Burning Desire.

di silvians
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lost and insecure you found me. ***
Capitolo 2: *** Beautiful day. ***
Capitolo 3: *** Fix you. ***
Capitolo 4: *** Call me maybe. ***
Capitolo 5: *** We are young. ***
Capitolo 6: *** Say something. ***
Capitolo 7: *** Teenage dream. ***



Capitolo 1
*** Lost and insecure you found me. ***


CAPITOLO 1.

- Che cazzo stai facendo?!

La sua voce rotta aveva appena perforato il timpano di Ed e questo non lo faceva del tutto impazzire di gioia, soprattutto per la situazione in cui si trovava.
Avvinghiato al seno di Fannie, così preso da non ricordarsi più di Chloe, la sua ragazza, quella che in qualche secondo lo avrebbe mangiato vivo, ridotto all'osso e poi sarebbe andata via soddisfatta senza alcun rimorso se non con un grande, enorme, buco proprio lì in mezzo al petto che non avrebbe mai saputo colmare.
Ogni volta che qualcuno la lasciava sentiva quella ferita bruciare, come se si stesse infiammando con un accendino, di quelli con qualche donna nuda in una posizione sexy stampata sopra.
Adesso bruciavano solo i suoi occhi. Non voleva piangere, non poteva, non davanti a quei due.
Eppure non vedeva che un ragazzo strafatto, probabilmente ubriaco e privo di qualsiasi cognizione di causa, troppo perso nell'idea di una folle scopata con la sua migliore amica per rendersi conto del casino che aveva appena combinato per via della sua indole di ragionare con il pene più che con il cervello, se ne avesse davvero mai avuto uno.
I suoi occhi, persi nel vuoto, ora si chiudevano, ora si aprivano. E le sue pupille, così dilatate per via della droga, non le erano mai sembrate così nere in contrasto con le sue enormi e verdi iridi che l'avevano tanto fatta sbarellare per lui.
E Fannie, l'amica di infanzia, quella con cui aveva limonato la prima volta solo per provare, per capire come si facesse, quella con cui aveva provato la prima sigaretta e poi la prima canna ed infine il primo ragazzo.
Non Ed, ovvio, per lei era stato uno dei tanti. Per Chloe forse no, anzi sicuramente non lo era.
Ma sapeva che un giorno sarebbe successo, solo non credeva sarebbe stato così presto o così doloroso.
In realtà credeva che lui fosse solo l'ennesima cotta e lei l'ennesima stronza, ma adesso che sentiva di nuovo lo stomaco aggrovigliarsi riusciva a sentire che non era così. Era qualcosa di più e questo le faceva ricordare quando aveva deciso che niente l'avrebbe più scalfita, niente più amore, amicizia, dolore. Solo fumo, alcool e pasticche.
Poi era caduta nella trappola del 'una botta e via', che di lì a poco era diventato 'proviamoci' fino a diventare un 'ti amo'. 
Ma anche questa volta aveva decisamente sbagliato ragazzo a cui dichiararsi e soprattutto aveva sbagliato l'amica a cui presentarlo.
Cosa si aspettava? Che Fannie con le sue grandi tette e le sue forme perfette ed i suoi occhi cerulei non ci avesse provato con lui?
Forse glielo aveva presentato per questo, per spassarsela in tre un giorno. 
Che vomito che le saliva ora, o forse era un tremendo nodo in gola ciò che non le permetteva di parlare.
Intanto gli occhi erano ancora fissi su di lei, adirata e piangente come mai l'avevano vista. 
Si avvicinò e, senza pensarci troppo, diede un pugno con tutta la forza che aveva in corpo sul viso che fino al giorno prima aveva accarezzato sussurrando parole dolci.

- Stronzo.

Non aveva più parole da dedicargli, neanche a quella che aveva da sempre considerato come la sorella che non aveva mai avuto.
Voleva solo voltarsi e trovarsi nella sua camera, da sola, lì dove avrebbe potuto sfogare le sue lacrime, lasciarle scendere come un fiume in piena perchè sapeva bene che appena nessuno l'avrebbe guardata sarebbe successo e sarebbe stato straziante.
Per il momento doveva solo resistere, stringere i denti, voltarsi ed andare via sperando di non rivedere mai più i loro volti.
E forse per 24 ore sarebbe durata, sì, ma poi la compagnia si sarebbe riunita, sarebbero usciti la sera dopo, si sarebbero ubriacati come al solito e lei avrebbe dovuto resistere, avrebbe dovuto tenere duro perchè loro erano gli unici amici, insieme agli altri, che lei avesse mai voluto avere.
Ora non vedeva più gli occhi azzurri di Ed, nè il volto disperato e ipocrita di Fannie che la guardavano atterriti, impauriti della sua reazione, confusi e forse non del tutto pentiti di ciò che era successo anzi forse più dispiaciuti che li avessi scoperti ma non per aver tradito la sua fiducia.
Abbassò la testa, accese una sigaretta e le sue gambe, così dannatamente stanche, cedettero prima ancora che lei potesse rendersene conto e l'asfalto sembrò così freddo e duro al suo sedere che una smorfia di disprezzo si disegnò sul suo volto.
Pochi secondi ed aveva già lasciato il posto ad un pianto isterico, a singhiozzi disperati e ad un paio di mani tremanti tanto da farle cadere la sigaretta.

- Fanculo.

Esclamò quando essa toccò il suolo. Nascose il suo viso tra le ginocchia; aveva freddo ma non sarebbe corso il suo ragazzo a riscaldarla, nè sua madre, nè un amico. 
Era sola, come era sempre stata ed a farle compagnia il vuoto che si portava dentro da sempre, per quanto ricordasse. 
Gelo, sonno, confusione. Quando sarebbe finito tutto ciò? Forse mai.

Intanto, in fondo alla strada, ancora sconvolti Fannie ed Edward realizzavano quel che era appena accaduto. Non che lui avesse mai voluto tradire la sua ragazza, anzi sarebbe stata l'ultima volta che si fossero visti e poi, un giorno, le avrebbe detto la verità e sarebbe stato tutto acqua passata e avrebbe vissuto insieme, felici e per sempre.
Fino al college, ovvio. Da lì avrebbe cominciato una nuova vita. 
Ma forse erano state le enormi labbra di Fannie o i suoi capelli neri a spingerlo a fottersene dei sentimenti e lasciarsi andare. Se gli avessero chiesto chi amasse, la sua risposta sarebbe stata immediata: Chloe. L'amica era solo una botta e via, una vera, insulsa, non come era stata per lui e l'unica ragazza che non avrebbe mai voluto ferire.
Il pugno era stato necessario, anche se doloroso, per fargli capire dell'enorme cazzata che aveva appena fatto. Per questo, appena i suoi occhi, ancora un po' appannati, riuscirono a distinguere le sagome ed i colori si rialzò di scatto con l'unico pensiero di correrle dietro.
Si alzò i pantaloni, mentre richiudeva la camicia correndo lungo il viale, l'unico che probabilmente lei aveva percorso. 
Eppure i suoi occhi non riuscivano a scovarla. Come aveva fatto a perderla? Lei che lo aveva trovato, lo aveva salvato ed aveva dato un senso alla sua vita.
Così come si erano trovati un tempo, sapeva che lo avrebbero fatto anche dopo, anche nei momenti più bui e dolorosi, nella gioia e nel dolore. Loro si sarebbero ritrovati sempre ed i loro occhi sarebbero stati come un rifugio l'uno per l'altra. 
Ecco perchè si sentiva perso ora, senza speranze, come quando ancora Chloe non era diventata tanto importante, come quando ancora credevano di essere solo amici di scopate.
Ma non poteva abbandonarsi all'idea di averla persa, non ora che tutto sembrava andare così fottutamente bene per una volta.

E mentre il suo sguardo cercava in ogni angolo alla ricerca della spenta chioma bionda della sua ragazza, un'altra figura si era di nuovo persa. O forse non si era mai realmente ritrovata.
Tutti credevano che fosse una stronza, una di quelle senza cuore, non una di quelle stupide, per carità, anzi era intelligente, di quelle che avrebbero fatto paura. Non per i suoi voti a scuola, ovvio, quelli erano bassi come del resto lo erano quelli di tutti i suoi amici. Lei aveva quell'intelligenza 'vivace', la malizia e la furbizia, un perfetto binomio per una poco di buono come lei.
Tutti la invidiavano, appunto non solo per il suo fisico. Si era fatta strada a spintoni, a furia di veleno e di cattiverie, ma ci era riuscita. 
Forse anche con qualche servizio di bocca o di mano o di qualsiasi altra cosa il suo bel fisico si fosse potuto permettere o i suoi occhi avessero potuto stuzzicare.
D'altronde nessuno, in quella stupida cittadina priva di alcuna eccellenza, avrebbe potuto fare successo se non con una buona dose di troiaggine. E lei ne aveva fatto buon uso, delle sue capacità nelle materie 'orali'. 
Tutte volevano esserle amiche, solo per stare all'ombra del suo riflettore perchè altrimenti sarebbero state liceali qualunque. Ma con Chloe era stato diverso, si erano trovate da subito, si erano scelte. E, anche se non sembrava, questa volta che l'aveva combinata così grossa, anche lei ci stava soffrendo, sentiva di aver sbagliato e di molto ed avrebbe fatto di tutto per rimediare. Quel dolore, lì, vicino una poppa, quella sinistra. Sapeva bene che era il suo cuore a soffrire e non il reggiseno che aveva messo male per la fretta, perchè qualche lezione di anatomia la ricordava ancora. 

- Cristo.

