sconfitto mentre mugugnava di malumore
“programmi per il week-end? Come hai in mente di assentarti per le prossime quarantotto preziosissime ore?”
Ian cominciò ad esporre il suo piano, meditando su ogni parola, ripassandolo in ogni dettaglio.
Contava di raccontare che avrebbe passato qualche giorno in pellegrinaggio al monastero di Saint Michael come buon auspicio per la decisione presa mentre Daniel avrebbe fatto finta di partire per il porto a cui avrebbe attraccato la nave che lo avrebbe condotto oltre Manica, verso la fantasiosa Scozia da cui dicevano di provenire.
Daniel sarebbe tornato momentaneamente a casa e avrebbe calcolato in base ai tempi del gioco come programmare la partita salvata che avrebbe riportato l’amico al Monastero, al momento in cui Ian aveva finito la sua preghiera ed era andato a fare una passeggiata nel bosco, oltre il recinto del cortile esterno alle mura della struttura monastica.
In quel punto sarebbe stato prelevato da Daniel e in quel punto sarebbe poi tornato, due giorni dopo, con un nuovo backup di dati.
Fatti i conti per bene, fra i due momenti ci sarebbe stato uno scarto di massimo due minuti, anche meno.
E nel frattempo Ian e Daniel avrebbero avuto il loro weekend.
Il biondo si complimentò con l’amico. Ormai era diventato anche troppo bravo ad escogitare sotterfugi.
Semplicemente adesso è meno difficile. Posso fare quello che voglio e raramente devo rendere conto  a qualcuno, pensò dolente Ian mentre concludeva fra se e se,  è il potere, ti apre tante strade e poi, all’ultimo, ti taglia via le ali.

E così fu.
Ian dovette congedarsi dai suoi ospiti che reagirono tutti in maniera piuttosto simile, apprezzando e lodando il suo gesto pio e congratulandosi per la buona scelta e il matrimonio alle porte.
In fondo sarebbe stata questione di sei anni. Infatti Ian aveva però ottenuto che il figlio non si preparasse al matrimonio né lasciasse casa prima dei sedici anni.
Per la sua istruzione innanzitutto e poi doveva dimostrare di essere un uomo e un cavaliere gareggiando al primo torneo in nome della sua dama.
Con grande fortuna di Ian, il torneo estivo capitava pochi giorni prima del compleanno di suo figlio.
Dunque il suo debutto in società non sarebbe stato prima di metà settembre.
Avrebbe avuto ancora un mesetto in più per prepararsi a dire addio alla casa paterna.
Ancora una volta Ian si era fatto promettere che il torneo non fosse spostato né posticipato in alcun modo.
Prima di metà settembre suo figlio sarebbe stato ancora un uomo libero.
Le sue volontà furono messe per iscritto, firmate dal Conte con inchiostro nero e con un sigillo della  casa.
Mancava solo la firma di Geoffrey Martewall ma Ian era certo che anche lui avrebbe acconsentito.
In fondo, prima di accogliere il figlioccio, Martewall doveva assicurarsi che il futuro marito di sua figlia fosse un abile cavaliere e un uomo istruito.  In compenso Ian si impegnava a mandarlo in Inghilterra ad agosto, per tutto il mese, ogni anno escluso quello del suo sedicesimo compleanno.
Per Michael sarebbe stata una buona occasione per esercitare il suo inglese e soprattutto la scherma con il futuro suocero. Inoltre sarebbe stato partecipe della gestione della casa e avrebbe avuto occasione di abituarsi alla presenza della sua sposa e imparare a comportarsi come di dovere.
Non che in Inghilterra le buone maniere fossero molto diverse ma era fondamentale abituarsi e conoscere la tana del lupo prima di avventurarcisi.
Daniel assisté sgomento ma quasi incuriosito alla cerimonia di giuramento che coinvolse Ian e il messo inglese che fu investito dell’autorità del padrone in assenza del barone di Dunchester.
Ian si guadagnò lo sguardo soddisfatto e compiaciuto di Guillaume.
A lui disse più tardi che semplicemente non ne poteva più della folla di personaggi politici più o meno influenti che affollavano casa sua e che voleva stare da solo per pensare.
“è una cosa ammirevole.  So che non è stata una decisione facile. Sono fiero di mio fratello in questi momenti.”
Se credeva di riscaldare il cuore di Ian non aveva fatto i conti con il suo disagio, il disagio del bugiardo che nascondeva, per l’ennesima volta, i suoi  sotterfugi e i suoi inganni per salvarsi la pelle.
Ma in fondo Jean Marc era ancora troppo scosso dalla notizia del fidanzamento prossimo del figlio perché il suo disagio non potesse essere scusato.
Chi invece fu doloroso salutare fu Isabeau, ma Ian non se la sentiva di darle una simile preoccupazione.
Per lui erano quarantotto ore ma per lei sarebbero stati pochi secondi.
“Il solito samaritano” commentò Sancerre scandalizzando Grandprè mentre il giovane de Bar rideva beffardo. Inoltre Etienne si fece promettere che tutti i giovani cadetti del mitico gruppo da torneo avrebbero organizzato a Michael un addio al celibato degno di questo nome.
Aveva poi aggiunto che un padre così pio e religioso certo non avrebbe provveduto ad educare e affinare le arti dell’amore del suo giovane figliolo dunque spettava agli zii e cugini acquisiti colmare quelle lacune.
Ian si era fatto finalmente una risata dopo giorni, incapace persino di fare il finto offeso mentre Daniel nascondeva l’ilarità nel bavero della sua casacca e Isabeau arrossiva, gli occhi pericolosamente allarmati  e la boccuccia spalancata.
Proprio mentre cercava le parole più adatte per inchiodare il vecchio amico di ventura fu, ancora una volta interrotto da un messo, stavolta un giovane inglese rossiccio dall’aria piuttosto conosciuta.
“Monsieur Jean?”
“Beau?”
Il giovane Beau, un ragazzo alto e muscoloso, vestito con i colori dei Martwell veniva avanti fiero, con gli occhi scintillanti dalla contentezza e dall’orgoglio, specie nel vedere la meraviglia e la gioia del suo ex-cavaliere e mentore.
Ian corse persino ad abbracciarlo.  In quel momento la gioia lo sopraffece forte almeno quanto lo erano stati altri sentimenti negli ultimi giorni.
Alla fine, davanti all’imbarazzo del giovane, stamperò l’abbraccio con qualche pacca vigorosa sulla spalla eppure era certo che anche Beau, in un certo senso, ricambiasse.
“Come te la passi? Come va con Sir Martewall?”
“Oh, Monsieur, sarò scudiero ancora per poco! Dopo il torneo di Natale mi è stata promessa l’investitura!”
Il giovanotto ventunenne scoppiava di orgoglio come un pavone che sfoderava la sua coda multicolore.
“Magnifico! E vedo che il tuo francese è assai migliorato e il tuo accento peggiora di giorno in giorno.” Lo rimbecco Ian per mitigare quella valanga di complimenti che rischiava di far scoppiare d’orgoglio il giovane scudiero.
“Prima di tutto Monsieur, ho per voi un messaggio da parte di Sir Martewall. Si scusa molto ma è sbarcato due giorni fa sulla vostra terra ed è a riposo. In realtà ha avuto una brutta febbre durante il viaggio e dunque rimarrà a riposo un altro giorno prima di raggiungervi qui a Bearne.”
Ian annuiva preoccupato per la salute dell’amico,  non osando interrompere il ragazzo.
“Intanto potrai riposarti per un paio d’ore, e con Monsieur Daniel, davanti ad un bel bicchiere di vino saremo felici di sentire qualcuno dei tuoi racconti. ” la voce si fece severa e grave “Poi potrai dire a Geoffrey che l’indomani parto per un pellegrinaggio  al Monastero di Saint Michael in onore del legame che unirà le nostre casate.” Notando alcune perplessità del giovane ripetè l’ordine in inglese e continuò così, notando il sollievo plateale del giovane  “e dirai che se mi vuole raggiungere lì sarò lieto di incontrarlo, fargli firmare un contratto in cui sono riportare le mie condizioni così che lui possa scrivere le sue e io a mia volta mi impegno a firmare e ad adempiere alle sue richieste.
Per lui sarà un sollievo visto che il monastero è più vicino al porto dove è sbarcato e a Chatel Argent.
Inoltre i frati sono molto ospitali con i viaggiatori  e sicuramente saranno trovare dei rimedi alla febbre e all’influenza del tuo padrone.”
Daniel ancora una volta assisteva alle mirabili conclusioni di Jean Marc de Pontieu che, come un novello Sherlock Holmes, sapeva mettere ogni tassello al posto giusto, prevedere ogni cosa e incastrare in ogni attimo della sua vita un’incombenza.
Gli ci vuole proprio una vacanza, si diceva, impressionato.
Inoltre non riusciva bene a capire cosa ci fosse di buono nell’attirare Martewall proprio laddove volevano compiere la famosa stregoneria e dileguarsi.
Una tragica fatalità poteva, ancora una volta, distruggere la vita di Ian in quel mondo per sempre.
Oppure, pensava Daniel con raccapriccio, chissà di cosa sarebbe stato capace Guillaume de Pontieu per sbarazzarsi di un testimone scomodo come Martewall?
Si disse che lo avrebbe concordato a suo tempo con Ian.  In fondo l’amico sapeva quello che faceva.
Doveva solo fidarsi di lui e sperare che niente rendesse la situazione attuale più complicata di quanto già non fosse.

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Il giorno dopo Ian lo dedicò ai figli.
Portò a caccia Marc e Michel, la mattina presto, dovette onorare l’invito a pranzo della Regina ma nel pomeriggio si dileguò, scusandosi infinitamente;  purtroppo i figli erano indietro con lo studio  e non aveva intenzione di sollevarli dal loro dovere neanche un attimo.
Scoprì orgoglioso che Marc, per il decimo compleanno del fratello, aveva fabbricato con le sue mani un piccolo arco.
Si era fatto aiutare da alcuni soldati di Chatel Argent con cui usava allenarsi di tanto in tanto al “poligono da tiro”.
Lui aveva fatto fare per Michel un pugnale con intarsi in argento e con inciso lo stemma dei Pontieu e inoltre, cosa sulla quale Guillame aveva avuto da ridire, aveva fatto fare per lui un anellino con il sigillo del casato di famiglia.
Era abbastanza strano, quasi sconveniente, che il minore, il conte cadetto, ricevesse un dono così importante ma Ian volle rimarcare una cosa evidente a tutta la corte: era e sarebbe sempre stato suo figlio, qualunque cosa avessero detto e fatto di lui le alte sfere.
Marc non se la prese e non dette adito alle voci degli invidiosi.
Era troppo eccitato per la presenza dei cugini della casa De Bar, Grandpré e de Sancerre e quasi trovò invadente la presenza costante e affettuosa del padre.
Si mostrò insofferente durante le noiose lezioni di latino e inglese e promise che avrebbe letto il capitolo giornaliero de “La Mort d’Artu”* prima di coricarsi.
Ovviamente non lo fece e il padre, prima di dargli la buona notte, glielo fece notare con un finto cipiglio severo. Il piccolo ne fu così mortificato che promise che il giorno appresso ne avrebbe letti due.
Naturalmente non lo avrebbe fatto, questo Ian lo sapeva bene, eppure sorrise intenerito per poi andare a salutare Michel.
Lo trovò mezzo addormentato, che già sonnecchiava, la mente lontana anni luce dagli intrighi terrestri in cui era inconsapevolmente coinvolto.
Ian gli accarezzò la fronte ed ebbe un singhiozzo quando lo vide sbadigliare e accogliere quella carezza esitante con un’espressione di abbandono e di pace interiore divine.
L’americano richiamò se stesso all’ordine.   In fondo si stava comportando come se suo figlio fosse stato condannato a morte e ancora una volta si ritrovò a pensare che in fondo la tesi di Isabeau era più che ragionevole.  Era un onore e un privilegio agli occhi di tutti, tranne per lui.
Dunque, era forse Ian che sbagliava?

Daniel era partito quella mattina stessa da Bearne, ufficialmente diretto verso il sentiero che passava per Saint Michel e portava poi nel feudo di Montmayeur fino ai porti sulla Manica.
Dopo circa venti minuti di cammino, fece una ricognizione nei dintorni e, appurato di essere solo e indisturbato, aveva richiamato l’icona di Hyperversum, pronto per essere catapultato nel suo tempo.
A casa lo aspettava Jodie, appena tornata a casa con le buste della spesa, che trafficava in cucina con il forno.  Daniel si infilò alle sue spalle sorprendendola con un bacio a tradimento, sulla nuca.
“Brrr, mi fate rabbrividire Monsieru Freeland!” scherzò la ragazza mentre infornava un gustoso gatteau.
“Sei stato da Ian?” chiese poi, seria e preoccupata  “tutto bene o beghe in arrivo?”
“si  è cacciato in un bel pasticcio” ammise Daniel raccontando di Michel e della promessa di matrimonio firmata davanti a Bianca di Castiglia e Monsier de Champagne.
Jodie si mostrò molto turbata e quasi indignata dalla brutalità della pratica.
“Io non potrei mai sopportarlo per mio figlio, mai!” aggiunse addolorata  “per caso Ian ha perso il senso delle cose? Della giustizia? Come ha potuto?”
“Non ha avuto scelta” cercò di giustificarlo Daniel sebbene non potesse fare a meno di ricambiare il punto di vista della moglie.
“Si ha sempre una scelta” replicò Jodie, spazientita e Daniel ne approfittò per cambiare in fretta argomento.
“Comunque passerà da noi per il weekend” questo bastò a farle tornare il sorriso sulle labbra
“e ha qualche desiderio?” disse lei con uno strano  tono che a Daniel non piacque  “si, stasera pizza.
Io avrei qualche desiderio, sai com’è”
“Oh, ma con mio marito non è divertente” civettò la ragazza.
“E Johnny?” cambiò argomento Daniel, guardandosi intorno, quasi allarmato dal silenzio che invadeva il resto della casa.
“Johnny è da un’amica”
“un’amica?”
Vedendo il sopracciglio alzato del marito Jodie ridacchiò, divertita, e lo tenne in sospeso per un po’ mentre tagliava le cipolle per l’insalata.
“A studiare. È la migliore della classe.”
“Ah”
“lo vado a prendere per cena e prendiamo la pizza da  ‘al dente’ ”
“io margherita. Vedrai che Ian vorrà quella quattro stagioni.”
Sorrise fra se e se pensando alla reazione deliziata di Ian davanti alla pizza.
Per quanto non lo volesse ammettere, Daniel sapeva quanto gli mancasse la modernità dopotutto.
Fu distratto dall’impetuoso Jay, il cane con cui conviveva da almeno tre anni.
Avevano pianto moltissimo la morte di Skip, il vecchio cane di Ian che era sopravvissuto fino a sette anni.
Era cresciuto con Johnny ed erano passati alcuni anni dalla sua morte prima che i Freeland si decidessero a prenderne un altro.
Eppure Jay era talmente esuberante e ricordava talmente tanto Skip che non avevano potuto resistere.
“Tra un po’ conoscerai Ian” gli disse, a mezza voce, carezzandolo sulle orecchie e alzandosi mentre il cagnetto lo seguiva scodinzolando.


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Geoffrey Martewall mosse qualche passo fuori dalla canonica.
Dopo di lui qualche giovane francescano lo superò, discreto,  abbassando il capo in segno di rispetto.
Si udivano ancora gli ultimi canti gregoriani , la messa era quasi terminata ma l’inglese non aveva voluto aspettare.
Aveva bisogno di aria  e non ne poteva più di stare in ginocchio, con le mani congiunte, mentre intorno a lui salmodiavano in latino.
Si sentiva stanco, ancora debilitato dalla febbre che lo aveva costretto a passare il viaggio nella stiva, in preda al mal di mare e a forti coliche.  
Aveva mangiato pane spugnato e per poco non aveva evitato che un terzo salasso lo uccidesse.
Quel bastardo del medico di bordo, pensava, per poco non lo aveva fatto ammazzare, con quegli insulsi rimedi a base di sgombri e impacchi di sale che avrebbero dovuto alleviare il mal di mare.
Ricordava ancora con terrore invece quei prelievi forzati che gli annebbiavano la vista e gli toglievano la terra sotto i piedi;  perdere la facoltà di ragionare, anche per pochi minuti,  era una tortura e il viaggio era stato un insopportabile successione di buchi neri, in cui tutti i sensi erano appannati e il bruciore gelido della febbre lo consumava incessantemente rendendo incoerente qualunque pensiero.
A stento era riuscito a riferire a Beau il messaggio per Jean, mentre il trasporto verso il monastero di Saint Michael  procedeva a rilento.
Adesso, dopo tre giorni di cure incessanti da parte dei monaci, finalmente era tornato a camminare e perfino a tirare di scherma,  ma ancora non aveva riacquistato i suoi riflessi veloci e faticava a concentrarsi.
Si guardò attorno, con un senso di sospetto e inquietudine che lo inseguivano da mesi, da quando si era deciso a partire per la Francia.
Neppure lì, in quel piccolo e arroccato monastero, riusciva a sentirsi tranquillo e portò istintivamente la mano al fodero della spada vuoto, che gli pendeva dal fianco.
All’interno del convento, come sempre nella casa di Dio, era proibito portare armi e la cosa lo fece sentire ancora più indifeso. In quanto malato non aveva conservato niente, neppure il pugnale che solitamente portava nascosto fra le vesti. Tutti i suoi vestiti erano stati lavati e rinfrescati e ogni lama era custodita dai padri nell’armeria, conservata gelosamente perché proprietà di un ospite illustre, amico intimo del Conte de Ponthieu.
Dopo un po’, si disse che era il caso di tornarsene nel cubicolo che gli era stato assegnato e si disse che sarebbe passato in biblioteca, con il permesso dell’abate, e ne avrebbe approfittato per scambiare quattro chiacchiere sulle difese del monastero e carpire qualche consiglio di strategia francese.
Infatti, nonostante la sua salda alleanza con la Francia, gli riusciva ancora difficile pensare ai francesi come conterranei date le sue varie e per lo più negative esperienze.
E poi le curiosità non si negano a nessuno, aggiunse fra se e se.
“Geoffrey!”  Lo richiamò una voce familiare  “Ti aspettavo”
All’ingresso della canonica si ergeva Jean de Pontieu che gli sorrideva, sollevato.
Era vestito di una semplice tunica bianca,  spoglio di qualunque veste regale e dei simboli dei Pontieu;  sembrava solo un ragazzone in forma, poi con quei capelli scompigliati e neri e i piedi neri che calzavano i sandali di cuoio tipici del saio francescano.
Eppure gli occhi tradivano una scintilla di intelligenza, erano brillanti e chiari come zaffiri;   
Inoltre Martewall conosceva bene il suo amico e sapeva che quell’accenno di catenina d’argento che spuntava dal collo rozzo della tunica informe portava appeso l’anello della casata, con il sigillo dei Ponthieu, dono del fratello da cui non si separava mai.
“Jean”
“Amico mio, ho saputo della tua malattia. Spero che tu ti stia rimettendo.”
Ian si era avvicinato preoccupato, cercando nel viso del compagno provato  i segni evidenti della sua salute fragile.
“Si, il viaggio è stato duro.  Ma adesso abbiamo molte cose di cui discutere.”
 Lo richiamò all’attenzione Martewall, quasi perentorio.  Gli fu grato che fosse passato all’inglese e ancora una volta non potette non meravigliarsi dell’inflessione curiosa che sia lui che il biondo straniero Freeland avevano sempre avuto.   Eppure cominciava quasi a sentire un accento francese, musicale,  che si affacciava quando Ian abbassava la guardia.
“Ti spiace se facciamo una passeggiata nel giardino qui fuori?” chiese cautamente l’amico.
“Il cimitero?” grugnì Martewall con un lampo di ironia negli occhi che fece sorridere Ian.
“Qui sono sepolti alcuni miei illustri parenti” confessò Ian, lanciando uno sguardo  vacuo alle cinque file di lapidi che spuntavano dal terreno scuro, con qualche ciuffo d’erba striminzito che ancora sopravviveva.
“è piuttosto piccolo.” Osservò Martewall
“come tutto il resto del complesso” Ian scrollò le spalle.
“Tutti illustri guerrieri?” chiese l’inglese ma Ian rispose scuotendo la testa e ribattendo pensoso
“Illustri si, ma ecclesiastici.”
“francescani?” si meravigliò Martewall, tanto che Ian abbozzò un sorrisetto e corse a tormentarsi il labbro con i denti prima di rispondere   “Benedettini. E non particolarmente parchi e sobri. Non tutti almeno.”
“Una razza diffusa” commentò anche con un misterioso tono l’inglese
Ian lasciò passare ancora un momento prima di rivolgergli lo sguardo interrogativo.
Aveva notato quanto Martewall si guardasse intorno, come se si sentisse spiato  e come se quel luogo non lo tranquillizzasse. Stava quasi cominciando a pensare ad una nevrosi tanto era difficile seguire lo sguardo diffidente del leone di Dunchester.
“C’è qualcosa che devi dirmi Geoffrey?”
“Abbiamo dei nemici, Jean.”  Gli annunciò l’inglese, con un tono rabbioso che faceva paura tanto era grave   
“Nemici potenti che non vogliono questo matrimonio.   Ma non so chi e non so perché.”
Ian rimase profondamente turbato e sentì le spalle irrigidirsi, in un moto di paura; sospettava che questa situazione sarebbe stata pericolosa per suo figlio e adesso i suoi timori promettevano di realizzarsi molto presto.
“Cosa sai?”  lo implorò con lo sguardo e Martewall, inarcata la schiena con una smorfia di stanchezza, si mosse in direzione di una panca, posta proprio all’entrata del piccolo cimitero.
“Non credo che siano coinvolti i pretendenti inglesi che mi hanno chiesto precedentemente la mano di Leowyn.  Sembrano tutti abbastanza innocui. ” si interruppe  e Ian sentì l’ansia montare  “ma potrebbe essere qualcuno che si ripromette di fare domanda non appena io o te saremo spariti dalla circolazione.”
“Sono questi i tuoi timori? Come fai a dirlo?”  Ian si sentiva il sangue gelare e strinse i pugni, rabbioso.
“Lo so perché questa mia malattia non è affatto casuale, Jean. Credo di essere stato avvelenato ma non so come. Forse lentamente, giorno per giorno, dunque sono certo che c’è un inglese dietro tutto questo.”
“Magari un inglese che aspira a conquistate feudi che si uniscano ai baroni ribelli e rinneghino l’alleanza con Sua Maestà Luigi il Santo.” Completò Ian per lui, quasi senza fiato e il barone dovette notarlo perché commentò, pensieroso:
“Come al solito mi stupisci con la tua straordinaria capacità di  interpretare le trame segrete dei tuoi nemici e il tuo intuito.”
“Già, un vero occhio di falco”  ribatte amaro il giovane.
“più che un dono, è una maledizione” riflettè ad alta voce l’inglese guadagnandosi un sospiro sfinito di Ian.
“Cosa altro hai dedotto?” incalzò l’americano, impaziente.
Si fidava del giudizio dell’amico come di se stesso e non stentava a credere che l’unione dei loro casati sarebbe stata l’epilogo di una lunga battaglia.
“Intanto ho buone ragioni per credere che ad avvelenarmi sia stato il medico di bordo.
Ma qualcun altro, fra le mura di casa mia, deve aver dato inizio a tutto.
Quell’insulso insetto avrebbe solo dovuto debilitarmi ancora ma non capisco a che pro visto che non sono stato attaccato durante il viaggio.”
“Forse sperava che tu morissi di febbre. ” dedusse Ian, accigliandosi  “Beau mi ha raccontato che hai rischiato molto. ”
“No. Non così tanto” sminuì l’inglese “ho la pelle più dura di quello che sembra”.
“Eppure ero certo di potermi fidare di quel medico, visto che me lo ha consigliato la Regina Bianca ” rivelò Martwell, stavolta visibilmente inquieto “potrebbe mai volersi liberare di me in modo così subdolo?”
“Non ci pensare neanche!” si ribellò Ian, quasi offeso dall’entità dell’insinuazione “ non ti permetto di insultare in questa maniera la mia regina!”
“Sei un fedelissimo, come sempre.” Si compiacque Martwell con un mezzo sorriso sotto i baffi
“Ti pare il momento di scherzare Geoffrey?” lo rimproverò l’americano, continuando a fare l’offeso.
“Non fu quel de Lusignan a cui la regina affidò il compito di presiedere l’unione fra i nostri rampolli? ” chiese conferma il barone lasciando Ian stupefatto.
Ecco il perché della presenza di quei due, personaggi estremamente scomodi oltre che impopolari se non nel novero degli scandali degli ultimi anni.
“Vuoi dire che…” Ian soffocò per la sorpresa, lasciando la frase a mezz’aria,
“i traditori restano sempre traditori, Jean.” Ribattè duro Martewall.
“No, io non posso credere… Sua maestà si fida di loro e…” le proteste degli giovane furono zittite dall’occhio attento di Martewall che gli fece cenno di tacere.
“Hai sentito anche tu?”
“Co…!” il clangore del ferro si abbattè sul legno della panca mentre Ian era sbalzato all’indietro dalla spinta energica del barone. Il pugnale lo aveva mancato di pochissimo, constatò il giovane  e un lampo di rabbia quasi lo accecò, aiutandolo a rimettersi in piede dopo la brutta botta sul fondoschiena.
Accanto a lui Martewall era inchiodato per terra cercando di frenare la mano del suo assalitore, avvolto dal saio  e coperto in viso da un cappuccio.
Ben presto fu raggiunto da un complice che oltrepassò velocemente l’entrata del cimitero, avvicinandosi minaccioso per dare man forte al compagno.
Ian strisciò per terra, dietro la panca,  e si avventò sull’assalitore di Martewall come un rinoceronte alla carica. La sua altezza e la sua possanza fisica ebbero la meglio sul monaco ma dovette constatare con orrore che non impugnava più il pugnale.
Poco dietro di lui, Martewall respirava a fatica,  il ferro conficcato nel petto.  
Ian, furibondo e rabbioso come una belva ferita, colpì nella bocca dello stomaco l’uomo costringendolo a ripiegarsi su se stesso con un grido soffocato.  Con un ultimo colpo al collo l’assalitore rovinò per terra, sbattendo la testa e poco dopo, rivoli di sangue colarono copiosi dal naso e dalle orecchie.
Con grande stupore dell’americano, il secondo uomo giaceva riverso, dietro la panca con una freccia conficcata nel cuore.
“Ian!” la voce di Daniel lo riscosse dalla sorpresa e il conte lo raggiunse, accanto al corpo del barone, ancora boccheggiante.
“Geoffrey! Geoffrey! ” Daniel si scostò perché lui potesse chinarsi sull’amico gravemente ferito e Ian prese a scuoterlo, temendo che perdesse i sensi  “Dio! Geoffrey!”
“Ian, ormai è tardi. Fra poco sarà morto.”  Gli fece con un fil di voce il biondo.
“NO! Possiamo salvarlo!” singhiozzò disperatamente il giovane mentre lacrime calde gli offuscavano lo sguardo .
“è impossibile! Solo una sala operatoria potrebbe salvarlo! Ian!”
E in quel momento, dallo sguardo disperato dell’amico, Daniel intuì cosa avrebbero potuto fare.
“Io… non è una buona idea” rispose solo, balbettando , disgustato da se stesso per quello che stava per dire
“DANIEL! VOGLIO SALVARLO! ORA!”  gli tuonò contro l’americano ma Daniel scosse il capo,
lo sguardo vacuo.
“è il suo destino Ian. Lui è nato qui e morirà qui.”  Pronunciò quelle parole lentamente e incassò con una smorfia lo schiaffo dell’amico che gli lasciò la guancia arrossata e dolorante.
“RICHIAMA HYPERVERSUM! ORA!” gli ordinò Ian, gli occhi iniettati di sangue.
Suo malgrado Daniel evocò la mela e si costrinse ad aprire il varco mentre intorno il silenzio era rotto solo dal respiro stantio di Geoffrey.
Un momento prima di ordinare il “chiudi partita” Daniel si concesse un’occhiata al volto livido di Martewall.
Era bianco, cadaverico, gli occhi sbarrati davanti all’icona fiammeggiante e guardava le loro figure come se avesse davanti il demonio. Il suo respiro era accelerato e più affannoso di prima mentre mugolava dal terrore.
Ma, all’ennesimo ruggito di Ian che chiamava il suo nome, il chimico chiuse la partita, senza più esitazioni.
Immediatamente si sentì formicolare ovunque  e fu risucchiato ancora una volta dal vortice di quella diavoleria tecnologica.