Imprecò con il suo solito tono arrabbiato. Solo lei poteva serbare tanta rabbia verso il mondo, verso le persone, nonostante tutto ciò che aveva, sebbene tutti la invidiassero.
Chloe lo sapeva perchè, lei sapeva tutto di lei.
Ma adesso Fannie non poteva che rimanere lì, svuotata di ogni passione, sentimento, emozione, brivido. Perfino i baci di prima adesso sembravano svaniti e privi di senso; la sua testa, persa, confusa. Cosa avrebbe fatto ora?
Vedeva Ed lontano qualche centinaio di metri, seduto sul ciglio a fumare, con lo sguardo fisso nel muro al di là della strada, forse anche lui perso.
Si voltò verso la direzione opposta, cominciò a camminare; le scarpe tra le mani, come sempre quando sgattaiolava via colpevole di lussuria, i vestiti ancora in disordine così come i suoi capelli, così come il suo animo.
Che idiota era stata a tradire l'unica persona a cui avesse mai donato il suo cuore, a cui avesse mai svelato ciò che aveva da dare. Forse la amava, più di ogni altra persona al mondo, forse perchè era l'unica persona che aveva in realtà. 

Bastava davvero del sesso a mandare a puttane un'amicizia, un amore? Anni di cazzate, di bevute, di risate e poi un solo stupido atto di sesso riusciva a dividerli così? Loro che avevano camminato fianco a fianco, insieme agli altri, per tutto quel tempo adesso si dirigevano, smarriti, in tre direzioni diverse, poli opposti della stessa ferita. 
Ma era solo una notte, il sole del giorno dopo avrebbe portato di nuovo la solita merda, adesso così rassicurante e paradossalmente meravigliosa, nella loro vita. Forse. 


NOTA DELL'AUTORE:
Bene, scrivo da troppo tempo ormai e le idee mi si affollano così tanto in testa che ho deciso di condividerle con qualcun altro, qualcuno che possa apprezzare e comprendere la mia passione per la lettura e la scrittura.
Quindi, semplicemente, ho deciso di far vivere i miei personaggi e le mie storie. Spero vorrete andare avanti e conoscerle/i tutte/i.
Ah, si. Il titolo, Burning Desire, deriva dalla canzone di una cantante molto importante per me: Lana Del Rey, che Credo che calzi a pennello alle storie che narrerò. 
Ogni capitolo avrà il nome di una canzone che esprimerà il 'succo' della storia narrata in esso. Avevo pensato a fare come nella serie ed intitolarli con i nomi dei personaggi, visto che il concetto è lo stesso: episodi pertinenti ad essi. Ma alla fine, data la mia passione per la musica, sono andata per questa strada. Spero vi piaccia l'idea, quindi enjoy it. 

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Capitolo 2
*** Beautiful day. ***


CAPITOLO 2.

I giorni seguenti non furono esattamente come tutti li avevano aspettati. Anzi, furono sorprendenti e devastanti. Più che inaspettati, deludenti.
Chloe non uscì di casa per almeno 48 ore, saltando la scuola, gli incontri, evitando i messaggi e le chiamate e senza far avere alcune notizie di lei agli altri.Forse tutti pensavano che, forte com'era, il giorno dopo avrebbe sfoggiato uno dei suoi sorrisi smaglianti, avrebbe sofferto dentro senza mai mostrarlo all'esterno ed avrebbe ignorato per sempre sia Fannie che Ed, finchè un giorno non fosse stata pronta a chiarire la faccenda e metterci una pietra sopra.
Ma la pietra, questa volta, sembrava gliel'avessero lanciata addosso, sul petto e non riusciva a liberarsene più. Aveva provato a sfogarsi, ad urlare, a piangere, a mangiare, bere, fumare, guardare un film e mille altre cose ma nessuna di queste era riuscita a farla sta meglio, a permetterle di guardare in faccia un qualsiasi essere umano nel raggio di dieci metri.
Per fortuna i suoi non c'erano, non erano mai stati presenti nella sua vita. Perchè avrebbero dovuto esserlo proprio ora?
Era un giorno come tanti, solo che il suo cuore stava cadendo a pezzi per l'ennesima volta e voltare pagina sembrava così dannatamente doloroso e faticoso da necessitare di troppo tempo. 
I suoi amici, invece, seppur preoccupati per lei, continuavano le loro insulse vite da adolescenti menefreghisti. 

Quella mattina, infatti, Tyler era appena arrivato. Scendeva dalla macchina di suo padre più incazzato del solito, con i suoi soliti vestiti da quattro soldi e la mano già pronta ad afferrare una sigaretta dalla tasca. Era uno di quei ragazzi che a scuola, ed in ogni dove, erano conosciuti solo per le loro pessime azioni. 
Se lo stereotipo americano era del ragazzo che gioca a football ed è bellissimo, quello di Bristol e della loro scuola in particolare sembrava essere il ragazzo stronzo capace di combinare solo casini, con una pessima media scolastica ed una pessima pubblicità a precederlo. 
Però poteva dirsi il più spiritoso del gruppo, anche uno dei più carini, di quelli che non possono non colpirti con uno sguardo o con un semplice saluto.
Era per questo che Alek si era innamorata di lei, e chi sa quante altre anche prima di lei o quante sognavo di farselo in segreto, dato che non facevano coppia fissa.
A dire il vero non si capiva bene cosa fossero. Si conoscevano dall'inizio del liceo e subito avevano voluto finire a letto insieme, senza alcuna conoscenza.
Avevano capito che l'unica cosa che volevano era scopare fino a non avere più la forza di muoversi, di vantarsi con gli altri di essere tra le più belle coppie, divertirsi e dimenticare tutto il giorno dopo.
Ma Alek sapeva bene che non era solo il sesso ad unirli, non dopo due anni trascorsi insieme. Non erano 'ufficialmente fidanzati' ma tutti sapevano bene che se si fossero avvicinati a lei, Tyler avrebbe sbarellato di brutto e lo stesso sarebbe successo ad Alek se qualcuno si fosse avvicinato a lui.
Eppure si tradivano a vicenda, mentivano e si ferivano ma poi tornavano insieme, perchè in fondo erano Aleksandra e Tyler da sempre. 
Tutti sapevano che alla fine si appartenevano. Tutti tranne loro. Ancora credevano che fosse solo un gioco.


                                                                                            


- Sfigatelli!

Il suo tono era allegro, solare e sarcastico, come sempre. Come se la litigata con suo padre di qualche secondo prima gli fosse scivolata addosso al pari dell'acqua o meglio dell'olio. 
Aveva un sorriso stampato in volto, mascherato dal fumo della sigaretta ma i suoi occhi, si vedeva bene, erano puntati solo su Alek e le stavano urlando di baciarlo.
E loro si capivano troppo bene, l'armonia di una melodia era niente in confronto a quella dei loro cuori. 
Si alzò di scatto ed andò a baciarlo senza pensarci due volte: le era mancato così tanto, sebbene si fossero lasciati solo per la notte.
Forse aveva paura di perderlo e la sola idea sembrava stringerle lo stomaco fino a stritolarlo ed ora non voleva pensarci. Lo morse nell'impeto di quei pensieri e gli occhi di lui si spalancarono per poi lasciare il posto ad un'espressione carica di malizia e divertimento.
Le sua mani accarezzavano ogni centimetro del suo sedere e gli altri, alcuni distratti, facevano da disgustati spettatori. 

- Sembra che non abbiate mai scopato, ragazzi.

I loro corpi si distaccarono, finalmente; adesso erano di nuovo due enti separati, due persone differenti. Ma lasciarlo andare era troppo difficile per Alek che ancora lo teneva stretto dalla maglietta, per un lembo posteriore così che nessuno potesse vedere quanto in realtà ci tenesse. Non che se ne vergognasse, ma erano sempre stati quelli spensierati, liberi ed indipendenti e l'idea che gli altri sapessero della sua debolezza la irritava. Insomma, non voleva turbare l'equilibrio del loro gruppo.

- Stasera che facciamo?

Una voce fioca, ma allo stesso tempo decisa e quasi ruggente si fece strada nel silenzio dell'imbarazzo. Apple, una ragazza bellissima e minuta, bionda con gli occhi azzurri ed una personalità che avrebbe fatto spaventare chiunque, anche una pantera se l'avesse guardata negli occhi l'avrebbe temuta. 
Chi la conosceva poi, non osava mettersi contro di lei mai, per nessuna ragione al mondo. Probabilmente perchè ogni lotta contro di lei era persa, inutile. Aveva sempre un asso nella manica che l'avrebbe fatta vincere senza troppi sforzi.

- Usciamo. Ovvio, no?

Era ovvio, sì, loro non perdevano una sera utile per uscire e per rimanere fuori il più possibile, magari senza capirci molto, lungo qualche strada poco trafficata in compagnia dei loro migliori amici: gli spinelli.
La campanella aveva appena emesso la sua di sentenza. Era ora di entrare in classe o la Smythe di psicologia avrebbe dato di matto, come al solito. 
Per fortuna la giornata aveva deciso di risultare particolarmente veloce, leggera, senza alcun intoppo. Forse perchè erano tutti impegnati a pensare a quello che avrebbero fatto la notte stessa e questo li aveva tenuti lontani dal farsi espellere o dal dare fuoco a qualche armadietto del secondo piano. 