Presto riprese il contatto con la realtà. Percepiva sulle mani i guanti e sentiva il pavimento sotto le gambe incrociate, le cuffie gli irritavano le orecchie e il profumo di gatteaux si affacciava, fievole, dalla cucina.
Il suo sguardò andò subito a Ian accanto a sé ma quello che vide gli apparve straordinario.
Distesi sul tappeto di casa c’erano Ian Maayrkas in maglietta bianca  e jeans chiari e accanto a lui Geoffrey Martewall in maglietta e jeans neri, entrambi senza un graffio, semplicemente immersi in un sonno profondo.
Davanti a lui, sullo schermo i dati della partita erano stato cancellati e Hyperversum aveva resettato tutto il suo database. Ancora una volta gli proponeva, beffardo, una nuova partita.
Daniel si prese la testa fra le mani, stropicciandosi le palpebre e lasciandosi andare in un sospiro frustrato.
Non ce la faceva più, quel maledetto gioco era una diabolica stregoneria.


*********************
 

 
Note

* Titolo, tr. Niente è più certo della morte  [WIKI]  
* “La Mort d’Artu” Thomas Mallory  [WIKI]  


COLONNA SONORA:

Muse, H.A.R.P, Wembley  [LINK] 
El*ke, Rock’n’roll High school  [LINK] 
Placebo, Twenty Years [LINK]  
 

Angolo dell’autrice

Colpo di scena, DANDAN.
E adesso comincia la trama promessa nell’introduzione.
Mi scuso per la patetica scena di combattimento. È la prima che abbia mai scritto e direi che è abbastanza penosa, al limite dell’irragionevole, non lontano dal fantasioso.
E so che le premesse ricordavano il modo in cui Ian è stato strappato alla morte (fine Hyperversum I) ma stavolta la cosa è abbastanza diversa dal momento che ne Ian ne Geoffrey riportano ferite e soprattutto, in genere, non c’è modo per trasferire oggetti o altre persone che non siano personaggi giocanti del gioco attraverso il varco nel tempo.  Ma è esattamente quello il mistero e non penso che riuscirò a spiegarlo.
Questo ovviamente rende piuttosto difficile trovare il modo di riportarli indietro.
Non so se lo farò.   Ci devo pensare.
Magari se mi sento buona vedrò di non condannarli all’agonia per tutta la vita.
Grazie sempre a chi legge, recensisce e sopratutto fa notare qualunque imperfezione/disattenzione/errore ecc.
A presto,

Neal C.

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Capitolo 3
*** Quo vadis, baby? ***



3. Quo vadis, baby? *



“Daniel? chiamo per la pizza?”  
Jodie fece capolino dalla cucina, ancora in grembiule, con il cordless in mano ma il sorriso le morì sulle labbra non appena lanciò un’occhiata al soggiorno.
“Cos’è successo?” fece orripilata davanti ai due corpi distesi “Daniel?” cercò conforto nel marito mentre constatava la presenza di uno sconosciuto, dai capelli neri scompigliati e la barba scura e cespugliosa.
“Io… non lo so” ammise funereo il marito, sollevandosi in piedi.
“Ma chi è quello? E Ian? Sta bene? È ferito? È…” si interruppe mordendosi il labbro e sforzando di non credere neanche per un attimo a ciò che quella vista le suggeriva.
“Dorme come un bambino, tranquilla.”  Non disse una parola su Martewall, distogliendo lo sguardo stancamente.
Ma Jodie non si lasciò scoraggiare dal silenzio del suo uomo e corse in cucina, tornando con un bicchiere da vino colmo d’acqua.  Davanti alla perplessità di Daniel, la ragazza si avvicinò minacciosa ai due giovani addormentati, quindi lanciò loro contro l’acqua.  
Dopo poco Ian sbattè gli occhi, arricciando le labbra in una smorfia infastidita.
Mise a fuoco il salotto di casa Freeman e, dopo un attimo di smarrimento, realizzò dove si trovava e il suo pensiero corse subito a Geoffrey, fino a pochi minuti fa ferito e agonizzante.
Jodie gli sorrideva rassicurata e Ian ricambiò il sorriso, sollevato dall’aria familiare.
Si tirò su sui gomiti, i muscoli della schiena ancora in criccati, come se fossero stati sottoposti ad uno sforzo troppo grande, stirò il collo e poi si volse  verso Geoffrey, ancora addormentato.
Vederlo così, in T-shirt e jeans, gli fece una strana, curiosa impressione e gli strappò un sorriso il pensiero che, dopo una rasatura, il barone di Dunchester sarebbe stato un vero Don Giovanni.
Poi sembrò ricordarsi dell’attentato che lo aveva lasciato ferito a morte e i suoi occhi corsero subito al suo petto, con urgenza.
 Ancora una volta ringraziò mille volte Hyperversum e le sue assurde regole.
Ma nonostante l’acqua e lo spavento Geoffrey non accennava a svegliarsi.
“Ma come…” sospirò il giovane, tirandosi a sedere, per poi mettersi in piedi a fatica.
“Non lo so. Non so com’è cominciata, non so come controllarlo. ”
Daniel continuava a mettersi le mani nei capelli, incapace di nascondere la frustrazione che aumentava ogni secondo che continuava a rimuginarci su.
“Cazzo” concluse infine, con un sospiro “CazzoCazzoCazzoCazzo!” sbattè il piede sul pavimento facendo saltare Ian ma neanche questo sembrò svegliare Martewall, ancora beatamente immerso nel sonno.
“Daniel” lo richiamò intimorita Jodie, ancora con il cordless in mano, cercando l’appoggio di Ian nel suo sguardo ma il bruno era assente “Prima o poi si sveglierà… poi che faremo?” diede voce ai pensieri di tutti.
“E se non si sveglia? A questo punto forse lo preferirei…” borbottò feroce Daniel.
Con grande sorpresa dei presenti Ian dette prova di un’ incredibile freddezza, come se avesse il completo controllo della situazione. Infatti si avvicinò gentilmente a Jodie, la quale gli lasciò il cordless di tacito accordo, dopodichè, mentre componeva un numero fece alla donna, con tranquillità:
“Si sveglierà. Se non sono morto io non lo farà neanche lui.  In fondo tutto quel che Hyperversum fa accadere deve essere scritto.” Affermò come se si trattasse del postulato di una religione.
Pochi secondi dopo ordinò alla pizzeria sotto casa due margherita, una bianca prosciutto e funghi e una quattro formaggi.
Daniel lo guardava sbalordito. Era sotto shock o cosa? Dove la tirava fuori tutta quella tranquillità?
 Pranzarono in silenzio.
Jodie tentò con diplomazia di chiedere di Isabeau e dei bambini ma Ian era taciturno e ben presto ella desisté. Che la cosa non lo avesse scosso neanche un po’ era impossibile, osservò Daniel fra se e se mentre cercava ogni pretesto per non doversi scervellare su quanto accaduto poco prima.
“Daniel, secondo te cos’è successo?” incalzò Ian,  intavolando l’argomento dal nulla mentre si alzava per buttare il cartone della sua pizza con il cornicione semi mangiucchiato che non era riuscito a finire.
“Da quanto tempo non mangiavo una pizza” osservò poi, con un sorriso per riempire il vuoto lasciato dal silenzio dell’amico che si ostinava a non rispondere e non pensare.
“Se si sveglia, chiamatemi.” Replicò alla fine Ian, stancamente
“Vado a farmi una doccia e poi cinema stasera?”