Una pietra aveva appena colpito la finestra della sua camera quando Alek uscì dalla doccia coperta da un'unica asciugamano color latte, così candida che a confronto con i suoi capelli scuri sembrava ancora più bianca. Sapeva già chi fosse ed il suo viso si illuminò di uno strano sorriso. Aveva tenuto compagnia a Chloe quel pomeriggio e le serviva un po' di svago per non pensare alle sue seghe mentali ed ai suoi problemi di cuore.
D'altronde Ed e Fannie se la sarebbero spassata quella sera perchè nonostante non si guardassero per l'imbarazzo, si desideravano ancora, non importava quanto fosse importante il sentimento, si attraevano. La loro era passione e non potevano resistergli per troppo tempo. 
Si affacciò e rimase sorpresa. Non era Tyler che la richiedeva, bensì Sam. 
Lui era l'anello debole della compagnia, o meglio quello più sfigato. La sua faccia sembrava così ingenua a  far da cornice a due grandi occhi azzurri senza fine ed un'espressione dannatamente dolce e poco credibile nei panni di uno stronzo. Era uno di quelli che in realtà il gruppo avrebbe escluso subito -ed infatti ancora non sapevano come lui vi fosse entrato nelle loro grazie- ma adesso tutti gli volevano un gran bene. Forse per la tenerezza che faceva loro, per la sua verginità ancora intatta e per la sua formidabile capacità di dire le peggiori cazzate nei momento migliori. 
Un'idiota, ecco cos'era. Ah si, ed era anche follemente innamorato di Joy, una ragazza strana del gruppo. Una che aveva perso il cervello dietro alle canne. 
Cosa diavolo voleva ora?
Non parlò neanche, Aleksandra gli fece direttamente cenno di salire perchè da lassù non avrebbe capito nulla di quel che avrebbe detto e poi sembrava avere qualcosa che non andava. 
Intanto che lo attendeva, si mise il primo paio di slip che trovò, una maglietta e legò i capelli, bagnati, in una coda. 
Poi la porta si aprì, finalmente, e le fu chiaro cos'era che non andasse.
Lo sguardo di Sam era perso, confuso. Come se non vedesse nulla di quello che lo circondava ma fosse ancora focalizzato su un'immagine che aveva visto prima, qualcosa che lo aveva turbato e lo aveva spinto a dirigersi da lei senza pensarci due volte.

- Che è successo, Sam? 

Non rispondeva, solo la guardava, con un'espressione di pena, o forse era dispiacere. Ma, sicuramente, questo non la rassicurava anzi la stava facendo andare in panico. Ma come poteva d'altronde reagire all'arrivo di un amico del tutto scioccato senza la capacità di esprimere ciò che gli era successo?
Anzi, si stava dannatamente innervosendo per qualcosa a cui non poteva porre rimedio perchè non ne era a conoscenza.

- Dannazione, Sam.

Lo scuoteva, con le mani avvinghiate alle sua braccia, tanto che pensava che le sue unghie potessero ferirlo ma non le importava perchè cominciava a preoccuparsi.
E se fosse successo qualcosa a Tyler? O a qualcun altro del gruppo? 
Come poteva immaginare quel che era successo?
Semplicemente non poteva. I suoi occhi sbattevano veloci, ormai non riusciva più a resistere: doveva sapere.
Ma Sam non voleva saperne di parlare, le parole rimanevano chiuse in fondo alla gola, volevano uscire ma non ci riuscivano. Le sue mani tremavano come foglie, il suo sguardo riusciva a distinguere a malapena le sagome degli oggetti della stanza, i colori. La droga, da poco fumata, continuava a mostrare i suoi effetti e non capiva bene neanche dove fosse o cosa fosse andato a fare lì.
Sarebbe dovuto scappare, lontano, perchè dopo quel che aveva fatto non riusciva più a credere di essere in sè. 
Lui, il dolce ed innocente Sam, si era spinto oltre i suoi limiti, aveva osato ed aveva sbagliato. Aveva fatto un'enorme, mostruosa, dolorosissima cazzata e non sapeva come rimediare. 
Si accasciò per terra, liberandosi dalla presa di Alek. Non aveva più voglia di parlare ora. 

                                         

 

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Capitolo 3
*** Fix you. ***


CAPITOLO 3.

- Io credo di averlo ucciso. Cioè, era lì con me e poi è svenuto e…E io non potevo rimanere lì. Dovevo chiamare qualcuno, ma sono venuto da te. Giuro, non volevo. Era solo roba fresca.

Un lampò squarciò l’iride di Aleksandra, ora così tanto scura che avrebbe fatto paura al più temerario dei leoni.
Un nome le fluttuava in testa, le si imprimeva sulla pelle, sulle ferite, sugli occhi ed in ogni angolo della stanza su cui posava lo sguardo. E più provava a cancellarlo e più tornava, sanguinante e doloroso, salato come una lacrima.
Voleva parlare ma non ci riusciva: le parole rimanevano strozzate in gola, come un fiume in piena che incontra un ostacolo. Dapprima sembra che non succeda niente, poi lo distrugge e riprende la sua corsa più potente di prima e niente lo può più fermare. E così avrebbero fatto presto le sue lacrime.
Ma non poteva cedere ad un crollo emotivo prima di avere conferme, quindi prese un respiro e cercò di esprimersi perché la sua espressione non doveva essere troppo confortante per Sam che, ancora in trance, la guardava preoccupato.
 
- Chi, Sam? Chi?
 
Sapeva che sarebbe successo il peggio, che il suo incubo sarebbe diventato realtà.
Successe velocemente però. Nessuno avrebbe mai capito quanto velocemente può il mondo crollarti addosso e lasciarti lì, morente, senza che tu possa fare niente.
Era come se un masso le fosse caduto dritto sul petto e non le permetteva più di respirare ed effettivamente avrebbe smesso, perché non poteva immaginare una vita senza il suo ragazzo.
Piuttosto si sarebbe lasciata morire lentamente o tutti avrebbero visto quanto vuota poteva essere al suo interno.
Senza proferire alcun suono, prese per un braccio Sam, verso il quale ancora non sapeva cosa provare.
Non voleva più ragionare, voleva solo trovare Tyler e donargli la sua stessa vita pur di salvarlo.
Stava ammettendo a se stessa ed all’amico che ora le stava di fronte, quanto importante lui fosse per lei ma non si sarebbe mai pentita di ciò. Lo amava e per troppo tempo lo aveva nascosto.
 
- Portami da lui, cazzo.
 
Uscirono dalla sua stanza, poi dalla sua casa, infine dalla strada verso il lago: era lì che Tyler e Sam avevano fumato la loro ultima canna.
 
Intanto, a qualche isolato di distanza, Apple e Grace si stavano già preparando per la festa della sera stessa.
 
- Fantastico! Deve essere successo qualcosa perché Alek mi ha detto che stasera non si fa nulla.
 
Apple lanciò il cellulare su letto, contrariata da quella decisione così repentina.
Aveva pianificato tutto nei minimi particolari ed i suoi amici lo sapevano bene che lei odiava quando i suoi programmi veniva stravolti da un imprevisto di qualsiasi genere.
Si voltò verso Grace che la osservava con un sorriso: una delle due doveva essere positiva al riguardo o si sarebbe generato un disastro e lei lo sapeva bene.
Erano amiche ormai da sempre, si conoscevano bene, si erano da sempre fatte forza l’una con l’altra ma nessuna aveva mai osato etichettare il loro rapporto.
Agli occhi della maggior parte erano semplicemente amiche, quelle che arrivano ad un livello tale di confidenza da potersi definire sorelle. In effetti, erano le uniche del gruppo a non avere né un fratello né una sorella quindi era stato naturale per loro colmare questa assenza con qualcuno che le potesse capire veramente.
Grace era da sempre stata quella dolce del gruppo, si era sempre un po’distinta per il suo essere sempre dolce e gioviale, né troppo strana ed effettivamente molti si chiedevano cosa ci facesse in un gruppo di tossici ed alcolisti. In realtà era proprio quello che non riuscivano a capire: la sua era una facciata, una maschera ipocrita che le permetteva di ottenere ottimi risultati nella vita, scolastica e non, concedendosi tutto ciò che i suoi amici potevano immaginare.
Era una di loro a tutti gli effetti, ma nessuno dall’esterno lo avrebbe mai capito.
L’altra, invece, era la più seria fra tutti; un’astuta calcolatrice, che la vita aveva annoiato un po’ troppo tanto che alcool, sesso e fumo non erano altro che una semplice distrazione che, all’inizio aveva dato buoni risultati, poi, entrando nella sua routine, non diventarono nient’altro che un ulteriore pezzo del grande puzzle della sua monotona quotidianità.
Chiusa, fredda e distaccata. In realtà lo era diventata per autodifesa, perché le delusioni delle ‘relazioni’ non facevano per lei ed odiava dover ammettere di essere felice.
Probabilmente era stata proprio la sua apatia a farla annoiare, a spegnere i colori della vita che fioriva intorno a lei.
 
- Ci sarà sicuramente qualche film odiosamente splatter in tv. Tu li adori no?
Grace voleva rassicurarla e per questo si alzò dal letto e le si avvicinò stringendole la mano.
Effettivamente, quello che gli altri non riuscivano a vedere era che tra loro vi era più di una semplice amicizia, che provavano qualcosa di più. Apple non ne era ancora convinta, anzi rifiutava l’idea di essere lesbica.
Non perché fosse omofoba – o forse un po’ lo era – ma perché temeva il giudizio altrui. Sebbene sembrasse sicura di sé e menefreghista, in realtà, pensare di essere guardata diversamente le faceva salire un nodo in gola che solo le lacrime avrebbero potuto sciogliere, ma non piangeva da quando i suoi avevano divorziato ed aveva promesso di non farlo ma più, per alcuna ragione.
Allontanò la mano e si voltò verso la porta della sua camera: dirigersi al piano di sotto avrebbe evitato un altro contatto visivo con Grace ed ora come ore, fuggire sembrava essere la scelta migliore che avesse perché affrontare la situazione sarebbe stato molto più imbarazzante e doloroso.
 
- Perché?
 
Il tono di Grace cercava spiegazioni, anche il suo sguardo ma il suo corpo rimase piantato per terra, senza muoversi neanche di un millimetro.
 
- Perché cosa?
 
Rispose l’altra con la sua vocina acuta. Avrebbe fatto finta di niente, sapeva fingere molto bene.
 
- Fai sempre così. Preferisci scappare, preferisci ignorare quello che vorresti urlare. Ti conosco, dannazione.
 