Quella sera andarono a vedere un thriler di spionaggio, in 3D, e per di più stracolmo di effetti speciali tanto che Ian ebbe per un attimo un giramento di testa.
Piuttosto Johnny fu entusiasta del suo ritorno e per quanto non fosse cool uscire con i genitori per un cinema, grazie alla presenza dello “zio Ian” accettò con piacere.
Il giorno dopo uscirono a mangiare in un ristorantino thailandese e il giorno ancora dopo ordinarono del sushi. Ma Martewall non si svegliò.
Il giorno dopo il loro ritorno, i due uomini di casa lo sollevarono con fatica, stendendolo sul letto, nella camera degli ospiti e  là lo lasciarono, controllando ogni ora che si svegliasse.
Più il tempo passava e più si angosciavano.
Daniel si era preso due giorni di ferie e aveva armeggiato tutte le mattine con il computer cercando di recuperare tutti i dati della partita ma ogni volta che inseriva i dati del back-up, Hyperversum non riusciva a caricare lo scenario e si bloccava.
Quando ricostruivano uno scenario leggermente diverso e meno particolareggiato il gioco funzionava normalmente rendendo tutto ancora più inutile e frustrante.
Daniel e Jodie discussero a lungo con Ian se era il caso di chiamare John e Sylvia  e avvertire Martin della loro presenza lì.
Ma finchè Martewall non si svegliava e non era messo “sotto copertura” non era il caso di rischiare.
Dopo il weekend Ian si ripresentò in Università e fu salutato calorosamente dal rettore e da alcuni colleghi che gli chiesero delle sue lunghe spedizioni in Francia e delle campagne di scavo a cui diceva di aver partecipato. Il giovane superò brillantemente la prova annunciando che avrebbe scritto tutto nel suo prossimo libro ed era tornato alla scrivania proprio per mettere a frutto la sua esperienza.
I colleghi lo avevano salutato con una pacca sulla spalle e gli avevano proposto un pranzo di benvenuto a cui non aveva potuto rifiutare. E così si era aggiornato sulle ultime novità di facoltà e aveva fatto conoscenza con il ricercatore che lo aveva sostituito fino a quel momento, un certo Dereck Anderson.
Ma quando era tornato a casa, stremato, aveva scoperto che nulla era cambiato.
“Forse è in coma” aveva riflettuto Jodie, mentre ricontrollava il battito cardiaco e la pressione, con delicatezza e premura.
Inoltre c’era un altro problema da fronteggiare:
nel momento in cui Geoffrey Martewall si fosse svegliato, in ogni caso sarebbe stato privo di documenti, di registrazione all’anagrafe, di un’identità.
Come creare una persona dal nulla?
E se si fosse ammalato come avrebbero potuto rimediare visto che di fatto non esisteva affatto qualcuno che avesse quel nome, quella data di nascita, le sue impronte digitali?
Solo in quel momento Ian si rendeva conto di quanto fosse stato ingenuo da parte sua pensare che in America, nel ventunesimo secolo, Martewall si sarebbe potuto salvare. Se Hyperversum avesse funzionato come di dovere, al suo arrivo Geoffrey sarebbe stato ferito gravemente, e avrebbe avuto bisogno di assistenza. Dove trovare i soldi e i documenti per garantirgli assistenza in un ospedale?
Tutti questi quesiti assillavano Ian impedendogli persino il sonno e, in quei giorni, aveva faticato ad addormentarsi.
Dopo quattro giorni che persisteva quella situazione snervante, Jodie si pronunciò, mentre i tre ragazzi di casa facevano colazione a latte e cereali e attendevano il caffè, svogliatamente:
“Ragazzi, non può andare avanti così”
Ian sollevò la testa dalla tazza e dal cookie che stava intingendo nel latte, rabbuiandosi subito:
“ha dato segni di vita?”
“è quello il problema, Ian! Non mangia da tre giorni! Ha assunto quelle poche gocce che sono riuscita a fargli entrare a forza in bocca! Rischia la disidratazione oltre che di morire di inedia!”
“Tu cosa proponi?” chiese sarcastico il ragazzo, ma se ne pentì subito.
“Dobbiamo fare in modo da ricoverarlo per commozione cerebrale e coma profondo.” Interruppe Daniel che stava per obbiettare, alzando una mano a mo’ di stop e brandendo il caffè in maniera pericolosa
“Facciamogli fare dei documenti falsi, facciamogli un’assicurazione sulla vita e mandiamolo in ospedale.”
“Sei impazzita? Sai quanto costa un’assicurazione sulla vita? E poi a chi li chiediamo i documenti falsi?” ribattè il marito, indignato ma subito Ian si ritrovò a mediare fra i due litiganti.
“Jodie, aspettiamo almeno un altro giorno. Quanto ai documenti falsi vedrò cosa posso fare, oggi stesso.”
Suonava molto misterioso, quasi alla James Bond questa frase ma lo stesso Ian non sapeva bene cosa fare e l’aria smarrita e assente del suo volto di quei giorni ne era la prova.
Da quando aveva lasciato Isabeau e la sua famiglia sorrideva di rado, si rinchiudeva in momenti di mutismo profondo e doloroso, alle volte si sfogava con pianti e singhiozzi appartati e mangiava poco volentieri.
Jodie non fu convinta del tutto dal tentativo di Ian ma fece un sospiro annunciando che andava a controllare Martewall un’altra volta quando un urlo eccheggiò per le scale, proveniente dal piano di sopra.
I tre ragazzi si guardarono allarmati, incapaci di reagire. Ian si riprese per primo, scattò in avanti, correndo per le scale e quando piombò in camera trovò Geoffrey rannicchiato in posizione fetale, che nascondeva il volto contro un cuscino e singhiozzava istericamente.
Il bruno si avvicinò lentamente e gli toccò la spalla con cautela ma questo sembrò agitare Martewall ancora di più tanto che si ritrasse e cominciò a urlare e a scalciare come in preda al panico.
Erano gridi rauchi, urla stridule e strozzate, come in preda ad un’angoscia e un’agonia senza fine e Ian ne fu quasi spaventato, incerto su cosa fare.
“Geoffrey… ti prego…. calmati” lo richiamò debolmente “Geoffrey, GEOFFREY!”
alzò gradualmente il tono della voce per sovrastare i suoi lamenti e arrivò ad afferrarlo per le spalle, sollevandolo di peso da letto e scuotendolo violentemente come volesse svegliarlo da un incubo.
Vide riflesso nei suoi occhi la paura folle di ogni cosa fosse intorno a lui, della stregoneria, e di lui, il suo amico Ian che si era tramutato in aguzzino catapultandolo in quella prigione in muratura, da che si trovavano in un cimitero verde.
“LASCIAMI! COSA MI HAI FATTO?! COSA MI HAI FATTO! SPORCO STREGONE! DEMONIO IMMONDO!”
Si rattrappì su se stesso e Ian notò che le mani erano strette al petto in maniera soffocante, appese ad una lunga catenina di ferro. Stringeva spasmodicamente una croce di legno, da lui stessa intagliata, che portava dal giorno della sua investitura cavalleresca.
“Geoffrey… ti prego…” ripetè Ian afflitto “sono sempre io, Jean… sono tuo amico… devi credermi”
Ma non ricevette risposta tranne un acuto mugolio e un singhiozzo. Poi cominciò ad udire uno strano salmodiare, fitto e disperato, mentre Martewall aveva chiuso gli occhi e li teneva sigillati.
“Pater noster qui es  in caelis, libera nos a malo, Pater noster qui es in caelis, libera nos a malo, Pater noster qui es in caelis, libera nos a malo… * ” e continuava freneticamente mordendosi le labbra e bagnando il cuscino di lacrime sconvolte.
A Ian venne una stretta al cuore e in quel momento non ce la fece più; si catapultò fuori dalla stanza mentre sopraggiungevano Daniel e Jodie, lui con un cambio di vestiti, lei con un vassoio di minestra, pane, acqua, vino, olive nere e del formaggio. Entrambi allarmatissimi lanciarono un occhiata all’amico sconvolto ma non lo fermarono mentre si precipitava di sotto, tappandosi le orecchie.
Quando sentirono la porta di casa sbattere con veemenza seppero di essere soli in casa.
Jodie entrò per prima con il vassoio esitante e lo spettacolo di Martewall in quelle condizioni la scosse non poco. Anche lei provò a richiamarlo più volte, non tentò mai di toccarlo ma gli ripetè parole amiche, lo esortò a mangiare e a calmarsi ma l’energia di Martewall era infinita e non smetteva di pregare ossessivamente, di raggomitolarsi su se stesso e singhiozzare senza tregua.
Alla fine gli lasciarono il vassoio accanto al letto e vestiti e asciugamani nuovi su una sedia, poco lontano e chiusero la porta.
I lamenti si attutirono e, dopo poco più di mezz’ora in casa regnava il silenzio.