Era arrivato il momento di sputare quel viscido rospo che si portava nello stomaco da sempre senza riuscire a liberarsene, neanche sforzandosi. Era una persona che parlava, ma questo non significava che veniva sempre ascoltata.
Anzi la maggior parte della volta era l'unica a tenere davvero ai rapporti, come se il resto del mondo l'avesse da sempre data per scontata, sottovalutata.
Avrebbe solo voluto che qualcuno per una volta avesse avuto paura di perderla e che perciò avrebbe scalato montagne, attraversato fiumi e laghi o semplicemente l'avrebbe ascoltata pur di non lasciarla andare.
E forse, pretesa ancor più assurda, avrebbe voluto che quella persona fosse stata Apple perchè lei era da sempre stata l'unica persona che le aveva dimostrato di trovare una luce in lei, qualcosa di buono da amare e non solo da apprezzare.  

- Lo sai che odio discutere.
- No, tu odi provare qualcosa. Ma prima o poi dovrai arrenderti, Apple. Non si può vivere senza emozioni.
- Blateri come al solito.
 
Cominciava una nuova discussione ma stavolta nessuna delle due aveva intenzione di mollare o di darla vinta all’altra, neanche Apple che di solito si chiudeva nei suoi silenzi senza offrire troppe spiegazioni.
 
- No, sai di cosa parlo. Io posso aiutarti. Se ti apri, almeno a me, mi prenderò cura di te.
- Non ho bisogno di nessuno.
- Perché sei davvero convinta che questa indifferenza ti possa portare a qualcosa?
- Smettila.
 
I suoi occhi si gonfiarono, rossi di lacrime. Forse, dopo così tanti anni era arrivato il momento di lasciarle andare, di provare di nuovo qualcosa di forte e l’unica persona di cui poteva fidarsi era proprio Grace, lei non l’avrebbe mai tradita.
Si avvicinò verso di lei ed una lacrima rigò il suo viso.
Non vi fu bisogno di altre parole, era stata, quella, una vera e propria dichiarazione di arresa, per una volta Grace aveva vinto e questo significava niente più segreti e muri tra di loro. Niente più silenzi, niente più paure.
E forse questo sarebbe stato il primo passo verso una vera relazione, anche se sapeva bene che Apple non la stava vivendo allo stesso modo.
Eppure anche per lui fu un attimo intenso, sentì quasi il suo corpo sbriciolarsi in quell’abbraccio così tenero ma altrettanto struggente.
 
- Salvami.
 
Non proferì altra parola, solo rimasero in silenzio, per un tempo che sembrò interminabile. 

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Capitolo 4
*** Call me maybe. ***


CAPITOLO 4.

- No, oggi vado da Tyler.

La risposta secca di Alek oscurò ogni luce di speranza per Chloe che, ancora amareggiata, aveva bisogno più che mai di un’amica perché quella che reputava la migliore tra tutte, Fannie, l’aveva ormai ferita ed abbandonata e mai più probabilmente le avrebbe rivolto la parola.
Nonostante i suoi messaggi, le sue chiamate e le richieste di un chiarimento, in realtà a lei sembrava già tutto molto chiaro: una vera amica non le avrebbe fottuto il ragazzo e se lei lo aveva fatto era stato perché in realtà era solo una stronza egoista.
Però riusciva a capire bene la situazione: era ormai il secondo giorno che Tyler stava su un lettino d’ospedale e l’unica persona che teneva veramente a lui era solo la sua ragazza.
In qualche modo si aspettava già quella risposta, per questo aveva preparato un ‘piano di riserva’.
Dal terribile giorno non era uscita più molto, soprattutto con i suoi amici, ne era uscita nelle ore serali, di notte.
Piuttosto preferiva il giorno, quando fingendo di andare a scuola, svoltava invece l’angolo verso il centro di Bristol e trascorreva le giornate tra una sigaretta ed una birra. In fondo, i suoi non si sarebbero accorti di nulla al suo ritorno. Non lo avrebbero fatto neanche se fosse tornata con mezzo intestino di fuori, con i capelli rasati a zero o con un tatuaggio in piena faccia.
Se quindi Alek o chiunque altro non era lì ad obbligarla ad andare a scuola o a tenerle compagnia per evitare di farle fare qualche cazzata, era ufficialmente autorizzata a fare quel che diamine voleva. E così avrebbe fatto, come sempre.
Prese la felpa, la prima che le capitò tra le mani, ed uscì di casa mentre sua madre, ancora del tutto rincoglionita per la sera precedente, in uno stato a metà tra il coma ed il dormi-veglia, sedeva al tavolo della cucina a fare colazione o meglio a contare i cereali sparsi sul tavolo prima di mangiarli.
Il suo cuore si stringeva ogni volta che la vedeva, perché nonostante fingeva di essere forte e noncurante, in realtà voleva bene a sua madre, più di quanto le avesse mai detto.
Scosse la testa, tornò alla fredda, rude, crudele realtà che la circondava e che, come mille aghi appuntiti, la trafiggeva da testa a piedi e non le lasciava un attimo, uno solo, per respirare, per pensare a qualcosa di felice che la spingesse a non mollare. Perché in fondo era sempre stata forte da sola, si era sempre bastata da sola e non aveva mai avuto bisogno di qualcun altro che le dicesse di essere forte. Era completa, lo era sempre stata. Ma Ed era entrato nella sua vita e le aveva dimostrato che, forse, se sei abbastanza fortunato, capisci che la metà esatta di te esiste e ti completa, pià di quanto tu possa fare semplicemente vivendo.
Ma avrebbe ricominciato a vivere, sarebbe andata avanti e lo avrebbe fatto davvero. Doveva solo trovare dentro di sé la voglia di non rinunciare a ciò che aveva costruito.
 
- Non ho voglia di uscire.

La voce di Chloe uscì tonante dalla sua bocca scarlatta ed i suoi occhi color del ghiaccio sembrarono per un momento prendere fuoco. Odiava quando la sua ragazza insisteva tanto per convincerlo ad uscire perché ogni volta si ritrovava a doverle attaccare il telefono in faccia e poi sopportarla per ore mentre si lamentava dei suoi comportamenti sgarbati e fuori luogo.

- Fanculo.

Si rivolse al suo cellulare, ormai già spento e lontano dal suo orecchio come se ancora Lily potesse essere in linea, ma non lo era, non lo avrebbe sentito. E lui l’avrebbe lasciata lo stesso.
Non ricordava neanche più perché si erano messi insieme o forse lo sapeva ma non riusciva a pensare che davvero, un tempo, le era piaciuta come persona. Non si pentiva di nulla, solo che le cose erano cambiate, entrambi erano diversi e non erano più compatibili, i pezzi di un puzzle che prima avevano creduto incastrarsi perfettamente adesso avevano preso forme del tutto strane e spigolose e non potevano più stare insieme come un tempo.
Sbuffò e spense il computer. Anche lì, gli amici che aveva trovato un tempo, si erano rivelati bastardi e inutili.
Forse l’unica amica che gli era rimasta fedele era quella silenziosa, piacevole canna che aveva accanto  e che sembrava guardarlo implorante, come se stesse solo aspettando di essere fumata, di ridursi in cenere e rinascere dentro di lui.
‘Immagine forte, dovrei scriverla’, pensò mentre prendeva l’accendino.
Aveva l’abitudine di uscire dalla finestra – trovandosi al primo piano – anche quando i suoi non erano in casa e stavolta non fece eccezione, non deluse le aspettative dei vicini che, appostati dietro le finestre, non attendevano altro che vederlo sgattaiolare via ed accusarlo ai suoi genitori, come se a loro avesse mai potuto importare qualcosa se non per provare il gusto di affermarsi superiori e maturi.
Tutta quella maturità che lui non riusciva a vedere, mai.
Aveva fatto solo pochi passi, o meglio pochi quartieri, quando all’ombra di un albero, appoggiata a fumare una perfetta chioma bionda ondeggiava seguendo il vento.
Sorrise spavaldo, come se quella potesse essere una degna distrazione, un ottimo rimpiazzo per la sua ragazza, una nuova conoscenza che, data la bellezza, non poteva lasciarsi scappare.
Un trofeo che non poteva non sfoggiare insieme a tutti gli altri.
Si era trasferito da poco, dall’inizio di quel piovoso inverno, ma già si era creato la reputazione del bello e dannato.
In realtà, portava un enorme buco dentro che nessuno avrebbe mai curato, riempito, ricucito.
La sua era solo apparenza, una perfetta maschera che aveva dovuto indossare per farsi apprezzare, ciò che gli altri volevano vedere, quella che nessuno aveva mai avuto il coraggio di togliere o non era mai stato interessato a levare.
Ma ormai si era abituato, aveva capito che la vita gli sarebbe andata bene così. In fondo, erano solo sentimenti ed erano destinati a svanire prima o poi.
Salì di poco i pantaloni o gli sarebbero finiti direttamente sotto i pedi e le si avvicinò, mantenendo quel sorrisetto complice.
Chloe, così assorta nei suoi pensieri, nel gusto di birra amara, resa tale dal fumo, non aveva neanche notato la nuova figura che le si era parata di fianco.
Eppure, sentitasi osservare, dovette voltarsi. Fu allora che sentì come una collisione. In realtà vide negli occhi di quel ragazzo i suoi stessi occhi e non solo per il loro colore ceruleo ma anche per quel lampo, quella cicatrice che, lì in fondo, li rendeva così vissuti e tristi nonostante l’età.
Inarcò istintivamente un sopracciglio e gettò la sigaretta.

- Posso esserti utile?

Il suo tono era completamente ironico e forse velava la strana, particolare, voglia di continuare quella ‘conversazione’.
Anche lui, del tutto concentrato sul modo di rimorchiarla, era quasi agitato, ora, all’idea di parlarle e conoscerla, probabilmente perché era la prima che non vedeva semi-nuda per puro esibizionismo.
Sorrise.

- Si, solo se hai una storia più noiosa della mia così che io possa pensare di non essere il più sfigato di Bristol.

Fu meccanico, istintivo e veloce. Entrambi sorrisero, spensierati, come se per una frazione di secondo l’idea di divertirsi ancora bussasse alla loro porta. Stava a loro aprirla, spalancarla o lasciarla chiusa.

- Posso assicurarti che non lo sei.

Rispose Chloe con il suo solito tono ironico. In realtà chi la conosceva poteva sentire bene la ferita dell’amarezza che cospargeva ancora di sangue il pensiero a cui quella frase era legato.

- Dovresti frequentarmi ed assicurartene.

James, quando avrebbe smesso di provarci con ogni essere vivente che avesse una vagina?
Le si avvicinò aspirando, mentre allungava la mano.

- James.

Disse schiarendosi la voce, quasi ad apparire caricaturalmente serio e settecentesco. Aveva capito, dallo sguardo spento di lei, che l’unico modo che gli avrebbe permesso di arrivare al punto era farla ridere, sempre sperando che, di quel sorriso, non si sarebbe mai davvero innamorato altrimenti la sua maschera si sarebbe sgretolata senza alcun freno.
Doveva essere una di quelle dal passato tortuoso, pieno di delusioni, ma anche di divertimento, di esperienze stupide e da dimenticare, di legami spezzati e stronzate del sabato sera: troppo basse per una matura come lei.
Ma lo era davvero? O era solo noia la sua, quella di vivere, di provare ancora?
E lui, da quando era diventato tanto profondo e sentimentale ma soprattutto perspicace?
Deglutì e terminò la sigaretta mentre lei, con un gesto veloce, strinse la sua mano.

- Chloe.

La sua voce, mentre pronunciava il suo nome, gli parve più cupa. Come se quel nome portasse con sé un enorme macigno che ogni tanto spuntava nella sua mente a ricordarle ciò che era realmente, non ciò che nei suoi sogni sarebbe potuta diventare.
Ogni tanto anche lui provava la stessa sensazione ma mai lo aveva dato a vedere, mai avrebbe permesso al suo viso di lasciarsi andare ad espressioni tristi e deluse. Lui non poteva essere deluso, lui non poteva provare qualcosa.
Il suo cellulare squillò.

- Torna immediatamente a casa, piccolo bastardo.

Dall’altro capo del telefono suo padre sembrava essere infuriato, incazzato abbastanza da convincerlo a tornare a casa nonostante la sua audace impresa si stesse rivelando vittoriosa.
Strizzò un occhio, mentre il suo viso si contorse per il tono elevato della voce di suo padre. Poi chiuse il telefono, senza rispondere, e rivolse il suo sguardo alla ragazza. I suoi occhi sembravano divertiti dalla scena.

- Devo andare.

Si aspettava che lei dicesse qualcosa, che gli mostrasse anche un piccolo, impercettibile, segno di interessamento. E quel giorno qualcuno lo stava aiutando evidentemente.

- Ehi, il mio numero. Non lo vuoi?

Anche Chloe, ora, sembrava sfoggiare uno dei suoi migliori sorrise complici, uno di quelli da togliere il fiato e che avrebbero fatto cascare ai suoi piedi anche il più duro dei cuori.
Joe sorrise e tese il cellulare per permetterle di digitare direttamente il numero e memorizzarlo in rubrica.

- Fatto.

Gli fece un occhiolino mentre lui, ancora assorto dal suo sguardo, sembrava essersi dimenticato di suo padre.

- Vai.

Fu l’ultima parola che udì perché poi prese a correre verso casa sperando di non aver fatto troppo ritardo dalla chiamata.
Lei rimase ancora per un po’ sotto quell’albero, ridacchiando per quello strano incontro, inaspettato.
Un lampo di luce tra nuvole grigie: rischiarante ma potenzialmente dannoso.
E lui lo sarebbe stato per lei? Per ora non voleva pensarci, doveva aggrapparsi a qualcosa che le permettesse di sorridere perché quel pesante macigno continuava a rotolare sulle sue piaghe.

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Capitolo 5
*** We are young. ***


CAPITOLO 5.

Era la prima sera che, dopo settimane di strani silenzi, scomodi e dannatamente dolorosi, dopo avvenimenti turbolenti, dopo aver visto Tyler quasi in fin di vita e dopo aver assistito ad una repentina trasformazione del gruppo, finalmente avevano deciso di uscire di nuovo insieme.
Era una festa, a dire il vero, che avrebbe fatto bene a tutti e non solo per il divertimento che ne potevano ricavare ma anche perché, in un modo o nell’altro, tutti avrebbero dovuto, senza alcuna scusa, partecipare o Apple non avrebbe mai più rivolto la parola a nessuno di loro.
Aveva, infatti, lei organizzato la serata, sotto consiglio di Alek che, ormai, si era resa conto di potersi rilassare con Tyler, ora fuori dall’ospedale e – forse – di nuovo quello di prima.
Erano tutti lì, davanti alla discoteca, pronti ad entrare come se questo avesse significato mettere una pietra sopra ad ogni avvenimento, tradimento, passato, ferita, delusione.
Ma erano capaci di farlo in quel momento?
Alek e Tyler erano già dentro, insieme ad Apple e Grace che ora sembravano soddisfatte, felici come se avessero ritrovate se stesse l’una nell’altra.
Ed e Chloe, invece, continuavano a fissarsi, da lontano, senza proferire parola.
Entrambi appoggiati al muro con una sigaretta in mano. Avevano da sempre odiato rimanere senza parlarsi, senza potersi neanche guardare negli occhi.
A dire la verità, lui ci aveva anche provato ad avvicinarsi ed a scusarsi, ma gli era andata bene se Chloe non lo aveva preso a pugni sulle gengive, data la sua rabbia.
Ancora non le era passata, era troppo presto, nonostante i nuovi incontri ed i giorni passati a riflettere.
Eppure quella sera era bellissima, vestita solo di un vestito, il più semplice che avesse trovato e che, sapeva bene, faceva impazzire Ed sin da quando si erano conosciuti, la prima sera.
Forse era per quello che continuava a fissarla, spaventato a morte dall’idea di perderla, ora che sembrava così importante per lui perché – lo aveva sentito dire più volte – ti accorgi dell’importanza delle persone solo quando le perdi.
E così lui si rendeva conto di quanto amasse Chloe solo ora che lei riusciva a guardarlo solo con occhi pieni di lacrime, di dolore e di sofferenza.
E lui, altrettanto, non riusciva più a vederla soffrire. Ma cosa avrebbe potuto fare d’altronde?
Da lontano un’ombra alta e snella sembrava venire verso di loro: Fannie.
All’apparenza, lei aveva già superato la faccenda. Era entrata, difatti, nel locale lanciando un’occhiata ad entrambi ma senza smuovere il suo volto, disumanamente freddo, neanche per sorridere.
In fondo, per cosa avrebbe dovuto sorridere? Per essere la stronza più stronza del secolo, per aver tradito ‘sua sorella’ o per essersi fatta il ragazzo più figo della scuola e non essere ancora soddisfatta?
Sospirò e rimise apposto il reggiseno, che aveva visto più ragazzi di chiunque altro in città, entrando nel locale angusto e dall’aria soffocante, dove non riusciva neanche a distinguere chi fosse il corpo a cui già si era attaccata.

Nelle luci blu e verdi che li illuminavano a tratti, anche Alek e Tyler sembravano finalmente divertirsi e tirare un sospiro di sollievo. Ma non poteva essere finita così la loro terribile storia.
Tyler aveva, infatti, uno sguardo perso, assente, come se stare lì fosse dovuto e non un piacere. Insomma, lo era per tutti ma lui sembrava turbato, anzi lo sarebbe stato se il suo sguardo avesse mostrato una qualche emozione.
Ma era proprio quello il punto: non riusciva a trasparire niente dalle sue pupille dilatate.

- Che succede?

Chiese Alek, quasi preoccupata si poteva dire. Sapeva bene con non riguardava la sua salute, il medico le aveva detto che non avrebbero notato cambiamenti. Eppure l’idea di piombare di nuovo nell’angoscia di prima la terrorizzava.
Tyler le prese la mano, quasi con forza, come se vi fosse qualcosa che doveva essere affrontata, subito. Come se Aleksandra fosse di sua proprietà e potesse sballottolarla da un posto all’altro.
Era sempre stato un tipo determinato e dalle maniere affatto gentili, anzi burbere e raramente le concedeva un sorriso. Lo sguardo perplesso della ragazza passava dalla folla a lui e viceversa, finchè arrivati in un posto isolati lui non si decise a parlare.

- Io non voglio più stare con te.

Lo aveva detto con un tale distacco che l’aveva fatta rabbrividire. Sapeva che non stava scherzando ma si era illusa che per quella volta avesse deciso di farle prendere uno spavento per ridere di lei. Restò in silenzio, priva della forza di dire qualcosa, appesa al filo dell’impotenza visto che non era da lei che dipendeva tutto ciò.
Neanche lui aveva più niente da dirgli. Semplicemente aveva capito, in quelle settimane che aveva trascorso in un letto d’ospedale che, nonostante il bene che le avesse voluto e la chimica che vi era tra loro, lei non fosse la ragazza che voleva. Ed ormai la loro storia stava durando così tanto a lungo che temeva che potessero, le persone, pensare che fosse seria e che lui si sarebbe ridotto a stare con un’unica ragazza o, peggio ancora, ad amare qualcuno.
Si scostò ma Alek, insoddisfatta ed incredula, lo bloccò per un braccio.

- Stai scherzando.