Il giorno dopo Jodie si trasferì a casa dei genitori con Johnny, fortunatamente ancora ignaro della presenza di Martewall in casa.  Daniel scoprì che Geoffrey non aveva toccato cibo, rimasto a raffreddare tutta la notte e così fu per altri due giorni a venire.
Beveva sempre qualche sorso d’acqua ma né il pane, né il formaggio né la minestra erano toccate.
La cosa angosciava profondamente i due giovani ma ogni volta che si azzardavano ad entrare Martewall ricominciava a gemere e a pregare fino allo sfinimento.
Al terzo giorno dal suo risveglio, quando i due ragazzi vennero a fargli visita lo trovarono con lo sguardo opaco, sfinito. Non aveva neppure più la forza di singhiozzare, rimaneva a fissare con occhi vacui la parete bianca, la persiana semiabbassata e ogni tanto deglutiva con il respiro pesante.
Quella notte stessa lo colse la febbre con brividi fortissimi che denunciavano disidratazione, emicranie fulminanti da stress che lo costringevano a tenere gli occhi chiusi e a vivere nel buio, oltre che uno stato di depressione avanzata, come diagnosticò Jodie, con le lacrime agli occhi.
Dovettero fargli ingurgitare la minestra a forza e, nel tentativo di farlo bere, gli infradiciarono la t-shirt.
Rimediarono avvolgendolo in pesanti coperte di lana e costringendolo a ingoiare le compresse di tachipirina.  All’inizio Martewall dovette credere che lo stessero avvelenando eppure poi ci fece l’abitudine e smise di reagire.
Al quinto giorno, dopo il risveglio, Ian si recò prima del solito in camera di Martewall e per di più senza il vassoio della cena fra le mani.
Si sedette sul bordo del letto e notò che come al solito Geoffrey non lo guardava ma teneva gli occhi semi chiusi e vacui, puntati verso la parete di fronte.
Ian si allungò e con rabbia gli dette uno schiaffo in pieno volto, attirando così l’attenzione dell’amico che debolmente lasciò ricadere la testa dal lato di Ian guardandolo con i suoi occhi scuri e spenti, le occhiaie impastate di lacrime asciutte che ancora lasciavano il solco sul suo volto pallido e sofferente.
“Cosa diavolo stai cercando di fare Geoffrey? Vuoi lasciarti morire di inedia, di depressione, essiccato come una piantina al sole? Vuoi commettere peccato verso Iddio nostro signore togliendoti la vita che lui ti ha donato e lui solo può riprendersi?” e così dicendo lo scosse ancora con violenza, gli occhi accecati di lacrime
“Che razza di cavaliere sei! Credevo di conoscere Geoffrey Martewall, il Leone di Dunchester e invece davanti a me c’è solo un vigliacco! Svegliati e affronta la realtà prima di giudicarla!”
Continuò a urlargli contro “VIGLIACCO” per cinque minuti buoni finchè gli mancò il fiato.
Ma l’amico non reagì, tornando a guardare la parete, sconsolatamente.
Fu allora che Ian reagì con violenza e afferrò la sua catenina rigirandola intorno al collo, sul punto di strozzarlo. Geoffrey reagì debolmente allungando le mani come per respingere il corpo dell’altro e artigliargli il braccio ma ben presto rimase inerme sotto la sua stretta.
Tuttavia continuò ad agitarsi disperatamente, l’ultimo brandello del suo istinto di sopravvivenza.
Ian gli sussurrò all’orecchio rabbiosamente stringendo e rilasciando a tratti la presa per suonare più minaccioso  “potrei strozzarti Geoffrey, mettere fine alla tua vita…”
“fallo”  fece quello con un mormorio roco e strozzato, a malapena comprensibile, dopo cinque giorni di silenzio.
“Uccidimi” lo pregò Martewall con un lamento  “poiché…” prese a tossire, incapace di parlare tanto era arida la gola. Ian si affrettò a fargli ingoiare un po’ d’acqua dalla bottiglia che aveva accanto al letto e così Geoffrey potette terminare a fatica la frase:
“…poiché mi hai condan-nato a ques-to infeerno…cosa, mi hai fatto, cosa…” ritornò muto.
Ian allentò la presa e poi ritirò le mani lasciandolo a tossire seccamente, quindi si alzò guardandolo con occhi glaciali  “se è questo che pensi allora non posso fare nulla per te. Lasciati pure morire come il più infimo dei vigliacchi… disonori la cavalleria, san Michele e san Giorgio e… deludi il più grande degli amici” terminò con voce rotta, incapace di nasconderla.
Quella sera fu Daniel a lasciare il vassoio accanto al letto e ad augurargli la buonanotte non ricevendo altra risposta che un singhiozzo strozzato.

Il giorno dopo, con grande stupore, Daniel scoprì il piatto della minestra vuoto come la bottiglia accanto al letto, il formaggio mezzo mangiucchiato, cinque o sei noccioli di oliva e un fondo di vino nel bicchiere.
Ma quando andò da Martewall lo trovò che dormiva profondamente. Nel bagno in corridoio c’era una bacinella di plastica con un fondo di un liquido denso e giallastro.
Daniel arricciò il naso, riconoscendo l’odore stantio di urina e gettò tutto nel water.
La prima cosa che gli avrebbe insegnato, si disse, era l’utilizzo di un bagno moderno.
Qualche ora dopo fu richiamato dal rumore dei suoi passi sul parquet mentre si affrettava a raggiungere il catino in bagno. Fece in tempo a precederlo e a spiegargli in poco tempo quale grande invenzione fosse il water e quello sembrò non ribellarsi, accogliendo la novità con un sospiro.
Chiamò Jodie per farsi consigliare qualcosa da prendere contro la diarrea e gli misurò la febbre, di qualche grado più bassa, constatò con sollievo.
Dopo avergli somministrato un’altra tachipirina lo rimise a letto.
Nei successivi giorni di convalescenza,  Geoffrey si impegnò quanto poteva per apprendere il funzionamento del bagno mentre la febbre di abbassava sempre di più e lui tornava a mangiare normalmente.
Ma ancora non osava scendere le scale né esplorare altre stanze del piano di sopra.
Non si sporgeva dalle finestre e non permetteva che le tende di lino bianco fossero discostate benchè avesse consentito l’apertura delle persiane per fare entrare la luce.
Non domandò dove fosse Ian, perché non si fosse visto in giro negli ultimi tre giorni, i giorni della sua ripresa.  Il giovane ne aveva approfittato per allontanarsi  ed era volato a Seattle per presentare una nuova pubblicazione del collega Dereck Anderson e annunciare al mondo intero il suo ritorno fra gli accademici.
Dopo la sua prima settimana di convalescenza Daniel gli aveva spiegato il funzionamento della doccia, l’esistenza dell’acqua corrente regolabile a piacimento fra calda e fredda, l’esistenza dello shampoo e del bagnoschiuma, la componente acido acetilsalicilica della tachipirina e l’esistenza delle medicina e delle pillole solubili , avendogli dovuto somministrare calcio, magnesio e vitamina B e C tramite integratore.
Martewall era uno studente attento ma taciturno, con un’ombra di perenne sofferenza e disagio sul volto mentre annuiva, quando aveva capito oppure scuoteva la testa con un tacito invito a ripetere.
Daniel non si scoraggiava, parlandogli in modo colloquiale e familiare, ogni tanto abbozzando un sorriso e tentando una battuta che lo lasciava assorto e talvolta sembrava quasi inquietarlo.
Poi fu la volta della luce elettrica, scoglio duro da superare, ancor più dell’acqua corrente, della plastica e qualche breve accenno al petrolio che lo lasciò perplesso.
Dopo due giorni di faticose spiegazioni Daniel era tornato dal lavoro con un’enciclopedia universale per bambini e gliela aveva portata insieme al pranzo.
Da quel momento Martewall aveva impiegato tutto il tempo a leggere, talvolta trascurando anche di dormire. E ogni giorno si meravigliava e cominciava a chiamare le cose per nome sussurrando come un bambino che impara a parlare.
Fu dopo la prima settimana che Geoffrey improvvisamente si rivolse a Daniel che gli aveva  appena portato il pranzo  “tu… hai un’out…omobili?”
“Cosa?” rimase perplesso il ragazzo.
“Una carrozza che va a… olio”
 La cosa fece sorridere Daniel, specie detta in quel modo timoroso, con un timbro basso, sottovoce, e si affrettò a correggerlo, rallegrato:
“Un’automobile dici? Va a benzina. In realtà la mia va a gasolio però il principio è lo stesso.”
Geoffrey sospirò come se gli costasse una terribile fatica impegnarsi in quella conversazione ma alla fine annuì e ammise stentoreo  “l’ho letto. È tutto assurdo… e orribile”
Questo commento lasciò Daniel pensieroso e lasciò che l’amico continuasse, prendendosi il suo tempo.
“Non è naturale. Tutto quello che fate va assolutamente oltre qualunque… qualunque legge di natura.
Voi volate.  Ma la natura non ci ha provvisto di ali.
Voi vedete di notte come di giorno.  Nessuna creatura, tranne quelle notturne può sconfiggere l’oscurità.
Voi vi sentite da chilometri con degli apparecchi che usano l’essenza dei fulmini, la stessa per accendere le luci nella notte. Come avete fatto a catturare il lampo?”
Sembrava quasi sragionasse mentre elencava tutto ciò che aveva letto e che lo aveva lasciato mezzo tramortito.  Era spaurito come un cucciolo abbandonato che lottava con le unghie e con i denti per sopravvivere davanti ad un mondo nuovo, ostile e tremila volte più evoluto della civiltà da cui proveniva.
“E poi le vostre ricchezze! Tutto è ridotto a dei pezzi di carta straccia e delle monete di volgare metallo.
Anzi, alcune volte si tratta solo di soldi finti, inesistenti,  che hanno la stessa consistenza dell’aria.”
“Si chiamano azioni” ironizzò Daniel ma non se la sentì di infierire
“E fate continuamente debiti con degli strozzini che vi prestano tutto ciò che vi serve per vivere e vi fanno credito solo perché andate sventolando un pezzo di carta. ”
Non era male come definizione per una carta di credito,  si ritrovò a pensare Daniel, cercando di nascondere un sorriso e annuendo comprensivo.
“Geoffrey… non so spiegarti perché. Ci separano almeno mille anni di storia.  Non so come siamo arrivati a questo ma sappi che tutto quello che tu trovi inspiegabile e contro natura per me è assolutamente normale.   Mi dispiace ”  aggiunse poi contrito ma Geoffrey non lo degnò di uno sguardo e scivolò verso le scale che conducevano al piano di sopra, la zona camere da letto.


***********************


Note

* Titolo tr. Dove vai, baby? , direi che per descrivere lo smarrimento iniziale era perfetta, non trovate?
 Diciamo che originariamente è tratta dal vangelo apocrifo di Pietro [LINK]
 ma io preferisco una versione più  “laica” [LINK]
* Tr. Dal latino :  Padre nostro che sei nei cieli, liberaci dal male…


Angolo dell’autrice

Direi che Geoffrey ha preso molto bene il suo primo contatto con la società moderna/contemporanea/ipertecnologica dell’era dei duemila.
è sulla buona strada, se si impegna. Se non si suicida prima.
Ma siccome è il mio personaggio preferito e la storia non avrebbe molto senso senza di lui naturalmente se la caverà in qualche modo.   Augurategli buona fortuna.
Grazie a chi mi segue, chi recensisce, chi legge in silenzio.  
E grazie in particolare ad Eli_hope per la sua frequenza assidua e per avermi inserita fra gli autori preferiti :)
E voialtri,  qualunque cosa vogliate farmi notare, sappiate che non aspetto altro.  

Neal C.

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Capitolo 4
*** Absit iniuria verbis ***


4. Absit iniuria verbis*


ATTENZIONE

in questo capitolo sono riportate delle “nozioni”  di scherma tradizionale/medievale.
Avviso lettori e lettrici che non sono ferrata in materia, l’unica esperienza che ho è quella dei Gdr online e non, dunque vi lascio la mia fonte principale di informazioni.
http://maestrodarmi.altervista.org/colpi.htm
Se qualcuno più esperto di me avesse qualcosa da farmi notare, non esiti a farlo.
Buona lettura