Disse più con tono affermativo che chiedendo conferma. Tyler si bloccò e la guardò.
- Mi dispiace averti illusa che fosse amore il nostro. E’ stato bello finchè è durato, no?
Parlava serenamente, come se – pur non avendo preparato prima quel discorso – quelle parole risultassero facili, naturali. Come se fosse scaduto il loro tempo e, dato un ciclo naturale, fosse ora di far finire la loro storia.
Ma come poteva Alek crederci? Non poteva. Lo guardò allibita. Ma non gli avrebbe mai concesso la soddisfazione di piangere per lui, ancora una volta, di rimanerci male o di soffrire. Si sarebbe mostrata lucida, anche se non lo era affatto.
I loro sguardi, persi, stavano entrambi ripercorrendo quell’ultimo anno che avevano trascorso come coppia.
Effettivamente erano loro, Aleksandra e Tyler, loro che non si sarebbero mai lasciati e che avrebbero vissuto la loro vita in giro per il mondo su una macchina tra alcool e musica.
Deglutì all’idea di aver perso quel futuro e, con tutta la sua rabbia e la sua forza, gli sferrò uno schiaffo che sperava lo avrebbe ferito più di qualsiasi parola o di qualsiasi frase le passasse per la mente.
Poi, non reggendo più, si voltò ed a passo veloce si allontanò, dirigendosi verso l’uscita. Erano colmi, i suoi occhi, di lacrime amare che tuttavia non riusciva a lasciare andare.
Aveva ancora paura che qualcuno la vedesse, che dovesse ammettere che non era un incubo quello ma che realmente il suo “grande amore” adolescenziale era appena giunto al termine, dopo tutto quel che aveva passato per Tyler.
Al contrario, lui si sentiva come sollevato da un peso che ormai lo stava opprimendo. Voleva stare solo, godersi la vita, sentirsi libero di stare con chiunque.
Dopo aver visto la morte in faccia, aveva capito che non poteva trascorrere i suoi giorni a preoccuparsi di sentimenti come l’amore ma doveva divertirsi e godersi quel che aveva come se non vi fosse stato un domani.
Lei era la ragazza a cui più avesse tenuto nella sua vita, più di sua madre stessa, ma non era sicuro di essere pronto ad ammettere di “amarla” perché realmente non lo sapeva neanche lui.
Se lo avesse aspettato, probabilmente un giorno sarebbe tornato da lei, quando si sarebbe sentito pronto.
Ma sapeva che non lo avrebbe fatto perché, questa volta, era stato lui a ferirla, ad allontanarla, a disintegrarla con la sua freddezza ed il suo egoismo e lei, un po’ orgogliosa, non gli avrebbe mai concesso di riavvicinarsi.

- Alek!

Gridò Chloe guardando la sua amica correre verso la strada più buia e dispersiva del quartiere. Non si voltò.
Voleva stare sola e lei lo avrebbe capito. Ma cosa era successo? Non riusciva a capirlo.
Gettò la sigaretta e si avvicinò, quasi per rincorrerla.
Non notò neanche che era appena passata davanti ad Ed, ancora appoggiato al muretto, che l’aveva guardata ed in pochi secondi aveva gettato la sua sigaretta e l’aveva seguita.

- Dobbiamo parlare.

Era decisa ad ignorarlo. Voleva spiegazioni, ora, ma non era abbastanza coraggiosa chiederle perché temeva che dovesse fronteggiare la verità di essere stata tradita non per istinto ma perché non era abbastanza, come non lo era mai stata per nessuno, neanche per se stessa.
Rimase in silenzio mentre lui, conoscendola fin troppo bene, cominciò a parlare.

- Mi dispiace. Dannazione non sai quanto!

La sua voce, rotta, sembrava davvero pentita del suo gesto.
Fu allora che, ritenendo ormai Alek troppo lontana, Chloe si fermò di colpo e si voltò verso di lui. Erano poche le cose che poteva fare: poteva voltarsi ed andarsene, rifiutandosi di riaprire la faccenda; poteva parlare, concedersi la verità e – magari – anche tirargli un altro cazzotto in faccia; poteva ascoltare quell’assurda voce in fondo alla sua testa che gli diceva di, come al solito, perdonarlo, andare avanti e baciarlo senza curarsi delle conseguenze.
Le sue pupille oscillavano tra gli occhi di Ed e la sua bocca.
Nessuno avrebbe mai capito il suo gesto, l’avrebbero giudicata come debole e fragile ma se questo significava ritornare alla sua utopia di un amore indistruttibile, allora avrebbe sopportato anche critiche più pesanti.
Lo baciò, senza pensarci, senza curarsi delle conseguenze, senza osservare se vi fosse qualcuno.
Forse stava piangendo ma non sapeva se per il dolore che quel bacio le riportava, facendole ricordare l’orribile momento in cui aveva visto Ed e Fannie sbattersi, o forse per la felicità di poterlo di nuovo stringere nelle sue braccia, come se fosse tornato di nuovo suo.
La guardava, lui, felice. Non si chiedeva se questo significasse il perdono o se domani sarebbe tutto tornato di nuovo all’incubo di non poterle parlare, Chloe era così, insicura e lunatica a volte, e per questo aveva deciso di godersi il momento e non pensare al futuro. In fondo, non vi sarebbe stato un domani se non avesse prima vissuto l’oggi.
Le mani potevano di nuovo accarezza i suoi biondi capelli, potevano stringerla e potevano sentire il suo calore.

- Ti amo.

Sussurrò. Forse era prematuro, forse non ne nera sicuro ma era da sempre stato impulsivo – ed un gran cazzone, anche – e non poteva fare a meno di seguire il suo istinto.
Non si mosse di un centimetro e Chloe continuò a baciarlo.
Forse non aveva sentito? No, erano chiare quelle parole che le frullavano in testa e per questo un sorrisetto le si dipinse in volto, ma in quel momento bramava talmente tanto le sue labbra che non riusciva a pensare ad altro.

Dentro, intanto, Joy e Sam, seduti su un divanetto, fumavano senza porsi alcun limite.

- Ci hai mai pensato a noi?

Chiese ridendo Sam, quasi come se il pensiero di loro due insieme fosse più una barzelletta che una realtà possibile.

- Ci conosciamo da così tanto…

Rispose lei osservando la sigaretta come se avesse appena scoperto un nuovo continente.
Si era letteralmente fottuta il cervello a furia di stare in quella compagnia.

- Già.

Ammise lui, quasi insoddisfatto e tornato alla sua condizione di perduto innamorato senza alcuna speranza. Era chiaro che lei lo avrebbe sempre visto come un amico, in fondo cosa potevano essere altrimenti?
I suoi erano sogni di uno sfigato di Bristol che fino a qualche anno prima non aveva neanche un amico con cui giocare all’xbox.

- Magari un giorno…

Continuò lei con un tono tra il malizioso ed il confuso. Aveva una vocina stridula che avrebbe fatto pensare da una nanetta, priva di qualsiasi lato cattivo o oscuro. Ridacchiò mentre gli si avvicinava.

- Che stai facendo?

La domanda non ebbe risposta perché Joy lo baciò. Non significava niente per lei, in fondo era solo una serata come le altre trascorsa in discoteca tra una birra ed una canna e la sua capacità di discernere in quel momento era pari a zero.
Cosa le sarebbe potuto fregare di un bacio dato a Sam? Il giorno dopo non si sarebbe ricordata di nulla.

- Il tuo amico è felice di vedermi.

Disse ridendo mentre abbassava lo sguardo sui pantaloni di Sam.

- Cazzo.

Esclamò lui imbarazzato. Tanto lei stessa lo conosceva meglio di chiunque altro e sapeva l’attrazione che egli provava verso di lei. Un giorno, forse, gli avrebbe concesso una chance, lo stesso giorno in cui avrebbe smesso di accentuare la sua stupidità e avrebbe deciso di non ferirlo mai più. Ma questo era un passo più lungo della gamba in quel momento e lei non era disposto a compierlo.


- Si sono divertiti tutti.

Sorrideva Grace, fiera del lavoro compiuto da Apple, sapendo quanto ella si fosse impegnata e quanto avesse tenuto alla buona riuscita del suo “progetto”. Voleva che tornasse la pace nel loro gruppo, così come lei l’aveva trovata dentro di sé da quando, andando contro ogni suo pensiero razionale, aveva concesso all’amica di mostrarle il suo personale libretto di istruzioni sui sentimenti.

- Lo so.

Rispose soddisfatta mentre le afferrava la mano e la trascinava verso il tavolo degli alcolici.

- Cosa vuoi?

Chiese sorridendo. Grace osservò le bibite e fece cenno di non volere nulla. Tutta quella confusione la stava distraendo dal suo obbiettivo primario: Apple.
Sapeva che la amava, ma lei era fermamente convinta di essere eterosessuale e aveva dubbi sull’idea di poterla convincere del contrario. Ma solo starle vicina era abbastanza per lei e si sarebbe accontentata di questo.

- So a cosa stai pensando.

Disse chiaramente Apple mentre il sorriso le svaniva, come l’arcobaleno dopo un po’ di tempo, dal volto.
Grace la guardò perplessa. Davvero la conosceva così bene?

- Questa musica è troppo figa per non ballare.

Rise Apple e la trascinò in mezzo alla folla. In realtà, immaginava i suoi veri pensieri ma non aveva intenzione di affrontare l’argomento quella sera. Grace le resse il gioco e con un sorriso la accontentò, come sempre. Avrebbe vissuto solo per lei se solo glielo avesse concesso. Ma due ragazze non poteva dipendere talmente l’una dall’altra da annullarsi, Apple non l’avrebbe mai permesso né per sé ne per l’unica persona che avrebbe mai voluto vedere felice al mondo.

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Capitolo 6
*** Say something. ***


CAPITOLO 6.