Quella sera quando IanMaayrkas rientrò a casa, per la prima volta dopo dieci giorni,  rimase a bocca aperta dalla sorpresa, davanti allo spettacolo quasi surreale che si stava  svolgendo nel suo salotto.
Davanti a lui c’era Daniel che giocava ad Hyperversum e nel frattempo sembrava spiegarne il funzionamento ad un Geoffrey  insolitamente mansueto.
Entrambi erano seduti sul tappeto, Daniel in jeans e maglietta e Geoffrey in tuta.
Accanto a loro giacevano i resti di due confezioni di nudols con pezzetti di pollo fritti, una coca cola e una birra, poggiati alla ben e meglio su due buste di plastica con l’indirizzo del take away più vicino.
Daniel dovette aver finito la spiegazione perché si lasciò cadere sul divano sconsolato mentre Geoffrey guardava lo schermo del computer come se si stesse specchiando nel monitor luminoso.
Ian posò il borsone da viaggio per terra davanti alla porta d’ingresso e fece il suo ingresso nel salotto, annunciandosi con una lieve schiarita di voce.
I due uomini si girarono a guardarlo,  Daniel con un sorriso di ben tornato, Martewall con un’espressione indecifrabile sul volto: certo non gioia del suo ritorno,  constatò dispiaciuto l’americano.
“Gli hai spiegato il funzionamento di Hyperversum?” esordì, lasciandosi cadere sulla poltroncina accanto al divano, spostando lo sguardo da un amico all’altro, quasi volesse controllare, di sottecchi le reazioni di entrambi.
Stavolta fu Geoffrey a rispondere, in tono aspro e accusatorio:
“Si. E ho capito tante cose. ” 
Se Ian era rimasto colpito dall’ acidità dell’inglese, non lo dette a vedere, bensì si mise più comodo sulla poltrona e scalzò le converse rimanendo a piedi nudi.
“Cosa intendi dire?” chiese quasi noncurante.
”Intendo dire che ho sempre avuto ragione su tutto.  O meglio ho sempre avuto ottime ragioni di credere in Jerome e nelle sue ‘menzogne’ , come le hai sempre definite. ”
A sentire il nome di Derengale, Ian sollevò lo sguardo da terra, quasi digrignando i denti.
“Derengale era un crimale.”
“Almeno non mentiva.  Non era un impostore che ha ingannato tutto il mondo…” poi aggiunse, sottolineando “… allora conosciuto.”
“Gli hai detto proprio tutto eh?” si rivolse Ian a Daniel, quasi seccato.
Daniel non sapeva dove guardare. Come un idiota non aveva neppure pensato che avrebbe messo in pericolo l’identità del suo migliore amico. Che avrebbe dovuto omettere qualche dettaglio, che avrebbe dovuto fingere o almeno in qualche modo dissimulare il coinvolgimento di Ian in qualche modo.
Tentò la via della mediazione:
“Ehm… Geoff,  forse un tempo è stato così, ma adesso Ian è francese, ha una casa, una famiglia…”
“Ha una posizione che non è sua. Ha una moglie che non era destinata a lui. È solo un impostore!”
fu la risposta spazientita dell’inglese e Ian si sentì costretto a ribattere violentemente, gli occhi iniettati di sangue, nel tentativo di controllare la rabbia.
“Sai a chi era destinata Isabeau?! A Dammartin! Uno schifoso bastardo che l’avrebbe disonorata per poi costringere la MIA famiglia a sposarli!”
“Non è la TUA famiglia! Non hai nessun legame di sangue con i Ponthieu, non avresti neppure il diritto di rivolgermi la parola! Sei un patetico ladro di identità, probabilmente un plebeo, figlio di chissà quale razza in questa caotica mescolanza che chiamate America! ” lo liquidò con rabbia Martewall.
“Questa caotica mescolanza è un paese libero! È un paese dove chiunque può diventare ciò che vuole!
Quanto a me… mi è stata offerta l’opportunità di divenire dapprima un famiglio e poi un membro a tutti gli effetti del casato dei Ponthieu. Oseresti discutere la decisione di Sua altezza reale Filippo Augusto  e mio fratello Guillaume de Ponthieu, CONTE di Francia?!”
Ian si costrinse a riprendere fiato dopo quell’arringa sfiancante ma Martewall fu pronto a ribattere:
“Oserei discuterne anche con il Padreterno… perché so di avere ragione!”
“E allora finiresti sulla forca per aver offeso un sovrano per diritto divino! Come tuo padre, per tradimento!”
Vide l’inglese impallidire dalla rabbia e stringere i pugni spasmodicamente come se si stesse controllando dal saltare addosso all’americano.
“NON OSARE PARLARE DI MIO PADRE IN QUESTO MODO, LURIDO PEZZENTE BASTARDO!”
Gli urlò infine contro mentre Daniel li guardava sconvolto e balbettava i loro nomi, come se questo bastasse a richiamarli all’ordine.
“Come ci si sente a perdere ogni cosa? Totalmente sradicato e in un mondo ostile?  Bene, io così mi sentii all’epoca! Poi entrai nella famiglia di Guillaume che mi protesse come un fratello. E adesso SONO suo fratello, SONO un Conte di Francia e dunque devi portarmi il rispetto che merito, soprattutto tu,  BARONE*!”  affermò quasi altezzoso, Ian, sottolineando il titolo dell’amico con cattiveria.
“Non ti devo nulla! Dovrei sputarti addosso come sul più sudicio dei vagabondi!”
“Allora esci pure di qui!  Esci da quella porta e sparisci! Perché adesso stai godendo della sontuosa ospitalità del più sudicio dei vagabondi, qui presente!”
Ian si alzò di scatto indicando la porta perentorio, come si trovasse davanti ad un bambino o un cane disubbidiente.
“IAN! GEOFFREY! Adesso basta! Calmatevi! “ Ordinò  esasperato Daniel, preoccupato della deriva a cui quel litigio furioso stava portando.
Forse sarebbe dovuto intervenire prima, aveva pensato poi quando un silenzio carico di tensione era sceso sui due litiganti.
Ian aveva ancora il braccio spiegato mentre Geoffrey lo guardava con odio feroce, quasi disprezzo.
Dopo anche un minuto di stallo, estremamente imbarazzante per Daniel,  Ian annunciò stizzito:
“Vado a farmi una doccia!”
Daniel tirò un sospiro di sollievo e stirò persino le labbra in un sorriso davanti a quell’uscita comica, ma non osò guardare in faccia l’inglese che trasudava collera e odio.

Daniel bussò alla porta di camera di Ian e si schiarì la voce prima di rispondere all’imperioso “chi è” dell’amico, oltre la porta, annunciandosi.
Quindi fece il suo ingresso timidamente ma dovette attendere che Ian uscisse dal bagno, in accappatoio e con un asciugamano in testa che gli dava un’aria buffa, quasi innocua.
Lo scienziato fece un mezzo sorriso, finalmente rilassato,  come se quella commedia casalinga gli togliesse un peso dal cuore.
“Ehi, man, are you on a date?” * scherzò, fischiando impressionato mentre Ian usciva dall’accappatoio  e si infilava i pantaloni di un tuta stravecchia e dal bordo slabbrato, fulminandolo con lo sguardo.
“Ok, era pessima” ammise poi l’amico, andandosi a sedere sul letto, nuovamente inquieto dal momento che Ian non rispondeva alle provocazioni e a stento sembrava aver notato la sua presenza.
“Come va fra te e Geoffrey, eh? Ormai siete amiconi.” Constatò Ian e terminò di vestirsi infilandosi un magliettone XXL, apparendo più scaciato che mai, i capelli neri ancora avvolti nell’asciugamano che colava acqua sulla tuta dei pantaloni, andando a formare piccole pozzanghere sul pavimento.
“Beh, è quasi divertente. All’inizio era letteralmente terrorizzato…” cominciò Daniel, cauto e fu subito interrotto e giustificato dall’amico “naturale che lo fosse” gli ricordò Ian ma il tono era tutt’altro che comprensivo.
“Chi meglio di te lo sa” riflettè a voce alta Daniel, evitando però lo sguardo di Ian.
Questi, nel frattempo, era impegnato a strizzarsi i capelli e a pettinarli con un pettine color tartaruga, abbandonando l’asciugamano sulla sedia girevole della scrivania.
”Dovresti… essere meno duro con lui, Ian. Sta passando un momentaccio. E ce la sta mettendo tutta”
lo avvertì Daniel, suonando un po’ paternalistico, come se invitasse il figlio quindicenne ad essere più tollerante con il fratellino di appena quattro anni.
“Impara in fretta. Sta familiarizzando con tutti i vari ordigni di casa, si sta lentamente ambientando.
E ogni giorno devo tentare di rispondere alle sue curiosità. E non è mica facile!” scherzò il ragazzo, fingendosi terrorizzato all’idea.  “Mi sembra di essere tornato ai tempi di Johnny.  ‘Papà cos’è questo?’ , ‘Papà, perché?’.  È strano dovergli spiegare sempre tutto.”
“Mi fa piacere che ti diverti”  lo interruppe scocciato Ian, mostrandosi scontroso e insofferente.
“Senti, Ian, devi capirlo. Solo in questo momento Geoffrey sta scoprendo che tutto quello per cui è morto il suo migliore amico, tutto quello per cui la sua vita è cambiata è falso! Pensaci! Se, una volta rilasciato dalla prigionia fosse tornato in Inghilterra, senza perdere tempo a catturarti, senza altro pensiero che quello del folle eroismo di  suo padre a cui far fronte magari sarebbe stato tutto diverso.”
In quel momento Ian realizzò che era stanco:  stanco di essere forte, di dover capire gli altri e reprimere i suoi sentimenti, la sua disperazione per non complicare ulteriormente una situazione che lui stesso aveva causato.
“Daniel” gli ruggì contro, lentamente, come se volesse trapanargli il cervello imprimendovi le proprie parole a forza  “la storia non si fa con i se e con i ma. E non può sempre essere colpa mia.”
come se volesse, per la prima volta, scaricare quelle responsabilità che, disgraziatamente, solo lui avrebbe potuto prendere a carico.
Daniel capì rapidamente come girava il vento e si affrettò a scuotere il capo in segno di diniego, quasi a volerlo rassicurare.  Attese ancora qualche secondo nella stanza, come se volesse convincere sé stesso a dire qualcosa ma Ian gli aveva già girato le spalle, e si affannava a rovistare nei cassetti, alla ricerca di un paio di calzini puliti.

**************

Da quel momento i contatti fra i due cavalieri si fecero freddi e ostili ogni volta che erano costretti ad incontrarsi.
In seguito ad una settimana di convivenza Ian annunciò che aveva trovato una stanza per studenti di fronte all’università e si trattava di pochi soldi, tanto più che avrebbe condiviso la stanza con un ragazzetto, il più delle volte assente. Dopo un animato discorso con Daniel,  lo scienziato era stato costretto a cedere e a lasciarlo andare. Aveva ancora tentato di obiettare in extremis mentre Ian radunava le ultime cose da caricare nel portabagagli, inclusa la sua lampada da comodino verde menta, comprata in Francia e lasciata accesa notti intere di studio.
“Ian, non posso credere che te ne stia andando. È casa tua! Non puoi lasciarla a lui! ” gli gridava contro Daniel con voce indignata ma Ian non distolse lo sguardo dagli oggetti radunati nel portabagagli.
“Domani ti telefono per i documenti di Geoffrey. Ho trovato qualcuno che me li può procurare senza troppe difficoltà.”
“Ian, mi hai sentito?”
“Mi sono anche informato per l’assicurazione sanitaria. Un mio collega mi ha consigliato un’ ottima polizza assicurativa. ”
“Ian?”  lo richiamò Daniel, incredulo all’idea di non riuscire a distoglierlo neanche per un attimo dal suo parlare distaccato    “Il problema è che non possiamo mentire su tutta la linea. La sua copertura salta.”
 Lo ammutolì di nuovo il ragazzo con un che di imperioso e autoritario e lo scienziato pensò per un attimo che quelle parole suonassero molto alla James Bond   “è inglese? Che sia inglese allora, se ci tiene.
Ma questo vuol dire che saremo costretti a fargli anche un permesso di soggiorno falso fra i vari documenti.
Oppure dovremmo sostenere che ha preso la cittadinanza?  Impossibile. 
A meno che non è già terza generazione… ”
“Ian, cazzo mi stai ascoltando?!” fu allora che il bruno esplose, sbattendo il portellone della macchina violentemente e pestando i piedi per terra
“No ascoltami tu, cazzo! Abbiamo un problema da risolvere in un mondo  dove anche una buona copertura può saltare in niente! Lui non lo capisce perché, giustamente come mi ripeti da settimane, non sa un cazzo di niente. Ma tu quando ti svegli?!”
Lasciò Daniel annichilito e non gli dette neppure il tempo di riprendersi.  Il biondo sentì la portiera del guidatore sbattere a sua volta e il motore mettersi in moto ruggendo più del solito.
“Ti chiamo stasera” annunciò perentorio Ian prima di partire a marcia indietro, congedandosi imperioso e sparendo per il vialetto che portava verso il centro.