‘Alzati’, ripeteva a se stessa, inerme sul fondo schifoso di un vicolo di Bristol.
Vi aveva trascorso la notte, forse non solo una, forse solo qualche ora ma sembrava passata un’eternità e ancora non riusciva a convincere i propri muscoli ad eseguire un qualsiasi semplice movimento.
A parte sbattere le palpebre, respirare e forse pensare, non era affatto capace di fare nient’altro.
Trascorsero altri minuti, nel silenzio più totale della notte fonda, finchè una mano, timida e poco sicura, si avvicinò alla tasca dei jeans alla ricerca del pacchetto di sigarette, un piccolo rifugio sicuro.
Prese l’accendino che però non voleva saperne di collaborare.
 
- Cazzo!
 
Esclamò poco prima di riuscire ad accendere, per chi sa quale miracolo, e gettare l’affare il più lontano possibile dai suoi nervi stanchi ma irritati.
Non aveva intenzione di pensare alle ore precedenti, quelle fatte di luci, alcool, amici e Tyler che la lasciava ufficialmente.
‘Alek, alzati.’ Era forse la millesima volta che se lo ripeteva e, per inerzia probabilmente, i suoi muscoli cedettero sotto la forza di volontà.
Prima una gamba, poi l’altra e finalmente ebbe una chiara idea di quanto doveva aver bevuto perché la strada sembrava non volersi fermare.
Il vomito, ovviamente, sarebbe arrivato a breve, incluso nel pacchetto della sbornia. Ma ci era abituata, tanto da non farci neanche più caso al ruggito che quasi le proveniva dal petto, no, meglio dallo stomaco, e che le lacerava perfino ciò che di più sano le era rimasto – visto che l’aspetto esteriore l’aveva tradita già da tempo.
Schivò con un salto la pozzetta terribilmente fetida del colore caratteristico giallastro-verde.
La bocca si storse in una smorfia, mentre portava lentamente la sigaretta già spenta.
Poteva andare al diavolo anche quella ormai. Ma non si sarebbe arresa, se non avesse notato che l’accendino era del tutto fuori uso a chi sa quanti metri di distanza.
Sbuffò e si appoggiò ad un muro, il primo che aveva trovato, senza la forza di continuare a camminare da sola.
 
- Tyler.
 
Fu il primo nome che riuscì a sussurrare, in cerca d’aiuto, in cerca di un senso a quello che le era successo.
Non ricordava nulla dopo la discoteca, le luci che si spegnevano e le sue gambe che correvano nella direzione opposta rispetto a quello che, adesso, definiva il suo ‘ex’.
Cosa avrebbe fatto ora? I loro occhi si sarebbero incontrati ancora e prima che lei riuscisse a sostenere il suo sguardo senza scoppiare in lacrime sarebbe passato fin troppo tempo, lo sapeva, e lei non poteva permettersi di restare più di qualche minuto ancora per strada.
Fu allora che di scattò i suoi occhi si alzarono verso una mano tesa ad aiutarla che le sembrò fin troppo familiare.
Quella stessa mano che l’aveva stretta più volta, che l’aveva accarezzata, che l’aveva fatta sua.
Sussultò quasi, prima di spegnere la sua espressione, il suo sguardo e indossare la maschera di apatìa che in quel momento le sembrava una migliore opzione.
 
- Vattene, Tyler.
 
Disse secca, sicura o almeno avrebbe voluto. Perché in realtà la sua voce si era incrinata, rotta nel momento in cui i suoi sentimenti avevano deciso di pugnalarla in pieno petto.
 
- Alzati.
 
Stavolta l’incitamento veniva dal ragazzo, ancora pacato e tranquillo. Come se nulla fosse successo, era del tutto normale, forse anche troppo.
Non attese risposta o reazione, la prese dal braccio e – quasi costringendola – la mise in piedi con forza.
Per tutta risposta si liberò dalla presa, con uno strattone che le portò non poco dolore ma che sembrò niente in confronto a quello che la aspettava quando alzando lo sguardo incrociò le iride profonde di lui.
 
- Cosa vuoi ancora?

Le sentiva, scorrevano calde e umide sulle sue guance quella lacrime amare, prive di senso o forse fin troppo piene di emozioni confuse e contrastanti. Lo odiava perché l’aveva amato troppo, perché l’aveva uccisa nel profondo con così poca curanza e preavviso dopo quando avesse sacrificato per lui.
Una mano poco delicata cominciò a strofinare e vanamente ad asciugare quel che rimaneva di un pianto soffocato nell’amarezza e nella delusione.
 
- So che ti ho fatto male. Non posso farci molto. Ma Alek, ti ho amata.
 
Quelle parole erano uscite così faticosamente dalla bocca di Tyler che neanche egli riusciva a crederci e la sue espressione rappresentava, del tutto, il fiume di frasi spezzate che si stavano accumulando in gola, premendo di uscire e sperando di essere chiare e comprensibili.
Sospirò e le prese il volto tra le mani. Ma le sue parole avevano colpito e sorpreso la ragazza più di quanto si immaginasse, perché continuava a piangere a fiotti, sbattendo i pugni contro quello che rimaneva del petto del ragazzo, quasi a voler abbattere quell’odioso muro di silenzio che li separava, irrimediabilmente.
Voleva spiegazioni, voleva annullare quel dolore, voleva distruggere ogni singola particella di quei ricordi che tanto le facevano sanguinare ciò che rimaneva del suo cuore spezzato.
 
- Perché allora?! Perché questo?!
 
Si ostinava, disperatamente, aggrappandosi al vano tentativo di sembrare tanto debole da necessitare di una roccia a cui tornare, un pilastro come il suo ragazzo era stato fino ad allora. Forse avrebbe suscitato la sua compassione, avrebbe smosso il cuore d’acciaio che per mesi l’aveva guardata desiderandola come il più prezioso gioiello al mondo, facendola sentire unica, amata e perfetta per quel che era.
 
 
- Perché tutto finisce, prima o poi. Lo sai,no? Io non credo nei per sempre. Ci sono tanti ragazzi, ragazze. Entrambi andremo avanti e staremo bene di nuovo.
 
Aveva appena ammesso due cose fondamentali che stordirono Aleksandra: l’aveva amata ed aveva sofferto a compiere il gesto di lasciarla.
Questo la sollevò, quasi, perché sapeva che ciò che avevano vissuto era stato reale e non solo per lei ma per entrambi.
Tuttavia fu come sentire un macigno caderle sul petto, soffocandola e costringendola ad accettare una verità che forse avrebbe preferito non conoscere mai.
Aveva lottato per lui, se lo era presa con le unghie e con i denti facendosi largo tra tutte le altre, gli era rimasto accanto anche quando nessuno aveva creduto in lui, quando in ospedale neanche i suoi genitori avevano interesse a sapere delle sue condizioni, lo aveva amato al di sopra di se stessa ed era rimasta ad aspettarlo quando – per via del suo fottuto carattere – era andato via ed aveva fatto ritorno, tempo dopo, più caparbio di prima.
Tutto ciò, la stava uccidendo, logorando da dentro perché sapeva che stava finendo, che la sua speranza sarebbe morta, scaricata giù per un cesso di Bristol.
Sapeva bene che si stava arrendendo. E questo, solo perchè Tyler lo aveva fatto prima di lei. Perché entrambi avevano rinunciato all’idilliaco futuro che avevano sempre sognato, perché l’orgoglio li stava frenando dal dire che forse si sarebbe potuti permettere un amore che andasse oltre la loro immagine e la loro superficialità.
Mise una mano sul suo volto, lo baciò per l’ultima volta perché sapeva bene che mai più sarebbero stati insieme.
 
- E’ un addio?
 
Riuscì solo a sussurrare Aleksandra, tra una lacrima ed un sospiro. Qualsiasi parola l’avrebbe fermata dal mollare, dall’andare via ma lui rimaneva in silenzio, inerme com’era stata lei nel vicolo prima che il ragazzo arrivasse in suo aiuto.
Lui non desiderava lottare, non lo aveva mai fatto e non aveva intenzione di farlo, forse davvero credeva in ciò che aveva detto: sarebbero stati bene entrambi e quella storia sarebbe stata solo una delle tante da raccontare un giorno.
Annuì con la testa, senza proferire parola. Poi la allontanò, con una delicatezza del tutto nuova per lui, e si voltò di spalle.
Qualcuno gli aveva detto, un giorno a scuola forse, che se voleva lasciare andare qualcosa doveva avere solo la forza di non cercarla più, di non guardarsi indietro per provare per un’ultima volta la sensazione di felicità che questa poteva portargli. E così avrebbe fatto con Alek.
Non si sarebbe voltato, mai più, ad osservare i suoi occhi color nocciola ed il suo sorriso stanco, ora stretto tra panico e ansia, in una morsa che non le avrebbe lasciato via d’uscita se non fosse stata forte come lui la sapeva.
E lo era, tanto. Perché rimanere lì, in silenzio, a lasciare andare quell’unica possibilità di ritenersi completa non sarebbe stato facile per nessuno.
Abbassò lo sguardo sull’asfalto, era ancora notte, aveva ancora freddo ed aveva ancora una casa a cui fare ritorno, nonostante a nessuno fregasse qualcosa di lei se non a se stessa.
Asciugò le ultime lacrime, gettò la sigaretta e si voltò dalla parte opposta: avrebbe ricominciato da se stessa, da quella ragazza forte e indistruttibile che avrebbe sempre voluto essere ma che solo adesso capiva di voler diventare.

Vi sarebbe forse stato un giorno in cui si sarebbero parlati come dei vecchi amici, avrebbero riconosciuto l’importanza della loro storia e avrebbero sorriso, sapendo di aver rinunciato a qualcosa ed averne ricavato di più.
Ma quanto sarebbe costata la “felicità”? Un giorno lo avrebbero stabilito insieme.
Per ora avrebbero dovuto affrontare sguardi curiosi di amici ipocriti, di quelli veri realmente preoccupati, di genitori assenti mangiati da psicofarmaci e dipendenze incurabili.
E forse avrebbero dovuto anche fronteggiare giorni bui, vicoli ciechi e giornate troppo lunghe per canne e cicchetti. 

 

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Capitolo 7
*** Teenage dream. ***


CAPITOLO 7.

Era una sera come tante; in strada la gente brulicava e si atteneva alla propria routine.
Esattamente come Fannie, sola ma sicura di sé nei suoi tacchi e con i suoi pantaloncini strappati.
Non aveva mai avuto una forte inclinazione al vestirsi bene. D’altronde chi, del suo gruppo, l’aveva mai avuta? Forse Chloe, ma lei neanche si sforzava a scegliere dei vestiti “appropriati” – come lei stessa li definiva.
Era semplice, pura, ingenua ed il suo modo di vestire rispecchiava semplicemente il suo carattere.
Sarebbe stata la nota perfetta nella musica distorta che i suoi amici costituivano, se non fosse stato per il vizio del fumo e del bere, esattamente comune a tutti gli altri.
Era stata l’ultima ad unirsi al gruppo, ma era già da tempo nel cuore di tutti, solo non aveva mai mostrato quanto fosse a loro simile.
Al contrario, la sua migliore amica – Fannie – si poteva dire che fosse stata la fondatrice di quella compagnia di tossicodipendenti folli.
Socievole, bella, scaltra e carismatica: non le era mai mancato nulla. Eppure si ritrovava sempre ed immancabilmente sola.
O era, forse, il vuoto che si portava dentro a macchiarla indelebilmente di una malinconia che solo pochi riuscivano a vedere. Perfino i suoi amici non si erano mai accorti di nulla, tranne Chloe.
Ma con lei, ora, era stato tutto rovinato dall’impulsività, dall’istinto e dal sesso.
Finiva sempre così: qualche ragazzo le dimostrava di essere attratto di lei – quasi tutti, a dire il vero – e lei se ne faceva affascinare, facevano sesso e poi il tutto spariva come neve al sole.
Con Edward aveva davvero sperato che vi potesse essere qualcosa, nonostante il senso di colpa, nonostante il tradimento, nonostante non fossero mai stati realmente intimi.
Invece, era stata solo una scappatella. Un’altra storia di una notte, niente di più.
In certi momenti non le dispiaceva essere “quella facile”, non perché effettivamente le piacesse la sua fama, ma perché così avrebbe tenuto ben lontano da sé persone noiose, ipocrite e sdolcinate.
Tuttavia, a volte, desiderava anche la sicurezza che solo un ragazzo innamorato avrebbe potuto darle.
Nessun tradimento, nessuna bugia, non sarebbe sparito, solo l’avrebbe amata.
E forse, in questo modo, anche lei avrebbe imparato a lasciare andare i propri sentimenti, a gestirli piuttosto che reprimerli.
Ma l’Amore non era roba da ragazzi di strada e lei era ufficialmente etichettata così, non conosceva altra casa.
 
Quella sera si stava dirigendo da Jo, o meglio Joseph. Un ragazzo bello, popolare, stronzo ma comunque interessato a lei. A dire il vero, si conoscevano da molto tempo, avendo frequentato alcuni anni di scuola insieme.
Si erano piaciuti dal primo istante in cui si erano visti, ci avevano anche provato a stare vicini come amici, ma tra loro c’era molto di più.
Se solo lui non avesse avuto un migliore amico a mettersi in mezzo a loro due, probabilmente sarebbero stati una coppia felice ora. Sì, perché sarebbero durati nel tempo, non si sarebbero lasciati e di questo ne era certa.
Ora si erano ritrovati, forse per un qualche destino o forse semplicemente per puro caso, a riavvicinarsi di nuovo.
Come vecchi amici, nuovi amanti. Era così palese quanto si piacessero a vicenda; per Fannie non era solo uno dei tanti.
Ogni volta che erano insieme era diversa – e tutti non mancavano dal farglielo notare.
E solo da poco tempo avevano cominciato a frequentarsi, perché lui le aveva dato speranza di una relazione seria.
All’inizio era stato difficile, riprendere i rapporti e superare il ricordo di un passato di odio, soprattutto per lui, che era stato allontanato già tempo prima.
Ma ora era decisa: lo voleva, tutto per sé. Era il suo ideale ragazzo per una ideale relazione seria.
 
- Ciao, baby.
 
Era il suo intercalare, chiamava tutti così ma lei non vi era abituata ancora.
La sua voce metallica, quasi agghiacciante come i suoi occhi, la destarono dai pensieri di poco prima.
Come poteva non farlo? Sentiva già le guance farsi più calde. Prese un respiro e sorrise appena.
 
- Ehi.
 
Rispose senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso.
Era il tipico ragazzo ricco, totalmente diverso da lei in questo. Scarpe nuove, magliette costosissime, cappotti di lusso ed un orologio a distinguerlo dalla massa.
Eppure, sotto quell’aspetto così curato si nascondeva un’anima selvaggia, menefreghista, di un vero bastardo.
Fannie lo sapeva, ma aveva deciso di rischiare. D’altronde, anche lei non scherzava in quanto ad essere stronza ed a ferire la persone. Non avrebbe mai immaginato, però, di poter cadere vittima del suo stesso gioco.
 
-  Che farai domani?
- Che giorno è domani?
- Vacanza.
- Oh. Tu che farai?
- Jace da una festa nella sua villa di campagna. Sarò lì… Con te.
- Mi stai invitando ufficialmente?
- Già.
 
Non era servito dire altro per convincerla: avrebbe cancellato ogni impegno per stare con lui.
Soprattutto in un giorno in cui non avrebbe avuto alcuna preoccupazione: casa enorme, alcool e Jo.
In confronto al resto dei suoi giorni, le sembrava eccitante come un giro sulle montagne russe.
Le mise un braccio intorno alla vita, la strinse a sé e tornò a parlare con i suoi amici.
E lei non avrebbe desiderato altra attenzione, le bastava rimanere lì ad osservarlo fumarsi una canna e ridere, come un bambino di fronte ad un giocattolino nuovo.
A sera, aveva fatto ritorno a casa come sempre, ma, quando Joy le scrisse per chiederle del giorno dopo, un sorriso soddisfatto le illuminò il volto nello scrivere ‘sono impegnata’.
 
Il giorno dopo, che era sembrato così lontano la notte prima, era già arrivato.
Fannie, quasi come svegliata da una cannonata, si alzò di scatto, mettendosi seduta in mezzo al letto. Poi con un colpo secco scostò le coperte e si diresse, di corsa, verso la porta.
Scese le scale il più velocemente possibile e si fermò in cucina. Era ancora in tempo.
Se solo si fosse svegliata un’ora più tardi, non l’avrebbero mai aspettata fuori casa, con la loro macchina nuova fiammante, per andare insieme da Jace.
Aprì il frigo e buttò giù del latte ed un po’ di cereali: il minimo indispensabile per non morire di fame prima di arrivare.
Salì di sopra e si infilò sotto la doccia, tirando fuori il rasoio e cominciando a depilarsi ovunque.
Per una volta, si ritrovava davanti all’armadio a scegliere dei vestiti decenti – all’altezza di quelle facce false e arroganti.
Finalmente decise di indossare un paio di jeans ed una maglietta, rigorosamente aderente.
Il trucco, ovviamente, sarebbe rimasto il solito, pesante e totalmente nero.
“Scendi” diceva il messaggio appena arrivato al suo cellulare.
Ovviamente, era lui.
Mise in tasca il telefono, prese le sigarette e volò fuori di casa.
Appena si videro, sebbene fosse sempre una sensazione strana, sorrisero in simbiosi.
Aprì la portiera della macchina, già affollata di persone, e si mise sulle sue gambe.
 
- Sei bellissima.
- Lo so.
 
Si finse molto più sicura di quanto in quel momento si sentisse, ma la tattica funzionò e riuscì a strappargli una risatina divertita.
La casa era molto più grande di quanto aveva immaginato, ma a lei servivano solo un po’ di birre, la cocaina ed una stanza dove poter stare con Joseph.
E fu accontentata subito, perché lui non le toglieva gli occhi di dosso ed anche quando era lei stessa ad allontanarsi riusciva sempre a seguirla, almeno con lo sguardo.
La musica le entrava nelle orecchie mentre tutti ridevano, ballavano, cantavano e parlavano tra loro; loro erano beatamente distesi sull’erba, in giardino, a fumare.
Le cingeva le spalle con il braccio e Fannie si appoggiava sul suo petto, come fossero stati una coppia felice in luna di miele e mai si sarebbe sognata di provare una tale sensazione.
 
- Vieni con me.
 
Disse lui alzandosi, atono. Lei non proferì parola, si alzò e gli strinse la mano.
Si avviarono dentro, verso una delle stanze più nascoste dove nessuno li avrebbe potuti disturbare.
Sapeva cosa sarebbe accaduto, era esperta ormai. Si sarebbero appartati, avrebbero pomiciato un po’ e poi lo avrebbero fatto.
E così fu. Era andato tutto secondo i piani, come al solito. Era stato bellissimo, emozionante, eccitante, passionale ma Fannie era costantemente angosciata da un unico pensiero.
Joseph non l’avrebbe cercata il giorno dopo, non lo aveva fatto fino ad allora. Era la ragazza dell’occasione, quella da farsi ma non era abbastanza per interessarsi a lei per una storia vera.
 
- Non sparire.
 
Gli sussurrò sulle labbra, sperando che questo l’avrebbe spinto a scriverle, a cercarla tra la folla, ad interessarsi a lei più di quanto aveva fatto fino ad allora con il suo comportamento ambiguo.
Lui si limitò ad annuire ed un sorriso sghembo gli si disegnò sul volto, appena prima di baciarla per l’ultima volta.
Poi Fannie scese al piano di sotto, dove la attendeva l’unico passaggio disponibile verso casa.

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