Ma Ian non chiamò né quella sera né il giorno dopo e Daniel, dal canto suo, si chiese se cercarlo ma rimase a guardare il telefono della sua scrivania inquieto come se dovesse squillare da un momento all’altro.
Davanti a lui volteggiava sul monitor lo screensaver che era subentrato ai grafici con le ultime ricerche che Ricardo gli aveva mandato.
Non riusciva a concentrarsi, non riusciva a lavorare mentre, l’orecchio teso, poteva sentire il  volume della tv che dava un documentario sulla storia della guerra di secessione americana.
Da quando Martewall aveva scoperto la televisione ne era rimasto dapprima insospettito e poi affascinato.
Aveva imparato ad andare su History Channel e Nat Geo* e passava le ore a guardare documentari al punto che ogni tanto lo osservava strofinarsi gli occhi un po’ arrossati.
Geoffrey non se ne lamentava mai ma doveva essere fastidioso il primo impatto con il mondo dei pixel.
Daniel si passò una mano sugli occhi socchiudendoli per un istante, esausto di guardare quel fastidioso screensaver che lo stava facendo ammattire.
Il giorno dopo era sabato ma era indietro da una settimana sul lavoro e quella sera avrebbe dovuto darsi una mossa. Dovette realizzare che era passato più di un mese dall’arrivo disperato di Geoffrey, un mese che non usciva di casa, un mese che non respirava aria “pulita” . Certo, non erano messi male come New York e Washington ma certo Phoenix non era il polmone verde d’America.
Se il barone non era ancora impazzito lo sarebbe diventato a breve, concluse, tirandosi su, pigramente.
Doveva rinnovare gli ingressi in palestra oppure avrebbe perso il fisico del cavaliere di cui tanto amava vantarsi Jodie con le colleghe.
Fu allora che gli balenò un’idea strabiliante.
Frank! Frank Lloyd Wright! 
Non l’architetto*. L’istruttore di scherma di Ian era la soluzione ai suoi problemi.  
Geoffrey era un maestro della scherma medievale e certo Frank non si sarebbe annoiato.
Magari avrebbe imparato anche qualche cosa.
Lasciò la scrivania, passando un attimo per la cucina per recuperare un bicchiere d’acqua, e mentre si informava se l’amico volesse qualcosa da bere, finalmente squillò il telefono.
Daniel atterrò sul cordless come una furia ma dall’altra parte gli rispose Jodie:
“Amore, domani Johnny è in uscita libera con la scuola, passerà tutta la giornata fuori.
Vogliamo pranzare insieme?”
“Hai pausa pranzo?”
“No, domani comincio alle quattro e finisco a mezzanotte.
Potresti prendere tu Johnny, a proposito?”
“Non c’è problema.”
Jodie sembrò esitare prima di chiedere e quei secondi di silenzio a telefono rimbombarono nelle orecchie del marito come se l’apparecchio dovesse tacere per sempre
“Ha chiamato Ian?”
“No.”
“Tutto bene lì?” chiese lei speranzosa davanti alla voce indecifrabile di lui.
“Si. Mi è venuta un’idea. Domani potremmo andare in palestra da Frank.”
“Che cosa?! Scordatelo, Dan, non puoi esporlo così al mondo senza nessuna preparazione!”
“Ma è un mese che si prepara psicologicamente! Gli faremo venire una psicosi! Già assomiglia ad un sociopatico!”
“Anche tu saresti stato un sociopatico se Ian non ci avesse costretto a metterci in gioco allora.”
“E io sono contento che lo abbia fatto. E voglio che sia così anche per Geoffrey.”
“Potresti traumatizzarlo!”
“Potrei anche svegliarlo. E questo sarebbe già qualcosa. E poi prima o poi dovrò tornare alla mia vita normale! Al lavoro cominciano a chiedersi quanto ci metto a sbrigare il lavoro a casa, hanno bisogno di me in laboratorio.”
“Daniel… io non credo che sia una buona idea” terminò Jodie, esasperata, per poi aggiungere con un sospiro “poi fa quel che ti pare.”
“Ci vediamo per un sandwich da David, all’angolo, sotto casa?”
“Ok. Domani Jhonny finisce alle sette. Devi essere a scuola per quell’ora.”
“Ok… Jod… Ti amo.”
ma la moglie aveva già chiuso la comunicazione per allora.
Daniel rimase con la cornetta in mano, ad ascoltare il martellante ticchettio che segnalava “occupato” finchè non si riscosse riattaccando alla ben e meglio.
Sentiva uno strano vuoto. Avrebbe voluto che Jodie lo rassicurasse invece di rompergli le uova nel paniere.
Si ripeté che quella era la cosa migliore da fare per tutti e si rassegnò a tornare alla scrivania, di nuovo prigioniero delle statistiche sulla diffusione del bacillo X nell’organismo Y.


**********************

Verso le quattro in tv cominciavano i documentari di David Attenborough sulla BBC e come al solito Geoffrey si era accoccolato su una poltrona, le gambe incrociate e la schiena abbandonata all’indietro mentre attendeva la fine dell’ennesimo stacco pubblicitario.
Accanto alla sua sedia c’era il sussidiario di storia della terza classe di scuola superiore di Jhonny, aperto agli ultimi capitoli, sul patto Molotov Ribbentrop* fra la Russia stalinista e la Germania nazista, prima dello scoppio della seconda guerra mondiale.
Il barone si era incuriosito e vi aveva dato un’occhiata per poi ritrarsi, scoraggiato dalle innumerevoli complicazioni che il testo comportava. Gli era ancora estraneo infatti il concetto di “inflazione”, tanto meno i concetti di “revanscismo francese”, “crisi di Wall Street” o ancora “guerra-lampo”.
Aveva persino visto un famoso film su questa benedetta seconda guerra mondiale e aveva scoperto che un pazzo austriaco provvisto di baffetti, un’aria truce e una voce suadente che aveva sedotto una nazione intera, aveva programmato lo sterminio di sei milioni di ebrei.
Neanche le persecuzioni nei villaggi spagnoli o in quelli della Bretagna o dell’alta Inghilterra, le regioni più  selvagge, erano state così sanguinose e orribili -  aveva avuto occasione di commentare con Daniel, quel giorno a pranzo.
In effetti gli imperiali* erano sempre stati dei barbari, o almeno lui aveva conosciuto solo ottusi mercenari in cerca di ricchezze più che di gloria, troppo concentrati sul guadagno personale per avere un minimo di onore. Erano bravi combattenti e temibili avversari ma anche ingiustificatamente crudeli in battaglia.
A detta di Daniel le cose erano parecchio cambiate e adesso, al posto dell’impero c’erano dei piccoli stati.
Inoltre proprio questa Germania sanguinaria era diventata tra le prime potenze d’Europa.
Ma nessuno sospetta nulla? – aveva chiesto Geoffrey, con un sopracciglio inarcato, segno della sua scettica perplessità.
 Daniel aveva dichiarato di capirne poco di politica, troppo poco per pensare di poter dire la sua.
aveva solo ribadito, da buon patriota, che non vi era forza politica, economica o militare che potesse superare in potenza il colosso americano.
Geoffrey aveva replicato, punto sul vivo, che gli americani dovevano molto alla loro patria, l’Inghilterra ma una risata franca di Daniel aveva chiuso il discorso ancora una volta.
Dopo la pubblicità di un nuovo farmaco anti-asma seguì quella di uno zaino e una collezione scuola per bambini, quindi quella di una nuova serie tv.
Ma proprio quando la sigla familiare del documentario esplodeva dagli altoparlanti  lo schermo si spense di botto, senza vita.
Dietro di lui Daniel aveva appena azionato il telecomando e stava riempiendo il borsone della palestra.
“Che diavolo fai?”
“Vestiti sportivo. Andiamo in palestra”
“In palestra? Cioè dove ci si allena?”
“Si. Voglio vedere se sai tirare di scherma come un tempo o ti sei rammollito del tutto”
Bastò questo a fare avvampare il leone che si tirò in piedi precipitosamente sbottando che non era mai stato più in forma e che lo avrebbe stracciato, in qualunque disciplina, ancora di più in un confronto di spade.
“Vedremo” sorrise sotto i baffi Daniel mentre richiudeva la zip del borsone con aria furbetta.

La palestra era vicina, appena un isolato da casa di Daniel e si faceva tranquillamente a piedi.
Oltrepassare la soglia del portone del palazzo era sembrato piuttosto naturale per entrambi ma l’americano percepiva chiaramente che il barone aveva i nervi a fior di pelle.
Si guardava intorno quasi ossessivo, cose se ogni cosa potesse improvvisamente cambiare, crollargli addosso o , peggio ancora, aggredirlo.
Le rare auto che passavano sull’asfalto della strada che gli correva di fianco, apparivano meno spaventose ma ancora più incredibili dopo averle viste in tanti film moderni.
Forse quello che Geoffrey trovava più strano era l’assenza di animali, di vita, di natura.
L’enorme parco, oltre la carreggiata principale gli appariva come una ricostruzione, un giardinetto che abbelliva il grigiore di una terra cementata, come se questa fosse, col tempo invecchiata e diventata grigia e stempiata.
Lui stesso, per un attimo si sentì vecchissimo, ridicolmente obsoleto,  quasi un matusalemme che ha visto decisamente troppo in vita sua.
Daniel sapeva di non poter sconfiggere quello stato di disagio e angoscia che l’amico aveva riflesso negli occhi;  pensava ancora che prima o poi si sarebbe abituato almeno quanto basta per ignorarlo, fino al giorno in cui lui e Ian sarebbero tornati a casa.
La palestra era piccola, affiliata ad un noto centro sportivo di pallanuoto.
Lo stesso Frank prima di cominciare la scherma aveva giocato nella pallanuoto e aveva persino vinto un paio di premi a livello regionale.
Lo trovò come al solito nell’ampia palestra- campo da gioco che allenava un giovanotto volenteroso ma evidentemente non particolarmente portato  vista la totale mancanza di coordinazione oltre ai riflessi un po’ lenti. Doveva essere un principiante.
“No No No! Non ci siamo proprio!”
Geoffrey osservava sulla porta un nero dal fisico imponente e le spalle da nuotatore che scuoteva il capo violentemente, con profonda riprovazione mentre impugnava a martello una finta spada ad una mano e mezzo, forse in plastica o in qualche altro materiale plastico color ferro.
“Che cazzo affondi a fare ragazzino?! Ma chi ti ha insegnato ad attaccare? Attila, il re degli unni?
Ragiona! Quanto ci metto a schivarti e ad attaccare il fianco scoperto, eh? Cristo!
Tutti e incompetenti e senza cervello dovevano capitarmi!”
Daniel sorrise sotto i baffi davanti all’espressione smarrita dello sbarbatello che lasciava penzolare la spada abbandonata sul fianco che tirava giù il braccio, inclinandola di taglio.
“E non affettarti una gamba Cristo! Qual è la posizione di attesa? Qual è la regola fondamentale? Tieni le posizioni o ti tagli una mano!”
Stavolta il principiante sembrò voler protestare che avevano interrotto il duello e non si aspettava certo un attacco a sorpresa dal suo maestro di scherma in una palestra alla quale versava ogni mese 80 dollari al mese.  Ma mentre si risentiva degli insulti dell’allenatore e dei suoi rimproveri poco ortodossi già Frank non lo ascoltava più.
Lo mollò di punto in bianco non appena vide Daniel e, appoggiata di piatto la spada sul pavimento, gli corse incontro per un abbraccio e una pacca sulla spalla,  cameratesco e quasi opprimente nel suo genere, mentre sovrastava la figura di Daniel, minuta al confronto.
“Ehi amico, come andiamo? Sei tornato per due colpetti?”
“Tutto bene. Ma oggi non sono io che ti farò sudare”  insinuò Daniel, certo che bastava anche meno per insinuare la pulce nell’orecchio del vecchio Frank.
Questi saltò ogni cerimonia, con una risata soffocata, come volesse deriderlo dopo aver ascoltato una balla colossale.
“E allora chi sarebbe questo… campione?” chiese, sogghignando “perché ho davvero voglia di mettere qualcuno a tappeto.”
“Ti avverto, esce da una brutta malattia. ”
“Potrebbe non sopravvivere allora. Sicuro che sia pronto a rischiare la sua vita?” scherzò mentre si guardava intorno, ormai decisamente impaziente di conoscere il suo prossimo sfidante e gli occhi subito si puntarono sull’unico candidato possibile : Geoffrey Martewall.
Questi osservava la scena in silenzio, ancora sulla porta, intento a studiare l’ambiente quanto mai curioso, domandandosi quale potesse mai essere l’uso di complicate strutture di legno aderenti alle pareti, dette anche spalliere, o della trave in posizione decentrata. Sull’altro lato dello stanzone poi erano messe in fila, macchine per glutei, tapis roulant,  macchine per trazioni addominali e un buon assortimento di pesi, tutte spaventosamente simili all’assortimento di una sala di tortura.
“Ehi amico, che cazzo fai laggiù? Hai visto un fantasma?” lo apostrofò quasi con un latrato Frank, squadrando il suo avversario da capo a piedi,  pensieroso.
“Allora? Accetti?”  Daniel suonò troppo impaziente per i suoi gusti, l’istruttore di scherma era quanto mai sospettoso. Che l’amico gli stress giocando un brutto scherzo in qualche modo?
“Ma lui ce l’ha la lingua? ” ribatté e con fare gradasso, impettito come un pavone, mosse qualche passo mentre Geoffrey sembrava finalmente voler dedicare attenzione a Daniel e al suo amico grande e grosso.
“Siete uno sportivo ,sir?” ** chiese l’inglese, poco lontano dai due uomini, quanto basta per inserirsi nella conversazione.
Frank fece una risata sonora che non piacque all’inglese. Daniel osservò il barone irrigidirsi, il volto grave e accigliato di chi ha ricevuto un’offesa gratuita e pretende delle scuse.
“Ma dove cazzo lo hai pescato questo, da un romanzo storico? ” infierì Frank, facendo cenno di asciugarsi le lacrime come se avesse riso con la pancia in mano per ore.
“Ehi nonnetto, hai fatto la guerra del Vietnam e hai deciso di tornare in forma?” si rivolse stavolta direttamente a Geoffrey che spalancò gli occhi, tra il confuso e l’oltraggiato.
In quel momento non aveva neppure idea di cosa fosse il Vietnam, doveva essere un posto esotico, americano o comunque del mondo contemporaneo allargato, in cui c’era stata una guerra.
Ma ciò che lo sconvolse era l’atteggiamento di Frank oltre che la sua pelle bronzea, mulatta che avrebbero dovuto farlo umile, consapevole delle sue basse origini e della sua natura di barbaro, meritevole solo di una vita da schiavo. Ricordava di aver letto da qualche parte che lì non funzionava così.
Le genti erano di tutti i colori, ciascuno rivendicava i propri diritti e rifuggiva dai doveri, ormai le classi sociali erano innanzitutto una questione di censo e sicuramente non di nascita o sangue blu.
La cosa, letta su di un libro suonava estremamente affascinante, quasi impensabile, forse addirittura positiva eppure se quella villania spinta era il risultato di ciò allora era da considerarsi negativa, dannosa, controproducente.
Inoltre quel suo modo di spostare un peso dal piede all’altro, le braccia incrociate, sicuro di se mentre ciondolava a mento alto con un sorrisetto stampato in faccia lo urtava, quel’aria da boss solo perché proprietario di quella baracca era una condotta inammissibile alla presenza di un barone d’Inghilterra.
“Non so chi vi crediate di essere, ma datemi pure una lama e rimpiangerete di avermi dato del nonno”
rispose serio e tetro Martewall, le labbra incurvate in un’espressione ostile, quasi di disprezzo.
Daniel temette che questo avrebbe scatenato l’anima iraconda di Frank ma questi non sembrava essersene neppure accorto mentre procurava un’arma al suo avversario.
Geoffrey ricevette da Daniel  la spada e una pacca di incoraggiamento, controllò il bilanciamento di quel manufatto in alluminio constatandone la leggerezza, insolita, persino più leggera dei bastoni di legno con cui era solito allenarsi da quando era bambino.
Provò un affondo e un paio di fendenti facendo roteare la spada con forza e Frank sollevò un sopracciglio sorpreso, quasi come se si aspettasse di trovarsi di fronte ad uno sprovveduto e sorrise di gusto.
Si sarebbe divertito, pensò Daniel, mentre l’istruttore intercettava la lama di Martewall con una stoccata a tradimento.
L’inglese si accigliò mostrandosi irritato di quell’interferenza, quasi si trattasse di un attacco, e premette la lama di piatto su quella dell’avversario facendo scivolare la spada di Frank verso il basso.
Questi fu costretto ad incurvare la schiena e quasi a piegarsi e prese ad indietreggiare per prevenire l’affondo di Martewall.
Ma l’inglese rimase fermo mentre il rivale si raddrizzava, i lineamenti del volto induriti e la determinazione negli occhi.
L’istruttore non gli dette neppure il tempo di  assumere la posizione di guardia, ma attaccò rapido con un fendente dritto, mirando alla spalla destra di Geoffrey ma questi parò il colpo forzando la mano e rispose con un fendente diretto alla testa del rivale. Parato il colpo, Frank cominciò ad attaccare pesantemente, costringendo Geoffrey ad indietreggiare.
All’inglese cominciavano a dolere le braccia e le spalle, le lame cozzavano fra di loro con un aspro clangore metallico e il barone non riusciva né a mantenere la posizione nonostante si sforzasse di parare i colpi gravando sulle gambe, né ad avanzare.
L’istruttore infatti non solo era più allenato ma era un avversario massiccio e possente e sapeva ben adattare queste caratteristiche fisiche al suo stile brutale di combattimento.
Entrambi ansimavano, stringendo le lame e abbattendole sull’avversario con veemenza, mirando alle spalle e alla testa, troppo vicini per tentare un affondo senza lasciare la guardia scoperta.
Geoffrey notò con la coda nell’occhio che la loro posizione non era più centrale e si avvicinavano pericolosamente alla porta della palestra.
Erano in stallo da troppo tempo, entrambi forti nella tecnica, cosa che Geoffrey non si aspettava da un avversario di quel tempo.
Eppure l'allenatore era troppo regolare, impedito nei movimenti veloci dalla sua corporatura grossa e muscolosa, preferiva parare e affondare senza pietà piuttosto che  schivare conservando le energie.
Doveva giocare d'azzardo, si disse, mentre schivava un colpo e l'avversario guadagnava un altro metro.
Sbuffò, dando segni di stanchezza, e finse un affondo mirando al fianco destro, la guardia scoperta quasi ammiccante all'avversario. Frank affondò trionfante, con tutto il fianco mancando l'inglese per un soffio.
Questi invece si spostò di lato e lo colpì sulla scapola, infierendo sulla schiena ormai alla sua mercé.
Daniel vide Frank barcollare in avanti, in difficoltà, ansimando per la sorpresa. Geoffrey ne approfittò per colpirgli un polpaccio, e l'allenatore inciampò nei propri piedi, con una smorfia di dolore.

"Cavolo Geoffrey! Lo hai messo a tappeto!" Esclamò Daniel con una risata simile ad un latrato.
Si avvicinò dandogli una pacca fraterna sulla spalla mentre Frank si rialzava lentamente scuro in volto.
Le rughe di concentrazione sul volto dell'inglese si erano spianate e questi aveva persino sorriso a Daniel quando Frank attirò l su attenzione con un mugugno contrariato.

"Daniel, Brutto figlio di puttana che non sei altro!
Potevi dirmelo che il tuo amico era uno serio. Mi sarei impegnato di più e l'avrei steso una volta per tutte."

L'americano gli rise in faccia di gusto, e fece l'occhiolino all'inglese  che si era fatto serio e pensoso.

"È stato un onore per me combattere contro un avversario come voi... Signore"

Gli tese la mano tremante, un po' storta quasi non fosse padrone di quel gesto.
Frank non ci fece caso e  la afferrò stritolandola con una presa di ferro.

"Amico, sei un fenomeno ma sei veramente suonato. Quando apri bocca sembri il mio trisavolo".

Geoffrey tirò un sospiro di sollievo quando Daniel si tirò il nero da parte e rimasero a confabulare per un po'.
Aveva la bocca secca, impastata, e improvvisamente tornava a galla la stanchezza.
Quando uscirono da lì Martewall era spossato e desiderava solo vegetare sul divano almeno fino al giorno dopo.


"Ho proposto a Frank di prenderti come assistente."
"Assistente?" Sbadigliò Geoffrey.
"Ha bisogno di una mano paziente che alleni i novellini.
Dice che le iscrizioni sono in aumento da quando il Signore degli Anelli è tornato di moda"
"Chi?"
"Non conosci... ? No giusto.
Adesso che arriviamo a casa lo mettiamo"



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COLONNA SONORA  

Note

* Titolo : “non vi sia offesa nelle parole”  
* Il rango di “barone” è più basso in graduatoria rispetto a quello di “conte”.
* “Ehi, amico, hai un appuntamento?”
*  Nat Geo, abbreviazione di National Geographic Channel
* Frank Lloyd Wright,  famoso architetto, pietra miliare dell’architettura moderna e contemporanea 
* Patto Molotov- Ribbentrop , Patto di non aggressione fra Stalin e Hitler (26 agosto 1939) e spartizione della Polonia dopo un’eventuale invasione (che avverrà pochi giorni dopo, 1 settembre del ‘39) 
* L’impero, istituzione che ha origini con il “Sacro Romano Impero” di Carlo Magno (800 d.c ), comprende tutta la “Mitteleuropa”, la zona dell’Europa Centrale, in particolare Germania, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Repubblica Ceca, parte della Polonia, dell'Austria, della Francia, della Croazia e tutta l'Italia settentrionale.

** NOTA IMPORTANTE: In inglese ovviamente non c’è alcuna differenza fra il Voi, il Tu e il Lei.
Forma di cortesia e linguaggio informale dipendono dal lessico, dall’uso di determinate espressioni invece che altre, insomma è una questione di registro. Quindi considerate comunque che quando uso il voi intendo semplicemente sottolineare il carattere anacronistico del linguaggio di Geoffrey (tanto più che in genere ci aggiungo parole come “sir”, “signore” ecc. )



Angolo dell’autrice


Spenderò due parole sul titolo di questo capitolo che è chiaramente ironico.
Infatti non si può certo dire che Ian e Geoff vadano d’amore e d’accordo e di “iniuria” se ne sono dette parecchie, in realtà. Ma la frase, nel significato inteso dal povero Tito Livio , è  più attinente al comportamento di Daniel che cerca disperatamente di mediare fra i due senza riuscirci;
 è costretto a difendere Geoffrey e lo fa con tutta la franchezza possibile ma Ian non ne vuole sapere;
allo stesso tempo non se la sente di litigare con l’amico che è anche lui in un momento di difficoltà dopo aver perso per una seconda volta casa e famiglia.
Un altro appunto: Hyperversum è anche troppo politically correct per quanto riguarda il turpiloquio e le così dette “parolacce” e anche io devo attenermi a termini abbastanza tiepidi come “bastardo” nei dialoghi fra medievali ma non transigo su quelli moderni e contemporanei.
Infatti non penso che due attempati giovanotti che sfiorano i trentacinque-quaranta siano così “puritani”.
Mi scuso terribilmente per i tempi giurassici di pubblicazione e spero che nonostante la mia incostanza qualcuno legga ancora questa fiction,

Neal C.

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